L`opera distruttiva di Ippolita, la Nemica

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L`opera distruttiva di Ippolita, la Nemica
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L’opera distruttiva di Ippolita, la Nemica
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Gabriele D’Annunzio
Trionfo della morte
ella solitudine di San Vito, il paese delle ginestre, Giorgio sente acuirsi la fascinazione sensuale che esercita su di lui l’amata, ma anche il sentimento di rancore:
la «Nemica», con la sua opera distruttiva, lo ostacola nella ricerca della propria realizzazione esistenziale e intellettuale.
Mondadori, Milano, 1966
Trionfo della morte: la trama
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iorgio Aurispa, discendente da un’antica famiglia abruzzese, esteta raffinato e dalla personalità inquieta, è da
due anni l’amante di Ippolita Sanzio. La
vicenda si apre su un’immagine di morte:
mentre i due, a Roma, passeggiano lungo
i viali del Pincio, sono richiamati dall’accorrere di gente per il suicidio di una persona lanciatasi nel vuoto.
In un albergo di Albano, dove si ritirano per un periodo di tempo, rileggono le
lettere scritte da Giorgio a Ippolita, da cui
emerge il passato della donna: un matrimonio fallito, le sue crisi di epilessia, la
sua prepotente sensualità che fiacca il
bisogno di spiritualità di Giorgio.
Durante una breve separazione dall’amante, Giorgio va a trovare la propria
famiglia a Guardiagrele, dove viene assalito con sempre più insistenza dall’idea
della morte, cui non sono estranee le
vicende familiari, che acuiscono la sua
nevrosi (il conflitto con il padre, figura
dominatrice e abietta che tradisce la moglie e sperpera le sostanze delle amanti;
il fallimento del matrimonio della sorella;
il suicidio dello zio Demetrio nel quale
Giorgio si identificava, perché a lui simile
nella sensibilità).
Di nuovo con Ippolita, Giorgio va a
trascorrere con lei il periodo estivo in una
piccola casa solitaria a San Vito, sull’Adriatico. Qui di nuovo avverte l’ambivalenza
del suo legame con la donna che lo attrae
sensualmente ma nello stesso tempo lo
respinge. La risposta alla sua ricerca esistenziale gli viene offerta dalla musica di
Wagner (in particolare dal Tristano e Isotta) e dall’ideale superomistico di Nietzsche. L’identificazione nel superuomo,
però, non fa prevalere in lui il messaggio
dionisiaco dell’aspirazione alla vita ma
piuttosto le forze distruttive della morte:
trascina con sé Ippolita sul bordo di una
scogliera e si precipita con lei nel vuoto.
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1. egli: Giorgio Aurispa, il protagonista.
2. gran luce meridiana: la luce
splendente del mezzogiorno.
3. l’ora pànica: nella mitologia
greca il dio Pan si muoveva nella
campagna nell’ora del mezzo-
Di sotto alla tenda piantata su la ghiaia, ancóra seminudo dopo il bagno egli1
guardava Ippolita ch’era rimasta al sole presso le acque avvolta nell’accappatoio bianco. Guardando, egli aveva negli occhi a tratti scintillazioni quasi
dolorose; e la gran luce meridiana2 gli dava un senso nuovo di malessere fisico misto a una specie di vago sgomento. Era l’ora terribile, l’ora pànica3,
l’ora suprema della luce e del silenzio, imminente su la vacuità della vita4. Egli
comprendeva la superstizione pagana: l’orrore sacro dei meriggi canicolari5
su la plaga abitata da un dio immite ed occulto6. In fondo a quel suo vago
sgomento si moveva qualche cosa di simile all’ansietà di chi sia nell’attesa di
un’apparizione repentina e formidabile7. Pareva egli a sé stesso quasi puerilmente debole e trepido, come diminuito d’animo e di forze dopo una prova
sfavorevole. Immergendo il suo corpo nel mare, dando la fronte al sole pieno,
percorrendo a nuoto una breve distanza, esperimentandosi nell’esercizio già
prediletto, misurando il suo respiro sul soffio dello spazio illimitato, egli aveva
sentito per indizii indubitabili l’impoverimento del suo vigore, la declinazione8 della sua giovinezza, tutta l’opera distruttiva della Nemica; aveva sentito
ancóra una volta il ferreo cerchio restringersi intorno alla sua attività vitale e
ridurne ancora una zona all’inerzia e all’impotenza. Il senso di quel languore
muscolare gli diveniva più profondo come più9 egli guardava la figura della
donna alzata nella luce del giorno.
giorno, spaventando chi osasse
mostrarglisi.
