lFebbrezza della modernità
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lFebbrezza della modernità
C u lt u r a Una fiction tedesca l’ ebbrezza della modernità C’ era una volta Büttenwarder, una comunità nel profondo Nord della Germania. È governata da un sindaco corrotto e intrallazzatore (membro di un non meglio specificato Partito popolare), con un’inclinazione al nepotismo; i cittadini sono per lo più contadini impoveriti; ci sono anche uno stalliere e un oste.1 Kuno, lo stalliere, quanto a istruzione è a livello elementari e Shorty, l’oste, è pluridivorziato. L’istruzione è pensata con coerenza, in modo democratico: ignoranza per tutti! L’agricoltura è in ginocchio. Le infrastrutture sono in rovina, come pure l’economia. Si vive come su un’isola deserta; anche i tentativi compiuti in passato per raggiungere il villaggio più vicino sono risultati un obiettivo impossibile. L’alcool rimane l’ultima speranza: momento clou della vita culturale e del legame sociale che unisce tutti, e conforto fedele nella crisi. Qualsiasi sforzo, dal più geniale al più insensato, di aumentare il valore nominale («valore nominale» è un termine tecnico ricorrente tra gli abitanti per indicare la ricchezza e il successo, la parola magica della speranza per antonomasia), è fallito nel corso degli anni. Questa «distopia» sembra essere stata per lungo tempo la vera utopia di alcuni politici (il colore del partito non ha alcuna importanza) nella regione dello Schleswig-Holstein, in cui è ambientata la nostra storia. Ed è stata anche variamente e fantasiosamente implementata in un gesto grandioso di rifiuto della modernità. Per quale motivo per esempio una città dovrebbe aver bisogno del collegamento ferroviario? È opinione comune Critica semiseria sull’apocalisse del moderno alla fine del mondo: esempi locali, caratteristiche globali che si può fare tutto con carrozze e carri; ecco la spiegazione del motivo per cui questa città è ancora oggi così isolata (l’inferno non sembra essere così caldo come si dice). Il tirannico schermo piatto Ma torniamo alla nostra storia, a un episodio dal titolo «L’apparecchio» della serie Neues aus Büttenwarder. Un giorno il n. 1 tra gli agricoltori locali, Kurt Brakelmann, vince una TV a schermo piatto. Bene, dal momento che la sua vecchia TV – con un solo canale traballante – è pronta a entrare nel nirvana dei media. Adsche, vecchio amico e compagno di viaggio di Brakelmann, cerca di decifrare il tecnogergo del manuale d’istruzioni, e giunge alla conclusione che «di sicuro ci sono dentro anche notizie riservate dei servizi segreti». Brakelmann sente il suo prestigio sociale incredibilmente rafforzato dal nuovo dispositivo: adesso «è di un’altra categoria», e finisce per ferire profondamente Adsche, che deve amaramente prendere atto del fatto che parlare con lui è servito solo a passare dal vecchio al nuovo televisore. E Brakelmann diagnostica: la carenza di programmi televisivi ha portato l’amico a uno squilibrio (lo schermo piatto come terapeuta e come mezzo di salvezza!). Un primo segnale d’ironia sta nel fatto che l’apparecchio ultramoderno è collocato nella stalla, circondato da polli e anatre. L’irruzione della modernità si fa ancora più invasiva: il linguaggio di programmazione dello schermo piatto risulta essere complicato, e il sistema non riconosce il nome Brakelmann. Il nostro con- tadino voleva solo guardare la TV, ma non riesce ad attivarla e va a dormire... e alle 3 di notte viene improvvisamente strappato dal sonno dal servizio automatico di sveglia del nuovo dispositivo. Brakelmann dimostra la sua competenza: via la spina! La mattina dopo un Brakelmann visibilmente sofferente, nella locanda del paese, sotto la direzione del pluridivorziato Shorty cerca di ritrovare un contatto con i nativi. Lo deve fare, o gli verrebbe a mancare «il contatto sociale con la realtà». Segue una scena grandiosa: egli nota che Kuno, lo stalliere, è da