premio dioscuri - Lega Navale Italiana

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premio dioscuri - Lega Navale Italiana
LEGA NAVALE ITALIANA
Sezione di Agrigento e Porto Empedocle
ATTI DEL
A cura di
Silvana Vella Bianchettino
N. 77
Agrigento 24-25 Ottobre 2008
Indice
Interventi introduttivi
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Prof.ssa Silvana Vella Bianchettino
pag.
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Avv. Marco Zambuto
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C/Ammiraglio Ferdinando Lavaggi
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On.le Michele Cimino
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Amm. Marcello De Donno
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Premio “Dioscuri” 2008
Amm.di Squadra Paolo La Rosa
Capo di Strato Maggiore della Marina Militare
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Relazioni – Prima sessione
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Prof. Guido Camarda
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(note introduttive)
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Franco Adaloro
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Ridha Mezghani
“
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Simona Masina
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Gruppo di dottorandi di ricerca Dip. DETA Università di
Palermo
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Gruppo di univesitari Facoltà di Economia Università di
Catania
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Relazioni seconda sessione
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Cap. di Vascello Vittorio Alessandro
note introduttive
pag.
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Elisa Calcaterra
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Antonio Mazzola
“
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Maria Antonietta Pancucci Papadopoulou
“
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Sebastiano Calvo
“
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Silvia Cocito
“
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Antonio D'Ayala
“
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Sebastiano Tusa
“
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Gabriella Cangelosi
“
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Lina Miccichè
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Gruppi di studio
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Liceo Classico “Ugo Foscolo – Canicattì
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ITIS “Galileo Ferraris -San Giovanni La Punta (CT)
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Istituto Tecnico Nauico “Gaetano Arezzo della Targia” - Siracusa
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Liceo Scientifico “G.B.Odierna” - Palma di Montehiaro
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Liceo Scientifico “M.L. King” - Favara
“
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Liceo Scientifico “Majorana” - Agrigento
“
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I.T.C. “Sciascia” Porto Empedocle
“
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Liceo Sperimentale “F.Crispi” - Ribera
“
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Liceo Socio Pedagogico “D'Ante Alighieri” - Gela
“
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Liceo Scientifico “A. Sciascia” - Canicattì
“
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I.P.S.C.T. “Nicolò Gallo” Agrigento
“
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I.P.I.A. “E. Fermi” - Agrigento
“
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I.T.C.G. “Giovanni XXIII” - Ribera
“
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I.T.C. “Foderà” - Agrigento
“
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Liceo Socio Psico Pedagogico “M.L. King” - Favara
“
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I.P.S.S.A.R “G. Ambrosini” - Favara
“
LEGA NAVALE ITALIANA
Sezione di Agrigento e Porto Empedocle
Prof.ssa Silvana Vella Bianchettino
Presidente L.N.I. Sezione di Agrigento e Porto
Empedocle
E’ un grande piacere ed un privilegio rivolgere, a nome della Lega Navale Italiana Sezione di
Agrigento e Porto Empedocle e mio personale, un saluto cordiale e grato per avere onorato con la loro
presenza il convegno a Sua Eminenza Mons. Francesco Montenegro Arcivescovo di Agrigento, a Sua
Eccelleza il Prefetto Umberto Postiglione, al Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio Paolo
La Rosa che oggi verrà insignito del premio Dioscuri Uomini del Mare, a tutte le autorità civili e
militari che hanno voluto essere presenti nonostante i molteplici impegni dei loro incarichi, agli illustri
relatori italiani e stranieri, al mondo universitario e della scuola, agli organi di informazione e a tutti i
presenti.
Un saluto e un ringraziamento particolare mi è oltremodo gradito rivolgere al Presidente nazionale
della Lega Navale Italiana Ammiraglio Marcello De Donno che ha sempre incoraggiato e sostenuto le
nostre iniziative.
Il mio saluto che è carico di rispetto ed ammirazione, lo rivolgo a tutti in egual modo ed ugual misura,
perché i nostri compiti, le nostre vocazioni, le nostre competenze i nostri ruoli possono essere diversi,
ma sono tutti protesi in un egual impegno alla protezione e salvaguardia dell’ambiente marino.
Anche quest’anno per la XXVII edizione del convengo internazionale Mare e Territorio è stata scelta
una tematica di grande attualità “Vulnerabilità ed adattamento dell’ambiente marino ai cambiamenti
climatici”.
L’argomento, uno de più gravi e complessi problemi globali del nostro tempo, costituisce la linea
ispiratrice del simposio, che non si pone il traguardo ambizioso di dare una risposta, ma più
semplicemente vuole offrire l’occasione per una riflessione comune.
Siamo assolutamente convinti che è necessario uscire dall’isolamento, cercare il confronto, informare e
comunicare.
In campo ambientale il fine ultimo è sempre l’uomo, il suo comportamento, il suo futuro.
Tutto ciò può sembrare scontato, ma in realtà non lo é.
L’ambientalismo è stato visto per anni in modo ambivalente:
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da una parte la tutela dell’ambiente intesa come esaltazione, come se l’uomo con i suoi bisogni
fosse incompatibile con l’ambiente;
•
dall’altra parte l’ambiente non essendo di nessuno, veniva visto come un bene fruibile a cui
attingere senza limiti e condizioni per soddisfare i propri interessi.
L’attenzione oggi per la dimensione ambientale e la ricerca di un modello di sviluppo sostenibile per
gli equilibri del Pianeta, stanno acquisendo un spazio via via crescente.
E’ necessaria una presa di coscienza non solo per i decisori e gli esperti, ma per tutta la cittadinanza e
per i giovani in particolare.
Con il convegno” Mare e Territorio”, che è un momento di confronto, di analisi, di bilanci, un
momento in cui tutti coloro che hanno lavorato su questi temi si ritrovano insieme.
Verranno discussi, individuati ed esaminati anche in riferimento alle recenti normative comunitarie, i
problemi e le possibili soluzioni che assicurino un giusto equilibri tra esigenze di sviluppo,
salvaguardia del mare e delle coste, attività antropiche, nella piena consapevolezza che il capitale
ambientale, è solo in parte rinnovabile, e che il suo consumo implica un “debito ambientale” che
bisogna ripagare sotto forma di catastrofi, emergenze ed inesorabilmente con un peggioramento della
qualità della vita.
Poiché non intendo sottrarre tempo prezioso concludo dicendo che le due giornate convegnistiche
coerentemente con gli intenti e l’ attualità della tematica, si svolgeranno secondo un programma
dinamico, pragmatico e di dialettico confronto tra esperti di fama internazionale, vivacizzato da brevi
interventi, inerenti l’argomento, di studenti degli istituti superiori, universitari e dottorandi.
Alla conferenza, allora, l’auspicio che presterà grande attenzione alle problematiche ambientali, da cui
ne deriverà, ne sono certa, un impulso coerente e vigoroso a valorizzare quello che si identifica una
autentica ricchezza per il nostro Paese: il Mare.
COMUNE DI AGRIGENTO
Città della Valle dei Templi
Avv. Marco Zambuto
Sindaco di Agrigento
Cari giovani, illustri ospiti, signore e signori tutti,
a nome della città di Agrigento e personalmente, ho il piacere di porgervi il saluto più cordiale di
benvenuto.
Siamo veramente onorati di poter tornare ad accogliervi tra questa comunità che porta impresso nella
sua stessa plurimillenaria storia il senso dell’ospitalità. Questo territorio, come le stesse testimonianze
monumentali documentano, è stato sempre crocevia di incontro tra popoli diversi che, nei secoli,
hanno trovato l’opportunità di dialogare e di convivere. Ed il riferimento non va soltanto alle più note
popolazioni qui presenti durante il periodo greco o quello romano, di cui ammiriamo il genio artistico
nella collina dei templi, ma anche all’esperienza singolare di tolleranza tra arabi ed ebrei, sistematisi
nei quartieri più caratteristici del centro storico.
Questa non comune struttura congressuale accoglie, a partire da oggi, la ventisettesima edizione del
convegno internazionale “Mare e territorio” con l’ormai consueta connessa consegna del premio
“Dioscuri” agli “uomini del mare”.
Sì, perché quelli che operano sul mare sono, al di là delle diverse competenze e specializzazioni, degli
uomini, portatori, come tutti, di una preziosa dignità.
Oggi, nell’attuale società, presi da tante incombenze, correndo dietro a tante bandiere, bombardati da
tanti messaggi, rischiamo di perdere i valori essenziali che guidano la nostra esperienza umana.
Ebbene, dall’individuazione degli “uomini del mare” da premiare, penso che oggi arrivi questo
messaggio di centralità dell’uomo.
E lo dico, in particolare, a voi giovani che numerosi seguite i lavori di questo momento di studio che,
quest’anno, centra una delle emergenze con cui dovremo fare i conti nel prossimo futuro a proposito
del rapporto tra ambiente marino e mutamenti climatici.
Quando la scuola si apre anche all’approfondimento di tali tematiche, o direttamente o consentendo di
cogliere questa prestigiosa opportunità ancora una volta offerta dalla Lega Navale di Agrigento, vuol
dire che ancora possiamo sperare nella costruzione di una società che si sviluppa con il determinatane
apporto di giovani generazioni adeguatamente preparate.
E dal momento in cui qui parliamo di mare non posso esimermi da un’ultima considerazione: il “mare
nostrum”, questo lembo che ci unisce, non che ci separa, al continente africano, con in mezzo la bella
isola di Lampedusa, non può costituire un veicolo per subire invasioni o luogo dove si consumano
troppo spesso immani tragedie, ma occasione di vera solidarietà.
In questo senso le varie energie, pubbliche e di volontariato, impegnate per far fronte ad un’emergenza
che interpella tutti, trovano un qualificato momento di coordinamento nell’azione svolta dalla
Capitaneria di porto al cui Comandante va dato il merito per la sua diuturna ed intelligente opera.
Auguro allora proficui lavori, secondo il programma previsto, e torno ad auspicare una serena
permanenza in questa bella, seppur problematica, terra di Agrigento. Grazie per l’attenzione
accordatami.
REGIONE SICILIANA
On.le Michele Cimino
Assessore al Bilancio Regione
Siciliana
Ogni anno la Lega Navale Italiana ci dà l’opportunità di incontrarci e di discutere,
confrontandoci, su importanti temi riguardanti la natura ed in particolare l’ambiente marino.
Prima di tutto voglio porgere il mio saluto e quello della Regione Siciliana a tutte le autorità
civili e militari presenti, ai direttori scolastici ed ai docenti di tutti gli istituti, che arrivando
dalle diverse province della nostra regione, anno dopo anno con la loro presenza, danno lustro a
questo convegno internazionale Mare e Territorio oggi dal tema “Vulnerabilità ed adattamento
dell’ambiente marino ai cambiamenti climatici ”.
Un particolare saluto di “benvenuti nella nostra città di Agrigento”, voglio farlo a Sua
Eccellenza il Prefetto ed a tutti gli illustri relatori, italiani ed esteri.
Un caloroso ringraziamento va alla Presidente della Lega Navale Italiana Sezione di
Agrigento e Porto Empedocle prof.ssa Silvana Vella Bianchettino, per il cortese invito che
puntualmente mi riserva.
Essere qui, tra l’altro, mi da l’opportunità di apprezzare il lavoro che la L. N. I, Sezione
di Agrigento e Porto Empedocle, grazie al suo presidente, svolge per il bene della nostra città e
provincia, voglio brevemente ricordare il progetto per la riqualificazione della foce del fiume
Akragas, che ha coinvolto diversi bambini, il recupero e la salvaguardia di un prezioso bene
della regione Siciliana, quale l’edificio dell’ex Boccone del Povero.
Infatti, grazie alla L. N. I,. che ha investito risorse economiche proprie, questo bene è
stato salvato da sicura rovina, valorizzando quindi non solo l’edificio, ma tutto il tratto costiero
dove si trova.
La nostra Sicilia è una terra bellissima, ricca di diverse bellezze naturali ed artistiche,
per alcuni aspetti la possiamo definire complessa, difficile, ma nello stesso tempo ci rendiamo
conto che è preziosa ed amabile, in quanto ci fa sentire orgogliosi di essere Siciliani ed è per
questo che non la dobbiamo svendere tutta per le sole attività energetiche, ricordiamo Priolo, e
riflettiamo se si è intaccato l’ambiente oppure no.
Dunque il tema scelto oggi più che mai è attuale “Vulnerabilità ed adattamento
dell’ambiente marino ai cambiamenti climatici” perché si parla di realizzare il
rigassificatore a Porto Empedocle, come è noto i relativi processi industriali produttivi si
basano, tra l’altro, su elevati scambi termici.
Inoltre, nel corso dell’estate abbiamo subito i disagi creati dai pennelli di dispersione
del depuratore che, a causa della loro vetustà, disperdevano i liquami sotto costa.
•
Quindi più che mai oggi la regione viene chiamata ad adottare delle regole e delle
soluzioni, finalizzate all’esclusivo interesse del progresso sociale, regole di salvaguardia che
consentano di realizzare:
rigassificatore off-shore o in zone già impegnate da attività energetiche, senza quindi impattare
con nuove aree;
•
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dissalatori efficienti e di ultima generazione, in modo da contenere i costi di gestione e
soddisfare le esigenze del territorio;
sostituire completamente e mantenere efficienti i dispersori dei depuratori acque reflue.
Condivido e mi associo agli argomenti introdotti dall’Assessore provinciale Settimio
Cantone che riguardano il flusso dei migranti verso le nostre coste e le problematiche che ne
conseguono:
il problema dei barconi, che sempre di più si ammassano nel territorio del comune di
Lampedusa e lungo la nostre coste.
Approfittando della presenza del Prefetto, si potrebbe pensare di approfondire
l’argomento in altra sede, per sviluppare un progetto sperimentale che riguardi l’integrazione
dei migranti, istruendoli, tra l’altro, per il recupero degli stessi barconi e quindi limitare
l’inquinamento ambientale.
Come politico di questa regione, per far fronte alle soluzioni da adottare per la
salvaguardia dell’ambiente marino dai cambiamenti climatici, dico che si potrebbe pensare di
sviluppare i consorzi di ripopolamento ittico, come quelli già nati a Porto Empedocle e Catania,
puntando su di una fattiva collaborazione con la L.N.I,.sulla base dei risultati scientifici che
l’argomento impone.
LEGA NAVALE ITALIANA
PRESIDENZA NAZIONALE
Amm. Marcello De Donno
Presidente Nazionale L.N.I.
Autorità, gentili ospiti, giovani studenti che affollate questa sala,
a nome della Lega Navale tutta desidero esprimere un sentito ringraziamento per essere intervenuti
all’ormai tradizionale appuntamento annuale organizzato dalla Sezione di Agrigento della LNI per
approfondire e discutere un tema di grande attualità che riguarda l’ambiente marino e il territorio.
Colgo anche l’occasione per manifestare pubblicamente il mio vivo apprezzamento alla Sezione
agrigentina, nella persona del suo attuale Presidente, la Professoressa Vella Bianchettino, per
l’impegno e la tenacia con cui da ventisette anni ripropone all’attenzione di studiosi, esperti e da
ultimo studenti la necessità di riflettere sugli aspetti di degenerazione, rischio e possibile danno
irreparabile provocati dall’interazione tra le attività umane e le caratteristiche dell’ambiente naturale,
con particolare attenzione al mare.
Ritengo inoltre doveroso sottolineare che il notevole sforzo organizzativo che tale iniziativa comporta,
non ha goduto ultimamente di un adeguato e indispensabile sostegno materiale delle Istituzioni
nonostante che il Convegno, per il livello dei personaggi accademici ed istituzionali partecipanti e per
il largo coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori di alcune provincie siciliane, rappresenti
un prestigioso evento culturale sul territorio agrigentino e fornisca una valida opportunità di crescita
intellettuale e formativa per i molti giovani che vi partecipano attivamente. Maggiore onore quindi alla
Sezione di Agrigento della LNI che ha dato vita a questo incontro e continua fermamente a credere
nella sua validità nonostante le crescenti difficoltà e le molte limitazioni.
Il tema affrontato quest’anno è particolarmente stimolante ed attuale e sono certo che i numerosi e
prestigiosi studiosi che presenteranno i risultati del loro lavoro e cercheranno di proiettare in avanti
evoluzioni possibili e conseguenze da temere e combattere, arricchiranno l’uditorio di conoscenze ed
interessanti motivi di meditazione.
Altrettanto stimolanti e freschi saranno i contributi portati dagli studenti che mettendo insieme la
capacità critica di osservare la realtà ambientale che li circonda e la spontaneità priva di
condizionamenti nell’esprimere le loro sensazioni, integreranno gli approfondimenti scientifici con
immagini e suoni evocativi dello stato di salute dell’ambiente marino.
Infatti l’esperienza di questo Convegno è una forte testimonianza di impegno comune e condiviso tra
giovani sensibili e consapevoli dell’importanza dei fenomeni che condizionano i luoghi in cui vivono
ed adulti scienziati ed esperti che studiano tali fenomeni e cercano di indicare ogni possibile soluzione
per ridurre ed eliminare gli effetti negativi in grado di mettere a rischio la qualità della vita delle
generazioni future.
E’ una formula originale ed altamente efficace che realizza pienamente l’obiettivo statutario della
Lega Navale Italiana di diffondere la cultura del mare soprattutto tra i giovani.
Qui ad Agrigento gli studenti sono i protagonisti di una grande occasione di studio e di crescita
culturale e cominciano a cimentarsi per imparare ad essere i protagonisti di un ambiente naturale e di
una società responsabile, che garantiscano un futuro di benessere al loro progetto di vita.
PREMIO DIOSCURI
“UOMINI DEL MARE 2008”
All’Ammiraglio di Squadra Paolo La Rosa
Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana
Ammiraglio di Squadra, Capo di Stato Maggiore della Marina, che si è sempre prodigato al massimo
delle Sue brillantissime qualità a sostegno degli interessi della Nazione sul mare.
Fortemente motivato verso i problemi inerenti la diffusione della cultura marinara, si è dimostrato un
interlocutore ideale per competenza, sensibilità, disponibilità ed efficacia sostenendo con
autorevolezza ed illuminato equilibrio le iniziative ed esigenze prospettate dalla Lega Navale Italiana.
La sua attività di altissimo dirigente militare svolta in posizione di grande responsabilità nel Dicastero
della Difesa e nella Forza Armata di appartenenza, ha messo in risalto le Sue spiccate doti umane,
morali e professionali consentendogli di operare brillantemente per la promozione della sicurezza della
Nazione sul mare e di contribuire efficacemente alla valorizzazione ambientale, culturale e politica del
Mediterraneo.
Nell’attuale posizione di comando della Forza Armata, guida la Marina Militare con lucida e ampia
visione delle prospettive future, in un delicato e difficile processo di adeguamento alla situazione geopolitica ed economica del momento, avendo come riferimento professionale e culturale l’importanza
della conoscenza, della cura e del controllo dell’ambiente marino per il consolidamento della sicurezza
e lo sviluppo del benessere della nostra Nazione.
RELAZIONI
I SESSIONE
“ Vulnerabilità ed adattamento
dell'ambiente marino
ai cambiamenti climatici”
Presiede e coordina
Prof. Guido Camarda
Direttore Dipartimento di Diritto dell'Economia e dei Trasporti e dell'Ambiente Università di
Palermo
Università di Palermo
Prof. Guido Camarda
Direttore Dipartimento di Diritto dell'Economia e
dei Trasporti e dell'Ambiente Università di Palermo
Siamo giunti alla ventisettesima edizione dei convegni internazionali “Mare e territorio”. E’ un
traguardo che, per la continuità dell’impegno culturale e organizzativo, fa onore alla Lega Navale
Italiana ed in particolare alla sezione di Agrigento.
Anche gli studiosi hanno un …cuore!E’ per questo che –dopo aver avuto il privilegio del
coordinamento scientifico nell’intero arco di questi anni- non nascondo una punta di commozione nel
momento di cedere a più giovani e valorosi Colleghi di disciplina , all’interno del mio Dipartimento,
l’esercizio di quelle stesse funzioni sin’ora da me svolte, tutte le volte che ne saranno richiesti Tutto
ciò avviene in coincidenza con il “naturale” termine del mio servizio di ruolo nell’Università di
Palermo.
La presenza e l’intervento dei miei cinque allievi dottorandi, che presenteranno uno studio di sintesi
sugli aspetti giuridici dell’argomento del Convegno, costituisce anche simbolo di quel passaggio di
testimone che in questa, come in tante altre vicende di questo mondo, è segreto di vitalità e
d'ininterrotto divenire.
Tra poco, con l’abituale puntualità, anche gli atti di questa edizione verranno pubblicati. Il guardare i
tanti volumi allineati in un intero scaffale dà l’immagine di un pezzo di storia :storia di uomini, di
fatti, di idee.
L’argomento di questo convegno non pone in primo piano la materia e le angolazioni alle quali siamo
abituati noi giuristi. E’ un bene, per realizzare ancora ed effettivamente il carattere multidisciplinare
dei nostri Convegni e consentire a chi si occupa di norme giuridiche di ascoltare e riflettere. Le norme
sono pure enunciazioni (qualche volta, addirittura, produttive di effetti dannosi) se coloro che le creano
e le applicano non conoscono bene la realtà fenomenica attraverso la lettura sistematica degli esperti
nelle varie discipline di cui si compone la scienza della terra , spazi marini compresi.
Quanto allo specifico argomento del convegno, mi limito ad alcune osservazioni di carattere generale.
Non può negarsi che i cambiamenti climatici abbiano una concausa che è nell’ordine naturale delle
cose .Ma ciò che invece può attribuirsi alla “colpa” dell’uomo è la forte accelerazione del fenomeno
che impedisce alle specie viventi quel lento e progressivo adattamento ed il formarsi di nuovi equilibri
ambientali .Le difficoltà che, sul piano normativo, si incontrano trovano la radice principale
nell’egoismo degli Stati e dei singoli uomini. E di contro la materia richiederebbe un forte spirito di
solidarietà non soltanto in termini internazionali ma anche da parte della generazione presente rispetto
a quelle future.
In altre parole, è lungo il cammino per il radicamento, sul punto, di solidi principi etici prima che
giuridici universalmente condivisi e concretamente attuati : le recenti vicende relative ai tempi lunghi
che hanno preceduto l’adesione al protocollo di Kyoto da parte degli Stati ne sono una prova . Ed è
significativo il fatto che, a fronte della crisi economica di portata mondiale,uno dei primi rimedi
suggeriti da parte di alcuni è stato quello di introdurre moratorie o modifiche nei tempi (già di per sé
lunghi) di attuazione proprio di quelle norme internazionali ideate per combattere gli aspetti, per così
dire patologici,dei fenomeni di cambiamento climatico.
Va da sé che ai vari livelli pluriordinamentali più che su un apparato sanzionatorio- ovviamente
indispensabile- occorre puntare su misure di prevenzione e di incentivazione. Nell’ambito della
prevenzione includo quell’attività di capillare informazione circa le rilevanti conseguenze del
fenomeno oggetto di studio in questo convegno e sui rimedi che anche ciascuno di noi, nel vivere
quotidiano, può adottare. Il coinvolgimento dei giovani, oggi così numerosi in questa sala, si rivela
indispensabile in termini di approfondimento degli studi di settore e di impegno civile.
Marina Militare Italiana
Capo di Stato Maggiore della Marina Militare
Ammiraglio di Squadra Paolo La Rosa
Con Lei, Presidente Vella Bianchettino, saluto le Autorità civili e militari, il Presidente della Provincia
Regionale di Agrigento, il Presidente ed i Membri della Giuria, tutti gli organizzatori di questo evento
e tutti gli intervenuti.
Alla Lega Navale, al Presidente Nazionale, Ammiraglio De Donno, ed ai soci tutti porgo il saluto, con
la simpatia con cui noi, Marinai in uniforme, guardiamo a quanti condividono la stessa passione per il
mare.
Siamo loro grati per ciò che sono, per il senso di appartenenza alla stessa grande famiglia, che alimenta
i vincoli della tradizione del nostro popolo di navigatori. Siamo loro grati per ciò che fanno, portatori
di una sana e genuina identità marinara, artefici di una preziosa opera di raccordo con la pubblica
opinione, soprattutto coi giovani, fedeli alla finalità che i fondatori della Lega Navale si donarono, più
di cento anni fa a La Spezia, “per tenere desta .... un’agitazione a favore .... della Marina...”. Negli
anni, quel germoglio spezzino è cresciuto nel paese intero e continua a svilupparsi in tutti i settori, da
quelli più propriamente sportivi, a quelli culturali e scientifici, a quelli di impegno sociale e civile.
Saluto Agrigento e Porto Empedocle con i rispettivi Sindaci, che mi offrono la piacevole sensazione di
un ritorno alle mie origini in questa terra, anche se la vita mi ha portato su rotte spesso lontane.
Sicilia: terra nobile, di antica civiltà e di straordinaria bellezza, immersa nel mare, frontiera avanzata
dell’Italia e dell’Europa verso il Mediterraneo che manifesta intense espressioni della vita sul mare, un
legame inscindibile al quale, in ruoli e modi distinti, la Lega Navale e la Marina portano il proprio
contributo.
Qui, prima dell’arrivo del diritto romano, della filosofia contemplativa araba, del dinamismo
comportamentale normanno, dal mare è giunta la cultura greca e, con essa, l’adorazione dei Dioscuri,
Càstore e Polluce, figli di Zeus, che in questa terra di Akragas furono considerati divinità tutelari della
navigazione e dei naufraghi. Italiani, siciliani, marinai, siamo permeati di quella cultura e ne sentiamo
forte l’ispirazione.
Queste sensazioni accrescono il mio orgoglio nel ricevere questo prestigioso premio, in un quadro così
qualificato e sensibile nei confronti del mare e della Marina.
Sia pure immodestamente, sento di avere acquisito, nei miei lunghi trascorsi navali, i titoli di “uomo di
mare”. Espressione che sembra far prevalere la soggettività dell’uomo, con la sua specifica vocazione
al mare. E’ una condizione di molti, civili o militari. L’intitolazione del premio all’”Uomo del mare
2008” mi sembra altra cosa. Qualcosa di più. La soggettività si sposta sul mare, affermandone la
proprietà di questo uomo. E’ una condizione di pochi. Dunque un privilegio di cui mi sento ancor più
onorato.
II mare ho imparato ad amarlo, da giovanissimo, ne ho rafforzato il legame nella Scuola Navale
Morosini di Venezia e l’ho visto divenire centro della mia vita personale e professionale con l’ingresso
in Accademia Navale. È così iniziato il percorso che mi ha portato alla guida della Marina, Istituzione,
al servizio della comunità, sul mare e per il mare, che è qui premiata nella mia persona.
Questo riconoscimento alimenta la mia convinzione sull’importanza del mare e sulla necessità di
valorizzarlo e salvaguardarlo. Di qui il mio sforzo a sostenere tutte le iniziative per l’ambiente
marittimo, convinto della necessità di affrontarne i temi in tutta la loro ampiezza, con una particolare
attenzione alle questioni legate alla sua sicurezza.
II “mare nostrum”, pur rappresentando l’1% della superficie acquea del globo, vede il trasferimento
del 20% del traffico mercantile mondiale, generando un’economia che contribuisce per il 2,7% al
prodotto interno lordo nazionale.
In Italia, chi guarda al futuro deve guardare al mare, fonte di vita, di benessere, di progresso. II mare è
una grande risorsa, “linfa vitale dell’Europa”, con una definizione del Libro Blu dell’Unione Europea.
E’ “pontos”, ambiente naturale di comunicazione e collegamento tra popoli, civiltà e culture differenti.
Ma il mare, in virtù dell’assenza di confini e della libertà giuridica della navigazione, è anche teatro di
attività criminali, quali i traffici illeciti, il terrorismo e la pirateria. Di qui il ruolo della Marina per la
tutela della sicurezza marittima, a salvaguardia della stabilità e della pace, a sostegno alla politica
internazionale del Paese. Oltre che in tutti i principali teatri operativi la Marina esprime il proprio
impegno anche nel soccorso, nella tutela ambientale, nell’archeologia subacquea, nella ricerca
scientifica e, non ultimo, nel sociale. II problema marittimo, non dimentichiamolo, si risveglia anche
nel delicato impegno sulle rotte della disperazione degli immigrati.
Dalla somma delle molteplici e differenti problematiche connesse al mare scaturisce forte l’esigenza di
una cultura marittima, che va coltivata con iniziative importanti come questo Convegno. Esso
rappresenta uno strumento possente di penetrazione nella dirigenza del Paese, nell’opinione pubblica,
specie nei giovani qui numerosi, della consapevolezza dell’importanza del mare per un Paese a
prevalente connotazione marittima come il nostro. II richiamo alla specificità del collegamento del
mare al territorio sottolinea opportuna ed efficace amplificazione dell’ambiente marittimo alle coste, ai
porti, alle sistemazioni per la sicurezza della navigazione ed alle infrastrutture.
Intervenendo in piena trattazione del tema, tanto complesso quanto attuale, del clima, mi consentirete
un accenno ad una recente esperienza personale.
Alla fine del mese di maggio, su invito da parte del mio omologo norvegese, sono stato al Polo Nord, o
meglio nell’isola Spitzbergen, nell’arcipelago delle Svalbard, a latitudini inusitate per la nostra Marina,
tra i paralleli 74°N ed 81°N. Ho navigato su un’unità guardacoste, il pattugliatore artico “Nordkapp”,
esperienza straordinaria, anche per un marinaio.
II riscaldamento ambientale del pianeta sta provocando lo scioglimento dei ghiacci artici ed un vero e
proprio sconvolgimento della geopolitica dell’intero emisfero settentrionale. Per molti le previsioni
sono catastrofiche, per altri meno, comunque di grande portata. Ciò che più preoccupa è la repentina
accelerazione del fenomeno, che sembra accorciare drasticamente i tempi della possibile scomparsa
dei ghiacci, da alcuni paventata entro la metà del secolo. La problematica richiama l’attenzione della
comunità scientifica internazionale e di molteplici settori della società interessati dagli effetti
sull’ecosistema.
Non su questo, tuttavia, per quanto di enorme interesse, mi sono soffermato. Né sui possibili
sfruttamenti del potenziale energetico che giace sotto la calotta artica, un tesoro ancora inesplorato che
pure richiama interessi di immensa portata. Mi sono maggiormente interessato alla questione connessa
con la geografia dei traffici marittimi, che annette una straordinaria rilevanza strategica, con
l’estensione delle linee di comunicazione marittime all’Oceano Artico.
La rete dei flussi globali, che trova nel mare l’applicazione più ampia, con la regressione dei ghiacci
polari vede aprirsi, letteralmente, nuovi sterminati orizzonti. Tempi di percorrenza e costi di gestione
saranno sensibilmente ridotti, modificando le vie di comunicazione marittima tra il lontano est (Cina,
Giappone e Russia) e l’Europa e gli Stati Uniti. Già oggi il “Passaggio a nord-ovest”, fra l’Atlantico ed
il Pacifico, a nord del Canada e dell’Alaska, e quello “a nord-est”, a nord della costa siberiana, sono
una realtà. Ancora per tempi limitati, ma già facilmente ed ampiamente praticati. E’ di soli pochi giorni
fa l’intera circumnavigazione del polo da parte di un’unità navale.
Le valenze di tali cambiamenti sono di agevole comprensione. Ne sono anche evidenti i segni, con la
corsa all’appropriazione di diritti veri o presunti da parte di grandi e piccoli paesi, che si danno da fare
in vista di vantaggi che quelle latitudini non lasciavano presagire solo pochi anni addietro. In prima
linea si trovano le Marine dei Paesi subartici, con i problemi giurisdizionali sulle acque e sui fondali, il
diritto del mare, i problemi ambientali, le politiche degli insediamenti, gli equilibri sistemici, la
caratterizzazione tecnologica dei mezzi aeronavali. Insomma, il controllo delle rotte marittime artiche
costituisce un tema dominante la geo-strategia mondiale e le Svalbard ne rappresentano un punto
focale.
Non posso tralasciare di avere deposto un mazzo di fiori sul monumento, eretto nel luogo da dove partì
il Dirigibile Italia, nel giorno dell’ottantesimo anniversario della spedizione. Sul ghiaccio sono ancora
presenti i resti della spedizione, in particolare la torre di ferro di ancoraggio dei dirigibili.
A quelle latitudini altri navigatori hanno compiuto straordinarie imprese, fin delle grandi migrazioni
barbariche verso il ponente dell’oceano. Grandi navigatori che forse nulla ebbero da invidiare a quelli
dei nostri mari, se non la protezione di numi tutelari quali i Dioscuri e le straordinarie vestigia che i
nostri antenati eressero nella vallata dei templi a simbolo della marittimità mediterranea, di cui
andiamo ammirati ed orgogliosi.
Prof. Ridha Mezghani
Università di Tunisi
« Solidarité Internationale et changements climatiques »
La réalité du réchauffement de la planète présente les signes perceptibles du changement climatique
dans différents endroits du globe.
Cela a été confirmé par le quatrième rapport d'évaluation du Groupe Intergouvernemental sur
l’évolution du climat, (GIEC), ou « Climate change 2007 », publié en novembre 2007, et qui est le
dernier compte-rendu du travail des chercheurs de ce Groupe sur le réchauffement climatique, ses
causes, ses conséquences, et les actions à mener.
Par ailleurs, Les études scientifiques, et les rapports d’experts, s’accordent sur le fait que ce sont les
pays pauvres, et en particulier ceux d’Afrique, qui souffriront le plus des conséquences du changement
climatique. Les écosystèmes tropicaux s’adaptent moins facilement aux variations climatiques et
notamment celles de température que les écosystèmes tempérés. D’un autre côté, ces pays ne disposent
pas des capacités requises pour faire face aux impacts du changement climatique, et protéger leur
population. Les préoccupations du court terme, et notamment celles de la réduction de l’extrême
pauvreté, sont de nature à occulter la problématique du changement climatique, qui s’en trouve relégué
à un rang de non priorité.
*Source : Ministère de l’Environnement et du Développement Durable – Tunisie.
L’Afrique est le continent où le taux de pauvreté est parmi les plus élevés au monde. C’est aussi le
continent le plus faiblement industrialisé. La faible industrialisation, et le très bas niveau de
développement de la majorité des pays africains, font du continent la région du monde qui contribue le
moins aux émissions de gaz à effet de serre (4% seulement des émissions globales).
Le rapport de l’économiste britannique Nicolas STERN sur l’effet du changement climatique et du
changement global sur la planète, publié en octobre 2006, a prévu une hausse probable de 5 à 6° des
températures, qui entraînera d’ici 2100 une perte de 5 à 10% de la production mondiale et de 3 à 4 fois
plus de pays pauvres, très vulnérables.
Aussi, la Conférence de l’Union Africaine, tenue à Addis Abéba en janvier 2007, a-t-elle retenu le
changement climatique comme l’une des préoccupations prioritaires, et a lancé un appel de
coopération aux partenaires, pour appuyer les pays africains et les communautés économiques
régionales, afin qu’ils puissent intégrer de façon efficace la problématique du changement climatique
dans leurs plans de développement.
Pays africain, mais également et surtout méditerranéen, la Tunisie ne cesse de contribuer à l’effort
mondial de sensibilisation sur les enjeux du changement climat. Ainsi, elle a accueilli en novembre
2007 une conférence internationale sur les impacts des changements climatiques, et l'identification
d'une stratégie d'adaptation aux niveaux du continent africain et de la région méditerranéenne.
De nombreux pays africains, européens et asiatiques ont participé à cette conférence : Algérie, Maroc,
Libye, Egypte, Burkina Fasso, Cote d’Ivoire, Ghana, Mali, Mauritanie, Niger, Nigeria, Soudan, Congo,
Guinée, Mozambique, Cap Vert, Seychelles, Pays Bas, Italie, Turquie, Slovénie, France, Suède,
Finlande, Danemark, Belgique, Grèce, Portugal, ainsi que la Chine.
Ont également participé à cette conférence une multitude d’organisations internationales
et régionales opérant dans le domaine de l’Environnement et du développement,
notamment :
•
•
Le Programme des Nations Unies pour le développement (PNUD)
Le Programme des Nations Unies pour l’Environnement (PNUE)
•
L’organisation des nations Unies pour l’alimentation (FAO)
•
L’organisation Mondiale de la Santé (OMS)
•
Le Fonds pour l’Environnement Mondial (FEM)
•
Des catastrophes (ISDR)
•
Le Fonds International pour le Développement Agricole (FIDA)
•
Le Plan d’Action pour la méditerranée (PAM),
Ainsi que des Institutions Financières Internationales et régionales, dont, notamment :
•
La Banque Mondiale
•
La Banque Européenne d’Investissement (BEI)
•
La Banque Africaine de Développement
Les objectifs visés par la Conférence étaient les suivants :
•
Identifier des stratégies d'adaptation et de riposte aux changements climatiques pour les régions
de l'Afrique et de la Méditerranée.
•
Intégrer le nouveau « facteur de stress » lié aux impacts potentiels des changements
climatiques dans les stratégies de développement durable des pays en développement africains
et de la région de la méditerranée.
Dynamiser une action et une mobilisation internationales en faveur des pays en développement de
l'Afrique et de la Méditerranée pour faire face aux défis posés par les changements climatiques.
•
•
Renforcer la coopération entre les pays africains et les pays de la Méditerranée sur les
questions relevant des changements climatiques.
Amorcer une action concertée entre les pays africains et ceux de la région méditerranéenne à
même de renforcer leurs capacités de négociation, de défendre leurs intérêts communs et de
bénéficier au mieux des opportunités offerte par les mécanismes de financement prévus par la
convention sur les Changements Climatiques et le Protocole de Kyoto, notamment le Fonds
d’Adaptation et le Mécanisme de Développement Propre.
•
Contribuer à la sensibilisation des décideurs et de la population des pays africains et de ceux de
la Méditerranée sur les impacts potentiels des changements climatiques et sur la nécessité d'une
action efficace pour mettre en œuvre des stratégies d'adaptation et de riposte, à moyen et long
termes.
•
Contribuer à la préparation des négociations pour l’après 2012 qui seront engagées à
Copenhague lors de la 14ème Conférence des Parties.
La Conférence a été couronnée par l’adoption de "la Déclaration de Tunis pour une solidarité
internationale, visant la protection de l'Afrique et la région de la Méditerranée contre les effets
adverses du changement climatique". D’autre part, un plan d’action concret a été proposé pour la mise
en place de projets prioritaires d’adaptation pour les gouvernements, les entreprises et la société civile.
Les participants ont également formulé les recommandations suivantes :
•
Inviter les organisations internationales, les institutions financières et les pays développés à
promouvoir davantage la solidarité internationale en appuyant les programmes des pays
africains et méditerranéens pour faire face aux impacts du changement climatique.
•
Intégrer la Déclaration et le Plan d’Action de Tunis, dans les agendas des réunions
internationales et régionales. La Déclaration et le plan d’action de Tunis devraient constituer un
cadre permettant d’intégrer, de capitaliser et de promouvoir les programmes et projets visant
une meilleure adaptation des ressources naturelles et des activités économiques en Afrique et
en Méditerranée au changement climatique.
La déclaration et ce plan d’action ont été intégrés dans la Déclaration d’Almeria, à la réunion des
parties contractantes à la Convention de Barcelone, janvier 2008, et les pays méditerranéens ont
recommandé de considérer cette Déclaration comme une référence pour toutes initiatives visant la
prévention des changements climatiques dans la région méditerranéenne.