4. imminente... vita: incombente sul vuoto della vita.
5. meriggi canicolari: mezzogiorni soffocanti per il caldo.
Letteralmente la canicola è il
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periodo estivo più caldo quando in
agosto il sole è nella costellazione
del Cane.
6. l’orrore… immite ed occulto:
il dio Pàn aggressivo e invisibile
comunica un orrore sovrannaturale; plaga: zona, regione.
7. formidabile: nell’accezione
latina di tremendo, spaventoso.
8. declinazione: declino.
9. come più: quanto più.
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10. omeri: spalle.
11. peplo: la veste femminile
nell’antica Grecia.
12. si disegnava... celeste: Giorgio osserva dalla riva la figura di
Ippolita che si profilava per metà
sullo sfondo azzurro (glauco) del
mare e per metà nell’aria luminosa del cielo (trasparenza celeste).
13. capellatura: capigliatura.
14. reclinata e intenta: leggermente piegata e pensierosa.
Ella aveva disciolti i suoi capelli perché si asciugassero; e le ciocche ammassate dall’umidità le cadevano su gli omeri10 così cupe che sembravano
quasi di viola. Il suo corpo svelto ed eretto, come avvolto nelle pieghe di un
peplo11, si disegnava metà sul campo glauco del mare e metà su la chiarissima
trasparenza celeste12. Appena si scorgeva fuor della capellatura13 il profilo della faccia reclinata e intenta14. Ella era tutta assorta in un suo piacere alterno:
– metteva i piedi nudi su la ghiaia scottante, mantenendoveli sin che fosse
per lei sostenibile l’ardore; e poi così caldi li tuffava nell’acqua blanda15 che
lambiva la ghiaia. E in quella duplice sensazione ella pareva gustare una voluttà infinita, obliosamente16. – Ella si temprava, si fortificava, comunicando
con le cose libere e sane17, lasciandosi penetrare dalla salsedine e dal raggio.
Come mai poteva ella essere, nel tempo medesimo, così inferma e così valida?
Come mai poteva ella conciliare nella sua sostanza tante contrarietà e assumere tanti diversi aspetti in un giorno, in un’ora sola? La donna taciturna e
triste che covava dentro di sé il male sacro, il morbo astrale18; l’amante cupida
e convulsa19 il cui ardore20 era talvolta quasi spaventevole, la cui lussuria aveva
talvolta apparenze quasi lugubri d’agonia; quella stessa creatura, alzata21 sul
lido del mare, poteva raccogliere e sostenere ne’ suoi sensi tutta la naturale
delizia sparsa nelle cose che la circondavano, apparire simile ai simulacri della
Bellezza antica inchinati sul cristallo armonioso di un ellesponto22.
La superiorità di quella resistenza era palese. Giorgio la considerava con
un rammarico che a poco a poco addensandosi assumeva la gravità di un
rancore. Il sentimento della sua debolezza s’intorbidava di odio, mentre la sua
perspicacia23 si faceva sempre più lucida e quasi vendicativa.
Non erano belli i piedi nudi ch’ella a volta a volta scaldava su la ghiaia
e rinfrescava nell’acqua; erano anzi difformati nelle dita, plebei, senz’alcuna finezza; avevano l’impronta manifesta della bassa stirpe24. Egli li guardava
intentamente25; non guardava se non quelli, con uno straordinario acume di
percezione e di esame, come se le particolarità della forma dovessero rivelargli un segreto. E pensava: «Quante cose impure fermentano nel suo sangue!
Tutti gli istinti ereditarii della sua razza sono in lei, indistruttibili, pronti a
svilupparsi e ad insorgere contro qualunque constrizione. Io non potrò mai
far nulla per purificarla. Io non potrò se non sovrapporre alla realità della sua
persona le figure mutevoli dei miei sogni, ed ella non potrà se non offrire alla
mia ebrezza solitaria i suoi indispensabili organi...». Ma, mentre il suo pensiero riduceva la donna a un semplice motivo d’imaginazioni e toglieva ogni
valore alla forma palpabile, per la stessa acutezza della percezione particolare
egli sentiva d’esser legato appunto alla qualità reale di quella carne e non solo
a quanto eravi26 di più bello, ma specialmente a quanto eravi di men bello in
lei. La scoperta d’una bruttura non rallentava il vincolo27, non diminuiva il
15. blanda: fresca.
16. obliosamente: dimenticando tutto in quel piacere.
