comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio
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comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio
[Veduta notturna dell’Europa ripresa dal satellite] ANTONIO SCAGLIA comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio università degli studi di trento 2002-2003 Città, alternarsi di fumo susseguirsi di voci. Un quadro grigio, un sole d’anime. Città, altro non sei che una colomba in fin di vita. (Maria, anni 10) 2 ANTONIO SCAGLIA Comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio «E’ inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra le città infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare forma ai desideri e quelle in cui i desiderii o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.» (Italo Calvino, Le città invisibili) Facoltà di Sociologia Anno Accademico 2002/2003 3 Premessa L'insediamento umano nello spazio si propone come uno degli aspetti più affascinanti della storia e della vita sociale dell'uomo. Il corso di sociologia urbana e rurale ha quale oggetto appunto le forme dell'ecologia in senso etimologico, ovvero le modalità del rapporto fra l'uomo e lo spazio, in particolare fra le forme sociali, le loro dimensioni culturali e le realtà spaziali. Ripercorrere e cercare di penetrare il senso proprio di queste forme sociali e delle modalità con cui queste hanno trasformato lo spazio, piegandolo, in forme assai diverse, alla loro concezione del mondo, alle esigenze materiali ed immateriali, permette di evidenziare alcuni tratti, non secondari, della storia e della civiltà umana. La vastità della materia ci costringe a toccare alcuni aspetti, ovviamente non irrilevanti, di questa inesauribile tela che l'uomo ha costruito. Alla scienza sociologica, pur avvalendosi della storia, è possibile indagare unicamente un periodo assai limitato della storia del rapporto fra l'uomo e lo spazio, quello che noi, in modo certamente semplificatorio, chiamiamo il periodo della civiltà, quello che può essere ricostruito dalla storia e dalle scienze antropologiche. Rispetto al milione di anni cui sembra risalire la presenza dell'uomo sulla terra, noi possiamo parlare con qualche conoscenza di causa solo a partire da un momento storico relativamente recente. L'ampiezza della materia e la difficoltà di esporne in modo articolato le parti, sia pur selezionate, del programma di studio che ci proponiamo, hanno indotto a preferire la modalità di presentazione propria della procedura schematica delle lezioni. Ognuna di esse avrà pertanto una forma strutturata e sarà corredata da una bibliografia essenziale. Quest'ultima conterrà un rinvio a delle letture dalle quali si possono ricavare opportune esplicitazioni ed approfondimenti. 4 Allo studente viene affidato lo studio e l'approfondimento che e deve avvenire rivolgendosi ai testi indicati ed alla bibliografia generale. Secondo l'indirizzo espresso dalla Facoltà, lo studente, oltre allo studio della parte generale contenuta nel programma ed esposta nel corso, dovrà elaborare una relazione (corrispondente alla parte monografica), frutto di specifiche letture e di una ricerca personale, utilizzando una bibliografia specifica. La metodologia per tale lavoro verrà fornita durante il corso e la tematica verrà concordata con il docente. Le linee del corso di sociologia urbana e rurale La nascita della sociologia sembra essere strettamente legata al fenomeno urbano moderno. Stabilire in che misura la nascita della disciplina sociologica sia da porre in connessione con il fenomeno urbano moderno è il punto saliente, quasi il fulcro della metodologia dell'analisi urbano rurale. Sia ben chiaro, si tratta della presentazione degli elementi che si ritengono rilevanti in sociologia urbana e rurale come disciplina scientifica e non di un quadro esaustivo del fenomeno città. Peraltro, la storia del fenomeno urbano, alla quale dedicheremo un certo spazio, dimostrerà ampiamente quanto esso sia stato rilevante ben prima che la sociologia come disciplina se ne occupasse. Per poter fare un’analisi sociologica dei fenomeni urbani esistiti anteriormente alla nascita della sociologia, è giocoforza fare riferimento alle discipline storiche. La sociologia, per iniziare la propria esistenza e la propria attività come disciplina scientifica dovette attendere che maturasse socialmente e culturalmente la distinzione fra due prospettive: lo stato e la società.1 Nel mondo occidentale ha luogo un processo di grande rilievo, una grande trasformazione, in cui giocarono un ruolo rilevante più fattori: mutamenti nel pensiero, nella scienza, nella politica, nella tecnologia e nella concezione del mondo.. Si tratterà di un mutamento che si allargherà, gradualmente, all'intero pianeta, ma il cui senso profondo non è ancora stato 1 Jonas F., Storia della sociologia, Bari, Laterza 1970, p. 8. 5 esplorato nella sua interezza. Recenti studi di storia economica e culturale, hanno evidenziato il carattere semplificatorio della connessione automatica fra sviluppo tecnologico, sviluppo urbano, industrialesimo e Grande Trasformazione.2 A questo tema sarà dedicata la prima sezione del corso. In che modo, dunque, le problematiche dello sviluppo urbano moderno si collocano all'interno della nascita della sociologia? Una seconda sezione sarà dedicata ai classici della sociologia urbana e rurale: autori, scuole ed evoluzione metodologica. Una terza parte affronta i temi della dimensione urbana d’oggi (in particolare il tema del cittadino virtuale) e quello della centralità della sociologia della città per la lettura e la pianificazione dell’insediamento. Restano in attesa di trattazione scritta due temi che verranno tuttavia affrontati nelle lezioni: le forme attuali del potere e della partecipazione nella vita urbana. Questi temi saranno oggetto di due lezioni pubbliche, nel maggio del 2000, presso la Katholische Universität di Eichstätt. Il testo italiano, che sarà riscritto da quello tedesco, sarà tuttavia disponibile unicamente per l’anno accademico successivo. Gli studenti avranno tuttavia l’opportunità di conoscerne e discuterne il contenuto frequentando le lezioni. 2 Polany, K., La Grande Trasformazione, Torino, Einaudi 1974. (1997, 11 rist.) 6 7 Città e società E' solo dopo anni di studio, di insegnamento e di ricerca che si può giungere a tracciare delle linee di lettura di comprensione del fenomeno urbano a partire dalla sua complessa vicenda storica ed a partire dalle problematiche che potremmo chiamare, impropriamente, strutturali che lo connotano. In attesa che questa maturità sopraggiunga, tentiamo, per ora, di tracciare alcune riflessioni su quanto ci è dato di comprendere con il limitato strumentario metodologico e di esperienza oggi a nostra disposizione. Un primo ed, a nostro parere, fondamentale punto di riferimento è ciò che avvenne agli albori dell'insediamento umano, nel paleolitico, quando questo fenomeno evidenziò alcune caratterizzazioni che sembrano riprodursi nelle successive fasi dell'insediamento urbano. Non solo. Sembra, a noi, che queste primigenie forme costituiscano una cartina di tornasole della correttezza del rapportarsi dell'uomo allo spazio anche per le più complesse forme storiche successive. Sociologia urbana: retrospettiva e nuovi trends Quando, nel 1956, René König redasse un volume monografico della Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie intitolato Die Gemeinde (il Comune), la tematica della disciplina era indubbiamente diversa da come si presenta oggi.3 Ora, il Sonderheft n.26 della stessa rivista, porta il titolo di Soziologische Stadtforschung (ricerca sociologica urbana) (KZSS 1988) ed è a cura di Jürgen Friedrichs. Se si confrontano i contenuti di questo volume con i temi trattati oggi dalla nostra disciplina, si può avere una idea di quanto essa sia mutata, per metodi ed obiettivi, almeno nella Germania federale. Del resto, una scorsa ai nomi ed alla bibliografia dei sociologi a partire da quella data, ci permette di asserire che, ovunque, i mutamenti sono stati notevoli. Il volume del 1956 conteneva quasi esclusivamente contributi che trattavano il tema dei comuni agricoli e finiva quasi per escludere il tema della città. Le motivazioni di tale scelta sono legate alle peculiarità del periodo ed alla percezione di R. König rispetto alle problematiche del tempo della ricostruzione ed al desiderio di ridare spazio alla partecipazione della popolazione alla ricostruzione del suo paese e della società e della cultura europea dopo il periodo nazista. Si è trattato, comunque, di una pietra miliare della sociologia urbana in Germania. E' stato, infatti, a partire da quest'opera che la disciplina è assurta a disciplina scientifica in quel paese. Si tratta di un esempio emblematico di come la Weltanschauung influenzi le prospettive, le scelte e le metodologie disciplinari della scienza sociologica come di altre discipline scientifiche. La sociologia urbana non aveva una vera e propria tradizione scientifica negli USA prima della seconda guerra mondiale, fatta eccezione per l’esperienza della scuola di 3 König, R.(hrg.), “Gemeindesoziologie”, Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, Sonderheft 1988. 9 Chicago che non ebbe forse un influsso determinante sulla impostazione della teoria sociologica generale. E, se Max Weber, Georg Simmel e Werner Sombart diedero importanti contributi alla sociologia urbana e rurale, si deve, purtroppo constatare che i loro contributi non diedero, peraltro, l'avvio ad una ricerca sistematica sulle condizioni di vita delle città; lo sviluppo delle città. Inoltre, ciò avvenne in seguito e quasi ignorando la loro produzione scientifica. Cosa che , del resto, avviene anche ora. In che misura e verso quali lidi si è diretta la sociologia urbana da allora? J. Friedrichs sembra, per la obiettiva difficoltà di ampliare la prospettiva, volersi riferire solo alla Germania (quella di prima del 1991). Credo si possa affermare che queste constatazioni valgano anche per l'Italia4 come per altri paesi ad economia capitalistica o di mercato, pur con vistose differenze specifiche in corrispondenza delle diverse culture. Come si potrà notare in seguito, la caratterizzazione culturale di ogni paese si reputa abbia un influsso cospicuo, anzi decisivo, sulla conformazione dell'insediamento e della città in particolare. Il contributo dei classici e, per quanto concerne la storia, il contributo di L. Mumford nei tempi recenti, mettono in evidenza in modo efficace quanto stretta sia la connessione fra la singola cultura e le forme che assume la città. L'affermazione di Friedrichs, circa la capacità della sociologia urbana e rurale di influenzare lo sviluppo della città è un problema che ovviamente non tocca i periodi storici nei quali la disciplina non esisteva. Per tali periodi siamo impossibilitati a verificare se la riflessione sulla città in termini scientifici avrebbe potuto influire sulle forme stesse della città. Le tematiche degli anni Cinquanta R. König, nel volume citato, privilegiò le seguenti problematiche: 4 Vedi il lavoro di Delle Donne M., Teorie sulla città, Napoli, Liguori 1979. 10 le condizioni di vita nei nuovi insediamenti urbani5, il vicinato, contatti/visite e reti sociali, spazi dell'agire, ricerche orientate al risanamento, risultati delle iniziative di risanamento, migrazioni ed immigrazioni, sottourbanizzazione, realizzazione di infrastrutture e disparità, segregazione, integrazione e condizioni di vita delle minoranze (lavoratori immigrati), strutture socio spaziali, migrazioni, selezione dei gruppi, valori fondiari ed affitti, sviluppo dei centri urbani, sviluppo urbano, il potere nel Comune. In Germania, questo trend della sociologia urbana è documentato dai seguenti lavori: Pfeil, Großstadtforschung (ricerca sulla grande città) 1950 (opera del 1972, in seguito ampliata), Bahrdt, Die moderne Großstadt (la grande città moderna) 1961, Mitscherlich, Die Unwirklichkeit der Städte (L'irrealtà delle città) 1965, Atteslander-Hamm, Materialien zur Siedlungssoziologie (Materiali per la sociologia dell'insediamento) 1974, Herlyn, Stadt- und Sozialstruktur (Struttura urbana e struttura sociale) 1974, Pehnt, Die Stadt in der Bundesrepublik (La città nella Repubblica federale tedesca) 1974), , Friedrichs, Stadtanalyse (Analisi urbana) 1977, Hamm, Lebensraum Stadt (La città / spazio vitale) 1979, Friedrichs, Die Städte in der 80er Jahren (Le città negli anni Ottanta) 1985, Häusermann e Siebel, Neue Urbanität (Nuovo urbanesimo) 1987. Nella Sezione Stadt- und Regiolasoziologie (sociologia urbana e regionale) si evidenziano posizioni diverse circa la necessità di ricerche quantitative, circa gli approcci marxisti e sul necessario orientamento alla prassi applicativa che debbono avere le ricerche. La Sezione ha, comunque, dato un impulso significativo alla ricerca urbana in Germania federale. La sociologia urbana ha quindi dato risultati significativi sia per la quantità delle ricerche condotte, sia per il supporto offerto alla pianificazione, sia per l'interesse suscitato. Tuttavia, nonostante la quantità degli studi e delle ricerche, questa disciplina manifesta, nel più recente periodo, un’evidente crisi. 5 L'Italia ebbe le stesse problematiche: vedi ad es.: Cavalli L., La città divisa, Milano, Giuffré 1965. 11 Dalla crisi verso nuovi orientamenti La sociologia urbana è uno dei primi ambiti disciplinari della sociologia. Con la istituzione della cattedra di Albion Small nel 1892 a Chicago, numerosi giovani ricercatori e giornalisti giunsero ad occuparsi dei problemi maggiormente evidenti della loro città. Le pubblicazioni degli anni Venti e Trenta, soprattutto quelli di Park, Burgess e McKenzie, autori che vengono generalmente definiti come i più significativi rappresentanti della Scuola di Chicago, hanno influenzato le ricerche urbane sino ad oggi. L'ecologia sociale, o human ecology, com'essa è stata successivamente chiamata, fondata da questi autori, rappresenta tutt'oggi l'unico approccio teoretico autonomo in sociologia urbana. Si tratta certamente di un paradigma molto conosciuto e con il quale ogni ricercatore si è confrontato. Il riferimento ad un quadro teorico ecologico che ha trovato esplicitazione, inizialmente, in un ambito di studio proprio del mondo animale e vegetale, ha fatto sì che un tale approccio trovasse difficoltà ad essere accolto nella teoria sociologica. Questo è uno dei motivi che hanno condotto alla crisi della teoria sociologica sulla città ed, in particolare, dello scarso legame che si è venuto a creare fra sociologia generale e sociologia della città. E' altrettanto importante notare come questo rilevante e specifico ambito disciplinare della sociologia perda gradualmente di importanza e di incisività. Gli indicatori di questo fenomeno sono numerosi. Le riunioni annuali dell'American Sociological Association vedono decrescere continuamente Sessioni e Rapporti sulla Urban Sociology. Nella riunione dellASA del 1987, ad esempio, non è nemmeno stata ipotizzata una sessione con una simile denominazione. Diminuisce, inoltre, il numero di pubblicazioni in questo settore; poche sono, inoltre, le recensioni sulla rivista Contemporary Sociology sull’argomento Nella Soziologische Revue i temi di sociologia urbana vengono trattati solo in recensioni cumulative. 12 Connotazione dei nuovi trends in sociologia urbana Si possono, dunque, trarre le seguenti considerazioni: 1.- La ricerca urbana sembra avere un'importanza ridotta per la prassi e per la pianificazione dei governi nazionali e locali. Questa tendenza è più forte negli USA che in Germania. Sembra, inoltre, che i grandi problemi nelle aree urbane appaiano oggi in modo meno pressante che non negli anni Sessanta e Settanta. Constatazione che si è rivelata come un errore. 2.- Se la differenziazione fra le aree urbane non sembra essere significativa, si è, invece, accentuata la disparità fra le aree regionali. Si nota, infatti, il prevalere di analisi comparative di città-aree regionali, come pure si accrescono le ricerche di carattere economico, di politica del mercato del lavoro e di carattere fiscale, mentre la sociologia come tale riveste un'importanza limitata. 3.- La sociologia ecologica classica, nonostante il tentativo di aggiornarsi operato negli anni Quaranta e Cinquanta, ha terminato il suo iter quale utile teoria interpretativa. In proposito, sarà da verificare se i recenti tentativi di dare ad essa un nuovo sviluppo (Bidwell e Kasarda 1985, Hawley 1986) possa avere possibilità di successo. Anche gli approcci marxisti non hanno condotto ad una teoria capace di analizzare con sufficiente precisione fenomeni loro consoni come le migrazioni, la marginalità e l'integrazione; si ricorre, infatti, per questi ambiti, alla sociologia economica. 4.- I problemi propri della città vengono studiati a preferenza dei problemi sociali generali. I problemi dell'integrazione, delle minoranze, degli strati sociali inferiori presenti nelle nuove realtà urbane, oppure gli effetti delle tecnologie applicate all'uso del territorio o le interazioni sociali corrispondenti sono una esemplificazione di problemi che possono, ipoteticamente, essere meglio interpretati con l'ausilio delle teorie sociologiche generali piuttosto che nell'ambito dell'apparato teoretico dell'ecologia sociale. 13 5.- Nella misura in cui la società si differenzia, le teorie individualizzanti sono più adeguate delle teorie aggregate (non solo per analizzare le realtà individuali ma anche le stesse realtà aggregate; vedi Coleman 1986, p. 1318), a prescindere da quali teorie debbano essere utilizzate. La differenziazione sociale tocca solo una parte della società. Alcuni strati sociali subiscono una perdita di potere d’acquisto ed altri, invece, se lo vedono aumentare. Vi è dunque sia una individualizzazione sia una polarizzazione (Beck 1986). In Francia, le opere di sociologia sono più orientate alla ricerca qualitativa su temi come amore, matrimonio, ruolo dei sessi. Mentre, se vengono utilizzate variabili classiche a carattere socio-demografico ed economico, come sesso, età, grado di istruzione e reddito, le spiegazioni divengono più difficoltose, per cui si accentua l'analisi qualitativa. Non conducono molto più in là anche le ricerche sul ciclo della vita e sullo stile di vita dei gruppi. Di conseguenza e per reazione, la ricerca si è orientata verso la descrizione e la spiegazione delle disuguaglianze sociali (Hradil 1987, Kreckel 1983). Questo orientamento di ricerca non è stato così accentuato come negli USA ma, secondo l’autore, è ipotizzabile che esso si accentuerà in Germania nel prossimo futuro. Cosa avvenuta, anche se con accentuazioni che privilegeranno i fenomeni della marginalità. J. Friedrichs, chiedendosi che cosa si dovrebbe fare in sociologia urbana, ritiene sia più utile precisare ciò che, secondo lui, non si dovrebbe fare6. Egli sostiene che l'analisi dello spazio sociale e l'ecologia fattoriale, con l'analisi della distribuzione della popolazione con dati aggregati, abbia condotto a conoscenze cumulative sulle dimensioni più 6 Friedrichs J., «Stadtsoziologie wohin?», in Stadtforschung, KZSS, Sonderheft 29/1988, pp.10-11. 14 Soziologische importanti della struttura socio-spaziale della città, permettendo raffronti fra città appartenenti a stati diversi. Non ci dobbiamo attendere, egli sostiene, alcun avanzamento conoscitivo dall'applicazione acritica dell'analisi fattoriale, in cui n variabili disponibili con i dati concernenti una città vengono ridotte a k dimensioni. Analisi sociologica e pianificazione. Nel caso in cui si mettano in correlazione variabili che concernono zone della città (ad es. il tasso di disoccupazione ed il tasso di criminalità), ciò conduce unicamente ad una conoscenza di livello descrittivo. Il problema è di riuscire a superare il livello descrittivo per divenire una spiegazione, rispondendo al la domanda del perché esista tale connessione. L'intento di rendere utili i risultati della ricerca urbana per il pianificatore sembra avere una giustificazione piuttosto ristretta non fosse altro perché non sappiamo veramente chi siano gli enti e le persone che procederanno a pianificare. I burocrati difficilmente hanno, ad esempio, il tempo di leggere tali studi, anche se venissero pubblicati su riviste di loro pertinenza. Tali studi vengono concretamente utilizzati dalle relazioni dei responsabili per i loro superiori amministrativi o politici oppure per le esposizioni che fanno i pianificatori. Altrimenti, afferma Friedrichs, rimane un'ultima chance: che noi pubblichiamo per la nostra scientific community. Lo stato della ricerca in sociologia urbana, come numerose ricerche hanno dimostrato, non permette certo di esprimere delle indicazioni e degli indirizzi che siano in grado di orientare significativamente le linee di ricerca territoriale e le scelte urbanistiche; al massimo, in presenza di misure già assunte, tali ricerche possono condurci a poterci esprimere sulla loro adeguatezza. Non necessariamente tale opinione va condivisa, anche se riflette indubbiamente la posizione sino ad oggi debole della sociologia nei processi di pianificazione. Con espressioni disincantate, J. Friedrichs afferma che risulta di fatto difficile analizzare e confrontare tra loro i problemi pratici di fronte ai quali si trovano le autorità, 15 soggetto della pianificazione, con i risultati della ricerca scientifica. Le risposte che vengono fornite dai sociologi rispondono spesso all'impegno ed all'entusiasmo del ricercatore, e fors'anche alla legittimazione dell'autorità che deve pianificare, molto meno alle esigenze dell'utente. Una posizione che non coincide con altri contributi di analisi socio territoriale nella quale sono emersi elementi di carattere sia strutturale sia operativo per la pianificazione territoriale e urbana. Tentare nuove vie Friedrichs ritiene che si debbano approntare strumenti teoretici e tentativi migliori di quelli attuali, anche per levare la ricerca in sociologia urbana dallo stato di stagnazione in cui essa è finita. La ricerca che poggia sulla cumulazione dei dati fa ricorso alle cosiddette teorie additive. In queste ultime vengono chiamate in causa variabili che si sono rivelate significative in ricerche precedenti (sono in grado di spiegare la varianza); ed a ciò si aggiungono le nuove ipotesi formulate dal ricercatore. Tali effetti vengono normalmente analizzati con lo strumento della regressione multipla; si tratta, pertanto, di un procedimento cumulativo. Lo svantaggio di questa procedura consiste nel fatto che questi modelli sono utili solamente per spiegare lo specifico problema e, di conseguenza, anche l'aspettativa di Merton di veder nascere una teoria generale dalla teoria di medio raggio appare non sostenibile sul piano metodologico. Critiche in questo senso sono venute da Fischer (1986: 223 ss.) e da Esser (1979) in quanto il primo l'ha criticata come «compositional analysis» in sociologia urbana ed il secondo come «sociologia delle variabili». Lo stesso procedimento, di una teoria ottenuta per additività è seguito dagli studi sui comportamenti individuali nella città (spazi comuni, vicinato, frequentazione di centri sociali, rete di conoscenze, comportamento nel tempo libero, orientamento per escursioni, orientamenti localizzativi). Tuttavia, anche con l'aggregazione di tali dati non si riesce a costruire una teoria macrosociologica. 16 Friedrichs sembra, allora, indicare una strada nuova, individuata nell'utilizzo della cosiddetta analisi trasversale dei fenomeni urbani. Ciò significherebbe mettere in relazione i dati e le metodologie delle ricerche che puntano sulla dimensione individuale con le ricerche che utilizzano aggregazioni di dati. Per venire a capo di questo problema, possono essere utili le analisi del contesto anche se le dinamiche che in esso agiscono non sono ancora chiarite sul piano teorico. Utile appare anche l'uso della teoria degli effetti inattesi. Insomma uno spettro metodologico complesso e, diremmo, eclettico. Si potrebbe aggiungere che in sociologia urbana, e per la sociologia in generale, la ineludibile utilizzazione delle metodologie della rilevazione empirica si affianca alla sempre più evidente complessità delle singole realtà sociospaziali; è questo a richiedere la versatilità delle tecniche di rilevazione e, soprattutto, la necessità di individuare nei tratti culturalmente rilevanti di queste realtà, l'orientamento per la formulazione delle ipotesi della ricerca e, di conseguenza, anche la scelta, sia pure plurima, delle tecniche e degli strumenti di rilevazione. La sociologia urbana degli anni ’90 Th. Krämer-Badoni7 rinvia al volume di J. Friedrichs Die Stadte in den 90er Jahren8 come all’opera che permette di fare il bilancio del decennio della sociologia urbana in Germania, come era avvenuto in un contributo precedente e ad opera dello stesso autore. In sintesi, K. Badoni ritiene che il decennio sia caratterizzato dai seguenti elementi: • Dal 1989 molti mutamenti sono intervenuti nella realtà urbana tedesca e negli studi di sociologia urbana • Il periodo non è tuttavia caratterizzato da significativi dibattiti metodologici 7 Krämer-Badoni, Th., “Die Stadt der 90en Jahren”, in Soziologische Revue, 1999, II, pp. 8 Friedrichs, J., Großstadt. Soziologische Stichworte Hartmut Haeusserman (Hrsg.). – Opladen, Leske und Budrich, 1998. 17 • • • Vi è una scarsità di nuovi autori che si siano affacciati sulla scena Dominano la scena vecchi nomi: Jürgen Friedrichs, Hartmut Häusermann, Ulfert Herlyn, Walter Siebel (possiamo aggiungere Thomas Krämer-Badoni che non si cita per ovvi motivi di modestia) Fra i pochi nuovi va citato Jens Dangschat che si evidenzia per una ricca ed interessante produzione Se non vi sono numerosi autori nuovi, vi sono invece nuove tematiche che vengono affrontate; esse sono documentate nel testo citato di J. Friedrichs come pure nel volume di H. Häusermann Großstadt. Soziologische Stichworte che si rivela un buon manuale, un volume collettaneo edito per festeggiare i 60 anni di W. Siebel.9 Le prospettive della sociologia urbana in Germania negli anni 90 dal volume di J. Friedrichs Krämer-Badoni, richiamandosi al volume di Friedrichs sulla sociologia degli anni 90 in Germania10, mette in evidenza gli orientamenti della sociologia urbana in Germania in questo periodo. Accanto al mutamento delle tendenze di lettura ed approfondimento della disciplina rispetto agli anni 8011, si ha, in particolare: Il fenomeno del trasferimento dei processi di produzione industriale e dei servizi nei Länder con salari più bassi. A questa conclusione cui giunge il saggio del volume di Friedrichs, viene fatta l’osservazione che il fenomeno 9 Hartmut Häussermann (Hrsg.), Grossstadt Soziologische Stichworte, Opladen, Leske und Budrich, 1998. 10 Friedrichs, J. (Hrsg.), Die Städte in der 90er Jahren: demografische, ökonomische und soyiale Entwicklungen, Opladen, Westdeutscher Verlag 1997. 11 Si ricordi, in proposito, il contributo di J. Friedrichs con i lavori: Friedrichs, J., (Hrsg.), Stadtentwicklungen in West- und Osteuropa, Berlin, New York, Gruyter Walter de & Co 1985, ed ancora: Friedrichs, J., O’Loughl (ed. by), Social Polarisation in post – industrial metropolies, Berlin, New York, Gruyter , Walter de, & Co 1996. 18 andrebbe letto in modo più approfondito verificando le connessioni con le dimensioni socio economiche e socio culturali Stimolante appare il contributo di Jens Dangschat sul tema: “Povertà e delimitazione socio spaziale nelle città della Germania” Come pure è da considerare assai buono il contributo di Dangschat e Häusermann: „Sviluppo urbano nella Germania orientale“ Il saggio di Norbert Gestring sulla „Ecologia della città” (Oldenburg, Göttingen) pone a sua volta in evidenza come, su questa tematica, vi sia una scarsa produzione scientifico sociologica. Interessanti in questo saggio sono le correlazioni che esistono fra „ecologia e modi di vita urbani“ (urbane Lebensweise“. Vengono inoltre messi in evidenza: Due costellazioni di esigenze: a) l‘emancipazione, l‘equità sociale, l‘autonomia e la liberazione dalla costrittività del lavoro; b) i bisogni connessi con le condizioni dell‘ambiente urbano cui sono collegati altri fattori: abitazione equità sociale, pari opportunità di lavoro e partecipazione. Condizione basilare per poter attare questo quadro di nuovi modelli di vita connessi con le modalità di vita consoni alla dimensione ecologica, è la necessità di introdurre un mutamento del modo di vivere, il che presuppone che la nostra società sviluppi ed affermi un‘etica della rinuncia rispetto a quella dei consumi illimitati. Gli autori ritengono che il ruolo centrale non lo debba giocare l‘attività scientifica ma che realizzare questo nuovo orientamento dipenda piuttosto da un disegno e da decisioni di una politica. La sociologia della città può, in questo disegno, assumere i simboli come tema. Inoltre, la nostra società che cosa ci rimette se mette da parte un‘utopia fallita di urbanità universale? Un settore che richiama un nuovo interesse è pure quello della valenza positiva che la città sta sviluppando con le attività culturali. Il volume di Kirchberg e Göschel esplicita in forma articolata potenzialità ed esemplificazioni in merito a 19 questo vasto settore12. L’insegnamento della sociologia urbana in altre Università Con l’ausilio di Internet, abbiamo raccolto alcune informazioni sull’insegnamento della sociologia urbana in altre Università. Iniziamo con le Università tedesche. Alla Humboldt Universität, presso la cattedra di Stadt- und Regionalsoziologie, si punta su di un insegnamento che ha quali punti di approfondimento le strutture e lo sviluppo socio - spaziali a livello urbano e regionale. In una prima parte del corso vengono presentate le teorie ed i metodi di analisi della sociologia urbana; in una seconda parte della didattica si affrontano i temi della sociologia dell’abitare ed in una terza parte si affrontano le teorie della differenziazione sociale. Nei Proseminare e nei Seminare, vengono affrontati, a loro volta, altre tematiche: la segregazione, l’analisi ed i problemi connessi con le nuove espansioni, la carenza di abitazioni. Ed ancora: i mutamenti nella struttura urbana, la povertà nelle grandi città, immigrazione e sviluppo urbano, sviluppo urbano nella Germania orientale, risanamento urbano a Berlino ecc. I progetti di ricerca in corso toccano i seguenti temi: modernizzazione delle abitazioni, strutture sociospaziali a Berlino, mutamento socioeconomico nelle grandi città in Germania e formazione di una “nuova underclass urbana”, privatizzazione del parco abitativo nei nuovi Bundesländer e nell’Europa orientale, influsso del principio di “riparazione dei danni” nello sviluppo urbano, pluralismo degli stili di vita nelle monostrutture costruttive. 12 Kirchberg,V., A Göschel, Kultur in der Stadt, Opladen, Leske+Budrich 1998. 20 La didattica di base (Grundstudium) offre un corso generale sulla disciplina, uno sui classici della sociologia urbana, uno dedicato alla “Città divisa: segregazione e polarizzazione sociale a Berlino”, un Proseminar dedicato a “Città, potere ed infeltrimento dei rapporti sociali”. Il docente titolare di cattedra è Hartmut Häusermann che, con W. Siebel, ha pubblicato il testo Neue Urbanität, Frankfurt, Surkamp 1987 (Indirizzo: http://www2.rz.huberlin.de/inside/stadtsoz/citylehr.htlm). Al Wissenschaftszentrum di Berlino è attivo un gruppo di ricerca denominato Metropolenforschung del quale è direttore Bernward Joerges. Oggetto: studiare in che modo la grande città può essere organizzata. (Indirizzo: http://www.wz-berlin.de/tau/met/met.htm). Particolarmente fornito di documentazione è il Forschungsstelle Vergleichende Stadtforschung (Centro di ricerca urbana comparata) di Amburgo. Il sito in Internet: (http://sozialwiss.uni-hamburg.de/Isoz/Fvs/homepage.htm), contiene: gli indirizzi dei collaboratori, i campi di ricerca (dal 1990): il caso Amburgo, comparazione urbana, segregazione residenziale, Gentrification, povertà urbana, disuguaglianze e stili di vita, persistenza dello sviluppo, pianificazione dello sviluppo urbano, innovazione urbana, risanamenti, statuto per la conservazione, economia e politica dell’abitazione, globalizzazione, lo Stato locale, lo spazio, ambiti futuri di ricerca; bibliografia. Vedi: (http://sozialwiss.uni-hamburg.de/Isoz/Fvs/liter.htm), i rapporti conclusivi delle ricerche i partners universitari e di ricerca. 