Ces deux documents ont été également programmés à la réunion des Parties Contractantes à la
Convention sur le Changement Climatique, à Bali, Indonésie, en décembre 2007, et à la réunion de la
.conférence des ministres africains de l’environnement, Johannesburg, Afrique du Sud, juillet 2008
En conclusion, il convient de rappeler que le changement climatique, étant un phénomène planétaire,
exige des actions concertées de la communauté internationale pour une stratégie de prévention et
d’adaptation.
Plus particulièrement, pour les pays africains et méditerranéens, un effort soutenu est nécessaire sur le
plan régional, tenant compte des spécificités et des écosystèmes de ces pays.
Un partenariat euro-africain structurel et durable devrait aider les pays de ces régions dans leurs
stratégies d’adaptation au phénomène de changement climatique.
Simona Masina
Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici e
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
"Un clima che cambia. Un oceano che si trasforma"
1. I cambiamenti climatici e l’IPCC
Nell’ultimo rapporto di valutazione (AR4) dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) si
legge “Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile come è ora evidente dalle osservazioni
dell’incremento delle temperature globali dell’aria e delle temperature degli oceani, dello
scioglimento diffuso di neve e ghiaccio e dell’innlzamanto globale del livello del mare” (Figura 1).
L’IPCC è stato istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organisation (WMO) e dallo United
Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire ai decisori politici una valutazione
scientifica della letteratura tecnico-scientifica e socio-economica disponibile in materia di cambiamenti
climatici,
impatti,
adattamento,
mitigazione.
Per
maggiori
informazioni:
http://www.ipcc.ch/about/index.htm
Il ruolo principale dell’IPCC è quello di valutare scientificamente l’informazione tecnico-scientifica e
socio-economica rilevante per comprendere il fenomeno del cambiamento climatico, i suoi possibili
impatti e in particolare i rischi per l’uomo ad essi associati, nonché le eventuali misure di risposta di
adattamento e mitigazione da mettere in atto.
Figura 1: Cambiamenti osservati in a) temperatura globale media alla superficie; (b) innalzamento
globale medio del livello dal mare da mareografi (blu) e da dati da satellite (blu) e (c) copertura nevosa
per l’emisfero Nord fra Marzo e Aprile. Tutti i cambiamenti sono relativi alle corrispondenti medie per
il periodo 1961-1990. Le curve rappresentano i valori medi decennali mentre i cerchi bianchi sono i
valori annuali. L’area ombreggiata è l’intervallo di incertezza ricavata da un’analisi dettagliata delle
incertezze conosciute (a e b) e dalle serie temporali (c) (Fonte: IPCC 2007)
2. L’oceano come indicatore dei cambiamenti climatici
Esistono differenze fondamentale tra il concetto di “tempo” e quello di “clima”. Il tempo
meteorologico è lo stato dell’atmosfera in un dato istante di tempo e in un certo luogo. Il clima invece
è la condizione media (temperatura, umidità, vento, ecc.) di una certa zona geografica considerando un
arco di tempo relativamente lungo (almeno 20-30 anni). Il cambiamento climatico è quindi una
variazione significativa sia dello “stato medio” che della “variabilità” del clima che persiste per un
periodo di almeno alcuni decenni.
Gli oceani giocano un ruolo importante sulla variabilità climatica a lunga scala temporale grazie alla
loro capacità di accumulare e trasportare calore. Data la loro notevole capacità termica e la loro massa,
gli oceani hanno infatti la capacità di accumulare grandi quantità di calore e di mantenerle al loro
interno impedendone il contatto diretto con l’atmosfera per lunghi periodi di tempo.
Per quanto riguarda la temperatura superficiale del mare nei mari europei sta aumentando più
rapidamente che nell’oceano globale e la velocità con cui aumenta è maggiore nei mari del Nord
Europa e minore nel Mediterraneo (Fig.2). La velocità con cui è aumentata la temperatura superficiale
del mare nei mari europei durante gli ultimi 25 anni è stata circa 10 volte maggiore della velocità
media di incremento durante il XX secolo ed è la maggiore riscontrata nel secolo. Durante il periodo
1982-2006 l’aumento di temperatura è stato di 0.01 °C all’anno nell’oceano globale e di 0.03 °C
all’anno nel Mar Mediterraneo. I valori maggiori si sono riscontrati nel Mar Baltico (0.06°C all’anno).
Figura 2: Anomalie di temperature oceaniche superficiali per il periodo 1870-2006 per l’oceano
globale (linea rossa) e i mari europei. (Fonte: EEA 2008)
La variabilità spaziale della temperatura superficiale oceanica nell’area Euro-Mediterranea è mostrata
in Fig.3.Si noti che il trend positivo è più accentuato nel Mare del Nord, nel Mar Baltico, nell’area a
sud dello Stretto di Danimarca, nella parte orientale del Mar Mediterraneo e nel Mar Nero. I valori
massimi sono localizzati nel Nord Atlantico attorno ai 50°N con valori anche al di sopra di 0.060.07°C all’anno nel Mare del Nord e nel Mar Baltico. Ci sono invece trend negativi nel Mare di
Groenlandia che dipendono in parte anche dall’estensione della copertura del ghiaccio.
Figura 3: Distribuzione spaziale del trend di temperatura superficiale oceanica (1982-2006) per i mari
europei. (Fonte: EEA 2008)
Nonostante i recenti sviluppi tecnologici dei sistemi di osservazione degli oceani ed il perfezionamento
dei modelli numerici, la stima della variabilità oceanica e del contenuto di calore rimane comunque
difficile. In particolare la scarsità di dati sottosuperficiali e la distribuzione alquanto disomogenea delle
osservazioni hanno limitato la conoscenza della variabilità dinamica e termica degli oceani. Solo
recentemente le tecniche di assimilazione di dati sono state riconosciute come lo strumento più adatto
per fornire serie temporali delle proprietà dell’oceano. Le analisi oceaniche sono il prodotto di tecniche
di assimilazione che combinano in modo ottimale le osservazioni e i vincoli fisici rappresentati da un
modello di circolazione generale.
La Figura 4 mostra la serie temporale dal 1964 al 2001 (curva blu) delle anomalie mensili del calore
contenuto nei 300 metri più superficiali e mediate sull’oceano globale. La serie temporale corrisponde
al risultato prodotto da un modello oceanico globale usato in combinazione con un metodo di
assimilazione di dati oceanici in grado di utilizzare più tipi di osservazioni oceaniche. In questo
particolare esempio sono stati assimilati profili verticali osservati sia di temperatura che di salinità
(Bellucci et al., 2007)
I risultati mostrano un trend di riscaldamento dei primi 300 metri dell’oceano globale durante il
periodo in considerazione (linea rossa). Il riscaldamento stimato dal trend lineare compreso tra il 1964
e il 2001 è di 0.12°C.
Figura 4. Andamento temporale delle anomalie di temperatura (in gradi Celsius) rispetto alla media
climatologica integrate sui 300 m più superficiali dell’oceano e mediate su tutto il globo. Questi
risultati sono stati ottenuti da un sistema globale di assimilazione di dati oceanici (Bellucci et al.,
2007).
Per quanto riguarda il livello dell’altezza degli oceani abbiamo registrato negli ultimi 100 anni un
aumento di 1.7 mm all’anno per quanto riguarda la media su tutti gli oceani. Risultati recenti,
prevalentemente da misure satellitari, indicano un’accelerazione di questo aumento durante gli ultimi
15 anni. Tale aumento ha raggiunto livelli di 3.1 mm all’anno. In Europa il tasso di variazione del
livello del mare và da -0.3 a 2.8 mm all’anno. Si deve sottolineare l’importanza di poter stimare gli
impatti dell’innalzamento del livello marino relativo alla linea costiera in quanto potrebbero aumentare
gli eventi di inondazione e di intrusione di acqua marina all’interno della costa in zone dedicate
all’agricoltura o all’allevamento di specie ittiche di acqua dolce. Nella maggior parte delle aree
costiere europee esistono infatti importanti ecosistemi naturali, settori economici produttivi e
importanti centri urbani. La causa più attendibile dell’aumento del livello del mare durante il XX
secolo è l’aumento del volume dell’acqua oceanica come conseguenza dell’aumento di temperatura (il
cosiddetto effetto sterico), anche se non sono trascurabili gli effetti di input di acqua dolce dovuti allo
scioglimento dei ghiacci e delle calotte . Le osservazioni satellitari indicano un’alta variabilità spaziale
del trend di variazione del livello del mare nei mari europei (Fig. 5). Per esempio si osservano trend
positivi nel Mediterraneo e in particolare nel settore Levantino mentre trend negativi caratterizzano la
parte settentrionale del Mar Ionio. Questa variazione locale può essere spiegata da cambiamenti nelle
strutture locali (giri) della circolazione (Demirov e Pinardi, 2002).
Dalle proiezioni dell’IPCC si stima che il livello del mare continuerà ad aumentare, e ad una velocità
ancora maggiore, durante XXI secolo. Le medie globali dell’aumento del livello del mare alla fine di
questo secolo e relative al periodo 1980-1999 per i sei scenari di proiezione utilizzati dall’IPCC vanno
da 0.18 a 0.59 m e cioè da 1.5 a 9.7 mm all’anno. Tuttavia la variabilità spaziale stimata da diversi
modelli numerici è significativamente diversa. L’impatto della risoluzione dei modelli sull’ampiezza e
sulla distribuzione geografica della variazione del livello del mare non è stata stimata in modo preciso
ma è stato riconosciuto che la risoluzione dei modelli utilizzati nel Quarto Rapporto di Valutazione
dell’IPCC è troppo bassa per poter fornire stime specifiche per molte regioni geografiche quali ad
esempio il Mar Mediterraneo.
Figura 5: Trend di variazione del livello del mare in Europa nel periodo 1992-2007 da dati satellitari
(Fonte: EEA 2008)
3. Cos’è il Centro Euro-Mediterraneo pei i Cambiamenti Climatici?
Il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) (http://www.cmcc.it) è una
struttura di ricerca scientifica che si prefigge di approfondire le conoscenze nel campo della variabilità
climatica, le sue cause e le sue conseguenze, attraverso lo sviluppo di simulazioni numeriche con
modelli globali del Sistema Terra e con modelli regionali.
Il CMCC è un consorzio di cinque istituti di ricerca che riunisce matematici, fisici, climatologi,
economisti, agronomi ed informatici perché la valutazione corretta degli scenari numerici e della loro
affidabilità necessita di un dialogo basato sull’integrazione delle conoscenze e delle competenze.
Il CMCC sviluppa, verifica e utilizza modelli numerici documentati per le simulazioni climatiche. In
particolare il CMCC:
 sviluppa un modello globale di simulazione del sistema terra, che includa l’atmosfera,
l’oceano, i ghiacci marini, la biosfera terrestre e gli ecosistemi marini, accoppiato ad un
modello ad alta risoluzione del Mar Mediterraneo, per essere utilizzato per la
produzione di scenari del clima futuro e per la simulazione della variabilità del clima a
scale interannuali e decadali;
 esegue simulazioni climatiche di lungo periodo (ad esempio scenari dell’IPCC);
 sviluppa ed esegue suite di modelli di simulazione dell’impatto socioeconomico dei
cambiamenti climatici.
Il CMCC userà direttamente tutte queste simulazioni per effettuare studi dell’impatto dei cambiamenti
climatici sull’economia, sull’agricoltura, sugli ecosistemi marini e terrestri e sulle zone costiere, ecc
(vedi Fig. 6). Le simulazioni saranno a disposizione della comunità scientifica per ulteriori studi di
impatto e di studio dei cambiamenti climatici. Nuove risorse informatiche saranno messe a
disposizione della comunità scientifica. Una particolare attenzione sarà dedicata a promuovere e
divulgare le attività e i risultati del CMCC.
Modelli Numerici
Foreste
Ricerca Climatica
Sviluppo Software
Simulazioni
Numeriche
Energia e Economia
Agricoltura
Il Mar Mediterraneo
Le Coste
Salute
Figura 6: La struttura delle principali attività del CMCC
Le simulazioni del clima del 20° secolo e le proiezioni climatiche future basate sugli scenari IPCC
prodotte col modello del CMCC denominato SINTEX-G (Gualdi et al., 2008) sono state utilizzate per
studiare la variabilita’ climatica dell’Euro-Mediterraneo e gli effetti che l’aumento di concentrazione
dei gas serra atmosferici potrebbero avere. Le principali caratteristiche del ciclo stagionale nell’EuroMediterraneo simulate dal modello per il periodo 1961-1990 sono state confrontate con i risultati
osservati per lo stesso periodo. I risultati indicano che il modello riproduce bene le caratteristiche
dominanti del ciclo stagionale nella regione Euro-Mediterraneo. Quindi diventa di interesse rilevante
vedere cosa il modello prevede come cambiamento del clima per questa regione secondo le proiezioni
ottenute dagli scenari di emissione dei gas serra prodotti dall’IPCC.
L’IPCC ha preso in considerazione sei scenari. Il più pessimista (A2) ipotizza che nel 2100 ci sarà
nell’atmosfera terrestre una quantità di anidride carbonica (CO2), pari a 800 parti per milione (ppm); lo
scenario A1B parte invece dal presupposto che nel 2100 ci sarà una quantità inferiore di anidride
carbonica nell’atmosfera (pari a 700 ppm) grazie all’effetto di moderate politiche di taglio delle
emissioni di gas serra. Al CMCC i due scenari sono stati adattati al bacino del Mediterraneo, con un
dettaglio abbastanza alto (dell’ordine di 100 Km) e i risultati, in accordo con altre analisi simili
eseguite sulle simulazioni prodotte con altri modelli climatici, indicano un considerevole
riscaldamento della regione Mediterranea durante l’estate e una sostanziale riduzione delle
precipitazioni su questa area. Vi sono però sostanziali differente tra le proiezioni ottenute con i due
diversi scenari. Con lo scenario A2 durante la stagione invernale il riscaldamento risulta essere
particolarmente marcato sull’Europa nord-orientale mentre per la stagione estiva il riscaldamento
interessa maggiormente le regioni meridionali. In particolare, in estate, i massimi di aumento della
temperatura superficiale (oltre 6°C) si trovano sulla penisola iberica, sud della Francia, Italia e penisola
Balcanica. Nello scenario più ottimistico A1B il modello del CMCC prevede un aumento di
temperatura nell’area del Mediterraneo di circa 2°C inferiore rispetto allo scenario A2.
Tra i principali obiettivi del CMCC vi è quello di studiare il ruolo dell’oceano nel sistema climatico
globale e stimare gli impatti dei cambiamenti climatici sullo stato fisico dell’oceano e sul suo
ecosistema. L’oceano gioca infatti un ruolo importante sulle variazioni climatiche a lunga scala
temporale tramite processi di accumulo e trasporto di calore, tramite la circolazione a larga scala, la
distribuzione della biomassa e lo scambio di CO2 all’interfaccia con l’atmosfera. Gli strumenti a
disposizione del CMCC sono modelli numerici di diversa complessità e a diversa risoluzione e sistemi
di assimilazione di dati oceanografici. In sintesi l’attività di ricerca in questo contesto è dedicata allo
sviluppo degli aspetti fisici e biogeochimici della componente oceanica di un modello climatico del
Sistema Terra.
In particolare si sta implementando un modello oceanico globale ad una risoluzione di 0.25 gradi (circa
25 Km) anche per poter valutare i cambiamenti di livello del mare e la loro variabilità geografica
durante i prossimi decenni con una accuratezza maggiore rispetto a quella ora disponibile dai risultati
dell’ultimo rapporto di valutazione dell’IPCC.
4. Cos’è CIRCE?
I cambiamenti climatici risultano essere tra i dieci argomenti favoriti dalla maggioranza dei media .
Tuttavia in genere si discutono solo alcuni aspetti: perché, come e cosa accadrà in futuro. Ma cosa
accadrebbe se iniziassimo a considerare il cambiamento climatico in un modo più complesso e
multidisciplinare? Quali sarebbero i risultati se considerassimo i cambiamenti climatici come il
risultato di dinamiche sociali, affari economici, effetti sulla salute umana, impatti sull’agricoltura e le
foreste e molti altri criteri tramite l’aiuto di nuovi metodi scientifici?
Il Progetto Integrato CIRCE (Climate Change and Impact Research: the Mediterranean Environment)
(http://www.circeproject.eu/) finanziato dal Sesto Programma Quadro della Commissione Europea si
pone proprio questo obiettivo, focalizzandosi sugli impatti e le possibili azioni di adattamento dei
cambiamenti climatici nella regione Mediterranea che includa Europa, Nord Africa e Medio Oriente.
Al progetto partecipano 61 istituti di ricerca che rappresentano 17 paesi e 3 continenti che si affacciano
sull’area Mediterranea.
Uno degli obiettivi di CIRCE è lo sviluppo di un modello globale accoppiato oceano-atmosferaghiaccio marino a risoluzione maggiore (Fig.7) rispetto a quello attualmente disponibile e che includa
un modello interattivo del Mar Mediterraneo ad alta risoluzione in grado di rappresentare la dinamica
di questo bacino. Il modello, denominato CMCC-MED, e’ finalizzato alla produzione di scenari
globali per l’evoluzione del clima del 21mo secolo, aventi lo scopo di migliorare la conoscenza
dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’area del Mediterraneo e le connessioni tra il sistema
globale ed il bacino del Mediterraneo. Tali simulazioni verranno impiegate per fornire le condizioni al
contorno per successivi esperimenti a scala regionale, focalizzati sull’area del Mediterraneo e da
effettuarsi con appositi modelli ad area limitata, per studi di impatto.
Figura 7: Rappresentazione della regione Euro-Mediterranea attraverso l’utilizzo di griglie a diversa
risoluzione: circa 300 Km (pannello di sinistra), circa 120Km (pannello centrale), circa 60 Km
(pannello di destra).
CIRCE esamina i cambiamenti climatici nel bacino del Mediterraneo non solo in relazione a dati
scientifici ma anche agli impatti sociali ed economici. Tra i principali obiettivi di CIRCE ricordiamo in
particolare la previsione e la quantificazione degli impatti dei cambiamenti climatici e le loro
conseguenze sulla società umana e sugli ecosistemi del Mediterraneo. Sono stati identificati sei settori
cruciali nell’area Mediterranea: la salute, il turismo, la richiesta energetica, le risorse idriche,
l’agricoltura e le migrazioni umane.
Per testare la sua abilità di studiare gli impatti e valutare strategie di mitigazione e adattamento,
CIRCE ha previsto una serie di Casi Studio coinvolgendo istituzioni locali, esperti e cittadini (Fig.8).
Gli esseri umani hanno sempre adottato strategie per affrontare gli impatti del clima quali:
Ø diversificazione delle colture
Ø irrigazione
Ø gestione delle risorse idriche
Tuttavia i cambiamenti climatici portano con sé nuovi rischi come:
Ø siccità
Ø ondate di calore
Ø uragani
Ø riduzione della produttività dei raccolti
Il prodotto finale di CIRCE sarà il report RACCM – Regional Assessment of Climate Change in the
Mediterranean, preparato insieme agli stakeholders, come strumento di supporto alle politiche di
adattamento e mitigazione nella regione del Mediterraneo.
Caso urbano: Alessandria (Egitto)
La città è molto vulnerabile all’innalzamento del livello del mare vista la sua
locazione nella regione del delta del Nilo. I rischi sulla salute possono
aumentare in conseguenza di episodi severi di scirocco durante la stagione
Caso costiero: Il Golfo di Valencia (Spagna)
Il golfo è soggetto alla regressione delle coste dovuto ad
una diminuzione di input di sedimenti fluviali. La
pressione su questa regione dovuta all’agricoltura,
all’idrocoltura e al turismo è molto alta.
Caso rurale: La regione Toscana (Italia)
Durante gli ultimi 15 anni il turismo rurale è aumentato
esponenzialmente in Toscana. Gli impatti previsti sulla
temperatura e la precipitazione potranno avere effetti
negativi su produzioni agricole tipiche quali il vino e
l’olio.
Figura 8 I re casi studio analizzati nell’ambito del progetto CIRCE.
Bibliografia
Bellucci A., Masina S., Di Pietro P., Navarra A (2007). Using temperature-salinity relations in a global
ocean implementation of a multivariate data assimilation scheme. Monthly Weather Review,
135, pp. 3785-3807.
Demirov E., and N. Pinardi, 2002, Simulation of the Mediterranean Sea circulation from 1979 to 1993.
Part I: The interannual variability, J. Mar. Syst., 33-34 (C): 23-50
EEA, 2008. Impacts of Europe's changing climate - 2008 indicator-based assessment, EEA Report No
4/2008 and JRC Reference Report No JRC47756, European Environment Agency.
http://reports.eea.europa.eu/eea_report_2008_4/en
Gualdi S., E. Scoccimarro and A. Navarra, 2008: Changes in Tropical Cyclone Activity due to Global
Warming: Results from a High-Resolution Coupled General Circulation Model.
J. Climate, 21, 5204–5228 doi: 10.1175/2008JCLI1921.1
IPCC, 2007: Summary for Policymakers. In: Climate Change 2007: The Physical Science Basis.
Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on
Climate Change [Solomon, S., D. Qin, M. Manning, Z. Chen, M. Marquis, K.B. Averyt, M.Tignor and
H.L. Miller (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY,
USA." http://www.ipcc.ch/pdf/reports-nonUN-translations/italian/ar4-wg1-spm.pdf
UNIVERSITA' DI PALERMO
di
Maria
Paola
La
Spina,
Rosalia
Castiglia,
Franco
M.Compagno,Michele Pivetti, Italo Bufardeci*
Considerazioni giuridiche sui cambiamenti climatici con particolare riferimento all’ambiente
marino
SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La politica marittima dell’Unione Europea, con particolare
riferimento agli effetti prodotti dal cambiamento climatico sull’ambiente marino – 3. La
normativa internazionale in tema di inquinamento da emissioni di navi – 4. Brevi cenni
sull’apparato normativo sanzionatorio relativo alla tutela dell’ambiente marino– 5.
Considerazioni conclusive
1. Introduzione[1]
Negli ultimi anni è stato sotto gli occhi di tutti il cambiamento climatico che ha subito il pianeta. Il
clima è cambiato e sta continuando a cambiare, è un dato oggettivo e sempre più evidente. Meno
pacifica e più discussa è stata, invece, la questione attinente all’origine dei cambiamenti climatici, vale
a dire se essi dipendano dall’uomo o da fattori naturali.
Sul punto si è pronunciata più volte la comunità scientifica in materia, in primo luogo, l’IPCC
(Intergovernmental Panel on Climate Change, organismo autonomo e indipendente delle Nazioni
Unite creato per studiare i cambiamenti climatici), il quale se in un primo momento sosteneva che era
“riscontrabile una sensibile influenza dell’attività umana sul clima” recentemente ha, invece, affermato
che “la maggior parte del surriscaldamento atmosferico verificatosi negli ultimi cinquant’anni deve
essere attribuito all’attività dell’uomo”. Quindi, dopo un primo approccio più cautelativo, oggi gli
studiosi sembrano sempre più propendere sulla notevole incidenza dell’attività umana sui cambiamenti
climatici.
Ancora controversa resta, invece, l’ulteriore e differente questione degli effetti che i cambiamenti
climatici producono sul pianeta: in altri termini ci si chiede se gli effetti prodotti dal cambiamento del
clima siano solo effetti negativi o è anche possibile riscontrare degli effetti positivi su scala globale; gli
studiosi, infatti, hanno evidenziato che è possibile riscontrare degli effetti positivi, in alcune parti della
Terra: ad esempio, è proprio grazie ad un cambiamento climatico di lungo periodo, derivato da cause
naturali, che potrebbe avere avuto origine la nascita dell’agricoltura e quindi della civilizzazione in
Medio Oriente.
Non è questa, tuttavia, la sede per esaminare scientificamente e tecnicamente il problema; con
la suesposta premessa si è voluto, invece, sottolineare l’importanza e la vastità di un fenomeno di scala
mondiale per il cui esame e soluzione è stato necessario un approfondimento e un confronto
internazionale tra i diversi paesi.
In questo scenario si è, quindi, arrivati nel 1992, nell’ambito della Conferenza Mondiale di Rio
de Janeiro, all’adozione della Convenzione quadro sul cambiamento climatico (Framework
Convention on Climate Change, comunemente intesa FCCC): il trattato internazionale ambientale che
ha raggiunto il maggior numero di adesioni. Dopo numerosi anni di negoziati si è addivenuti anche ad
un accordo attuativo: il Protocollo di Kyoto.
Il suddetto Protocollo, com'è noto, è stato sottoscritto a Kyoto nel 1997 ma è entrato in vigore solo il
16 febbraio 2005, dopo la ratifica dello stesso da parte della Russia.
Affinché il trattato entrasse in vigore, infatti, si richiedeva che venisse ratificato da non meno di 55
paesi firmatari e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni
inquinanti; come già accennato le suddette condizioni sono state raggiunte solo con la ratifica da parte
della Russia. Le ragioni per le quali da parte di quest’ultima e degli Stati Uniti (ancora ad oggi non
aderente) sono stati frapposti ostacoli al processo di ratifica devono essere rinvenute nei criteri adottati,
troppo gravosi per loro, di distribuzione dei costi per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento
del cambiamento climatico per il primo periodo di attuazione del Protocollo (2008-2012).
Il Protocollo prevede l’obbligo in capo ai Paesi industrializzati di ridurre le emissioni di elementi
inquinanti (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluocarburi ed
esafluoruro di zolfo) in misura non inferiore al 5%, rispetto alle emissioni registrate nel 1990, nel
periodo 2008-2012.
In particolare si evidenzia che l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di riduzione, nel medesimo arco
temporale, delle emissioni di elementi inquinanti pari l’8% da realizzarsi mediante un accordo di
ripartizione dell’obiettivo globale tra i Paesi membri (accordo di burden sharing).
In linea con questa decisione l’Italia ha stabilito che deve ridurre, entro il 2008-2012, le proprie
emissioni di gas serra del 6,5% rispetto al 1990.
Nell’ambito di questo quadro normativo si inserisce il problema dell’inquinamento atmosferico da navi
per il quale non si può non ricordare che l’Organizzazione marittima internazionale ha adottato nel
1997 un allegato (l’Allegato VI di cui infra) alla Convenzione Marpol 73/78, contenente norme per
ridurre l’inquinamento dell’aria causato dalle navi.
Nelle pagine che seguono si cercherà di approfondire il problema dei cambiamenti climatici in
relazione all’emissioni di gas da parte delle navi, in relazione alla normativa comunitaria vigente in
materia e con riferimento al sistema sanzionatorio previsto. Il fenomeno di cui si discute denota
un’emergenza globale, che si sta affrontando attraverso un sistema internazionale in piena attività e
con degli organismi istituiti appositamente, flessibili e rinnovabili a seconda dei risultati della
comunità scientifica.
2. La politica marittima dell’Unione Europea, con particolare riferimento agli effetti prodotti dal
cambiamento climatico sull’ambiente marino[2]
La relazione tra l’ambiente marino ed il clima è considerata un aspetto fondamentale della politica
climatica dell’UE[3], in quanto, come sottolineato dal Libro Verde[4], i mari e gli oceani svolgono un
ruolo fondamentale dal punto di vista climatico e meteorologico e sono nel contempo particolarmente
sensibili alle variazioni del clima. Infatti, mentre, da un lato, gli oceani fungono da regolatori climatici
(ciò può avvenire direttamente, attraverso il trasferimento di calore, o indirettamente, attraverso
l'assorbimento di CO2), il riscaldamento climatico, dall’altro, provoca gravi alterazioni sulla flora,
sulla fauna e sull’intera catena alimentare. In modo particolare, il cambiamento climatico comporta,
oltre ad importanti variazioni delle specie, anche cambiamenti per quanto riguarda l’abbondanza e la
distribuzione dell’ittiofauna marina. L'acidificazione degli oceani prodotta dal biossido di carbonio
(CO2), inoltre, potrebbe produrre, su scala mondiale, un deterioramento delle zone favorevoli allo
sviluppo delle barriere coralline, dei cambiamenti sensibili negli ecosistemi marini con conseguenti
ripercussioni sulla catena alimentare marina e una minore capacità degli oceani di assorbire biossido di
carbonio. Notevoli, infine, possono essere gli impatti sui sistemi di barriere coralline al largo delle
coste dei territori tropicali e subtropicali degli Stati membri.
Tra le possibili conseguenze future del cambiamento climatico, il Sesto programma di azione in
materia di ambiente (nel prevedere l'elaborazione di una strategia tematica per la protezione e la
conservazione dell'ambiente marino, finalizzata alla "promozione dell'uso sostenibile dei mari e della
conservazione degli ecosistemi marini"), menziona, anche, le variazioni che possono interessare la
forza e la capacità di trasporto delle correnti oceaniche, la velocità di formazione della massa d'acqua,
il livello del mare, l'intensità e la frequenza dei fenomeni meteorologici, le precipitazioni e la portata
dei corsi d'acqua, con ripercussioni a valle sugli ecosistemi e sulla pesca.
Da quanto detto risulta evidente che il cambiamento climatico, oltre ad essere uno dei principali fattori
di pressione[5] ed una delle maggiori sfide[6], costituisce anche una delle tante minacce[7] a cui è
esposto l’ambiente marino e che può dar luogo a modificazioni potenzialmente irreversibili o non
lineari degli ecosistemi marini con pesanti ripercussioni sul piano socioeconomico.
Dall’analisi della normativa comunitaria è emerso, altresì, che, considerata la crescente esposizione
dell’ambiente marino ai rischi derivanti dal cambiamento climatico e dalle sue conseguenze, l’Unione
Europea ha svolto, e continua a farlo, un ruolo di primo piano nell’adozione di misure volte ad
ostacolare tale fenomeno.
Con il passare degli anni è stato, infatti, affermato che, al fine di contrastare gli effetti del
cambiamento climatico, non può più essere applicato il principio di sussidiarietà, in quanto l’ambiente
marino, per sua natura transfrontaliero, non può essere definito dai confini geopolitici esistenti. Data
tale premessa, qualsiasi strategia unilaterale e non incentrata sulla cooperazione e su principi comuni è
inevitabilmente destinata al fallimento, in quanto gli Stati membri rivieraschi possono giungere a
conclusioni estremamente diverse per quanto riguarda gli approcci, le diagnosi e i programmi di
misure da realizzare e differenti, e talvolta addirittura contrastanti, possono essere le modalità e i tempi
di reazione di ciascun paese[8]. Di conseguenza, da più parti, è stato sottolineato che solo una politica
marittima integrata può rafforzare la capacità dell'Europa di far fronte al cambiamento climatico[9].
Per esempio per il Comitato delle regioni soltanto l’adozione di un approccio integrato può contribuire
a risolvere i problemi legati al cambiamento climatico[10], mentre per la Commissione il
consolidamento dell'approccio interdisciplinare alle scienze marine, elemento indispensabile di tale
politica, può aiutare a comprendere meglio l'interazione tra le attività marittime e di conseguenza
consentire di prevedere e attenuare nella misura del possibile gli effetti del cambiamento climatico[11].
Non bisogna, anche, dimenticare che lo sfruttamento sempre più intensivo di mari ed oceani da parte di
diversi settori (come il trasporto marittimo, la produzione energetica, il turismo e la pesca), unito al
cambiamento climatico, ha aumentato la pressione esercitata sull'ambiente marino e che i mari e gli
oceani, oltre ad essere spazi estremamente complessi, sono collegati, e qualsiasi intervento condotto in
un mare può avere ripercussioni positive[12] o negative, previste o impreviste, su altri mari. A causa di
questa strettissima interdipendenza, il miglior modo per affrontare la questione degli affari marittimi
consiste nell'adottare un approccio globale. Che lo studio contemporaneo della molteplicità degli
aspetti inerenti alla ricerca marina costituisca un elemento necessario è stato confermato, anche, nel
2007, dall'Associazione europea draghe (European Dredging Association - EuDA), la quale ha
proposto la creazione di un centro di eccellenza europeo per le scienze del mare specializzato nello
studio dei diversi aspetti tra quali vi sono gli effetti del cambiamento climatico.
Questo tipo di approccio è, inoltre, alla base della politica marittima integrata per l'Unione europea (il
"Libro blu") proposta dalla Commissione nell'ottobre 2007 e successivamente approvata dal Consiglio
europeo e dal Parlamento europeo.
Sempre più numerosi sono, dunque, i governi, sia in Europa che nel resto del mondo, che optano per
un nuovo approccio trasversale e integrato in materia di governance degli affari marittimi.
Le istituzioni e gli organismi dell’UE, oltre ad essere totalmente favorevoli a questo approccio, si
sforzano di superare i vincoli settoriali nelle loro procedure per poter dare una risposta coordinata al
Libro verde. Essi, addirittura, inquadrano il progetto di una politica marittima europea nel contesto
della mondializzazione, di un utilizzo crescente dei mari e degli oceani, del cambiamento ambientale e
climatico e della necessità, per le comunità delle regioni costiere e marittime, di essere pienamente
associate al processo. Alcune delle proposte formulate dalle istituzioni vanno al di là di quanto previsto
dal Libro verde[13].
Il CESE, per esempio, ha, recentemente, esortato la Commissione ad affrontare questo problema
generale nelle appropriate sedi internazionali e ad adottare essa stessa da subito un approccio
ambientale integrato per tutte le sue azioni, non solo quelle dedicate al mondo marittimo, ma tutte
quelle che formano oggetto di proposta al Parlamento e al Consiglio[14].
In realtà che la politica marittima debba essere trattata a livello internazionale non è una novità. Per
esempio, nel 2000, è stato istituito il WCMC (World Conservation Monitoring Centre - Centro
mondiale per il monitoraggio della conservazione), un centro di informazione e valutazione della
biodiversità mondiale del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Il Centro fornisce
informazioni utili per l’adozione di politiche ed azioni per la conservazione degli organismi viventi. I
programmi riguardano in particolare le specie, le zone protette, le acque marine e gli habitat interessati
dal cambiamento climatico, come le regioni polari. Inoltre, in cooperazione con i settori interessati e
con gli Stati membri, la piattaforma WATERBORNE ha elaborato un quadro di riferimento per il 2020,
in materia di trasporto marittimo, che comprende un piano strategico di ricerca, svolta su scala
mondiale, che, oltre ad accompagnare l'attuazione di strategie generali e la pianificazione a livello
regionale, dovrà consentire di far fronte a pressioni globali quali l'impatto del cambiamento climatico.
Il Comitato delle regioni ha, infine, posto l’accento che per garantire ecosistemi durevoli, oltre ad un
approccio integrato, è necessario rendere la rete ancora più capillare, anche nel caso dell'ambiente
marino[15].
In conclusione possiamo affermare che, data l'importanza della problematica, è essenziale che l'Unione
Europea continui a svolgere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale nella lotta contro il
cambiamento climatico, cercando di elaborare nuove tecnologie per ridurre l’impatto delle attività
marittime sul clima e che, oltre ad effettuare osservazioni sistematiche dei parametri climatici oceanici
al fine di potenziare la ricerca[16], occorre anche aggiornare, periodicamente, le strategie per la
salvaguardia dell’ambiente marino[17]. In considerazione del dinamismo e della variabilità naturale
degli ecosistemi marini e tenuto conto del fatto che le pressioni e gli impatti cui sono soggetti variano
in funzione dell’evoluzione degli effetti del cambiamento climatico, è essenziale, infatti, riconoscere
che la definizione di un buono stato ecologico deve essere adeguata nel corso del tempo. Anche la
protezione dell’ambiente marino, quindi, deve essere flessibile e capace di adattamento.
3. La normativa internazionale in tema di inquinamento da emissioni di navi[18]
Una delle cause principali dei cambiamenti climatici dell’ambiente marino è costituita dalle emissioni
nocive delle navi. Esse inquinano l’aria sovrastante il mare, determinando anche l’elevazione della
temperatura dell’acqua.
Il fenomeno di cui si discute si inserisce in quello più generale conosciuto con la denominazione
“effetto serra”, riferibile all’intero pianeta e determinato dalle emissioni nocive derivanti da attività
umane. Tra queste rileva, per l’appunto, il trasporto marittimo.
Uno degli effetti collaterali dell’innalzamento della temperatura dei mari è quello di consentire a
specie marine provenienti da altri mari di stabilirsi e di sopravvivere in ecosistemi in cui prima non
avrebbero potuto perdurare (spesso l’introduzione delle specie non autoctone è determinato dalle acque
di zavorra scaricate dalle navi).
Per rispondere all’esigenza di tutela dell’ambiente marino è stata adottata la Convenzione
internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi, comunemente nota come
Convenzione Marpol 73/78. Quest’ultima si compone di cinque Annessi che disciplinano l’immissione
in mare di varie sostanze inquinanti e di un sesto Annesso che riguarda l’inquinamento dell’aria.
Con riferimento all’argomento di cui ci si occupa, rileva l’ultimo annesso, adottato
dall’organizzazione marittima mondiale nel 1997 ed entrato in vigore nel maggio del 2005, che
stabilisce, come detto, limiti sulle emissioni nocive all’ambiente marino da parte delle navi.
Le principali disposizioni contenute nell’Annesso in esame riguardano:
· Il divieto di utilizzo dei colorofluorocarburi negli impianti frigoriferi e di raffreddamento di aria delle
navi di nuova costruzione.
· Il divieto di emissione di ossidi di azoto tramite i gas di carico e di motori e caldaie;
· Il divieto di emissione di vapori di idrocarburi durante le operazioni di scaricazione e discarica degli
stessi, le petroliere di nuova costruzione dovranno essere munite a tal uopo di apposito impianto.
·Il divieto di incenerimento dei residui di sostanze nocive e dei prodotti petroliferi contenenti metalli
pesanti.
·Obbligo di utilizzare sulle navi olio combustibile che non contenga acidi in organi e che sia a basso
tenore di zolfo.
L’annesso VI prevede, inoltre e ai fini dell’applicazione delle misure restrittive in esso contenute, che
presso i porti ed i terminali vengano create strutture apposite alla ricezione delle sostanze inquinanti
non disperse e in particolare per i colorofluorocarburi, per i residui di incenerimento di rifiuti, per i
residui degli impianti di depurazione dei gas inerti e dei gas idrocarburi prodotti durante la caricazione
e la scaricazione degli stessi.
Ancora, introduce un sistema di certificazione, di cui dovranno essere dotate le navi, che dovrebbe
garantire l’osservanza delle misure restrittive relative all’emissione di sostanze nocive. Dopo apposito
controllo sulle navi verranno rilasciati, dagli enti preposti, Certificati internazionali di prevenzione
dell’inquinamento dell’aria (IAPP Certificate). Questi certificati avranno una validità non superiore a 5
anni. Il Certificato IAPP è corredato da un allegato contenente l’elenco degli strumenti tecnici installati
sulla nave per il controllo delle emissioni.
In Italia, il RINA agisce come Recognised Organization per conto di un gran numero di
Amministrazioni di Bandiera per il Rilascio del Certificato appena menzionato, testando gli impianti e
i motori delle navi.
Con la recentissima ratifica da parte degli Stati Uniti della Convenzione Marpol sale a poco oltre
l’80% la percentuale di tonnellaggio lordo mercantile che ricade sotto tale normativa.
