L`opera distruttiva di Ippolita, la Nemica
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L`opera distruttiva di Ippolita, la Nemica
C2 T 55 L’opera distruttiva di Ippolita, la Nemica 2 C T 55 Torna indietro N Gabriele D’Annunzio Trionfo della morte ella solitudine di San Vito, il paese delle ginestre, Giorgio sente acuirsi la fascinazione sensuale che esercita su di lui l’amata, ma anche il sentimento di rancore: la «Nemica», con la sua opera distruttiva, lo ostacola nella ricerca della propria realizzazione esistenziale e intellettuale. Mondadori, Milano, 1966 Trionfo della morte: la trama G iorgio Aurispa, discendente da un’antica famiglia abruzzese, esteta raffinato e dalla personalità inquieta, è da due anni l’amante di Ippolita Sanzio. La vicenda si apre su un’immagine di morte: mentre i due, a Roma, passeggiano lungo i viali del Pincio, sono richiamati dall’accorrere di gente per il suicidio di una persona lanciatasi nel vuoto. In un albergo di Albano, dove si ritirano per un periodo di tempo, rileggono le lettere scritte da Giorgio a Ippolita, da cui emerge il passato della donna: un matrimonio fallito, le sue crisi di epilessia, la sua prepotente sensualità che fiacca il bisogno di spiritualità di Giorgio. Durante una breve separazione dall’amante, Giorgio va a trovare la propria famiglia a Guardiagrele, dove viene assalito con sempre più insistenza dall’idea della morte, cui non sono estranee le vicende familiari, che acuiscono la sua nevrosi (il conflitto con il padre, figura dominatrice e abietta che tradisce la moglie e sperpera le sostanze delle amanti; il fallimento del matrimonio della sorella; il suicidio dello zio Demetrio nel quale Giorgio si identificava, perché a lui simile nella sensibilità). Di nuovo con Ippolita, Giorgio va a trascorrere con lei il periodo estivo in una piccola casa solitaria a San Vito, sull’Adriatico. Qui di nuovo avverte l’ambivalenza del suo legame con la donna che lo attrae sensualmente ma nello stesso tempo lo respinge. La risposta alla sua ricerca esistenziale gli viene offerta dalla musica di Wagner (in particolare dal Tristano e Isotta) e dall’ideale superomistico di Nietzsche. L’identificazione nel superuomo, però, non fa prevalere in lui il messaggio dionisiaco dell’aspirazione alla vita ma piuttosto le forze distruttive della morte: trascina con sé Ippolita sul bordo di una scogliera e si precipita con lei nel vuoto. D 1 5 10 15 20 1. egli: Giorgio Aurispa, il protagonista. 2. gran luce meridiana: la luce splendente del mezzogiorno. 3. l’ora pànica: nella mitologia greca il dio Pan si muoveva nella campagna nell’ora del mezzo- Di sotto alla tenda piantata su la ghiaia, ancóra seminudo dopo il bagno egli1 guardava Ippolita ch’era rimasta al sole presso le acque avvolta nell’accappatoio bianco. Guardando, egli aveva negli occhi a tratti scintillazioni quasi dolorose; e la gran luce meridiana2 gli dava un senso nuovo di malessere fisico misto a una specie di vago sgomento. Era l’ora terribile, l’ora pànica3, l’ora suprema della luce e del silenzio, imminente su la vacuità della vita4. Egli comprendeva la superstizione pagana: l’orrore sacro dei meriggi canicolari5 su la plaga abitata da un dio immite ed occulto6. In fondo a quel suo vago sgomento si moveva qualche cosa di simile all’ansietà di chi sia nell’attesa di un’apparizione repentina e formidabile7. Pareva egli a sé stesso quasi puerilmente debole e trepido, come diminuito d’animo e di forze dopo una prova sfavorevole. Immergendo il suo corpo nel mare, dando la fronte al sole pieno, percorrendo a nuoto una breve distanza, esperimentandosi nell’esercizio già prediletto, misurando il suo respiro sul soffio dello spazio illimitato, egli aveva sentito per indizii indubitabili l’impoverimento del suo vigore, la declinazione8 della sua giovinezza, tutta l’opera distruttiva della Nemica; aveva sentito ancóra una volta il ferreo cerchio restringersi intorno alla sua attività vitale e ridurne ancora una zona all’inerzia e all’impotenza. Il senso di quel languore muscolare gli diveniva più profondo come più9 egli guardava la figura della donna alzata nella luce del giorno. giorno, spaventando chi osasse mostrarglisi. 