21 Il titolare della cattedra e direttore del Centro è il Prof. Dr. Jens S. Dangschat e sua è anche la maggior parte delle pubblicazioni riportate. Presso l’Università di Bamberg, All’interno del Diplomstudiengang Soziologie, la “Stadtund Regionalsoziologie” è una sociologia “specifica, e pertanto non una cattedra. Le attività didattiche hanno i seguenti contenuti: Nozioni fondamentali: sviluppo storico della disciplina; concetti di base; teorie scientifiche sullo sviluppo della città; sviluppo delle forme di insediamento e dell’urbanizzazione alla luce di un raffronto internazionale. temi specifici: - metodi e modelli per l’analisi delle strutture socio spaziali (ecologia fattoriale, analisi dello spazio sociale, modelli di sviluppo urbano); - dimensione empirica delle strutture e dei processi socio spaziali (concentrazione, segregazione, successione, dispersione ecc.); - mobilità spaziale (mobilità residenziale e traffico): forme e dimensione, effetti, teorie della mobilità; - modello dei contatti e relazioni di vicinato nelle comunità e nella città; - problemi sociali urbani / struttura urbana e problemi connessi; - sociologia dell’abitare. Il riferimento in Internet: http//www.uni-bamberg.de/∼ ba6sfr/lehre/reg.html Citiamo due siti presso i quali si possono trovare due temi trattati in forma interessante: 1. Car - Free Cities 22 (http://www.mokum.com/city/ind_bo.htm) Il titolo dice da solo quale sia l’oggetto ed il taglio. Diamo solamente l’indice dei paragrafi: Il problema - La soluzione - obiettivi del disegno standards - trasporto rapido - stazioni di corona - corona di verde - trasporto commerciale - muoversi senza macchina ecc. Avvertenza. Le bellissime immagini di Venezia rendono lentissimo il lavoro in Internet. Urban Control The Ecology of Fear by Mike Davis (file://C:\Bladerunner\ Indice: Beyond Blade Runner - Scanscape - Free Fire Zone The Half/Moon of Repression - The Neighbors are watching - Minicitadels and Gerocrats - Parallel Universes Holliwood(s) - The Toxic Rim - Before we wake Bibliography. Sociologia rurale - Granada Anno a. 1997-98. Riportiamo qui gli elementi essenziali del programma di Sociologia rurale dell’insegnamento tenuto alla Facultad de Ciencias Politicas y Sociologia de la Universidad de Granada tenuto dal prof. Francisco Entrena Duran (programma ottenuto via Fax (05/1095). Preliminari: oggetto e collegamento con la sociologia urbana. Prima Unità tematica: concetti ed orientamenti teorici della sociologia rurale istituzionale e negli studi agricoli (dalla legge di Purnell allo sviluppo della disciplina negli USA Sorokin, Zimmermann, Galpin); La Path Analysis ed altre tecniche multivariate di ricerca - Comunità rurali ed urbane ambiente rurale ed urbano tradizionale e scomparsa del contrasto fra i due ambiti - protoautori nello studio del rurale: Marx, Lenin, Kautsky, il populismo di Chayanv Autori più recenti; antropologi: Redfield e Wolf; i neomarxisti 23 Galeski e Shanin (la ruralità come fattore politico). Altre prospettive marxiste: Cavailhes, Servolin, Lebossé. La ruralità economica, familiare, culturale, comunità, la mentalità, modo di produzione. Seconda Unità tematica: incursione nelle società socialiste. La sociologia rurale negli stati del socialismo reale. Terza Unità tematica. Istituzioni, struttura e mutamento sociale nell’ambiente rurale. Concetti sociologici per l’analisi. Fattori che determinano la struttura rurale. Le strutture di classe nella società agraria tradizionale. I rapporti di lavoro in agricoltura. La famiglia rurale e l’agricoltura familiare. Effetti del mutamento sociale nell’ambito rurale. Modernizzazione dell’agricoltura e della società rurale. Agricoltura, società rurale ed inserimento nel sistema socio economico mondiale. La politica agraria e l’intervento dello stato nell’agricoltura. Sviluppo in ambito rurale. Quarta Unità tematica. Organizzazioni e movimenti sociali agrari. La mobilitazione contadina agli inizi dello stato liberale capitalistico. Carte ed orientamento dei movimenti sociali agrari. Quinta Unità tematica. Il pensiero sociale agrario in Spagna. Sesta Unità tematica. Movimenti sociali ed organizzazioni di azione collettiva nell’ambito agrario spagnolo. Settima Unità tematica. Istituzioni, struttura e mutamento sociale nell’ambito agrario spagnolo. Ottava Unità tematica. Stato ed agricoltura in Spagna. Da Internet. Su Rural Sociology Riportiamo qui alcuni elementi informativi su Rural Sociology. Http://sosig.uk Rural Sociological Society Description: The objective of the Rural Sociological Society is to promote the study of rural life through research, extension 24 and education; for the purpose of confronting problems, answering questions, increasing opportunities and thereby, improving the quality of life in rural areas. The Web site gives information about meetings, membership matters and publications of the Society. Publications include the printbased journals The Rural Sociologist and Rural Society; of the latter there are some contents pages and abstracts. Keywords: rural sociology, USA Alternative Title: RSS Available from: http://www.lapop.lsu.edu/rss/ International Rural Sociology Association Description: Formed in 1964, IRSA, is an international consortium of regional and continental societies in rural sociology. The object of IRSA is to foster the development of the science of sociology, to further the application of social research to the improvement of the quality of life for rural populations, and to promote the subject-matter of rural sociology as a topic of instruction. IRSA sponsors a World Congress every four years whereby rural social scientists can generate dialogue and useful exchange. The Web page gives details of the current World Congress, along with information about the Association itself. Keywords: rural sociology, international Alternative Title: Available from: http://www.ag.auburn.edu/irsa/#intro European Society for Rural Sociology Description: No formal description of the Society's activities is available on the Web page, but an idea of its wide ranging interests can be gained by an inspection of its online newsletter European Rural Sociology News - ERS-News - which is accessible on the page. There is also membership information along with announcements about future meetings. Keywords: rural sociology, Europe Alternative Title: Société Européenne de Sociologie Rurale Europäische Gesellschaft für Land- und Agrarsoziologie Available from: http://cc.joensuu.fi/~alma/esrs/index.htm 25 RURSOC-L mailing list Description: The RURSOC-L (Rural Sociology) mailing list covers various aspects of rural sociology, i.e. sociology that explicitly does not cover urban areas. Frequent topics include the disenfranchisement of people due to isolation, the effects of IT in minimising this isolation and the effects of legislation on rural communities. To join this list, email: subscribe RURSOC-L firstname lastname, to: [email protected]. Keywords: rural sociology, social isolation, legislation, information technology Alternative Title: Rural Sociology Available from: mailto: [email protected] Reaper mailing list archive Description: Reaper is a new European network of rural social science researchers and practitioners, working up a database of rural social science research in 16 participating countries. The aim is to make this database more widely available. It is hoped that others will add information on research activities. Keywords: social science, rural, research, development studies, Alternative Title: Available from: http://www.mailbase.ac.uk/lists-p-t/reaper La Construction de l'Anthropologie Québécoise: Mélanges Offerts à Marc-Adélard Tremblay Description: This is an elecrtonic, full-text version of the Festschrift offered to Marc-Adélard Tremblay on the occasion of the 25th anniversary of the foundation of the Department of Anthropoloigy at Laval University. The work has five sections: the first is devoted to the life and works of Tremblay, the second conatins articles on the anthropology of health, the third covers methodology and applied studies, the fourth, ethnicity and the final section rural communities and social change. The bias of the collection is towards Canadian studies but other parts of the world are also covered in particular essays. The book closes with short biographical 26 notes on the contributors. Keywords: Canada, social anthropology, health, rural communities, social change, methodology Alternative Title: Available from: http://www.bibl.ulaval.ca/doelec/pul/tremblay.html Centre for Rural Social Research Description: Based in the Charles Sturt University the Centre for Rural Social Research's homepage provides access to web resources on rural social issues, rural change, rural community development and allied topics. Details are also given of: rural conferences and workshops (worldwide); current Centre research activities and how to order Centre publications. You can also read articles from 'Rural Society' - the Australian journals of rural social issues. Keywords: Social sciences, rural development, social development, economics, sociology, social research, rural change, rural community development, rural media, small town development, rural policy, rural gender issues, agricultural restructuring, heritage, tourism Alternative Title: Available from: http://www.csu.edu.au/research/crsr/centre.htm BLDS Bibliographic Database Description: Searchable web version of the library catalogue and journal articles database of the British Library for Development Studies (BLDS) at the Institute of Development Studies. The database contains records of over 116,000 documents held by the library and includes all serial titles, monographs acquired since 1987 and journal articles selectively indexed since 1990. The collection comprises literature, in English and other European languages, relating to economic and social development, both rural and urban. Specific areas of interest include: health, education, communication, industrial development, debt and adjustment, population studies, gender and development, the environment, participatory appraisal, human rights, good government and democratization. Amongst the types of material represented are commercial, institutional and government publications (including national and sectoral 27 plans) from developing countries, together with a selection of periodicals and non-published material from these regions. The BLDS is a depository library of the United Nations, the South Pacific Commission and the General Agreement on Tariffs and Trade. In addition, it collects material from those institutes, NGO's and commercial publishers of developed countries, that publish on issues relating to developing regions or development theory. Keywords: geography, economic and social development, developing countries, sustainable development, libraries Alternative Title: Available from: http://www.ids.ac.uk/bldsdb/ Bulgarian Society for Regional Cultural Studies Description: The Bulgarian Society for Regional Cultural Studies was founded shortly after the democratic changes of November 1989. The Society was founded by faculty members of the Universities of Sofia and Varna, predominantly linguists, social scientists,psychologists and psychiatrists, interested in contributing to the peaceful management and resolution of Balkan ethnic inter- and intracultural problems. Against this background the following topics have been pursued during the last eight years: name changes; nation-state and minority discourse; rural minorities in the process of transition (Pomaks, Turks, Roma, Sami (NW Russia); minority women's studies; minority substance-abuse and dependent behaviour; environmental problems. The Society's web page has a brief overview of its history, an outline of its main areas of research activity, and an announcements section giving details of forthcoming field trips. There is also a bibliography of some 50 items relating to the research interests of the Society published from 1991 to 1997. Keywords: Bulgaria, minorities, Islam, naming, women, Pomaks, Turks, Roma, Sami Alternative Title: Available from: http://www.cit.bg/home/bsrcs/index.htm Institute of Social Studies (ISS) Description: 28 The Institute of Social Studies (ISS) is an international graduate school of social science teaching, research and advisory work in the field of development studies. Contains details about activities, research areas, publications and teaching programme. Also provides links to other sites related to development studies. Keywords: development studies, social studies, industrialisation, urban employment, labour relations, rural developmen, women, gender, economics, public policy, world accounting matrix, postgraduate studies Alternative Title: ISS Available from: http://www.iss.nl/ Development Studies in Britain: a select course guide Description: The first edition of Development Studies in Britain - A Select Course Guide was produced for 1985 - 1987 as a register of the courses of these institutions of common purpose. Standard entries include contact details, emphasis of research and teaching, approach to teaching, operational areas, student provision, courses available and details of staff. Twenty institutions are represented in the guide. The guide is also available as a published document. Keywords: development studies, developing area studies, rural development, Alternative Title: Available from: http://www.ids.ac.uk/courses/cou_inst.html Ethnobiological Classification Systems of the Tzeltal Indians by Kristin Lockhart Description: This paper is a contribution to the Center for Indigenous Knowledge for Agriculture and Rural Development (CIKARD) project "Indigenous Knowledge and Education". Using the Tzeltal Indians of Mexico as a case study, it addresses the following learning objectives for universitylevel students: 1) to understand the concept of ethnobiology and its subdivisions, ethnobotany and ethnozoology. 2) to be able to compare and contrast ethnobiological classification systems with scientific biological classification systems. 3) to understand the ideas of induction and deduction and the part these processes play in both classification systems. 4) to 29 understand the ethnobiological classification systems of the Tzeltal Indians. Keywords: Tzeltal Indians, Mexico, classification, ethnobotany, ethnozoology, ethnobiology Alternative Title: Available from: http://www.physics.iastate.edu/cikard/iked5.html DATAHOUSE Description: DATAHOUSE comprises a stand-alone PC application and a set of data, both of which may be downloaded from this Web site. The database contains "comprehensive city and national (urban/rural) statistics on human settlements." The database is produced by the United Nations Centre for Human Settlements (Habitat), Settlement Planning and Policies Section. The database contains data from population and housing censuses of the most recent "1990 Round of Population and Housing Censuses", collected through the Human Settlements Statistics Questionnaire 1992 (HSSQ/92), launched by United Nations Statistics Division (UNSD). The data includes information on population, housing, crime, infrastructure and services, and land use in urban areas. DATAHOUSE runs under DOS on an IBM-compatible 386 PC with at least 4MB of RAM and 5MB of free hard disk space (SVGA-monitor and mouse are recommended). Keywords: demographic data, urban population, housing, urban areas, local community services, land use, census data 30 Attuali ambiti di ricerca in sociologia urbana Il primo ambito è quello degli approcci teorici e metodologici. L'ecologia sociale, di cui sono rappresentanti Bidwell e Kasarda (1985), con un accentuazione dell'aspetto proprio alla sociologia dell'organizzazione, trovano in Hawley (1986) una formulazione teoretica rigorosa e castigata13. A questa teoria si connettono gli studi sui grandi afflussi, sulle sostituzioni di popolazione, sulla concentrazione demografica, il risanamento, tutte operazioni che hanno come oggetto di studio il mutamento che avviene nei quartieri residenziali e che dovrebbero trovare una spiegazione in un modello che ha nella sostituzione della popolazione il proprio fattore determinante. Il problema che preoccupa Friedrichs è la possibilità da parte delle teorie aggregate o delle macroteorie di dare una interpretazione dei fenomeni macrosociali. Il problema è, in realtà, quello di stabilire un raccordo fra livello macro- e microsociologico. Si tratta certamente, innanzitutto, di un problema teoretico che andrebbe risolto con un dibattito ed una proposta operazionale con adeguato fondamento epistemologico in sociologia. Un secondo ambito di ricerca è quello che si occupa delle conseguenze economico-spaziali del mutamento strutturale economico. Il mutamento delle città ad alto sviluppo industriale è legato al tasso di produzione di beni e di informazioni, alla loro potenzialità economica, alla disponibilità di forza lavoro, come pure alla struttura dei ceti produttivi, alla quota di disoccupati. Il problema analitico che si pone a livello di dati aggregati riguarda, in modo differenziato: - il decrescere o lo sviluppo del fenomeno urbano, legato a tali fenomeni; 13Jiri Musil, «Der Status der Sozialökologie», in KZSS, 29/88 cit. pp. 18-34. 31 - le differenziazioni regionali (spesso racchiuse nel paradigma «Nord-Sud»; - i crescenti e violenti problemi fiscali e finanziari delle città; - disoccupazione e interventi economico-sociali, legati agli effetti finanziari e sociali per le città; - la nascita di una urban underclass, come ad es. i disoccupati, gli assistiti dal servizio sociale, le ragazze madri, i profughi, come pure - l'insorgere di un nuovo fenomeno di senza tetto in molti paesi (Friedrichs 1988)14. Il fenomeno della agglomerazione, che abbiamo visto nella sua dimensione storica, viene affrontato, sempre nell'opera citata, da P. Gatzweiler e da W. Strubelt15. Nuove tecnologie e mutamento urbano Il mutamento economico delle città si collega anche alle nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione. La microelettronica ha introdotto consistenti novità nei processi organizzativi e del lavoro. La città stabilisce un legame molto stretto con le imprese presenti sul suo territorio (Markusen 1985). Si tratta di un tema, quello dello sviluppo urbano legato alle nuove tecnologie ed al loro influsso sullo sviluppo urbano, cui si dedicano anche altri autori, fra i quali S.J. Appold e J. Kasarda16, prendendo in considerazione l'influsso delle nuove tecnologie sulla localizzazione delle imprese e della residenza. Interessante è pure la lettura fatta da D. Henkel e B. Grabow17 secondo la quale tali tecnologie introducono una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro e delle modalità con cui le forze 14 Vedi gli articoli di Häusermann H., Siebel W., Naroska H.-J. nel quaderno della KZSS citato. 15 Ibidem. 16 KZSS, quad cit., «Agglomeration unter den Bedingungen fortgeschrittener Technologien», pp. 132-149. 17 Ibidem, «Technick und neue Zeitordnungen: Folgen für die Städte», quad cit., pp.150-170. 32 lavorative utilizzano la città, flessibilità legata anche al mutamento infrastrutturale. In quale misura si deve applicare qui l'ipotesi di Ogburn circa l'influsso della cultura materiale su quella spirituale e, non da ultimo, quella circa la natura del rapporto fra mutamento della cultura tecnologica e la dimensione spaziale della vita sociale? Mutamenti nella organizzazione spaziale urbana Sono collegati a questo processo molti elementi e rilevanti mutamenti delle aree urbane. Tali mutamenti tenderanno ad accentuarsi man mano che la differenziazione economica ed anche una crescente polarizzazione dei redditi e delle opportunità tenderà ad accentuarsi. Il mutamento assumerà le caratteristiche che le zone urbane espliciteranno. Cerchiamo di tracciare una tipologia: - I centro-città sono sempre più in competizione con i centri di quartiere e sono, allo stesso tempo, un simbolo del declino o della rivitalizzazione della città18; - Le vecchie zone costruite e limitrofe al centro città mutano in seguito al sopraggiungere di gruppi appartenenti a strati sociali superiori sia per composizione sociale sia per struttura: un incremento qualitativo che viene definito con il termine «Gentrification». Si tratta, secondo la definizione di N. Smith e P. Williams, di una «riabilitazione delle abitazioni operaie e degradate e la conseguente trasformazione di queste in un'area tipica di un vicinato della classe media»19; - Nelle aree di nuova residenza degli anni 60 e 70, i problemi maggiori sono rappresentati dalle abitazioni non occupate, dall'aumento del fenomeno di problemi legati ai gruppi ed ai danneggiamenti agli edifici. Il problema si acutizza rendendo non più vincolante l'occupazione di una parte delle abitazioni. In tal modo vengono garantiti gli 18 Vedi, nel volume citato della KZSS, il saggio di V. Kirchber e O. Behn, «Zur Bedeutung der Aktraktivität der City. Ein nutzen- und wahrnehmungstheoretischer Ansatz», pp. 357-380. 19 N. Smith e P. Williams (edtrs),Gentrification of the City, Boston 1986, p. 1. Vedi il saggio di Von Jens S. Dangschat, «Der Wandel innenstadtnaher Wohnviertel» in KZSSS 29, 1988, pp.272-292. 33 affittuari che non hanno problemi, ma si costringono, allo stesso tempo, divenendo non più calmierati gli affitti, i ceti più deboli a rifugiarsi in altri quartieri della città. Oltre a questi problemi ve ne sono altri che arricchiscono la dinamica socio-spaziale della città e che non sono sempre direttamente collegati con i precedenti: - Si tratta dei fenomeni della maggiore richiesta di servizi e rappresentazioni culturali conseguenti all'aumento del reddito ed al crescere del doppio reddito familiare. E' per questo che gli amministratori comunali attribuiscono una crescente importanza alla cultura per l'economia urbana, legata alla domanda interna ed anche a quella turistica20. Gli elementi storici e quelli più recenti del connubio città-cultura rappresentano uno degli aspetti più caratterizzanti delle forme assunte dall'insediamento umano e dal fenomeno urbano in particolare. - Il problema della confrontabilità dei dati concernenti lo sviluppo delle macro teorie urbane è oggetto di un articolato e non agevole processo di riformulazione. E' nostra opinione, come abbiamo già detto, che tale problema debba essere meglio approfondito sul piano epistemologico e metodologico in sociologia, stabilendo una connessione fra idealtipologia e modelli ed indicatori di carattere statisticomatematico. Le osservazioni introdotte da J. Friedrichs all'inizio di questo capitolo ci trovano parzialmente consenzienti. A restare aperto è, comunque, il problema del criterio utilizzato per rendere significativi i dati, le correlazioni, le regressioni e la metodologia dell'analisi causale21. In proposito, va approfondita la proposta fatta da Friedrichs di stabilire una migliore verifica del rapporto fra costrutti ed indicatori. Certamente la disponibilità di migliori strumenti di misurazione può apportare indubbi vantaggi, 20 Schäfers B.,«Sdadt und Kultur», KZSS, Soderheft cit. 95-110. K.-H. Simon, «Probleme vergleichender Stadtforschung», KZSS 29/1988, pp.381-409. 21 34 specie nel discernere fra l’uso della ricerca empirica cumulativa o comparativa22. Un interrogativo rimane, a nostro avviso, aperto. La ricerca cumulativa o comparativa non potrebbero forse trarre un indubbio migliore vantaggio qualora si parta dall'ipotesi che la realtà urbana possa essere letta secondo un senso conferito alla realtà culturale - spaziale di cui essa è costituita? I due tipi di ricerca dovrebbero comunque fare riferimento al quadro culturale complessivo ed ai nessi di senso che esistono e si manifestano nelle azioni degli individui che compongono questa realtà culturale poi dalla concretazione strutturale che tale senso assume. Gli apporti delle ricerche permetterebbero allora di comprendere il senso strutturale costruito nello spazio urbano? Le tipologie della città che dal paleolitico sino agli anni '60 ha tracciato L. Mumford sono indubbiamente sguarniti di un'analisi quantitativa, di indicatori e di comparazioni quantitative raffinate. Ci sembra, tuttavia, che fra le due metodologie si sia creato un divario insopportabile. La città odierna non sembra, secondo le strumentazioni quantitative, più riconducibile ad una matrice di senso che permetta di esprimere una valutazione sulla possibilità di un suo governo culturale e sociale da parte dei cittadini. La tipologia paleolitica - ellenica contrapposta a quella ellenistica e paleotecnica - industriale sono emblematiche per evidenziare questo disagio macro - teorico in sociologia. La città neo - industriale ha indubbiamente abbattuto la cinta muraria, quella materiale e fors’anche quella psicologico - culturale. Essa non ha, peraltro, rinunciato ad essere una città che ha costruito la città - mondo. La sua capacità polarizzatrice, come offerta di lavoro, culturale, di spettacoli e di fascino, sembra essere strumentale, come lo è stata nel periodo antico. Questa città possiede indubbiamente un’attrazione fatale prodotta dalla fantasmagorica ed irresistibile concentrazione dei poteri. Essa intende sostituire con il panem et circenses la dimensione democratica della città. Stadio, spettacoli di massa (pubblici ed attraverso i media), 22 J. Blasius, «Indizes der Segregation», KZSS cit pp.410-431. 35 potere legislativo, amministrativo e giudiziario, sedi della conoscenza e della ricerca scientifica, della religione e dell’etica, palazzi della politica, dell’economia, della tecnologia, della cultura, produzione e distribuzione dei beni, occupazione, assistenza ed ammortizzatori sociali, tendono a fare del meccanismo urbano una macchina, un articolato manufatto, una concentrazione di simboli che solo apparentemente si sforza ogni giorno di rinnovare il miracolo democratico della coralità, della tragedia e del dramma di Atene. In realtà, la città viene accettata come un insieme di poteri sostanzialmente non legittimi ma apparentemente graditi. E' bene che ripercorriamo, nella visione del passato e nella ipotetica fattispecie del presente, questo miracolo di democrazia culturale. Questa lettura di ricordo quasi mitico (ed al contrario reale) di una democrazia nata dall'evoluzione della socialità della comunicazione culturale - politica della civiltà ateniese, deve condurci ad analizzare in modo impietoso ed insieme forse provocatorio e creativo la miseria della ipercomunicazione della cultura contemporanea e specificamente della realtà urbana neo industriale. E dobbiamo farlo per comprendere, sfuggendo alla labirintica ed «irreführende Interpretation der modernen Soziologie» (alla fuorviante interpretazione quantitativistica della sociologia contemporanea), quale trappola, la città economica, populista, mass-medianica e pallonara, stia tendendo, in maniera di fatto volgare alla cultura politicosociale del nostro tempo. 36 37 38 39 Il centro di Roma 40 41 Pianta di Mégara Ibléa. Verso l’agorà trapezoidale convergono due gruppi di strade orientati da sud a nord. All’angolo nord-ovest dell’agorà è un edificio bipartito, l’heroon del fondatore della città. L’ubicazione di esso e degli altri edifici sacri dell’ agorà ha evidentemente condizionato gli ulteriori interventi nell’impianto urbano, sia prima del 483 a.C. (anno in cui la città fu distrutta da Gelone di Siracusa), sia dopo la restaurazione timoleontea (circa 340 a.C.). Mégara Ibléa, sulla costa orientale della Sicilia. Fotografia aerea. 42 Pianta della città di Mileto, ricostruite dopo le guerre persiane nel V secolo a.C. secondo i piani di Ippodamo da Mileto 43 Pianta della città alta di Pergamo (metà del III–metà del II sec. a.C.) 44 45 La storia della città: dall'origine dell'insediamento ad oggi Premessa Il linguaggio evocativo, classico ed efficace di L. Mumford, nella Prefazione al suo celebre testo La città nella storia, esprime un assunto assai efficace e certamente ancora valido per lo studio della città. Non si badi allo stile leggermente enfatico dell’esposizione. A contare è il quadro generale, la capacità di prospettarci una vera e propria epopea dell’uomo che forgia lo spazio e che da esso viene condizionato. Un intreccio dal quale trarre fondamentali elementi di lettura sociologica del passato e del presente della città. «Questo libro si apre con una città che era, simbolicamente, un mondo, e si conclude con un mondo che è diventato, per molti aspetti pratici, una città».23 Con qualche accento illuministico («confido d'aver dimostrato che essa potrà assumere in avvenire un'importanza ancora maggiore di quella che ha avuto in passato, una volta eliminati i difetti...)24 la lettura storica fatta da questo studioso conserva la sua ineludibile validità. Non vi è il tempo per fare con lui il lunghissimo percorso storico della città, ma è opportuno che, sulla base del suo grandioso affresco, ripercorriamo alcuni momenti di questa lettura. E ciò per capire quanto esso sia complesso ed insieme unitario. Si tratta di un lungo cammino di sedimentazione, un cammino non sempre evolutivo, un intreccio che ha caratterizzato il fenomeno urbano nella storia dell'umanità. Una storia tanto ricca ed in parte non più ricostruibile perché distrutta. E’ di questo significativo capitolo della storia della cultura che intendiamo dare qui alcuni elementi di sintesi. 23 Mumford L., La città nella storia, Milano, Edizioni di Comunità 1963, p.9. 24 Ibidem. Prime forme di insediamento Il rapporto dell’uomo con lo spazio, le modalità della sopravvivenza, della vita quotidiana, dell’insediamento e dell’uso del suolo, della natura nel suo insieme rappresenta uno dei temi principali dell’antropologia culturale e della sociologia. Se vogliamo riassumere alcuni momenti storici di questo processo potremmo indicarli come di seguito. Le forme dell'insediamento umano vanno oltre l'orizzonte storico: dalle forme di conquista e trasformazione dello spazio già realizzata da parte degli animali: castori, api, branchi. In questo processo si inserisce l'uomo che dà origine alla cultura. Dal paleolitico alla polis In questa lunghissima esperienza condotta dall’uomo nel rapporto con la natura inizialmente ostile sono presenti interessi, angosce, ricerca di un rifugio materiale e prima ancora psicologico-spirituale. Fanno parte di questa dimensione psicologico spirituale, quale rilevante dimensione socio-culturale ad esempio, la difesa della famiglia, il rispetto per i morti di cui diviene espressione spaziale simbolica la necropoli. I santuari paleolitici giocano infatti un ruolo importante, anzi fondamentale nella configurazione culturale dello spazio. Si tratta di un elemento centrale nella società e nella cultura di ogni tempo. Gli archeologi e gli specialisti delle culture primitive mettono in rilievo come “l’uomo si sedentarizzò, ossia si stabilì in determinate località abbandonando progressivamente i regolari spostamenti imposti dalla sua precedente condizione di cacciatore - raccoglitore”25. E’ nel Vicino Oriente, a partire dal IX millennio prima della nostra era che avviene questa pacifica rivoluzione che ricomprende: la stanzialità legata alla graduale coltivazione dei cereali selvatici, al dissodamento 25 Guilaine, J.,Settis, S., Storia d’Europa, vol. 2, Preistoria e antichità, Torino, G. Einaudi Editore 1994, pp. 145. Bagolini, B., Introduzione al Neolitico dell’Italia settentrionale, Pordenone 1980. 47 della terra, alla semina, al raccolto, all’immagazzinamento26. I villaggi nascono intorno a questo nuovo ciclo colturale. Si evolvono anche l’arte della casa, della difesa dei villaggi, delle suppellettili, dei materiali utilizzati, le modalità delle sepolture. Dai reperti archeologici si cerca di risalire anche alle modalità che assume la stratificazione e la gerarchia sociale Le prime forme dello stanziamento hanno sempre a che fare con cose sacre, segno evidente della connotazione dello spazio stesso come espressione culturale. Con il mesolitico, abbiamo le prime forme di disboscamento a fine agricolo; è il periodo che registra i fenomeni dell'addomesticamento degli animali e che evolve la centrale realtà del villaggio. Colture, conservazione del cibo, concimazione, fertilità (connessa con la nascita e la pratica dei riti della fertilità), la disponibilità diretta dei beni che passano sotto il dominio dell'uomo, tutto ciò esercita un decisivo influsso sulla vita relazionale, sulla organizzazione sociale, in quanto per realizzare certe opere occorrono braccia e concentrazione di risorse alimentari; anche la 26 Probst, E., “Die Jungsteinzeit (Neolitikum). Die ersten Ackerbauern, Viehzüchter und Töpfer”, in: Deutschland in der Steinzeit, Jäger, Fischer und Bauern zwischen Nordküste und Alpenraum, München, C. Bertelsmann 1991, pp.226-245. Vedi anche: “Der Opferaltar von Herrnbaumgarten. Die Linienbandkeramischekultur”, Ibidem, pp. 417-422. Höhneisen, M., “Die Ausbreitung frühester bäuerlicher Kultur in Europa”, in: Schweizerisches Landesmuseum, Die ersten Bauern, pp. 14-26. Bagolini, B., “Gli ambienti umidi e gli insediamenti dei primi agricoltori allevatori nell’Italia settentrionale (V - III millennio avanti Cristo), in: Natura Alpina, XXIV - 1983, 4, pp. 1-14. Ed anche: Emilia - Romagna, in: Preistoria e protostoria Guide archeologiche, 3, XIII Congresso Internazionale delle scienze preistoriche e protostoriche, Forlì Italia 1996. Biagi, P., “The Neolitic settlement structures of Northern Italy”, in Modelli insediativi - Settlment Patterns Tra Alpi e Mar Nero dal 5° al 2° millennio A.C., Atti del Convegno di Verona - Lazise 1992, pp. 289-293, Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona (Iia Serie). Sezione Scienze dell’Uomo, 4, 1995. Guilaine, J., “Les structures de l’habitat dans le Néolitique de la France mediterranéenne”, Ibidem, pp. 279-288. 48 differenziazione dei ruoli sessuali nella società assume una valenza importante. Gli studiosi della preistoria sembrano oggi più prudenti di fronte all’ipotesi che nella società primitiva il ruolo della donna dedita all’agricoltura ed alla casa avesse generato un diffuso matriarcato. Infatti, sepolture e monili sembrano testimoniare anche di un potere maschile riconosciuto ed indiscusso. Tutto ciò abbisognò di una maturazione assai lunga. Lo strutturarsi della vita sociale sembra andare di pari passo con lo strutturarsi dell’universo simbolico-culturale. Nasce dunque il villaggio che segna la trasformazione della vita «cronicamente» nomade. Il passo compiuto con questa forma di vita sociale è fondamentale. Si tratta di una forma di vita tramandata sino ai nostri giorni, trasfusa sia nella cultura del villaggio, sia nella commistione comunitaria-societaria rappresentata dalla vita sociale urbana, Elementi della nuova cultura sono: ceramica, idraulica, geotecnica. Le tecnologie, pur importanti, sembrano assumere una connotazione prevalentemente strumentale rispetto alla centralità della cultura spirituale, rappresentata nelle visioni del mondo. 5000 anni a.C. compare, nel Vicino Medio Oriente una vasta utilizzazione della ceramica. Questo uso si accompagna ad un deciso abbandono dell’attività di caccia e di raccolta di frutti spontanei per introdurre l’agricoltura. La cura con cui queste società esprimono in simboli la loro vita segna un passo decisivo nel caratterizzare lo stanziamento. Se si intende apprezzare la grande novità avvenuta in questa fase, basti pensare che il passaggio dal villaggio alla città sarà quasi insensibile. La protocittà vede i cacciatori divenire stanziali. Secondo L. Mumford, nella città si ha un Neolitico che riceve elementi dal Paleolitico, si pensi all'occupazione del territorio ed al rafforzamento del ruolo maschile su quello femminile.27 27 Ibidem, pp. 40-43. 49 La prima trasformazione urbana, a diversità di quella attuale che esprime una esplosione di potere (tecnologia, scienza, specializzazione del lavoro), è piuttosto una implosione di potere. Ne sono emblema: - la cinta muraria, - la concentrazione della popolazione, - la monarchia politica, - il riferimento religioso, - il dominio economico sul territorio circostante, - il significato militare (viene introdotta la guerra come istituzione stabile: ci si salva con il sacrificio umano su vasta scala), - la concentrazione del sapere, - il saper resistere alle forze naturali, - la nascita del centro dei commerci...) L’origine della città avviene quando giunge a compimento un lungo processo nel quale giocano più fattori. Gordon Child ha sostenuto28 essere centrale, in questo processo della nascita della città, il giungere a compimento delle specializzazioni lavorative che darebbero origine alla città nel Vicono Medio Oriente. Mentre la civiltà del villaggio neolitico moltiplicò cellule simili ed autosufficienti, la nuova civiltà, quella urbana, sostituisce, secondo questo autore, cellule complementari e successive nella catena produttiva. Ne sgorgherebbe la necessità del coordinamento e del controllo. La coesione e l’integrazione sociale non può essere ormai più assicurata prevalentemente dalla famiglia bensì da un livello di organizzazione lavorativa che supera e si differenzia da questo livello sociale. Un simile modello interpretativo appare, in realtà, riduttivo. I fattori che concorrono a formare la città sono sì elementi di un processo organizzativo nel quale si rende evidente ed efficace la specializzazione. Tuttavia, benché la specializzazione lavorativa abbia avuto un ruolo incisivo, non vanno sottovalutati altri analoghi processi di specializzazione: quello sacrale, quello delle leadership 28 Child,G, “The Urban Revolution”, in Town Planning Review, XXI, 1950, pp. 3-17. Vedi anche: Liverani,M., L’origine delle città, Roma 1986. 