All’inizio del mese di aprile, la 57a sessione del MEPC (Comitato di protezione dell’ambiente marino)
dell’IMO ha trovato un accordo per la revisione dell’Annesso VI della Marpol sul controllo
dell’inquinamento atmosferico delle navi, che sarà sottoposto all’approvazione dell’assemblea
dell’IMO entro quest’anno. Le modifiche riguardano la revisione in senso restrittivo delle emissioni di
zolfo, degli ossidi di azoto e la revisione delle aree di applicazione delle misure adottate.
4. Brevi cenni sull’apparato normativo sanzionatorio relativo alla tutela dell’ambiente marino[19]
La tutela dell’ambiente è sovente al centro delle agende politico programmatiche dei governi
d’Europa. La materia presta il fianco a numerosi dibattiti i quali, seppure da punti d’osservazione
differenti, convergono su un unico obiettivo quello della conservazione e della salvaguardia del
territorio.
È noto che l’ecosistema maggiormente a rischio a causa dell’intervento dell’uomo è quello marino.
L’effetto serra, che determina l’innalzamento delle temperature dell’acqua cui consegue, tra l’altro, lo
scioglimento della calotta polare, è la riprova che l’opera dell’uomo contribuisce in modo
inequivocabile al mutamento dello status quo, scrivendo con inesorabile puntualità pagine di
allarmanti cambiamenti.
È indubbio che ciò si ripercuote nella vita di tutti i giorni.
Effettuata la diagnosi dei mali del pianeta, individuare la cura è affare del legislatore. È, infatti,
di palmare evidenza che gli effetti del comportamento umano possono essere limitati solo con una
puntuale e precisa produzione normativa, che oltre ad inquadrare determinati fenomeni ed a regolare le
numerose attività commerciali che al mare sono inscindibilmente collegate, deve con particolare
virulenza sanzionare tutti quei comportamenti che incidono negativamente sul mare e, in specifico,
sulle sue risorse.
Purtroppo questo non sempre avviene.
È opportuno premettere che il nostro ordinamento si è dotato sin dal 1982 (con la legge n. 979,
rubricata “Disposizioni per la difesa del mare”) di un sistema di norme mirante, nel suo complesso,
alla prevenzione dell’inquinamento marino di vasta portata o alla riduzione degli effetti dannosi alle
sue risorse. Con riferimento all’argomento trattato, rilevano gli articoli contenuti nel Titolo IV, che
sanzionano penalmente lo sversamento in mare delle sostanze inquinanti contenute in un elenco
allegato alla legge stessa. Alcuni degli articoli del Titolo citato (in particolare gli artt. 16, 17, primo
comma, e 20) sono stati abrogati per espressa previsione del D.Lgs. 202/2007 e sostituiti da nuove
previsioni, di cui si dirà nel prosieguo del testo.
Procedendo in ordine cronologico, si segnala il D.Lgs. 152/99 "Disposizioni sulla tutela delle acque
dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque
reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole" che a seguito delle disposizioni correttive ed
integrative di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 ha introdotto il principio del “chi
inquina paga”, ma ciò non appare sufficiente alla luce dei dati che l’Agenzia Europea dell’Ambiente
(EEA) ci fornisce. Il citato D.Lgs. si è rivelato del tutto inadeguato al raggiungimento degli scopi che
dovrebbero essere propri degli Stati impegnati nella lotta all’inquinamento. Vi è in quel D.Lgs. un
sistema che possiamo chiamare “quadripartito” che comprende delitti e contravvenzioni, pene
detentive e pene pecuniarie. L’ammonimento proviene da una relazione che la stessa Agenzia ha
fornito, a marzo di quest’anno, nella quale si invitano gli Stati membri dell’Unione ad adottare
politiche idonee alla riduzione dell’inquinamento ambientale dovuto al traffico merci e passeggeri.
Sul tema e con riferimento al de jure condendo, il Parlamento italiano esamina ancora, presso la
commissione giustizia della Camera dei Deputati (C.1731), un disegno di legge intitolato
“Introduzione nel codice penale di disposizioni in materia di delitti contro l' ambiente”.
La proposta prevede un innalzamento della tutela penale per i reati gravi di inquinamento ambientale
e una più puntuale definizione della distruzione del patrimonio ambientale. I crimini ambientali
saranno inseriti nel libro II del codice penale, dopo il titolo VI, riguardante i delitti contro l’incolumità
pubblica, in un apposito titolo VI-bis, denominato «Dei delitti contro l’ambiente».
Il principio della proposta di legge è il passaggio dalla contravvenzione allo strumento maggiormente
repressivo del delitto, anche per evitare i meccanismi prescrizionali tanto frequenti nelle
contravvenzioni. Ciò ha comportato la trasformazione del delitto ambientale da reato di pericolo
astratto a quello di pericolo concreto, fino a forme di reato di danno. Nella formulazione delle
fattispecie criminose, si sono seguite le indicazioni della “Convenzione per la tutela dell’ambiente
attraverso il diritto penale” del Consiglio d’Europa, del 4 novembre 1998.
Questa proposta prevede anche una distinzione tra due fattispecie: i delitti di “inquinamento
ambientale” e quelli di “distruzione del patrimonio naturale”. È stata introdotta, inoltre, la “frode in
materia ambientale” che incrimina non solo la falsificazione, ma anche l’omissione della
documentazione prescritta dalla normativa ambientale.
Venendo poi incontro alla necessità di combattere le cosiddette “ecomafie”, è stata introdotta una
circostanza aggravante per i casi di associazione a delinquere avente tra le finalità quella di
commettere reati ambientali. È poi prevista una forma di ravvedimento operoso che consente di
diminuire la pena fino a due terzi.
Il nostro apparato normativo si fonda ad oggi sulle regole dettate dal D.Lgs. 152/06 e le modifiche
apportate dal D.Lgs. 284/06.
Nell’ambito, poi, dell’armonizzazione delle norme non può non farsi riferimento alla Convenzione
Marpol 73/78 che rimane ancora la più importante regolamentazione internazionale in vigore in
materia di prevenzione dell’inquinamento marino provocato da navi, dalla quale scaturisce
l’importante decreto del 26 gennaio 2005 dei DD.GG. del Ministero dell’Ambiente e del Ministero
dei Trasporti e della Navigazione. Con questo decreto si autorizza il RINA all’ispezione e controllo
propedeutici al rilascio, nonchè il rilascio stesso, per conto dell'amministrazione, della certificazione
in materia di prevenzione dell'inquinamento da liquami scaricati dalle navi in conformità all'annesso
IV della Convenzione internazionale Marpol 73/78.
Ancora, per effetto della pubblicazione del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, è stata
trasposta la direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di
sanzioni per violazioni. Tra le novità introdotte si citano: il divieto alle navi di qualsiasi bandiera di
scaricare sostanze inquinanti nelle acque interne, nelle acque territoriali, negli stretti utilizzati dalla
navigazione internazionale, nella zona economica esclusiva e nell'alto mare, fatte salve le deroghe
ammesse dalla Convenzione Marpol per la prevenzione dell' inquinamento provocato dalle navi;
l'introduzione di misure di controllo più stringenti sul traffico marittimo e il divieto di attracco nei porti
italiani applicabile nei confronti dei comandanti e degli equipaggi che rilasciano in mare sostanze
inquinanti.
Possiamo semplificare il sistema sanzionatorio del citato D.Lgs. n. 202/2007 nella tabella che segue:
In ultimo, si segnala che la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva sulla tutela
dell'ambiente [COM (2007) 51], la quale - in applicazione della sentenza della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee del 13 settembre 2005 (causa C-176/03, Commissione c/ Consiglio) che ha
annullato la decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio relativa alla protezione dell'ambiente
attraverso il diritto penale - sostituisce la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale (2001/0076(COD). Anche per la
nuova proposta l’obiettivo prioritario è quello di assicurare un livello adeguato di protezione
dell'ambiente «mediante sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive».
Esposti brevi cenni normativi di tipo sanzionatorio che dovrebbero avere carattere repressivo e
deterrente è auspicabile che il Legislatore si orienti verso l’inasprimento delle pene la propria
produzione.
Per altro, in omaggio al principio societas delinquere potest introdotto dalla riforma del diritto
societario, dalla L. 300/2000 al D.Lgs. 231/2001 è possibile sanzionare pesantemente anche
multinazionali responsabili del degrado dell’ambiente marino.
5. Considerazioni conclusive[20]
Il sempre più preoccupante cambiamento climatico, che sta subendo il nostro pianeta negli ultimi anni,
ha spinto gli Stati a rivedere, in molti casi, la propria agenda politica in materia ambientale, con
interventi sempre più efficaci a contrastare, o quanto meno, rallentare tale fenomeno.
Oggi, infatti, non può non riconoscersi, soprattutto alla luce dei progressi della comunità scientifica,
che una delle cause principali dell’innalzamento della temperatura sia direttamente collegabile ad
attività dell’uomo: processi industriali, trasporti, solo per fare alcuni esempi.
Grazie a questa presa di coscienza, anche se in ritardo, finalmente, tanto la Comunità internazionale
nel suo complesso considerata quanto i singoli Stati stanno approntando misure sempre più puntuali.
A tutti i livelli (nazionale, comunitario ed internazionale) si è compreso un dato, e cioè, che un
problema così complesso e di così vasta portata doveva essere affrontato a livello internazionale e non
semplicemente attraverso normative interne, palliative ed insufficienti rispetto al fenomeno in esame.
In particolar modo, venendo all’ambiente marino, con il passare degli anni ha preso corpo l’idea che
non poteva più essere applicato il principio di sussidiarietà, in ragione della circostanza che l’ambiente
marino necessita di una politica marittima integrata, basata sulla cooperazione e su principi comuni.
Questo tipo di approccio è alla base, ad esempio, della politica marittima integrata per l’Unione
Europea (il “LIBRO BLU”), proposto dalla Commissione nell’ottobre 2007 e successivamente
approvato dal Consiglio Europeo e dal Parlamento Europeo.
In materia di governance degli affari marittimi l’UE, attraverso i propri organismi, si sta impegnando a
superare i vincoli settoriali nelle loro procedure, provando a dare una risposta coordinata al LIBRO
VERDE [COM (2006) 275 def.].
Vieppiù, il CESE ( Comitato Ecomomico e Sociale Europeo ) di recente, ha suggerito alla
Commissione di impegnarsi ad adottare un approccio ambientale integrato per tutte le sue azioni.
Sempre con riferimento alle cause dei cambiamenti climatici dell’ambiente marino, non dovute a
fattori naturali, vanno ricomprese l’emissioni nocive di navi. È stato dimostrato, infatti, che il trasporto
marittimo (parimenti agli altri tipi di trasporto) costituisce uno dei fattori d’innalzamento globale della
temperatura del pianeta. L’emissioni delle navi, quindi, inquinando l’aria sovrastante il mare, elevano
la temperatura di quest’ultimo.
L’annesso VI della convenzione Marpol (che è la più importante regolamentazione internazionale in
materia dì inquinamento marino provocato da navi), entrato in vigore nel 2005 anche nel nostro Paese,
adotta e stabilisce misure preventive all’emissioni delle navi nocive dell’ecosistema marino e della
biodiversità.
Tra le prescrizioni in esso contenute vi è il divieto di emissione di ossidi di azoto tramite i gas di carico
dei motori e delle caldaie, ed inoltre, un sistema di certificazione di cui dovranno dotarsi le navi, al
fine di garantire l’avvenuta applicazione delle misure restrittive relativamente all’emissioni di sostanze
nocive (in Italia il RINA rilascia il suddetto certificato).
Va segnalato che una revisione dell’Annesso VI della Marpol, in seguito ad un accordo in ambito
MEPC (Comitato di protezione dell’ambiente marino), sarà sottoposto, entro quest’anno,
all’approvazione dell’assemblea dell’IMO. Si tratta di modifiche riguardanti misure in senso restrittivo
delle emissioni di zolfo, degli ossidi di azoto e la revisione dell’ambito di applicazione delle misure
adottate.
Anche sotto il profilo relativo al livello sanzionatorio sono stati fatti passi in avanti. Sul punto ed
esemplificativamente si ritiene interessante fare un riferimento alla normativa italiana, con la quale si
sta superando il principio sancito dal D.Lgs. 284/2006 del c.d. “chi inquina paga” su cui si sofferma la
relazione sui profili sanzionatori in materia ambientale.
Infatti, l’impostazione del nostro legislatore nella lotta all’inquinamento era ritenuta insufficiente
dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA ). Ed è proprio per questa ragione che è in corso l’iter di
approvazione di un disegno di legge, attualmente all’esame della commissione giustizia della Camera
dei Deputati, intitolato “Introduzione nel codice penale di disposizioni in materia di delitti contro
l’ambiente ”, attraverso cui passare dalla pena contravvenzionale a quella maggiormente repressiva del
delitto.
Tutto ciò in linea con la proposta di direttiva sulla tutela penale dell’ambiente marino [Com (2007) 51
definitivo] della Commissione Europea, finalizzata a garantire un adeguato livello di protezione
dell’ambiente, mediante sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.
I prossimi anni ci diranno se le misure adottate a difesa dell’ambiente dagli innalzamenti climatici
dovuti all’azione dell’uomo, in particolare quelle previste dal protocollo di “Kyoto” e dalla
Convenzione “Marpol”, avranno prodotto risultati concreti; sperando nel frattempo che la sensibilità
mostrata dai governi, in questi anni, non subisca battute d’arresto, ma anzi che le politiche ambientali
siano sempre più al centro dell’azione politica dei vari soggetti internazionali.
* Dottorandi di ricerca in Diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, presso l’Università degli
studi di Palermo, Dipartimento DETA.
[1 Di Maria Paola La Spina.
[2Di Rosalia Castiglia.
[3] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e
Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Conclusioni della consultazione su una politica
marittima europea (COM(2007) 574 def.).
[4] Libro Verde della Commissione - Verso la futura politica marittima dell'Unione: oceani e mari
nella visione europea (COM(2006) 275 def.).
[5] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione
comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (COM(2005) 505 definitivo);
comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e
Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni Orientamenti per un approccio integrato della politica
marittima: verso migliori pratiche di governance marittima integrata e di consultazione delle parti
interessate (COM(2008) 395 def.).
[6 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e
Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Una politica marittima integrata per l'Unione europea
(COM(2007) 575 def.); comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, … (COM(2007)
574 def.) cit.
[7] Che il cambiamento climatico costituisca una minaccia per l’ambiente marino è stato ulteriormente
confermato: dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio,…(COM(2005) 505
def.) cit; dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, …(COM(2007) 574 def.) cit.
[8] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, …(COM(2005) 505 def.) cit.
[9] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, … (COM(2007) 575 def.) cit.
[10] Vedi Parere del Comitato delle regioni «Una politica marittima integrata per l'Unione europea»
(2008/C 172/07).
[11] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, … (COM(2007) 575 def.) cit.
[12] Per esempio sotto l'Oceano Artico giacciono dal 20 al 30 % delle riserve mondiali di greggio non
ancora scoperte. È possibile che, per via del cambiamento climatico, entro il 2015 le rotte di
navigazione artiche diventino accessibili per buona parte dell'anno. L'apertura delle rotte artiche appare
vantaggiosa in termini sia di distanza che di sicurezza. La riduzione delle rotte marittime potrebbe
tradursi in una riduzione significativa del consumo di carburante e delle emissioni prodotte. Parere del
Comitato Economico e Sociale Europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al
Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle
Regioni — Una politica marittima integrata per l'Unione europea COM(2007) 575 def. (2008/C
211/07)
[13] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo,… (COM(2007) 574 def.), cit.
[14] Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo in merito alla Comunicazione della
Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al
Comitato delle Regioni — Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani
e dei mari (COM(2006) 275 def. (2007/C 168/11)).
[15] Parere del Comitato delle Regioni in merito alla comunicazione della Commissione: Arrestare la
perdita di biodiversità entro il 2010 — e oltre sostenere i servizi ecosistemici per il benessere umano
(2007/C 57/02).
[16] V. decisione del Consiglio del 30 Settembre 2002 che adotta un programma specifico di ricerca,
sviluppo tecnologico e dimostrazione: «Integrare e rafforzare lo Spazio europeo della ricerca» (20022006) (2002/834/CE); decisione n. 1513/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27
giugno 2002 relativa al sesto programma quadro di azioni comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico
e dimostrazione volto a contribuire alla realizzazione dello Spazio europeo della ricerca e
all'innovazione (2002-2006); proposte modificate di decisioni del Consiglio relative ai programmi
specifici che attuano il Sesto programma quadro 2002-2006 della Comunità europea di attività di
ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2002-2006) relative ai programmi specifici che attuano
il Sesto programma quadro 2002-2006 della Comunità europea dell'energia atomica di attività di
ricerca e formazione; posizione comune (CE) N. 27/2002 definita dal Consiglio il 28 gennaio 2002 in
vista dell'adozione della decisione relativa al sesto programma quadro di azioni comunitarie di ricerca,
sviluppo tecnologico e dimostrazione volto a contribuire alla realizzazione dello Spazio europeo della
ricerca e all'innovazione (2002-2006) (2002/C 113 E/04); proposte di decisioni del Consiglio relative
ai programmi specifici che attuano il programma quadro 2002-2006 della Comunità europea di attività
di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione relative ai programmi specifici che attuano il
programma quadro 2002-2006 della Comunità europea dell'energia atomica di attività di ricerca e
formazione (presentate dalla Commissione)
[17] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, … (COM(2005) 505 def.), cit.
[18] Di Franco M. Compagno.
[19] Di Michele Pivetti.
[20] Di Italo Bufardeci.
UNIVERSITA' DI CATANIA
Facoltà di Economia del Mare -
Dott.ssa Margherita Favazza
Giorno 24 ottobre 2008, si è svolta la prima giornata della XXVII Edizione del Convegno
Internazionale "Mare e Territorio" sul tema "Vulnerabilità ed adattamento dell’ambiente marino ai
cambiamenti climatici" organizzato dalla Lega Navale Italiana - Sezione di Agrigento e Porto
Empedocle (24-25 ottobre 2008).
Tale Convegno ha seguito le indicazioni fornite dal Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio
e del Mare, il 12 e 13 settembre 2007 , durante la Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici, al
fine di sensibilizzare il mondo del lavoro, quello scientifico e politico sulla necessità di prevenire i
danni dei cambiamenti climatici nel nostro Paese.
Il tema è di grande attualità, e raccoglie le grida d’allarme lanciate da studiosi facenti parte di gruppi
intergovernativi, che hanno indotto la Comunità internazionale, tramite l’ONU a tenere in
considerazione questi cambiamenti come un rischio da affrontare, agendo sulle cause con una
strategia di mitigazione o attraverso azioni di prevenzione per agire sugli effetti con una strategia di
adattamento.
La strategia di mitigazione ha come obiettivo di eliminare o quanto meno di rallentare i cambiamenti
climatici, mentre la strategia di adattamento prevede la messa a punto di piani, programmi e azioni tali
da ridurre la vulnerabilità territoriale e quella socio economica.
Si concentra l’attenzione sui maggiore rischi reali per il paese Italia che sono: la desertificazione,
ghiacciai e aree a rischio di declaciazione, ambiente marino costiero, dissesto idrogeologico, ecc.
Anche l’Unione Europea su questo tema non è rimasta a guardare. Infatti è stato lanciato il Programma
europeo sul cambiamento climatico (PECC). Nel quadro del programma, i funzionari della
Commissione lavorano insieme ai rappresentanti dell'industria, alle organizzazioni ambientali e ad
altre parti interessate per identificare le misure più efficaci ed economicamente vantaggiose per la
riduzione delle emissioni.
Nel gennaio 2007 la Commissione europea ha proposto una strategia sul clima e sull’energia che
comprende un insieme di misure e obiettivi ambiziosi, avallati dai leader UE due mesi più tardi.
Attualmente, l’impegno preso dall’UE consiste nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra
del 20% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2020, un obiettivo che verrà portato al 30% qualora gli
altri paesi industrializzati facessero lo stesso e i paesi in via di sviluppo accettassero di attuare
provvedimenti.
La Commissione europea è convinta che per avere successo la lotta al cambiamento climatico richieda
il contributo di tutti i settori della società e di tutti i cittadini. Con la campagna "Sei tu che controlli i
cambiamenti climatici" lanciata dal Commissario Europeo per l’Ambiente in tutte le scuole ha voluto
sensibilizzare non solo gli studenti, ma tutti i cittadini europei che il cambiamento climatico, è una
delle maggiori minacce ambientali del nostro tempo. Se ci fosse un cambiamento nei comportamenti
quotidiani a trarne beneficio non sarebbe solo il sistema ambientale ma in molti casi i cittadini
otterrebbero un beneficio di tipo economico.
Manca purtroppo ancora tale consapevolezza, nonostante la presenza di numerose normative a livello
internazionale e nazionale che indicano la strada da percorrere.
Gli Accordi Internazionali
La Convenzione di Barcellona del 1976, stipulata tra l’Unione Europea e venti Paesi rivieraschi del
Mediterraneo, ha per oggetto: tutela dell’ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo.
Le parti contraenti sono: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia,
Grecia, Israele, Italia, Jugoslavia, Libano, Libia, Malta, Monaco, Marocco, Slovenia, Spagna, Siria,
Tunisia e Turchia e la Comunità Europea.
La Convenzione include una serie di strumenti, noti come "Protocolli", che se propriamente ratificati
ed implementati hanno lo scopo di proteggere dall’inquinamento industriale il mar Mediterraneo e le
sue aree costiere.
La Conferenza mondiale su ambiente e sviluppo (UNCED, United Nations Conference on
Environment and Development) si svolse a Rio de Janeiro nel giugno 1992 sotto l’egida dell’ONU. La
Conferenza di Rio vide la partecipazione di 172 paesi, numerose organizzazioni governative e circa
2400 membri di organizzazioni non-governative (ONG). L’obiettivo della Conferenza era quello di
definire le problematiche ambientali in atto; stabilire possibili interventi a breve, medio e lungo
termine; individuare politiche per uno sviluppo che non compromettesse la sopravvivenza delle
generazioni future e dello stesso pianeta per uno "sviluppo sostenibile".
Nel corso della Conferenza furono siglati diversi accordi internazionali tra i quali: la Dichiarazione di
Rio ambiente sviluppo (nota come "Carta Terra"), la Convenzione sulla diversità biologica, più nota
come Convenzione di Rio che definisce la riduzione delle emissioni di gas serra che ciascun paese deve
attuare per limitare e invertire il processo di riscaldamento globale del pianeta e l’Agenda 21.
Dopo la Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo, 178 governi di tutto il mondo, tra cui
l’Italia, hanno adottato l’Agenda 21, un documento di intenti per la promozione di uno sviluppo
sostenibile che tenendo conto degli aspetti sociali, ambientali ed economici può cogliere
anticipatamente eventuali elementi di incompatibilità esistenti tra le attività socio-economiche e le
politiche di protezione e salvaguardia dell’ambiente. L’esecuzione da parte degli stati membri è
volontaria.
L’Agenda 21 contiene proposte dettagliate per quanto riguarda le aree economiche, sociali e
soprattutto ambientali: lotta alla povertà, cambiamento dei modelli di produzione e consumo,
dinamiche demografiche, conservazione e gestione delle risorse naturali, protezione dell’atmosfera,
degli oceani e della biodiversità, la prevenzione della deforestazione, promozione di un’agricoltura
sostenibile.
Il capitolo 28 dell’Agenda 21 invita le autorità locali a giocare un ruolo chiave nell’educare, mobilitare
e rispondere al pubblico per la promozione di uno sviluppo sostenibile. Le autorità debbono
intraprendere, dal 1996, un processo consultivo con le loro popolazioni cercando il consenso su
un’Agenda 21 locale. Attraverso la consultazione e la costruzione di consenso, le autorità locali
possono imparare dalla comunità locale e dalle imprese e possono acquisire le informazioni necessarie
per la formulazione delle nuove strategie. I programmi, le politiche ed i piani assunti
dall’amministrazione locale potrebbero essere valutati e modificati sulla base dei nuovi piani locali
così adottati.
Questi accordi internazionali possiamo definirli come la premessa al Protocollo di Kyoto.
Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale, riguardante il riscaldamento
globale. È stato sottoscritto da più di 160 paesi in occasione della Conferenza delle parti (COP3) che
riuniva i firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
(UNFCCC) l’11/12/1997 nella città giapponese di Kyoto e rappresenta lo strumento attuativo di tale
Convenzione. Stabilisce precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra,
da parte dei Paesi industrializzati.
Perché il Protocollo potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55
nazioni firmatarie, responsabili in totale almeno del 55% delle emissioni di gas serra. Quest’ultima
condizione è stata raggiunta solamente nel 2004 quando anche la Russia ha aderito. Il Protocollo di
Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 e ad oggi i paesi che lo hanno ratificato sono 120.
Rispetto al 1990, l’Unione Europea si è impegnata a ridurre dell’8% le emissioni di gas serra mentre
l’Italia del 6,5%.
Punti chiave del Protocollo di Kyoto:
● Per i Paesi industrializzati l’obbligo è di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 5% rispetto ai
livelli del 1990, nel periodo che va dal 2008 al 2012.
● Gli stessi Paesi devono predisporre progetti di protezione di boschi, foreste e terreni agricoli che
assorbono anidride carbonica (sono detti carbon sinks, cioè immagazzinatori di CO2), inoltre possono
guadagnare carbon credit aiutando i Paesi in via di Sviluppo (PVS) ad evitare emissioni inquinanti
esportando tecnologie pulite (sviluppo pulito). Ogni Paese dovrà realizzare un sistema nazionale per la
stima delle emissioni gassose e dovrà essere creato un sistema globale per compensarle.
● I Paesi firmatari andranno incontro a sanzioni se mancheranno di raggiungere gli obiettivi.
I Paesi in via di sviluppo, a differenza dei Paesi sviluppati, sono stati soggetti ad oneri particolarmente
meno gravosi al fine di non ostacolare la loro crescita economica, infatti, non sono stati invitati a
ridurre le loro emissioni. Tra i PVS troviamo l’India e la Cina che sono stati esonerati perché non
considerati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo
dell’industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico. I Paesi non
aderenti al Protocollo sono responsabili del 40% dell’emissione mondiale di gas serra. Tra di essi
figurano gli Stati Uniti, i quali producono il 25% delle emissioni mondiali. Tale dato è maggiormente
significativo se raffrontato con quello dell’UE. Mentre gli Stati Uniti producono un quarto delle
emissioni globali, con una popolazione pari al 5% di quella mondiale, l’UE, con una popolazione quasi
doppia rispetto a quella USA, non supera i 2/3 delle emissioni americane.
Il Protocollo di Kyoto prevede due strumenti per conseguire le riduzioni proposte:
1 Politiche e Misure. Le Politiche e Misure sono quegli interventi previsti dallo Stato attraverso
programmi attuativi specifici realizzati all’interno del territorio nazionale.
2) Meccanismi flessibili. I Meccanismi flessibili sono tre e sono azioni di cooperazione
internazionale, supplementari rispetto alle azioni domestiche. Sono meccanismi di mercato
previsti per favorire il raggiungimento degli obiettivi che risulterebbero altrimenti
eccessivamente costosi per i Paesi dell’Unione Europea.
Essi sono:
 il Clean Development Mechanism (CDM);
 la Joint Implementation (JI);
 l’International Emission Trading (IET).
Il Clean Development Mechanism (CDM) prevede che un Paese industrializzato possa ottenere crediti
sulle emissioni attuando progetti nei PVS ed esportando in tal modo tecnologie ad alta efficienza
energetica e a bassa emissione di gas serra: ciò allo scopo di favorire anche nei paesi più svantaggiati
economicamente un processo di sviluppo sostenibile. I controlli relativi all’effettiva efficacia di ogni
progetto e la verifica che i benefici siano reali e misurabili anche a lungo termine, sono affidati a enti
specifici indicati dalla Conferenza delle Parti. I crediti sulle emissioni in questo caso sono denominati
Certified Emission Reductions (CER).
La Joint Implementation (JI) consente a Paesi industrializzati e Paesi con economie in transizione (ad
esempio gli stati dell’Europa dell’Est) di collaborare nella progettazione e nell’attuazione di tecnologie
adeguate per ridurre le emissioni, ciò comporta l’assegnazione di ''crediti sulle emissioni'' o Emissions
Reductions Units (ERU) a ciascuno dei Paesi cooperanti.
Il meccanismo noto come International Emissions Trading (IET), invece, apre un vero e proprio
''mercato dei diritti di emissione'': prevede che un Paese (o, a livello locale, una singola azienda) possa
vendere (o comprare) ad altri soggetti analoghi i cosiddetti ''permessi di emissione'' o Assigned
Amount Units (AAU): se il Paese (o l’azienda) raggiunge un valore di emissione superiore alla
percentuale che gli è stata assegnata, può acquistare i permessi per maggiori emissioni, mentre può
venderli se si trova al di sotto della quota stabilita. Questo meccanismo flessibile è riservato ai Paesi
industrializzati e può comunque sostituire solo parzialmente l’impegno del singolo Paese nella
riduzione delle proprie emissioni.
Il 13 ottobre 2003 il Consiglio ed il Parlamento europeo hanno approvato la direttiva 2003/87/CE
sull’Emission Trading.
Tale direttiva europea istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra,
per adempiere in modo più efficace agli impegni del Protocollo di Kyoto attraverso uno strumento
economicamente efficiente (Emission Trading Scheme EU ETS).
La direttiva prevede che ogni Stato membro debba possedere un permesso di emissione di gas serra per
un anno e che alla fine dell’anno di concessione, le emissioni di gas che sono state prodotte negli
impianti industriali, siano conformi alle quantità stabilite. La mancata dichiarazione di una quantità di
emissione prevede una sanzione pecuniaria di cento euro. Le quantità concesse ad ogni paese
dell’Unione Europea si definiscono “quote” e corrispondono ognuna ad una tonnellata di biossido di
carbonio. Le quote sono rilasciate da autorità competenti, sulla base di un Piano di allocazione
nazionale, che prima verificano la capacità di ogni Paese produttore di monitorare durante l’anno le
emissioni di gas.
I criteri con i quali si forma questo Piano di allocazione, devono tenere conto degli obiettivi di
riduzione nazionale dei gas ad effetto serra, delle possibilità di crescita delle emissioni prodotte e della
tutela della concorrenza nel mercato.
L’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto attraverso la Legge n. 120 del 1° giugno 2002 in cui viene
illustrato il relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra invece, la
Direttiva 2003/87/CE sull’Emission Trading, è stata recepita con decreto legislativo 4 aprile 2006, n.
216. Tale decreto prevede l’autorizzazione obbligatoria per le attività industriali soggette alla direttiva
comunitaria, la dichiarazione effettiva delle emissioni prodotte annualmente ed assegna, attraverso il
Comitato Nazionale di gestione ed attuazione della direttiva, che è la nostra autorità nazionale
competente, le quote di emissione di CO2 alle quali si devono attenere le industrie sulla base delle
decisioni di assegnazione, di durata quinquennale (attualmente 2008-2012). Infine il decreto stabilisce
le disposizioni di monitoraggio delle emissioni di gas dannoso per le industrie.
Meta finale del Protocollo di Kyoto è dunque, come abbiamo visto, il perseguimento di programmi di
assistenza tecnica e di protezione della biodiversità, in una parola “sviluppo sostenibile”; ossia Area
del contenuto di pagina processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la
direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali
siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali.
Le azioni Politiche ed Economiche dell’Unione Europea
Area del contenuto di paginaIl raggiungimento di tale obiettivo presuppone delle politiche governative
di sviluppo sostenibile, che si avvale di strumenti adeguati alla specificità dei diversi destinatari:
sistema imprenditoriale, consumatori, Pubblica Amministrazione.
•
Applicazione della legislazione di protezione ambientale
•
•
•
Rafforzamento delle strutture pubbliche e private impegnate nella sostenibilità
L'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche
L'integrazione del fattore ambientale nei mercati
• La Contabilità ambientale
• Educazione, informazione e partecipazione efficace dei cittadini
• Formazione, ricerca scientifica e tecnologica
In tale contesto, occorre rafforzare la già presente creazione del fondo strutturale per lo sviluppo
sostenibile, aumentandone le disponibilità finanziarie ed orientandolo, in maniera più decisa, al
supporto di meccanismi flessibili di orientamento al mondo dell'impresa e del consumo. L’Unione
Europea mediante i fondi attua una politica comunitaria di coesione economica e sociale tra le regioni
degli Stati membri. Si tratta di meccanismi finanziari, a supporto delle azioni dei singoli paesi, con lo
scopo di ridurre il divario sociale tra le varie regioni, ampliando in modo duraturo e armonioso le
attività economiche, incrementando l’occupazione e tutelando l’ambiente.
I principali obiettivi che i diversi fondi, trattati in seguito nello specifico, devono raggiungere sono:
Adeguamento strutturale delle regioni che manifestano ritardi nello sviluppo (PIL inferiore al
75% della media comunitaria). L’erogazione dei Fondi Strutturali per queste aree è subordinata
all’approvazione del Quadro Comunitario di Sostegno(QCS) e a linee d’azione esposte nei
Programmi Operativi Nazionali e Regionali (PON e POR).
• Riconversione economica e sociale delle zone con handicap strutturali, emergenze economiche
o sociali. L’erogazione dei Fondi Strutturali per queste aree è subordinata all’approvazione dei
Documenti Unici di Programmazione (DOCUP).
• Favorire l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione,
formazione e occupazione.
I vigenti Fondi Strutturali gestiti dalla Direzione Generale dell’UE sono: Fondo Europeo di
Sviluppo Regionale (FESR) finalizzato a raggiungere i primi due obiettivi, mediante investimenti
durevoli nella piccola-media impresa, nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, nel turismo e nella
salvaguardia dell’ambiente.
• Fondo Sociale Europeo (FSE) orientato verso l’attuazione delle politiche sociali per
l’occupazione.
• Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAGA), rientra nel Fondo Europeo Agricolo di
Orientamento e Garanzia (FEOGA), e finanzia la parte di mercato della PAC (Politica Agricola
Comune).
• Fondo europeo per la pesca (FEP) , di 424 342 854 €, copre l’insieme del territorio italiano ed
il suo finanziamento è ripartito tra le regioni interessate dall'obiettivo di convergenza. Il nuovo
programma comunitario per il 2007-2013 intende sfruttare il successo del programma
precedente (SFOP- Strumento Europeo di Orientamento per la Pesca) per consolidare i
presupposti della sostenibilità del settore pesca e acquacoltura, in sintonia con il rispetto
dell'ambiente, da un lato, e delle esigenze dei consumatori e dell’industria alimentare,
dall’altro.
•
Lo sviluppo sostenibile, oltre agli strumenti sopra menzionati, siano essi fondi strutturali o programmi
operativi, richiede in modo sempre più durevole nel tempo un impiego di tecniche e metodi volti ad
un costante impegno in termini di ricerca. La Direzione dello Sviluppo Sostenibile, difatti, ha già in
corso progetti di ricerca per un ammontare di 10 milioni di euro; si è dotata di strumenti diretti all’
investigazione scientifica nei settori della ricerca chimico-fisica, biologico-naturalistica e gestionaleamministrativa non solo per la tutela dell'ambiente, ma anche per attuare un'articolata azione per la
realizzazione di un solido processo di sviluppo sostenibile.
Tra i vari meccanismi di finanziamento, attuati nel corso di questi ultimi decenni,
il programma comunitario di finanziamento LIFE ha svolto e continua a svolgere un massiccio ruolo
di sviluppo in tale campo.
Tale programma, promosso e gestito dalla Commissione Europea, nasce, nel 1992 , per contribuire allo
sviluppo, all'attuazione della legislazione e della politica comunitaria in materia ambientale, in
particolare, alla conservazione della natura e alla protezione degli habitat e delle specie interessate
dalla Direttiva 92/43/CEE Habitat e dalla Direttiva 79/409/CEE Uccelli selvatici. Il progetto Life e
suddiviso in tre settori tematici denominati: LIFE-Natura, LIFE-Ambiente e LIFE–Paesi Terzi.
Il Programma LIFE, nel 2004, ha avuto una proroga di due anni, nel programma LIFE III, con un
budget di ammontare pari a 640 milioni di euro. Questo nuovo regolamento, integrante il primo,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 308 del 5.10.2004, ha introdotto alcune
modifiche relativamente all'ammissibilità dei costi, in particolare per quanto riguarda il personale
impiegato e l'acquisizione dei terreni.
Tale integrazione si è conclusa nel 2006 dando vita nell’anno seguente ad un nuovo strumento
denominato “LIFE +” (programmazione 2007-2013) che unifica e riorganizza vari strumenti
finanziari oggi esistenti in campo ambientale.
RIFLESSI ECONOMICI LEGATI AI CAMBIAMENTI CLIMATICI
La gestione sostenibile dell’ambiente e delle sue risorse richiede, secondo l’UE, una ricerca
multidisciplinare e integrata, che consenta lo sviluppo di nuovi strumenti e tecnologie per una gestione
ragionevole delle risorse ambientali. In questo contesto la Commissione Europea ha adottato un piano
d'azione – ETAP acronimo dell’inglese 'Environmental Technologies Action Plan' ('Piano d'azione
per le tecnologie ambientali' ) - volto a migliorare l'elaborazione e un uso più ampio delle tecnologie
ambientali e che dovrebbe consentire all'UE di divenire leader riconosciuto nelle tecnologie
ambientali. Numerose nuove tecnologie ambientali hanno infatti un notevole potenziale per migliorare
l'ambiente e allo stesso tempo dare un impulso alla competitività delle aziende europee, in quanto
possono aprire mercati potenziali e creare nuovi posti di lavoro altamente specializzati.
Obiettivi del piano d'azione sono:
•
eliminare gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle tecnologie ambientali;
•
realizzare le potenzialità insite nelle tecnologie ambientali proteggendo l'ambiente e
contribuendo alla crescita economica
•
garantire la leadership dell'Unione europea nell'applicazione delle tecnologie, mobilitando gli
interessati affinché sostengano questi obiettivi.
Il piano d'azione contiene undici azioni prioritarie con cui la Commissione, i governi nazionali e
regionali, l'industria e gli altri soggetti interessati potranno promuovere lo sviluppo e l'adozione delle
tecnologie ambientali.
Le azioni comprendono:
•
la creazione di tre piattaforme tecnologiche che riuniscono i ricercatori, industria, gli istituti
finanziari, i responsabili del processo decisionale e gli altri soggetti interessati;
•
per la definizione di una visione a lungo termine circa le esigenze di ricerca in questo settore e
i futuri sviluppi del mercato;
•
l'elaborazione e l'approvazione di obiettivi di prestazione ambientale ambiziosi per prodotti,
processi e servizi essenziali;
la mobilitazione di strumenti finanziari, sia all'interno che all'esterno del'UE, per ripartire i rischi degli
investimenti nelle tecnologie ambientali, con un'attenzione particolare al cambiamento climatico,
all'energia, e alle piccole e medie imprese.
Esistono molti esempi di progetti e tecnologie a basso impatto ambientale, in particolare, con
riferimento alla salvaguardia del mare, ricordiamo:
•
PROGETTO “CLEANEST SHIP”
Oggetto dell'intervento è stata la Nave a motore Victoria, una nave a motore da 1.300 tonnellate e 70
metri di lunghezza, che opera nelle aree del Porto di Rotterdam e di Anversa.
