apri pdf - Raccontareancora
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© copywright raccontareancora.org LA MIGLIORE POESIA CONTEMPORANEA PER BAMBINI E RAGAZZI L’esperienza di Giusi Quarenghi di Marta Nicolis (settembre 2015) Una produzione di qualità La produzione poetica destinata a bambini e ragazzi si è evoluta, nel corso del tempo, da mera versificazione con secondi fini moralistici e didascalici a poesia vera, ispirata. Si è allontanata da una produzione strumentalizzata e scontata, che rifletteva un’idea poco realistica e rispettosa dell’infanzia, per approdare ad un alto livello qualitativo perseguito con la stessa cura formale e contenutistica e con gli stessi artifici retorici della poesia per adulti anche se calibrati sull’età del destinatario, lettore in fieri dotato di esigenze proprie. La migliore poesia contemporanea per bambini e ragazzi è dotata dunque di artisticità e raffinatezza al di là della propria veste di semplicità e immediatezza. Presenta alcune caratteristiche peculiari che permettono al pubblico infantile, destinatario privilegiato ma non unico, di amare e apprezzare i versi. Poco conosciuta e frequentata perché produzione di nicchia, poco pubblicizzata, andrebbe rivalutata e riscoperta oltre che studiata da un punto di vista critico-letterario che ne mettesse in luce l’effettiva intrinseca validità. Giusi Quarenghi, E sulle case il cielo Una delle principali raccolte poetiche contemporanee realizzate per l’infanzia, ma fruibile con piacere e interesse anche da un pubblico adulto è E sulle case il cielo di Giusi Quarenghi, raccolta pubblicata nel 2007 da Topipittori con le illustrazioni di Chiara Carrer. Trentasei brevi testi esplorano con stile sobrio e asciutto il mondo delle esperienze infantili rincorrendo sensazioni, emozioni e sentimenti. Essi vengono raccontati dall’autrice in modo vivido e concreto, essenziale ed evocativo, approfondendo la scoperta del mondo interiore del bambino e di quello esterno che lo circonda mediante figure retoriche riferite alla realtà da lui conosciuta. Lo stile è chiaro, lineare, ma Quarenghi allontana la propria produzione poetica dalla tradizionale idea di poesia per l’infanzia facile, ritmica e cantilenante scegliendo un uso parco della punteggiatura, un utilizzo massiccio dell’enjambement, l’assenza di rima e di strutture metriche. I suoi versi risultano comunque pervasi da una musicalità profonda ottenuta mediante il sapiente accostamento delle parole, e da un ritmo lento, sospeso, spesso spezzato e ricco di pause e silenzi evocativi. Solo alcuni testi presentano metri riconoscibili, soprattutto ottonari, come nel caso del testo qui riportato, costituito da distici che presentano la stessa 1 © copywright raccontareancora.org struttura allegra e saltellante: la bella stagione è sentita e vissuta con ogni parte del corpo, pervade ogni fibra del proprio essere se si sa gustarla a fondo come i bambini, è dappertutto (come affermano i vv. 5-6, posti strategicamente al centro del testo) se la si sa vedere nelle piccole cose. Ho l’estate tra le mani un’anguria a fette larghe Ho l’estate nelle gambe Sfido il vento e corro via Ho l’estate sotto i piedi È sdraiata dappertutto Ho l’estate nella testa Sogni lunghi e sere chiare Ho l’estate nella gola Ha sapore di gelato. (Ho l’estate tra le mani) Molto diffuso è l’uso della ripetizione e del parallelismo che genera lievi elenchi ritmicamente scanditi, di cui è un esempio il secondo testo, spontanea e sincera dichiarazione d’affetto. I versi riportano in forma di elenco (costruito mediante l’alternanza di e/e a) tutto ciò che si ama di una persona, compresi i minimi dettagli che sfuggono a un rapporto superficiale. Descrive un’amicizia destinata a durare nel tempo perché intensa e vera, fatta di una profonda conoscenza reciproca. Un legame rassicurante e avvolgente come il cielo, come un mantello. Voglio bene a te e ai tuoi capelli corti ai tuoi lacci sciolti e alle tue calze giù a come sei se ridi e a quando metti il muso alle tue ginocchia d’ossa e ai tuoi occhi seri a come muovi le mani e a come ti viene sonno a come mi saluti e a come corri in piazza quando con noi c’è il vento e sulle case il cielo sta come un mantello viola (Voglio bene a te) Termini ricercati e inconsueti («uno corre di traverso/con la coda serpentina/l’altro salta, poi si tuffa/vuole prendersi la coda», Uno è rosso, vv. 3-6) affiancano un lessico quotidiano, a tratti colloquiale («Mio fratello mi ride/sei proprio un bambino», C’è qualcuno che aspetta, vv. 11-12), che presenta però anche originali interpretazioni di frasi fatte o nozioni scientifiche («Piove come Dio la manda!