50 politica, della leadership scientifica e tecnologica. Per convincersi della eccessiva semplificazione della tesi di G. Child, basti pensare a quanto velocemente raggiunse un’assoluta autoreferenzialità il potere politico nelle città mesopotamiche, riducendo la differenziazione lavorativa ed organizzativa al rango di puro strumento di tale potere. La città (seconda solo, per rilevanza, al linguaggio come veicolo di trasmissione della cultura29) è anche un'entità soggetta a smembramento; alle volte essa si rivitalizza prendendo forze dal territorio rurale circostante. Questo dominio sul territorio rappresenta una costante del fenomeno urbano ed, al contempo, ne sancisce anche il fattore di debolezza. La città, mentre sembra trarre vantaggio da questa posizione dominante ed anche oppressiva, trova proprio in questa sua incapacità ad essere reciproca, a stabilire uno scambio equilibrato con il territorio aperto, con le comunità rurali e comunque periferiche, l’origine della sua decadenza. Ciò può richiedere, alle volte, anche lunghi periodi, tuttavia giunge il momento in cui il potere narcisistico urbano si avviluppa su se stesso e non sa ritrovare la fecondità necessaria a perpetuare, nella reciprocità con il territorio e con le comunità esterne, la propria stessa esistenza. Non fosse altro perché la città, come affermò A. Toinbee, “è l’insediamento umano gli abitanti del quale non sono in grado di produrre, all’interno dei suoi confini, quella quantità di alimenti che sono necessari per tenerli in vita”30 I quattromila anni di storia del fenomeno urbano a noi noto sono poca cosa rispetto all'esperienza umana complessiva che sembra estendersi ad un milione d’anni. Il fenomeno del rapporto dell'uomo con lo spazio può estendersi, tuttavia, documentatamente sino ad oggi, solo a questo periodo. Per quanto riguarda le prime esperienze urbane, si trattava di città di cui conosciamo poco (i ruderi nascondono 29 Mumford 1964, p. 76. Toynbee, A., Cities on the Move, London, NY, Toronto, Oxford Univ. Press 1970, p.8. 30 51 molti misteri in quanto sono spesso difficilmente decifrabili e ci nascondono le forme di vita sociale quotidiana, economica, politica, familiare e religiosa). Anche il significato della monumentalità rimane spesso enigmatico. Comunque, elementi rilevanti in queste città riscoperte appaiono: il fiume, la strada, il mercato. E, benché il tempo abbia cancellato gran parte della struttura delle città, da ciò che resta ancora risalta la forte personalità delle città del passato, attraverso le vestigia che la storia riesce a far parlare. La città mesopotamica appare, ad esempio, come una realtà in cui dominano re di spietata ferocia. Città che da centro cerimoniale passano perciò a divenire centri di controllo. La città come tale realizza una dimensione antropologica e sociale nuova nel senso che essa supera l'endogamia del villaggio passando dall'involucro protetto, con forte appartenenza, solidarietà e controllo sociale, al magnete urbano capace di attrarre e dominare i territori e le aree circostanti. Alla divisione del lavoro dei mestieri, la città affianca la cultura della proprietà come bene che appartiene al re; in questo senso essa è bene comune (non come furto, secondo il detto di Proudhon). La città è pure una continua alternanza di concentrazioni e differenziazioni materiali e simboliche ed in questo senso essa rappresenta la più ricca alternanza che la cultura umana conosca. In questa realtà si avverano le maggiori tensioni mai conosciute, proprio perché la città spezza la dimensione del villaggio e costruisce e vive sulle tensioni che sono alla base stessa della sua personalità, la competitività quando essa è resa possibile, la solidarietà corporativa quando i mestieri predominano, la sottomissione quando la città diviene realtà irreggimentata, monumentale, sede principesca, regale o imperiale. La città mesopotamica Per le conoscenze che abbiamo oggi, la città mesopotamica è la prima forma di città, sorta nella metà del quarto millenio a.C. nella parte meridionale della Mesopotamia, alla 52 confluenza del Tigri e dell’Eufrate. Qui avvenne quella che chiamiamo oggi la “rivoluzione urbana”; un lungo processo sorto dall’eccedenza della produzione agricola rispetto all’esigenza alimentare, dalla introduzione della divisione del lavoro (non più legate solo al sesso ed all’età), dalla complessità organizzativa e professionale, da insediamenti sempre più ampi. L’origine è data dalla costruzione di un palatium, residenza del sovrano e delle attività produttive diverse da quelle dell’agricoltura (commercio, lavorazione dei metalli, amministrazione e culto). La città è abitata dai servi del re, dai commercianti, artigiani, scribi e sacerdoti. La città stabilisce, sin da subito, un rapporto di dominio sulla campagna, ovvero sui villaggi, da cui la città trae sostentamento.31 La prima urbanizzazione si ha nel periodo di Uruk (bassa Mesopotamia, nel periodo compreso fra il 4000 ed il 3500 a.C., quindi nel periodo Elam (media Mesopotamia), quindi sull’altopiano iranico, , nell’alta Mesopotamia, nell’Anatolia e nella Siria - Palestina. L’Egitto, sviluppa tuttavia forme urbane molto diverse da quelle mesopotamiche. 31 Rossi, P. (a cura di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Torino, Storica Einaudi 1987, pp. 53-54. 53 Mesopotamia. L’origine della città L’immagine è ripresa da un bassorilievo ritrovato negli scavi di Nimrod. Esso rappresenta lo schema di una città orientale di forma circolare. La hierografia egizia rappresenta la città con un cerchio (le mura) tagliato in quattro campi dalle strade a forma di croce. Le culture insediative precedenti, quelle del vicino Oriente e quelle egiziane che le seguirono esistevano da millenni quando sorsero le prime città in Europa. Solo una cultura eurocentrica può dimenticarlo. La città si pone come lo straordinario, la contrapposizione con la vita dei pastori, con la vita nomade. La Gerico della Bibbia rappresenta questo contrasto. La città è insieme realtà e mito; una realtà dalla quale il mito trae la propria origine. (Bainoch, P., De Jéricho a Mexico. Villes et économie dans l’histoire, Paris 1985. Bernal, M., Schwarze Athene. Die afroasiatischen Wurzeln der griechischen Antike, München - Leipzig 1992. 54 Nel corso di tre millenni (3500 - 300 a.C.) avvengono profondi mutamenti nella città del vicino Oriente, in sintesi, si può affermare che si passa dalla città tempio alla città propria dell’impero universale. Gli studi sulla città del vicino Oriente mettono in rilievo il fatto che questo fenomeno urbano sia un fenomeno vario, legato ad una pluralità di fattori. Essi si possono così riassumere: originalità regionale, diffusione alle volte colonizzatrice delle forme urbane, influsso delle variabili produttive, ecologiche, etnico linguistiche, per forma socio politica. In questo importante periodo storico della città, gli studi hanno messo in rilievo l’intrecciarsi delle variabili economiche, di servizio, politico amministrative, religiose e sociali. Il rapporto fra le funzioni svolte dal palatium e dal tempio sono, a questo proposito, emblematiche. In Mesopotamia, Egitto e nell’area siro palestinese, queste funzioni alle volte si distinguono ed alle volte si sovrappongono, a dimostrazione del differenziarsi del fenomeno urbano e dei diversi volti che esso assume in periodi ed in aree regionali diverse fra loro32. La città è comunque specializzazione delle funzioni e diversa a seconda che essa svolga un ruolo regionale o sia città - stato. Essa articolerà, allora, diversamente, la funzione amministrativa, quella di mercato, quella ideologico politica e quella religiosa. Il sistema gerarchico fra città imperiale e centrale e città periferiche, utilizzate per gestire il territorio, per drenare risorse e per mantenere una rete di potere politico ed amministrativo che si pone al di sopra della differenziazione etnico linguistica e regionale, rappresenta una delle caratteristiche precipue di questo esteso e millenario fenomeno urbano del vicino Oriente. La differenziazione fra città e villaggi è netta come, del resto, anche il necessario legame collegato con la funzione di fornitura di beni economici che il villaggio fa pervenire alla città. Quest’ultima possiede una dominanza non solo politica, 32 Liverani, M., “La città vicino orientale antica”, in Rossi, P. (a cura di), Modelli di città, cit. pp. 62-65. 55 religiosa ed ideologica ma anche simbolica e culturale indiscussa. 56 L’antico Egitto. La più importante cultura urbana della storia. Questa ricostruzione archeologica appresenta i quartieri operai di Tell el Amarna, affascinante rappresentazione di una pianificazione urbana razionale. Città costruita durante la 18a dinastia, da Amenophe IV (seconda metà del 14° sec. dopo Cristo, la città esprime il rinnovamento religioso, politico, sociale ed artistico. Solo 900 anni più tardi, Ippodamo di Mileto svilupperà un modello urbano analogo per la Grecia. La città doveva essere un’alternativa a Tebe, ma non fu così. Città sulla riva occidentale del Nilo, no aveva mura; era invece circondata da 14 stele. Doveva essere il frutto della sola volontà di potenza del Signore: centro sono il palazzo, il tempio, il centro amministrativo, le case dei sacerdoti. Le abitazioni dei lavoratori ne sono la periferia. La città realizza l’idea della città ideale voluta da Amenophe il Faraone - Dio, ne è la materializzazione. 57 Babilonia. Storia e mito della nascita della città. La tradizione giudaico cristiana considerò le città del vicino Oriente quali miti negativi trasferendoli quindi alla cultura eurocentrica. Furono le città di una grande civiltà ed, allo stesso tempo, anche sfruttatori del popolo ebraico. L’esempio più tipico è Babilonia: la città della torre simbolo dellamegalomania umana, ma anche la città dei giardini pensili, delle celbri mura e degli edifici unici al mondo. A partire dal 3000 a.C., le città sumeriche rappresentano il mito e la realtà urbana. Il mito viene fissato nelle sette meraviglie del mondo dell’età dell’oro, un mondo scomparso. Alessandro il Grande, nel VI secolo a.C., sconfitto Ciro, pone mano alla ricostruzione di Babilonia per farne la capitale dell’impero ellenistico. La rappresentazione di Babilonia è presa dal volume di Johann Bernard Fischer von Erlach, Entwurf einer historischen Architektur, Wien 1721. Si tratta di una storia dell’architettura come storia della città come insieme di miti del passato; egli sostiene la tesi che l’idea di città del tempo dell’autore si deve rifare ai miti del passato. E’ come dire che la città ideale non va collocata solo nel passato: essa è modello per le città di ogni epoca. Kunoth, G., Die historische Architektur Fischer von Erlachs, Düsseldorf 1956. Playton, P.A., Price, M.J., The Seven Wonders of the Ancient World, London-1988. 58 La Mesopotamia antica 59 Fig.1-Rappresentazione di una città, dipinta sul muro di un santuario a Katal Huyuk, Anatolia (5900 a.C. circa) Fig.2-Rappresentazione di una città, nel dipinto di Paul Klee, “Un foglio del libro urbano”, 1928 60 Vedute di Persepoli 61 Planimetria di Tell-el-Amarna, la nuova capitale fondata da Amenhotep IV (circa 1370-1350 a.C.) e abbandonata dopo un breve periodo. Questa città ha potuto essere scavata e studiata meglio delle altre in Egitto; i palazzi, i templi e le case sono strettamente legati fra loro, e formano per noi un quadro più familiare. 62 Tell-el-Amarna. Particolari del quartiere centrale: pianta generale; pianta del palazzo lungo la strada reale; veduta del ponte fra il palazzo e la casa del re; pianta della casa del funzionario Nakht. 63 Tell-el-Amarna, particolari del quartiere centrale: pianta generale; pianta del palazzo lungo la strada reale; veduta dal ponte fra il palazzo e la casa del re; pianta della casa del funzionario Nakht. 64 Durante il lungo regno di Ramsete II (1290-1224 a. C.), nel periodo più splendido della civiltà egizia (il cosiddetto Nuovo Regno), vennero costruiti monumenti straordinari, destinati a durare millenni: tra questi il tempio di Amon a Luxor. Nella foto, l’obelisco alto 25 metri (una copia si trova a Parigi in Place de la Concorde) ai cui lati si trovano due colossali statue sedute del faraone. 65 La polis33 Nella nascita della città greca (o Polis) esercitano un influsso il fattore militare e quello religioso; fattori che ne fanno una realtà aristocratica nella quale le strutture di parentela, a seguito dello sviluppo economico e sociale, viene sostituita da ordinamenti gentilizi funzionali alla leva ed all’organizzazione militare, come pure al riconoscimento dei diritti civili e della cittadinanza.34 Le strutture gentilizie e le fratrie formano le comunità, assicurano addestramento e specializzazione militare, escludono, d’altro canto, le lotte intestine assicurando il demos o comunità dalla perdita di identità. La città greca classica è il risultato di un processo in cui le tendenze aristocratiche vengono frenate e sorge la koinonìa o città “tutta quanta” costituita da tutti i cittadini, con le loro differenze, con il loro numero e con le loro qualità. I diritti sono inizialmente degli aristocratici, si identificano con luoghi da costoro abitati e quindi si estendono ai cittadini in generale attraverso un processo di diffusione peraltro non continuo. Le città greche hanno un rapporto diverso con il territorio circostante. Si tratta, comunque, di un rapporto che è, in qualche misura, di reciprocità per cui viene assicurato un certo equilibrio fra i due mondi; rapporto che diverrà di dominio e di sfruttamento con la città ellenistica. Le città egee sono isole, reali come Creta e Cnosso, isole separate da gole profonde, da montagne e dal mare quelle egee della terraferma. Mutano, da una polis all'altra, anche le colture, e, come appare dal frammento ritrovato a Gurnia, nel palazzo di Minosse (Creta), l'impianto urbano presenta una complessità, un'articolazione di mestieri, abitazioni pluripiano con finestre e vetri, impianti idraulici-sanitari, insomma l'anticipazione del comfort urbano moderno. 33 Pugliese Carratelli, «Dalla polis all'urbs», in: Principii e forme della città, Garzanti Scheiwiller, Milano 1993, pp. 3-46. 34 Lepore, E., “La città greca”, in Rossi, P. (a cura di), Modelli di città, cit. pp.87-108. 66 La distribuzione delle polis nella Grecia classica. 67 Tipologia costruttiva per le città del futuro (dal V° al II° secolo d.C.). La struttura della città greca è un insieme di elementi costruttivi ognuno dei quali possiede una specifica funzione: agorà, tempio, centri di incontro, bagni, ostelli, luoghi sacri, strutture di culto e sportive collegati con le aree residenziali. Questi condensatori rivestono una sicura rilevanza per la vita economica, sociale, politica e culturale e sono centrale per ogni polis dell’intera Grecia. L’illustrazione rappresenta le tipologie urbanistiche della Grecia; tipologia di una città democratica fondata sulla schiavitù e proveniente dalla tirannide. La Polis è il punto di riferimento di vaste aree economiche e sociali agricole dalle quali trae sostentamento. Il modello si ripete nelle colonie a Nord ed a Sud del mediterraneo. 68 Le Polis greche. Pianta e veduta del teatro di Epidauro, il meglio conservato tra i teatri greci. 69 Le ricerche archeologiche rinviano al rapporto con le città sumeriche, alla civiltà dell'Indo. Resta, comunque, la novità minoica della finestra che dà luce all'abitazione con materiale trasparente tutt'ora ignoto. Creta «scompare», fossilizzata dalle invasioni di Micene o Tirinto che la bloccano nel suo sviluppo autonomo.35 Fra l'VIII ed il VI secolo a.C. (Esiodo: Le opere e i giorni, Teogonia) nasce una nuova struttura culturale di cui sono parte fondamentale: l'alfabeto e la moneta. Il primo elemento formalizza socialmente la comunicazione, il secondo esprime formalmente i rapporti sociali a livello di beni. Dalla cittadella si passa alla comunità democratica, ad una nuova autocoscienza rispetto ai villaggi. Queste prime forme di città sembrano considerare possibile la concentrazione di potere e di tecnologia con la dimensione democratica del governo, attraverso forme di autogoverno. Si acquisiscono nuove conoscenze pratiche, si costruiscono i miti religiosi e le speculazioni filosofiche che debbono essere considerate forme di razionalizzazione e di dominio della natura e della relazione sociale da parte dell’uomo. E' da questo insieme di elementi che nasce la polis greca. Dai re bellicosi, i poteri passano alla città. Sorsero, quindi, le polis continentali che fondano colonie: sul Mar Nero. Corinto-Siracusa-Corcyra (Corfù), quindi le città in Egitto, Marsiglia in Gallia, le città in Sicilia. Dalla paranoia del potere dei monarchi dell'età del ferro, si passa ad una città che sostituisce le caste militari e dei mestieri con la specializzazione funzionale, con la conseguente economia dell'abbondanza materiale, filosofica, letteraria delle arti dell'architettura e della scultura. Atene fu l'esempio eclatante di ciò che la Grecia seppe scoprire e creare in poco tempo; essa scoprì e creò ciò che egizi e sumeri non avevano scoperto in millenni.36 Il modello della popolazione che forma e governa la città secondo le dinamiche che illustreremo rappresenta una pietra 35 Per una lettura in chiave urbanistco-storica: Heigl F., Geschichte des Städtebaus, Städtebau 8, Wien, Mainz Verlag 1990, Kap. 2 e 3. 36 Aloni, La democrazia di Atene Lectio magistralis per l'inaugurazione dell'Anno Accademico 1995-1996 dell'Univerrità degli Studi di Trento. 70 miliare nel significato universale della vita e della forma urbana. Tuttavia, questo non durerà a lungo e non passerà necessariamente alle culture successive e nemmeno alle forme che la città greca assumerà dopo la polis ellenica. A dimostrazione che la società e la cultura urbana non seguono linee ascendenti e continue nel loro sviluppo. La guerra fatale del Peloponneso segna la regressione ad una cultura della illibertà; quest’ultima trova la propria origine nel diniego a concedere la liberta tributaria alle città fondate come colonie e non precipuamente nella prepotenza di Sparta. Da quando le città ellenistiche non fondarono più colonie dovettero affrontare l'aumento demografico con guerre e tributi. Vennero a galla: guerra, schiavitù, sterminio, ovvero la matrice negativa dell'antico, rinnegando la democrazia maturata. Atene: modello della polis Atene, per la vivacità e per la qualità della politica, dell'arte e della speculazione, rappresenta la città modello fra le polis. Qualità della vita La città greca è costituita di abitazioni precarie, senza scarichi e forniture razionali d'acqua, con il grave problema delle immondizie, aiutata, in questo, dal sole come antisettico e dalla campagna circostante che assorbe le immondizie utilizzate quale concime. La sua forza è la cultura, l'arte, l'apertura politica. La città madre impediva al cittadino il commercio come disdicevole. Le città ioniche lo permisero. Ciò favorì il nascere di ingegni e di pensatori più numerosi di quanto non fosse accaduto nella madrepatria. In questa cultura connotata da alterigia e dal rifiuto della operosità economica diretta si colloca la causa della futura crisi della polis originaria. Bellezza fisica, raffinatezza intellettuale e culturale, dispregio del mondo dei barbari e dei meteci fanno della civiltà greca una delle migliori esperienze occidentali. 71 La pianta di Atene 72 Le strutture urbane ci aiutano a comprendere la grandezza ed insieme i punti di fragilità delle polis greche. Elementi di continuità con il villaggio paleolitico Uffici governativi, ginnasio, teatro, mercato, pritaneo o assemblea dei magistrati, fontana sono forme esistite, in nuce, nel villaggio e maturate nelle polis dell'VIII secolo. Il ginnasio è una struttura complessa, con spazio verde per esercizi ginnici, aule, bagni, spogliatoi (sono banditi esercizi ginnici violenti per lasciare elastica la mente); si tratta di una struttura che scinde queste attività dal loro luogo originario. La città specializza le proprie funzioni; queste attività una volta si svolgevano sulla piazza del mercato. Olimpia con i giochi, Delfi (Apollo e Dioniso) con il santuario), Coo (sanatori in luogo salubre, ameno, con ordine e salute, lontano dai rumori e dagli odori della città greca) per le cure termali, sono i centri urbani che irradiano, attraverso i visitatori, pellegrini, atleti, idee nuove e norme di vita unificanti per il mondo greco nel suo complesso. I giochi di Olimpia danno libertà a tutti i Greci di viaggiare liberi e protetti da Zeus: è così che nasce la coscienza della Comunità ellenica. Delfi, con il suo oracolo, guidò e controllò l'emigrazione e la fondazione ordinata delle colonie, facendone un fenomeno ordinato ed organico, legato religiosamente al proprio destino ed alla propria origine. L’oracolo detta l’ordine e le condizioni secondo le quali fondare nuove città. E' l'esempio di un'antropologia politica urbana che trasferisce le direttrici di un progetto non ad una persona o ad un'autorità politica formata da persone a ciò deputate ma ad una prassi religiosa che trasmette, tuttavia, le linee di una saggezza religiosa che garantisce, in quanto sacra, le strutture della polis da fondare. Cloo, con le norme ippoccratiche contenute nel trattato Delle arie, delle acque e dei luoghi, diviene faro urbanistico in nome della salute e del benessere37. 37 Mumford L., cit. p. 189 e ss.. 73 Teatro, tempio, agorà, pritaneo Il teatro greco nasce dalle feste religiose e, quindi, con la tragedia, il teatro affronta i nuovo problemi dell'ordine urbano: il fato, la fortuna, il libero arbitrio. Esso rappresenta la riflessione sociale, politica e culturale. Individua gli elementi non contrastabili che guidano la vita, esaltano l’ambivalenza della ragione e della libera volontà dell’uomo. Quindi, il dramma sostituisce le orge scatenate, le sostituisce con divertimenti solo intellettuali e soppianta i riti osceni con opere solenni ed edificanti. Ciò fa smarrire la prospettiva cosmica, conducendo l'io umano all'arroganza ed all'aridità, riducendo la vita a dramma privato, chiuso e capriccioso. Della dimensione dell’antica cultura, rimangono i teatri, con viste ampie, intesi a collocare gli eventi tragici nella realtà cosmica (costruzione ordinata entro uno spazio ordinato). Con il dramma ed il narcisismo individualista, rimane la scena esteriore di queste costruzioni entro un amplissimo paesaggio, ma la scena da sola non sa più infondere la prospettiva cosmica allo spettatore, perché questi non ha più la vista per raggiungere la dimensione cosmica della quale è fatalmente parte. Il tempio greco segue la trasformazione che subisce il dio. Il tempio originario è ridotto; esso non contiene la comunità (gli dei si guardano a distanza); quindi il tempio si amplia, diviene simbolo della esaltazione ed inebriazione collettiva, di una collettività che, inconsciamente, esalta ed adora se stessa nel tempio di grande bellezza, posto lassù alla luce, al sole, immagine della polis. L'agorà nasce come distacco dal recinto del tempio di uno spazio in cui i cittadini si ritiravano per decidere gravi problemi di giustizia e di equità per la comunità; serviva inoltre per il mercato (le installazioni commerciali sono in mano dei forestieri che qui operano, o metèci: come l'ebreo nella comunità cristiana medievale). La comunità come tale è costituita da cittadini liberi. Il greco cittadino, incapace di assorbire l'economia finisce per 74 divenire insolente conquistatore e sfruttatore e, più tardi, un pedagogo servile, scroccone e parassita e questo con con l'avvento dei Romani). Le città greche realizzarono nel pritaneo o municipio (anche con funzione sacra) la struttura ove si esercitò la democrazia diretta. La rotazione breve delle cariche non seppe tuttavia trasformare questa democrazia in una democrazia rappresentativa, e questo per la incapacità di trovare qualcosa che sapesse controllare il numero dei cittadini con un meccanismo, appunto, rappresentativo. Si trattava di una democrazia assembleare, complessa e faticosa ma capace di avere ragione della città dei poteri. L'uomo ellenico, scostandosi dai limiti arcaici, dall'arbitrio del potere e dalla segretezza dell'autorità, crea il libero cittadino; questi, come il solitario eroe di Sofocle; «agiva, solo e cercava, con l'esercizio dell'intelligenza di "tenere una mano levata davanti al fato"»38. Questo è il carattere ideale, la base culturale della polis greca; un’esperienza urbana che non ebbe se non rarissime imitazioni. La forma della città ellenica L'acropoli. E' la montagna sacra, ove hanno luogo le attività più prestigiose, ove dimorano gli dei urbani. Qui sono raccolti gli elementi del paleolitico: la sorgente, la caverna; qui vi sono il muro ed il sacro recinto del neolitico, il palazzo reale, la fortezza, il tempio cosmico, l'accampamento protetto, la città fiera e potente, complessa ed archetipa. Come l'agorà è aperta, l'acropoli è chiusa. Le abitazioni, case ad un piano, modeste, spesso tuguri, senza i servizi igienici elementari, senza distinzione spaziale per censo, con vicoli angusti; una città, Atene, che nel IV secolo era sovrapopolata. Il greco non considerava ciò disagevole, dato che la sua cultura non aveva esigenze superiori a questo modo di 38 Ibidem, p. 213. 75 vivere. Il suo motto: risparmiare nelle piccole cose e spendere nelle grandi. La rete di relazione diretta, la coscienza della libertà, la vittoria sui Persiani, la mentalità di Sofocle («da solo o con l'appoggio di tutti») fece sì che mai una cultura producesse tanti geni ed intelletti come Atene in quel periodo: Aristide, Eschilo, Temistocle, Tucidide, Euripide e Platone. La vita amministrativa, gestita da 50 cittadini per volta, le numerosissime opere teatrali, le innumerevoli opere musicali, le tragedie, misteri, rappresentazioni sacre, danze, stanno a significare nelle quali gran parte della popolazione dei cittadini era coinvolta come attore. Una polis reale, incarnata, superiore a quella di cui Platone parlerà nella sua utopia. Eppure, quella di Sofocle, sarà un'illusione ("le stelle e le pietre, gli alberi non possono insegnarmi nulla"). A questa città, per molti aspetti unica, ignorare e rifiutare il collegamento città campagna, il collegamento cosmico, sarà fatale. Da quando questa idolatria dell'io isolerà l'uomo, i monumenti cominceranno a sostituirlo, la creatività dell'uomo decrescerà e con essa anche la vita della città ellenica39. Regressione all'utopia Da questo fatto ha inizio la regressione all'utopia. Da qui nascono gli irregimentatori delle funzioni urbane ed umane. In questo senso, la proposta di Platone, in quanto ideale, fa sparire la dialettica greca che faceva del cittadino una mente comunitaria ed insieme autonoma, creatrice. L’utopia non rappresenta un’apertura quanto piuttosto una fuga nell’irreale, la deresponsabilizzazione intellettuale di fronte alla dura ed impegnativa responsabilità partecipata della città reale. Il rifiuto della responsabilità economica ed il passaggio ad una dimensione urbana con i caratteri di un’urbanistica e di un’architettura sovrastrutturale segnano la fine della città dove il cittadino è il soggetto primo della vita sociale. La 39Öchselin W., «Il mito della città ideale», in: Pugliese-Carratelli, Principii e forma della città, Garzanti-Scheiwiller 1993, pp. 419-458. 76 forma e la struttura culturale, politica, urbanistica ed architettonica della città dal potere sociologicamente non legittimo, per richiamare la definizione di M. Weber, nasce con la città ellenistica; essa rappresenta un modello che si perpetuerà per secoli nella storia delle città non democratiche. La città ellenistica Dalla polis ellenica, si passa alla metropoli ellenistica e, quindi, megalopoli alessandrina. Il personaggio che in questa lotta fra una polis che tenta disperatamente di sopravvivere e una cultura sempre più cosmopolita, il personaggio che rappresenta lo sforzo di coniugare i due mondi è Aristotile. Egli è precettore di Alessandro Magno, cultore delle discipline classiche e delle scienze naturali. Un grande greco che tenta, senza riuscire a fermare il tempo, di mediare la cultura ellenica e l’impetuoso avanzare dell’ellenismo. Alla città, Aristotile porta la dimensione della realtà, la varietà che è insita nella natura stessa che egli amava tanto studiare. «Il fine è insito in tutti i processi naturali e non è sovrapposto o proposto ad essi dall'uomo»40. In Aristotile vi è, tuttavia, la convinzione che la realtà possiede una misura 40 Mumford L., cit. p. 242. 77 V sec. a.C. La Mileto di Hippodamos. Il progetto della città euclidea. Questa pianta urbana, tracciata sui reperti degli scavi della città di Mileto come essa fu costruita secondo il sistema di Hippodamo. Aristotele lo definì l’inventore della città perfetta (arìste politeia), una città reale da lui definita come ideale. La rappresentazione intende esprimere l’espressione di uno stretto rapporto fra uomo e natura. La scienza ionica si limita alle conoscenze geometriche ed archeologiche che le provengono da Babilonia e dall’Egitto. Per l’Oriente, la forma rotonda della città è assodata, come dimostrano i bassorilievi assiri e babilonesi (tale tradizione continua anche nelle città islamiche, vedi Bagdad). L’elemento concettuale dell’angolo retto nasce probabilmente dall’Egitto (la ierografia urbana rappresenta un cerchio tagliato da due strade che si incrociano). Un modello che compare anche in Platone. Aristotele è legato alla cultura egizia (Erodoto). Mileto è un classico esempio del rapporto fra uomo ed urbanistica pianificatrice in termini esaustivi. La città si sviluppa in tutte le direzioni senza trasformare la realtà circostante. Una polis senza mura. “Quando si può dire - scrive Aristotele - che la polis è un’unità? Certamente non in ragione delle sue mura, poiché si potrebbe circondare l’intero Peloponneso con un unico muro. Un caso simile lo abbiamo forse a Babilonia.” Anche quando Aristotele ritiene necessario dotare la città di mura egli scrive tuttavia che gli abitanti sono pur sempre in grado di servirsi della città in due sensi ...”come di una città fortificata oppure di una città aperta”. Castagnoli, F., Ippodamo di Mileto e l’urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956. Greco, E., Torelli, M., Storia dell’urbanistica. Il mondo greco, Bari 1983. 78 che le è dettata dall'ineludibile richiamo al finalismo insito nella natura (l'entelecheia). Anche la città, come realtà che deve corrispondere a questa improrogabile legge della natura, deve rispettare la dimensione spaziale, demografica ed avere un obiettivo comune a tutte le città: per «grandezza ed estensione; essa dovrebbe essere tale da poter permettere ai suoi abitanti di viverci insieme sobriamente e liberamente nel godimento del tempo di riposo». Lo small is beautiful ha dunque un precedente. La dimensione della città è strettamente legata con la tipologia della relazione fra cittadini e governanti e fra governanti e cittadini. La città conserva un disegno complesso, la trama degli antichi sentieri, rifugge dalla razionalità geometrica. Aristotile, conservatore, sostiene che l'agorà mercato deve essere separata dall'agorà come foro politico e che il ginnasio venga, almeno in parte (quella riservata ai liberi cittadini) riportato all'interno della città. Insomma, Platone ed Aristotile non riuscirono a pensare ad una città che conglobasse Coo (salute), Delfi (oracolo) ed Olimpia (giochi del corpo di tutta l'Ellade), incanalandole pertanto nell'immagine di una città aperta. Essa rimase una città autarchica ancorata unicamente ad un ceto medio senza apertura verso altre categorie di cittadini operosi; in questa forma la polis, non poteva che avvizzire. L’idea di una città autogovernata non avrebbe dovuto escludere i cittadini con nuove professioni e capaci di conferire alla vita della città nuove energie e nuove forme di vita. L'alessandrinismo, nella sua capacità di illustrare elegantemente ma senza incisività comprendente, la pluralità culturale, fu una scuola insufficiente all'apertura di una città propulsiva e creativa. Se questa città accoglie ogni sorta di cittadini, essa ne sovrasta la personalità e la specificità. La città diviene metropoli: uno spazio dove ognuno può collocarsi ma che è accogliente in quanto sa di poter conservare il proprio potere irregimentando tutti. La metropoli imperiale alessandrina, nella sua razionalità espansiva, ed insieme opprimente, dimostrò di non saper cogliere, anzi di voler abbandonare il messaggio democratico, 79 partecipativo, creativo, umano della polis greca, la quale, peraltro, non trovò strumenti per affermarsi efficacemente al di là dei limiti che impose un ceto medio senza spirito creativo. Questo divenne la città alessandrina, dotta ed elegante ma «incapace di resistere alle oppressioni politiche, alle suddivisioni in classi, ai sacrifici irrazionali e alle guerre inutili... che avevano caratterizzato la città antica»41 Le città greche furono dominate da due propensioni: quella in cui dominava lo spirito dell'acropoli che si esprime nella dialettica tradizioni-forze esterne, e quella in cui dominava lo spirito dell'agorà che si esprime invece nella dialettica commercio-agricoltura. Nelle numerosissime città ellenistiche, diffuse in tutto il mondo conquistato da Alessandro il Macedone, viene a mutare ed a rompersi l’equilibrio fra i te elementi che caratterizzarono la polis classica: l’equilibrio fra città e territorio agricolo, l’equivalenza di cittadino e soldato, la base della cittadinanza fondata sulla proprietà fondiaria.42 L’estensione delle terre intorno alla città, i mercenari, la specializzazione delle professioni urbane, gli arricchimenti repentini deformano l’istituto della cittadinanza ed il rapporto città campagna, rendendo subalterna quest’ultima. La città ellenistica passa dal duttile disordine «all'eleganza irregimentata». La città assume una forma regolare, ricava risorse dal ricco entroterra, vive di guerre, piraterie e commerci:. Nasce una forte classe media, la povertà e la noia della vita politica vengono combattute con la raffinatezza e l'estetica. Entrano in piena azione i due fattori che hanno dato inizio alla vita della città, divenendo strumenti di azione e di dominio. In questa città divengono cioè grandi protagonisti: il denaro e l'alfabeto. La città ellenistica diviene concentrazione dei commerci e della cultura. La città assume la pianta «milesia» (da Mileto). La città acquisisce forme regolari, con l’agorà collocata in posizione centrale o verso il porto. Gli isolati, le strade, l'agorà sono 41 42 Ibidem pp. 248-49. Lepore, E.,”La città greca” cit. p.101. 