L’equipe del progetto CREATING era costituita da 27 partner di 9 paesi.
Obiettivi:
•
ridurre le emissioni di ossidi d'azoto del 92%
•
ridurre le emissioni di particolato del 98%
•
eliminare le emissioni di ossidi di zolfo.
Interventi:
•
sviluppo di un sistema di navigazione informatico che suggerisce la combinazione di rotta più
efficiente;
•
l’impiego di carburante a basso contenuto di zolfo, la riduzione catalitica selettiva e l’utilizzo
di filtri per particolato.
“GREEN STAR”:
diportismo a basso impatto ambientale, il caso “STELLA MARIS”
Lo standard GREEN STAR è una nozione che va ad arricchire il certificato di classe di una nave da
diporto, garantendo l'adozione di soluzioni tecniche finalizzate alla prevenzione dell'inquinamento del
mare e dell'aria, con soluzioni che riguardano sia aspetti impiantistici, sia procedure di tipo operativo.
La nozione "GREEN STAR"per la prevenzione dell'inquinamento del mare prevede:
1) un impianto per la gestione degli scarichi di sentina e l'eventuale versamento di combustibile in
mare;
2) un moderno e tecnologico impianto di trattamento delle acque nere e grigie;
3) l'opera viva dello scafo dovrà essere verniciata con pitture antivegetative esenti da TBT
(pesticida tossico per la fauna marina);
4) i depositi e i doppi fondi per l'acqua di zavorra devono essere gestiti con il fine di evitare la
contaminazione delle acque;
5) per i rifiuti di bordo è prevista la raccolta differenziata, la sistemazione in celle refrigerate per la
conservazione e procedure operative per lo smaltimento controllato e riciclaggio.
Per la prevenzione dell'inquinamento dell'aria 3 sono gli obiettivi fondamentali:
1) non è ammesso l'utilizzo di gas danneggianti la fascia di ozono;
2) i motori a combustione interna di propulsione devono essere progettati, costruiti e certificati in
accordo a standard internazionali;
3) per le polveri sottili è necessaria l'analisi periodica dei fumi.
La "GREEN STAR"garantisce:
•
all'armatore di documentare la sua politica di rispetto dell'ambiente;
•
ai costruttori e progettisti, di avere un riferimento tecnico e preciso;
•
alle autorità, la certezza di aver ottenuto un'elevata prestazione ambientale.
•
A questi motivi si aggiunge poi il fatto che per accedere a determinate aree marine protette di
grande pregio è richiesto il rispetto di alcune prescrizioni facenti parte della certificazione
"GREEN STAR".
Ma cosa significa in concreto applicare le norme previste dalla nozione"GREEN STAR"su una nave da
diporto? L'esempio ci è dato dal megayacht da 62 metri "Stella Maris".
I motori di propulsione ed i gruppi elettrogeni hanno emissioni ridotte, mentre gli scarichi gas hanno
un sistema che non mischia acqua di mare di raffreddamento con i gas degli stessi, riducendo la
contaminazione delle acque. Inoltre tutti i motori termici sono provvisti di sistema di filtraggio e
riciclo nella combustione dei vapori olio.
Sono state utilizzate vernici antivegetative e gas refrigeranti eco-compatibili.
Anche gli anodi sacrificali per la protezione dello scafo dalle correnti galvaniche è stata effettuata con
particolare attenzione agli effetti sull'ambiente, utilizzando anodi sacrificali in lega di zinco in
modestissima quantità.
Per evitare il più possibile l'eventuale contaminazione di aria e/o acqua, l'impianto antincendio è del
tipo a nebbia senza utilizzo di gas o miscele di vario tipo,mentre i sistemi di refrigerazione utilizzano
circuiti di raffreddamento a circuito chiuso con scambio termico attraverso le lamiere dello scafo.
Inoltre è stato sviluppato un sistema di monitoraggio tramite il quale eseguire e controllare in tempo
reale tutte le operazioni che potrebbero provocare inquinamenti dell'aria e delle acque.
Molto complesse ed articolate sono poi le soluzioni adottate per il trattamento di tutti i liquidi
inquinanti, a partire delle acque grigie e nere, ma, anche i rifiuti solidi organici ed inorganici sono
trattati con particolare attenzione (è prevista infatti la raccolta differenziata direttamente a bordo).
IL CATAMARANO SUN 21
Il catamarano solare svizzero Sun 21 ha percorso dall'ottobre scorso 7.000 miglia, senza consumare
carburante e sfruttando solamente l'energia solare. E' stata una prima mondiale. Lo scopo di questo
viaggio era innanzitutto, dimostrare le potenzialità dell'energia solare nella navigazione.
LA SOLAR SHIP e le “NAVI DEL FUTURO”
La Solar Ship che salperà nel 2009 è la nave ecologica a risparmio energetico, i suoi propulsori sono
alimentati da fonti naturali che non inquinano come l’energia solare, eolica e delle onde. La nave è
costituita da un’ampia superficie completamente ricoperta da pannelli solari che alimentano il motore
elettrico e con l’azione combinata di vento e Sole, la Solar Ship, sarà in grado di raggiungere i 10
Knots cioè 18.5 km/h.
Tropicalizzazione del Mediterraneo.
Le zone costiere rivestono importanza strategica per l 'Unione europea. In esse vive, infatti, un'elevata
percentuale di cittadini europei, sono una fonte importante di cibo e di materie prime, rappresentano un
punto di collegamento vitale per i trasporti ed il commercio, ospitano alcuni dei nostri habitat più
preziosi e sono una delle mete preferite per il tempo libero.
Le zone costiere sono particolarmente esposte a vari rischi, che tenderanno ad acuirsi se si
aggiungeranno le possibili ripercussioni dei cambiamenti climatici. L'eventuale innalzamento del
livello del mare aumenta la probabilità di onde anomale e il rischio di erosione della costa e di
inondazioni, provoca un'intrusione di acqua salmastra verso la terraferma e mette ulteriormente in
pericolo le zone tampone naturali come le zone umide. Settori importanti come il turismo, la pesca e
l'agricoltura che si sviluppano sui litorali sono fra quelli più vulnerabili ai possibili mutamenti del
clima.
Quindi la politica dell’Unione Europea in materia di gestione integrata della zona costiera è da
collegare al più vasto ambito di tutela dell’ambiente marino.
Gli ecosistemi marini svolgono un ruolo fondamentale dal punto di vista climatico e meteorologico.
Elemento indispensabile alla vita , l’ambiente marino rappresenta un importante fattore di prosperità
economica, benessere sociale e qualità della vita anche se è sottoposto a gravi pressioni : il crescente
degrado della biodiversità, il livello di contaminazione da sostanze pericolose e gli effetti ormai visibili
del cambiamento climatico rappresentano solo alcuni dei segnali d’allarme più evidenti. Recenti
valutazioni hanno denunciato il depauperamento degli stock ittici e la proliferazione di alghe tossiche
che conduce alla distruzione della vita marina.
La strategia dell’UE è finalizzata a proteggere e ripristinare l’equilibrio ecologico dei mari e garantire
che le attività umane siano svolte in modo sostenibile, affinché le generazioni presenti e future possano
beneficiare di un ambiente marino biologicamente ricco e dinamico, sicuro, pulito, sano e produttivo.
La Comunità scientifica segue da tempo i problemi legati ai cambiamenti climatici e non trascura
questi fenomeni che sono relativamente nuovi come l’incremento di temperatura delle acque che va
sotto il nome di Tropicalizzazione del Mediterraneo.
Secondo gli studi condotti dall’Icram[1], la prima specie di pesce immigrata dal Mar Rosso è stata
trovata ad Haifa nel 1902, trentatré anni dopo l’apertura del Canale di Suez, da quel momento in poi si
è assistito a una costante immigrazione di specie straniere, tanto che il fenomeno ha preso il nome di
“migrazione lessepsiana” dal nome dell’architetto, Lesseps, che ha progettato il canale di Suez.
Una prima spiegazione riguardante il facile adattamento di specie tipiche di climi tropicali nelle nostre
acque può essere imputata alla maggiore competizione a cui sono state sottoposte, essendosi evolute in
condizioni di rapidi cambiamenti naturali. Il Mar Rosso costituisce un ambiente molto selettivo, dove
convivono 15.500 specie diverse (contro le circa 550 del Mediterraneo), per cui, specie invasive e più
aggressive abituate alla forte competizione sono state facilitate dal continuo stress cui sono sottoposti i
pesci mediterranei.
Questi organismi, indeboliti dalla pesca eccessiva e dall’inquinamento, lasciano gradualmente nicchie
ecologiche vuote facilmente colonizzabili da organismi estranei, inoltre l’inquinamento, causato da
metalli pesanti e pesticidi sta modificando la sensibilità e la fisiologia dei nostri pesci. Il ruolo delle
attività umane nella cosiddetta “Tropicalizzazione” del Mediterraneo è stato quindi fondamentale.
Il dato ancora più preoccupante è che le prime specie immigranti dal Mar Rosso sono sopravvissute a
due diversi sbalzi di salinità: il primo nel passaggio dai grandi laghi amari, di acque molto salate, e il
secondo all’arrivo in un’area del Mediterraneo, caratterizzata da una bassa salinità, a causa del
riversamento delle acque del Nilo. Mentre ai nostri giorni la Diga di Assuan, riducendo la portata del
Nilo, ha abbattuto la soglia di bassa salinità che costituiva una barriera all’invasione di nuove specie
meno resistenti, favorendo la penetrazione delle specie indo pacifiche in Mediterraneo.
Il cambiamento globale però non si manifesta solamente attraverso l’aumento della temperatura, ma
anche nel cambio delle stagioni e nell’aumento dell’anidride carbonica che incidono sull’ecologia e la
biologia delle specie marine.
L’anidride carbonica e gli altri gas frutto della combustione, assorbono maggior radiazione solare,
causando l’aumento della temperatura media del pianeta. Nell’atmosfera cresce anche la quantità di
energia incamerata, provocando violente perturbazioni, piogge torrenziali e uragani con conseguenze
gravi per l’agricoltura, la geografia terrestre e la distribuzione della fotosintesi che, come si sa, fissa il
carbonio nelle foglie e libera l’ossigeno.
Il plancton marino sviluppa un’intensa attività di fotosintesi, ma l’inquinamento delle acque profonde,
la pellicola oleosa sulla superficie e i cambiamenti climatici limitano gli scambi nutritivi essenziali fra
superficie e zone profonde, con tutte le conseguenze che tale aspetto comporta.
Nel Mediterraneo, oltre all’immigrazione delle specie aliene tropicali, stiamo assistendo ad un vero e
proprio fenomeno riguardante il cambiamento nella distribuzione della fauna ittica, riconducibili,
probabilmente, alle mutazioni climatiche. E’ quello che va sotto il nome di Meridionalizzazione dei
mari settentrionali, e per questo nei mari italiani si sta verificando una forte espansione di quei pesci
che vivevano essenzialmente nei mari caldi del Mediterraneo, come i Carangidi, il pesce balestra
(Balistes carolinensisi), che mostra oggi un espansione verso nord del proprio areale distributivo e il
pesce pappagallo (Sparisoma cretense) che alcuni anni fa viveva solamente a Lampedusa e che oggi è
presente lungo tutte le coste della Sicilia.
Le specie immigranti provenienti dal Mar Rosso sono 55: di queste una quarantina sono aumentate in
termini di biomassa (quantità di pesci per ogni singola specie) e 10 sono diventate di interesse
commerciale. Dal Mar Rosso sono arrivate due nuove specie di triglie (Upeneus moluccensis) che si
sono stabilizzate nel Mar Libico, una specie di cernia , un tonnetto e il barracuda del Mar Rosso
(Sphyraena chrysotaenia e Sphyraena flavicauda), più grande di quello mediterraneo (Sphyranea
viridensis).
Inoltre negli ultimi anni, si è verificata attraverso lo stretto di Gibilterra anche una massiccia
immigrazione di specie tropicali circa 30 provenienti delle coste africane dell’Oceano Atlantico.
Fra questi riconosciamo il pesce palla (Sphoeroides cutaneus), tre tipi di ricciole, tra cui la fasciata
(Seriola fasciata), la Seriola rivoliana e la Seriola carpenteridella, nelle acque intorno la Sicilia ne
sono state pescate circa un migliaio e un piccolo scorfano (Scorpaena maderensis).
Queste nuove specie non costituiscono pericolo per l’uomo, esclusione del pesce scorpione (Pteroides
miles), che ha aculei velenosi ma è presente solamente lungo le coste palestinesi e israeliane.
Il pesce palla ha invece carni velenose (solamente se ingerite crude) a causa di una tossina, la
tedradontina, ma appare veramente remota la possibilità che questo pesce possa essere
commercializzato nei nostri mercati.
Comunque il fenomeno dell’innalzamento delle temperature e l’apertura di canali comunicativi fra
ambienti marini differenti, non hanno rappresentato l’unico mezzo per il passaggio di nuove specie, se
si pensa all’importazione di specie esotiche per gli acquari e allo sviluppo dell’acquacoltura.
Il pesce siluro, che sta dilagando nel Po’ e in altri fiumi italiani, è stato, probabilmente, importato da
acquariofili, mentre la vongola nostrana (Tapes decussata), è stata, da tempo, completamente
soppiantata in adriatico dalla vongola filippina (Tapes philippinarum), importata dai coltivatori di
molluschi. Un altro canale d’ingresso è rappresentato dalle acque di zavorra delle navi cisterna, in cui
lo scarico incontrollato di queste acque, prelevate in mari tropicali e non trattate in modo adeguato, ha
costituito un importante veicolo di specie non indigene, che hanno modificato rapidamente la
biodiversità in prossimità dei maggiori porti italiani. A questo proposito il ministero dell’Ambiente ha
già promosso ricerche sul cambiamento della biodiversità dei porti campione di Napoli, Genova e
Palermo.
Il fenomeno della importazione di specie alloctone non riguarda solo i pesci ma anche le stelle marine:
l’Asterina gibbosa, piccola stella di mare lungo le coste medio-orientali è stata completamente
sostituita dal 1970, da una specie affine la Asteria vega, mentre tre alghe delle coste giapponesi
(Laminaria japonica, Undaria pinnatifida e Sargassum muticum) sono state segnalate già alla fine
degli anni ’60, più recentemente è stata segnalata la presenza di un’alga tropicale, la Caulerpa
taxofolia che attualmente minaccia soprattutto un ampio tratto della costa francese tra Tolone e
Mentone, moltiplicandosi ad una velocità impressionante, ostacolando i cicli vitali degli altri organismi
con alterazione degli equilibri ecologici. Merita infine di essere menzionato l’avvistamento del
nudibranco Melibe fimbriata, una specie poco comune che sarebbe entrata nel Mediterraneo attraverso
lo stretto di Suez.
Sono, al contrario, in diminuzione squali e mante, pesci cartilaginei, i quali sono animali fragili, dal
sistema riproduttivo basso, che subiscono l’inquinamento e l’aumento dello sforzo si pesca.
Alcune specie ittiche sembrano comunque aver tratto beneficio da questa nuova condizione climatica,
il barracuda del Mar Rosso negli ultimi anni è cresciuto sia di taglia che in numero, questo predatore
però ha portato scompiglio soprattutto negli ambienti in cui si trova a convivere con la Spigola
(Dicentrarchus labrax) che, predatore solitario, non può competere con i branchi di Barracuda per la
caccia alle prede.
Un altro predatore venuto alla ribalta è il Pesce serra (Pomatomus saltatrix) questo vorace predatore
pare che non smetta di attaccare la preda neanche quando è sazio, abita principalmente le foci dei fiumi
e le sue vicinanze dove si contende spesso le prede con uno dei carangidi più belli e potenti come la
Leccia amia (Lichia amia), che nel Mediterraneo è sempre stata presente ma non numerosa come oggi,
fa parte quindi di quei pochi pesci “autoctoni” che hanno beneficiato del surriscaldamento del mare,
come anche la Lampuga (Coryphaena hippurus).
La Tropicalizzazione del Mar Mediterraneo è stata associata dai biologi marini al cambiamento
climatico: ciò rappresenta per noi economisti un importante spunto di riflessione visto che l’Italia, è
attualmente in Europa la seconda per numero di addetti nel settore della pesca, dopo la Spagna.
Tale argomento è stato al centro della Conferenza Nazionale sul Cambiamento Climatico, svoltasi a
Roma il 12/13 settembre 2007, dove sono stati trattati 13 punti. In particolare il punto 8 sostiene l
´esigenza di provvedere ad un´azione di gestione sostenibile delle risorse marine, avviare meccanismi
per lo sviluppo della pesca sostenibile, mettendo a punto un piano di recupero delle risorse fiume,
coordinando le azioni di salvaguardia dell’ecosistema e la gestione della risorsa idrica.
Nell’ultimo decennio in Sicilia[2], costituente la prima regione per flotta e per quantità di pescato,
possiamo notare, a fronte di una notevole riduzione (circa il 47%) delle catture, si sia registrata un
flessione del solo 14% dei ricavi, grazie alla quale si è arginato il fenomeno dell´aumento dei costi di
produzione dovuti all´aumento dei costi del carburante. La Sicilia, in base ai mari che la bagnano, si
divide in Sicilia nord (tirrenica), est (ionica), sud (mediterranea). Mentre la Sicilia nord e la Sicilia est,
sia per i ricavi che per pescato, si assestano su valori pressoché uguali, discorso diverso merita la
Sicilia sud che, relativamente agli stessi dati, si pone in evidenza a livello nazionale.
In particolare emerge il Polo di Mazara del Vallo che, per flotta, si pone ai primissimi posti a livello
nazionale. Relativamente al principale tipo di pesca praticato nella nostra regione, ossia la pesca a
strascico, a fronte di una flessione delle attività e delle catture si registra un consistente aumento del
prezzo medio (+20%), che ha consentito una crescita sia dei ricavi complessivi (+13.4%) che dei ricavi
medi per battello (+11.5%). Fra le specie che registrano i maggiori incrementi in valore assoluto,
troviamo i gamberi rossi, gli scampi, le seppie e i calamari, mentre diminuiscono le catture di triglie,
naselli e totani. Un particolare nell´ultimo periodo è che, soprattutto riguardo a gamberi rossi e scampi,
si sta puntando maggiormente sul prodotto congelato che, negli ultimi anni, ha raggiunto addirittura
prezzi più elevati dello stesso prodotto fresco.
E’ da evidenziare come, essendo il periodo considerato (2000-2007) relativamente breve, non è ancora
possibile valutare l´impatto che le mutate condizioni climatiche hanno avuto sulla quantità di pescato e
sui ricavi: tuttavia, alla luce delle ricerche svolte, si ritiene che esista una stretta correlazione tra i
cambiamenti climatici ed il settore della pesca.
Il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide che l'umanità dovrà affrontare nei
prossimi anni. L'aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, la maggiore frequenza degli
episodi di siccità e delle alluvioni sono tutti sintomi di un cambiamento climatico ormai in atto. I rischi
per il pianeta e per le generazioni future sono enormi, e ci obbligano ad intervenire con urgenza.
L'Unione europea è impegnata in questo campo da molti anni, sia sul piano interno che a livello
internazionale, e ha fatto della lotta al cambiamento climatico una delle priorità del suo programma di
interventi, di cui è espressione la sua politica climatica. L'Unione ha inoltre integrato l'obiettivo del
controllo dei gas serra in tutti i settori di azione, in modo da conseguire i seguenti obiettivi: consumo
più efficiente di un'energia meno inquinante; trasporti più puliti e più equilibrati; responsabilizzazione
delle imprese senza comprometterne la competitività; gestione del territorio e agricoltura al servizio
dell'ambiente e creazione di un quadro favorevole alla ricerca e all'innovazione.
Dott.ssa Margherita Favazza
[1] Icram - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare
[2] Secondo i dati rilevati dall’Irepa - Istituto Ricerche Economiche per la Pesca e l’Acquacoltura
Relazioni
II sessione
Presiede e coordina
Cap. Vascello Vittorio Alessandro
Comandante del porto di La Spezia
Vittorio Alessandro
Comandante Porto di La Spezia
Il Convegno Internazionale Mare e Territorio è ormai atteso dagli operatori del settore come un
annuale apporto di conoscenza e di riflessione sullo stato delle politiche del mare e sulla adeguatezza
degli strumenti e delle attività di protezione.
Giunto al suo ventisettesimo appuntamento, quest'anno il Convegno ha aperto i lavori con i migliori
auspici: il Capo di Stato Maggiore della Marina Amm.Sq. Paolo La Rosa, insignito del Premio
Dioscuri "Uomini del Mare 2008", ed il Presidente Nazionale della Lega Navale Italiana Marcello De
Donno hanno infatti conferito ancor più lustro alla manifestazione.
Le suggestive annotazioni dell'Amm. La Rosa su un proprio recente viaggio nei mari del nord hanno
segnato le prime battute del Convegno il cui tema - il cambiamento del clima - è di grande attualità,
come sempre gli argomenti al centro degli incontri agrigentini dall'ormai lontano 1982, quando la
discussione riguardò la legge n. 979 del 31.12.1981, ancor oggi fulcro normativo della tutela del mare
nel nostro Paese.
Le mutazioni climatiche in atto chiamano in causa delicatissime questioni oggi sul tavolo della ricerca
in campo ambientale, come il rapporto causale esistente fra tali mutazioni e le emissioni di gas in
atmosfera, ma anche gli effetti diretti ed indiretti del fenomeno, sui quali molti studiosi intervenuti in
Convegno si sono soffermati: lo scioglimento dei ghiacci, la diminuzione della biodiversità, i fenomeni
erosivi.
Le alterazioni del clima costituiscono un banco di prova per le politiche ambientali necessarie a
contenere il fenomeno. E' continua la produzione di norme internazionali volte ad indirizzare la
politica ambientale degli Stati verso strategie di intervento e di protezione.
Ancora una volta il Convegno ha dato voce ad illustri esperti in campo internazionale: le pagine di
questo volume danno atto della qualità del contributo portato da ciascuno di essi. La formula ormai
consueta dell'approfondimento delle questioni sul versante scientifico ed insieme su quello giuridico si
è dimostrata di ampio respiro e di grande efficacia.
E a tutto questo, come nella tradizione dell'appuntamento agrigentino, si unisce il contributo di
freschezza e di originalità portato dagli studenti delle scuole medie superiori. Le loro testimonianze,
semplici e spesso di grande effetto comunicativo, hanno conferito all'incontro quanto di più serve ad
incoraggiare il lavoro degli studiosi e degli operatori: la speranza in un ambiente migliore, e la ferma
volontà di difendere il nostro mare.
C/Amm.Vincenzo Pace
Gestore AA.MM.PP. Ustica- Capo Gallo Isola elle Femmine
Come ogni anno,ormai da oltre un lustro, torno ad Agrigento al richiamo dei validissimi amici della
locale Sezione della Lega Navale e della sua gentilissima e tenacissima Presidente la quale, tra mille
difficoltà lo sappiamo bene, ogni anno riesce di organizzare il Convegno Internazionale Mare e
Territorio, giunto alla sua 27^ edizione.
E per prima cosa vorrei lanciare un appello, in particolare alle Autorità Istituzionali,a cui va comunque
un sentito ringraziamento per quanto fatto per la realizzazione del Convegno, perché continuino
nell'impegno di assicurarne nel tempo (magari fino alla 50^ edizione) il suo realizzarsi poiché
immaginare un autunno Agrigentino senza il Convegno della Lega Navale sarebbe di una gravità e di
una tristezza infinite.
questa manifestazione qualifica la città e la Provincia di Agrigento, qualifica la nostra terra di Sicilia
per la profondità e l'interesse dei temi trattati, ad altissimo contenuto scientifico e per l'aspetto
veramente originale rappresentato dal coinvolgimento del mondo della scuola e dei giovani che ogni
anno non ci deludono, anzi ci sorprendono, per l'entusiasmo e la vivacità che mettono in un lavoro di
squadra ammirevole per serietà di applicazione nella ricerca e per fantasia nella realizzazione. Sono
sempre rimasto favorevolmente colpito dagli elaborati degli Istituti scolastici e sono
certo che anche quest'anno non rimarrò deluso. Voglio rivolgere a loro un personale caldissimo
ringraziamento: Ai loro insegnanti dico:- tenetevi cari questi giovani che rispondono con tanta
prontezza ed intelligenza alle vostre sollecitazioni. Ed ai ragazzi,agli studenti:- siete fortunati ad avere
insegnanti che riescono a toccare con tanta maestria le corde della vostra mente per instradarvi nei
giusti percorsi della curiosità e del sapere.
Benché sia ormai un veterano di questa giornata Agrigentina, quest' anno mi sento un po' più
estraneo e un po' più di famiglia: un po' più estraneo perché da alcuni mesi ho lasciato il servizio
attivo e quindi presenzio senza occupare alcuna carica istituzionale; e un po' piu di famiglia
perché da Agosto ho ricevuto dalla Presidenza Nazionale della Lega Navale l'onore della nomina
a Delegato Regionale per la Sicilia Occidentale.
Mi è stato richiesto di trattare l'argomento relativo alle Aree Marine Protette collegandolo al tema
generale del convegno sui cambiamenti climatici.
E' un argomento che mi è congeniale perché ormai da cinque anni assolvo all'incarico di Gestore
"provvisorio" delle AA.MM..PP. di Ustica e di Capo Gallo Isola delle Femmine e questa
"provvisorietà"-mettendo da parte ogni considerazione ironica sul suo protrarsi cosi a lungo nel
tempo- se da un lato ha costituito un handicap impedendomi di attuare una idonea programmazione
a medio-lungo termine, dall'altro mi ha costretto, vivendo e gestendo "alla giornata"ad affrontare e
risolvere le diverse problematiche sfruttando la cultura e l'esperienza di amministratore pubblico
mescolata con la flessibilità e la fantasia necessarie a far sopravvivere una realtà complessa.
Tratterò quindi l'argomento non da studioso dell'ambiente e nemmeno da operatore del Diritto
Ambientale, bensì da mestierante delle AMP, sperando di trasmettervi un minimo di interesse per
questa materia che ho imparato ad amare.
COS’E’ UNA AREA MARINA PROTETTA?
E’ una porzione di ambiente marino, costituita dall’acqua, dai fondali dai tratti di costa prospicienti
che presenta un particolare rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche,
fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marina e costiera e per la
valenza scientifica, ecologica, culturale, educativa e socio-economica che rivestono.
Possono, inoltre essere costituite da un ambiente marino di rilevante valore storico, archeologico e
culturale.
A queste porzioni di paradiso, viene data una connotazione giuridica ed amministrativa dagli
ordinamenti nazionali, sulla spinta dei dettati delle convenzioni internazionali e dell’azione degli
organismi internazionali che si occupano di salvaguardia dell’ambiente.
Nel nostro ordinamento giuridico le AMP sono istituite ai sensi delle leggi 979/82, 394/91, 344/97
e 426/98 con Decreto del Ministero dell’Ambiente.
L’iter amministrativo che conduce al riconoscimento giuridico di AMP parte dalla individuazione,
per legge,di 48 aree cosiddette di “reperimento” cioè, di quelle aree che, per le loro caratteristiche,
hanno la “vocazione” ad essere sottoposte a particolari regimi di tutela e gestione, elencate nelle
leggi prima citate.
Da questo elenco, attraverso una istruttoria tecnica e amministrativa molto particolareggiata ed
approfondita, si arriva alla denominazione Ministeriale di Area Marina Protetta.
Attualmente sono state istituite, nel nostro paese 25 + 1 AMP su 48 aree di reperimento.
La gestione, se non provvisoriamente affidata alle Capitanerie di Porto è data, attraverso la stipula
di una convenzione ad un ente pubblico, solitamente il Comune o i Comuni interessati, istituzioni
scientifiche o associazioni riconosciute.
Il primo atto dell’Ente Gestore è quello della preparazione di un disciplinare e poi di un
regolamento delle attività delle AMP.
Una delle fasi più importanti dell’istruttoria tecnica è quella relativa alla cd “zonazione” è cioè la
suddivisione in zone dell’ AMP, nelle quali varia la severità dei divieti e la limitazione delle attività
umane.
Ogni decreto istitutivo, per ogni singola AMP, riporta i limiti della zona con i relativi divieti e
limitazioni. Di solito si distinguono:
Una Zona A di riserva integrale considerata meritevole di protezione assoluta perché ancora
naturalmente integra con divieto di effettuare qualsiasi alterazione dell’ambiente salvo alcuni
interventi mirati.
L’accesso è solitamente vietato a chiunque; anche la ricerca scientifica viene praticata su specifica
autorizzazione.
Zona B di riserva generale
Territorio ben conservato con alcune manifestazioni di presenza umana meritevole di essere
preservato. Possono essere mantenute le strutture esistenti. Ma le nuove realizzazioni devono
essere progettate e realizzate dall’Ente Gestore.
L’accesso e le attività professionali e ludiche sono consentite con le limitazioni stabilite nel
Decreto d’istituzione oppure dall’Ente Gestore.
Zona C protezione esterna
Territorio che già subisce una consistente pressione antropica pur conservando interessanti
caratteristiche naturali. Le attività economiche possono esservi mantenute. I progetti innovativi
ammessi sono solo quelli tesi a migliorarne le condizioni materiali.
L’accesso è, solitamente, libero a tutti con qualche lieve limitazione nella fruizione.
PERCHE’ le AMP?
Principale scopo istituzionale delle AMP è la conservazione e la tutela di quelle particolari
caratteristiche e di quei valori naturali oltre che storico-culturali, didattici e socio-economici
contenuti all’interno dell’area prescelta. La tutela di quei valori è quindi la molla che ha generato
l’istituzione dell’AMP, in ossequio agli stimoli e alle raccomandazioni degli organismi
internazionali ripresi poi nelle Convenzioni Internazionali.
La legge 979/82, la prima legge organica in materia di Difesa dell’Ambiente Marino, nella quale
sono previste le istituzioni delle AMP, èfiglia della Convenzione di Barcellona 1976 che richiede ai
singoli STATI l’istituzione di Aree protette non il compito di tutelare la BIODIVERSITA’ .
E Come?
Intanto ,DIRETTAMENTE , con la contrapposizione fisica ad ogni forma di indisciplinata
INVASIONE dell’uomo tesa a violarne e sconvolgerne l’HABITAT ed a prelevare
disordinatamente gli organismi marini(ZONA di RIFUGIO) cosa che contribuisce a creare le
condizioni ideali per la riproduzione con effetti virtuosi anche nelle aree limitrofe all’AMP
(RIPOPOLAMENTO IRRADIATO) e poi, INDIRETTAMENTE, per il ruolo formativo che i
programmi di educazione ambientale proposti in diverse forme, rappresentano per i fruitori. E non
mi riferisco solo ai programmi che hanno una specifica finalità didattica-educativa, come quelli
mirati per i vari livelli della scuola che pure hanno una grande importanza poiché si rivolgono ad
una platea di scolari e studenti facilmente plasmabile che ,con facilità ,possono essere instradati
verso virtuosi convincimenti di tutela dell’Ambiente. Altrettanto proficuo, sul piano formativo, è il
programmare e svolgere attività di tipo turistico- ricreazionale che attirino l’interesse di ogni tipo
di visitatore, anche del più refrattario al richiamo ambientalista: Il gestore di un’ AMP può
segnarsi un punto a favore se un visitatore anche occasionale esce da un’AMP con un bagaglio di
conoscenze ambientali superiore a quello di cui era in possesso quando vi è entrato; anche se
l’interessato non ne è subito consapevole e pensa di avere solo passato una bella giornata di mare
divertendosi.
Per condurre al meglio le attività di fruizione con risvolti didattico- formativi e più in generale,per
meglio perseguire gli obbiettivi di gestione è necessario che le AMP si dotino di alcuni
strumenti,strutture ed organizzazioni funzionali ad iniziative che ,direttamente dall’AMP, o
collateralmente, possono svilupparsi con ricadute socio-economiche molto positive per il territorio
e le comunità locali:
- UN CENTRO DI ACCOGLIENZA E VISITE che deve costituire il punto di partenza, centrale, e
di arrivo di ogni visitatore e di ogni programma di attività. Condotto da personale qualificato per
dare ogni tipo di informazione,fornire materiale, mappe e pubblicazioni, consigliare la migliore
forma di fruizione dei servizi dell’AMP in relazione alla tipologia del visitatore.
-CENTRI DIVING con istruttori subacquei per l’iniziazione alle attività subacquee e per la guida
nei percorsi subacquei caratteristici e propri della AMP. Gli operatori diving, pur espletando
un’attività autonoma, sono i primi collaboratori del Gestore poiché hanno una visione continua e
diretta dei fondali e possono quindi registrarne ogni anomalia, ogni variazione rispetto alla
normalità e consentire al Gestore di agire tempestivamente per correggere, integrare, o modificare
secondo le esigenze. -IMBARCAZ IONI CON FONDO TRASPARENTE
Da utilizzare per dare la possibilità di visionare i fondali ai visitatori che non
Intendono effettuare immersioni.
-CAMPI BOE PER L’ORMEGGIO CONTROLLATO delle imbarcazioni che fruiscono
dell’AMP,in modo da evitare l’uso delle ancore ed i conseguenti danneggiamenti alla flora ed
all’assetto dei fondali.
Inoltre,il raggruppamento in zone predefinite e strategiche della maggior parte delle unità da
diporto che fruiscono della AMP consente di razionalizzare la pressione antropica sull’area,rendere
più agevole la vigilanza,e razionalizzare l’offerta di servizi ed assistenza( ritiro dei rifiuti di
bordo,fornitura di materiale promozionale ed informativo,servizi di ristoro ed offerta di prodotti
tipici locali ecc.)
-MUSEO E/O ACQUARIODa utilizzare non solo per la fruizione dei visitatori ma anche come laboratori di ricerca.
________________________
Ho prima accennato alla funzione socio-economica delle AMP; conviene riprenderla per
sottolineare alcuni concetti che ritengo importanti:
le AMP non sono, e non devono essere ,solo dei santuari naturalistico-scientifici e dei centri di
educazione e formazione ambientale Esse devono proporsi come punto di riferimento e centro
motorio di tutte quelle iniziative ed attività (commerciali,turistiche,imprenditoriali,folkloristiche),pubbliche e private,che si orientano verso un progetto di sviluppo.Per
assolvere a questa funzione è imprescindibile la partecipazione ad un progetto comune nel quale
chiamare a partecipare gli amministratori e le comunità locali che vanno ascoltate e,se
possibile,assecondate nelle loro istanze socio-economiche.
E’ difficile e faticoso, ma se non si trova un punto di equilibrio tra le esigenze
scientifiche,formative e di tutela ambientale proprie dell’AMP
e le aspettative socio-economiche di chi vive ed opera sul territorio (pescatori,operatori marittimi e
turistici,piccoli commercianti,ristoratori ecc.) per un percorso comune di sviluppo e di iniziative
concrete entrambi i fronti sono destinati a perdere la guerra anche se magari riusciranno a vincere
qualche battaglia. E’ necessario un impegno collettivo in cui ognuno ha il suo ruolo e la sua
importanza purchè tutti siano disposti a fare un passo laterale in ossequio ad interessi ben al di
sopra delle parti quali sono quelli connessi agli obiettivi generali di un AMP che,pur confinata in
un preciso ambito geografico,è patrimonio di tutti!
______________________
Come collegare le AMP al tema generale del convegno sui cambiamenti climatici? Lo farò
sinteticamente trattando di un aspetto delle attività che ho finora eluso: LA RICERCA SCIENTIFICA.
Le AMP costituiscono il grande laboratorio naturale nel quale i ricercatori si misurano ogni giorno
grazie ad una continua collaborazione con i gestori e
agli innumerevoli progetti di ricerca da questi finanziati alle università e a ricercatori autonomi.
Molti di questi progetti, direttamente o indirettamente, sono collegati agli effetti che il
cambiamento del clima sta provocando nell’ambiente in cui viviamo. Se risolviamo i problemi
politici internazionali che in questi giorni ci hanno un po’ frastornato circa la linea o le linee da
seguire per affrontare il problema che è tema di questo convegno, sulla cui esistenza sono tutti
d’accordo, le AMP sono già pronte per fare da scenario- laboratorio alla ricerca delle cause, degli
effetti, e delle soluzioni e il nostro Paese può ritagliarsi un ruolo di avanguardia poiché è
all’avanguardia come numero e qualità delle aree protette.
Basterebbe solo creare un collegamento operativo tra le AMP in modo da coordinare il lavoro già
svolto e quello da svolgere, ed indirizzarlo proficuamente verso obiettivi scientifici congrui.
Elisa Calcaterra e Davy Fiankan
Countdown 2010 Secretariat
IUCN – Unione Internazionale per la Conservazione della
Natura
Gli ecosistemi marini: sfide, problemi e il quadro internazionale
Gli oceani e i mari coprono il 70% della superficie del pianeta. L‘ambiente marino e costiero
contengono svariati habitat che fungono da supporto per un’abbondante vita marina. La vita
presente negli oceani produce un terzo dell’ossigeno che respiriamo, è una risorsa di proteine e
aiuta a diminuire l’impatto del cambio climatico. Le foreste di mangrovie, le barriere coralline, le
alghe, gli estuari nelle zone costiere, i sedimenti sui fondi degli oceani ad alcuni kilometri dalla
superficie sono solo alcuni degli esempi di habitat marini e costieri. In sintesi, i nostri oceani e
mari sono essenziali per la sicurezza mondiale del cibo e per la prosperità economica dell’umanità.
I pesci di mare e gli invertebrati sono tra le ultime risorse di cibo selvatico sul pianeta e forniscono
più di 2.6 miliardi di persone con almeno il 20 per cento della loro dose giornaliera di proteine.
Inoltre, gli oraganismi marini presenti negli oceani aiutano a diminuire l’impatto del cambio
climatico assorbendo un parte della CO2 rilasciata nell’atmosfera dale attivita’ umane. Allo stesso
tempo, giocano un ruolo fondamentale nella preservazione della biodiversità -- la rete della vita
sulla terra. Per esempio, i mari e gli oceani ospitano 32 su 34 dei tipi conosciuti di philum e
contengono tra 500,000 e 10 milioni di speciee marine protette. La diversità delle speciee marine si
ritiene essere fino a 1000 speciee per metro quadro negli oceani indiano e pacifico. Allo stesso
tempo, nuove speciee vengono scoperte continuamente, in particolare nelle aree di acqua alta. Di
conseguenza non è sorprendente che le risorse genetiche presenti negli oceani, nei mari e sulle
coste siano importanti dal punto di vista commerciale soprattutto nel campo della medicina e della
tecnologia oltre che al settore ovvio della pesca.
In breve, gli oceani e i mari sono essenziali per la sicurezza mondiale in quanto risorse necessarie
per l’alimentazione e la medicina per esempio, sono una riserva importante di biodiversità and una
fonte di benessere economico per l’umanità. Per queste ragioni, abbiamo il dovere di proteggerli e
conservarli per le generazioni future.
Figura 1 – Una mappa globale dell’impatto umano sugli ecosistemi marini, National Centre for
Ecological Analysis and Synthesis, Santa Barbara, Università della California.
