Quaderno 4-2016

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Quaderno 4-2016
Rassegna
dell’Arma dei Carabinieri
Quaderno n. 4/2016
TESI DI LAUREA DEI FREQUENTATORI
DEL 20° CORSO DI PERFEZIONAMENTO
Anno Accademico 2013-2014
Violenza di genere e dimensione normativa
Il “controverso” riconoscimento giuridico del
femminicidio
(Ten. Leonardo Bricca)
Sette e movimenti religiosi
Criminogenesi e criminodinamica del satanismo
(Ten. Luca Gino Iannotti)
Scuola Ufficiali Carabinieri, 2016
dell’Arma dei Carabinieri
R a s s eg n a
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PRESENTAZIONE
In questo quarto Quaderno presentiamo due tesi di laurea degli Ufficiali del 20° Corso di
Perfezionamento.
Nella prima, “Violenza di genere e dimensione normativa. Il “controverso” riconoscimento giuridico del
femminicidio”, il Ten. Leonardo Bricca affronta le problematiche connesse con l’odioso fenomeno delle
violenze domestiche, ne analizza le conseguenze e indica alcune modalità di intervento per cogliere gli
elementi di prevedibilità.
La seconda, su “Sette e movimenti religiosi. Criminogenesi e criminodinamica del satanismo”, del Ten. Luca
Gino Iannotti, esplora il fenomeno satanico in chiave criminologica, evidenziando l’allarme sociale e la
pericolosità che il rapporto tra satanismo e criminalità suscita.
Gen. D. Vittorio Tomasone
VIOLENZA DI GENERE E DIMENSIONE NORMATIVA
IL “CONTROVERSO” RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEL
FEMMINICIDIO
Ten. Leonardo Bricca
Introduzione ................................................................................................................ 7
CAPITOLO I
LE ORIGINI DEL FEMMINICIDIO
I.1. Cosa si intende per violenza di genere ............................................................13
I.2. La causa più diffusa della violenza di genere: la gelosia ...............................16
I.3. L’origine del termine femminicidio .................................................................19
I.4. Convenzione Istanbul .......................................................................................21
a. I principi generali della Convenzione: approccio integrato,
diritti delle vittime di reato ..........................................................................21
b. Percorsi giudiziari, prevenzione, protezione e sostegno .........................26
c. Diritto penale sostanziale ............................................................................30
d. Diritto processuale penale. L’inclusione delle vittime
nel procedimento ..........................................................................................36
I.5 La Legge 1° ottobre 2012, n. 172, di ratifica della Convenzione di
Lanzarote in Italia ..............................................................................................40
a. La previgente normativa italiana in tema di reati sessuali
e maltrattamenti a danno dei minori ..........................................................40
b I lavori preparatori e l’approvazione della legge 172/2012.....................47
c. Il nuovo reato di maltrattamenti in famiglia .............................................49
CAPITOLO II
LE FORME DI VIOLENZA SULLE DONNE
II.1. Violenza di genere ............................................................................................58
II.2. Dall’Amore al conflitto di coppia ...................................................................65
a. Le Trasformazioni famigliari .......................................................................65
b. La ricerca di una parità uomo-donna in ambito lavorativo.....................73
c. Le trasformazioni dell’intimità ...................................................................76
d. Dipendenza psicologica della donna dal suo aggressore .........................84
e. La teoria dell’attaccamento e le relazioni di coppia disfunzionali ..........86
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f. Violenza domestica: stereotipi e luoghi comuni .......................................90
II.3. I vari tipi di violenza.........................................................................................93
II.4. La violenza e le sue conseguenze sulle donne ..............................................95
II.5. Ciclo della violenza ........................................................................................ 102
CAPITOLO III
IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO
III.1. La violenza alle donne: tra la mancata attuazione della Convenzione
di Istanbul e la necessità di una risposta multi agenziale ...................... 105
III.2. Introduzione alla Legge 119/2013 .......................................................... 109
III.3. La Struttura del decreto femminicidio .................................................... 114
III.4. Le modifiche degli articoli 61 c.p. e 572 c.p........................................... 116
III.5. Le innovazioni in tema di violenza sessuale ........................................... 117
III.6. Le modifiche riguardo agli ‘Atti persecutori’ ......................................... 121
III.7. Il ‘nuovo’ ammonimento del questore.................................................... 125
III.8. L’ ammonimento del questore in ipotesi di violenza domestica ......... 127
III.9. Gli stranieri vittime di violenza domestica ............................................. 129
III.10. L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ................................... 130
CAPITOLO IV
“FEMMINICIDIO” COME REATO
IV.1. La fattispecie di femminicidio. Problemi di definizione e
presentazione dell’opzione cilena ............................................................... 141
IV.2. Dimensione e importanza del problema sociale e giuridico ................... 144
IV.3. La distorsione del significato di femminicidio e l’abuso del termine .... 151
IV.4. I Centri Antiviolenza ................................................................................... 154
Considerazione conclusive.................................................................................... 159
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INTRODUZIONE
L’approccio criminologico e sociologico degli studi sulla devianza è stato
storicamente quello di analizzare le caratteristiche dei reati sia in relazione al dato
quantitativo (cioè il numero dei delitti commessi in un determinato arco di tempo),
tipologico (le modalità dell’azione, il bene offeso ecc.), sociale (le connessioni tra le
condizioni socio-economiche e i reati stessi), sia in relazione alle caratteristiche di
personalità degli autori di reato e alle connessioni tra queste e il contesto socio-familiare
di provenienza, la cittadinanza, il livello di istruzione, la condizione o meno di
occupazione, l’età. Il neologismo “feminicidio” nascono con una valenza spiccatamente
politica: dare un nome alle uccisioni e violenze nei confronti delle donne “perché
donne”, e renderle visibili in quanto tali. Il concetto di femminicidio ha assunto
immediatamente rilevanza scientifica quale categoria di analisi socio-criminologica, in
quanto oltre ad evidenziare la natura di genere che connota la maggior parte dei crimini
contro le donne, li analizzano e li classificano in quanto tali. Ciò ha consentito, come fu
in passato per le violenze sessuali, il ribaltamento di consolidati stereotipi e luoghi comuni
concernenti la violenza degli uomini sulle donne.
Emblematico (oltre che “esperienza pilota”) è il caso delle indagini svolte in
Messico dalla Commissione Speciale parlamentare sul femminicidio, nominata e
presieduta da Marcela Lagarde. La Commissione ha rielaborato, per un arco temporale
di dieci anni, le informazioni reperite presso varie istituzioni (procure generali, ONG,
istituzioni di donne, Corte suprema, organizzazioni civili, giornali, INM, INEGI),
verificando che l’ottantacinque per cento dei femminicidi messicani avviene in casa per
mano di parenti, e concerne non soltanto donne indigene ma anche studentesse,
impiegate, donne di media borghesia. Per ogni Stato si è tenuto in considerazione non
solo il dato risultante dall’indagine empirica e dalle analisi fornite dalle fonti ufficiali, ma
anche la situazione legislativa, le misure adottate per il contrasto alla violenza di genere,
la presenza sul territorio di progetti indirizzati alle donne o di centri antiviolenza. Tale
comparazione ha consentito di verificare che il sessanta per cento delle vittime di
femminicidio aveva già denunciato episodi di violenza o di maltrattamento. Gli esiti delle
indagini sul femminicidio, condotte sull’esempio del Messico in numerosi altri stati latino-7-
americani, hanno reso quindi possibile evidenziare la
natura strutturale della
discriminazione e della violenza di genere, e di conseguenza la responsabilità istituzionale
per la mancata rimozione dei fattori culturali, sociali ed economici che la rendono
possibile. Il percorso messicano e degli altri paesi latinoamericani di riconoscimento del
femminicidio ha evidenziato come “nominare” gli atti estremi di violenza di genere abbia
determinato l’insorgere di una consapevolezza nella società civile e nelle Istituzioni sulla
effettiva natura di tali crimini, che a sua volta ha reso possibile una maggiore conoscenza
del fenomeno attraverso la raccolta di dati statistici e la predisposizione di accurate
indagini socio-criminologiche.
Di conseguenza, la profonda conoscenza delle dinamiche socio-culturali, politicogiuridiche ed economiche che favoriscono ovvero inibiscono il femminicidio, ha reso
possibile l’emergere di istanze di riconoscimento anche giuridico di tali categorie. Le
esperienze di Messico e Cile, ad esempio, dimostrano che già in una prima fase di
sensibilizzazione da parte del movimento femminista sul femminicidio, il carattere
scientifico e la natura spesso ufficiale delle indagini hanno determinato un forte impatto
dei risultati sulle politiche e sulle riforme legislative sollecitate o in atto in quei paesi in
materia di violenza di genere. La discriminazione e la violenza di genere costituiscono, in
maniera diversa, violazioni dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine, delle
quali lo Stato si rende complice o responsabile attraverso la propria azione o inazione. La
rivendicazione del femminicidio come violazione dei diritti fondamentali delle donne “in
quanto donne” hanno determinato da un lato quel processo di internazionalizzazione
delle istanze di giustizia per i crimini contro le donne, già avanzate a livello locale,
dall’altro una pressante richiesta di codificazione interna del reato di femminicidio,
funzionale ad una precisa esigenza di adottare una “misura speciale temporanea” capace
di fungere al contempo sia da deterrente all’impressionante numero di uccisioni di donne
in quanto donne sia da risarcimento simbolico al disinteresse storico del sistema giuridico
per la protezione della vita e dell’integrità delle donne.
In molti si chiederanno la ragione per cui un uomo sia così interessato a tale
tematica che propone una sorta di auto-incriminazione del genere maschile. Prima di
essere uomini tutti noi siamo stati bambini e soprattutto figli, per tale ragione, anche
vedendo le statistiche proposte di seguito, in molti, a modo loro e con forme più o
meno intense hanno vissuto, anche se indirettamente la disparità dei sessi all’interno
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della propria famiglia che nel migliore dei casi si trasforma in una discussione verbale
ma che, in molti casi, genera violenza e soprattutto apre quel ciclo virtuoso di sudditanza
della donna rispetto all’uomo che, sfruttando la sua “superiorità” fisica, ma
soprattutto sociale riconosciuta dalla stessa società che pone la donna in una condizione
di paura e che quando ascolta i tg si meraviglia se quotidianamente uomini uccidono
donne anche per motivazioni futili.
La violenza di genere ha le sue radici nella cultura maschilista che domina la nostra
società e non solo. Purtroppo, come già anticipato, a mettere le donne in posizione
subalterna all’uomo sono anche le politiche sociali che vengono fatte, la donna non è
tutelata nel posto di lavoro come l’uomo, spesso alla nascita di un figlio è costretta a
lasciare la sua professione per fare la mamma a tempo pieno perché non è supportata
dalle politiche che non assumono un’ottica di genere e per la carenza di strutture
educative pubbliche per i loro figli.
La società costringe la donna a sviluppare un ruolo principalmente di cura
all’interno della famiglia senza darle la possibilità di sviluppare le proprie capacità e
potenzialità al di fuori di essa. La disparità di genere quindi, non si fa sentire soltanto
all’interno della famiglia ma anche nel lavoro e nella politica, è alimentata dall’intera
società, la donna italiana ha difficoltà a occuparsi contemporaneamente della famiglia e
del lavoro, quindi molto spesso si trova a dover scegliere.
Per questo è importante valorizzare le differenze tra uomo e donna e cercare di
sviluppare una cultura del rispetto e della non violenza, è importante cambiare il modo
di pensare sia dell’uomo ma anche della donna che a suo modo contribuisce a
sostenere una società patriarcale alimentando gli stereotipi attribuiti all’uomo e alla
donna attraverso i piccoli gesti della vita quotidiana (la donna che lava i piatti, l’uomo
guida l’auto). Gli stereotipi sono sempre negativi perché ostacolano l’individuo nel suo
sviluppo personale e nel suo affermarsi nella società. Anche i media spesso offrono
un’immagine riduttiva, spesso, addirittura offensiva del genere femminile, ma anche
dello stesso genere maschile perché essi contribuiscono a mantenere e normalizzare gli
stereotipi che limitano l’apertura mentale di un individuo. I media ci propongono
continuamente l’immagine di una donna che cerca stima, attenzione e protezione da parte
dell’uomo; altri stereotipi sono quelli della donna che seduce l’uomo e della donna che
conquista l’uomo con la sua castità, in pratica si propone l’immagine della donna oggetto
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di proprietà dell’uomo. Risulta chiaro quindi che per contrastare la violenza di genere,
bisogna prima combattere la discriminazione di genere nella vita familiare, sociale e
politica.
Gli stessi Media sono i primi a celebrare in maniera distorta ogni tipo di
avvenimento che possa essere ricondotto, anche solo astrattamente al fenomeno del
femminicidio, distorcendo così il vero significato di tale fenomeno che, piuttosto di essere
trattato quale evento ormai quotidiano dettato dalla bestialità degli uomini, dovrebbe
essere contrastato partendo dall’analisi del sistema sociale, politico, economico e culturale
della nostra società, eliminando la mentalità patriarcale ed ottusa che vede l’uomo capofamiglia e la donna a lavare i piatti e a prendersi cura dei figli mentre l’uomo è a lavoro.
La violenza sulle donne, fisica e psicologica, mette in evidenza gli aspetti peggiori e
più insidiosi dei rapporti tra le persone e soprattutto tra i sessi. Questo problema però
non investe soltanto il singolo aggressore e la vittima ma investe l’intera società,
chiamando in causa le sue norme, le regole di socializzazione, i valori, la cultura.
Numerose ricerche hanno mostrato come tuttora donne e uomini siano socializzati fin da
bambini in modo diverso: ai maschi si lascia maggiore libertà, essi interiorizzano una
maggior sicurezza di sé, vengono socializzati a praticare forme di aggressività, quindi a
sentirsi più legittimati ad agire rispetto alle femmine. Queste invece vengono socializzate
a sentirsi bisognose di protezione, e imparano che la sicurezza è in casa e che l’uomo dà
protezione, interiorizzano che la propria sicurezza è sempre a rischio e ciò dipende in
gran parte dai propri comportamenti, inoltre le vengono attribuiti tutti i compiti di cura
nei confronti dei soggetti più deboli all’interno della famiglia (anziani e figli). La casa
spesso è uno dei luoghi meno sicuri per le donne che subiscono violenza, essa risulta
essere una protezione per l’uomo, che può esercitare il proprio controllo, rafforzato dalla
paura femminile. Questo ci fa capire che la violenza di genere si fonda sulla
disparità tra i sessi che vede la donna in una posizione di sudditanza rispetto
all’uomo, ciò è il risultato di un’educazione maschilista che legittima in un certo senso
l’uso della forza nei rapporti tra i sessi specialmente in casa. Purtroppo sussiste ancora
una svalutazione della donna nella vita pubblica che porta a un processo di svilimento
della personalità femminile anche nella vita privata. Nella collettività la donna spesso è
ancora considerata come un oggetto sessuale e una figura di secondo piano, questa
visione è rafforzata anche dai media che mercifica il corpo della donna per ogni tipo di
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spot pubblicitario e dai programmi televisivi dove ci sono donne che si offrono alla vista
ma non hanno alcun ruolo né competenze professionali. Nel presente lavoro vengono
affrontate le problematiche connesse al fenomeno della violenza di genere, le
conseguenze di questo fenomeno sulle donne, come fare prevenzione e quindi come
intervenire per contrastare questo problema. Inoltre vengono analizzate le ragioni che
impediscono alla donna di denunciare il proprio partner.
Negli anni si è assistito ad un mutamento dei rapporti tra i partners dove l’emergere
della donna in una posizione che si avvicina molto a quella del maschio, comporta una
riorganizzazione dei ruoli di genere, che l’uomo si dimostra, in molti casi, incapace di
accettare.
Per affrontare questo tema cercheremo di ripercorrere le trasformazioni della
famiglia parlando, in particolar modo, delle mutazioni nelle configurazioni familiari, nei
ruoli di genere e nelle relazioni derivanti dall’aumento della complessità culturale che ha
inevitabilmente modificato il modo di vivere di uomini e donne: dalle famiglie patriarcali
arriveremo a quelle degli anni Sessanta del XX secolo quando, l’emergere della donna in
una posizione più attiva e presente, ha comportato un nuovo “gioco di ruoli”.
Una volta messe in luce le varie forme di disparità che si registravano in ambito
domestico, mostreremo anche le trasformazioni che sono avvenute in ambito extradomestico, un contesto ancor più che mai ostile ad un’affermazione del sesso femminile,
nonostante i risultati parziali raggiunti.
Ovviamente tutto questo presuppone anche un’attenzione particolare alle
trasformazioni nell’intimità dove, in seguito all’affermarsi dell’emancipazione femminile,
la donna ha sviluppato un nuovo modo di rapportarsi al partner maschile che ha
determinato, nuovi modi di stare assieme, dove l’amore convergente in quanto amore
attivo diventa centrale nella relazione di coppia. Spesso però una relazione affettiva
paritaria con il partner maschile può diventare la causa principale delle discussioni di
coppia, infatti, come vedremo, l’uomo rifiuta questa parità e cerca sempre di
predominare. Una volta fatta chiarezza su tali premesse, sposteremo l’indagine sul motivo
per cui, nonostante il clima di grande sofferenza che la donna vive all’interno
dell’ambiente familiare, la vittima di un uomo violento, dimostra difficoltà ad
abbandonare la casa del suo aggressore. Il tutto sarà analizzato attraverso, in un primo
momento, l’esplicitazione di una serie di teorie formulate negli anni Settanta, e in seguito
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mediante l’analisi della teoria dell’attaccamento come possibile spiegazione della
dipendenza psicologica della donna dal partner violento: la ricerca di contatto e la
vicinanza a un altro significativo portano la donna a rimanere intrappolata del circuito
della violenza. Infine saranno trattati i numerosi luoghi comuni legati alla problematica in
questione, purtroppo tristemente attuale, nel tentativo di contrastare tali pregiudizi in
favore di una comprensione più ragionata che permetta di superare l’idea che “le donne
sono più a rischio di violenza da parte di uomini a loro sconosciuti”.
Nel secondo capitolo analizzeremo più dettagliatamente la violenza di genere,
dandone prima una definizione e poi analizzandone la causa principale: la gelosia che si
presenta come un sentimento che investe chiunque e in qualsiasi contesto storico; chi
soffre di una gelosia “patologica” perde lo sguardo sulla realtà, e quando non si sente
più al centro del mondo della partner, usa la violenza per riportare equilibrio.
La più grande speranza che personalmente questo studio mi ha portato ad avere è
quella di vivere una relazione di coppia sana, paritaria e sempre rispettosa delle
individualità di entrambi e soprattutto una valorizzazione della donna amata perché il
fenomeno può essere contrastato se ogni uomo riuscisse a fare il proprio dovere e a
comportarsi rispettando sempre la donna amata in quanto persona, essere umano, pari e
non come oggetto proprio di cui poter disporre come e quando si voglia. Se il
processo di cambiamento della visione della donna partisse da ogni nucleo familiare, da
ogni uomo, da ogni persona, seguendo la teoria della moltiplicazione del singolo
risultato tutta la società, che alla fine è composta da noi e non è un’entità astratta a cui
riferirci nel momento in cui bisogna attribuire delle responsabilità, cambierebbe
finalmente la mentalità distorta che vede la donna come oggetto a disposizione
dell’uomo-padrone, nonché animale. Ciò che risulta fondamentale, almeno per la mia
esperienza personale, è la reazione che i figli possono avere quando all’interno della loro
famiglia si manifesta qualsiasi tipo di comportamento che denota maschilismo e violenza,
anche solo psicologica. L’importante è reagire e sfruttare tale esempio negativo per
ripetersi con molta forza, come un urlo muto, dentro di sé: “io non farò mai una cosa del
genere a chi mi starà accanto”, perché ci si rende conto della sofferenza che la donna vive,
e tutto ciò viene fatto nei confronti della persona, che nella maggior parte dei casi, come
dimostrato dalle statistiche, è la persona che si dice di amare. Ma tali atteggiamenti
dimostrano molte cose, tranne amore.
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CAPITOLO I
LE ORIGINI DEL FEMMINICIDIO
I.1. Cosa si intende per violenza di genere
Siamo soliti usare il verbo “amare” per riferirci a tante relazioni diverse. Il nome
dell’amore e i sentimenti ad essa connessi dovrebbero cambiare a seconda del tipo di
relazione, o meglio della sua forma e del suo contenuto. Nel linguaggio comune non
abbiamo un lessico specifico che identifichi le diverse relazioni come forme differenziate
di amore, mentre le sfumature sono molteplici.
Affrontando il tema della violenza di genere appare evidente come il temine “amore”
venga spesso usato impropriamente perché diventa, involontariamente, anche contenitore
di sentimenti come rabbia e paura 1.
Per capire cosa si intenda per violenza sulle donne partiamo dalla spiegazione data da
Ventimiglia (2002) 2, che la definisce “una violenza da iscrivere nella relazione tra due generi
in cui uno ricorre a modalità violente di esercitare il proprio ruolo all’interno di quel
rapporto e le cui ragioni sono molteplici [...] 3”.
Per violenza di genere ci riferiamo, dunque, all’insieme delle violenze esercitate sulle
donne, in tutte le fasi della loro vita, in qualunque contesto, pubblico o privato, operate
per mano di uomini.
La violenza del partner o ex partner, seppur denominata in modi diversi, è la forma
di violenza di genere più diffusa in ogni tipo di società o cultura perché “è la casa e non
la strada dove le donne corrono maggior rischi di essere picchiate, violentate e uccise 4”.
Questo fenomeno è legato alla disparità di potere e di conflitto tra i sessi, per cui
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In La ventisettesima ora (a cura di) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è amore. Venti storie raccontano
la violenza domestica sulle donne, Marsilio Editore, Venezia, 2013, viene evidenziato come una donna che
ama accetti e si sacrifichi per un bene che ritiene più grande della sua stessa dignità e dei suoi diritti.
“Sei tu che sbagli, ti dice e ti dici, e alla fine cedi, abbozzi, forse gli dai anche ragione, perché sei
confusa, perché ti domandi se non è forse vero che sei tu sbagliata o per mantenere una parvenza di
quiete”, op. cit., p. 174.
VENTIMIGLIA C., La fiducia tradita. Storie dette e raccontate da partner violenti, Franco Angeli, Milano, 2002.
VENTIMIGLIA C., op. cit., p. 17.
GIUSTI G., REGAZZONI S., Mi fai male, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 2010, p. 15. Il fatto che sia
proprio la casa il luogo in cui la donna è più a rischio è dovuto anche a una concezione tradizionalista
dell’uomo in cui la donna continua a essere considerata come una proprietà personale del partner che
non accetta il suo diverso punto di vista o il tentativo di costruire un progetto di vita alternativo.
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queste forme oppressive diventano l’unica e l’ultima modalità di comportamento che
l’uomo ha di rapportarsi a una donna al fine di ribadire e mantenere i rapporti
gerarchici 5. Questa forma di violenza non è un classico “conflitto di coppia”, perché in
qualsiasi conflitto si ha una libera esposizione dei propri pensieri, entrambi i partners sono
disposti a negoziare un compromesso e soprattutto si manifesta una sorta di empatia
verso i sentimenti dell’altro. Questo vuole significare quanto sia importante distinguere
tra violenza e conflittualità perché “i conflitti possono essere simmetrici mentre la
violenza è sempre imposizione, o volontà di imposizione del dominio di un partner
sull’altro 6”.
La violenza contro il partner comprende una serie di comportamenti 7 tra cui:
- atti di aggressione fisica: schiaffi, pugni, calci e percosse;
- abuso psicologico: intimidazione, svalutazione e umiliazione;
- rapporti sessuali forzati;
- atteggiamenti di controllo come l’isolamento di una persona dalla sua famiglia
d’origine e dalle amicizie 8;
- limitazione anche delle possibilità della donna di chiedere aiuto e assistenza 9.
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In CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con
uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 48, si afferma chiaramente come
la violenza sia un tentativo di “supremazia” volto ad esercitare un controllo sulle donne. E ancora, si
ribadisce che la “violenza è una forma di abuso e di potere, ed una delle caratteristiche principali è che
è diretta verso il basso nella gerarchia del potere”.
ROMITO P., MELATO M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo,
Carocci Faber, Roma, 2013, p. 145.
Quest’analisi della dimensione del fenomeno è ripresa da “Violenza e salute nel mondo. Rapporto
dell’organizzazione della sanità” del 2002.
Questo punto appare molto esplicitamente nel testo di Iacona R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere
Editore, Milano, 2013, dove la maggior parte delle donne uccise dal partner o dall’ex partner erano
ormai isolate completamente da qualsiasi relazione sociale, addirittura l’uomo costringeva la donna a
licenziarsi dal lavoro. Citando direttamente il testo “lui le ha fatto in poco tempo terra bruciata attorno,
l’ha costretta ad abbandonare il lavoro e l’ha chiusa in casa. È un percorso tipico di questi uomini[…] ti
isolano dalle amicizie, dalla famiglia, così è più facile cominciare a colpirti” da Iacona R., op. cit., p. 41.
Un altro passo importante di questo testo che sottolinea l’isolamento di cui sono vittime molte donne
è quando viene trattata la storia di Vanessa Scialfa, uccisa dal convivente all’età di soli vent’anni:
“Francesco, ottenuto il risultato di aver conquistato Vanessa, subito le fa perdere il posto di lavoro. È
un passaggio importante della storia perché, con la perdita del lavoro Vanessa esce di scena e nessuno
la vede più. Cominciano così gli ultimi novanta giorni di questa giovane donna, tutti i giorni di
prigionia”, Iacona R., op. cit., p. 24. Questo tema viene trattato anche in ROMITO P., MELATO M. (a
cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Carocci Faber, Roma, 2013, p.
143, in una delle tante storie di donne maltrattate: “[…] ha istallato tante di quelle beghe che i miei
parenti poi non mi hanno più parlato, ed era quello che lui voleva, che nessuno mi parlasse. E infatti
sono rimasta completamente isolata. Non sopportava che frequentassi le mie amiche, non sopportava
che avessi dei colleghi, infatti mi voleva far perdere il lavoro”.
Nelle donne che subiscono violenze il livello di isolamento è talmente alto da impedire loro qualsiasi
rapporto con il mondo esterno, perfino dalla famiglia.
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Per individuare in maniera diretta il contesto della violenza, connotato, più che
dal luogo fisico delle mura domestiche, dalla specificità della relazione tra autore e vittima
facciamo riferimento alla “violenza maschile contro le donne nelle relazioni di
intimità 10” che racchiude tutte quelle violenze che avvengono per mano di partner o ex
partner all’interno di una relazione amorosa o sessuale, a prescindere dal livello di
intimità o dalla presenza di un’eventuale convivenza. Le violenze che avvengono in
questo contesto di intimità si distinguono in due forme: “intimate terrorism” e
“situational couple violence 11”.
La prima è caratterizzata dall’esercizio di potere e di controllo dal partner maschile
su quello di sesso femminile; vi rientrano violenze psicologica, economica (entrambe
tese a sminuire la vittima della violenza) e fisica (spesso con episodi di pugni e schiaffi).
La seconda si distingue per la presenza di comportamenti violenti, spesso ripetuti
nel tempo, che si propongono come modalità di risoluzione dei conflitti di coppia, ma
al di fuori di un esercizio generalizzato di potere e di controllo.
Fra le due forme di violenza si ritiene che la massima gravità e rilevanza l’abbia la
prima forma di violenza domestica o “intimate terrorism”. Creazzo e Bianchi (2009)
considerano l’ipotesi 12 che “ogni violenza che si verifica in una coppia è sempre un caso
di intimate terrorism, in modo da evitare il rischio di sottovalutare o minimizzare le
situazioni di violenza che si incontrano […] 13”.
Le violenze che si perpetrano in una relazione di intimità possono dunque
manifestarsi con modalità diverse, modi che spesso coesistono e tendono a ripetersi nel
tempo, ma a volte si presentano isolatamente. Dunque possiamo concludere che la
violenza di genere è un fenomeno che intende “la violenza nei confronti di una donna
per il fatto che è donna o che colpisce in maniera sproporzionata solo il sesso
femminile 14”.
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14
CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini
che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, 2009, Roma, p. 17.
CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit., p. 18, Le due Autrici spostano la distinzione tra le due forme di
violenze sostenuta dallo studioso americano Michael JOHNSON in Patriarchal terrorism and Common
Couple Violence: Two Forms of Violence Against Women, in JOURNAL OF MARRIAGE AND FAMILY, 1995,
pp. 283-94.
Secondo quanto sostenuto anche dallo studioso americano Michael JOHNSON in Patriarchal terrorism and
Common Couple Violence: Two Forms of Violence Against Women, in JOURNAL OF MARRIAGE AND FAMILY, 1995.
CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini
che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 18.
GIUSTI G., REGAZZONI S., Mi fai male, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 2010, p. 17-18.
- 15 -
I.2. La causa più diffusa della violenza di genere: la gelosia
I sentimenti che sembrano essere predominanti in un rapporto di coppia: gelosia e amore.
La gelosia viene spesso considerata come un’ emozione “negativa”, ma in realtà è
un sentimento che gli uomini hanno sempre sperimentato e che può diventare
patologico solo se portato all’eccesso, ovvero quando si trasforma in possesso e uso
dell’altro. In una coppia la gelosia può essere considerata un sentimento naturale che fa
sentire il partner importante e quindi, in quanto tale, un elemento apparentemente “utile”
per una buona relazione. Più che di gelosia “sana” è opportuno parlare di fiducia e di
reciprocità che, con il passare del tempo, rappresentano le basi di un rapporto duraturo.
Si è gelosi quando si ha paura di perdere qualcuno che per noi ha molto valore, o
meglio quando si teme di non essere capaci di tenere legato a sé “l’oggetto” del proprio
amore 15. Molto spesso la non gelosia è associata al non interesse o comunque a un
rapporto non autentico perché si è indotti a pensare che la condizione di amore sia
possibile solo in presenza del fenomeno del possesso. La gelosia trova campo fertile in
un soggetto con una scarsa autostima, insicuro, che ritiene di non essere all’altezza
dell’altro e di non essere degno di essere amato. Questa insicurezza si manifesta in modo
eclatante nel bisogno di possesso del corpo femminile, confondendolo con amore. In
quest’ottica, colui che soffre di livelli di ansia molto alti non vuole il bene dell’altro, ma lo
vuole solo possedere per garantire a se stesso una certa sicurezza. La gratuità del dono,
così come la intendeva Boltanski (2005) 16, qua non esiste in quanto ogni azione compiuta
dal geloso ha un interesse affettivo.
15
16
Citando direttamente La ventisettesima ora (a cura di ) G. PEZZUOLI - E PRONZATO L., Questo non è amore.
Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne, Marsilio Editore, Venezia, 2013, p. 134: “La maggior
libertà femminile genera più violenza estrema, più femminicidi, perché la violenza minore le donne
hanno imparato a contrastarla. Il problema, oggi, è l’incapacità maschile di adeguarsi, relazionarsi a
questa maggior libertà delle donne”. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, l’ira maschile scatta
nel momento in cui la donna accenna a un gesto di indipendenza o di libertà, tale atto è percepito
dall’uomo come una perdita di dominio sul corpo femminile.
BOLTANSKI prende le distanze dalle varie teorie in cui è previsto il principio della reciprocità e quindi il
contro-dono (ricordiamo Marcel Mauss e Pierre Bordieu) rivelando, in primis, la contraddizione
inerente all’idea dello “scambio del dono” (in quanto, se si ipotizza la gratuità del gesto non si può
parlare di scambio, se si insiste sullo scambio si perde il carattere gratuito del dono). L’Autore qualifica
lo stato di agape a partire proprio dalla gratuità del dono come tratto fondamentale: la persona in stato
di agape non mette in relazione ciò che ha donato con ciò che riceve in quanto, in tale contesto, il
dono è inatteso e il contro-dono ignorato. Ovviamente quello che elabora Boltanski è un modo di
vivere che in pratica risulta inattuabile, perché tale regime non potrebbe essere retto da un sistema
economico. L’unico sistema ipotizzabile è una continua oscillazione, nonché una fluidità, fra un regime
di agape e un regine di giustizia.
- 16 -
L’uomo affetto da gelosia “patologica” è spesso permaloso, manipolatore, si nutre
dell’altrui senso di colpa e sviluppa spesso il sentimento di invidia perché, non stimandosi,
vive il successo degli altri come una sconfitta personale che aggrava ulteriormente il suo
stato 17. L’idea del “terzo” nella gelosia sembra necessario e spesso quando nella realtà
nulla sottolinea tale presenza, il geloso sente il bisogno di immaginarselo 18.
La persona diventa tormentata da pensieri ossessivi sul tradimento 19 e dal dubbio
sull’infedeltà del partner, che non riesce a mettere a tacere. Nella mente malata dell’uomo
secondo cui “tu sei mia e basta e di nessun altro e quindi non ti deve toccare nessuno, devi
stare solo con me, sei mia stop 20”, il tradimento assume forme così reali da, in un primo
momento, immaginarsi una relazione inesistente a partire da un semplice saluto scambiato
con un amico e, in un secondo tempo, da sostituire all’amore gli schiaffi e le urla.
17
18
19
20
Come abbiamo avuto già modo di affermare nel primo capitolo, tali uomini sono vittime loro stessi di
un malessere e, dunque, necessitano di un aiuto. In La ventisettesima ora (a cura di) PEZZUOLI G. e
PRONZATO L., Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne, Marsilio Editore,
Venezia, 2013, nella parte trattata da Francesca Garbarino (avvocato e criminologa tra i soci fondatori
del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione che si occupa di autori di reato, in particolare
di maltrattamenti intrafamiliare) si afferma a chiare lettere la necessità di un trattamento specifico per
gli uomini violenti: “un uomo che ha maltrattato per anni la sua compagna, che è stato denunciato, che
è andato in galera ma non segue nessun tipo di trattamento, può rimettere in atto in atto in futuro le
stesse modalità di rapporto con le donne. Anche con la stessa donna, purtroppo. La detenzione, da
sola, non basta”. Molti di questi uomini maltrattanti “non sono in grado di gestire un’emozione
negativa; se si trovano in una situazione stressante, invece che gestirla passano alla violenza. Non
dialogano, picchiano. Non pensano, fanno.
Tutto ciò che è negativo, che li contraria, li fa «passare all’atto». Lo scopo di cui parla Francesca
Garbarino è “quello di aiutarli a riconoscere i momenti critici e imparare a gestirli”. In CREAZZO G.,
BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini che usano
violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, si mette in evidenza come il lavoro con uomini
maltrattanti si è diffusa, in Italia, solo in tempi recenti perché la maggior parte delle strategie e delle
politiche d’intervento erano rivolte alle donne e ai bambini che avevano subito violenze. Vengono in
oltre evidenziati una serie di approcci teorici usati dai Centri di ascolto per uomini maltrattanti, tra i
quali ricordiamo: l’approccio psicodinamico o intrapsichico; cognitivo comportamentale (importante
perché mira alla necessità di modificare le “distorsioni cognitive” tra le quali quella secondo cui l’uomo
ritiene legittimo picchiare la donna perché, ad esempio, il pranzo non era pronto); interazionista
sistemico; pro-femminista (si fonda sulla necessità di trasmettere, all’uomo maltrattante, l’idea che la
violenza di genere è da considerarsi come un fenomeno sociale che ha le sue radici nelle disparità di
potere tra uomo e donna).
“Nella sua testa fissata tutte le sue donne lo tradivano, secondo lui. Magari si attaccava alle piccolezza,
uno sguardo, una stretta di mano, e ci costruiva sopra un film. Immaginava la scena, la gridava a voce
alta”, tratto da IACONA R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere Editore, Milano, 2013, p. 31.
“L’unica nota stonata era la gelosia. Lui era talmente geloso che su questo si litigava sempre. Era
sempre lì con quel pallino in testa che io secondo lui l’avrei tradito, era proprio una sua ossessione”,
tratto da IACONA R., op. cit., p. 28.
IACONA R., op. cit., p. 30. Questa idea del possesso è forte anche nelle parole usate poco dopo: “Io
non potevo neanche salutare un amico, non potevo abbracciarlo che lui ne faceva una tragedia, era
capace anche di litigare facendomi fare una figura bruttissima, come è successo quando ho incontrato
un amico di scuola che non vedevo da anni. L’avevo semplicemente abbracciato come si fa tra ragazzi
e lui subito gli è andato addosso dicendogli «Tu non la devi neanche salutare quando la vedi»”.
- 17 -
Nella storia di Vanessa Scialfa 21, uccisa dal convivente a venti anni e gettata dal
cavalcavia tra Enna e Caltanissetta, il livello di gelosia ha raggiunto livelli così alti da
spingere il partner ad ucciderla perché l’aveva chiamato con il nome dell’ suo ex. Si
tratta, a parere del compagno violento, di un vero delitto d’onore dove “la dignità
maschile” viene tradita dalle parole usate dalla donna esasperata.
La gelosia a cui sono riconducibili comportamenti aggressivi potrebbe essere legata
allo squilibro di una speciale area del cervello. Questo è il risultato di uno studio 22
condotto da alcuni ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
dell’Università di Pisa, che hanno ricondotto la gelosia a questione di ormone: la scarsa
quantità di serotonina 23 scatenerebbe nell’individuo una tempesta biochimica così forte
da compromettere l’umore e la stabilità emotiva anche in relazione a un rapporto di
coppia. Secondo questo team la “sindrome di Otello” avrebbe origini neuronali 24.
Dunque, se dal punto di vista medico, la gelosia può essere ricondotta a una “tempesta
ormonale”, essa rimane pur sempre la punta di un iceberg di insicurezza, fragilità che si
manifesta nelle relazioni affettive. La gelosia si presenta, perciò, come un sentimento che
investe chiunque e in qualsiasi contesto storico, poiché il possesso sul corpo femminile non
ha età e nemmeno differenze culturali. Il riferimento va ai recenti casi trattati da Iacona
(2013) e a quello, ancor più eclatante, della rabbia assassina di Oscar Pistorius, il campione
paraplegico che sembra aver ucciso la fidanzata Reeva Steenkamp per gelosia e non per
errore. La gelosia è dolore, frustrazione e questo fa in modo che venga coperta con la
rabbia e la violenza. Il dramma della gelosia ha accompagnato molte tragedie familiari. Chi
soffre di una gelosia “malata” perde lo sguardo sulla realtà, e quando non si sente più al
centro del mondo della partner, usa la violenza per riportare equilibrio 25.
21
22
23
24
25
Vanessa Scialfa è una giovane donna di venti anni uccisa dal suo partner in modo molto brutale.
Questa donna è citata nel testo IACONA R., Se questi sono gli uomini, Milano, 2013, tra le tante vittime di
violenza per mano del proprio compagno.
Uno studio condotto da un team di ricercatori del Dipartimento di medicina Clinica e Sperimentale
dell’Università di Pisa, pubblicato nel 2013 sulla rivista CNS Spectrums della Cambridge University Press.
Gli autori dell’articolo “Team di ricercatori individua la causa di gelosia e stalking” sono: Donatella
MARAZZITI, Michele POLETTI, Liliana DELL’OSSO, Stefano BARONI e Ubaldo BONUCCELLI. La
Professoressa Marazziti conclude l’articolo affermando che: “la speranza è che una maggior
conoscenza dei circuiti celebrali e delle alterazioni biochimiche che sottendono i vari aspetti della
gelosia delirante, possa aiutare ad arrivare ad un’identificazione precoce dei soggetti a rischio”.
Un neurotrasmettitore che controlla fenomeni come la fame, il dolore e l’umore.
http://www.unipi.it/index.php/tutte-le-news/item/1270-gelosia-individuata-larea-delcervelloresponsabiledella-sindrome-di-otello.
“Un atto di violenza è un atto finalizzato, attraverso il dolore […] a piegare la volontà di una persona, a sottometterla
al proprio volere”, DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007.
- 18 -
La fiducia e la reciprocità sembrano aver lasciato il posto ad una spietata macchina
da guerra conosciuta sotto il nome di “Sindrome di Otello” 26. Dunque sarebbe opportuno
domandarsi quando, e quanto, amore e violenza sono compatibili. Amore e schiaffi non
rappresenta un binomio possibile, un uomo che dice di amare picchia, non umilia e
soprattutto non uccide. La macchina da guerra che oggi uccide il maggior numero di
donne e/o le violenta è proprio lui, il compagno, il coniuge, il convivente o l’ex partner,
colui con cui la donna ha voluto “mettere su famiglia” e che ama “senza sapere come,
né quando né da dove, […] senza problemi né orgoglio” 27.
I.3. L’origine del termine femminicidio
Come dimostrano le attenzioni rivolte dai Mass Media riguardo a tale tematica,
la violenza contro le donne è un fenomeno che ha assunto negli ultimi decenni una
visibilità crescente, suscitando una progressiva attenzione fino a diventare una priorità di
azione sia a livello internazionale che nell’ambito delle agende dei governi locali. La
violenza contro il genere femminile ha radicate origini nella storica concezione di
disuguaglianza fra donne e uomini e il fenomeno è aggravato da un forte silenzio sociale.
26
27
Otello è una tragedia di Shakespeare scritta intorno al 1603. Nell’atto V Otello, detto “Il Moro”, uccide
per gelosia la sua amata Desdemona.
Pablo Neruda, T’amo senza sapere come… La cronaca ci racconta ogni giorno di madri, mogli o figlie alla
quale viene tolta la vita per aver compiuto delle azioni giudicate “imperdonabili”, come lasciare un
partner e aver messo in cattiva luce il nome di una famiglia in vista. Molti sono gli appelli, le iniziative e le
organizzazioni che si occupano di far conoscere una piaga sociale silenziosa eppure così estesa.
Il termine “femminicidio” fu coniato per la prima volta da Diane RUSSELL mentre il concetto fu
sviluppato da Marcela LAGARDE, studiosa femminista del Centro America, per indicare la violenza e la
discriminazione sociale contro le donne, anche quella delle Istituzioni che, pur obbligate, non si
attivano per proteggere la loro vita.
La LAGARDE definisce il femminicidio “un problema strutturale” che va aldilà degli omicidi delle
donne, riguardando tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che hanno la forza brutale di
annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente, ma anche nella “dimensione
psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica”.
Questa espressione nacque in relazione ai fatti di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati
Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 sono state stuprate,
torturate e poi uccise. Ciudad Juarez, come pure Chihuahua, sono territori in cui le donne si recano per
lavorare in fabbrica perché, pur se in crisi, le maquilas (grandi aree industriali a capitale internazionale)
ancora impiegano oltre 300mila persone, in maggioranza giovani donne tra i quindici e i venticinque
anni, che lavorano in condizioni di sfruttamento a linee di assemblaggio aperte ventiquattro ore.
Molte di loro sono state uccise in luoghi diversi da quello in cui è stato rinvenuto il loro cadavere, ma
ciò prima del 2001. Da allora, infatti, l’attivismo femminile anche grazie alle ONG, alle commissioni
per i diritti umani e alle reti associative è riuscito a obbligare le autorità messicane ad ammettere
l’esistenza stessa della questione.
- 19 -
Vittime di compagni gelosi, le donne sono sempre più spesso al centro della
cronaca per storie di violenza fisica e sessuale, omicidio, persecuzione e stalking.
Nessuno può negare che, a livello sociale, si è assistito negli ultimi anni ad un
incremento dei casi di violenza nei confronti del gentil sesso, così come ci illustrano
quotidianamente tg e giornali.
Marcela Lagarde, eletta parlamentare, ha fatto costituire e ha presieduto una
commissione speciale parlamentare sul femminicidio, che per un arco temporale di dieci
anni ha rielaborato le informazioni reperite presso varie istituzioni, verificando che
l’ottantacinque per cento dei femminicidi messicani avviene in casa per mano di parenti.
È stata approvata una legge organica sul modello spagnolo ed è stata sancita
l’introduzione nei codici penali del reato di femminicidio. L’esempio delle donne
messicane ha fatto scuola, ha contagiato gli altri Stati latinoamericani, spingendo le
autorità dei diversi Paesi a moltiplicare le indagini ufficiali e non ufficiali, alzare il velo di
omertà, complicità, indifferenza sulla quotidiana strage di donne.
“Nominare” con il nome di femminicidio, e contare gli atti estremi di violenza di
genere, ha determinato l’insorgere di una consapevolezza nella società civile e nelle
Istituzioni sulla effettiva natura di questi crimini, ciò a sua volta ha reso possibile una
maggiore conoscenza del fenomeno attraverso la raccolta di dati statistici e la
predisposizione di accurate indagini socio-criminologiche.
Si è arrivati all’introduzione di nuove leggi sul reato di femminicidio in molti
codici penali: in Messico, Guatemala, Costa Rica, Venezuela, Cile, El Salvador, più
recentemente in Perù e Argentina. In Messico e Guatemala l’indicazione di inserire nella
legislazione nazionale il femminicidio come reato arrivò direttamente dall’ONU, dal
comitato per l’attuazione della CEDAW (la convenzione ONU per l’eliminazione di ogni
forma di discriminazione nei confronti delle donne).
Quando il 14 luglio 2011 il comitato CEDAW ha fatto richiesta all’Italia di fornire i
dati sui femminicidi, il Governo italiano non è stato in grado di fornire
tempestivamente questa risposta, semplicemente perché quei dati non erano mai stati
raccolti.
Anche qui grazie all’attivismo femminista, utilizzando lo stesso “metodo” delle
attiviste messicane, sono stati fatti importanti passi avanti, mettendo in chiaro che la
violenza maschile sulle donne è una violazione dei diritti umani e che spetta alle
- 20 -
Istituzioni attivarsi per prevenire il femminicidio attraverso un’azione di carattere
culturale e un’adeguata protezione delle donne che scelgono di uscire da tutte le forme di
violenza, dalla tratta alla violenza domestica. I dati esposti devono aver impressionato il
Comitato CEDAW, che, infatti, nelle Raccomandazioni all’Italia si è detto “preoccupato
per l’elevato numero di donne uccise da partner ed ex partner: un fallimento delle autorità
dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner”.
È stata la prima volta che il Comitato CEDAW ha parlato di femminicidio in
relazione a un Paese non latinoamericano e che ha riscontrato la probabile inadeguatezza
delle azioni promosse dalle autorità italiane per proteggere le donne dalla violenza.
Le osservazioni del Comitato CEDAW hanno colto un punto dolente delle
relazioni tra donne e uomini nel nostro Paese e del rapporto tra lo Stato e le sue cittadine.
I.4. Convenzione Istanbul
a. I principi generali della Convenzione: approccio integrato, diritti delle
vittime di reato.
La legge n. 77 del 27 giugno 2013, approvata con voto unanime dei due rami
del Parlamento, ha autorizzato la ratifica della Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne
e la violenza domestica 28, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011.
Ai sensi dell’articolo 75 della Convenzione la stessa è aperta alla firma degli
Stati membri del Consiglio d’Europa, degli Stati non membri che hanno
partecipato alla sua elaborazione e dell’Unione Europea, ed entrerà in vigore “il
primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dopo
la data in cui dieci firmatari, di cui almeno otto Stati membri del Consiglio
d’Europa, avranno espresso il loro consenso a essere vincolati dalla
Convenzione”.
28
Si utilizzerà qui il testo della traduzione informale in italiano, salva la necessità di citare i testi ufficiali in
inglese e francese. Quale giurisprudenza rilevante in materia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
valga il richiamo a Opuz c. Turchia (n. 33401/02) del 9 giugno 2009 e alla recente Eremia e altri c.
Moldova (n. 3564/11) del 28 maggio 2013.
- 21 -
Questo risultato non è al momento stato raggiunto. Sin da ora, tuttavia, è
valutabile il possibile impatto che l’attuazione della Convenzione potrà
(dovrà) avere nel nostro ordinamento, con particolare riguardo all’ambito penale
e processuale penale. In prima approssimazione la lettura della Convenzione
evidenzia i seguenti punti:
a) una complessiva adeguatezza del nostro diritto penale sostanziale rispetto ai
temi e agli obiettivi di repressione delle forme di violenza di genere e
domestica;
b) la necessità di raccogliere spunti processualistici con riflessi potenziali
sull’intero ordinamento;
c) la debolezza dei nostri apparati pubblici e una sostanziale “indifferenza”
normativa rispetto alla tutela delle persone offese dai reati costituenti
espressione di violenza di genere e domestica. Gli ottantuno articoli della
Convenzione, preceduti da un preambolo, sono divisi in dodici capitoli.
Di particolare interesse nell’ambito qui esaminato, risultano i capitoli: III Prevenzione; IV - Protezione e sostegno; V - Diritto sostanziale; VI - Indagini,
procedimenti penali, diritto processuale e misure protettive.
Ai sensi dell’art. 73 le norme della Convenzione non pregiudicano le disposizioni
di diritto interno in base alle quali sono riconosciuti dei diritti più favorevoli per
la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica: il
che significa che il nostro legislatore, in sede di attuazione, prima di cedere al
fascino dell’introduzione di nuove norme, magari con valore simbolico 29 dovrà
operare un’attenta ricognizione dell’esistente, valutando anche gli effetti delle
disposizioni combinate, del principio tempus regit actum e della successione di leggi
penali nel tempo.
29
In questo caso ricercando in ambito processuale la costruzione di deroghe rispetto alle previsioni di
rito comune (si veda ad esempio l’introduzione del comma 2-bis nell’art. 416 c.p.p., con l’art. 4 della L.
21 febbraio 2006, n. 102) ovvero il diritto penale sostanziale per la produzione o conferma nel corpo
sociale di giudizi di disvalore mediante l’incriminazione di condotte la cui pericolosità si vuole far
percepire in modo adeguato: con ciò, tuttavia, esponendosi al rischio di contraddire la funzione,
costituzionalmente fondata, di semplice tutela di beni giuridici primari. Sul tema: S. BONINI, Quali spazi
per una funzione simbolica del diritto penale, in Indice Penale, 2003, 2, 494 ss.; A. BARATTA, Funzioni
strumentali e funzioni simboliche del diritto penale, in STUDI IN MEMORIA DI GIOVANNI TARELLO, II,
Milano, 1989, 19ss. Si veda anche, sul recente percorso parlamentare delle nuove norme penali sul voto
di scambio, il commento di L. Ferrarella (Nuove norme sul voto di scambio. Le leggi non servono a
dare segnali) che sul Corriere della Sera del 25 luglio 2013, parla di leggi-photopportunity, cioè di
norme-manifesto fatte solo per “dare un segnale”.
- 22 -
Nell’attuazione della Convenzione si dovrà tenere conto delle premesse che
hanno indotto il Consiglio d’Europa ad affrontare la materia, nonché del
contesto culturale in cui essa si colloca.
La violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza
storicamente diseguali tra i sessi e può rivelarsi uno dei meccanismi sociali per
mezzo dei quali le donne vivono condizioni subordinate: il raggiungimento
dell’uguaglianza di genere, in fatto e in diritto, è dunque un elemento chiave per
prevenire la violenza contro le donne. L’eco dell’art. 3, secondo comma, della
Costituzione è forte, e accomuna, nei loro compiti, il legislatore, con l’esigenza di
promozione dello “sviluppo della persona umana”, e il giudice, con la ricerca
di interpretazioni in tal senso costituzionalmente orientate.
Nel perseguire i suoi obiettivi la Convenzione (art. 1.1) individua la necessità di
un “approccio integrato” tra le organizzazioni e le autorità “incaricate
dell’applicazione della legge” 30.
Sin da questa enunciazione di ordine generale si coglie la necessità, propugnata
dalla Convenzione, che una pluralità di soggetti condivida un approccio comune:
nel nostro sistema ciò si traduce nella necessità che la prevenzione e la
repressione dei reati siano condotte in termini di sensibilità e consapevolezza
condivise tra polizia giudiziaria, autorità giudiziaria inquirente, difesa penale (di
indagati, imputati, persone offese e parti civili), autorità giudiziaria giudicante 31.
Non altrimenti vanno lette le disposizioni dell’art. 7, che indicano una via di
ancor maggiore estensione di politiche nazionali “efficaci, globali e coordinate”,
che pongano “i diritti della vittima al centro di tutte le misure”, anche attraverso
una “collaborazione efficace tra tutti gli enti, le istituzioni e le organizzazioni
pertinenti” ivi comprese “le istituzioni nazionali deputate alla tutela dei diritti
umani e le organizzazioni della società civile”.
30
31
Nel testo francese indicate come “organisations et services répressifs”; nel testo inglese come
“organisations and law enforcement agencies”.
Sarebbe opportuno sfuggire alla deriva terminologica che ha obliterato il termine - tecnico ed
espressivo di un corretto orientamento al processo penale e alle sue garanzie - “polizia giudiziaria”, a
favore di quello atecnico e autoreferenziale “forze dell’ordine”. Purtroppo il D.L. 14 agosto 2013, n.
93, del quale si parlerà più oltre, ha elevato a dignità normativa questa espressione (nell’art. 3, primo
comma); una caduta terminologica sul punto è contenuta anche nella traduzione italiana della
Convenzione, in cui, all’art. 56, primo comma, lett. G si parla di “forze dell’ordine” a fronte di diverso
segnale semantico del testo ufficiale inglese (law enforcement agency) traducibile al più come “forze di
polizia”, ovvero, per il riferimento all’attuazione della legge, appunto, come “polizia giudiziaria”.
- 23 -
Il disegno della Convenzione è quello di un’inclusione effettiva delle vittime di
violenza nei confronti delle donne e di violenza domestica nei sistemi di
risposta ai loro bisogni: la sua attuazione (anche in funzione di più specifiche
norme, di cui si dirà) è occasione preziosa per superare atteggiamenti
burocratici e puramente produttivistico-statistici di forze di polizia e uffici
giudiziari
inquirenti;
per
contrastare
la
tendenza
alla
riduzione
-
nell’organizzazione degli uffici giudiziari e da parte dei magistrati giudicanti nei
singoli casi - ad “affari semplici” dei processi per condotte lesive della vita e
dell’integrità fisica o morale delle persone, anche nelle loro manifestazioni iniziali
e apparentemente meno gravi; per verificare se vi siano aree di approssimazione
e dilettantismo nelle organizzazioni del privato sociale che si candidano alla tutela
ed accoglienza delle vittime. Sotto quest’ultimo profilo va rimarcato come il
sostegno al “lavoro delle ONG pertinenti e delle associazioni della società civile
attive nella lotta alla violenza contro le donne” e la collaborazione degli
organismi pubblici con queste organizzazioni, voluto dall’art. 9
della
Convenzione, postuli un esame attento delle realtà esistenti, per vagliarne
l’idoneità; postulato rafforzato dall’esigenza (art. 8 della Convenzione) dello
stanziamento di adeguate risorse finanziarie. La Convenzione prevede che
l’attuazione delle sue disposizioni, in particolare per quanto riguarda la tutela
delle vittime, sia assicurata senza discriminazione di origine nazionale e senza
esclusioni eventualmente fondate sullo status di migrante o di rifugiato (art. 4.3);
in tal senso, anzi, le legislazioni nazionali devono garantire in maniera ampia alle
vittime il soggiorno e il non- respingimento (artt. 59-61). Il D.L. 14 agosto 2013,
n. 93, che cumula più materie eterogenee, ha introdotto norme “in materia di
sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, che in parte recepiscono
taluni orientamenti della Convenzione. L’art. 4 del D.L. 93/2013 prevede forme
di tutela per gli stranieri “vittime di violenza domestica”, estendo l’applicazione
dell’art. 18 D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 285 e dunque il rilascio di permesso di
soggiorno, mediante l’introduzione dell’art. 18-bis relativo a indagini per i reati di
cui agli articoli “572, 582, 583, 583-bis, 605, 609-bis e 612-bis del codice penale
o per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale,
commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica” dalle quali
- 24 -
risultino accertate “situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero
ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, come
conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio”. Si
intendono per violenza domestica, ai fini della norma citata “tutti gli atti, non
episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano
all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti
coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa,
indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso
la stessa residenza con la vittima” 32.
Una ragionata estensione dell’applicazione degli artt. 18 e 19 D.Lgs. 286/1998,
in sede di attuazione della Convenzione rende necessario un ripensamento,
alla luce di esperienze e prassi non sempre soddisfacenti, del rapporto tra
autorità di polizia, autorità giudiziaria, enti locali, gestori dei programmi di
assistenza e integrazione sociale; tenendo nel debito contro la previsione dell’art.
18.4 della Convenzione, a norma del quale la messa a disposizione dei servizi di
protezione “non deve essere subordinata alla volontà della vittima di intentare un
procedimento penale o di testimoniare contro ogni autore di tali reati”. Le
definizioni contenute nell’art. 3 della Convenzione 33 non sembrano creare
32
33
Considerato lo specifico oggetto di queste note e le possibili modifiche in sede di conversione, si
citeranno le norme pertinenti del D.L. 93/2013 senza commenti e rilievi critici, già da più parti sollevati
quanto a talune norme e alla stessa scelta della decretazione d’urgenza (si vedano ad esempio le
osservazioni di M. M. VIRGILIO, Decreto legge n.93/2013. Una prima lettura, in Server donne; per una
analisi dell’intero testo: L. PISTORELLI, Prima lettura del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, in questa
Rivista, il quale osserva che il D.L. “non menziona la Convenzione nel suo incipit e non costituisce
formalmente l’atto normativo finalizzato a darvi attuazione - né avrebbe potuto essere altrimenti, atteso
che la stessa non è ancora in vigore non essendo stata finora ratificata da un numero sufficiente di Stati ma non v’è dubbio che diverse delle nuove disposizioni si ispirino alle norme della Convenzione”.
“Articolo 3 – Definizioni ai fini della presente Convenzione:
a. con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti
umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza
fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura
fisica, sessuale psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o
la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
b. l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o
economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti
coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la
stessa residenza con la vittima;
c. con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti
che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;
d. l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro
- 25 -
problemi di compatibilità con la legislazione penale esistente né necessità di
interventi modificativi: in particolare le forme di “violenza economica” sono
suscettibili di trovare tutela nei vigenti artt. 570 c.p. e 12-sexies L. 898/1970; e il
concetto di “violenza domestica” della Convenzione è incluso nel campo di
applicazione degli artt. 612-bis c.p. e 572 c.p. 34
L’adeguatezza delle fonti nel nostro ordinamento si riscontra anche rispetto alle
previsioni dell’art. 4 in materia di “diritti fondamentali, uguaglianza e non
discriminazione”. La riconduzione del principio di parità tra i sessi al livello
costituzionale,
voluto
dalla
Convenzione,
corrisponde
a
quanto
già
originariamente previsto dall’art. 51, primo comma, della Costituzione e poi
ampliato
mediante l’inserimento nello stesso comma del principio di
promozione delle pari opportunità, con L. Cost. 30 maggio 2003 n. 1.
L’obiettivo di “vivere liberi dalla violenza” 35 pure ritenuto fondamentale dalla
Convenzione, è coessenziale a una lettura progredita dell’art. 2 della
Costituzione, che, nel garantire i diritti inviolabili dell’uomo, non può che
ricomprendere tra essi il diritto alla conservazione dell’integrità psicofisica della
propria persona di fronte ad attacchi ingiustificati: questo concetto si
arricchisce laddove si consideri che lo stesso “senso di sicurezza” è parte
dell’integrità psichica della persona 36.
b. Percorsi giudiziari, prevenzione, protezione e sostegno
L’art. 12, che apre il capitolo dedicato alla “Prevenzione” pone alcuni obblighi
generali che apparentemente esulano dal campo del diritto penale e processuale
penale.
34
35
36
una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato;
e. per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai
precedenti commi a e b;
f con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di diciotto anni.”
Con Legge 1° ottobre 2012, n. 172, è stata ratificata la Convenzione del Consiglio d’Europa di
Lanzarote del 25 ottobre 2007 (entrata in vigore il 1° luglio 2010) per la protezione dei minori contro lo
sfruttamento e l’abuso sessuale e sono state introdotte norme di adeguamento dell’ordinamento
interno al fine di recepirne i contenuti; G. PAVICH, Luci e ombre nel “nuovo volto” del delitto di maltrattamenti.
“Live free from violence”; “Vivre à l’abri de la violence”.
Sul punto, anche in relazione ai doveri di solidarietà politica e sociale, si rinvia a: G. BATTARINO,
Prevenzione generale dei delitti contro la persona e rappresentazione attuale di giustizia e sicurezza, in RASSEGNA
ITALIANA DI CRIMINOLOGIA, 2012, 1.
- 26 -
Tuttavia, se si deve considerare la più ampia portata dell’attuazione della
Convenzione nell’ordinamento nazionale, è possibile valorizzare l’impegno ad
adottare “le misure legislative e di altro tipo necessarie per impedire ogni forma
di violenza” per ripensare, direttamente in sede applicativa, ovvero con interventi
“manutentivi” anche ridotti, il sottosistema osmotico tra funzioni di polizia di
sicurezza e di polizia giudiziaria costituito dagli artt. 55 c.p.p., 1 R.D. 18 giugno
1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), 5-6 R.D. 6 maggio
1940, n. 635 (Regolamento T.u.l.p.s.); per introdurre una definizione normativa
di “persona in stato di particolare vulnerabilità” i cui bisogni specifici devono
essere presi in significativa considerazione; per “incoraggiare tutti i membri della
società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente
alla prevenzione di ogni forma di violenza” orientando esplicitamente anche a
questa esigenza l’istituto del lavoro di pubblica utilità come descritto dall’art. 54,
secondo comma, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
I “programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli
ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di
prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti” e i
“programmi di trattamento per prevenire la recidiva”, previsti dall’art. 16 della
Convenzione, potrebbero essere fatti rientrare - con norme latu sensu premiali - nel
campo di applicazione dell’art. 165 c.p.: subordinando la sospensione
condizionale della pena a una “eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose del reato” intesa in senso ampio, modificativo di modelli di
comportamento (si veda anche l’art. 12.1 della Convenzione); possibilmente con
una considerazione più attenta, nella prassi giudiziaria, del dettato dell’art. 165,
secondo comma, c.p. come modificato dalla L. 11 giugno 2004, n. 145.
Contrariamente a quanto indicato nell’art. 16.3, della Convenzione, nel nostro
ordinamento, “la sicurezza, il supporto e i diritti umani delle vittime” non sono
una priorità, né esistono “servizi specializzati di sostegno alle vittime”. È questo
uno dei campi che richiederà adeguato sforzo d’immaginazione da parte del
legislatore. Il disegno della Convenzione che, a partire dalla norma citata si
sviluppa nell’intero Capitolo IV (Protezione e sostegno), considera unitariamente
i percorsi giudiziari, quelli di prevenzione e quelli di protezione.
- 27 -
Gli obblighi che la Convenzione introduce per gli Stati aderenti a tal fine sono
suscettibili di adempimento mediante “misure legislative” “o misure di altro
tipo” 37.
In un contesto complessivamente definibile come “protezione”, esse sono
schematizzabili in: informazione, supporto generale e supporto specializzato, a favore delle
vittime (intese, ai sensi dell’art. 3, come persone fisiche che subiscono atti di
violenza di genere o di violenza domestica), con particolare attenzione a diritti e
bisogni dei bambini testimoni di queste forme di violenza (art. 26).
L’informazione è il presupposto per poter fruire della protezione: dunque le
vittime devono poter ottenere “un’informazione adeguata e tempestiva sui
servizi di sostegno e le misure legali disponibili in una lingua che
comprendono” (art. 19), ivi comprese le informazioni “sui meccanismi regionali
e internazionali disponibili per le denunce individuali o collettive” (art. 21).
Rientra nel concetto di informazione anche quella finalizzata a incoraggiare la
segnalazione alle autorità competenti, da parte di testimoni, anche se legati al
segreto professionale, di atti di violenza, già verificatisi o temuti (artt. 27, 28).
L’equilibrio disegnato dagli artt. 200 ss. c.p.p. potrebbe essere posto in
discussione: non è facile pensare una rimodulazione della deroga attualmente
prevista nell’art. 204 c.p.p. per i soli reati diretti all’eversione dell’ordinamento
costituzionale, tuttavia un allargamento è stato già operato in passato, dalla L. 5
giugno 1989, n. 219 (per le ipotesi di alto tradimento e attentato alla
Costituzione da parte del Presidente della Repubblica) e dalla L. 29 ottobre 1997,
n. 374 sulla messa al bando delle mine antipersona.
Precedenti espressivi di una possibile scelta di nuovo bilanciamento d’interessi da
parte del legislatore. Nel supporto generale (art. 20) rientrano servizi di
consulenza legale, sostegno psicologico, assistenza finanziaria, offerta di alloggio,
istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di lavoro, accesso ai servizi
sanitari e sociali. Nei supporti specializzati 38 (art. 21-26) rientrano: case-rifugio
adeguate, facilmente accessibili e in numero sufficiente per offrire un alloggio
sicuro alle vittime, in particolare le donne e i loro bambini, e per aiutarle in
37
38
“The necessary legislative or other measures”; “Les mesures législatives ou autres nécessaires”.
“Short- and long-term specialist support services”; “services de soutien spécialisés immédiats, à court
et à long terme”.
- 28 -
modo proattivo; linee telefoniche gratuite di assistenza con copertura temporale
continua; centri di prima assistenza adeguati, facilmente accessibili e in numero
sufficiente, per le vittime di violenze sessuali, che possano offrire una visita
medica, una consulenza medico-legale, un supporto per superare il trauma. Si
mostra in tutta la sua evidenza la necessità di un coordinamento quadripolare tra
polizia giudiziaria, autorità giudiziarie, servizi pubblici, privato sociale.
Al percorso repressivo e giudiziario che ha origine con la notizia di reato se ne
deve affiancare uno “di protezione” del quale operatori di polizia giudiziaria e
magistrati percepiscano come doverosa l’attivazione. A ciò deve corrispondere
l’effettiva e costante disponibilità di strutture di accoglienza.
Il parallelismo tra i due percorsi (quello giudiziario e quello di protezione), che
non può rimanere affidato alla [buona] volontà degli operatori, potrebbe essere
reso effettivo introducendo nel sistema processuale penale forme tipiche di
misure cautelari a favore della persona offesa da adottare secondo lo schema
cautelare personale (richiesta del pubblico ministero – provvedimento del
giudice) ovvero secondo una schema d’urgenza modellato sul cautelare reale
(provvedimento della polizia giudiziaria – convalida giurisdizionale).
Sotto altro profilo emerge l’insufficienza pratica dell’esistente quanto a mezzi di
tutela legale delle vittime, ora affidata al dispendioso e non immediato sistema
del patrocinio a spese dello Stato 39 (cui comunque è riferibile il rinvio dell’art.
57 della Convenzione) e della difesa di ufficio: l’attuazione della Convenzione
potrebbe costituire occasione per proporre forme di ufficio pubblico di difesa
non conflittuali con le esigenze della libera professione forense. L’art. 2,
secondo comma, D.L. 93/2013 estende a favore delle persone offese dai delitti di
cui agli artt. 572, 583-bis, 612-bis c.p. la previsione di patrocinio a spese dello Stato
anche in deroga ai limiti di reddito, di cui all’art. 76, comma 4-ter d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115.
Il sostegno alle vittime non può tuttavia essere di sola natura economica: va qui
richiamato l’art. 55, secondo comma, della Convenzione, ai sensi del quale deve
essere garantito alle vittime, su loro richiesta, il sostegno - in fase di indagine e
processuale - di organizzazioni governative, non governative e di consulenti
39
In particolare: art. 74, primo comma, art. 76, comma 4-ter DPR 30 maggio 2002, n. 115.
- 29 -
specializzati: tenuto conto della distinzione tra materiale presenza nelle aule di
giustizia di soggetti diversi dalle parti processuali - per le quali è ipotizzabile un
adattamento interpretativo delle norme vigenti - e costituzione come parte civile
nel processo di enti esponenziali, saranno questi ultimi a dover essere legittimati in
sede di attuazione della Convenzione.
c. Diritto penale sostanziale
Il Capitolo V, dedicato agli interventi di diritto sostanziale, prevede, per gli
Stati aderenti, specifici obblighi di penalizzazione 40 di comportamenti rientranti
nel campo di applicazione della Convenzione.
L’analisi degli articoli 34-41 consente di concludere che in questo settore il nostro
diritto penale sostanziale non necessita di interventi di adeguamento. Le ipotesi
ivi considerate sono coperte dalle fattispecie di cui agli artt. 612-bisc.p. (art. 34
della Convenzione: atti persecutori), dall’intero Capo I del Titolo XII, Libro II
del Codice Penale (art. 35: violenza fisica), dagli artt. 609-bis – 609-decies c.p.
(art. 36: violenza sessuale), dall’art. 660 c.p. (art. 40: molestie sessuali laddove
si tratti di condotte non integranti il più grave reato di cui all’art. 609-bis c.p. 41).
Qualche dubbio può sorgere circa la copertura da parte del diritto interno
vigente dell’ipotesi di cui all’art. 33, che richiede la penalizzazione di “un
comportamento intenzionale mirante a compromettere seriamente l’integrità
psicologica di una persona con la coercizione o le minacce”. La formulazione
della norma convenzionale rinvia peraltro a un’ipotesi di dolo specifico e a
possibili reati di evento, a fronte dell’esistenza nel nostro ordinamento di un
sistema di delitti contro la persona che corrisponde all’esigenza fatta propria
dalla Convenzione con una pluralità di fattispecie di reato anche a dolo generico e
anche di pura condotta. Manca invece ad oggi nel sistema penale una norma
incriminatrice specificamente finalizzata ad evitare i matrimoni forzati, come
esige l’art. 37 della Convenzione.
Il matrimonio forzato è inteso come ”l’atto intenzionale di costringere un adulto
40
41
“[conduct] is criminalised”; “ériger en infraction pénale”.
Cass., III, n. 45957 del 26 ottobre - 19 dicembre 2005; Cass., III, n. 27042 del 12 maggio - 13 luglio
2010.
- 30 -
o un bambino a
contrarre matrimonio”, nonché “il fatto di attirare
intenzionalmente con l’inganno un adulto o un bambino sul territorio di una
Parte o di uno Stato diverso da quello in cui risiede, allo scopo di costringerlo a
contrarre matrimonio”.
Nell’ordinamento penale vigente il tema del matrimonio forzato costringe
l’interprete alla navigazione tra più fattispecie incriminatrici: l’art. 558 c.p.
(induzione al matrimonio mediante inganno); l’art. 573 c.p. (sottrazione
consensuale di minorenni), che peraltro prevede un’anacronistica attenuante
laddove il fatto sia stato commesso “per fine di matrimonio”; l’art. 574 c.p.
(sottrazione di persone incapaci); entrambi i reati possono concorrere con il
più grave reato di sequestro di persona 42; l’art. 574-bis c.p. (sottrazione e
trattenimento di minore all’estero); l’art. 610 c.p.(violenza privata) che tuttavia
disegna una fattispecie sussidiaria a debole tassatività.
Salvo il citato art. 574-bis c.p., si tratta di norme nate in un contesto nazionale
meno evoluto, orientato all’esito del “matrimonio riparatore”, che oggi invece si
misurano con la necessità di contrasto a pratiche di matrimonio forzato in
ambiti multietnici 43.
L’art. 38 della Convenzione chiede la penalizzazione delle pratiche di mutilazione
genitale femminile, affidata in Italia all’art. 583-bis c.p. 44, che tuttavia copre
ipotesi di condotta attiva e non quelle, pure previste dalla Convenzione, di
mera induzione o fornitura di mezzi per tali pratiche. L’aborto forzato inteso dall’art. 39 della Convenzione come quello praticato senza il preliminare
consenso informato della donna - è penalmente sanzionato dall’art. 18 L. 22
maggio 1978 n. 194; la sterilizzazione forzata è contemplata tra le lesioni
personali gravissime, ai sensi dell’art. 583, secondo comma, n. 3 c.p.
L’ampiezza della tutela penale sostanziale prevista nel nostro ordinamento
rispetto alle ipotesi di cui agli artt. 35, 36, 37, 38 e 39 della Convenzione non
coincide però con l’esigenza - introdotta dall’art. 55, primo comma della
Convenzione - che la punizione di tali condotte non dipenda interamente da
42
43
44
La L. 15 febbraio 1996 n. 66, nel ridisegnare le norme sulla violenza sessuale, mutandone la
collocazione sistematica, ha abrogato il reato di “ratto a fine di matrimonio”.
A. MICOLI, D. MONTI, La tutela penale della vittima minore. Aspetti sostanziali e processuali, Milano, 2010, pp. 238 ss.
Introdotto dall’art. 6, L. 9 gennaio 2006, n. 7.
- 31 -
iniziativa di parte (dunque da querela) e che il procedimento possa continuare
anche se la vittima dovesse “ritrattare l’accusa” (il problema è probatorio e non
influisce di per sé sulla prosecuzione del procedimento) o “ritirare la denuncia”.
Il tema, nelle forme del nostro ordinamento, è quello della procedibilità
d’ufficio o a querela, ovvero della previsione di una irrevocabilità della querela
e del contemperamento di interessi che fonda la scelta del regime di
procedibilità 45.
Un’ipotesi di irrevocabilità della querela - già prevista per il delitto di
violenza sessuale dall’art. 609-septies c.p. - è stata introdotta dall’art. 1, terzo
comma, D.L. 93/2013 per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p.
Sempre in tema di procedibilità, l’art. 58 prevede che “il termine di prescrizione
per intentare un’azione penale” nelle ipotesi di cui agli artt. 36, 37, 38 e 39 della
Convenzione sia esteso in maniera tale da consentire al minore vittima di veder
perseguire il reato dopo il raggiungimento della maggiore età.
Considerato lo scopo della norma l’ambivalenza del testo convenzionale può
essere interpretata in senso ampio, con riferimento sia all’iniziativa privata di
avvio del procedimento (querela) sia all’improcedibilità sopravvenuta per
prescrizione: con ciò delineandosi istituti del tutto innovativi rispetto
all’ordinamento vigente, in cui non esiste una siffatta causa di sospensione della
prescrizione e la querela del minore è prevista e regolata negli artt. 120, 121, 125
c.p., con legittimazione speciale, ma senza termini dilatori.
L’art. 41 della Convenzione chiede la punizione delle condotte
di
favoreggiamento, complicità intenzionale e tentativo delle condotte sopra
descritte, senza alcuna previsione aggiuntiva rispetto al contenuto degli artt.
110, 56, 378-379 c.p. L’art. 42.1 della Convenzione chiede ai contraenti
l’adozione di misure intese a garantire che “la cultura, gli usi e costumi, la
religione, le tradizioni o il cosiddetto ‘onore’ non possano essere addotti come
scusa per giustificare tali atti.
45
La Corte Costituzionale si è più volte espressa nel senso che la perseguibilità di un reato a querela
risponde a criteri di politica criminale in base ai quali il legislatore - per esigenze diverse, non
necessariamente, connesse alla minor gravità degli illeciti - subordina l’interesse generale alla
persecuzione degli illeciti penali alle determinazioni delle persone offese, in relazione all’eventuale
interesse allo svolgimento dell’azione penale, riconoscendo che si tratta di scelta discrezionale,
insindacabile dal giudice costituzionale ove non sia affetta da manifesta irrazionalità (sent. 46/1970,
sent. 216/1974, sent. 7/1987).
- 32 -
Rientrano in tale ambito, in particolare, le accuse secondo le quali la vittima
avrebbe trasgredito norme o costumi culturali, religiosi, sociali o tradizionali
riguardanti un comportamento appropriato”.
Non vi sono nel nostro ordinamento ipotesi codificate di cause di giustificazione
fondate su tali elementi. Dopo l’abrogazione dell’art. 587 c.p. (omicidio e
lesione personale a causa di onore) con L. 5 agosto 1981 n. 442, e le sentenze
della Corte Costituzionale numeri 126/1968 e 147/1969, che hanno rimosso la
discriminatoria disciplina penale di adulterio e concubinato, lo spazio residuo per
il loro riconoscimento potrebbe essere quello dell’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p. ovvero dell’attenuante dei motivi
di particolare valore morale o sociale di cui all’art. 62 n. 1 c.p.
Ma da tempo remoto giurisprudenza largamente prevalente li ha esclusi l’ambito
di applicazione delle attenuanti 46. La tutela della vittima è completata sotto
questo profilo dall’art. 54 che limita in termini di stretta pertinenza e necessità
l’ammissione di prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della
vittima: la norma convenzionale vale come orientamento all’applicazione
rigorosa dell’art. 194 c.p.p.
L’istigazione del minore, di cui all’art. 42.2. della Convenzione, non esclude né
diminuisce la responsabilità dell’istigatore ma nel diritto penale vigente è valutata
con rigore in applicazione degli artt. 111 e 112 c.p.
L’art. 43 della Convenzione, adotta una formulazione ampia: “i reati previsti ai
sensi della presente Convenzione si applicano a prescindere dalla natura del
rapporto tra la vittima e l’autore del reato”; nel nostro ordinamento tali
rapporti possono costituire aggravante, non causa di giustificazione. Vi è anzi una
serie di previsioni aggravatrici, contenute negli artt. 61 n. 11, 576 n. 2, 577 n. 1,
585, 609-ter, primo comma, n. 5, 609-quater, primo comma, n. 2, 609-septies,
quarto comma, n. 2, 612-bis, secondo comma, c.p.
A fini di rafforzamento di tutela, l’art. 46 della Convenzione prevede che gli
ordinamenti nazionali inseriscano in ambito penale sostanziale una serie di
circostanze aggravatrici, così descritte:
“a: il reato è stato commesso contro l’attuale o l’ex coniuge o partner, come
46
Cass. I, n. 595, del 2 luglio – 28 dicembre 1971, già escludeva la vendetta del disonore dai valori etici
riconosciuti preminenti dalla coscienza della collettività.
- 33 -
riconosciuto dal diritto nazionale, da un membro della famiglia, dal
convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria
autorità;
b: il reato, o i reati connessi, sono stati commessi ripetutamente;
c:
il reato è stato commesso contro una persona in circostanze di particolare
vulnerabilità;
d: il reato è stato commesso su un bambino o in presenza di un bambino;
e:
il reato è stato commesso da due o più persone che hanno agito insieme;
f : il reato è stato preceduto o accompagnato da una violenza di estrema
gravità;
g: il reato è stato commesso con l’uso o con la minaccia di un’arma;
h: il reato ha provocato gravi danni fisici o psicologici alla vittima;
i:
l’autore era stato precedentemente condannato per reati di natura analoga”.
Riconosciamo in queste espressioni della Convenzione talune aggravanti già
previste nel nostro ordinamento, elementi di valutazione di cui all’art. 133 c.p.,
fattori di novità destinati a impegnare il legislatore.
Sotto quest’ultimo profilo emerge l’espressione “persona in circostanze di
particolare vulnerabilità” da leggersi come riferita al soggetto vittima e non alle
circostanze obiettive dell’azione 47.
Si tratta di una condizione che renderà necessaria una traduzione normativa che
aggiorni e specifichi la “minorata difesa” ora compendiata nell’art. 61 n. 5 c.p.
Quanto al sistema sanzionatorio la Convenzione all’art. 45 somma ipotesi che nel
nostro sistema afferiscono a istituti diversi: vi si parla, infatti, di “sanzioni
efficaci, proporzionate e dissuasive”, anche detentive, che tengano conto della
gravità dei comportamenti, e dunque pene principali; privazione della potestà
genitoriale, a tutela dei minori e delle vittime, e dunque sanzioni accessorie;
forme di “monitoraggio o […] sorveglianza della persona condannata”.
Quest’ultima ipotesi fa pensare a diverse misure cautelari extramurarie
previste nel nostro ordinamento 48; ma con il riferimento alla condanna non
47
48
L’interpretazione è resa chiara dal testo in inglese: “a person made vulnerable by particular
circumstances” e da quello in francese: “une personne rendue vulnérable du fait de circonstances
particulières”.
Quanto alla misura della custodia in carcere, contro le cicliche tentazioni di automatismi da moda
- 34 -
esclude che si possa pensare a una nuova e più specifica articolazione delle pene,
che, nel rispetto dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, sia orientata
anche alla tutela delle vittime. Potrebbe corrispondere a questi presupposti la
previsione di una limitazione degli spostamenti o degli accessi a taluni luoghi del
condannato ammesso a misure alternative alla detenzione di cui agli artt. 47 ss. L.
354/1975, eventualmente monitorato in forma telematica;
ma anche
l’inserimento di programmi specifici destinati ai liberati, con ampliamento delle
previsioni di “assistenza post-penitenziaria” di cui all’art. 46 L. 354/1975.
Di particolare significato sono i due commi dell’art. 48 della Convenzione. Nel
primo si esclude che per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di
applicazione della Convenzione possano essere previsti metodi alternativi di
risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione: un punto fermo
rispetto a queste forme di relazione formalizzata tra colpevole e vittima in quanto
“alternative” rispetto al processo penale e alle conseguenze sanzionatorie della
condotta; mentre sulla base della Convenzione non pare di dover escludere
percorsi riconciliativi paralleli al processo penale, con limitate forme di
interferenza sugli esiti di esso; è da verificare la compatibilità con la norma
convenzionale dell’art. 35 D.Lgs. 274/2000 49. Nel secondo comma si prevede
che “se viene inflitto il pagamento di una multa, sia debitamente presa in
considerazione la capacità del condannato di adempiere ai propri obblighi
finanziari nei confronti della vittima”.
La capacità economica del condannato è attualmente presa in considerazione
negli artt. 133-bis e 133-ter c.p., e negli artt. 53, secondo comma e 58,
secondo comma, L. 689/1981.
In queste norme, peraltro, si considerano l’interesse dello Stato all’effettiva
49
repressiva, va ricordata la posizione ancora di recente assunta con chiarezza dalla Corte Costituzionale
(sentenza n. 232/2013) a proposito dell’art. 275, terzo comma, c.p.p.: “la disciplina delle misure
cautelari [deve] essere […] contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze
cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare
secondo il modello della ‘pluralità graduata’, predisponendo una gamma di misure alternative,
connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall’altra, a prefigurare criteri per
scelte ‘individualizzanti’ del trattamento cautelare”; G. Leo, Illegittima, anche per la violenza sessuale di
gruppo, la regola di applicazione ‘obbligatoria’ della custodia cautelare in carcere, in questa Rivista.
Sul significato e le prospettive della mediazione in questo campo: B. MORETTI, Mediazione e reati violenti
contro la persona: nuovi confini per i paradigmi di giustizia riparativa?; e: S. SILVANI, La mediazione nei casi di
violenza domestica: profili teorici e spazi applicativi nell’ordinamento italiano; entrambe in MEDIAZIONE E
DIRITTO PENALE, a cura di G. MANNOZZI, Milano, 2004.
- 35 -
esecuzione della pena pecuniaria e la commisurazione concreta nei confronti del
condannato: mentre la Convenzione apre una nuova prospettiva, portando in
primo piano, con prevalenza sull’interesse pubblico, l’interesse della vittima del
reato.
d. Diritto processuale penale. L’inclusione delle vittime nel procedimento.
Il Capitolo VI della Convenzione è dedicato a “indagini, procedimenti penali,
diritto procedurale e misure protettive”.
Negli artt. 49 e 50 sono contenute norme programmatiche a cui corrispondono
peraltro, nel nostro ordinamento e nelle nostre prassi, almeno due punti sensibili:
si è già detto della questione generale del rispetto dei “diritti della vittima”,
mentre, quanto alla richiesta di avvio dei procedimenti penali “senza indugio
ingiustificato”, le prassi di ritardata iscrizione da parte dei pubblici ministeri - per
tattica o
per carenze organizzative - rimangono prive di sanzione
endoprocessuale, alla luce dell’attuale giurisprudenza di cassazione 50: una
regolazione più stringente della materia costituisce uno degli spunti che
l’attuazione della Convenzione può offrire. Estranea all’ambito processuale
penale è la “valutazione e gestione dei rischi” 51 in concreto, e allo stato,
declinabile nel nostro ordinamento nella materia - amministrativa - del controllo
su detenzione e porto delle armi, richiamato peraltro l’obbligo di comunicazione
(e di intervento delle autorità amministrative) previsto dall’art. 282-quater c.p.p.
in caso di applicazione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa
familiare ovvero del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla
persona offesa.
Gli artt. 52 e 53 chiedono alle parti contraenti di prevedere l’ordine “all’autore
della violenza domestica, in situazioni di pericolo immediato, di lasciare la
residenza della vittima o della persona in pericolo per un periodo di tempo
sufficiente e di vietargli l’accesso al domicilio della vittima o della persona in
pericolo o di impedirgli di avvicinarsi alla vittima” e delineano le caratteristiche
degli “ordini di ingiunzione e protezione”.
50
51
Cass. SS.UU. n. 23868 del 23 aprile - 10 giugno 2009.
“Risk assessment and risk management”: termini mutuati da tecniche di gestione aziendale.
- 36 -
La previsione può ritenersi già attuata con le misure cautelari specifiche
dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di
avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.), le
cui caratteristiche e modalità di applicazione sono conformi al dettato
convenzionale; il D.L. 93/2013 ha ampliato il novero dei reati in relazione ai
quali la misura dell’allontanamento dalla casa familiare può essere disposta in
deroga ai limiti edittali di pena fissati dall’art. 280, primo comma, c.p.p.,
aggiungendo i delitti di cui agli artt. 582 c.p. e 612, secondo comma, c.p.
Vi è tuttavia da rilevare che, ancora una volta, la Convenzione si orienta a
considerare in modo prevalente i diritti della vittima, laddove esige che le misure
cautelari siano applicate “per un periodo di tempo sufficiente”; mentre i
termini di durata massima delle misure, determinati agli artt. 303 e 308 c.p.p.
sono calibrati sul diritto alla libertà personale dell’indagato o imputato.
Anche in questo caso sarebbe controproducente l’attuazione della Convenzione
per il tramite di un regime derogatorio, di dubbia costituzionalità, costruito sulla
tipologia di reato: certamente se, come da più parti politiche si chiede, si dovrà
intervenire sull’intero impianto delle misure cautelari, non potrà mancare una
valutazione comparata dei diritti dell’autore e dei diritti della vittima.
L’intervento attuato con il D.L. 93/2013 fa emergere un ruolo della persona
offesa in fase cautelare mediante la previsione, contenuta nell’art. 2, di una
comunicazione “al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla
persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio” dei provvedimenti di
revoca o modifica, ai sensi dell’art. 299, primo e secondo comma, c.p.p., delle
misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282- ter c.p.p.; inoltre “la richiesta di
revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter deve
essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente, al difensore della
persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa a pena di
inammissibilità”.
Una misura precautelare di allontanamento è ora contenuta nell’art. 384-bis c.p.p.
introdotto dal D.L. 93/2013. Il codice civile disciplina, agli artt. 342-bis e 342ter, gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, il cui contenuto
corrisponde al dettato dell’art. 53 della Convenzione.
- 37 -
Le questioni di cumulabilità e non pregiudizio rispetto ad altri procedimenti, di
cui pure la Convenzione si occupa, non sono di per sé compromesse dalla
disciplina vigente nei due codici (civile e di procedura penale) riguardante ordini
di protezione e misure cautelari cui s’è fatto cenno.
In pratica, tuttavia, il contenuto dei provvedimenti può venirsi a sovrapporre:
l’arma preventiva dovrebbe essere l’informazione, da ottenere mediante una
valutazione complessiva e utilmente modulata da parte dell’organo giurisdizionale
incaricato della conduzione delle indagini e dell’iniziativa cautelare: l’attuazione
della Convenzione potrebbe dunque passare per l’iniziativa o comunque la
partecipazione necessaria del pubblico ministero nei procedimenti in materia, con
modifica in tal senso degli artt. 69 o 70 c.p.p. L’attuazione della Convenzione
imporrà una vera e propria rivoluzione culturale quando il legislatore dovrà
confrontare le previsioni di protezione delle vittime e dei testimoni, stabilite
dall’art. 56, con lo stato della nostra legislazione e delle nostre prassi.
Le disposizioni dell’art. 7, che impongono politiche nazionali “efficaci, globali e
coordinate” che pongano “i diritti della vittima al centro di tutte le misure”
trovano qui una declinazione univoca.
L’approccio più semplice è quello all’estensione dell’esame a distanza, prefigurato
dalla lettera I): esclusa la possibilità di allontanare l’imputato dall’aula dove si
svolge il suo processo, dovrà essere possibile alle persone offese testimoniare
“senza essere fisicamente presenti”, estendendo le ipotesi di cui agli artt. 146bis disp. att. c.p.p. e 147-bis disp. att. c.p.p.: tenendo presente che la
“distanza” potrà in questo caso risolversi nella presenza in altro locale dello
stesso palazzo di giustizia, con applicazione di tecnologie di trasmissione semplici
e mature.
Le previsioni di assistenza e tutela di cui alle lettere E), F), G) dell’art. 56 sono
di tipo più generale, attuabili sia normativamente che organizzativamente; mentre
la complessità di attuazione della Convenzione cresce in relazione alla lettera H)
dell’art. 56: l’ausilio di un’interprete “indipendente” può essere garantito dal
giudice, ma postulare che sia “competente”, alla luce dei vetusti criteri di
formazione degli albi dei periti e consulenti è impresa più ardua.
L’inclusione delle vittime nel procedimento penale è oggetto di altre disposizioni
- 38 -
del medesimo art. 56 della Convenzione, che imporrà la verifica di una serie di
istituti processuali, nonché la complessiva considerazione, nell’ordinamento
vigente, del ruolo e dei diritti della persona offesa dal reato.
La Convenzione esige la protezione delle vittime “insieme alle loro famiglie e ai
testimoni, dal rischio di intimidazioni, rappresaglie e ulteriori vittimizzazioni “
(art. 56, lett. A); l’informazione, nei casi in cui ciò possa esporre a pericolo esse
o la loro famiglia, dell’evasione e comunque della remissione in libertà dell’autore
del reato (lett. B); l’informazione, in senso ampio, “dei loro diritti e dei servizi a
loro disposizione e dell’esito della loro denuncia, dei capi di accusa,
dell’andamento generale delle indagini o del procedimento, nonché del loro
ruolo nell’ambito del procedimento e dell’esito del giudizio” (lett. C); l’offerta
della possibilità, “di essere ascoltate, di fornire elementi di prova e presentare le
loro opinioni, esigenze e preoccupazioni” (lett. D).
Il fatto che tutte queste previsioni, nel dettato convenzionale si inseriscano
inequivocabilmente nel contesto del procedimento penale, imporrà una revisione
della “geometria processuale”, considerato che il nostro processo penale è
orientato alla dialettica tra accusa e presunto autore del reato.
Nel ridisegnare un diverso ruolo per la persona offesa, sia nella fase delle indagini
che nella proiezione processuale, di per sé o come parte costituita, sarebbe
auspicabile che non vi fosse alcuna deriva verso extrasistematiche forme di
processo penale di parti private - ammissibile, eventualmente e per aspetti
limitati, solo per taluni sottosistemi-satellite (ad esempio nel processo avanti il
giudice di pace) - né alcuna scelta derogatoria, che riservi solo ad alcune
tipologie di reato una rafforzata posizione della persona offesa: sia perché di
regimi particolari e sottoinsiemi di discipline solo parzialmente sovrapposte il
codice di rito già abbonda, sia perché un elevato grado di protezione delle
vittime del reato - anche all’interno del e mediante il procedimento penale - è
imposto
da
più
generali
esigenze
di
promozione
della
sicurezza
costituzionalmente fondate e dalla necessità di attuare la Direttiva europea
2012/29/UE del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di
diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (entro il 16 novembre 2015,
come previsto dall’art. 27 della Direttiva).
- 39 -
I.5
La Legge 1 ottobre 2012, n. 172, di ratifica della Convenzione di Lanzarote in
Italia
a. La previgente normativa italiana in tema di reati sessuali e maltrattamenti
a danno dei minori
L’approvazione della legge 172/2012 si pone idealmente a chiusura di un iter di
riforme legislative iniziato già a partire degli anni Novanta.
Le disposizioni del Codice Rocco in tema di reati sessuali, seppure
rappresentassero un deciso passo in avanti rispetto ai previgenti strumenti
normativi riflettevano infatti, per molti versi, il contesto culturale e sociale nel
quale il codice stesso era stato concepito (ricordiamo come il codice penale
collocasse i reati di violenza carnale e di atti di libidine violenta nei capi dedicati
ai delitti contro il buon costume e l’ordine della famiglia).
La legge 15 febbraio 1996, n. 66, è stato il primo grande testo di riforma del
codice penale in materia di reati sessuali.
La nuova normativa agiva essenzialmente su due aspetti fondamentali, ovvero
sulla più precisa individuazione dell’interesse tutelato dalla norma e la
riformulazione delle stesse fattispecie delittuose. Se nel primo caso, la legge
provocava il trasferimento delle norme dedicate alla violenza sessuale dalla loro
precedente collocazione nel Titolo IX (Delitti contro la moralità pubblica e
contro il buon costume) al Titolo XII del codice (delitti contro la persona),
intendendosi quindi “(…) sottolineare come al centro della tutela debba
considerarsi la persona in tutta la sua individualità e non come mero
strumento di tutela di altri interessi ritenuti superiori come la moralità pubblica
e il buon costume” 52, dal secondo punto di vista si provvedeva a eliminare la
difficile ed evanescente distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenta,
formulando l’unitaria nozione di violenza sessuale nell’art. 609-bis.
La legge 66/1996 ha dedicato attenzione anche alla vittima minorenne,
prevedendo in particolare come aggravante specifica del delitto di violenza
sessuale proprio la minore età del soggetto passivo del reato, e criminalizzando
52
Cfr. CANESTRARI S. e altri, Diritto penale. Lineamenti di Parte Speciale, Monduzzi Editore, Bologna, 2009,
pp. 537-538.
- 40 -
anche, all’art. 609-quater c.p., gli atti sessuali compiuti con soggetto, sì
consenziente, ma minore degli anni quattordici.
Per tale via vuole tutelarsi il minore anche contro il suo giudizio e le sue scelte,
a causa della sua ancora non completa maturazione intellettiva, che fa ritenere la
sua capacità di autodeterminazione non ancora del tutto sviluppata.
La medesima ratio di tutela, la protezione della libertà del minore e del sereno
sviluppo della sua sfera sessuale 53 si può rinvenire anche nella nuova norma
dell’art. 609-quinquies c.p., laddove è punita la corruzione di minore, ovvero il
fatto di chi “(…)compie atti sessuali in presenza di una persona minore di anni
quattordici al fine di farla assistere”. La condotta reato risulta integrata solo se
compiuta al preciso fine di fare assistere il minore a tali atti (si tratta cioè di una
fattispecie a dolo specifico), mentre non rileva se l’azione è compiuta, pur in
presenza del minore, per fini differenti 54; e d’altra parte, l’età del minore deve
essere tale da poter essere concretamente turbato da quello cui ha assistito, come
del resto afferma il più recente indirizzo della giurisprudenza che ritiene
sussistente il reato solo nel caso in cui il minore abbia la possibilità di
percepire l’atto sessuale nella sua reale essenza 55.
Un deciso passo in avanti nella direzione della maggior tutela per il minore si
ebbe con l’approvazione della legge 3 agosto 1998, n. 269, nota come “legge
sulla pedofilia”, il primo strumento di questo genere mai introdotto nella
storia della Repubblica.
La legge si pone in linea con le discussioni ed elaborazioni in materia a livello
internazionale: con essa lo Stato Italiano dimostra di aver recepito i contenuti 56
della Dichiarazione dei Diritti del minore del 1989, che era entrata a far parte
delle fonti dell’ordinamento italiano con il recepimento ad opera della legge
176/91, e della Dichiarazione conclusiva della Conferenza di Stoccolma del 1996,
perseguendo le condotte di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della
prostituzione minorile, anche quando il fine è quello di realizzare esibizioni
pornografiche o di produrre materiale pornografico, la distribuzione o la
53
54
55
56
Fra le altre si veda, Cass. Pen., Sez. III, 16 novembre 2005.