17. comunicando… sane: entrando in contatto con la libertà e la
sanità degli elementi della natura.
18. così inferma e così valida… il
morbo astrale: così malata e così
forte. Ippolita soffre di epilessia
che gli antichi chiamavano «male
sacro» come se gli ammalati fossero posseduti da un dio (morbo
astrale: letteralmente malattia
dovuta all’influsso del cielo); nella
sua sostanza: nel suo organismo.
19. cupida e convulsa: vogliosa
e frenetica.
20. ardore: passione amorosa
e sessuale.
21. alzata: eretta.
22. simile ai simulacri... ellesponto: simile alle statue greche
che raffigurano ideali antichi di
bellezza e si specchiano nelle ac-
que dell’Ellesponto limpide come
cristallo (lo stretto dell’Ellesponto
separa l’Asia dall’Europa).
23. perspicacia: acutezza nell’analizzare il carattere di Ippolita.
24. bassa stirpe: Ippolita è di
nascita piccolo borghese, dunque
non nobile.
25. intentamente: fissamente.
26. eravi: vi era.
27. il vincolo: il legame fra i due
amanti.
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fascino. I lineamenti più volgari esercitavano su di lui un’attrazione irritante.
Egli conosceva bene questo fenomeno che s’era più volte ripetuto. I suoi occhi
più volte avevano visto con estrema chiarezza nella persona d’Ippolita emergere i difetti anche men notevoli; e n’eran rimasti attratti per lungo tempo,
quasi forzati a fissarli, a considerarli, ad esagerarli. Ed egli aveva provato nei
suoi sensi e nel suo spirito un turbamento indefinibile, seguito quasi sempre
dall’insorgere subitaneo d’un desiderio impetuoso. Era ben questo il più fiero segno della grande ossessione carnale operata da una creatura umana su
un’altra creatura umana. Obediva a una simile malìa quell’amante innominato che amava sopra tutte le cose nella sua donna i segni impressi dagli anni sul
collo pallido e la riga de’ capelli ogni giorno più larga e la bocca appassita ove
il sale delle lacrime scendeva a rendere più durevole il sapore dei baci.
Analisi e interpretazione
Vita e morte, attrazione e ostilità
Il significato dell’episodio è nell’ambivalenza tra vita e morte, attrazione e ostilità, che anticipano la conclusione tragica
del romanzo.
I due amanti, dopo il bagno sulla spiaggia soleggiata nell’ora del mezzogiorno,
non comunicano una sensazione di vitalità, ma piuttosto di vuoto, di malessere e
sgomento. La figura di Ippolita non è presentata oggettivamente, ma come una
creazione mentale del protagonista (Io
non potrò se non sovrapporre alla realità
della sua persona le figure mutevoli dei
miei sogni rr. 52-54): la donna ai suoi occhi
appare animata da un misterioso potere,
che lo domina sessualmente (ossessione
carnale), ma nel contempo rappresenta
la malattia, la volgarità che si contrappone alla bellezza (egli sentiva d’esser legato
appunto alla qualità reale di quella carne
e non solo a quanto eravi di più bello, ma
specialmente a quanto eravi di men bello
in lei... I lineamenti più volgari esercitavano su di lui un’attrazione irritante rr. 5861). Giorgio sente di odiarla perché è la
personificazione della «Nemica», di una
forza malefica che svela la sua debolezza
interiore e il suo fallimento esistenziale.
Dall’«inetto a vivere» al superuomo
dominatore
L’ambivalenza di Giorgio Aurispa e il suo
rapporto problematico con la donnanemica, alibi per mascherare la sua incapacità di dare un senso più pieno alla
sua vita, traduce la crisi dell’artista nella
moderna società borghese e anticipa un
tema che sarà poi tipico della letteratura
del Novecento: quello dell’inettitudine.
Nel contempo, la lettura di Nietzsche aprirà a D’Annunzio la strada per creare una
nuova figura di intellettuale, più adatto
ai tempi: con il suicidio del protagonista
muore simbolicamente la parte malata
dello scrittore, e nasce il superuomo.