mezz’ora che guarda una pagina del suo amatissimo fumetto Killerkralle, un misto tra fantasy e science fiction, ma senza voltare pagina. Kuno: «Il mio giornalino mi aspetta! Se io non vado avanti, lui non va avanti. Sta fermo. Io non lo devo sfogliare». Ciò che in un primo tempo appare come manifesta pazzia, si rivela invece un’accorata perorazione della decelerazione e un celato omaggio alla lettura di fumetti e libri, che hanno la grandiosa capacità di stare ad aspettare noi lettori. Brakelmann invece, è dominato, sospinto e socialmente spossessato dal suo schermo piatto: improvvisamente infatti, a metà conversazione, vibra quella cintura luminosa intorno alla vita, che deve indossare per ordine del televisore; si prende una scossa elettrica per non perdere il suo programma preferito e deve tornare a casa immediatamente. Brakelmann dimostra ancora una volta le sue capacità multimediali: via la spina! Via la cintura, tagliata con un coltello! ... Finalmente a dormire. Svegliato di nuovo alle 3. Un grido! Brakelmann è sull’orlo della Il Regno - at t ua l i t à 20/2014 727 pazzia, perché il televisore è dotato di batterie solari. Scivola in uno stato di veglia totalitario e anonimo monitorato dai media: non si tratta di ideologia, ma solo di economia. I dialoghi sono discontinui, perché gli esseri umani e le macchine parlano ognuno per conto proprio. La macchina dipana da sola la sua programmazione e Brakelmann è continuamente assorbito o meglio escluso. E ora, dopo il climax drammatico, segue una scena che assomiglia a una sequenza del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio. Brakelmann smonta pezzo per pezzo l’apparecchio, mentre in 2001 un membro dell’equipaggio deve disattivare pezzo per pezzo il computer HAL che controlla la navicella spaziale Discovery. In entrambi i casi, le creature artificiali esercitano il totale controllo sulle persone. In 2001 HAL uccide gli astronauti; in Büttenwarder Brakelmann viene isolato socialmente, trasformato in automa, è alienato. Il presunto prestigio guadagnato si rivela come orrore e pazzia. Lo schermo piatto nella fattoria è scuro, nero, come un dio minaccioso delle tenebre (e imita così il monolito nero di 2001); l’essere umano è consegnato a questo demone, fino all’atto redentivo e liberatorio (nel vero senso della parola) della distruzione delle immagini. La distruzione dell’onnipotente computer e del tirannico schermo piatto appare come l’unica via d’uscita per difendere il Creatore dalle sue stesse creature. Adsche per fortuna ha salvato il vecchio televisore, e la vittoria viene celebrata con un buon bicchiere della specialità alcoolica locale, il köm. Come vassoio per servirlo si usa un pezzo dello schermo piatto distrutto. Si organizza la serata mono-programma. Per due. Il ritorno al dialogo. La televisione recuperata, che funziona a malapena, rappresenta una cosa sola: decorazione. La trasformazione mediatica apparentemente rivoluzionaria si è conclusa con un mini disastro. Traffico Il disallineamento con la modernità esce completamente dal controllo nella puntata «Ingorgo», l’ultima di questa stagione. La situazione disastrosa delle strade nello Schleswig-Holstein (questo è puro realismo! Si farebbe prima ad andare da Flensburg ad Amburgo con una carrozza che non in treno; nda) fa sì che 728 Il Regno - at t ua l i t à 20/2014 per tre giorni una deviazione del traffico delle vacanze passi per Büttenwarder. Teatro dell’assurdo: chi vuole andare nel Sud della Francia o in Toscana, ora deve passare da Büttenwarder. Ne è colpevole anche la corruzione parzialmente legalizzata del sindaco, che si giustifica dicendo che sta solo seguendo un ordine di Berlino. Si fa quindi di necessità virtù. Mettendo astutamente in scena un blocco del traffico, Brakelmann fa deviare le auto attraverso la sua proprietà, facendo pagare la presunta scorciatoia a una sbarra (i confini dell’Europa sono di nuovo chiusi per il bene del