Cfr. FLORA G., TONINI P., Nozioni di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1997, pag. 354.
Cass. Pen., Sez. III, 27 febbraio 1970, in Giur. It., 1971, II, 323.
Vedere sopra.
- 41 -
divulgazione (anche per via telematica) di tale materiale o di informazioni
finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento di minori ed inoltre la
prostituzione minorile a scopo di turismo sessuale 57.
I caratteri fondamentali della legge del 1998 possono essere racchiusi in
cinque direzioni: rafforzare la repressione penale mediante l’introduzione nel
codice di nuove fattispecie delittuose (prostituzione minorile, pornografia
minorile, detenzione di materiale pornografico ed iniziative turistiche
finalizzate allo sfruttamento della prostituzione minorile); fornire alla polizia
giudiziaria più efficaci strumenti di indagine (la legge amplia la gamma di reati
per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza e sono ammissibili le
intercettazioni, oltre a prevedersi la cosiddetta audizione protetta); attribuire alla
polizia giudiziaria nuovi mezzi di contrasto nella lotta al tipo di criminalità di cui
si occupa (acquisto simulato di materiale pornografico, apertura di siti internet
“civetta”, ritardo dell’esecuzione di provvedimenti di arresto e sequestro,
“infiltrazione” di agenti nei viaggi organizzati per il turismo sessuale); tutelare
i minori dai danni fisici e psichici connessi ai reati patiti (divieto di
pubblicazione delle generalità della vittima e obbligo di accertamenti diagnostici
sull’autore del reato al fine di prevenire l’insorgere di patologie sessualmente
trasmissibili sulla vittima); ed attribuire alla Presidenza del Consiglio ed al
Ministro degli Interni importanti compiti di coordinamento (stimolando anche la
cooperazione internazionale e provvedendo all’istituzione di nuovi nuclei
specializzati investigativi).
In ogni caso, l’aspetto forse più interessante di questa normativa risiede nella
forte connotazione morale, oltre che giuridica, che assumono gli intenti del
legislatore, ovvero “tutelare i fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e
violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale,
morale e sociale” 58, (e individuandosi così, come bene giuridico protetto,
“l’integrità e libertà fisica e psicologica del minore” 59) da quelle condotte che
darebbero vita a “nuove forme di riduzione in schiavitù”, come recita la rubrica
57
58
59
Cfr. BIANCHI D., Un quadro degli interventi contro violenza e abuso, in ISTITUTO DEGLI INNOCENTI,
“Cittadini in crescita”, anno 3, n. 1, Firenze, 2002, pag. 51.
Cfr. CANESTRARI S. e altri, Diritto penale. Lineamenti di Parte Speciale, Monduzzi Editore, Bologna, 2009,
p. 549.
Cfr. Ibidem.
- 42 -
della legge stessa, e come del resto suggerisce esplicitamente la stessa
collocazione sistematica della disposizioni, dopo l’art. 600 c.p. (appunto dedicato
alla “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù”).
Sempre sorretto dalla medesima finalità appare anche il più recente intervento
legislativo attuato con la legge 5 aprile 2001, n. 154, rubricata “Misure contro
la violenza nelle relazioni familiari”.
Le legge si prefigge come obiettivo principale quello di garantire una tutela più
rafforzata, rispetto a quella già fornita attraverso la legislazione esistente in
materia 60, delle vittime dei maltrattamenti in famiglia, fra le quali non possono
non rientrare (e nella normalità dei casi rientrano) proprio i minori.
Le disposizioni contenute nella normativa in commento si
articolano
essenzialmente nelle importanti modifiche operate sui codici civile, e di
procedura civile e penale, con l’introduzione, rispettivamente, di tre gruppi di
norme miranti a dare un effettivo spessore alle ipotesi di tutela già previste dalla
legge penale e civile.
L’art. 1 della legge introduce, con il nuovo art. 282 bis c.p.p., la misura
cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare; ma tale norma va letta insieme
a quella del nuovo art. 342 bis c.c., laddove si estende tale misura, già presente
nel codice di rito, ma vincolata, sino ad allora, al positivo accertamento di
una condotta delittuosa, anche “Quando la condotta del coniuge o di altro
convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla
libertà dell’altro coniuge o convivente” persino qualora “il fatto non costituisca
reato perseguibile d’ufficio”.
Il più recente intervento legislativo attuato con la legge 15 febbraio 2006, n. 38,
si pone invece a complemento dell’iter già avviato con la legge del 1998,
innovando il quadro normativo con il recepire le ultime novità in campo
comunitario ed internazionale 61 (una tecnica di formazione questa che sarà
adottata anche per la legge 172/2012) e contenendo, come recita la stessa
rubrica, “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet”.
Le novità introdotte dal nuovo testo di legge sono molteplici, ma fra le più
60
61
http://www.dirittoegiustiziaonline.it/default.asp?id=370&id_n=408&Pagina=1.
Essenzialmente la Decisione Quadro 2004/68/GAI e la Convenzione sul cybercrime del 2001.
- 43 -
importanti si possono indicare: l’inasprimento delle pene e dei provvedimenti
accessori (ad esempio si esclude il patteggiamento per i principali delitti in
tema di sfruttamento e violenza sessuale ed è prevista l’interdizione da qualunque
incarico in scuole o strutture pubbliche e private frequentate da minori); un
tentativo di integrazione nella definizione del fenomeno (ad esempio è stato
sostituito il termine “sfruttamento “ con il termine “utilizzo” di minore, di più
ampia portata, estendendo così la fattispecie di reato a situazioni che vanno oltre
il puro sfruttamento economico); un timido tentativo di definizione del
fenomeno della pedopornografia, per fronteggiare e prevenire il rischio di
arbitrarietà e discrezionalità nell’applicazione della legge (in particolare la legge
auspica almeno l’adozione della definizione di pornografia sancita dall’art.2,
lettera c, del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia
sulla vendita di bambini, la prostituzione e la pornografia rappresentante
bambini, ratificato dall’Italia con Legge 11 marzo 2002, n. 46, definizione che
indica la pornografia minorile come “qualsiasi rappresentazione con qualsiasi
mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate o
qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali ai fini soprattutto sessuali”);
l’identificazione e la tutela delle vittime, in considerazione del fatto che bassissima
è la percentuale di minori individuati e supportati tra quelli abusati e oggetto di
rappresentazioni pornografiche che continuano a circolare in rete; l’adozione di
una serie di misure di prevenzione, sia destinate ai potenziali abusanti, spesso
recidivi, sia nei confronti dei minori che, utilizzando il proprio pc, sono
quotidianamente
soggetti
al
rischio
di
esposizione
ad
immagini
pedopornografiche e al pericolo di adescamento; e l’istituzione di due nuovi
organismi: il Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia su Internet
(peraltro già attivo presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni), e
l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e pornografia infantile, di cui però
non si specificano espressamente, in un’ottica di coordinamento, le relazioni con
altri organismi istituzionali che operano nel settore.
In particolare, le finalità di cui alla rubrica sono state perseguite con
l’ampliamento dell’ambito applicativo delle disposizioni del codice dedicate alla
materia dei reati sessuali contro i minori, connotandole ulteriormente con una
- 44 -
marcata anticipazione della tutela rispetto al bene giuridico tutelato, fatto che ha
suscitato numerose critiche della dottrina, come del resto anche l’eccessiva
polarizzazione delle norme incriminatrici sui connotati autoriali piuttosto che sul
bene giuridico protetto 62.
Altri aspetti della nuova normativa non sono andati esenti da critiche.
Tralasciando le problematicità legate alla redazione del secondo comma dell’art.
600 bis c.p. 63, occorre soffermarsi su quella che forse è la disposizione più
controversa del nuovo articolato, ovvero l’art. 600-quater.1 c.p.
La norma, intitolata “Pornografia virtuale”, sancisce che le disposizioni di cui agli
articoli precedenti si applicano “anche quando il materiale pornografico
rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli
anni diciotto o parti di esse”, intendendosi per immagini virtuali “immagini
realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a
situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni
non reali”.
Occorre in questo caso domandarsi quale sia infatti il bene giuridico tutelato, e
per tale via, enuclearsi le motivazioni di politica criminale che stanno alla base
di una simile disposizione.
Appare infatti assai arduo riconoscere, per la norma in commento, la medesima
ratio di quelle che la precedono, per il solo fatto che qui il profilo
dell’offensività è destinato a trascolorare in una dimensione che di offensivo per
la libertà sessuale del minore ha ben poco.
E anche se si considera come bene tutelato lo sviluppo psicosessuale del minore
il risultato non cambia: se le immagini sono virtuali, se non c’è un riferimento a
situazioni reali, in realtà viene penalizzata la condotta di vita, sicuramente
moralmente abietta, dell’autore 64 incriminando quello che sostanzialmente
62
63
64
In questo senso CANESTRARI S. e altri, Diritto penale. Lineamenti di Parte Speciale, Monduzzi Editore,
Bologna, 2009, p. 550.
Per una esauriente trattazione si rinvia a LORUSSO S., MANNA A. (a cura di), L’abuso sessuale sui minori:
prassi giudiziarie e novità normative introdotte dalla legge 38/2006 sulla pedopornografia, Giuffrè editore, Milano,
2007, pp. 15 e ss.
Si veda, tra gli altri, CADOPPI A., VENEZIANI P., “Commento all’art 600-bis”, in “Commentario delle
norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia” (a cura di Alberto CADOPPI), Cedam, Padova,
2006, pp. 250 e ss; CANESTRARI S. e altri, “Diritto penale. Lineamenti di Parte Speciale”, Monduzzi
Editore, Bologna, 2009, p. 554; MANNA A., RESTA F., “I delitti in tema di pedopornografia alla luce della
legge 38/2006. Una tutela virtuale?”, in DIRITTO DELL’INTERNET, anno 2006, fascicolo 3, pp. 221 e ss.
- 45 -
sembra un montaggio 65. D’altro canto, secondo altra dottrina, la norma in esame,
escluse le ipotesi del tutto prive di offensività, potrebbe essere vista come un
completamento di un possibile vuoto di tutela riguardo a fatti compiuti
estrapolando e decontestualizzando immagini di minori riconoscibili e dei quali
sia possibile l’individuazione. In tale senso parrebbe deporre la circostanza che
l’art. 734 bis c.p., dedicato alla “divulgazione delle generalità o dell’immagine di
persona offesa da atti di violenza sessuale”, prevede il realizzarsi della fattispecie
“nei casi di delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se
relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1 (…)”.
Le ragioni di tali problematiche potevano rintracciarsi nella tecnica normativa
“parcellizzata”, affidata a numerose leggi speciali, utilizzata (anche) per i reati
commessi in danno dei minori, che aveva finito per sedimentare fattispecie
sorrette da diverse motivazioni politico-criminali. Tale processo di stratificazione
normativa aveva infatti ben presto rilevato criticità e difetti di coordinamento,
oltre che elaborazioni discordi della giurisprudenza di legittimità, il tutto a scapito
della coerenza del sistema nel suo complesso, tanto più se si voleva vedere
nel processo di integrazione europeo ed internazionale delle legislazioni criminali
il fine ultimo da raggiungere. Ovverosia, come può aspirarsi a un raggiungimento
di un minimo di tutela penale a livello interstatale, di un coordinamento di
legislazioni, se una certa coerenza difetta pure a livello interno?
Tale situazione mostrò ben presto come fossero necessari un ulteriore interventi
che compissero una risistemazione dell’intera materia, magari che restituissero
centralità al codice penale, come del resto invocato da più parti 66.
Ma va evidenziato pure come le modifiche introdotte nel nostro ordinamento
sulla scia degli strumenti internazionali che, dalla Dichiarazione dei diritti del
minore in poi, si erano succeduti a fitta cadenza, avessero in realtà già computo
un primo passo nel segno di ottenere maggiore coerenza normativa, anche
riducendo di conseguenza l’impatto delle novità apportate da Lanzarote, delle
quali tuttavia, a opinione di chi scrive, non può in alcun modo svalutarsi la
portata.
65
66
Cfr. LORUSSO S., MANNA A. (a cura di), “L’abuso sessuale sui minori: prassi giudiziarie e novità
normative introdotte dalla legge 38/2006 sulla pedopornografia”, Giuffrè editore, Milano, 2007, p. 18.
Cfr. ibid, p. 134.
- 46 -
b. I lavori preparatori e l’approvazione della legge 172/2012
La legge 172/2012 ha avuto un lungo e complesso iter legislativo, che ha
richiesto un triplice intervento della Camera e del Senato della Repubblica e che,
oltre ad aver coinvolto numerose commissioni Parlamentari, chiamate ad
esprimere pareri sul contenuto del provvedimento nelle sue varie fasi, ha visto la
partecipazione, in audizioni informali di alcuni funzionari del Ministero
dell’Interno, in ordine alle indagini informatiche per la prevenzione e
repressione dei delitti in danno di minori, alcuni procuratori della Repubblica
e il procuratore nazionale antimafia, per stabilire quale procura, distrettuale o
circondariale, fosse meglio attrezzata per le indagini, ed i rappresentanti delle
Associazioni telefono Azzurro e Telefono Arcobaleno 67.
I lavori presero l’avvio con la presentazione alle Commissioni Giustizia e Affari
Esteri della Camera dei Deputati, il 23 marzo 2009, del disegno di legge
governativo C. 2326.
Già dall’esame in Commissione in sede referente, emerse l’ampia convergenza
bipartisan sui fini che si proponeva il disegno di legge, ritenuto “il primo
strumento internazionale con il quale gli abusi sessuali contro i bambini
diventano reati penali, compresi quelli che hanno luogo in casa o all’interno della
famiglia, con l’uso della forza, con la coercizione o le minacce” 68 dal relatore
della III Commissione, on. Matteo Mecacci (PD) e “(…) il primo strumento
internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i bambini siano
considerati reati” 69 dalla relatrice per la II Commissione, on. Angela Napoli
(PdL).
Nonostante, tuttavia, l’ampio accordo delle forze politiche sul progetto di
iniziativa governativa, i lavori parlamentari sono stati caratterizzati da una
lentezza e complessità davvero elevata, consentendo di giungere all’approvazione
del testo di legge solo alla fine del 2012.
Nel gennaio 2010 si concludeva l’esame delle commissioni della Camera e il
67
68
69
http://leg16.camera.it/561?appro=517&Legge+172%2F2012+Ratifica+della+Convenzione+di+Lanzarote.
Camera Dei Deputati, Giovedì 16 Luglio 2009, n. 203. XVI Legislatura. Bollettino delle Giunte e delle
Commissioni Parlamentari. Commissioni Riunite (II e III). Comunicato. Testo aggiornato al 22
Settembre 2009, p. 8.
Ibidem.
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disegno di legge veniva votato ed approvato il 19 gennaio e trasmesso al Senato
con il numero S. 1969. Il 20 gennaio inizia l’esame presso le Commissioni 2ª e 3ª.
In questa prima fase Camera e Senato hanno impostazioni differenti specie per
quanto riguarda le modifiche da apportare al codice penale, come traspare
chiaramente dal disegno di legge trasmesso, con modifiche, alla Camera con il
numero A.C. 2326-B.
Trovato un accordo sulle novelle al codice, e segnatamente sulla configurazione
del nuovo reato di “Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia”, le
Camere continuano a divergere su altri aspetti del progetto, specie sulla
competenza per le indagini sui delitti di sfruttamento sessuale dei minori e sulla
durata delle pene accessorie in caso di condanna per delitti commessi a danno di
minori.
In particolare l’articolo 4, comma 1, lett. u), numero 3, aggiungendo un terzo
comma all’art. 609-nonies c.p., prevede l’applicazione di misure di sicurezza
personali nei confronti del condannato per reati a sfondo sessuale, dopo
l’esecuzione della pena e per una durata di cinque anni.
Tali misure sono disposte a prescindere da un accertamento circa la pericolosità
sociale del condannato e operano per una durata fissa, predeterminata, di cinque
anni.
Il Senato, ricordando che la Corte costituzionale era più volte intervenuta in
materia, dichiarando l’illegittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano
presunzioni di pericolosità sociale 70, e considerando l’intervento della legge
Gozzini (legge n. 663 del 1986, art. 311), che, tra le altre cose, aveva abrogato
l’art. 204 c.p. in materia di accertamento di pericolosità e pericolosità sociale
presunta e stabilito che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate
previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è una persona
socialmente pericolosa, aveva sollevato profili di incompatibilità costituzionale
della norma del nuovo art. 609 nonies c.p.
70
Si considerino le sentenze della Corte Cost. 1/1971; 139/1982; 249/1983. Sul requisito della
pericolosità sociale è nuovamente intervenuta la Corte costituzionale (sentenza n. 1102 del 1988),
dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 219, 3° comma, c. p., nella parte in cui subordina il
provvedimento di ricovero in una casa di cura e custodia al previo accertamento della pericolosità
sociale, derivante da seminfermità di mente, solo nel momento in cui la misura di sicurezza viene
disposta e non anche nel momento della sua esecuzione.
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Tuttavia, dopo l’approvazione, il 5 luglio 2012, in terza lettura, del disegno di
legge, nuovamente modificato, il Senato si è limitato a recepire le modifiche
dell’altro ramo del Parlamento e, in data 19 settembre 2012, approvava
definitivamente il disegno di legge, con 262 votanti, di cui 262 favorevoli, zero
astenuti e zero contrari 71.
Il testo di legge, rubricato legge 1° ottobre 2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione
della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo
sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché
norme di adeguamento dell’ordinamento interno”, veniva pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 235 del 8 ottobre 2012, ed entrava
in vigore il 23 ottobre dello stesso anno.
c. Il nuovo reato di maltrattamenti in famiglia
La legge 172/2012 non si è limitata ad introdurre nuove fattispecie delittuose, ma
ha introdotto significative novità nella sistematica del codice penale, andando a
riformare numerosi articoli del codice.
L’art. 4, comma 1, lettera d) della novella ha modificato radicalmente la
fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., disposizione
quest’ultima che non era mai stata oggetto di modifiche esplicite e che recava il
medesimo testo approvato nel 1930.
La modifica in argomento reca peraltro un valore additivo rispetto alle previsioni
della Convenzione di Lanzarote, non rientrando la fattispecie di maltrattamenti
nel catalogo delle condotte incriminate dalla fonte convenzionale.
In realtà, seppure il reato di maltrattamenti non figuri espressamente tra le
fattispecie previste dalla Convenzione, le modifiche insistenti sull’art. 572 c.p.
possono agevolmente farsi rientrare, dandone una interpretazione più teleologica
che letterale, nel disegno generale della sistematica tracciata da Lanzarote,
dovendosi quindi considerare tali innovazioni come sorrette dal medesimo
intento di promuovere una più accentuata tutela del minore, anche e al di là delle
condotte reato a contenuto rigidamente sessuale.
71
http://leg16.senato.it/leg/16/BGT/Schede_v3/Ddliter/votazioni/796_7.htm.
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Deporrebbe in tal senso sia la circostanza del richiamo, esplicito ed implicito, ai
numerosi strumenti internazionali di tutela del minore, quali, fra tutti, la
Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1989 72 certamente non limitati alla
sfera sessuale.
Del resto, sia sul piano della realtà ontologica del delitto in esame, sia sul piano
degli istituti processuali e della stessa prassi dei tribunali, molte delle tematiche e
delle questioni che si sviluppano in tema di reati sessuali a danno dei minorenni
presentano numerosi elementi di coincidenza con quelle proprie dei casi di
maltrattamenti 73. La modifica del reato di maltrattamenti, lungi quindi dall’essere
censurabile, poteva tuttavia costituire l’occasione per una radicale riforma
dell’istituto in parola, da più parti invocata, nel senso di estendere l’area di
applicazione della fattispecie a tutte quelle ipotesi in cui vi sia l’integrazione
della condotta tipica dei maltrattamenti, a prescindere dal tipo di rapporti
intercorrenti tra soggetto attivo e vittima 74. Da questo punto di vista, va subito
chiarito che le modifiche introdotte dalla legge 172/2012, non stravolgono
l’impianto generale della disposizione, in particolare facendo salva
la
problematica e anacronistica collocazione della norma incriminatrice nel titolo
dedicato ai delitti contro la famiglia 75.
Tanto più che, nonostante la norma fosse stata originariamente concepita con la
funzione di assicurare gli stessi valori di autorità ed affidamento su cui
l’istituzione familiare veniva fondata 76, essa avesse esteso ben presto il suo
ambito di applicazione a tutti quei rapporti caratterizzati da vincoli di
affidamento, autorità o supremazia, garantendo anche a coloro che da simili
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Art. 19, Dichiarazione dei Diritti del Minore, 1989, “Gli Stati Parte adottano ogni misura legislativa,
amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio
o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento,
compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o ad entrambi, i
suoi genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad ogni altra persona che ha
il suo affidamento”.
In questo senso, PAVICH G., Luci e ombre nel nuovo volto del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle
novità apportate dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, in DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO,
9 novembre 2012.
Cfr. Ibidem.
Del resto, neppure nel Progetto di riforma della parte speciale del codice penale (cosiddetto Progetto
Pagliaro del 1992), si è voluto svincolare la collocazione della disposizione dal capo dedicato ai reati
contro la famiglia, prevedendosi l’inserimento del delitto di maltrattamenti in famiglia nel nuovo
Capo II, del Titolo XIII, intitolato “Reati contro la solidarietà familiare”.
Cfr. MANZINI V., Trattato di diritto penale, NUVOLONE, PISAPIA (a cura di), VII, Torino, 1984, p. 920;
GIOFFREDI R., Maltrattamenti in famiglia, in NUOVO DIGESTO ITALIANO, Vol. VIII, Torino, 1939, p. 41.
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legami fossero legati un corretto svolgimento delle relazioni tra loro esistenti,
con la diretta e logica conseguenza che l’interesse giuridico tutelato dalla norma
sia, oramai, pacificamente riferibile alla vita, libertà e integrità psicofisica e morale
della persona, o meglio “l’integrità psico-fisica di coloro che, per età o per
rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di
subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggior protezione,
condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino” 77, e non più o non
tanto alla famiglia come formazione sociale 78.
Iniziando con l’esame del nuovo testo dell’art. 572 c.p., possiamo notare come
nulla cambi da un punto di vista della descrizione della condotta che, come in
passato, si riassume nella nozione di “maltrattare”, usato dal legislatore per
descrivere la condotta con cui tale reato può trovare realizzazione, la cui
latitudine e genericità ha sollevato numerosi incertezze interpretative circa il reale
contenuto in cui essa può estrinsecarsi 79. Non muta neppure la struttura
essenziale della fattispecie, reato a forma libera necessariamente abituale 80, che
può manifestarsi in forma sia attiva, in particolare con condotte anche non
costituenti singolarmente reato ma idonee a ingenerare nella vittima sofferenze
fisiche e morali 81 sia, secondo giurisprudenza oramai unanime 82 e secondo la
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Cassazione penale, sez. III, sentenza 18.05.2012 n. 19084; stessa considerazione in CENDON P.,
Trattato dei nuovi danni, volume 3, Cedam, Lavis (TN), 2011, p. 460.
In questo senso, inter alios, la sentenza del Tribunale di Torino, Sez. V, 30.4.2010, “(...) l’oggetto
giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da
comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone
indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto
fondato su vincoli familiari”.
Cfr. MAZZA M. Maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, (voce) in ENCICLOPEDIA GIURIDICA, XIX,
Roma, 1990, p. 26; PISAPIA G., Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in NOVISSIMO DIGESTO
ITALIANO, Torino, 1964, p. 75; RAMAIOLI S., Incostituzionalità del delitto di maltrattamenti in famiglia, in T,
1973, p. 217.
Inter alios, Cass. Pen., sez. V, n. 2130/1992; Cass. Pen., sez. VI, n. 3103/1990; Cass. Pen., sez. VI,
4636/1995.
Ad esempio, integrano il reato i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una
serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall’imputato nei
confronti del coniuge, possono configurare il reato di maltrattamenti quando essi realizzino un regime
di vita avvilente e mortificante (in questo senso Cass. Pen, Sez. VI, 16.11.2010; Cass. Pen., Sez. V,
9.6.1983; Cass. Pen., Sez. VI, 20.4.1977). Capacità di arrecare perdurante offesa morale alla vittima è
stata invece ritenuta negli atti di disprezzo, di asservimento e di umiliazione (Cass. Pen., Sez. VI,
16.10.1990; Cass. Pen., Sez. III, 15.3.1985; Cass. Pen., Sez. II, 7.3.1955). Il reato previsto dall’art. 572
c.p. si configura attraverso la sottoposizione del familiare ad una serie di sofferenze fisiche e morali
che, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire reato, in quanto la ratio
dell’antigiuridicità penale risiede nella loro reiterazione protrattasi in un arco di tempo che può essere
anche limitato e nella persistenza dell’elemento intenzionale (Cass. Pen, Sez. VI, 5.12.2011-14.3.2012,
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dottrina prevalente 83 (seppur con qualche autorevole distinguo 84), omissiva.
Appare chiaro che a questo punto, stante la vaghezza dell’elemento materiale e
preliminare a qualsiasi altra analisi su di questo, sia necessaria l’individuazione dei
soggetti passivi di tale reato. Ed è proprio in questo settore che la novella del
2012 apporta le sue novità più importanti.
Una prima rilevante differenza in tal senso con la vecchia fattispecie di
maltrattamenti può evincersi, infatti, già dalla stessa rubrica, che è mutata dalla
storica terminologia di “maltrattamenti in famiglia” a quella di “maltrattamenti
contro familiari e conviventi”. La modifica della rubrica, lungi dall’avere solo
valore lessicale, oltre che ad “accentrare l’interesse sulla persona offesa dal
maltrattamento (il familiare o il convivente) anziché sul luogo in cui avviene
l’offesa (la famiglia)” 85, costituisce il primo sintomo dell’estensione della platea
dei soggetti tutelati dalla norma incriminatrice operata dal nuovo comma 1
dell’art. 572 c.p. che aggiunge, dopo il riferimento alla persona della famiglia,
l’inciso “o comunque convivente”. La nuova formulazione, come può leggersi
nella relazione illustrativa del Senato 86, tiene conto dell’elaborazione della
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n. 9923). Pacifico, inoltre, che fatti offensivi dell’incolumità personale, della libertà e dell’onore di una
persona della famiglia integrino il reato di maltrattamenti solo se parte di una più ampia condotta
abituale, idonea a rendere vessatorio e insostenibile il regime di vita familiare (Cass. Pen., Sez. VI,
7.10.2010; Tribunale di Genova 24.11.2005; Tribunale di Bologna 14.10.2004); altrimenti integrando
autonomi reati contro la persona (Cass. Pen., Sez. VI, 26.9.2003). Come è stato affermato che integri il
delitto di maltrattamenti ex art. 572 anche nei confronti dei figli la condotta di colui che compia atti di
violenza fisica contro la convivente, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non
deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un
determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di
una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico
delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere
dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi (Cass.
Pen., Sez. V, 22.10.2010).
Fra le altre, Cass. Pen., Sez. VI, 2.11.2010; Cass. Pen., sez. V, n. 28509/2010; Cass. Pen., Sez. VI,
21.12.2009; Cass. Pen., Sez. VI, 18.3.1996; Cass. Pen., sez. VI, n. 3965/1994; Cass. Pen., Sez. VI,
30.5.1990, n. 394. Il reato è necessariamente abituale e può caratterizzarsi anche per la contemporanea
sussistenza di fatti commissivi e omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro
reiterazione nel tempo, perfezionandosi allorché si realizza un minimo di tali condotte collegate da un
nesso di abitualità (Cass. Pen., Sez. VI, 31.5.2012, n. 34480).
Cfr. MANERA G., L’istituto dell’affido familiare. Aspetti Giuridici, in GIURISPRUDENZA DI MERITO, 2005, 78, 1733.
Cfr. VIVARELLI T., Maltrattamenti mediante omissione?, in RIV. IT. DIR. PROC. PEN., 1998, p. 197.
Cfr. RUSSO C., L’abuso sui minori dopo Lanzarote. L. 1 ottobre 2012, n. 172, IL PENALISTA, Giuffrè
Editore, Varese, 2012, p. 22
Relazione illustrativa all’A.S. n. 1969-B, Ufficio Studi del Senato della Repubblica, gennaio 2011, n. 269,
pag. 32, in nota n. 9, “(...) con tale novella il legislatore codifica un principio già ripetutamente e
costantemente affermato dalla giurisprudenza. Si ricorda, da ultimo, la sentenza n. 20647 del 2008 nella
quale la sesta sezione della Corte di Cassazione ha ribadito che ai fini della configurabilità del reato di
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giurisprudenza della Cassazione degli ultimi decenni che, ritenendo la famiglia un
consorzio di persone legate da vincoli di solidarietà fondati sul legame
affettivo, ha ritenuto irrilevante, ai fini del delitto di maltrattamenti, la natura
giuridica o non del legame che queste avvinceva, attraendo, per tale via, anche
la cosiddetta “famiglia di fatto”, ritenendosi sufficiente, per l’integrazione della
condotta costituente il reato di maltrattamenti in famiglia, l’esistenza di un
rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra due
persone con legami di reciproca assistenza e protezione 87, e sino a giungere
all’estensione della tutela anche a quelle situazioni nelle quali non esistesse
neppure la convivenza, ma residuassero doveri di assistenza morale e materiale
come conseguenza della sola affectio sentimentale 88 o sessuale 89.
Da lato esattamente opposto e simmetrico, la Corte ha ritenuto che la cessazione
del rapporto di convivenza non influisca sulla configurabilità del delitto di
maltrattamenti in famiglia, la cui consumazione può quindi aver luogo anche nei
confronti di persona non convivente con l’imputato, quando essa sia unità
all’agente da vincoli nascenti dal coniugio che permangono anche a seguito della
separazione legale o di fatto o di filiazione 90.
In conclusione, tirando le fila del discorso, già nella vigenza della precedente
formulazione dell’art. 572 c.p., la fattispecie di maltrattamenti era ritenuta
applicabile sia nell’ipotesi tipica di un legame familiare, anche privo di materiale
convivenza, sia nelle residue ipotesi di legami parafamiliari e sentimentali.
Le medesime conclusioni valgono pure, e a maggior ragione, per il novellato art.
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maltrattamenti in famiglia, non assume alcun rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia commessa ai
danni di una persona convivente more uxorio, atteso che il richiamo contenuto nell’art. 572 c.p. alla
famiglia deve intendersi riferito a ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e
consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.
In questo senso, Cass. Pen., Sez. V, 13.4.2010; Cass. Pen., Sez. VI, 29.1.2008; Cass. Pen., Sez. VI,
24.1.2007, n. 21329; Cass. Pen., Sez. III, 5.12.2005; Cass. Pen., Sez. VI, 18.10.2000; Cass. Pen., Sez. III,
13.11.1985; Cass. Pen., Sez. III, 3.7.1997; Cass. Pen., Sez. VI, 9.12.1992; Cass. Pen., Sez. II, 16.6.1959.
Cass. Pen., sez. V, 17 marzo 2010, n. 24688, “Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile
anche in danno di una persona legata all’autore della condotta da una relazione sentimentale, che abbia
comportato una assidua frequentazione della di lei abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale
da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale”.
Cass. Pen., sez. VI, 18.12.1970.
Cass. Pen, sez. VI, 22.12.2003; Cass. Pen., sez. VI, 27.06.2008, n. 26571, “Il reato di maltrattamenti a
carico del coniuge è configurabile anche n caso di separazione e di conseguente cessazione della
convivenza, purché la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della fattispecie. Principio
affermato relativamente al caso di reiterate ed offensive manifestazioni di aggressività, attuate dal
coniuge separato per convincere la moglie a riprendere la convivenza”.
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572 c.p., che, con il suo riferimento alla “persona comunque convivente”, mostra
sostanzialmente di aver positivizzato un approdo cui era già giunta in via
interpretativa la giurisprudenza di legittimità, seppure il riferimento contenuto
nella rubrica a coloro “comunque conviventi” sembri in realtà spingersi persino
oltre le più ardite elaborazioni della giurisprudenza, allargando enormemente, a
causa della carenza di una qualunque qualificazione ulteriore del rapporto di
convivenza, l’ambito di operatività della fattispecie incriminatoria.
Ulteriore novità del reato di cui all’art. 572 c.p. consiste nell’introduzione, al
secondo comma, di una aggravante specifica per il caso in cui la vittima sia
minore degli anni quattordici, controbilanciata dall’espunzione dell’analogo
riferimento di cui al comma primo.
La fattispecie di maltrattamento di minore degli anni quattordici era infatti già
considerata come illecito penale, ma trovava la sua collocazione all’interno del
reato base, beneficiando pertanto del medesimo trattamento sanzionatorio della
ipotesi di cui al primo comma.
La formulazione ante-riforma, peraltro, lungi dal potersi considerare una
ridondanza, era con ogni evidenza riferita al minore che non potesse rientrare tra
le altre categorie protette dalla norma 91, ossia i familiari e le persone sottoposte
ad autorità, o affidate per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza,
custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Occorre pertanto domandarsi che cosa abbia comportato l’esclusione dell’infra
quattordicenne tra le ipotesi di cui al capoverso della norma e, in particolare, se
l’espunzione di tale riferimento sia correttamente controbilanciata dalla nuova
aggravante ad effetto comune di cui al secondo comma.
L’aggravante di cui al secondo comma non sembra assolutamente rafforzare la
tutela penale goduta dal minore infra quattordicenne 92.
Infatti, proprio a causa del fatto che tale ipotesi è strutturata come una
circostanza aggravante a effetto comune (come sembrerebbe deporre la dizione
“la pena è aumentata”), la disposizione relativa al minore infra quattordicenne
91
92
Cfr. PAVICH G., Luci e ombre nel nuovo volto del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle novità apportate dalla
legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, in DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO, 9 novembre 2012.
In questo senso, PAVICH G., Luci e ombre nel nuovo volto del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle
novità apportate dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, cit.; RUSSO C., L’abuso sui minori dopo
Lanzarote. L. 1 ottobre 2012, n. 172, IL PENALISTA, Giuffrè Editore, Varese, 2012, p. 25.
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sembra trovare la sua logica premessa nel catalogo di cui al comma primo,
comportando come conseguenza che al reato commesso a danno del minore
degli anni quattordici continui ad applicarsi lo statuto della fattispecie base, oltre a
far sorgere il dubbio che il reato di maltrattamenti possa trovare applicazione al
minore infra quattordicenne solo se questi si trovi in una delle situazioni elencate
nel primo comma 93. Peraltro, tale problematica è destinata a perdere del tutto di
consistenza se solo si osservano i lavori parlamentari 94, ove può evincersi come
l’intenzione del legislatore fosse in realtà quella di estendere la tutela alla
generalità dei minori infra quattordicenni 95, in piena aderenza ai dettami della
fonte convenzionale 96, potendosi quindi pervenire, senza cautele eccessive, a una
interpretazione sistematica ed evolutiva volta a restituire centralità ed
indipendenza anche alle ipotesi di cui al secondo comma.
Per lo stesso motivo, non sono da condividere, ad opinione di chi scrive, le
preoccupazioni di chi lamenta la carenza di coerenza del nuovo art. 572 c.p. sulla
base dell’argomentazione secondo cui “il pur lieve innalzamento delle sanzioni
per il delitto di maltrattamenti finisce per essere del tutto svincolato dal fatto che
la condotta criminosa sia o meno posta in essere nei confronti dei soggetti ai
quali la Convenzione di Lanzarote intende apprestare tutela, ossia i
minorenni” 97. In altre parole, sempre secondo chi scrive, il fatto che la novella
vada oltre la stessa fonte convenzionale, introducendo una fattispecie di tutela
(anche) del minore non originariamente prevista da Lanzarote, non può essere in
alcun modo svalutato sulla base di argomenti testuali e sistematici, dovendosi
anzi ritenere che l’intervento in commento abbia valorizzato la tutela delle
giovani vittime anche in un ambito, come quello familiare o parafamiliare, che, se
da un lato è significativamente terreno elettivo di formazione della personalità del
minore, dall’altro è, statisticamente, uno dei luoghi di più frequente commissione
dei reati che proprio Lanzarote ha inteso reprimere.
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Cfr. PAVICH G., Luci e ombre nel nuovo volto del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle novità apportate
dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, cit.
Si consideri in specie la Relazione illustrativa al DDL A.S. 1969-B.
Cfr. PAVICH G., Luci e ombre nel nuovo volto del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle novità apportate
dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, cit.
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi
sessuali, Lanzarote, art. 3: “Ai fini della presente convenzione: il termine minore indica una persona di
età inferiore ai diciotto anni”.
Ibidem.
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Ed inoltre, non può sfuggire come molte delle tematiche e delle posizioni
giurisprudenziali elaborate in riferimento ai reati sessuali su minorenni hanno
significativi elementi di coincidenza con quelle proprie dei casi di
maltrattamenti 98.
Le ulteriori novità apportate dalla novella del 2012 riguardano il ritoccamento,
verso l’alto, dei limiti edittali, sia dell’ipotesi base che di quelle aggravate.
Occorre premettere che la previsione di un diverso limite edittale, oltre che a
fornire un sicuro indice in merito alla riprovevolezza del fatto 99, ha una efficacia
diretta sull’applicazione di tutta una serie di istituti che proprio dalla pena
irrogata dipendono. Nel caso in esame, infatti, l’aumento della pena minima da
uno a due anni di reclusione, comporta, come conseguenza diretta, l’impossibilità
di arrivare ad una pena finale inferiore a sei mesi che comporti la sostituzione
della pena detentiva con la pena pecuniaria 100 ai sensi dell’art. 53 della legge
689/81, nemmeno nel caso in cui venga esperito un rito alternativo in sede
processuale, e neppure aggiungendo al computo della pena una circostanza
attenuante 101. Discorso solo parzialmente analogo può farsi per il simmetrico
innalzamento della pena massima da cinque a sei anni di reclusione. Se infatti, dal
punto di vista del diritto penale sostanziale, il massimo edittale non incide in
maniera determinante sullo statuto del reato, assumendo peraltro il minimo
edittale assoluta centralità, specie dopo le recenti pronunce della Cassazione 102
che impongono al giudicante un onere di motivazione progressivamente
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102
Ibidem.
La tematica delle funzioni dei limiti edittali costituisce peraltro una galassia di opinioni, perlopiù
discordanti; si veda, per alcuni cenni alla problematica, PADOVANI T., La disintegrazione attuale del sistema
sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema delle cornici edittali, in RIV. IT. DIR. PEN. PROC., 1992, pp.
438-439; PONGILUPPI C., Le cornici edittali al banco di prova di un sistema sanzionatorio differenziato, in RIV. IT.
DIR. PEN. PROC., 2007, pp. 947 e ss; DONINI M., Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2004; STILE A.
M., Prospettive di riforme della commisurazione della pena, in AA. VV., VERSO UN NUOVO CODICE PENALE.
Nel sistema precedente, partendosi da una pena di 1 anno di reclusione, sottraendosi un terzo della
pena per le attenuanti generiche, ed un terzo per il rito premiale, la pena sarebbe risultata inferiore ai 6
mesi, da cui la possibilità di sostituzione con pena pecuniaria ex art. 53, l. 689/81.
La circostanza attenuante dovrà essere individuata necessariamente tra le attenuanti generiche, non
essendo previste per il reato di cui all’art. 572 c.p. attenuanti specifiche. L’unica possibilità residua di
sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria risulta affidato all’ipotesi in cui, oltre alle
attenuanti generiche, siano riconosciute all’autore del reato attenuanti ulteriori, ed il procedimento sia
definito tramite emissione di decreto penale di condanna che riduce la pena della metà e non di un
terzo. Ciò tuttavia comporterebbe per l’indagato l’ulteriore onere di attivarsi già in fase di indagini
preliminari per la definizione del procedimento mediante decreto penale. Cfr. RUSSO C., L’abuso sui
minori dopo Lanzarote. L. 1 ottobre 2012, n. 172, IL PENALISTA, Giuffrè Editore, Varese, 2012, p. 23.
Inter alios, Cassazione penale, sez. IV, 12 giugno 2008, n. 35346.
- 56 -
maggiore tanto più questi si discosta dalla pena minima, risolvendosi tale regola,
nella pratica dei tribunali, nel fatto di applicare le pene in misura solitamente
assai
prossima
al
minimo
edittale.
L’unica
conseguenza
di
rilievo
nell’innalzamento del limite massimo risiede non in campo sostanziale bensì
processuale, nella possibilità di applicare la norma dell’art. 266, comma 1, lettera
a) c.p.p. 103, e quindi nella facoltà di disporre intercettazioni telefoniche in fase di
indagini preliminari anche nel caso del reato di maltrattamenti. Per quanto
concerne invece i nuovi limiti edittali per le ipotesi aggravate di cui al terzo comma
dell’art. 572 c.p., ossia la pena della reclusione da quattro a nove anni se dal fatto
deriva una lesione personale grave, e della reclusione da dodici a ventiquattro anni
se dal fatto deriva la morte, l’impatto della novella è ancora più limitato. Se si
esclude, infatti, la mera rilevanza quantitativa di un diverso limite edittale, non
cambiano né la struttura né la natura delle aggravanti, vuoi perché i loro elementi
costitutivi restano gli stessi della versione ante-riforma, vuoi perché la pena
continua ad essere determinata in modo indipendente da quella del reato base 104.
103
104
Art. 266 c.p.p. “L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di
telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati: a) delitti non colposi per i
quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni
determinata a norma dell’articolo 4 (…)”.
Cfr. Carmine RUSSO, “L’abuso sui minori dopo Lanzarote. L. 1 ottobre 2012, n. 172”, Il penalista,
Giuffrè Editore, Varese, 2012, p. 25.
- 57 -
CAPITOLO II
LE FORME DI VIOLENZA SULLE DONNE
II. 1. Violenza di genere
La violenza di genere è un problema di livello mondiale. Ogni Paese, ciascuno con la
propria cultura e stile di vita, affronta questo fenomeno in maniera diversa e cambia
anche il modo di viverlo da parte delle donne. La violenza di genere si fonda sulla
discriminazione nei confronti della donna a livello politico, culturale, economico e
sociale. A livello internazionale, il primo documento volto a combattere questa
discriminazione è stata La convezione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti
della donna, approvata il 18 dicembre 1979 dall’ONU. Questo documento costituisce la
principale garanzia che il diritto internazionale offre al rispetto dei diritti delle donne.
Infatti l’articolo 1 recita: “Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “discriminazione nei
confronti della donna” concerne ogni distinzione esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia
come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o
l’esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di
parità tra l’uomo e la donna”.
Questa convenzione impegna gli stati firmatari ad astenersi da azioni discriminatorie
in base al sesso e ad adottare provvedimenti per raggiungere l’uguaglianza in tutti i settori,
inoltre viene istituito un Comitato che ne sorveglia l’applicazione negli Stati firmatari, che
si impegnano a fornire regolarmente un rapporto sui provvedimenti adottati. Il protocollo
facoltativo del 6 ottobre 1999 sulla Convenzione che garantisce alle donne la possibilità
di presentare un ricorso individuale presso il Comitato, è stato firmato dall’Italia il 10
Dicembre del 1999 e ratificato il 22 settembre del 2000. Solo dopo aver parlato di diritti
possiamo parlare e dare una definizione di “violenza di genere”, che si fonda, come abbiamo
già detto, sulla disparità tra uomo e donna e costituisce un ostacolo al pieno godimento
dei diritti fondamentali e delle libertà da parte della donna. Il tema della violenza di
genere, nonostante sia un problema sempre esistito, riceve attenzione da parte degli
organismi internazionali soltanto a partire dalla metà degli anni Ottanta e a dare i suoi
- 58 -
frutti concretamente negli anni Novanta.
Il 20 dicembre del 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò
all’unanimità la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, nella quale si
afferma che la violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani e delle
libertà fondamentali, inoltre all’art. 1 ci da una definizione chiara di “violenza contro le
donne”: ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, un danno o una sofferenza
fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione
arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.
Questa Dichiarazione ha costituito un input per altre organizzazioni internazionali che
si sono occupate del tema successivamente. Nel 1995 in occasione della quarta conferenza
mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino, viene emanato un programma di azione per attribuire
più potere alle donne, inoltre nella conferenza si introduce un concetto molto importante:
“la valorizzazione delle differenze”. Si arriva alla consapevolezza che per raggiungere
l’uguaglianza di diritti e di condizione è necessario riconoscere e valorizzare la differenza del
genere maschile e femminile, quindi dare rilievo all’ esperienza, alla cultura e ai valori di cui le
donne sono portatrici poiché costituiscono una ricchezza per tutta l’umanità. Il programma
di azione rappresenta il principale testo giuridicamente vincolante sui diritti delle donne. Il
programma di azione indica gli obiettivi strategici e le iniziative che i Governi e tutti gli attori
economici e sociali devono assumere e realizzare. Esso ruota intorno a tre temi chiave:
genere e differenza; empowerment; mainstreaming.
Genere e Differenza: per costruire una pari opportunità è necessario mettere al centro delle
politiche la reale condizione di vita delle donne e degli uomini che è diversa. Tali politiche
devono perciò valutare il loro impatto sulle reali condizioni di vita di donne e uomini,
tenendo presente che esse sono tra loro diverse; per fare questo è fondamentale analizzare la
realtà attraverso la costruzione di indagini statistiche articolate per sesso. Empowerment105:
questa parola è stata usata nei primi anni Ottanta dalle femministe del sud del mondo106 per
indicare la comparsa della soggettività delle donne nello spazio pubblico mondiale.
Empowerment significa attribuire potere e responsabilità alle donne non solo nel senso della
promozione delle donne nei centri decisionali della società, delle politiche e dell’economia.
105
106
ARMENI R., Parola di donna: 100 parole che hanno cambiato il mondo raccontate da 100 protagoniste, Ponte delle
Grazie, Firenze, 2011, pp. 106-108.
ROMAN D., (2006), Disperse in combattimento: Le donne dell’Europa dell’est e il femminismo transnazionale,
traduzione di Giancarlo Covella, e Samizdat, Aracne, Roma, 2008, (VI) 2-3, pp. 243- 247.
- 59 -
Potere e responsabilità sono volti soprattutto ad accrescere l’autostima delle donne,
ad auto valorizzarsi e accrescere le proprie competenze e abilità.
Tutto ciò serve non soltanto alle donne, ma serve anche a realizzare uno sviluppo
più equo e una politica più democratica.
Mainstreaming 107: questa parola tende ad inserire il punto di vista delle donne in ogni
scelta politica, in ogni programmazione, in ogni azione di governo. L’applicazione del
mainstreaming costituisce uno degli strumenti fondamentali per rinnovare la pratica
istituzionale e di governo.
La Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna
assume come suo terreno di lavoro vincolante il Programma di azione, si impegnerà a
sollecitare il Governo, il Parlamento e le forze economiche e sociali perché ne sia
rispettata l’applicazione. Fondamentale diventa costruire un legame con le associazioni
femminili che sono già impegnate in tal senso, perché riconosce ad esse un ruolo
prezioso.
La violenza di genere è considerata oggi anche un problema di sanità pubblica
che compromette gravemente la salute della donna, ed è per questo, che deve essere
prevenuta e monitorata. A conferma di ciò, la risoluzione dell’Assemblea mondiale
della Sanità “Prevenzione della violenza: una priorità della sanità pubblica” del 1996 dichiara che
la violenza è un problema primario di sanità pubblica a livello mondiale, raccomanda agli
Stati membri di valutare il problema della violenza nel proprio territorio e di trasmettere
all’OMS le loro informazioni su questo problema e sul loro approccio ad esso, invita il
Direttore Generale ad attivare interventi di pubblica sanità indirizzati al problema della
violenza che descriveranno i diversi tipi di violenza, la loro dimensione, le cause e
conseguenze di questa utilizzando anche una “prospettiva di genere” nell’analisi. La
risoluzione dell’Assemblea mondiale della Sanità inoltre individua un altro punto
fondamentale: la valutazione dell’efficacia delle misure e dei programmi di prevenzione
del fenomeno, con particolare attenzione alle iniziative territoriali di base. La risoluzione
dell’Assemblea mondiale della Sanità promuove, inoltre, azioni per combattere questo
problema a livello internazionale e locale, prevede misure per fare progressi nel
riconoscimento, nella presentazione dei media e nella gestione delle conseguenze della
107
Si veda anche CATEMARIO M. G., CONTI P., (a cura di), Donne e leadership. Per lo sviluppo di una cultura
organizzativa delle amministrazioni pubbliche in ottica di genere, (Analisi e strumenti per l’innovazione, I
rapporti), Rubettino, Roma, 2003.
- 60 -
violenza; promuove la partecipazione intersettoriale nella prevenzione e nella gestione
della violenza, incoraggia la ricerca su questo fenomeno considerandola un priorità per
la ricerca nella sanità pubblica, invita a preparare e divulgare raccomandazioni sui
programmi di prevenzione della violenza in nazioni, Stati e comunità in tutto il
mondo, garantisce la attiva e coordinata partecipazione di idonei programmi tecnici
dell’OMS, rafforza la collaborazione dell’organizzazione con governi, autorità locali, e
altre organizzazioni
del
sistema
delle
Nazioni
Unite
nella
programmazione,
implementazione e monitoraggio di programmi di prevenzione e cura. Un ulteriore invito
è rivolto al Direttore Generale a presentare una relazione alla 99a sessione del Comitato
esecutivo con la descrizione dei progressi raggiunti e a presentare un piano d’azione per
avanzare verso un approccio alla prevenzione della violenza nella sanità pubblica basato
scientificamente. Anche per quanto riguarda la giustizia penale vengono presi
provvedimenti a livello mondiale per garantire alle donne un trattamento equo da parte
del sistema giudiziario penale e politiche volte a contrastare la violenza di genere.
L’Assemblea generale dell’ONU nel 1998 emana la risoluzione: “Prevenzione del crimine e
misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne” e allegate “Le strategie modello e le
misure pratiche sulla eliminazione della violenza contro le donne”. Questa risoluzione raccomanda
agli Stati membri di rivedere e rivalutare le proprie leggi, le proprie politiche in generale
riguardanti la violenza di genere e le proprie misure pratiche riguardo le questioni penali
per stabilire se conformemente al proprio sistema legale, abbiano un impatto negativo
sulle donne e eventualmente modificarli in modo da assicurare alle donne un trattamento
equo da parte del sistema giudiziario penale. L’Assemblea generale raccomanda inoltre
agli Stati Membri di promuovere la sicurezza delle donne in casa e nella società in genere,
di attuare strategie di prevenzione del crimine che riflettano le reali condizioni di vita
delle donne, di cercare di soddisfare le esigenze in diverse aree come lo sviluppo sociale, i
programmi di educazione alla prevenzione e di progettazione ambientale. Agli Stati
Membri viene richiesto di inserire una prospettiva di genere nell’attuazione delle politiche,
volte a alla prevenzione del crimine e alla giustizia penale, di modo che, prima che
vengano espressi i giudizi, possa essere fatta un’analisi per garantire che tali giudizi non
si basino su alcun ingiusto pregiudizio di genere. La Commissione sulla prevenzione del crimine e
sulla giustizia penale viene invitata a cooperare con tutti gli organismi, gli organi e le altre
istituzioni del Sistema delle Nazioni Unite e a coordinare le proprie attività sulle
- 61 -
questioni concernenti la violenza contro le donne e l’eliminazione dei pregiudizi di genere
nell’amministrazione della giustizia penale. Le varie istituzioni facenti parte del
programma delle Nazioni Unite vengono invitatati a una continua formazione sul tema e
alla divulgazione nazionale dei modelli intervento risultati vincenti. Alla Commissione
viene richiesto di assicurarsi che “le strategie per affrontare le violenze domestiche, un manuale delle
risorse”, e “le strategie per combattere la violenza domestica: un manuale delle risorse” vengano
pubblicati in tutte le lingue ufficiali delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale prende
nota del rapporto della Segreteria Generale sulla eliminazione della violenza contro le
donne, compresa la revisione della bozza sulle misure pratiche, sulle strategie e sulle
iniziative nel campo della prevenzione del crimine e della giustizia penale per la
eliminazione della violenza contro le donne. L’Assemblea Generale inoltre adotta “ le
strategie modello e le misure pratiche” sulla eliminazione della violenza contro le donne
nell’ambito della prevenzione del crimine e della giustizia penale. Viene raccomandato agli
Stati Membri di lasciarsi guidare da “Le strategie modello e le misure pratiche” per sviluppare
appunto strategie e pratiche volte ad eliminare la violenza contro le donne e di
promuovere la parità delle donne all’interno del sistema giudiziario penale. L’Assemblea
Generale richiede alla Commissione sulla prevenzione del crimine e sulla giustizia penale, tramite il
Centro per la prevenzione internazionale del crimine del Segretariato, di aiutare gli Stati
Membri, qualora ne facciano richiesta, ad applicare “Le strategie modello e le misure pratiche”.
La Commissione inoltre è invitata a considerare l’eliminazione della violenza contro
le donne una delle priorità da affrontare dall’assistenza tecnica e formativa del
Programma delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e della giustizia penale. Il
Segretario generale deve garantire e promuovere l’uso delle “Le strategie modello e le misure
pratiche” e queste insieme alle sue cause e conseguenze, devono essere trasmesse a tutti
gli organi delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale invita il Consiglio Economico e
sociale ad includere in una delle sue sessioni nell’ambito della discussione dei diritti
umani delle donne, il tema della violenza sulle donne, infine viene richiesto al Segretario
Generale di sottoporre all’Assemblea Generale nella sue cinquantaduesima sessione,
tramite il Consiglio Economico sociale un rapporto sulla attuazione della presente
risoluzione.
Il 31 luglio del 2001 viene firmato da settantadue Paesi, la Sintesi del
Protocollo facoltativo relativo alla “Convezione per l’eliminazione di tutte le forme di
- 62 -
discriminazione contro le donne” (1999 ONU). Esso si riferisce ai principi di eguaglianza e di
non discriminazione come compresi nello Statuto dell’ONU, “La Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani”, e in altri documenti riguardanti i diritti umani compresa “La Convenzione
per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne”. Esso riafferma la
determinazione degli Stati interessati che adottano il Protocollo di assicurare il pieno ed
uguale godimento da parte delle donne di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali e
di intraprendere azioni efficaci per prevenire la violazione di tali diritti e libertà. Alla
22a sessione speciale dell’Assemblea Generale relativa a “Donne 2000: uguaglianza fra i
sessi, sviluppo e pace per il ventunesimo secolo”, i governi hanno ribadito l’impegno nei
confronti degli obiettivi contenuti nella Dichiarazione di Pechino e nella Piattaforma di
intervento adottate durante la Quarta conferenza mondiale sulle donne del 1995, e
contenute nel rapporto della Conferenza; inoltre i governi hanno esaminato e valutato i
progressi fatti da allora e hanno individuato gli ostacoli da rimuovere per realizzare
appunto gli obiettivi della Piattaforma di intervento a livello locale, regionale, nazionale
e internazionale al fine di raggiungere l’uguaglianza fra i sessi, dello sviluppo e della pace.
La risoluzione dell’ONU n. 54/134 del 17 dicembre del 1999 proclama il 25
novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, giorno che
ricorda l’eccidio delle sorelle dominicane Mirabal da parte della polizia del dittatore
Truijllo avvenuto nel 1960 108.
Da queste normative possiamo vedere come a livello mondiale, seppur
tardivamente, siano state prese misure di contrasto alla violenza di genere e quindi il
riconoscimento del problema da parte di vari paesi del mondo con culture diverse;
tuttavia, vediamo che tali misure non bastano a soffocare il fenomeno. Per contrastare la
violenza di genere bisogna fare in modo che aumenti la consapevolezza e la percezione
della violenza da parte di ogni membro della società, perché questo problema c’è sempre
stato ma soltanto adesso lo vogliamo vedere. L’accettazione e la tolleranza nei confronti
del problema fino a pochi anni e talvolta ancora oggi, in alcuni contesti sociali, ma anche
psicologici, hanno fatto in modo che le donne vittime di violenza non esprimessero il
108
L’assemblea generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste,
riunitesi nell’incontro femminista latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà (Colombia) nel
1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio avvenuto il 25 novembre del 1960 delle tre
sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di
contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana
nell’arretratezza e nel caos dal 1930 al 1961.
- 63 -
problema e non chiedessero aiuto, non solo per vergogna e paura, ma anche perché
molte di loro credevano che fosse una condizione “normale” dell’essere donna.
Anche nei paesi più “progrediti”, come l’Italia , questa consapevolezza ha
cominciato a manifestarsi recentemente. Infatti in Italia è alla fine degli anni Ottanta che
numerose associazioni di donne avviano esperienze dapprima di conoscenza e
accoglienza delle domande di aiuto di donne vittime di violenza e successivamente
aprono servizi che si specializzano nell’aiuto di donne in difficoltà ed ai minori; ma fino
alla metà degli anni Novanta le istituzioni italiane non applicavano nessun tipo di politica
contro la violenza di genere. Tutto ciò non deve sorprendere se pensiamo che in
Italia solo nel 1970 viene introdotto il divorzio 109, nel 1975 viene approvato il nuovo
diritto di famiglia 110, e solo nel 1975 viene abolita l’autorità maritale 111, che prevedeva
l’utilizzo di “mezzi di correzione” da parte del marito nei confronti della donna, e
successivamente, nel 1981, scompare il delitto d’onore, il quale era sanzionato con pene
attenuate rispetto ad analogo delitto con movente diverso; nello stesso anno scompare
anche il “matrimonio riparatore” che consentiva a chi avesse commesso uno stupro di
vedere estinto il proprio reato qualora avesse contratto il matrimonio con la propria
vittima. Tutto ciò è molto significativo e consente di delineare il contesto culturale
italiano in quegli anni, la sordità delle istituzioni nei confronti di questo problema e,
quindi, anche il livello di tolleranza da parte dell’intera società riguardo a questo
fenomeno. Le norme giudiziarie erano caratterizzate da una forte asimmetria di genere,
vigeva un sistema che poneva le donne legittimamente in condizioni di sottomissione e di
dipendenza nei confronti del potere maschile.
La Legge 66 del 1996 fa si che la violenza sessuale da reato contro la morale
diventi reato contro la persona e la libertà individuale; in seguito con la L. 154 del 2001
109
110
111
L. 898 del 1 dicembre 1970 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”.
L. 151 del 19 maggio 1975 “Riforma del diritto di famiglia”: con questa legge viene ristabilita la parità
giuridica dei coniugi, viene abrogato l’istituto della dote, venne riconosciuta a i figli naturali la stessa
tutela prevista per i figli legittimi, venne istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale
della famiglia ( in mancanza di diversa convenzione), la patria potestà venne sostituita dalla potestà di
entrambi i genitori, in particolare nella tutela dei figli. Il coniuge superstite nella successione ereditaria
diventa erede, mentre prima legalmente, non ereditava nulla.
Titolo XI Dei delitti contro la famiglia, Capo IV Dei delitti contro l’assistenza familiare, art. 571 c.p.
“Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina”: con la nuova concezione di famiglia che emerge dalla
Costituzione, nonché dalla nuova riforma che il legislatore ha operato nel 1975 e dalle disposizioni
delle Convenzioni internazionali viene suggerita una nuova concezione di famiglia, impostata su basi
paritarie, in cui i diritti, doveri, obblighi fanno capo a ciascun membro. Abbandonando il modello di
famiglia patriarcale si è arrivati a bandire l’applicazione dell’art. 571 c.p. nei confronti della moglie.
- 64 -
viene invece previsto l’allontanamento del familiare violento per via civile e penale.
Le date di queste leggi fanno capire il ritardo da parte delle istituzioni italiane nel
prendere provvedimenti specifici per un problema sempre esistito; fortunatamente le
culture femministe hanno avuto un peso rilevante affinché si cominciasse a parlare del
fenomeno, in modo che questo non rimanesse confinato nella sfera privata della famiglia.
Rompere il silenzio è stato il primo passo fondamentale per avviare qualsiasi tipo di
iniziativa di contrasto alla violenza di genere.
II.2. Dall’Amore al conflitto di coppia
a. Le trasformazioni famigliari
“Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti. La
famiglia di oggi non è più o meno perfetta della famiglia di una volta: è sola
diversa perché le circostanza sono diverse” 112. Partendo da questa citazione di
Émile Durkheim cerchiamo di ripercorrere la trasformazione della famiglia
parlando, in particolar modo, delle mutazioni nelle configurazioni familiari, nei
ruoli di genere e nelle relazioni derivanti dall’aumento della complessità culturale
che ha inevitabilmente modificato il modo di vivere di uomini e donne. Tutto
questo è collegato a una serie di sconvolgimenti sociali, economici e politici che
ha determinato un cambiamento rapido e inaspettato delle famiglie e delle
società. Tali cambiamenti sono molteplici e abbiamo assistito ad un “apparente”
passaggio da una fase di “progressiva estinzione” del patriarcato a una nuova
ristrutturazione della famiglia in cui la conditio sine qua non per una buona riuscita è
l’equità nel rapporto tra i generi.
La famiglia è un gruppo, Lewin ci dice che il gruppo è “qualcosa di più o, per
meglio dire, qualcosa di diverso, dalla somma dei suoi membri: ha struttura
propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne
costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i
112
DURKHEIM É., Introduction à la sociologie de la famille, 1888, Annales de la Faculté des Lettres de
Bordeaux, 81-257, citato in BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima,
Edizioni ETS, Pisa, 2012, p.125.
- 65 -
suoi membri, bensì la loro interdipendenza. […] un cambiamento di stato di
una sua parte o frazione qualsiasi, interessa lo stato di tutte le altre” 113.
Andando più nel dettaglio, e rifacendoci agli studi sui gruppi condotti da
Cooley 114, la famiglia può essere vista come un piccolo gruppo 115, o più
correttamente, un “gruppo primario” che ricopre due funzioni fondamentali in
relazione alla costruzione dell’identità individuale e alla costruzione della società.
Da questo punto di vista possiamo definire la famiglia come un’organizzazione
di relazioni primarie fondata sulla differenza di genere e su quella tra
generazioni, e dunque, per questo motivo tale gruppo organizza le relazioni
secondo due assi ben distinti: l’asse coniugale e l’asse parentale 116.
Analizzando la famiglia dal punto di vista dei grandi Autori classici della
sociologia, comprenderemo come tali contributi allo “stare insieme” siano utili a
spiegare la rilevanza rivolta alla sfera privata, ambiente
primario della
socializzazione e ambito riproduttivo e produttivo. I più importanti sociologi del
XIX 117 secolo hanno adottato come modalità di studio l’evoluzione della
famiglia verso forme sempre più complesse, mantenendo intatta la gerarchia di
potere che costituiva una continuità a discapito, ovviamente, della donna che si
trovava sempre in una posizione subordinata.
113
114
115
116
117
LEWIN K., Field theory in social science, Harper& Row, New York, 1951 (tr. It. Teoria e sperimentazione
in psicologia sociale, Bologna, 1972) citato in MANTOVANI G., (a cura di), Manuale di psicologia sociale,
Milano, 2003, p. 202.
COOLEY C. H., Social organization, New York, 1909 (tr. It. L’organizzazione sociale, edizione di
Comunità, Milano, 1977) citato in MANTOVANI G., ( a cura di), Manuale di psicologia sociale, Milano,
2003.
DE GRADA, Fondamenti di psicologia dei gruppi, Carocci, Roma,1999, citato in MANTOVANI G., (a cura di),
Manuale di psicologia sociale, Milano, 2003, sottolinea come, oltre alla caratteristica fondamentale secondo
cui ogni membro è in relazione con gli altri, la famiglia ha altri nove caratteri che ne permettono una
definizione come “piccolo gruppo”.
L’asse parentale implica le diverse generazioni che si riscontrano all’interno di una famiglia. Di solito si
parla di un campo relazionale di tipo tris-generazionale: nonni, neo marito e neo moglie e figli.
Ricordiamo: Auguste COMTE (1789-1875), Herbert Spencer (1820-1903), Émile DURKHEIM (18581917). Secondo Auguste COMTE, la famiglia costituisce l’unità sociale più piccola, ma al tempo stesso
fondamentale, nella quale si apprendono i rapporti di rispetto, solidarietà e socialità e dove si insegnano
le corrette relazioni tra i sessi. Secondo questo sociologo francese, grande esponente del positivismo, la
famiglia racchiude un rapporto di strutturazione gerarchica in cui è normale che l’uomo comandi in
quanto la donna rappresenta il potere spirituale. Herbert SPENCER colloca la società e dunque anche la
famiglia all’interno del mondo superorganico e ne studia l’evoluzione in un ottica di “mutamento
sociale” che implica uno sviluppo di tipo progressivo verso una maggior complessità. Émile
DURKHEIM, adottando lo schema evoluzionistico dei suoi predecessori, presenta la storia della famiglia
come un continuum che ha inizio in una fase di “comunismo familiare” fino a culminare in una forma
di famiglia coniugale tipica delle società industriali.
- 66 -
Analizzare il ruolo della donna nel passato vuol dire ragionare su “la sua
subordinazione ai ruoli familiari” 118, nonché sulla dipendenza dall’altrui volontà,
prima del padre e poi dell’“autorità maritale” 119. Concentrare l’attenzione sulle
dinamiche che animano l’ambiente domestico, ci permettere di prendere
coscienza delle gerarchie comportamentali che vigevano in famiglia.
Nella casa paterna la donna ha sempre contribuito alla gestione familiare anche
se di fatto, sappiamo bene, senza nessun apporto economico, vista
l’impossibilità di svolgere un lavoro fuori casa. La donna, come figlia, era dedita,
insieme alla madre, all’accudimento dei fratelli più piccoli e alla cura
dell’ambiente domestico.
Con il matrimonio la posizione della donna sembra non cambiare, o meglio
quello che muta è solo l’autorità a cui è subordinata, ma non le mansioni e il
ruolo che ricopre: “la naturalità del ruolo materno” 120 la esclude ancora una volta
dalla sfera pubblica 121. Questo senso di predominanza che l’uomo sente verso la
propria donna è legato anche alla considerazione che gli uomini hanno di sé. I
“sistemi di aspettative orientati al genere” 122 sono interiorizzati dall’individuo
attraverso il processo di socializzazione che comincia con il momento della
nascita e continua fino all’età adulta. Il background culturale e storico mostra
che gli uomini hanno aspettative di tipo patriarcale che incoraggiano la
dominanza dell’uomo e la sottomissione della donna. Queste attese, che
creano un “progetto di mascolinità” 123, sembrano indicare che, se l’uomo ha più
diritto della donna al raggiungimento del potere e della libertà, e se il suo senso
di mascolinità dipende dal fatto che la sua partner soddisfi tutti i suoi bisogni,
il suo intento è quello di conservare il modello appena delineato nel rapporto con
lei. Anche gli impianti normativi risalenti ai primi anni del XIX secolo, riguardanti
118
119
120
121
122
123
BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, op. cit., p. 50
BIANCHERI R., op. cit., p. 51.
BIANCHERI R., op. cit., p. 50.
In BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012, viene
messo in evidenza come l’allontanamento della donna da casa poteva essere percepito in due diversi modi:
alcuni ritenevano che questo potesse comportare la distruzione della famiglia, dall’altro, Engels lo leggeva
come “una prima tappa della liberazione della moglie dalla subordinazione del marito”.
CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini
che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 49.
CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit. , p. 49.
- 67 -
la famiglia, mettono in evidenza come, l’autorità maritale dovesse rimanere un
elemento su cui continuare a fondare la famiglia e che dunque, per questo
motivo, non sarebbe stata oggetto di modifica. Il codice civile nazionale
francese (Code Napoléon, 1804) introdotto nei paesi occupati dalle truppe
napoleoniche, sebbene avesse previsto dei provvedimenti che intervenivano sul
matrimonio, sul divorzio e sulle regole di successione, nessuna modifica ha
apporto in merito alle concezioni gerarchiche e alle regole patriarcali, tanto che
rimaneva salda “la podestà paterna sui figli e maritale sulla moglie” 124. Ciò che
emerge da quanto appena detto altro non è che un consolidamento del
patriarcato dove la donna rimane ancora nell’ombra 125, sia per lo scarso ruolo
ricoperto in famiglia, sia per la sua non presenza nella sfera pubblica. Nelle
famiglie patriarcali, dove l’autorità maritale era presente, la violenza dell’uomo
sulla donna era volta a sistemare “questioni fra uomini” e dunque connessa
soprattutto a delitti d’onore 126, al desiderio di possesso e di dominio. La
soggettività della donna era completamente assente 127: Lévi Strauss definirebbe le
donne oggetto e mezzi di scambio fra uomini sia per una questione di onore
che di gerarchie 128; quindi, di fatto, l’amore non rappresentava un sentimento
su cui investire. In questo contesto il matrimonio si forma su degli interessi
124
125
126
127
128
SARACENO C., NALDINI M., Sociologia della famiglia, il Mulino, Bologna, 2001, p. 212. La situazione non
migliorò nemmeno con l’introduzione del codice Pisanelli del 1865 che, affondando le suo radici nel
codice napoleonico, rimarcava l’autorità del marito, e in più attribuiva “un’ulteriore autorità al marito,
attraverso il principio dell’autorizzazione maritale”. In epoca fascista, con il codice Rocco del 1942,
venne rafforzata l’autorità del marito e la donna “incoraggiata nel ruolo di madre e moglie” e dunque
ancora una volta il suo compito era esclusivamente quello di fornire lavoro domestico e di occuparsi
della cura dei figli e degli altri membri presenti in famiglia.
In BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012,
p. 51, l’idea di questo “ruolo femminile passivo” veniva contraddetta solo quando si doveva trattare i
casi di stupro, perché, in tale circostanza, la donna era presentata come “un’abile ammaliatrice, non
vittima succube ma seduttrice”.
In BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012
viene messo in evidenza come, in quel periodo, fosse considerato una “questione di onore” anche la
castità prematrimoniale femminile, qual ora questa non fosse stata presente, era compromesso l’onore
dell’intera famiglia.
Come di fatto assente era anche il riconoscimento delle donne come soggetto giuridico e, per non
tralasciare il fatto, che la donna non aveva “alcun diritto di disporre dei propri beni e quello che
possedeva passava al marito dopo il matrimonio” in BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti
e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012, p. 53.
In BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012,
si ricorda come, sebbene la Chiesa protestante e quella cattolica cercarono di valorizzare la posizione
della donna in famiglia limitatamente ai suoi ruoli cercando di garantire più rispetto reciproco, la
gerarchia tra i generi non doveva essere messa in discussione.
- 68 -
diversi da quelli della coppia e l’unione era più che altro una questione
economica. L’amour passion, caratteristico di questo periodo, non era legato al
matrimonio 129. Agli inizi del XX secolo Talcott Parsons (1902-1979) sottolinea
come il rapporto marito/moglie fosse legato a una suddivisione di ruoli:
l’uomo ricopriva una funzione strumentale ossia lavorava per portare il
sostentamento alla famiglia, mentre la donna-madre rappresentava il ruolo
espressivo in quanto aveva il dovere di mantenere coeso il gruppo familiare:
“Avendo un occupazione e un reddito soddisfacenti (il marito padre) adempie
una funzione o una rete di funzioni essenziali per la sua famiglia in quanto
sistema… è soprattutto in virtù della sua importanza professionale considerata
come una componente del proprio ruolo famigliare che, nella nostra società, noi
possiamo in modo univoco designare il marito-padre come leader strumentale
della famiglia… (parallelamente) il ruolo femminile non ha cessato d’esser
fondamentalmente ancorato al funzionamento interno della famiglia, in qualità
di sposa, madre e padrona di casa 130”. In questo modo Parsons sottolinea come,
anche laddove la donna lavori, non avrebbe potuto sostituirsi al marito e
dunque “non può sorgere su questo punto nessun problema di simmetria tra i
due sessi” 131 perché coloro che svolgevano una professione erano per lo più
nubili, vedove o divorziate senza figli. Questa differenza di funzioni all’interno
della famiglia rappresenta per l’Autore il fondamento e l’equilibrio della struttura
sociale, creando quella che da lui viene chiamata la complementarietà dei ruoli.
Un modello questo che altro non fa che mantenere invariate le asimmetrie tra
uomo e donna all’interno della sfera privata e anche il bambino, che cresce in
questa famiglia, arriverà a percepire come normale che la madre sia colei che si
occupa di lui e che non lavori per rimanergli vicino 132.
129
130
131
132
GIDDENS A., La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Il Mulino, Bologna, 1995.
PARSONS T., BALES R., Famiglia e socializzazione (ed. originale 1955), Mondadori, Milano, 1974, citato in
BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, op. cit., p. 120.
PARSONS T., BALES R., Famiglia e socializzazione (ed. originale 1955), Mondadori, Milano, 1974, citato in
BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012, p. 120.
MICHEL A., Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 1973, citato in BIANCHERI R., Famiglia di ieri,
famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012, p. 122 mette in evidenza come
“[…]. Il bambino è abituato così fin da piccolo a considerare come normale sia il ritiro della propria
madre dalla vita professionale, sia, quando essa lavora, il sovraccarico domestico” e ancora “e quando i
modelli contrari all’uguaglianza tra i sessi sono la grammatica insegnata ai bambini fin da piccoli, sarà
ben difficile a questi liberarsene una volta adulti”. Questo mette chiaramente in evidenza una
- 69 -
La famiglia nucleare, dunque, nasce con l’industrializzazione e i processi di
urbanizzazione 133 ed è fondata su un modello male breadwinner 134, su di una
concezione di gratuità del lavoro di cura e una divisione “funzionale” dei ruoli. In
quel periodo il buon funzionamento familiare era valutato sulla base di saldi ruoli
di genere. Inoltre, i coniugi di solito non si aspettavano di arrivare a comprendere
veramente l’un l’altro: davano generalmente per scontato che mascolinità e
femminilità fossero opposti. Pur vivendo sotto lo stesso tetto, marito e moglie
vivevano in due mondi separati: i loro compiti erano distinti e le aspettative erano
diverse da quelle attuali poiché il partner era visto come un ruolo: marito o
moglie; padre o madre. La motivazione che portava a sposarsi e costruire
una famiglia, poneva inevitabilmente in secondo piano il partner come individuo,
che, appunto, rinunciava alla propria individualità in favore della famiglia. Non
era permesso nessun confronto emotivo, di cui peraltro era capace solo la donna,
perché, di fatto, l’uomo rinnegava sin da bambino la propria emotività e
vulnerabilità a causa del ruolo di pater familia che la società imponeva di
assumere. A partire dagli anni Sessanta del XX secolo inizia a diffondersi una
certa instabilità del tipo di famiglia sopra descritto perché tale gerarchia dei
generi e differenziazione dei ruoli diventa causa di conflitto nella coppia.
L’emergere della donna in una posizione che si avvicina molto a quella del
partner maschio, comporta un nuovo “gioco di ruoli” 135 che contribuisce a
mettere “in relazione due universi in gran parte contrastanti 136”. L’invisibilità
della donna, tipica delle società tradizionali 137, sembra lasciare lo spazio ad un
133
134
135
136
137
riproduzione di disuguaglianza quando il bambino sarà un uomo adulto.
Tutto ciò si spiega facendo riferimento al fatto che con il processo di industrializzazione il lavoro
salariale e quello familiare sono completamente separati e ascritti a due sfere diverse in base
all’appartenenza di genere.
Nella sua forma ideale, questo modello si fonda sull’idea di una divisione del lavoro tra uomini e
donne, sull’attribuzione all’uomo (adulto) del ruolo di procacciatore di risorse (breadwinner) e alla
donna del lavoro di cura non retribuito. Nei Welfare state il male breadwinner si è tradotto nel sostegno
dato al capofamiglia (maschio adulto lavoratore) attraverso varie forme di salario familiare; es.: assegni
familiari, detrazioni fiscali, ecc. Le donne sono viste come “dipendenti” e sono loro riconosciuti diritti
di tipo “derivato”, in virtù del loro status di mogli e madri.
KAUFMANN J.C., Agacements. Les petites guerres du couple, Paris, Armand Colin, 2007 (tr. It. Baruffe d’amore.
Le piccolo guerre di coppia., Il Mulino, Bologna 2008.), p. 55.
Ibidem.
KAUFMANN ci ricorda come “nelle società tradizionali, l’uomo occupava una posizione di potere, malgrado
non facesse nulla in casa. Oggi non fa molto di più (i progressi ci sono, ma lenti), in parte perché non vuole,
in parte perché esiste una difficoltà tecnica ad uscire dalla posizione di secondo ruolo […]”.
- 70 -
individuo che “cerca con tutti i mezzi di affermarsi e di essere se stesso 138”.
A tal proposito Kaufmann (2008) afferma a chiare lettere che “le donne […]
sono più coinvolte, cercano delle soluzioni, affrontano i problemi a carte
scoperte 139”, ponendo gli uomini in una posizione di “secondo ruolo 140”.
Il rapporto disuguale e conflittuale tra i due gender tende a farsi più forte col
passare degli gli anni, nonché quando le donne cercano di rivendicare una
posizione sociale in famiglia e nella società che in precedenza era stata loro
negata. Dal punto di vista parsoniano la famiglia nucleare rappresenta il punto di
arrivo di un’evoluzione complessa e duratura, ma Esping-Andersen 141 non
sembra condividere questo punto, perché ormai si è superato il modello che
vede l’uomo come unico procacciatore di risorse, anche qualora la
specializzazione di genere sia decisa in modo razionale dalla coppia 142. Questo
Autore parte dall’idea che negli ultimi decenni del XX secolo si è assistito ad
un notevole passo avanti caratterizzato dalla ricerca da parte delle donne “del
proprio capitale umano, della propria autonomia economica e del proprio tempo
da dedicare a un lavoro pagato, ricerca che allo stesso tempo ridefinisce la vita
familiare 143”. Ovviamente combinare famiglia e indipendenza economica non è
semplice e comporta inevitabilmente una riorganizzazione dei ruoli di genere che
il partner maschio si dimostra, in molti casi, incapace di accettare e, questo
comportamento dell’uomo, può portare ad una violenza maschile che pare
accrescersi ed essere paragonabile ad una “forma estrema di reazione alla libertà
femminile 144”.
138
139
140
141
142
143
144
KAUFMANN J.C, op. cit., p.57.
KAUFMANN J.C, op. cit., p.66.
Ibidem.
ESPING-ANDERSEN G., La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, Il Mulino, Bologna 2011.
BECKERE G., A Treatise on the Family, Cambridge, Mass., Harvard University Press., 1981 citato in
ESPING-ANDERSEN G., La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, Il Mulino, Bologna, 2011. Becker
ritiene che il modello più efficiente per il benessere della famiglia sia quello in cui il maschio è
procacciatore di risorse e la donna casalinga. Secondo l’economista la coppia decide in modo razionale
sulla base delle varie produttività che i due coniugi possono offrire alla coppia. ESPING-ANDERSEN nel
testo La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, p. 46, è tra coloro che criticano questo modello
perché “ignora il peso delle norme, per non parlare dell’amore, nei comportamenti matrimoniali.
Basandosi sul modello della scelta razionale, questa teoria presume che le decisioni sulla specializzazione
derivino principalmente dalla valutazione delle rispettive produttività all’interno della coppia […]”.
ESPING-ANDERSEN G., La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, op. cit., p. 22.
CORRADI C., (a cura di) I modelli sociali della violenza contro le donne, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 93.
Questo concetto viene correttamente ribadito anche in BIANCHERI R., (a cura di), Ancora in viaggio verso
la parità. Dialogando con Annamaria Galoppini, 2012, dove si sottolinea come gli episodi di aggressione
- 71 -
Esping-Andersen mette in luce, più volte, come “l’equilibrio dell’uguaglianza di
genere […] è lontano dall’essere dominante per non parlare di egemonia” 145 e
questo ovviamente comporta un incertezza sui prossimi principi che potranno
caratterizzare un equilibrio futuro tra i due generi. Ad oggi non si parla più di
unico modello di famiglia perché assistiamo a processo di esplosione delle forme
familiari, che si moltiplicano, e implosione, con la riduzione del numero dei
componenti 146. Questi processi sono stati sostenuti da fattori sociali, culturali,
economici quali: l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento del ruolo
sociale della donna
e l’aumento della
scolarizzazione femminile. In
considerazione di quando è stato sostenuto in questo paragrafo, possiamo
concludere che, negli ultimi decenni, una serie di sconvolgimenti sociali,
economici e politici ha determinato un cambiamento rapido e inaspettato delle
famiglie, delle società e delle mutazioni nelle configurazioni familiari, dei ruoli di
genere che ha inevitabilmente modificato il modo di vivere di uomini e donne.
Un buon rapporto tra i generi sembra non essersi ancora realizzato soprattutto
nei paesi dove prevale ancora una concezione sessista che porta l’uomo a
rifiutare qualsiasi affermazione di autonomia della donna. Possiamo chiudere
questo riflessione sui cambiamenti famigliari con una citazione di EspingAndersen che si domanda quale potrebbe essere la miccia necessaria per
innescare un cambiamento allo scopo di rompere l’egemonia maschile ed
essere fonte di nuovi sviluppi: “Se la rottura implica che gli uomini assumano una
divisione di genere dei compiti egualitaria la soluzione deve trovarsi in uno di
questi detonatori: o perché le donne […] obbligheranno i mariti ad accettare
una maggiore uguaglianza o perché la scelta del partner verrà a dipendere da una
logica diversa rispetto al passato 147”.
145
146
147
siano tipici di quegli uomini che perdono il controllo sulla propria compagna. Questo punto è
importante anche quando vendono trattati i casi di femminicidio nel testo di IACONA R., Se questi sono
uomini, 2013, Chiare lettere Editore, Milano, 2013, dove gli uomini uccidono le loro compagne quando
percepiscono da parte loro una spinta di libertà e di indipendenza che loro non riescono a controllare:
è proprio nel momento in cui la donna reagisce che essi uccidono.
ESPING-ANDERSEN G., La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 22.
In ZANATTA A. L., Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna, 1997, viene presentato uno scenario, quello
contemporaneo, caratterizzato da una moltitudine di forme familiari tra le quali ricordiamo: famiglie di
fatto, famiglie mono genitoriali e famiglie ricostruite.
ESPING-ANDERSEN G., La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglia e welfare, Il Mulino, Bologna 2011, p. 26.
- 72 -
b. La ricerca di una parità uomo-donna in ambito lavorativo
Nel paragrafo precedente abbiamo trattato le trasformazioni famigliari in ambito
strettamente domestico mettendo in evidenza come, con il passare del tempo,
siamo arrivati a parlare di un “parziale” mutamento dei ruoli di genere, dove la
donna sembra acquistare sempre più importanza in un mondo inizialmente
“gestito” da uomini. Cercheremo, adesso, di mettere in evidenza anche le
trasformazioni che sono avvenute in ambito extra domestico, un contesto ancor
più che mai ostile ad un affermazione del sesso femminile.
Alain Touraine (2009) 148 sostiene che per molto tempo le donne sono state
definite dall’esterno in ragione della loro inferiorità, ma oggi hanno assunto un
nuovo ruolo alla luce di un innovativo modello culturale: siamo passati dalla
donna “per l’altro” alla donna “per sé”. Sottomesse per secoli alla propria
funzione sociale e al potere degli uomini, i movimenti femministi hanno
combattuto per ottenere indipendenza economica, uguaglianza giuridica e libertà
sessuale, per ricoprire un ruolo nella sfera pubblica che fino ad adesso gli era
sempre stato negato. In questo modo il sociologo francese cerca di focalizzare
l’attenzione sul soggetto e sul ruolo forte esercitato dalle donne per la fuoriuscita
da sistemi dei poteri anche in ambito lavorativo.
A partire dagli anni Sessanta del XX secolo, l’interazione tra i generi si fa sempre
più connotata da scontri in cui il sesso femminile cerca di rivendicare e
affermare la propria personalità alla luce di un ormai consolidato dominio
maschile 149. Lo scontro tra i due generi dove, di fatto, la donna può
rappresentare l’“innovazione” rispetto a una condizione del passato, ha il suo
focus iniziale sul lavoro extra domestico, oggetto di dibattito in quegli anni.
In ambito lavorativo le donne sono riuscite ad ottenere qualche parziale
riconoscimento che non le pone, però, in una condizione di assoluta parità ciò
perché il cammino è ancora lungo e tortuoso in quanto le discriminazioni oggi
assumono forme diverse e più sottili da riconoscere. Due elementi caratterizzano
l’idea che “la piena uguaglianza è ancora una lontana premessa”: il primo
148
149
TOURAINE A., Il mondo è delle donne, Il Saggiatore, Milano, 2009.
BOURDIEU P., Il dominio maschile, (ed. originale 1998), Feltrinelli, Milano, 2009.
- 73 -
riguarda il fatto che, nonostante un lungo excursus storico in cui si è cercato di
giungere a una parità di trattamento in ambito lavorativo tra l’uomo e la donna,
di fatto ancora molte disparità rimangono, il secondo riguarda la lentezza dei
cambiamenti e i rapporti di dominio che si sono andati rafforzando negli anni.
Si è partiti da un disconoscimento sostanziale dell’uguaglianza e della parità, si è
passati, poi, ad eliminare le discriminazioni più stridenti, e solo più tardi si è
giunti a postulare un diritto di parità. Affinché ciò non restasse solo una diritto
astratto, contraddetto spesso dal datore di lavoro, si è arrivati a un ulteriore fase
segnata dalla Legge 125/1991 che ha offerto una strumentazione concreta a
garanzia del raggiungimento di quel diritto poc’anzi citato.
In quest’ottica cerchiamo di ripercorrere brevemente questi passaggi allo scopo
di comprendere come anche, nell’ambito del lavoro extra domestico, la donna
faccia fatica ad affermarsi, seppur molte sono state le legislazioni a suo favore.
La Legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro) attuativa delle Direttive CE 75/117 e 76/207, ha rappresentato
un importante passo avanti introducendo, in materia di lavoro, elementi di parità
di trattamento. Obiettivo primario è quello di ribaltare la tradizionale
prospettiva della tutela differenziata e realizzare una parità di trattamento e,
per questo, si dice che si passa “dalla tutela alla parità”. Tale forma di
uguaglianza appare solo formale ovvero basata esclusivamente su un principio
“individualistico e consapevolmente cieco rispetto alle differenze 150”. A
dimostrazione di questo abbiamo l’introduzione del divieto di lavoro notturno
per le donne 151 che portò a un risultato tale per cui “le donne hanno guadagnato
la chance di lavorare di notte ma hanno perso il diritto di non fare lavoro
150
151
BIANCHERI R. (a cura di), Ancora in viaggio verso la parità. Dialogando con Annamaria Galoppini, Ed. Plus,
Pisa, 2012, p. 25.
La legge n. 903/1977 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) annovera tra le
fondamentali caratteristiche e innovazioni introdotte il divieto di qualsiasi discriminazione; a tal
proposito è opportuno ricordare come in quel periodo si ritenesse il vietare il lavoro notturno alle
donne come una protezione verso il sesso femminile. Per la Corte di Giustizia della Comunità Europea
tale forma di protezione rappresentava una vera discriminazione fondata sul genere e per questo
motivo nel 1997 condanna l’Italia per aver mantenuto in vigore, nel proprio ordinamento giuridico, il
divieto di lavoro notturno per le donne. La Corte di Giustizia, 4 dicembre 1997, C- 207/96,
Commissione delle comunità europee c. Repubblica Italiana, rende attuativo il divieto, opponibile alle
sole donne, di prestare lavoro notturno.
- 74 -
notturno 152”. Maria Vittoria Ballestrero 153 alla luce di tale provvedimento,
ritiene che il divieto poteva essere letto come, piuttosto che un trattamento
differenziale, “un diritto: il diritto, riconosciuto alle donne, di non fare lavoro
notturno 154”. È proprio sulla comprensione del concetto di discriminazione che
si costituisce il focus del problema delle pari opportunità. Il fatto discriminatorio
implica due fattispecie: una discriminazione diretta basata su caratteristiche
soggettive e, una indiretta che fa riferimento a un apparente trattamento
uniforme che in realtà produce effetti discriminatori.
Un ulteriore passo avanti per la realizzazione della parità uomo- donna nel
mondo del lavoro è stato compiuto con la Legge 10 aprile 1991, n. 125 (Azioni
positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) che da un lato è
intervenuta a rimuovere azioni discriminatorie, dall’altro ha introdotto due figure
rilevanti, tutt’oggi esistenti: il Comitato nazionale di parità e il Consigliere di
parità. Questa legge ha offerto strumenti concreti a quell’affermazione di parità
decantata dalla legge n. 903 del 1977, affinché il tutto non rimanesse solo in
una sfera astratta. Da ultimo, tutta la materia è stata riformata dapprima con
la Legge 8 marzo 2000, n. 53 155 (Disposizioni per il sostegno della maternità e
della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento
dei tempi delle città) e successivamente con l’emanazione del d.lgs. 26 marzo
2001, n. 151 il cosiddetto “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e di sostegno della maternità e della paternità”, che ha coordinato e
integrato in un unico testo le disposizioni in materia di: tutela della salute della
lavoratrice, congedo di maternità e paternità, congedo parentale, riposi e
permessi, congedi per la malattia del figlio, lavoro notturno e divieto di
licenziamento.
152
153
154
155
BIANCHERI R., op. cit., p. 27. Piuttosto che valutare la correttezza o meno dell’intervento della Corte
che ha percepito il diritto delle donne di non lavorare di notte come un trattamento disuguale più
favorevole a esse, dovremmo piuttosto muoverci nell’incentivare l’equilibro tra lavoro e responsabilità
familiare in modo da non far gravare tutto il peso sulla donna.
Il viaggio è ancora lungo. La discriminazione di genere nel lavoro trent’anni dopo la legge di parità in BIANCHERI R. (a
cura di), ANCORA IN VIAGGIO VERSO LA PARITÀ. DIALOGANDO CON ANNAMARIA GALOPPINI, cit.
BIANCHERI R. (a cura di), Ancora in viaggio verso la parità. Dialogando con Annamaria Galoppini, cit., p. 27.
Con la Legge n. 53/2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) sono state introdotte importanti
novità come: la flessibilità nella distribuzione temporale dei cinque mesi di congedo per maternità
obbligatorio e di quello opzionale; il riequilibrio delle responsabilità di cura tra i genitori; responsabilità
per gli enti locali per il coordinamento dei “tempi delle città”.
- 75 -
La parità non è stata raggiunta, ma le donne iniziano a lavorare più con maggior
frequenza e il denaro guadagnato non solo, determina indipendenza economica,
ma assume un ruolo simbolico nei rapporti di potere nel matrimonio 156.
In questo modo, nonché nel momento in cui la donna riesce ad ottenere un
inserimento lavorativo, si passa dalla discriminazione alla violenza contro le
donne perché è come se adesso la situazione abbia subito un capovolgimento
incompleto: ossia, se da un alto le donne sono riuscite finalmente ad ottenere
dei “parziali” riconoscimenti in ambito extra domestico, riuscendo, in media, a
guadagnare quanto gli uomini, adesso tale sviluppo sembrerebbe ritorcersi
ancora una volta verso il sesso femminile. Infatti, ove l’asimmetria del titolo di
studio e del reddito percepito siano a sfavore del maschio, le forme di
aggressione e di violenza sembrano aumentare 157. Nonostante le donne siano
definite
“produttrici
dell’organizzazione
sociale”
o
“attrici
della
ricomposizione”, esse si trovano ancora in una situazione di grande inferiorità,
sia rispetto alle difficoltà di trovare un lavoro direttamente proporzionato al
proprio livello d’istruzione, sia per ciò che attiene alla necessità di farsi
rispettare nell’ambiente domestico, che come abbiamo visto, apparteneva loro
fin dalle origini. Ovviamente, come abbiamo detto, a rendere incompleto il
percorso verso una parità di trattamento in ambito lavorativo tra uomo-donna
si è aggiunto anche la lentezza dei cambiamenti causati da uomini che si
oppongono con resistenza a un mutamento dei rapporti di dominio.
Quanto detto non fa altro che comportare un notevole divario tra le competenze
acquisite dalle donne e la rilevanza di questa presenza nel mercato del lavoro,
questo perché molte donne sono ancora caratterizzate da una cittadinanza debole
causa tali da un patriarcato che fa fatica a sradicarsi.
c. Le trasformazioni dell’intimità
“Alcuni hanno sostenuto che l’intimità può essere opprimente, e certamente lo è
156
157
A tal proposito ULRICH BECK, noto sociologo tedesco, ci dice che il lavoro rappresenta una svolta per
la donna in quanto le garantisce una sua indipendenza economica e un superamento dallo stato di
casalinga e moglie, ma dall’altro lato non favorisce una collaborazione domestica del partner.
CORRADI C. (a cura di ), I modelli sociali della violenza contro le donne, Franco Angeli Editore, Milano, 2008.
- 76 -
se si considera come una pretesa di costante vicinanza affettiva.
Eppure, se la si guarda come una sorta di negoziazione dei legami interpersonali
da parte di eguali, essa acquista un valore completamente nuovo.
L’intimità implica una democratizzazione su vasta scala dei rapporti
interpersonali (...)” (GIDDENSA., La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed
erotismo nelle società, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 9).
Partendo da un’affermazione di Kaufmann (2008) secondo cui “tutto comincia
dall’individuo 158” cerchiamo di delineare come, nell’attuale modernità, l’illusione di
cui parla il noto Autore, secondo cui 1+1=1159, sia tipica nella prima fase
dell’innamoramento, ovvero quando ancora le alterità non sono apparse pienamente.
Quello che ne rimarrà alla fine è la cruda verità che 1+1=2 160. La coppia diventa
il terreno fertile per gli scontri più accesi invece di essere usata “come
strumento per sentirsi rilassati e rassicurati 161”. Cercheremo adesso di delineare i
più grandi cambiamenti dell’intimità che avvengono all’interno di una coppia, per
mettere in evidenza come, il sesso maschile sia ostile ad accettare una realtà,
ormai consolidata, che pone la donna al suo stesso livello nell’attività sessuale.
Giddens, nel suo noto libro, “Il mondo che cambia. Come globalizzazione
ridisegna la nostra vita” ci ricorda che “fra tutti i cambiamenti che sono in atto
nel mondo, nessuno è più importante di quelli che riguardano le nostre vite
personali: sessualità, relazioni, matrimonio e famiglia 162”. Questa frase fa riflettere
molto, soprattutto se ci orientiamo verso uno studio delle relazioni in uno
scenario sociale in trasformazione che ha rimesso in discussione i tradizionali
ruoli sociali e i relativi canoni di comportamento che caratterizzavano la
società passata. I rapporti tra i due generi sono mutati, comportando modifiche
anche sul piano delle relazioni più intime, dove, l’amore romantico, che ha
spianato la strada, ne è stato a sua volta indebolito “da alcuni degli stessi effetti
che esso ha contribuito a generare 163”.
158
159
160
161
162
163
KAUFMANN J.C., Agacements. Les petites guerres du couple, Paris, Armand Colin, 2007 (tr. It. Baruffe d’amore.
Le piccolo guerre di coppia, Il Mulino, Bologna 2008.), p. 15.
KAUFMANN J.C., op. cit., p. 23.
Ibidem.
KAUFMANN J.C., op. cit., p. 33. L’Autore ci ricorda anche che è proprio intorno al tavolo da pranzo
che “uno dei coniugi spesso incomincia a raccontare all’altro i piccoli guai della vita”.
GIDDENS A., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 69.
GIDDENS A., La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 96.
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Un buon ritratto di queste trasformazioni è fornito da Giddens (1995), dove
si mette in evidenza come la sessualità resti un tema privato, senza poter essere
disgiunto dall’amore e dal genere; l’Autore ricostruisce altresì il passaggio dal
matrimonio basato su fattori economici e volto a perpetuare la discendenza
alla nascita dell’amore romantico. Gli ideali legati all’amore romantico, diffusi
attraverso il romanzo, hanno liberato il matrimonio dall’idea di unione come
convenienza. L’amore romantico sembra così sostituirsi a quelli che erano i
possedimenti materiali, per orientare la coppia verso uno scambio reciproco di
sentimenti 164.