Secondo un rapporto dell’ UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), nel 2006 il
numero di “dead zones”, ossia di aree morte nelle acque mondiali ha raggiunto quota 200. Una
dead zone e’ un’ area di un oceano o di un mare in cui il livello di ossigeno e’ molto basso e la
popolazione di alghe cresce a un ritmo troppo rapido a causa dell’inquinamento di sostanze
tossiche come, ad esempio, i fertilizzanti.
Secondo il Millennium Ecosystem Assessment, gli oceani e le coste del pianeta sono altamente a
rischio e soggetti a un cambiamento rapido.
Countdown 2010: una campagna per la frenare la perdita della biodiversità entro il 2010
L’iniziativa Coutndown 2010, Conto alla rovescia 2010, e’ stata lanciata dall’Unione Mondiale per
la Conservazione della Natura nel 2004 a Mahalahide in Irlanda sotto gli auspici della Presidenza
Iralndese dell’Unione Europea, in occasione di una riunione di esperti per discutere il tema della
protezione della biodiversità.
La biodiversità in generale è essenziale per la qualità della vita dell’essere umano, ed è elemento
cruciale per sostenere la dimensione sociale, economica e spirituale di tutte le società del mondo.
Nonostante ciò, la biodiversità continua a diminuire. Impegni politici sono stati sanciti per porre
uno stop a questa tendenza entro il 2010. Passi ulteriori devono però essere ancora compiuti per
onorare l’impegno e per tradurlo in pratica.
L’ Obiettivo pricnipale di Countdown 2010 e’ che tutti i governi ed i membri della società civile,
ad ogni livello, prendano tutti i necessari provvedimenti per fermare o significativamente ridurre la
perdita della biodiversità entro il 2010. Gli altri Obiettivi dell’iniziativa includono: incoraggiare e
supportare la piena implementazione di tutti gli impegni vincolanti internazionali esistenti e le
necessarie azioni per salvare la biodiversità; dimostrare chiaramente quale progresso i Paesi
compiono nello sposare il target 2010 per la biodiversità; ottenere la massima attenzione pubblica
verso la sfida di salvare la biodiversità; incoraggiare i decision makers a tutti i livelli, sia nel settore
pubblico che in quello privato, a contribuire a tali impegni e a incrementare la consapevolezza e la
partecipazione pubblica verso la conservazione della biodiversità, includendo la promozione di
attività esemplari dirette al target biodiversità 2010.
I principi su cui si basa l’iniziativa sono i seguenti:
3) Base scientifica: tutto il lavoro del Countdown 2010 e’ rafforzato da un supporto scientifico
e/o rilevanti esperienze di conservazione pratica e sarà svolto allo standard più elevato
possibile.
4) Trasparenza: il Countdown 2010 è ispirato al principio della trasparenza sia nelle procedure
che nell’effettuazione delle scelte. Assicurerà accesso pubblico alle informazioni, nel contempo
rispettando la privacy dell’individuo ed il rapporto di confidenzialità, così come appropriato.
5) Sussidiarietà: il Segretariato del Countdown 2010 lavorerà al livello più appropriato (locale,
nazionale, regionale e multiregionale) e svolgerà solo quelle attività del Countdown 2010 che i
partners da soli non sono capaci di compiere.
6) Autonomia: il Countdown 2010 è un’alleanza indipendente. E’ governata dalla volontà dei suoi
partners attraverso i meccanismi istituzionali in funzione (Advisory Board e assemblea dei
partners).
Ecosistemi marini sotto pressione
Le principali cause di perdita della biodiversita marina sono le seguenti:
1) Perdita o degradazione di habitat
Agenti inquinanti chimici (fertilizzanti) o fisici (rumore, rifiuti) e distruzione o degradazione degli
habitat a causa di attaivita umane e disastri naturali sono da considerarsi come minacce. Per
esempio, il porcesso di industrializzazione o l’intensificazione dell’agricoltura possono portare
all’eutrofizzazione. L’eutrofizzazione a sua volta puo’ portare a uno sviluppo anormale di fioriture
algali per gli ecosistemi marini in quanto causano, ad esempio, un’alterazione nella ridistribuzione
dell’ossigeno, l’obstruzione delle branchie dei pesci, il rilascio di sosteanza tossiche, liberano
sostanze tossiche e maleodoranti e colorano le acque togliendo loro limpidità e trasparenza.
2)La pesca eccessiva
La pesca eccessiva è ampiamente riconosciuta come il principale pericolo per la fauna selvatica e
gli habitat e comprende: la pesca distruttiva (con dinamite ad esempio), illegale, non dichiarata e
non regolamentata oltre che accidentale (cattura accidentale di speciee non desiderate, ma
comunque catturate dalle reti).
La FAO (Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione) riporta che circa il 75 per cento delle
riserve di pesce del pianeta sono impoverite, over utilizzate o esaurite.
3) L’invasione di speciee esotiche invasive
Le speciee esotiche invasive sono nella maggior parte dei casi inotrodotte negli ecosistemi marini dal
trasporto di mercanzia e dalla costruzione di infrastutture (ad esempio, il canale di Suez, vedi sotto).
Quando queste speciee si stabiliscono in un habitat possono spesso diventare un problema per fuana
nativa. Il fatto che possano stabilirsi in un determnato ambiente significa che sono in grado di
competere con la fauna locale per il cibo e spesso si rivela predatori delle speciee locali o piu forti. Per
esempio, la Caulerpa taxifolia (alga assissina), nativa dell’ oceano Indiano e’ stata introdotta per
errore nel mediterraneo e ora prolifera abbondantemente e compete con parecchie speciee locali.
7) Il cambio climatico globale
Il cambio climato ha un effetto rilevante sugli ecosistemi marini perche porta a cambiamenti nei
parametri dell’acqua (temperatura, pH, grado di salinita), a un innalzamento nel livello del mare e a
movimenti generali. Questo tipo di cambiamenti sono particolarmente dannosi per gli organismi
marini fissi, ossia incapaci di spostarsi in cerca di un habitat migliore. Un esempio eccellente sono
le barriere coralline, probabilmente uno degli ecosistemi marini principali in quanto rappresenta un
zona per la riproduzione e la crescita di varie speciee. Circa il 20 per cento delle correire coralline
sono state distrutte e non mostrano alcun segno di recupero, il 16 per cento e’ stato severamente
danneggiate dallo sbiancamento del corallo nel 1998 dovuto al El Nino e solo il 40 per cento si sta
riprendendo o si é completamente ripreso. Circa il 24 per cento delle rimanenti barriere coralline
sono a rischio imminente di collasso dovuto alla pressione umana.
Le attivita’ umane sono responsibili a diversi livello per ognuna di delle cause di perdita della
biodiversita menzionate. Alcuni ecosistemi sono sottopostoi alla pressione di piu di un tipo di
pesca eccessiva. Si puo per esempio immaginare una situazione in un habitat temperato dove sia gli
effetti del cambio climatico sia speciee esotiche invasine siano presenti. Supponiamo che le speciee
esotiche invasive provengano da un clima piu’ caldo (tropicalizzazione). Senza gli effetti del
cambio climati, in questo habita si avrebbe una situazione di competizione tra speciee autoctone e
speciee esotiche, che puo’ portare le speciee esotiche a prevalere. Se si aggiungono gli impatti del
cambio climati, le speciee esotiche, abituate ad acque piu’ calde, prevalgono e quelli autoctone
possono arrivare ad estinguersi.
Nella maggior parte degli ecosistemi marini coesistono tre cause di perdita della biodiversita’ e la
pesca eccessiva solitamente rappresente la minaccia principale.
Il quadro internazionale
Secondo i principi generali del diritto internazionale, gli stati sono responsabili per assicurare che
le attività nella propria giurisdizione nazionale o sotto il proprio controllo non causino danni
all’ambiente marino al di fuori della giurisdizione nazionale. L’articolo 192 della Convezione sul
Diritto del Mare (UNCLOS) delle Nazioni Unite, stabilisce che gli stati devono proteggere e
preservare l’ambiente marino. I capi di stato dell’Unione Europea si sono impegnati a fermare la
perdita della biodiversità entro il 2010. Gli stati firmatari della Convezione delle Nazioni Unite
sulla Diversità Biologica si sono impegnati nel 2002 a frenare il tasso di perdita della biodiversità
in modo significativo entro il 2010. La conservazione e l’uso sostenibile delle risorse marine gioca
un ruolo importante nel raggiungimento di questi obiettivi.
Durante la settima conferenza delle parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (2004), gli
stati firmatari si sono impegnati a creare un network efficientemente gestito e rappresentativo di
aree marine protette a livello globale entro il 2012. L’obiettivo è quello di costituire un netwrok che
copra il 10 per cento di tutte le aree ecologiche marine tra aree strettamente protette e aree miste.
La nona conferenza delle parti (Bonn, 2008) ha adottato due decisioni cruciali per la biodiversità
marina che forniscono le basi per conservare la biodiversità marina nelle acque internazionali,
ossia al di fuori delle aree sotto la giurisdizione nazionale. Per la prima volta, gli stati firmatari
hanno adottato dei criteri scientifici per individuare le aree che necessitano un intervento di natura
conservativa. La conferenza ha inoltre deciso che una guida scientifica sarà la base per lo
stabilimento di un network di aree marine protette. Gli stati firmatari hanno inoltre adottato una
moratoria sulla fertilizzazione degli oceani, con l’eccezione di studi scientifici di scala ridotta.
La situazione in Europa e nel mediterraneo
L'Europa possiede 70 000 km di coste che si affacciano su due oceani e quattro mari: l'oceano
Atlantico e l'oceano Artico, il Baltico, il mare del Nord, il Mediterraneo e il mar Nero. Le regioni
marittime dell'Unione europea contribuiscono per circa il 40% del PIL e accolgono il 40% della
sua popolazione.
La Commissione Europea riconosce la necessita’ di garantire un uso sostenibile dell'ambiente
marino, come prerequisito per la concorrenzialità delle industrie ad esso correlate. La
Commissione ha pertanto proposto nell’ottobre del 2007 una politica marittima integrata per
l'Unione europea, basata sull'esplicito riconoscimento della correlazione di tutte le questioni
connesse agli oceani e ai mari europei e della necessità che le politiche marittime vengano
elaborate congiuntamente al fine di ottenere i risultati auspicati. La sua applicazione richiederà un
rafforzamento della cooperazione e un efficace coordinamento di tutte le politiche marittime ai
diversi livelli decisionali. Una politica marittima integrata rafforzerà la capacità dell'Europa di far
fronte alle sfide della globalizzazione e della competitività, al cambiamento climatico, al degrado
dell'ambiente marino, alla sicurezza marittima nonché alla sicurezza e alla sostenibilità
dell'approvvigionamento energetico.
La Commissione Europea ha inoltre proposto varie tipologie di interventi, dall’abolizione della
pesca a piu’ di 1000 metri di profondita’ all’introduzione di specieali permessi di pesca che
regolino le attivita nelle aree dove sono presenti degli ecosistemi fragili o a rischio di collasso. Al
momento la Commissione Europea ha aperto un consultazione per raccogliere il parere degli
stakeholders dell’area del mediterraneo sulla politica marittima integrata proposta nell’ ottobre
2007. Questo processo sara’ utile per la preparazione di una strategia per l’area mediteranea.
L’area mediterranea e’ uno dei mari semichiusi di maggiore estensione. Lo scambio tra il mare
mediterraneo e l’oceano atlantico e’ molto ridotto e lo scambio con Mar Rosso e il Mar morto e’
trascurabile. Il mare Mediterraneo copre un’area du circa 2.5 millioni di kilometri cuadrati e si
estende de est a ovest per 3.900 kilometri, con un’ampiezza massima di 1.600 kilometri. La sua
profondita’ media e’ di 1,500 metri. Il mar Mediterraneo rappresenta l’ 1 per cento della superficie
globale degli oceani e mari, ma contiene il 18% delle specie macroscopiche mondiali, di cui circa il
25 – 30 per cento sono endemiche. Un esempio e’ la foca monaca, che e’ uno dei pinnipedi piu’ a
rischio a livello mondiale.
Il bacino del mediterraneo e’ circondato da zone altamente industrializzate e popolate. 455 milioni
di abitanti vivono sulle coste del mare Mediterraneo e nelle immediate vicinanze. La zone riceve
inoltre un flusso di turisti elevato. La popolazione elevata e il fatto che si tratta di un mare
semichiuso costituiscono elementi di pressione considerevoli suggli ecosistemi marini
mediterranei. Secondo un rapporto recento dell’ Unione Internazione per la Conservazione della
Natura, il mare mediterraneo e’ uno dei luoghi piu’ pericolosi per gli squali e le razze. Piu’ del 40
percento e’ a rischio di estinzione.
Figure 2: Grafico raffigurante le maggiori minacce per gli amfibi, gli uccelli, I pesci cartilageni,
granchi e gamberi, libellule, pesci di acqua dolce endemici, mammiferi (inclusi quelli marini e
rettili nell’area Mediterranea (4).
Il mare Mediterraneo e’ una delle aree a rischio a causa dei seguenti motivi:
•
pesca eccessiva, che spesso include la pesca accidentale (ad esempio di squali)
•
perdita o degradazione delle praterie marine, uno degli ecosistemi più importanti del
mediterraneo stanno scomparendo a causa della pressione umana (ancore, inquinamento, rifiuti
non trattati etc).
•
uso sistematico di vernice anti-incrostazioni per proteggere le navi che rappresenta un pericolo
per molte specie e per gli ecosistemi.
•
tropicalizzazione e invasione di specie esotiche invasive (la costruzione del canale di Suez ha
facilitato notevolmente l’ingresso di specie del mar Rosso)
•
cambio climatico, anche se gli effetti sono ancora parzialmente sconosciuti.
•
in generale, l’uso intensivo del mare mediterraneo come via di comunicazione, le speciee
esotiche, l’inquinamento dovuto agli scarichi urbani, l’esplusione di carburante dalle navi e la
sua conformazione lo rendono uno dei sistemi piu’ vulnerabili.
Countdown 2010 per gli ecosistemi marini
Countdown 2010 al momento conta 705 partners (aggiornato al 24 settembre 2008), di cui 26
governi, 49 agenzie governative, 235 enti locali, 57 imprese private, 17 instituti accademici e 321
organizzazioni della societa’ civile.
Countdown 2010 sta lavorando da anni per promuovere azioni nel settore della protezione degli
ecosistemi marini e per mantenere aperto un dialogo sulle politiche generali all’interno dell’Unione
Europa. Nel 2007 Countdown 2010 ha organizzato un evento che ha raccolto i principali esperti nel
settore per discutere le politiche europee e proporre soluzioni e raccomandazioni. La segreteria
segue da vicino tutti gli sviluppi e partecipa attiavamente agli eventi di rilievo. Countdown 2010 e’
inoltre impegnato sul fronte della sensibilizzazione ed ha recentemente organizzato un iniziativa,
Sailing to Barcelona in coincidenza del Congresso Mondiale dell’ Unione Internazionale per la
Conservazione della Natura (IUCN) a Barcellona per diffondere l’importanza della conservazione
dei nostri mari ed oceani. Allo stesso tempo, Countdown 2010 segue l’evoluzione delle politiche a
livello internazionale e lavorara con i propri partner per influenzarle e supportarle durante la fase
della loro definizione.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e’ un partner fondamentale
dell’iniziativa ed e’ particolarmente attivo da anni sia sul fornte della sensibilizzazione sia a livello
di progetti pratici. Il Ministero ha dedicato negli anni parecchi sforzi alla conservazione delle
risorse marine e l’Italia puo’ al momento contare su 21 aree marine pretette che tutelano
complessivamente circa 188,055 mila ettari di mare e circa 603,54 chilometri di costa. In
particolare e’ da notare, nel contesto dei recenti sviluppi a livello di politiche internazionali, che
l’Italia puo’ vantare una delle uniche 3 riserve marine in una zone di alto mare a livello mondiale
(high sea marine protected area), il Santuario PELAGOS per i mammiferi marini del mediterraneo.
Spunti di riflessione
Per con concludere, vorremmo presentare qualche punto su cui riflettere ed eventualmente
appronfondire.
Gli obbiettivi del 2010 (e probabilmente quelli del 2012) non verranno raggiunti, e’ quindi utile
continuare su questa strada e proporre nuovi obiettivi? Dobbiamo quindi semplicemente arrenderci
o dovremmo invece essere ancora più motivati a fare tutto il possibile?
Pur sapendo che non verranno raggiunti, gli obbiettivi dl 2010 sono spesso definiti dalla comunita’
internazionale come un successo in termini di sensibilizzazione di attori tradizionalmente non
coinvolti direttamente con la protezione della biodiversita’, e’ sufficiente questo argomento per
definirli un successo?
E’ giusto stabilire degli obiettivi prima di avere a disposizione degli strumenti che ci aiutino a
valutare il loro raggiungimento e ci consentano, almeno approssimativamente, di monitorare i
risultati da ottenere entro la data limite?
La creazione di un network di aree marine protette entro il 2012, cosi’ come indicato dalla
conferenza delle parti nel 2004, sembra un obiettivo irragiungibile, ma e’ per questo non valido? La
creazione di 21 aree marine protette in Italia, ad esempio, scaturisce infatti da un processo
decisionale a livello internazionale, cosi’ come tanti altri piu’ o meno importanti successi
nell’ambiente della conservazione della natura
Riferimenti bibliografici
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Problems and Prospects for Future Research. Marine Pollution Bulletin 40(5): 367-376.
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3) Commissione Europea (2007), Una politica marittima integrata per l'Unione Europea
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Mediterranean: a biodiversity hotspot under threat. In: J.-C. Vié, C. Hilton-Taylor and S.N. Stuart
(eds). The 2008 Review of The IUCN Red List of Threatened Species. IUCN Gland, Switzerland
5) Diaz, R.J. and Rosenberg, R. (2008) Spreading dead zones and consequences for marine
ecosystems. Science 321: 926 929.
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10) Vega M., Ecotoxicology and other issues for the Mediterranean Sea vega@era
consult.comApdo. 3350-28020. Madrid. Spain (http://www.era-consult.com)
11) A. Meinesz, J. de Vaugelas, B. Hesse and X. Mari (1993), Spread of the introduced tropical green
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Siti web
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http://www.un.org/Depts/los/index.htm
13) Convention of biological diversity-Belgian clearing house mechanism, http://bchcbd.naturalsciences.be
14) Convenzione Internationale sulla Diversita’ Biologica delle Nazioni Unite, www.cbd.int
15) Countdown 2010 per gli ecosistemi marini, http://www.countdown2010.net/marine
16) Ministero dell’ Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Italiano,
http://www.minambiente.it/index.php?id_sezione=958
17) Millenium Ecosystem Assessment,
18) Lista delle aree marine protette in Europa, www.medpan.org
19) Invasive and Exotic speciees, http://www.invasive.org/
20) Sailing to Barcelona ,
http://www.iucn.org/news_events/events/congress/about/specieal_events/sailing/index.cfm
21)The Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, http://www.csiro.au
22) The International Union for the conservation of Nature, www.icun.org
Università di Palermo
F. Colombo, S. Vizzini, A. Mazzola
Dipartimento di Ecologia
Effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità in Mediterraneo
Sommario
Numerosi dati di letteratura dimostrano come i cambiamenti climatici abbiano già avuto, a scala
mondiale, degli effetti percettibili sulla biodiversità, e come possano influire sulla sostenibilità dei
processi che ad oggi gli ecosistemi naturali supportano. Nell’ambito del Mediterraneo, tali effetti
risultano particolarmente drastici, a causa soprattutto della conformazione chiusa del bacino. Ad
esempio, uno degli effetti dell’aumento della temperatura delle acque meglio documentati nel mondo è
costituito dalle migrazioni latitudinali degli organismi marini; nel Mediterraneo, tali spostamenti
trovano dei limiti invalicabili costituiti dalle terre emerse che lo racchiudono e comportano, in alcuni
casi, veri e propri eventi di estinzione di specie.
Attraverso l’analisi dei risultati di ricerche scientifiche realizzate in Mediterraneo, si evidenzia come
esistano numerosi segnali di minaccia alla biodiversità marina correlati ai cambiamenti climatici, a
fronte dei quali, però, esiste ancora una notevole carenza di informazioni. Si corre il rischio di
sottostimare la riduzione della biodiversità, danneggiando o perdendo importanti sistemi proprio per
mancanza di conoscenze, come gli ecosistemi profondi, delle cui popolazioni da sempre si conosce ben
poco. Non bisogna inoltre dimenticare come il massiccio sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo,
contribuisca fortemente a rendere tali sistemi sensibili.
Tutto questo non può non avere importanti ricadute dal punto di vista gestionale e, nel contesto della
messa a punto di strategie di sviluppo sostenibile, si sottolinea la necessità di avviare programmi di
ricerca, coordinati dai diversi paesi che insistono nel bacino, al fine di poter far fronte agli effetti dei
cambiamenti climatici sulla biodiversità nel Mediterraneo.
Introduzione
Il clima sta modificandosi ad una velocità senza precedenti per cause non solo naturali, bensì, come
dimostra una straordinaria quantità di dati scientifici, per cause principalmente antropiche. Solo in
tempi recenti la presa di coscienza che un processo degenerativo del pianeta possa essere stato causato
dall'attività umana, ha indotto i governi ad interrogarsi e confrontarsi su scala mondiale ed a stimolare
la ricerca scientifica verso un concreto impegno riguardante lo studio dei processi interattivi tra clima
ed ambiente che vengono comunemente definiti "cambiamenti globali" (UNCED, agenda 21, 1992). Il
cambiamento del clima è stato definito dall'IPCC (Intergovernamental Panel for Climate Change)
come una variazione attribuibile, direttamente o indirettamente, all’attività dell'uomo che altera la
composizione dell'atmosfera globale; il cambiamento climatico così inteso si aggiunge alla normale
variabilità climatica terrestre. Sebbene l'aspetto climatico costituisca la componente più visibile e nota
dei cambiamenti globali, questi operano anche attraverso meccanismi più complessi e profondi che
innescano reazioni, più o meno note, sul pianeta terra ed i suoi ecosistemi. L'aumento delle conoscenze
nel settore dei cambiamenti globali ha portato a concepire il sistema fisico terrestre come intimamente
legato ai cicli biogeochimici ed ai processi della biosfera (UNEP-MAP-RAC/SPA 2008).
Nonostante gli effetti dei cambiamenti globali che avvengono sulle terre emerse siano, a causa della
loro maggiore visibilità, più noti all’opinione pubblica, anche l’ambiente marino è fortemente
interessato da questo fenomeno.
In mare le modificazioni più evidenti riguardano la distribuzione della temperatura e, di conseguenza,
la circolazione delle masse d’acqua, l’innalzamento del livello del mare e la ripetitività di eventi
metereologici eccezionali. Tali modificazioni innescano profonde reazioni negli ecosistemi marini sino
ad incidere profondamente sulla produttività e la biodiversità, fattori a loro volta connessi agli aspetti
sociali, economici e culturali dell’umanità.
Malgrado gli effetti più conosciuti dei cambiamenti globali in mare riguardino gli oceani (si pensi ad
esempio all’alterazione del ciclo de El Niño), anche nelle comunità e negli ecosistemi dei bacini meno
estesi, quale il Mediterraneo, si verificano profonde e complesse trasformazioni (UNEP-MAPRAC/SPA 2008).
Il Mediterraneo, a causa della sua condizione di mare semichiuso e fortemente antropizzato, può subire
effetti che, sebbene non direttamente evidenti, incidono profondamente sull’intero sistema. Si
osservano infatti modificazioni significative quali: variazioni nelle temperature stagionali; variazioni
qualitative e quantitative dei nutrienti e della produzione primaria (con probabili effetti sull’incremento
delle mucillagini), alterazioni della circolazione delle acque (ad esempio correnti di up-welling)
alterazioni nella biodiversità vegetale e animale e cambiamenti nella quantità e qualità delle risorse
pescabili.
L’interferenza delle attività umane rende ancora più drammatici e rapidi i cambiamenti, ad esempio
attraverso l’aumento dello sforzo di pesca in aree sensibili e nei confronti di specie particolarmente
vulnerabili, attraverso la distruzione diretta degli habitat ed ancora per effetto dell’aumento delle
sorgenti e dell’intensità di inquinamenti e disturbi nei confronti dei sistemi marini.
I risultati dei progetti di ricerca realizzati in Mediterraneo evidenziano numerosi segnali di minaccia
alla biodiversità marina correlati ai cambiamenti climatici, nonostante le informazioni ottenute siano
ancora parziali, sia per quanto riguarda le specifiche di ricerca che per quanto riguarda le aree
geografiche indagate. Durante gli ultimi 15 anni sono stati pubblicati da ricercatori italiani (Bianchi,
1997, 2004, 2007; Bianchi e Morri, 1993, 2000; Occhipinti-Ambrogi, 2007) e francesi (Laubier, 2001,
2003; Laubier et al., 2003) diversi lavori di sintesi dei risultati ottenuti, ma molti dei dati raccolti non
sono ancora stati pubblicati.
Le aree costiere necessitano di particolare attenzione sia per la loro alta biodiversità e produttività, sia,
soprattutto, per il loro alto grado di interazione con la presenza umana. Infatti l’interferenza delle
attività umane rende ancora più drammatici e rapidi i cambiamenti.
Appare evidente l’importanza e l’urgenza di incrementare gli studi in questo campo di ricerca,
considerando come il Mediterraneo costituisca un grande hot spot di biodiversità. Secondo recenti
stime vivrebbero nel Mediterraneo più di 8500 specie di macrorganismi marini, corrispondenti ad una
percentuale compresa tra il 4% e il 18%, di tutte le specie marine del mondo (Bianchi e Morri, 2000).
Tali cifre appaiono ancora più significative se si considera che il Mediterraneo costituisce solo lo
0.82% come superficie e lo 0.32% come volume di tutti i mari della Terra (Bianchi e Morri, 2000).
L’aumento della temperatura in Mediterraneo
L'ipotesi del riscaldamento delle acque del Mediterraneo fu avanzata per la prima volta, supportata da
prove, da Béthoux et al. (1990) che utilizzò un set di dati idrologici acquisiti tra il 1959 e il 1989 nel
nord-ovest del Mediterraneo. Questi autori dimostrarono l'esistenza di un innalzamento della
temperatura delle acque profonde di 0.12 °C in 30 anni, corrispondente ad un aumento annuale di
0.004 °C. Tale riscaldamento delle acque profonde, che può apparire minimo, ha un’indiscutibile
influenza sulle temperature delle acque costiere; per quest'ultime risulta difficile valutare l'entità delle
variazioni, a causa della estrema variabilità spaziale e temporale della temperatura superficiale rispetto
alla relativa stabilità delle temperature profonde. Dal 1990 la temperatura delle acque profonde ha
continuato ad innalzarsi con un aumento pressochè lineare (Béthoux e Gentili, 1999; Béthoux et al.,
1999).
Per quanto riguarda il bacino orientale del Mediterraneo mancano osservazioni comparabili. Tuttavia
recentemente è stato evidenziato che gli anni eccezionalmente caldi (1987, 1992-1993) così come gli
anni caratterizzati da precipitazioni particolarmente scarse (1989-1990 e 1992-1993) hanno causato un
incremento della salinità (da 38.9 a 39.1) e di conseguenza della densità (da 29.2 a oltre 29.3) delle
acque profonde del bacino orientale (Lascaratos et al., 1999).
Allo stato attuale delle conoscenze non si possiedono informazioni per valutare l'effetto di questi
piccoli incrementi della temperature sulla fauna profonda: ciò dipende soprattutto dal fatto che le
conoscenze sulle popolazioni bentoniche profonde sono estrememente limitate e insufficienti per
valutarne variazioni qualitative o quantitative.
Per quanto riguarda le acque superficiali, fino a pochi anni fa non erano noti set di dati attendibili.
Molto recentemente sono stati raccolti da volontari, sulle coste catalane spagnole e lungo le coste della
Provenza, dati relativi al trentennio precedente (Francour et al.,1994; Salat e Pascual, 2002; Romano,
2003). Tali dati concordano nell'evidenziare un nettissimo trend di innalzamento delle temperature
delle acque costiere (circa 1°C negli ultimi trenta anni) nel Mediterraneo nord-occidentale. Purtroppo
non si possiedono set di dati paragonabili per il Mediterraneo meridionale e orientale e tali lacune non
ci consentono di ricostruire un quadro rappresentativo della situazione generale. Nonostante ciò,
sempre più spesso si osservano migrazioni di specie termofile da sud verso nord e si assiste alla
colonizzazione del bacino levantino da parte di migranti lessepsiani dal Mar Rosso.
Studi recenti hanno identificato una correlazione tra l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO: North
Atlantic Oscillation) e le variazioni climatiche nel nord-ovest del Mediterraneo (Molinero et al., 2005),
in particolare con il trend di incremento delle grandi anomalie di temperatura. Queste ultime sono
rappresentate dagli inverni straordinariamente caldi e dalle ondate di caldo estive, eventi che
influenzano soprattutto quelle attività che sisvolgono lungo la fascia costiera.
Una delle anomalie di temperatura meglio documentate è stata quella dell’estate 1999 nel
Mediterraneo nord-occidentale. Tale evento causò una mortalità di massa di invertebrati bentonici
(Cerrano et al., 2000; Pérez et al., 2000; Romano et al., 2000). Dal confronto tra i dati metereologici
della regione di Marsiglia durante l’estate del 1999, con quelli di una dozzina di anni precedenti,
risulta evidente un calo della frequenza dei venti provenienti da nord-ovest (maestrale) tra giugno e
ottobre, oltre che una riduzione dell’intensità delle raffiche (Romano et al., 2000). Dunque, le
variazioni del regime della circolazione d’aria nel nord-ovest d’Europa, strettamente legate alle
oscillazioni nord-atlantiche, si ripercuotono anche sulle temperature dell’aria e delle acque in
Mediterraneo.
Conseguenze biologiche del riscaldamento globale in Mediterraneo
L'aumento della temperatura dell'acqua comporta un inevitabile stress fisiologico per gli organismi.
Tale stress, se prodotto regolarmente e per periodi prolungati, può condurre a cambiamenti nella
distribuzione geografica o a modificazioni drastiche del ciclo vitale e ad adattamenti in situ. Lo stress
fisiologico risulta essere in alcuni casi di entità tale da comportare eventi di mortalità di massa, ad
esempio quando la soglia di tolleranza viene oltrepassata e risulta impossibile per gli organismi
spostarsi verso aree con condizioni climatiche differenti. Gli organismi sessili o stazionari risultano
particolarmente sensibili a tali fenomeni: infatti vanno incontro a eventi di mortalità di massa
accompagnati da condizioni di patologia degli organismi stessi, e seguiti dalla sostituzione delle specie
da parte di altre solitamente provenienti da regioni più meridionali o dotate di maggiore adattabilità
(Harvell et al., 1999, 2002; Hughes, 2000). Inoltre si assiste ad una modifica della distribuzione delle
specie endemiche mediterranee con una migrazione interna al Mediterraneo, definita come
“meridionalizzazione” del bacino settentrionale; quest’ultimo viene invaso da specie termofile
autoctone mediterranee che ampliano la loro biomassa e distribuzione estendendosi dal sud verso il
nord del Mediterraneo. Tali modificazioni ovviamente producono importanti ripercussioni sulla
biodiversità e possono modificare profondamente l'aspetto del paesaggio sottomarino.
Di seguito si descrivono i principali fenomeni verificatisi in Mediterraneo negli ultimi anni e
direttamente collegati al riscaldamento delle acque.
Necrosi e mortalità di massa. Gli eventi climatici estremi vengono percepiti dai sistemi biologici
come stress acuti che incidono profondamente sul funzionamento degli ecosistemi. Ogni specie
presenta un intervallo naturale di tolleranza alle variazioni di temperatura, rispondendo a quest’ultime
con adattamenti fisiologici, biochimici e comportamentali. In Mediterraneo, negli ultimi 30 anni, ed in
particolare nell’ultima decade nel bacino nord-occidentale, sono stati documentati numerosi episodi
drammatici di malattia e mortalità a carico di organismi bentonici. Gli eventi di mortalità meglio
documentati sono stati registrati nelle estati del 1999 e del 2003: in questi anni, in seguito ad anomali
innalzamanti della temperatura, sono state colpite più di 30 diverse specie di invertebrati di substrato
duro, lungo diverse centinaia di chilometri di costa tra l’Italia e la Francia, oltre che in alcune zone
costiere della Spagna (Pérez et al., 2000; Rodolfo-Metalpa et al., 2000; Cerrano et al., 2000, 2005,
2006; Garrabou et al., 2001; Coma et al., 2004, 2006; Linares et al., 2005). I gruppi maggiormente
colpiti sono stati le spugne e gli cnidari, insieme a briozoi, molluschi e tunicati. Tra questi risultano
coivolte numerose specie endemiche del Mediterraneo e varie specie di elevato interesse commerciale
(Corallium rubrum, Spongia spp., e Hippospongia communis), nonché le specie strutturanti del
paesaggio (gorgonie). Diversi coralli sono stati inoltre vittime di ripetuti eventi di sbiancamento.
Invasioni biologiche. Le invasioni biologiche sono considerate come un elemento dei cambiamenti
globali, poichè coinvolgono la biodiversità e sono strettamente legate al cambiamento climatico
(Bianchi, 1997; Occhipinti-Ambrogi e Savini, 2003).
Il Mediterraneo orientale risulta particolarmente suscettibile alle invasioni da parte di specie esotiche a
causa della apertura del canale di Suez, dell’intenso traffico marittimo, nonchè della grande quantità di
baie e lagune interessate da attività di acquacoltura. Molte macrofite, invertebrati e pesci esotici sono
oggi comuni negli habitat del Mediterraneo orientale. Se da una parte non si possono correlare gli
eventi di introduzione con i cambiamenti climatici, risulta evidente che le specie Lessepsiane (così
come quelle dell’Atlantico subtropicale che arrivano dallo stretto di Gibilterra) sono favorite
dall’aumento delle temperature delle acque (Occhipinti-Ambrogi, 2007). Galil e Zenethos (2002)
hanno evidenziato come il processo di colonizzazione del Mediterraneo orientale e l’espansione verso
ovest delle specie Lessepsiane abbia subito una drastica accellerazione negli ultimi 15 anni, proprio a
causa del riscaldamento delle acque. Tali valutazioni necessitano di costanti e specifiche misurazioni
dell’aumento delle tamperature di questo bacino, che, come evidenziato, ad oggi risultano lacunose.
Variazioni del funzionamento degli ecosistemi. Una delle conseguenze più immediate dei
cambiamenti di biodiversità, ovvero della scomparsa di alcune specie, e della sostituzione di alcune di
esse da parte di altre, consiste nella modificazione del funzionamento degli ecosistemi marini. Studi
recenti (Molinero et al., 2005a, b) hanno identificato una serie di reazioni a catena che partono dalle
fluttuazioni delle popolazioni planctoniche collegate con le variazioni globali, per arrivare ad
importanti alterazioni del funzionamento delle reti alimentari. Le comunità planctoniche, in particolare
i copepodi, giocano un ruolo chiave nel flusso della materia organica e dell’energia all’interno dei
sistemi pelagici, esercitando inoltre una notevole influenza sul reclutamento delle specie ittiche.
Queste comunità sono soggette al controllo della componente gelatinosa del plancton (meduse in senso
ampio, sifonofori e ctenofori), che costituisce la maggior parte dei predatori di copepodi, di larve e di
uova di pesci. Risulta quindi importante valutare l’influenza delle variazioni climatiche su questi
organismi dal ciclo vitale molto breve, i cui stock vengono rinnovati anno per anno. Sull’aumento delle
popolazioni di copepodi si è osservata l’influenza dell’aumento delle temperature sia come controllo
“dal basso” ovvero esercitato dalla quantità di nutrienti e dallo sviluppo di particolari specie
fitoplanctoniche (ad esempio la diminuzione delle diatomee e l’aumento delle dinofite), sia come
controllo “dall’alto” ovvero attraverso l’aumento della pressione predatoria esercitato dalle meduse
che, in seguito ad aumenti di temperatura, vanno incontro a massiccie fioriture. Le variazioni che
coinvolgono tali piccoli organismi hanno come risultato la modificazione degli stock di specie ittiche
di grande interesse commerciale, quali acciughe e sardine.
Le conseguenze per gli ambienti profondi, al contrario, risultano, ad oggi, molto meno studiate.
Danovaro et al. (2001) hanno evidenziato gli effetti delle recenti modificazioni delle caratteristiche
fisico-chimiche delle acque profonde nel Mediterraneo orientale, causate dal cambiamento climatico.
Tali modificazioni hanno comportato l’accumulo di materia organica sui sedimenti profondi, alterando
i cicli di carbonio e azoto e inducendo effetti negativi sulle comunità batteriche e sulla fauna bentonica
(in particolare sulla meiofauna).
Conclusioni e prospettive future.
Siamo testimoni di un cambiamento climatico che sta influenzando gli ecosistemi del Mar
Mediterraneo. I dati dimostrano inequivocabilmente l’aumento della temperatura superficiale (circa
1°C negli ultimi 30 anni) e l’incremento della frequenza di eventi climatici estremi. Stiamo dunque
assistendo ad uno sconvolgimento nella geografia climatica del Mediterraneo, che comporta
cambiamenti nella distribuzione delle specie, e in alcuni casi la scomparsa e la sostituzione di alcune di
esse.
L’aumento e la diffusione di specie subtropicali sono fenomeni facilmente osservabili. Ma allo stato
attuale delle conoscenze non è facile valutare quali conseguenze avranno tali introduzioni sul
funzionamento degli ecosistemi. Si possono solo fare ipotesi sul potenziale impatto generato
dall’introduzionedi nuovi grandi predatori (per esempio i Barracuda) sugli ecosistemi costieri dei
bacini del Mediterraneo settentrionale? La presenza di nuove specie avrà effetti positivi per l’uomo, e
riuscirà a compensare la scomparsa di altre specie? Per le specie con scarsa mobilità la risposta al
cambiamento climatico risulta spesso essere la catastrofe ecologica, con estinzioni locali ed erosione
della biodiversità,
Altri interrogativi riguardano l’effetto combinato del cambiamento climatico e delle altre sorgenti di
disturbo per la biodiversità. La riduzione e la frammentazione degli habitat, dovuta alla urbanizzazione
incontrollata delle aree costiere, rappresenta una delle più gravi minacce per la biodiversità marina.
Inoltre recentemente sono stati descritti nel Mediterraneo diversi casi di malattie infettive che
coinvolgono patogeni finora conosciuti solo nelle aree tropicali, dovuti alle conseguenze delle
introduzionidi specie alloctone. Inoltre recenti studi hanno dimostrato che i cambiamenti climatici,
come altre forzanti naturali, possono comportare modificazioni genetiche a livello di popolazioni (per
una review vedere Bradshaw e Holzapfel, 2006).
La nuova prospettiva di studio di tutti questi fenomeni viene offerta dalla fusione della ecofisiologia e
della macroecologia (Osovitz e Hofmann, 2007). Questo nuovo approccio scientifico,
multidisciplinare, chiamato macrofisiologia, si propone di esaminare le funzioni metaboliche degli
organismi a grande scala spaziale e temporale. Ci si propone quindi di acquisire elementi utili per
spiegare la distribuzione biogeografica: le informazioni sulla fisiologia a larga scala potrebbero
permettere di valutare le condizioni per cui le specie risultano più abbondanti ed efficenti al centro del
loro areale di distribuzione, e perché invece declinino ai confini di tale areale (Sagarin et al., 2006).