80 geometricamente disposti, per offrire ai marinai, commercianti ecc. una immediata identificazione. Polibio paragona questa città ad un accampamento militare. Lo stoà (colonnati o portici coperti) segnano lo sforzo per un miglioramento della vita. Un elemento che apparterrà all'estetica architettonica mediterranea. La città ellenistica introduce spazi pubblici geometrici, larghezza delle strade principali, luce. Orientamento generale: aumentano tutte le proporzioni degli elementi urbani. Dominano la prospettiva e l'asse longitudinale; in questa città, a differenza di quanto succedeva nella polis, non si vaga verso l'acropoli ma si è immersi in un disegno geometrico orientatore. La città ellenistica anticipa l'assetto della città romana. Nella polis ogni cittadino era un soggetto con un proprio compito da adempiere; nella città ellenistica il cittadino si trova immerso in un ordine al quale obbedire. Questa città riproduce pertanto una forte disarmonia fra ordine estetico ed ordine morale. Inoltre la città ellenistica, abbattendo gli antichi campanilismi, si rivolge ad un mondo più vasto, con le conquiste, le guerre, i commerci, gli schiavi, la forma di dominio imperiale. Dalla didattica allievo-maestro si passa alle biblioteche, il museo convive con il palazzo. L'organizzazione cresce, ansiosa perché priva di quel contenuto umano che il disordine partecipativo della polis possedeva in grado eccelso. Qui dominò l'estetica, la crescita quantitativa, l'ordine, il monumentalismo, il calcolo, il dispotismo; un regime urbano che riesuma quello mesopotamico. Caratteristiche di questa realtà urbana sono: l'urbanistica geometrica, l'agorà, gli spazi aperti, strade più lunghe e concentrate, la città come emporio, arena per gli spettacoli di massa, la vita stessa concepita come spettacolo, considerando il lavoro con la visuale cronica e distorta della polis antica, ovvero come incompatibile con il concetto di cultura delle classi agiate. L'urbanistica persegue l'esigenza di esprimere lo sfoggio colossale dello spettacolo del potere dei monarchi43. 43 Heigl F., Ibidem, pp. 46-48 81 Insofferenza dell'antico involucro Sotto la superficie di questa città cova la ribellione poiché non si può tentare di far convivere troppo a lungo esercizio dell’intelletto e dispotismo politico ed urbano. Le donne, gli schiavi ed i forestieri, esclusi dalla cittadinanza, si espressero in associazioni di mutuo soccorso, confraternite, cerimonie iniziatiche (Bacco, Orfeo, la Fertilità), riuniti in locali sotterranei, dando vita alla polis che «non è di questo mondo». Il riferimento di questa insofferenza e di questa forma di ribellione è una società più vasta per tempo e spazio; il suo humus è il credo operante delle nuove religioni che offrivano l'estasi contro le frustrazioni (questo avviene dopo il VI sec. a. C.). Ci vorrà molto tempo per risolvere il dualismo fra città terrena e città celeste. Lo vedremo nella dialettica interna alla città medievale che pure non saprà trovare una convincente via d’uscita. I Romani, a loro volta, non seppero imitare la creatività greca, «se non in volgari e ampollose imitazioni». Benché avessero saputo sviluppare un’aristocrazia terriera, non seppero dare origine ad una città autogovernata e riproducibile in culture diverse. In tal modo, gli imperi decretarono la propria fine. Essa sarebbe giunta con la loro vecchiaia, in quanto si condannarono a non avere eredi. 82 83 Roma: dalla megalopoli alla necropoli Roma appare in tutta la sua grandezza attraverso alcuni elementi strutturali di grande rilievo. Gli acquedotti, le strade, la creazione di un sistema amministrativo capace di irregimentare, manovrare oggetti concreti sono alcuni fra i pilastri che reggono questa grande cultura politica. Vi sono centri civici distribuiti in un'ampia gerarchia, un mondo fatto città, con città che avrebbero (e tali furono alle volte tante città dell’impero), senza mura, con la cittadinanza comune a tutti che sostituiva la cinta muraria44. L'origine della città romana è duplice: etrusca, di forma rettangolare, creata con l'aratro dal sacerdote, secondo gli aruspici, con il pomerio o zona che circonda la città ove non è lecito costruire. Vi è quindi la città murata, ovvero la città che eredita dagli etruschi il genio dell'ingegneria. E' inoltre città orientata, segnata da due strade principali, il cardine da nord a sud, il decumano da est ad ovest; dunque città assiale, ove tempio, foro, acropoli si collocano in questo sistema. In alcuni esempi, l'orientamento mutò per ripararsi dai venti caldi o freddi. Lo schema milesio venne adottato e fatto progredire, soprattutto nelle città commerciali e militari dell'Africa e della Siria. Roma accoglie tutte le culture, le macina e le fonde a propria misura, diffondendo il modello in tutto l'impero, garantendo il dominio dell'Urbe. Fra il III ed il II sec. a.C. Roma creò 430 città in Italia; città di dimensioni ridotte (dai 5 ai 270 ettari: Basilea-Nimes), dotate di mura, con criteri per la difesa, con una forma urbana estetica ed organizzativa. Una vera politica delle new towns. Roma si espande moltiplicando oppida ed urbes. Il fenomeno dell’espansione moltiplicatrice delle città si arresta con il 68 d.C. La rete di piccole città è un enorme vantaggio per l'equilibrio che si crea fra città e campagna. Anche il terreno viene organizzato in campi lunghi e rettangolari (centuriazioni). Nelle città vi erano, inoltre, tutte le arti e le 44 Mumford L., cit, cap. 8 , pp. 267-306; Heigl, cit., Ibidem, pp.48-78. 84 istituzioni di Roma: esse esistevano anche qui secondo quel modello, tranne che per l'immensità ed il prestigio. Roma non seppe, comunque, proporre o imporre un equilibrio politico, economico, urbanistico: non produsse una comunità universale, produsse invece un vasto equilibrio di privilegi e di corruzioni. Piazze, campi, porticati del Medio Evo discendono dall'urbanistica romana. Le città commerciali e burocratiche della Siria e dell'Asia Minore preludono alla città moderna. Mentre Roma è buia, la notte, Efeso e Antiochia sono illuminate ed hanno una varia vita notturna, ricca di attività economiche e di svago. Non si hanno, purtroppo, documentazioni sull'attività industriale dell'Impero. Cloaca e acquedotto. Le opere di ingegneria e l'esibizionismo (le città-colonie greche hanno un'eleganza ben diversa) sono accompagnate dall'opera di ingegneri e soldati in Roma: mura e fossati, argini e serbatoi «su scala ciclopica».45 Esempio di grande infrastruttura è la cloaca Massima (VI sec. a.C.), una struttura utilizzata ancora oggi, come lo sono certi ponti romani. Mentre i greci badarono alla bellezza della città, i Romani pensarono anzitutto alle strade, agli acquedotti, alle fogne. L’acquedotto Traiano è del 109 d.C.; va ricordato che sino ad allora bastano le fonti locali. Tuttavia, a Roma, non tutte le strade sono lastricate, ed i gabinetti non sono collegati con le fogne se non sono al primo piano o in abitazioni troppo affollate (esistevano vasche coperte cui attingevano i contadini in cerca di concime o letame). Tranne che nelle abitazioni dei ricchi, per le fontane pubbliche e le terme, l'acqua per i più era trasportata a mano. Roma, a causa di questa scarsa igiene, verrà colpita da terribili pestilenze (23 a.C., 65, 79, e 162 d. C.). I carnai romani, fonte di epidemie e di rischio (carcasse di animali e cadaveri), fosse fetide ancora dopo venti secoli, sono un 45 Ibidem p. 279. 85 aspetto non trascurabile della gestione urbana (vedi la testimonianza dell'archeologo Lanciani46. A Roma, la rete stradale seguiva gli antichi sentieri, mentre l'ordine romano fu invece esemplare nelle piccole città provinciali e coloniali. (Giulio Cesare proibisce il traffico di giorno rendendo insonne la notte). Nulla si fece per ridurre invece la popolazione dei vari quartieri. Le abitazioni si dividevano in case dei patrizi ed in insulae o abitazioni degradate, fetide, dagli affitti esorbitanti, i cui abitanti erano assoggettati ad umiliazioni e paure, con sfoghi compensatòri che provocavano altre brutalizzazioni. La città offriva, accanto a questo, squarci di bellezza e di ordine civico, non toccati dalla violenza e dalla cupidigia. Il Foro è più di una piazza e del mercato. Esso si arricchisce, via via, di funzioni come la giustizia, ed è luogo dell'assemblea; qui si svolgono gare atletiche e gladiatorie, transazioni commerciali. Vicino crescono le basiliche, luoghi al coperto che permettono varie attività al riparo dalle intemperie. Vicino ancora vi deve essere il tempio o vi debbono essere i templi. Vitruvio esprime bene l'equilibrio spaziale del Foro: fusione tra Acropoli ed Agorà. Lo spazio in altezza compensa la ressa alla base. I vomitoria sono le aperture e corridoi che fanno defluire le masse dalle tribune verso l’esterno ad es. del Colosseo o delle Terme di Caracalla. L'importanza dell'acqua Dalla pozza alla quale trova refrigerio l'agricoltore sudato, si passa alle Terme, invenzione igienico-sanitaria utilizzata da un grande numero di persone, recinto con saloni monumentali, bagni caldi, freddi e tiepidi, stanze per massaggi, per colazione, palestre, campi da gioco, biblioteche; l'acqua appare come un elemento centrale nella vita di Roma 46 Ibidem pp. 283-284. 86 Fig. 1 Un acquedotto nella campagna romana. Fig. 2 L’acquedotto romano di Segovia, detto “ponte del diavolo”. 87 I beni vengono riservati ai ricchi, mentre l'unico oggetto di adorazione è il corpo: le Terme ne sono il tempio, compensazione allo squallore caotico della vita domestica. Le terme divennero anche luogo in cui assume rilevanza l'esplicitazione della vita sessuale di Roma. Tramonto La pace e la giustizia romana, elementi basilari della potenza e della cultura, sono costruite sullo sfruttamento e sull'oppressione. Alla base vi è una politica di potenza predatoria che produce nel fenomeno urbano il vasto e micidiale fenomeno del parassitismo. Questo motiva gli slanci di generosità di chi ha grandi ricchezze verso chi non ha nulla. La frustrazione ed il parassitismo toccano chi dà e chi riceve,47 suscitando «desideri e ansie che non è possibile placare». Ed il parassitismo si esprime come un elemento che connota profondamente la vita sociale urbana in particolare. A Roma, la pace è una finzione, dietro la quale avvengono congiure di palazzo e lotte atroci per il potere. Il rito sacrificale dell'arena è la forma laica dell'antico sacrificio di sangue. Questo rito simbolizzano le gare gladiatorie violente ed espressione di un diffuso sadismo sociale. I giochi dei greci appaiono ai romani forme effeminate. Roma, dal I sec. a. C., diviene città di parassiti e di malattie. I giochi finanziati dallo stato, le esigenze primordiali della popolazione pure: panem et circenses: Anche le terme sono offerte al libero utilizzo. Nel 354 d.C., a Roma, più di metà dell'anno era occupata da giorni di festa o da giochi. Dalla vita attiva dell'era repubblicana si passa dunque a quella parassitaria dell'Impero. Dal gioco dei gladiatori fatti per punire i colpevoli e dissuadere il popolo dalla vita delittuosa, questo spettacolo diviene uno svago ed una pratica di sadismo collettivo che ha per oggetto uomini ed animali senza alcun momento di riscatto. Circo Flaminio, Circo Massimo, Colosseo sono i luoghi di questo spettacolo violento, uno spettacolo che consiste in carneficine inaudite. 47 Ibidem, p. 296. 88 Plastico di Roma antica (del 1939) 89 Di questo passo, Roma da città di parassiti diviene città di epidemie, cala la popolazione; la città ha sovrani dissoluti ed assoluti. Roma presenta un materialismo radicalmente privo di scopi. Significativo è l'inventario urbano di Roma48. Roma non seppe eterizzarsi: non seppe cioè diffondere il proprio ordine e la propria potenza; non seppe fare dell'Impero una cooperazione reciproca con gli altri popoli. Roma muore dunque di implosione, diviene una megalopoli parassitaria e frustrata. Le città e le regioni dell’impero non sono rappresentate nella capitale sul Campidoglio; solamente i loro dei vengono inglobati e chiusi nel Pantheon. Dunque la pax e la justitia romane sono solo facciata di un centralismo unidirezionale sciovinista e pertanto intollerante e monocratico. Roma fa dell'immobilismo una virtù. Un abbagliante, sfarzoso esempio di ciò che bisogna evitare. Roma viene conquistata dal di dentro, prima ancora che le invasioni la facciano cadere. Una città vittima del proprio, alla lunga, sterile narcisismo. 48 Ibidem p. 304 s. 90 91 Nuova società: chiostro e comunità E’ dalle rovine di Roma che la religione cristiana fa nascere una nuova concezione della vita49. Il Cristianesimo affronta i fatti negativi che esistono all’interno della città e della cultura romana. Nel Cristianesimo, Dio si fa uomo per redimere quest’ultimo dal peccato, dall'angoscia e dal senso di colpa. La religione cristiana rafforza il senso di solidarietà presente nella religione greca dei Misteri. Dal punto di vista dell’evoluzione urbana, le strade romane da vie di conquista divennero vie di invasione; la città trasferisce il Foro sul Colle capitolino in quanto più difendibile, così avvenne anche per il palazzo municipale. 49 Mumford L., La città nella storia, cit. cap 9, 313-353. Frugoni Chiara: «Rappresentazioni di città nell'Europa Medievale», in Carratelli Pugliese, Principii e forme della città, cit. pp. 95-140. Heigl F., cit. Die Europäische Stadt des Mittelalters, pp. 86-144. 92 Aigues-mortes, alle foci del Rodano. 93 Il monachesimo fonda il monastero. I membri della confraternita si allontanano dalla città per salvarsi l'anima, abbandonando il mondo per costruire una nuova città ed un nuovo mondo e fondano la nuova città. Misura, ordine, onestà, equilibrio interiore, orario sono il contenuto della cittadella dell'Abbazia e sono anche gli elementi che caratterizzano la città medievale e, più tardi, lo stile del capitalismo e della sua etica50. Si propone sotto l'egida del Cristianesimo, l'ideale di Aristotile: una società di uguali che aspirano a vivere nel migliore dei modi possibili. A loro volta: sicurezza, protezione durevolezza, continuità sono i caratteri della città medievale. Due esigenze, l'aspirazione di principio e la realtà solidale, convivono e si esprimeranno nella nuova e non omogenea realtà urbana. Se il monastero aveva guidato la ritirata, fu la città a guidare il contrattacco per superare, in positivo, la frustrazione ispiratrice della città romana.. Il Battistero dove l’acqua porta purificazione e nuova vita, sostituisce le terme; le incursioni fecero riscoprire le mura. requisito per ottenere lo statuto autonomo di città (ciò che Schwaz, in Tirolo, non ottenne, appunto perché ne era priva). La città offre dunque sicurezza agli abitanti, a chi vi si rifugia, al mercato; l'incorporazione dei mercanti come liberi cittadini fa allargare le mura urbane e la città include così il sobborgo. 50 Moulin, L., Oursel, R., Grégoire, R., La civiltà dei monasteri, Milano, Mondadori 1988. - Moulin, L., La vita quotidiana dei monaci del Medioevo, Milano, Jaca Book 1988. 94 Il borgo medievale di Lenzen sull’Elba 95 Libertà ed uguaglianza mai furono piene, ma certamente la communitas prevalse sul dominio e fu più forte che nelle epoche precedenti, compresa quella ellenica che non aveva voluto riconoscere dignità urbana all'attività economica. La libertà concessa alle città che si chiamarono (e che si definiscono tutt'ora) libere segna l'uscita dal Medio Evo (dall'XI al XIV secolo). In un alternarsi di spinte a potenziare o ad impedire lo sviluppo di città libere, vescovi e signori feudali non poterono impedire che le nuove città crescessero e si avviassero a recuperare il terreno perduto con il crollo dell'Impero romano. Sviluppo della città medievale A partire dall'anno Mille si avvia lo sviluppo di una nuova forma di città. L'aumento della produzione agricola e della popolazione sono fattori che precedono lo sviluppo mercantile e lo rendono possibile. La Chiesa attrae le popolazioni barbariche con i suoi riti e le sue espressioni "mitologiche" e dà inizio ad una nuova epoca della cultura. 96 Ulm, cattedrale nel Burg 97 Gli ordini monastici danno rifugio ai profughi ed ai viaggiatori, costruiscono ponti, fondano mercati, bonificano vaste aree. I mercati sono una dimensione locale e vengono autorizzati da re e vescovi. Ma non è il mercato l'elemento decisivo per la nascita della città medievale. Fu invece la nascita della città murata che permise la riapertura delle rotte nazionali ed internazionali dei commerci, che aprì alla circolazione delle eccedenze di produzione e che fece circolare i beni di lusso (lane d'Inghilterra, vino del Reno, spezie e sete d'Oriente, armature di Lombardia, zafferano e mercurio di Spagna, cuoio di Pomerania, tessuti di Fiandra, icone e oggetti sacri). Il recinto, la difesa e l’identità riconoscibile della città murata sono un elemento fortemente ambivalente. Infatti quando le mura non hanno più la capacità di osmosi, nel senso di esercitare al contempo il compito di difesa e di permettere un rapporto di reciprocità con la campagna e con le altre città, con le altre culture, quando divengono espressione della prepotenza delle famiglie signorili e principesche, allora le mura divengono espressione di un narcisismo urbano che finirà per conferire alla città il carattere di un potere non legittimo che sembra segnare il suo destino storico. I commerci internazionali non fecero nascere le città, ma influirono sullo sviluppo di alcune di esse (Venezia, Genova, Arras, Milano e Bruges). Sintomi della rinascita urbana dopo il Mille sono: il commercio, le unificazioni politiche (Fiandre, Aquitania, Brandeburgo), bonifiche e disboscamenti operati dai monaci, come lo fu anche l'immensa espansione dell'edilizia sacra. Distese di terra arabile, bonifiche, irrigazioni e metodi adeguati di coltivazione aumentarono i raccolti, il tutto operato da uomini liberi e non più al lavoro per coercizione. Accanto alla concezione dell'uomo libero come figlio di Dio, ed insieme suddito, i monasteri utilizzano energia idraulica per poter dedicare tempo alla preghiera ed allo studio (sec. XI). Alle città questi strumenti giunsero con il sec. XII e XIV. Si deve notare che l'elemento della elevazione dell'uomo con l'attività produttiva ed intellettuale completa una visione del mondo radicalmente nuova. Si ebbe, al contempo, un consistente aumento demografico, come pure si registrò un consistente aumento di capitale. La città medievale è, inoltre, legata alla campagna in quanto i commercianti mantengono uno stretto rapporto con i contadini che hanno in affitto la loro campagna. Ogni rione ha un villaggio urbano come sua provincia rurale. Inoltre, agricoltura, uccellagione e pesca sono parte integrante della vita urbana. La città fortificata libera il mercato, attira soldati e lavoro protetto; il danaro sostituisce il baratto, il lavoro a cottimo muta e sostituisce il rapporto di servo della gleba (si passa ad una condizione a contratto, segno di indipendenza e nobiltà morale). Lo Statuto concesso ai centri urbani è un contratto sociale. Chi viveva in un comune per un anno ed un giorno non aveva più gli obblighi della servitù della gleba. La città diviene selezionatrice dei migliori; la libera associazione cittadina sostituisce i legami di sangue ed il legame alla terra della servitù della gleba. Questo diede origine alle città di frontiera: città che offrivano agli scontenti di lasciare il paese limitrofo e ricominciare da capo la loro vita. Inizialmente, il signore fortificava una città dopo aver conquistato un territorio ed affidava ai cittadini il compito di difenderlo, acquistando il diritto ad essere libero dalle corvées militari e dagli obblighi feudali. Mercato. moneta, pesi e misure, giurisdizione, diritto a portare le armi sono il segno di un'indipendenza che gli stati conquistarono molto tempo dopo. Pedaggi di ponti e di mercato, affitti rurali, dazi doganali, multe inflitte dai tribunali erano benefici del proprietario della terra. La sorte della città medievale fu segnata quando si giunse a dividere ed a vendere la terra. Si spezza, in questo modo, il legame solido fra città e campagna, un legame in una qualche misura solidale e di reciprocità. Sembra ripetersi, sotto altra forma, l’altezzoso atteggiamento greco di rifiuto di una dimensione economica per un presuntuoso atteggiamento di superiorità che porta al rifiuto di un elemento invece sostanziale per la vita urbana. Più tardi, la libera associazione urbana acutizzò infatti il divario dalla campagna ed enfatizzò questa pretesa libertà da 99 protezioni e regolamenti, facendo venire a mancare, appunto, la reciprocità con la campagna; ciò determinerà la nascita delle nuove iniziative industriali ed il caotico sviluppo urbano. Caduto l'Impero Romano, la Chiesa rimane l'unica dimensione associativa grande e potente. Essa aggrega, organizza, ispira; i re temono la sua scomunica. La Chiesa è presente in ogni comunità che è parrocchia, mentre la grande rete delle diocesi garantisce la Comunità globale che a sua volta obbedisce al papa. La decima è la forma di tassazione motivata religiosamente, mezzo con cui si esprime l’appartenenza organizzativa e fattiva all’organizzazione religiosa. Gli ospedali, in centro città, sono a disposizione di tutti i cittadini bisognosi; gli ospizi sono un'istituzione municipale ed insieme una forma urbanistica (per aree di 5.000 abitanti) forma urbanistica e struttura di servizio sulla quale sarebbe utile riflettere ancora oggi. Il Medio Evo fa della città un'unione della Chiesa con la città. Il monastero, il chiostro, i conventi, le chiese e le cappelle offrono un rifugio dalla vita mondana, un rifugio da una dimensione della mondanità che oscura la vita dello spirito. Per vivere, per non essere vittime della scomunica e dell'esilio, si deve appartenere ad un'associazione, alla famiglia, al maniero, al monastero, alla corporazione o all’associazione. In queste forme si attua ed esprime la solidarietà, si colloca il lavoro collettivo, si manifesta la fede comune. La conjuratio o giuramento di assistersi a vicenda è un elemento centrale. La corporazione dei mercanti regola la produzione, il mercato, protegge dalla concorrenza spietata o monopolistica. La Chiesa sostiene l'ora et labora benedettino. I lavoratori sono liberi e lontani da ogni forma di schiavismo. Le corporazioni hanno sedi, finanziano feste, costruiscono cappelle e chiese. Il proletariato nasce quando scompare lo spirito della corporazione, i ricchi vogliono trasmettere ai figli i privilegi, 100 impongono alte tasse di ammissione, escludono gli artigiani ed i commercianti dal circuito economico privilegiato. La corporazione è l'aspetto economico prevalente della città medievale. Il palazzo municipale è collocato al centro della città. Una grande sala al piano terreno (oppure sotto un colonnato, anche con canale) per proteggere ed esporre le merci; al secondo piano vi è una grande sala per il Consiglio, per riunioni delle corporazioni, ma anche per feste e balli. L'universitas nasce come esigenza delle corporazioni di impartire le modalità con cui compiere il proprio lavoro, oppure per snidare la teologia di Averroè, trasmettere il corpus delle leggi latine appena ricostituito. Le facoltà originarie sono: giurisprudenza, medicina e teologia ed hanno carattere professionale. Ecco la nascita delle prime grandi università Bologna 1100, Parigi 1150, Cambridge 1229, Salamanca 1243; esse sostituirono in parte le scuole delle cattedrali e dei monasteri. Esse divengono sedi di immagazzinamento, disseminazione dl sapere e scambio culturale. Questa attività indispensabile della città si esplica come distacco delle responsabilità pratiche immediate, quale riesame critico, rinnovamento dell'eredità culturale attraverso il rapporto diretto maestro-allievo. Urbanisticamente (ne sono splendido esempio Oxford e Cambridge) nasce l'isolato ed il recinto urbano staccato dall'antica rete di strade e vicoli. L'università eredita il compito della Chiesa o ne riceve le consegne (giungendo poi ad esasperare la ricerca astratta della verità). 101 Ulm. Piazza della Cattedrale (raffigurazione del 1677) 102 La città medievale è palcoscenico di pellegrinaggi, processioni e cortei. La verticalità predomina quasi ossessiva. Tutto si mantiene unito in una visione cosmica, scandito da battesimo, messa, processione, matrimonio, funerale, preghiera. Il dramma della Chiesa e quello del suo fondatore si tengono all’interno di questa visione cosmica, mantenendo l'ordine morale. Quando quest'ordine sociale perde la sua compattezza, la Chiesa diviene soggetto di potere e la città un campo di battaglia di culture e sistemi di vita in conflitto. Città medioevale: la vita quotidiana La famiglia medievale è ampia, comprendeva anche domestici, operai ecc.; la bottega di un mercante, l'ufficio di un mercante erano vita in comune. Le stesse corporazioni sono una sorta di famiglia. Nella città, le abitazioni sono ammassate, con portone che conduce sul parco retrostante, sono al massimo di tre piani, addossate per protezione dalle intemperie e dal freddo. La finestra è a tre ante di vetro, con persiane interne; con mezzi arditi per procurare luce. Per il riscaldamento, al focolare si sostituiscono il caminetto ed il fumaiolo. Gradatamente, alle case in legno si sostituiscono le case in pietra, si studiano materiali refrattari. La pianta: cucina e bottega al pian terreno, sala al primo piano e dormitori sopra. Nel giardino posteriore vi è il magazzino, lì avvengono il carico e lo scarico. Vi è scarsità di spazio e le funzioni urbane ora si specializzano. Quando ciò avvenne (la privacy) la città conobbe un mutamento radicale: la specializzazione appunto. Conseguenza: scompare il rapporto fra classi superiori ed inferiori...per cui vale la massima: «è più facile essere inumani con coloro che non si vedono». Nella casa urbana medievale mancano privacy e comfort. Queste abitazioni sovraffollate furono causa di malattie soprattutto per i bambini. I giardini delle abitazioni ed altri spazi agricoli entro la città rafforzano la presenza di attività rurale interna. I cimiteri divennero un pericolo con l'accrescersi della popolazione. Anche la carenza di acqua corrente, le stuoie sui 103 pavimenti, la mancanza di sapone, furono cause di mortalità infantile e di pestilenze. Spesso, il fuoco con gli incendi si dimostrava un germicida efficace. All'inizio del XIII secolo compare il bagno privato, con spogliatoio. Nelle città nordeuropee è diffuso il bagno pubblico, ha vapori che fanno sudare e che disinfettano. L'acqua viene convogliata alle fontane che divengono elemento funzionale, luogo di incontro, monumento. La città possiede ospedali ed ospizi, pratica la quarantena per le malattie infettive, mentre il personale sanitario pubblico costituisce un'organizzazione sanitaria efficace. Canto recitazione, danza sono attività svolte da tutti. La ronda annuncia le ore. I profumi della campagna e dei giardini si mescolano agli sgradevoli odori degli animali. L'estetica è associata al simbolismo religioso. Questa è altresì una scuola che educa il senso artistico. Urbanistica. Accanto all'Abbazia ed al Castello il ME vede la cattedrale gotica. La città ha forma rettangolare, a blocchi se ha origine romana. Quella cresciuta attorno al monastero da antichi villaggi ha forme assai diversificate ed improntate da elementi originari. La città ha una serie infinita di forme diverse. Essa precipita comunque verso un centro. Leon B. Alberti, con il suo sostenere le linee curve e gli scenari cangianti salva e sostiene la città medievale.Non si dimentichino le mura con la porta, creatrici di unità e di sicurezza. La porta a sua volta è luogo d'incontro e di apertura. I principali edifici medievali non sorgono in spazi aperti, non si raggiungono per assi lineari (ciò avverrà solo nel Cinquecento). Quando lo si fece, in seguito, si distrusse l'essenza della dimensione medievale basata sulla segretezza, sulla sorpresa, sull'apertura improvvisa, sulla verticalità e sugli elementi scultorei fatti per essere visti da vicino. In questo senso, la città medievale richiama la polis greca. Il mercato si colloca vicino alla chiesa. La piazza del mercato ha forma irregolare, non corrispondente ad un modello razionale-politico o funzionale. 104 La piazza del mercato svolge spesso anche le funzioni dell'antico foro e dell'agorà. Le corporazioni rappresentano qui le loro scene sacre, qui si ergono i patiboli ed i roghi; questa piazza è, alle volte, collegata con una piazza subordinata (Parma, Padova). L'architetto medievale non privilegia i grandi edifici. Chiese parrocchiali per 2-3000 abitanti, ospizi per poche persone, monasteri per piccoli gruppi sono la misura usuale. Per questo le chiese non vengono collocate in spazi troppo ampi. Il risultato è una scala urbana a dimensione umana e lo spirito è creativo e non omologato. Le strade medievali sono strette e curvilinee, fanno parte di isole abitative che non prevedono traffico veicolare su ruote; gli abitanti si spostano a piedi. Poi, la città introduce una differenziazione fra strade veicolari e strade pedonali. Le case si affacciano sull'una e sull'altra. L. B. Alberti, prevede e propone strade ampie e dritte ma fa l'apologia della strada medievale per il suo ricco significato urbano, forma urbana di protezione dalle intemperie, «salutare sarà, nella città piccola, una vista così aperta ad ogni svoltar di strada». Il portico, ereditato forse dalla città antica, è la parte anteriore della bottega; le lastre di vetro delle botteghe eliminarono la necessità dei portici: Bologna, Padova, Trento, Merano, Innsbruck... La pavimentazione progredì in modo temporalmente differenziato, ma fu una caratteristica del ME. La cubettatura a falce, le lastre di pietra, l'imitazione di S. Marco etc. La città è un insieme funzionale di quartieri. La parrocchia con la chiesa, la piazza con il pozzo (il trasferimento del sacro recinto antico alla vita di ogni giorno). Purtroppo questa fusione fra Gemeinschaft e Gesellschaft non venne raccolta dall'urbanistica moderna. Questa città fece uno sforzo per razionalizzare in un modello l'ordine e la bellezza? Vi si giunse attraverso un percorso di lotte, sforzi, supervisioni e controllo. E ciò in consonanza con l'articolarsi della società medievale. Cittadini, famiglie, esigenze municipali e locali, funzionari e corporazioni maturarono modelli accettati-imposti, modelli urbanistici, architettonici ed antropologici, in cui l'antico, il 105 nuovo, la spinta degli interessi, la tradizione e le esigenze pratiche produssero un modello sempre più ricco in cui dominano «i processi invisibili della vita»51. La città medievale non è statica. Essa ha due modi per far fronte all'espansione demografica, allarga la cinta muraria, ma spesso fonda nuove comunità, città indipendenti, con propria chiesa, municipio, con una vivace iniziativa edilizia, spinta a ciò più dalla sicurezza a lunga scadenza che dal profitto immediato. Le città vanno da poche migliaia di abitanti a città di 40.000 (Bruges, la più grande, giunge a 70.000 abitanti). In Italia le cifre vanno aumentate. La crisi della città medievale sopraggiunge con la forma economica e di vita capitalistica, forma che produce affitti esorbitanti e spinge la popolazione in zone suburbane, in luogo di spingere a costruire città nuove. La città medievale si avvicina, forse più della polis, alla forma della città democratica. I suoi punti deboli, quelli che le impedirono di maturare pienamente il proprio progetto furono: il divorzio dalla campagna, l’incapacità di integrare nella dimensione urbana i nuovi ceti che, al contrario, furono espulsi dalla cinta muraria urbana e la nascita di famiglie o individui che monopolizzarono il potere economico e politico. 51 Mumford L., cit. p. 394. 106 107 Dissolvimento del Medioevo e nascita del mondo moderno Monastero, corporazione, e chiesa permearono ogni quartiere, integrando la vita collettiva che avrebbe travolto le istituzioni negative della cittadella. Cooperazione volontaria, obblighi contrattuali e doveri reciproci sostituirono l'obbedienza cieca e la coercizione unilaterale: questo è l'archetipo della città medievale. Le città furono differentemente caratterizzate dall’università, dall'attività mercantile o dalla chiesa (Bruges, Lubecca, Venezia, Bristol). Spesso, le funzioni si fondono e si potenziano reciprocamente. La città medievale non è il rifugio nella speranza cristiana, ma nemmeno il composto di ignoranza, sporcizia, brutalità e superstizione come vollero i suoi detrattori. La tortura civile e militare, i campi di sterminio sono piuttosto realtà della nostra epoca. Le analoghe forme medievali sono ben poca cosa al confronto. La città medievale riuscì ottimamente a realizzare alcuni elementi che l'esperienza urbana aveva positivamente prodotto nella storia, rispetto a molte città delle culture precedenti. La maggioranza dei suoi abitanti erano uomini liberi (fatta eccezione ad es. per gli ebrei). Il controllo del dominus diviene autocontrollo delle corporazioni il cui motto potrebbe essere: dominium et communitas. I fini locali e gli interessi religiosi si fondono armoniosamente. La mobilità sociale è divenuta una reale potenzialità. La Chiesa domina il mondo medievale ma essa stessa viene coinvolta nella vita del mondo. La Chiesa cerca di esprimere il corrispettivo visibile del suo sacro dominio; è per questa ragione che i santi criticarono acremente il tradimento dello spirito cristiano operato da questo compromesso. Ma se veramente l’applicazione del distacco dal mondo fosse avvenuta in modo radicale, ciò avrebbe significato sì il rafforzamento di alcuni elementi di forza morale ma avrebbe significato anche il rifiuto della base originaria sulla quale era fondata la città: potere della conoscenza, leggi sacre di un dominio non legittimo, coercizione morale sulla dimensione libertaria degli individui, rifiuto della schiavitù ma 108 accettazione della ineguaglianza fra i ceti. Insomma, questa città realizza un compromesso tra virtù cristiana e dominio del mondo attraverso l’attività economica; essa attua pertanto la dimensione minima dell'ordine e della pace cristiana. Pur tuttavia, l’ispirazione cristiana conferì forti caratterizzazioni alla città: la pace dei monasteri, l'ispirazione solidale delle corporazioni, l'esteso aiuto agli ammalati, ai vecchi, sofferenti e poveri. La Chiesa, tuttavia, non toccò, trasformandoli, a partire dalla sua ispirazione, il potere politico e militare, la proprietà privata, il monopolio intellettuale, anzi li fece propri. E' rilevante operare una riflessione in merito al diverso modo di affrontare potere politico, militare e ricchezza in prospettiva religiosa o superstiziosa. La superstizione, se la consideriamo attentamente, ha origine dal compromesso fatto con queste forme tipiche del dominio e dell’utilizzo del dominio di questo periodo storico culturale e sociale: ciò derivò da un utilizzo della cultura, dall'afflusso e dall'accumulazione della ricchezza che generarono orgoglio e sentimento di potenza. Le forze che impedirono di creare Cristianopoli in quanto città dai postulati basilari del Cristianesimo: povertà, castità, obbedienza, non violenza, umiltà furono quelle forze che frenarono l’attuazione della città come realizzazione piena o prevalente di questo disegno. Cristianopoli, pertanto, non si realizzò pienamente; la piazza del mercato generò ricchezza, le guerre bottino e potere. Le resistenze alla città senza mura e palazzi di Francesco, Domenico, Pietro Valdo ed altri da parte dell'istituzione Chiesa furono chiare. Da qui il significato mascheratore degli affreschi di Giotto nella chiesa superiore di Assisi. La Chiesa fa propri ed usa questi fattori, non permette loro di entrare come elementi frammisti alla ispirazione religiosa e li conduce appunto ad un compromesso52. Vi può essere incompatibilità fra i due piani, quello religioso e quello dei poteri, ma ciò non significa compromesso. La Chiesa sviluppò invece storicamente una giustificazione di questa convivenza fra i due elementi. 