/dice la mia nonna/E come la manda Dio?», Piove come Dio la manda, vv. 1-3; «giugno la sera/allarga le braccia», Gennaio le ombre, vv. 11-12). 2 © copywright raccontareancora.org Diffuso è l’uso della personificazione e sono presenti porzioni di testo, segnalate anche graficamente, che illustrano punti di vista diversi da quello della voce narrante. Ne derivano modi nuovi di considerare la realtà, acquisibili dal bambino lettore attraverso l’immedesimazione in elementi naturali, animali, voci di altre persone, senza rinunciare all’esplorazione del sé più nascosto: molti testi sono infatti scritti in prima persona. Se fossi albero allungherei le radici nella terra come mani in un sacco di oro zecchino (Se fossi albero, vv. 1-4) Il mio gatto è un gran signore […] Ogni tanto lui ci guarda io gli leggo sulla faccia D’accordo, restate, divani e tappeti dondolo e letti potete anche usare, però ricordate che è mia questa casa e ospiti siete. La mia pelle. Ancora non riesco a capire se finisco sulla pelle o se sulla pelle comincio (La mia pelle. Ancora, vv. 1-5) (Il mio gatto è un gran signore, vv. 1 e 5-13) Quarenghi dimostra grande rispetto per il pubblico bambino, a cui parla della vita nella sua interezza con delicatezza e onestà, toccando anche temi poco frequentati dalla poesia per bambini e ragazzi come la morte, la solitudine, la paura. Tra tematiche “forti” e quotidiane Nella casa dei morti non si entra di corsa La ghiaia sotto i piedi scricchiola piano E vicino ai nomi di pietra le mani accendono piccoli lumi per accarezzarli quando fa buio (Nella casa dei morti, vv. 7-13 ) Giro in tondo giro giro occhi chiusi per non gridare bocca chiusa per pianger piano orecchie chiuse per non sentire per non sentire qui dentro che sono rimasta sola Non mi piaci notte buia, non mi piaci sulle scale, non mi piaci nel mio letto. E neppure mi piace stare solo con te. Non ti voglio sulle mani, non ti voglio sulla testa, non ti voglio intorno a me. (Non mi piaci notte, vv. 1-8) (Giro in tondo) Nel primo testo qui riportato il cimitero è descritto con la delicatezza e il rispetto consoni all’età di un piccolo lettore e alla sacralità del luogo. Ma senza ombra di paura o di inutile pudore. Esso è visto attraverso lo sguardo di un bambino come la nuova casa di chi non c’è più, una casa dal pavimento di ghiaia, una casa fatta di silenzio denso di ricordi, una casa in cui si va da ospiti e per questo non si corre. Il tono si fa lieve e rassicurante nel descrivere i lumini accesi sulle tombe: chi non c’è più non è solo in quel luogo strano e mesto ma è accarezzato dal calore della memoria di chi l’ha amato. I lumi servono da reciproco conforto, per i vivi che mantengono accesi i ricordi, e per i morti, che come 3 © copywright raccontareancora.org bambini di notte vengono rassicurati attraverso la presenza di una luce nel buio della dimenticanza. Oak Hill Cemetery, il cimitero che ispirò E. Lee Masters per la famosa Antologia di Spoon River. Nel secondo testo l’allusione al noto gioco infantile del girotondo diventa amara spirale di solitudine in cui la bambina protagonista del testo precipita. Consapevole della propria emarginazione, cerca al tempo stesso di isolarsi da ciò che la ferisce per non sentire il dolore dell’abbandono. Chiude così occhi, bocca, orecchie per non gridare, per non piangere, per non sentire di essere rimasta sola. Le azioni descritte non sono in due casi riferite all’organo normalmente predisposto a quella funzione, in una definizione sinestetica dell’angoscia e del pianto che pervade tutta la persona. “Per non sentire”, significativamente ripetuto due volte, indica invece ora il sentire con l’udito, ora il sentire del cuore (“qui dentro”). L’enjambement tra penultimo e ultimo verso isola la parola “sola”, interpretando anche graficamente l’argomento del testo. Nell’ultimo testo la paura del buio viene esorcizzata attraverso la parola poetica, mantra interiore che ripetuto più volte (non mi piaci/non ti voglio) allontana la paura dei luoghi scuri, della notte, dell’oscurità che avvolge, ridimensionandola e rimpicciolendola fino alle dimensioni di una “piccola” “gatta blu” (termini messi in luce dall’uso sapiente dell’enjambement). Gatta che dorme, proprio perché emblema della paura ora dominata, ai piedi del bambino. A questi temi, insoliti e forti ma descritti senza censure o negazioni, si affiancano tematiche e situazioni quotidiane: la famiglia, i rapporti con genitori e fratelli, l’amicizia, la scuola, le vacanze. Voglio qualcuno per giocare Qualcuno come me Qualcuno per sopportare a volte il papà, resistere alla mamma. Qualcuno per aspettare insieme Natale […] Qualcuno come un fratello, una sorella anche tutti e due. Qualcuno per litigare bene E fare sul serio la lotta per gioco (Voglio qualcuno per giocare, vv. 1-6 e 17-20) Nella parola sole sto a gambe nude A testa scoperta nella parola pioggia A occhi bendati nella parola nebbia Faccio bocconi della parola pane La parola acqua mi scorre in gola E la parola neve prenderò coi guanti. Ma la parola amico non mi basterà da sola non può fare la mano sulla spalla risate a crepapelle, tacere più vicini e mille segrete cose che fanno volare il cuore (Nella parola sole sto a gambe nude) 4 © copywright raccontareancora.org Il primo testo presenta un’insistita ripetizione del pronome indefinito “qualcuno”, termine generico che viene specificato dai versi finali dal desiderio di avere fratelli e sorelle con cui condividere la vita quotidiana in un mondo di adulti. Persone alla pari, che condividono la condizione di figlio e con cui relazionarsi è bello e difficile allo stesso tempo. Meraviglioso il finale dal tono ossimorico che svela la ricchezza e la complessità di questo tipo di rapporto. Il secondo testo riporta invece la descrizione del rapporto con l’ “amico”. Parola che, diversamente da altre, non può essere spiegata perché racchiude un’infinità di situazioni, sentimenti, emozioni. Presenza necessaria come l’acqua o il pane, naturale come il sole, la pioggia, la nebbia e la neve. Essenziale per crescere tra risate, segreti, silenzi e gesti d’affetto. Quest’ultimo testo, lieve e ironico, descrive in modo sorridente e con termini riferiti al mondo della corsa l’uscita di scuola di un bambino. Il primo della classe…a scappare a casa finite le lezioni. Quando suona la campana il mio banco è come un blocco all’inizio della pista e io scatto. Mi daranno la medaglia Sono sempre il primo io a uscire dalla scuola (Quando suona la campana) A temi quotidiani si aggiungono inoltre in molti testi riflessioni e interrogativi sulla realtà e la vita, e osservazioni sul mondo che in molti casi rispecchiano metaforicamente l’esperienza del bambino. Riflessioni d’infanzia Quand’ero piccola io so che piangevo Ogni volta che il sole era al tramonto Non volevo lasciarlo andar via non ero sicura che sarebbe tornato Così piangevo, per farlo restare Con la mano sulla porta del mondo sul bordo del monte sull’orlo del mare lui mi guardava e spariva. Ma che sarebbe tornato lui lo sapeva. Per me ci sono voluti mille tramonti mille e poi ancora uno, due, forse più di sei Il cielo io credo sia grande Sta sopra le case e ne avanza Sui monti e ne avanza Fin dove c’è il mare E ancora più in là Quando poi ha l’azzurro dell’occhio del mio cane e quando prende la notte e la butta sul mondo allora io penso che è grande davvero e che si mette la luna e le stelle per non spaventare i bambini e fare d’argento le strade alle lumache (Il cielo io credo sia grande) (Quando ero piccola io so che) Riprendendo il tema del cielo sopra le case che dà il titolo all’intera raccolta Quarenghi insegue in nel primo testo i pensieri e le meditazioni di un bambino di fronte all’immensità 5 © copywright raccontareancora.org della volta celeste. Cielo “grande” per le sue dimensioni ma anche perché ricco di umanità e attenzione per le piccole creature, tanto da illuminare la notte con la luna e le stelle perché sulla terra i bambini non abbiano paura del buio. Nell’altro testo la bambina protagonista riflette su un’esperienza passata, dolorosa ma superata gradualmente nel tempo, quella del distacco. Il tramonto del sole diventa metafora del distacco del bambino dai propri affetti, della paura dell’abbandono e della solitudine, dell’ansia e del dolore che generano le separazioni, grandi o piccole che siano. L’adulto, come il sole, sa “che sarebbe tornato” mentre per il bambino ciò non è scontato e piangendo cerca di “non lasciarlo andare via”, imparando lentamente ad accettare le partenze e ad aspettare fiduciosamente i ritorni. Nei suoi versi Quarenghi riesce a sposare lo sguardo dei suoi bambini sul mondo grazie ad una sensibilità d’infanzia, da lei custodita nel corso degli anni, che le permette di immedesimarsi nel sentire di bambini e animali e di gioire della vita, della natura, del tempo. Le sue poesie, fondate su esperienze concrete, vogliono essere guida per le nuove generazioni, perché possano dare nome e senso alle proprie sensazioni e paure e crescano mantenendo nel tempo sogni e desideri. Al tempo stesso, le sue liriche si rivolgono anche ad un pubblico adulto, invitandolo a riscoprire, attraverso la freschezza dei versi, la speranza e la genuinità dell’età passata e la voglia di vivere l’esistenza nella sua interezza. 6