Tutto ciò risulta estremamente importante per la gestione delle risorse e per la progettazione delle aree
marine protette.
Nella prospettiva di indirizzare le misure di compensazione e salvaguardia, si dovrebbe ricordare che
certe conseguenze del cambiamento climatico saranno irreversibili e che in alcuni casi perciò non sarà
possibile l’adattamento. Questo è un rischio che si corre specialmente per tutte quelle attività che
dipendono dalla biodiversità marina (la pesca, l’acquacoltura, le attività turistico-ricreative). Molti
ecosistemi sono già stati alterati dall’inquinamento e dalla frammentazione degli habitat e risultano
quindi maggiormente sensibili alla attuale condizione di cambiamento del clima, a causa della loro
ridotta capacità di adattamento, in particolar modo nelle aree costiere dei paesi in via di sviluppo delle
regioni meridionali e orientali del Mediterraneo.
La salvaguardia della biodiversità è vitale non solo dal punto di vista ecologico, ambientale ed etico,
ma anche economico e sanitario per le regioni costiere mediterranee. La sfida della conservazione è di
realizzare strategie e azioni finalizzate a rendere gli ecosistemi e le specie meno vulnerabili agli effetti
dei cambiamenti climatici. In termini ecologici questo significa fare in modo di “contenere i danni”,
favorendo la resistenza ecologica, e al contempo incrementare la possibilità di recupero favorendo la
resilienza ecologica dei sistemi naturali.
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Maria Antonietta Pancucci-Papadopoulou
Hellenic Centre for Marine Research
L’impatto dei cambiamenti climatici sugli organismi marini: le specie aliene nel Mediterraneo
Introduzione
Il Mar Mediterraneo è stato fin dai tempi più antichi interessato da molteplici cambiamenti climatici ed
ambientali, che lo hanno portato ad evolversi nella sua situazione attuale, come testimoniano i
numerosi ritrovamenti fossili. Nell’arco degli ultimi cinque milioni di anni, nel Mediterraneo si sono
formate ben 10 regioni biogeografiche (Bianchi & Morri, 2000). La maggior parte delle specie che lo
compongono sono di origine AtlantiLca, grazie ad un processo di colonizzazione iniziato alla fine del
Messiniano, cui si aggiungono specie subtropicali atlantiche (relitti delle interglaciazioni) e specie
boreali (relitti delle glaciazioni). A ciò deve aggiungersi l’alta percentuale di elementi endemici (circa
26%), che ha le sue origini nella complessa evoluzione geologica del bacino e comprende specie di
origine antica (sopravvissute al Messiniano) o più recente (circa un milione di anni fa). Questo
“oceano in miniatura”, pur coprendo solo lo 0,82% dell’intera superficie oceanica e lo 0,32 % del suo
volume, accoglie circa 8% delle specie conosciute, cioè una biodiversità incredibilmente alta (ESF,
2007). Il Mediterraneo nel suo complesso è considerato un bacino di concentrazione (l’evaporazione
supera le precipitazioni e l’afflusso fluviale), caratterizzato da maree di piccola ampiezza, alta
percentuale di ossigeno disciolto, elevate temperature anche in profondità (> 12 oC), nonchè da
condizioni oligotrofiche, più accentuate nel bacino Orientale. Come risultato di gradienti trofici e
climatici, la produzione primaria e il numero complessivo di specie del bacino orientale è inferiore a
quella dell’ occidentale. A causa della sua relativamente recente colonizzazione (cioè dalla fine del
Messiniano, 5 milioni di anni), il Mediterraneo sembra essere più “vulnerabile” e ricettivo all’arrivo di
nuove specie rispetto ad altri ecosistemi che hanno una storia evolutiva più antica, ove lo spazio è
ristretto e l’antagonismo tra le specie maggiore.
In particolare, il Med Orientale sembra trovarsi in uno stadio iniziale di maturazione delle sue
biocenosi, a seguito di violenti cambiamenti idro-geologici avvenuti circa 9.000-7.000 anni fa tra il
Mar Egeo e il Mar Nero, che portarono alla cossiddetta “formazione di sapropel” ed alla scomparsa di
molte specie. Questo fenomeno, che si ripete ogni 21.000 anni circa (Rohling & Hilgen, 1991), sembra
in parte responsabile della minore biodiversità osservata nel Med Orientale. Al contrario il Med
occidentale, che non ha conosciuto sconvolgimenti così massicci dopo la fine del Messiniano, appare
più maturo e accoglie biocenosi più ricche di specie.
D’altra parte, le comunità marine mediterranee sono differenti da quelle dell’ Atlantico e si distinguono
per le minori dimensioni delle specie. A causa della sua grande diversità di habitat e della sua
posizione geografica, il Mediterraneo è inoltre caratterizzato da clima temperato e dalla presenza di
specie caratteristiche sia delle zone temperate che delle zone subtropicali.
Recenti cambiamenti climatici
Il nostro mondo sta rapidamente cambiando. Negli ultimi anni la temperatura del pianeta aumenta, i
ghiacci artici si sciolgono a ritmo sempre più elevato, il livello del mare si innalza e sono sempre più
frequenti intense precipitazioni seguite da inondazioni o periodi più lunghi di siccità. Da che mondo è
mondo, questi fenomeni sono conseguenza dei cambiamenti geoclimatici, ma mentre in tempi più
remoti le cause naturali erano i loro unici fattori determinanti, dopo la rivoluzione industriale le attività
umane hanno assunto un ruolo di primaria importanza, causando il ben noto “effetto serra”, col
conseguente aumento della temperatura media del pianeta e l’alterazione della circolazione
atmosferica e delle precipitazioni.
Durante gli ultimi 30 anni circa, in Mediterraneo sono stati registrati cambiamenti climatici
significativi, che costituisco una seria minaccia e sono il risultato delle attività umane. Recenti ricerche
hanno mostrato che l’emisfero settentrionale dal 1980 si sta “riscaldando” più di quanto abbia fatto
negli ultimi 2000 anni. Secondo il Comitato Intergovernamentale sul Cambiamento Climatico (IPCC,
2007), 11 dei 12 anni compresi tra il 1995 e il 2006 sono stati tra i più caldi da quando si hanno
misurazioni della temperatura superficiale globale (dal 1850). Come se ciò non bastasse, l’aumento
della temperatura globale dal 1850-1899 al 2001-2005 è stato di 0,76 oC, aumento osservato soprattutto
negli ultimi 50 anni, con un incremento di 0,13 oC/decade e si prevede un aumento di 0,2 oC/decade
per i prossimi vent’anni (Fig.1).
Figura, 1
Cambiamenti di
temperatura, livello
del mare e copertura
nevosa (emisfero
Nord). Fonte: IPCC,
2007.
Inoltre, anche a
mantenere
l’emissione dei gas
serra ai livelli del
2000,
c’è
da
aspettarsi
un
ulteriore aumento di
circa 0,1 oC/decade,
a causa del tempo
necessario
agli
oceani per assorbire i gas (IPCC 2007). A seconda dello scenario applicato, si prevede un aumento di
temperatura tra 1,8 oC e 4 oC per il periodo compreso tra il 2090-2099 in confronto al periodo 19801999 (IPCC 2007, Fig. 2).
Sempre secondo la stessa fonte (IPCC, 2007), il livello del mare è aumentato di circa 3,1 cm nel
periodo 1993-2003 e le previsioni fino alla fine del secolo sono dell’ordine di 18-59cm a seconda dello
scenario applicato, mentre Stern (2006) calcola il costo sociale ed economico dei cambiamenti
climatici sull’economia mondiale in 5.500 miliardi di € fino al 2050.
Nonostante gli effetti dei cambiamenti globali siano più facilmente osservabili sulla terra emersa e
quindi più noti all’opinione pubblica, anche l’ambiente marino è fortemente interessato da questo
fenomeno.
Figura 2. Previsioni dell’aumento della
temperatura globale, basate su vari scenari. La
linea gialla mostra lo scenario più ottimistico,
nel caso in cui si riuscisse a mantenere
costante la concentrazione dei gas serra ai
livelli del 2000. Fonte: IPCC, 2007.
I cambiamenti climatici influenzano in vari
modi gli oceani e le zone costiere: aumento
della temperatura e del livello del mare,
circolazione, moto ondoso, movimenti
verticali ed up-wellings. Ognuno di essi può
influenzare a sua volta l’ecosistema marino a
vari livelli (relazioni trofiche, produttività,
riproduzione,
biodiversità
ecc.),
tutti
inevitabilmente legati ad aspetti sociali, economici e culturali delle zone interessate. Anche se durante
la loro evoluzione gli organismi viventi sono stati costretti ad adattarsi a differenti condizioni
climatiche, fonte di inquietudine costituisce la rapidità con cui questi eventi si verificano attualmente
(Root et al. 2003). Ovviamente, la risposta dell’ambiente marino ai cambiamenti climatici dipende
anche dai cambiamenti indotti dall’uomo. Per esempio, la pesca ha causato l’impoverimento di tutti i
mari, mentre l’agricoltura, l’industria e l’inquinamento in genere hanno causato l’eutrofizzazione di
molte zone costiere. Inoltre, l’acidificazione dell’acqua di mare, la contaminazione con sostanze
tossiche, l’introduzione di nuove specie in acquacoltura, il traffico marino sempre più intenso
contribuiscono a rendere l’ecosistema marino sempre più fragile e difficilmente in grado da difendersi
dai repentini cambiamenti. Tutto ciò metterà a dura prova l’efficacia delle strategie da adottare per far
fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.
Da quanto detto, anche se non si può affermare con certezza quali saranno la natura e il ritmo dei futuri
cambiamenti climatici, anche la più ottimistica delle previsioni porterà a serie alterazioni dell’ambiente
marino, con conseguenti impatti sociali ed economici.
Pur essendo influenzati da altri fattori, come eutrofizzazione e pesca, in ogni mare è possibile attribuire
alcuni cambiamenti direttamente ai cambiamenti climatici. Per i mari più settentrionali, come l’Artico,
l’effetto più ovvio attribuibile all’aumento di temperatura consiste nella diminuizione dei ghiacci. A
latitudini inferiori si osserva lo spostamento di popolazioni verso nord, che a volte soppiantano specie
esistenti. Ad esempio, da quando il processo di riscaldamento si è fatto più intenso (fine anni ’80), si è
notato uno slittamento verso nord di popolazioni zooplanctoniche, bentoniche e di pesci (Brander et al.
2003; Southward et al. 2005). Questi cambiamenti non hanno solo carattere locale ma si ripercuotono
sulla pesca internazionale, quando coinvolgono specie a interesse commerciale.
Nei bacini semichiusi, come il Mediterraneo, le conseguenze sono ancora maggiori e possono
diventare catastrofiche. Cambiamenti anche di piccola entità dell’afflusso fluviale (Mar Baltico) o
della temperatura (Med Orientale, Mar Nero) possono avere effetti deleteri su gran parte
dell’ecosistema (ESF, 2007). Data l’alta percentuale di specie endemiche, la loro eventuale perdita
lascerebbe libere delle nicchie ecologiche con il pericolo di essere “rimpiazzate” non da specie
limitrofe ma da specie più resistenti provenienti da altri mari (ad esempio tramite le acque di sentina
delle navi).
Nel Mediterraneo Occidentale i cambiamenti climatici sembrano influenzare i limiti delle regioni
biogeografiche, e si sono osservati movimenti di popolazioni termofile da sud a nord (Bianchi & Morri
1994; Morri and Bianchi 2001), ad esempio con aumento di meduse e conseguente diminuzione di
altre specie planctoniche, alterazioni attribuibili ad innalzamenti anomali della temperatura marina
(Molinero et al., 2005). Il riscaldamento del mar Ligure (Béthoux et al. 1990; Astraldi et al. 1995),
uno dei mari più freddi del Mediterraneo, ha avuto come conseguenza lo stabilirsi di specie quali il
Thalassoma pavo (donzella pavonina) (Bianchi & Morri 1994), prima conosciuto in zone molto più a
Sud (Lampedusa).
Durante gli ultimi 30 anni in Adriatico sono sensibilmente aumentate le specie termofile, mentre pesci
e specie zooplanctoniche prima rare sono divenute comuni (Dulcic & Grbec 2000; Kamburska &
Fonda-Umani 2006). Queste osservazioni sono state correlare all’aumento di temperatura e alle
variazioni di salinità osservati nella zona dopo il 1988 (Russo et al. 2002).
Un altro esempio è costituito dall’ ostrica gigante del Pacifico (Crassostrea gigas), che introdotta in
Europa nordoccidentale come specie da acquacoltura, non si pensava potesse riprodursi a causa della
differenza di temperatura dell’acqua. Malgrado ciò, il riscaldamento delle acque, probabilmente in
concomitanza con le capacità di adattamento della specie al suo nuovo ambiente, hanno abbattuto le
barriere riproduttive di questa specie, con la sua conseguente massiccia proliferazione in Olanda e
Inghilterra (Reise et al., 2004).
È evidente che sbalzi di temperatura, anche di breve durata, possono cambiare in maniera drammatica
la biodiversità del Mediterraneo. Se una specie scompare un’ altra, capace di adattarsi alla nuova
situazione, la sostituirà, con conseguenze sconosciute e imprevedibili sull’ecosistema preesistente
prima del loro arrivo.
Le condizioni di salute del mare sembrano avere un ruolo essenziale nella propagazione o meno di
specie aliene. Infatti, secondo una ricerca condotta in Italia dall’IRPA, le specie aliene invadono più
facilmente ambienti stressati ed aree caratterizzate da popolamenti ittici impoveriti, mentre sono meno
numerose nelle aree marine protette, che possono quindi essere uno strumento per mitigare l’impatto
del cambiamento climatico sulla biodiversità.
La “tropicalizzazione”del Mediterraneo e le specie aliene
A seguito dei cambiamenti climatici registrati negli ultimi 30 anni, è stata osservata la comparsa
repentina di organismi estranei all’ ambiente marino Mediterraneo, per la maggior parte provenienti
dalle vicine acque tropicali del Mar Rosso e dalle acque atlantiche attraverso lo stretto di Gibilterra.
Questo fenomeno di insediamento in Mediterraneo di specie provenienti da aree tropicali o subtropicali, spesso dominanti ed in grado di soppiantare le specie autoctone preesistenti nell'area, è ormai
noto da tempo con il nome di “tropicalizzazione del Mediterraneo”. La tropicalizzazione del
Mediterraneo è il risultato di quattro fenomeni differenti: ¶Influenza atlantica, aumento degli
immigranti di origine Indo-Pacifica, introduzione di specie per motivi economici (acquacoltura) e
riscaldamento dell’ acqua di mare: ¶tutti questi fattori concorrono a favorire l’insediamento e la
diffusione delle specie termofile in tutto il Mediterraneo (Bianchi, 2007).¶
Le “vie del mare” hanno costituito per millenni il mezzo di trasporto tradizionale per gli organismi da
un punto all'altro del pianeta, senza aver peraltro generato cambiamenti intensi o bruschi nell’
ecosistema marino. Alcuni anni fa Myers (1997) affermava: “Gli oceani sono essenzialmente un
continuo che, almeno in teoria, dovrebbe permettere agli organismi marini provvisti di stadi larvali di
diffondersi dappertutto… Teoricamente, gli organismi marini con larve planctoniche dovrebbero essere
privi di ogni barriera restrittiva …., limitati forse solo da barriere termiche e dalla necessità di un
habitat appropriato”. Le barriere termiche citate da Myers stanno attualmente abbattendosi e una
nuova realtà sta venendo alla luce, determinata dal processo di tropicalizzazione.
Gli interventi dell’uomo sull'ambiente naturale, gli interessi economici, la velocità delle nuove navi e
la quantità enorme di acqua da loro trasportata hanno cambiato le condizioni di equilibrio naturale, a
favore degli “stranieri”.
La moltiplicazione delle segnalazioni di comparsa e insediamento di specie aliene nel Mediterraneo è
quindi da imputarsi sia direttamente che indirettamente ad attività antropiche. Ovviamente, un
contributo allo sviluppo del fenomeno è dato dai mutamenti climatici in corso, con il conseguente
innalzamento della temperatura delle acque, anche questo riportabile in parte all’uso (e abuso) delle
risorse naturali.
Con il termine alloctoni, esotici o alieni intendiamo riferirci a quegli organismi che, spostandosi oltre il
loro areale naturale, si sono insediati e hanno occupato con successo uno spazio nouvo. Come
“invasori” si intendono invece quelle specie aliene che hanno effetti dannosi nel luogo di
immigrazione, a carico della biodiversità, della salute, delle attività produttive, ecc.
Volendo sottolineare l’importanza di questa nuova fonte di disturbo, Elliot (2003) osserva che sotto
molti aspetti l’introduzione di specie esotiche non differisce dall’inquinamento chimico e propone il
termine di inquinamento biologico.
Il pericolo maggiore è l'imprevedibilità, dato che le specie introdotte possono essere tossiche, velenose,
vettori di malattie o persino generare le condizioni per la diffusione di una certa malattia. Non bisogna
tra l’altro dimenticare che il fenomeno “alieni”, già ben noto alla comunità scientifica, è divenuto
molto popolare da pochi anni, a causa degli effetti negativi che ha causato in varie parti del mondo.
Bisogna comunque sottolineare che la loro importazione non ha sempre ripercussioni negative, a
condizione che possa aiutare un ecosistema in declino o mantenere in vita specie che si trovano in
pericolo nel loro ambiente naturale.
Alcune specie si sono ambientate e riprodotte benissimo, tanto che vengono comunemente pescate e
commercializzate, come ad esempio la triglia (Upeneus moluccensis) e i barracuda ( Sphyraena
chrysotaenia e Sphyraena flavicauda) del Mar Rosso, o la vongola Ruditapes philippinarum.
Il flusso iniziale d’ingresso è stato piu' o meno costante, ma il ritmo è andato gradatamente
aumentando in particolare negli ultimi 30 anni, probabilmente in concomitanza ai cambiamenti
climatici. L’accelerazione del fenomeno è stata documentata per tutti i grandi ecosistemi marini
europei, ma è più pronunziata nel Mediterraneo (Streftaris et al., 2005; EEA, 2007, Fig. 3).
60
900
800
50
700
40
600
500
30
400
20
300
200
10
100
0
0
<1900
1909
1919
1929
1939
1949
1959
1969
1979
1989
1999
2007
Baltic >5psu
Caspian
Iberian Shelf
Norwegian Shelf
Celtic-Biscay
North Sea
Black Sea
Mediterranean Sea
Figura 3. Incremento del numero di specie aliene nei principali bacini europei durante gli ultimi 100
anni. Fonte: European Conference on IAS, Madrid, 15-16/1/2008 (dati fino al Dicembre 2007).
Una delle più recenti pubblicazioni sull’argomento (Zenetos et al., 2008) riporta la presenza di 903
specie aliene, ma possiamo affermare con certezza che questo numero è già stato ampiamente
superato. Basti pensare che nel lasso di tempo tra il Gennaio 2006 (Zenetos et al., 2006) e l’Aprile
2008 (Zenetos et al., 2008) sono stati pubblicati più di 80 lavori sull’argomento, portando ad un
aumento di ben 94 specie aliene nel Mediterraneo, il che comporta l’introduzione di una nuova specie
ogni 9 giorni circa. Secondo gli stessi autori, i nuovi venuti si stabiliscono permanentemente nei nostri
mari a ritmo serrato (Fig.4), se si considera che nel 2008 496 hanno popolazioni stabili in
Mediterraneo, a confronto delle 385 nel 2005 (incremento del 29%!).
Figura 4. Numero di specie aliene nel Mediterraneo (stabili, casuali e questionabili). I numeri indicano
il totale di specie osservato per ogni gruppo tassonomico. Fonte: Zenetos et al., 2008
Inoltre, anche se osservato in tutti i maggiori gruppi di organismi, l’aumento di pesci ed organismi
bentonici alieni osservato negli ultimi vent’anni è impressionante, in particolare per il Mediterraneo
Orientale, particolarmente suscettibile all’invasione biologica a causa della sua posizione geografica,
del traffico marittimo con l’Oceano Indiano e dell’ acquacoltura ¶sviluppatasi in molte regioni, come
Israele e Grecia.
Modalità di introduzione delle specie aliene in Mediterraneo
Il Mediterraneo è sempre stato recettivo nei confronti di nuove specie, provenienti soprattutto dalle
aree atlantiche. Il fenomeno, come già detto, è da imputarsi alla sua travagliata storia evolutiva. Nel
corso dei millenni, le due vie di scambio “naturali” sono state lo stretto di Gibilterra per il
Mediterraneo Occidentale e lo stretto dei Dardanelli per quello Orientale.
Con l'apertura del Canale di Suez, nel 1869, si è aperta una terza via di comunicazione, destinata a
diventare una tra le più importanti e pericolose per l’equilibrio dell’ecosistema marino mediterraneo
(Fig. 5). Da quel momento in poi si è assistito a una costante immigrazione di specie aliene, tanto che
il fenomeno ha preso il nome di "migrazione lessepsiana” dal nome di Ferdinand de Lesseps,
promotore ed esecutore del progetto. La colonizzazione del Mediterraneo da parte delle specie
lessepsiane ha avuto inizio subito dopo l’apertura del Canale, basti pensare che solo 5 anni dopo, nel
1874, in Egitto è stato osservato il primo “ospite” straniero, il mollusco Pinctata radiata (Monterosato,
1878).
Figura 5. Le tre vie di ingresso delle specie aliene in Mediterraneo
La rapida diffusione dei migranti lessepsiani, principalmente nel Mediterraneo Orientale, è da
attribuirsi da un lato alla povertà faunistica di questo bacino, che ha lasciato numerose nicchie
ecologiche libere, dall’altro alle condizioni di stress e inquinamento cui sono sottoposte le zone
costiere, che contribuiscono in maniera decisiva all’indebolimento delle difese da parte degli organismi
autoctoni.
Il bacino occidentale, popolato nel corso dei millenni da molte più specie di origine atlantomediterranea, è interessato in misura inferiore al fenomeno di immigrazione lessepsiana, ma non
rimane esente dall’introduzione di specie aliene. Infatti anche dall'Atlantico, da sempre via di
penetrazione attraverso lo stretto di Gibilterra, si è verificato un aumento nell’arrivo di specie tropicali
e subtropicali provenienti dalle coste africane. Ciò sembra principalmente dovuto al secondo canale
d'ingresso, rappresentato dallo scarico incontrollato delle acque di zavorra delle navi cisterna, che
spesso vengono scaricate in mare senza alcuna precauzione, o dalle incrostazioni sulle chiglie delle
navi stesse. In questo modo si è costituito un importante veicolo di specie non indigene, che hanno
modificato rapidamente la biodiversità in prossimità dei maggiori porti mediterranei.
Esiste anche un forte contingente di specie introdotte nel Mediterraneo volontariamente (acquacoltura)
o involontariamente (incidenti, trasporto con specie destinate all’acquacoltura, patogeni e parassiti che
sopravvivono alla morte dell’ospite, ecc.).
Per alcune specie le modalità e i veicoli di introduzione sono dubbi o duplici (ad esempio attraverso il
canale di Suez o tramite il traffico marino a seconda delle zone), mentre per altre rimane sconosciuto, a
causa dei molteplici fattori che possono aver contribuito al loro ingresso (Fig. 6).
Figura 6. Distribuzione delle specie aliene in Mediterraneo e loro modalità di introduzione.
Ship/Aqua: navi e/o acquacoltura. Fonte: EEA report, basato su dati del 2003.
e ripercussioni della loro introduzione possono essere sia di carattere ecologico:
a)
Perturbazione delle reti trofiche, agendo come cacciatori o come competitori, b) pericolo
d'importazione di nuove malattie, che possono danneggiare o portare all’estinzione le specie
autoctone più sensibili, c) cambiamenti della biodiversità: riduzione, aumento, cambiamento
nell'abbondanza relativa delle specie
che economico:
a) pericolo della scomparsa di specie autoctone di valore commerciale, il che comporta spese per il
ristabilimento dell'equilibrio naturale, b) pericolo di trasporto o di supporto di organismi dannosi, c)
probabile riduzione dello sviluppo turistico di una zona.
Fra le specie aliene maggiormente diffuse e in grado di rappresentare un grave pericolo per gli
ecosistemi marini vanno ricordate due alghe del genere Caulerpa (C.taxifolia e C.racemosa), entrambe
di origine tropicale, che si sono diffuse nel Mediterraneo mettendo a rischio habitat importanti come le
praterie di Posidonia oceanica. In particolare, la Caulerpa taxifolia, introdotta accidentalmente e
ormai conosciuta come l'alga killer, attualmente minaccia molte coste del Mediterraneo Occidentale
moltiplicandosi ad una velocità impressionante, ostacolando i cicli vitali degli altri organismi. La
Caulerpa racemosa, presente ed abbondante in tutto il Mediterraneo, è una specie aggressiva, con alti
ritmi di riproduzione e crescita (anche qualche centimetro al giorno), che con l’aumento delle
temperature del Mediterraneo si è adattata perfettamente ai nostri ecosistemi.
La connessione del fenomeno con i cambiamenti climatici viene avvalorata dalla rapidità, mai
osservata prima d’ora, con cui l’areale delle specie si espande da un bacino all’altro. Ad esempio, il
granchio Percnon gibbesi, originario dell’Atlantico Occidentale, è stato rinvenuto progressivamente in
Tirreno, Sicilia, Ionio ed Egeo meridionale. In maniera simile, immigranti lessepsiani provenienti dal
bacino di levante si sono inizialmente stabiliti nel bacino Orientale (Egeo, Ionio), per penetrare in
breve tempo anche nel Med occidentale (ad es. Bursatella leachii, Cerithium scabridum, Fistularia
commersoni).
Il problema dell'invasione di specie aliene non interessa ovviamente soltanto il Mediterraneo ma ha
importanza mondiale, tanto da essere oggetto di numerose convenzioni internazionali.
Già nel 1995, la Convenzione di Barcellona, con il Protocollo riguardante le areee protette e la
biodiversità in Mediterraneo, raccomandava ai Paesi costieri di adottare misure volte alla tutela e
conservazione di specie minacciate, per le quali uno dei maggiori pericoli è rappresentato dale specie
aliene. Attualmente molte organizzazioni internazionali (UNEP/MAP, RAC/SPA, FAO/DIAS, IUCN,
ICES, IMO, CIESM) si interessano del fenomeno con pubblicazioni, banche dati e direttive, mentre
all’interno dell’ Unione Europea vengono finanziati progetti di monitoraggio a livello nazionale ed
internazionale, allo scopo di prevenire l’introduzione di nuove specie e fronteggiare l’esplosione di
invasioni biologiche.
Specie Aliene in Grecia – impatto sull’ecosistema marino
La Grecia, per la sua posizione geografica e i suoi caratteri geomorfologici, costituisce la porta di
ingresso alla diffusione nel mar Mediterraneo delle specie aliene, provenienti sia dal mar Rosso che dal
mar Nero.
Il primo tentativo di censimento delle specie aliene in Grecia (Pancucci-Papadopoulou et al., 2005)
comprendente 90 specie (dati fino al 2003), è stato seguito solo 2 anni dopo da un secondo (PancucciPapadopoulou et al., 2006), che ha portato a 128 il numero di specie aliene in Grecia fino al 2005. Alla
fine del 2007 (Pancucci-Papadopoulou et al., 2007a) ammontavano a 155, mentre oggi, dopo varie
revisioni ed aggiunte, comprendenti gruppi prima non considerati, il numero di specie aliene
conosciuto supera le 180 (dati non pubblicati). La prima segnalazione di un immigrante lessepsiano in
acque greche risale al 1894, quando a Rodi fu rinvenuta l’angiosperma Halophila stipulacea. Fino al
1980 sono state segnalate altre 47 specie aliene, mentre dal 1981 ad oggi più di 135. La lista viene
costantemente aggiornata tenendo conto di nuovi ritrovamenti che vengono inseriti nella banca dati
dell’HCMR (di uso privato, comprendente dati non ancora pubblicati) e sul sito ELNAIS,
(http://elnais.ath.hcmr.gr) di uso pubblico. L’aumento osservato può in parte essere attribuito
all’aumentato interesse della comunità scientifica, dato che specie arrivate già da parecchi anni non
erano mai state registrate in precedenza come aliee. Indubbiamente non bisogna sottovalutare il
graduale incremento della temperatura, che comporta condizioni climatiche favorevoli
all’insediamento di specie tropicali e sub-tropicali. Il gruppo più rappresentato è lo zoobenthos, seguito
da pesci e fitobenthos. L’immigrazione lessepsiana costituisce la sorgente principale di specie aliene in
Grecia, seguita dal traffico marittimo e dall’acquacoltura, mentre lo Stretto di Gibilterra e i Dardanelli
hanno un ruolo senz’altro meno importante (Fig. 7).
Tra i mari Greci l’Egeo Meridionale è l’area maggiormente influenzata dal fenomeno, sia perchè
costituisce la via “naturale” di espansione della masse d’acqua provenienti dal bacino del levante, sia a
causa dell’intenso traffico navale attraverso i principali canali (Dardanelli, Suez, Gibilterra).
Aquaculture
8%
shipping
28%
via Gibraltar
4%
unknow n
4%
via
Dardanelles
3%
via Sue z
53%
Figura 7. Modalità di introduzione delle specie aliene in Grecia. Fonte: Pancucci-Papadopoulou et al.,
2007a (dati fino al Novembre 2007).
Lo studio della loro distribuzione geografica ha mostrato che la zona maggiormente interessata è il
Dodecanneso (con un massimo di 80 specie ed un aumento del 16% nel periodo 2006-2007), ove le
specie aliene sono principalmente immigranti lessepsiani. Un aumento enorme inoltre è stato
osservato durante lo stesso periodo nella zona del golfo di Saronikos (da 34 a 49 specie), in cui si trova
il porto del Pireo, in cui la percentuale maggiore è data da specie trasportate dalle navi (Young et al.,
2007; Pancucci-Papadopoulou et al., 2007a, Fig.8).
cumulative number of species
39
9
30
8
69
2006-2007
2001-2005
1991-2000
1981-90
1971-80
1961-70
1951-60
< 1950
F
PP
PB
ZP
ZB
0
20
40
60
80
100 120 140 160
Figura 8. Incremento del numero di specie aliene in Grecia (dati fino al Novembre 2007). F= Pesci,
PP= Fitplancton, PB= Fitobenthos, ZP= Zooplancton, ZB= Zoobenthos.
Cambiamenti significativi nella struttura delle biocenosi o nel comportamento di alcuni organismi sono
stati osservati negli ultimi anni in tutti i gruppi di organismi marini, facilmente riconducibili
all’impatto diretto o indiretto dei cambiamenti climatici, nonchè alla pressione esercitata dall’uomo
sull’ambiente marino.
Ad esempio, molti episodi di fiorituta di alghe tossiche (HABs), recentemente documentati in Grecia
(Nikolaidis et al., 2005), sono considerati conseguenza dell’anomalia della temperatura e della
periodicità climatica. Inoltre, la presenza di specie tropicali (Gambierdiscus e Sinophysis) a Creta ha
acceso la discussione dell’espansione geografica di queste specie. Il loro ritrovamento potrebbe
rappresentare una conseguenza indiretta dei cambiamenti climatici nella zona (Aligizaki & Nikolaidis,
2008).
Per quanto riguarda la zooplancton, la massiccia presenza della medusa aliena Rhopilema nomadica
sembra legata ai cambiamenti climatici ma anche al cambiamento delle correnti. In alcune zone ha
causato seri problemi sia alla pesca che al turismo.
Tra gli invertebrati bentonici, la maggior parte sono specie lessepsiane, ma non mancano specie
tropicali o subtropicali provenienti dall’Atlantico, quali Percnon gibbesi, Oculina patagonica e
Sphaeroides pachygaster, la cui diffusione sembra legata all’aumento della temperatura ma anche al
traffico navale. Un esempio molto recente è dato dal granchio Sirpus monodi, proveniente dalle coste
occidentali africane, rinvenuto in due aree greche (Pancucci-Papadopoulou & Naletaki, 2007b) vicine
a porti commerciali che spesso accolgono navi provenienti dall’Africa.
Gli effetti deleteri di alcune specie si stanno facendo risentire anche in Grecia. Ad esempio un pesce
lessepsiano velenoso, il Lagocephalus sceleratus, ha recentemente interessato ampiamente autorità ed
opinione pubblica, dato che in meno di tre anni si è stabilito nelle acque greche, costituendo un
pericolo per la salute pubblica. L’aspetto più inquietante è dato dalla sua somiglianza con un altro
pesce dello stesso genere, il Lagocephalus suezensis, commestibile e presente sui mercati del
Dodecanneso.
Conclusioni
•
In Mediterraneo sono state riportate 903 specie aliene fino all’Aprile 2008 e il loro numero
tende ad aumentare di giorno in giorno. 94 nuove specie aliene in 28 mesi corrisponde ad un
nuovo ingresso ogni 9 giorni! Ciò significa che il ritmo della cosiddetta invasione biologica
non solo non è diminuito ma tende ad aumentare vertiginosamente e le specie stabilitesi sono
sempre più numerose.
•
Le nuove specie entrano subito in competizione con quelle mediterranee e molto spesso le
soppiantano. La maggior parte delle specie tropicali, abituate ai rapidi cambiamenti naturali,
sono infatti molto più competitive di quelle mediterranee.
•
La biodiversità rappresenta un immenso patrimonio economico e non solo ambientale e
culturale. La massiccia invasione di specie aliene tende a gravare sensibilmente sull'economia
dell'attività di pesca e del turismo.
•
È quindi indispensabile poter contenere sul nascere qualsiasi diffusione incontrollata, in
particolare le attività di rilascio a scopo venatorio e alieutico
•
Tutti possono contribuire al monitoraggio delle specie aliene, segnalandone la presenza agli
“addetti ai lavori”
•
La migliore soluzione è la lotta per rallentare i cambiamenti climatici, adottando strategie
di contenimento da parte da tutti i paesi del bacino, il che significa legislazione atta a
mantenere più pulito il Mare Nostrum.
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UNIVERSITA' DI PALERMO
Sebastiano Calvo, Germana Di Maida,
Carlo Luzzu, Carla Orestano, Maria Pirrotta,
Antonino Scannavino, Agostino Tomasello
Dipartimento di Ecologia
Cambiamenti climatici e vulnerabilità dell’ambiente marino: lo Stagnone di Marsala
Introduzione
Il cambiamento climatico globale è un processo articolato e complesso, correlato sia a fattori naturali
che antropici, che causa alterazioni della composizione atmosferica e modificazioni del clima e della
sua variabilità (Scherm et al., 2000). Negli ultimi decenni, numerosi studi hanno evidenziato che su
scala globale i cambiamenti climatici stanno avvenendo molto rapidamente, inducendo mutamenti ed
alterazioni nella struttura, distribuzione e produttività degli ecosistemi (Short e Neckles, 1999;
Trincardi, 2000), ed imprimendo un’accelerazione ai processi di desertificazione. In particolare, in
ambiente marino le variazioni del livello medio del mare, della salinità, della temperatura, della
concentrazione di CO2 e della radiazioni UV hanno fatto registrare negli ultimi anni significativi
cambiamenti negli ecosistemi a fanerogame. I cambiamenti nella distribuzione e struttura di tali
comunità possono avere localmente notevoli implicazioni ecologiche sul biota, oltre che contribuire
all’alterazione della geomorfologia delle coste e dei cicli biogeochimici (Short e Neckles, 1999).
Analisi preliminari condotte in sistemi confinati (i.e. lagune costiere), caratterizzati da una grande
variabilità dei parametri ambientali, hanno evidenziato come piccole variazioni di temperatura possono
determinare condizioni critiche in organismi stenotermi come la fanerogama marina Posidonia
oceanica (Calvo et al., 2002).
P. oceanica, pianta endemica del Mar Mediterraneo, forma dense ed estese praterie che ricoprono circa
il 4% dell’infralitorale (fino a 40 m) rappresentando l’ecosistema climax su fondi mobili (Molinier e
Picard, 1952; Den Hartog, 1977; Meinesz e Laurent, 1978). La pianta è organizzata in radici, fusto
(detto rizoma) e foglie, la cui parte basale (scaglia) rimane attaccata al rizoma quando il lembo fogliare
si stacca. I rizomi, che possono persistere inalterati nell’ambiente per millenni (Boudouresque et al.,
1980), mostrano variazioni cicliche annuali nello spessore delle scaglie (Crouzet, 1981; Pergent et al.,
1983). Ogni ciclo, delimitato da due scaglie di spessore minimo, viene definito “anno
lepidocronologico” in analogia con la dendrocronologia (Pergent, 1990). La ricostruzione pluriennale
di un numero significativo di rizomi mediante l’analisi lepidocronologica consente di studiare le
variazioni temporali della fanerogama in termini di produzione primaria, velocità di crescita, tasso di
fioritura e ciclo di rinnovamento fogliare. In particolare, è stato osservato che i tassi di crescita e la
produzione fogliare presentano una significativa relazione con la temperatura (Marbà e Duarte, 1997).
Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare e quantificare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla
struttura e distribuzione della prateria di P. oceanica all’interno di una laguna costiera siciliana
(Stagnone di Marsala - Trapani).
Area di studio
Lo Stagnone di Marsala, riserva naturale orientata dal 1984, è una vasta laguna costiera prospiciente il
litorale della Sicilia occidentale (Trapani - 37° 52’ N; 12° 28’ E - Fig. 1) che si estende per 12 km
lungo l’asse Nord-Sud occupando una superficie totale di circa 20 km2.
Dal punto di vista geomorfologico lo Stagnone è suddiviso in due sottobacini: settentrionale (14 km 2,
profondità media circa 1 m) e meridionale (6 km 2, profondità media circa 2 m). Il primo sottobacino è
aperto a nord con la Bocca di Tramontana ampia circa 400 m e caratterizzata da un esteso bassofondo
di natura sabbiosa sovrastato da uno strato d'acqua di appena 20/30 cm, ma che in alcuni tratti
raggiunge il metro di altezza rendendo il canale navigabile alle piccole imbarcazioni; il sottobacino è
delimitato all'esterno dall'Isola Grande ed ospita al proprio interno i tre isolotti di S. Maria, S. Pantaleo
(Mothia) e La Scuola che, unitamente ai bassi fondali, favoriscono la riduzione dell'idrodinamismo. Il
sottobacino meridionale, invece, è caratterizzato da una vivacità idrologica superiore, a causa della
maggiore ampiezza dell’apertura a sud (Bocca Grande, ampia circa 1.200 m) che collega il sottobacino
meridionale al mare aperto. Questa apertura è resa discontinua da canali di erosione che determinano,
in lontananza dalla stessa imboccatura, la rottura e lo smorzamento delle onde provenienti dal largo. Il
bacino meridionale raggiunge in alcuni punti la profondità di 3 m; il fondale è prevalentemente
fangoso, con fanghi dal tipico colore nero derivante da processi di riduzione.