4. imminente... vita: incombente sul vuoto della vita. 5. meriggi canicolari: mezzogiorni soffocanti per il caldo. Letteralmente la canicola è il 508 | L’età del Decadentismo | Ritratto d’autore | periodo estivo più caldo quando in agosto il sole è nella costellazione del Cane. 6. l’orrore… immite ed occulto: il dio Pàn aggressivo e invisibile comunica un orrore sovrannaturale; plaga: zona, regione. 7. formidabile: nell’accezione latina di tremendo, spaventoso. 8. declinazione: declino. 9. come più: quanto più. 25 30 35 40 45 50 55 60 10. omeri: spalle. 11. peplo: la veste femminile nell’antica Grecia. 12. si disegnava... celeste: Giorgio osserva dalla riva la figura di Ippolita che si profilava per metà sullo sfondo azzurro (glauco) del mare e per metà nell’aria luminosa del cielo (trasparenza celeste). 13. capellatura: capigliatura. 14. reclinata e intenta: leggermente piegata e pensierosa. Ella aveva disciolti i suoi capelli perché si asciugassero; e le ciocche ammassate dall’umidità le cadevano su gli omeri10 così cupe che sembravano quasi di viola. Il suo corpo svelto ed eretto, come avvolto nelle pieghe di un peplo11, si disegnava metà sul campo glauco del mare e metà su la chiarissima trasparenza celeste12. Appena si scorgeva fuor della capellatura13 il profilo della faccia reclinata e intenta14. Ella era tutta assorta in un suo piacere alterno: – metteva i piedi nudi su la ghiaia scottante, mantenendoveli sin che fosse per lei sostenibile l’ardore; e poi così caldi li tuffava nell’acqua blanda15 che lambiva la ghiaia. E in quella duplice sensazione ella pareva gustare una voluttà infinita, obliosamente16. – Ella si temprava, si fortificava, comunicando con le cose libere e sane17, lasciandosi penetrare dalla salsedine e dal raggio. Come mai poteva ella essere, nel tempo medesimo, così inferma e così valida? Come mai poteva ella conciliare nella sua sostanza tante contrarietà e assumere tanti diversi aspetti in un giorno, in un’ora sola? La donna taciturna e triste che covava dentro di sé il male sacro, il morbo astrale18; l’amante cupida e convulsa19 il cui ardore20 era talvolta quasi spaventevole, la cui lussuria aveva talvolta apparenze quasi lugubri d’agonia; quella stessa creatura, alzata21 sul lido del mare, poteva raccogliere e sostenere ne’ suoi sensi tutta la naturale delizia sparsa nelle cose che la circondavano, apparire simile ai simulacri della Bellezza antica inchinati sul cristallo armonioso di un ellesponto22. La superiorità di quella resistenza era palese. Giorgio la considerava con un rammarico che a poco a poco addensandosi assumeva la gravità di un rancore. Il sentimento della sua debolezza s’intorbidava di odio, mentre la sua perspicacia23 si faceva sempre più lucida e quasi vendicativa. Non erano belli i piedi nudi ch’ella a volta a volta scaldava su la ghiaia e rinfrescava nell’acqua; erano anzi difformati nelle dita, plebei, senz’alcuna finezza; avevano l’impronta manifesta della bassa stirpe24. Egli li guardava intentamente25; non guardava se non quelli, con uno straordinario acume di percezione e di esame, come se le particolarità della forma dovessero rivelargli un segreto. E pensava: «Quante cose impure fermentano nel suo sangue! Tutti gli istinti ereditarii della sua razza sono in lei, indistruttibili, pronti a svilupparsi e ad insorgere contro qualunque constrizione. Io non potrò mai far nulla per purificarla. Io non potrò se non sovrapporre alla realità della sua persona le figure mutevoli dei miei sogni, ed ella non potrà se non offrire alla mia ebrezza solitaria i suoi indispensabili organi...». Ma, mentre il suo pensiero riduceva la donna a un semplice motivo d’imaginazioni e toglieva ogni valore alla forma palpabile, per la stessa acutezza della percezione particolare egli sentiva d’esser legato appunto alla qualità reale di quella carne e non solo a quanto eravi26 di più bello, ma specialmente a quanto eravi di men bello in lei. La scoperta d’una bruttura non rallentava il vincolo27, non diminuiva il 15. blanda: fresca. 