Questo amore apre ad una diversa concezione di affettività, più orientata ad una
reciprocità ma anche ad una maggiore confidenza nella sfera sessuale: tale idea
si radica nell’animo femminile nella speranza futura di un cambiamento, oppure
è “un complotto ordito dagli uomini contro le donne per riempire le loro menti
di sogni inutili e impossibili 165”. Quello che sembra delinearsi oggi è la possibilità
di una “relazione pura” che prende origine dall’amore romantico del Settecento,
ma al tempo stesso se ne differenzia in quanto caratterizzata dalla parità 166
sentimentale, emozionale e sessuale tra due partners, che risulterà negoziabile e
degna di essere continuata 167 solo se vi saranno benefici per entrambi, ossia
se entrambi la riterranno emotivamente gratificante.
Se l’intimità viene considerata “una sorta di negoziazione dei legami
interpersonali da parte di eguali essa acquista un valore completamente
164
165
166
167
GIDDENS A. ci dice che è proprio con la società industriale che l’amore coniugale altro non è che
amore romantico: a differenza di quanto succedeva nel patriarcato, quando il matrimonio era fondato
su interessi esterni alla coppia, le donne diventano le “specialiste dei sentimenti”. Questa forma di
amore è sancita dall’idea di integrare “l’io e l’altro in una narrazione privata senza alcun riferimento ai
processi sociali esterni”. Dunque appare esplicitamente come ad un’iniziale idealizzazione dell’altro si
aggiunga anche un coinvolgimento sentimentale tra i due sessi.
GIDDENS A., La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Bologna, Il Mulino,
1995, p. 51.
GIDDENS A. in La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Bologna, Il Mulino,
1995, legge l’intimità come democrazia dove gli individui devono essere uguali nel determinare le
condizioni della propria vita. La parità uomo-donna rappresenta per Giddens l’elemento base su cui
costruire uno scambio significativo all’interno della coppia.
GIDDENS A. in La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Bologna, Il Mulino,
1995, mette in evidenza come di fatto l’emancipazione femminile abbia aperto nuovi orizzonti allo
stare insieme e l’amore convergenze diventa, all’interno della relazione pure, un dare e avere reciproco:
non c’è più dunque uno sbilanciamento tra i due generi.
- 78 -
nuovo 168” e, continua Giddens (1995), “un sistema sociale nel quale la
soddisfazione dei bisogni emozionali si sostituisse alla massimizzazione della
crescita economica 169” sarebbe qualcosa di molto diverso da quello che
viviamo oggi nella nostra società.
Riguardo alla libertà sessuale di cui dispongono oggi le donne, Giddens (1995)
fa chiarezza fin dalle prime pagine su come “le donne non accettano più il
predominio sessuale maschile ed entrambi i sessi devono fare i conti con le
implicazioni di questo fenomeno 170”. Secondo l’Autore la libertà femminile è la
protagonista assoluta di questo mutamento, perché, alla luce di un excursus
storico che vede le donne in primo piano verso un percorso fatto di
conquiste come l’accesso allo studio, alle professioni e alla contraccezione,
anche sul lato della vita sessuale le donne hanno raggiunto una libertà pari a
quella maschile 171. Con ciò si vuole affermare che la donna, durante la sua
“ricerca amorosa 172”, non posticipa l’attività sessuale, ma anzi, al pari dell’uomo,
utilizza la relazione sessuale per cercare di capire se quell’uomo potrà essere il suo
partner. Questa nuova modalità della donna di rapportarsi al partner maschile si è
realizzata soprattutto con l’affermarsi dell’emancipazione femminile che ha
determinato, come era logico che accadesse, nuovi modi di stare assieme, dove
l’amore convergente in quanto amore attivo diventa centrare nella relazione di
coppia. Questo venir meno di uno sbilanciamento tra i due generi ha
determinato la rottura dei tabù legati alla sessualità femminile.
In questa forma nuova di relazione, non c’è il rischio che uno sia assorbito
dall’altro 173 perché predomina il principio di una conoscenza reciproca.
168
169
170
171
172
173
GIDDENS A., op. cit., p. 9.
Ibidem.
GIDDENS A., op. cit., p. 15.
GIDDENS A. in La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Bologna, Il Mulino,
1995, parla di “rivoluzione sessuale” per mettere in evidenza l’autonomia sessuale che hanno acquisito
le donne. La libertà si accompagna al potere e ne costituisce una chiara forma di espressione; per
questo motivo la violenza viene vista una reazione distruttiva al declino della complicità femminile. Di
fatto gli uomini, secondo Giddens, rifiutano il cambiamento. Il tema della perdita di controllo del
partner maschio di fronte a una donna autonoma a che fa le sue scelte in modo autodeterminato,
scatenando la rabbia del compagno, è affrontato anche nel testo Danna D., Genocidio. La violenza contro
le donne nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007.
GIDDENS A., op. cit., p. 60.
Questo presuppone una “buona grammatica dell’amore” nonché un giusto equilibrio tra l’essere uguali
e l’essere diversi. Ricordiamo le parole di BODEI R., Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia
e uno politico, Feltrinelli, Milano, 1991, citato in BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e
- 79 -
È dunque sulla base di una parità sessuale e sentimentale uomo-donna, nonché
su un giusto equilibrio tra “impegno e intimità 174”, che le relazioni possono
essere costantemente ricontrattate.
Questa nuova sessualità rappresenta un punto di svolta per interpretare in modo
nuovo il matrimonio: se prima era percepito come un contratto, che una volta
stipulato, poneva la donna in una condizione di subalternità rispetto
all’autorità del marito e dove di fatto vigeva una divisione prestabilita dei ruoli,
adesso, l’unione diventa sinonimo di una condivisione di compiti e gratificazioni,
seppur numerose asimmetrie rimangono, soprattutto nella gestione della casa.
Kaufmann ci ricorda come “Sulla carta, il metodo dei ruoli complementari
sembra dunque infallibile. In realtà la messa a punto di questi meccanismi si
rivela estremamente delicata e basta il più piccolo granello di sabbia per farli
inceppare 175” perché “le posizioni di potere, peraltro, non sono scomparse del
tutto 176”.
Spesso però una relazione affettiva paritaria con il partner maschile può
diventare la causa principale delle discussioni di coppia. L’uomo, per tradizione, a
differenza della donna, è meno incline a quella che Kaufmann definisce “una
comunicazione intima 177” e dunque ad un approccio basato sul dialogo e sulla
percezione della partener come essere pensante con cui si possa dialogare. Il
“classico gioco di ruolo 178” permane e a subire le conseguenze di un silenzio
pericoloso sono proprio le donne. Se ci riferiamo alle donne che amano troppo
trattate nel testo della Norwood (2012) 179, l’Autrice delinea la figura di un
maschio che reagisce con rabbia e violenza 180 alle relazioni sessuali egualitarie che
lo escludono dal controllo sulla donna.
174
175
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178
179
180
legami nella vita intima, Edizioni ETS, Pisa, 2012, p. 167: “Gli amanti devono avvertire simultaneamente
la piena identità e la piena alterità reciproca. Se essi fossero tropo simili, se prevalesse l’identità,
l’interesse e l’attrazione reciproca finirebbero. Se, al contrario, fossero troppi diversi, se l’alterità
diventasse assoluta allora ogni rapporto sarebbe sbarrato. Bisogna che questo delicato equilibrio venga
continuamente infranto e riprodotto”.
BIANCHERI R., Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima, op. cit., p. 169.
KAUFMANN J.C., Agacements. Les petites guerres du couple, Paris, Armand Colin, 2007 (tr. It. Baruffe d’amore.
Le piccolo guerre di coppia, Il Mulino, Bologna 2008.), p. 55.
KAUFMANN J.C., op. cit., p. 28.
KAUFMANN J.C., op. cit., p. 66.
Ibidem.
NORWOOD R., Donne che amano troppo, Feltrinelli, “Universale Economica”, Milano, 2012.
Questi sentimenti sono principalmente legati all’autoaffermazione delle donne nella vita pubblica e
privata.
- 80 -
Ciò mette in luce come la violenza sia un tentativo attivo di supremazia e non
un’azione casuale: per la maggior parte degli uomini, infatti, la violenza è
“un’azione controllata dotata di direzione e di intenzione” 181, ossia essa non
colpisce casualmente, bensì è un atto scelto e diretto ad una determinata persona
in una specifica situazione. Per questa tipologia di donne, coinvolte in un
rapporto malsano, non possiamo parlare di relazione pura 182, quanto piuttosto
di quella che Giddens (1995) definisce “relazione bloccata 183”. Tale forma di
legame ha dei caratteri molto rilevanti ai fini del nostro studio, perché
sottolinea la sussistenza di uno squilibrio di poteri, di una manipolazione,
dell’ossessione di trovare “qualcuno da amare”, di un’assenza di fiducia e, infine,
dell’estremo tentativo di adeguare il partner ai propri bisogni.
I sentimenti spesso vengono meno e l’intimità, intesa come scambio reciproco di
affettività ed emozioni, sembra sparire perché quello che rimane sono violenza,
urla e ricatti.
Alla luce di queste prime considerazioni diventa importante adesso interrogarsi
sul ruolo giocato dal sesso nelle relazioni delle donne che amano troppo.
Partendo dall’idea che queste donne si sentono a loro agio solo in un tipo di
legame che è già a loro familiare 184, la loro sessualità viene usata per stabilire
una relazione con il partner concependo una regola per amare incentrata su una
sorta di sacrificio: “dare se stessa senza chiedere nulla in cambio 185”. Il che
spiega anche come molte donne siano capaci di avere rapporti sessuali con
uomini “non a posto” solo nel momento in cui c’è di mezzo un “accordo
sessuale perfetto 186” in una relazione infelice e ormai compromessa. In queste
circostanze il sesso viene usato come una vera e propria terapia per cercare di
181
182
183
184
185
186
CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini
che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, 2009, Roma, 48.
GIDDENS A. in La trasformazione dell’intimità: sessualità, amore ed erotismo nelle società, Bologna, Il Mulino,
1995 ritiene che per la realizzazione di una relazione pura sia necessaria una “democratizzazione anche
nella sfera privata”, intendo con ciò una parità effettiva uomo-donna, senza nessuna forma di dominio
o subordinazione.
GIDDENS A., op. cit., p. 106.
NORWOOD R., Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 49. A tal proposito è opportuno
ricordare anche La ventisettesima ora, Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne,
Marsilio, Venezia, 2013, dove in una delle storie raccontate, Greta (la protagonista) istaura un rapporto
con un giovane uomo che arriverà a farle violenza nello stesso modo in cui gliela faceva il padre:
torturandola facendole ingerire cibo e picchiandola se questo non succedeva.
NORWOOD R., op. cit., p. 49.
NORWOOD R., op. cit., p. 56.
- 81 -
guarire il partner malato con l’amore facendo anche in modo che il sesso sia
buono 187.
Per una donna infelice “l’atto sessuale può essere l’unico aspetto gratificante del
rapporto e l’unico modo per sentirsi bene 188”, perché, lo ricordiamo, il sesso è
visto come un rimedio per allentare le tensioni e dunque viene usato, in tali
circostanze, come mezzo per risanare i conflitti di coppia. Parlando di donne
destinate all’infelicità è doveroso distinguere tra due diverse tipologia di amore:
Agape ed Eros. La prima forma di amore è alla base di un rapporto
all’interno del quale ciascuno dei due partner esprime se stesso e considera
l’altro come il suo amico più caro; tale relazione risulta serena e appagante.
L’eros, invece, è qualcosa di diverso, in quanto emerge a chiare lettere una
propensione a sopportare le sofferenze e le privazioni pur di salvare il legame
affettivo; in questo caso abbiamo sentimenti di eccitazione, di ansia, di tensione e
di struggimento.
Alla luce di quanto detto risulta essere proprio l’Eros a caratterizzare l’amore di
questa tipologia di donne 189.
A prima vista potrebbe sembrare che il sesso così inteso sia segno di un’intimità
sessuale alta, ma se guardiamo bene nel profondo possiamo notare che in
realtà non è così perché “le donne che amano troppo possono arrivare a una vera
intimità con un partner solo dopo la guarigione 190”. Cerchiamo, ora, di
comprenderne le ragioni. Durante la relazione malsana la donna desidera
l’intimità fisica, ma, poi, la paura di essere sopraffatta e sommersa dai propri
bisogni affettivi la porta inevitabilmente a creare una distanza emotiva che si
concretizza in una relazione stressante e compromessa: non a caso, appena un
uomo prova per lei amore e affetto, la donna si spaventa. La maggior parte dei
rapporti sessuali sono voluti dalla donna allo scopo di ottenere più amore dal
partner : così facendo, ella usa il sesso come strumento per manipolare, senza
provare la minima attrazione per un uomo per il quale non debba lottare.
Questa tipologia di donna trova anche eccitante la propria eccitazione e spesso si
187
188
189
190
NORWOOD R., Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano, 2012.
NORWOOD R., op. cit., p. 57.
NORWOOD R., Donne che amano troppo, cit.
NORWOOD R., op. cit., p. 62.
- 82 -
unisce a uomini che hanno meno esperienza di lei. La donna sperimenta una
doppia dipendenza durante questo periodo: la dipendenza dai fini, secondo cui
mette a disposizione degli altri (il partner) le proprie competenze e risorse; la
dipendenza dai mezzi, che si verifica nell’acquisizione da altri di qualcosa di
essenziale per la sopravvivenza, qualcosa di cui la donna è priva o che non è
in grado di acquisire direttamente 191.
Il risultato finale di questa fase è in un primo momento una percezione della
donna come incapace e priva di risorse, che la rende ancora più dipendente
dal compagno e, in secondo luogo, la “mancanza di risorse personali per la
sfera del per sé” 192. In questo contesto così distruttivo per la donna, è inevitabile
che questa trovi un escamotage per sopravvivere: usare il sesso per sentirsi
meglio e per chiedere amore, illudendosi che ciò avvenga e che il sesso sia
appagante.
Tutto questo castello di sabbia, costruito su un appagamento sessuale, che
potremmo definire solo apparente, crolla inevitabilmente quando la donna
prende in mano la sua vita e decidere di mettere un punto a una relazione di
coppia insoddisfacente. Da questo momento in poi il suo rapporto con il sesso
cambia in modo drastico, perché l’ossessione e tutte quelle sensazione forti
scompaiono dato che ha imparato ad essere più “egoista” 193 e soprattutto perché
accanto a lei ha un uomo innamorato e devoto.
A prima vista potrebbe apparire come un paradosso l’idea che quando vicino alla
donna c’è un partner che la ama, la relazione di intimità sia più disastrosa di
quando invece vicino ha un uomo che la maltrattata. In realtà, non è così
inusuale e fuori dalle righe, dato che trattasi di donne che hanno sempre rifiutato
di avere accanto a loro un uomo “per bene”, e ciò perché temevano il confronto
con i loro bisogni affettivi mai soddisfatti. Il tutto può essere compreso se
pensiamo al momento in cui una donna chiede aiuto e inizia a diventare
sincera con se stessa riconoscendo la gravità dei fatti.
Nel sesso praticato prima della guarigione, a dominare era una volontà di controllo
e di dirigere l’altro, un vero e proprio “copione” recitato con lo scopo di ottenere
191
192
193
ROMITO P., La violenza di genere su donne e minori: un’introduzione, Franco Angeli, Milano, 2011.
ROMITO P., op. cit., p. 53.
NORWOOD R., Donne che amano troppo, cit.
- 83 -
qualcosa (in genere, amore) in cambio della prestazione sessuale. In un secondo
momento, quando la donna cerca aiuto e intraprende l’uscita dal vortice della
violenza “lasciarsi amare è molto più difficile, perché deve scaturire da qualcosa di
davvero privato, dal fatto che si provi già amore per se stesse” 194. Con la
guarigione della donna, il rapporto con un’altra persona (il partner) diventa
“espressione dell’essenza, non un tentativo di sollecitare una risposta, di creare un
affetto, o di provocare un cambiamento in lui” 195.
d. Dipendenza psicologica della donna dal suo aggressore
Guardando da vicino la condizione di una donna vittima di violenza, la
domanda più immediata che ci potremmo porre è come mai questa, nonostante il
clima di grande sofferenza che vive all’interno dell’ambiente familiare, dimostra
difficoltà ad abbandonare la casa del suo aggressore. Per rispondere in modo
adeguato a tale interrogativo, possiamo fare riferimento ad una serie di teorie
che sono state formulate a partire dagli anni Settanta. Secondo quanto elaborato
da Saligman 196 nella cosiddetta teoria dell’impotenza appresa 197, la donna
tenderà a rimanere prigioniera di questo contesto poco piacevole come soggetto
passivo e accetterà degli stimoli dolorosi. Verso la fine degli anni Settanta,
Walker 198 adottò la teoria di Seligman per spiegare come mai le donne
194
195
196
197
198
NORWOOD R., op. cit., p. 283.
NORWOOD R., op. cit., p. 288.
SELIGMAN, M. E. P., Learned Helplessness, Freeman, San Francisco, 1975, in STUDI RICERCHE
FORMAZIONE, VIOLENZA SULLE DONNE. I GIOVANI COME LA PENSANO? RISULTATI, ESPERIENZE E
RIFLESSIONI, Venezia, 2011
Negli anni Sessanta-Settanta Martin SELIGMAN condusse una serie di esperimenti nei quali alcuni cani
venivano collocati in gabbie di diverso tipo. Nel primo tipo di gabbia, l’intera superficie del pavimento
era elettrificata e lo sperimentatore provocava uno shock elettrico pochi secondi dopo il suono di un
campanello; pertanto il cane subiva la scossa indipendentemente dalla sua posizione nella gabbia. Nella
seconda tipologia di gabbia, invece, una piccola zona della superficie calpestabile non era elettrificata;
in tal modo, i cani avrebbero dovuto apprendere di fuggire, al suono del campanello, nella zona neutra
così da evitare lo stimolo doloroso. SELIGMAN (1975) teorizzò che l’iniziale esperienza dei cani di
incontrollabilità dello shock nella prima gabbia avesse instaurato in essi la credenza che non avrebbero
potuto controllare gli eventi futuri, e fosse pertanto la causa delle successive incapacità
comportamentali e di apprendimento; difatti, i cani situati nella gabbia in cui non era possibile evitare la
scossa non riuscivano a scappare quando venivano collocati nella seconda gabbia, dove era possibile
evitarla, e assumevano invece un atteggiamento passivo, rassegnato, impotente.
WALKER L. E., Battered Woman, Paperback, New York,1980, in PARI OPPORTUNITÀ, STUDI RICERCHE
FORMAZIONE, VIOLENZA SULLE DONNE. I GIOVANI COME LA PENSANO? RISULTATI, ESPERIENZE E
RIFLESSIONI, Venezia, 2011.
- 84 -
rimangono con i loro partner violenti. Secondo Walker la “sindrome della donna
picchiata 199” si compone di due elementi: il ciclo della violenza e la sindrome
dell’impotenza appresa. Le tre fasi 200 che caratterizzano l’excursus dell’abuso
provocano nella vittima un disorientamento tale da impedirle di valutare in
modo lucido la situazione di violenza. Successivamente, Gondolf e Fisher 201
elaborarono una loro teoria per confutare il modello di Walker 202; innanzitutto,
il fatto che la vittima sia immediatamente spinta ad adottare nuove strategie di
coping e di richiesta di aiuto.
In secondo luogo, quando tali fonti di aiuto si mostrano inefficaci, la donna cerca
altre risorse ed impiega strategie differenti per fronteggiare la violenza. Infine, in
mancanza di alternative nasce un senso di ansia nella vittima, impedendole di
allontanarsi dall’aggressore; la vittima quindi cerca attivamente aiuto attraverso
una variegata rete di risorse formali e informali, spesso, a detta degli Autori,
inadeguate e incomplete: per questo motivo, interrompere la relazione con un
uomo violento può essere un percorso difficile da intraprendere. Infine, Gongolf
e Fisher 203 ipotizzano che il fallimento delle suddette richieste d’aiuto
permetta al ciclo della violenza di continuare incontrollato. La “teoria della
sopravvivenza” tenta di spiegare l’incapacità di fuggire come una conseguenza
del fallimento di numerosi tentativi di richiedere aiuto, allo scopo di uscire dalla
relazione violenta. La Sindrome di Stoccolma è un altro modo per spiegare il
perché le donne non lasciano la casa del loro aggressore. Nell’ambito della
violenza di coppia, gli elementi sovrapponibili riguardano, dal punto di vista della
vittima, la percezione dell’impossibilità di fuggire (è noto come molte vittime di
violenza non riescano a uscire dalla situazione di abuso, nemmeno quando ne
199
200
201
202
203
Non si tratta di un vero e proprio disturbo mentale (non è, tra l’altro, compreso nel DSM-IV), ma,
piuttosto, di un tentativo di spiegare, applicando i principi della teoria dell’impotenza appresa, i motivi
per cui le donne maltrattate non riescono a lasciare il proprio aggressore.
Le tre fasi di cui parla Walker (1980) sono il salire della tensione, l’aggressione della violenza e la luna
di miele. È proprio questa ultima fase che impedisce alla donna di uscirne perché il partner violento
entra in una fase di calma in cui sembra per un attimo ravvedersi, ma è solo apparenza perché dopo le
scuse ci saranno ancora botte.
GONDOLF, E. W., FISHER, E. R., Battered women as survivors: An alternative to learned helplessness. Lexington
Books, Lexington, 1988, in PARI OPPORTUNITÀ, STUDI RICERCHE FORMAZIONE, VIOLENZA SULLE
DONNE. I GIOVANI COME LA PENSANO? RISULTATI, ESPERIENZE E RIFLESSIONI, cit.
WALKER L. E.. Battered Woman, Paperback, New York,1980, in PARI OPPORTUNITÀ STUDI RICERCHE FORMAZIONE,
VIOLENZA SULLE DONNE. I GIOVANI COME LA PENSANO? RISULTATI, ESPERIENZE E RIFLESSIONI, Venezia, 2011.
Ibidem.
- 85 -
abbiano l’oggettiva possibilità) e l’isolamento da altre prospettive (ossia, il
fenomeno per cui la vittima si colloca nel punto di vista del suo aggressore).
Secondo Carver (2003) 204, una volta instaurata tale prospettiva, si produrranno
dei pensieri contraddittori nella vittima: ad esempio, davanti all’aggressività del
compagno, subentrano convinzioni del tipo “tutto sommato è un buon padre”,
oppure “non posso lasciarlo per le mie condizioni economiche”.
e. La teoria dell’attaccamento e le relazioni di coppia disfunzionali
“[…] si ritiene che il comportamento di attaccamento caratterizzi l’essere umano dalla culla alla
tomba”, (Bowlby, 1979).
Le “emozioni”, è proprio da queste che è opportuno iniziare per capire
come, la teoria dell’attaccamento 205, possa rappresentare una possibile
spiegazione per comprendere quel legame morboso e malsano che lega la donna
al suo partner, spesso un uomo violento. L’attenzione è focalizzata sul modo in
cui la teoria cerca di dare un’interpretazione all’insorgere della violenza nel
rapporto di coppia. Molti studi di matrice evoluzionista hanno evidenziato
come anche nei partner adulti sia possibile osservare un funzionamento per
molti versi simile a quello delle diadi madre-bambino. In conformità a queste
considerazioni, si è ritenuto che anche l’attaccamento adulto potesse essere
definito in termini analoghi a quello infantile. Cercheremo di affrontare questo
tema tenendo come riferimento il testo della Velotti “Legami che fanno soffrire.
Dinamica e trattamento delle relazioni di coppia violente”, incentrando
l’attenzione sul difficile gioco di ruoli che s’istaura tra i due partners.
Le tre caratteristiche fondamentali della teoria dell’attaccamento illustrate da
Bowlby per trattare il legame bambino-caregiver nell’età infantile, quali, la ricerca
204
205
CARVER J., The Loser: warning signs you’re dating a loser, 2003, In http://www.drjoecarver.com., in PARI
OPPORTUNITÀ, STUDI RICERCHE FORMAZIONE, VIOLENZA SULLE DONNE. I GIOVANI COME LA
PENSANO? RISULTATI, ESPERIENZE E RIFLESSIONI, cit.
La teoria dell’attaccamento nasce con un esplicito interesse verso i primi anni di vita dell’essere umano
e, più in generale, dei mammiferi. Il più grande sostenitore e studioso di questa teoria è stato John
Bowlby (1907-1990). Questo psicoanalista britannico elaborò la teoria dell’attaccamento facendo
riferimento alla psicoanalisi e all’etologia.
- 86 -
di vicinanza a una figura preferita, l’effetto “base sicura” e la protesta per la
separazione, sono riproposte nell’età adulta perché rappresentano una buona
chiave di lettura per interpretare alcuni rapporti malfunzionanti uomo-donna.
Parlare di emozioni vuol dire capire la loro natura relazionale, e il contesto
all’interno del quale nascono, si sviluppano e sono regolate. A trattare da vicino
questo tema è stato l’approccio psicodinamico che ha focalizzato il suo studio
sul modo in cui “il bambino costruisce e regola i propri sistemi emotivi
nell’interazione con i genitori 206”. Secondo quest’approccio le competenze e le
capacità di regolare le emozioni sono considerate parti integranti del dominio
proprio dell’individuo ma anche, fortemente connesse all’ambiente all’interno
del quale l’uomo cresce e sviluppa la sua personalità. In conformità a questo, il
processo di regolazione delle emozioni si articola in due diverse fasi:
autoregolazione ed etero regolazione.
La prima fase, descritta come “la capacità dell’individuo di regolare i propri stati
affettivi, ovvero il tipo di emozioni e affetti 207”, è orientata a provvedere alla
regolazione del proprio Sé e si presenta fin dalla nascita; il secondo processo
implica la competenza “che si costruisce nell’interazione con il caregiver e che si
struttura come la capacità di modificare la propria autoregolazione in base agli
stimoli provenienti dall’altro 208”. Alla luce di quanto appena detto, le capacità
regolative non sono mai acquisite in toto perché si evolvono, e continuano a
modificarsi, durante tutto il ciclo vitale, guidando l’individuo nel costante
adattamento all’ambiente e alle relazioni con gli altri. Il punto da cui partire è la
distinzione che Velotti (2012) evidenzia tra la relazione di coppia e un qualsiasi
altro rapporto adulto-adulto, come ad esempio quello amicale. Le caratteristiche
che contraddistinguono questo specifico legame tra adulti sono: una simmetria
sentimentale tale per cui i partners dovrebbero, seppur ancora, purtroppo, solo
formalmente, essere percepiti sullo stesso piano; un coinvolgimento dei sentimenti
motivazionali volto a una trasmissione delle generazioni e infine, un particolare
tipo di amore che può, alle volte, sviluppare sentimenti di paura e rabbia.
206
207
208
VELOTTI P. (a cura di), Legami che fanno soffrire. Dinamica e trattamento delle relazioni di coppia violente, Il
Mulino, Bologna, 2012, p. 21.
VELOTTI P., op. cit., p. 21.
VELOTTI P., op. cit., p.22.
- 87 -
Il rapporto di coppia, al pari del legame infantile bambino-caregiver, implica una
vicinanza fisica ed emotiva a una persona specifica spesso non sostituibile,
una sorta di legame preferenziale in cui uno dei due partner riproduce quella che
Bowlby definisce “base sicura 209”.
In conformità a questa vicinanza possiamo sviluppare tutto un ragionamento sul
come mai la donna, vittima di abusi e maltrattamenti, non interrompa la
relazione con il suo aggressore.
Il ruolo svolto da altri significativi può implicare il permanere di relazioni
malsane che provocano sofferenza, rabbia e dolore, ma tale insoddisfazione del
legame, non induce inevitabilmente a una sua rottura 210.
Secondo Bowlby, la forza dei legami non è necessariamente connessa alla loro
qualità, infatti, le persone vittime di abusi si sentono legate al partner nonostante
questo provochi loro insofferenza e violenza.
Dunque, secondo lo psicologo, a promuovere la stabilità di relazioni poco
soddisfacenti non è tanto la qualità del legame quanto le “esigenze emotive 211”, che
ne rendono impossibile una rottura. La donna, che è incapace di spezzare un
legame che la fa soffrire, ha sviluppato in passato, da bambina, un processo di
attaccamento debole e sofferente e dunque, permane in lei il bisogno costante di
avere vicino una persona (il partner) anche se questo si dimostra poco rispettoso di
lei e delle sue scelte di vita. Questa ricerca di vicinanza è molto evidente anche nel
bambino nel rapporto con la madre, il minore deve essere sicuro della sua presenza
e per sentirsi tranquillo ha bisogno di una vicinanza fisica ed emotiva.
La stessa cosa accade alla donna che decide di mantenere il legame malsano per
209
210
211
Questo concetto, sviluppato inizialmente da Mary Ainsworth, è stato particolarmente valorizzato da
Bowlby che ha spiegato come un bambino o un adolescente, per rapportarsi al mondo esterno, nonché
quello extra familiare, abbia bisogno di sentirsi sicuro di poter ritornare “sapendo per certo che sarà il
benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato” (Bowlby
1988, p. 10). Ne consegue che fornire una base sicura è una delle caratteristiche principali dell’essere
genitori e così, quelli capaci di offrirla, sostengono i figli nella graduale emancipazione, ma, quando
necessario, intervengono per proteggerli, rassicurarli e accudirli.
“[...] quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una
prossimità nei confronti di un altro individuo differenziato o preferito, ritenuto in genere più forte e
più esperto, in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Questo comportamento diventa molto
evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si ricevono
conforto e cure.” (Bowlby, 1988).
VELOTTI P., op. cit., p.77.
- 88 -
non perdere il contatto 212, infatti, ciò spiega come, “la medesima forza del legame
di attaccamento al partner determini anche l’enorme difficoltà ad abbandonare una
relazione violenta 213”.
Ovviamente, come abbiamo già avuto modo di accennare, la donna si rapporta a
un partner che ha sperimentato dei legami di attaccamento infantili insicuri
per cui, quello su cui vogliamo porre l’accento, è che la relazione d’abuso e di
maltrattamento deve essere letta all’interno di un contesto relazionale più
ampio dove la donna si rapporta all’uomo e viceversa. Velotti (2012) racchiude
tutto questo all’interno del concetto matching di coppia 214.
In questi legami malsani le emozioni, connesse all’insorgere di comportamenti
violenti, sono la rabbia, la perdita di fiducia e la gelosia anche se, quest’ultima,
è spesso intesa come un’antecedente alle altre due. La coppia può essere intesa
come un sistema aperto o chiuso.
Nella maggior parte dei casi, come abbiamo anche avuto modo di trattare dei
paragrafi precedenti, le donne che non riescono a chiedere aiuto sono quelle
intrappolate in una relazione di coppia chiusa, a causa di un partner troppo
possessivo o geloso che le impedisce il contatto con l’esterno e la costringe a un
isolamento duraturo, togliendole qualsiasi possibilità d’interazione con la rete
esterna.
Alla luce di quanto appena detto, i rapporti disregolativi sono caratterizzati dalla
minaccia della perdita della figura di attaccamento.
La donna per paura di perdere il contatto con il suo partner rinuncia a
interrompere la relazione.
La teoria dell’attaccamento, dunque, può essere considerata come un modello
teorico che, più di altri, offre una spiegazione delle dinamiche che connotano le
212
213
214
Velotti ci ricorda però che anche le stesse persone violente possono aver sviluppato stili di attaccamento
infantili insicuri, infatti, per la paura di perdere la donna che amano arrivano a essere violenti e a sentire il
bisogno di controllarla. In molti casi il maltrattamento è agito quando: la donna pone in essere
comportamenti di maggior autonomia o quando l’uomo ha il timore di essere abbandonato. La rottura
dei legami di attaccamento che un bambino subisce in età infantile potrebbe generare un adulto violento
nel futuro. Un’infanzia traumatica può generare un adulto insofferente e violento.
VELOTTI P., op. cit., p.77.
I due patterns riscontrati in una relazione d’abuso sono il pursuig/distancing epursuing/pursuing. Nel primo
caso la violenza esplode nel momento in cui il partner violento fallisce le strategie d’inseguimento o
d’abuso verbale, nel secondo caso, invece, entrambi i partners non sono in grado di riconoscere i
bisogni dell’altro e creano un sistema di frustrazione reciproca.
- 89 -
relazioni di coppia nella situazione della violenza perché ci permette di
comprendere le motivazioni che fanno restare insieme due partners all’interno
di un legame che fa soffrire, seppur in modi diversi, entrambi.
f. Violenza domestica: stereotipi e luoghi comuni
Arrivati a questo punto, chiarito il perché della permanenza in casa, è
opportuno sfatare alcuni luoghi comuni diffusi all’interno dell’opinione
pubblica a proposito della violenza di genere nel nostro paese. Il primo luogo
comune secondo cui “le donne sono più a rischio di violenza da parte di uomini
a loro sconosciuti” risulta essere confutato dal fatto che gli spazi più pericolosi,
come vedremo, e soprattutto come dimostrano i dati statistici, sono invece la
casa e gli ambienti familiari; in effetti gli aggressori più probabili sono i partner o
gli ex partner. La violenza contro le donne è spesso mitigata da quei sentimenti
che descrivono la famiglia come luogo sacro e “rifugio dal mondo esterno,
ambito dell’intimità, luogo delle cure 215”; proprio questo “dover essere della
famiglia” oscura la violenza che può accadere al suo interno.
Altro aspetto da respingere, diffuso dall’opinione pubblica, è quello secondo cui
“la violenza domestica è un fenomeno poco diffuso”, tale stereotipo viene
contraddetto se pensiamo che questa forma di violenza è invece un fenomeno
esteso, con un alto livello di sommerso rispetto ai dati resi pubblici poiché, le
mancate denunce delle vittime mantengono ancora sotto silenzio questo
fenomeno.
Le donne che trovano il coraggio di parlarne sono ancora poche, e la
maggioranza delle violenze non viene denunciata. Mentre invece, la quantità delle
donne che, nel corso della loro vita, hanno subito almeno una forma di
violenza è vastissima e allarmante.
Sempre da respingere è il seguente pregiudizio: “la violenza domestica è
presente solo fra le classi più povere o culturalmente o socialmente
svantaggiate”; in realtà si tratta, piuttosto, di un fenomeno trasversale, che non
conosce differenza di stato sociale, razza, di religione o di età; ancora, è da
215
DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007, p. 74.
- 90 -
confutare l’idea che “la violenza è causata dall’assunzione di alcol o droghe”,
ma anche tale idea è usata come giustificazione. Sostenere che chi commette
violenza abbia evidenti problemi psicologici può essere veritiero ma, non deve
essere usato come scusante per mantenere il problema al di fuori della realtà
familiare che ci circonda 216.
Il quinto luogo comune ha origine nel fatto che “la violenza domestica è
dovuta ad una momentanea perdita di controllo”: in realtà, in questi casi quasi
mai l’uomo è preda di raptus perché appare lucido e attento. In proposito,
ricordiamo il caso di Vanessa Scialfa, venti anni, uccisa dal fidanzato 217: la
lucidità del ragazzo è stata così evidente che dopo averla strangolata con il filo
del lettore dvd, le ha tolto il cavo dal collo, è andato in bagno a lavarsi le mani e
al suo ritorno, trovata ancora ragazza ansimante, ha preso un fazzoletto
imbevuto di candeggina e glielo ha premuto con forza sul viso fino alla
cessazione del battito cardiaco. La violenza è un mezzo per esercitare il
proprio potere sulla donna: non è mai un atto irrazionale, ma è continuo,
strategico e premeditato.
Vi sono altri due pregiudizi che avvolgono il mondo della violenza di genere.
Innanzi tutto, il fatto di credere che “i partner violenti sono persone con
problemi psichiatrici” e dunque pensare che il maltrattamento sia connesso alle
patologie mentali ci aiuta ad allontanarlo dalla nostra vita e a pensare che sia un
problema “degli altri”, mentre la grande maggioranza dei casi ci dice che solo in
rare occasioni il fenomeno è correlato a tale malattia. Inoltre, quando si afferma
che “i partner violenti hanno sempre subito maltrattamenti” si dimentica che la
circostanza di aver subito maltrattamenti non comporta in maniera unidirezionale
la conseguenza automatica di diventare violenti in età adulta, qualora sussista
questa eventualità essa deve essere affrontata caso per caso 218.
216
217
218
“Alcool e droga non sono le cause del maltrattamento. Tuttavia i problemi del maltrattante rispetto alla
violenza non possono essere adeguatamente affrontati se non si trattano anche i problemi legati
all’abuso di sostanza”. Tratto da “Linee Guida CAM”.
IACONA R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere Editore, Milano, 2013
In BETSOS MERZAGORA I., Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Cortina Raffaello,
Milano, 2009, p. 62, l’Autore ci ricorda come molti uomini maltrattanti “riproducano i comportamenti
violenti di cui sono stati spettatori e che sono stati agiti dalla figura di identificazione e inoltre
permettere a chi è stato abusato di ribaltare la situazione assumendone il controllo: non più vittima, ma
finalmente aggressore”.
- 91 -
Parlare di donne vittime di violenza e di uomini maltrattanti vuol dire andare
oltre la mera considerazione del fenomeno della violenza di genere come una
“faccenda da donne 219”. L’aggressività dell’uomo è parte di una efficace strategia
per creare e mantenere potere e controllo sulla donna.
Gli uomini violenti tendono a proiettare la responsabilità della violenza fuori da
sé, dandone la colpa alla rabbia, allo stress, all’alcool, a una giornata storta o alle
violenze subite nell’infanzia. Ovvio è che questi uomini, nel momento in cui
arrivano a commettere violenza, diventano inevitabilmente vittime loro stessi di
un malessere 220. La negazione e la manipolazione sono comportamenti
frequenti con cui i maltrattanti “difendono” la violenza commessa. Questo
perché, come avremo modo di approfondire in seguito, questi uomini sono per lo
più insicuri, ansiosi e tormentati da pensieri ossessivi sul tradimento.
L’ultimo luogo comune connesso a questa forma di violenza è relativo
all’idea secondo cui “alle donne che subiscono violenza piace essere picchiate,
altrimenti se ne andrebbero di casa”: invece, la paura, la dipendenza economica,
l’isolamento e la mancanza di un alloggio sono solo alcuni dei fattori che
rendono difficili per le donne interrompere la violenza.
I motivi che spingono una donna a non uscire allo scoperto sono tantissimi, e
molto delicati: la paura per se stessa e per i suoi figli, la vergogna, la
mancanza di mezzi economici, la riprovazione della famiglia o della comunità, e
talvolta il senso di confusione e di smarrimento che seguono la violenza subita
da un compagno o, peggio, da un familiare. Inoltre, la violenza sulle donne non è
mai e poi mai giustificabile, né razionalmente né giuridicamente.
Alla luce di quanto detto sino ad ora, la violenza di genere si presenta oggi più
che mai come un fenomeno di cui è opportuno rendere pubblici i dati raccolti
per far comprendere la gravità del fenomeno, perché soltanto quelle donne che
219
220
BETSOS MERZAGORA I., Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, cit. p. 58.
Proprio per far fronte al disagio di cui soffrono questi uomini, dai primi anni Settanta si sono
sviluppati in America numerosi Programmi e Centri di trattamento (ricordiamo Emerge a Boston,
Armend a Denver e Duluth in Minnesota). Un’indagine dell’Organizzazione Mondiale della sanità del
2003 ne censisce la presenza in almeno trentasei paesi del mondo. In Italia, le Raccomandazioni del
Consiglio d’Europa (2005) incoraggiavano programmi d’intervento con gli autori delle violenze. Il
Centro di ascolto Uomini Maltrattanti (C.A.M) di Firenze si pone in linea con le attuali disposizioni
europee ed internazionali, nonché con le Linea guida per lo sviluppo di standard per i programmi che
operano con uomini perpetratori di violenza domestica.
- 92 -
“oseranno volare” potranno liberarsi dalla prigionia di un uomo che in realtà
non le ha mai amate.
II.3. I vari tipi di violenza
Il concetto di violenza dagli anni Ottanta in poi ha subito una evoluzione
importante grazie anche alle varie ricerche che sono state fatte da vari centri di
ricerca, sia nazionali che regionali, e anche perché si sono instaurate nuove forme di
violenza come lo stalking 221. Oltre alla violenza domestica che evidenziava il luogo delle
aggressioni si è cominciato a parlare di violenza intra familiare, che fa appunto riferimento
alla famiglia e alla relazione tra i membri della stessa, fino ad arrivare al termine di
violenza interpersonale, che comprende ogni forma di violenza psicologica, fisica,
economica, sessuale e di persecuzione. L’Introduzione della Dichiarazione delle Nazioni
Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 definisce la violenza
sulle donne e dei minori violenza di genere; parlare di violenza di genere […] significa mettere in
luce la dimensione “sessuata” del fenomeno in quanto […] manifestazione di un rapporto tra uomini e
donne storicamente diseguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne.
L’Istat nell’Indagine Multiscopo sulla Sicurezza delle donne, condotta nel 2006, definisce i
vari tipi di violenza e li classifica in: violenza fisica, sessuale, psicologica, e comportamenti
persecutori che sono scindibili in determinati comportamenti e azioni:
- Per
comportamenti
persecutori,
stalking,
si
intendono
quegli
atti
e
atteggiamenti “che incutono timore alle donne, perpetrati da un partner al momento o dopo
la separazione” 222, si tratta di un tipo di violenza da poco riconosciuta a livello
normativo in Italia. Spesso è un segnale che precede un tentativo di omicidio
della donna, consiste nel ledere la libertà e la sicurezza della stessa. Si
concretizza in azione come: invio indesiderato di fiori, regali, pedinamenti,
minacce telefoniche, appostamenti presso l’abitazione della donna o presso
quella della famiglia di origine, il luogo di lavoro, e di formale frequentazione.
221
222
La Legge n. 38 del 23 aprile del 2009 ha introdotto nel codice penale vigente nel nostro ordinamento
giuridico il reato di stalking.
BARLETTA R., FEDERICI A., MURATORE M. G., (a cura di), La violenza contro le donne . Indagine multiscopo
sulle famiglie, “Sicurezza delle donne”, anno 2006, Istat, Roma, 2008, p. 8.
- 93 -
- La violenza fisica si distribuisce lungo un continuum di gravità che vede come
categorie definite “la minaccia di essere colpita fisicamente, l’essere spinta, afferrata o
strattonata, l’essere colpita con un oggetto, schiaffeggiata, presa a calci, a pugni o a morsi, il
tentativo di strangolamento, di soffocamento, l’ustione e la minaccia con armi” 223. Essa è la
violenza più visibile perché segna il corpo della donna.
- La violenza sessuale invece consiste nel ledere la sessualità e l’intimità della
donna, comprende tutte quelle situazione in cui la donna è costretta ad atti
sessuali contro la sua volontà, “stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti
sessuali con terzi, rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle conseguenze, attività
sessuali degradanti umilianti” 224. Questo tipo di violenza è poco riconosciuta
all’interno del matrimonio poiché è coperta dall’idea di “adempiere agli obblighi
coniugali”, spesso si manifesta un consenso viziato da parte delle donne per
paura di subire una violenza fisica, nella letteratura sul tema si è coniato il
termine: stupro coniugale.
- La violenza psicologica è la prima in ordine di apparizione, è la base sulla
quale si manifestano gli altri tipi di violenza, è quella più invisibile agli occhi degli
altri. Essa si concretizza in denigrazioni davanti ad altri: l’umiliazione della donna
nella gestione dei figli, della casa, nell’aspetto fisico e nell’abbigliamento, il
controllo dei comportamenti e il processo di isolamento con cui l’uomo cerca
di limitare i contatti della donna con gli esterni e anche con la famiglia d’origine.
Sempre nella categoria della violenza sessuale possiamo far rientrare il “date
rape” ovvero lo stupro da appuntamento, è la violenza che si realizza da parte di un
uomo che si sente legittimato ad avere rapporti sessuali con una donna, in quanto esce
con lei ed inizia a frequentarla, nonostante non ci sia il consenso della stessa. Si
concretizza in azioni come: costringere la donna a rapporti sessuali non voluti, obbligarla
a pratiche sessuali, a rapporti sessuali con terzi, a prostituzione.
Possiamo considerare violenza psicologica la violenza a matrice religiosa, che è una
forma di maltrattamento che può verificarsi in coppie miste e si realizza sia quando non
si permette alla donna di esercitare le pratiche della propria fede religiosa sia nei casi
in cui si obbliga la compagna a seguire le tradizioni religiose del violento. Consiste nel
223
224
Ibidem.
Ibidem.
- 94 -
ledere la sfera spirituale della donna e si concretizza in azioni come ridicolizzare la donna
quando segue le pratiche della propria religione, costringerla a compiere atti contrari ai
suoi principi o a non compiere quelli che sono ritenuti obbligatori; imporle in modo
integralista la propria religione relativamente al modo di comportarsi, all’abbigliamento e
alla alimentazione. Rientrano nella violenza interpersonale in ambito familiare anche la
violenza assistita dai bambini che sono testimoni della violenza esercitata su una figura di
riferimento e il femminicidio che indica gli omicidi di donne per il semplice motivo
che sono donne e quindi considerate oggetto di proprietà dell’uomo.
II.4. La violenza e le sue conseguenze sulle donne
La violenza di genere ha effetti devastanti sulle donne sia a livello fisico che
psichico; essa può avere conseguenze sia di tipo acuto/temporaneo sia di tipo
cronico/permanente.
Subire violenze - essere insultata, umiliata, controllata, terrorizzata e minacciata,
stuprata, presa a schiaffi, a pugni, a calci, sbattuta contro un muro o contro un vetro,
strangolata - fa indubbiamente male alla salute. C’è davvero qualcosa di sorprendente?
Eppure la violenza sulle donne e le sue conseguenze sono state ignorate nella società e nei
servizi sanitari fino a solo pochi decenni fa.
Oggi sappiamo che la violenza su una donna, quasi sempre compiuta da uomini
che essa conosce bene come il marito o il fidanzato, è frequente, e che le sue
conseguenze possono essere devastanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità,
“la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute enorme. A livello
mondiale, si stima che la violenza sia una causa di morte o disabilità per le donne in
età riproduttiva altrettanto grave del cancro e una causa di cattiva salute più importante
degli effetti degli incidenti stradali e della malaria combinati insieme 225”. Le conseguenze
della violenza sulla salute possono essere dirette o indirette (se considerate dal punto di
vista fisico o psicologico). Le conseguenze dirette di un’aggressione fisica consistono in
fratture, lividi e lesioni; in caso di violenza sessuale, c’è il rischio di una gravidanza
indesiderata, di una malattia sessualmente trasmissibile o dell’AIDS. Le conseguenze
225
World Health Organization. Violence against women. Women’s health and development program, Geneva: WHO
1997.
- 95 -
indirette sono scatenate dallo stress e mediate dal malfunzionamento del sistema
immunitario, e possono colpire qualsiasi organo o funzione. Un’altra modalità
attraverso la quale la violenza può compromettere la salute riguarda i comportamenti a
rischio: la donna abusata può smettere di mangiare, trascurare la sua salute, non effettuare
i controlli
sanitari
necessari,
oppure
consumare
troppi
farmaci,
fumare
o
“automedicarsi” con alcol o droghe. Le donne vittime di maltrattamenti accusano più
spesso qualsiasi problema di salute rispetto alle donne che non ne subiscono (Elenco I e
II). Sul piano psicologico, conseguenze dirette di violenze fisiche o sessuali possono
essere rappresentate da reazioni di ansia acuta, di dissociazione, o di numbing
(rallentamento e intorpidimento delle reazioni) e, nei casi più gravi, dalla sindrome posttraumatica da stress. Anche violenze di natura psicologica - scenate, minacce,
segregazione in casa - possono scatenare gravi reazioni sul piano psicologico. A medio e a
lungo termine, la conseguenza psicologica più frequente è la depressione: numerose
ricerche mostrano che le donne maltrattate dal partner hanno un rischio di depressione
quattro/cinque volte maggiore rispetto alle altre donne. In uno studio sulle pazienti dei
Medici di Medicina Generale (MMG) in provincia di Belluno ,era depresso il
quarantaquattro per cento delle donne maltrattate, contro l’undici per cento di quelle che
non subivano maltrattamenti, e anche il consumo di psicofarmaci si mostrava
quadruplicato. Un’altra conseguenza dello stato di disperazione indotto nelle vittime
dai maltrattamenti è il suicidio: uno studio francese (ricerca Enveff, 2002) su un
campione di settemila donne, mostra che il rischio di un tentativo di suicidio aumenta di
diciannove volte nei mesi successivi un’aggressione fisica e di ventisei volte in seguito a
una violenza sessuale.
Queste reazioni non erano lega te alla tipologia dell’aggressore: essere stuprate da un
partner o un ex partner (il caso più frequente), da un conoscente, o da uno sconosciuto (il
caso più raro) provocava reazioni altrettanto gravi. Non c’è da stupirsi che le vittime di
violenze frequentino più spesso delle altre i servizi sanitari (Elenco III) e consumino più
farmaci rispetto alle altre donne. Secondo i risultati di una metanalisi promossa dalla
Banca Mondiale, le donne che hanno subito violenza costano alla società più del
doppio se confrontate con le altre donne: utilizzano tre volte di più i servizi sanitari
(pronto soccorso, consultori ginecologici, servizi psichiatrici, Sert), fanno maggior uso (e
abuso) di psicofarmaci, perdono più giorni di lavoro, vanno più frequentemente incontro
- 96 -
a invalidità. La violenza da parte di un partner o un ex partner è probabilmente la
tipologia più frequente che una donna incontra nell’ambito relazionale e familiare.
Tuttavia, non vanno dimenticate le violenze compiute da altri familiari: padre, madre,
fratelli, figli e figlie adolescenti o adulti. Queste violenze, anche se prevalentemente
psicologiche, possono essere devastanti e compromettere benessere e salute della donna
che le subisce. Secondo le ricerche internazionali, nei paesi industrializzati tra il venti e
il trenta per cento delle donne ha subito nel corso della vita maltrattamenti fisici o sessuali
da un partner o da un ex partner. Le violenze psicologiche sono ben più frequenti.
Secondo i dati raccolti su un campione di circa settecento ragazzi e ragazze del Nord Italia
(Romito, ricerca non pubblicata), il nove per cento aveva visto il padre picchiare la madre,
e il quindici per cento aveva assistito a maltrattamenti di tipo psicologico. Sono più
colpite le donne giovani, anche se ci sono mariti che continuano a essere violenti in età
avanzata. La condizione di gravidanza non protegge dai maltrattamenti; anzi, secondo
alcuni autori, gravidanza e puerperio sarebbero dei periodi particolarmente a rischio.
Esiste un aggressore “tipico”? Sì e no. No, nel senso che gli uomini violenti non
presentano, se non eccezionalmente, delle patologie mentali o sociali.
L’associazione con l’alcolismo, rilevata da molti, non è esplicativa: ci sono uomini
che bevono e sono violenti, ma non è mai il bere che causa la violenza. I mariti o
fidanzati violenti, inoltre, non sono affatto confinati a una determinata nazionalità,
religione o classe sociale.
Se è vero che ci sono culture o sub-culture in cui il dominio dell’uomo sulla donna
è considerato più accettabile, e quindi le violenze sono più frequenti, è altrettanto vero
che l’identikit dell’uomo violento corrisponde a un “signor qualunque”: disoccupato,
operaio, impiegato, professore, poliziotto medico.
È vero invece che l’alcolista, il disoccupato o lo straniero sono più “visibili”,
attirano maggiormente l’attenzione delle forze dell’ordine ed è più probabile che siano
denunciati. Allora, in che senso l’uomo violento è tipico? Quello che lo caratterizza è
un’idea della donna come un essere inferiore, che non ha diritto all’autonomia, alla libertà,
e di se stesso come legittimato a controllare, dominare, possedere questa donna. Gli
uomini violenti, inoltre, anche se privi di patologie mentali identificate, hanno subito più
spesso degli altri maltrattamenti in famiglia, o hanno visto il padre picchiare la madre:
questo dato ci conferma l’importanza di intervenire nei casi di violenza domestica,
- 97 -
anche per prevenire le conseguenze sui bambini e il ripetersi delle violenze.
La ragazza violentata se l’è andata a cercare, ha provocato, era in minigonna, in
fondo le piaceva, oppure si è inventata tutto, è bugiarda, isterica, si vuole vendicare…
La donna maltrattata è una cattiva moglie, ha provocato, esagera, oppure è masochista,
altrimenti, perché non lo lascia? È paradossale che le vittime debbano subire, oltre
all’aggressione, anche dei pregiudizi così negativi, colpevolizzanti per loro e decolpevolizzanti per gli aggressori. Sono pregiudizi frequenti anche tra gli operatori sanitari
e le forze dell’ordine. Una ricerca a Bologna svolta da un medico, Lucia Gonzo, ha
evidenziato la completa mancanza da parte degli operatori sanitari di conoscenze e
strumenti per riconoscere la violenza; i MMG, più degli altri, consideravano la violenza
domestica un fatto privato tra marito e moglie e giustificavano i maltrattamenti. La
maggior parte degli intervistati (67%) era favorevole alla prescrizione di psicofarmaci alle
vittime di violenza, una risposta spesso inappropriata, sia perché trasmette alla donna il
messaggio che ha dei problemi mentali, sia perché la rende meno reattiva nel proteggersi
dalla violenza (fuggendo, chiamando la polizia, i vicini ecc.). Questi pregiudizi non
trovano riscontro nella realtà. Riguardo allo stupro, basti dire che, in tutto il mondo, la
maggioranza delle vittime sono bambine o adolescenti; gli stupri, inoltre, vengono
denunciati in una proporzione minima che va, secondo le ricerche, dal cinque al
quindici per cento di quelli realmente avvenuti (e più il rapporto vittima-aggressore è
stretto, come nel caso dell’incesto, meno probabile è la denuncia). Riguardo alle mogli
maltrattate, basti ricordare alcuni dei motivi per cui una donna non lascia un uomo
violento: perché lui la minaccia di cose terribili se lei se ne va (e spesso mette in atto
queste minacce, vedi le persecuzioni o stalking e gli omicidi, che avvengono sempre dopo
la separazione); perché non ce la fa economicamente, soprattutto se ci sono bambini;
perché non vuole togliere il padre ai figli, e spesso i parenti le fanno pressioni in questo
senso; perché spesso ha amato questo uomo e spera che cambi, anche perché lui glielo
promette. Tutto questo ha poco a che fare con il “masochismo” e molto con la
mancanza d’aiuto e sostegno che le donne maltrattate incontrano nella famiglia e
nella società.
La prevenzione primaria della violenza sulle donne è un problema sociale e politico,
più che sanitario. La prevenzione secondaria (screening per l’intervento iniziale) e terziaria
(intervento per minimizzare gli effetti a lungo termine) sono invece il focus
- 98 -
dell’intervento sanitario. Ciò comporta una revisione delle pratiche di accoglienza e delle
procedure che riguardano la prima visita della donna: è indispensabile inserire nei
protocolli di accettazione di ogni paziente, in ogni tipo di servizio, domande sulla
violenza. Sappiamo che tutte le donne sono vulnerabili, perciò è importante fare
domande a tutte coloro che accedono a un servizio. Molte non dichiarano
spontaneamente di essere o essere state vittime di violenza, e spesso non ne hanno mai
parlato con nessuno, ma sarebbero disposte a farlo con un medico che ponga loro delle
domande in un contesto di cure e non valutativo. Poiché alcune donne inizialmente
potrebbero non riconoscersi come “maltrattate”, i medici dovrebbero ordinariamente
porre a tutte delle domande in proposito, inserendole nell’anamnesi medica. Spesso il
personale sanitario ammette di essere in difficoltà nell’affrontare il tema della violenza:
temono che le donne si sentano offese se vengono fatte loro domande in proposito. Ma
numerose ricerche mostrano invece che le donne non sono disturbate da tali domande;
anzi, se hanno subito violenza, colgono con sollievo l’occasione di parlarne con il medico.
Il MMG può rappresentare un soggetto privilegiato nell’intercettare su vasta scala il
fenomeno della violenza intra familiare e può intervenire facilitando l’emersione del
fenomeno e la riduzione del danno. Il peso dell’intervento non può ricadere
completamente sul MMG, che dovrebbe piuttosto entrare in rete con altri servizi,
operando con le sue specificità all’interno di un programma più articolato.
Programma che coinvolga, oltre agli operatori sanitari, quelli sociali e della giustizia
e il mondo dell’associazionismo femminile. I centri antiviolenza sono in grado di offrire
alla donna rifugio, solidarietà e proposte concrete di uscita dalla violenza, e soprattutto di
affiancarla nella rilettura della sua esperienza personale alla luce di una storia sociale e
collettiva che le restituisca forza e consapevolezza di sé.
- 99 -
ELENCO I 226
Conseguenze della violenza psicologica, fisica o sessuale del partner sulla salute
fisica della donna:
- Diarrea, stitichezza, nausea, sindrome del colon irritabile
- Mancanza di appetito, bulimia, vomito auto-indotto
- Dolori addominali, di stomaco, ulcere gastriche
- Infezioni urinarie, infezioni vaginali
- Malattie sessualmente trasmissibili
- Aids
- Sanguinamenti vaginali, dolori mestruali intensi
- Dolori pelvici
- Rapporti dolorosi, mancanza di desiderio sessuale
- Fibromi e isterectomie
- Cefalee, emicranie
- Svenimenti, convulsioni
- Mal di schiena, dolori cronici alle spalle, al collo
- Dolori cronici
- Influenza e raffreddori
- Artrite
- Ipertensione
- Qualsiasi tipo di lesione: contusioni, ematomi, danni oculari, rottura del timpano,
fratture, ferite da taglio, bruciature, trauma cranico, lesioni addominali e toraciche.
226
CAMPBELL J., Health consequences of intimate partner violence, Lancet 2002;359:1331-6.
100
ELENCO II 227
Conseguenze della violenza domestica da un partner sulla vita sessuale
e riproduttiva della donna
- Difficoltà nell’utilizzare la contraccezione
- Gravidanze non desiderate
- Interruzioni volontarie di gravidanza, soprattutto ripetute
- Aborti spontanei
- Infiammazioni pelviche e infezioni sessualmente trasmissibili
- Rapporti dolorosi, mancanza di desiderio sessuale
- Emorragie in gravidanza
- Per il bambino: basso peso alla nascita
Questi elenchi ci permettono di confermare come la violenza subita da una donna
comprometta seriamente la sua salute, quest’ultima intesa non più come mera assenza di
una malattia ma come completo benessere fisico, psicologico e sociale secondo la
definizione dell’O.M.S. (Organizzazione mondiale della Sanità). Possiamo dire che gli
elementi fondamentali per la lotta contro la violenza di genere siano il monitoraggio e
l’informazione del problema, correlati ad attività di prevenzione in modo che non si
lavori più solo sull’emergenza, ovvero quando la situazione è ormai degenerata, ma prima
della manifestazione del problema, cercando di diffondere quindi la cultura del rispetto e
la valorizzazione delle differenze.
227
COKER A. L., SANDERSON M., DONG B., Partner violence during pregnancy and risk of adverse pregnancy
outcomes, PAEDIAT PERINAT EPIDEMIOL 2004; 18:260-9. COKER A. Does physical intimate partner violence
affect sexual health? A systematic review, TRAUMA VIOLENCE ABUSE 2007; 8:149-77.
101
II.5. Ciclo della violenza 228
Una volta che la donna è isolata e controllata, inizia il ciclo della violenza,
comunemente diviso in 4 macro fasi che ciclicamente si alternano. Il loro alternarsi ha
durata e frequenza variabili: con il trascorrere del tempo, infatti, il passaggio da una fase
all’altra diminuisce sempre più, mentre l’intensità della tensione e della violenza
aumenta.
Fase 1: Crescita della tensione
L’uomo inizia ad assumere un atteggiamento ostile e scontroso.
La donna avverte che la tensione cresce. Tenta di ridurla e prevenire l’escalation di
violenza concentrando la propria attenzione sui bisogni dell’uomo e reprimendo le
proprie paure e necessità. Molte donne affermano di sentirsi come se “camminassero
sulle uova”.
228
http://www.tramaditerre.org/tdt/indices/index_304.html.
102
Fase 2: Esplosione della violenza
L’uomo inizia ad insultarla, minacciarla, denigrarla, urla e rompe oggetti per
spaventarla. Generalmente la violenza fisica è graduale: i primi episodi sono caratterizzati
da spintoni, immobilizzazioni, per poi arrivare a schiaffi, pugni e calci, strangolamenti e
all’uso di oggetti contundenti e armi. Per rimarcare il proprio potere, l’uomo può agire
violenza sessuale. La donna ha paura di morire e si sente impotente e inerme. Le
reazioni sono diverse: c’è chi fugge, chi si ritrae, chi sopporta in attesa che finisca, chi
protesta, chi tenta di difendersi. La violenza subita, oltre alle lesioni fisiche, produce
gravi conseguenze psichiche nella donna. Molte sviluppano disturbi legati alla sindrome
post-traumatica: disturbi del sonno, dolori cronici, ansia, perdita della fiducia in sé e negli
altri.
Fase 3: Luna di miele: pentimento e attenzioni amorevoli
L’uomo, vergognandosi e sentendosi impotente, chiede perdono, dice che vorrebbe
poter tornare indietro, promette di cambiare il proprio comportamento. Si dimostra
“dolce, attento e premuroso”, compra regali, promette di andare in terapia e di “fare
tutto il possibile per cambiare” affinché la donna non lo lasci e si separi da lui.
Sono usuali anche le minacce di suicidio.
La donna riscopre il compagno affascinante e amorevole dei primi periodi della
relazione, così piena di speranza nel potere trasformativo del suo amore, accetta le
scuse e accoglie il partner. Molte si sentono in colpa per aver pensato di lasciarlo,
ritirano eventuali denunce, altre interrompono le consulenze avviate e lasciano gli alloggi
protetti per ritornare al proprio domicilio impegnandosi a far funzionare il rapporto. In
questa fase tendono a rimuovere il ricordo dei maltrattamenti, a difendere l’autore
delle violenze di fronte a terze persone e a sminuire le violenze subite.
Familiari, amici e comunità di appartenenza fanno spesso grande pressione sulla
donna affinché perdoni il partner e gli conceda un’altra possibilità.
La luna di miele è abbastanza breve (da due giorni a sei mesi).
103
Fase 4: Scarico della responsabilità
L’uomo non cerca le cause dentro di sé ma attribuisce la colpa del proprio agire
violento a cause esterne (lavoro, situazione economica, uso d’alcool, stress, ecc.) e
soprattutto alla donna che lo ha provocato o fatto qualcosa che giustifica la sua
aggressione.
La donna si assume la responsabilità del comportamento violento del partner,
illudendosi di poter evitare altre escalation di violenza modificando la propria condotta.
Un fatto qualsiasi riavvia il ciclo della violenza: questa ciclicità rende particolarmente
difficoltoso per la donna uscire dalla violenza perché il proprio partner alterna
momenti d’affetto alla violenza.
L’esperienza dei Centri Antiviolenza mostra che con il passare del tempo i
maltrattamenti tendono a diventare più frequenti e più gravi: la fase di luna di miele
si riduce e le prime due fasi diventano più frequenti, con conseguenze sempre più
gravi per la donna. Se il processo ciclico non viene interrotto la vita della donna può
essere in pericolo. All’inizio della relazione violenta, la donna è convinta di poter tenere
sotto controllo la situazione, solo dopo svariati anni e il ripetersi di molti episodi di
maltrattamento, la donna prende consapevolezza che non può né controllare, né
cambiare il suo partner e sviluppa una motivazione più forte ad uscire dalla relazione
violenta.
104
CAPITOLO III
IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO
III.1. La violenza alle donne: tra la mancata attuazione della Convenzione di
Istanbul e la necessità di una risposta multi agenziale
L’errore di fondo in cui incorre il legislatore è quello di trattare il grave
fenomeno della violenza sulle donne alla stessa stregua di una questione di ordine
pubblico e, dunque, da affrontare esclusivamente con lo strumento penale.
Al contrario, non è attraverso ‘guerre di religione’ ancorate a slogan dal ‘pugno
duro’ che lo Stato può rivendicare una propria legittimazione, ma, viceversa, facendosi
carico di una razionale politica criminale che richiede, accanto alla repressione di condotte
connotate da dannosità sociale, anche la soluzione delle, seppur non facili, questioni di
politica sociale 229. Le politiche di sicurezza includono anche politiche di prevenzione e
repressione della criminalità “ma non si esauriscono in queste. Assumere poi il bene
della sicurezza come ‘bene pubblico’ significa operare per la tutela dei diritti di tutti. La
sicurezza non è pertanto un ‘nuovo’ diritto, ma lo stato di benessere che consegue alla
tutela dei diritti di tutti 230”.
E, allora, prima ancora che di diritto penale a noi pare sia un problema di natura
socio-culturale e, per questo, richieda un approccio meno emergenziale ma di tipo
strutturale. Una questione così complessa e articolata, ancorché risalente, deve interessare
l’intera collettività ai diversi livelli, partendo dalla scuola e dagli istituti professionali dove
si formano gli operatori sociali che poi verranno a contatto con questa realtà. La recente
risposta (d. l. n. 93/13) capovolge il problema ricorrendo alla mera sanzione penale senza
rimuovere le cause. Sotto questo profilo si tratta di una risposta dal respiro corto, perché
prende ad oggetto solo la violenza fisica, disinteressandosi di quelle forme di violenza
non meno infauste. Anzi in alcuni casi la brutalizzazione della mente o dell’animo può
lasciare segni e strascichi profondi e dolorosi come un livido. Eppure rispetto a queste
229
230
Più in generale, sul nesso tra questione securitaria e crisi del modello dello Stato sociale, cfr. PAVARINI,
Degrado, paure e insicurezza nello spazio urbano, in CASS. PEN., 2009, 2, p. 805 ss.
PAVARINI, Paure urbane e nuovi dispositivi di sicurezza, in AA.VV., IL DIRITTO MUNICIPALE, a cura di R.
ACQUAROLI, Macerata, 2009, p. 29.
- 105 -
forme di violenza il recente decreto non pare assumere decise prese di posizione: gli
stereotipi, le diversificazioni, la sovrastruttura ideologico-patriarcale, i modelli di vita, non
ricevono adeguata attenzione da parte legislatore 231.
La violenza sulla donna è anche la disuguaglianza sociale; ‘violenza’ sono anche le
esasperate forme di discriminazione: lavoratrici sottopagate, donne sfruttate, madri parttime, lavoratrici precarie, a tacere dei casi di sfruttamento della prostituzione e, più in
generale, di mercificazione della donna, solo per citare alcuni esempi; ‘violenza’ è anche
tutto ciò che è in grado di annullare l’identità e la libertà della donna. Non è un caso che
nel Preambolo della convenzione di Istanbul si faccia riferimento al ruolo ricoperto dal
raggiungimento dell’uguaglianza - de jure e de facto - ai fini della prevenzione della violenza
contro le donne. Concetto ripreso nell’art. 1 lett b) ove si richiama l’esigenza di
“contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere
la concreta parità tra i sessi rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne”.
E allora, qualunque soluzione presuppone, innanzitutto, la piena conoscenza del
fenomeno nella sua interezza, l’entità, le diverse modalità; tutto ciò implica,
preliminarmente, un meccanismo di acquisizione dei dati e di analisi delle statistiche in
grado di delineare con sufficiente precisione le dimensioni della questione, la tipologia
dei comportamenti violenti, i soggetti interessati (età, status, conviventi, donne separate,
sposate, madri, figlie, ecc.). Occorrono in sostanza centri di osservazione in grado di
monitorare, realmente, l’intero fenomeno e, quindi, evidenziare le varie caratteristiche
e/o i punti di criticità. Spesso, ci si affida invece a singoli casi e all’emotività del
momento, a volte amplificata oltre misura dal circuito mass-mediale per ragioni meno
nobili di audience.
Un altro passaggio fondamentale è rappresentato dall’effettivo funzionamento dei
centri antiviolenza che - dislocati sul territorio in maniera capillare - dovrebbero prendersi
cura della donna e allontanarla tempestivamente dalla situazione di disagio.
In proposito, in sede di conversione del decreto legge (l’art. 5-bis l. n. 119/13)
il legislatore ha rimediato ad un precedente vuoto incrementando economicamente il
Fondo per le politiche relativo ai diritti e alle pari opportunità.
231
Nel Preambolo della Convenzione di Istanbul invece, si evidenzia “la natura strutturale della violenza
contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è
uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione
subordinata rispetto agli uomini”.
- 106 -
Il decreto, infatti, prevedeva all’art. 5 recante: “Piano d’azione straordinario contro
la violenza sessuale e di genere” - rifacendosi, sul piano teorico, alle disposizioni di cui
agli artt. 13, 14, 15, 16, 17 della Convenzione di Istanbul - tutta una serie di momenti di
“informazione e la sensibilizzazione” (co. 2 lett. a), di potenziamento di assistenza e
sostegno per le donne vittime di violenza e per i loro figli attraverso il rafforzamento della
rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi (co. 2 lett.b), di formazione
di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking
(co. 2 lett c), e così via. Il co. 3 dell’art. 5 aggiungeva, però: “All’attuazione delle
disposizioni contenute nel presente articolo si provvede mediante l’utilizzo delle risorse
umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. In tal modo si restava nel campo delle
buone intenzioni; va salutato, quindi, positivamente la dotazione economica del Fondo,
ponendosi - sotto questo profilo - in linea con le indicazioni della Convenzione di
Istanbul, resa esecutiva in Italia, che all’articolo 8 rubricato “Risorse finanziarie”
prevede lo stanziamento di “risorse finanziarie e umane appropriate per un’adeguata
attuazione di politiche integrate, di misure e di programmi destinati a prevenire e
combattere ogni forma di violenza”.
La soluzione prospettata nel recente provvedimento, inoltre, non appare la migliore
risposta perché l’intervento sanzionatorio avviene quando il danno è già stato sofferto; in
un settore così delicato che vede coinvolti soggetti più deboli la vera strada era quella di
una risposta globale senza l’esclusione del perseguimento di esigenze di protezione.
L’unica prevenzione, però, che si coglie sfogliando il decreto legge n. 93/13 è quella
della deterrenza, che oltre a violare le funzioni costituzionali assegnate alla pena (art. 27
co. 1 e 3), finisce per avere sul piano politico-criminale un effetto boomerang.
Com’è noto il disposto costituzionale secondo cui le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione
del condannato, mal si concilia con previsioni sanzionatorie tese ad esaltare prospettive
di mera deterrenza e che, oltre a violare il principio dell’integrazione sociale e quindi
del libero sviluppo della personalità, risultano particolarmente lesive in rapporto alla tutela
della dignità dell’uomo 232.
232
In senso analogo cfr. MOCCIA, Aspetti problematici del rapporto tra funzione della pena e struttura dell’illecito, in
AA.VV., BENI E TECNICHE DELLA TUTELA PENALE. MATERIALI PER LA RIFORMA DEL CODICE, a
cura del Crs, Milano, 1987, p. 101; ID., Il diritto penale tra essere e valore, Napoli, 1992, p. 97 ss.
- 107 -
Il reo diverrebbe esclusivo strumento per l’intimidazione altrui e l’entità del
provvedimento dipenderebbe in larga misura da considerazioni attinenti al pericolo di
fatti illeciti perpetrati da altri soggetti; in contrasto, quindi, anche, con il principio di
personalità della responsabilità penale.
Sul piano dell’efficienza, non è superfluo ribadire come l’inflizione di una pena
eccessiva abbia sul sistema conseguenze ulteriormente negative. Da un lato, il destinatario
del precetto giuridico resta, quanto meno, disorientato dal fatto di dover scontare una
pena sproporzionata al reato commesso 233; dall’altro, l’irragionevolezza della sanzione
rende poco credibile il
sistema pregiudicando quel fondamentale effetto di
orientamento 234 che dovrebbe caratterizzare la norma 235.
Occuparsi solo di percosse e lesioni, di violenze fisiche e omicidi, non significa
affrontare il problema nella sua globalità, con concrete possibilità di risolverlo; del resto
l’attuale codice è tutt’altro che sprovvisto di fattispecie in grado di sanzionare, anche
duramente, il ‘violento’, il molestatore, il vessatore, il violentatore o l’omicida; il sistema
delle circostanze aggravanti, gli istituti del concorso di reati e del reato continuato, inoltre,
consentono considerevoli aumenti di pena. Il recente decreto, infine, a nostro sommesso
avviso, valorizza poco i rapporti tra intervento penale e misure civilistiche che in alcuni
casi possono funzionare meglio della risposta penalistica: si pensi solo per esempio al
surplus di violenza a cui è sottoposta la donna per la celebrazione del processo la cui
presenza in alcune fasi è obbligatoria. E, in ultimo, nulla dice il provvedimento con
riferimento al partner violento per quanto concerne eventuali misure di recupero, magari
attraverso speculari forme di trattamento. Il rischio da evitare, riteniamo, sia quello di
rimettere all’interno della relazione affettiva o nel contesto familiare, una persona resa
ancor più violenta dal mero stoccaggio in carcere.
233
234
235
È stato limpidamente sostenuto, in proposito da BECCARIA: “perché una pena ottenga il suo effetto,
basta che il male della pena eccede il bene che nasce dal delitto ... tutto il di più è dunque superfluo, e
perciò tirannico”, cfr. De’ delitti e delle pene, cit., 54
In tal senso cfr. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore, cit., p. 98.
Deve ancora rilevarsi che la previsione di pene accentuatamente severe reca con sé il rischio di spinte
criminogene. Quando, ad esempio, si minaccia ad un rapinatore la pena di venti anni - pena che per
effetto delle aggravanti comuni - sale a livello sanzionatorio dell’omicidio è fatale che lo si induca a
trasformarsi da rapinatore in omicida poiché, a conti fatti, il rischio delle due imprese criminali si
equivale (in tal senso già MARINUCCI, Politica criminale e riforma del diritto penale, in JUS, 1974, p. 53). Con
estrema chiarezza, è stato affermato, ancora, dal BECCARIA: “a misura che i supplizi diventano più crudeli, gli
animi umani, che come i fluidi si mettono sempre a livello cogli oggetti che li circondano, s’incalliscono; e la forza sempre
viva delle passioni fa che dopo cent’anni di crudeli supplizi, la ruota spaventa tanto, quanto prima la prigionia.
L’atrocità della pena fa che si ardisca tanto di più per ischivarla, quanto è grande il male a cui si va incontro; fa che si
commettano più delitti, per fuggir la pena di uno solo” (cfr. BECCARIA, op. loc. ult. cit.).
- 108 -
III.2.Introduzione alla Legge 119/2013
In data 15 ottobre 2013, il Parlamento ha convertito con la legge n. 119 del 15
ottobre 2013 il decreto di legge n. 93 del 14 agosto 2013 recante disposizioni urgenti in
materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di
protezione civile e di commissariamento delle province. Per quello che interessa in questa
sede, numerose sono state le modifiche apportate sia sotto il versante sostanziale (ad
esempio, mediante l’inserimento di aggravanti comuni o, come vedremo, parzialmente
speciali) sia procedurale (ad esempio, tra le novità più importanti, la querela per il delitto
di stalking torna a essere revocabile salvo che ricorrano date condizioni) finalizzate a una
maggiore protezione avversa a qualsiasi forma di violenza sia sessuale che di genere.
Infatti, come rilevato già nel preambolo del decreto legge in oggetto, alla luce del
“susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme
sociale che ne è derivato” furono approntati “interventi urgenti volti a inasprire, per finalità
dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi,
misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di
violenza domestica” nonché di “affiancare con urgenza ai predetti interventi misure di
carattere preventivo da realizzare mediante la predisposizione di un piano di azione
straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che contenga azioni strutturate e
condivise, ambito sociale, educativo, formativo e informativo per garantire una maggiore e
piena tutela alle vittime”. Al di là degli altri obiettivi perseguiti, quali la necessità di
“alimentare il circuito virtuoso tra sicurezza, legalità e sviluppo a sostegno del tessuto
economico-produttivo” ovvero quello di garantire l’usufruibilità degli strumenti informatici
e telematici “in condizione di maggiore sicurezza e senza pregiudizio della loro integrità
psico-fisica” “in modo che ne possano usufruire in condizione di maggiore sicurezza e
senza pregiudizio della loro integrità psico-fisica”, si osserva come la normativa succitata
dedica gran parte delle sue regole per fronteggiare il dilagante e preoccupante fenomeno del
cosiddetto femminicidio (neologismo creato da un’antropologa messicana per descrivere la
strage di donne al confine fra Messico e Stati Uniti 236) vista l’impressionante cadenza con
236
Dichiarazioni di voto finale Onorevole CIRIELLI, seduta n. 93 del 9 ottobre 2013 tenutasi presso la Camera dei
Deputati avente a oggetto la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto legge 14 agosto
2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché
in tema di protezione civile e di commissariamento delle province (A.C. 1540-A), in www.camera.it.
- 109 -
cui periodicamente si registrano episodi di violenza contro le donne. A questo riguardo, in
sede legislativa, è stato osservato che secondo:
- “il rapporto del Viminale dal primo agosto 2012 allo scorso 31 luglio, in Italia ci
sono state 9.116 denunce per stalking, quasi l’ottanta per cento dei casi sono
stati esposti da donne 237”;
- “l’Eures, nel primo decennio del nuovo secolo ci sono stati settecentoventotto
femminicidi, a cui se ne aggiungono centoventiquattro registrati lo scorso
anno 238”;
- “il rapporto ONU appunto sul femminicidio la violenza domestica è la prima
causa di morte delle donne fra sedici e quarantaquattro anni 239”;
- i “dati ISTAT, le donne italiane tra i sedici e i settanta anni vittime di
violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita sono stimate in 6 milioni 743 mila”.
È evidente di conseguenza come tale intervento normativo abbia inciso “su una
materia molto delicata, che deve tenere conto della normativa internazionale, in
particolare della direttiva 2012/29/UE, relativa alle nonne minime in materia di diritti,
assistenza e protezione delle vittime di reato, e della Convenzione di Istanbul sulla
prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica,
di recente ratificata anche dall’Italia” la quale, come sarà rilevato anche nel prosieguo,
non è “ancora in vigore, non essendo stata ratificata da un numero sufficiente di
Stati; pur tuttavia, la funzione di indirizzo è innegabile”.
Di conseguenza, il taglio pratico, che connoterà questo scritto, sarà quello di
esaminare le novità normative, introdotte con il decreto legge n. 93 del 2013, cosi come
convertito nella legge n. 119/2013, con cui è stata considerevolmente rafforzata, a livello
penale, la tutela delle donne, dei minori e degli anziani avverso qualsiasi forma di abuso,
violenza o sopraffazione.
237
238
239
Intervento Onorevole Di Lello, seduta n. 90 del 3 ottobre 2013 tenutasi presso la Camera dei Deputati
avente a oggetto la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto legge 14 agosto
2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di
genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province (A.C. 1540-A), in
www.camera.it.
Ibidem.
Intervento Onorevole Bossio, seduta n. 90 del 3 ottobre 2013 tenutasi presso la Camera dei Deputati
avente a oggetto la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto legge 14 agosto
2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di
genere, none in tema di protezione civile e di commissariamento delle province (A.C. 1540- ), in
www.Camera.it.
- 110 -
A questo proposito, è stato evidenziato che, con tale meccanismo normativo, il
legislatore ha “ritenuto necessario un nuovo potenziamento degli strumenti per la
prevenzione e la repressione della violenza di genere, soprattutto nella sua ambientazione
domestica, intercettando il crescente allarme sociale determinato dall’inarrestabile
aumento in Italia dei reati che possono essere ricondotti a tale categoria criminologica e
soprattutto di quelli commessi ai danni delle donne 240’’ anche perché tale bisogno è
divenuto ancor più impellente in seguito “alla recente ratifica da parte del Parlamento
della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro
la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (l. 27 giugno 2013, n. 77) 241’’.
Difatti, sebbene il decreto legge n. 93/2013, anche dopo la sua conversione in legge,
non menzioni mai la Convenzione nel suo incipit e non costituisce formalmente l’atto
normativo finalizzato a darvi attuazione, “non ve dubbio che diverse delle nuove
disposizioni si ispirino alle norme della Convenzione medesima, in tal senso anticipando
di fatto l’adeguamento dell’ordinamento interno ad una parte dei suoi contenuti”. Inoltre,
come giustamente rilevato in sede scientifica, si è dovuto tener conto pure “della
normativa internazionale ed in particolare della direttiva 2012/29/UE (4 ottobre 2012)
relativa alle “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di
reato” dato che, in questa fonte del diritto comunitario, molteplici sono i richiami per
quel che riguarda la posizione della donna.
Infatti, in tale direttiva, nella parte introduttiva:
- al par. 5 è espressamente richiamata la risoluzione del 26 novembre 2009
sull’eliminazione della violenza contro le donne, con cui “il Parlamento europeo
ha esortato gli Stati membri a migliorare le normative e le politiche nazionali
volte a combattere tutte le forme di violenza contro le donne e ad affrontarne le
cause, in particolare mediante misure di prevenzione, e ha invitato l’Unione a
garantire a tutte le vittime di vio- lenza il diritto all’assistenza e al sostegno’’;
- al par. 6, ove è menzionata la “risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e
sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla
violenza contro le donne” con la quale “il Parlamento europeo ha proposto una
240
241
Cons. Dott. L. PISTORELLI, Relazione n. III/01/2013 del 22 agosto 2013, pagine 1 e 2, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it.
Cons. Dott. L. PISTORELLI, Relazione n. III/01/2013 del 22 agosto 2013, pagina 2, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it.
- 111 -
strategia di lotta alla violenza contro le donne, alla violenza domestica e alla
mutilazione genitale femminile come base per futuri strumenti legislativi di
diritto penale contro la violenza di genere, compreso un quadro in materia di
lotta alla violenza contro le donne (politica, prevenzione, protezione,
procedimento giudiziario, provvedimenti e partenariato), cui dovrà far seguito un
piano d’azione dell’Unione" nonché “la convenzione delle Nazioni Unite
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna
(CEDAW) adottata il 18 dicembre 1979, le raccomandazioni e decisioni del
comitato CEDAW e la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e
la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata il 7
aprile 2011”;
- al par. 17 in cui è stabilito che “le donne vittime della violenza di genere e i
loro figli hanno spesso bisogno di un’assistenza e protezione speciali a motivo
dell’elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripe- tuta, di intimidazione e di
ritorsioni connesso a tale violenza”;
- al par. 18 nella parte in cui è affermato che le “donne sono colpite in modo
sproporzionato da questo tipo di violenza e la loro situazione può essere
peggiore in caso di dipendenza dall’autore del reato sotto il profilo economico,
sociale o del diritto di soggiorno”.
Medesime considerazioni possono essere formulate per quanto attiene i minori e
gli anziani.
Quanto ai primi, si rammenta:
- la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento
e l’abuso sessuale del 25 ottobre 2007 al cui art 1 è espressamente sancito che
“ogni bambino ha diritto, da parte della propria famiglia, della società e dello
Stato alle misure di protezione richieste dalla sua condizione di minore” da
intendersi quest’ultimo, alla luce di quanto previsto all art. 3, lett. a), “ogni
persona di età inferiore ai diciotto anni 242”;
- la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,
242
Per un’ampia trattazione di questa fonte comunitaria, P. DE MARTINO, Legge di ratifica della Convenzione
di Lanzarote e tutela dei minori vittime del reato durante le indagini preliminari: brevi considerazioni alla luce della
nuova Direttiva 2012/29/UE, pubblicato il 9 gennaio 2013 su www.dirittopenalecontemporaneo.it; M.
MONTELEONE, Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote, parte III, Le modifiche al codice di
procedura penale, in GIUR. MERITO 2013, 7-8, 1484.
- 112 -
al cui art. 19, è previsto che gli “Stati parti adottano ogni misura legislativa,
amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di
violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di
negligenza, di maltrattamenti o di sfrutta- mento, compresa la violenza sessuale,
per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o ad entrambi, i suoi
genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad ogni
altra persona che ha il suo affidamento”.
Quanto ai secondi:
- il par. 66 del preambolo della direttiva 2012/29/UE in cui è stabilito che devono
essere garantititi i diritti degli anziani;
- l’art. 3 lett. e) della Convenzione di Istanbul ove, tra le vittime di violenza
domestica, viene ritenuta tale qualsiasi persona fisica che subisce simili atti;
- l’art. 46 lett. d) ove è previsto come ogni Stato firmatario dovrà predisporre
un’apposita aggravante ove il reato sia commesso “contro una persona in
circostanze di particolari vulnerabilità” (in cui può trovarsi per l’appunto una
persona anziana).
La disamina espositiva, che connoterà questo scritto, sarà pertanto circoscritta a
quella parte della legge riguardante:
- la disciplina penale, sia sostanziale sia procedurale, con particolare attenzione alle
modifiche apportate in sede di conversione;
- la predisposizione di apposti meccanismi di prevenzione volti a dissuadere
l’autore del reato nel persistere nella condotta illecita;
- la predisposizione di strumenti finalizzati non solo alla tutela della vittima ma
anche al recupero mentale dell’autore della violenza.
- 113 -
III. 3. La Struttura del decreto femminicidio
Il recente provvedimento - pur etichettato, sin dal primo momento, come decretofemminicidio - poi convertito in legge, racchiude i settori più disparati che hanno un
comune denominatore facilmente individuabile nel rigorismo sanzionatorio.
È l’intero sistema che risulta per l’ennesima volta ‘stravolto’: sul piano politico
criminale, spiccano semplicistiche soluzioni finalizzate all’ampliamento delle possibilità di
irrogare misure ante o praeter delictum; all’accentuata utilizzazione di istituti precautelari;
alla forte anticipazione dell’intervento penale di cui ne risulta dilatato il campo di
azione 243. Non è questa la sede per soffermarci sulle conseguenze del considerevole
ampliamento del penalmente rilevante, ma a darci l’idea dell’esatta portata del problema è
sufficiente richiamare le riflessioni precedentemente svolte da autorevole dottrina quando
sostiene che l’ipertrofia del diritto penale “trova il suo humus nella concezione
promozionale, che presenta una spiccata sintonia con le coordinate di uno Stato
autoritario. La continua proliferazione di leggi penali, il loro accentuato simbolismo, la
produzione di esiti normativi non senza ragione definiti schizofrenici, hanno prodotto
una situazione di gravissima confusione che rischia di risolversi in una situazione di
delegittimazione del sistema penale in quanto tale 244”.
In questo ‘zibaldone della deterrenza’ si fanno rientrare le questioni più disparate:
non solo il femminicidio (sorvolando sul brutto neologismo che evoca una dimensione
senza anima, meno completa, rispetto al più nobile e ricco termine ‘donna’; più
243
244
L’ampliamento del penalmente rilevante per fatti abbondantemente sanzionati, comporta i noti
problemi di tipicità doppia o plurima (sul tema già SGUBBI, Meccanismo di “aggiramento” della legalità e della
tassatività nel codice Rocco, in QUEST. CRIM., 1981, p. 319 ss.) che scaturiscono proprio dalla “artificiale,
casistica, proliferazione di fattispecie” identiche (cfr. MOCCIA, Prolegomeni ad una proposta di riforma del
codice penale, in CRIT. DIR., 1-2-3, 2006, p. 22). Si tratta di un raffinato meccanismo - rinvenibile nel
codice Rocco - utilizzato dal legislatore repubblicano per ampliare il sistema delle incriminazioni;
quest’ultimo risulta strutturato in modo tale da contemplare, per uno stesso comportamento oggettivo,
margini larghissimi di pena edittale in base alla norma che il giudice ritiene di applicare. Una delle
conseguenze dell’ipertrofia incriminatrice-repressiva, spesso in funzione simbolico-espressiva, non è
data solo dalla caduta di effettività, con questa concorrono i guasti in tema di obbligatorietà dell’azione
penale. In tali ipotesi, è rimessa alla prassi di provvedere all’efficienza della legge, con la conseguenza
che il magistero penale non essendo in grado di perseguire ogni sospetto di reato, è costretto ad agire
in maniera selettiva, con gravi ripercussioni sul principio di cui all’art. 112 Cost., dando vita, così, a quel
fenomeno cd. di depenalizzazione di fatto, del tutto avulso da una razionale politica criminale.
Così MUSCO, L’illusione penalistica, Milano, 2004, p. 60. Sui rischi portati, dall’esercizio simbolico della
minaccia penale, sul rapporto tra ‘penalità minacciata e penalità agita’, cfr. PAVARINI, La
“penitenziarizzazione” della giustizia penale, in AA.Vv., LA GIUSTIZIA CONTRATTATA. DALLA BOTTEGA
AL MERCATO GLOBALE, a cura di S. MOCCIA, Napoli, 1998, p. 177.
114
appropriato, riteniamo, il lemma ‘ginecidio’); ancora modifiche degli atti persecutori
nonostante i palesi vizi di costituzionalità che la fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., a
nostro sommesso avviso presenta 245; pene inasprite per le rapine commesse su
persone di età superiore ai sessantacinque anni o in presenza di persona al di sotto dei 18
anni (art. 7 co. 2 lett. b); una norma ad hoc per il furto di “componenti metalliche o
altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di
trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da
privati in regime di concessione pubblica” (art. 8 co.1 di modifica dell’art. 625 co. 1
c.p.) 246; disposizioni anti-tav; cyberbullismo; riduzione delle forze armate; una nuova
disciplina per la Protezione civile; frode informatica (art. 9); modifiche all’art. 682 c.p, in
tema di “Ingresso arbitrario in luoghi ove l’accesso è vietato nell’interesse militare
dello Stato” (art. art. 7 co. 4), e finanche disposizioni per il potenziamento del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco (art. 11), o relative alle “Gestioni commissariali delle
province” (art. 12). In questa miscellanea legislativa si trova davvero di tutto: perfino
“Disposizioni finanziarie concernenti l’accelerazione degli interventi del PON Sicurezza
nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza
nord Africa” (art. 6). La l. n. 119/13 ha, in sede di conversione del decreto, aggiunto, tra
l’altro, “Interventi a favore della montagna” (art. 11-bis); “Disposizioni finanziarie per gli
enti locali” (art. 13-bis); e perfino “Disposizioni concernenti l’uniforme del personale e la
bandiera del Dipartimento della protezione civile” (art. 10- bis).
245
246
In proposito ci sia consentito richiamare il nostro Una nuova figura criminosa: lo ‘stalking’ (art. 612-bis
c.p.). Ovvero un altro, inutile, ‘guazzabuglio normativo’, in IND. PEN., 2010, pp. 479 ss.
Più semplicemente si tratta di una fattispecie nata per contrastare il fenomeno del furto del rame in
danno delle Ferrovia dello Stato; risulta così modificato un settore già ampiamente disciplinato, e con
rigore, dalla normativa in materia di delitti contro il patrimonio il cui ambito di operatività viene
ampliato da un ricco elenco di circostanze aggravanti. Innovazioni che questo settore, com’è noto, non
richiedeva, se solo si riflette sulla struttura del sistema dei reati contro il patrimonio disegnato dal
codice Rocco. Sui criteri accentuatamente repressivo-deterrenti, il cui regime sanzionatorio, appare
iperbolico perfino rispetto ai criteri, generalmente rigoristici seguiti dal codice Rocco nella
predisposizione delle risposte statuali, cfr. MOCCIA, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali,
Padova, 1988, p. 13 ss.; ID., Considerazioni de lege ferenda, sulla sistematica dei reati contro il patrimonio in
RIV. IT. DIR. PROC. PEN., 1991, p. 410 ss. a cui si rinvia per una risistemazione dell’intera materia in una
prospettiva di riforma. Del resto, non è privo di rilevo il dato secondo cui il sistema sanzionatorio a
tutela del patrimonio s’inseriva, armonicamente, in un più ampio contesto, finalizzato a riconoscere,
mediante l’inflizione di dure sanzioni speciale risalto all’autorità ed alla personalità dello Stato. Sugli
eccessi rigoristici del meccanismo sanzionatorio nel sistema dei reati contro il patrimonio, cfr.
nell’ambito di una letteratura vastissima SGUBBI, Patrimonio (reati contro il), in ENC. DIR., vol. XXXII,
Milano, 1982, p. 332; MILITELLO, Patrimonio (delitti contro il), in DIG. DISC. PEN., Torino 1995, IX, p.
278 ss, in particolare p. 292 ss.; MANTOVANI, Patrimonio (delitti contro il), in ENC. GIUR. TREC., XXII,
Roma, 1990, p. 1 ss.; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro il patrimonio, Vol. II,
tomo II, Bologna 2007, p. 7 ss.
115
E poi i classici stravolgimenti di natura processuale: uno su tutti la proroga
dell’arresto differito per gli ultras del calcio 247. Con la nuova normativa risultano ampliate
anche le possibilità di procedere all’arresto obbligatorio; del resto, l’art. 380 c.p.p. è una
norma continuamente ‘aggiornata’ dal legislatore i cui interventi ne hanno ormai sfigurato
l’originaria stesura.
Si ha le netta impressione che l’oclocrazia abbia preso il sopravvento sull’effettività
della risposta, come dimostra la prospettazione, in un impeto populistico, di corsie
preferenziali per i processi di femminicidio e maltrattamenti, dimenticando i tanti casi di
denegata giustizia, connessi ai tempi del processo e all’ingolfamento della macchina
processuale 248.
III.4.Le modifiche degli artt. 61 c.p. e 572 c.p.
L’art. 1 del d.l. n. 93/13 rubricato: “Norme in materia di maltrattamenti, violenza
sessuale e atti persecutori” al comma 1 stabiliva: “All’articolo 572, secondo comma,
del codice penale, dopo la parola: ‘danno’ le parole ‘di persona minore degli anni
quattordici’ sono sostituite dalle seguenti: ‘o in presenza di minore degli anni diciotto’”.
La legge di conversione (n. 119/13, art. 1 co. 1-bis) abroga il secondo comma
dell’art. 572 c.p. - solo per inciso, a distanza di appena un anno dal suo inserimento ex art.
4 l. n. 172/12 - e modifica l’art. 61 con l’introduzione (a opera dell’art. 1 co. 1) del nuovo
numero 11-quinquies che così dispone: “l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e
l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo
572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in
danno di persona in stato di gravidanza”.
La disposizione di cui all’art. 572 co. 2, com’è noto, prevedeva un aumento di pena
per il fatto commesso in danno di persona minore degli anni quattordici di modo che
247
248
Sul punto ci permettiamo richiamare i nostri, L’ossimoro emergenziale (l. n. 41/07) in materia di
repressione della violenza negli stadi: ovvero quando il legislatore ‘va nel pallone’, in IND. PEN., 2008,
p. 431 ss.; e Considerazioni sulla recente normativa in tema di violenza negli stadi: un ‘calcio’ ai teppisti e due ai
princìpi dello Stato di diritto, in CASS. PEN. 2005, 4, p. 1463 ss.
È stato già rilevato che tra le cause di ineffettività del sistema penale rientra anche “l’insufficienza dei
mezzi a disposizione delle varie istanze di controllo della legalità dei comportamenti umani” da MUSCO,
L’illusione penalistica, cit. p. 125, a cui si rinvia per una puntuale analisi, sul piano più generale, delle ragioni
che hanno determinato la crisi dell’effettività della risposta penalistica (p. 60 ss.; p. 117 ss.).
116
l’aggravamento di pena si giustificava, verosimilmente, perché la violenza cadeva su
soggetti particolarmente vulnerabili.
