Presentazione standard di PowerPoint
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Vento di primavera (La rafle) Francia, Germania 2010, 115' Genere: Drammatico, Storico Regia di: Rose Bosch Cast principale: Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh, Raphaëlle Agogué, Hugo Leverdez Tematiche: Storia europea, persecuzione razziale, olocausto Target: da 11 anni http://www.youtube.com/watch?v= 94BeG3y-J-w C’è una frase emblematica nel film, pronunciata con disprezzo da Adolf Hitler. Le parole non saranno le stesse, ma il senso è quello: “Di mediterranei come Mussolini o Franco non ci si può fidare, a differenza dei francesi”. L’elogio è per aver ottemperato alla richiesta nazista di mandare 50mila ebrei francesi e apolidi verso i campi di sterminio. In un giorno, il 17 luglio del 1942, e senza bisogno dei tedeschi, i collaborazionisti del Maresciallo Pétain ne ammassarono 25mila (tra cui 5000 bambini) nel Velodromo coperto di Parigi, in condizioni disumane, per poi deportarli in campi di transito nel sud della Francia e alla fine ad Auschwitz e Dachau. Alla fine della guerra ne tornarono 25, solo adulti. Interpretato con vigore da Mélanie Laurent (Il concerto) e Jean Reno, nei panni di un'infermiera volontaria e un medico ebreo prigioniero, oltre a un gruppo di bambini appassionati, Vento di primavera (dal nome dell'operazione, ma forse sarebbe stato più adatto l'originale La rafle, “la retata” in lingua originale) è un film nel quale i fatti narrati, anche i più atroci, sono accaduti veramente, e ancora ci interrogano. Blowin’ in the wind di Bob Dylan Album: The Freewheelin' Bob Dylan Anno: 1963 Casa discografica: Columbia http://www.youtube.com/watch?v=bex a7mwIyRA “Quante strade deve percorrere un uomo/prima che possiate chiamarlo uomo?/E quanti mari deve sorvolare una bianca colomba/prima di dormire sulla sabbia?/E quante volte devono volare le palle di cannone/prima di venir proibite per sempre?... E quanti anni può esistere una montagna/prima di essere dilavata, fino al mare?/E quanti anni può esistere un popolo/prima di essere lasciato libero?/E quante volte può un uomo volgere il capo/e fingere di non vedere?... E quante volte un uomo deve guardare in alto/prima di vedere il cielo?/E quanti orecchi deve avere un uomo/prima di sentir piangere gli altri?/E quante morti ci vorranno/prima che capisca che troppa gente è morta?/La risposta, amico mio, soffia nel vento,/la risposta soffia nel vento.” «Tu dici che la risposta è nel vento, amico mio. È vero: ma non è un vento che spazza via le cose. Questo vento è il respiro e la vita dello Spirito Santo, la voce che ti chiama e ti dice: vieni!». (Karol Wojtyla) William Congdon, Pentecoste, 1962 C'è una poesia di Mario Luzi che è un vero e proprio capolavoro: è "Nella casa di N. compagna di infanzia", in "Primizie del deserto", opera pubblicata nel 1952. Il vento è un aspro vento di quaresima, geme dentro le crepe, sotto gli usci, sibila nelle stanze invase, e fugge; fuori lacera a brano a brano i nastri delle stelle filanti, se qualcuna impigliata nei fili fiotta e vibra, l'incalza, la rapisce nella briga. Io sono qui, persona in una stanza, uomo nel fondo di una casa, ascolto lo stridere che fa la fiamma, il cuore che accelera i suoi moti, siedo, attendo. Tu dove sei? sparita anche la traccia... Se guardo qui la furia e se più oltre l'erba, la povertà grigia dei monti. Perché è un capolavoro? Perché è divisa in due parti simmetriche di sette versi ciascuna e la prima, apparentemente solo paesistica, giustifica la seconda, della quale diventa una lunga analogia. È l'inizio di marzo e soffia il vento. Per le strade ci sono ancora le stelle filanti, rimasugli del trascorso carnevale e il vento le lacera con la sua forza quando queste si impigliano in qualcosa. C'è tutta una serie di parole e di verbi che prefigurano la seconda parte: aspro, geme, sibila, lacera. Quel senso doloroso che sottintendono esplode quando entra in scena il poeta, "né giovane né vecchio", quasi quarantenne, che si trova nella casa di una compagna d'infanzia della quale è ignoto il destino. Quella "briga" d'eco dantesca è una chiave che chiude la prima strofa e permette di aprire la seconda. "Briga" è la bufera infernale del V canto dell'Inferno, qui il vento forte che spazza le vie, ma anche il tormento del poeta che medita sulla precaria esistenza umana, su quella forza inesorabile che la governa. Dove sarà N.? Neppure una traccia di lei è rimasta in quella casa: resta soltanto la testimonianza della violenza della vita, la "furia" del tempo che scorre e che separa le vite, che cancella i ricordi e riempie di tristezza. Fuori il paesaggio è quello povero di sempre, modesto e ignaro del tormento di Luzi. A YVES COPPENS IL PRIMO UOMO? È NATO «RELIGIOSUS» Di Roberto Beretta Prima religiosus, dopo – solo dopo – sapiens. I «laici» si mettano pure seduti: l’uomo è nato con l’istinto del sacro e niente lo potrà cambiare, almeno fino al prossimo livello dell’evoluzione... Parola del francese Yves Coppens, 77 anni, uno dei maggiori paleoantropologi del mondo: lo scopritore di «Lucy», per dirlo in una parola, cioè lo scheletro dell’ominide più antico finora conosciuto. Oggi a Milano Coppens – di cui Jaca Book pubblica come strenna La preistoria dell’uomo, composito e illustrato cofanetto dedicato ai piccoli lettori – partecipa alla Cattolica al seminario internazionale «Il Vento, lo