valore nominale). Gli euro presto scorrono a fiumi. Kuno ha addirittura assoldato un giovane trio di flauti e l’ha collocato sul ciglio della strada, ispirato dalla lettura del suo ultimo numero di Killerkralle, dove ci sono delle donne (nel titolo «Menadi») che lottano per la comprensione tra i popoli, suonando il flauto (con «Menadi» s’introduce qui un motivo baccanale, ma l’occhio di Kuno è attirato piuttosto dal look sexy delle signore). Il rumore delle auto aumenta. Brakelmann e Adsche non riescono più a dormire. Così il primo indossa il casco asciugacapelli di sua madre. Il secondo sistema il giradischi della casa di riposo di suo zio, che con i suoi 105 anni non ha ancora capito chi nel frattempo ha vinto l’ultima guerra, ma ha per Adsche ancora un bel disco di guerra. La cucina di Brakelmann è ora teatro di un surrealismo grandioso: lui sotto il ronzante casco per capelli di sua madre; Kuno con il köm (motivo baccanale); i bambini che suonano il flauto trascinando senza fine il ritornello «Country roads, take me home»; in sottofondo il rumore delle auto; e poi, grandioso, Adsche mette il disco di suo zio, e sente mitragliatrici, sirene, bombe. Bombe, rumore di aerei, sirene, rumore del traffico, casco per capelli, flauti, mitragliatrici, flauti, sirene, country road. Sirbombcountryflautautomitragliatricicascopercapelli… Le menadi della follia! Ogni dinamica raggiunge l’immobilità; gli attori impietriscono, si congelano, mentre tutti i rumori delle automobili, delle mitragliatrici e delle sirene, del casco per capelli e dei flauti si sovrappongono in una sinfonia dell’orrore. Dal ridere, mi sono venute lacrime esistenzialiste. Un acustico Hieronymus Bosch nel mondo di Stanlio e Ollio. L’arrivo della modernità affonda nel rumore e nel fragore. Ma la questione è più complicata: Büttenwarder infatti non è solo distopico, ma anche idilliaco. Il rifiuto della modernità conduce a un punto morto e produce il passato eterno. L’irruzione della modernità è come un ladro, che prende la pace, l’amicizia e la bellezza della natura. Brakelmann confessa davanti a Kuno che tutti ci rimetteremo. L’incasso presunto, la montagna di euro sul tavolo della cucina, diventa sempre più enorme, ma si ribalta in definitiva in una perdita: non si riesce più ad ascoltare sé stessi e gli altri. La deviazione del traffico, che sembrava cosa rivoluzionaria, diventa sempre più intensa fino a diventare una mini catastrofe. E i suoni del XX secolo sono onnipresenti: dalle raccapriccianti sirene di morte dei luoghi di guerra fino all’assordante rumore del traffico. Le country road sono intasate e distruggono la natura. Non c’è nessuna possibilità di fuga, perché il rumore è ovunque. La comprensione tra i popoli sprofonda nell’assurdità. Il trasporto e i media moderni creano mobilità e organizzazione del tempo; ma accelerano sempre più: verso lo stress e il traffico; e si ammutolisce per la troppa comunicazione e le troppe possibilità di intrattenimento. Per questo Büttenwarder alla fine si trasforma anche in una contro-utopia: Brakelmann mozza eroicamente i fili e quindi il contatto con la modernità, e si gode il köm con Adsche nella sua fattoria in rovina. Questo noi non possiamo farlo, non possiamo mozzare i fili: nel lungo periodo saremmo persi nella (post) modernità. Perché nel frattempo la nostra vita dipende da questi fili. Che Dio ci assista se venisse mai spinta via una delle sedie mediali, su cui con molta fatica riusciamo ancora a reggerci. Post scriptum: in questo testo il «si» impersonale (in tedesco man) si può anche leggere come l’uomo maschio (in tedesco Mann). Büttenwarder funziona bene anche senza donne. Incredibile che ancora nessun delegato per le pari opportunità… Ma questo sarebbe un altro articolo. Markus Pohlmeyer 1 Le citazioni filmiche sono tratte dalla serie della Norddeutsche Rundfunk Neues aus Büttenwarder, di N. Eberlein, episodi da 48 a 55, ARDVideo, © 2013-2014.