Il punto di vista del protagonista
La narrazione in terza persona è filtrata
attraverso il punto di vista di Giorgio (il
suo sguardo fissa la figura di Ippolita
sulla riva del mare), i suoi pensieri e stati
d’animo (Egli comprendeva la superstizione pagana... rr. 6-7; In fondo a quel suo
vago sgomento si moveva qualche cosa di
simile all’ansietà... rr. 8-9; Pareva egli a sé
stesso quasi debole e trepido, come diminuito d’animo e di forze dopo una prova
sfavorevole rr. 10-12). Il discorso indiretto
libero (– Ella si temprava, si fortificava...
rr. 30-31) e il monologo interiore in forma
diretta e in prima persona («Quante cose
impure fermentano nel suo sangue...!»
r. 50) accentuano la dimensione soggettiva del racconto. Il lessico è aulico e
prezioso, tipico dello stile dannunziano.
Attività
1. La figura della donna
Quali caratteristiche assume Ippolita nella mente di Giorgio? A che tipo femminile
si ricollega? Ti può essere utile stabilire
un collegamento con altri modelli letterari, per esempio la Fosca descritta da Tarchetti (>C1, T11).
2. L’inettitudine del protagonista
Giorgio, raffinato esteta, in realtà è malato ed è proprio il rapporto con la donna a
svelarne l’inettitudine. In quali punti del
testo emerge questo lato del carattere
del protagonista?
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3. Eros-Thanatos
Nel decadentismo dannunziano l’eros
è inscindibile dalla morte: rintraccia nel
brano le anticipazioni di quella che sarà
la sorte comune dei due amanti.
4. Il superamento del Naturalismo
Riscontra nel testo proposto tracce del
superamento del modello naturalistico.
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Claudio Cantelmo
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I
l romanzo Le vergini delle rocce è suddiviso in 3 libri. Il passo tratto dal I libro presenta
le riflessioni del protagonista sulla società presente: Claudio Cantelmo disprezza l’affarismo borghese, vagheggia una monarchia autoritaria e si appella agli intellettuali
perché difendano il culto della «Bellezza».
Gabriele D’Annunzio
Le vergini delle rocce
Mondadori, Milano, 1995
Le vergini delle rocce: la trama
L
a vicenda è narrata in prima persona
dal protagonista, il nobile Claudio Cantelmo. Questi vive con sdegno la situazione politica contemporanea («l’accesso
delle plebi al potere») e sogna l’avvento di
un uomo forte che guidi l’Italia verso un
nuovo destino imperiale. Lascia pertan-
adatta all’alto compito. Ma il suo sogno
si scontra con la realtà di una famiglia
minata dalla tara della pazzia: le tre «vergini» dalla diafana silhouette (la mistica
Massimilla, la generosa Anatolia, la bella
ma fredda Violante) rimarranno legate al
loro destino e al luogo in cui erano nate.
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1. esausta... tempi: esaurita
l’abbondanza delle rime.
2. officio: compito.
3. senarii doppii… potere: versi
classici composti da dodici sillabe
(doppi senari), usati da Carducci e
anche da D’Annunzio nelle liriche
giovanili. Ma il tono è ironico, nel
senso che non si può far poesia
con un argomento volgare come
la vita democratica, la repubblica,
l’eguaglianza.
4. Cleofonte… lire: nel V sec.
incitò gli ateniesi a resistere all’assedio degli spartani;
successivamente fu accusato di
tradimento e condannato a morte.
Qui il protagonista si chiede con
sarcasmo se non ci sia a Roma un
Cleofonte, fabbricante di lire ossia
un demagogo della poesia.
5. cantori... Musa: i poeti.
6. Odisseo: nome greco di Ulisse, eroe dell’inganno che supplisce
alla forza.
7. tutte le armi: l’azione dei
poeti è quella di criticare i valori
borghesi e, come dirà dopo, di promuovere il gusto della bellezza.
8. Attendete ad inacerbire:
adoperatevi per inasprire.
9. ciascuna anima... chiodaiuoli:
l’uguaglianza crea una meccanica
uniformità, come il chiodaiolo che
fa le teste dei chiodi tutte uguali.
La polemica antidemocratica è
implicitamente anche contro il
socialismo.
10. stallieri della Gran Bestia…
assemblea: i rappresentanti
del popolo che discutono in
Parlamento; letteralmente nel
parlamento prendono la parola i
servi (stallieri) della democrazia.
L’immagine della «Gran Bestia»
deriva dall’Apocalisse, dove
designava Satana, ed era stata
ripresa da Nietzsche, a indicare
con tono dispregiativo le masse.
D’Annunzio tre anni prima della
pubblicazione del romanzo scrive-
to Roma e ritorna in Abruzzo, a Rebursa,
il paese dei suoi antenati, dove spera di
incontrare una donna all’altezza del suo
sogno: generare il futuro «re di Roma».