16. obliosamente: dimenticando tutto in quel piacere. 17. comunicando… sane: entrando in contatto con la libertà e la sanità degli elementi della natura. 18. così inferma e così valida… il morbo astrale: così malata e così forte. Ippolita soffre di epilessia che gli antichi chiamavano «male sacro» come se gli ammalati fossero posseduti da un dio (morbo astrale: letteralmente malattia dovuta all’influsso del cielo); nella sua sostanza: nel suo organismo. 19. cupida e convulsa: vogliosa e frenetica. 20. ardore: passione amorosa e sessuale. 21. alzata: eretta. 22. simile ai simulacri... ellesponto: simile alle statue greche che raffigurano ideali antichi di bellezza e si specchiano nelle ac- que dell’Ellesponto limpide come cristallo (lo stretto dell’Ellesponto separa l’Asia dall’Europa). 23. perspicacia: acutezza nell’analizzare il carattere di Ippolita. 24. bassa stirpe: Ippolita è di nascita piccolo borghese, dunque non nobile. 25. intentamente: fissamente. 26. eravi: vi era. 27. il vincolo: il legame fra i due amanti. | Gabriele D’Annunzio | L’inetto dannunziano | 509 C 21 T 55 C2 T 55 65 70 fascino. I lineamenti più volgari esercitavano su di lui un’attrazione irritante. Egli conosceva bene questo fenomeno che s’era più volte ripetuto. I suoi occhi più volte avevano visto con estrema chiarezza nella persona d’Ippolita emergere i difetti anche men notevoli; e n’eran rimasti attratti per lungo tempo, quasi forzati a fissarli, a considerarli, ad esagerarli. Ed egli aveva provato nei suoi sensi e nel suo spirito un turbamento indefinibile, seguito quasi sempre dall’insorgere subitaneo d’un desiderio impetuoso. Era ben questo il più fiero segno della grande ossessione carnale operata da una creatura umana su un’altra creatura umana. Obediva a una simile malìa quell’amante innominato che amava sopra tutte le cose nella sua donna i segni impressi dagli anni sul collo pallido e la riga de’ capelli ogni giorno più larga e la bocca appassita ove il sale delle lacrime scendeva a rendere più durevole il sapore dei baci. Analisi e interpretazione Vita e morte, attrazione e ostilità Il significato dell’episodio è nell’ambivalenza tra vita e morte, attrazione e ostilità, che anticipano la conclusione tragica del romanzo. I due amanti, dopo il bagno sulla spiaggia soleggiata nell’ora del mezzogiorno, non comunicano una sensazione di vitalità, ma piuttosto di vuoto, di malessere e sgomento. La figura di Ippolita non è presentata oggettivamente, ma come una creazione mentale del protagonista (Io non potrò se non sovrapporre alla realità della sua persona le figure mutevoli dei miei sogni rr. 52-54): la donna ai suoi occhi appare animata da un misterioso potere, che lo domina sessualmente (ossessione carnale), ma nel contempo rappresenta la malattia, la volgarità che si contrappone alla bellezza (egli sentiva d’esser legato appunto alla qualità reale di quella carne e non solo a quanto eravi di più bello, ma specialmente a quanto eravi di men bello in lei... I lineamenti più volgari esercitavano su di lui un’attrazione irritante rr. 5861). Giorgio sente di odiarla perché è la personificazione della «Nemica», di una forza malefica che svela la sua debolezza interiore e il suo fallimento esistenziale. Dall’«inetto a vivere» al superuomo dominatore L’ambivalenza di Giorgio Aurispa e il suo rapporto problematico con la donnanemica, alibi per mascherare la sua incapacità di dare un senso più pieno alla sua vita, traduce la crisi dell’artista nella moderna società borghese e anticipa un tema che sarà poi tipico della letteratura del Novecento: quello dell’inettitudine. Nel contempo, la lettura di Nietzsche aprirà a D’Annunzio la strada per creare una nuova figura di intellettuale, più adatto ai tempi: con il suicidio del protagonista muore simbolicamente la parte malata dello scrittore, e nasce il superuomo. Il punto di vista del protagonista La narrazione in terza persona è filtrata attraverso il punto di vista di Giorgio (il suo sguardo fissa la figura di Ippolita sulla riva del mare), i suoi pensieri e stati d’animo (Egli comprendeva la superstizione