Figura 1 – Area di studio: Stagnone di Marsala
Nel complesso la laguna risente in misura notevole dell'influenza marina e le comunità vegetali che in
essa si insediano sono da considerare a tutti gli effetti appartenenti alla serie evolutiva dei popolamenti
che colonizzano lo specchio di mare antistante la laguna. La principale componente biotica è
rappresentata da una prateria discontinua di P. oceanica, presente nella parte centrale e meridionale
della laguna, che svolge un ruolo fondamentale nella dinamica evolutiva dell’ecosistema lagunare. La
prateria di P. oceanica ricopre circa il 12% del bacino (Calvo et al., 1996; 2003); in particolare nel
settore centro-occidentale si raggiunge una copertura del 21%, contro l'11,7% del settore sud ed il
5,9% nel settore centro-orientale, dove è stato osservato il maggior grado di regressione (Fig. 2).
Attualmente la prateria di P. oceanica che vive nello Stagnone è ai limiti della sua tolleranza termica e
salina (Calvo et al., 2003) e non trova condizioni ottimali di insediamento e sviluppo a causa del
ridotto ricambio idrico (La Loggia et al., 2004) e della natura e composizione del substrato. In
particolare i rilevamenti hanno mostrato la maggiore presenza di P. oceanica nelle zone centrali e
meridionali della laguna, ed una carenza nella parte settentrionale, a causa dell'immissione di acqua
dolce (Calvo et al., 1996).
Figura 2 – Distribuzione della prateria di P. oceanica nello Stagnone di Marsala (Calvo et al., 1996)
Materiali e Metodi
Al fine di esaminare la correlazione fra la velocità di crescita dei rizomi e la temperatura, sono stati
individuati e raccolti sia i dati di temperatura esterna che di temperatura superficiale del mare (SST).
Le serie storiche di temperature superficiali del mare sono state estratte dalla banca dati fornita dal
Joint Research Centre che comprende le misure di SST dal 1991 al 1999 sull’intero bacino del
Mediterraneo registrate mediante il Radiometro Avanzato a Risoluzione Molto Alta (AVHRR) istallato
su piattaforma satellitare NOAA. I dati utilizzati nelle nostre analisi sono stati ottenuti da una selezione
di cinque pixel contigui posizionati al di fuori della laguna ad ovest dell’Isola Longa. La scelta è
derivata dal fatto che le dimensioni dei pixel (1 km2) con relativo errore di georeferenziazione erano
troppo grandi per assicurare l’assenza di sovrapposizione fra la superficie del mare all’interno della
laguna ed il perimetro costiero circostante. In questo modo il comportamento della serie di SST
osservata nella selezione dei pixel è stato considerato indicatore delle variazioni temporali delle SST
all’interno dello Stagnone.
Per quanto riguarda invece le serie storiche di temperatura atmosferica e di piovosità è stato utilizzato
l’atlante climatologico della Sicilia (Drago et al., 2000) che raccoglie i dati relativi a 125 stazioni
pluviometriche e 55 termo-pluviometriche del trentennio 1965-1994 gestite dal Servizio Idrografico
Regionale. Per il nostro studio è stata scelta la stazione di Marsala.
I dati sulla velocità di crescita sono stati ottenuti mediante l’analisi lepidocronologica (Pergent, 1990)
effettuata su 90 rizomi ortotropi raccolti in tre stazioni posizionate lungo il gradiente idrodinamico
decrescente (Fig. 3).
Figura 3 – Stazioni di prelievo di P. oceanica
Risultati e Discussione
L’analisi dei dati di temperatura ha permesso di rappresentare le serie storiche della temperatura
superficiale dell’acqua (Fig. 4a) e dell’aria (Fig. 4b). Dal confronto dei dati si riscontra una forte
correlazione fra gli andamenti medi mensili di SST e temperatura dell’aria (Fig. 5).
a
b
Figura 4 – Serie storiche della temperatura dell’acqua in superficie (a) e della temperatura dell’aria (b)
Figura 5 – Confronto tra le serie storiche di temperatura
Al fine di analizzare la dinamica pregressa della prateria sono stati presi in considerazione solamente i
fasci più lunghi fra quelli campionati nell’area presa in esame. Questo ha permesso di rilevare dati
sulla dinamica delle prateria per una finestra temporale di 33 anni (1967-2000).
Nelle tre stazioni i valori medi annuali di velocità di crescita dal 1980 al 1994 mostrano valori inferiori
alla media prevalentemente nel periodo 1985-93. Nello stesso intervallo temporale si registrano valori
di temperatura superiori alla media (Fig. 6). Pertanto, i valori della velocità di crescita sembrano essere
correlati negativamente con sia la temperatura esterna che del mare.
Figura 6 - Serie di temperatura esterna, SST e velocità di crescita dei rizomi di P. oceanica nelle 3
stazioni esaminate. I punteggi z indicano la standardizzazione delle variabili.
Il coefficiente di correlazione lineare di Pearson fra la velocità di crescita e le temperature medie
annue risulta generalmente significativo e di segno negativo, mentre non si evidenziano correlazioni
significative con il regime pluviometrico (Tab. 1). In particolare, quando si considerano soltanto i
valori medi di temperatura relativi al semestre caldo (maggio-ottobre) si registra un incremento dei
valori assoluti di correlazione e della significatività associata (r = -0,701 - P < 0,01), mentre risulta
non significativa in tutte le stazioni la correlazione tra il tasso di crescita e le temperature medie annue
relative al semestre freddo (novembre-aprile).
Ciò suggerisce che il declino della prateria di P. oceanica all’interno della laguna dello Stagnone possa
essere condizionato negativamente essenzialmente dagli incrementi di temperatura del semestre caldo.
Tasso di crescita dei rizomi
Variabili
Stazione 1
Stazione 2
-0.64*
Temperatura esterna media annua
Stazione 3
n.s.
-0.52** (24)
(14)
(28)
Temperatura esterna media annua
n.s.
n.s.
n.s.
(Semestre freddo)
(14)
(24)
(28)
Temperatura esterna media annua
-.070**
n.s.
-0.64** (24)
(Semestre caldo)
(14)
(28)
Temperatura media annua
n.s.
-0.84**
-0.78**
superficiale del mare
(17)
(17)
(17)
n.s.
n.s.
n.s.
(14)
(24)
(28)
Piovosità annua
Tabella 1 - Valori di correlazione fra tasso di crescita e variabili termopluviometriche nelle tre stazioni
esaminate. Codici dei livelli di significatività: ns.= P> 0.05;* =P<0.05; ** = P<0.01. In parentesi il
numero di anni considerati.
In conclusione, dai dati ottenuti è possibile affermare che nello Stagnone di Marsala esiste, ed è stata
stimata, una significativa correlazione negativa tra temperatura e velocità di crescita dei rizomi di P.
oceanica. E’ possibile ipotizzare che l’incremento della temperatura del mare, previsto nelle prossime
decadi, potrebbe contribuire ad accelerare il declino della prateria all’interno di un sistema ambientale
ai limiti della sua tolleranza termica e salina. La prateria di P. oceanica, presente nell’area, rappresenta
quindi un indicatore biologico in grado di registrare cambiamenti climatici a breve termine.
La laguna dello Stagnone è pertanto da considerarsi come un “laboratorio naturale” dove è possibile
verificare gli effetti delle variazioni climatiche sugli ecosistemi acquatici. In tale contesto le lagune
costiere costituiscono degli habitat ad elevata vulnerabilità e sono da considerare come degli
“interruttori sensibili” in grado di registrare in anticipo il cambiamento.
Bibliografia
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Silvia Cocito
Centro Ricerche Ambiente Marino
Risposta degli ecosistemi marini costieri al cambiamento climatico
C’è un diffuso consenso scientifico sul fatto che gli ecosistemi marini costieri sono minacciati dal
cambiamento climatico in atto (Bates et al. 2008). Pur essendo più stabili degli ecosistemi terrestri, gli
ecosistemi marini stanno mostrando da quasi due decadi una serie di cambiamenti che risultano
particolarmente evidenti negli habitats più superficiali (Harvell et al. 2002). Va sottolineato, inoltre,
che un ecosistema complesso è più stabile di un ecosistema impoverito e resiste meglio agli effetti del
cambiamento climatico. Tali cambiamenti si esplicitano a diversi livelli e riguardano singoli individui,
popolazioni e comunità. In questa relazione vengono analizzate le risposte ecologiche al cambiamento
delle condizioni ambientali, come ad esempio le variazioni di temperatura, l’innalzamento del livello
del mare, le alterazioni della circolazione, l’aumento di CO2 e di acidità delle masse d’acqua. Vengono
quindi evidenziati i patterns emergenti indotti dal cambiamento climatico come, ad esempio, lo
spostamento latitudinale degli areali di distribuzione delle specie, le alterazioni della biodiversità, gli
episodi di mortalità di invertebrati concomitanti con le anomalie termiche estive registrate negli ultimi
anni.
Risposta biologica al cambiamento delle condizioni ambientali
Mentre si registra un riscaldamento della superficie del mare di 0.55°C ogni decennio, gli scenari più
realistici relativi alle future emissioni di gas serra e le proiezioni dei modelli climatici prevedono per la
fine di questo secolo un riscaldamento atmosferico compreso tra 1,8 e 4°C rispetto al periodo 19801999. Si attende, dunque, un ulteriore aumento della temperatura e dei fenomeni generalmente ascritti
ai cambiamenti climatici. Dal punto di vista biologico, l’effetto dell’aumento di temperatura varia a
seconda della specie e dello stadio di sviluppo, con fasi giovanili più vulnerabili allo stress termico
rispetto agli adulti. La temperatura, inoltre, influenza i processi fisiologici agendo a livello molecolare
fino al funzionamento degli organi. Una spugna mediterranea (Axinella polypoides), ad esempio,
risponde a brevi stress termici variando il metabolismo biochimico, variando il consumo di ossigeno e
la filtrazione dell’acqua. Analogamente ai coralli tropicali (Hoegh-Guldberg et al. 1999), un corallo
mediterraneo (Cladocora caespitosa) va incontro a necrosi dei tessuti in 3 settimane quando la
temperatura dell’acqua supera la soglia dei 24°C. Altre specie invece, come alcune gorgonie, non
sembrano variare il timing riproduttivo, cioè l’emissione dei gameti, in relazione alle variazioni di
temperatura, mentre sembra invece che le fasi lunari continuino ad essere il fattore prevalente nel
determinare il calendario riproduttivo. Per quanto riguarda l’habitat, esistono vari esempi di risposta al
cambiamento: specie che vivono negli habitats più superficiali (prime decine di metri) del
Mediterraneo settentrionale hanno subito i danni maggiori in termini di mortalità in concomitanza con
le anomalie termiche estive registrate negli ultimi anni, analogamente a specie di ambiente intertidale,
cioè che vivono nella fascia interessata dalle variazioni di marea e quindi più adatti a condizioni
ambientali estremamente variabili, sembrano essere altrettanto vulnerabili al riscaldamento.
Il rapporto Ipcc del 2007 sostiene che il mare si sta alzando di 3,1 centimetri per decennio. La
risposta biologica più ovvia all’innalzamento del livello del mare è lo spostamento verticale nella
distribuzione delle specie, anche se tale reazione non può essere efficacemente ‘adottata’ da quelle
specie a crescita lenta o con cicli vitali lunghi, come molti coralli o altre specie sessili incrostanti il
substrato.
Gli ecosistemi marini sono spesso dominati da organismi con stadi vitali giovanili plantonici,
cioè che vivono la parte iniziale della propria esistenza spostandosi con le masse d’acqua senza aver la
capacità di opporre resistenza. Essi sono quindi estremamente sensibili al cambiamento della
circolazione. La dispersione e il reclutamento di questa componente del biota marino sono di
conseguenza influenzati dagli spostamenti verticali e lungo costa delle masse d’acqua. Forti
spostamenti verticali delle masse d’acqua possono influenzare negativamente la taglia della
popolazione adulta, non consentendo ad alcuni invertebrati, secondo recenti previsioni, di mantenere la
popolazione adulta in una determinata area. Le informazioni acquisite negli ultimi decenni hanno
evidenziato chiari legami fra la variabilità interannuale della circolazione e le variabilità osservate
nell’ecosistema marino. I significativi cambiamenti della circolazione e nella produzione delle masse
d’acqua nel Mediterraneo orientale hanno avuto un’influenza significativa sulla distribuzione dei
nutrienti lungo la colonna d’acqua, con un impatto sui cicli biologici ancora non quantificato.
Negli ultimi 200 anni gli oceani hanno assorbito un terzo della CO2 rilasciata in atmosfera
come conseguenza delle attività umane. Gli impatti climatici ed ecologici prodotti dall’aumento di
CO2 sono tra le principali preoccupazioni attuali (Kleypas et al. 2006). Mentre l’aumento di CO2
potrebbe avere un impatto ‘positivo’ su molti ecosistemi vegetali terrestri stimolando un aumento della
fotosintesi, per un certo numero di piante marine non ci si dovrebbe attendere un effetto positivo sulla
loro crescita. Lavori scientifici recenti indicano che l’acidificazione del mare in risposta all’aumentato
assorbimento di CO2 potrà avere come conseguenza una riduzione della calcificazione da parte di
quegli organismi marini il cui scheletro è costituito da parti carbonatiche. Ne sono esempio i coralli, le
alghe calcaree, i briozoi, i ricci, molti molluschi, per citare organismi che vivono in stretta relazione
con il fondale, mentre si citano coccolitoforidi e foraminiferi per quanto riguarda le specie
plantoniche. Si prevede che i tassi di calcificazione di coralli ed alghe possa ridursi del 10-40% in
conseguenza di un realistico raddoppio della pressione di CO2 rispetto al periodo pre-industriale. Le
conoscenze sulla risposta degli ecosistemi marini all’aumento di CO2 e all’acidificazione del mare
sono, tuttavia, ancora limitate in quanto la maggior parte degli esperimenti sono stati condotti in vitro e
per tempi limitati. E’ di alcuni mesi fa uno studio pubblicato su Nature (Hall-Spencer et al. 2008) che
indica come in ambiente naturale vulcanico comunità bentiche di fondi rocciosi, ricche di organismi
calcarei, sottoposte a livelli elevati di CO2 e a pH 7.8 (normalmente il pH è 8.1-8.2) si trasformano in
comunità in cui sono assenti gli organismi calcarei, in particolare ricci ed alghe calcaree, con evidenti
segni di dissolvimento delle conchiglie e degli scheletri. Questo studio prova che l’acidificazione degli
oceani può essere causa di profondi cambiamenti, alterando gli ecosistemi originali e riducendone la
biodiversità.
Patterns emergenti indotti dal cambiamento climatico
Il cambiamento climatico può indurre due principali cambiamenti nella distribuzione degli organismi
marini: uno spostamento che riguarda la zonazione verticale e uno che interessa la distribuzione
biogeografica. Le aree costiere sommerse sono caratterizzate da evidenti patterns verticali nella
distribuzione degli organismi, patterns che riflettono i netti gradienti locali determinati
prevalentemente dalle condizioni fisiche. Il limite di distribuzione verticale, in particolare degli
organismi sessili della zona di marea, risulta essere inversamente correlato alla temperatura, così come
per alcune specie algali si registra uno spostamento verso zone relativamente più profonde in
conseguenza di un aumento di eventi anomali quali mareggiate. Le più miti condizioni degli anni ’90
hanno favorito le migrazioni verso latitudini maggiori di specie caratteristiche di aree marine più calde,
la prevalenza di specie ad affinità meridionale rispetto a specie ad affinità settentrionale e l’ingresso di
specie (sub)tropicali. Per esempio, negli anni recenti sono comparse nel Mediterraneo circa 90 specie
di pesci esotici, di cui 3 di origine boreale e il resto di origine tropicale. Si dice che il Mediterraneo sta
andando verso una ‘tropicalizzazione’, fenomeno che riguarda sia il benthos costiero che la
componente pelagica. Va detto, comunque, che tale fenomeno dipende non solo da cause climatiche,
ma anche da cause naturali ed antropiche. Naturali sono i flussi che avvengono allo stretto di
Gibilterra, provocando in Mediterraneo la comparsa di specie atlantiche, mentre le migrazioni
lessepsiane, attraverso cioè il Canale di Suez, e l’introduzione di specie esotiche provocata dall’uomo
sono evidentemente cause di origine antropica. Tutte queste cause, incluso il riscaldamento climatico,
agiscono su scale temporali differenti ma sembra che tutte stiano accelerando il loro ritmo nelle ultime
decadi.
La variazione climatica sta apparentemente modificando i patterns di distribuzione della biodiversità
del Mediterraneo e il cambiamento nella distribuzione delle specie è particolarmente evidente nelle
aree di transizione tra confini biogeografici diversi (Bianchi 2007). Si dice, ad esempio, che lo Stretto
di Sicilia abbia agito come filtro alla ricolonizzazione del Mediterraneo orientale successiva alla
estinzione di gran parte del biota mediterraneo avvenuta nel periodo Messiniano (5.6 milioni di anni
fa). In tal senso la ricchezza di specie nel bacino orientale dovrebbe essere inferiore a quella del bacino
occidentale, ma studi tassonomici recenti smentiscono tale affermazione. Le differenze in
composizione di specie tra i due bacini sarebbero dovute a differenze termiche piuttosto che ad una
barriera fisica come quella rappresentata dallo Stretto, e su queste differenze il riscaldamento climatico
potrebbe agire ulteriormente. Ma quale conseguenza si può prevedere per le specie di acque
relativamente più fredde del settore settentrionale del Mediterraneo se le specie termofile meridionali
continuano a spostarsi verso nord? Per citare uno di molti esempi possibili, l’astice europeo Homarus
gammarus, specie nordica, si sta riducendo parallelamente all’aumento della specie mediterranea
meridionale Scyllarides latus.
Venti anni di osservazioni fatte in una area marina protetta della Liguria hanno dimostrato che i
principali cambiamenti nelle comunità bentoniche legate al riscaldamento globale non sono da
attribuirsi a lente e progressive modificazioni ma ad improvvise mortalità di massa (Cerrano 2005,
Cupido 2008). Le variazioni climatiche, insieme allo sfruttamento delle risorse offerte dagli ecosistemi
marini, all’alterazione degli habitats provocate dal’uomo, all’inquinamento, stanno alterando in termini
di abbondanza e di composizione molte comunità marine ed aumentando la probabilità di estinzioni
locali di specie. In cascata, la scomparsa di anche una sola specie può indurre importanti conseguenze
sia a livello di comunità che di ecosistema, con implicazioni a livello di produttività e di resistenza
verso l’invasione di nuove specie. Determinare come il cambiamento climatico influenzerà gli
ecosistemi marini e prevederne la loro risposta a livello di specie, popolazioni e comunità richiede
osservazioni integrate, multidisciplinari e a lungo termine oltre allo sviluppo e validazione di modelli
predittivi. Mentre per la biologia della pesca questi ultimi sono relativamente più sviluppati, per gli
invertebrati marini e le alghe questi sono molto meno noti. Inoltre, poiché è impossibile fermare il
trend climatico entro i prossimi 100 anni qualora venissero osservate le recenti implementazioni
previste nel protocollo di Kyoto, ulteriori strategie devono essere adottate per mitigare gli effetti sugli
ecosistemi marini. Una di queste è l’istituzione di aree marine protette e di riserve ‘no-take’, anche se
sono ritenute necessarie ma non sufficienti per la conservazione degli ecosistemi marini. Poiché
popolazioni stabili e comunità biologiche integre sembrano essere più resilienti al disturbo indotto dal
cambiamento climatico, tali misure protettive potrebbero ridurre il rischio di gravi effetti sulla perdita
della biodiversità.
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A. D’Ayala - L. Rossi
L’impatto delle ceneri di carbone sugli ecosistemi acquatici costieri
The impact of fly ashes on coastal wetlands
Il crescente uso del carbone, come fonte energetica alternativa, pone nuove sfide per la tutela della
salute umana e la conservazione della natura. Appaiono tuttora poco chiare le possibili conseguenze
della dispersione delle ceneri prodotte dalla combustione del carbone su ecosistemi chiave per la
conservazione del ”capitale naturale” quali ad esempio le zone umide costiere.
Vengono riportati in questa comunicazione i risultati di indagini ecologiche condotte su una laguna
della penisola salentina (Puglia, Italia), finalizzate a determinare quanto lo smaltimento delle ceneri del
carbone in questi biotopi possa influenzare l’efficienza del sistema biologico multi specie dei
detritivori; organismi responsabili del riciclaggio dei nutrienti nella catena alimentare e quindi del
mantenimento della produttività ittica. Quanto emerge da questi studi è l’incapacità dell’ecosistema
acquatico esaminato di assorbire le ceneri di carbone senza risentire effetti negativi. Questi sono così
riassumibili:
- peggioramento della qualità delle risorse detritiche da riciclare attraverso la decomposizione;
- modifica dei rapporti intra e interspecifici delle specie detritivore;
- notevole rallentamento del processo decompositivo.
Abstract
Increasing use of coal, as alternative energetic source, challenges human health and nature
preservation. Possible issues of fly ashes dispersal on key ecosystems about preservation of nature as
a capital to save, such as coastal wetlands, are not clear yet. An ecological investigation in a
saltmarh, here reported, suggests that perturbation of fly ashes, generated by electric power plants,
stresses the detritus based community and decreases the flow of trophic resources through detrital
system. The results show that fly ashes strongly interfere with quality of resources (leaf detritus
colonized by microfungi), trophic niche parameters of detritivore species, and their decomposition
processes.
Ritorno al carbone
Fonte energetica dello sviluppo industriale dal XVIII secolo, il carbone ha conosciuto un declino negli
ultimi 50 anni, dovuto alla concorrenza degli idrocarburi (petrolio e gas) e soprattutto in Europa,
anche per le difficili condizioni geologiche dei giacimenti carboniferi, che hanno reso il costo di
produzione del carbone europeo, superiore al prezzo di mercato.
Il progressivo rincaro degli idrocarburi e i sempre più frequenti shock petroliferi rendono vulnerabile,
sul fronte energetico, l’Unione Europea. Si torna così a guardare al carbone, che a un prezzo
certamente competitivo e con giacimenti diffusi a livello mondiale, sembra sia in grado di assicurare la
produzione di elettricità e calore, per almeno i prossimi duecento anni (al rateo di consumo attuale).
La conversione a carbone delle centrali elettriche a olio, rappresenta quindi un’alternativa energetica,
in attesa, forse, di un riaffermarsi del nucleare. Le centrali a carbone hanno inoltre un rendimento
superiore a quello delle centrali ad olio, il che consente un risparmio di combustibile a parità di kWh
prodotto. Ma la combustione del carbone produce inquinanti ed incrementa l’effetto serra più di
quanto già facciano il petrolio e il metano. Nonostante le moderne tecnologie di abbattimento delle
polveri e controllo dei fumi, una parte delle polveri finisce nell’atmosfera. In tali polveri è stata
talvolta rilevata la presenza di mercurio o di elementi radioattivi. Il concorso di tutte queste emissioni
costa caro all’ambiente europeo: secondo stime degli anni ’80 del secolo scorso (Brundtland et al.
1988), avrebbero causato danni ai materiali e alle popolazioni ittiche per almeno 3 miliardi di dollari
l’anno e quelli riguardanti le coltivazioni, le foreste e la salute umana oltre i 10 miliardi annui. Circa il
13% in peso del carbone, rimane incombusto e viene trattenuto, sotto forma di ceneri leggere o volanti
(fly ashes), dai sistemi di depolverizzazione dei fumi. A livello europeo, se ne producono mediamente
40Mt/anno (Belz & Caramuscio 2008), nella sola Italia, che importa carbone per appena il 9% delle
sue fonti primarie (Ministero dello Sviluppo Economico 2008), una singola centrale elettrica in via di
conversione al carbone, come quella di Tor Valdalica (Roma), sarebbe in grado di produrre ceneri fino
a 500000 ton annue.
Le ceneri di carbone
Le ceneri leggere sono il prodotto della trasformazione subita dalle impurità minerali presenti nel
carbone a seguito della sua combustione. Si presentano come una polvere fina composta di particelle di
dimensioni microniche, paragonabili a quelle di un cemento. Essendo queste ceneri identificate e
classificate come rifiuto speciale non pericoloso, possono essere riutilizzate nel settore delle
costruzioni e dei lavori stradali. Ma l’attuale difficoltà nel rispettare i rigorosi standard tecnici, imposti
dalla normativa vigente, fa sì che attualmente le ceneri siano prevalentemente smaltite attraverso
discariche. Qualora le ceneri di carbone, pervengano ad un corpo idrico, oltre ad aumentarne la
torbidità, ne modificano il pH, per via dei composti solforati in esse contenute. Inoltre le ceneri
presentano una concentrazione relativamente alta di metalli pesanti, e numerosi studi hanno dimostrato
la tendenza di queste ceneri di rilasciare, in ambiente acquatico, tali metalli che si depositano nei
sedimenti di fondo. Gli organismi bentonici a contatto con i sedimenti contaminati concentrano i
metalli pesanti, con successivo avvelenamento della catena alimentare. I batteri risultano resistenti ai
metalli pesanti, mentre i funghi sono più sensibili ma con notevoli capacità di accumulo.
L’importanza ecologica delle lagune costiere
Le lagune costiere e gli stagni salmastri sono zone di transizione (ecotoni) tra il bacino di drenaggio e
l’ambiente marino; molte delle loro caratteristiche fisiche e biologiche sono uniche. In termini di
produzione primaria e biomassa (espressi in Kcal/mq su base annua) questi ecosistemi sono tra i più
produttivi della biosfera, paragonabili alle barriere coralline e alle foreste tropicali. La loro produttività
è dovuta all’energia sussidiaria dei flussi di marea che rimescolando l’acqua concentrano i nutrienti e
altre risorse trofiche, compreso il fosforo che è più abbondante rispetto agli adiacenti biotopi di acqua
dolce e marina. Esse rappresentano l’habitat per numerose specie di interesse commerciale: frutti di
mare e forme giovanili di pesci.
Come in molti altri ecosistemi naturali, gran parte dell’energia solare attraversa la rete trofica lagunare
passando inizialmente per la catena del detrito. Qui la produzione autotrofa è convertita in materia
organica particolata e disciolta. Il sistema detritico accelera la rigenerazione dei nutrienti e la loro
riciclizzazione, dato che piante, microbi ed animali sono strettamente associati e i nutrienti
rapidamente riassorbiti non appena vengono rilasciati. La catena alimentare del detrito, basata spesso
sulle foglie morte dei vegetali, ha inizio con l’attività microbica (compresi i microfunghi) che
trasforma il detrito fogliare in un particolato arricchito in proteine, sul quale si nutrono in modo
selettivo i detritivori. Questi ultimi, sono un gruppo faunistico che comprende poche specie (molluschi,
vermi, artropodi e pesci) ma moltissimi individui, che a loro volta, costituiscono cibo per piccoli pesci
fino ad arrivare ai vertici della catena alimentare, rappresentati da pesci carnivori, uccelli ittiofagi e
l’eventuale attività alieutica. D’altra parte queste aree litorali di grande fertilità naturale e rilevanza
economica, occupano un’estensione piuttosto limitata della biosfera (circa il 2%), in prossimità di aree
spesso antropizzate. Da lungo tempo, quindi, le comunità biologiche di questi ambienti, la loro
complessità trofica e sensibilità alle perturbazioni umane, sono oggetto di indagini ecologiche.
L’Impatto delle ceneri di carbone sul sistema del detrito di una laguna costiera
Con lo scopo di analizzare gli effetti causati da risorse detritiche perturbate, dalle ceneri di carbone, sul
comportamento alimentare delle specie detritivore e sul processo della decomposizione del detrito
fogliare in una laguna costiera, è stata condotta un’apposita sperimentazione presso laboratori
universitari di ecologia (Rossi 1993; Barra Caracciolo et al. 1995). Per riprodurre in una serie di
acquari (microcosmi) la comunità basata sul detrito, sono state prelevate, dall’ambiente salmastro di
Acquatina (Lecce, Italia) alcune popolazioni dei macroinvertebrati detritivori Idotea baltica,
Sphaeroma monodi e Gammarus insensibilis e come risorsa trofica basale, il detrito fogliare della
fanerogama marina Cymodocea nodosa, abbondante in questo bacino. Otto ceppi microfungini, isolati
dallo stagno, sono stati quindi inoculati sulle foglie di C. nodosa per avviarne la decomposizione
fogliare, in assenza e in presenza di ceneri di carbone. Il passo successivo è stato variare le condizioni
sperimentali all’interno degli acquari, ossia la presenza/assenza del detrito condizionato da
microfunghi + ceneri e il numero di specie detritivore, per esaminare singolarmente i seguenti aspetti
specifici:
- effetti delle ceneri di carbone sui detritivori a livello di popolazione (specie in isolamento);
- effetti delle ceneri di carbone sui detritivori a livello di comunità (2-3 specie nello stesso acquario) e
sul processo della decomposizione;
- effetti delle ceneri di carbone sui tassi di crescita dei ceppi micro fungini.
Dall’analisi dei risultati ottenuti si evidenzia che la presenza delle ceneri abbassa la qualità delle
risorse ed influenza i rapporti intra e interspecifici delle specie. In particolare a livello di popolazione,
l’analisi di nicchia potenziale mostra che la presenza di ceneri modifica il grado di
generalismo/specialismo degli individui.
Infatti, le ceneri rendono alcune risorse inutilizzabili, facendo aumentare il generalismo e quindi la
sovrapposizione potenziale fra le specie. Esaminando i consumi, si osservano differenti trend che
indicano come la risposta dei detritivori alla perturbazione sia specie specifica. In effetti, alcune specie,
se la risorsa è inquinata, spostano le loro preferenze su altre risorse, aumentandone il consumo. Così
facendo restringono la loro nicchia trofica, senza però variare il tasso di consumo generale. Altre
specie, nelle stesse condizioni, invece di spostare le preferenze, diminuiscono i propri consumi della
risorsa preferita.
A livello di comunità, non disturbata, all’aumentare della densità di specie (oppure al crescere della
disponibilità di detrito) il processo decompositivo generalmente rallenta. I fenomeni competitivi
interspecifici influenzano i consumi, poiché le specie tendono a differenziarsi nello sfruttamento delle
risorse. In presenza delle ceneri di carbone il processo rallenta ulteriormente, a causa
dell’abbassamento del consumo medio delle specie, che finiscono per mangiare le stesse cose quando
sono costrette a nutrirsi di risorse perturbate. In pratica lo stress annulla la competizione, che agisce
proprio nel senso della diversificazione delle preferenze, e blocca il sistema multi specie in una
condizione di generalismo forzato.
Tutto ciò si traduce in un rallentamento della velocità di decomposizione, come si evince dalla
misurazione del peso perso dai pacchi fogliari di Cymodocea nodosa, in seguito all’azione dei
decompositori. Si è, infatti, osservato che in presenza di ceneri, la perdita di peso diminuisce di
intensità, mediamente di circa il 60% (alla concentrazione di 100 gr/litro di ceneri).
Le ceneri agiscono sui microfunghi che colonizzano il detrito fogliare, rallentando la loro azione di
degrado. La riduzione dell’attività microbica potrebbe essere attribuibile all’innalzamento del pH e a
metalli in “traccia” presenti nelle ceneri in concentrazioni potenzialmente tossiche. Alcuni ceppi
fungini, hanno mostrato un maggiore tasso di crescita, in presenza di ceneri. Tale effetto è però solo
apparente, essendo associato alla capacità meccanica di tali funghi di inglobare nelle loro ife le
particelle di cenere, formando una consistente biomassa gelatinosa. Come si è visto la presenza delle
ceneri nella risorsa fungina, ne diminuisce la palatabilità, facendo generalmente spostare le preferenze
alimentari dei detritivori sul detrito condizionato da altre risorse fungine, che vengono sfruttate più
intensamente. Probabilmente l’alterazione dei microfunghi, influenza la sopravvivenza degli organismi
che li ingeriscono. Questo è ipotizzabile se si considerano gli individui che pur restando specializzati
su una risorsa inquinata, ne riducono il consumo, nel tentativo forse di limitare l’accumulo di sostanze
dannose. Come ulteriore conferma dello stress causato dalle ceneri, è stata riprodotta in laboratorio
quella parte del ciclo del fosforo che vede coinvolti i detritivori (Manganelli et al. 1995). Utilizzando
l’isotopo ³²P, come tracciante, si è potuto dimostrare come le ceneri influenzano pesantemente il ciclo
del fosforo, arrivando a diminuire di otto volte la quantità normalmente assimilata dai microfunghi di
questo elemento indispensabile. Le conclusioni che si traggono, suggeriscono che le ceneri, pur
interferendo con le relazioni dei detritivori, ai livelli più bassi dell’ecosistema, non si dovrebbero
rivelare letali nei tempi brevi e medi. D’altra parte nel tipo di ecosistema acquatico considerato, il
compartimento detritico regola notevoli flussi di energia e nutrienti. Qualunque modifica della struttura
della comunità detritivora potrebbe influenzare il funzionamento e la persistenza delle strutture dei
livelli superiori. Sono pertanto necessarie altre ricerche sugli effetti a lungo termine causati dalla
presenza cronica di ceneri, con particolare riferimento ai fenomeni di accumulo (biomagnificazione)
lungo la catena alimentare.
Bibliografia
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di Gammarus insensibilis in ambiente salmastro. S.It.E. Atti, 16: 585-587.
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http://tecnet.pte.enel.it/depositi/tecnet/congressi/276/879-Valorizzazione%20ceneri.pdf
Brundtland, G.H., e altri (1988), "Il futuro di noi tutti. Rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo",
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Manganelli, M., Ruggiero, A., Rossi, L., Varallo, G., (1995): Ruolo di stress abiotici nel trasferimento di ³² P in un ambiente
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Ministero
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http://dgerm.sviluppoeconomico.gov.it
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Rossi, L. (1993): Indicatori sistemici per la valutazione dei limiti di accettabilità ambientale e dei potenziali di riciclaggio
biologico delle ceneri prodotte dalle centrali termoelettriche. Contratto ISPESL – Dipartimento di Biologia – Università
degli studi di Lecce. pp.84.
Regione Siciliana
Soprintendenza del Mare
Assessorato BB.CC.AA.
Sebastiano Tusa
Soprintendente del Mare
Regione Siciliana
Fattori di vulnerabilità del patrimonio culturale sommerso
Interessante la tematica inerente i rischi per il patrimonio culturale sommerso poiché consente
di affrontare la materia non soltanto in termini negativi cioè evidenziando le criticità, ma anche in
positivo sottolineando i mezzi ed i metodi (talvolta scaturiti da effettiva esperienza) per una completa
valorizzazione degli stessi. Siamo, infatti, convinti che in questo settore del vasto arcipelago del Beni
Culturali, come in altri, la migliore strategia da attuare per la difesa del patrimonio, sia esso materiale
che immateriale, sia non la difesa, bensì oserei dire … l’”attacco” , cioè la piena valorizzazione degli
stessi. In altre parole la chiusura al di qua di barricate concrete o metaforiche non giova assolutamente
alla salvaguardia del nostro patrimonio. Al contrario la conoscenza e la valorizzazione più vasta,
funzionale soprattutto ad una presa di coscienza da parte del pubblico più vasto dell’importanza di
questi beni, può innescare un meccanismo virtuoso e reale di responsabilizzazione collettiva che riduca
se non elimini i rischi di depredazioni, danneggiamenti ed altro.
A tal proposito è bene fare l’esempio dell’immenso patrimonio diffuso presente nelle nostre
chiese oggi sottoposto a rischio costante di depredazione. Il fenomeno ha subito un formidabile
incremento negativo nel momento in cui il senso di appartenenza delle comunità parrocchiali è venuto
meno soprattutto in seguito ad un generale allontanamento dai valori fondamentali che animavano
l’essenza cristiana del popolo italiano. Un tempo era quel senso di forte identità con gli elementi
materiali del culto a far si che fosse la comunità stessa a farsi parte attiva nel proteggere ciò che le
chiese, i monasteri ed in generale i luoghi di culto diffusi possedevano. Oggi quel sentimento collettivo
è venuto meno così come il cemento dell’unità ed identità parrocchiale determinando l’indifferenza
collettiva verso quel patrimonio un tempo sentito come proprio. Come non ricordare, a tal proposito, le
bellissime e toccanti scene dei tanti film della serie che ebbe nell’affabile contrasto tra le due Italie
laica e cattolica, personificate da Peppone e Don Camillo, la sua metafora cinematografica più
toccante. Malgrado la radicalità del contrasto tra due concezioni del mondo diverse la gente si
ritrovava sempre unita nei valori identitari del “campanile” attuando una caparbia difesa dei luoghi,
delle persone e dei concetti legati al proprio essere cittadini di quel lembo d’Italia. Oggi quei valori
sembrano la preistoria di una morale assolutamente diversa dove i miti dell’apparire e del denaro
sembrano essere dominanti.
Questa situazione intellettuale mutata determina spesso l’abbandono del patrimonio,
soprattutto nella sua contestualità, facendo diventare spesso il singolo oggetto feticcio di uno status
sociale e, quindi, apprezzato soltanto per il suo mero valore commerciale. Ciò provoca da un lato
l’abbandono dei contesti, soprattutto di medio e minor valore, e dall’altro l’aggressione verso gli
oggetti commerciabili con la conseguenza del loro disperdersi nei meandri di un mercato che ne
apprezza soltanto il valore venale privo di essenza e contesto.
Per quanto attiene ai beni archeologici di provenienza marina si aggiunge un pericoloso
fenomeno basato sulla valenza arredativa che viene data a tali oggetti. E’, purtroppo, uso corrente,
soprattutto nelle seconde case di mare, utilizzare anfore ed ancore per scopo arredativo. Anfore su
supporti in ferro danno bella mostra di se stessi agli angoli dei saloni da pranzo o da convivio o nelle
verande, così come i ceppi d’ancora in piombo costituiscono spesso la cornice superiore dei camini.
Ma non tutto è perduto. Il pessimismo che talvolta ci prende non deve farci perdere di vista la
grande potenzialità che emana da questi frammenti di storia millenaria che, malgrado talvolta relegati
nell’oblio, tuttavia mantengono sempre fortissime potenzialità di ripresa e di appeal. E’ inutile, infatti,
dire e ricordare a noi stessi che il richiamo delle radici non può esaurirsi anche se può vivere momenti
di crisi. Come, infatti, non vedere nelle presenze oceaniche a talune mostre o eventi culturali dei segni
effettivi di cambiamento. Come non accorgersi che nella tendenza di ogni campanile di dotarsi del
proprio museo e del proprio circuito culturale vi sia un segnale da cogliere per esaltare il ruolo del
nostro passato come elemento essenziale per raggiungere quella “intelligenza” del presente necessaria
per attuare un corretto rapporto ecosistemico tra uomo ed ambiente che rispetti le istanze di sviluppo e
progresso senza inibire e condizionare negativamente il messaggio storico positivo del passato.
Per entrare subito nel vivo delle problematiche inerenti il patrimonio culturale sommerso la
premessa appena espressa ci serve per introdurre ciò che a nostro avviso (e lo diciamo con forza
dell’esperienza acquisita) sia un metodologia corretta di affrontare il problema della sua efficace
tutela. In tale senso, per ritornare al titolo di queste brevi considerazioni, i “fattori di vulnerabilità” che
individuiamo come i peggiori non sono tanto l’effetto finale del danneggiamento o del furto, quanto
l’indifferenza, l’ignoranza e la distorta cognizione del valore dei segni del nostro passato, sia emerso
che sommerso. Sono, pertanto, proprio la non conoscenza, l’ignoranza o l’indifferenza i principali
nemici del patrimonio culturale. E’quando allignano tali fattori che si verificano i delitti più gravi.