Vicino ai suoi feudi vive la nobile famiglia
Capece Montaga, ancora di fede borbonica, e Cantelmo cerca tra le tre figlie la più
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Chiedevano intanto i poeti, scoraggiati e smarriti, dopo aver esausta la dovizia
delle rime nell’evocare imagini d’altri tempi1, nel piangere le loro illusioni
morte e nel numerare i colori delle foglie caduche; chiedevano, alcuni con
ironia, altri pur senza: «Qual può essere oggi il nostro officio2? Dobbiamo noi
esaltare in senarii doppii il suffragio universale? Dobbiamo noi affrettar con
l’ansia dei decasillabi la caduta dei Re, l’avvento delle Repubbliche, l’accesso
delle plebi al potere3? Non è in Roma, come già fu in Atene, un qualche demagogo Cleofonte fabbricante di lire4? Noi potremmo, per modesta mercede,
con i suoi stessi strumenti accordati da lui, persuadere gli increduli che nel
gregge è la forza, il diritto, il pensiero, la saggezza, la luce…»
Ma nessuno tra loro, più generoso e più ardente, si levava a rispondere:
«Difendete la Bellezza! È questo il vostro unico officio. Difendete il sogno che
è in voi! Poiché oggi non più i mortali tributano onore e riverenza ai cantori
alunni della Musa5 che li predilige, come diceva Odisseo6, difendetevi con tutte le armi7, e pur con le beffe se queste valgono meglio delle invettive. Attendete ad inacerbire8 con i più acri veleni le punte del vostro scherno. Fate che i
vostri sarcasmi abbiano tal virtù corrosiva che giungano sino alla midolla e la
distruggano. Bollate voi sino all’osso le stupide fronti di coloro che vorrebbero mettere su ciascuna anima un marchio esatto come su un utensile sociale
e fare le teste umane tutte simili come le teste dei chiodi sotto la percussione
dei chiodaiuoli9. Le vostre risa frenetiche salgano fino al cielo, quando udite
gli stallieri della Gran Bestia vociferare nell’assemblea10. Proclamate e dimostrate per la gloria dell’Intelligenza che le loro dicerie non sono men basse di
quei suoni sconci con cui il villano manda fuori per la bocca il vento dal suo
stomaco rimpinzato di legumi11. Proclamate e dimostrate che le loro mani, a
cui il vostro padre Dante darebbe l’epiteto medesimo ch’egli diede alle unghie
va sul “Mattino” di Napoli un articolo dal titolo «La Bestia elettiva»,
dove dichiarava: «Le plebi restano
sempre schiave e condannate
a soffrire, tanto all’ombra delle
torri feudali quanto all’ombra
dei feudali fumaioli nelle officine
moderne. Esse non avranno
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mai dentro di loro il sentimento
della libertà. [...] Su l’uguaglianza
economica e politica, a cui aspira
la democrazia socialista, si andrà
formando una oligarchia nuova,
un nuovo reame della forza; e
questo gruppo a poco a poco
riuscirà ad impadronirsi di tutte le
redini per domare le masse a suo
profitto, distruggendo qualunque
vano sogno di uguaglianza e di
giustizia».
11. Suoni sconci... legumi: i
discorsi democratici sono spregevoli come i rutti dei contadini che
magiano i legumi.
di Taide, sono atte a raccattar lo stabbio12 ma non degne di levarsi per sancire
una legge nell’assemblea. Difendete il Pensiero ch’essi minacciano, la Bellezza
ch’essi oltraggiano! Verrà un giorno in cui essi tenteranno di ardere i libri, di
spezzare le statue, di lacerare le tele13. Difendete l’antica liberale opera14 dei
vostri maestri e quella futura dei vostri discepoli, contro la rabbia degli schiavi
ubriachi15. Non disperate, essendo pochi. Voi possedete la suprema scienza e
la suprema forza del mondo: il Verbo16. Un ordine di parole può vincere d’efficacia micidiale una formula chimica. Opponete risolutamente la distruzione
alla distruzione17!»
12. epiteto... stabbio: Taide è
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una cortigiana che, nel XVIII canto
dell’Inferno, Dante colloca nella
seconda bolgia tra gli adulatori, la
rappresenta immersa nello sterco
(stabbio) e definisce le sue unghie
«merdose».
13. Difendete... tele: la democrazia minaccia di distruggere
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l’arte.
14. L’antica… opera: la poesia,
qui chiamata «liberale» come nel
Medioevo ossia tale da rendere
del popolo che si esprime con le
«liberi», quindi di animo nobile,
rivolte e la distruzione dei prodotti
chi la coltivi.
artistici.