pagana... rr. 6-7; In fondo a quel suo vago sgomento si moveva qualche cosa di simile all’ansietà... rr. 8-9; Pareva egli a sé stesso quasi debole e trepido, come diminuito d’animo e di forze dopo una prova sfavorevole rr. 10-12). Il discorso indiretto libero (– Ella si temprava, si fortificava... rr. 30-31) e il monologo interiore in forma diretta e in prima persona («Quante cose impure fermentano nel suo sangue...!» r. 50) accentuano la dimensione soggettiva del racconto. Il lessico è aulico e prezioso, tipico dello stile dannunziano. Attività 1. La figura della donna Quali caratteristiche assume Ippolita nella mente di Giorgio? A che tipo femminile si ricollega? Ti può essere utile stabilire un collegamento con altri modelli letterari, per esempio la Fosca descritta da Tarchetti (>C1, T11). 2. L’inettitudine del protagonista Giorgio, raffinato esteta, in realtà è malato ed è proprio il rapporto con la donna a svelarne l’inettitudine. In quali punti del testo emerge questo lato del carattere del protagonista? 510 | L’età del Decadentismo | Ritratto d’autore | 3. Eros-Thanatos Nel decadentismo dannunziano l’eros è inscindibile dalla morte: rintraccia nel brano le anticipazioni di quella che sarà la sorte comune dei due amanti. 4. Il superamento del Naturalismo Riscontra nel testo proposto tracce del superamento del modello naturalistico. C2 T 56 Claudio Cantelmo 2 C T 56 I l romanzo Le vergini delle rocce è suddiviso in 3 libri. Il passo tratto dal I libro presenta le riflessioni del protagonista sulla società presente: Claudio Cantelmo disprezza l’affarismo borghese, vagheggia una monarchia autoritaria e si appella agli intellettuali perché difendano il culto della «Bellezza». Gabriele D’Annunzio Le vergini delle rocce Mondadori, Milano, 1995 Le vergini delle rocce: la trama L a vicenda è narrata in prima persona dal protagonista, il nobile Claudio Cantelmo. Questi vive con sdegno la situazione politica contemporanea («l’accesso delle plebi al potere») e sogna l’avvento di un uomo forte che guidi l’Italia verso un nuovo destino imperiale. Lascia pertan- adatta all’alto compito. Ma il suo sogno si scontra con la realtà di una famiglia minata dalla tara della pazzia: le tre «vergini» dalla diafana silhouette (la mistica Massimilla, la generosa Anatolia, la bella ma fredda Violante) rimarranno legate al loro destino e al luogo in cui erano nate. C 1 1. esausta... tempi: esaurita l’abbondanza delle rime. 2. officio: compito. 3. senarii doppii… potere: versi classici composti da dodici sillabe (doppi senari), usati da Carducci e anche da D’Annunzio nelle liriche giovanili. Ma il tono è ironico, nel senso che non si può far poesia con un argomento volgare come la vita democratica, la repubblica, l’eguaglianza. 4. Cleofonte… lire: nel V sec. incitò gli ateniesi a resistere all’assedio degli spartani; successivamente fu accusato di tradimento e condannato a morte. Qui il protagonista si chiede con sarcasmo se non ci sia a Roma un Cleofonte, fabbricante di lire ossia un demagogo della poesia. 5. cantori... Musa: i poeti. 6. Odisseo: nome greco di Ulisse, eroe dell’inganno che supplisce alla forza. 7. tutte le armi: l’azione dei poeti è quella di criticare i valori borghesi e, come dirà dopo, di promuovere il gusto della bellezza. 8. Attendete ad inacerbire: adoperatevi per inasprire. 9. ciascuna anima... chiodaiuoli: l’uguaglianza crea una meccanica uniformità, come il chiodaiolo che fa le teste dei chiodi tutte uguali. La polemica antidemocratica è implicitamente anche contro il socialismo. 