52 Moulin, L., Vita e governo degli ordini religiosi, Milano, Ferrero 1965. 109 Tempio, barriere ostili, isolamenti - simboli della permanenza materiale - sopravvissero nel cuore della città medievale. Un portato giustificato dalla dottrina del peccato originale. E ciò fece ammettere anche l'esistenza, accanto alla vocazione religiosa, della potenza e della ricchezza della Chiesa. Fu in questo modo che il disegno democraticosolidale di Cristianopoli lasciò il posto alla città dei signori e dei principi. La cinta murata e la città medievale La città medievale non seppe superare l'antico involucro murato proprio della fine del neolitico. Unicamente Venezia cercò di attuare questo progetto. Lo dimostra la sua pianta urbanistica del tutto singolare: organizzata per rioni e zone che vede S. Marco, la basilica bizantina con ampio frutteto e spazio antistante, dotatasi poi di una piazza del mercato. Una piazza che è un accumulo di finalità urbane, funzioni politiche, economiche e sociali della piazza, funzioni che soppiantarono quelle rurali. Una pianta urbana flessibile, conseguente alle esigenze sociali susseguitesi nella storia. Il potere patrizio, sommamente concentrato ed autoritario, era bilanciato dai 480 del Gran Consiglio, obbligati a risiedere nelle parrocchie di appartenenza. Ogni parrocchia riproduce S. Marco: campo, fontana, chiesa, scuola, palazzo della corporazione; il sestiere è proprio di una corporazione, delimitato dai canali. Lo spazio, intelligentemente disposto, vede facili ed ampie comunicazioni d'acqua, lagune per il diporto e lo svago; il mare sostituisce il paesaggio agricolo. Nessun'altra città medievale seppe riprodurre con altrettanta chiarezza la zonizzazione funzionale dei sestieri e delle isole. Il cimitero al Torcello, l'industria all'Arsenale ed a Murano, al Lido la zona balneare e ricreativa, S. Marco e Palazzo Ducale - il più bell'esempio di architettura municipale al mondo - il centro di riferimento comune. Una magistrale pianta urbana che si espande per zone autonome, senza ammassamento, sovraffollamento ed espansione indifferenziata, zone affiancate da vie d'acqua funzionali. 110 Ma pure Venezia ebbe il suo tragico tarlo, un tarlo collocato nel sistema di segretezza, nello spionaggio, nella violenza punitrice. Ciò deve avere disturbato e gradualmente minato il lavoro onesto, la collaborazione fiduciosa, unico deterrente perché i gruppi di potere non perdessero la testa. Venezia si resse in quanto offriva sicurezza in luogo della libertà appoggiata da un sentimento popolare che accettava quel sistema politico, il quale si esprimeva in grandi iniziative di assistenza sociale ed in feste pubbliche. Un baratto, in fondo, meschino e ricattatorio, fondamentalmente endogamico. Eppure, senza rendersene conto, i creatori di Venezia avevano prodotto un involucro urbano caratterizzato dalla eterizzazione delle mura. Radburn, nel 1928, mette in luce ciò che gli urbanisti ancora non comprendono appieno. Venezia si stacca dall'antico ordine medievale e dall'ancora vigente ordine dell'età della pietra: un municipio moderno, rapide comunicazioni e trasporti. E ciò venne ottenuto con la separazione delle strade pedonali dalle altre veloci vie di trasporto affidate ai canali. L. da Vinci lo proporrà, molto tempo dopo, per Milano. 111 Copenhagen. Veduta aerea con la piazza ottogonale Amalienborg. 112 Stoccolma, la Venezia del Nord. La città sorge su otto isole e due penisole dalle coste frastagliatissime. 113 Il Prdiso. Rappresentazione simbolica del Paradiso come metafora urbana, legata alla rinascita della città nel Medioevo. Dal Liber Floridus di Lamberto di Saint-Om er (inizi del XII secolo). 114 Strasburgo, Bibliotèque Nazionale et Universitarie. La Città di Dio di Sant’Agostino, nella traduzione francese di Raoul de Presles. 115 Fortunato Depero, Grattacieli e tunnel. Trento, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. 116 1600 Il paese della cuccagna Londra, National Gallery: Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1474. La scelta rappresentata si può leggere come colta sperimentazione dell’identità albertiana architettura-città. Pianta della città ideale di Sforzinda. Firenze, Biblioteca nazionale, libro II del Trattato di architettura di Antonio Averlino detto il Filerete. 119 1682 W. Penn. Il piano di Filadelfia 120 1698 S. Le Presre de Vauban La città inespugnabile. 121 Restituzione ideogrammatica di Sforzinda in rapporto al Castello di Galisforma. Elaborazione di Marcello Fagiolo (1987). 122 Piano di ristrutturazione ed ampliamento della città di Milano 1717 J.-B. Le Blond La capitale europea della Russia 1784 R. Owen La costruzione di Utopia 125 John C. Berkey, Città spaziale; 1990 circa Peter Cook, Bloch city; 1983. 1829 Londra: la città dei giardinieri del paesaggio 128 Square one, 1987 129 Rappresentazione della Città del bene,. Da Civitas Veri sive morum Bartholomei Delbene (1565), Paris, 1609. La struttura radiocentrica, dopo le città di fra’Giocaondo e di Doni, viene utilizzata in una città articolata con percorsi espiativi e finalizzata alla conquista della saggezza. Di qui si passerà, con Bacone e Campanella, alla città della conoscenza. 130 Pianta della città di Tenochtitlàn, situata nell’Altopiano Centrale del Messico, basata sulla descrizione di Cortés. Dalle Lettere di Hernàn Cortés pubblicate a Norimberga nel 1524. Palmanova come città ideale, da V.Scamozzi, Della idea dell’architettura universale, Venezia 1615. Realizzata tra il 1593 e il 1600, la città fortificata viene reinterpretata come città ideale, ‘Palma Città nova’, attraverso la trasformazione dell’impianto radiale in un impianto radiale in un impianto ortogonale dedotto dai modelli di Cutaneo, specie per la gerarchia delle piazze. 132 1800: Germania: La struttura biologica quale modello della città ideale 1922:La città di tre milioni di abitanti 1925 Le Corbusier: l’arroganza dell’utopia razionalistica 1929 Le Corbusier: La città della macro-architettura 1947 Le Corbusier: Le fondamenta della città di domani Peter Cook, Garden Towers; 1983 Carl laubin, Cérémonie d’Ouverture ; rappresentazione pittorica della città di atlantide immaginata da Léon Krier ; 1987. 139 1916 Giorgio De Chirico: profezia della città postindustriale 1924 Mosca: la città del costruttivismo 141 1924 Hilbersheimer: il sogno della città razionalistica 142 New York Anni Venti: Euforia dei grattacieli quale modello urbano 143 1930 Mak Stam: dalla socialdemocrazia al comunismo 144 1937 Berlino: la città di Adolf Hitler ed Albert Speer 145 1955 Disneyland: la città della nostalgia 146 1981 SITE: il contenitore di sogni e di aspettative individuali 147 1960 Kenzo Tange: L’impotenza della ragione utopica 148 1984: New York: la nuova città ricavata dal 1700 149 1987 Léon Krier: ritorno radicale al classicismo 150 1990 USA. Il modello della Edge City 151 20° secolo. Emisfero Sud: la città come periferia 152 Brasilia. Le armoniose curve dei pilastri sulla facciata del Tribunale Supremo in piazza dei Tre Poteri 153 Brasilia. La Cattedrale Metropolitana “Nossa Senhora Aparecida" 154 Il pericolo di Utopia Amaurote, la capitale di Utopia di Tommaso Moro, contiene le idee innovatrici della distribuzione di agi e ricchezze, la conversione del lavoro in una sorta di gioco; agi e lavoro rafforzano lo spirito; potenzialità sociali che la società moderna ha iniziato a comprendere ed a strumentalizzare con prassi cinica nella pianificazione e nella gestione della città. In Amaurote, servizio collettivo e dimensione amichevole addolciscono le forme del potere. L’intuizione di T. Moro sarà illustrata magistralmente da Max Weber, quando perseguirà l’inscindibile intreccio fra dimensione o processo comunitario e societario. Ebbene, Venezia è, al confronto, molto più fisica; comunque il cammino verso Utopia è ancor oggi lontano, troppo lungo. Ma ciò che Moro dovrebbe proporre urbanisticamente si blocca. La sua scala non risponde all'esigenza del pedone (i borghi agricoli sono ad una giornata di cammino: 6 Km), la dimensione demografica è oltre i 100.000 abitanti. Inoltre le città saranno terribilmente monotone; chi conosce questa città le conoscerà tutte; il limite dell'Utopia è che essa non è storia. Utopia non è Eutopia. Con Utopia siamo vicini all'accettazione del dispotismo ideologico. Un'utopia che vuole, forse, reagire al prevalere della ricchezza nella città medievale, ma si tratta di un progetto e di una giustizia astratta, stimolante intellettualmente ma astorica; si pensi alla astrattezza del giardino urbano. Corpo e spirito erano categorie e non relazionalità. Amaurote diviene, in fondo e sicuramente, irregimentazione, mentre, nella sua storica concretezza e romantica tragedia, Venezia è una città relazionale, sia pure con il tarlo della tirannide. La città, nel suo evolversi storico, sembra infatti portarsi dietro l'associazione della tirannide con la schiavitù, l'associazione del potere con il sacrificio umano, la relazione sociale con l'eterizzazione delle mura oppure la relazionalità con il perdurare del potere, della prevalenza della guerra, della sopraffazione, della ricchezza, della cinta muraria di pietra, l'incapacità di coniugare creatività, libertà e lavoro. Un 155 trauma interno alla città che sembra accompagnare la città stessa. 156 La città post-medievale e la campagna Le campagne, soprattutto nella Baviera, in Olanda e nelle contee occidentali d'Inghilterra, vissero un forte sviluppo ed un ringiovanimento, con case di pietra e mattoni, prospere, con palazzi delle corporazioni. Gli artigiani si allontanano dai comuni troppo protezionistici e controllati, divenendo artigiano agricoltore. Espansione commerciale e dissoluzione della città medievale53 La dissoluzione delle mura urbane è l'obiettivo di nuove forze economiche, sociali, culturali e politiche, di quel soggetto che, sotto il nome di mercantilismo, invera il capitalismo. Il mercantilismo perseguì la conquista dei territori d'oltre mare, la creazione di nuove industrie e tecnologie, fenomeni per cui la distruzione delle mura urbane doveva essere una conseguenza pratica ed insieme un fatto simbolico. Il fenomeno inizia con il Seicento e si rafforza con l'Ottocento, con le invenzioni meccaniche e con l'industrialesimo che dominano su vasta scala. Il calcolo dei profitti e dei redditi domina ogni transazione. Vengono introdotte le regole universalizzanti della piazza del mercato; ogni quartiere ed ogni parte della città sottostà al criterio di poter apportare un profitto. Il denaro si avvia a sostituire Cesare, come sostiene Alain de Lille. Dalla protezione e sicurezza della città medievale si passa al principio del rischio calcolato. Il capitalismo libera la produzione dal fardello di doni, elemosine, lasciti, accumulati dalla Chiesa per assistere poveri e bisognosi, per proporre, in forma sempre più rigorosa, la regola del più alto profitto possibile. I mercanti divengono, gradualmente, capi dei governi municipali ed anche di stati, preoccupati di quella che Tommaso d'Aquino chiama la ricchezza artificiale che non 53 Burke Gerald, «Città in formazione. Il Rinascimento», in Carratelli Pugliese, Principii e forme della città, cit. pp. 141-168. Catronovo Valerio, «La città nell'era industriale», Ibidem pp.169-234 157 accetta limiti. E fu questa assenza di limiti che causò la sostituzione dei soggetti economici personali e di gruppo guidati da un’etica in qualche misura solidale con una regola impersonale ed indiscussa: il profitto. Ciò avvia e compie la decadenza formale della città, ad iniziare con il Settecento che si conferma appunto come il secolo della rivoluzione industriale o meglio come il secolo della “grande trasformazione”. Ecco nascere un esercito di impiegati laici; nasce la scuola elementare che doveva trasmettere le conoscenze necessarie al controllo ed all'accertamento dei processi economici che stanno alla base del profitto. Nascono la borsa, la banca nazionale, il cambio dei mercanti, cattedrali del nuovo ordine capitalistico. Nonostante le resistenze teologico-morali all'usura, il capitale liquido si dimostrò spietato nel dissolvere la sovrastruttura medievale. E così, la concreta piazza del mercato viene sostituita dall'astratto mercato sovranazionale, svincolato da rapporti, regole, norme e costumi morali pur facendo nascere una morale sua propria oppure prendendo l'ispirazione da dottrine morali e facendone un'ideologia del profitto. Questa logica condusse non solo alla distruzione delle restrizioni municipali, facendo preferire i sobborghi ai quartieri urbani, ma attuò pure la sostituzione delle vecchie strutture :frutteti, campi da gioco, antichi edifici, e delle stesse corporazioni. In fondo, si compie e si riprodurrà poi in forme sempre cangianti, il processo che ha condotto alla città come potere non legittimo. La città del capitale, sia essa capitale finanziaria o città del sud del mondo, riposa su di un comune presupposto: l’accettazione della regola del profitto, del guadagno e del consumo. Una regola che, se accettata, non offre in cambio partecipazione, richiesta di legittimazione critica della sua filosofia totale. Tale accettazione offre la fruizione fantasmagorica e stimolante della cultura dei consumi, una cultura che permea acriticamente ormai il quotidiano del nostro vivere urbano. 158 Nascono le regole della nuova morale. Temperanza, abnegazione, ordine sistematico di vita (una nuova ascesi), la rinuncia ai piaceri immediati divengono una morale per ottimizzare gli affari. L’etica puritana sposa l’ordine economico, ideologia e prassi della conduzione di vita capitalistica. Gli orologi urbani sostituiscono quelli solari. La fabbrica verrà sottoposta ad una supervisione ferrea. Dalla libertà dalle restrizioni medievali si era passati alla libertà delle corporazioni ed ora alla libertà dell'iniziativa privata senza alcuna restrizione in favore del benessere della comunità. Con il secolo XIX, regolamenti municipali iniziano a regolare un poco i soprusi e le miserie, le differenze fra quartieri occidentali ed orientali. Ma le materie prime provenienti da paesi lontani, gli scambi internazionali e l'organizzazione produttiva e commerciale in generale sfuggono alla dimensione municipale. La vita urbana tradizionale viene smantellata e sottoposta alla dimensione impersonale del denaro e del profitto. Le vecchie strutture vengono abbandonate e le nuove divengono effimere causando la deperibilità degli impianti e delle strutture. L'interesse pecuniario soppianta gradualmente quello fondiario nel tracciato dei nuovi quartieri urbani: si pensi alla distanza siderale che esiste fra questi nuovi tipi di rapporto economico e quelli dell'enfiteusi. Nascono allora gli slums che danno profitti abbondanti. Si comincia a non comprendere più quale sia la natura e quali siano veramente i fini della stessa città. I trasporti e gli scambi subiscono un grande impulso con la costruzione di porti fluviali e marittimi. Decadono Firenze e Bruges, mentre fioriscono Napoli, Palermo, Lisbona, Francoforte e Liverpool. Si costruiscono banchine, magazzini e stazioni di caricamento, con una sterminata manovalanza senza corporazione. Scarsa è l'innovazione tecnologica, in quanto questa attività non è integrata nella città, come invece lo erano gli arsenali di Venezia, i magazzini del sale di Lubecca o quelli di Amsterdam (nati nel XIII secolo ed attivi ancora nel XIX). 159 Lo stivatore e facchino dei docks sono organizzati dall'iniziativa privata; il degrado di queste aree si diffuse agli altri quartieri della città diffondendo malattie fra le quali la sifilide. Queste zone andarono in buona parte distrutte nel secondo conflitto mondiale e vennero ricostruite su progetti dei moderni urbanisti. Fatta eccezione per i porti francesi di Le Havre e Cherbourg (opera di Francesco I e Napoleone), i porti dell'economia capitalistica ottocentesca testimoniano della scarsità e povertà di strutture portuali e tecnologiche, in contrasto con il diffondersi della contabilità commerciale, dimostrando come la regola fosse una malintesa esasperazione del solo profitto. E' in base a questa logica del puro calcolo che la città si amplia tenendo conto unicamente di unità standard che si possono comprare e vendere, unità rettangolari che ubbidiscono prevalentemente alla parcellizzazione ed alla funzionalità commerciale. Con questo strumento, l'ingegnere riesce a progettare una città senza alcuna competenza nella organizzazione dei servizi o in sociologia, secondo la strumentazione ancor oggi prevalente, ovverosia egli pianifica e progetta secondo gli standard fungibili sempre e comunque. Con questo criterio di base, la città può espandersi in ogni dimensione, limitata solo dagli ostacoli naturali o dalla funzionalità dei trasporti pubblici. Nasce una città con una pianta di tipo inorganico, ovvero una città che risponde al criterio della funzionalità degli affari e non ad altri criteri. La stessa sovrabbondanza dello spazio delle arterie urbane sta ad indicare il prevalere dello scorrimento sugli spazi di vita comune. Questo schema segue l’idea ed è simbolizzato dalla pianta reticolare. Istruttivo risulta il paragone fra il reticolo irrispettoso della collinarità di S. Francisco e della utilizzazione delle scorciatoie e delle scalinate di Siena. Persino l'esposizione solare, ai venti, la salubrità delle aree non vengono prese in considerazione dall'applicazione della zonizzazione radicale. Se questo orientamento urbanistico e questa impostazione di governo del territorio hanno una evidenziazione eclatante nella progettazione urbana, questo modello trova applicazione anche nelle 160 espansioni degli abitati minori, con risultati spesso esteriormente funzionali ed eleganti ma capaci di decostruire il tessuto delle relazioni sociali comunitarie di quartiere e di villaggio. Ovviamente, questo tipo di suddivisione favorisce il massimo grado di speculazione. Persino le aree per costruire edifici pubblici trovano difficoltà ad essere recuperate in questa logica reticolare. Tale schema di suddivisione è, in linea di principio, un fallimento urbanistico, poiché l'urbanistica è un processo assai complesso, un contemperarsi di interessi pubblici e privati. Reticolo speculativo e sistema dei trasporti pubblici si abbinano nella espansione urbana ottocentesca, dando assicurazione di fronte agli enormi investimenti volti ad assorbire aree urbane e periferiche nel gioco degli investimenti. L'anonima pianta reticolare della città disattende completamente le funzioni sociali presenti e potenziali della città e divorate dalla speculazione. Questa è la ragione fondamentale della sparizione della piazza nella città reticolare. Da questa logica nasce la distruzione di tutti gli elementi naturali presenti nell'area occupata dalla città. I fiumi divengono fogne, le zone di porto inaccessibili, il traffico abbatte edifici monumentali, gli spazi di svago sono eliminati. Solo con il 1870, si inizia a porre attenzione agli spazi per bambini, ma le strade vennero assogettate al traffico, oppure fatte assurgere a simbolo solo monumentale del progresso e non di incontro relazionale. Le urbanizzazioni costose vengono piegate alle logiche della città reticolare e da queste sostenute. L'urbanizzazione costosa, con ampie strade, costose pavimentazioni, costose fognature ed altre infrastrutturazioni, fa ricadere i costi sull'intera città. Il fenomeno della espansione urbana diviene un fenomeno fra i più cospicui del tempo moderno, trasformandosi, altresì, in un enorme business sotto ogni punto di vista: fondiario, imprenditoriale costruttivo, del mercato delle aree e dei servizi, commerciale, industriale, dei trasporti. La regola divenne, pertanto, rendere tutto mercato. Alle volte, misure economiche per i salari, per il trasporto o 161 per altre infrastrutture, vengono adottate al fine di rendere concorrenziale la città e per accentuare e far prevalere pertanto la sua dimensione di mercato. Il capitalismo che ha condotto il profitto sino allo spasimo dimostra di non aver fatto un calcolo adeguato: Place Vendòme, alla lunga, apporta un beneficio molto maggiore di uno sfruttamento cieco ed invivibile; fu ed è pertanto un errore escludere dal calcolo la dimensione della convivenza umana. Gli ideali aristocratici, quelli dei ceti abbienti o delle corporazioni, e più tardi quelli dei cittadini che cercano la partecipazione cercarono di andare in controtendenza. Forse, per il disegno della città moderna, la cultura non seppe produrre un ideale alternativo e nemmeno adeguati antidoti. Il traffico Il dominio del criterio commerciale fece sparire addirittura la distinzione fra arteria di scorrimento dei veicoli a ruote ed il corso. Viene così sacrificato il rione, la zona tranquilla e vivibile. Il corso veicolare assorbe anche il mercato, antichissima forma urbana che perde, così, la propria identità. La possibilità di raggiungere il luogo di lavoro a piedi sparì con l'introduzione dei mezzi di trasporto più veloci (diligenza, ferrovia e tram). Ciò significò la possibilità di un'espansione senza limiti della città. La nascita degli agglomerati e della città regione si accompagnò ad un allargamento smisurato della città, ad un aumento dei tempi e dei costi di trasporto, per cui il vantaggio per il trasportato è a somma zero: il tutto controllato da un solo imprenditore, mentre l’utente viene favorito sulla tariffa quasi a prescindere dall’espandersi dei tempi di percorrenza. Un altro errore, diffuso dall'America del Nord al resto del mondo, è la costruzione in altezza. Essa induce un aumento del traffico veicolare, pone problemi di viadotti, garages, aria inquinata: la città ammala se stessa. L'errore della città commerciale dell'Ottocento fu quello di essersi illusa che l'aumento illimitato della circolazione veicolare avrebbe prodotto ciò che, al contrario, soltanto la 162 dimensione pedonale può produrre, ovvero la vivibilità sociale dello spazio. E questo errore ne produsse un altro: credere che risolvendo il problema del trasporto si sarebbero risolti anche i problemi di altra natura della città: quelli degli spazi comuni, della convivenza, dell'incontro, della salubrità ecc. Congestione irregimentata Il sovraffollamento prodotto dai fattori summenzionati nella città ottocentesca doveva essere regolamentato. Il modo più logico sarebbe stato quello di controllare le forze che stavano spingendo la popolazione a sovraffollare la città. La crescita spietata degli affitti urbani provoca una utilizzazione intensiva dello spazio, conducendo alla accettazione della miseria come condizione normale. Un fenomeno non nuovo: nel '600 in molte città europee un quarto della popolazione urbana era costituita da avventizi e mendicanti. Paradossalmente, ed a favore delle classi inferiori, la città ottocentesca degradò per tutti i ceti; essa venne ad essere costituita da slums, semi--slums e super-slums, nella descrizione che ne fa Patrick Geddes54. Nasce, come uno dei rimedi, sia pure parziali, la filantropia che diede origine, in alcuni esempi, ad abitazioni che diedero alloggio unicamente a ladri e prostitute concentrando la marginalità, fenomeno che, pur con modalità meno crude, si ripete anche oggi con l’applicazione del modello dell’edilizia economico. Carenza di spazi comuni, per i giochi dei bambini, per la vita comunitaria si accompagnarono all’angustia interna degli spazi. E' così che nasce lo slum. Il nuovo mercato urbano Nel nuovo mercato urbano, il luogo del mercato tradizionale rimane ma si restringe ad un luogo ben delimitato nella domanda, anche se caratterizzato dalla presenza popolare. Spariscono il negozio con retrobottega; prediligendo gli spazi lussuosi per prodotti già preparati. Produttore e consumatore diventano più anonimi, nasce la 54 Geddes, P., Città in evoluzione, Milano, Il Saggiatore 1970 163 capacità del produttore di condizionare la domanda, ed ecco sorgere la Moda e l'ostentazione sociale di cui divennero portatrici soprattutto Venezia e Parigi che la sostituisce nel Seicento, ruolo poi assunto dalle capitali di ogni paese. La capitale barocca vede come un pregio sprecare risorse nell'accentramento attraverso i trasporti, convinta che tutto viva come polarizzazione ed irradiazione dalla città principale. Il grande magazzino e poi il supermercato sostituiscono la piazza del mercato disponendola su più piani ma riducendo la relazionalità della contrattazione e la socialità. Tutto in questa città diviene misurato in unità astratte e fungibili, fatte per decadere ed essere sostituite, per autoconsumarsi. Una delle poche forme che sfuggono a questa logica sono le gallerie di vetro: Genova, Londra, Napoli, Bruxelles, Milano, mirabile esempio del commercio frammisto alla promenade, alla socialità lontana dal traffico veicolare. J. S. Buckingam e E. Howard nelle città giardino misero sottovetro la città dei negozi55. Si tratta in effetti di eccezioni, poiché esse violano la prima legge della città commerciale. Amsterdam fa eccezione. Questa città entrò nella fase della libera concorrenza senza perdere la sua forma. Una forma fondata sul mirabile sfruttamento delle acque che sono: comunicazione, trasporto, paesaggio. Il sistema delle dighe, le case costruite su palafitte e l'impossibilità di espandersi in ogni direzione, tutto ciò portò ad un'inevitabile espansione controllata dalle municipalità che concedevano autorizzazioni ove fosse possibile urbanizzare; in tal modo il capitalismo fu costretto ad agire entro questo ordinato sviluppo. Amsterdam divenne, per motivi geografici, di sicurezza e di organizzazione, un efficace porto commerciale assicurando vendite veloci, sicure, magazzini capaci, credito ed ottima 55 Howard, E., Garden Cities of tomorrow, London, Faber and Faber 1965. Ed it.: La città giardino del futuro, prefazione di F. J. Osborn, con saggio di L. Mumford “L’idea della città giardino e la progettazione moderna”, Bologna, Calderini 1972. 164 amministrazione, adeguate assicurazioni; Amsterdam seppe commerciare con chiunque. Dal 1500, la città dispone ed impone una regolamentazione costruttiva ed igienico-sociale severa. L'espansione avvenne costruendo canali concentrici, strade e zone di espansione. Un'espansione in cui l'iniziativa municipale si affiancò alla necessariamente regolamentata iniziativa privata. Ed ancora. Certe aree vennero riservate a piazze, chiese, mercati rionali. Le decorazioni arboree che costeggiano i canali evitarono l'irregimentazione del classicismo barocco. Al retro degli edifici vi sono spazi verdi per il giardinaggio (m 8/25). Solo recentemente quest’area è minacciata dall'automobile. Amsterdam non fu tuttavia un equilibrio perfetto. Tale equilibrio si realizzò dove la mano pubblica fu presente e dove i mercanti furono costretti a tener conto della dimensione civica. Dove essa cedette, il capitalismo mostrò il suo volto peggiore; la trascuratezza delle abitazioni gradevoli e degli spazi liberi ed il massimo sfruttamento ebbero il sopravvento. La città commerciale del nostro tempo diviene uno sfondo per la pubblicità, trascinando in questo ruolo storia, monumetalità, antiche funzioni sociali ed anche quelle commerciali-comunitarie. 165 166 Coketown56 Il modello della città paleotecnica, chiamata coketown, costituisce l'emblema del periodo classico del capitalismo urbano occidentale. Questo modello riesce a rendere recessive attività quali la religione, l'arte, il divertimento. Con il Cinquecento, il capitalismo estende i propri tentacoli sulla città trasformandola in una funzione commerciale. La città diviene allora una condizione dei cittadini, da condizione che era stata la condizione propria degli schiavi delle miniere. La città servì, dunque, prevalentemente alle esigenze produttive, commerciali, di trasporto, di produzione, sino all'accumulo dei rifiuti. Gli urbanisti partirono da questa situazione per dire ciò che doveva essere evitato. In fondo, questa nuova città, che succedeva allo sfaldarsi della corte, diviene una città che si dedica allo sfruttamento industriale ed all'espansione finanziaria; essa finisce per dedicarsi a questi obiettivi, spacciandosi per luogo della democrazia. Mentre il nobile sogno barocco era un sogno nobileborghese, fatto di piacerei della vita, la nuova città scommette e punta sugli sforzi produttivi tout-court, sull'avidità di per sé, quasi un'ascetica da produzione, una rinuncia a tutto in nome del profitto, volgendo le spalle al passato, ai piaceri, alla dimensione umana, costruendo un mondo che sarebbe stato distrutto con spietato rifiuto, una volta creato. Banchieri, industriali e inventori sono i responsabili della Coketown dei Tempi difficili di Charles Dickens 57. Una città orribile per tutti: abolizione delle corporazioni, instabilità sociale, mercato del lavoro, mercato dei prodotti, colonie come approvvigionamento per le materie prime e per le eccedenze della produzione e del mercato. Carbone, siderurgia, macchina a vapore. Società a responsabilità limitata, società per azioni, contabilità e bilanci, revisioni e 56 Castronovo, V., «La città nell'età industriale», in: Pugliese Carratelli G., Principi e forme della città, cit. pp. 169-234. Heigl F., Geschichte des Städtebaus, cit. pp. 187-227. 57 Dickens, C. Tempi difficili, 4. ed., nuova ed., - Milano, Garzanti, 1988. Tit. orig. Hard times for these times. 167 controlli, organizzazione delle fabbriche, l'uomo-atomo individuale enfatizzato come libero, praticamente schiavo (non ancora presente in A. Smith, ma presto ottenibile con l'aggressività della potenzialità del cittadino). Lo straordinario aumento demografico sul pianeta coincise con la concentrazione delle eccedenze nelle città, accompagnata dalla industrializzazione. In presenza della pressione di questo fenomeno, gran parte della popolazione cercò di sfuggire alla miseria del luogo di origine, dando vita al grande inurbamento. Lo sviluppo demografico fu reso possibile dall'enorme aumento delle risorse alimentari, si costruì con grande celerità, oppure si cercarono soluzioni insediative di ripiego e di improvvisazione. Il 1800 rivaleggiò con l'Alto Medio Evo nella colonizzazione su vasta scala. Ma questa seconda colonizzazione è affidata ai singoli ed ai gruppi che si affidano a loro volta totalmente alla fortuna. La città dell'800 non presenta vantaggi sulle città del 600. Queste ultime erano città che non presentavano una forma di amministrazione politica ed amministrativa autonoma, esse sono prevalentemente ammassi di uomini e di macchine. Concezione paleotecnica della città La città venne concepita urbanisticamente solo dalle strumentazioni metodologiche offerte dai filosofi della natura; secondo un ordine meccanico che non è proprio né dei gruppi sociali, né della persona umana. Solo la macchina poteva impersonare quest'ordine e solamente il capitale poteva costituirne la forma corporativa. Anche la città odierna appartiene, secondo una logica prevalente, a questa concezione paleotecnica, quella che era stata degradata e brutalizzata dalla miniera; il contrario della forma disciplinata costituita dall'agricoltura che si pone come ponte fra l'ambiente incolto e l'uomo. In questa città, domina una produzione che ruota e continua, mentre la miniera esaurisce la ricchezza ed è seguita dall'abbandono, non prima di aver guastato l'ambiente, con strade, depositi, frastuono di locomotive, fumo, fabbriche sciatte. 168 Siamo dunque in presenza di un fenomeno di decostruzione (Abbau) che si estese alla maggior parte delle città industriali. Un fenomeno simile a quegli organismi che si atrofizzano e perdono la ricchezza della loro complessità. Si attua in questa dimensione urbana un servizio postale e di trasporto universale, con grandi e rapidi mezzi di locomozione, masse di uomini sincronizzati, differenziazione legalmente riconosciuta fra mestieri, professioni ed organizzazioni. La decostruzione dell'ambiente ed anche del mondo animale si estende inesorabilmente, la natura viene sfruttata con la logica della miniera, con una modalità di produzione che non prevede il ricrearsi delle risorse. Decostruzione che coincise prevalentemente con la connotazione dell’ambiente urbano. Utilitarismo Al concetto della Fortuna, proprio della decadenza greca, si sostituisce una concezione che ha un fondamento teologico: la provvidenza che guida le azioni incontrollate degli individui verso un piano che attua il bene pubblico e collettivo. La città caotica industriale dell'Ottocento ubbidisce a questo presupposto del laissez faire utilitaristico: il caos non va pianificato. Questa teoria era, di fatto, un affrancamento dalle reti dei privilegi e dai regolamenti delle città medievali. A tutto questo impianto del passato si oppose appunto quell'orientamento politico economico che va sotto il nome di liberismo. In realtà, questa ipotesi si manifestò come ingannevole favorendo di fatto monopòli e diseguaglianze sociali. Il fronte della classe capitalistica, dal canto suo, si mostra compatto nel fronteggiare la classe proletaria. La scelta delle funzioni produttive, residenziali, le infrastrutture ed i servizi furono decisi dall’iniziativa privata, al fine di accumulare profitti. E ciò distrusse ogni forma di cooperazione e di pianificazione comune. Gli utilitaristi si 169 attendevano che ciò scaturisse da un ordine superiore provvidenziale, ordinatore della libera concorrenza. L'espansione urbana di quel periodo è esemplificata dallo sviluppo demografico esponenziale della città di Manchester: 1685: 6.000; 1760: 40.000; 1801: 72.000; 1851: 303.000. Una simile crescita demografica fa intuire agevolmente quali trasformazioni territoriali, di organizzazione dello spazio e della struttura sociale debbano essere avvenute nella realtà urbana. Agglomerazione Mentre, all'inizio, l'utilizzo della manodopera rurale diffuse la produzione tessile nelle campagne, sfuggendo alle regole che avrebbe imposto la città, in seguito si cercò di utilizzare l'energia idrica delle zone montagnose ed, in un terzo periodo, l'introduzione dell'energia a vapore e del trasporto ferroviario, concentrò le industrie nelle aree carbonifere, presso gli snodi ferroviari, facendo decadere demograficamente le aree rurali. La congestione urbana è anche un'enorme concentrazione di manodopera, ovvero di miserabili che vivono al limite della sussitenza. La forma della città paleotecnica Questa forma di città perde gli elementi propri della città neolitica, i luoghi dove si concentri l'incontro, la relazione e l'eredità sociale, se non in forme quasi raggrinzite; così per i servizi d'acqua, per la religione, l'arte, l'amministrazione politica gli spazi vengono proporzionalmente ridotti sia materialmente che simbolicamente. La posizione dominante è assunta dalla fabbrica, vicina alla banchina, al fiume ed al canale che divengono allo stesso tempo rifornimento e via d'acqua nonché scarico. Conseguenza di tutto questo: aria ed acqua inquinate, insalubrità e malattie. 