Dopo le modifiche di cui alla L. n. 119/13 ne scaturisce la seguente circostanza
aggravante se il fatto è commesso: “in presenza o in danno di un minore di anni diciotto
ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”. Discende da ciò un ampliamento
del penalmente rilevante in quanto l’aggravamento di pena viene irrogato non solo per
le ipotesi di maltrattamento di cui all’art. 572 c.p., ma anche in tutti i casi di delitti non
colposi contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà personale, qualora
venga commesso su una persona minore degli anni diciotto o alla presenza di un
minorenne (cosiddetta violenza assistita). La nuova circostanza aggravante include,
pertanto, quella fascia di soggetti, da quattordici a diciotto anni, che prima - con
riferimento ai maltrattamenti - era esclusa dalla previsione sanzionatoria. Rispetto al
decreto legge il provvedimento di conversione aggiunge la locuzione: “ovvero in danno
di persona in stato di gravidanza”; ora se è chiara la volontà del legislatore di inasprire il
regime sanzionatorio nei casi di delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale
e contro la libertà personale quando il fatto venga posto in essere contro una persona in
stato di gravidanza, qualche problema solleva l’inciso perché la stessa locuzione la si
ritrova tra le aggravanti di cui all’art. 609-ter c.p. dopo le modifiche apportate dall’art. 1
co. 2 della legge di conversione 249. Al di la dei profili problematici in ordine al rapporto tra
circostanze aggravanti speciali e comuni e sui criteri di imputazione, con particolare
riferimento al coefficiente soggettivo, di cui all’art. 59 c.p., va posto il evidenza il dato per
cui l’attuale regime sanzionatorio ex art. 572 c.p. - si prenda ad esempio il caso di lesione
gravissima commessa in presenza di un minore - supera, e di non poco, il livello di pena
previsto per l’omicidio preterintenzionale. Sotto il profilo della proporzione qualcosa stride.
III.5.Le innovazioni in tema di violenza sessuale
L’art. 1 co. 1-ter l. n. 119/13 ha sostituito il n. 5 dell’art. 600-ter co. 1 con la
seguente disposizione: “nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto
della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, il tutore”.
249
V. infra § 4.
117
Evidentemente, considerazioni di politica criminale hanno portato il legislatore a inasprire
il regime sanzionatorio, nei casi di atti sessuali posti in essere da determinati soggetti in
danno, appunto, di persone minorenni.
Sempre in tema di violenza sessuale il decreto legge n. 39/13, art. 1 co. 2 - non
modificato sul punto dalla legge di conversione - dopo il numero 5- bis) ha aggiunto i
seguenti numeri: “5-ter, nei confronti di donna in stato di gravidanza” e “5-quater, nei
confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato,
ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza
convivenza. Dunque, il sistema delle circostanze aggravanti di cui all’art. 609-ter c.p.
viene esteso alle due nuove categorie di soggetti individuati nei numeri 5-ter e quater.
L’innovazione offre il fianco a qualche riflessione di tipo dommatico e
politicocriminale.
Sul piano politico-criminale l’aggravante di cui al co. 5-ter rischia di essere
discriminatoria nei confronti di alcune categorie di donne. Se, prima facie, appare
giustificato un aumento di pena in presenza di vittime che siano in stato di gravidanza,
oppure si tratti di mogli, compagne o fidanzate dell’aggressore, perché usare violenza su
una donna incinta o su una persona che ha un vincolo di fiducia con chi l’aggredisce è un
fatto certamente più grave, è altrettanto vero che tale aumento di pena rischia di porsi
in termini discriminatori verso le donne che non hanno figli e non hanno legami con un
partner. Non si comprende per quale motivo l’omicidio di una donna nubile, non madre,
non legata affettivamente a qualcuno debba essere considerato un fatto meno grave.
E, in secondo luogo, c’era realmente bisogno di questa circostanza quando l’art. 61
c.p. prevede al n. 5 l’aggravante della cd. minorata difesa? Non pare possano avanzarsi
dubbi sul dato per cui una donna incinta si trovi in uno stato di particolare debolezza. E
ciò vale anche con riferimento alle altre categorie prima richiamate, se solo si riflette
sull’ampia lettura che la giurisprudenza ha dato della minorata difesa.
Per i giudici di legittimità, infatti, sussiste l’aggravante di cui all’art. 61 n. 5
c.p. anche in presenza di semplici “condizioni utili a facilitare il compimento
dell’azione criminosa 250”, oppure quando la difesa non sia del tutto impossibile “ma
250
Cfr. Cass. pen. sez. V, 23 febbraio 2005, n. 14995, in CED CASS. 231359, secondo i giudici di
legittimità, la circostanza aggravante dell’aver approfittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o
privata difesa “è integrata per il solo fatto, oggettivamente considerato, della ricorrenza di condizioni
utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siamo
118
semplicemente ostacolata 251”, per condizioni “di tempo o di luogo, ovvero perché si
tratta di persona debole o incapace di difendersi per deficienze psichiche o fisiche 252”..
Del resto, l’impiego del verbo ‘profittare’ sottintende proprio la volontà di trarre un
vantaggio dalle circostanze inerenti alla situazione data 253, onde basta (secondo la
prevalente opinione che ne rimarca la natura oggettiva 254) che il soggetto abbia tratto
obiettivamente vantaggio dalla particolare situazione sebbene senza conoscerla, purché
conoscibile 255. Anche da un punto di vista meramente sanzionatorio la circostanza
aggravante della minorata difesa - oltre a risolvere i problemi di concorso di circostanze
- riesce ad essere maggiormente ‘incisiva’ rispetto a quanto stabilito dalla circostanza
aggravante speciale di cui al n. 5 dell’art. 609-ter c.p., consentendo l’inflizione di una pena
più dura. La norma da ultimo richiamata disciplina una circostanza già prevista dal n. 11quinquies dato il riferimento ai delitti non colposi contro la libertà personale.
Sotto il profilo dogmatico, qualche problema solleva il riferimento alla locuzione
“relazione affettiva” di cui al co. 5-quater e che compare anche nella fattispecie degli atti
persecutori; la stessa formula viene adoperata nell’art. 3 co. 1 d.l. n. 93/13 in tema di
violenza domestica.
Non diversamente dall’art. 612-bis c.p. anche nella previsione dell’aggravante di cui
all’art 609-ter viene utilizzata la locuzione ‘relazione affettiva’ senza alcuna specificazione,
rimettendo di fatto alla discrezionalità del giudice l’onere di colmare le lacune della
norma, laddove “il vincolo del giudice alla legge è senza alternative 256”.
251
252
253
254
255
256
maturate occasionalmente o indipendentemente dall’azione del reo” (fattispecie relativa ad omicidio
commesso nei confronti di una donna all’ottavo mese di gravidanza); conf. Cass. pen sez. II, 8 luglio
2004, ivi n. 230244.
Cfr. Cass. pen. sez. I, 29 ottobre 1981, in GIUST. PEN., 1982, p. 471 ss., ipotesi di furto commesso in
un’abitazione, sita in campagna, in ore notturne, approfittando dell’assenza dei proprietari andati in
vacanza; nello stesso senso cfr. Cass. pen. sez. I, 7 gennaio 1988, in RIV. PEN., 1989, p. 727 ss.
relativamente ad una rapina consumata in ore notturne in danno di un gestore di distributore di carburante
che dormiva solo nel chiosco; Cass. pen. sez. II, 22 marzo 1986, in RIV. PEN., 1987, p. 484, che ha ritenuto
applicabile la circostanza della minorata difesa in tema di rapina “consumata in aperta campagna e in ora
notturna; Cass. pen. sez. I, 18 marzo 1993, in GIUST. PEN. 1995, p. 211 ss. con riferimento al caso in cui la
vittima di un reato sia stata colta di sorpresa nell’abitacolo di un’autovettura ferma.
Cfr. Cass. pen. sez. I, 18 febbraio 1991, in GIUST. PEN., 1991,p. 472 ss. Ricostruiscono l’aggravante
della minorata difesa come insieme di situazioni, legate a fattori ambientali o personali, per effetto delle
quali la vittima non può adeguatamente difendersi, MARINUCCI - DOLCINI, Manuale di diritto penale.
Parte generale, Milano, 2004, p. 348.
Cfr. FIANDACA - MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2009, sesta ed., p. 436.
Cfr. C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2008, terza ed., p. 444; M. ROMANO,
Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987, I, p. 576.
Cfr. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2011, settima ed., p. 411.
Così HASSEMER, Metodologia giuridica e pragmatica giudiziaria, in CRIMINALIA, 2007, p. 75.
119
Dalla disposizione di cui all’art. 609-ter si ricava che la circostanza aggravante opera
non solo nei confronti del coniuge, ancorché separato o divorziato, ma anche nei riguardi
dell’innamorato, del fidanzato, del convivente o, per fare un esempio, anche dell’ex
compagno/a di una relazione omosessuale. La locuzione ‘relazione affettiva’ include,
pertanto, qualunque tipo di rapporto affettivo, benché di tipo amicale, e se tutto ciò può
essere valutato - nell’ottica repressiva della norma - addirittura in termini positivi nella
misura in cui amplia la portata della fattispecie, indirizzandosi verso qualunque persona,
resta irrisolto il problema di stabilire quando si ha una ‘relazione affettiva’. Sul punto, la
norma presenta profili di indeterminatezza, perché sarà solo il giudice, successivamente
alla verificazione dei fatti, a stabilire che tra due persone vi era una relazione affettiva, con
la conseguenza di rimettere alla completa discrezionalità del giudice la sussunzione del
caso realmente verificatosi nella fattispecie incriminatrice astratta, con tutte le
conseguenze derivanti da possibili applicazioni oscillanti. Del resto la locuzione ‘relazione
affettiva’ non è stata oggetto di soverchio approfondimento da parte della prassi utile a
‘spiegarne’ la portata; sebbene in tutt’altro ambito, si richiamano “caratteristiche di
stabilità e tendenziale definitività in modo da rendere evidente la sussistenza di una
relazione affettiva interpersonale fondata su una duratura comunanza di vita e di
interessi, assimilabile nei fatti ad un vero e proprio rapporto familiare 257”. In materia
di atti persecutori la copiosa giurisprudenza, invece, si limita a richiamare l’espressione
senza alcuna precisazione.
Le difficoltà quindi non mancano: il lemma ‘affettività’ è utilizzato in ambito
psicologico per indicare l’insieme dei sentimenti e delle emozioni di un individuo oltre al
carattere assunto da un particolare stato psichico. Non è questa la sede per soffermarsi
sulle riflessioni aristoteliche svolte nel ‘De Anima’ - secondo cui il termine ‘affezione’
designa tutto ciò che nell’anima accade, cioè qualsiasi modificazione che essa subisce ma ci basta sapere che individua ogni stato, condizione o qualità che consiste nel subire
un’azione o nell’essere influenzato o modificato da essa 258.
Alla luce delle succinte considerazioni appena svolte discende il dato per cui la
verifica di stati attinenti alla psiche delle persone non si palesa operazione tra le più
semplici, proprio perché vengono in risalto sensazioni, emozioni dell’animo, la cui
oggettivizzazione appare per molti versi impossibile da provare in un processo. Senza
257
258
Cfr. Cass. pen. sez. IV, 27 giugno 2001, n. 35121, RIGAMONTI, Cass. pen. 2002, p. 3818.
Sul punto si rinvia a ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, voce Affezione, Novara, 2006, vol. 10, p. 20 ss.
120
addentrarci su problemi di più ampio respiro in tema di causalità psichica 259, la locuzione
‘relazione affettiva’ postula, com’è stato nitidamente sostenuto, “una relazione tra la
condotta dell’autore e la risposta reattiva di un altro soggetto”; la questione si presenta
in tutta la sua rilevanza perché “un soggetto agisce non direttamente su un oggetto
materiale, bensì influisce indirettamente sull’evento interferendo nell’esercizio della libertà
di un’altra persona”; e, ancora, “il diritto penale, come disciplina che tematizza
espressamente le relazioni comunicative nella vita sociale, implicanti interazioni tra la
ragione e la volontà delle persone, nonché tra i loro sentimenti, atteggiamenti psichici,
aspirazioni, desideri, passioni, si edifica su una trama ininterrotta di giudizi relativi agli
effetti e ai significati, sempre diversi e cangianti, del condizionamento reciproco della
condotta di uno o di alcuni uomini rispetto alla condotta di altri 260”.
III.6.Le modifiche riguardo agli ‘Atti persecutori’
Il comma 3 dell’art. 1 della legge di conversione del d.l. n. 93/13 modifica l’art. 612bis c.p. in tema di atti persecutori prevedendo:
“a) il secondo comma è sostituito dal seguente:
“La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o
divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa
ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Dalle innovazioni appena richiamate discendono tutta una serie di conseguenze.
In primo luogo, l’innovazione con riferimento all’inciso ‘è o è stata legata da
relazione affettiva’ va accolta con favore perché la versione originaria della fattispecie in
tema di atti persecutori prevedeva una differenziazione sanzionatoria del tutto
ingiustificata 261.
259
260
261
Su cui cfr. recentemente le considerazioni svolte da RONCO, Le interazioni psichiche nel diritto penale: in
particolare sul concorso psichico, in IND. PEN., 2004, 3,p. 815 ss. e SCHIAFFO, Istigazione e ordine pubblico,
Napoli, 2004, p. 194 ss.
I passi tra virgolette sono di RONCO, Le interazioni, cit., 817 ss. Questa tipologia di fattispecie si sottrae
a quella verificabilità empirica richiesta dalla Corte costituzionale, a partire dalla sentenza sul plagio (n.
96/1961), per testare la determinatezza della fattispecie incriminatrice, così MANNA, Il nuovo delitto di
atti persecutori e la sua conformità ai principi costituzionali, in AA.VV., SCRITTI IN MEMORIA DI GIULIANO
MARINI, Torino, 2010, p. 469 ss. sulla “verificabilità empirica”, cfr. ID., Il diritto penale dell’immigrazione
clandestina, tra simbolismo penale e colpa d’autore, in CASS. PEN., 2001, p. 2.
La locuzione ‘legata da relazione affettiva’ compariva in due distinte disposizioni dell’art. 612- bis c.p.
121
Il legislatore ha sostituito il termine ‘legalmente’ con la congiunzione ‘anche’;
pertanto, risulta ampliata la portata della fattispecie non essendo richiesto - come in
passato - uno specifico atto di separazione o divorzio. In sostanza, prima della modifica,
l’aumento di pena di cui al secondo comma dell’art. 612-bis c.p. scattava nei confronti
del coniuge legalmente separato o divorziato; la norma poteva essere letta nei seguenti
termini: “La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge solo se legalmente
separato o divorziato”. Attualmente, invece, con l’inserimento della particella aggiuntiva
‘anche’ l’aumento di pena si applica in ogni caso al coniuge, anche se (con valore di
altresì, ugualmente, per di più) separato o divorziato.
In verità l’innovazione appare irrilevante se si riflette sul dato per cui la
disposizione contro gli atti persecutori prevede, nel medesimo comma, la locuzione “o
da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona”. La formula appena
richiamata è in grado di abbracciare ‘anche’ le ipotesi di persona separata o divorziata, a
meno che non si pensi ad un matrimonio, ad una convivenza o ad una relazione, priva
di qualunque affezione. Come si accennava il legislatore ha inserito in chiusura del
secondo comma la locuzione: “ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti
informatici o telematici”. Si tratta di una modifica tesa esclusivamente ad irrogare un
regime sanzionatorio più duro quando i fatti di minaccia 262 o molestia, di cui al primo
comma, siano posti in essere attraverso mezzi informatici o telematici. Una scelta
politico-criminale, quindi, che ha portato il legislatore alla determinazione che una
minaccia o una molestia commessa, ad esempio, a mezzo internet (si pensi all’invio di
posta elettronica) sia più grave di una minaccia commessa direttamente dalla persona
o con un mezzo diverso da uno strumento informatico o telematico.
262
corredate da differente regime sanzionatorio. Infatti, il co. 1 sanzionava con la reclusione da sei mesi a
quattro anni colui che minacciava o molestava in modo da ingenerare un fondato timore per
l’incolumità non solo della vittima ma anche di una persona legata alla vittima da relazione affettiva. Il
co. 2 disciplinava un’aggravante comune se il fatto fosse stato commesso dal coniuge legalmente
separato o divorziato - o come riportava la norma - “o da persona che sia stata legata da relazione
affettiva”. La differenza andava individuata nell’uso temporale delle due formule: al presente nel
comma primo, e al passato nel secondo comma; nel primo caso se ne deduceva che la relazione
affettiva era ancora in corso al momento delle minacce o delle molestie (la norma recava ‘legata da
relazione affettiva’), mentre nel secondo caso la relazione era terminata (la disposizione enunciava ‘sia
stata legata da relazione affettiva’). Discendevano, da ciò, però, conclusioni alquanto diverse e, per
alcuni aspetti, stravaganti: il semplice atto di separazione, ad esempio, comportava un regime
sanzionatorio più grave nonostante l’identicità dei fatti; non si comprendeva per quale ragione il mero
atto di separazione o divorzio - che nulla aggiungeva sul piano dell’offensività della condotta - potesse
comportare un trattamento sanzionatorio diverso.
L’art. 1 co. 2-ter aggiunto dalla legge di conversione ha inasprito la multa di cui all’art. 612 c.p.
elevandola fino a euro 1.032, precedentemente fissata fino a euro 51.
122
Ma può essere vero l’opposto nella misura in cui una minaccia esplicitata
direttamente può avere un impatto ben maggiore sulla potenziale vittima. Si pensi a colui
che attraverso internet spedisca una e-mail contenente una minaccia di morte rispetto alla
stessa minaccia esternata direttamente nei confronti della persona. Una plausibile chiave
di lettura, utile a giustificare la ratio di una tale presa di posizione, potrebbe essere
individuata nel fatto che il legislatore abbia inteso punire più gravemente la minaccia posta
in essere attraverso strumenti informatici e telematici, perché attraverso l’uso di questi
mezzi risulta ‘più facile’ raggiungere la potenziale vittima.
La legge di conversione (n. 119/13) ha modificato il regime dell’irrevocabilità della
querela come originariamente prevista dal d.l. n. 93/13. Si tratta di un tentativo,
apprezzabile, di ovviare ad alcuni inconvenienti connessi all’impossibilità di remissione
della querela, anche se non tutti i profili problematici possono dirsi chiariti.
Infatti, nella versione di cui al d.l. n. 93/13 l’irrevocabilità della querela finiva per
limitare le possibilità di agire della donna, non più libera di decidere se continuare o meno
l’iter processuale. Il rischio era quello che rispetto ad un atto non più revocabile la donna
- per delle considerazioni del tutto personali, si pensi alla presenza di figli - poteva
essere spinta a non denunciare il fatto. In sostanza alla violenza dell’agente si sommava la
violenza dello Stato, che espropriava la donna della scelta di proseguire o meno il
processo. Dopo le modifiche apportate dalle legge di conversione è consentita la
revoca processuale della querela; il legislatore ha cercato, in altri termini, di far fronte ad
opposte esigenze: rispettare la piena autodeterminazione della persona offesa ed evitare
eventuali indebite pressioni da parte del querelato, affidando al giudice di ‘valutare’ la
reale libertà della vittima. Condivisibili, come si accennava, le ragioni delle modifiche
anche se, a nostro sommesso avviso, residuano almeno due aspetti problematici. Sotto un
primo profilo occorre riflettere sul dato secondo cui la revoca processuale, ai sensi dell’art.
340 c.p.p., è non solo quella fatta “con dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente”,
ma anche quella fatta a “un ufficiale di polizia giudiziaria che deve trasmetterla
immediatamente alla predetta autorità”. Dunque, nella seconda ipotesi di remissione di
querela manca quel filtro del giudice che valuta l’assenza di pressioni e, dunque, la
libera scelta della vittima. Il secondo profilo problematico attiene alla irrevocabilità della
querela “se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui
all’articolo 612 secondo comma” c.p.
123
L’inciso “minacce reiterate” potrebbe dar vita agli stessi problemi, come
dimostrano i diversi orientamenti giurisprudenziali, sorti in sede di individuazione delle
“condotte reiterate” di cui all’art. 612-bis c.p.
124
III.7.Il ‘nuovo’ ammonimento del questore
L’art. 1 al co. 4 innova l’art. 8, co. 2 del d.l. n. 11/09, convertito con modificazioni
dalla l. n. 38/09, in materia di ammonimento da parte del questore relativamente agli
atti persecutori sostituendo le parole: “valuta l’eventuale adozione di provvedimenti” con
la formula: “adotta i provvedimenti”. Dunque, il precedente alinea: “Il questore valuta
l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni” risulta
modificato nei seguenti termini: “Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e
munizioni”.
Non ci sembra un’innovazione di rilevante portata sul piano concreto. Attualmente
come in passato il questore per poter adottare un provvedimento preventivo in materia di
armi dovrà comunque svolgere una ‘valutazione’ dei fatti, ancor di più se si riflette sulla
natura cautelare della misura di polizia di sicurezza - naturalmente in grado di restringere
i diritti dell’individuo - che viene irrogata in assenza di contraddittorio.
La giurisprudenza amministrativa - pur affermando che non è necessario il
compiuto riscontro dell’avvenuta lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale
incriminatrice, individuabile nella libertà morale, compromessa dallo stato di ansia e
timore che impedisce alla vittima di autodeterminarsi senza condizionamenti, e pur
ribadendo che il questore deve soltanto apprezzare discrezionalmente la fondatezza
dell’istanza
- richiede, comunque una ragionevole certezza sulla plausibilità e
verosimiglianza delle vicende ivi esposte 263. Pertanto, ai fini dell’ammonimento, pur non
essendo richiesta l’acquisizione della prova di fatti penalmente rilevanti puniti dall’art.
612-bis c.p., e seppure nella sfera di un potere valutativo della p.a. contraddistinto da
ampia discrezionalità, comunque viene pretesa la sussistenza di un quadro indiziario che
renda verosimile l’avvenuto compimento di atti persecutori 264.
Infatti, l’art. 8, comma 2 del d.l. n. 11/09 dispone che il questore, ove ritenga
fondata l’istanza, adotta l’ammonimento “assunte se necessario informazioni dagli organi
investigativi e sentite le persone informate dei fatti”, previsione inserita al chiaro scopo
di consentire al questore stesso di formare il proprio prudente convincimento circa la
fondatezza dell’istanza e, comunque, tenendo conto delle risultanze dell’audizione del
263
264
Cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 28.06.2010 n. 2639, in DEIUREGIUFFRE.
Cfr. T.A.R. Venezia Veneto sez. III, 11 luglio 2011, n. 1166, T. e altro C. Min. int. e altro, in FORO
AMM., TAR 2011, 7-8, p. 2272.
125
destinatario del provvedimento di ammonimento, tant’è che l’omesso ascolto rende
illegittimo il provvedimento medesimo 265.
Appare plausibile che, al fine di evitare avventate applicazioni, il questore svolgerà
un’attenta analisi di tutti gli elementi a sua disposizione, seppur con riferimento alla
misura amministrativa dell’ammonimento, gravata da un onere probatorio meno forte
rispetto ai rimedi penalprocessualistici 266. Dunque, pur muovendosi in un campo
contrassegnato da ampia discrezionalità, il questore deve comunque compiere una
ponderata attività istruttoria secondo le indicazioni di cui al co. 2 dell’art. 8, e ciò
anche alla luce dell’esigenza di armonizzazione con le disposizioni di cui alla l. n. 241/90.
Per tali ragioni riteniamo che il problema relativo alle armi non possa essere trattato
diversamente; non a caso si tratta di una disposizione inserita nel contesto del
procedimento ammonitorio. L’espressione: “il questore valuta l’eventuale adozione di
provvedimenti in materia di armi e munizioni” s’inserisce nell’ambito di un più ampio
contesto ove il potere di inibire il possesso di armi risulta già disciplinato dagli artt. 10,
11, 42 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (cosiddetto T.U.L.P.S.) 267.
In particolare, l’art. 43 richiama i requisiti della ‘buona condotta’ e l’affidabilità di
non abusare delle armi, la cui assenza comporta la revoca della licenza 268.
Il questore, pertanto, oggi come ieri, dovrà comunque svolgere le sue ‘valutazioni’ al
fine di adottare un provvedimento in materia di armi; pertanto, alla nuova formula potrà
riconoscersi solo un impatto di natura simbolico-promozionale.
265
266
267
268
Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 21 ottobre 2011, n. 5676, in DEIUREGIUFFRE; TAR Valle d’Aosta, 17
novembre 2010, n. 68, ivi; TAR Liguria, sez. II, 29 aprile 2010, n. 2008, ivi.
Sulla sufficienza di ‘indizi coerenti’ ai fini dell’ammissione dell’ammonimento cfr. T.A.R. Brescia
Lombardia sez. II, 8 maggio 2013, n. 444, Speranza C. Min. int., in REDAZIONE, Giuffrè 2013; nello
stesso senso cfr. T.A.R. Pescara Abruzzo sez. I, 7 giugno 2012, n. 260, in DEIUREGIUFFRE; il
provvedimento di ammonimento non presuppone l’acquisizione della prova del fatto penalmente
rilevante punito dall’art. 612-bis c.p. ma richiede la sussistenza di un quadro indiziario che renda
verosimile, secondo collaudate massime di esperienza, l’avvenuto compimento di atti persecutori, in tal
senso cfr. T.A.R. Perugia Umbria sez. I, 10 aprile 2013, n. 226, R. C. Pref. di Perugia e altro, in FORO
AMM., TAR 2013, 4, p. 1168.
Per ulteriori approfondimenti sul processo ammonitorio cfr. PRESUTTI, L’ammonimento orale come
strumento di prevenzione dello stalking.
La giurisprudenza ha avuto modo di specificare: “Quanto agli elementi di fatto da valutare, ai fini della
revoca del porto d’armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un
abuso dell’arma da parte del privato. Quanto alle condotte possibili a base della revoca, è consolidata la
tesi (che vi comprende anche le mere disattenzioni e le mancanze di diligenza) per cui ai fini della
revoca del porto d’armi, “abuso” dell’arma non è solo il suo uso illegittimo, ma anche l’omissione delle
cautele per impedire che persone diverse dal titolare possano impadronirsene e servirsene”, cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 901, in DEIUREGIUFFRE.
126
III.8.L’ ammonimento del questore in ipotesi di violenza domestica
L’art. 3 del d.l. n. 93/13, rubricato: “Misura di prevenzione per condotte di violenza
domestica”, prevede una nuova figura di ammonimento inflitta dal questore.
Non sono pochi i profili problematici che la nuova disposizione solleva; basti
pensare al concetto di ‘violenza domestica’.
La norma, in sintesi, disciplina il caso in cui venga portato a conoscenza delle
forze dell’ordine un fatto - consumato o tentato - riconducibile alle ipotesi di lesioni
personali, dalle quale derivi una malattia la cui durata non sia superiore ai venti giorni.
In sede di conversine è stato aggiunto il riferimento alle percosse. Il questore anche
in assenza di querela può procedere all’ammonimento dell’autore dopo aver assunto le
informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate
dei fatti. Il comma 4 dello stesso articolo aggiunge: “In ogni atto del procedimento per
l’adozione dell’ammonimento di cui al comma 1 devono essere omesse le generalità
dell’eventuale segnalante”.
Dunque, in ipotesi di percosse o lesioni personali segnalate al questore, in forma
non anonima (il testo del d.l. n. 93/13 utilizzava invece la locuzione ‘anche in forma
anonima’) quest’ultimo attraverso una sua valutazione può procedere ad ammonire
l’autore del fatto nonostante l’assenza di querela.
Il legislatore conferisce al questore il potere discrezionale (la norma reca “può”)
d’intervenire in presenza di alcuni presupposti: che si sia verificato un fatto di percosse o
lesioni personali - consumato o tentato nell’ambito della violenza domestica - e, dunque,
relativamente alle lesioni con prognosi non superiore a venti giorni; che la notizia del
fatto sia stato segnalato alle forze dell’ordine, in forma non anonima. Il questore assunte
le informazioni e dopo aver sentito le persone informate dei fatti procede ad ammonire
l’agente.
La norma impone, in via preliminare, di stabilire cosa debba intendersi per
‘violenza domestica’; un concetto questo alquanto vago e non a caso il legislatore ha
cercato di specificarne la portata (art. 3 co. 1 secondo alinea d.l. n. 93/13), seppur con
esiti poco lusinghieri, stabilendo che: “si intendono per violenza domestica tutti gli atti,
non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano
all’interno della famiglia”.
127
Attraverso la locuzione appena richiamata, il legislatore si era limitato a riproporre senza alcun adattamento - la stessa definizione di cui all’art. 3 lett. b) della Convenzione di
Istanbul; la legge di conversione ha stabilito che la violenza domestica si verifica, invece,
quando vengono posti in essere “uno o più atti, gravi ovvero non episodici di violenza
fisica…” Ma così facendo le carenze di genericità non possono dirsi colmate perché la
specificazione del legislatore si traduce in una sorta di pleonasmo con il riferimento alla
‘gravità’ e per l’uso della locuzione “non episodici”. Non episodico equivale a dire ‘non
isolato’, ‘non occasionale’, ‘non sporadico’, ‘non infrequente’, ‘non raro’ e, dunque, il
questore per accertare la sussistenza della violenza domestica dovrà verificare il carattere
‘costante, frequente, regolare, ricorrente, usuale, consueto’ del fatto di lesioni. Si tratta
di un difficile accertamento che deve ricavarsi dalle investigazioni delle forze
dell’ordine e dalle dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti. Inoltre, non poco
problematico si presenta l’accertamento del requisito della ‘gravità’, in particolare
nell’ambito di lesioni lievissime tentate! Appare, poi, naturale domandarsi in caso di
difformità tra le dichiarazioni rese dal delatore e la vittima quale delle due avrà maggiore
credibilità? A quali delle due il questore darà credito? E, infine, la semplice segnalazione,
sebbene non anonima, non potrebbe porsi, addirittura, come ulteriore fattore di violenza
da parte del partner, il quale potrebbe sfogare sulla potenziale vittima la rabbia di essersi
trovato al centro di un’indagine da parte delle forze dell’ordine? Ma anche in ordine alla
tipologia delle lesioni la norma evidenzia qualche problema richiedendo una prognosi non
superiore a venti giorni. Ne discende che per emettere il provvedimento di
ammonimento il questore dovrà accertare la fondatezza di lesioni lievissime, e questo
accertamento richiede necessariamente l’intervento di personale medico, che certamente
non può essere eseguito senza la collaborazione della vittima. Con la conclusione che il
soggetto passivo che ha scelto di non attivare alcun meccanismo si vede coinvolto in un
procedimento contro la sua volontà. Paradossalmente alla violenza del partner si somma
quella delle Istituzioni seppur giustificata dai migliori intendimenti. Altra disposizione
poco chiara sotto il profilo politico-criminale è la previsione dell’applicazione della misura
della sospensione della patente di guida, per un periodo da uno a tre mesi, inflitta al
destinatario dell’ammonimento da parte del prefetto su richiesta del questore (art. 3 co. 2).
Quale nesso intercorra tra violenza domestica e sospensione della patente di guida non è
dato sapere; quasi che per commettere fatti di violenza sia necessaria la patente di guida.
128
III.9.Gli stranieri vittime di violenza domestica
Il legislatore ha cercato di farsi carico anche della violenza commessa su persone
straniere, innovando, con l’art. 4 co.1 del d.l. n. 93/13, il T.U. immig. attraverso
l’inserimento del nuovo art. 18-bis. Per effetto di tali modifiche viene riconosciuta al
questore la possibilità di rilasciare “un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5,
comma 6, per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza”. La disposizione, al di
là16delle buone intenzioni, appare non poco contraddittoria e presenta chiari profili di
incostituzionalità, ponendo in essere una ingiustificata disparità di trattamento tra
cittadini italiani e cittadini stranieri.
Secondo il nuovo art. 18-bis, al fine di riconoscere tutela alla persona straniera
vittima di violenza domestica il questore, anche su proposta dell’Autorità giudiziaria
procedente ovvero con il parere favorevole di quest’ultima, rilascia un permesso di
soggiorno per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza in presenza di alcuni
presupposti previsti dallo stesso co. 1 dell’art. 4. Il permesso di soggiorno può essere
rilasciato quando: “siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno
straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità”. Quindi,
occorrono precise condizioni e cioè: a) una accertata situazione di violenza o abuso; e per
effetto della congiunzione “ed”, b) un concreto e attuale pericolo per l’incolumità della
vittima. Il comma 2 dello stesso articolo richiama, inoltre, la “gravità e attualità del
pericolo per l’incolumità personale”.
Ora se si riflette sulla ratio del rilascio del permesso di soggiorno e cioè quella di
non lasciare la vittima in balia del suo ‘carnefice’, è facile notare che si tratta delle stesse
motivazioni sottese all’istituto dell’ammonimento del questore per le ipotesi di violenza
domestica.
Non si riesce a spiegare, allora, la ragione per cui il cittadino italiano riceva una
tutela anticipata attraverso un intervento preventivo che arriva fino a coprire semplici
fatti - anche nella forma tentata - riconducibili al reato di percosse o di cui all’art. 582,
co. 2 c.p., e addirittura sia sufficiente anche una segnalazione, seppur non anonima, per
l’attivazione della misura, mentre per lo straniero bisogna accertare situazioni di violenza
e abuso, talmente gravi da far emergere un concreto, grave, pericolo per l’incolumità
personale.
129
Mettendo a confronto le due norme risalta immediatamente la diversità di
trattamento, con la conseguenza che se vengono accertate ‘semplici’ percosse o lesioni
oppure uno stato grave anche non episodico, di violenza fisica, sessuale, psicologica o
economica, che non mettono in pericolo l’incolumità personale, non è previsto alcun
intervento a tutela della vittima. Eppure, le percosse, tanto per fare un esempio, sia alla
donna straniera che a quella italiana sono pur sempre… percosse.
Una simile difformità di trattamento può spiegarsi solo con l’accoglimento di
quell’impostazione che ricostruisce la posizione del cittadino straniero, ed in particolare
extracomunitario, in termini di soggetto ‘diverso’.
Ma la Carta costituzionale, è appena il caso di evidenziare, non prevede alcuna
diversificazione tra soggetti e, soprattutto, non consente alcuna impostazione funzionale a
giustificare la penalizzazione del ‘diverso’ che in quanto tale è escluso da alcuni suoi
diritti. In sostanza il nostro ordinamento non distingue tra Menschen e Untermenschen
quando fa riferimento alla dignità dell’uomo 269; la nostra Costituzione pone, è noto, la
persona umana, senza alcuna differenziazione, all’apice dell’ordinamento.
III.10. L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
Con lo scopo di porre un argine al «susseguirsi di eventi di gravissima
efferatezza in danno di donne e al conseguente allarme sociale che ne è derivato», il
legislatore ha recentemente messo mano ad un complesso intervento normativo
finalizzato «ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali
fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata
tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica».
In questa ottica di rafforzamento della tutela di “soggetti deboli” si colloca anche la
nuova misura di polizia dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.
L’art. 2 c. 1 lett. d) d.l. 14 agosto 2013, n. 93, contenente «Disposizioni urgenti
in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di
protezione civile e di commissariamento delle province 270», convertito con modificazioni
269
270
Cfr. MOCCIA, Brevi note in materia di prassi dei diritti fondamentali, in AA.VV., I DIRITTI FONDAMENTALI
DELLA PERSONA ALLA PROVA DELL’EMERGENZA, a cura dello stesso Autore, Napoli, 2009, p. 160.
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16 agosto 2013 ed entrato in vigore il 17 agosto 2013.
130
dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119 271, inserendo nel codice di procedura penale l’art. 384-bis,
ha previsto che «gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre,
previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata
per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il
divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei
confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’articolo 282-bis, comma 6, ove
sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate
ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona
offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all’adempimento degli obblighi di
informazione previsti dall’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11,
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive
modificazioni. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385
e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all’articolo 381, comma
3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di
allontanamento».
Dal punto di vista sistematico, la nuova misura è stata collocata subito dopo
l’art. 384 c.p.p., dedicato al fermo di indiziato di delitto. La soluzione, che sembra
presupporre un’assimilazione, sul piano funzionale, delle due misure 272, lascia perplessi in
quanto il fermo, che può essere operato anche fuori dai casi di flagranza, ha lo scopo
precipuo di impedire la fuga dell’indiziato, mentre la misura che si commenta, che
richiede la flagranza di reato, persegue l’obiettivo di neutralizzare la pericolosità
dell’autore al fine di apprestare protezione ad una specifica vittima particolarmente
vulnerabile.
Dal punto di vista dogmatico, vi sono pochi dubbi che si tratti di una misura
precautelare; ciò si desume sia dalla collocazione sistematica all’interno del titolo VI del
libro V del codice di rito, dedicato all’arresto in flagranza e al fermo, che dalla fisionomia
del nuovo istituto 273. Delle misure precautelari ricorrono, infatti, sia la struttura (il potere
attribuito alla polizia giudiziaria di limitare la libertà personale) che le finalità (vale a dire
la tutela avanzata della collettività da delitti che l’ordinamento ritiene particolarmente
271
272
273
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 ottobre 2013 ed entrata in vigore il 16 ottobre 2013.
In tal senso si esprime il parere sul d.l. 93/2013 reso dal Consiglio Superiore della Magistratura ai sensi
dell’art. 10 l. 195/1958.
Così anche il parere del Consiglio Superiore della Magistratura già citato.
131
offensivi della civile convivenza 274, la fissazione delle prove e il prodromo del giudizio
direttissimo 275 e la garanzia per l’esecuzione dei provvedimenti cautelari disposti dal
giudice 276).
Passando all’analisi della struttura, il primo presupposto per applicare la nuova
misura è che il soggetto da allontanare sia stato colto dalla polizia giudiziaria nell’atto di
commettere una delle fattispecie elencate dall’art. 282-bis c. 6 c.p.p. (disposizione che
disciplina la simmetrica misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare), ossia i
delitti previsti dagli artt. 570, 571, 582, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1,
600- septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612 c. 2
c.p. Va subito rilevato come nella lista di reati non figuri il delitto di atti persecutori.
Se consideriamo la finalità protettiva della misura in esame e il suo contenuto che,
come vedremo meglio oltre, risulta modellato in parte sulla falsariga della misura di cui
all’art. 282-ter c.p.p., l’omissione lascia piuttosto perplessi.
Possiamo ipotizzare che sulla decisione del legislatore abbia pesato la
considerazione che il cosiddetto delitto di stalking, stante la sua natura sussidiaria, nella
maggioranza dei casi è destinato ad essere assorbito dal più grave delitto di maltrattamenti
in famiglia. Si tratta di una valutazione che avrebbe potuto portare ad estromettere dal
catalogo dei reati anche le minacce; tuttavia, il legislatore le ha opportunamente inserite
in ragione della loro funzione di “sentinella” di più gravi violenze familiari. In ogni caso,
non può tacersi la stortura di un sistema che impone l’arresto per il reato di atti
persecutori lasciando invece alla discrezionalità degli organi di polizia l’allontanamento
da casa di chi maltratta un familiare.
Tornando alla struttura della nuova misura, si evidenzia che la norma in
commento richiama il concetto di flagranza. Come noto, lo stato di flagranza è definito
dall’art. 382 c.p.p. facendo riferimento alla situazione di «chi viene colto nell’atto di
commettere il reato» oppure di «chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia
giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone» o, infine, di chi «è sorpreso con cose
o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima». Le
ultime due ipotesi sono tradizionalmente definite di “quasi-flagranza” e nell’attuale
274
275
276
DRAGONE, Le indagini preliminari e l’udienza preliminare, in FORTUNA - DRAGONE - FASSONE - GIUSTOZZI
- PIGNATELLI, MANUALE PRATICO DEL NUOVO PROCESSO PENALE, Padova, 2007, pp. 610-611.
DI TROCCHIO, voce Provvedimenti cautelari, in ED, vol. XXVII, Milano, 1988, p. 853.
CORDERO, Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006, p. 490.
132
disciplina sono state equiparate all’ipotesi di flagranza.
È oggetto di un contrasto giurisprudenziale - per risolvere il quale sarebbe
opportuno un intervento chiarificatore delle sezioni unite - la riconducibilità al concetto di
quasi-flagranza dell’ipotesi in cui l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia
giudiziaria sia iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di
terzi. In alcune pronunce la Suprema Corte ha sostenuto che lo stato di quasi flagranza
non sussista quando l’azione che porta all’arresto trova il suo momento iniziale non
già in un immediato inseguimento da parte della polizia giudiziaria, che abbia appreso il
fatto direttamente, ma
nella denuncia della persona offesa, cui segue solo
successivamente l’inseguimento del colpevole, dopo la consumazione dell’ultima frazione
della condotta delittuosa e dopo un lasso di tempo significativo, utilizzato per raccogliere
informazioni dalla stessa persona offesa e da altri soggetti 277.
In altre occasioni, invece, la Suprema Corte ha ricondotto nello stato di quasi
flagranza anche l’azione di ricerca immediatamente posta in essere, anche se non subito
conclusa, purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle
vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti 278.
È evidente che adottando la soluzione più restrittiva la misura in commento
risulta notevolmente depotenziata, in quanto non potrebbe imporsi il divieto di
avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa a chi, dopo aver
commesso il fatto e nelle more dell’intervento delle forze dell’ordine, si sia allontanato
dalla casa familiare per sottrarsi al controllo di polizia.
277
278
Cfr. Cass. pen., sez. III, 27 settembre 2011, n. 34918, RV 250861; Cass. pen., sez. VI, 28 maggio 2010, n.
20539, RV 247379; Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2010, n. 19078, RV 247248; Cass. pen., sez. IV, 16
aprile 2004, n. 17619, RV 228180; Cass. pen., sez. V, 1 settembre 1999, n. 3032, RV 214473, secondo la
quale quando manchi in chi procede all’arresto la immediata e autonoma percezione delle tracce del reato
e del loro collegamento con l’indagato, si richiederebbe alla polizia giudiziaria un apprezzamento di
elementi probatori estranei alla ratio dell’istituto; Cass. pen., sez. I, 17 marzo 1997, n. 6642, RV 207085,
che ha escluso la quasi-flagranza nel caso di mera, seppur verosimile, confessione di reato poco prima
commesso, non accompagnata dall’evidente collegamento delle tracce percepibili con la persona del reo.
Cfr. Cass. pen., sez. II, 16 dicembre 2010, n. 44639, RV 249169; Cass. pen., sez. I, 6 luglio 2006, n.
23560, RV 235259, secondo la quale non è indispensabile la coincidenza tra il momento iniziale della
fuga e quello in cui comincia l’inseguimento, purché l’arresto non intervenga dopo la cessazione della
fuga o dopo che sia terminato l’inseguimento; Cass. pen., sez. IV, 30 gennaio 2003, n. 4348, RV
226984, che ritiene inclusa nel concetto di “inseguimento” ad opera della forza pubblica, sul quale si
fonda la nozione della cosiddetta quasi-flagranza, ogni attività di indagine e ricerca finalizzata alla cattura
dell’indiziato di reità, purché detta attività non subisca interruzioni dopo la commissione del reato, e
anche nel caso che si protragga per alcuni giorni; Cass. pen., sez. V, ord., 1 settembre 1999, n. 2738,
RV 214469; Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 1995, n. 1314, RV 202108; Cass. pen., sez. I, 30 maggio 1994,
n. 1646, RV 198882.
133
A parere di chi scrive l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare dovrebbe
essere disposto anche nei confronti di chi venga sorpreso in flagranza di reato fuori
dall’ambiente domestico.
Adottare una soluzione restrittiva che limiti la nuova misura ai delitti consumati
all’interno della casa familiare potrebbe in qualche modo frustarne gli scopi di tutela.
È ben possibile, infatti, che le esigenze di protezione della vittima ricorrano anche quando
il delitto sia stato consumato fuori dalle mura domestiche: si pensi al soggetto che
minaccia di morte e poi ferisce gravemente il coniuge durante un litigio in mezzo ad una
strada oppure al soggetto che tiene reiteratamente una condotta aggressiva ed offensiva
nei confronti del coniuge separato di fatto. Inoltre, il concetto di allontanamento non
implica necessariamente uno spostamento fisico dell’indagato, potendo esplicarsi anche
con il divieto di reingresso.
Ne consegue che quando il soggetto viene colto nell’atto di commettere uno dei
reati indicati dal legislatore fuori dalla casa familiare, la nuova misura precautelare
consisterà nell’imposizione allo stesso del divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente
frequentati dalla persona offesa e quindi anche alla casa comune. Obiettivo della misura,
infatti, è quello di apprestare immediatamente una tutela ampia della vittima, che
travalichi la mera protezione all’interno dell’ambiente familiare. D’altro canto, anche l’art.
282-bis c.p.p., che disciplina la “versione cautelare” dell’allontanamento dalla casa
familiare, prevede, quale contenuto della misura, l’obbligo per il cautelato di lasciare
immediatamente la casa familiare oppure di non farvi rientro, ipotesi, quest’ultima, che
presuppone evidentemente che il soggetto si trovi già fuori dalla casa familiare.
Scorrendo il catalogo dei delitti indicati dall’art. 282-bis c. 6 c.p.p. (richiamato
dall’art. 384-bis c.p.p.), ci imbatte in fattispecie per le quali appare problematica
l’applicazione dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Si pensi, in particolare,
alla violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.): qualora il genitore o
il coniuge si sia sottratto agli obblighi di assistenza inerenti la potestà genitoriale o al
rapporto di coniugio abbandonando il domicilio domestico, difficilmente la nuova misura
potrà esplicare effetti protettivi verso la vittima. In questa evenienza, però, ci sembra
problematico anche ritenere che ricorra un grave ed attuale pericolo per la vita o
l’integrità fisica o psichica della persona offesa.
Per applicare la misura in commento non è sufficiente che il soggetto sia stato
134
colto in flagranza di uno dei delitti indicati dal legislatore. Ulteriore presupposto
applicativo richiesto è una valutazione prognostica di reiterazione delle condotte
criminose da cui derivi un grave ed attuale pericolo per la vita o l’integrità fisica o
psichica della persona offesa.
Com’è evidente, si tratta di una valutazione complessa e ampiamente discrezionale
che coinvolge più aspetti collegati fra loro (pericolo di reiterazione del reato, pericolo per
la vita o l’integrità fisica o psichica della vittima, gravità e attualità di quest’ultimo,
legame eziologico fra i due pericoli) che gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria
intervenuti (e il pubblico ministero che dovrà autorizzare o meno l’adozione della misura)
dovranno condurre alla luce dei dati investigativi in loro possesso e di quanto acquisito e
constatato al momento dell’intervento.
In assenza di indicazioni legislative, riteniamo che, analogamente a quanto previsto
in materia cautelare dall’art. 274 lett. c) c.p.p., il giudizio sul pericolo di recidiva debba
essere condotto tenendo conto sia delle specifiche modalità e circostanze del fatto che
della personalità dell’autore, che gli operatori di polizia potranno valutare soprattutto
sulla base del comportamento tenuto al momento dell’intervento e delle eventuali
conoscenze acquisite sulla base di pregressi interventi o di pregresse attività investigative.
I predetti dati, poi, unitamente alle caratteristiche della vittima, consentiranno agli
operatori di polizia di valutare anche se l’eventuale reiterazione delle condotte criminose
potrebbe mettere in grave pericolo l’integrità fisica o psichica della vittima.
Verificati i presupposti di applicabilità sopra descritti, gli operatori di polizia
dovranno allontanare l’autore del reato. Sebbene la norma si esprima in termini di
“facoltà” di adozione della misura, riteniamo che la discrezionalità riconosciuta agli
organi di polizia non sia bifasica ma si esaurisca nella valutazione della ricorrenza dei
presupposti normativi. Una volta ravvisata la sussistenza di tali elementi, gli organi di
polizia hanno l’obbligo di allontanare il soggetto dalla casa familiare, pena altrimenti la
configurazione di una misura limitativa della libertà personale affidata al mero arbitrio
degli organi di polizia. Analogamente a quanto previsto per l’arresto ex art. 381 c.p.p., si è
di fronte a quello che la dottrina definisce un “obbligo condizionato 279”.
Da quanto sin qui evidenziato deriva che la polizia giudiziaria sarà tenuta ad indicare
le ragioni che l’hanno indotta ad esercitare il potere di privazione della libertà personale.
279
FERRARO, Arresto e fermo, Milano, 1994, p. 29.
135
Tale indicazione non deve necessariamente concretarsi in una motivazione ad hoc
del provvedimento, essendo sufficiente che, mediante il contesto descrittivo emergente
dal verbale di allontanamento o dagli atti complementari, il giudice della convalida sia
posto in grado di conoscere e sindacare le ragioni che hanno orientato la polizia
giudiziaria nell’esercizio della discrezionalità riconosciutale. In mancanza di tali
condizioni, dovendosi escludere che il giudice possa sostituirsi alla polizia giudiziaria
nell’assolvimento di un siffatto onere motivazionale, l’allontanamento non potrà essere
convalidato 280. Occorre rilevare che la norma pone dei seri problemi di coordinamento
con l’arresto essendovi delle interferenze fra le aree di operatività dei due istituti. Infatti,
per molte delle ipotesi delittuose contemplate dall’art. 282- bis c. 6 c.p.p. e richiamate
dall’art. 384-bis c.p., è previsto l’obbligo di arresto in flagranza di reato (v. art. 572, 600,
600-bis c. 1, 600-ter c. 1 e 2, 600-quinques, 609-bis, 609-quater c. 1 e 2 e 609-octies c.p.:
art. 380 c. 2 lett. d), d-bis), d-ter) e l-ter) c.p.p.), mentre per altre fattispecie l’arresto è
facoltativo (v. artt. 582, 600-ter c. 4, 600-quater: art. 381 c. 2 lett. f) e l-bis) c.p.p.).
Riteniamo che l’autorità di polizia giudiziaria non possa sottrarsi all’obbligo di
arresto qualora l’attività delittuosa per cui interviene configuri una delle ipotesi
contemplate dall’art. 380 c.p.p.; né appare seriamente sostenibile, in assenza di una chiara
volontà legislativa in tal senso, che l’introduzione della nuova misura dell’allontanamento
dalla casa familiare abbia comportato, stante la minore compressione della libertà
personale, una riduzione dell’ambito applicativo dell’arresto.
Si potrebbe ritenere che rispetto ai reati consumati in ambiente domestico l’arresto
debba lasciare il passo all’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (con il divieto
di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima), prevalendo sulle
generiche esigenze di tutela della collettività le specifiche finalità protettive della persona
offesa. A parere di chi scrive, la soluzione non è convincente sia perché, come già
detto sopra, la misura dovrebbe trovare applicazione anche rispetto ai delitti consumati
fuori dall’ambiente domestico, sia perché rispetto a reati di elevata gravità non possono
essere ignorate le esigenze di tutela degli altri consociati.
280
Analogamente, in tema di arresto facoltativo, cfr. Cass. pen., sez. VI, 6 maggio 2009-29 luglio 2009, n.
31281, Rv. 244680; Cass. pen., sez. II, 19 settembre 2003-23 ottobre 2003, n. 40432, Rv. 227276.
Ritiene il Consiglio Superiore della Magistratura, nel parere più volte citato, che l’accertamento in
concreto, da parte delle forze di polizia, della pericolosità per la vittima di una eventuale recidiva,
diventi dirimente al fine di evitare un «distorto utilizzo dell’istituto che, per come confezionato, si
presta a fornire una risposta sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore della condotta illecita».
136
Può aggiungersi, poi, che la totale privazione della libertà personale garantisce alla
vittima una tutela maggiore rispetto ad una misura la cui efficacia dipende dal rispetto
delle prescrizioni da parte dell’allontanato.
Diverso è il discorso quando per il delitto in corso l’arresto è soltanto facoltativo. In
tal caso all’autorità di pubblica sicurezza è riservato un margine di discrezionalità
nell’applicazione della misura, dovendo procedere con l’arresto solo se il provvedimento
appare giustificato dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto desunta dalla
sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 381 c. 4 c.p.p.).
Il giudizio diagnostico sulla gravità del reato richiesto dall’art. 381 c. 4 c.p.p. è del
tutto autonomo rispetto al giudizio sulla pericolosità specifica dell’autore richiesto
dall’art. 384-bis c. 1 c.p.p.; quest’ultimo, poi, è a sua volta in rapporto di specialità con il
giudizio di pericolosità generica richiesto dall’art. 381 c. 4 c.p.p.
La sovrapposizione operativa di due misure precautelari, diversamente incidenti
sulla libertà personale e basate su giudizi discrezionali in parte autonomi e in parte
interferenti, deve indurre l’interprete a ritenere preferibile la misura meno afflittiva
ogniqualvolta il giudizio prognostico richiesto dall’art. 384-bis c.p.p. esaurisca tutte le
esigenze preventive del caso.
Quanto al contenuto, la misura in esame si sostanzia nell’allontanamento fisico del
soggetto dalla casa familiare (che potrà essere ottenuto con una condotta spontanea
oppure coartata del soggetto) e nella prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa. Come già detto, il provvedimento di
polizia consisterà nella sola prescrizione di non avvicinamento qualora il soggetto da
allontanare si trovi già fuori dalla casa familiare.
Si tratta di una misura che anticipa un obiettivo tipicamente cautelare - prevenire la
reiterazione delle condotte criminose - non già neutralizzando l’autore del reato (come
nell’arresto), bensì creando intorno alla vittima una sorta di schermo protettivo.
Per “casa familiare” riteniamo debba intendersi il luogo ove si attua la coabitazione
di un nucleo familiare, inteso come un consorzio di persone tra le quali, per strette
relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà, a
prescindere dalla sussistenza di legami formali derivanti da parentela.
Stante le finalità e il contenuto della misura in esame, consistente nella
creazione di uno schermo protettivo intorno ad un “soggetto debole”, riteniamo che essa
137
possa essere adottata a prescindere dalla condizione di attuale coabitazione dell’indagato e
della vittima, essendo necessario ma anche sufficiente che ricorra una situazione per cui
all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare
l’incolumità della persona. Lascia un po’ perplessi l’omesso riferimento alla
“determinatezza” dei luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, richiesta invece in
sede cautelare dall’art. 282-ter c.p.p.
Riteniamo che, a prescindere da una statuizione normativa in tal senso, gli organi di
polizia debbano precisare i luoghi interdetti al soggetto allontanato. L’indicazione di
luoghi determinati frequentati dalla vittima consente, infatti, al provvedimento
restrittivo di assumere una conformazione precisa e completa che ne consente non solo
una corretta esecuzione, ma anche il controllo in ordine all’avvenuta osservanza delle
prescrizioni ivi contenute. Inoltre, l’indicazione all’allontanato di luoghi precisi da evitare
consente anche una garanzia di giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza
incentrate sulla tutela della vittima ed il minor sacrificio della libertà di movimento
della persona sottoposta alla misura precautelare.
Trattandosi di una misura che, a differenza dell’arresto e del fermo, non si esaurisce
nella privazione della libertà personale del soggetto allontanato, ma fonda una situazione
che si protrae nel tempo, sia pure nel breve spazio previsto per la convalida, si pone il
problema delle conseguenze derivanti dalla violazione delle prescrizioni.
Non essendo ipotizzabile un aggravamento della misura precautelare (salvo
immaginare un arresto, quando ne ricorrono i presupposti normativi e fattuali),
riteniamo che l’unica conseguenza possa essere un incremento del pericolo di recidiva
che dovrà essere valutato dal giudice della convalida nel momento in cui dovrà
decidere sull’applicazione di una misura cautelare.
Ovviamente, trattandosi della violazione di un provvedimento dato dall’autorità per
esigenze di giustizia, la condotta trasgressiva potrà integrare anche la contravvenzione prevista
dall’art. 650 c.p. Non sembra, infatti, di ostacolo all’integrazione di tale reato la natura
sussidiaria della fattispecie, non essendo prevista da alcuna norma - penale, processuale o
amministrativa - una sanzione per l’inosservanza del provvedimento in esame.
La nuova norma non contempla la possibilità, in alternativa al divieto di
avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, di imporre al
soggetto allontanato l’obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi
138
oppure dalla vittima, a prescindere da dove essa si trovi, come previsto in materia
cautelare dall’art. 282-ter c.p.p.
L’omesso riferimento all’obbligo di mantenere una determinata distanza dai luoghi
abitualmente frequentati dalla vittima non desta particolari preoccupazioni, in quanto, se
si esclude la necessità di una quantificazione spaziale, necessaria solo per il predetto
obbligo, esso appare speculare al divieto di avvicinamento, in quanto formulazione in
negativo e in positivo dello stesso precetto.
Diverso è il discorso per l’obbligo di mantenersi a distanza dalla persona offesa, che
avrebbe consentito di fronteggiare le ipotesi in cui la condotta oggetto della temuta
reiterazione ha i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima
in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi. In tali caso, l’efficacia del provvedimento di
polizia sembra legata più all’individuazione della stessa persona offesa, quale riferimento
centrale del divieto di avvicinamento, piuttosto che ai luoghi da essa frequentati.
Una volta eseguita la misura dell’allontanamento, la polizia giudiziaria deve
senza ritardo fornire alla vittima tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza
presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della stessa,
provvedendo anche a metterla in contatto con i centri antiviolenza. Come per
l’arresto, anche per l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, se il procedimento ha
ad oggetto un delitto perseguibile a querela, la misura potrà essere eseguita solo se vi è
la volontà di punire l’autore del reato da parte della vittima, che potrà manifestarla anche
con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presente nel
luogo (v. art. 381 c. 3 c.p.p.). Analogamente alle altre misure precautelari, anche quella in
esame non potrà essere adottata quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare
che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una
facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità (art. 385 c.p.p.).
A differenza dell’arresto, l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare richiede
l’autorizzazione preventiva del pubblico ministero. Stante l’evidente affinità con la
misura ex artt. 380-381 c.p.p., non si comprende lo scrupolo del legislatore nel sottrarre
alle competenze degli organi di polizia una misura meno invasiva rispetto alla totale
privazione della libertà personale. Riteniamo che il pubblico ministero debba negare la
predetta autorizzazione non soltanto quando non ravvisi la sussistenza dei presupposti
di applicazione della misura, ma anche quando, pur condividendo le valutazione degli
139
organi di polizia, non ritenga di dover richiedere al giudice l’applicazione di una misura
cautelare coercitiva (come si desume argomentando dall’art. 121 disp. att. c.p.p.).
In ogni caso, l’intervento dell’organo di accusa rispetto a vicende complesse come
quelle sottese ai delitti indicati dall’art. 384-bis c.p.p. ed al relativo contesto familiare di
riferimento implica un non agevole dialogo fra il magistrato e il poliziotto, che il
legislatore si è premunito quantomeno di snellire nelle forme prevedendo la possibilità
che il placet del pubblico ministero sia reso oralmente e successivamente confermato in
forma scritta o per via telematica.
Quanto agli adempimenti successivi all’esecuzione della misura, il rinvio agli artt.
385 e ss. c.p.p. richiede all’interprete uno sforzo di adeguamento di una normativa
elaborata per un soggetto in vinculis.
Il richiamo agli artt. 390 e 391 c.p.p. consente di sottoporre anche l’allontanamento
d’urgenza dalla casa familiare alla convalida del giudice per le indagini preliminari. Si tratta
di una soluzione imposta dalla riserva di giurisdizione in materia di libertà personale
contenuta nel comma 3 dell’art. 13 Cost., che prevede la garanzia del controllo esercitato
dal giudice sui provvedimenti limitativi della libertà personale adottati in via provvisoria
dalla polizia giudiziaria. L’udienza di convalida sarà anche la sede per applicare eventuali
misure cautelari, soprattutto quelle di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., nella
sostanza già anticipatamente eseguite dalla polizia giudiziaria.
140
CAPITOLO IV
“FEMMINICIDIO” COME REATO
IV.1. La fattispecie di femminicidio. Problemi di definizione e presentazione
dell’opzione cilena;
Il termine femminicidio, o femmicidio, è un neologismo che si sta diffondendo nel
linguaggio giornalistico e deriva dallo spagnolo “femicidio” o “feminicidio”, parola
utilizzata per prima e diffusa grazie al lavoro dell’antropologa messicana Marcela Lagarde,
che a sua volta a preso ispirazione dall’inglese femicide.
Autrice di quest’ultimo termine è la sociologa statunitense di origine sudafricana
Diana E.H. Russell che lo utilizzò per indicare gli assassinii di donne “per il fatto di
essere donne” in un articolo del 1992 281 e nelle sue conferenze fin dal 1976.
Ciononostante, è proprio grazie al lavoro dell’attivista e professoressa Lagarde (già
deputata federale messicana tra il 2003 e il 2006), assieme a quello di altre femministe
dell’America centrale come Julia Monárrez, Ana Carcedo e Monserrat Sagot, che il
neologismo acquista una diffusione globale ed inizia ad essere utilizzato come bandiera di
rivendicazioni politico-sociali. Marcela Lagarde, più che per offrire una definizione
precisa e “accademica” del fenomeno, utilizzò il termine femicidio con il proposito
politico di attirare l’attenzione sulla terribile situazione vissuta dalle donne del suo Paese,
in particolare per quelle residenti nella zona di Ciudad Juárez. Se da una parte questo
permise alla deputata Lagarde di ottenere l’istituzione, da parte del Congreso Federal, di
una commissione speciale per lo studio del fenomeno assieme ad altri importanti
281
Si tratta di: D.E.H. RUSSELL E J. CAPUTI, Femicide: Sexist terrorism against women, in J. RADFORD e
D.E.H. RUSSELL (Eds.), Femicide: The Politics of Woman Killing, New York, NY, 1992, 13-24. Disponibile
in rete: www.dianarussell.com. L’Autrice afferma che inventò il neologismo ridefinendo il termine
utilizzato dalla femminista Carol ORLOCK, nel suo libro Femicide del 1974, a oggi ancora inedito. Nel
corso di questo articolo, con l’intento di non creare confusione nel lettore, si userà il termine femicidio,
in corsivo, per indicare la fattispecie penale prevista in Cile, mentre la parola femminicidio si utilizzerà
riferendosi genericamente al fenomeno dell’uccisione di persone di sesso femminile. Si tratta di una
scelta, si ribadisce, effettuata solo per distinguere tra una precisa fattispecie di reato prevista in un certo
Paese e un fenomeno sociale globale, senza pretesa alcuna di proporre differenziazioni che vadano al di
là di questo scritto, come alcuni si propongono di fare (cfr. le pubblicazioni della «Casa delle donne per
non subire violenza» di Bologna - www.casadonne.it). Già solo l’esperienza giuridica latinoamericana
mostra che la fattispecie oggetto di questo studio viene rubricata in alcuni Paesi femicidio e in altri
feminicidio e in certi casi, come in Cile e in Perù, le due differenti diciture vengono utilizzate in realtà per
indicare condotte molto simili tra loro, se non uguali.
141
obiettivi politici, certamente non favorì un dibattito trasparente su ciò che si deve
intendere con questo vocabolo, nato in ambito sociologico e presto gettato nell’agone
politico al punto da trovare rapidamente spazio in
molte legislazioni penali
latinoamericane.
Ritengo che parte rilevante della confusione si spieghi con le differenze nella realtà
sociale dei Paesi in cui la situazione di soggezione della donna all’uomo si sta
guadagnando il centro del dibattito pubblico, cui si aggiunge il fatto che in tutti si parla la
stessa lingua. Al momento, gli Stati che prevedono nel loro ordinamento una fattispecie di
“femminicidio” sono otto 282, tutti in America Latina, e in tutti la lingua ufficiale è lo
spagnolo. Nessuna delle nuove disposizioni è uguale a un’altra, ciononostante il dibattito
nei mezzi di comunicazione, come sulle riviste specializzate, prescinde dalle frontiere.
Ne consegue una gran confusione, dove cose diverse si chiamano con lo stesso nome
e cose identiche con nomi differenti.
II. Come espresso nel titolo di questo articolo, di seguito si presenterà il problema
del femminicidio a partire dall’esperienza cilena.
Il termine femminicidio, a partire dalla citata definizione di Russell (uccidere una
donna “per il fatto di essere donna”) non suscita l’interesse del penalista solo rispetto alla
semplice fattispecie di omicidio o di parricidio, ma anche per quanto concerne altre
manifestazioni criminali. Si pensi, per esempio, all’aborto selettivo di feti di sesso
femminile e all’infanticidio femminile (autentiche piaghe presenti in Paesi, soprattutto
asiatici, dove la nascita di un maschio è socialmente preferita), alla destinazione delle
entrate familiari ai membri di sesso maschile, che provoca denutrizione, carenza di cure
mediche e abbandono scolastico tra le femmine, per non parlare degli omicidi “d’onore” e
le morti “per dote” o delle figure più “moderne” come la tratta e in generale la violenza
contro le donne dentro la famiglia o all’esterno di essa.
Ciononostante, seguendo la linea tracciata da tutti gli altri legislatori che si sono
occupati del tema in America Latina, anche il cileno ha optato per una definizione
molto ristretta e piuttosto precisa di ciò che debba intendersi per femminicidio. Il Cile
arriva alla creazione di un illecito penale ad hoc per il femminicidio al termine di un
282
In base alle informazioni pubblicate sul sito web spagnolo Feminicidio.Net - Información sobre Violencia de
Género en España y América Latina - si tratta di: Messico (alcuni degli Stati della Federazione, dal 2007),
Guatemala (2008), El Salvador (2010), Nicaragua (2012), Costa Rica (2007), Perù (2011), Cile (2010).
Dal sito indicato è possibile scaricare tutte le leggi citate. Nel mese di marzo 2013 anche in Bolivia è
stata promulgata una legge che contiene una fattispecie ad hoc di femicidio.
142
cammino piuttosto lungo che comincia pochi anni dopo la fine della dittatura, nel
1994, con l’approvazione della Ley 19.325 che stabiliva norme procedimentali e sanzioni
concernenti atti di violenza intrafamiliare 283. Altri atti di particolare importanza furono la
Ley 19.968, del 2004, che creò i tribunali di famiglia e soprattutto l’importantissima Ley
20.066 284 del 2005, intitolata Ley de violencia intrafamiliar, che ha introdotto il reato di
maltrattamenti abituali. In tale contesto si giunse, alla fine del 2010, alla promulgazione
della Ley 20.480285 che, modificando il Código penal e l’appena citata Ley 20.066, ha
riformulato la fattispecie di parricidio introducendo il femicidio. L’articolo 390 del Código
penal cileno oggi stabilisce che: «Chi, essendo a conoscenza delle relazioni che li
legano, uccide il padre, la madre o il figlio, qualunque altro dei suoi discendenti o
ascendenti o chi è o è stato il suo coniuge o il suo convivente, sarà punito, come
parricida, con la pena dal presidio maggiore in grado massimo al presidio perpetuo
qualificato. Se la vittima del reato descritto nel comma precedente è o è stata la coniuge o
la convivente dell’autore, il reato prenderà il nome di femminicidio 286». La Ley 20.480 ha
modificato la precedente formulazione della fattispecie sostituendo, nel primo comma, le
parole “il suo coniuge o convivente” con “chi è o è stato il suo coniuge o il suo
convivente” e aggiungendo ex novo il secondo comma.
Rinviando al terzo paragrafo una presentazione dettagliata dei molteplici difetti di
formulazione di questa figura, precisiamo però fin da ora come, allora, la previsione del
Tutta la legislazione cilena può essere consultata attraverso il motore di ricerca legislativo raggiungibile
attraverso il sito web del Congreso nacional: www.bcn.cl.
284 L. CASAS BECERRA, Ley n. 20.066 sobre violencia intrafamiliar: ¿un cambio de paradigma?, in ANUARIO DE
DERECHOS HUMANOS DE LA UNIVERSIDAD DE CHILE, 2006, 197.
285 46 M. E. SANTIBÁÑEZ TORRES e T. VARGAS PINTO, Reflexiones en torno a las modificaciones para sancionar el
femicidio y otras reformas relacionadas (Ley n. 20.480), in REVISTA CHILENA DE DERECHO, 2011,
XXXVIII, n.1, 204-205.
286 È imprescindibile dare contezza delle altre fattispecie di omicidio previste del codice cileno: «Art. 391.
Chi uccide una persona senza che ricorrano le circostanze dell’articolo precedente, sarà punito:
1°. Con la pena dal presidio maggiore in grado medio al presidio perpetuo se realizza l’omicidio in
presenza di una delle seguenti circostanze: Prima. Con perfidia; Seconda. In cambio di un premio o
della promessa di una remunerazione; Terza. Per mezzo di veleno; Quarta. Con accanimento,
aumentando deliberatamente ed inumanamente il dolore della persona offesa; Quinta. Con
consapevole premeditazione.
2°. Con presidio maggiore nei gradi da minimo a medio in tutti gli altri casi».
In Cile, dunque, a fianco del parricidio esistono due fattispecie di omicidio, una semplice e una aggravata.
In base a quanto previsto dall’articolo 56 del Código penal la pena di presidio maggiore ha durata
compresa tra i cinque e i dieci anni se è in grado minimo, tra i dieci e i quindici se è in grado medio e
tra i quindici e i venti se è in grado massimo. Si veda: S. POLITOFF L., J.P. MATUS A. e M.C. RAMÍREZ
G., Lecciones de derecho penal chileno - Parte Especial, II ed., Santiago de Chile, 2005, 23. La traduzione
delle disposizioni codicistiche è quella redatta in G. FORNASARI ed E. CORN (a cura di), Codice penale
cileno, Padova, 2013, all’interno del quale si segnala l’interessante introduzione a firma del professor
José Luis Guzmán Dalbora.
283
143
comma secondo dell’articolo 390 può apparire una «declaración más bien simbólica 287»,
anche se cercherò poi di dimostrare come ciò non sia del tutto vero.
Ciononostante, la modifica legislativa del 2010 ha effettivamente una certa
trascendenza, deducibile da una lettura d’insieme di tutte le norme penali coinvolte,
comprese quelle di parte generale. Così, l’affermazione, sovente ribadita in Cile, secondo
la quale nulla è cambiato dal punto di vista normativo (salvo l’inclusione tra le vittime
degli “ex” di entrambi i sessi), in virtù del fatto che il parricidio già da prima era punito
con le pene più alte previste dall’ordinamento, è per lo meno superficiale 288.
IV.2. Dimensione e importanza del problema sociale e giuridico
Quasi tutte le pubblicazioni specialistiche che si occupano del problema oggetto
di questo lavoro iniziano dichiarando qualcosa che è noto ma che, nel momento in cui si
assumono decisioni politiche e giuridiche, non viene considerato, ovvero che si tratta di
un «fenómeno social, histórico y cultural, que trasversaliza épocas, sociedades y
culturas, desde las más primitivas hasta aquellas más desarrolladas y complejas» 289.
Ciononostante è un dato di fatto che, malgrado secoli di morti violente, si parli di
femminicidio solo da pochi decenni e con maggiore frequenza solo da un lustro.Le ragioni
possono essere due, che potrebbero sommarsi, e cioè: l’aumento del fenomeno in sé, che
vorrebbe dire: più donne morte, o/e una accresciuta importanza sociale e politica attribuita
a questi avvenimenti. Per quanto concerne la prima, oggi, dovremmo poter contare su dati
certi. Tuttavia, le segnalate mancanze nella definizione del fenomeno, così come i problemi
di gestione delle statistiche giudiziarie, impediscono di avere certezze rispetto a ciò di cui
stiamo discutendo. È evidente che, se solo dalla fine del 2010 esiste in Cile una fattispecie di
femicidio, sarà possibile trarre conclusioni solo a partire da elaborazioni di dati dell’anno
2011, dei quali ancora non si dispone nei primi mesi del 2013. Gli unici dati indiscutibili
in questo campo, va ricordato, sono le condanne in via definitiva.
287
288
289
J. MERA FIGUEROA, Femicidio, in AA.VV. (Red chilena contra violencia doméstica y sexual),
TIPIFICACIÓN DEL FEMICIDIO EN CHILE: UN DEBATE ABIERTO, Santiago de Chile, 2009, 56.
Condivido l’opinione di J. MERA FIGUEROA, Femicidio, cit., 54.
M. A. JIMÉNEZ ALLENDES e P. MEDINA GONZÁLEZ, Violencia contra la pareja en la justicia penal. Mayores
pena, mayor violencia, Santiago de Chile, 2011, 17. Molto interessante il primo capitolo di questa
pubblicazione dedicato ad «Algunos referentes histórico-culturales y jurídicos vinculados a la violencia
contra la pareja», 27-63.
144
Questo non significa che, da anni, non circolino cifre, anche attraverso canali
ufficiali. Il Servicio Nacional de la Mujer (Sernam) nel suo sito web 290 pubblica
informazioni sui “femicidios” a partire da gennaio 2008. Ad ogni morte violenta che
coinvolga una donna, a meno che non si tratti con tutta evidenza di un incidente, il
Sernam attribuisce un numero, per mantenere il conteggio, ed aggiunge alcune linee
con nome ed età delle persone coinvolte, una semplice descrizione “giornalistica” della
morte e, se possibile, delle informazioni sull’autore: l’età, la relazione che aveva con la
vittima, la decisione di consegnarsi alla polizia o di fuggire, l’eventuale suicidio.
Nella tabella sotto riprodotta, presento un’elaborazione dei dati lì pubblicati.
Insisto nell’avvertire che lo stesso Sernam non dice da dove ha ottenuto le
informazioni e si può supporre che siano state incrociate notizie mass- mediatiche
con dati provenienti da altri organismi governativi e non 291. Questi sono, invece, i dati
riportati in un articolo di Rodríguez Manriquez 292.
Di fronte a questa sconcertante dimostrazione di ignoranza statistica circa un
fenomeno oggi al centro del dibattito politico, la tipicizzazione del femicidio è
sicuramente di beneficio. L’affermazione dell’assenza di conseguenze pratiche alla sua
introduzione nel secondo comma dell’articolo 390 è sbagliata perché aiuterà, d’ora in
poi, a monitorare con maggiore precisione il fenomeno 293.
290
291
292
293
http://portal.sernam.cl/?m=programa&i=8.
Nello stesso modo in cui dichiara di aver raccolto informazioni per il suo articolo Roberto
RODRÍGUEZ MANRÍQUEZ, assistente sociale nella unidad especializada en responsabilidad penal de adolescentes
y delitos de violencia intrafamiliar – fiscalía nacional – ministerio público, Autore dello studio R. RODRÍGUEZ
MANRÍQUEZ, Análisis estadístico descriptivo de los femicidios ocurridos durante el año 2007, in REVISTA
JURÍDICA DEL MINISTERIO PÚBLICO, 2008, XXXV, julio, 336.
Nel 2011 l’Autore ripete lo stesso studio offrendo vari dati relativi ai cinque anni precedenti. Non è
strano, per tanto, che i numeri di Rodríguez non coincidano con quelli del Sernam, anche se non riesco
a capire come un funzionario pubblico, che scrive sulla rivista ufficiale di una istituzione pubblica,
possa pubblicare un articolo in tema di femminicidio nel 2011 senza nemmeno nominare la Ley
approvata nel 2010 e scrivendo che con il termine femicidio continua a fare riferimento all’«omicidio di
una donna per il fatto di essere donna». Sono compresi così nelle sue statistiche, per stessa ammissione
di Rodríguez, morti di donne uccise da ignoti. In quanto tali, suppongo, non si possa sapere con
certezza il sesso dell’assassino/a e nemmeno realmente se la vittima è morta «per il fatto di essere
donna». R. RODRÍGUEZ MANRÍQUEZ, Informe sobre femicidio en Chile. Estadísticas relevantes 2011 y datos
comparativos, in REVISTA JURÍDICA DEL MINISTERIO PÚBLICO, 2012, L, marzo, 240.
R. RODRÍGUEZ MANRÍQUEZ, Informe, cit., 240. Il numero tra parentesi corrisponde a quante, delle
morti totali, ebbero luogo fuori da un contesto di coppia. La presentazione della tabella è irregolare per
facilitare la lettura del dato in base all’anno come appare nella tabella del Sernam.
Lo faceva presente, già alcuni anni fa P. TOLEDO VÁSQUEZ, ¿Tipificar el femicidio?, in ANUARIO DE
DERECHOS HUMANOS DE LA UNIVERSIDAD DE CHILE, 2008, 216. «[...] esistendo una fattispecie a
parte si semplifica la generazione di informazione statistica disaggregata, e inoltre si semplifica il
monitoraggio dell’azione dell’apparato giudiziario e della giurisprudenza relativa a questa forma di
violenza contro le donne».
145
I difetti attuali, per fare solo un esempio, tolgono ogni legittimità all’intuizione,
deducibile dalle tabelle, che nel periodo considerato i femminicidi stiano diminuendo.
Con un maggior grado di sicurezza possiamo dire che i femminicidi in Cile tra il
2007 e oggi non sono aumentati. Per questo la giustificazione della tipicizzazione del
femminicidio deve basarsi necessariamente solo sulla maggior importanza che ha
assunto il fenomeno dal punto di vista sociale e politico.
Viviamo in un’epoca in cui in molti Paesi del mondo, per motivi diversi, si è creata
una coscienza pubblica condivisa che vuole con decisione porre fine a una secolare
tradizione di sottomissione delle donne agli uomini. Si tratta di un movimento d’opinione
potente, internazionale e tanto grande che, di conseguenza, in alcuni aspetti si esprime in
forme caotiche e contraddittorie, non avendo né leaders né portavoce.
Per questo motivo sono così importanti le Convenzioni internazionali in materia,
come la Convenzione Interamericana per prevenire, sanzionare e sradicare la violenza
contro le donne del 1994 (Convezione di Belém do Pará) 294 e la Convenzione del
Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle
donne e la violenza domestica del 2011 (Convenzione di Istanbul) 295. In questi
documenti internazionali si passa da un dibattito ampio e disordinato, in cui finiscono per
essere citate e valorizzate le posizioni più estreme, a testi, certo migliorabili, che però
stabiliscono punti chiari e certificano impegni assunti dai sottoscrittori.
Questi testi giuridici internazionali, che acquistano un valore ancora più grande
nella loro essenza di compromessi tra posizioni molto diverse tra loro, certificano come,
in diverse parti del mondo, le istituzioni di più alto livello riconoscono che la violenza
contro le donne è un problema reale e di gran ampiezza, che merita l’investimento di
energie e conoscenze e l’adozione di misure specifiche per porvi termine.
Una volta che hanno firmato questi documenti le istituzioni nazionali non hanno
alibi per non realizzare piani di intervento a diversi livelli.
294
295
Convenzione firmata il 9 giugno 1994 a Belém do Pará (Brasile) ed entrata in vigore il 5 marzo 1995. Il testo
è disponibile alla pagina: http://www.oas.org/juridico/spanish/tratados/a-61.html . Il Cile ha firmato la
Convenzione il 17 ottobre 1994 e l’ha approvata con oficio 8 settembre 1998, n. 2130, della Cámara de
Diputados e promulgata con Decreto 23 settembre 1998, n. 1640 del Ministerio de Asuntos Exteriores.
I Paesi che hanno sottoscritto la convenzione l’11 maggio 2011, giorno di apertura alla firma, sono 13;
tra essi: Spagna, Germania, Francia, Grecia e Svezia, ma non l’Italia che lo ha fatto il 27 settembre
2012. Il testo è scaricabile dal sito:
http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/convention-violence/default_en.asp. Alla data del 31
maggio 2013 i Paesi che l’avevano ratificata erano quattro: Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo.
Ad essa si è da poco aggiunta l’Italia che ha autorizzato la ratifica con l. 27 giugno 2013, n. 77.
146
L’introduzione della fattispecie di femminicidio si inserisce in questo cammino,
malgrado non sia una misura esplicitamente richiesta in nessuno di questi atti e resti per
ora solo tra le ipotesi (anche se tra le più discusse). Quel che è certo è che il
femminicidio è un fenomeno molto complesso dal punto di vista sociologico e
giuridico, che non ha un’unica causa diretta ma è indubbiamente multifattoriale.
Il femminicidio non avviene soltanto in Paesi poveri. La violenza contro le donne,
fino alla sua massima espressione, è presente in tutto il mondo. Non si può neanche
dire che nei Paesi più ricchi il tasso di violenza sia più basso. Secondo quanto scrive
Corcoy 296, in Scandinavia e in generale nel nord Europa, che nell’immaginario di tutti noi
è la zona del mondo in cui le istituzioni e la società in generale sono più attente
all’uguaglianza tra i generi, gli indici di violenza contro le donne sono più alti che in
Spagna. Tuttavia, pur non considerando molto affidabili le cifre finora presentate, in
termini assoluti sembra che il Cile registri ogni anno lo stesso numero di femminicidi
della Spagna, malgrado abbia un terzo dei suoi abitanti (45 vs 16 milioni).
Possiamo dire allora, visto che non c’è una diretta proporzione tra il livello di
sviluppo di un Paese e numero di femminicidi, che l’elaborazione grafica della
progressione dei due fattori assomiglia a una parabola? Potrebbe essere, ma dobbiamo
sempre considerare che, esistendo anche altri fattori, una delle possibilità è anche che non
esista nessuna relazione tra livelli di sviluppo economico di un Paese e violenza contro le
donne. Per offrire solo un altro esempio, un altro pregiudizio che i numeri invitano a
superare riguarda la connessione tra densità umana e femminicidio. La regione
metropolitana di Santiago, ha un tasso di femminicidi proporzionale a quello della sua
popolazione comparata al resto del Paese 297. Guardando ai «freddi» numeri, i valori
medi più alti di donne morte in contesto di coppia degli ultimi anni si dà nella regione di
Aysen, in Patagonia, dove vivono poco più di trentacinque mila donne di età superiore ai
quindici anni (una città come Aosta in un territorio grande come tutto il Nord Italia).
Tuttavia, a una percentuale tanto alta corrisponde un numero assoluto di cinque donne
morte tra il 2007 e il 2011, una all’anno.
296
297
M. CORCOY BISASOLO, Problemática jurídico-penal y político-criminal de la regulación de la violencia de género y
doméstica, in REVISTA DE DERECHO DE LA PONTIFICIA UNIVERSIDAD CATÓLICA DE VALPARAÍSO,
2010, XXXIV, n. 1, 345.
I dati presentati da R. RODRÍGUEZ MANRÍQUEZ, Informe, cit., 242 non sembrano contraddire, se ci
limitiamo a osservare le tendenze, quelli presentati da M.A. JIMÉNEZ ALLENDES e P. MEDINA
GONZÁLEZ, Violencia, cit., parte II, cap. III in particolare 539 - 542 che, correttamente, raccolgono
l’informazione sotto l’etichetta del parricidio.
147
Malgrado queste critiche - e insistendo nel richiamo alla necessità che le autorità
migliorino il loro sistema di raccolta dei dati - sarebbe davvero scorretto sostenere che
non possiamo sapere nulla di questo fenomeno. Affermare, per esempio, che «potrebbe
succedere a ognuna di noi» o che «il fattore di rischio del femminicidio è il fatto di essere
donna» semplicemente non corrisponde al vero e finisce per confondere le idee e
rendere più complicata la focalizzazione dei punti rispetto ai quali bisogna intervenire 298.
Si registrano femminicidi in tutti i quartieri di Santiago, ma nei settori orientali
della città, dove i residenti hanno redditi più alti, il numero è sempre più basso. C’è
allora, all’interno del Cile, un elemento di connessione tra povertà e femminicidio.
Risulta evidente, allora, che per risolvere il problema locale e globale della violenza
nei confronti delle donne bisogna utilizzare un insieme di politiche pubbliche che ogni
Stato non solo deve predisporre con decisi interventi legislativi, ma deve anche
trasformare in buone pratiche, impegnandosi inoltre a ricalibrarle periodicamente
seguendo le indicazioni che emergano dai risultati delle azioni realizzate.
Tra queste politiche c’è anche la politica criminale? È legittimo, cioè, ricorrere al
diritto penale per combattere il femminicidio?
Se guardiamo al bene giuridico protetto, cioè alla vita, non c’è dubbio che superi
qualsiasi test di conformità al principio della extrema ratio, imposto da un’interpretazione
del diritto penale orientata in base ai principi costituzionali 299.
Il diritto penale gioca qui un ruolo da protagonista che non si può negare e che non
298
299
Dando per certe le affermazioni tra virgolette si arriverebbe all’assurdo di considerare ugualmente
necessarie campagne di sensibilizzazione dirette a docenti universitari e a forti consumatori di bevande
alcoliche (rispetto ai quali i dati dell’Indagine Nazionale sulla vittimizazione nella violenza intrafamiliare
e i delitti sessuali realizzata congiuntamente da Desuc e Ministero dell’Interno nel 2008 individuano
specifici fattori di rischio; si veda: M. A. JIMÉNEZ ALLENDES e P. MEDINA GONZÁLEZ, Violencia, cit.,
170). Inoltre non si può non considerare come, rispetto a questo tema, a volte alcune Autrici
confondono il piano scientifico con l’importante lavoro di sensibilizzazione della società che molte tra
di loro realizzano parallelamente al loro impegno professionale. Questo si traduce in affermazioni e
prese di posizione che fanno perdere valore alle loro ricerche, per il resto molto serie de approfondite.
Con questo non voglio dire che si debbano mettere da parte le proprie convinzioni personali, ma
l’esatto contrario, però esplicitando il punto di vista che si utilizza come punto di partenza e offrendo
adeguante argomentazioni. Un brillante esempio di impegno personale, posizione radicale e
argomentare scientificamente corretto e sostanzialmente libero da pregiudizi è offerto dagli scritti di P.
TOLEDO VÁSQUEZ, ¿Tipificar el femicidio?, cit., 213 e P. TOLEDO VÁSQUEZ, Leyes sobre femicidio y violencia
contra las mujeres. Análisis comparado y problemáticas pendientes, in AA.VV. (Red chilena contra violencia
doméstica y sexual), TIPIFICACIÓN DEL FEMICIDIO EN CHILE: UN DEBATE ABIERTO, Santiago de
Chile, 2009, 41.
J. MERA FIGUEROA, Femicidio, cit., 54. Segnalo come da poco è stata finalmente pubblicata la
traduzione in spagnolo del testo di Franco BRICOLA che stimolò la dottrina dell’interpretazione
costituzionalmente orientata delle fattispecie penali, che tanto dibattito sta generando in questi ultimi
anni in America Latina: F. BRICOLA, Teoría general del delito, Montevideo - Buenos Aires, 2012.
148
si può rifiutare. Come correttamente fa presente Patsilí Toledo, il punto sta nel prendere
coscienza di come il diritto penale è stato, fino a pochi anni fa, e in certa misura
continua ad essere 300, uno strumento per confermare le disuguaglianze tra i generi
presenti negli altri rami dell’ordinamento e nella società.
Una lettura in linea con quest’idea svela come, nelle legislazioni penali liberali,
l’uguaglianza formale tra uomini e donne copre una realtà de facto assai diversa.
Non si tratta semplicemente di criticare, con la mentalità della nostra epoca, le
parole di Giovanni Carmignani sulle donne, alle quali secondo lui si doveva
riconoscere un livello ridotto di imputabilità 301. Si tratta di constatare come, fino a
pochi decenni orsono, tutti gli ordinamenti culturalmente prossimi al nostro
prevedessero fattispecie come il delitto d’onore 302, o come uccidere una donna trovata a
letto con un altro uomo meritasse una pena minima 303, o bastonare una donna per
“correggere” il suo comportamento fosse lecito 304, o violentare una donna “di
malaffare” non fosse reato e avere rapporti sessuali con la propria moglie senza il suo
300
301
302
303
304
Precisa ed interessante la presentazione della situazione nella common law (soprattutto per quanto concerne
la situazione negli Stati Uniti) di J. A. RAMOS VÁZQUEZ, Provocación femenina, violencia masculina y mitología del
femicidio pasional, in REVISTA ARANZADI DE DERECHO Y PROCESO PENAL, 2012, XXVII, 311.
G. CARMIGNANI, Elementi di diritto criminale, II ed., Milano, 1882. Si tratta di un convincimento che era
ben radicato nei giuristi italiani e tedeschi del XIX secolo e anche Francesco Carrara dedicò varie
pagine del suo Programma, proprio per distinguere la sua posizione da quella del suo maestro. Di
grande interesse storico risulta il confronto di queste prese di posizione con le motivazioni offerte da
Valeria Benetti, pedagogista e figura di primo piano del movimento femminista italiano nella seconda
parte del XIX secolo, per esigere l’introduzione di un elemento che diminuisse l’imputabilità per le
donne. L’Autrice giudicava un paradosso la coesistenza di forti limitazioni nel godimento dei diritti
civili e politici sofferte dalle donne e la piena responsabilità in base alla legge penale; si veda: V.
BENETTI BRUNELLI, La donna nella legislazione italiana, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1908
(pubblicato per la prima volta nel 1904).
Anche nei testi per il teatro del norvegese Ibsen emerge una profonda critica a un sistema sociale che
escludeva le donne da certi ambiti della vita determinando la sua impossibilità a comprendere appieno
il mondo che le circondava all’esterno del ristretto ambito domestico (H. IBSEN, Casa di bambola,
Milano, 2002 (1879)).
P. TOLEDO VÁSQUEZ, Leyes, cit., 43, Consta dalla lettura del Codice penale siriano (che conosco
grazie alla traduzione, realizzata nel 2005 da: A. MANNA, S. VINCIGUERRA e M. ZANCHETTI, Il Codice
penale siriano, Padova, 2005) che in base all’articolo 548 sussista ancora una scusa assolutoria per
l’assassino se non si dà prova della premeditazione.
Nel 1994 lo sparo alla testa alla propria moglie adultera costò a Kenneth Peacock, un uomo del
Maryland, solo 18 mesi di carcere, anche se l’omicidio non ebbe luogo nel momento in cui lui la scoprì
a letto con un altro, ma «after hours of drinking and arguing». Per un commento critico della sentenza:
A. E. MILLER, Inherent (Gender) Unreasonableness of the Concept of Reasonableness in the Context of Manslaughter
Committed in the Heat of Passion, in WILLIAM AND MARY JOURNAL OF WOMEN AND THE LAW, 2010,
17(1), 249.
Si parlava, e si scriveva di “ius corrigendi”: P. TOLEDO VÁSQUEZ, Leyes, cit., 43. Ancora oggi, in Siria
(articolo 508 C.p.), se l’autore di un delitto sessuale sposa la vittima può beneficiare di una condizione
di non procedibilità che si converte in sospensione dell’esecuzione della condanna se le nozze
avvengono dopo la condanna.
149
consenso non solo fosse permesso, senza che si potesse parlare di stupro, ma se la donna
faceva resistenza o denunciava l’accaduto potesse vedersi condannata penalmente per
violazione dei doveri coniugali 305. Tutto questo, evidentemente, solo quando l’uomo
risultasse favorito. Questo lungo processo storico-giuridico cominciato negli anni Sessanta
del secolo scorso - e che ha preso più forza dal momento in cui è stato riconosciuto
alle donne il diritto di accedere alle cariche giudiziarie - si trova ora in un passaggio
chiave. Molti Paesi hanno completato le tappe di modifica delle loro legislazioni nel senso
di stabilire una vera uguaglianza formale tra uomini e donne. Tuttavia, davanti a evidenti
situazioni di disuguaglianza sostanziale, la sfida consiste ora nel rompere il vincolo
della formalità, ma questa volta a vantaggio del sesso femminile. Secondo quanto si
vedrà nel quarto paragrafo, ci sono esperienze giuridiche che stanno passando, nel
settore penale, da un atteggiamento neutro, rispetto al sesso, a uno che riconosce la
realtà sessuata della società umana. La Spagna è alla testa di questo gruppo: il
cambiamento di prospettiva è così grande che l’enorme dibattito dottrinario che si è
generato nell’ultimo decennio è più che giustificato.
Per concludere il discorso relativo alla rilevanza del problema giuridico non si può
ignorare la domanda sul fine della pena nel reato di femminicidio. Come per il
parricidio, si tratta della pena più alta dell’ordinamento (fatta eccezione per quanto
previsto nel Codice penale militare) e di fatto, stando alle regole stabilite dall’articolo 32
bis del Código penal per il presidio perpetuo qualificato, non ha il minimo senso nemmeno
proporre il discorso del reinserimento sociale del condannato. Si tratta di regole così dure
che in molti ordinamenti sarebbero giudicate incostituzionali 306.
305
306
Accadeva in Italia negli anni Sessanta del secolo scorso. La Corte di Cassazione condannò per la prima
volta un uomo per una violenza sessuale perpetrata ai danni della moglie solo nel 1976 (Cass. Pen., 16
febbraio 1976, Macario). Si veda: A. CADOPPI, Introduzione allo studio del diritto penale comparato, II ed.,
Padova, 2004, 422.
«Art. 32 bis. L’imposizione del presidio perpetuo aggravato determina la privazione della libertà del
condannato per l’intera vita, nell’ambito di un regime speciale di esecuzione sancito dalle regole
seguenti: 1ª. Non si potrà concedere la liberazione condizionale se non una volta trascorsi quarant’anni
di effettiva privazione della libertà, fermo restando il riscontro degli altri requisiti e prescrizioni che
regolano la sua concessione e la sua revoca. 2ª. Il condannato non potrà godere di alcun beneficio
previsto dal regolamento degli stabilimenti penitenziari o da qualsiasi altro strumento legislativo o
regolamentare che produca la sua messa in libertà anche se in forma transitoria. Senza pregiudizio per
questa norma, egli potrà essere autorizzato a uscire, nel rispetto delle misure di sicurezza che gli si
imporranno qualora il coniuge, i genitori o i figli si trovino in pericolo di vita o siano deceduti. 3ª. Il
condannato non potrà beneficiare di leggi di amnistia o di indulto, salvo esse siano esplicite
nell’affermare il contrario. Allo stesso modo, egli potrà beneficiare della grazia solo per ragioni di Stato
o per il fatto di soffrire una malattia grave e incurabile, debitamente certificata, che lo mette in pericolo
di vita o che comunque lo rende incapace dal punto di vista fisico di badare autonomamente alle
150
Una pena con queste caratteristiche può avere come unico fine la retribuzione e la
sofferenza del condannato. Malgrado ciò, sembra che nessun femminicida nella storia
abbia fermato il suo gesto criminale per il timore della pena che lo aspettava.
Ma c’è dell’altro, in Cile la metà degli uomini che uccide la propria compagna poco
dopo si toglie a sua volta la vita o prova a farlo. Nell’altra metà dei casi un numero
importante di assassini si consegna immediatamente e volontariamente alle forze di
polizia 307. Anche se bisogna sempre distinguere tra femminicidio e altre forme di
violenza contro le donne è un dato di fatto che le seconde sono il terreno dal quale
germina il primo. La percentuale di omicidi di donne fuori dal contesto della coppia o
della famiglia quasi mai supera il venti per cento. Questo significa che per ridurre i
femminicidi non bisogna intervenire sulle pene di questo delitto, ma con maggior
efficacia sulle situazioni previe, che non vuol dire semplicemente prevedere misure di
controllo di uomini violenti e gelosi ogni volta più fantasiose e invasive. Bisogna riflettere
in profondità sulle differenze nell’educazione impartita a bambini e bambine a partire dai
primissimi anni di vita, quando la persona costruisce la propria idea interiore di lecito e
illecito e la stessa idea di sé a partire dalla differenza con l’altro sesso 308.
IV.3. La distorsione del significato di femminicidio e l’abuso del termine
La cultura non è un corpo estraneo, siamo noi e si può cambiare solo partendo da
noi, dal nostro modo di pensare e con una consapevolezza che permetta di rintracciare
stereotipi così radicati da risultare quasi invisibili. Ruoli che pongono uomini e donne
su piani di superiorità e subalternità in base al sesso, condizionando le relazioni umane,
e che sono l’humus su cui proliferano discriminazione e violenza. Per avere giusta
percezione di questa violenza, oltre a un serio monitoraggio, occorre quindi una
narrazione fuori da pregiudizi, che nella loro spinta alla sottovalutazione del fenomeno,
307
308
proprie necessità. In ogni caso il beneficio della grazia dovrà essere concesso in conformità con le
norme di legge che lo regolano». Fonte: G. FORNASARI ed E. CORN, Codice, cit.