Spirito, il Fantasma», organizzato dall’Archivio «Julien Ries» per l’antropologia simbolica; titolo della sua relazione: «Non c’è uomo senza simbolo». Professor Coppens: è nato prima l’uomo o prima il simbolo? «Sono nati contemporaneamente. Non si può pensare che il simbolo sia arrivato dopo l’uomo; e d’altra parte l’uomo è fin da subito un essere simbolico». Ci spieghi allora com’è avvenuto. «Nell’evoluzione dell’uomo si riconoscono tre fasi successive. La prima, 70 milioni di anni or sono, avviene con la visione frontale (prima gli occhi erano laterali), che offre la profondità delle tre dimensioni e la percezione dei colori. Il secondo stadio – siamo a 10 milioni di anni fa – arriva con la posizione eretta, quando l’antenato dell’uomo innalza per la prima volta lo sguardo all’orizzonte e al cielo. La terza tappa si verifica circa 3 milioni di anni fa, in seguito a un violento cambiamento climatico che modifica radicalmente il volto della Terra nel senso di un ambiente molto più secco e con la scomparsa delle foreste a vantaggio di savane e steppe; per superare questa difficoltà materiale alla sopravvivenza, gli animali fanno crescere i denti (che servono a brucare meglio l’erba) mentre il cervello degli ominidi supera una soglia di complessità che lo porta a un livello quantitativo e qualitativo superiore. Il pre-umano si trasforma nell’umano». (continua…) (… segue) E il simbolo? «Viene di conseguenza. L’australopiteco Lucy usava le pietre per quello che erano; ma quando l’uomo – per vincere il cambiamento climatico – sviluppa la testa, prende due sassi e col secondo modifica la forma del primo. Nasce l’idea. C’è un progetto che riguarda il futuro. Ecco: il primo oggetto fabbricato dall’uomo è già un simbolo sacro. D’altronde, quando vedo i popoli nativi ed osservo che i loro gesti sono tutti rituali, non posso pensare che non sia successo lo stesso con l’uomo primitivo». Dunque la prima idea è nata insieme al senso del sacro? «Sì. La percezione della forma è già la comprensione di qualcosa di sacro». Lucy invece non poteva avere simboli, e dunque nemmeno un senso religioso... «No, non credo. Nel corso del tempo la modificazione di alcuni dati fisici ha permesso l’emergere dell’homo religiosus». Un’affermazione che ha notevoli corollari. Per esempio: il pensiero dev’essere per forza «sacro»? «Certo. Il cambiamento progressivo che ha permesso all’uomo di sviluppare delle idee, gli ha fornito anche la possibilità di percepire qualcosa d’altro: l’avvenire, il passato. Uno sguardo sull’infinito e insieme dentro di sé». I «laici» non ci resteranno bene... «Non credo che esista davvero una reale laicità se non come un’altra maniera di pensare il sacro. L’uomo è irrimediabilmente simbolico, almeno in questo stadio dell’evoluzione; e in questo non vedo differenza d’essenza tra il primo uomo e noi, se non nel progresso e nell’affinamento del pensiero». Azzardiamo un po’: è in quell’istante di passaggio tra l’ominide e l’uomo che si può collocare, in una prospettiva evoluzionista cristiana, l’istante della creazione? «Questo devono dirlo i teologi, non è il mio mestiere. Io mi limito a osservare i dati sul campo e a constatare il momento di passaggio di una soglia. Certo qualcosa in quel momento è successo: l’uomo non è stato più il pre-uomo che era prima. Non so se questo sia l’attimo della creazione, però una volta ricordo di aver sconcertato il cardinale Jean-Marie Lustiger, il defunto arcivescovo di Parigi, affermando: "Più le cose si spiegano in modo naturale, meglio è per il soprannaturale!"...». Oggi lei esaminerà dal punto di vista del paleoantropologo il simbolo del vento, dello spirito: un segno importantissimo in tutte le religioni. Che cosa dirà? «Il vento per l’uomo primitivo è come il cielo: un fenomeno che rappresenta qualcosa che proviene da un altro mondo. Inoltre parla, soffia, urla... È il segnale di una presenza. Fa paura ma è anche un compagno. In modi diversi, insomma, è una presenza insieme inquietante e confortante, una minaccia e una carezza. È l’inferno e il paradiso». Vi segnaliamo inoltre: In libreria: L. Giussani, Spirto Gentil - Un invito all'ascolto della grande musica guidati da, Bur Al cinema: Scialla di Francesco Bruni Nei negozi di musica: Davide Van de Sfroos, Best of (1999-2011) Caro studente o sconosciuto internauta, Giorni terribili per la nostra navigazione d’altura. Un forte e gelido vento ci ha investito portandoci fuori rotta. La sua forza era tale che il mare rapidamente si è trasformato in un inferno . Siamo riusciti a salvare in tempo le vele, governare la nave è stata un’impresa quasi impossibile, ha richiesto uno smisurato sforzo da parte di tutto l’equipaggio. Abbiamo dubitato più volte di aver salva la vita, ma il capitano, la sua forza di spirito, non ci ha abbandonato neanche per un istante. Dopo giorni di vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce ecco finalmente giungere inattesa un’ «aurae tenuis» ……………..................... Prof. Andrea Monda …………………………………….… Prof. Mario Sissa "È certo, come lo è sempre stato, che la vita è un dono di Dio immensamente prezioso e immensamente apprezzato, e chiunque può averne la prova puntando una pistola contro la tempia di un pessimista. Solo certi nostri contemporanei non vogliono che gli si punti contro nessuno problema ed evitano le semplici domande quasi fossero pistolettate". (G.K. Chesterton, La mia fede)