170 Le abitazioni vengono costruite senza una pianificazione, in un guazzabuglio di fabbriche, edifici commerciali e domestici, anche muro a muro. Si tratta di abitazioni con poca luce, vi sono immondizie nelle strade, latrine in cantina, maiali per le strade (a Manchester nel 1843-44 esisteva un gabinetto ogni 212 abitanti). Le città non riescono a costruire abitazioni a sufficienza e si cominciano ad abitare gli scantinati. Febbri tifoidi, mancanza d'acqua (con distribuzione razionata, acqua che veniva mendicata), mancanza di servizi municipali, proliferazione di asili per mendicanti, pensioni per avventizi e promiscue; mancano spazi aperti e pubblici, per il gioco dei bambini. Anche se l'organino, il ciarlare d'osteria, i rapporti di vicinato danno, nelle strade più povere, un segno di umanità la condizione complessiva è pesante. Solo alcune città industriali, legate a tradizioni rurali ebbero condizioni migliori. Fatte le debite proporzioni, anche le abitazioni borghesi erano qualitativamente scadenti (quelle che Patrick Geddens definisce come super-slums). Esempi di quartieri paleotecnici esistono ancor oggi in non poche città occidentali. Ed ancor oggi non ci si rende conto di quanto rimane nell'urbanistica della distruzione della concezione dell'abitare portata con sé da questa rivoluzione urbana paleotecnica. Mutamento La borghesia, a partire dal 1830, comincia a dotarsi di gabinetto, stufa in ferro, vasca da bagno, luce, afflusso e deflusso dell'acqua. Cose che per tutto il periodo paleotecnico non vennero estese alle masse. L'arredamento, le oleografie, le cianfrusaglie, le stesse immagini religiose, quali elementi dell’abitare propri delle epoche precedenti, subirono un radicale degrado. Il secolo del progresso produce uomini degradati, rachitismo, malformazioni, vaiolo, tifo, scarlattina, faringite settica, tubercolosi, bronchiti, polmoniti, malattie da lavoro. Nelle città si registrano alti tassi di mortalità degli adulti ed infantile, rispetto all'ambiente rurale (1810: New York 120171 145 morti su mille abitanti; 180 nel 1850; 240 nel 1870). Insomma, una vita urbana degradata forse come mai nella storia, una vita degradata che tuttavia, data la visione del mondo è ritenuta normale. Altro mutamento: verso una nuova urbanistica Si cominciò a reagire innanzitutto sul piano dell'igiene pubblica, a partire dalle prigioni e dagli ospedali del Settecento. Condutture smaltate ed in ferro per l'acqua e per lo smaltimento permisero di migliorare le condizioni igieniche. Si cominciarono a costruire villaggi per gli operai. Si cominciò a progettare spazi verdi, parchi per un'aria più pura. Pasteur portò l'attenzione sui microorganismi da combattere con la pulizia e l'igiene oltre che con i vaccini. Le sostanze cancerogene che infestano l'aria delle città vengono ad essere riconosciute e messe sotto accusa. I servizi urbani passarono all'iniziativa pubblica che si avverò con il socialismo municipale di Beatrice e Sidney Webb e che troverà forma nuova nella città giardino di Ebenezer Howard (ognuna doveva avere 32.000 abitanti per 2.500 ha di terreno); Richardson prevede 100.000 abitanti su 1600 ha. proponendo un sistema di piccoli ospedali per 5.000 abitanti, richiamando il capillare modello medievale. Haussmann libererà Parigi da aree di terribile sottosviluppo. Ancor oggi, non si è saputo sfruttare il potere battericida della luce solare diretta, cosa che la città paleotecnica aveva distrutto e che apparteneva invece a modelli abitativi precedenti. Un elemento della città neotecnica è il passaggio dal carbone all'elettricità (Patrick Geddes). A ciò si affiancano tutti gli elementi per l'igiene che introdussero mutamenti sostanziali nella organizzazione sia dell’abitazione sia dell’area residenziale e nella qualità ambientale. L'industria viene, a sua volta, allocata entro un suo spazio, un elemento cooperante nel tessuto urbano e non un elemento sovrastante. Nasce il modello che viene definito dello Welfare State, modello che segna una svolta nella 172 politica pubblica rispetto agli individui ed ai ceti in difficoltà o marginali. Alcuni errori vengono tuttavia perpetuati. Un esempio per tutti, significativo perché strutturale: l'introduzione nella città di ampie arterie di scorrimento, anche se sopraelevate, attraversate da percorsi ferroviari. Un altro errore è aver sviluppato l'ideale della città sotterranea. Negozi, trasporti, attività che fanno vivere uomini vivi sotto terra, con luce artificiale ed aerazione forzata, con costi molto elevati. Oggi si riflette in modo diverso su ciò che può essere attuato sotto terra. La «società a rischio»58 e la penuria di spazi da urbanizzare fanno apparire come una soluzione accettabile gli spazi in roccia, quelli interrati, la protezione che ne consegue e la ferita meno visibile all’ambiente. La città neotecnica ha poi sviluppato gas tossici, radiazioni nucleari, distruzioni nella stessa ionosfera, dell'ozono, con danni superiori a quelli prodotti dalla città paleotecnica. L'uomo della città paleotecnica deve probabilmente reimparare a vivere in superficie, convincendo i governanti a disimparare la guerra ed a fermare la distruzione del mondo, ad apprendere l'arte della vita. Il suburbio Le forme di vita suburbana sono storicamente assai varie. Esistettero nelle stesse città mesopotamiche, furono presenti nel periodo medievale, in quello rinascimentale come forma patrizia e poi borghese di vivere in ambiente salubre, lontano dalle convenzioni ed insieme con tutte le opportunità urbane. Per divenire, nei periodi più recenti, una sorta di caricatura urbana con territori costruiti a tappeto ed irregimentati nel verde, secondo modelli di vita massificati. Esistono, certamente, forme sontuose di vita suburbana, dalle ville venete, a quelle sui laghi del Nord Italia e di tanti altri paesi e regioni, a quelle connotate dalle ville sul mare. Quando l'area suburbana viene raggiunta dalla ferrovia e da arterie di trasporto, essa viene costruita, si cerca, in un secondo momento, di evitare l'isolamento rurale e la carenza 58 Beck U., Risikogesellschaft, München 1988. 173 di servizi; nasce così l'espansione dell'area urbana, facendo sparire il vantaggio dell'area del sobborgo, divenendo un'appendice della città sia per i costi, per i servizi ed anche per la violenza e la criminalità (secondo varie differenziazioni). Forse, il sobborgo è una resa alla sfida che avrebbe dovuto invece condurre ad una riorganizzazione e pianificazione interna della città. Uno dei costi delle aree di suburbio americano sono le decine di migliaia di morti in incidenti automobilistici, di feriti e di invalidi per il pendolarismo verso la città. La vita di sobborgo del cittadino è priva di provocazioni, tensioni e stimoli urbani («una pura, disperata, ordinatissima noia», come disse Kipling nel 1896). Il sobborgo diviene una concezione infantile che sacrifica la vita all'ambiente, con prevalenza di un nuovo matriarcato e con l'informazione filtrata dagli schermi televisivi. Il problema del sobborgo, ed anche la sua potenzialità, è quello di come esso possa interagire con la campagna. L'urbanistica suburbana diede risultati eccellenti (vedi: Raymond Unwin, Nothing Gained by Overcrowding) diminuendo il numero inutile delle strade di scorrimento, eliminando i marciapiedi inutili, ampliando i giardini, schema praticabile anche in città, creando più parchi aperti garantiti da un controllo possibile solo all'azione municipale. Inoltre il traffico deve scorrere fuori dalle zone residenziali. L'esperienza del sobborgo sembra condurre verso la decisione di progettare nuove comunità di livello migliore anche se si tratta di un progetto complesso. Il sobborgo diviene, a sua volta, un'entità rionale capace di recuperare partecipazione democratica e vita comunitaria, culturale e associativa. Ritornano sia l'idea del quartiere della città mesopotamica come pure le caratteristiche della vita sociale della polis greca come esigenza centrale: tempo libero, distacco dalle occupazioni più volgari,, preoccupazione per il bene pubblico come autogoverno. Si aggiunga che la città moderna ha maturato l'aspirazione alla soddisfazione nel lavoro come elemento importante. Di rilievo sono anche i centri rionali, quelli per 174 l'attività culturale anche partecipata e la vita amministrativa locale che divennero la base per i centri scolastici e per quelli culturali; elementi che confluirono nella struttura polifunzionale di Perry nel 1920, idea che venne sviluppata anche da Henry Wright e Clarence Stein che ripresero la proposta di Unwin e di Radburn; quest'ultimo propose di separare le strade di traffico dalle strade pedonali come reti indipendenti. Purtroppo, l'attuale quartiere suburbano assomma solamente i difetti originari: snobismo, segregazione, caccia al prestigio, irresponsabilità politica. Queste cellule sono i segni della città che scompare e di un individuo dissociato. Benché, centri commerciali, alberghi, assicurazioni si disseminino sul territorio urbano, al fine di diminuire gli spostamenti ma anche perché questi sono i poli che determinano la città e l'urbanistica, il risultato è che queste realtà suburbane nulla hanno a che fare con i centri urbani nei quali dovrebbe pulsare la vita cittadina. Queste forze, se non controbilanciate ed opportunamente rapportate con il centro, distruggeranno la città. Le aree verdi che separano i sobborghi, come unità urbane, dovevano essere protette dall’aggressione delle altre funzioni urbane(fu il consiglio di Alfred Marshall nel 1899). Invece si andò verso Megalopoli che non è l'estensione dei vantaggi della città alla città-regione; essa diviene piuttosto anticittà: scompare la dimensione pedonale che viene soppiantata dalla massa informe, si trasforma in rioni assorbiti dalla conurbazione, senza più dimensione semirurale, cancellata dall'annullamento delle distanze con i trasporti. La massa suburbana è una massa di autisti e le abitazioni vengono trasformate in semplici edifici ed in un parcheggio che si allarga intorno agli ipermercati, agli aeroporti. Lo spreco di spazio della superespansione ha dato la mazzata finale alla vita del rione e del suburbio come godimento dello spazio in quanto vita sociale. Si pone qui una riflessione sul problema del trasporto. L'eliminazione del mezzo di trasporto pubblico e lo spazio 175 riservato all'auto privata, la quasi impossibilità di percorrere spazi a piedi, fanno della politica urbana un modello dissennato; le città ammassano popolazioni che né i mezzi pubblici, né le auto private riescono a trasportare convenientemente. Invece di distruggere la città per fare parcheggi, occorre forse ripensare la città come città di abitanti con modelli di percorso fin dove possibile pedonali, articolandoli con modelli legati al mezzo pubblico, all'auto (per l'esterno) ed all'aereo per le grandi distanze. Lo stesso dicasi per raggiungere le aree industriali o i centri del terziario. Ci si deve chiedere, per pensare ad una buona urbanistica, se non si debba selezionare il veicolo a seconda dei percorsi, impedendo all'auto di inquinare e dominare lo spazio urbano. Uno spazio che deve avere come obiettivo primo quello di essere abitato, vissuto socialmente e goduto, non assoggettato all'automobile. Il suburbio non può essere un’espansione rarefatta e nemmeno la parte di Metropoli, ove dominano le autostrade e le auto, dove vive la folla solitaria, folla che comunica con il telefono, Internet, la televisione, la simbolica dell'area di appartenenza senza autogoverno sociale. Anche il limite della dimensione demografica gioca un ruolo importante, accanto alla rete della funzioni e degli spazi sociali necessari. New Town Nel 1904 ha luogo la sperimentazione della prima città giardino di Howard (Letchworth): una proposta di comunità equilibrata, partendo dall'analisi delle funzioni vitali in rapporto all'ambiente urbano-rurale, cercando di far sì che l'espansione non facesse perdere la coerenza, l'unità e la necessaria differenziazione. Ad essere rivoluzionaria è la sua forma urbana non la sua orticoltura. Howard non propone una forma architettonica ma lascia all'arte dei suoi costruttori definire i rapporti fra le parti. Il difetto di questa concezione è di non aver tenuto conto della complessità di interazione fra questi 32.000 abitanti e la 176 grande Londra; ma ciò è anche la forza di questa concezione; la new town avrebbe saputo sviluppare in misura adeguata la sua autonomia e la sua non separatezza da Londra. Rimaneva comunque importante, per questa nuova realtà, anche il controllo amministrativo dall'alto. La rinuncia a questi modelli è dovuta alla decisione di favorire il caos territoriale, industriale e demografico. L'integrazione, come forza, deve forse partire dal fatto che ogni città ha una dimensione di sviluppo che non può superare ciò che il suo organismo è in grado di superare rimanendo associazione ed organizzazione. 177 178 Megalopoli Mai come in quest'ultimo secolo il fenomeno urbano è riuscito a capovolgere il rapporto demografico, economico e di potere città-campagna. Una concentrazione di dominio o potere che ha contrassegnato, nella storia, il momento di declino delle civiltà precedendone il crollo. Questa nostra civiltà ha segnato due guerre mondiali, sterminio di masse, annientamento di popolazioni di interi continenti, dipendenza economica e culturale di popoli, ha prodotto anche il fenomeno metropolitano, grandioso, stimolante ma anche oppressivo e disastroso. Risulta, allora, assai utile individuare i fattori che hanno fatto nascere e messo in crisi Megalopoli. Molte città, giunte all'orlo del disfacimento, hanno fatto ricorso ad una loro vitalità interna per rinascere. Sembra, secondo L. Mumford59 che i loro involucri conservino elementi comuni alle forze dominanti della civiltà attuale. Lo studio dei valori interiorizzati e «fatti cultura» potrebbe aiutarci ad individuare queste forze per non rischiare di intaccarle o di perderle di vista. Indubbiamente, per quanto possiamo ricavare dalla lunga storia delle civiltà, un rischio è costituito dalla perdita del rapporto che l'uomo dovrebbe avere con l'aria, l'acqua, la terra ed altri suoi compagni di viaggio. La tecnologia si preoccupa oggi di «sostituire alle forme organiche autonome, ingegnosi surrogati meccanici controllabili e redditizi». Col togliere la possibilità di contatto con la natura in città e con la sterilizzazione della campagna (si ricordi questa fu una delle debolezze della polis) si annienta la città ed alla lunga anche la civiltà. La città sembra, comunque, ancora possedere la vigoria culturale di invertire questo processo. Anche se i processi meccanici hanno soppiantato i processi organici in molti settori60. Il principio dell'espansione economica, divenuto elemento fondamentale della cultura politica e di governo, introduce 59 60 Ibidem p.656. Mumford L., Tecnica e civiltà, cit. 179 l'oligopolio come strumento di dominio, passando attraverso l'economia di produzione e di consumo. La città come metropoli assorbe la città industriale, quindi la città regia e quella aristocratica. Fabbrica, mercato, terziario e politica obbediscono ad una logica comune, estendendo la stessa logica alla finanza, all'università, al mercato, al terziario tecnologico e culturale, riducendo la componente della vita sociale organica ad elemento secondario. I controlli messi in atto dalla metropoli svolgono le stesse funzioni delle mura della città fortificata che è in grado di eterizzare il proprio potere senza abbattere le mura. L'industrialesimo non portò alla pace ma alla irregimentazione, forma di controllo e dominio apparentemente pacifica ed ordinata, in realtà violenta. La città moderna ha curato i sintomi della malattia della città paleoindustriale ma non la malattia, ovvero non ha esorcizzato il predominio del profitto sulla vita sociale intesa come autogoverno comunitario e come rapporto organico con lo spazio di vita. La burocrazia, vituperata ed insieme esaltata, si affianca ad una nuova trimurti: finanza, assicurazione, pubblicità. Poteri che estendono il potere urbano a regioni estese, dai confini imprecisabili. La metropoli ha nuovi tentacoli per dominare il territorio ed aggregarlo a sé, offrendo la garanzia del proprio marchio, legittimato dalla concentrazione della ricchezza e dagli strumenti per gestirla, dalla omogeneizzazione della popolazione, garanzia della stabilità del dominio. Esercito e flotte assurgono al rango di strumenti per assicurare le forniture di Megalopoli che non è fenomeno spontaneo bensì frutto di un disegno e di una possente strategia. Nonostante le tecnologie, questa nuova Babele non riesce a tenere il passo; tiene il passo del potere ma non quello della qualità della vita che offre. Il sistema ecologico diviene meccanico, l'espansione incontrollata, i controlli invisibili, né riconosciuti né legittimati, eterizzati, la forma che il sistema urbano assume è quella della conurbazione, il suo orizzonte illimitato diviene popolato, riempito di elementi indifferenziato, non più compatto. 180 Si inizia a parlare di città regione, una realtà territorialmente indifferenziata ma per molti e centrali aspetti rigidamente controllata dalla città cui essa fa riferimento. Il controllo viene esercitato sotto l'etichetta metropolitana. In base a questa nuova gerarchia del potere urbano, il locale61, l’autonomo, il piccolo, debbono essere soppressi, manipolati, irreggimentati nella scala urbana, nel prestigio, nella dinamica socio-culturale. L'involucro originario di Megalopoli è scomparso o non traspare dalla mappa generale che la rappresenta. Siamo in presenza di uno spazio non più «comprensibile», di fronte al quale anche il dominio sociologico diviene una categoria spuria e pertanto sperimenta di fatto la sua impotenza. Si afferma, meglio è dire si impone il potere come forza; una potenza che è appunto forza non necessariamente legittimata (qui sta appunto la sua dimensione non sociologica; per questo questa potenza userà strumenti imperiali, attuerà costruzioni di piramidi o di monumenti che trasmettano l'immagine e non la convinzione, comunicando che la legittimazione partecipata del potere non è un elemento necessario alla composizione ed alla vita della città. La città non è più un organismo vivo. I suoi abitanti, liberati dalla schiavitù di Coketown, sono resi schiavi dello spazio senza confini e dei consumi come unica sublimazione, ammiratori apparentemente liberi della monumentalità del potere. L'immaginazione di questo mondo viene costruita con un'invasione di carta illustrata e stampata, con la rappresentazione televisiva, con quella della celluloide, della telematica e dell'informatica, dalla ragnatela mondiale (WorldWideWeb) che solo apparentemente è nelle mani degli individui. In realtà, questi ultimi recitano il copione di una cultura di megalopoli che nessuno sa mettere in discussione poiché megalopoli sfugge alla comprensione; essa pertanto, a ben guardare, preferisce solo trasmettere. 61 Il conceto viene oggi proposto da quegli autori che riscoprono la dimensione dell'identità e del locale. Citiamo: Dickens P., Sociologia urbana, Bologno, Il Mulino, 1992, capp. VI e VII. 181 La città sembra essere tendenzialmente, salvo rare eccezioni, connotata da una costante e quasi congenita carenza di reciprocità fra il potere implosivo che la rende forte e possente e l’aspirazione comunitaria, solidale e responsabile e partecipativa dei suoi abitanti e dei territori circostanti. Essa, proprio per la sua incapacità di comunicare e di interagire è condannata dall’essere il bellissimo e sterile Narciso incantatore, condannato ad essere solo ed a cadere vittima dell’autoammirazione. Qui sta la radice della tirannide, dello strapotere e della illibertà: non tanto nella mancanza di spazi e possibilità di espressione democratica nella città, quanto piuttosto nel fatto che tali espressioni non vengono considerate come componenti strutturali della città stessa. Al contrario, tali espressioni sono spurie, estranee alla città ed a megalopoli in particolare. E’ per questa ragione che la città è sostanzialmente un’implosione di potere. In questo senso, megalopoli può anche accettare che si consideri il mondo come un villaggio. Ad esso mancano, tuttavia, gli elementi che il paleolitico aveva formato come senso dello spazio sociale. L'uomo di megalopoli è certamente e forzosamente l'uomo behaviorista la cui regola è il comportamento efficiente non l’uomo che domina lo spazio costruendo i propri universi di senso. E la carenza di senso si manifesta nella sempre più problematica capacità di controllare sia i sistemi funzionali sia le relazioni sociali della città. Forniture d'acqua, disponibilità di aree, costi dei trasporti, presenza di cartelli, di trusts e di malavita sembrano quasi incontrollabili dai poteri pubblici ed anche da quelli internazionali. La massa che vive e circola intorno al nucleo, assume una tale dinamica ed una tale pressione da rischiare di farlo esplodere, pur conservando esso una perdurante capacità di attrazione sia demografica, sia di immagine, sia di ammirazione, sia, ancora, della speranza di far rivivere, nel centro urbano, nuclei comunitari e forme di vita sociale originaria. Ma la città sembra in genere non ritenere che questa speranza debba essere considerata elemento connettivo della realtà e soprattutto della struttura di senso di se stessa. 182 L’ambivalenza fra comunità e società che Max Weber rintraccia nel capitalismo e nelle sue forme, anche in quelle più smaccatamente zweckrational, trapelano fortunatamente, ma non adeguatamente, anche in Megalopoli: nella sua realtà composita, nei vicinati, nelle comunità di amici, nelle solidarietà occasionali o strutturali; certamente compaiono meno nella sua ideologia e nelle sue visioni del mondo. E’ per quest’ultima ragione che le forme comunitarie presenti in megalopoli hanno un carattere sostanzialmente residuale, sembrano cioè processi spontanei e fondamentalmente marginali piuttosto che il frutto di una politica strutturale della città; gli aspetti comunitari sembrano dunque in antitesi con la cultura di megalopoli. Rimane comunque assodato che le forze contraddittorie presenti nel villaggio originario e nella città cui esso diede origine sono presenti anche in Megalopoli ovviamente in proporzioni e con un rapporto ben diverso con la potenzialità della forma comunitaria. In modo precipuo la differenziazione consiste: nella forza comunitaria con la incisività dei suoi gruppi e dei suoi spazi ha un peso di fatto quasi insignificante in megalopoli, nella strumentalizzazione dei poteri della città tirannica come di megalopoli finalizzata alla utilizzazione di ogni forma di potenza e forza al fine di sottrarsi al controllo ed alla partecipazione alla gestione del dominio e per sottomettere il territorio circostante. Ecco l’ambivalenza di Megalopoli, ambivalenza sbilanciata decisamente verso la forma di dominio che non ha bisogno per sussistere ed operare di alcuna legittimazione sociologica.. Anche in Megalopoli permangono pertanto forze di vita comunitaria che prevalgono o cercano di convivere con le forze distruttive, senza cedere o arrendersi, conservando negli uomini, nella relazionalità, nella cultura, nei musei e nelle comunità la forza che può ridare senso a megalopoli ed agli spazi del mondo, benché ciò si scontri con la logica persistente di questa forma urbana prepotente che, in luogo di essere costruzione quotidiana e rinnovata di dominio legittimato e pertanto condiviso, finisce per divenire fortissima ma anche narcisistica e sterile implosione di potere. 183 Verso quale città? L'interrogativo che ci poniamo oggi non è soltanto verso quale forma di città stiamo andando o verso quale città andremo. Il problema è piuttosto quello di individuare attraverso quali strumenti siamo in grado oggi di capire e di rendere megalopoli un ambiente orientato alla vita come centralità della nostra visione del mondo, quella che intende restituire all'associazione umana il governo del sociale e dello spazio, ovvero una simbiosi fra ideologia e struttura di comunità e di megalopoli. Ora, nel mondo occidentale capitalistico sembra non esservi alternativa alla comunità autoorganizzata in quanto capace di vivificare e di rendere meno prepotente e tirannica la città. Tale constatazione si accompagna ad una conclusione prevalentemente pessimistica circa la percorribilità di un disegno urbano democratico. Infatti dalle prime forme di vita socio-spaziale ad oggi, soprattutto a partire dalle città ellenistiche gli interrogativi sembrano essere gli stessi. Ciò, sia pure in presenza di un mondo urbano quasi non comprensibile entro l'orizzonte fisico e delle logiche proprie degli oligopoli del potere, non esclude involucri culturali ancestrali e sempre vivi, appunto comunitari, che cercano faticosamente di sopravvivere ed alle volte di far breccia nelle mura virtuali e pertanto non scalfibili di megalopoli. L'uomo chiede alla propria comunità, sotto varie forme, di ricondurre entro le mura di una città ideale nuove capacità di comunicazione e di solidarietà concrete e si scontra con un dominio sommamente capace di trasmettere e non di recepire e di comunicare. L'attesa sembra essere quella antica: capire l'ordine cosmico e maturare la decisione politica che deve governare e non essere fagocitata dalla città. Un’attesa per la quale occorre un tempio o sacro recinto nonché la cittadella della politica. Quella che potremmo chiamare «la città degli uomini», ovvero le forme di identità comunitaria, che vive dentro megalopoli, cerca, oggi, di sprigionare una nuova energia creativa per dare senso al mondo, con l'esito di cooperare per dare senso allo spazio, alla convivenza nel diritto, rappresentando tutto ciò nel teatro, nella letteratura, 184 soprattutto nell'autogoverno. I risultati sono invero ridotti, assai ridotti. Megalopoli non appare scalfita dal ripetersi dei tentativi, anche se tali tentativi rivestono comunque un’importanza sul piano simbolico e come mantenimento di una concezione del mondo. Guerra, schiavitù, sopraffazione, cultura di morte, sono passate quale eredità alla cultura urbana posteriore, alla città ellenistica, a Roma, alle città fortificate ed a quelle che attraverso l’implosione urbana del potere hanno progettato ed attuato il dominio di forza sugli abitanti della città e sul territorio circostante; la città è divenuta un termine di riferimento storico ineguagliabile ma anche un termine di contraddizione profonda, a ben pensare, ancestrale e quasi fatale. Oggi, i nostri riti si dividono fra potenti espressioni simboliche legate drammaticamente alle potenti arti tecnologiche ed in pratiche ed aspirazioni comunitarie, culturali e sociali, manipolate dalle arti politiche, praticamente impotenti. Il drammatico e quasi fatale esito è che proprio nel sopraffare la dimensione comunitaria, la città prepotente e narcisista si priva del libero consenso dei suoi membri e predispone la propria possibile dissoluzione. Il ricercare e, soprattutto, il dare senso alla proliferante, fantasmagorica ed insieme oligopolistica tecnologica e soprattutto politica forma dello spazio, affermando al contempo il controllo individuale e comunitario su quello iper- o an-organico riconosciuto nelle irregimentazioni monumentali, tecnologiche ed ideologiche dell’arte politica, rappresenta la reale sfida del nostro tempo. La politica della scelta democratica può essere quella che riassume sia la dimensione culturale comunitaria sia quella del controllo partecipato dello spazio. 185 186 La storia della sociologia urbana e rurale: i classici La città in M. Weber Sulla base di materiale del 1889, Weber elaborò questo scritto probabilmente nel 1911-13, scritto che venne pubblicato da Marianne Weber nel 1921 nell'Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik (Archivio per la scienza sociale e la scienza politica), ripreso, poco dopo, in Wirtschaft und Gesellschaft del 1922; nella edizione di J. Winckelmann porta un altro sovratitolo, ovvero: Die nichtlegitime Herrschaft (Typologie der Städte). Si tratta di un lavoro che propone lo sviluppo ed il significato storico della città in occidente, particolarmente nell'antichità e nel Medio Evo. Dal punto di vista sociologico, la città è "un luogo, un'allocazione di abitazioni contigue, che presentano un abitare comune talmente complesso da far sì che venga meno al rapporto di vicinato una conoscenza specifica, personale e reciproca degli abitanti."62 Dal punto di vista economico, "parliamo di città ... solamente ove la popolazione residente, o quella del circondario soddisfi una parte essenziale delle proprie necessità procurandosele sul mercato locale, o che altrimenti il mercato ha prodotto."63 Viene qui introdotta una tipologia economica della città che serve solo da strumento analitico: la città di consumatori contrapposta alla città di produttori; la artigianale contrapposta a quella commerciale. In termini giuridici e amministrativi Weber mette in evidenza il fatto che la città fu, nell'antichità come nel Medio Evo, una fortezza ed una guarnigione, con un borgo o con delle mura, cui è universalmente proprio un "borgo signorile", un principato del borgo. Coloro che abitavano dentro o nei pressi del borgo avevano una partecipazione militare alla vita del borgo stesso: servizio militare, 62 Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft Mohr-Siebeck 1976, 6 revidierte Aufl., p. 727. 63 Ibidem p. 728. 187 riparazione o mantenimento delle mura, servizio di guardia e di difesa; un complesso intricato di rapporti economicomilitari che caratterizza in modo sostanziale la costituzione della città.64 La comunità della città assume, secondo Weber, le seguenti caratteristiche: 1. la fortificazione, 2. il mercato, 3. un proprio giudizio (tribunale) ed in parte un proprio ordinamento giuridico, 4. il carattere federativo dei ceti ed un’amministrazione almeno in parte autonoma, cioè l’amministrazione da parte di un'autorità di preposti "alla cui nomina i cittadini erano in qualche modo partecipi"65, per cui lo status di cittadino portava con sé dei privilegi, cosa che costituisce la caratteristica della città in senso politico. Per quanto concerne la collocazione storica di questa entità, si tratta di una comunità urbana che esiste, almeno in maniera massiccia, solamente in Occidente. "Solamente qui (in Occidente) esiste un'associazione federalistica con la rappresentanza di una comunità di cittadini come tali. Questo concetto manca altrove pressoché del tutto. Mancano anzitutto specifiche qualità di ceto degli abitanti della città. Nulla di tutto ciò si riscontra in Cina, in Giappone, in India, mentre segni iniziali si ritrovano solamente nel vicino Oriente."66 Nell'esempio delle città della regione al nord delle Alpi del periodo medioevale, Max Weber riconosce una forma di socialità istituzionalizzata come federazione di cittadini, secondo un proprio diritto comune e con il carattere di affratellamento (Verbrüderung) che trovava la propria forza nel giuramento di fratellanza cristiana; ecco il significato della chiesa principale della città e pertanto dei santi patroni, 64 Ibidem p. 735. 65 Ibidem p. 736. 66 Ibidem p. 737. 188 dell'eucarestia, delle feste religiose ufficiali alle quali ad esempio gli ebrei non potevano prendere parte. Nasce una conjuratio (congiura nel senso etimologico di unione in base a giuramento) che dà origine ad una monopolizzazione delle possibilità economiche garantita dal giuramento dei membri delle confraternite, ad una vera e propria nobiltà gentilizio-carismatica, al patriziato come dominio della progenie. Max Weber studiò pure le città italiane sul finire del secolo XI e le città dell'inizio del XII secolo, città dove egli ritrova imprenditori urbani e artigiani, in contrasto con gli ordini cavallereschi riuniti in corporazioni. Egli crede di riconoscere un "popolo" che ha propri impiegati, proprie finanze, proprio ordinamento militare, insomma uno stato nello stato. Secondo l’analisi di M. Weber si tratta della prima associazione politica coscientemente illegittima e 67 rivoluzionaria. Una lotta sanguinosa contro la nobiltà da parte di questo nuovo soggetto sociale condusse alla nascita dei consigli cittadini nei quali furono presenti anche le corporazioni inferiori, mentre fu proprio la resistenza dei nobili, di fronte alla pretesa di questi nuovi ceti di essere riconosciuti legalmente, a provocare le lotte più sanguinose nelle quali il sentimento di appartenenza del cavalierato e quello di identità-ceto della borghesia si scontrarono furiosamente. In un recente saggio sulla città quale oggetto dell’indagine delle scienze sociali, T. Krämer - Badoni68 riprende una suggestione di altri autori, chiedendosi se Max Weber sia o meno da considerarsi un fondatore della sociologia della città. Ora, a detta di questo autore, definire il contributo di Max Weber la “prima teoria della città” (Friedrichs) oppure “una teoria economica della città (Bahrdt) rappresenta un equivoco. 67 Ibidem p. 776. 68 Krämer Bdoni, Th., “Die Stadt als sozialwissenschaftlicher gegenstand”, in AAVV, Stadt und Raum, Pfaffenweiler, Centaurus 1991, pp.9-12. 