Faccio riferimento alla tabella pubblicata da: M. J. TALADRIZ EGUILUZ e R. RODRÍGUEZ
MANRÍQUEZ, El delito de femicido en Chile, in REVISTA JURÍDICA DEL MINISTERIO PÚBLICO, 2011,
XLVI, marzo, 226.
«[...] el femicidio puede ser considerado uno de los crimenes más evitables del ordenamiento jurídico»
P. TOLEDO VÁSQUEZ, Leyes, cit., 46. Quest’affermazione non contraddice, ma rafforza, il discorso che
qui si presenta. In tutta la seconda parte del suo scritto Toledo presenta meticolosamente le deficienze
del sistema penale cileno per quanto concerne la prevenzione del fenomeno.
151
possono influenzare l’opinione pubblica e spesso anche gli addetti ai lavori.
Tutto ciò con una conoscenza reale ed effettiva di quello di cui si dà informazione,
a partire dagli stessi termini, dato che ormai in Italia spesso si confonde il termine
femminicidio addirittura con l’uxoricidio. Femmicidio e femminicidio hanno, invece,
significati precisi che molta informazione sembra ignorare: il primo è il termine
criminologico coniato da Diana H. Russel per le uccisioni di donne con movente di
genere e su cui nel novembre 2012 a Vienna, l’Academic Councilon United Nations System
(ACUNS), ha redatto un documento in cui si spiega che “il femmicidio è l’ultima forma
di violenza contro le donne e le ragazze”, e che “le sue molte cause sono radicate nelle
relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, e nella discriminazione
sistemica basata sul genere”; mentre il secondo, ovvero il femminicidio, è il termine
sociologico coniato da Marcela Lagarde, che indica “la forma estrema di violenza di
genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito
pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità delle
condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la
donna in una situazione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il
tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e
bambini, di sofferenze psichiche e fisiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al
disinteresse delle Istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”, e quindi
con un significato ben più complesso, sicuramente non ristretto ai mariti che uccidono le
mogli. La violenza contro le donne, però, non è un fenomeno né nuovo né italiano, e i
dati dell’Onu ci dicono che nel mondo sette donne su dieci subiscono violenza nel corso
della vita, e che seicento milioni di donne vivono in nazioni che non la considerano un
reato. Dati su cui si concentrano l’Onu, che quest’anno ha siglato una storica carta
contro la violenza su donne e bambine (Commission on the Status of Women - CSW, 8/15
marzo), e il Consiglio d’Europa con la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la
violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Istanbul 2011). Convezione
che, ratificata dall’Italia quest’anno, oltre a condannare “ogni forma di violenza sulle
donne e la violenza domestica”, riconosce che il raggiungimento dell’uguaglianza è un
elemento chiave per prevenire la violenza e chiarisce quanto l’elemento culturale sia
fondamentale, in quanto si possono fare le migliori leggi del mondo ma se non cambia la
testa, le leggi possono rimanere inapplicate. E proprio perché lo smantellamento di una
152
rappresentazione stereotipata è fondamentale, tra le varie indicazioni, ci sono quelle che
riguardano media e informazione sia nella Convenzione di Istanbul (art. 17) che nelle
Raccomandazioni Cedaw all’Italia e nelle Raccomandazioni della Special Rapporteur
dell’Onu, Rashida Manjoo. Riflettere su come tali indicazioni siano applicabili nel nostro
Paese a giornali, telegiornali, speciali e programmi d’informazione tramite stampa, tv e
web, è allora tra le priorità: non solo perché l’informazione influenza in maniera diretta
come fosse “super partes” - a differenza di fiction o pubblicità - ma perché
un’informazione non corretta, può procurare distorsioni con gravi ripercussioni nella vita
delle persone. Citando il “Rapporto Ombra” della “Piattaforma Cedaw” (New York,
2011): “I media spesso presentano gli autori di femmicidio come vittime di raptus e follia
omicida, ingenerando nell’opinione pubblica la falsa idea che i femmicidi vengano
perlopiù commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di
aggressività improvvisa. Al contrario, negli ultimi cinque anni meno del dieci per cento di
femmicidi è stato commesso a causa di patologie psichiatriche o altre forme di malattie e
meno del dieci per cento dei è stato commesso per liti legate a problemi economici o
lavorativi”. Fatti di cronaca presentati come isolati, che spesso trasformano la donna in
offender e insinuano il dubbio che se la sia cercata, minimizzando il reato. Ma chi
informa deve essere informato e non può prescindere da una preparazione adeguata. Ma
allora perché la sottovalutazione della violenza contro le donne, persiste?
Di femminicidio, oggi, se ne parla sui giornali, in tv, sul web, ma spesso il
meccanismo è strumentale e tratta questa violenza come un passe-partout che fa notizia e
su cui anche chi non ha competenze, può avventurarsi. Un pericolo, perché il
pregiudizio della discriminazione di genere permane nella testa, e si riflette nel sostegno
a una cultura che in ambito giudiziario trova ancora donne non credute. Donne che nel
loro accesso alla giustizia sono rivittimizzate. Per questo, se i media sostengono tale
sottovalutazione, sostengono anche la rivittimizzazione, giustificandola in ambito
pubblico in una pericolosa connivenza. Pubblicare articoli negazionisti, insinuare il
dubbio che forse la donna o la ragazza se la sia andata a cercare, concentrarsi sulla vita
intima della donna, mettendo in primo piano le attenuanti per l’offender, e lasciare che
giornalisti privi di strumenti appropriati ne diano informazione, sono elementi chiave per
una vittimizzazione secondaria attraverso i media. Un terreno scivoloso in un contesto
culturale, come quello italiano, dove l’idea che continua a passare è che un certo tipo di
153
atteggiamenti, anche violenti, siano ingrediente normale dei rapporti intimi. Per queste
ragioni, non basta essere “brave persone” o “professionisti”, e non basta essere
“sensibili” ma bisogna essere preparati, studiare.
Per dare corretta informazione su questa realtà e in generale sui diritti e le
discriminazioni di genere, oltre ai seppur utilissimi blog, bisognerebbe allora entrare a
pieno titolo nel tessuto del giornale, avviando un processo di trasformazione dentro le
redazioni che dovrebbero essere attrezzate, non solo con linee di condotta, ma con
redattrici e redattori formati ad hoc. Auspicare che le direzioni di testata, si avvalgano di
queste figure da inserire anche con ruoli di responsabilità, dimostrando di
comprendere davvero un problema che non riguarda solo le donne ma anche gli uomini,
che nelle redazioni italiane occupano la maggioranza dei posti di comando, e che
dovrebbero sentire l’urgenza di prendere in seria considerazione quanto detto.
IV.4. I Centri Antiviolenza 309
In Italia esistono circa cento Centri Antiviolenza 310. I Centri nascono in Italia agli
inizi degli anni Novanta. Fino a quel momento le donne non avevano dei luoghi dove
rivolgersi per essere ospitate o semplicemente ascoltate e sostenute nei propri diritti.
L’origine dei Centri si colloca nei gruppi di autocoscienza femminista ed è stato
proprio merito del movimento femminista se la violenza domestica è stata portata alla
luce, nominata e definita nella sua complessità, e se sono state create strutture di aiuto
alle donne e posta la questione alle istituzioni come un vero e proprio problema sociale.
Negli anni Novanta sono nati in Italia settanta Centri Antiviolenza. In questi anni i Centri
hanno dibattuto su come creare servizi indipendenti e attenti a rispondere ai bisogni delle
donne e dei bambini, vittime della violenza maschile, ma soprattutto come obbligare le
istituzioni a mettere al centro della loro agenda politica azioni contro la violenza. I Centri
non sono infatti attivi solo per l’accoglienza, non sono servizi, rappresentano luoghi di
progettualità e protagonismo femminile; sono veri e propri laboratori sociali dove si
309
310
Intervento di Luisanna PORCU, presidente di Rete rosa di Nuoro e socia della Rete nazionale dei centri
antiviolenza “DiRe” al fine di illustrare qual è il ruolo dei Centri Antiviolenza a sostegno delle donne.
Mi riferisco ai sessantaquattro Centri afferenti all’associazione nazionale D.i.Re (Donne in rete contro
la violenza).
154
produce sapere ed esperienza e dove, grazie alla sinergia delle donne, si è costruita in anni
ed anni una cultura nuova. Alla base del lavoro dei centri ci sono alcuni punti cardine.
Primo: parliamo di violenza di genere, quindi di violenza contro le donne da
intendersi come qualsiasi atto di violenza sessista, che produca o possa produrre danni o
sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la
coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita
privata.
Secondo: il personale è tutto femminile, perché una donna che ha subito una
violenza da un uomo, nel momento in cui chiede aiuto, interpella nell’altro una
rappresentazione di se stessa, quindi di una persona di sesso femminile. In teoria si parla
di relazione sessuata. Il concetto di violenza contro le donne ha a che fare con le
relazioni di coppia, con le rappresentazioni sociali dei rapporti di genere e con il
potere. Dobbiamo partire da questo concetto per capire quanto è differente essere
donne o uomini nella propria professione, perché non è vero che esiste una neutralità nel
ruolo rivestito (avvocata/o, psicologa/o, ecc.).
Terzo: la violenza alle donne è un problema strutturale e non un’emergenza, un
problema politico-culturale. Cosa significa che è un problema politico? Significa che
affrontare il problema della violenza sulle donne diventa legittimo solo in un contesto che
mette in discussione la subordinazione all’uomo di donne e bambini.
Quarto: il rifiuto dell’atteggiamento di responsabilizzazione o colpevolizzazione delle
donne.
Infine, tali centri non lavorano mai con il maltrattante: la violenza contro le donne
è una violazione dei diritti umani, un crimine e lo affrontano come tale, quindi lavorano
solo con chi la subisce e mai, in nessun caso, con il maltrattante.
Per la metodologia si parte dalla considerazione che il Centro Antiviolenza è un
luogo di transito verso l’autonomia, un luogo per sottrarsi alla violenza, è un luogo di
avvicinamento alla libertà. Questo concetto implica il superamento di approcci tecnici
standardizzati e aprioristici, a favore di un metodo che parte dal dare credito al racconto
di chi soffre e dalla fiducia costruita nella relazione.
Le donne che subiscono violenza, la violenza stessa e le sue conseguenze, così come
i sintomi, non possono essere considerate un oggetto a cui sovrapporre le professionalità.
L’operatrice, la psicologa, la legale, varcando la porta del Centro sono capaci di spogliarsi
155
del loro ruolo, proprio per utilizzare al meglio, nella relazione, saperi e professionalità.
Su questa base instauriamo un rapporto di reale reciprocità con la donna, che in quel
momento è in una posizione fortemente asimmetrica, infatti si presenta non con un
ruolo professionale o sociale, ma solo con il disagio e la sofferenza. All’interno del centro
c’è una disparità che però è positiva: “non siamo uguali ma possiamo esserci utili, noi
non diamo forza alle donne ma ci scambiamo la forza. Le donne che hanno subito
violenza sono in stato temporaneo di disagio, sono cioè donne che stanno male oggi ma
potranno stare bene domani: quindi non facciamo mai una fotografia sempre negativa,
sempre limitante, sempre come un destino delle donne. La donna che si rivolge a noi è un
soggetto agente, è attrice principale del suo percorso di uscita dalla violenza, un percorso
che la porta a riprendere in mano la sua esistenza. L’equipe del centro struttura con lei e
non per lei, un progetto di ridefinizione, riorganizzazione della propria vita, e mai ci
sostituiamo a lei. Il tipo di aiuto fornito alla donna non è di tipo assistenziale, in
quanto la sola assistenza anche se fornisce risposte immediate, lascerebbe la donna in
una situazione passiva. Lo scopo del nostro lavoro è invece quello di aiutare la donna
affinché aiuti se stessa a ritrovare il coraggio e la forza per costruirsi un progetto di
vita futura concreto che tuteli se stessa e suoi figli 311”. Un lavoro che parte dall’analisi
della propria storia personale, dei sensi di colpa, del vissuto di violenza al fine di
riacquistare un livello di autostima e assertività tali che le permettano di gestire e superare
le difficoltà.
Il telefono è un mezzo molto efficace per superare il senso di vergogna connesso
alla violenza e permette di rimanere anonime ed è durante la prima telefonata che si
cerca di “agganciare” la donna trasmettendole fiducia credibilità e dimostrandole che
conosciamo a fondo il problema. Questo aspetto motiva la donna a presentarsi al centro a
fare dei colloqui. “Facciamo accoglienza presso il Centro, che consiste in una serie di
colloqui di durata variabile, in base alle esigenze delle donne: ci sono donne che vengono
per un anno intero a cadenza fisse e donne che frequentano il centro qualche mese o
qualche volta.
I colloqui hanno l’obiettivo di aprire uno spazio alla donna per parlare di sé, per
elaborare il suo vissuto di violenza e superare il danno da trauma 312”.
La metodologia prevede che ogni azione (attivazione di servizi, denunce,
311
312
Luisanna PORCU, Presidente di Rete rosa di Nuoro e socia della Rete nazionale dei centri antiviolenza
Ibidem.
156
separazione, ecc.) venga intrapresa solo con il consenso della donna e che si lavori sempre
per il suo vantaggio secondo i presupposti della protezione, della riservatezza e
anonimato e del non giudizio. L’ospitalità nella casa di accoglienza prevede dei progetti
con i bambini vittime di violenza assistita. Le donne molto spesso hanno infatti dei figli
che a loro volta sono delle vittime di violenza diretta o assistita. Il Centro mette a punto
dei percorsi di riparazione del danno per i bambini e per le donne come “madri”, in
quanto la violenza danneggia fortemente anche la relazione madre-bambino.
La letteratura scientifica sul trauma afferma che come un’esperienza negativa
danneggia il funzionamento di un bambino, altre esperienze positive e riparative,
possono ridare una funzionalità corretta a delle aree che si sono messe a lavorare
scorrettamente. È da qui che parte la nostra metodologia di lavoro, si mettono a punto
azioni di buon trattamento come alternativa multiforme al maltrattamento all’infanzia,
partendo dal presupposto che per contrastare il maltrattamento non basta individuarlo e
fermarlo, come spesso si fa, ma bisogna sostituirlo con altro. Purtroppo, molto spesso, i
bambini all’interno del centro fanno percorsi eccellenti di elaborazione del danno,
sperimentano altri modelli di pensiero e di comportamento, stabiliscono un forte
rapporto di fiducia e alleanza con la madre, unico genitore protettivo, ma poi c’è lo
scontro con la realtà giudiziaria dove, per legge, nei casi di separazione l’affido è
condiviso. Nei casi di violenza non dovrebbe essere così, ma poiché in Italia molto spesso
si confonde la violenza con il conflitto, quando le donne chiedono la separazione viene
contemplato l’affido condiviso anche se il padre è violento: eventualità che mette a
rischio il bambino che verrà usato per continuare a maltrattare ed esercitare potere e
controllo sull’ex partner. Casi in cui nessuno sembra tenere in considerazione che la
violenza alle madri e ai bambini non si ferma con la separazione tanto che, quando i
bambini chiedono di non vedere più il padre, ci sono psicologi, psichiatri e avvocati che
si appellano alla cosiddetta PAS (Sindrome di alienazione parentale): una “sindrome
psichiatrica” inventata dallo psichiatra americano Richard Gardner, il quale afferma che il
bambino malato di Pas è un bambino manipolato dalla madre nel rifiutare il padre, e che
eventuali denunce di abusi e maltrattamenti paterni, in caso di Pas, sarebbero falsi. La
terapia che Gardner propone è una terapia coatta, dove il bambino deve essere
allontanato dalla madre (genitore alienante) al fine di agevolare il rapporto con il padre
(genitore alienato). Il bambino per Gardner non deve essere creduto e prescrive al
157
terapeuta di ignorare le sue lamentele e di adottare tecniche per forzare il bambino a
vedere il padre, come per esempio dirgli che la madre andrà in prigione finché lui non
si deciderà ad incontrare il padre. Tale sindrome non è provata da alcuna ricerca
scientifica, non è mai stata integrata nelle varie edizioni dei DSM e l’associazione degli
psicologi americani mette in guardia gli psicologi forensi dall’utilizzarla. In Italia però si
fanno ancora molte diagnosi di PAS.
Chi sono le donne che si rivolgono al centro? Nel novantasette per cento dei casi
si tratta di donne che hanno subito violenza in famiglia dal proprio partner o ex, e sono
donne che hanno subito violenza fisica, psicologica, economica, sessuale o stalking.
Provengono da tutte le classi sociali e con differenti livelli di istruzione e molte hanno
un lavoro, mentre altre lo avevano ma sono state costrette a lasciarlo perché il proprio
partner non le permetteva di andarci. Tuttavia c’è da chiarire una volta per tutte che
anche l’indipendenza economica delle donne non costituisce una garanzia di libertà dalla
violenza, vi sono meccanismi psicologici e culturali complessi per cui una donna rimane
con il partner violento.
E chi è il maltrattante? Il maltrattante è un uomo normale, con una vita sociale e
relazionale normale, nel novantanove per cento dei casi con un lavoro. L’uomo violento
per sfuggire alle sue responsabilità, tenta con qualunque mezzo di favorire il silenzio
della donna ma se non riesce ad ottenerlo attacca la credibilità della stessa: è pazza, non
è vero, si è inventata tutto, mi vuole rovinare perché le ho detto che non la amo più, ecc.
Nel centro si svolgono attività di formazione, prevenzione e sensibilizzazione, ma
anche gruppi di auto e mutuo aiuto, interventi per le donne migranti, consulenza legale,
orientamento e accompagnamento al lavoro, attività di rete, raccolta ed elaborazione dati,
raccolta di materiale in tema di violenza. Mentre le figure professionali presenti sono
l’operatrice di accoglienza, la psicologa,
l’assistente sociale,
la collaboratrice
amministrativa, educatrici per le bambine/i, legali, ricercatrici/documentariste, progettiste
e formatrici (alcune figure sono volontarie altre hanno regolari rapporti di lavoro).
158
CONSIDERAZIONE CONCLUSIVE
Questo lavoro ha prodotto degli spunti di riflessione sul tema della violenza di
genere riguardo i diversi ambiti che tale tematica chiama in causa.
Innanzi tutto, sembra prevalere l’importanza di affrontare la violenza contro le
donne come una questione sociale (e non come un affare privato) connessa al
mutamento dei rapporti tra i sessi: non a caso accade che il rapporto disuguale e
conflittuale tra l’uomo e la donna si faccia più forte con il passare degli anni, e soprattutto
quando il sesso femminile cerca di rivendicare una posizione sociale in famiglia e nella
società. Lo scontro diventa più animato quando si passa dalla donna “per l’altro” alla
donna “per sé”, in altre parole nel momento in cui il sesso femminile cerca di
affermarsi e di ribellarsi ai tradizionali principi del patriarcato che hanno condizionato la
situazione femminile.
In secondo luogo, ricordiamo che il fenomeno della violenza intrafamiliare, secondo
quanto riportato nell’indagine condotta dall’Istat nel 2007, presenta dati allarmanti
soprattutto se consideriamo che la violenza avvenga per opera del partner o ex partner.
Come abbiamo avuto modo di analizzare, la gelosia del partner gioca un ruolo
fondamentale, soprattutto laddove questo sentimento diventa un’emozione “malata”
perché i pensieri ossessivi sul tradimento e sul dubbio d’infedeltà della donna spingono
l’uomo a sostituire l’amore con le percosse e le urla. Nel momento in cui un sentimento
considerato naturale come la gelosia diventa patologico e si trasforma in mero possesso
e uso dell’altro, la donna è in pericolo.
Come abbiamo avuto modo di comprendere la trasformazione dell’intimità:
sessualità, amore ed erotismo nelle società, modificandosi i rapporti tra i partners
inevitabilmente si modificano anche l’intimità e il sesso: durante la relazione malata la
donna usa il sesso per sentirsi meglio e chiedere amore, illudendosi che ciò avvenga,
ma, ben si comprende, altro non è che un castello di sabbia che crolla al primo “alito
di vento”, ossia non appena la donna prende coscienza della sua vita e decide di
chiudere una relazione insoddisfacente.
Attraverso il presente lavoro si è cercato di mettere in evidenza che la violenza
di genere è un fenomeno di livello mondiale, che abbraccia diverse culture, si fonda
sulla disparità tra i sessi ed è rafforzata dall’omertà della maggior parte della collettività.
159
La consapevolezza di questo problema da parte delle istituzioni e degli organismi
internazionali è stata tardiva, a livello mondiale il primo documento volto a combattere la
discriminazione nei confronti della donna a livello politico, culturale, economico è stata
La convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, approvata
il 18 dicembre 1979 dall’ONU.
La prima definizione di violenza di genere a livello mondiale si è avuta il 20 dicembre
del 1993, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la Dichiarazione
sull’eliminazione della violenza contro le donne, nella quale si afferma che la violenza contro le
donne costituisce una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
In Italia la consapevolezza di questo problema ha cominciato a manifestarsi negli
ultimi due decenni grazie alle numerose associazioni di donne che hanno fatto sentire la
propria voce rompendo il silenzio e aprendo servizi specializzati nell’aiuto di donne in
difficoltà.
Le istituzioni italiane hanno attuato provvedimenti concreti solo recentemente,
soltanto nel 1996 con la l. n. 66 la violenza sessuale da reato contro la morale diventa
reato contro la persona e la libertà individuale e in seguito con la l. 154 del 2001 viene
previsto l’allontanamento del familiare violento per via civile e penale ed è da poco
stato approvato il cosiddetto Decreto Femminicidio convertito nella legge 119/2013. Il
recente provvedimento, pur etichettato, sin dal primo momento, come decretofemminicidio, poi convertito in legge, racchiude i settori più disparati che hanno un
comune denominatore facilmente individuabile nel rigorismo sanzionatorio. Un
contributo fondamentale è stato svolto dai centri antiviolenza e dalle culture femministe
affinché questo problema rimanga sommerso nella sfera privata il meno possibile.
La violenza di genere è un problema culturale e sociale e non di ordine pubblico,
infatti il luogo primario di violenza sulle donne non è la strada ma la casa, essa si basa
sull’ineguale distribuzione di potere tra uomo e donna e per contrastarla bisogna cercare
di alzare la percezione della violenza producendo conoscenza e informazione.
Per attuare politiche di contrasto è necessario fare un continuo monitoraggio sul
problema e rendere pubblici i dati dei centri e delle ricerche, solo così si può rompere
l’isolamento che vive la donna vittima di violenza e far si che la donna chieda aiuto.
Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a
tutti i ceti economici, per questo sono fondamentali programmi di prevenzione primaria
160
facendo un lavoro di educazione popolare che prevenga e contrasti in tutti i campi la
svalorizzazione del genere femminile e la tolleranza sociale che ancora permane nei
confronti della violenza contro le donne.
Le operatrici hanno riscontrato inoltre che soprattutto nelle coppie miste si ha una
maggiore sudditanza della donna nei confronti dell’uomo e possono costituire un terreno
fertile per l’instaurarsi di un rapporto violento tra uomo e donna.
Questo processo si sviluppa piano, in maniera subdola, la donna non si sente più
libera di esprimere la propria personalità, essa viene denigrata dal proprio partner
portandola ad uno stato di isolamento assoluto.
Culture diverse possono convivere tra loro soltanto “contaminandosi” valorizzando
le differenze, ognuno deve poter esprimere le proprie peculiarità in maniera che il
conflitto non scaturisca in violenza.
Il conflitto a differenza della violenza è costruttivo, costituisce un momento di
crescita per entrambi le parti e è finalizzato al raggiungimento di un accordo comune,
nella violenza invece c’è sempre l’imposizione del volere del maltrattante sul volere della
donna.
Le donne italiane rispetto alle straniere hanno una rete informale di sostegno più
forte, talvolta però è la rete stessa che può ostacolare il percorso di uscita dalla violenza,
spesso sono i familiari stessi della donne a convincere la figlia di dover sopportare il
partner per il semplice motivo di essere donna.
Un donna vittima di violenza necessita di un aiuto multidimensionale, è necessario
fare sistema intorno alla donna, la presa in carico deve essere flessibile e non rigida il
processo d’aiuto deve rispondere ai bisogni particolari della donna che cambiano da
persona a persona perché i bisogni sono individuali, di conseguenza non è possibile
elaborare dei modelli di risposta “preconfezionati” pronti all’uso da utilizzare
all’occorrenza.
Ogni donna ha il proprio vissuto che la rende unica per questo ha bisogno di un
percorso personalizzato di uscita dalla violenza.
Questo consente di avere dei modelli di riferimento dentro i quali inserire le vittime
di violenza in base alle loro caratteristiche, tenendo sempre conto delle relative peculiarità
del caso, che possono facilitare una decifrazione dei bisogni più mirata, e cercare di
precostruire degli interventi specifici da applicare in base ai bisogni richiesti.
161
Naturalmente gli interventi non possono essere predefiniti completamente ma
devono prevedere una flessibilità che ci consente di adattare ogni intervento al singolo
caso. In definitiva conoscere il fenomeno e individuare delle tendenze consente di
lavorare meglio sul singolo.
La violenza di genere ha le sue radici nella cultura maschilista che domina la nostra
società e non solo, purtroppo a mettere le donne in posizione subalterna all’uomo sono
anche le politiche sociali che vengono fatte, la donna non è tutelata nel posto di lavoro
come l’uomo, spesso alla nascita di un figlio è costretta a lasciare la sua professione
per fare la mamma a tempo pieno perché non è supportata dalle politiche che non
assumono un’ottica di genere e per la carenza di strutture educative pubbliche per i loro
figli. La società costringe la donna a sviluppare un ruolo principalmente di cura all’interno
della famiglia senza darle la possibilità di sviluppare le proprie capacità e potenzialità al
di fuori di essa. La disparità di genere quindi, non si fa sentire soltanto all’interno della
famiglia ma anche nel lavoro e nella politica, è alimentata dall’intera società, la donna
italiana ha difficoltà a occuparsi contemporaneamente della famiglia e del lavoro, quindi
molto spesso si trova a dover scegliere.
Per questo è importante valorizzare le differenze tra uomo e donna e cercare
di sviluppare una cultura del rispetto e della non violenza, è importante cambiare il
modo di pensare sia dell’uomo ma anche della donna che a suo modo contribuisce
a sostenere una società patriarcale alimentando gli stereotipi attribuiti all’uomo e alla
donna attraverso i piccoli gesti della vita quotidiana (la donna che lava i piatti, l’uomo
che guida l’auto). Gli stereotipi sono sempre negativi perché ostacolano l’individuo nel
suo sviluppo personale e nel suo affermarsi nella società. Anche i media spesso
offrono un’immagine riduttiva spesso addirittura offensiva del genere femminile, ma
anche dello stesso genere maschile, essi contribuiscono a mantenere e normalizzare gli
stereotipi che limitano l’apertura mentale di un individuo. I media ci propongono
continuamente l’immagine di una donna che cerca stima, attenzione e protezione da parte
dell’uomo; altri stereotipi sono quelli della donna che seduce l’uomo e della donna che
conquista l’uomo con la sua castità, in pratica si propone l’immagine della donna oggetto
di proprietà dell’uomo. Risulta chiaro quindi che per contrastare la violenza di genere,
bisogna prima combattere la discriminazione di genere nella vita familiare, sociale e
politica.
162
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166
SETTE E MOVIMENTI RELIGIOSI
CRIMINOGENESI E CRIMINODINAMICA DEL SATANISMO
Ten. Luca Gino Iannotti
Introduzione ........................................................................................................... 171
CAPITOLO I
LE SETTE RELIGIOSE
I.1 Definizione di setta ........................................................................................ 174
I.2 Classificazioni, caratteristiche e finalità delle sette religiose ...................... 175
I.3 Comportamenti criminali degli appartenenti alle sette .............................. 177
I.4 Aspetti tipizzanti dell’adesione al culto........................................................ 180
I.5 Le tecniche di reclutamento .......................................................................... 182
I.6 L’avviamento alla dottrina della salvezza satanica ...................................... 184
I.7 Il radicamento nel gruppo della setta ........................................................... 187
I.8 L’allontanamento dalla società e l’isolamento dell’adepto ........................ 190
I.9 Il rafforzamento della dottrina settaria nella vittima .................................. 191
I.10 I soggetti considerati “a rischio setta” ......................................................... 192
I.11 Festinger e la teoria della dissonanza cognitiva ............................................. 196
I.12 L’allontanamento forzato dalla setta: deprogrammazione anti-setta ....... 197
I.13 L’allontanamento non coercitivo: l’exit counseling ........................................ 200
I.14 Gli ex affiliati e gli aspetti psicologici........................................................... 201
CAPITOLO II
STORIA DEL SATANISMO
II.1 Le origini del fenomeno ................................................................................ 204
II.2 Definizioni del satanismo di Francesco Barresi ......................................... 211
II.3 Gli studi sul satanismo di Massimo Introvigne .......................................... 213
II.4 La teoria dell’aggressività di Alfonso Maria Di Nola ................................. 217
II.5 Aleister Crowley e la magia sessuale ............................................................ 219
II.6 Anton Szandor LaVey e il satanismo contemporaneo .............................. 224
II.7 Michael Aquino e il tempio di Set: la concretezza del diavolo ................. 227
II.8 Charles Manson e the family............................................................................ 228
II.9 Le altre sette sataniche ................................................................................... 231
- 169 -
CAPITOLO III
TECNICHE DI PROSELITISMO SATANICO
III.1 L’ingresso nel mondo satanico ................................................................... 236
III.2 I libri criminogenetici................................................................................... 241
III.3 Il cinema satanico ......................................................................................... 244
III.4 Il ruolo della musica e i messaggi subliminari .......................................... 248
III.5 La presenza on-line delle sette ...................................................................... 253
III.6 Gli attrezzi satanici e la bibbia satanica di LaVey .................................... 258
CAPITOLO IV
LA DIMENSIONE NORMATIVA
IV.1 Le indagini sulla scena del crimine ............................................................. 263
IV.2 Il satanismo nel codice penale .................................................................... 270
IV.3 Il rapporto italiano sulle sette religiose e i nuovi movimenti magici ..... 279
IV.4 Le iniziative parlamentari di contrasto ...................................................... 289
IV.5 Gli interventi europei “anti-setta”.............................................................. 295
IV.6 Le forze di polizia: attività di prevenzione e contrasto al fenomeno
satanico .......................................................................................................... 303
Conclusioni ............................................................................................................. 312
- 170 -
INTRODUZIONE
Nell’epoca moderna, caratterizzata non solo dalla continua influenza della Chiesa
cattolica ma anche e soprattutto dalle scienze e dalla tecnologia, sembra assurdo discutere
la materia satanica.
Tuttavia la passione per tutto ciò che è “demoniaco” risulta forte e in continua
crescita; tale attrazione, manifestata con sacrifici e messe nere, esalta spesso perversioni
sessuali e istinti omicidiari.
In questo contesto devono essere considerati illegali e pericolosi i movimenti dediti
alla commissione di reati: si va dai furti di ostie alle violenze sessuali e agli omicidi tipici di
alcuni rituali, passando per il fenomeno della destrutturazione mentale che porta alla
dipendenza psicologica e alla follia.
L’analisi effettuata in questa tesi vuole esplorare il fenomeno satanico in chiave
criminologica; tale compito non risulta certamente semplice.
Il primo capito rende innanzitutto chiare le difficoltà di ottenere classificazioni,
definizioni e terminologie univoche in tema di sette religiose.
Viene, quindi, illustrato il modus operandi di tali movimenti, cercando di esplicare
con metodo scientifico la complessità delle fasi del reclutamento, avviamento alla dottrina
settaria, radicamento nel gruppo, allontanamento dalla società - con conseguente
isolamento - e rafforzamento della dottrina.
Si analizzano, poi, le problematiche inerenti agli aspetti psicologici degli adepti durante il
loro percorso di uscita dal gruppo settario e quelle connesse alle tecniche volte a recuperare
questi ultimi dalla setta; in questo ambito si sottolinea come l’allontanamento coercitivo possa
costituire un vero e proprio rapimento, per quanto venga attuato a fin di bene.
Il secondo capitolo affronta la questione satanica dal punto di vista storico; viene
quindi narrata l’evoluzione del fenomeno dal Medioevo al XIX secolo per poi proseguire
con il satanismo contemporaneo e con l’analisi delle dottrine dei suoi maggiori ispiratori:
Aleister Crowley, Anton Szandor LaVey, Michael Aquino e Charles Manson.
Si riportano, inoltre, gli studi effettuati da Francesco Barresi, Massimo Introvigne e
Alfonso M. Di Nola, celebri studiosi della materia.
Il terzo capitolo illustra le tecniche di proselitismo adottate dalle sette sataniche.
- 171 -
Si tratta di metodi subdoli, capaci ormai di raggiungere chiunque attraverso l’utilizzo
dei libri, del cinema, della musica con i suoi messaggi subliminari e, ai giorni d’oggi,
soprattutto del web.
In questo contesto è stato necessario approfondire la delicata tematica riguardante la
possibilità per le sette di effettuare un vero e proprio “brain-washing” in capo alle vittime.
Il quarto capitolo pone l’accento sul rapporto tra satanismo e codice penale, la cui
problematica si incentra soprattutto sulla mancanza di una norma che tuteli
adeguatamente colui che si trovi coinvolto nei gruppi settari, finendo vittima di un
“lavaggio del cervello” che può talvolta condurlo alla commissione di reati. La Corte
Costituzionale, infatti, con sentenza n. 96 del 9 aprile 1981, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’intero art. 603 del codice penale concernente il reato di plagio.
Sempre nel quarto capitolo vengono affrontate le questioni inerenti alla gestione
delle indagini sulla scena del crimine, facendosi riferimento a una scheda che il noto
studioso di satanismo Dale Griffis ha elaborato per la polizia americana.
Si tratta inoltre dei reati compiuti da talune sette, sottolineandosi come non esista una
norma che punisca a titolo di reato una setta satanica in quanto tale; anzi l’ideologia satanista
può trovare tutela all’interno della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea come libertà di manifestazione del pensiero e libertà religiosa.
In questo contesto anche gli strumenti di contrasto sono privi di una specifica
disciplina, bensì fanno riferimento alle varie norme presenti nel codice penale con cui
vengono puniti reati che non necessariamente sono collegabili al satanismo (si pensi ad
esempio al vilipendio di cadavere o alla violenza sessuale).
Con riguardo alla ricerca di una corretta strategia di contrasto al satanismo viene
esaminato il rapporto della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione dal titolo
“Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia”, inviato dal Ministero dell’Interno alla
Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati in data 29 aprile 1998.
Sono anche analizzate le molteplici iniziative parlamentari in tema di contrasto al
fenomeno satanico, volte principalmente a colmare, con numerose proposte di legge, il
vuoto legislativo lasciato dall’abrogazione del reato di plagio.
Anche in ambito europeo si cerca di individuare adeguati strumenti per fronteggiare
il fenomeno satanista, di cui si sottolinea la pericolosità, e si tenta di elaborare un’azione
comune di informazione e contrasto, dettandosi altresì i parametri per determinare la
- 172 -
liceità delle condotte tenute dai gruppi religiosi minoritari, ferma restando l’attenzione
posta alla tutela dei minori.
Viene infine proposta la strategia di prevenzione e repressione posta in essere dalle
forze di polizia, le quali risultano essere molto sensibili e impegnate in questo campo. A
titolo esemplificativo, si pensi al decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre
2006 con cui il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno ha
istituito la Squadra Anti Sette (SAS).
Appare chiaro, in conclusione, come il tema trattato sia di estrema attualità e di
grande interesse, considerato l’allarme sociale che il satanismo è in grado di suscitare e la
sua pericolosità.
Questa tesi si pone come principale obiettivo quello di analizzare un fenomeno che
colpisce i più deboli, i giovani e chi, sperando in una vita migliore, non fa altro che
affidare la propria fede nelle mani di gruppi subdoli e manipolatori.
Quello delle sette può, in sintesi, rappresentare il fenomeno umano più crudele;
riuscendo questo a “usare” le persone, colpendo le sfere più profonde dell’Io e
approfittando di quanto più intimo ci appartiene: i nostri sentimenti, le nostre debolezze e
la fede.
- 173 -
CAPITOLO I
LE SETTE RELIGIOSE
I.1
Definizione di setta
Riuscire a fornire una definizione di setta risulta quantomeno complesso; in questo
termine si ricomprendono infatti tutti i gruppi religiosi, magici e gnostici con un
sufficiente livello di stabilità, di struttura gerarchica e di ritualismo. L’antropologa Cecilia
Gatto Trocchi 1 evidenzia quante siano le sfaccettature di questo fenomeno: «Le tipologie
sfumano le une nelle altre: gruppi satanici ad esempio si configurano come vie di salvezza,
sette religiose neo orientali praticano la magia. Confraternite religiose insospettabili come i
Templari si addentrano nei misteri esoterici. Questo universo dai contorni sfumati e
imprecisi è caratterizzato dalla eterogeneità e dal sincretismo. Inoltre un demone
scissionista agita il mondo delle sette che nascono, si espandono e poi scompaiono,
oppure si dividono intorno a figure poco raccomandabili di capi carismatici 2».
Partendo da un’analisi terminologica è curioso sottolineare quali siano le espressioni
con cui vengono chiamati questi nuovi culti, ognuno dei quali ha inoltre un proprio
cangiante nome. Gli inglesi parlano di Cults, Sects, Destructive Cults, Extremist Cults e
Authoritarian Sects. In Germania si parla invece di Sekten, Kulten, Destruktive kulte,
Jugendsekten, Jugendreligonen, Estremistiche Religiöse Kulte e Psychokultur. Tutti questi termini
hanno un’accezione evidentemente spregiativa diffusa dai media; spicca quindi un
concetto di disvalore e devianza rispetto al normale, inteso come ciò che ottiene il
consenso della maggioranza. Tuttavia, sotto la guida del rapporto Guyard 3, si potrebbe
1
2
3
GATTO TROCCHI Cecilia (Roma, 19 giugno 1939 - Roma, 11 luglio 2005), è stata un’antropologa
italiana, docente di antropologia culturale presso le Università di Cagliari, Chieti, Perugia, la Sapienza e
Roma Tre. È stata anche direttrice dell’Osservatorio dei fenomeni magico-simbolici.
GATTO TROCCHI Cecilia, Le sette in Italia, Newton Compton Editori, 1994.
Si intende il rapporto di una commissione d’inchiesta dell’Assemblée Nazionale, (Rapport fait au nom de
la Commission d’enquête sur les sectes - document n. 2468 - Président: M. Alain Gest), del 10 gennaio
1996, così chiamato dal nome del deputato francese M. Jacques Guyard che ha coordinato i lavori. Il
testo è stato duramente criticato da molti studiosi di sociologia religiosa: si veda il documento del
CESNUR di Torino (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e del CESNUR U.S.A. intitolato “Warrant
for persecution”, diffuso il 31 gennaio 1996 negli Stati Uniti e in Canada, firmato tra gli altri da
Massimo Introvigne, direttore del CESNUR. Lo stesso rapporto, intitolato “Instauration d’un droit de
persécution? Une réponse au Rapport de la Commission d’enquête sur les sectes” è stato in seguito
presentato a Parigi (cfr. “Le Monde”, 9 febbraio 1996).
- 174 -
dire che per setta si intenda un movimento religioso dotato di almeno una delle seguenti
caratteristiche:
- la destabilizzazione mentale;
- il carattere esorbitante delle esigenze finanziarie;
- la rottura indotta con l’ambiente d’origine;
- gli attentati all’integrità fisica;
- l’indottrinamento intensivo dei bambini;
- il discorso più o meno antisociale;
- le turbative all’ordine pubblico;
- l’importanza dei problemi giudiziari;
- l’eventuale storno dei circuiti economici tradizionali;
- i tentativi d’infiltrazione dei poteri pubblici.
Alla luce di ciò è preferibile esprimersi con termini come “nuovi movimenti
religiosi” o “magici”, proprio per garantire un connotato di neutralità e non quindi
spregiativo.
I.2
Classificazioni, caratteristiche e finalità delle sette religiose
La sociologia americana si basa ormai da anni su una classificazione della religione
che fa riferimento a concetti come bisogni, benefici e risorse per caratterizzare l’adesione
a un determinato culto. Questi fattori si sostituiscono al modello di religione pre-acquisita
promettendo un guadagno futuro agli adepti. Le differenziazioni tra audience cults, client cults
e cult movements 4 si basano proprio sulle diverse risorse e sui benefici promessi, questi
ultimi definiti “fattori di compensazione”:
- audience cults: offrono fattori compensativi di valore modesto a un costo
corrispondentemente modesto;
- client cults: offrono fattori compensativi validi ma relativamente specifici;
- cult movements: offrono fattori compensativi generali, del tipo che rende accessibile
la religione.
4
INTROVIGNE M., Le nuove religioni, SugarCo, Milano 1989, riproponendo una tipologia di W.
Bainbridge e R. Stark.
- 175 -
Soltanto i cult movements rientrano pienamente nella definizione di veri e propri nuovi
movimenti religiosi, essendo essi organizzati stabilmente con strutture interne molto
rigide. Gli audience cults e i client cults sono invece organizzazioni settarie meno organizzate
che richiedono un’appartenenza continuativa o addirittura totale al gruppo.
Questi ultimi due tipi di culto sono sostenuti da una molteplicità di simpatizzanti e
da una clientela fissa di consumatori attratti da una specifica dottrina. Talvolta dagli
audience cults e dai client cults possono anche scaturire nuove forme di religione.
Questi culti e sette presentano alcuni comportamenti caratteristici e devianti a
comuni 5:
- si trovano a un livello di “rispettabilità” sociale più basso rispetto alla Chiesa e
alle altre confessioni “istituzionali”;
- sono organismi dinamici (si costituiscono separandosi dalla Chiesa ufficiale o si
convertono mutando spesso i loro caratteri originari);
- sono per lo più autoritari (la disciplina è necessaria per mantenere la leadership
sugli adepti);
- le sette hanno una struttura di tipo piramidale ed organizzata gerarchicamente,
con un capo carismatico/leader al loro vertice;
- fanno ricorso a tecniche di manipolazione, come il brainwashing (lavaggio del
cervello) e il controllo mentale;
- praticano una coercizione collettiva sugli adepti;
- ispirano sensi di colpa e di paura tra gli adepti.
È possibile inoltre effettuare una classificazione che tiene conto della struttura delle
stesse 6:
- Società di tipo iniziatico. Tutte quelle sette o gruppi all’interno dei quali viene
praticato l’esoterismo attraverso particolari riti e liturgie;
- Società di tipo rivoluzionario, politico o utopistico. Tutte quelle associazioni di tipo
segreto il cui fine ultimo da perseguire è sovvertire l’ordine precostituito di
riferimento;
- Ordini religiosi. Tutte quelle religioni che professano apertamente e pubblicamente
il loro credo con riti e liturgie pubbliche cui tutti possono partecipare;
5
6
BARRESI F., Sette religiose criminali. Dal satanismo ai culti distruttivi, Roma, EdUp editore, 2000.
D’ARCADIA A., Nuove religioni, culti emergenti, sette, De Vecchi, Milano, 1991.
- 176 -
- Culti emergenti. tutte quelle organizzazioni a cui capo è posto un leader carismatico
o un capo spirituale e intorno al quale ruota l’attività del gruppo.
Nella suddivisione dei culti e delle sette basata sul fine perseguito all’interno delle
varie Chiese, notiamo come, oltre a culti che effettivamente si prefiggono scopi nobiliari
e/o puri, vi siano anche sette particolarmente criminose:
- Gruppi di purificazione. Tutte quelle sette che mirano alla purificazione degli adepti
e alla loro reintegrazione con il Divino. Rientrano in questa categoria tutti i culti
che propugnano la fratellanza cosmica, l’amicizia e l’amore universale;
- Gruppi di trasgressione. Tutte quelle sette che inneggiano alla centralità
dell’individuo uomo rispetto all’immanente. Sono culti di tipo egotico-centrico, i
quali mirano ad accrescere le potenzialità psico-fisiche dell’uomo inteso come
essere biologico, attraverso rituali a base di sesso e sostanze stupefacenti;
- Gruppi di illuminazione. Si parla delle sette guidate da un leader carismatico, che si
impone agli adepti col proprio carisma diventandone guida spirituale e materiale
in qualità di illuminato. Le finalità di questi gruppi sono quelle di forgiarsi nello
spirito grazie all’illuminato e di assimilare la sua verità assoluta;
- Gruppi di potere. Tutte quelle sette e organizzazioni che si prefiggono lo scopo di
indottrinare gli adepti a fini destabilizzatori, per dar vita così ad un nuovo tipo di
società; altre volte l’unico scopo è quello di perseguire un potere occulto di tipo
principalmente politico e non solo quindi economico.
I.3
Comportamenti criminali degli appartenenti alle sette
La natura religiosa delle sette non rappresenta di per sé un fattore criminogeno.
L’interesse della criminologia si incentra sui comportamenti illegali posti in essere dai
soggetti coinvolti; tali azioni possono corrispondere a diversi reati a secondo della natura
della setta. Il criminologo si interessa ai fattori culturali e antropologici dei nuovi movimenti
religiosi solo nella misura in cui questi rappresentino l’ambito in cui si sviluppa il crimine.
Anche la sudditanza degli adepti ha valore criminologico dove si manifesta l’illegalità, come
nel caso del santone che si arricchisce grazie alla sottomissione psichica della vittima.
- 177 -
A seconda del tipo di setta si evidenzia un interesse concreto del capo carismatico o
del gruppo comandante 7:
- acquisizione di ricchezze attraverso le quote di adesione degli adepti o, in alcuni
casi, attraverso l’appropriazione di tutto il patrimonio degli adepti;
- acquisizione di ricchezze attraverso la vendita agli adepti di materiale
bibliografico e rituale e l’organizzazione di corsi e seminari;
- soddisfazione di desideri sessuali e perversioni;
- acquisizione di vantaggi provenienti dalle singole attività professionali degli adepti;
- acquisizione di informazioni sensibili in campo industriale, finanziario-mobiliare e
politico-istituzionale da parte degli adepti che ricoprono incarichi professionali e
istituzionali elevati. Tali informazioni possono essere in seguito utilizzate dalla
setta per speculazioni, ricatti, ecc.
Nell’ambito di alcuni gruppi pseudo-religiosi, specie nei culti distruttivi, sono
configurabili sostanzialmente due categorie di crimini: i crimini commessi ai danni degli
adepti e i crimini commessi dagli adepti , ai danni di altri adepti o di soggetti esterni alla
setta, sotto influenza del gruppo a cui appartengono 8.
Nella prima categoria rientrano le azioni illegali eseguite dai leader carismatici ai
danni degli adepti, i quali subiscono più o meno consapevolmente tali azioni.
Questi crimini si riferiscono normalmente a:
- minacce;
7
8
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo, Satanisti e anti-satanisti dal Seicento ai nostri giorni, Mondatori,
Milano, 2002; STRANO M., Manuale di criminologia clinica, editore SEE Firenze, 2003; GATTO TROCCHI
C., Sette Sataniche e Occultismo, Newton&Compton Editori, Roma, 2005; INTROVIGNE M., I satanisti.
Storia, riti e miti del satanismo, SugarCo, Milano, 2010; MONTI D., FIORI M., MICOLI A., L’abisso del sé.
Satanismo e sette sataniche, Giuffrè Editore, Milano, 2011, p. 312.
MONTI D., FIORI M., MICOLI A., L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, cit.
- 178 -
- estorsioni, truffe e frodi;
- lesioni (procurate nel corso di rituali);
- sfruttamento (del lavoro e della prostituzione);
- violenze fisiche di vario tipo;
- spaccio di stupefacenti;
- sequestri di persona;
- istigazione al suicidio;
- abusi sessuali;
- pedofilia;
- omicidi.
Alla seconda categoria sono invece riconducibili quelle azioni illegali eseguite da
adepti di sette, ai danni di altri adepti o di soggetti esterni, in un contesto di alterazione
della coscienza. Questi crimini sono rappresentati da:
- reati familiari (es. mancato sostentamento, abbandono, ecc.);
- violenze e lesioni ad altri adepti nel corso di rituali;
- profanazione di cimiteri;
- danneggiamenti(chiese e altri locali);
- detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti;
- maltrattamento di animali;
- furti (es. ostie e altri oggetti nelle chiese);
- furto di informazioni;
- concorso in truffe e frodi;
- abusi sessuali e pedofilia.
Ogni tipo di setta presenta in genere dei reati ricorrenti 9:
- sette transnazionali. Spoliazione economica degli adepti, acquisizione di
informazioni, truffe ecc.;
- sette sataniche. minacce, profanazione di cimiteri, maltrattamento di animali, lesioni,
detenzione e spaccio di stupefacenti, violenza sessuale, pedofilia ecc.;
- psicosette. truffe e esercizio abusivo della professione di medico/psicologo.
9
BARRESI Francesco, Aspetti Criminologici ed Investigativi del Satanismo Criminale, in MANUALE DI
CRIMINOLOGIA CLINICA a cura di STRANO Marco, Firenze, SEE, 2003; MONTI D., FIORI M., MICOLI
A., L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, cit; RUSSO Fabrizio, Elementi di criminologia. Il criminal
profiling per l’investigazione dei crimini rituali o dell’occulto, Editore Celid, 2012.
- 179 -
I.4
Aspetti tipizzanti dell’adesione al culto
Le radici della crescita delle nuove sette religiose è da rinvenire nella moltitudine di
religioni, nel loro avvicendamento, nella loro evoluzione, decadimento e rafforzamento
nel secoli 10. La religione si può interpretare come la necessità dell’uomo di trovare forza e
salvezza nei momenti di crisi.
Petersen 11 identifica quali fattori di adesione a un culto:
Diversamente Marco Strano 12 elenca alcune variabili sociali e psicologiche
significative nell’avvicinamento da parte di un soggetto alle organizzazioni religiose.
Variabili sociali:
10
11
12
DEL RE Michele C., Le Nuove Sette Religiose, Gremese Editore, 1997.
LEWIS J. R., PETERSEN J. A., The Enciclopedic source book of Satanism, Prometeus Book 2006;
PETERSEN J., Modern Satanism, dark doctrines and black flames, Oxford University press.
STRANO M., Criminologia, Sette Sataniche e Controllo della Mente, in MANUALE DI CRIMINOLOGIA
CLINICA, Firenze, SEE, 2003.
Marco Strano è un funzionario della Polizia di Stato e dirigente nazionale UGL Polizia di Stato
(responsabile ricerca scientifica e formazione). Dal 2006 al 2012 è stato il responsabile dell’area
Criminologia e Criminal Profiling del Centro di Neurologia e Psicologia Medica della Polizia, dal 2013
presta invece servizio presso il Comando interregionale della Polizia di Stato che coordina l’Italia
centrale, ove sviluppa un progetto sull’Autopsia Psicologica. Strano sta sviluppando dei software di
supporto al criminal profiling (in caso di omicidio con autore ignoto) e alla diagnosi di abuso sui minori.
Dal 2004 è l’ideatore e coordinatore di un gruppo di volontari che offrono assistenza psicologica e
legale gratuita a coloro che sono entrati in una setta o sono caduti vittima di maghi e guaritori.
- 180 -
- processo di secolarizzazione della Chiesa cattolica cui segue l’apertura per
movimenti religiosi alternativi;
- diffusione di ideologie ecologiste e antitecnologiche nella società e conseguente
acquisizione di tali ideali da parte di sette di varia estrazione, principalmente di
matrice new age;
- progressivo slittamento culturale dal collettivismo all’individualismo, dovuto alla
crisi delle grandi ideologie di matrice socialista. Tale fenomeno porta una
maggiore richiesta di culti e ideali riferiti alla sfera intima, emotiva e psicologica
dell’individuo;
- disagio generalizzato dovuto all’impatto aggressivo del progresso, che a volte si
inserisce difficilmente nella sfera antropologica degli individui, cui consegue la
nascita di simpatie nei confronti di poteri magici e occulti che consentano di
governare la sovrastimolazione, la frenesia sociale e la incertezza generalizzata per
il futuro;
- diffusa ricerca di esclusività in antagonismo schizofrenico alla ricerca di
standardizzazione e conformità.
Variabili psicologiche:
- antagonismo alla frustrazione di inadeguatezza sociale tramite l’appartenenza ad
un gruppo (la setta) che genera subdolamente il convincimento negli adepti stessi
di essere importanti (solo) all’interno della setta stessa;
- carisma dei capi e conseguente richiesta dello stesso da parte dei soggetti insicuri;
- riduzione dell’ansia (es. della morte) attraverso il credo di esistenze ultraterrene,
immortalità, ecc.;
- aumento dell’autostima a seguito dell’apprendimento di tecniche magiche che
permettono di incidere sugli eventi e sull’ ambiente circostante;
- soddisfazione di bisogni di dipendenza e sottomissione da parte di soggetti con
particolari profili di personalità;
- opportunità di relazioni interpersonali (anche sessuali) per soggetti con particolari
difficoltà relazionali;
- solitudine e disgregazione familiare;
- particolare sensibilità alle tecniche di suggestione e di condizionamento operante che
il leader carismatico sfrutta con il rinforzo sistematico di comportamenti a lui utili.
- 181 -
Quello che si evince è che l’adesione risponde alle esigenze e ai bisogni di ciascun
affiliato e che questa risulta subordinata alle seguenti tappe:
- Tensioni intrafamiliari.
- Ipotesi di conversione.
- Tecniche di manipolazione e persuasione.
- Riduzione in istituzione totale.
- Autoritarismo totalitario.
Tensioni intrafamiliari. La prima agenzia sociale è sempre stata rappresentata dalla
famiglia; ogni genere di disagio al suo interno può portare all’allontanamento in seguito ad
una condotta sociale conflittuale. Le dinamiche conflittuali intrafamiliari possono portare
ad un affrancamento dal nucleo familiare e la ricerca quindi di conforto in un altro
gruppo, dove spesso non si è tutti pari. La setta rappresenta in questo caso per l’adepto la
famiglia perduta e sostituita. L’affetto viene recuperato in un clima dove appaiono non
esserci problemi e dove vige una finta “quiete affettiva”.
Ipotesi di conversione. Consiste nell’opportunità per l’adepto di mutare le proprie
convinzioni morali, ideologiche e/o religiose esistenti prima del distaccamento dalla
famiglia, per poter così aderire alla setta.
Tecniche di manipolazione e persuasione. Si tratta di quel complesso di tecniche adoperate
dalle organizzazioni settarie volte a destrutturare la volontà, le conoscenze e le
convinzioni ancora vive nell’adepto prima che abbandoni in via definitiva il contesto
socio-ambientale di origine.
Riduzione in istituzione totale. Si sostanzia nell’allontanamento definitivo dalla società e
nell’isolamento dell’adepto, con la conseguente riduzione nella istituzione sociale della setta.
Autoritarismo totalitario. Consiste nella modalità tramite la quale la setta costringe
l’adepto a rimanere al suo interno. L’utilizzo della coercizione porta la recluta
all’impossibilità di abbandonare la nuova famiglia.
I.5
Le tecniche di reclutamento
La manipolazione consiste nella riprogrammazione emotivo-culturale con successiva
destrutturazione percettivo ambientale dell’adepto 13.
13
SCHEIN Edgar H., SCHNEIER Inge, BARKER Curtis H., Coercive Persuasion, Norton, New York 1961;
- 182 -
Questo processo passa attraverso più fasi talvolta sovrapponibili o sconfinanti
secondo le situazioni. In quest’ambito possiamo distinguere cinque fasi principali 14:
1. Reclutamento.
2. Avviamento alla dottrina.
3. Radicamento nel gruppo.
4. Allontanamento dalla società e isolamento.
5. Rafforzamento della dottrina.
Prima fase: reclutamento. Il condizionamento psicologico inizia sin dal primo
approccio con le possibili “vittime”. Gli appartenenti a un culto costruiscono un rapporto
di fiducia forte ma non temono all’occorrenza di negare la propria teoria della salvezza; i
sospetti vengono infatti sviati spesso con una controinformazione non verificabile e
fittizia per quietare la pubblica opinione. Gli adepti vengono immersi in un bagno di
fiducia e solidarietà, anche la loro fiducia in se stessi cresce artificiosamente. Il sentimento
di salvezza si completa con le illusorie promesse portando la vittima a sentirsi liberata da
tutte le paure, dai problemi, dalla solitudine.
Talvolta, catturate nel ciclone del gruppo, le vittime cadono in un vortice
d’emozioni che le porta al cosiddetto “flash emozionale”. Convinto di aver trovato il
senso della vita, l’adescato è pronto a partecipare ai rituali e a venire in possesso della
salvezza mistica, dell’illuminazione o della verità religiosa. L’artificiosa felicità interiore
rappresenta l’elemento cardine dell’effetto seducente dei gruppi; l’impressione è quella
della coesione, della solidarietà, della famiglia perfetta.
Nella prima fase ciò che conta è creare una discrasia tra la società, nella quale si
soffre, e il gruppo che si manifesta come perfetto. All’interno della setta tutti i problemi
appaiono risolti. Le reclute hanno bisogno di assistenti con i quali si aprono
all’indottrinamento verso la “salvezza”.
Vi sono inoltre i seguaci delle sette più abili, questi confidano alle vittime il loro
percorso spirituale o religioso illusoriamente meraviglioso e realizzato grazie al gruppo. Si
parla di conversione liberatoria, di un miracolo che li ha liberati da una vita di ignoranza e
di peccato e ha consentito loro di cominciare una nuova vita trovandone il senso reale.
14
HASSAN Steven, Mentalmente Liberi, Avverbi Edizioni, Roma, Giugno 2002;
THALER SINGER Margaret, Cults in Our Midst, Jossey-Bass; SanFrancisco, 2003.
MONZANI Marzo, Percorsi di criminologia, libreriauniversitaria.it, 2011.
- 183 -
Un’ulteriore strategia di reclutamento adottata dalle sette (es. I Bambini di Satana) è
detta flirty fishing. Questa tecnica consiste semplicemente nel reclutare nuovi adepti tramite
flirt amorosi messi in scena principalmente dalle adepte per adescare ragazzi; in tale
contesto sono stati rinvenuti addirittura rapporti che vengono stesi indicando il numero di
adescati in questa maniera. Ricordiamo che il sesso rappresenta un elemento
fondamentale del fenomeno setta.
Sicuramente invitante è il fatto che la salvezza possa essere raggiunta facilmente,
semplicemente aprendo il proprio cuore e pregando la divinità di entrarvi per l’eternità; la
conversione al dio è il fattore determinante. Se già in molti hanno avuto la possibilità di
vivere il prodigio della salvezza, sicuramente deve esserci qualcosa di davvero divino, che
deve essere vissuto a tutti i costi. Questo semplice messaggio incita la recluta alla
conversione. Quest’ultima avviene con un rituale svolto in gruppo, durante una preghiera
o una predica, proprio quando la forza del gruppo incita l’adepto in un contesto di
suggestione dove ruolo fondamentale è anche quello svolto dal predicatore.
Ruolo importante viene anche interpretato dalla musica e dal pianto, che spesso le
donne mettono in scena creando un contesto apocalittico e drammatico. Si sviluppa un
piacere catartico in uno stato quasi di trance, dove ogni istante è vissuto con la profonda
gioia trasmessa della nuova famiglia 15. Risulta chiaro come la promessa di una vita felice,
spirituale e religiosa è uno degli elementi di forza dell’indottrinamento.
I.6
L’avviamento alla dottrina della salvezza satanica
Una volta adescate, le reclute passano per la seconda fase: l’introduzione alla
dottrina della salvezza 16. L’euforia di arrivare alla verità, al senso della vita e di dio, le
spinge a effettuare i primi studi sui loro testi cominciando così la loro evoluzione religiosa
o spirituale che diviene sempre più forte e ambiziosa. Corsi, libri, seminari, file audiovisivi rappresentano l’approccio cardine dell’avviamento alla dottrina. Così gli adepti
apprendono i pensieri puri del loro leader, dei capi del gruppo o del loro salvatore.
In un subdolo meccanismo di manipolazione a catena gli adepti vengono manipolati
dai più anziani, a loro volta già influenzati, in una catena che rende il leader carismatico in
15
16
BARRESI F., Sette religiose criminali. Dal satanismo ai culti distruttivi, Roma, EdUp editore, 2000.
MONZANI Marzo, Percorsi di criminologia, cit.
- 184 -
grado di avere tutti sotto il proprio controllo. Le reclute perdono di consapevolezza
critica e vivono in un mondo di confusione emotiva, che porta fino alla più completa
assenza di oggettività sulla realtà esterna e sulle surreali promesse della setta.
L’autosuggestione, cioè la volontà di salvezza a tutti i costi, elimina ogni
consapevolezza critica. Questo elemento di autodistruzione diviene un forte strumento di
indottrinamento.
«È così perché io voglio così e perché così deve essere. Non mi lascio strappare la
nuova felicità dai famigerati sputasentenze e dai pessimisti. I miei familiari non mi hanno
mai capito bene. Qui, invece, tutti mi capiscono e mi vogliono bene, perché mi fanno fare
quello che voglio e mi proteggono 17».
Tale inciso rappresenta la realtà fittizia che si viene a creare. Una realtà che estranea
completamente la famiglia, la società e il contesto socio-culturale per abbracciare
finalmente il cambiamento.
Somministrazione dell’ideologia. L’avviamento alla dottrina viene vissuto come una
fase intensa e profonda della propria vita che porta alla scoperta del senso della propria
esistenza e dell’universo. Il mistero viene però svelato poco a poco, proprio per non
compromettere il sistema di sudditanza psicologica e di distaccamento dalla realtà
dell’adepto. I neofiti non devono rendersi conto dell’assurdità della dottrina e dei suoi
controsensi altrimenti, a lavaggio del cervello non ancora compiuto, potrebbero
distaccarsi dal gruppo e dai suoi rituali.
È essenziale in un primo momento vivere una fase di euforia emozionale di
salvezza, la quale si deve raggiungere però con duro lavoro e sacrificio. Piccoli attimi di
euforia portano come una droga alla necessità di spingersi sempre oltre, di averne sempre
di più, diventa una vera e propria dipendenza.
Le vittime non devono mai raggiungere l’obiettivo dei loro desideri ma sentirsi
comunque sempre a un passo dalla fatidica salvezza. Raggiungere realmente la salvezza
porterebbe alla perdita di significato dei riti e dei culti praticati come viatico tra
quest’ultima e la realtà. L’adepto prova quindi delusioni dovute al limite spostato sempre
avanti per il raggiungimento della salvezza. Si introduce così il sistema anaffettivo della
“strategia del controllo delle delusioni” che va in contrapposizione col sistema iniziale di
affetto e solidarietà.
17
BARRESI F., Sette religiose criminali. Dal satanismo ai culti distruttivi, Roma, EdUp editore, 2000.
- 185 -
Siamo in una seconda fase dell’indottrinamento; obiettivo è quello di far perdere
nuovamente la fiducia in se stesso che l’adepto aveva conquistato. Resi nuovamente
deboli e insicuri le reclute sono portate ad un impegno e un assoggettamento al gruppo
ancora più intenso, partecipando sempre con maggior frequenza ai rituali e
sottomettendosi ai più anziani.
I membri quadro più anziani risollevano il morale dei membri quanto basta per
convincerli che è necessario proseguire il duro cammino iniziato per guadagnarsi la
salvezza. In tal maniera, gli adepti arrivano a ringraziare il leader per avergli dato la forza
di continuare il proprio percorso salvifico. Si sviluppa così la sindrome di Stoccolma per
cui la vittima sviluppa sentimenti di affetto nei confronti del carnefice, il quale ha
esercitato violenza fisica e psichica nei suoi confronti per un lungo periodo di tempo.
Indottrinamento e nuova identità. Nei gruppi dediti al proselitismo avviene una vera
e propria sostituzione dell’identità dei neo adepti già nell’introduzione alla dottrina. Le
esperienze fin a quel momento vissute vengono cancellate per conquistare una nuova
percezione di “Io” adattata alle esigenze e ai bisogni della setta. La vita passata e l’identità
di setta si contrappongono in maniera che la nuova vita escluda per sempre la passata.
Questo contrasto porta spesso a comportamenti imprevedibili e contraddittori, poiché alla
propria personalità se ne sovrappone una nuova che varia a seconda delle sollecitazioni
del gruppo.
Consapevole della contrapposizione delle due identità, la vittima è costretta a
scegliere una delle due possibilità per evitare disturbi psicotici. Quasi sempre si sceglie
l’identità di setta proprio per il desiderio di salvezza e per la pressione psicologica
esercitata dal gruppo. Si crea tuttavia nell’adepto un dissidio interno inteso come conflitto
di coscienza dovuto ai dubbi e alle delusioni provate durante il percorso di salvezza. Ai
novizi mancano i mezzi per capire la reale volontà della setta, ciò è dovuto alla
manipolazione che influenza la sfera sentimentale ed abbatte la capacità critica e di
giudizio. I nuovi adepti devono quindi adattarsi al gruppo ed aver fiducia nella correttezza
della propria nuova vita. Proprio in questo stato di confusione i novizi perdono l’identità
reale e sposano quasi inconsapevolmente l’identità settaria calibrata sulle esigenze del
gruppo.
- 186 -
I.7
Il radicamento nel gruppo della setta
Assumendo l’identità di setta, i nuovi membri, anche dopo poche settimane,
vengono spinti a tagliare ogni legame con la vita precedente e a ricominciare tutto nella
nuova comunità.
In questa terza fase di radicamento nel gruppo, sono spesso i novizi stessi che in
uno stato di euforia chiedono di far parte a tempo pieno del gruppo, in questi casi il
gruppo con tendenza al proselitismo gioca partita facile.
Diversamente il processo di radicamento avverrà poco a poco trovando i contrasti
della vittima e della famiglia. I membri su cui il cambiamento non avviene rapidamente
vengono impiegati nella setta come membri associati o simpatizzanti.
Il livello di coinvolgimento dipende in gran parte dalla personalità della vittima, che
potrebbe essere restia a modificare totalmente il proprio modo di essere e di relazionarsi
con la realtà circostante.
L’integrazione nel gruppo, in molti movimenti che praticano tecniche di
proselitismo, è parallela all’introduzione alla dottrina della salvezza; numerose sette
totalitarie tuttavia dividono le due fasi, essendo il terzo grado la fase più delicata
nell’indottrinamento.
Questo momento è cruciale poiché la via della salvezza è faticosa, con rituali
estenuanti e un lavoro per il gruppo continuo e pressante. L’adepto, entrato in un mondo
con promesse di serenità e nessuna problematicità, deve essere seguito per evitare che si
perda nelle difficoltà, visto il sacrificio e le privazioni cui è sottoposto.
La fase di radicamento nel gruppo rappresenta la definitiva rottura con la semplicità
e la serenità della promessa iniziale.
La pressione esercitata dalla setta è graduale e ascendente, fino a scaturire in
punizioni psichiche e fisiche. Gli “incerti” subiscono pressioni di tipo morale, venendo
infatti puniti di fronte alla collettività con lo scopo di umiliarli e talvolta di allontanarli dal
gruppo. Quest’ultima situazione si verifica nei casi in cui vengono minati gli scopi del
gruppo, ciò comporta “la revoca dell’amore incondizionato universale” e “la radiazione
dai privilegi divini”.
Nell’innalzamento del livello di sottomissione i membri-quadro anziani pongono
attenzione a non esagerare senza gradualità.
- 187 -
Ai nuovi membri viene fatto credere di non essere stati all’altezza degli obiettivi
prefissati e di non poter per questo conquistare la tanto agognata salvezza.
Sulla base di questo schema perverso gli adepti si sottomettono al gruppo e si
adeguano alle sue richieste convinti di poter compensare la loro inadeguatezza con la
dedizione e la perseveranza nel compiere i propri doveri nei confronti della setta.
Sicurezza come compensazione della frustrazione. Per compensare le frustrazioni
vissute durante il percorso le sette offrono sicurezza emozionale. Gli adepti non devono
più avere preoccupazioni e responsabilità in un contesto quindi di aproblematicità. L’idea
di far parte di un gruppo di eletti che mira a portare l’umanità alla salvezza rende gli adepti
fieri, determinati e convinti della nuova identità settaria assunta. Nel gruppo infatti può
rimanere solo chi accetta la nuova coscienza collettiva di gruppo e sposato la dottrina,
non potendo più comprendere le contraddizioni del culto. In questa logica la vittima non
è consapevole della sua condizione e del livello di sudditanza raggiunto 18. La paura del
cambiamento viene smorzata dall’annunciata guarigione spirituale che si preannuncia
essere lunga e non priva di sofferenze. La coscienza della vita precedente viene fatta
passare come una forza autodistruttiva da contrastare a tutti i costi. L’Io deve essere
abbandonato poiché è ancora legato all’egoismo e ai desideri animali e primitivi; solo cosi
sarà possibile conoscere realmente se stessi. In questo processo di metamorfosi è
fondamentale il sostegno del gruppo che aiuta gli adepti nel grande passo verso la verità.
In tale fase alla setta non interessa ancora l’efficienza delle nuove reclute, ciò che conta è
ancora promuovere l’identificazione con il gruppo e le sue idee, perché ciò avvenga è
necessario che i novizi si fidino ciecamente dei membri esperti e seguano le direttive del
leader. Qualora i nuovi membri siano pronti per essere forza-lavoro cominceranno ad
organizzare manifestazioni, compiranno attività propagandistiche, si occuperanno della
cura del centro. Tutto ciò comporta l’uscita dal ruolo di osservatore passivo per entrare
attivamente nel gruppo 19. Missione e identificazione. Sono numerosi i gruppi che
coinvolgono sin dall’inizio i nuovi seguaci in attività propagandistiche, vista l’efficacia
dell’indottrinamento in coloro che si dedicano ad attività missionarie.
18
19
MONZANI M., Manuale di psicologia giuridica. Elementi di psicologia criminale e vittimologia,
libreriauniversitaria.it 2011.
MONZANI M, Percorsi di criminologia, cit.
- 188 -
Identificandosi con il gruppo durante i confronti non si difende solo la setta di
appartenenza ma anche se stessi, avendo fatto proprio il messaggio e la teoria della
salvezza.
La difesa dei valori del gruppo è forte e convinta anche nei confronti di singoli
aspetti. La dedizione e l’impegno è rafforzato dalla convinzione di operare per il bene
dell’umanità oltre che per la propria purificazione e illuminazione. L’allontanamento
dall’ambiente familiare e sociale originario rappresenta spesso il rito di iniziazione che
rappresenta la prova definitiva dell’efficacia dell’indottrinamento.
In questa contesto la manipolazione psicologica comincia a fruttare, visto che
proprio ora i novizi sperimentano una regressione emozionale che li deprime fortemente.
Repressione di modelli amicali. Nei gruppi totalitari nascono poche amicizie poiché
queste rappresentano un rischio per la setta. I veri amici potrebbero infatti aprirsi l’un l'altro
e manifestare i propri dubbi nel confronti del gruppo e della dottrina della salvezza. Il
rischio che durante il confronto due o più membri si accorgano delle contraddizioni e delle
assurdità delle idee del gruppo viene evitato a tutti i costi dai membri quadro, i quali
appunto evitano che si creino legami forti, facendo in modo che si rimanga in un apparente
clima di solidarietà e condivisione. Infatti anche un solo rapporto amicale potrebbe
contagiare tutto il resto del gruppo, aprendogli gli occhi circa la falsità della dottrina.
In questa fase il controllo del comportamento rappresenta quindi un forte mezzo di
indottrinamento. Gli adepti vengono sottoposti a ritmi di lavoro esasperati, in maniera
tale da non poter avere il tempo per riflettere autonomamente e rincontrare amici o
familiari. Le abitudini di vita vengono modificate e tutte le energie spese per raggiungere
gli obiettivi della setta. L’obbedienza più cieca viene ottenuta con un sistema di premipunizioni e la volontà del singolo viene annichilita all’inverosimile. Gli adepti diventano
strumenti nelle mani del gruppo, incapaci di reagire e obiettare alle assurde logiche che per
loro diventano ormai la normalità. L’obiettivo di radicamento del gruppo è soddisfatto nel
momento in cui i novizi partecipano a rituali che prima trovavano insensati o svolgono
lavori faticosi che non avrebbero mai svolto 20. Gli adepti non si ribellano a questo schema
poiché diventano schiavi dei membri quadri più anziani e soprattutto del leader; il loro
livello di condizionamento li porta a cogliere un significato mistico o spirituale alle
assurde pratiche del gruppo.
20
OFFEDDU L., SANSA L., I ragazzi di Satana. La setta delle “Bestie”: alla scoperta di un’Italia sconosciuta,
Rizzoli, 2005.
- 189 -
Se la vittima si spinge fino a donarsi totalmente al gruppo allora la resistenza è vinta
definitivamente e il distacco dalla realtà è completato 21.
I.8
L’allontanamento dalla società e l’isolamento dell’adepto
La quarta fase di allontanamento dalla società e isolamento risulta essere una vera e
propria strategia solo dopo il radicamento nel gruppo, nonostante già nella seconda e
terza fase dell’indottrinamento si tenti spesso di allontanare i novizi dal contesto sociale e
familiare di riferimento. Per i membri che non partecipano alla setta a tempo pieno,
infatti, il radicamento nel gruppo e l’isolamento non combaciano ma avvengono a fasi
separate. I membri quadri anziani pianificano l’allontanamento e l’isolamento calibrandoli
sul carattere dell’adepto e sulla sua situazione familiare e professionale.
L’isolamento ha il fondamentale scopo di evitare influenze esterne che ben
potrebbero aprire gli occhi verso l’assurdità della setta, oltre a permettere di sfruttare i
nuovi adepti a tempo pieno, non avendo essi più altri interessi se non la setta stessa.
In questa fase tutte le esperienze di vita pregresse vengono svalutate e fatte passare
come prive di significato, futili e negative. Tutti i bei ricordi non sono altro che il frutto di
una vita egoistica e malvagia portatrice di un destino nefasto per l’umanità. Le vere
esperienze di valore possono essere vissute solo nel gruppo. Il più forte e al contempo
semplice mezzo di isolamento è il lavoro continuo e pressante per il gruppo; queste
attività lavorative devono quindi cominciare il prima possibile. La malignità della setta si
manifesta fortemente quando si tratta di allontanare l’adepto dal proprio partner. Anche i
rapporti più stabili sono destinati a spezzarsi in un arco di tempo molto ristretto poiché,
se l’adepto non riesce ad attirare il compagno nel movimento settario, non può comunque
permettere che il sentimento di unione mini la solidità del gruppo.
Manipolazione linguistica e controllo della coscienza. Anche il linguaggio
rappresenta uno strumento di indottrinamento, andando ad influire sulla coscienza
umana. La dottrina della salvezza stessa viene elaborata con un linguaggio apposito,
adatto per manipolare ed ingannare le vittime coniando addirittura dei termini tecnici
propri (es. Scientology).
21
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1994.
- 190 -
La creazione di una lingua artificiale con termini dotati di duplici interpretazioni ed
abilmente vaghi crea un sistema linguistico confusionale dove è semplice confondere gli
inganni, le contraddizioni e le malignità celate. La capacità di riflettere criticamente si
svilisce completamente, non resta quindi altro che concedersi completamente alla dottrina
della salvezza con le sue spiegazioni vaghe e incomprensibili.
I.9
Il rafforzamento della dottrina settaria nella vittima
A seguito del radicamento nel gruppo e dell’allontanamento e isolamento dalla
società, l’indottrinamento prosegue fortemente in fasi cicliche cui devono sottoporsi
anche i membri quadro anziani.
Durante la quinta fase del rafforzamento della dottrina si affinano i meccanismi di
dipendenza e sottomissione. Proprio attraverso il lavoro e la costante ripetizione dei
rituali si rafforza l’identità di setta e si impedisce il riaffiorare della personalità originaria.
Come già detto le aspettative non ancora soddisfatte alimentano dubbi e dissapore negli
adepti; in aggiunta a ciò interviene l’inevitabile voglia di distensione dovuta allo
sfinimento psico-fisico. L’unico rimedio è il costante e ciclico indottrinamento per evitare
che i membri scoprano la realtà sul gruppo perverso di cui fanno parte, facendo così
perdere consenso al leader. Il distacco dalla realtà viene quindi alimentato con un lavoro
manuale continuo e frenetico che stressa l’adepto fino a causare nei soggetti più deboli
oligofrenie e malattie psicosomatiche.
L’identità originaria. La coscienza dell’adepto non riesce spesso ad essere sradicata
del tutto nonostante il pressante indottrinamento. La nuova identità non fa altro che
sovrapporsi all’originaria e per evitare che quest’ultima venga ripristinata è necessaria una
costante influenza del gruppo. Viene attaccata la psicologia del profondo, la mentalità, il
carattere, l’impronta socio-culturale e l’educazione della vittima che vive uno stato di
perenne contrasto con la propria coscienza. I vecchi ricordi riaffiorano sempre, i legami,
le amicizie, gli affetti persi rimangono nelle proprie memorie e, se pur affievoliti e
minimizzati, potrebbero tuttavia avere la meglio nei momenti di difficoltà nella vita del
gruppo. L’indottrinamento raggiunge a pieno i suoi frutti nel momenti in cui tutti i ricordi
della vita passata vengono riportati alla memoria con vergogna e disprezzo.
- 191 -
Gli adepti che sono arrivati a svalutare completamente il proprio Io, per cedere il
passo all’identità di setta, non possono più reinserirsi nella normale vita passata nella
società di riferimento. In questo caso anche rincontrare i genitori non sortisce alcun
effetto poiché questi vengono ormai visti come esseri immorali, facenti parte della società
malata che la setta combatte.
Coloro i quali riescono ad uscire dal tunnel del gruppo, arriveranno poco a poco a
far riaffiorare i pensieri positivi riferiti alla famiglia e alla società; purtroppo però il
contrasto tra l’identità di setta e l’io porta spesso a problemi psichici rilevanti e non
sempre risolvibili. Talvolta la pressione esercitata porta a cadute di morale che provocano
una notevole perdita di stimoli nei confronti della setta; in questi casi gli anziani
aumentano le richieste e il controllo esercitato, portando l’adepto a un tale livello di
disperazione che può sfociare in atteggiamenti violenti anche autodistruttivi.
Il controllo dell’informazione. Per tagliare completamente il legame del novizio con
l’ambiente esterno originario è necessario il controllo dell’informazione che porta spesso
le sette a privare la vittima di ogni possibilità di fruizione dei mass media.
I membri in questo modo non possono far altro che fidarsi di quanto trasmessogli
dagli anziani, limitando di conseguenza la propria capacità critica e la coscienza stessa. Il
gruppo arriva a controllare chiamate, messaggi e lettere in modo tale da rendere
impermeabile l’isolamento, non essendo possibile inviare segnali d’aiuto all’esterno o
ricevere proposte di soccorso all’interno.
I.10 I soggetti considerati “a rischio setta”
La situazione classica entro cui si delinea la vita prima dell’adesione al culto si
caratterizza, secondo alcuni psichiatri, nella presenza di una famiglia eccessivamente
strutturata e nella quale le tensioni si sfogano al suo interno. La setta è sinonimo di
soluzione al contrasto tra la società e la famiglia eccessivamente chiusa. B. Etemad 22
descrive coloro che decidono di far parte di una setta come soggetti prevalentemente
22
ETEMAD B., Extrication from cultism, in CURR. PSYCHIATR. THER.,1978.
- 192 -
depressi, inadeguati, antisociali e al margine tra normalità e follia (borderline); S. V. Levine e
N. E. Salter 23 li hanno caratterizzati come solitari respinti e tristi.
Secondo J. G. Clark 24, il sessanta per cento dei membri ha sofferto di disturbi
cronici psichici per molti anni, per poi essere coinvolti in un culto carismatico; il quaranta
per cento dei cultisti sarebbe costituito da persone di normale maturità. Si ricorda
comunque che non è semplice individuare le eventuali situazioni psicopatologiche, dal
momento in cui alle interviste rispondono solamente i volontari. Una descrizione
particolarmente completa riguardo la personalità degli adepti prima della “conversione” al
culto è stata data da M.H. Spero dopo un’indagine su sessantacinque soggetti; egli utilizzò
riferimenti psicodinamici e un’ampia batteria di test: W.A.I.S. 25, Bender-Gestalt Test 26,
Draw-A-Man Test 27, T.A.T. 28, proiettivo Rorscharch 29.
Dall’analisi emergono due fondamentali modelli personologici:
- il primo presenta processi cognitivi rigidi con una forte inclinazione per la
stereotipia;
- il secondo si distingue invece per le negazioni maniacali di dinamiche depressive,
connotate da differenziazione psicologica del tutto residuale, risposte
emotivamente labili e scarsamente controllate, caratterizzato infine da relazioni
oggettuali irrealistiche e idealizzate.
23
24
25
26
27
28
29
LEVINE S. V., SALTER N. E., Youth and contemporary religious movements: psychological findings, in LAN
PSYCHIATR ASSOC. J., 1976.
CLARK J. G., Cults in JAMA, 1979.
Wechsler Adult Intelligence Scale: sviluppata dallo psicologo Wechsler D. per lo studio dell’intelligenza
negli adulti tra i sedici e i settantaquattro anni.
Test visuo-motorio basato sui principi della psicologia della forma. È costituito da nove disegni
geometrici che il soggetto deve riprodurre mentalmente o graficamente, dando così l’opportunità di
valutare lo sviluppo visuo-motorio, eventuali lesioni cerebrali o particolari disordini mentali.
Chiamato anche di Goodenough F. Si sostanzia nell’esecuzione individuale o collettiva del disegno di
un uomo da parte dei soggetti. La valutazione si basa sul numero di dettagli espressi, sulla loro
coerenza e organizzazione spaziale. Il disegno della figura umana può essere utilizzato come test
proiettivo, cioè un test non rigidamente strutturato nel quale il soggetto, rispondendo liberamente, può
rivelare aspetti inconsci della sua personalità; tale disegno infatti risulta essere fortemente soggetto agli
influssi dell’affettività.
Thematic Apperception Test: rientra tra i test proiettivi ed è volto all’ individuazione dei temi fondamentali
che ricorrono nelle produzioni immaginative dell’individuo analizzato.
Dall’ideatore, il neuropsichiatria Rorscharch H. (1884-1922). Il metodo si fonda sull’interpretazione di
dieci tavole riproducenti macchie d’inchiostro simmetriche che raffigurano situazioni stimolo
parzialmente strutturate. Cinque tavole sono grigio-nere, due nere e rosse, tre policrome. La
classificazione delle risposte tiene in considerazione:
- il modo in cui la macchia viene percepita (il soggetto può interpretare l’insieme oppure i dettagli);
- i fattori determinanti l’interpretazione (forma delle macchie, colore, chiaroscuro, impressione di
movimento);
- il contenuto attribuito alle macchie (persone, animali, cose).
- 193 -
Entrambi i profili sono caratterizzati da:
- relazioni interpersonali molto dipendenti ed eterodirette;
- proiezione di elementi negativi e odiati di sé e degli altri precedentemente
introiettati;
- precoci esperienze orali intensamente ambivalenti o insoddisfacenti;
- aspetti narcisistici;
- un indebolimento di giudizio critico e delle facoltà di ragionamento;
- aspetti del senso di realtà moderatamente o gravemente indifferenziati 30;
- una tendenza, in alcuni soggetti, alla scissione dell’imago e dell’Io;
- in generale, l’utilizzazione di meccanismi di difesa, senso di realtà e relazioni
oggettuali fortemente preedipici.
Occorre sottolineare che il campione su cui si basa la ricerca di Spero era composto
da un gruppo di ex adepti di vari culti, i quali accettarono trattamenti di psicoterapia volti
al reinserimento negli ambienti di vita abituali. Inoltre gli elementi descritti fanno ritenere
che lo stile di dipendenza dei soggetti fosse già preesistente all’adesione al culto.
William Sims Bainbridge 31, offre una risposta a chi si domanda quali tipi di persone
possano essere così distaccate dalla società da poter essere reclutate nella setta satanica
Power o altre ancora:
- giovani provenienti da solide famiglie della classe medio alta toccati dalla
controcultura giovanile della fine degli anni Settanta, attratti da visioni di fuga
dalle inibizioni quotidiane che cercavano uno stile di vita superiore;
- studenti universitari parzialmente avviati a una carriera ma che non riuscivano a
progredire, spesso perché scoprivano di non gradire il campo da loro scelto e non
vedevano una strada veloce per raggiungere un’alternativa più gratificante;
- giovani che avevano semplicemente perso molti dei loro legami sociali, a causa di
un divorzio o per altre cause di disgregazione della famiglia, oppure
semplicemente perché erano andati girovagando in cerca di fortuna: molti erano
indeboliti nell’attaccamento sociale perché avevano appena completato un
trasferimento.
Nonostante alcuni soggetti potessero essere affetti da patologie di carattere psichico,
questo non rappresenta comunque per Power un elemento necessario.
30
31
Ad esempio nella distinzione tra sogno e memoria e tra passato e presente.
BAINBRIDGE W. S., Setta satanica, SugarCo Edizioni, Varese, 1994.
- 194 -
Il sociologo americano si affiliò alla setta satanica “Power” tra il 1967 e il 1971,
registrando e descrivendo tutta la vita e l’attività settaria.
Steven Hassan 32 sostiene come nonostante alcuni adepti siano affetti da patologie, la
maggior parte dei gruppi è formato da persone del tutto sane, capaci, idealiste e cresciute
in famiglie onorabili e con una sana educazione. Egli sostiene che la possibilità di fare
ingresso in una setta non dipende dal tipo di famiglia di appartenenza della potenziale
vittima bensì dal livello del reclutatore. È tuttavia necessario ricordare che questo pensiero
è influenzato da un’esperienza fondata soprattutto all’interno della setta di Moon; gruppo
molto ben strutturato e ramificato che ha bisogno di reclutare anche figure dirigenziali e
non solo semplici adepti.
Marc Galanter 33, effettuando studi sulla Chiesa dell’Unificazione, ha approfondito il
processo di affiliazione. Lo studioso ha potuto notare, grazie a questionari sulle
condizioni psichiche delle vittime, un forte disagio psichico degli adepti prima
dell’affiliazione che è andato migliorando dopo l’ingresso nella setta.
«Che cosa motiva le persone a entrare in un gruppo carismatico e a rimanervi,
trascurando spesso interessi personali? Per comprendere questo dobbiamo presupporre
un meccanismo che unisca il singolo al gruppo e che sia radicato alla fisiologia umana […]
al centro di questo processo sta il rapporto tra il modello di comportamento sociale e una
motivazione a base biologica, o pulsione istintiva, che io ho definito effetto sollievo.
Esso agisce così. Quando le persone si fanno coinvolgere in un gruppo carismatico
esiste un rapporto inverso tra i loro sentimenti di disturbo emozionale e il grado della loro
affiliazione a quel gruppo. La capacità di impegno individuale verso il gruppo è mediata
dal sollievo da disturbi nevrotici, un sollievo che provano con l’affiliazione e la costante
appartenenza; più si sentono legati meno angoscia hanno».
R.B. Simmonds 34 inoltre, con l’espressione “additive personality” (personalità
tossicodipendente), si riferisce al fatto che taluni soggetti vedono nella setta una droga
capace degli stessi, e anche maggiori, effetti di “sollievo” dei comuni stupefacenti.
32
33
34
HASSAN S., Mentalmente liberi: come uscire da una setta, Avverbi Edizioni, Roma, 1999.
GALANTER M., Culti. Psicologia delle sette contemporanee, introduzione di Ermanno PAVESI, SugarCo
Edizioni, 1993.
SIMMONDS R. B., Conversion or addiction: Consequences of joining a Jesus movement group, Am. J. Behav.
Sciences, 20, 909, 1977.
- 195 -
I.11 Festinger e la teoria della dissonanza cognitiva 35
La teoria che Leon Festinger formulò nel 1957 rappresenta un utile strumento di
comprensione delle logiche di mantenimento del consenso all’interno delle sette. Il
brillante psicologo sociale sostenne che quando gli individui prendono consapevolezza
dell’incoerenza tra i loro atteggiamenti, le loro convinzioni e i loro pensieri (“le
cognizioni”) subentra uno stato di tensione detto “dissonanza cognitiva”. Questa si
sviluppa spesso quando il comportamento si pone in conflitto con un atteggiamento
preesistente (ad esempio quando si fuma pur ritenendo che sia nocivo); l’incoerenza è di
per sé sufficiente a causare la dissonanza.
Secondo l’autore infatti la fatica di dover ristrutturare continuamente l’esperienza
indotta dalla percezione comporta nell’essere umano l’abitudine a crearsi dei punti fermi
(credenze e schemi di significato) che una volta appresi non vengono più messi in
discussione anche in mancanza di conferme.
Ogni incongruenza tra i molteplici settori della conoscenza, dei sentimenti e del
comportamento fa scaturire di conseguenza un sentimento interiore di disagio
(dissonanza cognitiva) che si cerca di diminuire ogni volta che ciò risulta possibile,
negando le nuove percezioni contrastanti con quelle apprese precedentemente.
La teoria di Festinger rende chiaro come la vittima, una volta nelle mani degli
adescatori e sotto la loro influenza, non si renda conto delle incongruenze lampanti tra la
dottrina del leader e la realtà.
La dissonanza cognitiva è d’aiuto al leader poiché rende difficile il riconsolidamento
delle passate credenze che si erano radicate nella vittima. Ad esempio, le sette millenariste,
35
FESTINGER L., Teoria della dissonanza cognitiva, Franco Angeli, Milano, 1973.
FESTINGER Leon (New York, 8 maggio 1919 - 11 febbraio 1989), è stato uno psicologo e sociologo
statunitense.
- 196 -
che proclamano la fine del mondo ad intervalli regolari, dovrebbero perdere i loro adepti
nel momento in cui avviene la constatazione razionale che la fine del mondo non si è
oggettivamente verificata nel momento previsto. Tuttavia la maggior parte degli adepti
accetta passivamente nuovi “step” di calendario e giustificazioni inverosimili, salvo
ovviamente nei marginali casi di suicidi collettivi.
Recentemente altri studiosi hanno tuttavia sostenuto che la connessione è ben più
complessa di quanto appaia nella teoria di Festinger, sottolineando come solo le
incoerenze importanti e di rilevanza personale possano stimolare la dissonanza. Si parla in
questi casi delle incoerenze dovute alle azioni che compromettono l’integrità morale o che
minacciano un positivo senso di sé.
Occorre inoltre ricordare che Festinger non si limitò a sostenere che le incoerenze
provocano disagio. Egli formulò infatti una nuova teoria per cui la motivazione a ridurre
gli effetti collaterali spiacevoli dell’incoerenza produce spesso una modificazione degli
atteggiamenti.
Le tensioni dovute alle incongruenze tra azioni e atteggiamenti importanti vengono
affievolite per mezzo di cambiamenti che apportiamo al nostro modo di pensare e non
solo al nostro comportamento.
I.12 L’allontanamento forzato dalla setta: deprogrammazione anti-setta
Alle sette si oppone ovviamente la società, visti i culti distruttivi, la vita antisociale e
il contrasto degli adepti con le famiglie, così come voluto dal gruppo. Proprio nei primi
anni settanta si svilupparono in California i primi anti-cults 36 (movimenti antisetta), il cui
obiettivo era quello di salvare le vittime riportandole, anche coattivamente, nelle proprie
famiglie. Questi movimenti compivano inoltre una forte attività di allerta e propaganda di
contrasto al fenomeno. In tale contesto si inserisce l’attività di deprogrammazione, la cui
miglior definizione è quella degli psichiatri Ungerleider e Wellisch 37, per i quali essa si
sostanzia in: «una serie di tecniche attraverso le quali il deprogrammatore allontana di
forza la persona, ammesso che sia maggiorenne, dal culto o dal gruppo di appartenenza».
36
37
Le origini di questi movimenti vengono fatte risalire alla fondazione della Free Our Children from Children
of God (FREECOG), creata dai genitori di adepti dei “Bambini di Dio”.
UNGERLEIDER J. T., WELLISCH D. K., Coercive Persuasion [Brainwashing Religious Cults, and
Deprogramming], in AMERICAN JOURNAL OF PSYCHIATRY, 1979.
- 197 -
In
questo
processo
il
ruolo
fondamentale
è
svolto
dal
deprogrammer
(deprogrammatore), il più famoso dei quali, soprattutto nei primi anni settanta, è Ted
Patrick (detto Black Lighting). Questa categoria semiprofessionale e non specializzata è
costituita principalmente da ex adepti deprogrammati che hanno sviluppato con la pratica
la capacità di gestire questa attività così complessa.
La deprogrammazione è per lo più suddivisa in due fasi e comincia con l’attività
(illegale) di rapire l’adepto per sottrarlo alla setta.
Prima fase. Questa è volta alla rimozione del controllo mentale subito dalla vittima.
Questa fase dura da pochissimi giorni fino a qualche settimana ed è meglio che venga
svolta alla presenza dei familiari dell’adepto rapito. Il soggetto da deprogrammare viene
portato in un luogo chiuso e privato di cibo e sonno; lo si scoraggia a resistere alla
deprogrammazione poiché questa non verrà cessata finché non avrà pieno successo. Si
arriva a umiliare il rapito, lasciandolo nudo e facendogli perdere i riferimenti spazio
temporali, tramite la confusione degli orari di sonno-veglia e il continuo cambiamento dei
luoghi di incontro. Qualora il soggetto reagisca negativamente, si arriva anche a punizioni
corporali che talvolta lo spingono anche a tentativi di suicidio oltre che di fuga; per questo
motivo egli non viene mai lasciato solo. L’adepto viene inondato di parole denigratorie
nei confronti del movimento, della dottrina della salvezza e del capo della setta; vengono
inoltre distrutti i testi sacri e ogni oggetto che faccia riferimento al gruppo. Infine si
instilla il senso di colpa nei confronti della famiglia rifiutata.
Seconda fase. Se la prima fase è riuscita il rapito viene riportato nella casa familiare,
ormai fisicamente e psicologicamente sfinito. Qui i parenti si impegneranno a trattare con
affetto il soggetto, riallacciando i legami e tagliando completamente fuori il gruppo
settario.
Problematica legale. La deprogrammazione, così come descritta, pone delle ovvie
problematiche sui reati che vengono posti in essere.
In Italia, nei pochi casi giudicati in tribunale 38, gli imputati sono stati assolti in sede
istruttoria alla luce di una condotta posta in essere per salvaguardare la saluta psicofisica
delle adepte, configurandosi quindi le scriminanti dello stato di necessità e della legittima
difesa.
38
Un caso di una seguace degli Hare Krishna (Tribunale di Padova, Giud. Istrutt., 10 luglio 1987,
TEDESCHI e SERVALLI) e un caso similare circa una proselita di Scientology (Tribunale di Brescia, G.I.P.,
19 marzo 1991, PESCE e altri).
- 198 -
Negli Stati Uniti i Tribunali federali si sono orientati nell’escludere che tale attività
rientri nell’ambito di applicazione della legge, nonostante alla base vi sia un sequestro di
persona. Tale inerzia porta quindi a dover analizzare l’orientamento delle corti statali in
applicazione delle legislazioni dei singoli stati. Negli anni Settanta la giurisprudenza si
mostrava permissiva; si sottolinea come un ruolo fondamentale nella sua evoluzione è
stato svolto dalle testimonianze in giudizio di psichiatri e sociologi. Durante quel periodo
infatti si sviluppò un’importante corrente che sosteneva come all’interno dei cults
venissero impiegate tecniche per il vero e proprio brainwashing; tuttavia questa linea di
pensiero divenne poi minoritaria.
Anche la dottrina era favorevole alla deprogrammazione ritenendo si dovesse
applicare la “necessity defense” (necessità della difesa). Successivamente invece varie corti
si sono orientate nel senso opposto, cioè di escludere cause di giustificazione per i casi di
deprogrammazione.
