Addioa Bradlee il direttore del Watergate

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Addioa Bradlee il direttore del Watergate
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Addio a Bradlee
il direttore
del Watergate
GIANNI RIOTTA
A
veva una macchina da
scrivere mezzo scassata,
un computer rudimentale, indossava una camicia inglese a strisce Turnbull&Asser,
250 sterline l'una, la sua divisa.
Avevo visto per la prima volta
Benjamin Bradlee, nato nel 1921
e scomparso ieri l'altro, nel suo
ufficio di vetro al Post per un'intervista con il Corriere della Sera.
CONTINUAALLE PAGINE 28 E 29
Coll, due volte premio Pìffltzer
"Oggi nessuno ha il coraggio
difare inchieste come le sue"
INTERVISTAA PAGINA 29
B en ra ee
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il giorn alismo come gioia
E morto a 93 anni il mitico direttore del l47ashington Post
ai tempi dello scandalo Watergate che costrinse il presidente Nixon alle dimissioni
Considerava il suo il mestiere più romantico, ha cambiato la Storia americana
GIANNI RIOTTA
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Era il 1991 e si accingeva a
lasciare la direzione, assunta nel 1968. Di li a pochi giorni, quando abbandonerà la carica, la redazione intera indosserà camicie a
strisce per onorarlo. «Solo il Grande
Gatsby e Bradlee avevano quelle camicie, Gatsby per tormento, Ben
per allegria» si diceva in giro.
Me ne stavo dietro il vetro, dove
nei giorni del Watergate i due reporter in erba che Bradlee aveva lanciato, Carl Bernstein, figlio di due ebrei
comunisti perseguitati, e Bob Woodward, ex ufficiale di Marina laureato
nella snob Yale, lo scrutavano guardinghi: «Volevano capire a chi telefonavo, cosa avrei messo nel giornale»,
ricordava. A Hollywood il regista
Pakula sceglierà Robert Redford per
Woodward, Dustin Hoffman per Bernstein e Jason Robards per Bradlee
in Tutti gli uomini del Presidente: «Io
ero più bello di Jason, ma siamo diventati amici».
LA SUA LEZI ONE
«Nessun articolo contiene,
da solo, la Verità. Un reporter
cerca la verità, ma a tentoni»
Tre mogli, un padre aristocratico
di Boston rovinato dalla crisi del
1929, colpito dalla polio bambino, paralizzato e poi giocatore di baseball
grazie a una brutale fisioterapia, studente a Harvard («tradizione familiare, ero il Bradlee numero 52 dal
1795...»), d'improvviso il direttore mi
fece cenno di entrare sbracciandosi.
Mi sentii, e lo scrissi, come chi deve
invitare a ballare Carla Fracci.
Sbagliavo. Ben Bradlee mi abbracciò, mi presentò uno per uno gli
editor, ridendo tra parolacce pittoresche, «imparate in guerra, tre anni di naja, Marina, ma un italiano
non si scandalizza giusto?». Bradlee
ha cambiato la Storia americana,
non il giornalismo, la Storia della
Repubblica gloriosa nata nel 1776,
prima pubblicando i Pentagon Papers - carte segrete che smentivano
la Casa Bianca sul Vietnam, malgrado le pressioni del presidente -, poi
con l'inchiesta sul Watergate e sul
tentativo di coprire lo scandalo, che
portò alle dimissioni di Richard
Nixon nel 1974.
Affabile, Bradlee fingeva che il suo
mito e il mio taccuino da reporter
fossero gemelli: «Fai il corrispondente dall'estero, ti invidio, è il lavoro più
romantico, stavo a Parigi per
Newsweek, che c'è di più felice?».
L'avventura a Parigi culmina con una
telefonata a Phil Graham, editore del
Washington Post, per persuaderlo a
comprare Newsweek. L'affare va in
porto, Graham, per gratitudine, regala a Bradlee un pacchetto di azioni.