189 Ciò che M. Weber aveva in animo di fare era, com’è risaputo, individuare una spiegazione alla nascita del capitalismo nell’Europa occidentale; egli attribuì questo fatto, in particolare, agli elementi che si svilupparono nelle società feudali del Medioevo, elementi che diedero origine alla razionalità occidentale negli ambiti dello stato, dell’amministrazione, dell’economia, della scienza, del diritto ecc.. Nell’ipotesi weberiana, nell’antichità appartengono al processo di razionalizzazione della condotta di vita i poteri religiosi e magici, poteri che fondano rappresentazioni di carattere etico. Da questo quadro di riferimento, M. Weber trae quell’”ordine sociale dell’Occidente” che costituisce l’apparato delle condizioni necessarie alla nascita del capitalismo moderno. In questo complesso quadro di ricerca, l’interesse di Weber per la città medievale si concentra quindi sul mutamento delle forme di potere verso l’insorgere del cittadino come individuo e della borghesia, della borghesia urbana, elementi che preludono la nascita dei grandi imprenditori industriali e formalmente dei liberi prestatori d’opera salariati.. Storicamente, la città occidentale - e solo questa - fu una complessa pappa dello sviluppo verso il dissolversi della società feudale verso quella capitalistica. Questo sarebbe il senso della tipologia weberiana della città.69 La stessa definizione data da Weber della città risponde a questo presupposto, cioè alla città medievale che si trasforma in città del capitalismo occidentale.70 Anche Saunders ritiene71 che la tipologia weberiana della città risponda alla problematica specifica che : Weber ha di fronte e che tale tipologia debba appunto mutare con la problematica storica in cui la città viene collocata; per cui, l’interesse è per il metodo idealtipico e non per la specifica indagine storica. 69 Ibidem, pp.9-10. Schreiner, K.,”Die mittelalterliche Stadt in Webers Analyse und die Deutung des okzidentalen Rationalismus”, in Kocka, J., (Hrsg.), Max Weber der Historiker, Göttingen 1986, p.119. 71 Saunders 1987, p.40. 70 190 Del lavoro weberiano, realizzatosi nella tipologia della città, rimane rilevante la complessa problematica della razionalizzazione occidentale, problematica che può essere ulteriormente approfondita. Emblematici rimangono comunque alcuni elementi messi in evidenza: lo sviluppo di una dimensione cittadina autonoma e la consonante modificazione della legittimazione del potere; l’evolversi di autonomi sistemi specificamente urbani giuridici ed amministrativi; la nascita di economie urbane fondate sul commercio, sulle arti e sui mestieri; così importante è anche il settore dell’etica religiosa che conduce al primato del lavoro professionale ed alla stigmatizzazione dell’ozio. Il contributo di M. Weber contiene comunque due importanti elementi: quello della ricchezza analitico storica e quello della idealtipologia. Si aggiunga che la prospettiva del processo di razionalizzazione occidentale potrebbe essere affiancato a quello della individualizzazione da verificare in chiave storica. La chiave teoretica, metodologica e concretamente storica appartengono tutte alla accezione sociologica weberiana, nessuna esclusa. 191 192 Sociologia urbana e rurale. Approcci e Scuole Premessa Il termine sociologia urbano-rurale intende mettere in evidenza e sottolineare una situazione di stretta connessione e interdipendenza tra mondo rurale e realtà urbana. Recentemente si preferisce usare il termine di sociologia urbana e rurale, distinguendo così, pur all'interno di uno stesso campo di studio, le due discipline. Negli anni più recenti, infatti, l'interdipendenza tra città e campagna è andata via via scemando. A ciò è dovuto il fatto che in luogo della tradizionale denominazione di "sociologia urbana e rurale" si sta affermando quella di "sociologia urbana e regionale", oppure di "sociologia del territorio", come si vedrà più avanti. Filoni della sociologia urbana La tradizionale presentazione degli approcci teorici espressi dalle differenti scuole di pensiero si indicano comunemente i filoni seguenti: 1) l’approccio ecologico 2) l’approccio socio-psicologico 3) l’approccio storico-istituzionale 1- L'approccio ecologico nasce in America ed ha la sua base nell'Università di Chicago. Di qui il riferimento alla scuola ecologica di Chicago i cui fondatori sono Park, Burgess e McKenzie.72 In cosa consiste fondamentalmente tale approccio? Similmente a quanto avviene per l'ecologia animale o vegetale, i sociologi di Chicago hanno osservato l'esistenza di una stretta connessione tra ambiente fisico e tipologie di individui che andavano a localizzarsi in tale ambiente. Ad esempio: l'immigrato a Chicago viveva nei quartieri poveri 72R. E. Park, E. W. Burgess, R. D. McKenzie La Città Edizioni di Comunità, Milano, 1979 (ed or. 1925). 193 fino a quando il suo lavoro non gli permetteva un reddito discreto; quindi, con l'aumentare delle proprie capacità di spesa, si trasferiva in quartieri migliori lasciando il posto a nuovi immigrati. In particolare uno dei risultati a cui giunsero gli studiosi americani fu il seguente: a parità di caratteristiche personali, la probabilità di diventare delinquenti dipendeva dall'ambiente in cui gli individui vivevano. Ciò significa in realtà che l'ambiente socio-spaziale è in grado di generare fenomeni sociali. Ecco quindi che l'obiettivo dell'approccio ecologico è quello di trovare corrispondenze tra fenomeni sociali e ambiente. All'interno della città si individuano varie "aree naturali" con le rispettive caratteristiche dei gruppi sociali ivi residenti. 2L’approccio socio-psicologico invece parte dall'osservazione e dalla conseguente individuazione del "tipo urbano" e del "tipo rurale" (intesi come persone) con particolare attenzione agli aspetti relazionali e psicologici. Sempre secondo tale approccio, il diverso modo di aggregarsi e di socializzare nella città e nella campagna provoca due differenti modi di vivere. Il sociologo che per primo ha contribuito a evidenziare tali aspetti è G. Simmel.73 Simmel cercò anche di spiegare il perché della diversità riscontrata. Secondo questo autore, l'individuo urbano è sottoposto ad una quantità elevata di stimoli, dovuti soprattutto alla grande quantità di persone con le quali interagisce. Il cittadino, non potendo interagire concretamente con tutti quelli che incontra, finisce quindi per assumere uno stile di vita "blasé", ossia distaccato e con la tendenza a selezionare secondo la propria utilità le persone con cui venire a contatto. Tutto questo porta ad una attitudine al calcolo razionale ed insieme alla manipolazione. Ci sono poi due correnti all'interno di questo approccio: - i primi si possono definire come pro-urbani: in essi predomina l’ottimismo, essi sono considerati progressisti; 73Simmel G. La metropoli e la vita dello spirito Armando, Roma, 1995. 194 - i secondi invece si possono definire come pro-rurali: in essi predomina il pessimismo e sono considerati dei romantici. 3- L’approccio storico-istituzionale si concentra sul tipo di istituzioni che caratterizzano e differenziano città e campagna. Nel sistema rurale si ha un monismo istituzionale, cioè un unico assetto politico determinato dal consiglio degli anziani. Circa la fondazione della città abbiamo invece diversi punti di vista: - secondo Fustel de Coulanges74 l'origine della città è legata all'istituzione religiosa; l’esempio si ha quando la città nasce attorno al tempio: - secondo lo storico Pirenne,75 invece, l'origine della città sono il commercio, il mercato; - ci sono poi altri punti di vista che attribuiscono all'istituzione militare l'origine della città. Il sociologo Max Weber sarà colui che darà unitarietà a questi punti di vista differenti. Secondo lui la città è data dalla compresenza delle tre istituzioni viste prima: religiosa, economica e militare. Nella sua analisi Weber76 si riferisce ad una città storicamente ben determinata: si tratta dell'evoluzione della città occidentale dal medioevo ai nostri giorni. La città occidentale nasce quindi da una pluralità di istituzioni che si possono sintetizzare in mercato (istituzione economica), tempio (istituzione religiosa e culturale) e palazzo (istituzione amministrativa e militare). Tale pluralismo istituzionale si rivelò di fondamentale importanza nella storia evolutiva delle città in quanto fu il fattore principale che permise l'innovazione. Mentre il monismo istituzionale richiede la conformità dei cittadini ad un'unica istituzione e la mancata conformità comporta l'automatica esclusione ed emarginazione del "diverso", il pluralismo istituzionale concede ai cittadini più alternative di scelta. Come si afferma anche nel volume di F. Demarchi 74Fustel De Coulanges, M. D., La città antica, Sansoni, Firenze, 1972. 75Pirenne H., Le città del medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1995. 76Weber M., Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1962. 195 "Società e spazio"77, il regime urbano stimola il progresso, consente la dinamica, e spiega la dominanza della città sulla campagna. Questi tre differenti approcci della sociologia urbana si svilupparono attorno al 1920. Come si articolano e come si evolvono tali approcci? 1- Approccio ecologico. La definizione è stata data precedentemente. Nel corso degli anni '50 tale approccio si è a sua volta differenziato in tre filoni: a) L’approccio neo-ortodosso: mantiene l'impianto di fondo dell'approccio ecologico iniziale. Gli autori più importanti sono Hawley, Duncan, Quinn.78 b) L’approccio dell’analisi delle aree sociali. Autori come Shevky, Bell, Tryon, mettono da parte il fondamento della scuola di Chicago che ricercava corrispondenze tra aree naturali (cioè con facile comunicazione interna e difficile comunicazione esterna) e fenomeni sociali. E' questo ancor oggi il filone più robusto e moderno. c) L’approccio dell’ecologia culturale trova il suo maggior esponente in W. Firey79. Secondo l'approccio ecologico classico, esiste tra le classi sociali una vera e propria competizione per l'uso dello spazio, cosicché le classi sociali più elevate occupano le zone migliori. Per l'analisi ecologica classica la posizione funzionalmente più pregiata delle città è quella centrale. W. Firey contraddice questa teoria studiando la città di Boston, che presenta un centro che può essere considerato praticamente inabitato, in quanto in esso sono custodite memorie sociali e storiche quali monumenti e parchi. Ne deriva che non è solo il valore funzionale a determinare l'uso dello spazio, bensì anche il suo valore simbolico. 77Demarchi, F., Società e spazio, Istituto Superiore di Scienze Sociali, Trento, 1969. 78Hawley A. H., Human Ecology. A Theory of Community Structure, New York, Ronalds Press, 1950; Duncan O. D., Reiss A. J., Social Characteristics of Urban and Rural Communities, Jhon and Wiley and Sons, New York, 1956; Quinn J. A., Human Ecology New York, 1950. 79Firey W., Man, Mind and Land. A Theory of Resource Use, Free Press of Glencoe, Glencoe, 1960. 196 2- L'approccio socio-psicologico non ha avuto evoluzioni significative rispetto alle sue caratteristiche iniziali. 3- L'approccio storico-istituzionale si è invece diviso in due filoni: a) lo sviluppo struttural-funzionalista (Parsons); b) l’approccio conflittualista che consiste nell’applicazione alla realtà urbana della visione conflittualista che portava a sua volta a due diverse tendenze: - il tipo ortodosso (nel senso marxista): il conflitto non si pone a livello urbano ma a livello di classe sociale (imprenditori/operai); questa tendenza portava a non dare troppa importanza al conflitto urbano (si vedano in merito i lavori di H. Lefebvre;80 come anche "La città divisa"81 di L. Cavalli) - la posizione meno ortodossa: il conflitto urbano è un conflitto strutturale che si basa sull'idea di fabbrica e sulle economie esterne di agglomerazione riconducibili alla presenza di un certo numero di fabbriche in un determinato luogo circoscritto. Ecco allora che si può intendere la città come agglomerazione di individui e di attività, i cui benefici possono essere acquisiti da chi detiene il controllo dei suoli (proprietà o potere urbanistico); il conflitto si determina appunto tra chi controlla lo spazio urbano e chi si deve assoggettare a tale potere. Opere consultabili in merito a questo approccio quelle di M. Castells.82 Dibattito sull'opportunità di una specializzazione disciplinare che si occupi di "sociologia urbana" Per la verità alcuni di questi approcci allo studio della sociologia urbana non si sono sottratti a critiche e tentativi di abolire il termine di "sociologia urbana". Recentemente si ritiene ad esempio che la campagna dei paesi europei sia ormai di fatto urbanizzata, e quindi non avrebbe più senso parlare di sociologia urbana ma di sociologia in generale; altri 80Lefebvre H., Dal rurale all’urbano, Guaraldi, Rimini, 1973. 81Cavalli L., La città divisa. Sociologia del consenso e del conflitto in ambiente urbano, Giuffrè, Milano, 1965. 82Castells M. La questione urbana Marsilio, Padova, 1977. 197 preferirebbero analizzare il mutamento sociale, senza distinzioni tra città e campagna, ritenendo che tra le diverse realtà esista solo un diverso ritmo di un cambiamento che sostanzialmente è lo stesso. Alcuni sociologi hanno delineato una soluzione alla crisi della sociologia urbana puntando su un approccio sistemico basato sulla dimensione spaziale. Ecco allora che il termine più appropriato diviene quello di sociologia del territorio. Interessa cioè vedere come lo spazio condiziona la vita sociale, e come la vita sociale condiziona lo spazio. Se però si considera lo spazio come una costante e la società come una variabile, non potremo mai comparare i due termini così strutturalmente diversi. Occorre perciò considerare anche lo spazio come una variabile, e questo è possibile se poniamo attenzione alla: - peculiarità del sito (ciascun luogo ha cioè una propria specificità: clima, fertilità, ...); - frizione della distanza: l'accessibilità a ciascun luogo è diversa, e dipende dalla tecnologia dei mezzi di trasporto per le merci, le persone e le comunicazioni; più bassa è la frizione della distanza, meno importante diventa la peculiarità del luogo; - concentrazione dello spazio: al di là delle rappresentazioni tradizionali del territorio - che potremmo chiamare naturalistiche, anche se sono sempre frutto di una prospettiva antropocentrica - si deve fare attenzione a quelle che sono le effettive condizioni di accessibilità e di centralità dei diversi luoghi. La via percorsa dalla sociologia urbana per recuperare una sua identità come approccio, è il recupero della dimensione spaziale. Sviluppi recenti Attualmente nell'organizzazione della sociologia urbana e del territorio ci sono due tendenze: - l’ecologia sociale che intende studiare la dimensione spaziale (rapporto spazio/società); - la sociologia urbana regionale: si limita allo studio delle aree di sviluppo; 198 Metodi di ricerca della sociologia urbana Il metodo usato solitamente dalla sociologia urbana è quello dello "studio di comunità". Intendendo per comunità la collettività insediata all'interno di un territorio ben delimitato, è chiaro come per studi di comunità si intendano studi interessanti una città, un quartiere, o un'area più vasta. Si tratta comunque sempre di una metodologia di studio orientata alla singola comunità, al caso singolo, e basata sulla cd "osservazione partecipante", fatta cioè attraverso interviste, questionari, analisi della stampa o degli statuti locali. Perché nascono gli studi di comunità? Perché si voleva emancipare la sociologia dalle grandi teorizzazioni ottocentesche. Studiare la comunità consente di avere un oggetto concreto e quindi consente l'analisi empirica. Nello stesso tempo, non si perde il rapporto parte-tutto: come cioè il vivere entro una collettività influenzi il modo di comportarsi dei singoli individui. Limiti dello studio di comunità Lo studio di comunità possiede alcune caratteristiche: 1) l’impossibilità della generalizzazione. Nonostante vari tentativi basati sull'inferenza o sull'analisi di "casi tipici", ancor oggi lo studio di comunità rimane uno studio non generalizzabile. 2) è uno studio di realtà medio/piccole e non di quelle più estese. Studiando le realtà medio/piccole si comprendono i fenomeni sociali in ritardo, in quanto questi si verificano anzitutto nelle grandi metropoli e solo in seguito di diffondono anche ai centri minori. 3) E’ lo studio della comunità che non può essere condotto come se essa fosse isolata dal contesto. E' di fatto impossibile oggi formulare teorie sociali a partire dalle singole comunità. Verso gli anni '60 questo metodo degli studi di comunità era molto usato, ma a partire da quegli anni è decaduto. Ultimamente c'è stata una parziale ripresa di alcuni aspetti del metodo, in quanto ci si é accorti che per capire determinati fenomeni e realtà sociali spesso è necessario 199 partire dal basso, dai piccoli centri, interagendo con i singoli individui. Tipologie di "studi di comunità" Abbiamo tre tipi di "studi di comunità": 1) ecologico urbano; 2) antropologia culturale; 3) strutturalista. 1) L’approccio ecologico-urbano per lo studio di comunità si sviluppa a partire dalla scuola di Chicago. E' caratterizzato per l'attenzione nei confronti della distribuzione, all'interno della città, dei fenomeni sociali. Non usa una prospettiva complessiva ma seleziona pochi aspetti della società urbana, uno dei quali ad esempio è la devianza. Si tratta quindi di studi specifici e non globali.83 2) L’approccio antropologico-culturale si ispira appunto all'antropologia culturale, la quale è una disciplina che si occupa delle società pre-industriali, cosiddette "primitive". Questo metodo studia le società urbane come un tutto, prediligendo magari meno gli aspetti geografici per cogliere l'essenza di tutta una comunità.84 3) Il metodo strutturalista opera una sintesi dei due precedenti, ponendo l'attenzione sugli aspetti localizzativi, ma anche sulla totalità della comunità. Il termine strutturalista sta ad indicare che la comunità è concepita come struttura essenziale della vita sociale.85 Esempi di ricerca W. Zorbaugh, "The Gold Coast and the slum" (1929). 83Zorbaugh H., The Gold Coast and the Slum. A Sociological Study of Chicago’s near north Side, University of Chicago Press, Chicago, 1929. 84 Lynd R.S., Lynd H. M., Middletown. A Study in Contemporary American Culture Harcourt, Brace, New York, 1925. 85 Warner L., Yankee City, Yale University Press, New Hawen, 1962 (ed or. 1935). 200 Viene studiato un particolare quartiere della città di Chicago con 90 mila abitanti. Si vuole vedere se ci sono delle caratterizzazioni ambientali che corrispondono ai tipi sociali che abitano questa zona, cioè se esiste una corrispondenza tra aree naturali e vita sociale. Zorbaugh osserva come all'interno del quartiere esistano vari mondi sociali, e tenta quindi di scomporre il quartiere stesso in settori attraverso il metodo dell'osservazione partecipante. Riesce così ad identificare 6 settori: 1- Gold Coast: zona vicino al lago dove stanno le classi più agiate e dove si vive meglio. E' abitata da persone con una mentalità cosmopolita, che viaggiano molto e quindi hanno un debole legame sociale; unica occasione di incontro è il "social register", l'albo delle persone per bene della città che trovano così l'occasione di scambiarsi inviti e frequentarsi. Esiste poi una vera lotta per entrare in questo registro, specialmente da parte dei nuovi ricchi. Nei confronti dell'esterno l'ambiente è chiuso. 2- Zona delle camere ammobiliate: inizialmente abitata da ricchi aristocratici, ma al tempo della ricerca non più. E' stata adibita ad area con camere in affitto, all'interno della quale c'era una notevole mobilità. Vivono qui conviventi illegali e le persone marginali della comunità; è l'area con il maggior numero di suicidi, dovuti ad una sostanziale carenza relazionale. 3- Towerton: quartiere degli artisti e dei bohemien; vivono qui artisti caratterizzati da modelli di vita anticonformisti specialmente dal punto di vista sessuale (omosessuali). Diffusa la devianza sessuale. 4- North Clark Street: è la via dei grandi negozi, cinema, teatri. Era la zona viva del centro è qui si trovano coloro che vogliono mescolarsi, mantenere l'anonimato (drogati, prostitute, ricercati...). 5- Slum: in quest'area ci sono due tipi di abitazioni: le case degli immigrati e le camere in affitto per i poveracci. All'interno di quest'area convivono 28 nazionalità diverse, si è sviluppata una cultura cosmopolita , poliglotta e si è avuta una forte riduzione della distanza sociale, ossia della difficoltà ad intrattenere relazioni e rapporti sociali positivi. Si ha inoltre, all'interno di questa area, una assenza del senso 201 di responsabilità verso le istituzioni che non vengono di fatto legittimate. Tre sono le categorie di persone che si possono trovare nello slum: vagabondi, immigrati recenti, bande giovanili formate dai figli degli immigrati. 6- Little Sicily o Little Italy. E' un'area di immigrati siciliani. Si distingue dalle altre in quanto è un'area dove gli abitanti sono molto "attaccati" ai propri costumi tradizionali e questo determina anche una forte intolleranza etnica. Si mantiene il dialetto di origine, si mantengono i costumi familiari e sessuali di origine, si riproducono le lotte che c'erano al paese d'origine. L'ultima parte del lavoro di Zorbaugh è dedicata ad un'analisi dei servizi sociali: occorre migliorare le condizioni di vita di queste aree e non limitarsi ad accettare la loro vita (ciò che facevano gli assistenti sociali). Che considerazioni si possono trarre dal lavoro di Zorbaugh? - essa conferma le ipotesi dell'approccio ecologico per quanto riguarda il fenomeno della successione - la mobilità e basso senso di appartenenza alla comunità - la relazione tra struttura individualista (camere in affitto) e tasso di suicidio - l’effetto di disorientamento subito dalla seconda generazione di immigrati - viene però messa in crisi la stretta corrispondenza, supposta dall'approccio ecologico, tra aree naturali e aree sociali. I coniugi Lynd, "Middletown", 1925 Robert Lynd, pastore protestante, è interessato allo studio dei fenomeni religiosi. Individua così Muncie, sua città d'origine, come area di studio. Capisce però che non è possibile studiare il fenomeno religioso se non si studia l'intera vita sociale della città. Questa diventa quindi l'oggetto 202 della sua indagine, intesa però in modo totalizzante, secondo una prospettiva di antropologia culturale. Utilizzando le 6 aree tematiche proposte da Wissler: - guadagnarsi da vivere - farsi la casa - educare i figli - impiegare il tempo libero - impegnarsi in pratiche religiose - impegnarsi in pratiche comunitarie Lynd studia la vita sociale della città di Muncie (Indiana). Per condurre uno studio del genere egli osserva che in teoria sono possibili più metodi: - Osservazione partecipante che si avvale di interviste e questionari, perché si accorge che la realtà urbana non è ben tradotta e sintetizzata dalle statistiche. - Analisi funzionalista della realtà sociale della città: si scopre come le istituzioni, le associazioni e il senso di appartenenza sono tutte funzionali al successo, mascherato da una certa solidarietà associativa; persiste quindi un forte individualismo. - Viene poi messo in evidenza il passaggio da un'etica del risparmio ad un'etica del consumo, passaggio che ha caratterizzato un po' ovunque la transizione dal primo al secondo capitalismo. Nel 1935, dieci anni dopo il primo lavoro, Lynd torna a Muncie per cogliere eventuali cambiamenti dovuti alla crisi economica del '29. Ed in realtà trova che una famiglia di industriali dominava la vita politica e religiosa della città; e questo confermava la teoria marxista secondo la quale politica e religione altro non sono che sovrastrutture della struttura economica. Come mai nella prima ricerca non si era scoperta la dominanza della famiglia x. Si può rispondere che nel frattempo Lynd ha approfondito, in Europa, la conoscenza di Marx. Ne consegue, allora, che non c'è ricerca sociologica obiettiva, perché l'interpretazione dei fatti dipende dal punto di vista del ricercatore. Si possono però fare alcune altre considerazioni: - accanto alla famiglia x c'era la famiglia y, altrettanto potente della prima. La famiglia x seguiva lo stile del secondo 203 capitalismo (finanziare associazioni) mentre la famiglia y, dedita al risparmio, all'accumulazione, seguiva lo stile del primo capitalismo. Ciò costava alla famiglia y in termini di influenza sociale: da ciò si deduce che non è il potere economico che stabilisce l'influenza sociale, ma la cultura economica: - è probabile che sia stata la crisi economica del '29 a far emergere l'importanza della famiglia x, e non il fatto che Lynd abbia letto Marx. - nella seconda analisi (1935) Lynd individua 5 classi sociali all'interno della città: l'adesione a una impostazione marxista avrebbe richiesto il mantenimento della dicotomia iniziale, e non l'ampliamento delle classi. In questa sua seconda ricerca Lynd notò poi altri cambiamenti: una maggiore tolleranza verso sessualità e religione, una maggiore intolleranza in termini politico-economici; la crisi del '29 ha poi segnato una maggiore distanza tra le classi (è stata più sentita dalle classi povere), ma ciò non toglie che la classe lavoratrice adotti come gruppo di riferimento la classe più abbiente; è inoltre aumentata l'ostilità tra i gruppi etnici. Nonostante questi cambiamenti, però, lo spirito di fondo di Middletown (lo pseudonimo sta a indicare che si vuole rappresentare la realtà di una tipica città media), è rimasto lo stesso. 204 Donald J. Bogue. La struttura della comunità metropolitana Il lavoro di Donald Bogue è da considerare come continuazione concettuale e metodologica della scuola ecologica di Chicago, quale area di ricerca volta ad evidenziare „i legami che, in base all‘ipotesi ecologica, riguardano la struttura ed il funzionamento della comunità e dell‘intercomunità“. D. Bogue, che ha poi continuato la sua ricerca prevalentemente nell‘ambito degli aspetti demografici della struttura e della dinamica sociale, ritiene che la prospettiva dell‘ecologia umana, con il suo fondamento biologico, debba „misurare gli standard della conoscenza che ogni scienza sottoscrive, quale promessa per un eventuale corpo teorico capace di legare la scienza sociale con le altre scienze, elemento basilare per ogni ricerca della scienza sociale. In tal modo – continua Bogue – l‘ecologista è un simbiotico e non un predatore nella comunità delle scienze sociali“.86 L‘ampio lavoro di Bogue intende esplorare l‘affermazione iniziale secondo la quale „le grandi città, o metropoli, dominano l‘organizzazione sociale ed economica delle società tecnologicamente avanzate“.87 E, per verificare una simile ipotesi, vengono analizzati quegli aspetti dell‘organizzazione umana che riguardano la distribuzione della popolazione nello spazio, i tipi di attività legate al reddito. Le grandi città o metropoli divengono punto focale di una più vasta entità fisica con un modello ed una struttura definiti.88 La città occidentale moderna appare come una realtà centrale e prioritaria, una realtà che esprime una forte interdipendenza fra i suoi elementi. E‘ la grande varietà delle città a porre il problema della interpretazione del fenomeno urbano. L‘ipotesi del dominio metropolitano cerca di uscire dalla 86 Bogue, D.J., The Structure of the Metropolitan Community. A Study of Dominance and Subdominance, University of Michigan, Chicago 1948 (Tesi di Doctor of Philosophy), p. IV. 87 Ididem p. 1. 88 Ibidem, p.2. 205 difficoltà che sorgono se si pensa che ogni fenomeno urbano abbia la sua caratteristica ed una singolarità specifica e unica. L‘ipotesi che si formula è invece quella secondo la quale vi è invece una interdipendenza urbana. Le città vengono allora classificate „secondo le funzioni che esse esplicano e secondo la loro relativa abilità a „dominare“ le altre città ed il territorio che le circondano“.89 Di conseguenza si parla di una dicotomia fra „centri metropolitani“ e „città dell‘hinterland“. La metropoli viene considerata quella che, oltre alla grandezza, è anche la più complessa e la più distante dalla città media. Oltre che sviluppare la dipendenza dai produttori agricoli che vi vedono il grande mercato di riferimento, la metropoli è il focus della vita morale, intellettuale, un mercato dei beni più diversi, il focus della finanza, del progresso delle arti e della scienza, dell‘informazione, dei mutamenti delle filosofie e della religione e nel far emergere nuovi valori.90 E‘ in base alla concezione della città come „organismo“ che Bogue chiama la città community (ricordando The Metropolitan Community di R.D. McKenzie.91 E l‘argomentazione viene rafforzata dagli studi sugli aspetti economici della metropoli che ne evidenziano il ruolo funzionale dominante all‘interno del quadro di interrelazione, insomma la centralità di un organismo che riunisce e fa vivere la realtà urbana come realtà organica nella quale risulta evidente la gerarchia funzionale, proprio come accade nell‘organismo biologico. Il lavoro di D. J. Bogue analizza i seguenti settori al fine di verificare il modello di dominanza e sottodominanza urbana: - la struttura della popolazione delle comunità metropolitane (distanza dalla metropoli – settori definiti dalle linee direttrici secondo le quali si organizzano i settori territoriali – tipi di metropoli secondo le connotazioni demografiche – le città dell‘Hinterland secondo la dimensione demografica – ambiente fisico e comunità 89 Ibidem p.10. Ibidem p. 11-12. 91 R.D. McKenzie, The Field and Problem of Demography, Human Geography, and Human Ecology, New York, Lang and Smith 1934. 90 206 metropolitana) la struttura delle attività di sostentamento nelle Metropolitan Communities (le quattro principali attività: commercio, servizi, vendita complessiva ed attività manifatturiera) Il contributo di D. J. Bogue, oltre ad estendere la teoria sociologica e metodologia della Scuola di Chicago alla moderna realtà metropolitana nord americana, rappresenta un notevole contributo all‘analisi urbana con un apparato interessante di analisi quantitativa. Credo che uno dei contributi più interessanti di questo percorso della Scuola di Chicago, al di là delle opere celebri che citiamo nel capitolo specifico, sia l‘introduzione al volume Contributions to Urban Sociology (a cura di E.W. Burgess e D.J. Bogue) dal titolo „Research in Urban Society: A Long View“92, nella quale si ricostruisce in modo inusualmente completo il contributo della Scuola di Chicago. 92 Burgess, E.W., Bogue, D.J., Contributions to Urban Sociology (a cura di) dal titolo „Research in Urban Society: A Long View“, hicago – London, The University of Chicago Press 1964. 207 L. Warner, "Yankee City", (1935-1959) Tale ricerca riguarda Newburysport, una cittadina di origine seicentesca (1600) con 17 mila abitanti situata sulla costa atlantica. La popolazione ivi residente è stata fortemente influenzata da fenomeni migratori: il 45% è costituito infatti da popolazione immigrata, mentre il restante 55% è rappresento dagli yankee, nativi del posto. I risultati di questa monumentale ricerca, condotta grazie a un’équipe di collaboratori per un lungo arco di anni, sono raccolti in sei volumi, di cui il il 1° volume descrive la comunità; i l 2° volume descrive il sistema di stratificazione; il 3° volume analizza i gruppi etnici; il 4° volume prende in considerazione l’attività economica e l’industria in particolare; il 5° volume studia il comportamento simbolico. Prendiamo rapidamente in esame alcuni di essi. Nel 2° volume troviamo l’analisi del sistema di stratificazione. Warner, nel descrivere il sistema di stratificazione delle classi sociali, si distacca dal metodo classico europeo che consiste nello stratificare in rapporto alla posizione nei rapporti di lavoro. Afferma invece che la stratificazione si misura in base alla ricompense sociali di cui uno gode in virtù della sua posizione. Viene proposto quindi il concetto di status socio-economico. I criteri da lui utilizzati per misurare lo status socioeconomico sono: - il reddito (elementi economici) - la professione (prestigio sociale) - il tipo di casa - la zona di residenza Warner propone quindi una tipologia di criteri di stratificazione basata su due dimensioni: 208 - il grado di apertura dei sistemi di stratificazione (sistemi chiusi/aperti); - il grado di segmentarietà o inclusività della gerarchia sociale (la gerarchia sociale può essere unica, dominata da un solo criterio, oppure può essere molteplice, cosicché uno stesso individuo può occupare posizioni diverse in diverse scale gerarchiche): grado di apertura sistemi chiusi inclusività grado di segmentarietà ruoli di fabbrica caste sistemi aperti ruoli associativi sistema delle classi USA - sistemi chiusi (casta) = impossibilità di mobilità sociale verticale; - sistemi aperti = facilità di mobilità sociale ESEMPIO. La società americana è quella che permette una maggiore mobilità sociale, mentre la società europea è in questo senso più tradizionale e scarica sui figli l'eredità paterna. Warner riesce ad identificare 6 classi all'interno della comunità: pesi demografici 1) Superiore-superiore (SS) 1,4% 2) Superiore-inferiore (SI) 1,5% 3) Media-superiore (MS) 10% 4) Media-inferiore (MI) 28% 5) Inferiore-superiore (IS) 33% 6) Inferiore-inferiore (II) 25% SS: classe degli imprenditori aristocratici; si distingue dalla classe SI per la sua capacità di influenzare lo stile di vita; 209 SI: nuovi ricchi, che hanno raggiunto da poco la ricchezza; MS: professionisti, managers, imprenditori; MI: tecnici, impiegati, piccoli imprenditori; IS: commercianti, artigiani, operai qualificati; II: lavoratori non qualificati, immigrati; Non è però esatto rappresentare una situazione di questo tipo con uno schema piramidale, perché le posizioni più basse tendono ad essere minoritarie rispetto a quelle intermedie. Le classi superiori si caratterizzano per l'elevata endogamia e per l'elevato grado di ritualismo (importanza degli aspetti formali); le classi inferiori presentano un'elevata criminalità (a tal proposito Warner scopre che la polizia si comporta in modo diverso a seconda di chi compie l'atto deviante: la devianza dei ceti medi è registrata meno di quella dei ceti inferiori). Analizzando il pattern di spesa delle singole classi, Warner arriva poi a delle interessanti conclusioni: - in proporzione, maggiore è il reddito minore è la parte di questo che viene destinata per consumi alimentari e beni di prima necessità; - SS: spese elevate per viaggi d'affari e beneficenza. SI: spese maggiori per consumo ostentativo (case, viaggi piacere, sport). IS: spese maggiori per ciò che può manifestare una forte tendenza al successo (istruzione, traslochi). II: spende solo per consumo obbligatorio (bilancio familiare fortemente vincolato). Warner ha poi studiato la presenza delle varie classi nelle realtà associative, registrando una massiccia presenza nell'associazionismo delle classi elevate: SS 23% SI 35% MS 72% MI 89% IS 78% II 59% 210 L'associazionismo è un modo di aggregarsi in base ad interessi comuni, più che non con l'intento di sostituire il rapporto primario comunitario (=punto di vista funzionalista). 