Attualmente giurisprudenza e dottrina ritengono illegale questa attività sia sotto un
profilo penale che civile. Ovviamente questo non significa che l’attività della setta sia
sempre lecita; semplicemente la deprogrammazione non costituisce la reazione
opportuna, così come dichiarato nella sentenza Katz vs. Superior Court 39.
Nell’ordinamento italiano qualora sussistano condizionamenti che limitino la
capacità di intendere e di volere o che producano peggioramenti dello stato fisio-psichico,
esiste una tutela attivabile denunciando alle autorità i fatti ritenuti rilevanti penalmente.
Risulta quindi difficile ritenere lecita la deprogrammazione nel momento in cui è stato
individuato un iter ritenuto legalmente idoneo. In taluni casi però il ricorso a vie legali può
risultare impossibile.
In effetti a determinate fattispecie appare applicabile il cosiddetto soccorso difensivo
o soccorso di necessità 40. Infatti l’integrità psichica è un diritto difendibile; inoltre si
considera offesa ingiusta non solo l’offesa che costituisce un danno ingiusto ma anche
quella che si verifica sine iure.
Il nodo più difficile da districare riguarda tuttavia la proporzionalità del fatto: sotto
questo aspetto la deprogrammazione risulta inammissibile. È vero infatti che viene posta
in essere a fin di bene e con buoni risultati, tuttavia i mezzi adoperati sono spesso violenti
e provocano sofferenze fisiche e psichiche.
39
40
Katz vs. Superior Court of the City and County of San Francisco, 73 Cal. App., 3d, 952 141 Cal. Rptr. 234, 1997.
ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, parte generale, pag. 283, Giuffrè Editore, Milano 1994.
- 199 -
Inoltre si ricorda che viene posto in essere un vero e proprio rapimento con
privazione della libertà dell’individuo per un lungo periodo di tempo senza alcun
consenso. Ciò nonostante non si può negare alla famiglia la facoltà di adempiere ai propri
doveri di soccorso nei confronti dei congiunti; spesso infatti proprio per aiutare i figli, nel
più breve tempo e coi i migliori risultati possibili, i genitori si rivolgono a un
deprogrammatore invece di seguire le vie legali e ricorrere a uno psichiatra o
psicoterapeuta.
I.13 L’allontanamento Non Coercitivo: l’Exit Counseling
L’americano Steven Hassan 41, ex militante nella setta di Moon, offre una soluzione
alternativa alla tecnica della deprogrammazione coercitiva che, come detto, può essere
efficace ma comunque illegale. Il nuovo approccio terapeutico è detto exit counseling non
coercitivo. L’exit counselor (consigliere per l’allontanamento) è un coordinatore, un
consigliere che aiuta la famiglia dell’adepto a reagire nel modo più efficace per farlo
allontanare volontariamente dalla setta. Steven Hassan evidenzia: «Non ha alcuna
importanza per quanto tempo una persona sia rimasta in un culto distruttivo, c’è sempre
la speranza che possa essere recuperata, perché la vecchia personalità non è stata
cancellata ma solo offuscata dalla nuova».
Innanzitutto l’exit counselor riceve informazioni dettagliate sull’adepto e sul contesto
in cui vive, tramite un questionario compilato dalla famiglia.
Subito dopo viene svolta una riunione con amici e familiari della vittima cosicché
possa essere predisposta la strategia comunicativa da adottare, cioè il modo migliore per
rendere il soggetto disponibile al colloquio 42. Qualora il soggetto risulti impermeabile al
dialogo è necessario effettuare un intervento mascherato; questo consiste nel fornire una
consulenza all’adepto, senza fargli capire che la famiglia sta tentando di fargli abbandonare
la setta.
41
42
HASSAN S., Mentalmente liberi: come uscire da una setta, Avverbi Edizioni, Roma, 1999.
“Il team non è lì per cambiare il comportamento dell’individuo ma per fornire e discutere le
informazioni ed essere in grado di seguire il riadattamento quando si presenta”, THALER SINGER
Margaret, Cults in Our Midst, Jossey-Bass, San Francisco, 2003.
- 200 -
Per incontrare l’adepto è quindi necessario mentirgli, con il rischio di perdere
completamente la sua fiducia.
Dal momento dell’approccio inizia il vero lavoro dell’exit counselor, che discute con il
ragazzo cercando di fargli capire di essere caduto involontariamente in una trappola, così
come molti altri, ma che è ancora possibile salvarsi.
L’exit counselor non invita l’adepto ad abbandonare la setta immediatamente poiché
questo lo farebbe sentire minacciato, il vero scopo è invece quello di mostrare alternative
di vita messe in disparte o dimenticate.
Nella fase successiva saranno famigliari e amici, sotto la supervisione dell’exit
counselor, a far riemergere la personalità assopita della vittima 43. Questo metodo
responsabilizza molto la famiglia e può essere davvero efficace.
Purtroppo però ,a differenza della deprogrammazione forzata, questa tecnica legale
è molto più lunga, essendo necessari dai pochi mesi fino a un anno intero.
I.14 Gli ex affiliati e gli aspetti psicologici
Non è possibile stabilire un percorso standard di uscita dal gruppo, nonostante si
possa dire che i modi di lasciarlo sono sostanzialmente tre: andarsene di propria volontà
(il maggior numero di ex seguaci fa parte di questa categoria); essere espulsi (o perché si
mostra una forte ribellione o perché si viene talmente sfruttati da non essere più utili al
gruppo); essere recuperati tramite un aiuto terapeutico. Si sottolinea inoltre che ogni
gruppo settario presenta gradazioni diverse di controllo mentale, di distruttività e di
tecniche di condizionamento; inoltre ogni adepto, nonostante il forte annientamento
psicologico, presenta caratteristiche personali e socio-culturali diverse.
Il percorso di uscita è costituito di massima da tre fasi ma, proprio sulla base di
questi variegati fattori, il reinserimento nella società dell’adepto può passare da lunghe
terapie riabilitanti della durata anche di due anni, a soluzioni più semplici di
rielaborazione, comprensione e ridisciplinamento del proprio sistema psichico 44.
43
44
“Gli ex-membri possono trascorrere da una a tre settimane in un centro riabilitativo, ricevendo un
ulteriore educazione riguardo le sette e venendo “interrogati” sul tempo che hanno passato nella setta,
processo che è estremamente utile per riprendersi da tale esperienza”, THALER SINGER Margaret,
Cultsin Our Midst, cit.
HASSAN Steven, Mentalmente liberi: come uscire da una setta, cit.; SINGER M., Cults in Our Midst, cit.
- 201 -
Prima fase. Si acquisisce la consapevolezza sul carattere negativo del gruppo e si
decide di uscire e distaccarsi fisicamente da esso. Questa fase è molto variabile nei
momenti e nella durata, a seconda di quanto la dottrina faccia ormai parte della
personalità dell’adepto. Si può passare da risvegli repentini fino a lunghi mesi di
alternanza, la quale passa tra momenti di recupero del pensiero analitico e dell’autonoma
volontà a momenti di repressione e negazione di tali modalità, considerate come pensieri
demoniaci o negativi.
Il genere di soccorso necessario consiste nell’entrare in possesso di numerose
informazioni, non derivanti dalla setta, e di un grande supporto emotivo e affettivo da
parte di un soggetto non coinvolto.
Seconda fase. È la più critica e consiste nel lavoro di comprensione e rielaborazione
dell’esperienza. Si rischiano alti e bassi emotivi, vi è la possibilità di esprimere le proprie
emozioni in modo distruttivo, ricorrendo a sostanze psicotrope, alcool, comportamenti
sessuali estremi, fino alla possibilità di ricadere in mano a un’altra setta. In questo
momento sono necessarie interazioni con altri ex membri, per una rielaborazione
approfondita di quanto è accaduto, e un forte impegno nel disciplinare il pensiero e nel
verificare accuratamente ogni proprio passo e convinzione.
Terza fase. Rappresenta la ricostruzione vera e propria, con la quale si ritorna a
condurre la vecchia vita prima dell’ingresso nella setta. Tuttavia il ritorno alla vita normale
non è scevra da problemi di caratteri psicologico; il più comune è la depressione, capace
di presentarsi nei mesi immediatamente successivi alla fuoriuscita dal gruppo.
Un ulteriore problema molto comune è la dipendenza dagli altri, visti i passati in
gruppi in cui le decisioni vengono prese dal leader e alla comunità non resta che ubbidire.
Uno dei maggiori problemi che gli ex membri si trovano a combattere è il fenomeno
del floating (riemersione); l’adepto non fa altro che rivivere i giorni passati nel gruppo al
servizio della setta e sente di conseguenza riemergere in sé la dottrina del culto. La
scintilla che accende questo fenomeno si ha quando il soggetto vede, sente o ascolta uno
stimolo esterno o interno che ha fatto parte dell’indottrinamento. Queste sensazioni
potrebbero spingere il soggetto, ormai in stato di depressione, solitudine o confusione, a
rientrare nella setta. Tali episodi potrebbero verificarsi fino a un anno dalla fuoriuscita dal
gruppo, soprattutto in chi ha praticato diverse pratiche di meditazione o recitazione.
- 202 -
Per slippage (scivolata) si intende invece un deficit cognitivo temporaneo con
incapacità di trattenere un pensiero e di rispondere a domande, con perdita della
distinzione tra il concreto e la metafora. Si riscontra anche una forte perdita di
concentrazione e memoria, a causa della possibile diminuzione delle capacità mentali.
- 203 -
CAPITOLO II
STORIA DEL SATANISMO
II.1 Le origini del fenomeno
Trovare un riscontro storico di un gruppo che adora il Diavolo ritualmente non è
semplice. Questa difficoltà è dovuta al fatto che i gruppi operano segretamente, in numeri
ridotti e ai margini dalla società; inoltre trattandosi di ideologie, oltre che di fatti umani,
non è facile rinvenire una definizione scientifica del fenomeno 45.
Già verso il 186 a.C. le dichiarazioni di Hispala, una cortigiana affrancata, fanno
pensare all’esistenza di un cospicuo numero di giovani romani, soliti incontrarsi nel cuore
della notte per compiere riti orgiastici, sotto le vesti di baccanti (posseduti dal dio Bacco),
con sacrifici umani e ogni altro genere di degenerazione. Queste dichiarazioni portarono il
Senato a scatenare una forte repressione, con conseguente accusa di addirittura
settantamila persone circa 46. Questa reazione portò a condanne a morte, alla prigionia e al
completo divieto a Roma di celebrare baccanali.
Le caratteristiche della segretezza del rito, dell’occulto, del sacrificio e della
raffigurazione del dio con le spoglie di un caprone riemergono nei secoli successivi con i
tratti tipici di un rito satanico 47. Prima ancora di formarsi una vera e propria accusa contro
un settarismo satanico, che avvenne dall’XI secolo in poi, si legge, negli annali delle
cronache del VI secolo dell’impero bizantino, di personaggi chiamati sàloi (asceti) che si
fingevano folli inscenando possessioni diaboliche per le vie, ostentando comportamenti
osceni e impudichi, trascinando carogne di animali in mezzo al mercato e bombardando
con frutti guasti le donne in chiesa durante la predica. Tali fenomeni sono al confine tra
provocazione e psicodramma, tuttavia a quel tempo non si indugiava a ritenere che fosse
il Demonio stesso a impersonare un sàlos per adescare nuovi adepti tra la folla.
Subito dopo la nuova evangelizzazione, nel IX secolo il nord Europa visse nelle
isole britanniche e nell’arcipelago scozzese il ritorno di un paganesimo con connotati
45
46
47
FIORI Moreno Fulvio, MICOLI Alessia, MONTI David, L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, Giuffrè,
2011.
COLOMBO A., Il diavolo: genesi, storia , orrori di un mito cristiano che avversa la società di giustizia; materiali per
l’utopia, ed. Dedalo, Bari 1999.
INTROVIGNE M., I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, SugarCo, 2010.
- 204 -
anticristiani nei confronti di quei guerrieri, irlandesi, scozzesi o finlandesi, che erano stati
convertiti dall’espansione cattolica in Scandinavia. Entrambe le parti, vale a dire quella
dedita al dio Thor e quella cristiana, vedevano nell’altra un aurea malvagia e pericolosa.
Anche nelle più alte sfere della Chiesa arrivò l’accusa di adorare il Demonio 48. Papa
Giovanni XII (nel 963 d.C.) e Papa Bonifacio VIII (a distanza di tre secoli) furono infatti
accusati di bere alla salute del Diavolo, di uccidere i loro nemici con l’aiuto di demoni e di
commettere atti incestuosi.
Con il sorgere delle eresia la presenza del Diavolo sembrò assumere un ruolo
primario nella società cristiana. All’inizio del secondo millennio vennero alimentate le
accuse di complicità con il Demonio avanzate dalla cristianità verso i catari, i valdesi, i
fraticelli, i bogomili e ogni nuovo movimento religioso che minacciava di insidiare le
fondamenta della cristianità. Si scrisse di come “costoro adorino il Diavolo e rinneghino
Cristo durante immondi banchetti nei quali si consuma carne umana 49”. Successivamente
si effettuavano orge incestuose, i cui frutti venivano arsi nelle fiamme.
I catari, con la loro dottrina dualistica (che rifiuta i sacri crismi del matrimonio e
degli altri Sacramenti) e la struttura misterica della loro organizzazione, vennero accusati
di aver nominato un “Papa nero”. Quest’ultimo sarebbe stato colpevole di reggere le fila
del complotto destinato ad anticipare la venuta dell’Anticristo e di utilizzare formule e
rituali della tradizione ortodossa in senso opposto.
Nel 1118 venne fondato l’Ordine del Tempio. Questi cavalieri- monaci- soldati
dotati di forte disciplina, autocontrollo e praticanti castità e povertà, godettero della
benevolenza papale fino al 1312. Infatti cinque anni dopo l’ordine di arresto dei cavalieri,
che venne disposto in Francia da Filippo il Bello, Clemente V soppresse l’ordine
definitivamente.
I templari vennero accusati con gli stessi capi di imputazione sollevati contro i
catari; sembrerebbe infatti che adorassero Satana celato col nome di un idolo misterioso
conosciuto come Baphomet, che sarebbe rappresentato in una statua sul portale della
chiesa di saint-Merri a Parigi. Proprio con queste motivazioni la considerazione dei
Templari passò da stimati cavalieri cristiani ad odioso gruppo satanico.
48
49
DEVOTO A., Il Satanismo e le Sette sataniche, tratto da “Chiesa Cattolica e Nuova religiosità”, a cura del Centro
Studi Stampace, Cagliari, 1996, in www.ex-cult.org.
INTROVIGNE M., I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, SugarCo, 2010.
- 205 -
La famosa caccia alle streghe rappresentò un chiaro esempio di come il Demonio
abbia avuto un “ ruolo” nella storia. Il primato di condanne a morte spetta alla Germania
mentre la Polonia è il Paese con il maggior numero di donne processate per stregoneria.
Nel 1911 Soldan ed Heppe 50 parlarono di quasi dieci milioni di esecuzioni capitali;
tuttavia quella, comunque agghiacciante, stimata dal Monter nel 1977 è di sessantamila
esecuzioni.
Lo storico americano Brian Levack 51, a proposito delle pratiche sataniche praticate
dalle streghe, sostenne che: “la miglior prova che abbiamo circa lo stretto nesso esistente
tra la tortura e la confessione di pratiche sataniche è che l’accusa di adorare il Diavolo, nei
processi per stregoneria, non viene mai formulata prima di giungere alla fase del
procedimento in cui si applica la tortura. Una volta che si fosse passati alla tortura,
sorgevano le accuse di satanismo. Per questo si può validamente affermare che la tortura,
in un certo senso, creò la stregoneria, o quanto meno creò la stregoneria diabolica”.
Tra il Cinquecento e il Seicento iniziarono a diffondersi dei resoconti di numerose
messe celebrate; tuttavia è nel Settecento che si situano le origini del satanismo moderno.
Il primo processo di satanismo si instaurò in Francia alla corte di Luigi XIV(1638-1715);
venne infatti accusata una congrega che organizzava messe sataniche al fine di ottenere
benefici materiali.
Il caso La Voisin (suo principale protagonista) risulta di rilievo poiché in questo
contesto nacque l’espressione messa nera; inoltre la repressione presentò qui i connotati
dell’inchiesta giudiziaria e poliziesca anziché religiosa.
Catherine La Voisin era una merciaia della corte del re, venditrice oltre che di
cosmetici, medicinali e veleni, anche di ostie consacrate, ottenute grazie a
un’organizzazione di donne e alla complicità di numerosi sacerdoti.
Questa donna cominciò a celebrare messe nere con l’aiuto di l’abbé Guibourg
(1603-1683), sacerdote cattolico rinnegato. L’inizio di questa attività fu possibile grazie
alla costruzione di una cappella satanica, nel giardino di una casa acquistata nel sobborgo
parigino di Villeneuve, con drappi neri, un altare e dei ceri preparati con grasso umano
fornito da uno dei boia reali.
50
51
SOLDAN W. G., HEPPE U., Geschichte der Hexenprozesse, 3ª ed., Monaco, 1912.
LEVACK B., La caccia alle streghe in Europa. Agli inizi dell'età moderna, Editori Laterza, Roma, 2003.
- 206 -
Il rituale organizzato punta, ancora oggi, a riprodurre la tradizionale funzione
cristiano-cattolica, privandola dei connotati cristiani che vengono sostituiti con
l’adorazione di entità demoniache.
L’officiante è un sacerdote satanista che dovrebbe essere un sacerdote cattolico che
ha rinnegato la propria fede.
Nella messa nera simbologia e gestualità tipici del rito cattolico vengono ricalcati in
modo parodico e caricaturale 52. Ad esempio l’ostia può essere triangolare (rossa o nera) e
l’altare può essere rappresentato dal corpo di una vergine. Ogni preghiera è dedicata ad
entità demoniache ma si usa anche recitare preghiere cristiane al contrario da concludersi
con la forma “nema”. Inoltre nella messa nera possono essere svolte pratiche sessuali di
coppia o orgiastiche anche omosessuali.
All’interno della casa di La Voisin, perquisita dalla polizia in occasione del suo
arresto nel 1679, venne trovata anche una fornace che, stando alle confessioni della
donna, aveva bruciato circa duemila corpi di bambini; si trattava per la maggior parte di
aborti clandestini ma altri invece vennero usati come sacrifici per i rituali.
Da documenti che si possono considerare attendibili 53, analizzati direttamente da
Massimo Introvigne, si nota come il sacrificio di feti e talvolta di bambini sgozzati, offerti
ai demoni Astaroth e Asmodeo, serviva alla celebrazione di un rituale che perseguiva il
semplice scopo utilitaristico di soddisfare le richieste dei clienti, senza avere una vera base
ideologica satanista.
La continuità delle celebrazioni, l’organizzazione e i rituali eseguiti, sono comunque
fattori che fecero certamente del circolo della La Voisin e di Guibourg un gruppo
satanista. Catherine La Voisin venne condannata a morte mentre Guibourg morì in
carcere.
La repressione del fenomeno, affidata a un tribunale speciale detto “Camera
ardente”, si fermò tuttavia a causa del timore di indagini troppo approfondite sulle dame
di corte, nonostante la vicenda avesse ottenuto notorietà grazie alle gazzette.
Non mancarono degli imitatori; messe sataniche vennero quindi celebrate nel
Settecento nel Ducato di Modena. In Inghilterra nacque un satanismo ludico di impronta
razionalistica e anticlericale ad opera dei libertini della Società di San Francesco fondata da
52
53
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo - Satanisti e antisatanisti dal Seicento ai giorni nostri, Arnoldo
Mondadori Editore, Oscar Saggi, Milano 1994.
RAVAISSON, MOLLIEN F., Archives de la Bastille. Documents inédits, volumi VI e VII.
- 207 -
sir Francis Dashwood (1708-1781); fenomeno simile si ebbe forse anche in Russia, dove
però non abbiamo sufficienti fonti.
Si sviluppò così una prima epidemia di anti-satanismo che attribuì agli adoratori del
Demonio la Rivoluzione francese e il successo smisurato dello spiritismo; entrambi
fenomeni che sconvolsero il cristianesimo.
Il satanismo sembrò avere una fioritura dalla seconda metà del XIX secolo,
attribuibile ai sacerdoti Vintras e Boullan. Entrambi erano convinti di essere gli unici
all’altezza di sconfiggere il potere del Demonio che pervadeva anche le alte sfere della
Chiesa. Vintras, a seguito di un’apparizione del 1839 dove vide l’Arcangelo Gabriele,
iniziò una carriera di predicatore e sacerdote eterodosso.
Fondò l’Opera di Misericordia che celebrava messe in cui si consacravano ostie sulle
quali apparivano gocce di sangue, croci, cuori e simboli cabalistici. Il sacerdote e i suoi
adepti ritenevano di essere angeli reincarnati, tornati sulla terra per combattere i demoni
in un ultima battaglia.
Vintras si infiltrò allora negli ambienti occultisti raccogliendo quanto di utile
all’interno dei suoi archivi. Dalla sua raccolta si riscontrò una forte presenza di sette
sataniche in Francia, Belgio, Inghilterra e Italia. A causa delle teorie e degli usi usati
dall’Opera di Misericordia, nel 1851 Vintras venne scomunicato da Papa Pio IX, il quale
definì il gruppo una setta schifosa e una associazione criminale. Dopo la morte di Vintras,
il sacerdote Boullan si rese protagonista. Il passato di quest’uomo fu molto tormentato:
inizialmente cattolico, si allontanò a seguito della relazione con una suora di La Salette,
poi si riavvicinò e infine fu scomunicato nel 1875. Il sacerdote organizzò l’Opera della
Riparazione; egli presentava il Demonio come unico colpevole delle malattie inguaribili e
vedeva nel suo gruppo l’unica via di salvezza da tali sciagure. Boullan e i suoi seguaci
ritenevano di poter guarire le malattie con medicine a base di proprie urine, feci, reliquie e
frammenti di ostie consacrate.
Nel 1860 la suora di La Salette rimase incinta e Boullan dichiarò che fosse stata
violentata da un demonio invisibile durante la notte; sulla base di questa motivazione il
sacerdote compì infanticidio. A seguito della scomunica egli sviluppò a fondo le sue
teorie, anche grazie ai rapporti con circoli occultisti e allo studio degli archivi di Vintras.
Il gruppo della Riparazione iniziò a combattere il Demonio stesso e non solo i suoi
malefici.
- 208 -
Boullan parlava di diritto di “pro-creazione”, ritenendo che i rapporti sessuali
consumati secondo la legge della decadenza conducano all’abisso mentre quelli consumati
secondo regole divine aprano la via del destino.
L’uomo deve poter “ascendere” per combattere l’ultima battaglia con il Demonio e
non rimanere imprigionato nella materia.
Le “unioni di vita” rappresentano il mezzo per ascendere e si sostanziano
nell’unione con qualcuno che si pone al di sopra di lui nella scala dell’ascensione. In realtà
l’unione non è altro che un rapporto sessuale spesso perverso. Inoltre il sacerdote
combatteva il satanismo non solo con l’ascensione ma anche con intrugli a base di urina,
sperma o feci.
Introvigne sostenne: “dall’ossessione di dover combattere i satanisti, Boullan ha
finito, in pratica, per adottare, pretendendo di cambiarle di significato, alcune delle loro
stesse pratiche 54”.
Gabriel Jogand (1854-1907) fu un altro personaggio di spicco nell’ambito dei
movimenti sorti dalla relazione cattolicesimo-satanismo. Jogand era un ex allievo dei
gesuiti che entrò a far parte della Massoneria (Libera Muratoria) nel 1881. Tale
organizzazione nacque tra Seicento e Settecento in Inghilterra con gli ideali di
uguaglianza, libertà, fraternità e mutuo aiuto propri degli intellettuali illuministi.
L’organizzazione non si caratterizzava come movimento religioso bensì come
associazione filosofica, filantropica e progressista, divisa in varie logge dipendenti da una
maggiore; tuttavia rituali e iniziazioni segrete apparivano simili a quelli propri dei
movimenti religiosi.
Inizialmente Jogand condivise le idee e l’ambiente massonico poi, sotto l’alias di Lèo
Taxil, diffuse scritti antimassonici, con il sostegno di molti ecclesiastici convinti della sua
conversione a tal punto che nel 1887 venne ricevuto da Papa LeoneXIII.
Principalmente gli scritti accusavano la Massoneria di essere una setta satanica atta
alla distruzione della Chiesa e della società.
Taxil ottenne il sostegno del suo amico tedesco Hacks (alias Bataille), che pubblicò
Le Diable au XX siècle. Nel testo vengono descritte le vicende di Diana Vaughan, membro
di un movimento massonico palladista, poi divenuta cattolica.
54
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo - Satanisti e antisatanisti dal Seicento ai giorni nostri, Arnoldo
Mondadori Editore, Oscar Saggi, Milano 1994.
- 209 -
Nel libro si sostiene che la massoneria è costituita da una setta di adoratori del
Demonio chiamati “palladisti”, secondo i quali Satana (o Lucifero) sarebbe il vero Dio
della luce mentre il Dio ebraico sarebbe il Signore delle Tenebre. Nello specifico il loro
vero culto sarebbe rivolto al demone Baphomet, già oggetto di culto templare.
I massoni si scagliarono contro queste accuse di Taxil, reclamando la presentazione
in pubblico della Vaughan.
Nel frattempo la maggior parte degli ecclesiastici si schierarono contro i “liberi
muratori”. Col passare del tempo le voci sul satanismo massonico aumentarono grazie a
dichiarazioni e documenti di Vaughan e Taxil, in un contesto di facile condizionamento e
suggestionabilità della Chiesa riguardo al tema satanista.
Durante una riunione della Società geografica di Parigi del 19 aprile 1987, alla
presenza di massoni e alte sfere ecclesiastiche, Jogand confessò tuttavia la falsità delle sue
dichiarazione e della sua conversione ringraziando anche la Chiesa per il suo ausilio nel
diffondere le illazioni. Di certo mischiò documenti veri ad altri falsi ma le motivazioni
rimangono ancora oggi dubbie. La storia montata non fece altro che utilizzare il Diavolo
come metafora della liberazione dell’uomo dagli oscurantismi medievali.
Durante il positivismo di fine Ottocento il Diavolo sembrò abbandonare i suoi
elementi di terrore, per inserirsi come simbolo di un naturalismo ribelle contro la violenza
oppressiva delle istituzioni.
Il giornalista Jules Bois (1868-1943) pubblicò tre volumi sull’argomento 55, oltre a
tenere contatti con molti occultisti europei, tra cui gli inglesi della Golden Dawn , la
società segreta di esoteristi a cui partecipò anche Aleister crowley. In Le Satanism et la
Magie, Bois fornì un quadro del satanismo grazie alla propria esperienza personale, agli
archivi di Vintras e alle informazioni dello scrittore Joris-Karl Huysmans (1848-1907), che
nel 1891 pubblicò il romanzo Là-bas (“Nell’abisso”) 56.
Nella prima parte del volume il giornalista analizzò il “satanismo delle campagne”,
facendo riferimento all’Inghilterra, in cui si registrarono piccole e grandi truffe a opera dei
maghi a pagamento.
55
56
BOIS J., Les Petites Religions de Paris, ed. CHAILLEY L., 1894; Le Satanisme et la Magie, CHAILLEY L., 1895;
Le Monde Invisible, Paris, E. Flammarion, 1902.
Per il libro Huysmans utilizzò come fonti gli archivi dello stesso Vintras, le inchieste di Bois e gli
archivi nazionali di polizia, cui accedeva in qualità di funzionario del Ministero degli Interni. Inoltre il
testo contiene una particolareggiata descrizione di una messa nera, poi utilizzata come modello e
riprodotta nel XX secolo da molti satanisti.
- 210 -
Questi personaggi infatti ricorrevano talvolta anche all’evocazione del Demonio e al
patto col Diavolo, in cambio dell’esaudirsi di desideri come l’amore corrisposto di una
fanciulla o la morte di un rivale.
La seconda parte ripercorre invece le origini della messa nera analizzando fenomeni,
come incantesimi e fatture a morte, collegati al satanismo.
Vengono inoltre descritte alcune ricette di satanisti parigini:
- “Macinare insieme farina, carne, ostie consacrate, mercurio, sperma animale,
sangue umano, acetato di morfina e olio di spigo”;
- “Far inghiottire a un pesce – metafora cristiana del Salvatore - veleno e
frammenti di ostia, quindi toglierlo dall’acqua, farlo morire, lasciarne putrefare il
corpo da cui distillare un olio che rende folli i nemici”.
Infine Bois compì una raccolta di articoli inerenti il furto di ostie consacrate, ancora
oggi fondamentali per lo svolgimento delle messe a contrario. A prova di ciò vi è una
meticolosa documentazione che testimonia la presenza di questi fenomeni in Francia e in
Italia soprattutto a Roma e nella provincia di La Spezia e Salerno.
II.2 Definizioni del satanismo di Francesco Barresi
Il
sociologo
Barresi 57
propone
delle
definizioni
basate
sulla
modalità
comportamentale e motivazionale del satanista, per cui il soggetto viene analizzato alla
luce del sistema in cui si trova e alle relazioni infra-gruppali nell’ambiente di riferimento.
L’autore seleziona quindi almeno cinque categorie di satanismo:
- Satanismo religioso: tipo di culto satanico per il quale l’adepto si dimostra realmente
devoto alla divinità infernale e che in questa crede sinceramente.
- Satanismo ludico: tipo di culto satanico per il quale l’adepto vi si accosti più per
gioco che per convinzione fideistica.
- Satanismo sessuale: tipo di culto satanico cui vi si rivolge per estrinsecare le proprie
pulsioni sessuali.
- Satanismo acido: satanismo di tipo adolescenziale, cui l’adepto vi si avvicina per
consumare droghe di vario genere, fra le quali rientrano anche gli abusi di alcool.
57
BARRESI Francesco, Sette religiose criminali. Dal satanismo criminale, ai culti distruttivi, EDUP, Roma, II
edizione, 2006.
- 211 -
- Satanismo schizofrenico: adesione al culto satanico di tipo psicopatologico da parte
dell’adepto.
Gli individui definiti satanisti, adepti di un culto satanico, possono a loro volta
suddividersi in:
Satanisti solitari 58:
- Solitari reali: individui realmente soli, a volte senza neanche un gruppo familiare di
appartenenza, che non professano esternamente il loro credo.
- Deliranti schizofrenici-ebefrenici: individui psicotici gravi che, a seguito di psicosi
importanti, immaginano una divinità infernale cui sottomettersi. Una forma clinica
della schizofrenia paranoide, l’ebefrenia sistematica, difatti permette poi al soggetto
di cedere ad improvvise passioni parascientifiche, esoteriche o religiose.
- Lucidi (adolescenti): giovani che giocano a fare i satanisti, iniziando a trafficare nella
propria camera da letto con formule magiche apprese superficialmente da libri
sull’occulto. Questa categoria è spesso associata alla precedente per quanto
concerne l’ebefrenia sistematica, forma di schizofrenia che sembra colpire in
particolar modo i giovani adolescenti.
- Egotici: satanisti che, in solitudine, professano un credo satanico dispregiativo nei
confronti della collettività e fondato sull’accrescimento del proprio potenziale
fisico e sessuale, finendo col propinare una sorta di darwinismo biologico.
- Professionali: satanisti che, per sopravvivere, sono anche maghi professionisti, e
sono soliti vendere per fatture di morte innocue polveri e formule magiche prive di
alcun fondamento soprannaturale.
Satanisti intermedi 59.
Satanisti di gruppo 60:
- Carismatici: individui dotati di forte carisma che fondano essi stessi la conventicola
satanista di cui poi finiscono per esserne il leader. Contrariamente a quanto avviene
nelle sette sataniche, in questi casi l’adesione dell’adepto può essere riferita alla
personalità del carismatico e non all’ideologia satanista.
58
59
60
Sono individui che possono definirsi “disorganizzati”, in quanto non aderiscono a nessun gruppo e
professano il loro credo autonomamente e segretamente.
Si intendono quei satanisti che sono in procinto di fare il grande passo per l’associazionismo satanico.
È una categoria di transizione dal satanismo individuale a quello sociale.
Sono individui che professano il loro credo in modo associativo, talvolta con forti vincoli di adesione,
e possono quindi essere definiti organizzati.
- 212 -
- Parafilici sessuali: sono soliti legittimare le proprie devianze sessuali o le loro
comunque pulsioni sessuali attraverso l’adesione ad un gruppo satanista, poiché al
loro interno l’attività sessuale è più importante che in altri gruppi settari.
- Egotici: satanisti che professano un credo satanico dispregiativo nei confronti della
collettività e fondato sull’accrescimento del proprio potenziale fisico e sessuale, ma
il cui fine o le modalità per estrinsecare questa filosofia è quello di attuarlo ed
estrinsecarlo su altri individui. Di questa tipologia fanno parte i “parafilici” con
tendenze sadiche di sottomissione.
- Tossicodipendenti: aderiscono ad un culto satanico per assumere le presunte droghe
che verrebbero fornite durante la celebrazione di particolari rituali satanici, anche
di tipo sessuale.
- Lucidi misti (adulti/adolescenti): sono individui che giocano a fare i satanisti, e
possono essere sia giovani sia adulti: i primi lo fanno per goliardia, i secondi per
avvicinarsi al mondo del sesso alternativo e innovativo.
II.3 Gli studi sul satanismo di Massimo Introvigne
Nel lavoro Le organizzazioni sataniste e i movimenti antisatanisti 61, Introvigne 62
tratta aspetti fondamentali per illustrare sinteticamente la struttura delle organizzazioni
sataniche, partendo dall’ideologia antisatanista ed evidenziando l’insufficienza di
scientificità di questa corrente di pensiero 63.
61
62
63
INTROVIGNE M., I movimenti satanismi contemporanei, in “SETTE E RELIGIONI (RIVISTA TRIMESTRALE DI
CULTURA RELIGIOSA)”, ed. studio domenicano, bologna, gennaio-marzo 1992, n. 5.
INTROVIGNE M. (Roma, 14 giugno 1955) è un sociologo, filosofo, scrittore italiano, fondatore e
direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR). Dal 5 gennaio al 31 dicembre 2011 ha
avuto il ruolo, in ambito OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), di
Rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con una particolare
attenzione nel contrasto alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni. Dal giugno
2012 è coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa costituito dal Ministero degli Esteri
italiano in collaborazione con Roma Capitale.
Introvigne è membro della sezione di Sociologia della Religione dell’Associazione Italiana di Sociologia
ed è autore di oltre sessanta libri, tra i quali l’Enciclopedia delle religioni in Italia, e centinaia di articoli
nel campo della sociologia della religioni.
Quella che Introvigne indica come ideologia antisatanista non è altro che l’atteggiamento letterario di
molti autori, per lo più cristiani, che arrivano a conclusioni affrettate sulla base di pochi dati concreti. Si
tratta dei movimenti antisatanisti e antisette tipici di una cultura allarmista del nord America. In questo
contesto La storia del satanismo risulta essere un altro lavoro fondamentale per poter comprendere la
tesi dell’ autore.
- 213 -
Il satanismo viene strutturato secondo quattro livelli, corrispondenti a quattro
momenti di manifestazione del fenomeno al pubblico:
1° livello: si tratta del livello di massima manifestazione del fenomeno corrispondente
a tutti coloro che aderiscono a quanto veicolato, ad esempio, attraverso certa musica
giovanile (genericamente identificata come musica rock 64), certi fantasy-game di ruolo o
certi B-movie che esplicitano (volontariamente o con messaggi subliminari) alcuni elementi
della cultura satanista.
2° livello: è il livello dei gruppi giovanili che mescolano rituali satanici e utilizzo di
droghe in una commistione dettata più da motivazioni di divertissement o puramente
contro-culturali che da decise adesioni culturali. Generalmente non esiste nessuna
connessione tra i gruppi - che si costituiscono e sciolgono velocemente - o una precisa
derivazione culturale, a parte la messa rituale che richiama quanto normalmente reperibile
dai media o dai libri in vendita.
3° livello: si tratta del livello rappresentato dalle organizzazioni ufficialmente
sataniste.
4° livello: è il livello costituito da un presunto network segreto a scala mondiale che
raccoglie personaggi insospettabili che ricoprono posizioni di potere e hanno l’obiettivo di
incitare l’ideologia satanista 65.
Introvigne nega l’esistenza fattuale del quarto livello non esistendone prove tangibili.
Gli antisatanisti, al contrario, credono fortemente in tale livello e sfruttano gli altri per
tentare di provare quest’ultimo.
L’autore rivolge la sua attenzione ai gruppi appartenenti al terzo livello. Sulla base
della storia dei gruppi già conosciuti, egli compie una catalogazione ed evidenzia
implicitamente una regola generale predittiva sulla stabilità del gruppo, che si basa sul
grado di organizzazione interna e sul livello di complessità della dottrina trasmessa.
I gruppi satanisti destinati a sciogliersi in tempi rapidi, poiché instabili, sono
caratterizzati da un grado di organizzazione troppo basso o troppo alto.(ad esempio The
Family di Charles Manson e The Process di Robert de Grimston Moore).
64
65
Tale genere risente di una certa cultura anti-rock evidenziatasi negli anni Cinquanta al sorgere del Rock
and Roll. In realtà il fenomeno musicale in cui si riscontrano messaggi di chiara marca satanista è molto
più articolato: l’espressione “musica rock” può dunque essere utilizzata in questo contesto, a patto di
conoscerne i limiti di significato e le estensioni di contenuto a cui il genere deve essere sottoposto.
In genere vengono dichiarati partecipi del network segreto alcuni Capi di Stato (ad esempio, a suo
tempo, Ronald Reagan in qualità di Presidente degli Stati Uniti d’America) e alcuni dirigenti di grandi
multinazionali (ad esempio Rockfeller).
- 214 -
Inoltre una troppo complessa dottrina porta all’allontanamento tra vertici settari e
adepti stessi. Introvigne compie un’ulteriore classificazione dei gruppi satanisti basata sulle
distinzioni tassonomiche.
Per sintetizzare è sufficiente creare una matrice che presenta:
- sull’asse delle ascisse, una distinzione di carattere sociologico legata al grado di
organizzazione interna del gruppo e comprendente il satanismo organizzato a
livello nazionale o internazionale, il satanismo selvaggio e il satanismo solitario;
- sull’asse delle ordinate si rappresenta invece una distinzione di carattere dottrinale
legata ai dati culturali e simbolici del gruppo, la quale comprende il satanismo
razionalista, occultista, acido e il luciferismo.
Satanismo
organizzato a
livello nazionale o
internazionale
Satanismo dei
gruppi selvaggi
(disorganizzati,
effimeri)
Satanismo solitario
Satanismo
Satanismo
Satanismo
razionalista
occultista
acido
Luciferismo
Come detto, sull’asse dell’ascisse Introvigne inserì :
Satanismo razionalista. Satana non è una persona esistente realmente bensì rappresenta
un simbolo della trasgressione e della ragione che sarebbero stati vietati da oscurantismo,
religione e morale giudaico- cristiana.
- 215 -
Il rito serve quindi a far spezzare all’affiliato ogni legame con il sentimento religioso
pregresso, per abbracciare il vero culto della ragione, della vita e della natura.
Nel satanismo ludico del Settecento inglese si trova l’origine del modello
razionalista; gli illuministi infatti esprimevano la loro ribellione contro la religione tramite
parodie blasfeme dei riti propri del cristianesimo. Un chiaro esempio del Satanismo
razionalista è dato dalla Chiesa di Satana californiana.
Satanismo occultista. Si basa sull’accettazione della visione del mondo secondo la
Bibbia, compresa la storia della creazione e la cacciata dal paradiso degli angeli ribelli, poi
trasformati in demoni. Tuttavia gli adepti a questo culto ( propensi ad atti di fanatismo) si
schierano dalla parte del Demonio e non da quella di Dio. Questa dottrina prende spunto
dalla iconografia cristiana e soprattutto dalla tradizione ebraica, con le descrizioni
particolareggiate della Geenna e delle corti infernali. Un famoso gruppo rappresentante la
categoria ora descritta è il Tempio di Set.
Satanismo acido. Così definito per il forte utilizzo di droghe tipico dei gruppi satanici
appartenenti a questa categoria; le caratteristiche dottrinali rimangono invece le medesime
delle altre tipologie di satanismo, anche se spesso semplificate. L’origine è risalente alla
controcultura californiana degli anni Sessanta-Settanta. Riti perversi, pratiche sessuali
orgiastiche, estreme, sadiche, pedofile, fenomeni di vandalismo e violenza vengono tutti
praticati con il pretesto di compiere la volontà del Signore del Male.
Tale dottrina è quindi la più pericolosa e viene praticata sia da alcuni produttori e
spacciatori dell’America Latina sia da alcuni consumatori di età compresa tra i quattordici
e i venticinque anni, spesso colpevoli di atti criminosi, attivi in riti rudimentali (recuperati
da quanto suggerito in libri o riviste popolari di magia e occultismo) e amanti della musica
rock con contenuti a sfondo satanista o violento. L’esempio di riferimento di questo tipo
di fenomeno è The Family di Charles Manson.
Luciferismo. I satanisti luciferiani adorano Satana come entità reale, buona e alla pari
di Cristo. Si percepiscono in tale categoria forti influssi manichei e di C.G. Jung 66; egli
proponeva infatti l’idea di una quaternità, anziché trinità, composta dal Padre, lo Spirito
Santo e due figli (Cristo e Satana).
66
JUNG Carl Gustav (Kesswil, 26 luglio 1875 - Küsnacht, 6 giugno 1961) è stato uno psichiatra,
psicoanalista e antropologo svizzero.
JUNG Carl Gustav, Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, in JUNG, Opere, Vol. 11,
PSICOLOGIA E RELIGIONE, Torino, Boringhieri, 1979.
- 216 -
In tale maniera Satana è considerato come un dio dimenticato o, secondo una
rivisitazione del cristianesimo, come il dio buono cacciato dalla terra dopo aver perso la
battaglia contro il dio cattivo.
II.4 La teoria dell’aggressività di Alfonso Maria Di Nola
Di Nola 67 delinea, all’interno del suo studio antropologico dedicato a Satana 68, la
storia della presenza del Demonio nelle culture dei popoli. Per farlo l’autore utilizza un
excursus ampio (ma sommario) che prende origine dalle antiche scritture religiose dei
popoli orientali e arriva fino ai documenti teologici più recenti e principalmente cattolici.
In questo excursus vi sono numerosi riferimenti al Diavolo per come viene considerato in
alcuni dei nuovi movimenti.
Di Nola delinea un’interessante interpretazione del fenomeno del culto di Satana e
ciò rileva ancor più delle numerose informazioni fornite. Come primo fattore di interesse
l’autore lascia una definizione onnicomprensiva di satanismo: si tratta di un fenomeno
legato marcatamente alla stregoneria (ideologicamente e ritualmente) che contiene «[…]
cariche ideologiche eversive, violentemente critiche della nostra società 69» le quali operano
culturalmente come negazione delle strutture in cui sono inserite originariamente.
Il demonismo stregonico è dunque un fenomeno areligioso in quanto «[…] si
contrappone, negandoli, ai modelli religiosi del gruppo culturale in cui emerge» e inoltre
«[…] è congenitamente eversivo delle strutture religiose che, talvolta, adotta secondo
proprie utilizzazioni 70». I veri valori diventano quindi quelli che per il gruppo culturale
d’origine rappresentano disvalori; gli stessi rituali religiosi e le pratiche di culto comuni
vengono disprezzate e riproposte in maniera antisociale.
Viene promossa l’assoluta libertà sessuale, contrapponendosi così al comuni principi
sulle restrizioni sessuali tipici delle religioni maggioritarie. Il gruppo satanista incita alla
violenza come base dei rapporti interpersonali, capovolgendo il comune sentimento di
pacifica convivenza quale fondamento della società.
67
68
69
70
DI NOLA Alfonso Maria (Napoli, 9 gennaio 1926 - Roma, 17 febbraio 1997) è stato un antropologo,
storico delle religioni e saggista italiano.
DI NOLA A. M., Il Diavolo, Newton Compton, Roma, 1994.
Ivi, p. 236.
Ivi, p. 235.
- 217 -
Per concludere ai normali riti religiosi si contrappone la messa nera.
Di Nola introduce anche un’interpretazione sociologica del fenomeno quando
afferma che il «[…] gusto della norma capovolta e trasgredita o delle esperienze di limite
si inseriscono in un dilagante vuoto della coscienza storica e nella necessità di aggregare
alla desolazione della coscienza stimoli, immagini, onirismi che gratifichino l’uomo
vivente nel deserto urbano, decisamente asociale, e lo sollevino a un protagonismo
negato 71».
Il satanista riesce a spettacolarizzare la vita e a rendersi protagonista, così come
stimolato dal milieu culturale generale (qui i mass media svolgono un ruolo primario), solo
con modi non convenzionali e talvolta illegali.
In tale contesto si inserisce la Teoria dell’aggressività per la quale la stregoneria, e
quindi il satanismo, rappresenta:
- il risultato della reazione aggressiva di gruppi e margini sociali parzialmente
integrati o non integrati nei modelli culturali correnti 72;
- l’esito di eventi storici o sociali particolari.
Tra questi ultimi Di Nola include i gruppi nati in virtù di scelte dichiaratamente
critiche della società, le adesioni alle mode occultistiche, che ciclicamente si propongono
al grande pubblico, e i gruppi (ad esempio, The Family di Manson) legati ad eventi
marcatamente delinquenziali, quando non prettamente collegati a fenomeni di psicopatia.
Questa teoria considera l’aggressione anche come strumento di difesa culturale del
gruppo maggioritario e non solo come azione scaturita dal gruppo deviante. La
persecuzione dei gruppi non integrati, da parte dei gruppi portatori di modelli culturali
prevalenti, risolve quindi le crisi conflittuali e i rischi di fallimento interni a questi ultimi
gruppi: «[…] il diavolo assume una funzione di valvola di sicurezza e di forma fantastica
che garantisce il potere 73».
Con riferimento all’azione dei gruppi maggioritari Di Nola pone storicamente a
confronto, riferendoli sia al passato che al presente, due atteggiamenti interpretativi.
Infatti il Diavolo veniva considerato un tempo con connotati precisi derivanti
dall’agiografia e dall’iconografia popolare (es. corna e coda biforcuta); oggi invece i teologi
71
72
73
Ivi, p. 360.
I gruppi sociali parzialmente integrati o non integrati possono a loro volta essere suddivisi in gruppi
esterni alla società di riferimento (ad esempio, gli zingari, nel caso della demonizzazione etnica) o
interni a essa e associati al ceto sociale più povero (ad esempio, i contadini).
Ivi, p. 232.
- 218 -
confermano l’individualità e la personalità del Diavolo ma «ne tracciano, allo stesso
tempo, l’insinuazione serpeggiante e indeterminata nel corpo sociale e nella storia 74». A
una
determinatezza
teologica
infatti
si
accosta
ormai
una
indeterminatezza
fenomenologica, la cui risultanza è quella di addebitare alle “aree umane disturbanti”
l’etichetta di demoniaco; la difesa culturale diviene invece fonte di “violenza ideologica”.
Risulta in parte condivisibile la teoria della “valvola di sicurezza”: il Diavolo, e
quindi il satanismo, può essere considerato un pretesto per garantire il potere. Tuttavia
tale potere deve essere considerato in senso sociologico - culturale e non solo politico così
come fa intendere Di Nola; infatti i gruppi satanisti per ora non perseguono scopi politici
e non controllano grandi masse. Non si può inoltre sposare in toto le idee dell’autore
quando associa l’indeterminatezza fenomenologica a una strategia voluta dalla Chiesa
cattolica. In realtà quest’ultima definisce il satanismo in modo dettagliato al punto da non
lasciare spazio ad ampliamenti di significato.
L’indeterminatezza si riscontra invece a livello popolare, tra i fedeli praticanti ma
poco preparati teologicamente, e tra i sacerdoti meno dotti; tuttavia il ruolo più
importante in questo contesto è svolto dai mass media. L’insieme delle persone comuni
posseggono solo le informazioni percepite da altri casualmente e le assimilano ritenendole
vere; in questo modo il fenomeno religioso alternativo viene confuso con il culto
demoniaco. Trasmissioni televisive, giornali, web ecc. accostano in modo indiscriminato
ogni tipo di espressione religiosa non cristiana al satanismo, facendo sorgere un
sentimento di paura verso tutte le espressioni del sacro che non siano chiaramente
codificate; è proprio contro i superficialismi di tali informazioni che si schierano gli stessi
esponenti della Chiesa cattolica, contrariamente a quanto sostiene Di Nola. Il satanismo
vero e proprio rischia così di fungere da capro espiatorio, su cui riversare la rabbia e la
paura che la società nutre nei confronti di tutto ciò che è a vario titolo diverso.
II.5 Aleister Crowley e la magia sessuale
Nei primi del Novecento l’Inghilterra divenne l’epicentro dell’esoterismo.
74
Ivi, p. 8.
- 219 -
I maestri dell’occultismo di questo periodo non sono definibili come satanisti veri e
propri, anche se i loro avversari religiosi li additavano come tali. Ciò nonostante venne
preparato un corpus di materiale occulto che venne notevolmente utilizzato dai successivi
movimenti esoterici, compresi quelli di matrice satanista.
Si sviluppò quindi una setta massonica, dedita a messe nere e riti orgiastici, detta la
Golden Dawn; tale setta presenta tra le sue file Robert D’Onston Stephenson, medico che
fu accusato dall’amante Mabel Collins di fabbricare candele fatte con grasso umano, usate
per riti occulti, e di essere Jack lo Squartatore, assassino di almeno cinque donne l’anno
prima della fondazione della setta.
Questo gruppo di esoteristi, oltre a personaggi di rilievo come W.B. Yeats, Bram
Stoker e W. Crooks, accolse nel 1898, dopo la tipica iniziazione, Edward Alexander
Crowley, un giovane che aveva ereditato un ingente capitale e che si faceva chiamare
Aleister.
Crowley nacque nel 1875 e si riteneva la reincarnazione, oltre che di Cagliostro e di
Alessandro Borgia, di Eliphas Lèvi, un noto occultista morto l’anno della sua nascita.
Aleister crebbe in una famiglia protestante puritana e studiò al Trinity College di
Cambridge, ove godeva di una pessima fama a causa dei suoi rapporti etero e omosessuali,
dei suoi poemetti erotici e dell’uso sfrenato di droghe.
Nel corso della giovinezza questo ambiguo personaggio compì numerosi viaggi in
cui approfondì i temi gnostici, studiò il tantrismo, il sufismo e l’uso di droghe indiane e
messicane.
Egli stesso, nelle sue Confessioni 75, si definì “il Compagno di Babilonia, la Donna
Scarlatta, il Destriero che ella cavalca, la Bestia il cui numero è 666”. Da ciò si evince la
brutalità di un uomo che una volta introdotto nella Golden Dawn dal fondatore Samuel
Mathers, subito si scontrò con gli altri membri e fondò una nuova organizzazione
concorrente, chiamata l’Argenteum Astrum (“ogni uomo è una stella”), screditando inoltre i
vecchi amici con la pubblicazione, sulla sua rivista The Equinox, di rituali di magia nera e
nefandezze sessuali che in realtà era lui stesso a praticare. Si trattava di pratiche rivoltanti
come succhiare il sangue mordendo il polso di una donna (detto bacio del serpente),
defecare sui tappeti altrui o consumare un rapporto sodomitico in un salotto davanti ai
suoi amici.
75
Pubblicato per la prima volta come Prefazione di CROWLEY A., The Confessions, Routledge and Kegan,
Londra, 1979; Penguin/Arkana 1989, ed. in lingua italiana in PRIMORDIA, XVI, Milano, marzo 2000.
- 220 -
Inoltre Crowley sfruttava materialmente, emotivamente e psicologicamente le
persone a un punto tale che molte sue compagne finirono per diventare alcolizzate
mentre la moglie morì in manicomio.
Nel 1912 aderì a una nuova organizzazione tedesca, l’Ordo Templi Orientis (O.T.O.),
che si interessa di riti luciferini, messe gnostiche e magia sessuale; qui sperava di aver
trovato l’ambiente “magico” dove poter elaborare propri rituali esoterici.
Proprio sulla magia sessuale Aleister fondò le basi del movimento, di cui divenne il
leader a Londra. I riti dell’O.T.O., seguendo un’influenza tantrica, pretendevano di
assurgere a efficace mezzo di magia per realizzare un’unione mistica con l’Universo; erano
quindi ben lontani dal voler rappresentare una semplice scusa per praticare orge e altre
pratiche sessuali estreme. Successivamente, dopo una lunga permanenza negli Stati Uniti,
terminata principalmente per motivi economici, dopo l’interrogazione dell’I Ching, un
antico oracolo cinese, il “mago” approdò anche in Italia, a Cefalù, dove fondò l’Abbazia
di Thelema.
Questa nuova impresa venne però presto abbandonata, per ordine del Duce, a causa
delle voci circa la morte misteriosa di un certo Mr. Lloyd, seguace dell’O.T.O. a Cefalù,
avvenuta probabilmente per overdose.
Crowley era sempre circondato da numerose donne, sia nelle sue “congregazioni”
sia nel quotidiano; si trattava principalmente di prostitute che lui chiamava “Donne
Scarlatte”, con le quali compiva riti di magia sessuale complessi e suddivisi per gradi: si
passava dall’iniziazione fino alla dichiarazione del segreto finale che svelava come “il vero
Dio sia il Fallo, unico motore del Tutto 76” .
Durante un suo “esperimento magico”, utilizzando pratiche sodomiche, altri atti
sessuali e facendo uso di cocaina e oppio, Crowley condusse una delle sue amanti, Roddie
Minor, soprannominata “Pachiderma”, in uno stato catatonico nel quale la donna riusciva
a percepire delle visioni di un paesaggio che Crowley descrisse nell’Opera di Amalantrah.
Tuttavia il rito più famoso e imitato dalle sette sataniche contemporanee consisteva
nella preparazione di un calice con un miscuglio, detto amrita, a base di seme maschile e
secrezioni vaginali; questo preparato veniva usato per la consacrazione di talismani e si
ricavava dall’unione di due iniziati o dello stesso Crowley con le sue “Donne Scarlatte”.
76
SYMONDS John, CROWLEY Aleister, La Bestia 666, Mediterranee Edizioni, 2006.
- 221 -
Nel Libro della Legge 77, scritto ancora prima di entrare nell’O.T.O., Crowley
annuncia l’avvento di una nuova epoca e inveisce contro il cristianesimo 78; egli sosteneva
che il libro gli fosse stato dettato direttamente dallo spirito Aiwass, evocato attraverso i
poteri medianici della moglie Rose Kelly. In tale contesto ogni richiamo a Satana e le
invettive contro i cristiani non hanno un connotato di vera e propria venerazione del
Demonio.
Gli stessi brani riferiti al sacrificio di bambini rimandano a una nota del “mago”,
posta a piè pagina nel libro Magick in Theory and Practice 79, dove egli afferma di aver
compiuto questo sacrificio in media centocinquanta volte l’anno fra il 1912 e 1928.
Leggendo questa frase nel contesto risulta chiaro che si faccia riferimento alla
masturbazione, essendo inoltre inverosimile che, nonostante l’attività di sorveglianza da
parte delle forze di polizia dei vari Paesi in cui ha soggiornato, egli riuscì ad occultare un
numero così elevato di bambini.
Nello stesso libro Crowley afferma: “Il Diavolo non esiste. È un falso nome
inventato dai Fratelli Neri per implicare un’Unità nella loro ignorante confusione di
dispersioni”; o ancora: “Non c’è altro dio che l’uomo”.
Inoltre, nella sua autobiografia, commentando i rituali satanici, critica l’approccio
alla figura di Satana come entità reale, in quanto, così facendo, non si fa altro che
convalidare la teologia cristiana sul Demonio.
Gli elementi chiave del satanismo mancano quindi nelle folli teorie di Crowley, che
non può così essere definito un satanista in senso proprio.
77
78
79
CROWLEY A., Liber Al Vel Legis, Pubblicazioni S.O.T.V.L.,1993.
DEL RE M., in RITI E CRIMINI DEL SATANISMO, Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Camerino, Jovene Editore, 1994, cita:
“…Il rito supremo dovrebbe creare un’atmosfera particolare attraverso la morte della vittima. Con
questo rito si potrebbe raggiungere il vertice dell’Arte Magica. La cosa migliore sarebbe sacrificare una
fanciulla, possibilmente vittima volontaria, perché, se fosse maldisposta al sacrificio, potrebbe
introdurre una corrente ostile. La fanciulla dovrebbe venir violentata, poi tagliata in nove pezzi. La
testa, le braccia e le gambe dovrebbero venire amputate, e il tronco tagliato in quattro parti. Sulla pelle
andrebbero scritti i nomi di altrettanti dèi: poi le braccia andrebbero scuoiate e bruciate in onore di Pan
o di Vesta; le gambe, dopo un procedimento eguale, andrebbero offerte a Priapo, Hermes o Giunone;
la spalla destra è sacra a Giove, la sinistra a Saturno; la metà inferiore destra del tronco a Marte, quella
sinistra a Venere. La testa non andrebbe scuoiata, ma semplicemente bruciata in onore di Giunone o di
Minerva. Questo rito non dovrebbe essere usato in occasioni ordinarie, ma raramente, e soltanto per
scopi importantissimi; e non dovrebbe venire mai rivelato ai profani”.
La descrizione di questo rito, mai messo in atto, è rivelata a Crowley durante l’atto sodomico con
Walter Duranty,che viene “posseduto” dal dio Mercurio; in tema di sacrificio di sangue, il “mago”
afferma invece che “un bambino maschio di perfetta innocenza e di alta intelligenza è la vittima più
soddisfacente e adatta”.
CROWLEY A., Magick, (a cura di John SYMONDS e Kenneth GRANT), Astrolabio Ubaldini, 1976.
- 222 -
Oltre alle provocazioni anticristiane e antimorali, non vi sono nemmeno prove che il
“mago” abbia commesso alcun crimine connesso al fenomeno satanico. Risulta quindi
evidente che nonostante l’O.T.O. utilizzasse ampiamente effigi e rituali in cui Lucifero e i
demoni appaiono protagonisti, questi rappresentavano meri simboli della trasgressione,
del rifiuto della morale, della religione e delle regole sociali.
Ci troviamo in definitiva lontano dalla definizione di satanismo di Massimo
Introvigne, secondo il quale per tale fenomeno si intende: «…l’adorazione o la
venerazione, da parte di gruppi organizzati in forma di movimento, tramite pratiche
ripetute di tipo culturale o liturgico, del personaggio chiamato Satana o Diavolo nella
Bibbia 80».
I significati con cui Crowley parlava di “Satana” o “Lucifero” sono molteplici:
- nel senso proprio, Satana non esiste. È un feticcio inventato sia dai cristiani che dai
satanisti per i loro fini;
- in senso positivo ed esoterico, Diavolo e Satana vengono utilizzati per indicare il
Sole nel macrocosmo e il fallo nel microcosmo;
- dal punto di vista astrologico il Diavolo si identifica con il Capricorno ma sarebbe
un segno che simboleggia la sessualità maschile;
- sotto il nome di Satana possono essere chiamati certi spiriti i quali, freudianamente,
non sono altro che aspetti dell’inconscio dell’uomo, con cui il mago poteva venire
in contatto nella celebrazione dei suoi riti;
- Satana e Lucifero rappresentano la razionalità dell’uomo, che è “dio”, padrone del
bene e del male.
Sembra quindi che Crowley credesse solamente nell’uomo stesso; tuttavia le sue
idee, i suoi testi e la sua figura hanno influenzato pesantemente il satanismo successivo.
Verranno infatti mutuati gli elementi di trasgressione sessuale, di provocazione e di
avversione alla Chiesa cattolica, quale demolitrice del “ pensiero magico” istintivo e
viscerale. Certamente le teorie del “mago”, che seppur inneggianti a un ateismo “puro”,
strumentalizzavano la figura di Satana, apportarono un contributo essenziale alla filosofia
di Anton LaVey, fondatore della Chiesa di Satana e figura fondamentale nello sviluppo del
pensiero satanista 81.
80
81
INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal Seicento ai nostri giorni, Mondadori,
Milano 1994.
Riferimenti biografici in: SYMONDS John, CROWLEY Aleister, La Bestia 666, cit.
- 223 -
II.6 Anton Szandor LaVey e il satanismo contemporaneo
Il satanismo contemporaneo vero e proprio nasce con Anton Szandor LaVey (così
si faceva chiamare Howard Stanton LeVey, 1930-1997) 82. Quest’uomo svolse numerosi
mestieri nell’arco della propria vita, fu infatti inserviente di circo, domatore di leoni,
ipnotizzatore da night club, fotografo criminologo della polizia di San Francisco e noto
attivista della Lega per la Libertà Sessuale.
LaVey iniziò a fare numerose conferenze dopo aver comprato una casa al 6114 di
California Street; i temi trattati riguardavano spettri, tortura, vampiri, omicidi e atti di
cannibalismo. Proprio durante uno di questi incontri entrò a contatto con Kenneth
Anger, cineasta underground di Hollywood e assiduo sostenitore delle teorie di Crowley.
È con questo personaggio che fondò nel 1961 il Circolo Magico, costituito dai
frequentatori abituali delle varie conferenze tenute da LaVey, nel quale mise presto in atto
propri rituali segreti; nella notte del 30 aprile 1966 fondò invece la Chiesa di Satana, era
l’Anno Uno del Demonio.
Per LaVey frequentare Anger fu fondamentale poiché proprio lui gli fece
approfondire le teorie di Crowley, inoltre i due condividevano una grande quanto deviata
passione: il Diavolo e la demonologia.
La setta riuscì a godere immediatamente dell’attenzione dei media, grazie ai contatti
con essi del regista americano e al personaggio stesso di LaVey, che compare
pubblicamente travestito da Diavolo e si presenta al mondo come Satana in persona.
Nel 1967 vennero celebrati il primo matrimonio e il primo battesimo satanista della
storia. La prima cerimonia si svolse tra il giornalista John Raymond e Judith Case,
ereditiera di New York; la seconda fu qualche mese dopo per la figlia di LaVey, Zeena
Galatea di tre anni.
Per il marinaio Edward D. Olsen venne invece officiato il primo funerale satanista
direttamente da LaVey e Anger, sollevando così forti proteste da parte delle chiese
cristiane.
82
BLANCHE Barton, The Secret Life of a Satanist: The Authorized Biography of Anton LaVey, Feral House, Los
Angeles, 1990.
Approfondimenti criminologici in: INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal
Seicento ai nostri giorni, cit.
INTROVIGNE M., I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, SugarCO, 2010.
- 224 -
Nel 1968 venne mostrato al pubblicò “Rosemary’s Baby”, un film di Roman
Polanski, alla cui prima assistettero gli stessi fondatori e seguaci della Chiesa di Satana, cui
il film faceva un esplicito riferimento.
Il fenomeno destò l’interesse anche di sociologi di spessore come Randall Alfred
che nel 1968 si insinuò nella setta senza informare LaVey; James Moody invece divenne
un collaboratore del “Papa Nero”, tanta fu la passione che dimostrò nei confronti del
satanismo.
In quegli anni venne elaborata la Liturgia della messa nera 83, pubblicata in due
edizioni, una censurata per il pubblico e una privata per gli adepti, conosciuta da tutti i
satanisti contemporanei e seguita alla lettera. Il rituale è una somma della messa nera del
libro di Huysmans 84 e del rito dell’amrita di Crowley. La liturgia si apre con un formulario
che si basa sul rovesciamento della messa cristiana, comprendendo inoltre insulti e
bestemmie. Il rituale viene recitato sul corpo di una donna distesa nuda su un altare,
continua con l’introduzione di un ostia consacrata nella vagina della donna e con la
successiva distruzione della stessa ostia in una fase detta di “desacrazione”. La
consacrazione invece si rifà al rito di Crowley condividendo tra i presenti il seme maschile
del sacerdote mescolato in un calice con vino o altri alcolici.
Nel 1969 LaVey pubblicò la Bibbia di Satana e altri libri che sostengono
un’ideologia “satanista”. L’intento fondamentale è la liberazione dell’uomo da tutte quelle
costrizioni morali e sociali che impediscono una vera autorealizzazione.
All’interno della Chiesa di Satana si organizzò lo stesso anno il sistema delle
“Grotte”, gruppi che godono di una forte autonomia organizzativa e dottrinale
nonostante siano appartenenti alla stessa organizzazione centrale. Ad ogni grotta è
associata spesso una specifica entità “diabolica” e i relativi riti specifici.
La dottrina della Chiesa di Satana è sintetizzata nella Satanic Bible attraverso i nove
princìpi satanici 85:
- Satana rappresenta appagamento, non astinenza;
- Satana rappresenta l’esistenza vitale, non sogni spirituali impossibili;
- Satana rappresenta la saggezza sfrontata, non l’ingannevole ipocrisia;
83
84
85
LAVEY Anton Szandor, The Satanic Rituals, Avon Books, New York, 1972.
HUYSMANS Joris-Karl. Laggiù, nell’abisso, Internòs (Chiavari), 2009; versione originale: HUYSMANS
Joris-Karl, Là-bas, Tresse et Stock, Parigi 1891.
LAVEY A. S., La Bibbia di Satana, editore Arcana, 2007.
- 225 -
- Satana rappresenta la cortesia solo verso chi la merita, non amore sprecato verso
gli ingrati;
- Satana rappresenta la vendetta in luogo del porgere l’altra guancia;
- Satana rappresenta la responsabilità nei confronti di chi è responsabile, in luogo
della preoccupazione nei confronti dei vampiri psichici;
- Satana rappresenta l’uomo come nulla più che un altro animale - qualche volta
migliore ma più spesso peggiore di quelli che camminano a quattro zampe - che,
a causa del suo preteso “sviluppo divino intellettuale e spirituale”, è diventato
l’animale più vizioso di tutti;
- Satana rappresenta tutti i cosiddetti peccati, nella misura in cui portano alla
gratificazione fisica, mentale o emozionale;
- Satana è stato il miglior amico che la Chiesa abbia mai avuto, per gli affari che le
ha procurato in tutti questi secoli.
Anton LaVey e la sua Chiesa esercitarono una forte influenza su molti americani ed
europei; il libro ha infatti venduto, nelle sue ventotto edizioni, seicentomila copie, anche
se il suo significato non è chiaro a tutti in considerazione della sua ambiguità e dei facili
fraintendimenti che suscita.
Il diffondersi delle Grotte nel tempo causò numerosi problemi al “Papa Nero”, sia
dovuti alle pretese di chi ripudiava la sua organizzazione sia per via di drogati e sbandati
che, contrariamente alle dichiarazioni di estraneità dai reati rese dall’organizzazione stessa,
inscenavano rituali della Bibbia Satanica facendo sacrifici animali e abusando di droghe.
Il sistema delle Grotte, che si diffusero notevolmente, diventò presto incontrollabile.
Nel Midwest la Grotta Stygian si trovò collegata al traffico di droga; inoltre il suo capo
John DeHaven si convertì al cristianesimo evangelico dopo la decisione di LaVey di
scomunicarlo, visti i continui attacchi nei suoi confronti. Quest’ultimo decise allora di
sopprimere il sistema delle Grotte e mantenere un semplice collegamento informale fra gli
adepti isolati e la sede centrale di San Francisco.
A causa di questo cambiamento Michael Aquino, uno dei membri principali della
Chiesa di Satana, decise di lasciare l’organizzazione.
Alla morte di LaVey, la compagna Blanche Barton mantenne in vita la Chiesa di
Satana in attesa di consegnarla a Xerxes LaVey, figlio avuto dal “Gran Sacerdote di
Satana” nel 1993.
- 226 -
Le
figlie
presero
invece
strade
diverse
contribuendo
all’indebolimento
dell’organizzazione; Karla LaVey fondò la Prima Chiesa Satanica mentre Zeena LaVey, in
contrasto con il padre fin dal 1990, divenne Gran Sacerdotessa del Tempio di Set.
Il discepolo dissidente Daemon Egan (pseudonimo di John Dewey Allee) dirige la
Prima Chiesa di Satana, il cui dominio è churchofsatan.org, riprendendo la tradizione
dell’ultimo LaVey e dedicandosi soprattutto alla vendita di diplomi “satanici” per
corrispondenza.
Le “Grotte” esistenti sono ora a Vienna, New York e Salt Lake City (Utah).
I gradi attuali all’interno della Chiesa infine sono: membro attivo, strega, prete,
maestro, mago 86.
II.7 Michael Aquino e il tempio di Set: la concretezza del diavolo
Michael Aquino portò nel 1975 allo scisma della Chiesa di Satana credendo infatti
nella concretezza del Diavolo e non solo nella sua esistenza filosofica; il luogotenente di
LaVey fondò quindi il Tempio di Set. Tale organizzazione si basa su una dottrina di
rivelazione di Satana avvenuta con messaggio diretto allo stesso Aquino il 21 giugno dello
stesso anno.
La rivelazione, chiamata The Book of Coming Forth by Night, si struttura solamente su
tre pagine con le istruzioni di Satana agli uomini per poter sviluppare la scintilla divina e
contrastare vittoriosamente il cristianesimo.
Si evidenzia come nel 1966 iniziò l’Eone di Satana, anno in cui Satana indicò a
LaVey di fondare la sua Chiesa. Dal 1975 ha invece inizio l’Eone di Set, vero nome di
Satana.
Un brano tratto dalla rivelazione riporta quanto segue: «il satanista pensava di
avvicinarsi a Satana tramite il rituale. Da oggi il “setiano” deve disprezzare ogni
recitazione, perché usare un testo scritto da qualcun altro è un affronto al sé.
86
Dal 2002 GILMORE Peter H. (nato nel 1956) è il nuovo leader della Chiesa di Satana, nella cui veste di
Gran Sacerdotessa è stata cooptata la moglie Margaret “Peggy” Nadramia.
GILMORE Peter H., cfr. The Satanic Scriptures, Scapegoat Publishing, Baltimora (Maryland) 2007.
- 227 -
Parlami piuttosto come un amico, gentilmente e senza paura, e ti ascolterò come un
amico (…). Ma parlami di notte, perché il cielo diventa allora un ingresso e non una
barriera 87».
La struttura organizzativa del “Tempio” riprende in parte quella della Chiesa di
Satana: gli Ordini interni, che sostituiscono le Grotte e sono dedicati in particolare ad una
entità demoniaca, e i Piloni, aree territoriali comprendenti all’interno gli Ordini della
Chiesa.
I gradi sono in ordine crescente: Setiano, Adepto, Sacerdote o Sacerdotessa di Set,
Maestro del Tempio, Magnus e Ipsissimus. Al vertice, come nella Chiesa di Satana, c’è un
Consiglio dei Nove che affida il potere esecutivo a un Sommo Sacerdote di Set.
Il Tempio in Italia non ha molto seguito ma in ambito internazionale risulta ancora
molto attivo. Ne fanno parte persone altamente istruite che spesso risultano più legate agli
elementi neopagani del movimento, piuttosto che al “satanismo religioso” nella sua vera
accezione. Il numero di seguaci tra il 1980 e il 1990 era di circa cinquecento, cifre ad oggi
ormai raddoppiate. Gli ordini compresi all’interno del Tempio sono numerosi: Ordine di
Beelzebub, di Horus, del Leviatano, di Setne e altri come l’Ordine del Vampiro.
L’attuale sede centrale è a San Francisco mentre altri gruppi aggregati sono a Los
Angeles, in Texas e in Australia. Dal 1989 il Tempio di Set è attivo in Nord Europa,
tuttavia è nel 1991 che venne fondata la sua prima sede ufficiale in Finlandia, mentre nel
febbraio 1997 prese inizio il Black Runa Pylon in Svezia. I membri di questo gruppo
provengono da vari Paesi del Nord Europa: Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca,
Estonia e Islanda.
II.8 Charles Manson e The Family
Charles Manson 88 (il cognome, da Man e Son (figlio dell’uomo), venne deciso dalla
madre) nacque il 12 novembre 1934 a Cincinnati in Ohio.
87
88
AQUINO M., The Book of Coming Forth by Night, in appendice ad AQUINO M., The Crystal Tablet of Set,
San Francisco, TEMPLE OF SET, 1985, pp. 26-28, cit. in INTROVIGNE M., Indagine sul satanismo, cit., pp.
312, 313.
I Cui riferimenti biografici e storici sono riportati in: GUINN Jeff, Manson: The Life and Times of Charles
Manson, Simon & Schuster, First Edition 2013;
BUGLIOSI Vincent; GENTRY Curt, Helter Skelter. Storia del caso Charles Manson, Mondadori, 2006.
- 228 -
Charles venne affidato a una zia nel West Virginia poiché figlio illegittimo di Katleen
Maddox, una prostituta alcolizzata di soli sedici anni che passò gran parte della vita in
carcere per via della sua professioni e di una serie di rapine perpetrate. Lo stesso Manson
venne fermato dalla polizia per tentato furto già tra i nove e i dodici anni. Egli studiò
anche nell’Indiana alla Gibault School nel 1947 ma dopo solo un anno scappò.
Successivamente entrò al riformatorio per ragazzi di Padre Flanagan, dopo essere stato
fermato per altri furti e scassi. Nel giro di pochi mesi venne nuovamente trasferito presso
un altro istituto nello stesso Stato. Nel 1951 raggiuse la California dopo essere fuggito dal
riformatorio.
Durante il percorso compì ancora molteplici furti e fu quindi mandato al
riformatorio a Washington D.C. Lì rimase per poco poiché, dopo aver costretto, dietro la
minaccia del rasoio, un compagno di cella ad avere rapporti sessuali con lui, lo
trasferirono in Virginia al riformatorio Federale di Petersburg. Nel 1954 venne liberato,
dopo che per un periodo riuscì ad usufruire anche della libertà condizionata.
Il “figlio dell’ uomo” sposò nel 1955 una giovane cameriera, con la quale a breve
ebbe il figlio Charles Manson Jr. Dopo aver abbandonato la famiglia passò tre anni nella
prigione di San Pedro in California. Venne rilasciato sulla parola nel 1958 ma a distanza di
un anno lo accusarono nuovamente di furto e frode; tuttavia questa volta ottenne il
rilascio grazie alla testimonianza di una donna che dichiarò di essere incinta di lui. La
libertà vigilata quindi concessagli non servì a molto, visto che venne poi condannato a
scontare una pena di dieci anni, nel penitenziario di McNeil Island a Washington, per
violenza sessuale nei confronti di due donne. Fu messo in libertà il 21 marzo 1967, anno
in cui fondò una comune dopo essersi trasferito a San Francisco.
Percorrendo le strade della California su di un furgoncino nero, proprio nel noto
periodo della contestazione giovanile, della rivoluzione sessuale e della emancipazione
femminile, Manson riunì un gruppo di giovani hippies, dediti all’uso di droga, a piccoli
furti e all’amore libero, e cominciò a guadagnarsi da vivere suonando la chitarra nei night.
Nel 1968 il gruppo itinerante, chiamato “The Family” dagli stessi sociologi, si stabilì
in un ranch vicino Chatsworth in California. Qui Charles si comportò da “guru” della
libertà e dell’anarchia assoluta, utilizzando l’argomento del “Giorno del Giudizio” e
dichiarando di essere nato per portare l’Apocalisse. Il personaggio che tendeva a
interpretare era rafforzato visivamente da una folta barba e da lunghi capelli.
- 229 -
Tramite Bobby Beausoleil, membro della Famiglia, musicista dedito al culto di
Crowley nonché frequentatore di Kennet Anger, Manson entrò in contatto con il
satanismo.
Lo stesso Beausoleil uccise nel 1969 Gary Hinman, con un movente legato a traffici
di droga; su una parete della scena del crimine lasciò scritto, con il sangue della vittima, la
frase “Porco politico”.
Per scagionarlo, Manson e i suoi sostenitori decisero di commettere altri omicidi
utilizzando lo stesso modus operandi; ritenevano infatti che il tal modo la polizia si sarebbe
convinta che il vero assassino fosse ancora libero di colpire. La Famiglia uccise quindi
sette persone tra cui la moglie del regista Roman Polanski, l’attrice Sharon Tate, incinta di
otto mesi. Le vittime venivano pugnalate e mutilate ripetutamente; nella villa di Bel Air
del regista con il sangue di Sharon venne lasciata la scritta “Helter Skelter”, utilizzata in un
disco dai Beatles con il significato di “confusione”
Nonostante i pochi indizi iniziali, la polizia riuscì a ottenere le confessioni di alcuni
membri della Famiglia; per i responsabili, compreso Manson, arrivò così la condanna a
morte, poi tramutata in ergastolo vista l’abolizione nel 1972 della pena capitale in
California 89.
Protagonista nelle vicende del “figlio dell’uomo” fu la droga piuttosto che il
satanismo vero e proprio. Tuttavia la figura di Charles quale satanista convinto si diffuse
in carcere per sua stessa volontà e si rafforzò con l’aiuto di sbandati, ribelli e antisociali.
Queste categorie mitizzano e commercializzano ancora oggi la figura di un personaggio
che in realtà fu solo un assassino.
Studiosi, giornalisti e giovani, principalmente tra i quattordici e venticinque anni,
vedono in Manson l’effige di un satanismo imperante mentre squilibrati e assassini si
ispirano a lui come modello da imitare. Manson rappresenta quindi non solo un modello
satanista ma anche un’ispirazione per nuovi serial killers 90.
Steven Hurd, a capo di una “famiglia” sullo stile di The Manson’s Family, rappresenta
il primo emulatore; nel giugno del 1970 infatti percorse la California compiendo furti e
omicidi. Il gruppo sequestrò addirittura una maestra di scuola, la trascinò in un bosco e la
squartò per offrire ritualmente le parti del suo corpo a Satana e infine mangiarle.
89
90
BUGLIOSI Vincent; GENTRY Curt, Helter Skelter. Storia del caso Charles Manson, cit.
GUINN Jeff, Manson: The Life and Times of Charles Manson, Simon & Schuster, First Edition 2013.
- 230 -
Lo stesso anno la quindicenne Janet Stevens, venne ritrovata strangolata con in
bocca un ritaglio di giornale raffigurante Charles Manson.
Nel 1971 la ventiduenne Kim Brown uccise a Miami un amico di sessantadue anni
con cinquanta coltellate, dichiarandosi convinta sacerdotessa di Satana.
Sempre quell’anno il ventenne Mike Newell, nel New Jersey, convinse due suoi
amici a legargli mani e piedi con nastro adesivo e a spingerlo in uno stagno dove morì.
L’assurdità di questo gesto fu dovuta alla convinzione del giovane di compiere, attraverso
la sua morte, un infallibile rituale satanico che lo avrebbe messo alla testa di quaranta
legioni di demoni.
Nel febbraio del 1971 si venne a conoscenza a Stoccolma di una setta dalle vesti
nere, con a capo un ex sacerdote ispiratosi al “figlio dell’uomo”, che adorava un
crocefisso ricoperto di pipistrelli morti all’interno di una chiesa sconsacrata.
Nel 1974 si formò invece in California The Symbionese Liberation Army, un gruppo
formato prevalentemente da donne, che celebrava riti esoterici e si rese colpevole del
rapimento di Patricia Hearst sotto la guida di un guru fanatico.
Anche la vicenda di David Berkowitz 91, detto “il figlio di Sam”, è legata alla figura di
Manson. Berkowitz commise infatti sette omicidi a New York e nel 1977, ormai arrestato,
dichiarò alla polizia di agire per ordine di Satana, apparsogli sotto le sembianze di un
grosso cane nero. Nel 1990 inoltre si scoprì in Italia una setta di matrice satanista nella
zona di Bassano del Grappa, denominata Cerchio Satanico Charles Manson 92.
II.9 Le altre sette sataniche
Oltre alla Chiesa di Satana e al Tempio di Set si ricordano 93:
-
L’Ordine del Lupo Mannaro. Un autore di scritti sul satanismo, Nikolas Schreck,
fondò nel 1984 negli Stati Uniti l’Ordine del Lupo Mannaro (Werewolf Order).
Schreck si ispirò a LaVey ma con una particolare aggressività nei confronti del
cristianesimo. Nonostante talvolta vi sia l’impressione di trovarsi di fronte ad
eccessi ludici, i riferimenti al nazional-socialismo risultano oltremodo inquietanti.
91
92
93
www.crimelibrary.com.
www.repubblica.it.
Articolo di INTROVIGNE M. tratto da Sette e Religioni, n. 5, Gennaio-Marzo 1992.
- 231 -
Tali richiami hanno suscitato simpatie per l’ordine in ambienti satanisti del neonazismo in Germania, dove si era già diffusa negli anni Settanta la Lucifer-G ,
una organizzazione “luciferiana”.
-
La Chiesa della Liberazione Satanica. Nel 1986 Paul Douglas Valentine, professore di
inglese, fondò nel Connecticut la Chiesa della Liberazione Satanica; setta
appartenente alla stessa corrente del satanismo occultista di Aquino e ispirata
anche ai modelli europei ottocenteschi descritti in romanzi come Là-bas di
Huysmans 94. Valentine ottenne seguito contando sull’appoggio della mitica libreria
magico-occultistica di New York Magickal Childe e del suo “satanico” proprietario
Herman Slater (“Herman l’orribile”), che nell’ambiente godeva di una certa fama.
-
La Chiesa della Guerra. Questa Chiesa (Church of War, o COWAN) riprese già dalla
sua fondazione molti degli insegnamenti di LaVey. Ambigua la volontà di
dichiararsi “pagana e atea” e al tempo stesso di mantenere rituali e simboli
considerati “gli aspetti validi della religione”. La dottrina della Church of War
consiste nella celebrazione della vita come guerra di tutti contro tutti; contano
solo la forza e il coraggio senza nessuna misericordia.
La guerra, il cui simbolo è Satana, deve essere favorita in quanto rappresenta un
grande rituale satanico pubblico. Questa setta si è quindi conquistata seguito celebrando
gioiosamente le guerre del mondo e proclamando il suo odio per chi ama la pace.
Per quanto concerne le sette sataniche in Italia si ricorda 95:
-
Amici di Cthulhu. Questa setta risulta essere nata a Roma di recente. Essa avrebbe
fatto riferimento, secondo quanto riportano i mass-media, anche alla casa
editrice Fanucci. Cthulhu è una divinità partorita dalla fantasia del famoso
scrittore Howard Philip Lovecraft (1890-1937).
-
Cerchio satanico. Si tratterebbe di una setta clandestina, ispirata al pensiero ed alle
azioni di Charles Manson, con sede a Bassano del Grappa.
-
Chiesa di Seth. Secondo l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi questa setta avrebbe
dato «appuntamento a Roma a tutti i suoi adepti satanisti per evocare l’Anticristo
in una grande battaglia cosmica, all’alba del 2000, che dovrebbe trascinare nel
caos l’intera città 96».
94
95
96
HUYSMANS Joris-Karl, Là-bas, Tresse et Stock, Parigi, 1891, (tr. it.: NELL’ABISSO, ECIG, Genova 1988).
FIORI MORENO, Satanismo e sette religiose, Aleph Edizioni, Montespertoli (FI), 2000, pp. 84-98.
GATTO TROCCHI C., Le sette in Italia, Newton, Roma, 1994.
- 232 -
-
Chiesa nera luciferiana. Detta anche Confraternita Luciferiana, questa setta, con
sede a Roma, è stata fondata dall’occultista Sergio Gatti, in arte Efrem del Gatto.
Essa segue il culto di Lucifero, ritenuto il principe perfetto di gran lunga
superiore a Satana. Gli adepti sono circa centocinquanta. Nei riti si eseguono
flagellazioni liberatorie e durante le messe nere si tagliuzzano mani e braccia per
offrire sangue al loro signore.
-
Eletti di Satana Astarottiani. Si tratterebbe di una nuova setta nata dalla fusione di
quella romana degli Eletti di Satana e della casa madre di Berlino, i Seguaci di
Astaroth. Per farne parte bisogna pagare una cospicua tassa d’iscrizione. Le
attività della setta consistono nell’adorazione del Diavolo, nella pratica di riti di
magia nera e orge. Responsabile della setta sarebbe Veronica Escobar mentre la
fondatrice sarebbe Patrizia Silvestri. La setta ha sede a Roma, Bologna, Firenze,
Viareggio, Genova, Torino, Udine, Ancona e Palermo. Secondo l’Escobar alla
setta affluiscono soprattutto le persone rifiutate dalla Chiesa, in modo speciale
gli omosessuali. La setta balzò agli onori della cronaca perché alcuni suoi adepti
al motto «La Chiesa vi toglie, Satana vi dà», distribuirono ai passanti delle
banconote da cinquanta e cento mila lire; il fatto avvenne in otto città italiane.
-
Figli del Demonio. L’esistenza di questa setta si è appresa da un articolo pubblicato
nel quotidiano “La Padania”. L’autore raccontava di aver incontrato il Maestro,
presentatosi con lo pseudonimo di Ereshkigal (eroe delle leggende iraniane
nell’epoca pre-Zaratustra), il quale gli aveva mostrato un testo in sanscrito,
tradotto in inglese, dove si parlava di un patto con la setta di Shoko Asahara
(responsabile degli episodi terroristici nel marzo del 1995 a Tokyo). I Figli del
Demonio si definivano servi fedeli di Angra Maniyu (spirito del male nelle
mitologie orientali). A due giorni dall’uscita dell’articolo il giornalista aveva trovato
nella propria cassetta della posta una lettera nella quale veniva avvertito: «…stai
attento! I figli di Angra Maniyu possono scatenare il loro padre su di te!... non
scrivere più di noi… brucia le registrazioni. Dimenticati della nostra esistenza».
-
Figli di Satana. Si tratterebbe di una setta clandestina attiva in Piemonte e dedita
soprattutto alla profanazione dei cimiteri di campagna.
-
Grande Ordine di Satana. Il fondatore di questa setta è il Mago Loitan, al secolo
Loredano Zito, un’ex guardia giurata con precedenti per possesso di armi e
- 233 -
munizioni, furto, detenzione e spaccio di stupefacenti. Egli officiava a San
Giustino, provincia di Perugia. La setta era anche conosciuta come Luce degli
inferi. Il gruppo, ormai non più attivo vista la conversione al cristianesimo di
Zito, contava circa duecento adepti in tutta Italia con chiese sparse in alcune
regioni e composte da venti-trenta persone.
-
Ierudole di Ishtar. È un misterioso gruppo satanista tutto femminile, di cui si è
scoperta traccia a Pescara.
-
Iod Astrum Aurum. Nel settembre 1994 venivano segnalati sul quotidiano “Il
Piccolo” alcuni episodi di riti satanici celebrati in una grotta nei pressi di
Padriciano (Trieste). Dalle indagini è emerso che esisteva un gruppo satanista i
cui adepti, durante le messe nere, facevano uso di sostanze stupefacenti,
immolavano animali, profanavano ostie consacrate ed altri paramenti rubati in
vari luoghi di culto e svolgevano pratiche sessuali contro natura. Tutti gli adepti,
tra cui un ex attivista di Avanguardia Nazionale, sono stati identificati.
-
Satanael-Universale Fratellanza della Luce Nera. La setta, sita a Santeramo in Colle
(Bari), cura anche la pubblicazione di una rivista di studi satanici denominati
Black Star. Il responsabile è un impiegato di una ditta privata.
-
Setta del Laterano. La setta avrebbe sede a Roma; la sua esistenza è stata rivelata da
due articoli pubblicati il 19 ed il 20 febbraio 1997 sul quotidiano Il Messaggero.
Dalle indagini è risultato che questa setta conterebbe circa una trentina di adepti,
tra cui anche un esponente di rilievo del Cipia (Centro Italiano di Psicologia e di
Ipnosi Applicata).
-
Tempio di Set. È il più importante gruppo satanico americano, fondato nel 1975
da Michael Aquino. La filiale italiana, sita a Napoli, è stata accusata di aver
organizzato una messa nera nei sotterranei dello Stadio San Paolo.
-
Tempio del Sole d’Oro 97. La setta, con casa madre a Roma, era diretta dal Gran
Sacerdote Ieronimus. Per entrare nell’organizzazione ed essere iniziati gli adepti
pagavano dalle cinquanta alle cento mila lire. I riti d’iniziazione avvenivano a
Roma e sembra che dalla casa madre romana dipendessero alcune centinaia di
sacerdoti sparsi in tutta Italia. Vi è una sede anche ad Arezzo guidata dal mago
Aretinus, al secolo Agostino Chiasserini. In una perquisizione nella sua
97
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/08/ecco-le-nostre-messe-nerecon.html.
- 234 -
abitazione la polizia aveva sequestrato simboli fallici, calici, catene, fruste, bare in
miniatura, asce, coltelli e una serie di documenti ritenuti interessanti dagli
inquirenti.
-
Orgasmo Nero. Si conosce ben poco di questo gruppo di recente fondazione.
Esiliati da altre sette, gli adepti sarebbero dediti alla pedofilia e ad ogni sorta di
connubio sesso-morte. Tre le sedi: nel quartiere Italia, sul litorale a sud della
capitale e sulla Tiburtina. Secondo alcuni, gli adepti di questa setta farebbero uso,
durante i riti, di sangue umano e droghe; questi sarebbero inoltre sottoposti a
minacce psicologiche e fisiche volte a condizionarli. La divinità adorata è
Belzebuth, dalle ali di pipistrello, di cui dicono di essere figli prediletti.
- 235 -
CAPITOLO III
TECNICHE DI PROSELITISMO SATANICO
III.1 L’ingresso nel mondo satanico
La scelta di adesione a un movimento satanico non può essere la medesima di chi
sceglie un qualsiasi nuovo culto religioso. Il satanismo celebra l’icona del male che ribalta
la morale e rifiuta la società mentre i nuovi culti si limitano a proporre una via alternativa
per raggiungere felicità, vita eterna e verità.
Nel satanismo, principalmente quello definito “acido”, viene messo in discussione lo
stesso concetto di “scelta”. Per i movimenti religiosi si tratta comunque di una scelta
volontaria, nel culto del Demonio invece gli adepti sono vittime di un adescamento
talvolta anche violento. Coloro che partecipano a messe nere e altri rituali, soprattutto a
sfondo sessuale, vengono spesso costretti a compiere atti contro la loro volontà;
quest’ultima viene annichilita dal gruppo stesso in un procedimento di alienazione
dell’adepto e di sottomissione. Il proselitismo settario non è esplicito e i principali
strumenti di condizionamento, almeno per il “ satanismo acido”, sono la violenza, la
droga e le minacce che portano la vittima a non poter più lasciare il gruppo.
Per far intendere come i partecipanti ai riti siano vere e proprie vittime basta citare
un famoso caso di cronaca. Nel 1985 a Bologna i componenti di una setta satanica
rapirono e drogarono una giovane signora per farne una vittima sacrificale per una messa
nera. Il processo, risalente al 1996, che ha portato alla condanna di alcuni membri della
setta, si servì della perizia del medico-legale Arone Di Bertolino della Società Italiana di
Psicoterapia e Ipnosi.
La donna, ospite in casa di un’amica, venne narcotizzata sciogliendo in una tazzina
di caffè un composto di bromidrato di scopolamina e cloridrato di cocaina;
successivamente un uomo e una donna, ospiti anch’essi, la ipnotizzarono.
Una volta ottenuta la completa padronanza della volontà della donna, i due la
trasportarono in una casa isolata; qui una ventina di persone incappucciate la sottoposero
a un rituale. Alla fine della messa nera le vennero impartite le istruzioni post-ipnotiche e
rivolte pesanti minacce di morte nel caso avesse rivelato quanto successogli.
- 236 -
Il giorno successivo la donna cominciò a ricordare i fatti in maniera frammentaria; il
successivo intervento dello psichiatra permise invece di rimuovere i traumi psicologici
subiti dalla vittima e di ricostruire in sede processuale le fasi del caso.
Un’altra caratteristica delle sette sataniche, che le distingue dai nuovi culti religiosi,
consiste nel coinvolgimento in maniera prioritaria di minori, vista la loro suggestionabilità
e la scarsa capacità di giudizio. In questi casi il cosiddetto “lavaggio del cervello”, di cui si
tratterà in seguito, ha un ruolo assai marginale, vista la facilità di condizionamento che la
setta può esercitare sul giovane.
Oltre al modello di ingresso nel mondo satanico tramite l’uso di violenza da parte
del gruppo, esiste tuttavia l’ipotesi di scelta volontaria. Le droghe e le minacce, come
strumenti di reclutamento, hanno infatti significato nel caso di sette clandestine dedite al
“satanismo acido”; quando si parla di movimenti istituzionalizzati, come la Chiesa di
Satana californiana, il discorso è ben diverso.
La filosofia del “satanista razionalista” ruota attorno ai cardini del mito nietzschiano
del “super-uomo”, dell’ipervalutazione del sesso libero, della fama e della ricchezza.
Questa forma di satanismo propone una felicità immediata e terrena per chi vede il
Diavolo come simbolo del culto dell’uomo.
Coloro che non sono in grado di realizzarsi normalmente nella società, possono
considerare il satanismo come uno strumento di realizzazione alternativo, semplice e
risolutivo.
Michele Del Re, nel compiere un’attività di profiling, afferma che chi aderisce a un
culto satanico possiede le caratteristiche del “criminale sociopatico”, tra le quali le
principali sono 98:
- incapacità di formare durevoli relazioni sociali, cui corrisponde il valutare le
persone come se fossero oggetti inanimati;
- mancanza dei valori comunemente accettati e conseguente difficoltà di trovare
modelli all’interno della società;
- atteggiamento antisociale che si traduce in commissione di atti violenti, spesso a
carattere gratuito, e comportamento parassitario unito al bisogno di ricevere
fiducia ed essere gratificato;
- incapacità di provare senso di colpa;
98
DEL RE M., Satanismo e new age, www.airesis.net.
- 237 -
- mancanza di coscienza etica: attacchi di furia violenta e un comportamento
aggressivo e pericoloso sono la risposta alle sue normali frustrazioni;
- tendenza al comportamento bizzarro e grottesco ovvero tendenza a cercare alti
livelli di eccitamento ed emozione;
- atteggiamento di brutalità verso gli animali, che è manifestazione della
insensibilità per il dolore altrui;
- comportamento sessuale eccessivo e perverso, caratterizzato soprattutto da
componenti sado-masochistiche;
- impulsività e infantilismo di comportamento che non riesce a rinunciare a piaceri
immediati per mete più lontane;
- simpatia superficiale e buona intelligenza, tanto che non di rado il soggetto è
visto come una persona di fiducia;
- tendenza a mentire, irresponsabilità e inaffidabilità.
Del Re evidenzia inoltre come si possano individuare ulteriori tre categorie di
satanisti “ perversi” 99:
- il “satanista psicopatico”, che vive senza sensi di colpa e conflitti interni la sua
perversione, degradando la vittima a mero oggetto di soddisfazione lipidica;
- il “satanista nevrotico”, che vive la perversione sotto forma di coazione a
ripetere, prescindente dal piacere e dalla convenienza. È accompagnato da sensi
di colpa e angoscia costante; egli prova sollievo attraverso forme di espiazione
come autopunizioni, rivolgendosi all’esorcista o stipulando un “patto col
Diavolo”. Paradossalmente infatti tale patto limita la sua perversione e lo libera
da una responsabilità personale;
- il “satanista psicotico”, rientra nella categoria del malato organico, comprendente
schizofrenici e psicotici in generale; per tutti questi soggetti la perversione
rappresenta un sintomo accessorio al loro disturbo mentale.
Un’ulteriore problematica delicata che riguarda l’ingresso nel mondo satanico è
quella, prima soltanto anticipata, legata al lavaggio del cervello. Questa tecnica viene
presentata da psicologi e studiosi come spiegazione plausibile del perché una persona
normale, senza problemi psichici, rimanga integrata in una setta al punto tale da perdere la
propria capacità critica e la propria identità.
99
RANZATO F. P., La perversione umana, Roma 1983.