Ben Bradlee torna infine ricco, ma
non cambia stile. Quando Phil
Graham si suicida, per un disordine
psicologico, la moglie Katharine, giudicata ingenua, prende in mano il giornale. Si rivelerà di ferro, e metterà al
comando Bradlee, che minimizzava:
«Andava allo stesso liceo bene di New
York di mia moglie, Chapin, solidarietà tra compagne». Girando in redazione - «Io ti presento
le colleghe, vedi poi
tu se invitarle a un
drink» - Bradlee
mi spiegava allegro la sua filosofia.
«Il giornalismo per
Ben era gioia pura» dice commossa
Jill Abramson, ex direttrice del New
York Times. Mister Bradlee - come lo
chiamai per tutta la giornata malgrado il cameratesco ringhio «Call me
Ben!» - viveva da bohémien. A cena,
ricordano gli amici, «Ben ti dava un
gelato, apriva la bottiglia di whisky e
buon appetito!».
«Leggenda? Sono solo il collega anziano di un mestiere romantico. Pensa
solo ai lettori. Non scrivere per i giornalisti, per la prima pagina, per i pettegolezzi di grandi firme su chi tradisce la moglie. Nessun articolo contiene, da solo, la Verità. La verità arriva
da un faticoso, umile raccogliere informazioni in buona fede, cammino comune di cronisti e
lettori, garanzia democratica. Un reporter cerca la verità, ma a tentoni».
A tentoni: oggi
verità assolute appaiono dai talk-show, web, quotidiani
come comandamenti di Domineddio, e
i fatti che contraddicono le «verità» di
moda sembrano leggende urbane. Mister Bradlee, che nostalgia abbiamo
del suo mantra in camicia londinese:
«Ti svegli al mattino e giuri "Devo lavorare più di tutti". Vai a dormire e
giuri "Nessuno ha faticato sul pezzo
più di me". Non aver paura del potere,
ma neppure di dire "Scusatemi, non ho
capito bene". Io l'ho fatto quando abbiamo scoperto che gli scoop della Janet Cooke erano inventati. Restituimmo il Pulitzer e raccontammo i nostri
errori. Impara piuttosto a scrivere, diverti il lettore informandolo. Odio gli
articoli da sbadiglio. Fare il direttore è
invece facile, basta assumere chi è più
intelligente dite e scegliersi un editore
in gamba. Se l'editore è un fesso, neppure un ottimo direttore ce la fa».
Il Post doveva essere «leggero, informato, croccante, senza prendersi
sul serio come al New York Times, troppe crinoline e arie. Il lettore impara
sorridendo». Tornati nel suo studio,
notai tre vecchie foto di Nixon, capelli
scompigliati dal vento. «Sembra un attore gay prima di lasciare la scena,
no?» disse irriverente. «Ma non ce l'ho
con lui. Non siamo stati noi del Washington Post a rovinare Nixon. Nixon ha
rovinato Nixon».
Amico di John Kennedy - «Un cronista amico della Casa Bianca scandalizzava i parrucconi? Chissenefrega, pensavo» - 23 premi Pulitzer in 25 anni,
Bradlee si velava di malinconia ricordando l'assassinio del presidente: «22
novembre 1963, la vita cambiò per
sempre, nel mezzo di una bella giornata, alla fine di una buona settimana, in
un anno meraviglioso di quello che
sembrava il decennio delle speranze
straordinarie».
A good life, una buona vita, si chiama l'autobiografia di Ben Bradlee,
«Mr. Bradlee», quando il giornalismo
era stile, idee, etica, irriverenza, una
risata, whisky ad affogare il gelato,
un'idea matta e romantica della vita,
lavorare più di tutti per essere più felice di tutti. Se avete una camicia a
strisce nell'armadio - e fede nel giornalismo in cuore - oggi è il giorno per
sfoggiarle.
www.riotta.it
Ben Bradlee con l'immancabile camicia a strisce in una foto di due anni fa
Figlio di due ebrei comunisti,
autore nel '72 con Woodward
dell'inchiesta che portò
alle dimissioni di Nixon
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Dopo il suicidio del marito Phil editore
del Washington Post, prese in mano le
redini del giornale
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Ex ufficiale di Marina laureato a
Yale con Bernstein vinse il Pulitzer
per l'inchiesta sul Watergate
Nato nel 1921, ha diretto
il Washington Post
per 23 anni, dal 1968 al 1991