Quando, al contrario, i riflettori dell’attenzione collettiva sono costantemente puntati verso il nostro
patrimonio è molto più difficile che esso venga colpito.
La Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana ha cercato di invertire questa pericolosa
tendenza esistente anche nel settore del patrimonio culturale marino che è ancor più grave poiché
spesso ciò che non si vede cade maggiormente nell’oblio e diventa, pertanto, più vulnerabile. Abbiamo
aperto i siti subacquei rendendoli visitabili in sicurezza con il corredo di apposite boe di segnalazione e
cime di percorrenza (fig.1). La didattica e l’informazione è stata garantita da didascalie posizionate nei
pressi dei reperti e da guide in plastica come ausilio alla visita (fig.2).
Per fugare ogni possibile fraintendimento di quanto precedentemente espresso vorrei
sottolineare che l’azione di divulgazione scientifica necessaria per raggiungere il livello di
informazione generalizzata e di massa auspicato non prescinde dall’attività di controllo e repressione
che portiamo avanti quotidianamente con l’insostituibile ausilio delle forze dell’ordine. A tal fine
anche l’innovazione tecnologica ci ha dato un aiuto fondamentale con l’implementazione dei primi
sistemi di telecontrollo dei siti archeologici subacquei che sono già in funzione presso Cala Minnola a
Levanzo (fig.3) e Cala Gadir a Pantelleria che, oltre a permettere il controllo a distanza, offrono a chi
non si immerge l’opportunità di vedere realmente la situazione di giacitura dei resti del relitto.
Ma i fattori di vulnerabilità non si limitano ai rischi di depredazione da parte di subacquei di
pochi scrupoli o di ricettatori che, in tal modo, alimentano il mercato clandestino di opere d’arte
illecitamente acquisite. Vi sono fattori di rischio, soprattutto per danneggiamento, che afferiscono le
problematiche dell’inquinamento o che insorgono allorquando lo scavo o la messa in evidenza dei
reperti li rende vulnerabili agli agenti biodeteriogeni.
Per quanto attiene ai fattori di rischio per inquinamento ciò si verifica principalmente nelle aree
portuali e limitrofe e nelle zone ove insistano scarichi comportanti l’inoltro di materiale
particolarmente tossico.
Ma il rischio maggiore si determina quando o lo scavo archeologico subacqueo o la pulitura dei
reperti altera il secolare equilibrio che si era raggiunto attraverso la lenta colonizzazione delle superfici
da parte della popolazione bentonica. Evidente e noto è il rischio cui vengono sottoposti i resti organici
(legno e fibre) nel momento in cui vengono portati alla luce dopo la rimozione dei sedimenti che li
ricoprono. L’azione di organismi vegetali ed animali determinerà immediatamente un’alterazione della
materia messa in luce con un’irreversibile deterioramento. Analoga situazione si registra sui materiali
inorganici come ferro e bronzo nel momento in cui vengono rimosse le coperture vegetali che ne
hanno colonizzato le superfici.
A tal proposito stiamo facendo, in collaborazione con l’Istituto Centrale del Restauro,
un’esperienza su alcuni cannoni di un relitto settecentesco rinvenuto presso Punta Libeccio a
Marettimo (fig,4). Abbiamo già effettuato delle puliture dei cannoni in situ eliminando le incrostazioni
che li ricoprono. Nel breve volgere di una stagione la vegetazione riavvolge il reperto vanificando ogni
pulitura effettuata con il rischio di una diminuzione irreversibile della materia. Pertanto stiamo
elaborando un sistema che incide sulle correnti galvaniche inibendo il riformarsi della vegetazione.
Notissimo è il problema del decadimento del legno allorquando viene messo in luce asportando
i sedimenti che lo ricoprono (fig.5). Ancora nessuno è riuscito a risolvere il problema della
conservazione del legno in situ (cioè in acqua). Sarà un problema che dovremo porci poiché diventa
sempre più costoso il recupero, il trattamento e la musealizzazione degli scafi lignei.
Ma anche il problema della conservazione del legno recuperato è ancora oggetto di
speculazione e ricerca. Il sistema più antico di conservazione, quello che utilizza il PEG per colmare i
vuoti del legno provocati dagli agenti biodeteriogeni, mostra ormai i suoi limiti dovuti alla lunghezza,
costo eccessivo e invasività del trattamento (fig.6). Oggi un altro sistema si affaccia all’orizzonte
dando ottimi risultati. Si tratta del metodo che vede l’utilizzazione di un composto amido-zucchero al
posto del PEG. Ma è necessario aspettare ancora del tempo per avere un vero e proprio collaudo di tale
sistema nel lungo periodo.
In sintesi i fattori di vulnerabilità del patrimonio culturale sommerso li possiamo distinguere in
umani e naturali. Quelli umani vanno combattuti con la repressione, ma soprattutto con il controllo, la
comunicazione, l’educazione ed il coinvolgimento del volontariato e dei privati nella tutela nel senso
di corresponsabilizzazione.
I fattori naturali vanno contrastati con la ricerca di nuovi sistemi e tecnologie atte a trovare
rimedi sempre più efficaci e non invasi per la protezione del patrimonio culturale sommerso in
un’ottica di sua piena valorizzazione controllata.
Fig.1 Parco archeologico subacqueo di Cala Minnola a Levanzo
Fig.2 Guida illustrativa dell’itinerario archeologico subacqueo di Punta Falconiera ad Ustica
Fig.3 Il sistema di telecontrollo nell’area del relitto di Cala Minnola a Levanzo
Fig.4 Sperimentazione di un dispositivo anti vegetativo su un cannone di Punta Libeccio a Marettimo
Fig.5 Parte dello scafo ligneo del relitto di Marausa messo in luce
Fig.6 la “nave punica” di Marsala trattata con il sistema del PEG
Università di Palermo
Gabriella Cangelosi
L’AZIONE AMMINISTRATIVA LOCALE E LA TUTELA DELL’AMBIENTE MARINO
1. Le problematiche ambientali.
L’aumento del livello del mare porta e continua a comportare maggiori rischi per le zone costiere
europee del mediterraneo: si valuta che i maggiori problemi siano nella perdita di zone umide alla foce
dei fiumi, nell’invasione di acqua salata nelle falde costiere di acqua dolce, con conseguenze
sull’agricoltura e sulla disponibilità di acqua dolce, ed infine nella maggiore e più rapida erosione delle
spiagge basse e delle spiagge ottenute con opere di difesa idraulica delle coste o di zone bonificate[1].
La protezione dell’ambiente marino insieme al perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e
alla necessaria salvaguardia e tutela ambientale assumono, non soltanto nell’agenda degli impegni a
livello nazionale, ma anche nell’ambito delle raccomandazioni internazionali un ruolo determinante
per il futuro del pianeta. Di qui la ricerca climatica e le osservazioni globali (analisi e previsioni
climatiche precise, ma anche definizione dettagliata di impatti e rischi), le nuove ed inesplorate fonti
primarie di energia (sorgenti energetiche senza emissione di gas serra), i nuovi vettori energetici e fonti
secondarie (oltre l’idrogeno, anche ulteriori vettori energetici non contenenti carbonio), i nuovi modi di
usare fonti e vettori energetici sia tradizionali che nuovi (minimizzazione della intensità carbonica
nella produzione ed uso di energia), i nuovi sistemi e le tecnologie di dematerializzazione
(minimizzazione dell’intensità energetica complessiva, cioè disaccoppiamento sviluppo-energia)[2].
Il successo delle azioni a tutela dell’ambiente dipende però sensibilmente dalla comprensione delle
problematiche ambientali. In uno studio recente pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente
(EEA) – la Quarta valutazione dell’ambiente – si affrontano alcune tematiche di interesse mondiale,
quali la qualità dell’aria, le polveri sottili, i cambiamenti climatici e lo stato dell’ambiente marino:
sono, infatti, diversi i settori e gli ecosistemi che risentono di tali cambiamenti, basti pensare al livello
degli oceani che si sta già alzando a causa dell’accelerato scioglimento dei ghiacci polari e all’impatto
sugli ecosistemi naturali, sulla biodiversità, sulla salute umana e sulle risorse.
L’uomo ha una certa responsabilità nei confronti dell’ambiente naturale e le disposizioni e le azioni per
la sua salvaguardia possono utilmente essere introdotte a livello internazionale. Tale convinzione si è
presto manifestata attraverso trattati e convenzioni sulla fauna e flora, affiancata da misure
internazionali destinate a combattere l’inquinamento dei mari e dei fiumi.
Il Protocollo di Kyoto del 1997 rappresenta soltanto un primo passo verso una più sostanziale
riduzione dell’emissione mondiale di gas ad effetto serra. Ancor prima l’assemblea generale delle
Nazioni Unite dette l’avvio ad un negoziato internazionale per definire una convenzione internazionale
globale denominata “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC),
impostata su principi e presupposti di prevenzione. La Convenzione UNFCC, sottoscritta al summit
mondiale di Rio de Janeiro del 1992 sullo sviluppo sostenibile - entrata in vigore, dopo il necessario
numero di ratifiche, il 21 marzo del 1994 - ha come obiettivo “la stabilizzazione delle concentrazioni
atmosferiche dei gas serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane
con il sistema climatico”; questo livello di stabilizzazione deve essere raggiunto “in un periodo di
tempo tale da permettere agli ecosistemi di adattarsi in modo naturale ai cambiamenti del clima, tale da
assicurare che la produzione alimentare per la popolazione mondiale non venga minacciata e tale,
infine, da consentire che lo sviluppo socioeconomico mondiale possa procedere in modo sostenibile”.
L’Unione Europea ha altresì sottolineato in più occasioni - si pensi al Consiglio sull’Ambiente del 20
febbraio 2007 - la necessità di ridurre del 50% l’emissione di gas a effetto serra entro la metà del
ventunesimo secolo, con immediato effetto di norme più rigide di quelle previste dagli accordi di
Kyoto.
L’attuale scenario non è dei migliori e la necessità di nuovi provvedimenti è stata riconosciuta da tutti
gli Stati europei, a tutti i livelli.
Non è possibile realizzare un’attività positiva di tutela del mare e del territorio se non integrando
conoscenze relative all’ambiente e al territorio, e valutando le influenze delle modifiche ambientali
sulle condizioni ed i luoghi di vita degli esseri viventi, nella convinzione che non esiste prevenzione
efficace al di fuori di uno sviluppo della consapevolezza istituzionale e collettiva, del consenso alle
misure preventive, dell’utilizzo di strumenti di protezione ambientale e del mutamento degli stili di
vita liberamente scelti nell’orizzonte della sostenibilità ambientale.
2. La tutela ambientale e le autorità locali.
La tutela preventiva della sicurezza ambientale rientra tra i compiti delle autorità pubbliche locali,
tenute ad un facere operativo ed amministrativo volto ad impedire gli eventi dannosi o pericolosi che
la eventuale inattività socio-istituzionale equivarrebbe a cagionare. La tutela ambientale dalle varie
forme di inquinamento e la gestione sostenibile dell’ambiente si è soliti impostarle prevalentemente
sull’attività di controllo preventivo degli Enti locali territoriali esercitata, talvolta, con lo strumento
dell’autorizzazione, ricorrendosi alle misure penali e alle sanzioni amministrative in un secondo
momento rispetto a quello affidato ai rimedi amministrativi[3].
Nella sfera degli Enti locali, l’adozione delle misure amministrative ed operative di tutela e protezione
ambientale rientra, così come suggerito da GIANNINI, in un complesso quadro di funzioni “ordinali”
attinenti all’ordine delle attività da svolgere per la funzione sostanziale. Tali funzioni sono distinguibili
in: potestà normative, conformative, permissive e di controllo, sanzionatorie e tariffarie[4]; le
specifiche competenze sono contraddistinte da una natura giuridica complessa e l’identificazione degli
strumenti giuridici potrebbe essere ricondotta, quindi, alle funzioni autoritative, a quelle tecniche di
vigilanza e di controllo ed ai compiti di mera gestione[5].
I criteri di ordinazione delle tipologie funzionali sono assimilabili, in via generale, alle forme di tutela
ambientale che si manifestano nei pubblici interventi: dalla conservazione della natura, delle risorse
naturali e dei beni culturali ambientali, e salvaguardia degli ecosistemi, alla repressione degli
inquinamenti, frutto talvolta di attività produttive e, ancora, alla gestione razionale delle risorse
ambientali per uno sviluppo sostenibile ed ecocompatibile, sì da seguire una prospettiva preventiva e
promotrice di tecnologie meno inquinanti.
La sistematizzazione degli strumenti di tutela ambientale continua a subire una profonda evoluzione
per una loro concreta applicazione, specie in considerazione della complessa organizzazione
amministrativa dell’ambiente intesa in senso “oggettivo”, facendo, quindi, riferimento all’influenza
subìta dalla natura delle funzioni che l’organizzazione stessa deve svolgere, cioè dalle finalità tipizzate
dal legislatore per la cura degli interessi pubblici[6].
L’organizzazione amministrativa ambientale “regionale-locale”, nonostante rimanga nel “cono
d’ombra dello Stato-ente”[7] – al quale è strettamente connessa da un complesso di relazioni
istituzionali di cooperazione interorganica ed intersoggettiva – è caratterizzata da molteplici formule
organizzatorie che spaziano dalla concentrazione delle funzioni in capo a specifici centri di
imputazione, al coordinamento degli interessi ambientali mediante strumenti di raccordo organizzativo
e procedimentale, all’integrazione dell’interesse ambientale con altri interessi con-primari, a forme di
partecipazione ed amministrazione negoziata, nell’ottica di una maggiore flessibilità operativa e nella
definizione di accordi organizzativi che possano favorire una concreta attuazione delle formule
istituzionali a tutela dell’ambiente.
La rilevanza territoriale degli interessi ambientali ha imposto l’adozione di modelli organizzativi ad
hoc, finalizzati alla cura dei profili materiali delle funzioni “ordinali”, poiché fortemente influenzati
dal settorialismo della legislazione sostanziale in materia ambientale.
3. L’azione amministrativa degli Enti locali nella tutela degli interessi ambientali.
Negli ordinamenti locali i procedimenti amministrativi sono “specifici” in vista della tutela degli
interessi ambientali. Tale previsione comporta come diretta conseguenza la formalizzazione dell’iter
decisionale relativo alla loro cura, l’immediato coinvolgimento degli Enti locali preposti alla tutela
dell’ambiente ed il possibile intervento dei soggetti portatori di interessi e di coloro che sono
legittimati ad impugnare l’atto finale.
Nell’ordinamento giuridico non esiste un modello generale di procedimento qualificato come
“ambientale”, anche se maturano diverse ipotesi secondo cui potrebbe essere fondata la sussistenza di
un procedimento caratterizzato dall’attinenza alla materia ambientale oppure dove si manifesta ed
afferma la unitarietà del bene giuridico “ambiente”. A tal proposito la dottrina e la giurisprudenza
hanno espresso pareri talvolta discordanti: sovente parrebbe opportuno riferirsi ai procedimenti
ambientali intendendo come tali una serie di procedimenti preordinati all’emanazione di
provvedimenti atti a tutelare i beni ambientali e che, in assenza di una materia unitaria, non sono
riconducibili ad uno schema unitario.
Si osserva la prevalenza di procedimenti autorizzatori, in ragione del profilo funzionale delle
autorizzazioni emanate, corrispondente al principio di “prevenzione” poiché caratterizzato da una
preliminare valutazione della compatibilità di un’attività con la cura dell’interesse pubblico
ambientale. La varietà delle autorizzazioni ambientali, disciplinate nei diversi settori di attività, non
potrebbe anch’essa portare ad una tipizzazione dei procedimenti autorizzatori ambientali.
Sarebbe opportuno considerare, attraverso specifici criteri di analisi, la pratica disposizione dell’azione
amministrativa locale ad un’efficace tutela dell’ambiente marino: il criterio “soggettivo” consentirebbe
di individuare le autorità procedenti, mentre quello “oggettivo” gli oggetti interessati dal
procedimento; il criterio “strutturale”, invece, focalizzerebbe il tipo di struttura assunta dai
procedimenti amministrativi; inoltre, sarebbe ipotizzabile lo studio della natura del provvedimento
finale.
In via generale, occorre valutare il tipo di strumento e di poteri, che sono attribuiti alle
Amministrazioni preposte alla cura degli interessi ambientali a livello locale, ed i relativi effetti,
partendo dalle funzioni di programmazione e di pianificazione ambientale fino ad arrivare alle forme
di programmazione negoziata. Oltre ai poteri di pianificazione e di programmazione ambientale, la
legislazione attribuisce una certa importanza all’esercizio del potere autorizzatorio ambientale, dei
poteri di imposizione di vincoli, dei poteri di ordinanza e sanzionatori, di vigilanza e controllo, di
normazione e regolamentazione. In tal senso l’ordinamento locale prevede molteplici strumenti, la cui
precipua collocazione è garantita dalla distribuzione di tali poteri.
In considerazione dell’influenza dei rischi derivanti dal cambiamento climatico in atto sulla
salvaguardia dell’ambiente marino, da un lato, si rintracciano le azioni amministrative statali, orientate
ad affrontare le questioni ambientali attraverso una strategia di “mitigazione dei mutamenti climatici”
con l’obiettivo di eliminare, o ridurre progressivamente, le emissioni di gas che incrementano l’effetto
serra naturale; e, dall’altro, le azioni amministrative territoriali che affrontano la questione attraverso
una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici con l’obiettivo di predisporre e talora di
configurare piani, programmi, azioni e misure che minimizzino le conseguenze negative ed i danni
causati dai possibili cambiamenti climatici sia agli ecosistemi sia ai sistemi sociali.
In Italia, gli impatti ambientali che hanno aspetti di maggiore criticità sono quelli derivanti
dall’innalzamento del livello del mare, quelli derivanti dal degrado dei suoli e lo spostamento verso
nord degli ecosistemi e quelli derivanti da un eventuale aumento dei fenomeni meteorologici estremi.
Un aspetto fondamentale dell’auspicata strategia di adattamento è dato dalla partecipazione e
coinvolgimento della società civile e, in particolare, delle realtà locali, nella consultazione sulle
strategie e sulle azioni da intraprendere per un’efficace tutela dell’ambiente marino.
Le molteplici azioni possono apparire concrete ed efficaci solo se si impostano le strategie più adatte,
in termini di flessibilità e di versatilità, che nel tempo saranno assestate e concretizzate. Si postula la
necessità di individuare la strada che determini e segni il percorso della prevenzione, della limitazione
delle emissioni e dell’accumulo di gas-serra nell’atmosfera, senza dimenticare l’importanza della
minimizzazione dei possibili effetti negativi dei cambiamenti climatici e, quindi, dell’adattamento a
nuove situazioni ambientali e territoriali che di conseguenza si creeranno.
In tal senso l’azione amministrativa locale attraverso l’uso di specifici strumenti amministrativi
garantisce la riduzione e la prevenzione dell’inquinamento ambientale e, in particolare, le Regioni
dispongono di importanti poteri pianificatori e di zonizzazione del territorio. Infatti, possono formulare
piani di rilevamento, prevenzione, conservazione del proprio territorio, nel rispetto dei valori limite di
qualità dell’aria (d.lgs. 112/1998) e altresì fissare i valori limite di qualità dell’aria, compresi tra i
valori limite e i valori guida, ove determinati dallo Stato (d.P.R. 203/1988), con deroga qualora i valori
di qualità fissati dalle Regioni fossero più restrittivi al fine di assicurare una speciale protezione
dell’ambiente.
Le zonizzazioni, invece, sono adottate dalle Amministrazioni per la suddivisione del territorio in zone
che hanno una determinata funzione e la precisazione dei vincoli e dei caratteri da osservare per
ciascuna zona[8]. All’interno delle zonizzazioni si configura un’altra zonizzazione delle c.d. zone
territoriali omogenee con la suddivisione in lotti che hanno una figura omogenea[9].
4. Lo strumento autorizzatorio ambientale.
Un ruolo centrale dell’azione amministrativa è rivestito dal potere autorizzatorio. Il rilascio di
un’autorizzazione è strettamente connesso al rispetto dei limiti di emissione fissati dall’ordinamento
statale o dal Piano regionale (artt. 4 e 7, c. 1, lett. b), d.P.R. 203/1988). Inoltre, la normativa prevede
meccanismi di controllo preventivi e successivi, la cui periodicità e tipologia vengono comunicati dalla
Regione alle autorità competenti e all’impresa contestualmente al rilascio dell’autorizzazione. Le
prescrizioni dell’autorizzazione possono essere modificate in relazione all’evoluzione della migliore
tecnologia disponibile e all’evoluzione ambientale (art. 11).
L’impulso del procedimento autorizzatorio è generato dall’iniziativa del privato a cui consegue, in caso
affermativo, non soltanto l’assenso dell’Amministrazione, ma la conformazione dell’attività
autorizzata. L’autorizzazione ambientale è configurata come atto espresso - escludendo la possibilità
che sull’istanza del privato si formi il silenzio assenso[10]- ed è generalmente rilasciata a tempo
determinato e può essere rinnovata[11], anche se, in taluni casi, si ammettono forme di rinnovo tacito.
Inoltre, alcune autorizzazioni di cui siano titolari imprese che abbiano ottenuto la registrazione al
sistema comunitario di ecogestione e audit, possono essere rinnovate, ai sensi dell’art. 18, legge
93/2001, attraverso un meccanismo di semplificazione che comporta la sostituzione
dell’autorizzazione mediante autocertificazione.
Le autorizzazioni ambientali possono riguardare oggetti diversi tra loro – si pensi alle realizzazioni di
impianti, alle produzioni di beni –, ma la determinazione della pubblica Amministrazione considera lo
svolgimento di attività economiche aventi peculiari caratteri oggettivi: ad esempio, l’art. 46, d.lgs.
152/1999, in materia di scarichi di acque reflue, impone al richiedente di indicare le caratteristiche
quantitative e qualitative dello scarico, della quantità di acqua da prelevare nell’anno solare, del corpo
ricettore e del punto di prelievo ai fini del controllo, la descrizione del sistema complessivo di scarico e
dei sistemi di depurazione utilizzati[12].
In taluni casi il provvedimento autorizzatorio istaura altresì una relazione tra Amministrazione e
privato caratterizzata dalla presenza di altri poteri amministrativi, quali i poteri di imposizione di
vincoli, poteri di controllo e di vigilanza, preordinati alla verifica del rispetto delle condizioni e dei
limiti imposti all’esplicazione delle situazioni di vantaggio, permesse dall’autorizzazione stessa.
Il riparto di competenze autorizzatorie tra Stato, Regioni ed Enti locali è definito nell’ambito settoriale
di riferimento. In materia di inquinamento idrico, posto che l’intero sistema autorizzatorio ex d.lgs.
152/1999 si conforma al principio secondo cui “tutti gli scarichi devono essere preventivamente
autorizzati” – in conformità del principio comunitario che inquadra le autorizzazioni ambientali come
preventive ed espresse – la competenza è individuata in base alla natura del corpo recettore in cui lo
scarico è destinato ad immettersi e, talvolta, sulla base dell’origine dello scarico. In via generale, salvo
che le disposizioni regionali prevedano un ulteriore assetto, la competenza per il rilascio
dell’autorizzazione allo scarico spetta al Comune se lo scarico è in pubblica fognatura, mentre spetta
alla Provincia se lo scarico è in un altro corpo recettore. Allo Stato e alle singole Regioni spettano i
poteri autorizzatori relativi alle specifiche situazioni indicate nell’art. 80 del d.lgs. 112/1998 e negli
artt. 30, comma 3, e 35 del d.lgs. 152/1999[13].
L’ordinamento prevede altresì l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), che sostituisce ogni visto,
parere o autorizzazione in materia ambientale. Sin dal d.lgs. n. 372 del 1999 tale autorizzazione
include le modalità previste per la protezione dell’ambiente nel suo complesso, potendo contenere
ulteriori disposizioni (rispetto dei valori limite di emissione) che garantiscano la protezione del suolo e
delle acque sotterranee, le opportune disposizioni per la gestione dei rifiuti prodotti dall’impianto e per
la riduzione dell’inquinamento acustico (art. 5, comma 2), nonché altre condizioni specifiche giudicate
opportune dall’autorità competente (comma 7). Successivamente il d.lgs. 59/2005, abrogando il
precedente, d.lgs. 327/1999, prende in considerazione tutti gli impianti esistenti e si applica altresì ai
nuovi impianti che di fatto ne erano esclusi. Il d.lgs. 59 disciplina il rilascio, il rinnovo ed il riesame
della AIA degli impianti citati nell’allegato 1 del decreto, nonché le modalità di esercizio degli
impianti stessi, ai fini del rispetto dell’autorizzazione integrata ambientale.
Le nuove procedure previste dal Testo unico dell’ambiente si pongono l’obiettivo di garantire una certa
semplificazione amministrativa, tempi certi per il termine della procedura e coinvolgimento degli Enti
locali interessati, data la prevista convocazione di apposita conferenza dei servizi “…nel corso della
quale si procede, anche in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri
procedimenti amministrativi…” (art. 268, comma 3). Ciò senza dimenticare la rilevanza territoriale
nella cura degli interessi ambientali e nella prevenzione degli inquinamenti che, a sua volta, hanno
imposto l’adozione di specifici modelli organizzativi, che nel tempo mutano assumendo nuove
sfumature e talvolta distinte connotazioni: si pensi agli “agglomerati” (d.lgs. 351/1999) o alle zone di
controllo dell’inquinamento atmosferico (art. 2, legge 615/1966), al servizio idrico integrato per la
gestione delle acque (legge 36/1994), o alle autorità di bacino idrografico (legge 183/1989) che
combinano due modelli, l’Autorità di bacino ed il Piano di bacino per la gestione integrata delle risorse
idriche.
∗ Dottoranda di ricerca in “Diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente”, cultore di diritto
amministrativo e di diritto pubblico, responsabile dell’Osservatorio Euro-mediterraneo c/o la rivista di
diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente. Contributo al Convegno Internazionale “Mare e
Territorio” sul tema “Vulnerabilità ed adattamento dell’ambiente marino ai cambiamenti climatici”,
XVII edizione, organizzato dalla Lega Navale Italiana Sezione di Agrigento e Porto Empedocle, 24 e
25 ottobre 2008, Agrigento.
[1] Nell’Europa settentrionale, le zone costiere più esposte a rischio di inondazione sarebbero quelle del mar Baltico ed in
particolare della Polonia.
[2] Cfr. V. FERRARA, Le problematiche dei cambiamenti climatici, ENEA, Laboratori INFN Frascati, febbraio 2002.
[3] A. MONTAGNA, La individuazione delle posizioni di garanzia quale ulteriore strumento di tutela ambientale, in Riv. giur.
ambiente, 2004, 5, 617 ss.
[4] M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1978, 46 ss.
[5] P. DELL’ANNO, Strumenti giuridici per la prevenzione dell’inquinamento ambientale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 1986,
206 ss.
[6] P. DELL’ANNO, Modelli organizzativi per la tutela dell’ambiente, in Riv. giu. amb., 2005, 6, 957 ss.
[7] G. DI GASPARE, Organizzazione amministrativa, voce in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1994, 516.
[8] Il primo esempio di zonizzazione si ha nel 1928 con il Piano di Amsterdam.
[9] Il d.M. 1444/1968 definisce le zone Territoriali Omogenee della pianificazione urbanistica: zona A (centro storico), parti
del territorio comunale interessate da edifici e tessuto edilizio di interesse storico, architettonico o monumentale; zona B (di
completamento), parti del territorio comunale interessate dalla presenza totale o parziale di edificazione in cui la superficie
coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la
densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq; zona C (di espansione), parti del territorio comunale parzialmente edificate
dove non è verificata almeno una delle due condizioni della zona B; sono interessate da previsioni di espansione
dell’aggregato urbano; zona D (insediamenti produttivi), parti del territorio comunale destinate all’insediamento di attività
produttive; zona E (uso del soprasuolo per fini agricoli), parti del territorio comunale destinate all’attività agricola; zona F
(infrastrutture ed impianti di interesse pubblico), parti del territorio comunale destinate ad impianti ed attrezzature di
interesse generale; zona G (fasce cosiddette di “rispetto” dove vige il vincolo di inedificabilità); zona H (aree di
salvaguardia ambientale, paesaggistica, paesistica e naturalistica).
[10] A. CROCETTI, CORSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N., Diritto dell’ambiente, Laterza, Bari, 2005,
231.
[11] In materia di operazioni smaltimento e di recupero è rilasciata per un periodo di cinque anni (art. 28, d.lgs. 22/1997);
in materia di autorizzazione agli scarichi la durata è di quattro anni (art. 45, d.lgs. 152/1999).
[12] La disciplina del controllo degli scarichi è prevista nelle disposizioni del Titolo IV (Strumenti di tutela), Capo III
(Controllo degli scarichi) del d.lgs. n. 152/2006.
[13] In diverse Regioni la competenza al rilascio delle autorizzazioni allo scarico è stata delegata ai gestori del servizio di
fognatura e depurazione.
Università di Palermo
Lina Miccichè
La tematica trattata nel corso del XXVII Convegno Internazionale Mare e Territorio presenta, ancora
una volta, le pregevoli caratteristiche dell’attualità e della interdisciplinarietà, occupandosi del
problema relativo ai cambiamenti climatici, con particolare riferimento agli effetti sul mare e sulle sue
risorse.
La valenza del Convegno è stata ben sottolineata dall’Amm.di Squadra Paolo La Rosa (Capo di Stato
Maggiore della Marina Militare) che, ritirando il premio “Uomini del mare 2008”, ha affermato che si
tratta di uno strumento possente di cultura marittima, con una sua specificità di collegamento del mare
al territorio ... Uno strumento di penetrazione nella dirigenza del Paese, nell’opinione pubblica,
specie nei giovani …, della consapevolezza dell’importanza del mare per un Paese a prevalente
connotazione marittima come il nostro, concludendo che la problematica indagata richiama
l’attenzione della comunità scientifica internazionale e di molteplici settori della società interessati
dagli effetti sull’ecosistema.
E a conferma dell’alto valore riconosciuto ai suddetti incontri, si aggiunge che il prof. Guido Camarda,
ordinario di Diritto della navigazione presso l’Università di Palermo, chiamato a presiedere la prima
sessione dei lavori, non si è limitato ad introdurre e mediare fra gli interventi, ma ha colto l’occasione
per rivolgere “ai suoi amici agrigentini” (prima fra tutti alla Presidente della Lega Navale di Agrigento
e Porto Empedocle, prof.ssa Silvana Vella Bianchettino) un affettuoso saluto, concludendosi in questi
giorni la sua carriera universitaria che ha annoverato fra le più datate e proficue collaborazioni
scientifiche proprio quella con gli organizzatori dei Convegni “Mare e Territorio”.
Il professore Camarda, al quale è stata consegnata una targa ricordo, ha, in particolare, auspicato la
prosecuzione del rapporto di collaborazione con la cattedra di Diritto della navigazione, che sarà
rappresentata dai ricercatori dott. Nicola Romana e dott.ssa Stefania Bevilacqua, affiancati dal prof.
Moscato e da un gruppo di dottorandi ed assegnisti.
Nel tentare una sintesi delle due sessioni di lavoro si è operata la scelta di indicare le problematiche
generali affrontate con rinvii, per gli approfondimenti, alle singole relazioni che, nella pubblicazione,
precedono questa cronaca.
Si premette che la formula, ormai consolidata, dell’alternarsi di contributi accademici e tecnici con
quelli degli studenti delle Scuole superiori si è quest’anno arricchita attraverso la partecipazione di un
gruppo di dottorandi dell’Università di Palermo e di alcuni studenti dell’Università di Catania, che
hanno costituito una voce nuova e competente.
Il tema scelto è, come già precisato, quello relativo al cambiamento climatico quale fenomeno che, in
questi ultimi anni, ha raggiunto livelli preoccupanti (per non dire allarmanti) e che determinando un
aumento della temperatura dell’atmosfera e delle acque genera anche sull’ambiente marino effetti
negativi di non sempre immediata manifestazione (sul punto v. la relazione della dott.ssa Silvia
Cocito).
Una particolare attenzione è stata posta alle modificazioni indotte nella biodiversità marina.
In questa direzione si sono indirizzati i contributi dei docenti della Facoltà di Scienze MM FF NN di
Palermo (il riferimento è alle relazioni del prof. Mazzola e del prof. Calvo) che hanno consentito, da
un lato, di ricostruire un quadro generale relativo agli effetti dei cambiamenti climatici sulla
biodiversità del mar Mediterraneo e, dall’altro, di focalizzare l’attenzione su ambienti particolari come
la laguna costiera siciliana (lo Stagnone di Marsala). Quest’ultimo aspetto ha trovato un’ulteriore
specificazione nell’indagine condotta sulla laguna di Acquatina (Puglia), dove sono state osservate le
conseguenze generate dallo smaltimento delle ceneri del carbone sull’efficienza del sistema biologico
multi specie dei detritivori; organismi responsabili del riciclaggio dei nutrienti nella catena
alimentare e quindi del mantenimento della produttività ittica (v. relazione del prof. Antonio D’Ayala).
La considerazione di sintesi desumibile sembrerebbe essere quella che i cambiamenti climatici
(interagendo, spesso, con altri fattori scatenanti) non hanno inciso unicamente sul numero delle specie,
ma sulla complessità del livello organizzativo degli ecosistemi.
Un esempio illuminante in tal senso è costituito dalla tropicalizzazione del Mediterraneo che, come
osservato (v. relazione della dott.ssa Maria Antonietta Pancucci-Papadopoulou), è il risultato di
quattro fenomeni differenti: ¶Influenza atlantica, aumento degli immigranti lessepsiani, introduzione
di specie per motivi economici (acquacoltura) e riscaldamento dell’acqua di mare
Ulteriore approfondimento è stato dedicato agli effetti sulle specie ittiche e alle conseguenti
ripercussioni sull’attività di pesca. Le relazioni del dott. Franco Andaloro e, sotto il profilo economico,
degli studenti dell’Università di Catania hanno consentito di ricostruire un chiaro e dettagliato quadro
di riferimento.
L’analisi dei suindicati aspetti biologici ed economici ha trovato completamento nella disamina degli
strumenti giuridici in vigore a livello pluriordinamentale (v. relazione dottorandi dell’Università di
Palermo), che ha evidenziato come, nel suo complesso, la produzione normativa sia ricca, ma che
permane l’aspetto problematico riferibile alla fase di applicazione della norma ed alla correlata verifica
del grado di efficacia e di efficienza della norma stessa. Ciò vale, in particolare, con riferimento
all’apparato sanzionatorio che gli Stati sono in grado di approntare. Quest’ultimo aspetto pone,
peraltro, sul tappeto la questione relativa alla risarcibilità del danno ambientale, solo accennata in
questa sede, ma che costituisce un argomento collegato di particolare interesse.
E sul tema trattato, com’è stato evidenziato, svolgono un ruolo rilevante sia gli strumenti giuridici
appartenenti alla categoria del c.d. soft law sia le organizzazioni internazionali che mirano a
sensibilizzare la comunità scientifica sui temi trattati, invitando gli Stati alla rapida applicazione delle
regole internazionali previste sulla materia. Non ultimo si segnala il contributo derivante dal
Countdown 2010 per gli ecosistemi marini. Si tratta di un’iniziativa (presentata ed illustrata dalla
dott.ssa Elisa Calcaterra) lanciata nel 2004 dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura
con lo scopo di realizzare gli impegni presi dai governi per fermare la perdita della diversità biologica
pan-europea entro il 2010.
L’analisi delle conseguenze generate dai cambiamenti climatici sull’ambiente marino, accompagnata
spesso da immagini e/o grafici che hanno reso ancora più evidente la gravità della situazione, è stata
affiancata dall’indicazione di alcune strade percorribili per ridurre il fenomeno e le sue conseguenze.
Si è, in tal senso, sottolineata la necessità di procedere sempre più nella direzione di una gestione
integrata della fascia costiera, che, come osservato dal prof. Eugenio Fresi nella sua relazione, “è uno
degli approcci più interessanti al raggiungimento dello sviluppo sostenibile in un ambito – la zona
costiera, appunto – il luogo dove stanno avvenendo ed avverranno molte vitali trasformazioni” (alla
gestione integrata della fascia costiera mediterranea si è rivolta recentemente l’attenzione del
legislatore internazionale con l’elaborazione del VII protocollo della Convenzione di Barcellona,
adottato il 21 gennaio di quest’anno). E, in questo contesto, un certo ruolo può essere svolto anche
dalle aree marine protette, che se da un lato subiscono gli effetti del cambiamento climatico, dall’altro,
sebbene solo in qualche misura, possono contribuire a fronteggiarlo (v. relazione del già capo del
Reparto Ambientale Marino del Ministero dell’ambiente, amm. Vincenzo Pace)
Ancora, un ruolo fondamentale è quello che può svolgere la solidarietà internazionale intesa quale
supporto, aiuto concreto che gli Stati sviluppati possono offrire ai Paesi più poveri (particolarmente
quelli del continente africano) che, come osservato dal prof. Ridha Mezghani, dell’Università di
Tunisi, se non supereranno i problemi legati alla sopravvivenza non potranno certo considerare
prioritario l’obiettivo di combattere il fenomeno del cambiamento climatico.
Ma il primo fondamentale passo da compiere è quello di migliorare il circuito informativo che, come
sottolineato dalla dott.ssa Colombo, è caratterizzato da un forte gap in conseguenza del quale “si corre
il rischio di sottostimare le perdite di biodiversità, danneggiando o perdendo importanti sistemi proprio
per mancanza di conoscenze, come i sistemi di acque profonde, delle cui popolazioni da sempre si
conosce ben poco. Tutto questo non può non avere importanti ricadute dal punto di vista gestionale e,
nel contesto della messa a punto di strategie di sviluppo sostenibile, si sottolinea la necessità di avviare
programmi di ricerca, coordinati dai diversi paesi che insistono nel bacino, al fine di poter far fronte
agli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità in Mediterraneo”.
Il convegno ha offerto un approfondimento rilevante delle problematiche attinenti al tema trattato, che,
per le finalità di questo elaborato, si sono solo potute accennare, ed ha posto interessanti spunti di
riflessione. Fra quest’ultimi, si ritiene di indicare il rapporto che deve instaurarsi fra le diverse
discipline e, in particolare, fra la biologia e l’economia, da un lato, e il diritto, dall’altro. La norma
giuridica ha notoriamente il compito di governare fenomeni spesso mutevoli nel tempo, per cui non è
insolito assistere ad una produzione giuridica che “insegue” gli eventi (attraverso una continua opera di
modificazione, integrazione e/o abrogazione dei testi vigenti). Resta, pertanto, prioritario lo sforzo
d’instaurare un maggiore e migliore confronto fra gli scienziati, gli economisti e i giuristi in modo che
le scelte concertate siano sempre più ispirate a criteri aderenti alla realtà e per ciò stesso in grado di
fornire effettive soluzioni ai problemi.
∗ Dottore di ricerca in Diritto ed economia dei sistemi produttivi, dei trasporti e della logistica
dell’Università degli Studi di Palermo.