- 238 -
Nel suo significato più specifico, “lavare il cervello” significa rimuovere ogni
pregressa convinzione, volontà e opinione per impiantare in un individuo una nuova serie
di pensieri, atteggiamenti e valori. Una persona verrebbe così deprogrammata e
riprogrammata in maniera tale che accetti solo il nuovo modello impiantato da chi ha
condotto l’operazione di lavaggio.
Contro questa concezione si sono tuttavia schierati studiosi come J. Gordon
Melton 100 e Massimo Introvigne, i quali ritengono che il “lavaggio del cervello” sia
totalmente irrealizzabile.
In una presentazione del suo libro “Il lavaggio del cervello” 101, del 28 maggio 2002 a
Milano, Introvigne ha evidenziato tre situazioni possibili identificabili in genere come
modalità di lavaggio del cervello:
- Il totalitarismo. Rappresenta la situazione in cui, all’interno di uno Stato, tutto il
potere è nelle mani di un gruppo dominante che prende ogni decisione e esclude
le interferenze. In questo contesto non sono possibili le manifestazioni di un
pensiero “incondizionato”; gli individui sono così sottoposti a un lavaggio del
cervello operato dalla classe dominante 102.
- Il disco di ricambio. Si è diffusa l’opinione secondo cui i soldati vietnamiti fossero in
possesso di una tecnica per manipolare la mente, efficace al punto da riuscire a
eliminare la coscienza sociale dei militari americani e impiantarne un’altra nuova
che li mettesse dalla loro parte. La nuova coscienza si sostituisce così alla vecchia,
come quando si cambia un disco su un impianto musicale.
- La tortura. La volontà dell’uomo viene sostituita tramite l’uso della forza, che
rende ogni individuo docile ai nuovi insegnamenti.
Nonostante questa classificazione Introvigne ritiene che una persona non possa
perdere totalmente e definitivamente la concezione di sé stessa; infatti una volta
allontanatasi dalla setta può ricominciare a vivere la vita precedente, se pur con molte
difficoltà iniziali 103.
100
101
102
103
MELTON Gordon, Brainwashing and the Cults: The Rise and Fall of a Theory, www.cesnur.org.
INTROVIGNE M., Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici-Leumann, Torino, 2002.
Negli anni dell’antagonismo U.S.A./U.R.S.S., la frase “comunista mangiatore di bambini”, costituisce
la risposta americana alla domanda sul perché i popoli dell’Est possano vivere il comunismo senza
combatterlo.
Per ulteriori riferimenti critici si veda anche ALETTI M., ALBERICO C., Tra Brainwashing e libera scelta. Per
una lettura psicologica dell’affiliazione ai Nuovi Movimenti Religiosi, 1999, in www.cesnur,org.
- 239 -
La mente umana non sarebbe quindi resettabile e riprogrammabile, così come
sostiene chi crede nella completa efficacia delle tecniche di lavaggio del cervello.
Margaret T. Singer 104 si occupa della questione con una concezione meno radicale
che spiega il brain-washing come manipolazione, anche temporanea, di una condotta. Si
tratterebbe di una “truffa psicologica” che determina profondi cambiamenti
nell’atteggiamento e nella morale delle vittime. Queste manipolazioni sono definite
“programmi”, poiché i mezzi con cui si porta al cambiamento vengono coordinati e la
“riforma del pensiero” consta di un processo di trasformazione graduale.
Singer individua sei condizioni necessarie per realizzare la riforma del pensiero:
- mantenere la persona inconsapevole dell’esistenza di un’agenda intesa a
controllarla o cambiarla;
- controllo del tempo e dell’ambiente fisico (contatti, informazione);
- creazione di un senso di impotenza, paura e dipendenza;
- soppressione di vecchi comportamenti e attitudini;
- instillazione di nuovi comportamenti e abitudini;
- affermazione di un sistema logico chiuso.
Lo psicologo Edgar Schein 105 indica tre stadi che vengono attraversati dalle vittime
mentre la setta opera la modificazione del loro atteggiamento:
- Scongelamento. In questa fase in senso di sé e di come funziona il mondo viene
destabilizzato da lezioni, conferenze, confessioni e confronti. Si porta il soggetto
a pensare che il proprio modo di vedere la realtà sia errato; si propone quindi la
giusta condotta e i giusti ragionamenti, portando a una forte crisi d’identità.
- Cambiamento. La dipendenza e la soggezione al leader aumentano con il crescere
dell’ansia e del dubbio nel neofita. Una volta raggiunto il livello adeguato di
sudditanza, i comportamenti suggeriti vengono eseguiti come se fossero
autonomamente voluti.
- Ricongelamento. Tale ultimo stadio si raggiunge nel momento in cui la setta
consolida il comportamento del nuovo adepto, utilizzando ricompense socio-
104
105
SINGER M. T., Cults in our midst. The hidden menace in our everyday lives, Jossey-Bass Publishers, San
Francisco, 1995.
SCHEIN E., Coercive Persuasion. A Socio-Psychological Analysis of “Brainwashing” of American Civilian Prisoners
by the Chinese Communists, W. W. Norton, New York, 1961.
- 240 -
psicologiche e punendo gli atteggiamenti indesiderati con forti critiche e
umiliazioni.
La nuova identità, voluta dal gruppo, si sostituisce alla precedente; tuttavia talvolta
l’adepto è consapevole di essere plagiato ma la paura di non essere più in grado di tornare
alla società comune lo spinge a rimanere nella setta.
La fase di allontanamento dalla società e quella di radicamento nel gruppo
comprendono il fenomeno del “love bombing” 106. Un sentimento di fratellanza viene così
fatto percepire al nuovo seguace; vengono riposte in lui attenzioni e cure esagerate in
cambio di altrettanta attenzione e disponibilità, la quale porta il soggetto a dedicarsi in
maniera esclusiva alla setta. L’adepto perde quindi le sue capacità critiche e si identifica
con la dottrina settaria, abbandonando completamente la realtà. A contribuire a questa
metamorfosi vi sono inoltre riti specifici e un linguaggio esclusivo della setta; entrambi
elementi che concorrono a operare il cosiddetto “lavaggio del cervello”.
III.2 I libri criminogenetici
Il numero di libri sui nuovi movimenti religiosi, sulla stregoneria e sul paganesimo è
aumentato notevolmente nel corso degli ultimi anni. Le sezioni appositamente dedicate a
questo tipo di scritti sono ormai presenti in molte librerie; alcune di queste trattano tale
materiale in maniera esclusiva. Solo negli U.S.A. vi sono centinaia di libri sul tema della
stregoneria, delle sue tecniche e delle sue arti; nel settore definibile come consumer, i
romanzi usano infatti l’occulto come fattore principale delle trame.
La casa editrice nordamericana Avon Books è specializzata nella pubblicazione di
libri sul paganesimo e sulla stregoneria. Questa pubblica anche le opere, di Anton Szandor
LaVey, The Satanic Bible 107 e The Satanic Ritual 108, le quali rappresentano i testi sul genere
più popolari negli U.S.A. Il primo libro raccoglie la filosofia e le pratiche di introduzione
al satanismo di LaVey; il secondo include numerosi riti, compresi riti distruttivi di magia
nera per nuocere e/o portare morte a distanza.
106
107
108
USAI A., Profili penali dei condizionamenti psichici. Riflessioni sui problemi penali posti dalla fenomenologia dei nuovi
movimenti religiosi, Giuffrè, 1996.
SINGER Margaret, Cults in Our Midst- Le sette tra noi, Jossey-Bass Publishers, 1995.
Pubblicata per la prima volta nel 1969 da Avon Books.
LAVEY Anton Szandor, The Satanic Rituals: Companion to The Satanic Bible, Avon, 1976.
- 241 -
Gli adolescenti imparano, nella maggior parte dei casi, le fondamenta dei culti magici e
pagani proprio da questi libri; Infatti, molti testi sulla stregoneria sono venduti anche in
grandi magazzini e supermarket. Gli stessi satanisti sfruttano l’opportunità di facile
reperibilità di alcuni scritti proprio per compiere attività di proselitismo, enunciando in essi
le proprie finalità, descrivendo il proprio gruppo e gli obiettivi settari. Gli elementi satanici
si riscontrano facilmente anche in fumetti, giochi di ruolo, videogames e in testi scolastici,
basti pensare per esempio ad alcuni scritti di Milton, Carducci, Leopardi e Baudelaire 109.
109
Nel suo Inno a Satana, composto nel 1869, Carducci declama: “A te disfrenasi / il verso ardito, / te invoco,
Satana, / Re del convito. / Via l’aspersorio, / Prete, e il tuo metro! / No, prete, Satana / non torna indietro! / (...)”.
Il diavolo di Carducci, a ogni modo, simboleggia la trasgressione, il rifiuto della morale corrente,
l’anticlericalismo, lo scetticismo e altro ancora.
Baudelaire (1821-1867), del demonio, nelle Litanie di Satana, scrive: “Tu, tra gli angeli tutti il più bello e
dotato, / Dio tradito dal caso e di lodi privato, / o Satana, pietà del mio lungo patire! / Principe dell’esilio, stretto da
ingiusta sorte, / e che ti risollevi, vinto, sempre più forte, / o Satana, pietà del mio lungo patire! / (...)”. Nella
Preghiera così declama: “Sia gloria e lode a te, Satana, nel più alto / dei cieli dove un tempo regnasti e nel profondo
Inferno / dove in silenzio, vinto, sogni! / Possa la mia anima un giorno riposarti accanto / sotto l’albero della scienza
nell’ora che i suoi rami / si intrecciano, tempo novello, più su della tua fronte”, ( BAUDELAIRE C., I fiori del male, in
POESIE E PROSE, Milano 1977).
DE SADE affermò che “Tutto è male, tutto è opera di Satana”; BLAKE William (1757-1827), nel Matrimonio
del Cielo e dell’Inferno del 1790, esaltò la ribellione dell’uomo contro Dio.
MILTON (1608-1674) scrisse, nel 1667, l’epopea “Il paradiso perduto” che influenzò “l’immaginario russo” e,
al proposito, “un interessante studio di Valentin Boss, pubblicato nel 1991, mostra come presso gli intellettuali a
partire dal Settecento un elemento diabolico si affermi in una particolare incarnazione: il fascino del personaggio di
Satana nel Paradiso perduto di John Milton, che (come era avvenuto, ma su scala minore, in altri paesi europei) viene
apprezzato per le sue qualità “nobili” ed “eroiche” e diventa una figura positiva, un oggetto di culto - di tanto in tanto
non solo letterario - fino a ispirare circoli occulti e la nascita di un vero e proprio satanismo” (INTROVIGNE M.,
Indagine sul satanismo, Milano 1994).
LEOPARDI, nel suo canto Ad Arimane (il diavolo nella religione dei persiani) sostiene: “Re delle cose autor del
mondo, arcana / malvagità, sommo potere e somma intelligenza, / eterno dator dei mali e reggitor del moto”. Non
sfuggono neppure le diverse affinità tra LEOPARDI e DE SADE. La conoscenza, anche non approfondita
delle loro opere, pone subito in luce, scrive RIGONI Mario Andrea, alcune indicative analogie e cioè “che
la convinzione della nullità dell’uomo nell’universo e, per conseguenza, la denuncia dell’insensato orgoglio antropocentrico, la
visione di una natura indifferente e crudele nei confronti delle proprie creature, l’idea della divorante infinità del “desiderio”
ecc. sono temi assolutamente comuni”, (RIGONI M. A., Il pensiero di Leopardi, Milano 1997).
Nello Zibaldone LEOPARDI scrive, nelle pagine datate 19-22 Aprile 1826: “Tutto è male. Cioè tutto quello che
è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il
fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti
ad altro che al male”, (Zib., 4174). Il poeta vede quindi la vita come la manifestazione dell’essenza del male.
Per LEOPARDI l’infinito e la stessa divinità sono il nulla: “In somma il principio delle cose, e il Dio stesso, è il
nulla”, (Zib. 1341: 18 Luglio 1821). Egli scrive ancora: “Pare che solamente quello che non esiste, la negazione
dell’essere, il niente, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla. Pare
soprattutto che l’individualità dell’esistenza importi naturalmente una qualsivoglia circoscrizione, di modo che l’infinito
non ammetta individualità e questi due termini sieno contraddittorii; quindi non si possa supporre un ente individuo che
non abbia limiti”, (Zib. 4178: 2 Maggio 1826).
LEOPARDI vede addirittura il regno del male necessario nel sistema sociale e RIGONI, nel suo lavoro,
scrive: “È da ricordare che nel 1829, in polemica con Rousseau, egli aveva ribadito il carattere non
eccezionale o accidentale, ma essenziale e ordinario del male nel sistema delle cose. … Che epiteto dare a
quella ragione e potenza che include il male nell’ordine, che fonda l’ordine nel male, se non appunto quello di un
dio? Quattro anni più tardi, poco prima del 29 Giugno 1833, LEOPARDI lo troverà nella religione
mazdeica o zoroastriana, progettando di riversare il suo disperato satanismo in un inno Ad Arimane”.
- 242 -
I testi di più frequente consultazione da parte di chi studia e pratica il satanismo,
oltre ai già citati testi di LaVey, sono:
- il Malleus Maleficarum 110 degli inquisitori H. Kramer e J. Sprenger, disponibile in
molte traduzioni e edizioni;
- parecchi libri di Aleister Crowley, fra i quali Magick in Theory and Practice 111 e The
Book of the Law 112;
- il celebre testo sulla magia nera di Richard Cavendish, The Black Arts 113;
- The Satanic Mass, di H.T.F. Rodhes, profondo viaggio nell’abisso delle messe nere
e delle loro oscure cerimonie di morte;
- vari dizionari dell’occulto più o meno autorevoli.
Altri libri degni di nota dal punto di vista criminogenetico sono gli antichi “grimori”,
testi su cui si troverebbe l’arcano ed occulto sapere delle potenze infernali, grazie ai quali i
satanisti possono ispirarsi per le loro condotte devianti 114.
Esistono inoltre molti opuscoli e manuali clandestini sul satanismo 115, solitamente
passati da un satanista all’altro o all’interno di piccoli gruppi di giovani. Un esempio è
rappresentato da Il potere di Satana, opuscolo che veniva distribuito da un piccolo gruppo
statunitense chiamato “Associazione continentale della speranza in Satana”.
In Italia è molto famoso il Vangelo Infernale di Marco Dimitri, summa dottrinale
dattiloscritta della sua setta denominata “I Bambini di Satana” 116; tuttavia per molti questo
testo rappresenta solo un semplice “kamasutra pornografico”.
La maggior parte dei satanisti tiene infine al proprio Libro delle tenebre. Questo è il
diario privato dell’adoratore di Satana, il suo giornale dell’occulto, la sua raccolta di riti,
regole, formule e documenti importanti concernenti il gruppo satanista 117.
110
111
112
113
114
115
116
117
Pubblicato per la prima volta nel 1487.
CROWLEY A., Magick (a cura di SYMONDS John e GRANT Kenneth), Astrolabio Ubaldini, 1976.
Conosciuto maggiormente come “Liber AL vel Legis”, The Book of the Law o italianizzato “Il Libro
della Legge”, scritto da CROWLEY Aleister nel 1904, è il principale testo sacro del Thelema.
Prima edizione del 1967, edizione consultata: CAVENDISH R., The Black Arts, (a cura di FUSCO
Sebastiano), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1994.
Uno su tutti, il Necronomicon, viene utilizzato anche per trame cinematografiche sui fenomeni occulti.
In Italia circolano soprattutto sotto forma di fanzines, autoprodotte e distribuite tra i centri sociali o da
alcuni locali che vendono musica alternativa (black metal, death metal, electro goth, doom, ecc.).
DIMITRI e i suoi collaboratori, nel Vangelo Infernale, danno una definizione di morale senza-dio: «Satana
è denaro, arte e orgasmo, musica, lesbismo e tradimento. Il vero dannato se ne infischia anche dei viziosi suoi complici: li
usa e li fotte». INTROVIGNE M., I satanisti: storia, riti e miti del satanismo, SugarCo Edizioni, Milano 2010.
La maggioranza di questi testi è scritta a mano, talvolta vengono scritti col proprio sangue o con quello
di un animale. Inoltre alcuni presentano decorazioni e disegni raffiguranti una simbologia esoterica
complicata e addirittura insensata; altri sono taccuini a spirale o composti di fogli sciolti scarabocchiati.
- 243 -
III.3 Il cinema satanico
Film storici nel palcoscenico satanico sono stati Rosemary’s baby 118, L’esorcista 119 e
Damien 120; tuttavia sono numerose le opere di successo sul tema come Giorni contati - End
of days, che riprende il film di Polanski sotto la chiave di film d’azione con Arnold
Schwarzenegger e Stigmate 121, incentrato sulla possessione demoniaca. Inoltre, La nona
porta 122, sempre di Polanski, è basato sulla ricerca di antichi grimori da parte di un
collezionista satanista 123. Vi sono poi vari film horror di serie B, che trattano la materia e i
suoi sottogeneri direttamente o velatamente.
Tra il 1970 e il 1990, soprattutto il Italia, più di duecento film dell’orrore di
importanti case produttrici e distributrici hanno invaso il panorama cinematografico,
principalmente con trame sataniche o demoniache 124.
Il genere gore e splatter si è arricchito fortemente negli ultimi anni portando a film con
numerose scene di sangue; questa inversione è avvenuta dopo un lungo periodo in cui a
prevalere era il lato sessuale legato alla ritualità del gruppo. Si può comunque notare come
sia il lato sanguinario sia quello sessuale siano comunque entrambi presenti, anche se in
dosi diverse, nelle opere cinematografiche del genere satanico.
I film splatter o gore sono un genere horror, in cui è possibile avere la percezione
del sangue unita a quella del maligno e del male stesso. Lo spettatore è in grado, grazie agli
effetti speciali, di sperimentare il massimo della repulsione e del disgusto.
118
119
120
121
122
123
124
Per esempio, il “Libro nero” di un adolescente può essere un’agenda rilegata, un taccuino o un comune
libro a fogli bianchi rivestiti in tessuto o in pelle, che viene spacciata per pelle umana. È chiaro quindi
come non esistano due “libri delle tenebre” identici; ognuno è personale, segreto e gelosamente
custodito come se fosse investito del proprio potere magico.
Rosemary’s Baby - Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby) è un film del 1968 diretto da POLANSKI
Roman, tratto dall’omonimo romanzo di Ira LEVIN; la trama, come già sottolineato, compie esplicito
riferimento alla Chiesa di Satana.
L’esorcista (The Exorcist) è un film del 1973 diretto da FRIEDKIN William e tratto dall’omonimo
romanzo di BLATTY William Peter, che scrisse anche la sceneggiatura. Sono usciti nelle sale due sequel:
L’esorcista II - L’eretico del 1977, e L’esorcista III del 1990; e un prequel: L’esorcista - La genesi del 2004.
La maledizione di Damien è un film del 1978, diretto dal regista TAYLOR Don, sequel di Il presagio. La
pellicola è stata distribuita anche con il titolo La maledizione di Damien II e Omen II - La maledizione di
Damien.
Stigmate (Stigmata) è un film del 1999 diretto da WAINWRIGHT Rupert.
La nona porta (The Ninth Gate) è un film del 1999 diretto da POLANSKI Roman, tratto dal romanzo IL
CLUB DUMAS dello scrittore spagnolo PÉREZ-REVERTE Arturo.
I principali film satanici vengono approfonditi in: D’AMATO Marina, Immaginario e satanismo. Nuovi
percorsi di identità giovanile, libreria universitaria.it, 2009.
TACCINI Brando, Stracult Horror. Guida al meglio e al peggio del cinema horror italiano anni Ottanta, Roma,
Quintilia, 2012.
- 244 -
Tuttavia tali scene hanno una certa ilarità, apparendo irreali e avvalorando quindi la
tesi della violenza catartica.
Ciò che conta sono solo le sensazioni che lo spettatore prova, queste portano alla
distorsione o anche alla sospensione della percezione della realtà; viene interrotta la
propria valutazione critica e si lascia che il terrore susciti un’emozione alternativa rispetto
alla quotidianità 125. Nella maggior parte di questi film la causa principale di tensione è
dovuta al fatto che il male risulta essere subdolo, sottile e vincitore; non è mai manifesto e
concreto come per le rappresentazioni antecedenti agli anni Sessanta 126.
Nel genere satanico settario rientrano tutte le pellicole tipiche del genere satanico
propriamente inteso, cioè quelle che fanno capo a conventicole sataniche che si
riuniscono in tombe, segrete, grotte o ville per effettuare i riti satanici, tra cui addirittura
sacrifici umani. In questa categoria rientrano, nella finzione filmistica, la ricca società
borghese che Crowley usava definire come ricchi debosciati, che vogliono mettere sale
nella loro sessualità e pepe nelle loro perversioni ma che tuttavia non prendono sul serio
le loro stesse pagliacciate.
I film più rappresentativi di questo genere sono: The black cat (1934) di Edgar G.
Ulmer e interpretato da Boris Karloff, incentrato sulla figura di un uomo, adoratore del
Diavolo, creatore di un culto blasfemo; La settima vittima (1943) di Mark Robson, che
racconta la storia di una ragazza che conoscerà la setta dei palladisti, moderni adoratori
del Diavolo, che uccidono solo se obbligati; La corta notte delle bambole di vetro (1971) di
Aldo Lado, dove una setta satanica ben ramificata nel mondo adesca giovani per
introdurli in riti satanici orgiastici; Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea
(1972) di Riccardo Freda, in cui alcuni giovani vengono massacrati, dopo essersi ritrovati
per caso in una villa dove si praticano messe nere; Tutti i colori del buio (1972) di Sergio
Martino, dove Edwige Fenech è preda di una setta satanica dedita a rituali sessuali; Il
profumo della signora in nero (1974) di Francesco Barilli, in cui una donna è scelta, a Roma,
come vittima predestinata da una setta stregonesca per un pasto tra cannibali; Il maligno
(1975) di Robert Fuest, racconta di una conventicola satanica che effettua riti satanici con
sacrifici di caproni; In corsa con il Diavolo (1975) di Jack Starret, storia di una coppia che
125
126
NEPOTI Roberto, Lo splatter (il montaggio) e l’imago del corpo in frammenti, in THE BODY VANISHES. LA
CRISI DELL’IDENTITÀ E DEL SOGGETTO NEL CINEMA AMERICANO CONTEMPORANEO, Torino,
Lindau, 2000.
CURTI Roberto e LA SELVA Tommaso, Sex and Violence. Percorsi nel cinema estremo, Torino, Lindau, 2003.
- 245 -
assiste a dei riti satanici senza essere creduta da nessuno; Satan’s slaves (1976) di Norman J.
Warren, basato sulla vita di una ragazza che, rimasta orfana, si trasferisce dallo zio e dal
cugino senza sapere della loro volontà di sacrificarla a Satana.
Nel genere satanico settario a sfondo apocalittico le conventicole di tipo satanista
hanno, nell’effettuare riti satanici, finalità che vanno oltre l’adorazione del “dio”. Il fine è
quello di far partorire, a delle ragazze ignare, l’Anticristo, figlio di Satana, per consentirgli
di portare l’Apocalisse sulla terra, facendo così trionfare il Regno delle tenebre. Talvolta è
Satana stesso a decidere di tornare da solo sulla terra per far nascere l’Anticristo.
Rientra in questo genere Rosemary’s baby (1968) di Roman Polanski, che racconta la
storia di una coppia di giovani sposi, trasferitisi in un nuovo appartamento, i cui vicini,
adoratori di Satana, promettono il successo al marito, in cambio della possibilità di usare il
corpo della moglie in un rito satanico necessario per far nascere l’Anticristo; In Nero
veneziano (1978) di Ugo Liberatore, invece, Satana giunge a Venezia per trovare una
ragazza cui far partorire suo figlio.
Nel genere satanico mistico apocalittico rientrano le pellicole dove le forze del Bene
cercano di contrastare le potenze infernali, che provano ad appropriarsi ininterrottamente
del cielo o della terra; oppure quelle pellicole dove l’Anticristo si manifesta, per far vincere
il Regno delle Tenebre, senza l’aiuto delle solite conventicole sataniste.
Tra queste pellicole ricordiamo: Sentinel (1976) di Michael Winner, vita di una
ragazza che si vede costretta a sostituire un sacerdote nella lunga battaglia del Bene contro
il Male; Il presagio (1976) di Richard Donner, in cui Gregory Peck dovrà tentare di uccidere
suo figlio, l’Anticristo.
Quest’ultima pellicola ebbe due seguiti: Holocaust 2000 (1977) di Alberto Martino,
dove Kirk Douglas, il cui progetto di costruire una centrale nucleare è voluto dal Maligno,
scopre che l’Anticristo è incarnato il suo figlio; Il signore del male (1987) di John Carpenter,
in cui un sacerdote è depositario di un’ampolla con un liquido verdastro che si scoprirà
essere l’essenza stessa del Male.
Del genere satanico demoniaco possessivo fanno parte quei film basati sulla
possessione demoniaca da parte del Maligno, il quale si impossessa di ragazzi e ragazze; i
vicari della Santa Sede effettuano quindi i necessari esorcismi per contrastare il Male.
- 246 -
Tra queste pellicole, la più famosa è L’esorcista (1973) di William Friedkin, oscuro
viaggio nel mondo malato delle possessioni demoniache (ebbe ben tre seguiti); Abby
(1974) di William Girdler, è una variante “di colore” del film di Friedkin.
Rientrano nel genere satanico diabolico omicidiario tutte
quelle opere
cinematografiche i cui protagonisti sono assassini, serial killers, spree killers, mass murders e
psico/sociopatici che incarnano, meta-simbolicamente o meta-realmente, il Diavolo; in
questo genere rientrano anche quei film che hanno invece per protagonista Satana in
persona, tornato sulla terra per procacciarsi anime nuove o per portarle con sé nel proprio
Regno infernale, dopo presunti patti precedentemente stipulati.
Tra queste pellicole si ricorda: La macchina nera (1977) di Elliot Silverstein, in cui una
macchina, alla cui guida risulterà non esserci nessuno, dissemina morte in una cittadina;
Angel Heart - Ascensore per l’inferno (1987) di Alan Parker, storia in cui Louis Cyphre,
interpretato da De Niro, incarica il detective Harry Angel di ritrovare Johnny Favorite,
musicista scomparso, legato a lui da un contratto di vendita dell’anima; Autostrada per
l’Inferno (1991) di Ate De Jong, in cui, all’interno di una statale deserta, una coppia incappa
in un poliziotto dal volto tatuato che si scoprirà essere il Diavolo.
Infine il genere satanico demoniaco misto tratta di quei film che racchiudono più
aspetti ed elementi in comune con i generi finora trattati, oppure che non trovano una
propria collocazione negli stessi. In questo genere rientrano anche quelle pellicole la cui
trama attiene a patti diabolici, in quanto i bisogni e le motivazioni connessi a essi, oltre a
originarsi spesso in conventicole sataniche, hanno dinamiche e finali sempre diversi.
Ricordiamo tra questi film: L’Anticristo (1974) di Alberto Martino, dove
un’indemoniata viene esorcizzata prima di dare alla luce l’Anticristo; Il medaglione
insanguinato (1975) di Massimo Dallamano, in cui si racconta di un affresco satanico
tramite il quale il Demonio si impossessa di una giovane; La macchina della morte (1971) di
Paul Mendkos, dove un pianista mediocre, grazie proprio a una evocazione satanica, ruba
l’anima di un grande musicista; infine, Demonia (1974, già Le viziose) di Jesus Franco, che
racconta la storia di un ex prete, in preda a deliri mistico-religiosi, il quale uccide tutti i
partecipanti a delle messe nere a scopo di punizione, dopo che nell’infanzia era rimasto
traumatizzato da un rituale satanico cui aveva assistito.
- 247 -
III.4 Il ruolo della musica e i messaggi subliminali
L’attrazione per il culto di Satana avviene anche attraverso la musica e i giochi di
ruolo; non sono quindi solo la droga, il lavaggio del cervello, i film o la propria volontà di
potenza a rappresentare le trappole sataniche in cui ogni anno cadono migliaia di
adolescenti nel mondo, rendendosi così responsabili di crimini in realtà voluti dalle sette.
I “nuovi movimenti religiosi”, spesso nati solo per approfittarsi della fragilità delle
persone o del loro desiderio di “assoluto”, riescono a sembrare meno crudeli se messi a
confronto con i metodi raffinati e ingannevoli del satanismo vero e proprio.
Si discute circa la possibilità della musica rock di essere responsabile di alcuni
crimini a sfondo satanico 127. Proprio il “rock” è probabilmente il genere musicale con la
più alta dose di anticonformismo, fattore da non sottovalutare visto che la musica è uno
dei mezzi di comunicazione più utilizzati dai giovani 128.
La maggior parte degli antisatanisti affermano che solo una particolare musica
promuove e inneggia alla violenza, al suicidio, all’occultismo e a Satana: è il caso del filone
dell’hard rock detto heavy metal 129, nato alla fine degli anni Settanta; una minoranza ritiene
invece che tutto il rock sia “satanico” a prescindere dai contenuti.
Vi sono alcuni gruppi metal, principalmente nelle sottocategorie del death metal e black
metal, che nelle copertine, nel modo di proporsi al pubblico e nei testi adottano elementi
demoniaci o infernali; oltre a dichiararsi, nel caso di molti gruppi black metal,
marcatamente anticristiani.
La sensazione di trovarsi di fronte a dei veri e propri “discepoli di Satana” è
rafforzata da affermazioni ambigue, dal gusto per l’horrorifico, per il vampirismo e per
l’esoterico.
Fate, Venom, Deicide, Merciful, Celtic Frost, Death SS, Marduk, Emperor,
Carphatian Forest sono solo alcuni dei centinaia di gruppi “hard” che ispirano i loro testi
a messe nere, invocazioni a Satana, riti cannibaleschi e violenti. Altro cantante che rientra
nella categoria metal è il celebre statunitense Marylin Manson.
127
128
129
SALIN Walter, Il Canto di Satana. Il potere della musica e la manipolazione subliminale del pensiero, Editore Fede
e Cultura, 2006.
BALDUCCI C., Adoratori del diavolo e rock satanico, Piemme, Casale Monferrato 1991.
CLIMATI C., Inchiesta sul rock satanico. Tutte le prove, Piemme, Casale Monferrato 1996.
DEL RE M., Musica criminogenetica: il caso dell’Heavy Metal, in INDICE PENALE, Milano 1989.
- 248 -
Il satanismo esplicito di questi gruppi porterebbe i giovani a essere fortemente
condizionati nello stile di vita e nei pensieri; tale condizionamento può spingere
addirittura a comportamenti amorali e violenti.
Due casi spesso citati, il cui elemento scatenante è la droga, sono gli omicidi
compiuti da Bard Eithun, batterista degli Emperor e quello commesso da Count
Grishnackh, in arte Burzum, un nazista convinto. Anche gli stessi nomi dei complessi
hanno un contenuto blasfemo, si pensi agli Impaled Nazaren (Nazareno Impalato).
Gli stessi titoli delle canzoni richiamano spesso all’occultismo. Un esempio è la
canzone “Mr. Crowley”, di Ozzy Osbourne, dedicata ad Aleister Crowley. La grande
maggioranza di questi musicisti dichiara tuttavia di non credere affatto al Diavolo; certi
atteggiamenti vengono adottati solo perché un certo “satanismo” aumenterebbe le
vendite. Vi sono anche casi in cui i musicisti sono realmente coinvolti dell’esistenza dei
poteri occulti. Un esempio è Jimmy Page, degli storici Led Zeppelin 130; egli condivide le
dottrine di Aleister Crowley e sembra che abbia vissuto in un suo cottage nei pressi di
Loch Ness. È inoltre chiara l’affiliazione di Marylin Manson 131 e King Diamond alla
Chiesa di Satana, anche se risulta essere più una scelta di marketing piuttosto che un
interessamento reale.
Molti musicisti, rock e non solo, vengono accusati inoltre dell’utilizzo di quei
subdoli mezzi di adescamento che vanno oltre le tecniche del lavaggio del cervello,
proprie di alcuni nuovi culti religiosi. Ci ritroviamo nell’ambito dei messaggi subliminali
presenti in alcune canzone; si tratta cioè di frasi o singole parole che incitano al
nichilismo, alla violenza, alla droga, al suicidio e addirittura a Satana 132.
Questo tipo di messaggi possono essere inseriti direttamente, nascondendoli in una
traccia musicale non percepibile normalmente dall’ascoltatore, oppure utilizzando il
backword masking 133. Giuseppe Cosco 134 e Carlo Climati 135, sostenitore del “satanismo
esplicito” dell’heavy metal, sono in Italia i personaggi che meglio possono descrivere la
pericolosità di queste tecniche.
130
131
132
133
134
135
FRIENDS T. W., Fallen Angel: The Untold Story of Jimmy Page and Led Zeppelin, Gabriel Publications,
Titusville, 2002.
MANSON M., STRAUSS N., The Long Hard Road Out of Hell (La lunga e dura strada dall’inferno), Regan
Books, New York 1998.
HART L., Satan’s Music Exposed, Salem Kirban, Huntingdon Valley, 1981.
Si sostanzia nell’inserimento di messaggi ascoltabili soltanto da chi faccia girare il disco o la cassetta al
contrario.
COSCO G., Esoterismi del XX secolo, crimini satanici e musica rock, Segno Editore, Milano, 1996.
CLIMATI C., I giovani e l’esoterismo, Edizioni Paoline, Milano, 2001.
- 249 -
Ad esempio, ascoltando al contrario “Starway to Heaven”, dei Led Zeppelin, si
sentono le parole: «Ecco il mio dolce Satana, la piccola via non mi renderà triste, e della
quale il potere è a Satana. Egli darà il progresso, dandoti il sei, sei, sei»; un messaggio
subliminale diretto è presente invece nell’album “Prayer”, dei Christian Death, dove si
ascolta un “Padre Nostro” recitato al contrario.
Addirittura artisti italiani del calibro di Franco Battiato e Zucchero sono accusati di
inserire frasi rovesciate, inneggianti all’alcool, alla droga e al suicidio; non sono quindi solo
i cantanti metal a essere associati all’occulto. Per Cosco e Climati i messaggi rovesciati
rappresentano un tentativo di incitamento al male e di realizzazione, attraverso la musica,
di piccoli rituali esoterici; i contenuti nascosti influenzerebbero infatti gli ascoltatori,
depositandosi nel loro inconscio. Ci si chiede se il cervello umano sia realmente in grado
di captare i risultati del backword masking e degli altri messaggi subliminali.
Gli psicologi Vokey e Read 136 sostengono nei loro studi che solo una piccolissima
minoranza di persone, particolarmente sensibili, è in grado di percepire il significato di
una frase letta al contrario e rimetterlo mentalmente nel giusto verso. Gli esperimenti di
laboratorio, effettuati anche dagli studiosi Himelstein e Thorne 137, evidenziano come
neppure una persona sia riuscita a percepire i contenuti trasmessi tramite il backword
masking.
I neurologi accademici escludono ormai all’unanimità l’efficacia di questa tecnica. La
questione è delicata al punto da essere stata discussa anche nei tribunali; sono infatti state
avviate azioni legali contro case discografiche e musicisti, per i danni causati ad ascoltatori
influenzati a commettere azioni antisociali o illegali da copertine, testi e suoni.
Nel 1983 i movimenti contro le sette attribuirono una serie di suicidi fra adolescenti
ai messaggi subliminali della musica rock; si pensi in proposito al suicidio di cinque
giovani a New York, morti asfissiati dentro una macchina nella contea di Westchester, o
al suicidio di John Mc’Collum a Indio, in California, che si sparò dopo aver ascoltato per
ore il disco di Ozzy Osbourne “Suicide Solution”.
Nel 1985 venne inoltre arrestato il serial killer Richard Ramirez 138, autore di
numerosi omicidi, atti di mutilazione, violenze sessuali e torture.
136
137
138
READ J., VOKEY J. R., Subliminal Messages: Between the Devil and the Media, AMERICAN PSYCOLOGY, vol.
40, n. 11, 1985, pp. 1231-1239.
HIMELSTEIN P., THORNE S. B., The Role of Suggestion in the Perception of Satanic Messages in Rock-and-Roll
Recordings, in JOURNAL OF PSYCHOLOGY, vol. 116 (1984), pp. 245-248.
MUÑOZ RAMIREZ Ricardo, soprannome: The Night Stalker, nato il 29 Febbraio 1960 e morto il 7 Giugno 2013.
- 250 -
Quando l’assassino venne fermato dalla polizia a Los Angeles, mentre tentava di
rubare un’auto, dichiarò di essere “the night stalker”, dal titolo di una canzone degli
AC/DC, contenuta nell’album “Highway to Hell”. Ramirez, che aveva tatuato il
pentacolo satanico sul palmo della mano sinistra, fece mettere agli atti del processo che
l’album degli AC/DC lo aveva ispirato a compiere i suoi delitti.
Sempre dell’1985 è Il caso giudiziario più famoso; questo vede coinvolti i Judas Priest
e la CBS, loro casa discografica, per il suicidio di due giovani in Nevada.
Uno dei due ragazzi si sparò un colpo di pistola in testa, dopo che insieme al suo
amico aveva bevuto, fumato marijuana e ascoltato ripetutamente un disco dei Judas
Priest 139.
Il secondo, James Vance, morì invece per una overdose di droga, assunta per il
dolore sentito dopo essersi sfigurato il volto da solo. A seguito di questa disgrazia le
famiglie dei ragazzi citarono in tribunale il gruppo e l’etichetta. Nel corso del processo si
accertò l’effettiva presenza di messaggi subliminali nel nastro, senza riuscire tuttavia a
provare il loro inserimento volontario e la loro influenza sui suicidi.
Il professor Howard Shevrin 140 testimoniò che i messaggi subliminali diretti e forse
anche il backword masking potrebbero, in determinate condizioni, influenzare gli ascoltatori;
la sua deposizione venne però respinta perché troppo condizionata da un approccio
freudiano all’inconscio.
Il processo si concluse quindi con l’assoluzione dei musicisti e della CBS.
Bisogna ricordare che la musica rappresenta una forma di espressione artistica e, in
quanto tale, libera; non si può quindi tenere in considerazione solo i contenuti satanici,
prescindendo dal contesto artistico entro cui vengono manifestati. Il rock non può infatti
fare a meno di una certa carica eversiva e controcorrente; “il male” in questo contesto
non raffigura altro che l’unico elemento ancora in grado di dare un senso di trasgressione,
se si considera che al giorno d’oggi il sesso non è più un tabù.
139
140
Stained Class (Classe macchiata; CBS, 1978); LOCKE E. L., The Vance decision: The future of subliminal
communication. LAW AND PSYCHOLOGY REVIEW, 1991.
LITMAN R. E., FARBEROW N. L., Pop-rock music as precipitating cause in youth suicide, 1994.
Pioniere della scienza psicoanalitica, si ricorda tra i tanti:
SHEVRIN H., Event-related markers of unconscious processes, int. J. Psychophysiol, 2001.
SHEVRIN H., SMITH W., FRITZLER D., Repressiveness as a factor in the subliminal activation of brain and verbal
responses, 1969.
- 251 -
Sotto un altro aspetto, inoltre, la rappresentazione del mondo infernale potrebbe
addirittura essere utile; questa infatti potrebbe esorcizzare proprio una delle più grandi
paure dell’umanità.
La situazione tuttavia risulta ancor più preoccupante se si pensa che forti accuse di
satanismo giunsero anche nei confronti dei Beatles, dei Rolling Stones e dei Queen 141.
In una famosa canzone dei Beatles 142 dal titolo “Revolution nine”, tradotto
“rivoluzione 9”, il gruppo inizia la sua canzone ripetendo più volte “number nine”
(numero nove); se si ascolta il vecchio disco in vinile al contrario, si può capire
chiaramente come la serie replicata diventa la ripetizione di questa frase “Turn-me-on deed
man”, che tradotto significa “eccitami uomo morto”, un chiaro incitamento alla necrofilia.
Il primo riferimento al mondo dell’occulto i Beatles lo fecero pubblicando uno dei
loro dischi più famosi: “Sergeant Pepper’s Loney Hearts Club Band” del 1967, sulla cui
copertina appaiono i volti di tanti personaggi famosi tra i quali, in alto a sinistra, spicca
l’immagine di un uomo calvo, è l’occultista inglese Aleister Crowley.
Ascoltando al contrario “Kiss Kiss Kiss”, di John Lennon, si sente: “Satana sta
venendo…sei sei sei” e ancora “…abbiamo sparato a John Lennon…”; questo disco uscì qualche
settimana prima dell’assassinio di Lennon compiuto nel 1980 da un suo fan, Marck David
Chapman, il quale in carcere affermò che erano stati i demoni, dopo che aveva ascoltato il
brano, a dargli la forza di compiere quel delitto.
Nella canzone “One vision” dei Queen notiamo che già il testo del brano ha un
significato un po’ ambiguo quando dice:
“One flash, one light, yeah, one godo ne vision, one true religion, sion of one sweet union, it’s a
celebration, all through the night”; ascoltando l’inizio e la fine del brano al contrario si riascolta
una frase ben precisa e ripetuta: “oh my sweet Satan, I’ve been sabba” che significa: “Oh mio
signore Satana, ho visto il sabba”.
Nel famoso brano “Tops” dei Rolling Stones 143 , nel punto in cui Mick Jegger canta
per tre volte: “Don’t let the world pass you” si ascolta al rovescio una frase di ben altro
significato: “I will stay forever with the Lord” e più avanti segue “I love you, said the Devil”, che
tradotto significa: “sarò sempre con il Signore”…“Ti amo, disse il Diavolo”.
141
142
143
D’AMATO Marina, Immaginario e satanismo. Nuovi percorsi di identità giovanile, libreria universitaria.it, 2009.
NORMAN P., Shout! The Beatles in Their Generation (Urla! I Beatles nella loro generazione), Mjf Books,
1997.
SANCHEZ T., Up and Down With the Rolling Stones (Su è giù con i Rolling Stones) Morrow& C., New
York, 1979.
- 252 -
In conclusione, si può affermare sicuramente che l’utilizzo di talune pratiche, come
quelle di backword masking, desta una certa preoccupazione e inquietudine per quei soggetti
che disconoscono la dimensione “teatrale” del mondo della musica; alcuni individui infatti
vedono certamente in quest’ultima una realtà da diffondere e seguire in maniera asettica e
incondizionata.
III.5 La presenza on-line delle sette
L’utilizzo di internet, quale strumento di diffusione del satanismo, rappresenta la più
recente tecnica di proselitismo; sono infatti numerose le pagine web che vengono
utilizzate dalle sette per diffondere liberamente le proprie dottrine 144. Talvolta i gruppi
immettono anche contenuti illegali compiendo quindi il cosiddetto computer crime 145,
fenomeno di grande interesse criminologico vista la diffusione del mezzo telematico e il
suo utilizzo da parte di molti ragazzi e adolescenti. È proprio l’esigenza di individuare e
analizzare eventuali elementi di illegalità esplicita con connotazione satanista, a far nascere
la necessità di una ricerca esplorativa sui gruppi religiosi a matrice satanica che
comunicano attraverso siti internet 146.
Lo studio dei newsgroups e dei forum dedicati consente l’approfondimento di un
fenomeno capace di destare un forte allarme sociale, vista la facilità di fruizione
indiscriminata della rete.
La metodologia utilizzata. Gli indirizzi internet sono stati inizialmente reperiti
tramite una serie di interviste a esperti del settore e interrogazioni sui motori di ricerca più
diffusi (Google, Yahoo, Altavista ecc.). Successivamente è stata effettuata una ricerca di
sfondo attraverso una navigazione libera in aree telematiche sataniste per sondare la
presenza di elementi di illegalità. Il metodo utilizzato si sostanzia in una specie di
osservazione sistematica realizzata tramite la navigazione selettiva sui siti satanici, con
successiva analisi delle immagini e dei testi veicolati sul web.
144
145
146
D’AMATO Marina, Immaginario e satanismo. Nuovi percorsi di identità giovanile, cit.
STRANO M., Computer crime, Edizioni Apogeo, Milano, 2000.
Esistono addirittura dei veri e propri motori di ricerca di risorse sataniche tra cui
www.avatarsearch.com.
Le principali chiese sataniche istituzionalizzate presentano queste sigle: CoS, FCoS, ToS, FSC (CoE).
Alcuni di questi gruppi si ispirano a LaVey, altri venerano Satana, altri ancora si definiscono satanisti
autonomi.
- 253 -
L’osservazione ha coinvolto anche le comunicazioni pubbliche tra gli utenti di
newsgroups, chat e forum.
L’analisi criminologica del materiale illegale in rete si è basata sui siti che contengono
esplicite esortazioni al crimine o informazioni utilizzabili, soprattutto dai giovani, per
commettere atti vietati dalla legge penale vigente 147. I contenuti illegali espliciti associati
alla cultura satanista (omicidi, violenze, ecc.), pur se non direttamente associabili alla
commissione di crimini, presentano un forte interesse criminologico, soprattutto in
relazione ai rischi di “esposizione” da parte di soggetti a rischio.
L’attenzione si è soffermata in particolare sui seguenti contenuti illegali:
1. Esortazione generica alla violenza e al crimine (EGVC).
2. Esortazione al suicidio (ES).
3. Esortazione all’odio razziale (ER).
4. Esortazione al consumo di droghe (ECD).
5. Esercizio abusivo di professioni mediche e psicologiche (AP).
6. Tecniche di convincimento occulto (CO).
7. Truffe e frodi (TF).
Si è inoltre cercato, ove possibile, di individuare dei parametri standardizzati
riguardanti l’attendibilità dei dati veicolati, le strategie di presentazione e i coefficienti di
rischio per gli eventuali fruitori.
L’analisi delle newsgroups sataniste. La newsgroup è un gruppo di posta elettronica
dedicato alla discussione di un argomento specifico. Gli iscritti possono lasciare messaggi
su questa bacheca virtuale, permettendo agli altri utenti interessati all’argomento di
replicare. La ricerca ha analizzato circa una decina di newsgroups dedicate al satanismo tra
cui: alt.politics.satanism, alt.satanism.art, alt.religion.satanism, talk.religion.satanism, alt.satanism.sex,
alt.satannet, alt.satannet.barney. Alt.satanism, la più famosa, fornisce un’ampia panoramica
della filosofia satanista e di tutte le sue evoluzioni.
In questi contesti virtuali vengono scambiate informazioni sul satanismo con notizie
di cronaca seguite da dibattiti, riferimenti bibliografici, suggerimenti, annunci di siti o di
avvenimenti 148.
147
148
STRANO M., Computer Crime, cit.
I newsgroups consentono di esprimere le proprie opinioni in modo istantaneo e di fare qualsiasi attività
propagandistica. Proprio per questo motivo le bacheche virtuali potrebbero esercitare un influenza
verso contenuti illegali per le personalità “a rischio” (STRANO M., Computer Crime, cit.).
- 254 -
I partecipanti a tali dibattiti in rete non sono solo satanisti ma anche appassionati
alla magia nera e giovani curiosi.
I siti satanisti sono stati suddivisi in varie categorie:
- siti di organizzazioni e gruppi ispirati ad Anton LaVey;
- siti dedicati alla divulgazione di materiale satanico;
- siti dedicati alla musica e al satanismo;
- siti dedicati alla vendita on line e siti di vario genere dedicati a Satana.
Le quattro principali Chiese nere “on line” rilevate sono: The Church of Satan (Chiesa
di Satana), The First Satanic Church (Prima Chiesa Satanica), The First Church of Satan (Prima
Chiesa di Satana), Temple of Set (Tempio di Set).
Intorno a queste organizzazioni proliferano innumerevoli gruppi minori; la maggior
parte sono ispirati a LaVey, altri venerano la figura di Satana e alcuni si definiscono
satanisti autonomi. Data l’importanza della figura di LaVey, la maggior parte del materiale
presente in rete è centrato sul suo personaggio.
I gruppi che si ispirano a LaVey si distinguono facilmente, visto il simbolo della loro
home page: la stella a cinque punte con la testa di un “capro” e generalmente
accompagnata da icone rappresentanti le fiamme.
I contatti all’interno della Chiesa di Satana si sono sempre mantenuti per
corrispondenza poiché, vista l’organizzazione gerarchicamente poco strutturata, i rapporti
con il centro non potevano essere altrimenti gestiti. Sicuramente internet ha dato loro la
possibilità di riuscire a comunicare in un modo più efficace e speditivo. In passato proprio
la scarsa capacità di comunicazione tra i membri ha contribuito alla creazione di scismi,
con il conseguente sorgere di altri gruppi o “Grotte” come il Tempio di Set.
Molti ordini ispirati al Tempio di Set sono presenti nel web: The Order of Leviathan, The
Order of the Black Tower, The Order of Nietzsche, The Order of Merlin, The Order of the Sepulcher of
the Obsidian Masque, The Order of the Vampyre. Al culto dei vampiri si ispira, tra gli altri, il
Tempio dei Vampiri: autentica Chiesa internazionale, riconosciuta nel 1989 dal Governo
americano federale, che possiede uno statuto e una propria bibbia.
Il 31 ottobre 1999 Karla LaVey, figlia maggiore di Anton LaVey, fondò The First
Satanic Church. Questo gruppo si dedica allo studio di satanismo e scienze occulte; i
contatti sono gestiti tramite il recapito postale lasciato nel sito.
- 255 -
Sempre nel 1999 John Dewey Allee (alias Lord Egan) fondò The First Church of Satan
(FCoS). Nella sua homepage Lord Egan ha raccolto tutte le incriminazioni che gli sono state
rivolte e le sue repliche a discolpa; le accuse sono per molestie, atti sovversivi o maniacali
e per pedofilia. Il sito offre la possibilità di ottenere gli indirizzi e-mail dei membri della
FCoS suddivisi per regione di provenienza.
Alcune organizzazioni per accrescere la comunità satanica creano dei veri e propri
macrositi come il portale presente all’indirizzo http://www.satannet.net, in cui sembra
essere presente il centro dell’universo satanico su internet.
Su questo portale si può anche accedere alla chat e lasciare messaggi nella bacheca
virtuale (messageboards). Sulla homepage sono situati link dai quali si può accedere inoltre a:
Satannet Library (libreria), Satannet Plaza, Search the Web (ricerca sul web), Satanic Music
(musica satanica), Ventrue Gallery (galleria), Ventrue Poetry (poesia). All’interno del sito c’è la
Satannet’s Top 75 Sites: una sorta di hit parade, aggiornata ogni cinque minuti, che offre la
possibilità di poter raggiungere direttamente i siti consigliati. The Order of K@s Under Satan
(TOKUS) è costituito da un gruppo di satanisti che ha deciso di adorare la Chiesa
dell’Eutanasia 149, il suo “unico comandamento e i quattro pilastri della dottrina”.
La Chiesa, guidata da Scott La Morte, è un’organizzazione educativa volta a
ripristinare l’equilibrio tra l’umanità e Satana (la natura selvaggia). La sua guida e profeta
invita a una volontaria riduzione della popolazione poiché «…la Terra non è in grado di
ospitare questa pesante umanità in crescita geometrica…». Non procreare è l’unico
comandamento su cui si basa la Chiesa. I principi cardine sono: sodomia, aborto, suicidio
e cannibalismo. Il sito web della Chiesa dell’Eutanasia contiene: gli e-sermons completi, le
pubblicazioni della rivista Snuff it (completa di foto e grafica), i cataloghi on line per
acquistare materiale (audio, videocassette, poster, adesivi e magliette) e la richiesta di
sostegno economico per supportare la Suicide Assistence Hotline, servizio di assistenza al
suicidio in cui sono indicate le modalità più efficaci per togliersi la vita 150.
Per diventare membro della Chiesa dell’Eutanasia è sufficiente non procreare e
spedire dieci dollari. La Chiesa dichiara di avere più di mille membri via internet,
principalmente negli U.S.A ma anche in altri Paesi come l’Italia.
149
150
http://www.churchofeuthanasia.org.
Così riporta un brano tratto dal sito della Chiesa: «Certamente tu non devi ucciderti. Se veramente vuoi farlo
aspetta prima di unirti alla Chiesa. In questo modo diventerai automaticamente santo. Non dimenticare di lasciare un
biglietto di ringraziamento e/o di colpa alla Chiesa, e sentiti libero di lasciarci la tua proprietà, se ne hai una».
- 256 -
Il motore di ricerca Yahoo offre la possibilità di formare dei clubs tematici
(clubs.yahoo.com/clubs), alcuni di questi sono di ispirazione satanista.
Un’indagine passata ha rivelato come i clubs satanici siano in costante aumento 151:
MAG 1999 MAG 2000 FEB 2001
TOTALE
CLUBS SATANICI
114
277
322
Anche il numero dei membri dei clubs considerati più popolari da Yahoo è
aumentato notevolmente: nel 1999 era di 801; nel 2000 aumentò a 3.144; nel 2001 si è
arrivati a 5.853. I membri aderenti al club The MewPike of Father Safeway, considerato il
primo in classifica negli ultimi due anni, erano 454 nel giugno 2000 e 664 a febbraio 2001.
Con internet risulta facile conoscere i nomi di tutti i gruppi, la loro descrizione e il
numero dei loro affiliati; ogni club ha infatti una pagina di presentazione che contiene una
breve documentazione della filosofia del gruppo. È inoltre sempre disponibile il servizio
di messaggeria in cui si può visionare i messaggi passati, scriverne di nuovi e mettersi in
contatto tramite chat. Si può accedere al profilo dei fondatori, spesso ragazzi tra i quindici
e i vent’anni che adorano la musica rock, la morte, il male e Satana.
Il club satanico cannibalistico 152 rappresenta un chiaro esempio dei gruppi sopra
descritti. Questo, dedicato all’espansione del Male in tutto il mondo, esorta gli adoratori di
Satana, vero Signore della Terra, a rendere pubbliche le loro fantasie 153.
Risultati dell’osservazione pilota. Le attività, condotte nel 1999, di analisi su
centinaia di siti satanici, di monitoraggio giornaliero dei newsgroups e di studio dei
contenuti delle pagine web, hanno permesso di delineare le caratteristiche del satanismo
presente in rete.
151
152
153
STRANO M., GOTTI V., MEDICI R., GERMANI P., Le sette sataniche su internet: una ricerca esplorativa sui
contenuti illegali on-line, in www.psychomedia.it.
http://clubs.yahoo.com/clubs/traditionalsatanism.
Esemplificato è questo messaggio tratto dalla bacheca del club: «Non sono molto interessato al cannibalismo
ma sto cercando qualcuno che diventi o mi prenda come suo schiavo satanico. Soddisferei i desideri del Master/Mistress.
Voglio mostrare il mio disprezzo per Dio uccidendo qualcuna delle sue creature. Lotto contro di Lui ogni giorno. Lo
spingo fuori dal mio corpo perché io appartengo solo a Satana »; «Rispondo alla tua richiesta riguardo al fatto se
qualcuno è interessato ad essere sacrificato in un banchetto cannibale. Sono altamente interessato ad essere la vittima per
una femmina cannibale. Vi inviterei a guardare nei club femminili di cannibalismo su yahoo. Ho avuto questa fantasia
quando avevo sei anni. Guardavo i disegni di Robinson Crusoe. Mi sono immediatamente identificato con le vittime
legate per essere cotte sul fuoco. Ho capito che come realizzazione del mio destino dovevo essere carne per una donna
interessante. Se siete ancora interessati scrivetemi via e-mail con le vostre idee e le vostre esigenze. Grazie».
- 257 -
La ricerca pilota effettuata ha evidenziato un basso coefficiente di contenuti
criminali espliciti all’interno della quasi totalità di siti satanici analizzati. I siti web di
ispirazione satanica vengono infatti sfruttati principalmente come vetrina dove effettuare
proselitismo e acquisire notorietà; il materiale contenuto nelle loro pagine è quindi
principalmente informativo e bibliografico. Addirittura alcune Chiese sataniche dichiarano
sul web la loro disapprovazione per il maltrattamento di persone e animali, respingendo
inoltre le molteplici accuse di abusi sessuali. Viceversa, vista la difficoltà dei controlli,
chat e newsgroups presentano spesso contenuti illegali; oltre a numerose esortazioni al
razzismo e al cannibalismo, si descrivono tecniche per costruire armi e per effettuare
torture, sacrifici umani e suicidi. Daniel Glaser 154 riformulò la Teoria delle Associazioni
Differenziali di E. H. Sutherland 155, rifacendosi alla Teoria dei Ruoli secondo l’esposizione di
George H. Mead 156, e affermò che ai fini dell’apprendimento della delinquenza è
importante l’identificazione con modelli criminali più che l’associazione face-to-face con
essi 157. Gli studi di questo autore offrono un’utile base di partenza interpretativa dei
contenuti illegali presenti su internet; ciò nonostante recenti studi con approccio
costruzionistico dimostrino come gli individui mantengano (almeno in buona parte) la
loro capacità valutativa e decisionale anche se sottoposti a stimolazioni e ad identificazioni
con contesti illegali. Alcune informazioni inneggianti all’illegalità, acquisite da soggetti “a
rischio” con particolari strutture personologiche o con condizioni emotive instabili,
possono infatti rappresentare un consistente punto di partenza per eventuali percorsi
comportamentali illegali o pericolosi anche per l’incolumità fisica 158.
III.6 Gli attrezzi satanici e la Bibbia Satanica di LaVey
Per quanto concerne gli attrezzi utilizzati dalle sette per compiere i loro riti e le loro
attività, si evidenzia come alcuni gruppi satanici sofisticati abbiano sviluppato elaborati
154
155
156
157
158
GLASER Daniel (1956) Differential Identification Theory, “Criminality Theories and Behavioral Images”,
AMERICAN JOURNAL OF SOCIOLOGY, 61, 433-444.
Secondo tale teoria il comportamento criminale si apprende mediante l’associazione interpersonale con
altri individui che già si comportano da delinquenti.
HERBERT MEAD George (South Hadley, 27 febbraio 1863 - Chicago, 26 aprile 1931) è stato un
filosofo, sociologo e psciologo statunitense, l’opera di interesse è Mind, Self, and Society, 1934.
DI MARTINO Paolo, Criminologia, Analisi interdisciplinare della complessità del crimine, Esselibri-Simone, 2009.
STRANO M., Computer Crime, Edizioni Apogeo, Milano, 2000.
- 258 -
attrezzi rituali, costumi, altari e luoghi adatti alle loro attività. Al tempo stesso, tuttavia, ai
giovani novizi del satanismo alle prese con i primi rituali è sufficiente l’uso di alcool,
droga, candele e cosmetici da trucco neri e rossi. Rimane il fatto che per un vero adepto lo
strumento più importante è il proprio corpo; questo viene portato in sintonia con la
divinità malefica tramite pratiche magiche e ritualistiche spesso inerenti alla propria
sessualità.
I gruppi satanici sado-masochisti di tipo parafiliaco usano una serie di strumenti da
utilizzare nelle pratiche sessuali, per la maggioranza ottenibili nei normali sexy shop o con
ordinazioni postali a ditte specializzate; si pensi ad esempio a maschere, tute in latex (nero
o rosso), collari, borchie, catene, fruste e addirittura croci già pronte per le crocifissioni
simulate o anche reali.
Coloro che partecipano a riti satanici indossano di solito delle vesti nere o in
subordine rosso sangue o porpora; secondo la tradizione queste vengono prodotte a
mano da ogni partecipante e fatte a tonaca o con il cappuccio; sotto tali vesti i satanisti
sono completamente nudi.
I tipici attrezzi satanici vengono descritti, con dovizia di particolari, nella Bibbia
Satanica di LaVey 159:
- Vestiario. I partecipanti maschi indossano abiti o tuniche nere; queste possono
essere munite di cappuccio, chi vuole può anche coprirsi il volto. Lo scopo della
copertura del viso è quello di consentire ai partecipanti di esprimere le proprie
emozioni senza preoccupazione e di ridurre al minimo il rischio che i partecipanti
si distraggano tra loro. Le tuniche vengono indossate dagli uomini prima di
entrare nella stanza del rituale e portate per tutta la cerimonia. Le ragazze
indossano abiti sessualmente stimolanti mentre le donne più anziane mettono
vestiti neri. Questo colore è scelto come abbigliamento nella camera dei rituali
poiché esso è simbolo dei Poteri dell’Oscurità. L’abito sessualmente più attraente
viene indossato dalle donne, con lo scopo di stimolare le emozioni dei
partecipanti maschi, intensificando così lo sfogo di adrenalina o di energia
bioelettrica che assicurerà un lavoro più efficace. Tutti i partecipanti indossano
amuleti recanti il sigillo di Baphomet o il pentagramma di Satana.
159
LAVEY Anton Szandor, La Bibbia di Satana, versione consultata editore Arcana, 2007.
- 259 -
- Altare. Anticamente gli altari erano di carne e sangue vivente; i naturali istinti e le
predilezioni dell’uomo erano il fondamento su cui si basavano le religioni. Più
tardi queste ultime, decretando corrotte le naturali inclinazioni umane,
convertirono gli altari con lastre di pietra e blocchi di metallo. Il satanismo è la
religione della carne, anziché dello spirito, per questo nelle cerimonie sataniche
viene usato un altare di carne. Lo scopo dell’altare è quello di fornire il punto
focale verso cui tutta l’attenzione è concentrata durante la cerimonia. Una donna
nuda è usata come altare in un rituale satanico perché questa funge da ricettore
naturale passivo e rappresenta la Madre Terra. In alcuni rituali l’utilizzo di una
donna nuda può essere impraticabile, per questo essa può essere vestita o
parzialmente coperta. Se una donna sta eseguendo il rituale da sola non è
necessario utilizzarne un’altra come altare; se non la si usa così, il piano elevato
utilizzato per farla stendere può essere impiegato per porvi sopra altri strumenti
del rituale. Per le cerimonie con numerosi partecipanti, un altare trapezoidale, alto
circa un metro/un metro e mezzo e lungo da un metro e mezzo ai due metri, può
essere appositamente costruito per la donna che vi si stenderà sopra. Se questo
non è possibile, o in ambito di cerimonie private, può essere usato qualsiasi piano
rialzato. Se si usa una donna come altare, il sacerdote può porre gli strumenti
sopra un tavolo a facile portata di mano.
- Simbolo di Baphomet. Questo, usato dai cavalieri Templari per rappresentare Satana,
ha assunto nei tempo diverse denominazioni tra cui: Il Capro della Menzogna, Il
Capro dei Mille Giovani, Il Capro Nero, Il Capro di Giuda, e Il Capro Espiatorio.
Il Baphomet viene posto sul muro sopra l’altare e rappresenta i Poteri
dell’Oscurità, combinati con la fertilità generativa del capro. Nella sua forma
“pura” il pentagramma mostra la figura di un uomo racchiuso nelle cinque punte
della stella - tre punte in alto, due punte in basso - simboleggiante la natura
spirituale dell’uomo. Il pentagramma è raffigurato anche nel satanismo ma,
poiché quest’ultimo rappresenta gli istinti carnali dell’uomo o l’opposto della
natura spirituale, il simbolo è capovolto per adattare perfettamente la testa del
capro: le sue corna rappresentano la dualità spinta oltre nella sfida, gli altri tre
punti capovolti rappresentano la negazione della Trinità. Le figure ebraiche
intorno al cerchio del pentagramma derivano dai magici insegnamenti della
- 260 -
Kabala, rappresentanti “Leviathan”, il serpente degli abissi acquatici, e
l’identificazione con Satana. Questi simboli corrispondono alle cinque punte della
stella capovolta.
-
Fallo. Si tratta di un simbolo pagano della fertilità che simboleggia virilità,
aggressività e riproduzione. Anche questo è un ulteriore strumento che è stato
convertito per accentuare il senso di colpa nelle cerimonie cristiane. Esso
rappresenta una metamorfosi del comune pene e non la versione ipocrita
dell’aspersorio o dello spruzzatore di acqua santa. Il fallo è necessario solo nei
rituali di gruppo; viene impugnato con entrambe le mani da uno degli assistenti
del sacerdote e metodicamente agitato due volte verso ogni punto cardinale per
la benedizione della casa. Può essere usato qualsiasi simbolo fallico o, in
alternativa, lo si può raffigurare con gesso, cera, creta, legno ecc.
-
Spada. La Spada del Potere è il simbolo della forza aggressiva e rappresenta
un’estensione e un’intensificazione del braccio che il sacerdote usa per
gesticolare ed indicare. Una cosa simile a questa è il bastone a punta o bacchetta
magica usata in altre forme di rituale magico. La Spada è tenuta dal sacerdote e
usata durante l’Invocazione per puntare verso il simbolo di Baphomet. Viene
anche utilizzata, come indicato nei Passaggi del Rituale, quando vengono
chiamati innanzi i quattro Principi dell’Inferno. Il sacerdote conficca sulla punta
della lama le pergamene che contengono i messaggi o le richieste, dopo che sono
stati letti ad alta voce; inoltre è usata per tenere le pergamene mentre vengono
bruciate con la fiamma della candela. Ascoltando le richieste degli altri
partecipanti e ripetendole, il sacerdote pone la Spada sulle loro teste (nel
tradizionale modo “cavalleresco”). Nei rituali privati, se non si dispone di questo
strumento, può essere utilizzato un lungo coltello, una canna o cose simili.
-
Calice. Nel rituale satanico esso rappresenta il Calice dell’Estasi. Idealmente
dovrebbe essere costituito d’argento ma, se questo non è possibile, può essere
utilizzato un qualsiasi altro metallo, vetro o terracotta - tutto tranne l’oro.
Quest’ultimo è sempre stato associato alle religioni della Luce Bianca e al Regno
Celeste. Lo strumento è usato per la prima volta dal sacerdote, dopo di lui beve
un assistente. Nel rituale privato la persona che esegue la cerimonia beve l’intero
contenuto del calice.
- 261 -
-
Elisir. Lo stimolante fluido o Elisir della Vita, usato dai pagani, è stato convertito
in vino sacramentale dalla fede cristiana. Originariamente il liquore usato nei
rituali pagani veniva bevuto per rilassare ed intensificare le emozioni dei
partecipanti alla cerimonia. Il satanismo non sacrifica il suo dio come fanno altre
religioni. Il satanismo non pratica alcuna forma di cannibalismo simbolico e
riporta il vino sacramentale usato dai cristiani alla funzione originale, cioè quella
di stimolare le emozioni necessarie al rituale satanico. Non è necessario usare
proprio del vino ma qualsiasi bevanda che risulti piacevole e stimolante al palato.
L’Elisir della Vita deve essere bevuto dal Calice dell’Estasi e immediatamente
dopo l’Invocazione a Satana.
-
Candele. Usate in un rituale satanico rappresentano la luce di Lucifero, il
portatore di luce, l’illuminatore, la fiamma vivente, il bruciante desiderio, la
Fiamma dell’Abisso. Nei rituali vengono utilizzate solo candele nere e bianche.
Mentre si possono usare tante candele nere, necessarie per illuminare la camera
dei rituali, non se ne può consumare più di una bianca. Almeno una candela nera
viene posta alla sinistra dell’altare, rappresentante i Poteri delle Tenebre ed il
Sentiero della Mano Sinistra. Dove è necessaria un’illuminazione ne vengono
sistemate altre nere e non deve essere usata nessun’altra fonte di luce. Una
candela bianca è posta alla destra dell’altare, rappresentante l’ipocrisia dei
“maghi” della Luce Celeste e dei seguaci del sentiero della Mano Destra. Le
candele nere vengono utilizzate per il potere ed il successo dei partecipanti al
rituale e per bruciare le pergamene, sulle quali sono state scritte le sacre richieste
dei partecipanti al rituale. La candela bianca è usata per la distruzione dei nemici;
le pergamene contenenti le maledizioni vengono bruciate con la sua fiamma.
-
Campanella. Lo squillante effetto della campanella è usato per indicare l’inizio e la
fine del rituale. Il sacerdote la suona nove volte, girando in senso antiorario e
dirigendo il suono verso i quattro punti cardinali. Questo viene fatto una volta
all’inizio del rituale, per pulire e purificare l’aria da tutti i suoni esterni, ed una
volta ancora alla fine, per intensificare l’opera e per fungere da scopo indicante la
profanazione. Il tono della campanella usata dovrebbe essere forte e penetrante,
invece che debole e tintinnante.
- 262 -
CAPITOLO IV
LA DIMENSIONE NORMATIVA
IV.1 Le indagini sulla scena del crimine
La scena del crimine a sfondo satanico varia soprattutto a seconda dell’originalità e
delle fantasie degli officianti e del tipo di rito celebrato.
Dale Griffis 160, noto osservatore di fatti satanisti, ha elaborato per la polizia
americana una scheda, di cui si riporta una parte.
Indizi che si trovano sul luogo del fatto in caso di pratiche di occultismo nero in generale:
1. Segni di dissacrazione di simboli cristiani (croci invertite, oggetti sacri ai cristiani
vandalizzati).
2. Segni di utilizzazione rituale di oggetti sacri cristiani rubati, trattati in modo
blasfemo.
3. Uso di candele (specialmente colorate).
4. Disegni e incisioni sul terreno e sulle mura di tipo satanico.
5. Scritture in alfabeti non riconoscibili.
6. Mutilazioni di animali, compresa la rimozione di parti del corpo come il cuore, la
lingua, le orecchie.
7. Segni di uso di parti di animali (piume, peli, ossa) per formare segni sul terreno.
8. Assenza di sangue sul terreno dove si trova un animale ucciso o sulla carogna
dell’animale sacrificale.
9. Altare con tipici oggetti di culto satanico (candele colorate, calici e coltelli).
10. Bambole di tipo woodoo mutilate o con spilli infissi.
11. Coppe, boccali, pieni di polvere o di liquidi colorati.
12. Crani umani con o senza candele fisse.
160
Il cui lavoro è ben illustrato in: MONTI David, FIORI Moreno, MICOLI Alessia, L’Abisso Del Sé.
Satanismo e sette sataniche, Giuffrè Editore 2011.
Si veda sempre in proposito:
DEL RE M., Riti e crimini del Satanismo, Jovene Editore, Napoli, 1994;
DEL RE M., Culti emergenti e diritto penale, Jovene Editore, Napoli, 1982.
- 263 -
13. Vestiti da cerimonia occultistica, specialmente se intensamente colorati in nero,
bianco, scarlatto.
14. Stanze addobbate in nero e in rosso.
15. Libri sul satanismo, sul rituale magico, ecc.
Nel caso di investigazioni su un omicidio, possono essere significativi questi indizi:
1. Collocazione e posizione del cadavere.
2. Mancanza di parti del cadavere.
3. Posizione delle ferite o dei tagli sul cadavere.
4. Bruciature o cicatrici di bruciature.
5. Gocce di cera sulla vittima o sul terreno.
6. Olio o incenso o profumi trovati sul cadavere.
7. Residui animali o umani trovati sulla vittima.
8. Sangue (macchie, quantità, ecc.).
9. Contenuto dello stomaco della vittima (sostanze assorbite).
Gli oggetti che dovrebbero essere sottoposti a sequestro in questi casi sono:
1. Eventuali giochi di fantasy, libri sull’occulto, sfere di cristallo.
2. Ceneri e residui di oggetti bruciati.
3. Vestiti, ornamenti.
4. Tamburi, gong, campane.
5. Altari lignei, luoghi di sacrificio.
6. Altari, coppe.
7. Immagini falliche.
8. Mazze lignee, spade, coltelli.
9. Cuscini di velluto in colore scarlatto.
10. Fruste per i bovini, gatto a nove code, mezzi per legare.
11. Specchi.
12. Maschere di animali (di solito di cartapesta).
13. Guanti di satin o di velluto nero, per la mano destra.
14. Anelli con grossi rubini o con pietra rossa da portarsi al pollice della mano
destra.
- 264 -
15. Apparati per preparare e bruciare incensi e profumi.
16. Incensi.
17. Tinture per il corpo.
18. Corone di metallo che possono portare quattro candele.
19. Palme e felci.
20. Ossa umane o animali, carne, sangue, specialmente crani o ossa lunghe oppure
ossa delle dita.
21. Bare.
22. Libri rituali, libri neri, compreso il libro delle ombre.
23. Medaglioni con simboli satanici o altra gioielleria dell’occulto.
24. Piccoli animali in gabbia. Gabbie vuote.
25. Armamentario per giochi di fantasia.
26. Maschere di tipo halloween, tipo orrore; costumi dello stesso tipo.
27. Cristalli in varie forme.
28. Figurine di natura mitologica di metallo o di peltro.
29. Posters di esseri mitologici e di animali, di esseri satireschi, di quadri d’incubo o
di natura sadomasochistica, posters di idoli dello HMR satanico.
30. Oggetti relativi alle arti marziali (per esempio Niña).
Si suggerisce anche come procedere per le indagini sulla scena di un crimine rituale:
Scena esterna
Il perimetro esterno viene alcune volte evidenziato con stringhe colorate, bianche,
rosse e nere. È possibile rinvenire simboli, tracciati sugli alberi, sui muri e su altre
strutture, di cui è utile rilevarne il colore, insieme a quello di eventuali tinture per il corpo,
bombe fumo e bombe a salve. Risulta inoltre doveroso cercare un circolo di tre metri
(nove piedi) di diametro, all’interno del quale può esservi o meno un pentagramma, o un
secondo circolo di circa due metri e mezzo (otto piedi) di diametro (se lo spazio è poco le
dimensioni saranno ovviamente ridotte). Visto che il pentagramma ha la punta o il lato
più importante a sud, l’osservazione può partire proprio da lì. L’altare solitamente è posto
nel punto occidentale del circolo. Qualora vi sia un anello che porta tracce di fuoco, sarà
necessario scavare al di sotto di esso per un metro (tre piedi) per accertare se sotto il
- 265 -
circolo sia stato sepolto qualcosa. Un altro elemento da valutare consiste nella ricerca di
un eventuale sentiero che conduca dal circolo ad una fonte d’acqua. Bisognerà inoltre
individuare eventuali paletti usati per legare a terra la vittima, che si presenta con la testa
rivolta verso l’acqua e con le braccia aperte. Può essere anche utile sapere se vi siano
gabbie per animali e forche dalle quali possono pendere animali.
Zona Interna
Prima di entrare nel perimetro consacrato ritualmente è necessario verificare che
non vi siano pericoli nascosti.
Una volta nella zona interna bisognerà controllare se vi siano parti di corpo umano
o animale, aghi ipodermici e frigoriferi con contenitori che possano essere stati riempiti
con sangue. Bisogna tener sempre presente che ogni particolare stravaganza, che possa
anche lontanamente essere ricollegata all’ideologia satanista, può rappresentare un indizio
di scena del crimine satanico.
-
Interpretazioni della scena del crimine
Le motivazioni del delitto satanico sono molteplici. I moventi che possono spingere
alla profanazione di un sepolcro e al vilipendio di una salma possono essere vari: un
semplice atto vandalico, un tentativo di furto, la celebrazione di un rito negromantico, di
magia nera o satanico 161.
Nel caso dell’atto vandalico l’opera distruttrice è condotta in modo irrazionale,
senza una concreta motivazione. Generalmente vengono distrutti oggetti facilmente
frangibili come croci, lapidi e statue; tuttavia capita anche che vengano colpite le stesse
bare. Le incursioni vandaliche sono spesso condotte sotto l’effetto di alcool e droghe ma
anche la musica gioca il suo ruolo condizionante.
Davide Zanotti 162 descrive così uno dei suoi delitti:
161
162
MONTI D., FIORI M., MICOLI A., L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, Giuffrè Editore, Milano, 2011.
ZANOTTI Davide, di Arcola (La Spezia), venne arrestato nell’agosto del 1996, dopo una lunga serie
d’indagini, con l’accusa di violazione di sepolcro, vilipendio e sottrazione di cadavere, devastazione e
saccheggio. Zanotti spiegò che questo suo comportamento era senz’altro influenzato da un certo tipo
di musica: il black metal. Egli era un grande patito di gruppi come Venom, Deicide, Mortuary, Necromass,
ecc., i quali fanno riferimento esplicito al satanismo e alle sue pratiche. Fu proprio grazie a questa sua
passione che egli contattò la “Church of Satan” di Anton La Vey e la setta dei “Bambini di Satana”.
Egli, inoltre, teneva una fitta corrispondenza con tante altre persone, soprattutto giovani, che
condividevano i suoi stessi gusti e forse emulavano anche le sue stesse gesta. Il venerdì 6 dicembre
1996, dopo oltre quattro mesi passati agli arresti domiciliari, Davide Zanotti è tornato in libertà.
- 266 -
«Era il cimitero di Portovenere. Entrammo, io ed un mio amico, quasi per gioco.
Non sapevo neanche io cosa volevo, non avevamo un piano ben preciso. Mi sentivo
esaltato, potente, fuori di testa. Era una sensazione tremenda, come se fossi sotto l’effetto
di una droga: devastammo un sacco di tombe nel campo dei bambini, portammo via un
sacco di oggetti» 163.
Talvolta accade che gruppi di vandali mascherino le loro incursioni come atti
satanici, senza che in realtà abbiano nulla a che vedere con il culto del Male; altre volte le
incursioni nei cimiteri vengono invece realizzate da ragazzi, legati a una forma grezza di
satanismo, che compiono queste orribili gesta per “goliardia”.
Il tentativo di furto, o il semplice tentativo, può essere perpetrato al fine di rubare
oggetti di valore eventualmente trattenuti dalla salma, come denti d’oro, orologi, catenine,
anelli ecc. In questo caso per raggiungere il cadavere è necessario violare la tomba e agire
sulla salma.
Si possono quindi riscontrare casi di mutilazioni cadaveriche in particolari zone del
capo, come la mascella e la mandibola, oppure nelle parti distali degli arti superiori, come
le dita delle mani. Sono quindi indicativi, ai fini delle indagini, i segni lasciati dagli
strumenti con cui vengono poste in essere le citate condotte; tuttavia capita che questi
comportamenti siano mascherati da semplici atti di vandalismo, al fine di depistare gli
investigatori.
Per quanto concerne la celebrazione di un rito necromantico, satanico o di magia
nera il discorso è più complesso. La necromanzia 164 è una specie di prassi divinatoria
tramite la quale si ricorre all’invocazione dei morti. L’obiettivo di questa pratica è quello di
conoscere cose future o che comunque superano le possibili capacità della ragione umana.
163
164
ARNAÙ L., Sì, adoravo Satana, che stupido!, in VISTO (1996) 33, pp. 56-57.
Alcuni studiosi sostengono che la necromanzia sia detta anche negromanzia. La forma negromanzia, da
cui deriva negromante inteso come mago o indovino, è una corruzione popolare in cui l’idea di negro o
nero è stata sostituita per più facile analogia di suono a quella di defunto, alludendo sia alle ore
notturne in cui la necromanzia veniva in genere praticata, sia agli interventi infernali che si pensava la
favorissero; di qui anche il termine magia nera.
Una variante della necromanzia è la nechiomanzia, la quale non tende ad evocare l’anima di un defunto ma
si fonda sull’osservazione della salma, in particolare sulla putrefazione, sulle ossa e sui tendini, per
predire l’avvenire. Con il termine nechiomanzia si indica anche la prassi divinatoria fatta attraverso degli
oggetti, che hanno avuto stretta relazione o contatto con un cadavere, come la corda degli impiccati.
Nel Medioevo i negromanti, profanando le tombe, componevano filtri e unguenti col grasso e col
sangue dei cadaveri; vi mischiavano l’aconito, la belladonna, funghi velenosi, polveri di rospi e ceneri di
ostie consacrate; poi si strofinavano le tempie, le mani e il petto con l’unguento infernale, tracciavano il
pentacolo diabolico ed evocavano i morti nei cimiteri abbandonati.
- 267 -
I procedimenti della magia nera puntano a sconvolgere la ragione ed esaltare gli
animi fino a commettere delitti orribili. Nei libri magici il sacrilegio, il furto e l’omicidio
sono indicati come strumenti per raggiungere gli obiettivi del rituale 165.
Alla luce di ciò, è plausibile incappare in casi di profanazioni di tombe a scopo
divinatorio o per compiere fatture a morte con il sistema di putrefazione. Vengono
utilizzate principalmente parti di animali da unire alle testimonianze della vittima, cosicché
il maleficio si rafforzi con l’avanzare della putrefazione.
Si utilizza spesso una fettina di carne, una pelle d’animale o anche residui vegetali
(come la buccia di un frutto); in questi vengono avvolte le testimonianze della vittima:
unghie, capelli, foto, dati anagrafici, fermagli per capelli, spille ecc. Sarà quindi possibile
ritrovare sulla scena del crimine gli oggetti e i materiali appena citati; un buon
investigatore non dovrà quindi tralasciare questi aspetti 166.
Un ulteriore metodo per compiere i riti suddetti è quello di posizionare la
testimonianza della vittima direttamente nella bara di un defunto; la fattura si rafforzerà
all’aumentare della decomposizione del cadavere. Qualora non risulti possibile posizionare
la testimonianza nella bara, la si sotterra in un cimitero ove giace una persona sepolta da
poco, possibilmente con lo stesso nome della vittima del rito.
Un altro modo per fare un maleficio è quello di gettare nel fuoco la testimonianza
della vittima, spesso un indumento. Vengono quindi utilizzate candele, di colore scuro, di
cera vergine e fatte con le proprie mani; si utilizza molto anche il lumino da cimitero,
meglio se prelevato da una tomba, oppure si costruisce una candela con i resti dei lumini
rubati nei cimiteri. Questo fatto spiega i numerosi furti dei lumini votivi dalle tombe 167.
165
166
167
Così nel Gran Libro Magico, e nel Drago Rosso, contraffazione più moderna del primo, si legge una ricetta
intitolata: “Composizione di morte o pietra filosofale”. È una specie di brodo a base di acquaforte,
rame, arsenico e verderame.
Nel libro si trovano anche dei procedimenti di necromanzia che consistono nel “frugare la terra delle
tombe con le unghie, togliere le ossa che si terranno sul petto, assistere così alla messa di mezzanotte a
Natale, in una chiesa e, al momento dell’elevazione, alzarsi e fuggire gridando: escano i morti dai loro
sepolcri!, poi ritornare al cimitero, prendere un pugno di terra, di quella più vicina alla bara, tornare di
corsa alla porta della chiesa […] e deporvi le ossa in croce gridando ancora: escano i morti dai loro
sepolcri! […]
Allontanatevi a passo lento e contate quattromilacinquecento passi senza volgervi indietro né deviare,
ciò che farà supporre o che cercate una strada maestra o che tentate la scalata delle muraglie. Al
termine dei quattromila e cinquecento passi vi sdraierete per terra; dopo aver seminato in croce la terra
che tenete in mano, vi porrete come in una bara, ripetendo ancora a voce lugubre: escano i morti dai
loro sepolcri! , e chiamerete tre volte colui che volete vedere”.
Per la confezione dei filtri d’amore vengono spesso utilizzati capelli, ossa e resti umani.
SANFO V., Il malocchio e le fatture, De Vecchi, Milano, 1996.
- 268 -
Gli investigatori possono inoltre rinvenire, vicino ad una salma o ad un sepolcro,
mozziconi di candele nere, piume e teste di gallo bruciacchiate; tutti elementi necessari per
le fatture a morte.
In virtù di quanto esposto si ricorda essere inoltre indispensabile, ai fini delle
indagini, scandagliare e repertare accuratamente il terreno circostante la tomba, poiché è
proprio lì che vengono sotterrati i feticci utilizzati per lanciare i malefici.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è il giorno in cui il reato viene
commesso. Ci sono dei giorni che potremmo definire “preferiti” dai satanisti per
commettere sacrifici o tenere messe nere, come il 30 aprile, la notte di Valpurga, cioè la
notte, secondo la tradizione, in cui si incontrano tutti i demoni, i maghi e le streghe; il 25
giugno, considerata la notte della magia; il 1° agosto, detto Lammas, il giorno in cui si
ritiene che Lucifero fu cacciato dal Cielo sulla Terra; il 31ottobre, capodanno di Satana e
commemorazione di tutti i defunti e delle tenebre 168.
-
L’omicidio rituale nel satanismo
Il sociologo e criminologo Francesco Barresi definisce come omicidio rituale un
«omicidio attuato da un soggetto che uccide una o più persone, dette vittime sacrificali,
per offrirle in sacrificio ad un’entità soprannaturale in cambio di vantaggi spirituali o
profitti terreni 169».
Le atipie sessuali che possono scaturire in omicidi, durante la celebrazione di messe
nere, sono numerose; si pensi ad esempio all’antropofagia, al feticismo, all’esibizionismo,
al masochismo, alla necrofilia, alla necrofagia, alla pedofilia, al picacismo, al sadismo, al
vampirismo ecc. Solo le perversioni sessuali più importanti, come quelle citate, possono
indurre un soggetto all’atto omicida, visto che il piacere ultimo si ottiene spesso proprio
con la morte della vittima 170.
L’omicidio rituale è di fondamentale importanza nelle credenze sataniste poiché
l’atto diventa necessario per ingraziarsi la divinità infernale e ottenere determinati
vantaggi; si parla quindi di uccisione per intercessione della divinità malefica.
168
169
170
MONTI D., FIORI M., MICOLI A., L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, Giuffrè Editore, Milano, 2011.
BARRESI F., Demonomanie ed omicidi rituali seriali nel satanismo contemporaneo, convegno GLI DEI MORTI
SONO DIVENTATI MALATTIE, 4-5 marzo 2000.
PICOZZI M., Criminal Profiling: dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, Mc Graw-Hill,
Milano, 2002.
- 269 -
Tuttavia, poiché i profitti sperati non si manifestano, il satanista è costretto a
ripetere l’omicidio propiziatorio in modo seriale, ritenendo che i precedenti non siano
stati sufficienti a soddisfare l’entità malefica.
L’arma del delitto è spesso un’arma bianca poiché vedere fuoriuscire il sangue dalle
ferite causate consente di assaporare il piacere della morte in maniera più forte e
ravvicinata 171. Infatti, salvo i casi di sette pseudo sataniche latinoamericane dove il
satanismo non è altro che un capro espiatorio per il narcotraffico, le cronache non
riportano casi di omicidi rituali consumati attraverso l’utilizzo di armi da fuoco 172.
IV.2 Il satanismo nel codice penale
Nel trattare dei crimini legati al satanismo, e in generale a ogni altro nuovo
movimento magico o religioso, è necessario innanzitutto sottolineare che il nostro
ordinamento tutela e riconosce il diritto di libertà religiosa sancito negli articoli 8 e 19
della Costituzione 173. L’ideologia satanista in sé stessa è senza dubbio lecita ed è tutelata
anche dall’art. 21 della Costituzione come libertà fondamentale di espressione del
pensiero, nonostante talvolta incontri il limite del buon costume per le pubblicazioni a
stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni.
Se non è punibile l’idea satanica in sé, è sicuramente sanzionabile ogni condotta che,
in nome del satanismo, viola le norme vigenti. L’ordinamento non contempla quindi il
crimine satanista 174, non esistendo una tale specifica fattispecie, tuttavia vi sono molteplici
reati puniti dalla legge che anche, e soprattutto, i satanisti pongono in essere 175.
171
172
173
174
175
A Los Angeles tra il 1984 ed il 1985, Richard RAMIREZ, dopo essersi introdotto negli appartamenti
delle sue vittime, strangolava gli uomini e mutilava ferocemente le donne con un coltello. Sulla scena
del crimine lasciava dei disegni raffiguranti una simbologia satanica, principalmente il “pentagramma”,
una stella a cinque punte associata spesso al satanismo. Quando venne arrestato disse che a guidare la
sua sete di sangue era lo stesso Demonio, di cui era un fedele servitore.
MONTI D., FIORI M., MICOLI A., L’abisso del sé. Satanismo e sette sataniche, cit.
Tale diritto trova tutela costituzionale anche agli articoli 3, 7, 20 e 117 co. 2 lett. C. Inoltre si ricorda
che la libertà di associazione in confessioni religiose (artt. 7, 8 e 20 Cost.) costituisce una specificazione
del diritto di associazione previsto dall’art. 18 Cost. La libertà di pensiero, di coscienza e di religione è
tutelata anche dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Nonostante nel par. 4.4 si tratterà della proposta di legge n. 3770, presentata l’11 marzo del 2003, che
punta a introdurre il reato di abuso di rituale esoterico-satanista e a equiparare le sette sataniche alle
associazioni segrete.
Rimanendo in Italia basti pensare alle efferatezze compiute nell’ambito di alcuni casi ormai ben noti a
tutti: le Bestie di Satana, i Bambini di Satana, la Loggia Nera, 666 Realtà Satanica, i riti del viterbese, il delitto
- 270 -
Il dibattito principale circa il rapporto tra satanismo e codice penale si concentra
soprattutto sulla mancanza di una norma che tuteli adeguatamente chi si trovi coinvolto
nei gruppi settari, ritrovandosi vittima di un abile adescamento e del conseguente
“lavaggio del cervello”.
La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n. 96 del 9 aprile 1981, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 603 del codice penale 176.
I motivi dell’incostituzionalità sono dovuti all’eccessiva genericità della fattispecie
costitutiva di reato, contrastante con il principio di tassatività previsto nella riserva
assoluta di legge in materia penale dell’art. 25 della Costituzione.
Si potrebbe ritenere che, con l’abrogazione della norma, sia venuto meno un
efficace mezzo di difesa contro quei movimenti utilizzanti tecniche per limitare la libertà
di autodeterminazione degli adepti, aggirando le loro difese psichiche. Tuttavia risulta
difficile conciliare la capacità giuridica di intendere e di volere con l’efficacia reale di tali
tecniche di condizionamento.
Inoltre se questo stato di suggestione e sottomissione avviene mediante il ricorso a
tecniche che comprendono violenze, ipnosi, sostanze alcoliche o stupefacenti potrebbe
non risultare necessaria la previsione di una nuova fattispecie di reato analoga al vecchio
reato di plagio, applicandosi infatti le fattispecie di:
- Violenza privata 177 (art. 610 c.p.);
- Stato di incapacità procurato mediante violenza 178 (art. 613 c.p.);
- Circonvenzione di persone incapaci 179 (art 643 c.p.);
176
177
178
179
di Castelluccio dei Sauri, l’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, il caso di don Giorgio Govoni e gli
Angeli di Sodoma.
Art. 603 c.p. (Plagio): Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale
stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Art. 610 c.p. (Violenza privata): Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od
omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se ricorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.
Art. 613 c.p. (Stato di incapacità procurato mediante violenza): Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in
veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcoliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo,
pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d’incapacità d’intendere o di volere, è punito con la
reclusione fino a un anno. Il consenso dato dalle persone indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo
579 non esclude la punibilità. La pena è della reclusione fino a cinque anni:
1) se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato;
2) se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto.
Art. 643 c.p. (Circonvenzione di persone incapaci): Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto,
abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello
stato di infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a
compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la
reclusione da due a sei mesi e con la multa da € 206 a € 2.065.
- 271 -
- Abuso della credulità popolare 180 (art. 661 c.p.);
- Trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui 181 (art. 728 c.p.).
Per quanto concerne la partecipazione ad associazioni religiose si ritiene
rinunciabile, in nome della fede, una parte della propria libertà personale; tuttavia la
scriminante del consenso non può essere applicata nelle seguenti ipotesi:
- quando il consenso, anche relativo a beni disponibili, sia viziato da violenza,
minaccia, o errore;
- quando, pur sussistendo un iniziale non viziato consenso a regole restrittive di
associazioni religiose, sia stata poi repressa la libertà di dissociazione;
- quando la lesione riguardi sfere indisponibili della libertà personale, come nel
caso di punizioni degradanti o sommamente umilianti.
Vi sono anche altri crimini che vengono considerati mezzo od obiettivo delle sette
sataniche, tuttavia, come detto, nel nostro ordinamento non esiste un crimine
propriamente satanista.
Giuridicamente il già citato maleficio è infatti solo una promessa o istigazione per
un fatto inidoneo a produrre un effetto, essendo l’evento dannoso impossibile per
inidoneità dell’azione.
La criminalità satanista comprende:
Libro II - Titolo IV
- Vilipendio della religione dello Stato 182;
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone 183;
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di cose 184;
180
181
182
183
184
Art. 661 c.p. (Abuso della credulità popolare): Chiunque, pubblicamente cerca con qualsiasi impostura,
anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è punito, se dal fatto può derivare un
turbamento dell’ordine pubblico, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 1.032.
Art. 728 c.p. (Trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui): Chiunque pone taluno, col suo
consenso, in stato di narcosi o d’ipnotismo, o esegue su di lui un trattamento che ne sopprima la
coscienza o la volontà, è punito, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità della persona, con l’arresto
da uno a sei mesi o con l’ammenda da € 30 a € 516. Tale disposizione non si applica se il fatto è
commesso, a scopo scientifico o di cura, da chi esercita una professione sanitaria.
Art. 402 c.p. (Vilipendio della religione dello Stato): Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello
Stato è punito con la reclusione fino a un anno. [La Corte Costituzionale, con sentenza n. 508 del 20
novembre 2000, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo].
Art. 403 c.p. (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone): Chiunque pubblicamente offende
una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a
euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa,
mediante vilipendio di un ministro del culto.
Art. 404 c.p. (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose): Chiunque, in un
luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione
- 272 -
- Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa 185
- Violazione di sepolcro 186;
- Vilipendio delle tombe 187;
- Vilipendio di cadavere 188;
- Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere 189;
- Occultamento di cadavere 190;
- Uso illegittimo di cadavere 191.
Libro II - Titolo IX
- Atti osceni 192.
185
186
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188
189
190
191
192
religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al
culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di
funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro
1.000 a euro 5.000. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende
inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate
necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni.
Art. 405 c.p. (Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa): Chiunque impedisce o turba
l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si
compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in
luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni.
Art. 407 c.p. (Violazione di sepolcro): Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un’urna è punito con la
reclusione da uno a cinque anni.
Art. 408 c.p. (Vilipendio delle tombe): Chiunque in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette
vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o a
ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 410 c.p. (Vilipendio di cadavere): Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue
ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di
oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Art. 411 c.p. (Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere): Chiunque distrugge, sopprime o sottrae un
cadavere, o una parte di esso, ovvero ne sottrae o disperde le ceneri, è punito con la reclusione da due
a sette anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, di
deposito o di custodia.
Non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere, autorizzata dall’ufficiale dello stato civile
sulla base di espressa volontà del defunto.
La dispersione delle ceneri non autorizzata dall’ufficiale dello stato civile, o effettuata con modalità
diverse rispetto a quanto indicato dal defunto, è punita con la reclusione da due mesi a un anno e con
la multa da € 2.582 a € 12.911.
Art. 412 c.p. (Occultamento di cadavere): Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne
nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Art. 413 c.p. (Uso illegittimo di cadavere): Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere, o una
parte di esso, a scopi scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione
fino a sei mesi o con la multa fino a € 516.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una parte di esso, che il colpevole
sappia essere stato da altri mutilato, occultato o sottratto.
Art. 527 (Atti osceni): Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è
punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è
- 273 -
Libro II - Titolo XI
- Incesto 193;
- Supposizione o soppressione di stato 194;
- Maltrattamenti contro familiari e conviventi 195.
Libro II - Titolo XII
- Omicidio 196;
- Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale 197;
- Omicidio del consenziente 198;
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194
195
196
197
198
commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da
ciò deriva il pericolo che essi vi assistano. Se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309.
Art. 564 c.p. (Incesto): Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un
discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore di età,
con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.
La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori.
Rischiano tutti quei genitori aderenti ad una setta satanica che evitano di denunciare all’anagrafe la
propria prole, per poi poterne disporre in qualsiasi nefando modo.
Art. 566 c.p. (Supposizione o soppressione di stato): Chiunque fa figurare nei registri dello stato civile una
nascita inesistente è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi, mediante l’occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile.
Spesso capita che i genitori satanisti maltrattino o picchino i loro figli per esporli e umiliarli durante le
messe nere.