10. stallieri della Gran Bestia… assemblea: i rappresentanti del popolo che discutono in Parlamento; letteralmente nel parlamento prendono la parola i servi (stallieri) della democrazia. L’immagine della «Gran Bestia» deriva dall’Apocalisse, dove designava Satana, ed era stata ripresa da Nietzsche, a indicare con tono dispregiativo le masse. D’Annunzio tre anni prima della pubblicazione del romanzo scrive- to Roma e ritorna in Abruzzo, a Rebursa, il paese dei suoi antenati, dove spera di incontrare una donna all’altezza del suo sogno: generare il futuro «re di Roma». Vicino ai suoi feudi vive la nobile famiglia Capece Montaga, ancora di fede borbonica, e Cantelmo cerca tra le tre figlie la più 5 10 15 20 25 Chiedevano intanto i poeti, scoraggiati e smarriti, dopo aver esausta la dovizia delle rime nell’evocare imagini d’altri tempi1, nel piangere le loro illusioni morte e nel numerare i colori delle foglie caduche; chiedevano, alcuni con ironia, altri pur senza: «Qual può essere oggi il nostro officio2? Dobbiamo noi esaltare in senarii doppii il suffragio universale? Dobbiamo noi affrettar con l’ansia dei decasillabi la caduta dei Re, l’avvento delle Repubbliche, l’accesso delle plebi al potere3? Non è in Roma, come già fu in Atene, un qualche demagogo Cleofonte fabbricante di lire4? Noi potremmo, per modesta mercede, con i suoi stessi strumenti accordati da lui, persuadere gli increduli che nel gregge è la forza, il diritto, il pensiero, la saggezza, la luce…» Ma nessuno tra loro, più generoso e più ardente, si levava a rispondere: «Difendete la Bellezza! È questo il vostro unico officio. Difendete il sogno che è in voi! Poiché oggi non più i mortali tributano onore e riverenza ai cantori alunni della Musa5 che li predilige, come diceva Odisseo6, difendetevi con tutte le armi7, e pur con le beffe se queste valgono meglio delle invettive. Attendete ad inacerbire8 con i più acri veleni le punte del vostro scherno. Fate che i vostri sarcasmi abbiano tal virtù corrosiva che giungano sino alla midolla e la distruggano. Bollate voi sino all’osso le stupide fronti di coloro che vorrebbero mettere su ciascuna anima un marchio esatto come su un utensile sociale e fare le teste umane tutte simili come le teste dei chiodi sotto la percussione dei chiodaiuoli9. Le vostre risa frenetiche salgano fino al cielo, quando udite gli stallieri della Gran Bestia vociferare nell’assemblea10. Proclamate e dimostrate per la gloria dell’Intelligenza che le loro dicerie non sono men basse di quei suoni sconci con cui il villano manda fuori per la bocca il vento dal suo stomaco rimpinzato di legumi11. Proclamate e dimostrate che le loro mani, a cui il vostro padre Dante darebbe l’epiteto medesimo ch’egli diede alle unghie va sul “Mattino” di Napoli un articolo dal titolo «La Bestia elettiva», dove dichiarava: «Le plebi restano sempre schiave e condannate a soffrire, tanto all’ombra delle torri feudali quanto all’ombra dei feudali fumaioli nelle officine moderne. Esse non avranno 512 | L’età del Decadentismo | Ritratto d’autore | mai dentro di loro il sentimento della libertà. [...] Su l’uguaglianza economica e politica, a cui aspira la democrazia socialista, si andrà formando una oligarchia nuova, un nuovo reame della forza; e questo gruppo a poco a poco riuscirà ad impadronirsi di tutte le redini per domare le masse a suo profitto, distruggendo qualunque vano sogno di uguaglianza e di giustizia». 11. Suoni sconci... legumi: i discorsi democratici sono spregevoli come i rutti dei contadini che magiano i legumi. di Taide, sono atte a raccattar lo stabbio12 ma non degne di levarsi per sancire una legge nell’assemblea. Difendete il Pensiero ch’essi minacciano, la Bellezza ch’essi oltraggiano! Verrà un giorno in cui essi tenteranno di ardere i libri, di spezzare le statue, di lacerare le tele13. Difendete l’antica liberale opera14 dei vostri maestri e quella futura dei vostri discepoli, contro la rabbia degli schiavi ubriachi15. Non disperate, essendo pochi. Voi possedete la suprema scienza e la suprema forza del mondo: il Verbo16. Un ordine di parole può vincere d’efficacia micidiale una formula chimica. Opponete risolutamente la distruzione alla distruzione17!» 12. epiteto... stabbio: Taide è 30 una cortigiana che, nel XVIII canto dell’Inferno, Dante colloca nella seconda bolgia tra gli adulatori, la rappresenta immersa nello sterco (stabbio) e definisce le sue unghie «merdose». 13. Difendete... tele: la democrazia minaccia di distruggere 35 l’arte. 14. L’antica… opera: la poesia, qui chiamata «liberale» come nel Medioevo ossia tale da rendere del popolo che si esprime con le «liberi», quindi di animo nobile, rivolte e la distruzione dei prodotti chi la coltivi. artistici. 