15. rabbia... ubriachi: la rabbia
16. il Verbo: il Verbo dannunzia-
no qui non indica il Verbo evangelico; l’uso del lessico religioso crea
solo un effetto evocativo.
17. Un ordine... distruzione!:
la parola poetica può essere più
efficace di un esplosivo per porre
fine al sistema borghese, che a
sua volta distrugge la bellezza.
Analisi e interpretazione
Il programma antiborghese e autoritario
La voce narrante coincide con quella del
protagonista: esponente di una famiglia
patrizia, Claudio Cantelmo critica la società borghese della sua epoca, manifestando un’avversione violenta ai principi
di democrazia e uguaglianza, nello spregio del popolo (plebi).
Acceso è, inoltre, il tono contro il parlamentarismo e i suoi rappresentanti
(chiamati metaforicamente Gran Bestia),
dalle cui vociferazioni (in senso ironico e
spregiativo) la «nuova oligarchia», formata da aristocratici e poeti, non dovrà
farsi illudere.
La funzione dei poeti
Il suo programma aristocratico è rivolto
dunque non solo ai patrizi ma anche ai
poeti, che devono difendere il culto della
Bellezza e la sua espressione (il Verbo): la
parola poetica è divina, è la suprema for-
za del mondo, la sola che può distruggere
la meschinità borghese.
Da Andrea Sperelli a Claudio Cantelmo
Fra Il piacere (1889) e Le vergini delle rocce (1895) intercorrono sei anni, inframmezzati dal Trionfo della morte (1894).
è proprio da esso che D’Annunzio parte
per creare un nuovo eroe, esteta e uomo
d’azione insieme. Il disprezzo delle masse accomuna Sperelli e Cantelmo, ma,
mentre il primo fonda il suo estetismo
sul proprio isolamento dalla realtà, con
conseguente rifugio nel mondo a parte
dell’arte, il secondo arricchisce la propria
posizione estetica con un’ideologia antidemocratica: l’intellettuale superuomo
non assumerà più una posizione distaccata e isolata rispetto alla realtà che lo
circonda e che continua comunque a
disprezzare, ma sarà chiamato a modificare il quadro socio-politico esistente in
base al suo ideale di bellezza e di forza,
creando una monarchia autoritaria che
guidi l’Italia ai destini imperiali.
Il tono profetico e lo stile oratorio
L’azione quasi non esiste e sulla trama
narrativa prevale il monologo oratorio
dal tono imperativo, come il profeta che
impone il «Verbo». In definitiva, la cultura
è per D’Annunzio strumento di potere.
Lo stile, definito dallo stesso scrittore «latino, a grandi periodi», è elevato, con largo uso di metafore (gli stallieri della Gran
Bestia r. 22), perifrasi (le loro mani, a cui il
vostro padre Dante darebbe l’epiteto medesimo ch’egli diede alle unghie di Taide,
sono atte a raccattar lo stabbio rr. 26-27),
interrogazioni retoriche, esclamazioni,
apostrofi (Difendete… Opponete…), volte
a catturare l’attenzione dei destinatari.
Attività
1. Il pensiero politico
Sul piano politico la morale del superuomo si traduce in una concezione aristocratica del potere. In quale punto del
testo appare evidente il disprezzo per il
regime parlamentare? Quale compito è
affidato ai patrizi? Ti può giovare leggere queste poche righe che sono la continuazione del brano proposto: su l’uguaglianza economica e politica, a cui aspira
la democrazia, voi [i patrizi] andrete dun-
que formulando una oligarchia nuova, un
nuovo reame della forza e riuscirete in pochi, o prima o poi, a riprendere le redini per
domare le moltitudini a vostro profitto.
Non sarà troppo difficile, in vero, ricondurre il gregge all’obbedienza. Le plebi restano
sempre schiave, avendo un nativo bisogno
di tendere i polsi ai vincoli.
2. Il compito dei poeti
Qual è, secondo la visione di Claudio Cantelmo, il compito dei poeti nella società di
massa? Coincide con quello che generalmente viene attribuito loro dalla cultura
decadente?
3. Cantelmo-Sperelli
In che cosa Cantelmo, pur essendo ancora
un esteta come Andrea Sperelli, differisce
dal protagonista del Piacere?
4. Il tono oratorio
Che cosa conferisce un tono oratorio al
brano proposto? Stabilisci gli opportuni
riferimenti testuali.
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