Art. 572 c.p. (Maltrattamenti contro familiari e conviventi): Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo
precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla
sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per
l’esercizio di una professione o di un’arte, un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta
alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per
l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne
deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione
da dodici a ventiquattro anni.
Art. 575 c.p. (Omicidio): Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore
ad anni ventuno.
È punibile la satanista che uccide il proprio figlio durante un rito sacrificale in onore di Satana o di altra
divinità malefica.
Art. 578 c.p. (Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale): La madre che cagiona la morte del
proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è
determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la
reclusione da quattro a dodici anni.
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni
ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita
da un terzo a due terzi.
Non si applicano le aggravanti stabilite dall’articolo 61 c.p.
Determinati satanisti carismatici, leaders o guru di altre sette potrebbero convincere gli adepti che la loro
- 274 -
- Istigazione o aiuto al suicidio 199;
- Lesione personale 200;
- Violenza sessuale 201;
- Atti sessuali con minorenne 202;
199
200
201
202
morte potrebbe essere per loro una fonte di salvezza espiativa.
Art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente): Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è
punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
1) contro una persona minore degli anni diciotto;
2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per
un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti;
3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o
suggestione, ovvero carpito con inganno.
Art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio): Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui
proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene,
con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a
cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni
indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli
anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni
relative all’omicidio.
Art. 582 c.p. (Lesione personale): Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva
una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze
aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell’ultima parte
dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Vi soggiace quel satanista, di norma il celebrante, che stupra ritualmente, prima o dopo la messa nera,
l’eventuale vittima.
Art. 609 bis (Violenza sessuale): Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità,
costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni
(609nonies).
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto
(609quater, 609sexies, 609decies);
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Art. 609 quater (Atti sessuali con minorenne): Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al
di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del
fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di
lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di
vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.
Fuori dei casi previsti dall’articolo 609bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui
convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di
vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza,
che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha
compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Non è punibile il minorenne che,
al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia
compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni. Nei casi di
minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Si applica la pena di cui
all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.
- 275 -
- Corruzione di minorenne 203;
- Violenza sessuale di gruppo 204.
Libro II - Titolo XIII
- Furto 205;
- Uccisione o danneggiamento di animali altrui 206;
- Deturpamento e imbrattamento di cose altrui 207.
Libro III - Titolo I
- Abbandono di animali 208.
203
204
205
206
207
Art. 609 quinquies (Corruzione di minorenne): Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona
minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Vengono così puniti quei satanisti che effettuano stupri collettivi di tipo rituale.
Art. 609 octies (Violenza sessuale di gruppo): La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione,
da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis.
Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni
(609 nonies).
La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609 ter.
La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione
o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il
reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo
comma dell’articolo 112.
Spesso le sette sataniche commettono furti all’interno di chiese per procurarsi ostie, calici e paramenti
sacri per poi utilizzarli durante le messe nere.
Art. 624 c.p. (Furto): Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al
fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa
da € 154 a € 516. Agli effetti della legge penale, si considera «cosa mobile» anche l’energia elettrica e
ogni altra energia che abbia valore economico.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui
agli articoli 61, n. 7, e 625.
Durante i riti satanici si utilizzano spesso animali per i sacrifici in onore a Satana.
Art. 638 c.p. (Uccisione o danneggiamento di animali altrui): Chiunque senza necessità uccide o rende
inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, salvo che il fatto
costituisca più grave reato, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la
multa fino a euro 309.
La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso su
tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non
raccolti in mandria. Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui
posseduti e nel momento in cui gli recano danno.
Incorrono in questo reato i satanisti che pubblicizzano il loro credo sulle mura di edifici o delle chiese.
Art. 639 c.p. (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui): Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo
635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la
multa fino a euro 103.
Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica la pena
della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di
interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da
1.000 a 3.000 euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della
reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro. Nei casi previsti dal secondo comma
si procede d’ufficio.
- 276 -
Alla luce della natura marcatamente antisociale delle dottrine sataniste ci si chiede se
trovino applicazione gli articoli 414 e 415 del codice penale, che riguardano l’istigazione a
delinquere 209 e l’istigazione a disobbedire alle leggi 210. La manifestazione di una ideologia,
per quanto contraria alla morale comune, non è tuttavia sufficiente a far sì che queste
norme vengano integrate; per la realizzazione di questi reati è necessaria infatti una attività
in concreto idonea a promuovere la commissione di specifici delitti.
Altro argomento fortemente discusso riguarda la possibilità di attribuire alle sette
sataniche la fattispecie prevista dall’articolo 416 c.p., associazioni a delinquere 211. Perché
ciò avvenga è necessario che sia previsto dalla setta un accordo a carattere generale e
208
209
210
211
Art. 727 c.p. (Abbandono di animali): Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito
abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e
produttive di gravi sofferenze.
Art. 414 c.p. (Istigazione a delinquere): Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è
punito, per il solo fatto dell’istigazione:
1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a € 206, se trattasi di istigazione a
commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena
stabilita nel n. 1.
Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti.
Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda
delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà.
[La Corte Costituzionale, con sentenza n. 65 del 4 maggio 1970, ha dichiarato che l’apologia punibile ai
sensi dell’art. 414, è quella che per le sue modalità integra un comportamento concretamente idoneo a
provocare la commissione di delitti trascendendo la pura e semplice manifestazione del pensiero].
Art. 415 c.p. (Istigazione a disobbedire alle leggi): Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle
leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni.
[La Corte Costituzionale, con sentenza n. 108 del 23 aprile 1974, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale di questo articolo, riguardante l’istigazione all’odio fra le classi sociali, nella parte in cui
non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità].
Art. 416 c.p. (Associazione per delinquere): Quando tre o più persone si associano allo scopo di
commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono
puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a
quindici anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché
all’articolo 12, comma 3bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n.286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a
nove anni nei casi previsti dal secondo comma.
Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di
anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un
minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti
dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma.
- 277 -
continuativo volto all’attuazione di un programma di delinquenza, con la conseguente
predisposizione di attività e mezzi atti allo scopo. Nonostante spesso le sette sembrino
riempire in toto la fattispecie ex 416 c.p., la contestazione di questo reato è alquanto
limitata e, anche quando questa viene contestata, spesso la magistratura giudicante non
condanna i partecipanti per questo reato associativo, vista la sua complessità.
Innanzitutto si ricorda che l’essenza stessa dell’associazione a delinquere è il
programma delittuoso. Ne consegue che non può avere nessuna rilevanza un’associazione
con scopi moralmente riprovevoli ma non delittuosi.
Inoltre, ai fini della configurabilità del delitto in esame, è necessaria la
predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi,
funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da
parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad
operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune 212.
“Perché possa essere configurato il reato di cui all’art 416 c.p. vi deve essere la
consapevolezza dei singoli membri in ordine al fatto che con i reati fine stiano
perseguendo e realizzando il fine cui l’associazione criminosa tende 213”.
Ai fini della contestazione ai gruppi settari del reato ex 416 è quindi necessario che
via sia:
- stabilità di rapporti fra gli adepti;
- minimo di organizzazione anche senza formale definizione di ruoli;
- non occasionalità o estemporaneità della stessa;
- costituzione in vista anche di un solo reato e per il conseguimento di un vantaggio
finanziario o di altro vantaggio materiale 214.
Perché possa ritenersi sussistente l’elemento soggettivo in capo al singolo membro
dell’associazione occorrerà perciò accertare la coscienza e volontà del singolo di apportare
il contributo richiesto dalla norma incriminatrice. La volontarietà dell’azione dovrà,
inoltre, essere accompagnata dalla consapevolezza di partecipare e contribuire
attivamente, con il suddetto contributo, alla vita dell’associazione e di essere a conoscenza
dello scopo e delle finalità del gruppo criminoso.
212
213
214
(Cass. pen., sez. II, 3 aprile 2013, n. 20451).
G.U.P. di Busto Arsizio, 22 febbraio 2005, n. 107, caso “Bestie di Satana”
Tale elencazione si può ricavare da:Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, in tema di
transnazionalità e associazione a delinquere.
- 278 -
L’elemento soggettivo del delitto consiste, infatti, sia nel dolo generico, sia nel dolo
specifico: da una parte il soggetto deve agire volontariamente raffigurandosi, al momento
della commissione del fatto, il vincolo associativo e l’afferenza del suo contributo alle
dinamiche criminali del gruppo, dall’altra deve agire con la speciale intenzione di eseguire
o far eseguire uno o più delitti 215.
Risulta chiaro come anche in questo contesto gli strumenti normativi siano adatti al
caso; la forte difficoltà nell’attribuire il reato di associazione per delinquere ai gruppi
settari è infatti dovuta alla necessità di dimostrare gli elementi sopracitati, spesso di
difficile accertamento. La difficoltà maggiore si pone infatti proprio per quanto riguarda
l’elemento soggettivo degli adepti poiché questi agiscono nel contesto di alienazione e
sottomissione fisica e psichica, più volte citato e analizzato nel corso della trattazione.
Per quanto concerne le aggravanti, queste sono quelle solitamente riconosciute per i
delitti commessi dai satanisti:
- l’aver agito per motivi abbietti 216;
- l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone 217.
Alla luce di quanto riportato si può in generale affermare che, mentre l’inserimento
di uno specifico reato “satanista” non servirebbe la causa in questione, gli strumenti di
contrasto al satanismo ricavabili dalle norme in vigore sono molteplici, ben efficaci e
all’altezza di arginare un fenomeno che presenta purtroppo mille sfaccettature e condotte.
IV.3 Il rapporto italiano sulle sette religiose e i nuovi movimenti magici
Lo sviluppo e la pericolosità del fenomeno satanista ha negli anni destato l’interesse
anche della politica e delle alte cariche della Pubblica Amministrazione. Nella ricerca di
una corretta strategia di contrasto al satanismo, il 29 aprile 1998 il Ministero dell’Interno
ha inviato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati un rapporto,
215
216
217
Si veda in proposito: Trib. di Bari, sez. II, 16 luglio 2012, n. 1558/12, caso “Arkeon”. Otto ‘maestri’ di
Arkeon (gruppo definito “psicosetta” pur senza riconoscimento giudiziario) tra cui anche il capo, Vito
Carlo Moccia, sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Bari per i reati di associazione a
delinquere ed esercizio abusivo della professione medica.
I motivi generalmente si considerano «abbietti» quando esprimono una particolare depravazione,
bassezza d’animo e suscitano ripugnanza in ogni persona di media moralità.
Si hanno sevizie quando si infliggono alla vittima sofferenze, fisiche o anche semplicemente morali,
con mezzi tormentosi che non sono necessari per commettere il reato (digiuno, impedimento del
sonno, torture ecc.).
- 279 -
datato febbraio 1998, della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione dal titolo Sette
religiose e nuovi movimenti magici in Italia 218.
L’avvenimento ha avuto un grande risalto mediatico anche a livello internazionale,
visto il possibile rischio sette per il Giubileo. Agisce con crudeltà chi dimostra con la sua
azione, particolarmente dolorosa, assoluta mancanza di sentimenti umanitari. La crudeltà
può anche essere rivolta verso persone diverse dal soggetto passivo del reato.
Il rapporto italiano è però ben diverso da quelli pubblicati dalle commissioni
parlamentari in Francia 219 e in Belgio 220. In questi Paesi il forte interesse dei mezzi di
comunicazione per il problema delle sette è scaturito dopo i reiterati suicidi-omicidi
dell’Ordine del Tempio Solare 221 nel 1994, 1996 e 1997.
In questi Stati i rapporti sono di tipo politico poiché per analizzare il problema si
sono insediate commissioni parlamentari che hanno tenuto numerose udienze, segrete in
Francia e pubbliche o semi-pubbliche in Belgio, e hanno stilato i loro rapporti, sottoposti
al controllo e all’approvazione dei rispettivi parlamenti. Il rapporto italiano è invece un
documento di polizia a tutti gli effetti. Si tratta di un testo predisposto nell’ambito
dell’attività di intelligence interna, preceduto da studi sulle sette e sulle minoranze religiose
potenzialmente pericolose. La firma non è quella di una commissione parlamentare ma
della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, cioè di chi presiede ai servizi di
sicurezza della polizia italiana.
A differenza di documenti precedenti, tuttavia, questo è stato reso pubblico, con
una notevole portata mediatica. La natura del rapporto italiano è più simile a quella dei
documenti preparatori (non pubblici) che la commissione francese e belga dichiarano di
avere ricevuto dai propri servizi di intelligence e che dovrebbero, quindi, aver posto le
basi in termini di conoscenze per redigere i successivi rapporti parlamentari.
Il rapporto si sviluppa su 105 pagine e si divide in tre parti. Una Introduzione (pp. 119), in quattro capitoli, la quale offre le coordinate sistematiche ed espone il punto di vista
da cui gli autori hanno cercato di analizzare il fenomeno.
218
219
220
221
Rapporto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Ministero degli Interni (1998) Sette religiose e nuovi
movimenti magici in Italia, http://xenu.com-it.net/rapporto/sette.htm.
Assemblée Nationale, Les sectes en France. Rapport fait au nom de la commission d’enquête sur les sectes, Les
Documents d’Information de l’Assemblée Nationale, Parigi, 1996.
Chambre des Représentants de Belgique, Enquête parlementaire visant à élaborer une politique en vue de lutter
contre les pratiques illégales des sectes et le danger qu’elles représentent pour la société et pour les personnes,
particulièrement les mineurs d’âge, 2 voll., Chambre des Représentants de Belgique, Bruxelles, 1997.
I cui leaders erano rispettivamente un cittadino francese, Joseph DI MAMBRO, e uno belga, Luc
JOURET.
- 280 -
Seguono settanta schede dedicate rispettivamente a:
- 34 “nuovi movimenti religiosi”;
- 36 “nuovi movimenti magici”;
- l’indice.
L’Introduzione si divide in quattro capitoli. Il primo - Le radici del fenomeno e l’allarme
sociale - presenta un fenomeno che causa un crescente allarme sociale nei confronti di
forme di religiosità nuove, esotiche o comunque alternative, ispirato anche da episodi
internazionali (tra cui quelli dell’Ordine del Tempio Solare) che necessitano di un’attività
di monitoraggio da parte degli organi di polizia.
Il secondo capitolo dell’Introduzione - Distinzioni terminologiche e classificazioni - afferma che
l’uso della parola sette è spesso improprio: «(...) gli studiosi della materia preferiscono
adoperare le espressioni nuovi movimenti religiosi e nuovi movimenti magici». Per
definire i nuovi movimenti religiosi occorre in primis provare a definire la religione;
successivamente bisognerà stabilire quali movimenti religiosi sono nuovi rispetto alle
religioni o ai movimenti tradizionali.
Il rapporto osserva come le definizioni teistiche - religione come «(...) fede in un
Essere perfetto e sovrannaturale che voglia il bene degli uomini» - corrispondano ad una
concezione che «(...) non appare condivisibile nel merito». Quella corretta è una
definizione più estensiva, per cui la religione è quella realtà che «(...) intende fornire
risposte ultime ai quesiti esistenziali dell’uomo, mettendolo in contatto con la dimensione
sovrannaturale»: quella «relazione esistente tra l’uomo e il sacro, inteso come realtà
trascendente che supera il mondo fisico».
Per quanto concerne la distinzione fra nuovi movimenti religiosi e movimenti
tradizionali, il rapporto critica quella corrente di pensiero minoritaria che inquadra la
distinzione «(...) nel proselitismo aggressivo e nella forte intolleranza verso il credo altrui
(...)», in quanto, «(...) a ben vedere, questi aspetti possono rinvenirsi anche in alcune
religioni tradizionali o nelle rispettive correnti scismatiche ed integraliste».
Molto discussa è anche la tesi per la quale nei nuovi movimenti religiosi risulterebbe
«(...) prevalente l’aspetto carismatico (...)» con la conseguente venerazione del leader.
Infatti, se questo è quasi sempre vero per alcuni piccoli gruppi profetico-messianici, molte
altre volte il movimento sopravvive e continua a svilupparsi anche dopo la scomparsa del
fondatore.
- 281 -
Secondo il rapporto, la migliore classificazione sarebbe quella di carattere dottrinale
fra nuovi e tradizionali movimenti religiosi, che distingua fra tre tipi di Movimenti:
- di derivazione cristiana;
- d’ispirazione orientale;
- d’innovazione occidentali.
Per quanto riguarda la prima famiglia i Movimenti di derivazione cristiana, il rapporto
afferma che «(...) assumendo l’epoca della Riforma come cesura nella storia della
cristianità, tra i numerosi non conformismi cristiani si considerano nuovi quelli che
intendono andare oltre le stesse posizioni dei padri del Protestantesimo (Lutero e
Calvino) proprie delle chiese evangeliche riformate, ritenute ancora troppo vicine
all’ortodossia cattolica».
In questa prima grande famiglia il rapporto individua cinque sottogruppi:
- Il primo sottogruppo è quello dei movimenti apocalittico-millenaristi, distinti a loro
volta in avventisti 222, che si concentrano sull’imminenza della fine del mondo, e
restituzionisti. Questi ultimi «(...) si propongono di restituire la fede cristiana, considerata
ormai affievolita, alla purezza e al fervore delle origini».
Tuttavia, «a differenza dei movimenti di revival (Pietisti, Metodisti), che pure
predicano il risveglio spirituale ma tendono a rimanere nell’ambito della religione di
appartenenza, i restituzionisti realizzano una rottura con l’ordine religioso costituito, in
virtù di una nuova rivelazione divina che colma il vuoto creatosi nei secoli tra i tempi
apostolici (terminati con un’apostasia della verità) e quello presente (...)».
- Il secondo sottogruppo è quello cui appartengono gli antipapisti, che seguono uno dei
vari antipapi oggi presenti nel mondo, o comunque gli scismatici dalla Chiesa
cattolica.
Per quanto riguarda gli scismatici il rapporto dichiara che «si tratta del movimento riferito
a mons. Marcel Lefebvre (...)», cioè della Fraternità Sacerdotale San Pio X, al cui proposito
nota che «(...) le motivazioni della separazione risiedono non solo e non tanto nella pretesa dei
lefebvriani di conservare la liturgia di San Pio X [sic: per San Pio V] (la famosa messa in latino), ma
soprattutto nel rifiuto delle tesi concordatarie del Concilio Vaticano II».
- Il terzo, il quarto e il quinto sottogruppo risultano composti dai profetico-messianici,
dai sincretismi cristiani e da quelle che il rapporto chiama false chiese; queste
222
Esempi sono gli Avventisti del Settimo Giorno e i Testimoni di Geova.
- 282 -
dipendono da vescovi vaganti spesso scambiati del tutto erroneamente per
vescovi cattolici.
Il rapporto ritiene di dover approfondire solo il tema del terzo, quarto e quinto
gruppo in virtù dei maggiori pericoli che si celano dietro i fenomeni a questi connessi. Si
ricorda tuttavia che anche il primo e il secondo gruppo presentano aspetti alquanto
problematici, si pensi ad esempio al proselitismo aggressivo di alcuni gruppi.
Anche tra i Movimenti d’ispirazione orientale il rapporto effettua una distinzione su tre
gruppi.
- Il primo include i movimenti creati da occidentali suggestionati dalla cultura
orientale, tra i quali: la Società Teosofica, la Società Antroposofica e i vari gruppi
ispirati all’opera di Alice Bailey.
- Il secondo comprende i movimenti considerati già nuovi nel paese in cui sono sorti
e importati in Occidente da maestri orientali intenzionati a proporre messaggi
tipici della propria tradizione (in proposito si parla anche di missioni indiane o
giapponesi), tra cui: i Baha’i (di origine persiana), gli Hare Krishna, la Meditazione
Trascendentale (che tuttavia nega di essere un movimento religioso), il Sahaja
Yoga, i seguaci di Osho Rajneesh, di Sri Chimnoy e di Sathya Sai Baba, la Soka
Gakkai e Sukyo Mahikari.
- Il terzo è composto dai movimenti orientalisti fondati da guru italiani. Quanto ai
primi due gruppi, comprendono movimenti che in altri Paesi sono considerati
problematici ma che «(...) in Italia non hanno mai dato adito a rilievi di sorta;
esuleranno, quindi, dalla nostra analisi». Il rapporto focalizza l’attenzione
solamente sull’ultimo gruppo: i movimenti orientalisti nostrani, in cui talvolta si
incontrano «(...) personaggi ambigui o con intenzioni truffaldine».
Il rapporto restringe il terzo gruppo Movimenti di innovazione occidentali ai movimenti
del potenziale umano, per cui il documento propone il sinonimo di psicosette (dette
anche autoreligioni). Su questo gruppo si scrive che «sono queste, peraltro, le sette che
appaiono degne di maggiore attenzione, in quanto principalmente su di esse si accentrano
le accuse di destrutturazione mentale e di indebito arricchimento ai danni degli affiliati».
Come parametro di identificazione di questa categoria è stata presa La Chiesa di
Scientology; nella stessa categoria sono state incluse anche la Fellowship of Friends (che
- 283 -
rappresenta più un nuovo movimento magico) e il Silva Mind Control (che si presenta,
senza implicazione religiosi, come pura tecnica di auto-perfezionamento).
Dalla religione «(...) come esperienza del sacro ricercata per se stessa (ierofania) va
tenuta distinta la magia come esperienza di potere (cretofania [sic: per “cratofania”])
destinata a migliorare la condizione di chi la pratica». È possibile, quindi, parlare
separatamente di nuovi movimenti magici, che «(...) pur apparendo sociologicamente
simili a quelli religiosi, appaiono caratterizzati dal significato diverso e quasi strumentale
attribuito al rapporto con la dimensione trascendente».
Il rapporto propone tuttavia una classificazione in famiglie anche per i nuovi
movimenti magici:
- la prima comprende i gruppi iniziatici, fraternità universali, ordini pitagorici;
- la seconda include gli ordini rosicruciani;
- la terza i gruppi gnostici;
- la quarta comprende i gruppi dediti alla magia cerimoniale;
- la quinta lo spiritismo;
- la sesta i culti ufologici;
- la settima i gruppi del neopaganesimo e New Age;
- l’ottava il satanismo e il luciferismo.
Tutte queste distinzioni rappresentano soltanto «(...) riferimenti di massima per
orientarsi nel panorama sterminato e sempre mutevole di quello che gli studiosi chiamano
il cultic milieu, ovvero il mondo delle sette».
Il terzo capitolo dell’Introduzione - Pericoli e possibili implicazioni penali nell’attività di alcuni
movimenti - analizza i rischi di rilevanza penale che potrebbero manifestarsi in alcuni dei
gruppi esaminati.
Le preoccupazioni riguardano principalmente cinque aree:
- La prima area problematica è quella «(...) del cosiddetto lavaggio del cervello
(brainwashing) o altri consimili metodi atti a limitare la libertà di
autodeterminazione del singolo».
Il rapporto considera in questo contesto un dato ormai acquisito il fatto che «taluni
movimenti (specialmente le psicosette), sia nella fase di proselitismo che in quella di
indottrinamento degli adepti, ricorrono a sistemi scientificamente studiati per aggirare le
- 284 -
difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad un atteggiamento acritico e
all’obbedienza cieca».
In Italia tuttavia, dopo la sentenza n. 96 del 9 aprile 1981 della Corte Costituzionale,
«(...) non è più previsto il reato di plagio (...)», e quindi quanto va sotto il nome di
“lavaggio del cervello” in gran parte «(...) potrebbe non essere perseguibile».
- La seconda area problematica si riferisce alla truffa e all’«(...) interesse, più che
all’arricchimento spirituale degli adepti, a quello materiale dei capi carismatici
(...)», problema che in effetti il rapporto ritiene di riscontrare anche in Italia in
taluni movimenti, specie di piccole dimensioni.
- La terza area problematica riguarda «il celare, dietro un’apparenza talora rispettabile,
i comportamenti immorali o condotte illecite».
In questo caso ci si scontrerebbe con associazioni per delinquere a tutti gli effetti. Il
rapporto rileva che in Italia non esiste un delitto di setta, «(...) per cui i crimini connessi a
manifestazioni di culto sono trattati come reati comuni a tutti gli effetti, fatte salve le
valutazioni morali riferite al movente».
Il rapporto rileva che la Cassazione, nella già citata sentenza del 1997, ha assunto
una posizione decisamente favorevole alla stessa Chiesa di Scientology; inoltre anche
alcune iniziative giudiziarie intraprese a carico di compagini sataniste si sono concluse con
l’assoluzione di tutti gli imputati.
Tuttavia negli anni Ottanta alcuni gruppi, nell’area del cattolicesimo di frangia, si
sono macchiati di reati di diversa natura: il rapporto cita la Pia Unione di Gesù
Misericordioso di Ebe Giorgini (“Mamma Ebe”) e il Gruppo del Rosario, di Lidia
Naccarato.
- La quarta area problematica riguarda «la propugnazione di dottrine connotate da
elementi fortemente irrazionali, che potrebbero obnubilare gli adepti e spingerli a
comportamenti devianti e pericolosi per la sicurezza pubblica».
L’attenzione del rapporto si focalizza in quest’ambito sui gruppi millenaristi, distinti
in utopici (che pensano di migliorare il mondo) e catastrofici, che attendono avvenimenti
rovinosi; è dal secondo gruppo che «(...) ci si possono aspettare, con maggiore probabilità,
gesti anticonservativi». È in tal proposito che il rapporto prende in considerazione i
possibili rischi per il Giubileo.
- 285 -
- La quinta area problematica - «il perseguimento di obiettivi diversi da quelli
dichiarati, se non addirittura di piani eversivi o destabilizzanti dissimulati dal
pretesto religioso» - è citata come rischio che potrebbe coinvolgere l’Italia in un
prossimo futuro mentre è al momento assente sul nostro territorio.
La stessa Chiesa di Scientology, a differenza di quanto avviene in Germania dove è
considerata «(...) una seria minaccia per le istituzioni democratiche», in Italia non mostra
connotati tali da rendere possibile il perseguimento di disegni politici rilevanti.
Il quarto capitolo dell’Introduzione - Il problema delle stime numeriche - rileva la difficoltà di
quantificare i «(...) membri dei nuovi movimenti religiosi o magici, in quanto le stime sono
diverse se si parla dei loro clienti o dei veri e propri fedeli».
Inoltre «(...) qualunque statistica esprime la situazione corrispondente al momento in
cui è stata compiuta, senza rendere il senso del continuo ed elevato turnover delle persone
coinvolte, che invece si presenta come un elemento caratterizzante delle aggregazioni
esaminate». Con tutte queste riserve, il rapporto riporta cifre provvisorie sulla base di «(...)
rilevamenti compiuti dalle Questure negli ultimi due anni»: 76 nuovi movimenti religiosi
con 78.500 aderenti e 61 nuovi movimenti magici con 4.600 aderenti. Come
precedentemente introdotto, la seconda e la terza parte del rapporto riportano schede su
settanta singoli nuovi movimenti religiosi e magici, classificati in base allo schema
proposto nell’Introduzione. Tuttavia il documento italiano non propone una lista delle
sette in senso proprio, contrariamente ai rapporti parlamentari in Francia e in Belgio.
Le settanta schede che costituiscono la seconda e la terza parte del rapporto sono
presentate solamente come «(...) una descrizione di alcuni gruppi attivi sul territorio
nazionale, scelti tra quelli che appaiono di maggior interesse (...)». Il rapporto evidenzia
infatti che le Questure effettuano un’opera di monitoraggio su 137 nuovi movimenti
religiosi e magici ma solo in settanta hanno diritto a una scheda.
Il rapporto, sulla base di una tipologia, dedica la sua attenzione a tutti i movimenti di
una certa famiglia o sottogruppo e a nessun movimento di altre famiglie o sottogruppi.
Per esempio, nell’ambito dei movimenti di origine cristiana, vengono dedicate schede a
tutti i gruppi profetico-messianici e a nessun gruppo di tipo avventista. Mentre si offrono
schede per tutti i gruppi fondati recentemente da maestri italiani, nessuna scheda è
prevista per i gruppi nati in Oriente.
- 286 -
Nella scheda dedicata al satanismo si escludono inoltre in maniera categorica le
enormi cifre spesso inventate dai media; si qualifica come assurdo anche il collegamento
ad un organo centrale dei movimenti clandestini e pubblici legati al satanismo.
Le stime numeriche. Risulta molto difficile fornire dati esatti sulle dimensioni del
fenomeno, quantificando le sette del tipo in esame presenti in Italia e specificando per
ognuna il numero degli aderenti, vista l’eterogeneità delle fonti informative; quest’ultime
sono infatti rappresentate dai movimenti stessi, dai loro fuoriusciti, dagli studiosi e dai
media. Il variare delle cifre dipende anche dalla scelta di considerare nel computo le
piccole e poco diffuse formazioni oppure i soli movimenti con una certa popolarità e
diffusione a livello nazionale ed internazionale. Addirittura le più approfondite ricerche
non possono tenere conto dei fenomeni associativi clandestini o comunque privi di
visibilità esterna.
Vi sono infatti alcuni gruppi che si riuniscono solo in luoghi privati e non compiono
alcuna attività di proselitismo, rendendo così impossibile il loro esame.
Per quanto riguarda la determinazione del numero degli affiliati si ricorda che le
proporzioni mutano in base al criterio utilizzato per determinare l’ambito di riferimento.
Ad esempio, da alcuni rilevamenti effettuati in Italia dall’ISPES sulle credenza
nell’occultismo, nell’esoterismo e nel satanismo 223 risultano essere attivi sul nostro
territorio ben 70mila maghi, chiaroveggenti e guaritori, i cui clienti sarebbero addirittura
milioni; tuttavia questo censimento non ricomprende solamente i cult movements ma i client
cults.
Un ulteriore problema riguarda l’esistenza di diversi gradi di adesione ai movimenti
religiosi e magici. Oltre ai “profeti”, ai “ministri di culto”, ai “maestri”, e ai “grandi
iniziati”, vi sono i “membri attivi” (che seguono e finanziano tutte le iniziative del
gruppo), coloro che aderiscono alla dottrina solo intimamente senza adesioni formali, ed
infine i semplici curiosi e simpatizzanti.
Risulta quindi chiaro che per effettuare una corretta analisi bisognerebbe poter
scindere tra queste diverse figure; ciò è tuttavia impossibile vista anche la tendenza degli
stessi rappresentanti dei gruppi a riportare dati esagerati per dimostrare la propria crescita
e importanza.
223
Rientriamo nell’ambito dei sondaggi demoscopici diretti dall’antropologa GATTO TROCCHI Cecilia e
compendiati nelle raccolte I soldi del Diavolo (marzo 1989) e Notizie dal Mistero (febbraio 1990).
- 287 -
Anche la consultazione degli stessi elenchi o “indirizzari” degli affiliati, quando
consultabili, risulta fuorviante; infatti molti movimenti, soprattutto quelli definiti “per lo
sviluppo del potenziale” o psicosette, tendono a includere in questi elenchi anche i
semplici curiosi che si sono limitati a partecipare per una sola volta a un breve corso o
seminario 224. Qualunque statistica esprime inoltre la situazione corrispondente al
momento in cui è stata compiuta senza tener conto del continuo ed elevato turnover delle
persone coinvolte; quest’ultimo elemento risulta invece caratterizzante delle aggregazioni
esaminate.
Una volta effettuate le dovute premesse, si riportano i dati emersi dai rilevamenti
compiuti dalle Questure negli anni 1997-1998:
NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI
TIPOLOGIA
GRUPPI
ADERENTI
Movimenti per
lo sviluppo del
potenziale
NUOVI MOVIMENTI MAGICI
TIPOLOGIA
GRUPPI
ADERENTI
18
1.200
4
150
2
50
9
200
28
3.000
61
4.600
Movimenti
15
8.500
31
45.000
5
500
esoterici e
occultistici
Movimenti di
matrice
cristiana
Spiritismo
Movimenti
occidentali con
tendenze
Culti
ufologici
orientaleggianti
Gruppi
orientalisti sorti
in Italia
Sette
7
satanico-
500
luciferine
Culti orientali
importati in
Occidente
TOTALE
224
Movimenti
18
24.000
76
78.500
neopagani e
New Age
TOTALE
Esemplificativo è il caso di Scientology, che dichiara oltre 27mila adepti, numero decisamente abnorme e
verosimilmente raggiunto calcolando tutti coloro che, almeno una volta, si sono sottoposti al famoso
“test di misurazione della personalità” gratuitamente offerto, anche per corrispondenza, al fine
d’incentivare l’ingresso nell’organizzazione.
- 288 -
I dati forniti vanno tuttavia interpretati alla luce della già prospettata difficoltà di un
censimento esaustivo. La distribuzione delle singole componenti sul territorio nazionale
può essere invece rappresentata con questi grafici:
IV.4 Le iniziative parlamentari di contrasto
I fenomeni criminosi legati al satanismo hanno negli anni destano, oltre al forte
allarme sociale nella popolazione, la particolare attenzione di studiosi, media e addirittura
vertici politici.
A conferma di ciò vi sono numerose iniziative parlamentari, facenti principalmente
riferimento alla sentenza n. 96 del 1981 della Corte Costituzionale con cui venne
dichiarata l’illegittimità del delitto di plagio 225.
Negli ultimi anni, proprio per colmare il vuoto legislativo lasciato dall’abrogazione di
questo reato, sono state infatti avanzate numerose proposte di legge.
Il 6 novembre del 2001 venne presentato, con primo firmatario il senatore Meduri, il
disegno di legge n. 800 “Norme per contrastare la manipolazione psicologica” 226.
225
226
La sentenza di incostituzionalità dell’art 603 fu emessa in occasione del processo instaurato a carico di
don Emilio Grasso, successivamente alle denunce delle famiglie dei giovani ospitati nella comunità
religiosa di cui era guida. La sentenza sostiene il contrasto di detto articolo con il principio di
tassatività. La motivazione della sentenza, in riferimento all’art. 25 Cost., si incentra sull’intelligibilità
del precetto e sulla questione riguardante l’effettiva accertabilità del fenomeno ipotizzato dal
legislatore, in base a criteri razionalmente ammissibili.
Il disegno di legge è immediatamente successivo all’11 settembre; nella relazione introduttiva viene
infatti affermato che la manipolazione mentale può anche essere utilizzata da gruppi terroristici.
- 289 -
La norma proposta recita:
“Chiunque, mediante violenza, minacce, suggestioni o con qualunque altro mezzo,
condizionando e coartando la formazione dell’altrui volontà, pone taluno in uno stato di
soggezione tale da escludere o limitare la libertà di agire, la capacità di autodeterminazione
e quella di sottrarsi alle imposizioni altrui, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Costituisce aggravante se tramite i mezzi indicati al comma 1, la vittima è indotta a
compiere atti lesivi o pericolosi per la propria o per l’altrui integrità fisica o psichica.
Se i fatti previsti nei commi 1 e 2 sono commessi in danno di persona minore di
anni diciotto, la pena non può essere inferiore a dieci anni di reclusione” 227.
La proposta venne messa in disparte poiché la formulazione risultava confusa, in
quanto si volevano tutelare una pluralità di beni che non necessariamente vengono offesi
con il reato di manipolazione mentale.
Con questo reato non si lede la libertà di agire (intesa come libertà da vincoli
ostativi), visto che il soggetto plagiato rimane libero di muoversi, anche se preferirà restare
all’interno del gruppo.
Tale bene giuridico viene comunque tutelato dal reato di sequestro di persona;
inoltre non viene inquadrato con precisione il concetto di stato di soggezione, rimanendo
quindi nell’indeterminatezza dell’art. 603 c.p.
Nell’ottobre 2002 la senatrice Alberti Casellati presentò il disegno di legge n.1777
“Disposizioni concernenti il reato di manipolazione mentale”, con l’intento di correggere
le imperfezioni del progetto precedente.
Il disegno di legge propone di introdurre l’art. 613-bis nel codice penale:
“Art. 613-bis, (Manipolazione mentale): Chiunque, con violenza, minacce, mezzi
chimici, interventi chirurgici o pratiche psicagogiche di condizionamento della personalità,
pone taluno in uno stato di soggezione tale da escludere la capacità di giudizio e la
capacità di sottrarsi alle imposizioni altrui, al fine di fargli compiere un atto o determinare
un’omissione gravemente pregiudizievoli, è punito con la reclusione da quattro a otto
anni. Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove attività che abbiano
per scopo o per effetto di creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle
227
Disegno di legge n. 800, Norme per contrastare la manipolazione psicologica, d’iniziativa dei senatori Meduri,
Cozzolino, Crinò, Battaglia Antonio, Bevilacqua, Semeraro, D’ippolito, Pellicini, Curto, Demasi,
Grillotti, Zappacosta, Gentile, De Gennaro, Trematerra e Nocco.
Comunicato alla Presidenza il 6 novembre 2001.
- 290 -
persone che vi partecipano, le pene di cui al primo comma sono aumentate di un
terzo” 228.
L’esigenza di soddisfare il principio di tassatività ha portato in questa circostanza a
inserire tra gli elementi della fattispecie il dolo specifico, oltre ad enucleare le modalità
della condotta. La lesione alla libertà del volere deve essere finalizzata al compimento, da
parte della vittima, di un atto o di un’astensione gravemente pregiudizievoli. Inoltre
questo disegno di legge fa esplicito riferimento, al secondo comma, ai gruppi che
utilizzano la manipolazione ai fini distruttivi.
Nel 2004 vennero presentate altre due proposte di legge, una a novembre su
iniziativa del deputato Serena 229, l’altra a dicembre del deputato Perrotta 230; tuttavia queste
proposte non hanno novità di rilievo in più alle precedenti.
Nel 2005 la Commissione Giustizia del Senato approvò un disegno di legge il cui
testo è il frutto della fusione della proposta della senatrice Casellati e del senatore Meduri;
in seguito tale proposta non fu tuttavia più messa in calendario per la discussione 231.
Nel 2007 il deputato Pisticchio elaborò la proposta di legge n. 3225 per
l’introduzione dell’art 613-bis. La relazione di presentazione mette subito in luce che
l’aspetto più problematico, per la tutela della personalità da condizionamenti di tipo
plagiario, riguarda l’impossibilità di adottare l’allargamento a fattispecie simili come la
riduzione in schiavitù, la circonvenzione di incapace, il sequestro di persona o la violenza
privata 232. Nel 2008 venne presentato il disegno di legge n. 569, con primo firmatario il
senatore Caruso, formulato principalmente alla luce del caso “ Bestie di Satana”. La
proposta si articola così:
“Art. 613-bis., (Manipolazione mentale): Salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque, mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione
praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione
continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è
punito con la reclusione da due a sei anni.
228
229
230
231
232
Disegno di legge n. 1777, Disposizioni concernenti il reato di manipolazione mentale, d’iniziativa della senatrice
Alberti Casellati, 16 ottobre 2002.
Proposta di legge n.5440, Disposizioni in materia di contrasto della manipolazione mentale, d’iniziativa del
deputato Serena, 23 novembre 2004.
Proposta di legge n. 5511, introduzione dell’articolo 613-bis del codice penale, concernente il reato di
manipolazione mentale, d’iniziativa del deputato Perrotta, 22 dicembre 2004.
DEL VECCHIO G., PITRELLI S., Occulto Italia, Milano, 2001, pp. 458-460.
Progetto di legge n. 3225, Introduzione dell’articolo 613-bis del codice penale, concernente il reato di
manipolazione mentale, d’iniziativa del deputato Pisicchio, 7 novembre 2007.
- 291 -
Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività
finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi
partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui
al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà. Se i fatti previsti nei commi 1 e 2
sono commessi in danno di persona minore di anni diciotto, la pena non può essere
inferiore a sei anni di reclusione” 233.
L’ultima iniziativa è la proposta di legge n. 190 presentata nel marzo 2013 sempre su
iniziativa del deputato Pisicchio, concernente il reato di manipolazione mentale. La
proposta chiede l’inserimento dell’art. 613-bis così formulato:
“Art. 613-bis. (Manipolazione mentale): Salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque, con violenza o minacce ovvero mediante tecniche di condizionamento della
personalità o di suggestione, pone taluno in uno stato di soggezione tale da escludere la
capacità di giudizio e la capacità di sottrarsi alle imposizioni altrui, escludendo la libertà di
autodeterminazione, è punito con la reclusione da quattro a otto anni.
Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività
finalizzate a creare o a sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi
partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui
al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà” 234.
Alcuni studiosi si sono dichiarati pubblicamente contrari alle proposte di legge sulla
manipolazione mentale.
Lo stesso Massimo Introvigne, in riferimento alla proposta della senatrice Alberti
Casellati, ha dichiarato di considerare tale iniziativa legislativa “pericolosa, potenzialmente
liberticida e insieme inutile per gli scopi che si propone di raggiungere”.
Questa proposta colpirebbe infatti solo i gruppi piccoli, deboli, con pochi mezzi di
autotutela e addirittura innocui, lasciando indisturbati gruppi più grandi, forti e capaci di
difendersi con maggiore perizia 235.
233
234
235
Disegno di legge n. 569, Disposizioni concernenti il reato di manipolazione mentale, d’iniziativa dei Senatori
Caruso, Mugnai, Baldassarri, Pontone, Allegrini, Gramazio, Delogu, Augello, Totaro, Coronella,
Menardi, Fluttero E Gamba, comunicato alla Presidenza il 15 maggio 2008.
Camera dei deputati n.190 proposta di legge d’iniziativa del deputato Pisicchio, Introduzione dell’articolo
613-bis del codice penale, concernente il reato di manipolazione mentale, presentata il 15 marzo 2013.
Il pensiero dell’autore si spiega in virtù del suo convincimento che le teorie del lavaggio del cervello
affondino le loro radici nella difficoltà della società di spiegare scelte “strane”. Tra queste scelte
rientrano anche quelle religiose considerate eretiche dalla maggioranza. In questi casi si sostiene spesso
che la persona non agisce ma “è agita” da un’altra che la costringe. INTROVIGNE M., Legge sul plagio,
capriccio liberticida della Casa per le libertà, in IL FOGLIO, 19 marzo 2004.
- 292 -
Singolare, anche se presentata nel marzo del 2003, è infine la proposta di legge 3770,
che mira ad introdurre il reato di abuso di rituale esoterico-satanista e a equiparare le sette
sataniche alle associazioni segrete 236.
236
La definizione di associazione segreta si trova nella legge 25 gennaio 1982, n. 17, Norme di attuazione
dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata
Loggia P2 (GU n. 27 del 28 gennaio 1982).
- 293 -
PROPOSTA DI LEGGE 237
Art. 1
“Sono equiparati alle associazioni segrete di cui alla legge 25 gennaio 1982, n. 17, i
movimenti sedicenti religiosi, esoterici o magici ed i seguaci del «culto di Satana» che,
operando clandestinamente, o rendendo sconosciuti, in tutto o in parte, gli associati,
perseguono le proprie finalità con riti e atti contrari al buon costume, con atti di
vilipendio alle religioni e abusi rituali satanici, lesivi della dignità e dei diritti della
persona”.
Art. 2
All’articolo 643 del codice penale, dopo il primo comma è aggiunto il seguente:
«Le pene sono aumentate se il reato è commesso nell’esercizio di pratiche esotericosataniche».
Art. 3
Dopo l’articolo 609-decies del codice penale sono inseriti i seguenti:
«Art. 609-undecies - (Abuso rituale satanico esoterico) 238 - L’abuso rituale satanico
esoterico consiste in ogni atto di violenza fisica o psichica, compiuto nell’esercizio di
pratiche esoterico-sataniche, singolarmente o da parte di più persone riunite, in un
contesto di assoggettamento della vittima. Chiunque commette abusi rituali satanicoesoterici è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Art. 609-duodecies - (Circostante aggravanti) 239 - Per il reato di cui all’articolo 609undecies la pena è aumentata se il fatto è commesso:
237
238
239
Proposta di legge n. 3770, Misure contro i movimenti sedicenti religiosi, esoterici o magici ed i seguaci del «Culto di
Satana» d’iniziativa dei deputati Alboni, Airaghi, Amoruso, Anedda, Briguglio, Butti, Cannella,
Castellani, Catanoso, Giorgio Conte, Giulio Conti, Del Mastro, Delle Vedove, Fasano, Foti, Garnero
Santanchè, Ghiglia, Landi Di Chiavenna, Lisi, Lo Presti, Maceratini, Maggi, Gianni Mancuso, Menia,
Migliori, Angela Napoli, Onnis, Paolone, Patarino, Porcu, Raisi, Rositani, Saglia, Saia, Strano e
Trantino, presentata l’11 marzo 2003.
Attualmente: Art.609-undecies, (Adescamento di minorenni): Chiunque, allo scopo di commettere i reati di
cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui
all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un
minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre
anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici,
lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di
comunicazione. Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 1 ottobre 2012, n. 172.
Attualmente: Art.609-duodecies, Circostanze aggravanti: Le pene per i reati di cui agli articoli 609-bis, 609quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies, sono aumentate in misura non eccedente la metà nei
casi in cui gli stessi siano compiuti con l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di
accesso alle reti telematiche. Articolo inserito dall’art. 1, comma 4, D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39.
- 294 -
1) con l’utilizzo di sostanze stupefacenti, alcoliche, narcotiche o atti intimidatori;
2) con atti di vampirismo, scarnificazione e cannibalismo.
La pena è aumentata di un terzo se dal fatto deriva un turbamento psichico duraturo
o una lesione personale.
La pena è aumentata di due terzi se concorre alcuna delle circostanze aggravanti
previste dall’articolo 583.
La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il reato è commesso:
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
2) dall’ascendente, dal genitore adottivo, dal tutore nei confronti di persona
minorenne;
3) da parte di tre o più persone.
La pena è della reclusione da otto a quattordici anni se il reato è commesso con atti
di violenza sessuale».
IV.5 Gli interventi europei “anti-setta”
La disciplina giuridica dei gruppi religiosi è riservata alla competenza esclusiva dei
paesi membri, potendo l’Unione Europea intervenire solo in merito alla libertà religiosa e
alla tutela dei diritti umani.
Il legislatore europeo si è occupato negli anni principalmente di sette, prestando
poca attenzione alle altre forme di aggregazione religiosa; questa scelta è dovuta al fatto
che, a partire dagli anni Settanta, in Europa c’è stata una grande diffusione del fenomeno
settario, il quale ha provocato un forte allarmismo sociale.
L’azione esercitata dalla Chiesa dell’Unificazione del reverendo Sun Myung Moon 240
spinse nel 1982 il Parlamento europeo ad affidare alla Commissione per la Gioventù, la
240
SUN MYUNG MOON, nato Mun Yong-myeong (Jeongju-gun, 6 gennaio 1920 - Corea del Sud, 3
settembre 2012), è stato un predicatore sudcoreano, fondatore della Chiesa dell’Unificazione e
presidente della Universal Peace Federation.
La Chiesa dell’Unificazione si presenta come un movimento vagamente cristiano, ecumenico,
missionario, di redenzione dell’umanità (restaurazione), attraverso la realizzazione della “famiglia
ideale” centrata su Dio.
Il movimento è stato trasformato nel 1996 dallo stesso Moon in Federazione delle Famiglie per l’Unità e la
Pace nel Mondo, conservando però i caratteri religiosi che lo contraddistinguono.
- 295 -
Cultura l’Educazione e lo Sport, presieduta dall’on. Richard Cottrell, il compito di
analizzare la questione al fine di elaborare una risoluzione in merito.
Il Rapporto Cottrell 241 evidenzia tutti i potenziali pericoli che le sette possono
rappresentare, soprattutto per i giovani, e sollecita il Parlamento Europeo
all’approvazione di una risoluzione per metterne a conoscenza i Paesi membri.
Tale rapporto suscita forti dissensi da parte delle organizzazioni religiose, che
denunciano la sostanziale lesione della libertà religiosa. Nonostante i dubbi dei
parlamentari e le opposizioni, il 22 maggio 1984 viene approvata la Risoluzione del
Parlamento Europeo “Su un’azione comune degli Stati comunitari di fronte a diverse
infrazioni di legge compiute da recenti organizzazioni che operano al riparo della libertà di
religione”. Per la prima volta il legislatore europeo si occupa dei nuovi movimenti
religiosi, sottolineandone le pericolosità e dettando dei parametri per determinare la liceità
delle condotte tenute dai gruppi religiosi minoritari, con particolare attenzione alla tutela
dei minori.
Si fa qui riferimento in particolare all’art. 5) della Risoluzione che dispone quanto
segue: ”raccomanda che per l’esame, la registrazione e la valutazione dell’attività delle
suddette organizzazioni vengano impiegati i seguenti criteri:
a) le persone che non hanno raggiunto la maggiore età non dovrebbero essere
obbligate ad assumere un impegno di adesione a lungo termine e determinante
per il loro avvenire,
b) dovrebbe essere previsto un sufficiente periodo di riflessione sull’impegno che si
intende assumere, abbia esso carattere finanziario o personale,
c) dopo l’adesione a un’organizzazione i contatti da parte della famiglia e degli amici
devono essere possibili,
d) non si dovrebbe impedire ai membri che hanno già iniziato un corso di
formazione di portarlo a termine,
e) devono essere rispettati i seguenti diritti dell’individuo:
- il diritto di abbandonare liberamente un’organizzazione;
- il diritto di mantenere contatti con la famiglia e gli amici sia direttamente che
tramite corrispondenza o telefono;
241
Commissione per la gioventù, la cultura, l’istruzione, l’informazione e lo sport: Documento 1-47/84
relazione sull’attività di alcuni “nuovi movimenti religiosi” all’interno della Comunità europea, relatore
Richard Cottrell (2 aprile 1984).
- 296 -
- il diritto di chiedere un consiglio all’esterno, sia di carattere giuridico che di altro
tipo;
il diritto di chiedere l’assistenza medica;
f) nessuno deve essere mai incoraggiato a infrangere una legge, in particolare nel
contesto della raccolta di fondi, per esempio esercitando la questua o la
prostituzione;
g) le
organizzazioni
non
possono
richiedere
un’adesione
permanente
all’organizzazione a quei membri potenziali -per esempio studenti o turisti- che si
trovano temporaneamente in un paese diverso da quello di residenza;
h) al momento del reclutamento di nuovi membri, si devono sempre e
immediatamente specificare la denominazione e i principi dell’organizzazione;
i) le organizzazioni sono tenute a fornire alle competenti autorità, qualora esse lo
richiedano, informazioni sulla residenza o sulla dimora dei membri;
j) le predette organizzazioni devono assicurare che le persone che dipendono da
loro o svolgono un’attività per loro siano coperte dalle assicurazioni sociali negli
Stati membri nei quali vivono o lavorano;
k) se un membro intraprende un viaggio all’estero, soprattutto in un paese lontano,
nell’interesse dell’organizzazione, quest’ultima deve assumersi la responsabilità
del viaggio di rientro del membro, specialmente in caso di malattia;
l) le telefonate dei parenti devono essere comunicate ai membri interessati; la
corrispondenza deve essere inoltrata immediatamente ai destinatari;
m) per i figli dei membri, le organizzazioni devono fare tutto il possibile affinché
siano impartite loro un’educazione, un’istruzione e cure appropriate; inoltre.
devono evitare tutto quello che può nuocere al loro benessere”.
Nella premessa al punto B) si legge: “ribadendo il principio che negli Stati membri
della Comunità europea vige la piena libertà di religione e di opinione e perciò gli organi
della Comunità non hanno alcun diritto di giudicare la legittimità delle credenze religiose
in generale e l’attività religiosa in particolare”.
Scopo della Risoluzione non è quindi quello di incidere sulla libertà religiosa, bensì
sulle attività pericolose e illecite compiute nell’ambito dei nuovi movimenti religiosi.
Nella Risoluzione si invitano i Paesi membri a creare una rete per lo scambio di
informazioni sui problemi connessi alle sette, oltre che a provvedere a “una raccolta di
- 297 -
dati concernenti le ramificazioni internazionali, compresi eventuali nomi fittizi e
organizzazioni camuffate, nonché le loro attività negli stati membri”.
Non si può non notare come il documento consideri pericolose anche pratiche che
sono comunemente accettate nell’ambito delle religioni tradizionali, si pensi ad esempio al
monachesimo, alla clausura e al battesimo dei neonati.
Queste anomalie, unite alla discrezionalità riconosciuta ai Paesi membri, hanno
spinto alcuni Stati a non dare applicazione alla risoluzione 242. Le indicazioni contenute
nella risoluzione del 1984 non hanno permesso di arginare la proliferazione delle
organizzazioni religiose a carattere settario, per questo motivo il Parlamento Europeo,
spinto dalle associazioni “anti sette” e delle famiglie degli adepti, istituì una nuova
commissione di studio presieduta dall’on. John Hunt. La commissione analizzò la
situazione giuridica delle sette nei diversi paesi europei; si giunse così all’emanazione della
raccomandazione n. 1178/1992 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa 243.
La raccomandazione auspica misure per informare il pubblico della natura e degli
scopi delle sette; a questo fine, gli Stati membri del Consiglio d’Europa dovrebbero
costituire degli “enti indipendenti” per “raccogliere e far circolare queste informazioni”.
Inoltre i Paesi comunitari vengono invitati a prendere misure a livello legislativo che
assegnino lo status di personalità giuridica alle sette; tuttavia tale suggerimento non ha
ricevuto il sostegno del Comitato dei Ministri 244.
Ancora una volta l’attenzione dell’Europa si rivolge fortemente ai minori, nel
tentativo di evitare che questi possano cadere nelle mani di alcuni movimenti religiosi
dalla “dubbia moralità”. A tal fine la raccomandazione fa appello agli Stati membri di:
- includere nei programmi d’istruzione di base informazioni obiettive riguardo alle
religioni;
- specialmente in casi di sottrazioni di bambini, di ratificare la Convenzione
Europea
sul
riconoscimento
e
l’applicazione
delle
sentenze
relative
all’affidamento dei figli e al ripristino dell’affidamento di bambini 245 e di adottare
leggi che le mettano in vigore;
242
243
244
245
Un esempio è il Regno Unito, dove la risoluzione non è mai stata applicata nonostante gli esponenti
del partito conservatore l’avessero fortemente appoggiata.
Recommendation 1178 (1992) on sects and new religious movements, adopted on 5 February 1992.
Doc. 7030 of 21 February 1994, Communication from the Committee of Ministers. Supplementary Reply to
Recommendation 1178 (1992) on sects and new religious movements, paragraph 3.
Adottata il 20 maggio 1980 in Lussemburgo, CETS n. 105.
- 298 -
- applicare in modo più rigoroso le leggi esistenti relative alla protezione dei
bambini;
- informare coloro che appartengono a una setta che hanno il diritto di andarsene.
Risulta chiaro come l’Europa con tale documento abbia optato per una politica di
prevenzione contro le attività potenzialmente pericolose compiute dalle organizzazioni
religiose a carattere minoritario; tuttavia tale scelta non si è dimostrata idonea al
raggiungimento degli obiettivi prefissati. Le sette hanno continuato infatti a riempire le
prime pagine dei giornali, soprattutto a causa di numerose tragedie avvenute tra il 1994 e il
1995 in Svizzera ed in Francia 246; ciò ha fatto sì che l’attenzione del legislatore europeo
restasse focalizzata sul problema.
Venne così emanata la “Risoluzione sulle sette in Europa” 247 del 29 febbraio 1996,
con cui si invitano i Paesi membri a garantire che le autorità giudiziarie e di polizia
facessero “un uso efficace delle disposizioni e degli strumenti giuridici già esistenti a
livello nazionale, e a cooperare attivamente e strettamente, in particolare nel quadro
dell’Europol, per lottare contro le violazioni dei diritti fondamentali delle persone di cui si
rendono colpevoli certe sette”, e in particolare a “non rendere automatica la concessione
dello statuto religioso e a considerare, nel caso di sette implicate in attività clandestine o
criminali, l’opportunità di togliere loro lo statuto di comunità religiose che conferisce
vantaggi fiscali e una certa protezione giuridica”.
Esaminando gli atti della Commissione per le libertà politiche e per gli affari interni
del 21 novembre 1996 248, si notano alcuni punti estremamente interessanti.
Innanzitutto si rileva come i commissari da una parte neghino che le sette
rappresentino un problema nei loro Paesi di appartenenza 249 mentre dall’altra denuncino
la pericolosità intrinseca del fenomeno e le necessità di rafforzare la cooperazione europea
in materia, anche tramite l’Europol.
246
247
248
249
Si tratta di una serie di stragi compiute dagli adepti dell’Ordine del Tempio Solare, una setta fondata a
Ginevra nel 1983 dal franco-canadese Joseph Di Mambro e dal belga Luc Jouret, frutto della fusione di
diversi gruppi esoterici. Il 5 ottobre 1994 in Svizzera nei paesi di Cheiry e Salvan furono rinvenuti
quarantotto cadaveri di adepti dell’OTS; il 23 dicembre 1995 nel massiccio del Vercors, in Francia,
furono rinvenuti i corpi di sedici membri dell’OTS.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 18 marzo 1996, n. C78/31.
Parlamento Europeo, Direzione Generale degli Studi. Documento di lavoro: Le sette in Europa, 21
novembre 1996, in www.olir.it.
Non è facile infatti ammettere di essere stato “contaminato” da un fenomeno considerato fortemente
riprovevole.
- 299 -
In secondo luogo si nota come in nessuno dei Paesi membri esista una definizione
giuridica di setta religiosa e che nessun membro della commissione sia in grado di
identificare le effettive cause della diffusione esponenziale del fenomeno.
Sostanzialmente viene quindi riconosciuta la pericolosità delle sette e di alcuni nuovi
movimenti religiosi, senza però spiegare in cosa consista effettivamente tale pericolosità e
quali siano i dati concreti che giustifichino un così forte allarmismo sociale.
Ancora una volta, la Commissione consiglia fortemente di intervenire sui
programmi culturali e educativi, in modo da fornire ai giovani i necessari strumenti di
discernimento, per poter effettuare le proprie scelte religiose in modo davvero libero e
consapevole; inoltre invita i Paesi membri a istituire analoghe commissioni d’inchiesta per
lo studio del fenomeno.
Nel 1999 l’Unione Europea ritorna sul fenomeno settario, in questo caso con la
pubblicazione del rapporto Nastase 250 e l’emanazione della relativa raccomandazione.
Il Comitato per gli affari legali e i diritti umani, anche in forza di quanto emerso a
seguito degli approfondimenti delle Commissioni d’inchiesta dei diversi Paesi membri,
sottolinea la necessità di tutelare in modo pieno ed effettivo la libertà di religione e
coscienza, invocando la neutralità dello Stato come fondamentale salvaguardia contro
ogni forma di discriminazione.
Viene quindi ribadito quanto già evidenziato con la Raccomandazione 1178/1992 e
la Risoluzione del 1996, ovvero l’esigenza per i paesi membri di :
- inserire nel curriculum accademico informazioni specifiche sulla storia delle
scuole di pensiero più importanti e sulle religioni;
- predisporre maggiori garanzie, soprattutto per i soggetti più vulnerabili ovvero i
figli degli adepti dei gruppi religiosi;
- istituire e sostenere centri indipendenti di informazione sui gruppi di natura
religiosa, esoterica e spirituale;
- incoraggiare l’istituzione di organizzazioni non governative per le vittime e le
famiglie delle vittime dei gruppi religiosi, esoterici e spirituali.
250
Rapporto 1999 del Consiglio d’Europa in materia di sette, Relazione del Comitato per gli Affari Legali e i
Diritti Umani, rapporto intitolato “Attività illegali delle sette”, a cura di Adrian Nastase, 13 aprile 1999,
documento 8373. Il 22 giugno dello stesso anno il documento è stata adottato all’unanimità dal
Consiglio d’Europa.
- 300 -
Dal memorandum esplicativo elaborato dall’on. Nastase, presidente del Comitato,
risulta chiaro come la mancanza di definizioni rappresenti il problema base degli studi
elaborati in materia. Secondo l’on. Nastase non è possibile effettuare una netta distinzione
tra sette e religioni, in quanto le sette sono una peculiare declinazione del fenomeno
religioso; l’attenzione del legislatore deve essere rivolta alle azioni potenzialmente illecite,
non alle sette in quanto tali.
Purtroppo a partire dal 2000 l’interesse delle istituzioni comunitarie nei confronti
delle sette è andato in costante diminuzione, probabilmente a causa delle difficoltà delle
stesse e dei Paesi membri di ammettere apertamente di dover affrontare un fenomeno
così riprovevole sul proprio territorio. Riferimenti a tale problematica sono oggi spesso
riscontrabili solo in via incidentale, in particolare nell’ambito di disposizioni normative
relative alla lotta contro la discriminazione 251.
In seno alla Conferenza delle OING 252 presso il Consiglio d’Europa del 5 ottobre
2012, i rappresentanti della Commissione dei Diritti dell’uomo hanno tuttavia espresso
rammarico e preoccupazione, per il fatto che gli Stati membri del Consiglio d’Europa non
abbiano, a oggi, adottato misure all’altezza della sfida rappresentata da quei culti abusanti,
che attentano ai diritti dell’uomo e ai principi fondamentali di tutte le società democratiche.
Per quanto riguarda l’Italia, oltre alle iniziative parlamentari di cui già si è trattato, si riporta
parte del sindacato ispettivo n. 4-01758 del 26 febbraio 2014 253 che, contrariamente alla
politica di molti Stati membri, evidenzia la volontà di contrastare il fenomeno settario,
guardando anche agli interventi europei e alla coordinazione tra i Paesi.
“Si chiede di sapere:
-
se e quali misure i Ministri in indirizzo intendano adottare in relazione alle
direttive espresse nella raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1999 e alla
luce delle più recenti valutazioni e considerazioni espresse in ambito europeo;
-
se siano stati o meno realizzati progetti educativi in ambito scolastico volti
all’auspicata educazione in materia, nonché a tutela dei soggetti più vulnerabili
251
252
253
Tra i tanti documenti, si veda la Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 gennaio 2009 “Sulla
situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea (2004-2008)”.
La Conferenza delle Organizzazioni Internazionali non Governative (OING) rappresenta la società
civile nella “struttura quadriloga” del Consiglio d’Europa, a fianco del Comitato dei Ministri,
l’Assemblea Parlamentare e il Congresso dei Poteri Locali e Regionali.
Legislatura 17, Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01758, Atto n. 4-01758, pubblicato il 26 febbraio 2014,
nella seduta n. 198, Alberti, Casellati, Caliendo, Liuzzi, Marin, Mussolini, Palma, ai Ministri
dell’Interno, della Giustizia, della Salute e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. www.senato.it.
- 301 -
come adolescenti e minori; se non ritengano opportuno valutare l’istituzione nel
nostro Paese di un’apposita struttura simile alla francese “Missione
interministeriale di vigilanza e di lotta contro le derive settarie 254”;
-
se siano o meno a conoscenza dell’insistente e pressante campagna di discredito
di cui sono a tutt’oggi bersaglio le menzionate associazioni ONLUS 255 e la stessa
SAS 256 e come, eventualmente, intendano procedere nell’interesse delle stesse ex
vittime dei culti e delle loro famiglie che si rivolgono fiduciose alle associazioni
di aiuto e agli organismi di polizia”.
Non si può quindi far altro che attendere che le istituzioni europee e tutti i Paesi
membri recepiscano, senza timore di ammettere le proprie difficoltà, questo impellente
bisogno di attuare interventi adeguati alla pericolosità e alla diffusione di un fenomeno
che sembra non vedere tramonto.
254
255
256
Il 28 novembre 2002, in Francia fu istituita la Missione interministeriale di vigilanza e di lotta contro le derive
settarie, con lo scopo di osservare e analizzare il fenomeno, coordinare l’azione preventiva e repressiva
dei poteri pubblici e informare la popolazione su rischi e pericoli; nella fattispecie, essa oltre a redigere
rapporti annuali sul fenomeno, ha realizzato numerose pubblicazioni e guide a tutela della popolazione,
pubblicate in Internet. Inoltre il ministro dell’educazione francese ha inoltrato a rettrici e rettori della
pubblica istruzione la circolare n. 2012-051 del 22 marzo 2012, sulla prevenzione e la lotta contro il
rischio settario.
Il Senato francese ha anche ritenuto necessaria l’istituzione nell’ottobre 2012 di un’apposita
Commissione d’inchiesta sul fenomeno settario nell’ambito della sanità, le cui risultanze sono state
presentate il 10 aprile 2013: Commission d’enquête sur l’influence des mouvements à caractère sectaire dans le
domaine de la santé, 10 avril 2013. Il rapporto conclusivo contiene, tra l’altro, 41 proposte finalizzate ad
arginare il fiorire di abusi nel settore della salute a opera di gruppi settari, pseudoterapeuti e operatori di
metodi di cura non convenzionali privi di fondamento scientifico. Tutti i verbali delle audizioni sono
attualmente visionabili sul sito del Senato francese, a questa pagina http://www.senat.fr/rap/r12-4802/r12-480-2.html
“Sono stati registrati indegni attacchi a danno di persone e alcune associazioni ONLUS tra cui CeSAP
(Centro studi sugli abusi psicologici) e FAVIS (Associazione familiari delle vittime delle sette) che in termini di
informazione preventiva nonché di accoglienza, supporto e tutela delle vittime di gruppi controversi
e/o abusanti realizzano un’effettiva supplenza all’azione pubblica; tali attacchi denigratori appaiono
finalizzati, tra l’altro, a ostacolare eventuali proposte di legge sul condizionamento psicologico e
manipolazione mentale nei soggetti deboli;” non mancano inoltre squalifiche nei confronti della
“Federazione europea dei centri di ricerca e informazione sul settarismo (FECRIS), organizzazione
dotata di statuto partecipativo al Consiglio d’Europa, statuto consultivo presso le Nazioni Unite e
rappresentata presso l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, cui aderiscono le citate
associazioni italiane CeSAP e FAVIS ”.
In questo contesto si ricorda anche l’importanza del GRIS (Gruppo Ricerca e Informazione Sette),
associazione cattolica approvata dalla C.E.I. nel 1987 con sede nazionale a Bologna e sedi locali che
possono formarsi nelle varie diocesi sul territorio nazionale con approvazione dei vescovi locali.
Obiettivi del GRIS sono: la conoscenza e lo studio delle nuove aggregazioni; il dialogo ecumenico; il
monitoraggio della realtà locale in cui opera; l’informazione e la denuncia delle violazioni dei diritti
della persona quando ciò avviene. Il GRIS predispone inoltre centri di ascolto per coloro che vogliano
approfondire la tematica o chiedere consigli. Sito: www.gris.org.
Con decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, il Dipartimento della pubblica
sicurezza del Ministero dell'interno ha istituito la squadra anti sette (SAS); si veda par. successivo.
- 302 -
IV.6 Le forze di polizia: attività di prevenzione e contrasto al fenomeno satanico
La faticosa opera di contrasto ai fenomeni settari passa ovviamente per l’incessante
e qualificata attività delle forze di polizia.
In particolare l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato svolgono numerose
operazioni volte a reprimere questo sconvolgente fenomeno, ottenendo risultati più che
soddisfacenti.
Partendo dall’attività dell’Arma si sottolinea come questa non presenti specifici
reparti dediti al contrasto ai crimini compiuti da talune sette ma compia tuttavia,
nell’ambito del suo servizio d’istituto, egregie operazioni anti-setta; a conferma di ciò basti
pensare alle indagini portate avanti con successo riguardo il famoso caso delle “ Bestie di
Satana” 257. Si evidenziano quindi gli sforzi dell’Organizzazione Territoriale 258, che si
incentrano sulle attività condotte dalle Stazioni, dalle Tenenze, dai Nuclei Operativi e
Radiomobile di Comando di Reparto Territoriale o di Compagnia e dai Nuclei
Investigativi di Comando Provinciale o di Gruppo.
Le Stazioni costituiscono le unità territoriali di base e sono dislocate nei centri abitati
raggiungendo a oggi il numero di 4.594; esse hanno la responsabilità diretta del controllo
del territorio, di uno o più comuni o parte di comune di grandi città, e delle connesse
attività istituzionali. Le tenenze sono sessantadue e sono competenti su un solo comune
con un numero elevato di abitanti; sono in grado di svolgere un servizio di pronto
intervento nelle ventiquattro ore e un’autonoma attività di polizia giudiziaria, nell’ambito
del territorio di cui hanno responsabilità.
Vi sono inoltre 535 Comandi a livello infraprovinciale tra Reparti Territoriali e
Compagnie 259, strutturati in rapporto all’estensione e alla rilevanza operativa del territorio;
questi dirigono l’attività di un certo numero di Tenenze o Stazioni ed hanno propri
257
258
259
Le indagini furono condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Varese.
A questo genere di Reparto è devoluta la responsabilità dell’attività info-investigativa nell’ambito del
Comando Provinciale. Il Comandante dipende direttamente dal Comandante Provinciale, che tiene
costantemente informato sullo stato e sugli sviluppi delle attività informative e investigative da
intraprendere e in atto.
Per far fronte alle esigenze istituzionali, l’Arma si articola in (art. 169 D.Lgs. 66/2010 “Codice
dell’ordinamento militare”): Comando Generale; Organizzazione Addestrativa; Organizzazione
Territoriale; Organizzazione Mobile e Speciale; Reparti per esigenze specifiche.
Il Reparto territoriale è costituito in aree geografiche in cui la particolare situazione operativa consiglia
l’attivazione di un Comando a livello infraprovinciale di maggiore valenza operativa rispetto al
Comando di Compagnia.
- 303 -
organi, Centrale Operativa e Nucleo Operativo e Radiomobile 260, che assicurano il pronto
intervento e hanno autonome capacità operative di contrasto delle manifestazioni di
criminalità a rilevanza locale.
A livello di Comando provinciale o Gruppo 261 operano invece i Nuclei Investigativi
dotati di risorse umane e tecniche adeguate a seguire indagini complesse e di ampio
raggio, in materia di criminalità organizzata, stupefacenti e reati contro la pubblica
amministrazione.
Al fianco di questi reparti e per supportarne l’attività investigativa, svolge la sua
opera il Raggruppamento Operativo Speciale (R.O.S.), inserito nell’Organizzazione
Mobile e Speciale, con le sue Sezioni Anticrimine diffuse sul territorio nazionale; esso si
articola su una struttura centrale, composta da sei reparti, di cui uno Indagini Tecniche,
uno Anti Eversione e uno Crimini Violenti, ed un’organizzazione periferica composta da
ventisei sezioni A/C e due Nuclei A/C (Anti Crimine). Il Raggruppamento è altamente
specializzato non solo nelle investigazioni a carico dei sodalizi eversivi, terroristici o che
agiscono in ambiti ultraprovinciali o transnazionali ma anche nell’analisi, che permette di
delineare i possibili scenari evolutivi della minaccia e di predisporre i più idonei strumenti
di contrasto. Inoltre, fondamentale supporto alle indagini in argomento potrà essere
fornito dal Reparto Analisi Criminologiche (RAC), recentemente costituito presso il
Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche (RaCIS).
Tale reparto, che potrà essere contattato per ottenere indicazioni e nei casi più
delicati intervenire sul luogo del delitto, è preposto all’alimentazione di una banca dati sui
crimini violenti e ad attività di supporto alle investigazioni, mediante la ricerca di elementi
di connessione o analogia con altri fatti delittuosi ed anche attraverso la valutazione del
profilo criminologico degli autori dei delitti. Il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni
Scientifiche rappresenta la struttura tecnico-operativa atta a soddisfare le esigenze di
indagine scientifica, nei casi più gravi e delicati esso svolge direttamente l’attività di
sopralluogo e repertamento sulla scena del crimine.
260
261
Il Nucleo Operativo e Radiomobile comprende: la Centrale Operativa, quale organo di collegamento,
coordinamento e controllo (un numero limitato di Comandi di Compagnia non la hanno, es. Modugno
in Provincia di Bari); l’Aliquota Operativa, per le attività investigative in proprio e di sostegno alle
Stazioni; l’Aliquota Radiomobile, con compiti di prevenzione e di pronto intervento.
I Comandi di Gruppo sono organi demoltiplicatori delle funzioni di direzione, coordinamento e
controllo dei Comandi Provinciali nel cui ambito sono previsti; l’unico Gruppo che costituisce
eccezione è quello di Aosta, poiché dipende direttamente dalla Legione Carabinieri Piemonte e Valle
d’Aosta.
- 304 -
Nell’ambito del Comando Generale importante ruolo nel contrasto al crimine viene
inoltre svolto dal II Reparto (Impiego delle Forze); questo ha funzioni di comando e
indirizzo nel campo operativo su tutti i reparti a livello nazionale e si serve, tra gli altri, di
un Ufficio Operazioni e di un Ufficio Criminalità Organizzata, entrambi con compiti di
attivazione, coordinamento e analisi.
L’Arma dei Carabinieri si serve infine dell’Istituto Superiore di Tecniche
Investigative (I.S.T.I.), ove vengono svolti corsi di approfondimento sulle tecniche
d’indagine e sugli strumenti di supporto 262.
L’attività dell’Arma non attiene solo al contrasto dei fenomeni delittuosi, si incentra
bensì anche sul fondamentale ruolo della prevenzione. In tale contesto si evidenzia l’opera
svolta dalle Stazioni che, con la loro capillarità sul territorio e la loro vicinanza al cittadino,
intercettano facilmente i fenomeni delittuosi, come in questo caso può essere il furto di
ostie, la profanazione di tombe, gli atti di vandalismo in luoghi sacri e tutti gli altri
accadimenti, anche più gravi, legati alla deriva settaria.
Il contatto delle Stazioni con la popolazione e la continua vigilanza svolta dal
servizio di Radiomobile consentono di prevenire tali accadimenti con servizi di
pattugliamento.
Si ricorda inoltre la campagna di cultura della legalità che quest’istituzione svolge
all’interno degli istituti scolastici, cercando così di mettere a conoscenza i giovani dei
pericoli di alcuni fenomeni.
I Carabinieri, con le altre forze di polizia, compiono inoltre una specifica attività di
monitoraggio dal 2012, i cui risultati vengono annualmente esaminati. Questa è compiuta
per volontà dell’Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia 263,
su richiesta dell’OSCE e vista la forte attenzione della Santa Sede.
L’attività consiste nel monitoraggio dei fenomeni riguardanti il danneggiamento, il
furto e la profanazione di simboli religiosi e di tombe, nonché l’incursione e gli atti di
vandalismo nei luoghi di culto. Per quanto concerne la Polizia di Stato si ricorda in
particolare il decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, con cui il
Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno ha istituito la Squadra
Anti Sette (SAS). Le motivazioni di tale istituzione sono le seguenti: “l’esponenziale
diffusione del fenomeno delle sette esoteriche, di “aggregazioni” religiose o pseudo tali, di
262
263
Quanto riportato è facilmente verificabile al sito: www.carabinieri.it.
Previsto all’art. 6-12, Legge 1° aprile 1981, n. 121.
- 305 -
gruppi dediti a pratiche di magia, di occultismo e satanismo, ha assunto in tutto il paese,
dimensioni e connotazioni da richiamare l’attenzione anche sotto il profilo della
sicurezza” rilevando pertanto che “ai fini di polizia interessa verificare, osservando
l’operato di singoli gruppi, la rilevanza penale e la conseguente perseguibilità, di particolari
pratiche nonché l’atteggiamento d’indifferenza o di rifiuto rispetto ai principi su cui si
fonda la convivenza civile” 264. L’attività di contrasto alle attività illecite delle sette, oltre
che l’attività di prevenzione del fenomeno stesso, è sempre stata affidata alle Sezioni
investigative delle DIGOS 265, operanti presso le singole Questure e coordinate a livello
centrale dalla Direzione della Polizia di Prevenzione. Tuttavia la necessità di contrastare le
nuove emergenze del terrorismo interno e internazionale, sempre secondo quanto
riportato dal decreto, ha determinato la necessità di ridistribuire le competenze in materia
dei “reati commessi nell’ambito esoterico-religioso”. Si è cosi deciso di affidare l’attività di
contrasto a questo fenomeno alla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato e
alle sue articolazioni in ambito territoriale, anche in virtù del prevalere, nell’ambito delle
sette, dei reati comuni e di tipo associativo. In tale contesto si evidenzia che i
comportamenti delittuosi maggiormente consumati sono quelli riconducibili ai delitti
contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti, la famiglia, la persona, il patrimonio di
cui ai titoli IV, XI, XII, XIII del codice penale. Il gruppo stesso costituisce spesso un
pretesto per introitare denaro e, tuttavia, alcuni comportamenti non possono essere
sanzionati per mancanza di condizioni di procedibilità: risulta infatti difficile che gli adepti
riconoscano di essere stati ingannati e decidano di sporgere querela. Per consentire una
efficace azione di prevenzione e contrasto è stato quindi istituito un gruppo d’indagine, in
capo alla Divisione Analisi del Servizio Centrale Operativo, volto a definire le strategie
d’intervento repressivo da attuare con le competenti Squadre Mobili 266. Parte integrante
del gruppo d’indagine sono gli “esperti” del Servizio Polizia Scientifica; soprattutto nella
fase di proselitismo e indottrinamento, gli adepti subiscono infatti il già trattato
“condizionamento mentale”, facendo emergere dei profili di competenza degli specialisti
264
265
266
Decreto n. 225, UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, Ministero dell’Interno, Dipartimento della
pubblica sicurezza.
La Digos - Divisione investigazioni generali ed operazioni speciali - è una divisione della questura, sebbene
dipenda per la sua materia da una direzione centrale del ministero dell'interno: la Direzione centrale
della polizia di prevenzione.
Le Squadre mobili sono i più noti uffici investigativi della Polizia di Stato, che dipendono dal Servizio
centrale operativo (Sco) della Direzione centrale anticrimine. Presenti in tutte le questure, svolgono
attività d'indagine sia di loro iniziativa che su delega dell’autorità giudiziaria.
- 306 -
dell’Unità di Analisi del Crimine Violento (U.A.C.V.) L’intervento dell’esperto è volto
inoltre ad individuare gli indicatori della presenza di attività legate al fenomeno settario e a
suggerire strategie investigative, partendo dallo studio della scena del crimine.
Il gruppo investigativo, che agisce in stretta collaborazione con le Squadre Mobili,
ha le seguenti competenze:
Attività di acquisizione dati:
- Raccolta dagli Uffici territoriali della Polizia di Stato della documentazione
relativa ad indagini sul mondo dell’occultismo e delle sette pseudo religiose;
- Analisi della letteratura scientifica e delle informazioni provenienti dai media;
Analisi dei dati:
- Individuazione di procedure di valutazione della attendibilità testimoniale, anche
legata all’evidenziazione di eventuali fenomeni di controllo mentale;
Collaborazione con esperti del settore:
- Creazione e gestione di una rete di contatti con esperti di diverse discipline
connesse all’analisi del fenomeno settario;
- Sviluppo di programmi di ricerca mirati, in collaborazione con Enti Universitari;
Supporto dell’attività investigativa:
- Ricezione di materiali acquisiti dagli operatori degli Uffici territoriali di Polizia
Scientifica e comunicazione di dati di interesse agli uffici investigativi;
- Attività di colloquio specialistico con potenziali ed accertate vittime e autori di
reati a sfondo occultistico e/o pseudoreligioso, al fine di: valutare l’attendibilità
delle informazioni testimoniali, individuando anche segnali di manipolazione
mentale; valutare la natura delle conoscenze di carattere esoterico esibite da un
soggetto, per fornire agli investigatori elementi utili alla comprensione del
fenomeno e quindi all’orientamento delle indagini;
- Su richiesta degli Uffici investigativi o dell’autorità giudiziaria, analisi
criminologica dei fenomeni settari oggetto di indagine.
Tutte le conoscenze acquisite e documentate durante l’attività d’indagine devono
essere immediatamente partecipate, a cura del Servizio Centrale Operativo (SCO) 267, alla
267
Il Servizio Centrale Operativo, Ufficio centrale di vertice per la polizia investigativa a livello nazionale,
- 307 -
Direzione Centrale della Polizia Criminale, segnatamente al Servizio Analisi Criminale che
ha il compito di approfondire e monitorare il fenomeno per realizzare il raccordo
informativo necessario, evitare la dispersione dei dati e per orientare le ulteriori strategie
investigative. È infine sicuramente utile il raccordo con le iniziative avviate con
l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII 268, che con il suo Servizio Antisette
compie una specifica attività intesa ad analizzare gli aspetti dei comportamenti di gruppi
pseudo religiosi, avvalendosi anche del proprio Numero Verde Nazionale Anti-Sette
(800228866) in funzione dal 2002.
La Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato esamina infatti i contenuti delle
segnalazioni ricevute, affinché gli esperti possano individuare quelle che meritano
approfondimenti, legati al rischio di consumazione di attività illecite in ambito settario.
L’azione di prevenzione e contrasto messa in atto dallo Stato risulta tuttavia ancora
insufficiente, secondo quanto riportato dall’interrogazione a risposta scritta n. 4-04316 della
Camera269: “al fine di prevenire e contrastare gli illeciti commessi all’attività di gruppi settari,
con decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, il dipartimento della pubblica
sicurezza del Ministero dell’interno ha istituito una apposita specialità: la squadra anti sette
(SAS). Tuttavia la risposta dello Stato rimane ancora insufficiente e non adeguata alla
pericolosità di tale fenomeno in espansione 270; di fatto, a tutt’oggi, solo le associazioni di
volontariato e alcuni centri di ricerca svolgono, pur nella limitatezza delle risorse, una preziosa
e continuativa opera informativa sul fenomeno e di supporto alle vittime e alle famiglie,
realizzando un’azione di integrazione nonché, spesso, di vera e propria supplenza dell’azione
pubblica, in maniera del tutto gratuita e avvalendosi della consulenza e collaborazione di
esperti del settore della salute mentale, della criminologia e della giurisprudenza271”.
268
269
270
271
è impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata e comune. Il settore di intervento riguarda
indagini in forma coordinata, anche con partecipazione diretta, sulle più gravi fenomenologie delittuose
e lo sviluppo di analisi operative e conseguenti strategie di contrasto.
www.apg23.org/ambiti-dintervento/anti-sette-occulte.
Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-04316 presentato da Arlotti Tiziano, testo di mercoledì 2
aprile 2014, seduta n. 203, Arlotti, Ascani, Realacci, Verini, Grassi, Ermini, Borghi, Gadda, Rampi, Antezza,
Albanella, Carra, Rubinato, Tidei, Malpezzi, Brandolin, Iori, Gullo, Paola Bragantini, Basso, Rocchi, Rostan,
Scanu, Vazio, Fabbri e Biffoni, al Ministro dell’Interno, al Ministro della Giustizia, al Ministro degli Affari
Esteri, al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, al Ministro della Salute.
“In base ad una serie di stime riportate anche dai mezzi di informazione, nel nostro Paese il fatturato
del cosiddetto mondo dell’occulto avrebbe visto nel corso dell’ultimo anno un aumento, passando da
7,5 miliardi a 8,3 miliardi; un recente studio Codacons ha stimato in ben tredici milioni gli italiani,
quattro italiani su dieci, che si rivolgono a maghi, cartomanti, sensitivi e operatori esoterici, un milione
in più rispetto al 2011 e oltre tre milioni in più rispetto al 2001”.
Ad esempio l’Associazione Familiari delle vittime delle sette (FAVIS) ha realizzato, primo progetto in Italia,
- 308 -
Alla luce di ciò si chiede quindi: “se e quali iniziative di competenza i ministri
interrogati abbiano adottato o eventualmente intendano concretizzare, sia sul piano
interno che in sede comunitaria, al fine di promuovere una efficace azione di
sensibilizzazione e vigilanza sul fenomeno, anche mediante attività di informazione
preventiva comprensiva di appositi programmi educativi, in particolare nei settori della
scuola e della salute, così come da rinnovati solleciti espressi in ambito europeo; se il
Governo non ritenga necessario e opportuno valutare anche la realizzazione di un centro
nazionale, una struttura statale analoga alla missione interministeriale di vigilanza e di lotta
contro le derive settarie istituita in Francia, con funzioni di raccordo con altri centri
europei, in considerazione del proliferare di organizzazioni dal profilo alquanto equivoco
sia per quanto concerne possibili aspetti di pericolosità sociale che per i risvolti illeciti di
natura economica e fiscale, tenuto conto dell’esistenza di reti di collegamenti tra i vari
gruppi coercitivi e/o oltranzisti attivi sul territorio europeo oggi peraltro facilitati dal
diffuso utilizzo della rete web; quali iniziative di tutela intendano promuovere in favore
delle ex vittime nonché in supporto dell’azione portata avanti dalla specialità del
dipartimento di pubblica sicurezza e dalle associazioni operanti in questo delicato
settore”. Lo stesso Massimo Introvigne, in qualità di massimo esperto italiano di nuovi
culti e direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), si è dichiarato
“perplesso” circa l’istituzione della SAS.
“Se si tratta di intervenire sui gruppi del satanismo criminale, soprattutto quelli
giovanili ‘fai da te’ come le Bestie di Satana di Varese la preoccupazione è più che giusta afferma Introvigne - così come la collaborazione con la Chiesa, che su questi fenomeni di
devianza giovanile (e non solo) talora ha più strumenti di prevenzione della polizia”. “Se
invece - prosegue l’esperto - si volessero sorvegliare come ‘sette’ centinaia di nuovi
movimenti religiosi che hanno il solo torto di proporre credenze bizzarre o stili di vita
non convenzionali, si rischierebbero da una parte seri rischi per la libertà religiosa,
dall’altra uno spreco di risorse” 272.
272
l’opuscolo informativo «Le mani sulla mente», distribuito gratuitamente durante gli incontri con gli
studenti degli istituti scolastici superiori della provincia di Rimini, dove opera tra l’altro da tempo il
Servizio antisette della comunità «Giovanni XXIII». Va inoltre citata l’importante legge varata dal
Consiglio regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 128 «Norme per il sostegno dei
diritti della persona e la piena libertà intellettuale, psicologica e morale dell’individuo» con cui sono
stati previsti interventi e di azioni finalizzate a offrire concreto aiuto alle famiglie e alle persone che
spesso loro malgrado finiscono nella rete di gruppi settari abusanti.
www.alleanzacattolica.org.
- 309 -
Inoltre in occasione della riunione OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa) sull’attuazione degli impegni della dimensione umana, tenutasi a
Varsavia dal 23 settembre al 4 ottobre 2013, nell’ambito del “side event” organizzato da
Soteria international e dal tema “Institutional discrimination of religious and spiritual
minorities in Italy and Romania”, sono stati ammessi documenti da parte di alcuni
soggetti artefici e/o partecipanti a una campagna detrattoria nei confronti della SAS 273.
In particolare, sono state presentate dichiarazioni atte a sostenere l’esistenza nel
nostro Paese di pericolosi scenari di intolleranza verso le minoranze religiose e spirituali
organizzate. In questo contesto la squadra anti sette sarebbe stata istituita in seguito ad un
allarme creato “ad hoc” e privo di fondamento alcuno 274. L’allarme creato ad hoc è stato
tale che il Ministero dell’Interno nel 2006 ha creato una Squadra di Polizia Anti Sette
(SAS) che “avrebbe compiuto clamorosi errori giudiziari a Firenze, Bari, Assisi, eccetera,
in quanto coordinata da referenti ed “esperti” identificabili all’interno di gruppi anti-sette,
alimentando un clima di diffidenza pericoloso per l’inclusione delle minoranze religiose
sul territorio e sostenendo la tesi di un “allarme sette” non suffragato dai fatti; […] le
Forze dell’ordine della SAS hanno operato avvalendosi in modo quasi esclusivo dal forum
Anti-sette 275 il quale, per quanto sembri non aver dato prova alcuna di scientificità nei
metodi d’indagine né di superiorità accademica in alcun campo, è però membro del
FECRIS 276, organismo francese noto per le polemiche in merito alle svariate accuse
d’intolleranza religiosa…”) 277.
273
274
275
276
277
Si ricorda in particolare lo statement presentato da Soteria International il 26 Settembre 2013 (Morning
Working Session 6) in cui DI MARZIO Rafaella, che dirige il Centro di Informazione e Consulenza Sette Religioni
e Spiritualità, segnala all’OSCE il pericolo che in Italia si verifichino limitazioni o violazioni della libertà
religiosa, chiedendo inoltre alle autorità italiane di verificare la costituzionalità e la legalità della SAS.
Problematica riportata nell’Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01758 Senato della Repubblica, pubblicato
il 26 febbraio 2014, nella seduta n.198 Alberti Casellati, Caliendo, Liuzzi, Marin, Mussolini, Palma- ai
Ministri dell’Interno, della Giustizia, della Salute e dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca.
Al “Forum delle Associazioni italiane di ricerca, informazione e contrasto dei movimenti settari e dei
culti abusanti”, aderiscono le associazioni ONLUS, FAVIS, ARIS Toscana, ARIS Veneto, Giù le Mani
dai Bambini e il Centro Studi sugli Abusi Psicologici (CESAP). Le associazioni costituenti il menzionato
Forum, svolgono attività finalizzata alla ricerca, all’informazione preventiva e al sostegno alle vittime di
abusi psicologici o di altri delitti commessi in ambito settario, avvalendosi della collaborazione di
specialisti nei settori giuridico, scientifico e psichiatrico, nonché disponendo, come nel caso
dell’associazione FAVIS, di un proprio comitato scientifico composto da esperti.
Federazione Europea dei Centri di Ricerca e di Informazione sulle Sette e i Culti.
Senatori Perduca e Poretti, Legislatura 16, Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-08595, 5 Novembre 2012.
- 310 -
Alcuni Parlamentari hanno quindi messo in dubbio che l’attività della SAS sia
compatibile con la Costituzione italiana, la Carta dei diritti dell’uomo dell’Unione europea
e le linee-guida del Consiglio d’Europa 278.
In particolare la SAS non garantirebbe l’attuazione degli articoli 3 (pari dignità
sociale e davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di religione), 8 (diritto delle
confessioni religiose non cattoliche di organizzarsi liberamente), 19 (diritto di tutti i
cittadini italiani di manifestare il proprio credo, di esercitarne il culto e farne propaganda)
e 20 della Costituzione, che dispone: “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di
culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni
legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni
forma di attività”; deve inoltre essere rispettato l’art 10 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, il quale riconosce a ogni individuo il “diritto alla libertà di pensiero,
di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o
convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria
convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto,
l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti” 279. In attesa che vengano chiariti i dubbi
riguardo lo strumento di prevenzione e contrasto trattato, non si può fare altro che
sottolineare come già la sua istituzione rappresenti un chiaro monito dell’esistenza di un
fenomeno settario in Italia quantomeno preoccupante e che sta meritando l’attenzione
delle istituzioni e delle forze di polizia.
278
279
Senatori Perduca e Poretti, Legislatura 16, Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-08595, 5 Novembre 2012;
On. BINETTI, Legislatura 16, Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-02387, giovedì 12 luglio 2012, seduta
n.665.; Sen. PASTORE, Legislatura 16, Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-02822, 26 aprile 2012, seduta n.
716.
Il testo riprende l’articolo 9 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e
delle Libertà fondamentali (CEDU).
- 311 -
CONCLUSIONI
Dalle riflessioni effettuate risulta chiara la complessità del fenomeno satanista,
difficile da inquadrare in definizioni e situazioni precise in considerazione delle sue
molteplici e diverse sfaccettature. Si passa infatti dal considerare il Demonio come
esclusivo creatore del male all’utilizzare la sua figura solamente come mero simbolo della
crudeltà voluta dall’uomo.
Effettuando l’analisi del fenomeno si è osservato come questo abbia una sua storia,
fatta di eventi e mutamenti di pensiero; esso ha quindi una sua concretezza storica, un suo
spazio che arriva fino ai giorni d’oggi e che è in continua evoluzione.
Un punto cruciale dello studio effettuato ha riguardato il rapporto tra satanismo e
criminalità; rapporto che porta a chiedersi se il secondo elemento possa considerarsi una
diretta e necessaria conseguenza del primo e cioè se un satanista sia necessariamente da
considerarsi un criminale.
Da questa problematica scaturisce, d’altronde, la prioritaria necessità di interpretare
il fenomeno del satanismo.
Abbiamo visto come per alcuni il male rappresenta la stabilizzazione di una devianza
primaria in ruoli e comportamenti devianti; per altri invece non è una semplice devianza
bensì una parte innegabilmente presente nell’uomo.
Fu Edwin M. Lemert, noto sociologo e criminologo, ad introdurre i concetti di
devianza primaria e secondaria: nel caso in cui la prima, dovuta a fattori culturali, sociali e
psicologici, superasse il livello di sopportazione delle agenzie di controllo sociale, si
riscontrerebbero comportamenti di stigmatizzazione, segregazione e sanzione. Queste
azioni, messe in atto da parte della società, potrebbero portare il deviante a consolidare i
propri valori devianti e a rifiutare quelli integranti in un processo detto di devianza
secondaria 280.
In quest’ottica sarebbe la società stessa a creare il fenomeno satanico; esso
rappresenterebbe infatti una valvola di sfogo ove razionalizzare la presenza della
criminalità nella società, essendo questa la risposta più semplice per giustificare la
presenza del male tra gli uomini.
280
LEMERT E., Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Giuffrè editore, 1981.
- 312 -
Il satanismo sarebbe così un fatto culturale dovuto alla concezione che il male sia
qualcosa al di fuori di noi, creato da ciò che è deviante rispetto alle norme sociali, morali e
religiose comuni alla maggioranza.
In tale prospettiva il nesso tra satanismo e criminalità sarebbe di eventualità e non di
necessità, dipendendo infatti dalla possibilità che il primo sfoci in devianza secondaria.
Tuttavia, secondo il pensiero del sociologo americano Kay T. Erikson,
interpretando il fenomeno sotto la chiave della devianza di chi è “diverso”, si va contro la
realtà del male, il quale sarebbe presente in ognuno di noi e consisterebbe in una scelta,
ignara o anche consapevole, di valori negativi 281.
La fenomenologia in questione diviene così espressione di distruzione della società e
non di contrapposizione: è in questa prospettiva che si configura una criminalità satanista.
Il satanismo presenta infatti alla base delle sue dottrine la figura del Diavolo; ciò
porta quindi ad evidenziare il male, la cui concreta manifestazione è proprio il crimine.
Tuttavia partendo da quest’affermazione bisognerebbe ricollegare al satanismo tutti i
fenomeni criminali. Risulta inoltre evidente come gli individui che si recano da un ”mago”
per eseguire un malocchio non sono considerati pericolosi al pari di chi partecipa a una
messa nera o ad altro rito satanico; non vengono perciò emarginati alla stessa maniera.
Si pensi anche alle affermazioni di alcuni soggetti che dichiarano di delinquere per
volere del Demonio: in questi casi si parla più di malattia mentale che di fenomeno
criminale. La comune sensibilità assume, quindi, un ruolo fondamentale nella definizione
del satanismo e nella sua associazione alla criminalità.
Quanto detto induce a concludere che il fenomeno - il quale, prescindendo da ogni
discussione in tema di moralità, ha sicuramente radici culturali - non può essere
direttamente collegato alla criminalità, anche se rappresenta spesso una forte motivazione
a delinquere.
Ne consegue che l’idea satanista risulta tutelata dalla Costituzione e dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea anche se accade di frequente, nella pratica, che la
stessa si manifesti con la diffusione di informazioni illegali e con il verificarsi di eventi
integranti fattispecie delittuose (basti pensare al satanismo acido).
281
ERIKSON Kai T., Wayward Puritans: A Study in the Sociology of Deviance, Publisher: Prentice Hall; Revised
edition 2004.
ERIKSON Kai T., Streghe, eretici e criminali, Devianza e controllo sociale nel XVII secolo, Carocci editore, 2005.
- 313 -
Non è quindi necessario abbracciare la teoria delle associazioni differenziali di
Sutherland per assumere consapevolezza del fatto che il rapporto tra satanismo e
criminalità deve essere costantemente attenzionato e analizzato caso per caso al fine di
dare, nello specifico, efficace risposta a un fenomeno potenzialmente in grado di rendersi
estremamente pericoloso e criminale.
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