15. rabbia... ubriachi: la rabbia 16. il Verbo: il Verbo dannunzia- no qui non indica il Verbo evangelico; l’uso del lessico religioso crea solo un effetto evocativo. 17. Un ordine... distruzione!: la parola poetica può essere più efficace di un esplosivo per porre fine al sistema borghese, che a sua volta distrugge la bellezza. Analisi e interpretazione Il programma antiborghese e autoritario La voce narrante coincide con quella del protagonista: esponente di una famiglia patrizia, Claudio Cantelmo critica la società borghese della sua epoca, manifestando un’avversione violenta ai principi di democrazia e uguaglianza, nello spregio del popolo (plebi). Acceso è, inoltre, il tono contro il parlamentarismo e i suoi rappresentanti (chiamati metaforicamente Gran Bestia), dalle cui vociferazioni (in senso ironico e spregiativo) la «nuova oligarchia», formata da aristocratici e poeti, non dovrà farsi illudere. La funzione dei poeti Il suo programma aristocratico è rivolto dunque non solo ai patrizi ma anche ai poeti, che devono difendere il culto della Bellezza e la sua espressione (il Verbo): la parola poetica è divina, è la suprema for- za del mondo, la sola che può distruggere la meschinità borghese. Da Andrea Sperelli a Claudio Cantelmo Fra Il piacere (1889) e Le vergini delle rocce (1895) intercorrono sei anni, inframmezzati dal Trionfo della morte (1894). è proprio da esso che D’Annunzio parte per creare un nuovo eroe, esteta e uomo d’azione insieme. Il disprezzo delle masse accomuna Sperelli e Cantelmo, ma, mentre il primo fonda il suo estetismo sul proprio isolamento dalla realtà, con conseguente rifugio nel mondo a parte dell’arte, il secondo arricchisce la propria posizione estetica con un’ideologia antidemocratica: l’intellettuale superuomo non assumerà più una posizione distaccata e isolata rispetto alla realtà che lo circonda e che continua comunque a disprezzare, ma sarà chiamato a modificare il quadro socio-politico esistente in base al suo ideale di bellezza e di forza, creando una monarchia autoritaria che guidi l’Italia ai destini imperiali. Il tono profetico e lo stile oratorio L’azione quasi non esiste e sulla trama narrativa prevale il monologo oratorio dal tono imperativo, come il profeta che impone il «Verbo». In definitiva, la cultura è per D’Annunzio strumento di potere. Lo stile, definito dallo stesso scrittore «latino, a grandi periodi», è elevato, con largo uso di metafore (gli stallieri della Gran Bestia r. 22), perifrasi (le loro mani, a cui il vostro padre Dante darebbe l’epiteto medesimo ch’egli diede alle unghie di Taide, sono atte a raccattar lo stabbio rr. 26-27), interrogazioni retoriche, esclamazioni, apostrofi (Difendete… Opponete…), volte a catturare l’attenzione dei destinatari. Attività 1. Il pensiero politico Sul piano politico la morale del superuomo si traduce in una concezione aristocratica del potere. In quale punto del testo appare evidente il disprezzo per il regime parlamentare? Quale compito è affidato ai patrizi? Ti può giovare leggere queste poche righe che sono la continuazione del brano proposto: su l’uguaglianza economica e politica, a cui aspira la democrazia, voi [i patrizi] andrete dun- que formulando una oligarchia nuova, un nuovo reame della forza e riuscirete in pochi, o prima o poi, a riprendere le redini per domare le moltitudini a vostro profitto. Non sarà troppo difficile, in vero, ricondurre il gregge all’obbedienza. Le plebi restano sempre schiave, avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli. 2. Il compito dei poeti Qual è, secondo la visione di Claudio Cantelmo, il compito dei poeti nella società di massa? Coincide con quello che generalmente viene attribuito loro dalla cultura decadente? 3. Cantelmo-Sperelli In che cosa Cantelmo, pur essendo ancora un esteta come Andrea Sperelli, differisce dal protagonista del Piacere? 4. Il tono oratorio Che cosa conferisce un tono oratorio al brano proposto? Stabilisci gli opportuni riferimenti testuali. | Gabriele D’Annunzio | L’ideologia e i miti superomistici | 513 C 21 T 56