3° VOLUME: gruppi etnici Quello dei gruppi etnici è un problema fortemente presente in realtà sociali come quella americana, costituite da una pluralità di etnie immigrate. Quale apporto dà in tal senso tale ricerca? Cerca di delineare un processo di integrazione degli immigrati in base: - alle fasi del processo di immigrazione; - ai fattori di ritardo e accelerazione dell'integrazione stessa; Nella comunità ci sono: - immigrati adulti (> 18 anni) - immigrati giovani (figli di immigrati) - successive generazioni; Per quanto riguarda i gruppi etnici nella comunità studiata c'erano: yankee (del posto), irlandesi, franco-canadesi, ebrei, italiani, armeni, greci (provenienti da zone urbane), polacchi (provenienti da zone profondamente rurali), russi. 1) Fasi del processo di immigrazione, considerate facendo riferimento a due livelli: livello insediativo, livello sociale. Quando un gruppo etnico arriva, come e dove si insedia? a) Livello insediativo 1° FASE: insediamento disperso nella zona 1 (zona est meno bella della ovest); 2° FASE: consolidamento residenziale. Concentrazione nella zona 1 in quanto, nel momento in cui un'etnia 211 raggiunge un certo numero di unità immigrate, questa tende a compattarsi e formare nuclei ben precisi all'interno del nuovo territorio. 3° FASE: dispersione per nuclei verso la zona 2 (migliore della 1). La dispersione, che inizia per nuclei verso la zona 2, continua poi verso le zone migliori. b) Parallelamente al livello insediativo si sviluppano delle fasi anche a livello sociale: 1° FASE: assenza di organizzazione di gruppo; 2° FASE: strutturazione della comunità (ci si concentra perché si vuole stare assieme per vivere meglio); processo di strutturazione: - negozio: vende la merce tipica della patria d'origine; - associazione informale: nascono reti di relazioni informali per parlare dei problemi del gruppo; - chiesa: praticare i propri credo religiosi; - scuola: mantenere i valori tradizionali e la cultura d'origine; - associazione formale: gli italiani sentono di più le associazioni regionali; 3° FASE: Strutture associative. Servono per mantenere il legame con le persone che sono ormai inserite e che si spostano per nuclei nelle varie zone. Per quanto riguarda il rapporto con la struttura occupazionale, quando arriva un nuovo gruppo, questo tende a spingere verso l'alto, all'interno della gerarchia sociale, i gruppi che già c'erano, e tende a ripercorrere a sua volta la storia del gruppo che lo precede allorché arriveranno gruppi successivi. Ci sono diverse teorie riguardo al rapporto stratificazione sociale/dimensione etnica. Vi è un primo modello che può essere rappresentato graficamente secondo queste teorie il pregiudizio etnico serve per mascherare interessi di classe e si sviluppa in un modo ben preciso. 212 A) Un altro modello, che trova conferma nell'analisi di Warner, è invece B) la stratificazione relativa agli immigrati Se cioè arriva un nuovo gruppo, mano a mano che questo si integra, all'interno della società di immigrati si riproduce la stratificazione. In questo modo si pone in rilievo il discriminante etnico. Warner prende quindi in considerazione i fattori che ritardano e accelerano l'integrazione degli immigrati. Fattori di ritardo: - intenzione originaria circa la durata dell'immigrazione; - struttura familiare e peso della famiglia nell'attribuzione dello status e del ruolo familiare. - ordine di arrivo nella cittadina (secondo Warner il primo che arriva trova > difficoltà ad integrarsi rispetto agli ultimi); - ampiezza del gruppo (più il gruppo è grande, più è sentito come una minaccia da parte degli autoctoni e quindi maggiore fatica farà ad integrarsi); - prossimità alla terra d'origine (se è facile ritornare in patria c'è più resistenza a stabilire rapporti duraturi e quindi ad integrarsi); Fattori di accelerazione sono: - la somiglianza tra società del gruppo etnico immigrato e la società ospitante; 213 Teoria della "distanza culturale" (Warner). Questa teoria afferma che maggiore è la distanza culturale tra società di immigrati e società che li ospita, maggiore sarà la difficoltà di integrazione. Arriverà però un momento in cui si giungerà all'integrazione completa. Warner sottopone tale teoria a controllo empirico. Le ipotesi sono le seguenti: - le differenze culturali e razziali producono più forti sottosistemi sociali (etnici) e più lungo è il periodo di assimilazione. Per verificare queste ipotesi Warner si serve di: - indicatori di subordinazione: zona di residenza, pregiudizio per l'entrata in associazioni, mobilità verticale; - indicatori che evidenziano i sottosistemi di strutturazione: potere della Chiesa, scuola,, presenza di associazioni etniche formali, unità politiche ed economiche del gruppo; - indicatori per il tempo dell'integrazione: quanto impiega un gruppo etnico a sparire, quota di appartenenti al gruppo, inserimento nella società locale. Servendosi di tali indicatori, Warner arriva a veder confermata la propria ipotesi iniziale. Ipotesi che, tra l'altro, è stata oggetto di attenzione anche da parte di due sociologi italiani: F. Alberoni e G. Baglioni.93 Interessati al problema dell'immigrazione, le loro ricerche notarono che, nonostante la grande differenza tra nord e sud d'Italia, l'integrazione da parte dei meridionali è stata quasi immediata. Hanno lanciato allora un'ipotesi alternativa: la socializzazione anticipatoria. Attraverso la TV, diffusasi proprio a partire dagli anni '60, la popolazione meridionale aveva modo di vedere i modelli di consumo del nord benestante; questo provocò in loro un sentimento di inadeguatezza anomizzante (nel senso che creava distacco). Quindi, emigrando, arrivarono al Nord avendo avuto già modo di conoscere questa cultura ed 93Alberoni F., Baglioni G., Elementi per una tipologia delle emigrazioni italiane esterne, Vita e Pensiero, Milano, 1963. 214 essendosi già psicologicamente distaccati nella progettualità psicologicosociale dalla loro cultura d'origine. Questa teoria, nell'idea di F. Alberoni, voleva contrapporsi a quella di Warner. In realtà però si dimostrò che il fenomeno della socializzazione anticipatoria era possibile solo in casi particolari, come quello italiano appunto, dove non esistevano tra Nord e Sud diversità linguistiche. Quindi l'ipotesi di Alberoni, che si poneva come alternativa a quella di Warner, ne diventa complementare. 4° VOLUME: Relazioni industriali Viene qui studiato il rapporto che si stabilisce tra comunità locale e sistema interno, in termini di rapporti industriali. Si evidenziano, in particolare, le ragioni per le quali, per la prima volta, si era avuto uno sciopero. Queste sono da collegarsi al mutamento nella tipologia di lavoro dell'operaio. Inizialmente esso controllava il prodotto dal suo nascere al suo uscire dalla fabbrica; poi, col lavoro in serie e l'introduzione delle macchine, all'operaio viene affidata solo una particolare mansione. Questo ha livellato e schiacciato verso il basso la categoria dei lavoratori, rendendo così più teso e difficile il rapporto tra base e gerarchia. Inoltre, è da considerarsi anche il rapporto economia locale/economia esterna: finché il proprietario delle unità economiche era del posto, il suo rapporto con i dipendenti era più facile. Altro fattore alla base dello sciopero è la connessione in reti associative da parte sia dei lavoratori, sia degli imprenditori. Ricerche sulla cultura autoritaria Tutti gli studi di comunità esaminati riguardano l'America. In Europa si inizia col dopoguerra. Ci sono alcune ricerche di comunità condotte in Germania e in Italia, su ispirazione dell'Unesco, per cercare di capire la cultura autoritaria. 215 Nel 1952 R. Mayntz94 conduce una ricerca sulla cittadina tedesca di Euskirchen (18.000 abit.) riproducendo l'indagine su Yankee City. Si tratta di una ricerca specifica sulla cultura autoritaria degna di essere ricordata, una ricerca che applica al territorio le ipotesi della più celebre ricerca nordamericana. 94Mayntz R., Soziale Schichtung und sozialer Wandel in einer industriegemeinde, eine soziologische Untersuchung der Stadt Euskirchen, Stuttgart, 1958. 216 Jean Gottmann: Megalopolis. The Urbanized Northeastern Seaboard of the United States95 Frutto di vent’anni di lavoro, l’opera di J. Gottmann parte dall’assunto che ciò che egli chiama appunto Megalopoli sia l’inizio di un nuovo ordinamento urbano che, nelle conclusioni viene definito come Novus ordo saeculorum (seclorum), overo New Order of Ages. L’area ricompresa tra il Southern New Hampshire, il Nord della Virginia, fra la costa dell’Atlantico e le colline che sono ai piedi degli Appalachi, per la concentrazione demografica e per la supremazia negli ambiti: politico, economico e culturale, “non ha paragoni al mondo” con aree di questa dimensione96 Si tratta di una grande area con propria identità, che supera gli stati (alcuni ne sono ricompresi, un’area che, riprendendo la denominazione greca per l’area del Peloponneso che progettava di divenire grande fenomeno urbano, cioè Megalopoli. L’area oggetto dello studio di Gottmann traduce in realtà questo sogno. L’area di Megalopoli ha una struttura analoga ad una nebulosa ed è l’arteria principale, il carrfour della nazione americana ed è il laboratorio della crescita urbana. Le dinamiche dell’urbanizzazione che hanno costituito Megalopoli riguardano non solo l’esplosione demografica, bensì anche le caratteristiche territoriali che hanno favorito e guidato lo sviluppo, le dinamiche economiche provenienti dal continente, la crescita urbana, lo sviluppo dei centri urbani e lo scadere dei suburbi. Nella seconda parte del volume, Gottman analizza la “grande rivoluzione nell’utilizzazione del territorio” avvenuta in Megalopoli. Spostamenti per lavoro, ma anche per tante altre necessità, introducono e sono gestiti secondo nuove regole dei consumi dei beni e dello spazio. La nuova realtà urbana divora non solo beni ma anche tempo e spazio 95 Gottmann, J., Megalopolis. The Urbanized Northeastern Seaboard of the United States, Cambridge Massachusset, The M.I.T. Press 1965 (prima edizione 1961). 96 Ibidem, p. 3. 217 dedicato ai vari movimenti cui è costretta la popolazione. Gottmann ricorda, in proposito, il detto di Montesquieu, secondo il quale: E’ la natura del commercio a rendere utile il superfluo e l’utile necessario”.97 La vita diviene intensa, come intensa, più ancora della popolazione, diviene la concentrazione e la varietà di attività. Megalopoli sembra essere un’area urbana con medie di reddito, educazione, servizi e opportunità fra le migliori del mondo. Restano, tuttavia, aperti dei problemi, come il rapporto fra urbanizzazione ed ambiente, abitare nella dimensione urbana e libertà. Nonostante i problemi, Gottmann ritiene che Megalopoli rappresenti non solo una realtà urbana straordinaria ma anche il modello al quale si possono riferire i futuri sviluppi urbani: New Order of Ages, il Novus Ordo saeculorum.98 97 98 Ibidem p. 11. Ibidem p. 770. 218 Problemi e aspetti particolari messi in luce dalle ricerche La formazione degli "slums" L'architettura prima, e la sociologia poi, si sono molto interessate ai fenomeni e ai processi di degrado. Ma perché si formano gli "slums"? Varie teorie cercano di spiegarlo: 1^ teoria: età della casa La diffusione dell'automobile ha abbassato i costi di trasporto. Ciò comporta una minore domanda di case centrali e vecchie, in quanto se i costi di trasporto diminuiscono, la distanza dal centro perde importanza come fattore localizzativo. Inoltre, l'avvento dell'automobile rende più congestionato il centro, quindi c'è più convenienza a spostarsi intorno alla periferia (trasporto circolare) che non verso il centro (trasporto radiale). Ciò implica minore o nulla propensione alla ristrutturazione degli edifici del centro, quindi deterioramento e formazione degli slums. Nella realtà, entrambe queste teorie sono state però in parte smentite: - non sempre è vero che le case sono di pessima qualità soltanto perché sono vecchie; il prezzo delle case, anche vecchie, in realtà non è diminuito in quanto la localizzazione urbana è andata assumendo un'importanza sempre maggiore. Anche se l'avvento dell'automobile ha portato ad uno spostamento verso l'esterno, il centro non è diventato periferia, bensì è rimasto centro di un'area più grande. Di conseguenza nel costo delle case c'è convenienza rispetto a prima, ma non in assoluto. 2 teoria 2a teoria: costi di trasporto. 219 inquilini a basso reddito Automobile (-) costi di trasporto (-) domanda di case centrali e vecchie (-) prezzo di case centrali e vecchie inoltre (-) reddito (-) investimenti deterioramento automobile formazione slum (+) congestione del centro (+) convenienza al trasporto circolare più che al trasporto radiale convenienza a ristrutturare il centro spostamento del mercato fuori dal centro La diffusione dell'automobile ha abbassato i costi di trasporto. Ciò comporta una minore domanda di case centrali e vecchie, in quanto se i costi di trasporto diminuiscono, la distanza dal centro perde importanza come fattore localizzativo. Inoltre, l'avvento dell'automobile rende più congestionato il centro, quindi c'è più convenienza a spostarsi intorno alla periferia (trasporto circolare) che non verso il centro (trasporto radiale). Ciò implica minore o nulla propensione alla ristrutturazione degli edifici del centro, quindi deterioramento e formazione degli slums. Nella realtà, entrambe queste teorie sono state però in parte smentite: - non sempre è vero che le case sono di pessima qualità soltanto perché sono vecchie; 220 - il prezzo delle case, anche vecchie, in realtà non è diminuito in quanto la localizzazione urbana è andata assumendo un'importanza sempre maggiore. Anche se l'avvento dell'automobile ha portato ad uno spostamento verso l'esterno, il centro non è diventato periferia, bensì è rimasto centro di un'area più grande. Di conseguenza nel costo delle case c'è convenienza rispetto a prima, ma non in assoluto. 3° teoria: fattori di modificazione del mercato. Ed in particolare l'introduzione di tasse e nuove imposte, oltre al blocco degli affitti. a) Per quanto riguarda tasse e imposte, negli USA gli enti locali vengono finanziati dall'imposizione sugli immobili: - si paga in base al valore iniziale del patrimonio (casa). Quindi, in questo senso, il valore della casa è fisso e non dipende dal reddito; - la casa decresce di valore ma l'imposizione è quella iniziale. Negli USA esiste quindi il fenomeno dell'abbandono della proprietà (= abbandono la casa per non continuare a pagare una tassa inadeguata alla qualità della casa ormai vecchia. b) Per quanto riguarda il blocco degli affitti, c'è da dire che il prezzo d'affitto rimane invariato nel corso degli anni, e quindi il proprietario della casa ha un reddito sempre meno adeguato per apportare le opportune manutenzioni. Tutte queste teorie, 1, 2, 3, presentano però un difetto: esse puntano l'attenzione sui proprietari, i quali per vari motivi, non sono più in grado di far manutenzione alla casa, la quale così si deteriora fino ad arrivare agli slums. 4° teoria Una teoria alternativa è stata elaborata da Muth. Essa punta l'attenzione sulla domanda. Non esiste quindi più relazione tra età della casa e sua qualità: le case di bassa qualità esistono perché c'è gente che le domanda, fossero esse vecchie o nuove. 221 Conclusioni: i processi di rinnovo urbano che vengono suggeriti a livello politico per migliorare la condizione degli slums, non fanno altro che peggiorare la situazione. Il rinnovo urbano, infatti, elimina l'offerta di case di bassa qualità, quindi peggiora la situazione di chi non può permettersi di più. Tutto ciò non si verificherebbe se le casestandard, dopo il rinnovo, venissero offerte allo stesso prezzo delle case di bassa qualità. Valore della casa Per la classe bassa la casa è solo strumentale, mentre per le classi medio-alte, questa assume un valore simbolico di status. Per chi ci vive, la situazione non è poi così negativa: la casa di città è comunque sempre migliore delle case rurali di provenienza. E' quindi opportuno migliorare le condizioni della casa, purché si tenga conto della strumentalità di questa e dei vincoli reddituali ad essa collegati. La casa poi non deve essere motivo di disunione, divisione in una comunità, ma deve modellarsi alla vita e alle esigenze della comunità stessa. Ma come si svolgono i processi di rinnovo urbano? Privati (grandi imprese) - si suddivide la città in blocchi - con un anticipo di 20-30-50 anni si stabilisce quale blocco rinnovare - le grandi imprese iniziano quindi ad acquistare delle case in quel blocco - quando tutte le case sono state acquistate, si demolisce tutto e si ricostruisce da zero. Pubblico - deve ricorrere al mezzo dell'esproprio La segregazione residenziale Perché si forma? Negli Usa avviene specialmente tra bianchi e neri. 222 TEORIA 1: sarebbero i proprietari a determinare discriminazione, accettando o meno gli inquilini bianchi o neri. Questa asserzione è però un po' troppo vaga, in quanto il fenomeno si registra anche in altri ambiti, come a scuola o nelle associazioni, ed inoltre la forza del mercato finirebbe per far affittare anche ai non desiderati. TEORIA 2: sarebbero i simili ad attrarre i propri simili ed a formare raggruppamento. TEORIA 3: I bianchi non sarebbero disposti a vivere vicino ai neri, mentre i neri sarebbero disposti a vivere vicino ai bianchi. Questa teoria è appoggiata dall'osservazione che le agenzie immobiliari vendono di più nelle zone in cui non esistono neri. Questo provoca poi una svalutazione delle case dei bianchi che si trovano nei pressi di zone residenziali nere, e viceversa una sopravvalutazione delle case dei neri vicine ai bianchi. 223 LA SCUOLA DI CHICAGO Chicago è una delle città che, nella seconda metà del XIX e nella prima metà del XX secolo, hanno vissuto una delle trasformazioni più forti e cosmopolite che si conoscano.99 Esplosione demografica, immigrazioni, quartieri urbani con gravi fenomeni di etnocentrismo, forme di forte povertà, una città che sembrò dipendere dal rilievo che assumevano i suburbi. Questo fenomeno urbano e sociale di grande trasformazione diviene oggetto di studio sociologico di una delle scuole più note, quella che sarà chiamata: la scuola sociologica di Chicago. L’atteggiamento degli americani si mantiene a lungo quale atteggiamento di diffidenza, elaborando un’ideologia che giunge anche a considerare l’America del passato, quella del countryside, del mondo rurale, come il mondo perduto della bontà e della felicità. Assimilazione e non assimilazione Ovimenti religiosi sviluppano un atteggiamento rivolto a considerare il superamento della povertà soprattutto con la trasmissione ed il rafforzamento dei principi morali, meno con l’utilizzo di misure di carattere economico volte a combattere la povertà. In seguito, si fa strada la convinzione che le due cose debbano marciare assieme facendo nascere quello che venne chiamato il Social Gospel. La città di Chicago, come anche altre città americane, vedono una forte espansione urbana, attirano grandi masse di popolazione di ogni razza, lingua e religione, allargano i suburbi in maniera massiccia. L. Tomasi, nel suo volume sulla Scuola di Chicago100, rinvia, per questo fenomeno che investì la città in questo periodo, all’opera storica di due autori che organizzarono, nel 1990, una speciale exibition 99 Grossman, J.R., Land of Hope. Chicago, Black Southerners and the Great Migration, Chicago, The University of Chicago Press 1989. 100 Tomasi, L., La scuola sociologica di Chicago. 1. La teoria implicita, Milano, F. Angeli 1997. 224 storica.101 Le condizioni ed i processi di arrivo, inserimento negli slums, nelle fabbriche o nei mestieri più duri, il prevalere dei gruppi di religione cattolica, seguiti da quelli di religione ebraica, quindi gli appartenenti alle confessioni e sette protestanti di vario tipo. I quartieri poveri, gli slums, la congerie di lingue, etnie e religioni, ma soprattutto la povertà e la scarsità di servizi sociali, attivati peraltro su iniziativa dei gruppi più solidali e coesi (ebrei e tedeschi), provocano la nascita di movimenti di intolleranza e spinte verso una restrizione dell’immigrazione. La nascita della Scuola sociologica di Chicago va datata intorno al 1920. I sociologi hanno origine dalla cultura e dalla società tradizionale e religiosa e l’oggetto delle loro indagini e ricerche è la vita urbana e industriale. Le condizioni sociali urbane precarie, il formarsi di movimenti sia reazionari sia progressisti di fronte alla situazione che presenta aspetti di forte degrado ed insieme di accelerato sviluppo economico, fa sì che si sviluppi un’attività scientifica che accetta di sporcarsi le mani con i problemi del mondo e del momento attuale. Nasce la sociologia come disciplina cui si fa ricorso in modo diffuso sia nella formazione superiore ed universitaria sia nelle ricerche condotte per conoscere e capire i problemi sociali. 101 Hirsch, S. E., Goler, R.I., A City Comes of Age. Chicago in the 1890s, Chicago, Chicago Historical Society 1990. 225 LA SOCIOLOGIA RURALE Quadro storico I primi studi di sociologia rurale si sono svolti in Europa; in seguito il "grosso" si è avuto negli Usa. Una delle prime opere è quella di Max Weber "I comportamenti dei lavoratori agricoli nella Germania a est dell'Elba" del 1911.102 Dello stesso anno è anche un rapporto di Roosvelt per la Commissione sulla vita rurale, da cui emerge l'esistenza di forti squilibri relativi a comunicazioni e trasporti, strutture sanitarie, possibilità di occupazione femminile. Sempre nel 1991 si ha negli USA l'istituzione della prima cattedra di sociologia rurale, affidata a Galpin. Il primo testo di sociologia rurale è del 1913 (J.M. Gillette). In questi primi anni, la sociologia rurale viene considerata per la verità come una disciplina ausiliaria, di appoggio alla preparazione tecnica degli agrari. Nel 1936 si fonda la rivista Rural Sociology, e nel 1937 si costituisce in USA l'associazione per la sociologia rurale. In Europa, dopo alcuni studi condotti negli anni '20, si ha una specie di blocco dell'attività sociologica, in Italia e in Germania, a causa dei regimi totalitari. Dopo la seconda guerra mondiale gli studi riprendono, centrandosi sul processo di cambiamento della campagna in relazione ai processi di industrializzazione. Nel 1957 è fondata la Società europea di sociologia rurale e la rivista Sociologia Ruralis. Cammino evolutivo della sociologia rurale Gli studi di sociologia rurale si sono sviluppati lungo un cammino che si può sintetizzare in 4 fasi, fino ad un periodo di forte "crisi di identità" che si ha a partire dagli anni '70. 1° Fase: dicotomia città-campagna. La sociologia rurale esamina in che cosa la vita della campagna si differenzia da quella della città. 2° fase: città e campagna vengono posti su un continuum che prevede come estremi: 102Weber M. Die Lage der Landarbeiter im ostelbischen Duetschland. 1892 Mohr, Tübingen, 1984. 226 molto rurale ---------------------molto urbano Si passa dunque da una concezione che considera due tipi, due modelli contrapposti di insediamento, a una concezione gradualistica. 3° fase: analisi della vita in campagna come sistema autonomo e alternativo rispetto a quello urbano. 4° fase: l'attenzione si sposta dai paesi industrializzati al terzo mondo. Tutto il mondo occidentale si è ormai urbanizzato, e quindi se vogliamo studiare le campagne dobbiamo andare nel Terzo Mondo. 1a FASE La contrapposizione città-campagna nasce dalla sociologia classica che vedeva la città come luogo di progresso sociale e motore della storia, mentre la campagna diveniva simbolo di arretratezza materiale ma ancor più culturale, molto legata alla tradizione. Analizziamo alcuni autori cui questa concezione dicotomizzante può essere ricondotta: F. Toennies, "Comunità e società"103 L’Autore distingue la Gemeinschaft (comunità), basata su legami di sangue (famiglia), di luogo (comunità agricola), di religione, di costume, e dove pilastri portanti delle relazioni sociali sono la cultura orale e il modello dell'autoconsumo; dalla Gesellschaft (società), basata su una società industriale urbana, sulla presenza accentratrice dello Stato, sul libero mercato, su una morale sganciata dalla religione e una cultura prevalentemente scritta. - E. Durkheim nell’opera "La divisione del lavoro sociale"104 contrappone una società segmentaria (quella tradizionale), basata su una solidarietà meccanica, su valori comuni e omogenei e dove assume un peso predominante il diritto penale, a una società organica (quella moderna) in cui l'interdipendenza è funzionale, basata sulla convenienza 103Tönnies F., Comunità e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1963. 104Durkheim E., La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1962. 227 reciproca allo scambio, e i rapporti sono per lo più regolati dalle norme di diritto civile. Egli accetta la definizione di Gemeinschaft di Toennies, non ne accetta invece l'idea di Gesellschaft (società), in quanto la ritiene una visione eccessivamente utilitaristica, regno dell'individualismo egoistico, della libertà di opinione, del denaro e del commercio. Secondo Durkheim nessuna società può reggersi sull'individualismo esasperato; essa è comunque sempre, e prima di tutto, un insieme morale dotato di una coscienza collettiva. Secondo Durkheim, alla base della concezione di Toennies della società, vi è un errore metodologico, in quanto l'autore procede in maniera astratta, filosofica. Più corretto sarebbe stato invece studiare la Gesellschaft empiricamente, cioè secondo le modalità concrete in cui questa si manifesta. - Anche M. Weber,105 parlando del processo di razionalizzazione, riprende la distinzione di F. Toennies. Egli distingue tra due idealtipi: a) L'agire di comunità. L'azione sociale si regge sulla possibilità di ciascun attore di riuscire ad anticipare le reazioni degli altri in base a valutazioni ad personam. Questo comporta una conoscenza quotidiana ed individuale dei soggetti con i quali vengo e verrò a contatto. Ecco quindi che nell'agire di comunità, il soggetto agisce in base ad aspettative fondate su valutazioni soggettive circa il comportamento degli altri individui come conseguenza del proprio agire. b) Agire di società. Anticipare le reazioni degli altri in base a delle regole, ad ordinamenti precostituiti. Il soggetto agisce quindi in base ad aspettative fondate su ordinamenti, circa l'atteggiamento di altri individui come conseguenza del proprio agire. - K. Mannheim,106 sociologo tedesco, distingue due possibili categorie di relazioni: 105Weber M., Economia e Società, op. cit. 106Mannheim K., Sociologia sistematica. Introduzione allo studio della società, Ed. Comunità, Milano, 1960 228 a) relazioni simpatetiche, tipiche delle società tradizionali, basate sulla conoscenza diretta dell'interlocutore. b) relazioni categoriali, tipiche invece della società moderna, che tengono conto delle categorie, dello status e del ruolo che caratterizzano la persona interlocutore. - C. H. Cooley107 distingue tra: a) Rapporti primari (propri dell'ambiente rurale), caratterizzati dall'interazione faccia a faccia, fatta in piccoli gruppi ed in maniera informale. b) Rapporti secondari (propri dell'ambiente urbano), speso mediati dai mass-media, da organizzazioni, da soggetti o regole codificate e formali. - T. Parsons108 ha identificato 5 variabili che permettono di distinguere società da comunità (anche se il suo livello di concettualizzazione è analitico, non empirico, e quindi non si presta a identificare concretamente diversi tipi di insediamento): 1) diffusività-specificità. Diffusività (che potremmo dire prevalente nelle società tradizionali, e dunque in ambito rurale): nel rapportarsi agli altri si agisce tenendo conto dei caratteri complessivi degli altri non legati al contenuto specifico dell'azione. Specificità (prevalente nella società moderna, nell'ambiente urbano): nei rapporti si tiene conto del particolare contenuto dell'azione che si sta svolgendo. 2) particolarismo-universalismo. Particolarismo: agire distinguendo a seconda del contesto o del tipo di appartenenza. Universalismo: non fare alcuna distinzione in quanto si applicano regole generali. 3) affettività-neutralità affettiva. Affettività: adesione alla gratificazione immediata. Neutralità affettiva: pospone le gratificazioni immediate in vista di quelle future. Permette di riuscire a stabilire e a agire secondo una logica mezzi-fine. 4) ascrizione-acquisizione. Ascrizione (attribuzione): si ha un atteggiamento ascrittivo nei confronti di una persona 107Cooley C. H., Social Organization. A Study of the Larger Mind, Schocken, New York, 1962. 108Parsons T., La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna, 1986. 229 quando si considera "chi è" (qual è la sua famiglia, la sua provenienza, la sua posizione sociale). Acquisizione (prestazione): si ha un atteggiamento acquisitivo quando si considera una persona per "ciò che fa", per la sua effettiva prestazione. 5) orientamento alla collettività-orientamento a sé. Il primo permette di massimizzare i vantaggi della collettività. Il secondo permette un'attenzione maggiore, se non unica, ai vantaggi individuali. Ciascun ruolo, nella società di oggi, presenta diverse componenti di queste 5 variabili-modello. Perciò è errato pensare in termini assoluti: non è vero che in città si ha completa assenza di relazioni basate su atteggiamenti diffusivi, o ascrittivi, o particolaristici. Ciò che cambia è semmai la loro proporzione, la loro dominanza o minoranza rispetto alle relazioni di segno opposto. Allo stesso modo non si deve pensare a una rigida alternativa, sul piano empirico, tra relazioni primarie e secondarie, o simpatetiche e categoriali. Tuttavia, è chiaro che questo tipo di concettualizzazione polarizzata favorisce e sostiene una visione dicotomizzante della società, anche in relazione alle sue modalità insediative. 2 FASE I processi di cambiamento sociale che si manifestano negli anni '20 e '30, con aumento dei trasporti, diffusione delle comunicazioni, rafforzamento delle attività e dei servizi statali su base centralistica, rottura dell'isolamento rurale, fanno progressivamente perdere autonomia e rilevanza alle comunità locali. Le relazioni dei singoli insediamenti con l'esterno sono sempre maggiori, sia sul piano materiale che simbolico. Si procede verso una crescente sistemizzazione (aumento delle interrelazioni tra le parti) e centralizzazione. La tradizionale concettualizzazione dicotomica dei rapporti città-campagna è messa in crisi, per il venir meno di uno dei due poli, a causa del diffondersi del modo di vita urbano nelle campagne. Un gruppo di autori si sforza di salvaguardare l'identità rurale, sottolineando che le comunità, nonostante i mutamenti in atto, non cessano di distinguersi dalla città, 230 adattandosi in modo originale alle nuove situazioni. Non si tratta quindi di semplice urbanizzazione, affermano Sorokin, Zimmerman e Galpin (1931)109, ma di "rurbanizzazione", coniando tale termine per sottolineare la capacità di evoluzione della comunità rurale senza la perdita delle sue essenziali caratteristiche. Questa sistemazione concettuale non resiste però all'evidenza del progressivo sfaldarsi del tessuto sociale della comunità rurale: gli elementi tradizionali vengono soppiantati da quelli nuovi, l'autonomia della comunità sempre più ridotta dalla forza dei mutamenti esogeni, dalle spinte centralizzatrici. L'impostazione teorica della sociologia rurale compie una significativa modificazione con l'abbandono del presupposto che la campagna debba essere caratterizzata dal mantenimento di caratteristiche costanti, essenziali. Si assume invece, con T. Lynn Smith110, che ogni insediamento può essere caratterizzato da una diversa combinazione di un insieme di variabili. Il concetto di continuum rurale-urbano si presta meglio a rappresentare i fenomeni osservati di quanto non faccia la dicotomia cittàcampagna. In questo modo si possono identificare più esattamente le differenze tuttora esistenti tra vita nei villaggi e vita nelle città, e più esattamente si può seguire l'andamento del processo di urbanizzazione, identificandone i fattori accelerativi. rurale urbano Sulle variabili da prendere in considerazione per collocare sul continuum gli insediamenti, interessanti sono i lavori di C.P. Loomis (1950 e 1960),111 che propongono la seguente articolazione: 109Sorokin P. Zimmerman C. G., Galpin C. J., A Systematic Source Book in Rural Sociology, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1930-32 (3 voll.). Sorokin P., Zimmerman C. G., Principles of Rural-urban Sociology, New York, 1929. 110Lynn Smith T., Trends in Community Organisation and Life, American Sociological Review, 1940 (V). 111Beegle J. A., Loomis C. P., Rural Sociology. The Strategy of Change, Englewood Cliffs N. J., Prentice Hall, 1957. 231 1) azione razionale non razionale 2) specificità diffusione funzionale 3) responsabilità sociale responsabilità limitata 4) integrazione dei ruoli fuori del sistema locale nel sistema locale (in una piccola comunità si riesce a cogliere le funzioni e l'integrazione dei ruoli all'interno del sistema; in città invece ci si deve mettere al di sopra delle località, essendo la divisione del lavoro molto più complessa). Viene poi proposto un prolungamento del continuum verso il "folk", ossia le società "primitive" extraeuropee): folk--------soc. rurale----------------soc. urbana Variabili che tendono a portare l'evoluzione della società da folk verso urbana, individuate da Redfield,112 sono: - eterogeneità etnica - divisione del lavoro - uso della moneta - secolarizzazione della cultura - controllo sociale da parte di organizzazioni impersonali - libertà di scelta individuale Vi sono poi tre processi ancor più generali che tendono a determinare queste variabili: disorganizzazione, secolarizzazione, individualismo == portano alla modernità. Un aspetto positivo dell'analisi su un continuum è che in questo modo è più facile tener conto delle diversità dei casi specifici. Secondo L. Wirth113 ci sono 3 variabili che spiegano il collocarsi sul continuum urbano-rurale: 1) Volume della popolazione 112Redifield R., The Folk Society, in: American Journal of Soxiology, 1946 (LIV). 113Wirth L. Urbanism as a way of life, in: American Journal of Sociology, 1938, n. XLIV, pp. 1-24. 232 2) Densità 3) Prossimità alla città Cioè, tanto più una zona è grande e densa, tanto più produce l'"effetto città" (punti 1 e 2). Inoltre, tanto più un villaggio è prossimo alla città, tanto più risentirà dell'influenza di questa. A queste 3 variabili va poi aggiunto anche l'effetto dei mass media. Critiche mosse al concetto del continuum urbano-rurale. Pur essendo più adeguata della concezione dicotomica a cogliere la molteplice diversità delle situazioni concrete, la concezione del continuum rurale-urbano non elimina l'ambiguità propria della prima, che consiste essenzialmente nell'interpretare in termini di città-campagna processi di mutamento che coinvolgono l'intera società. Sottostante al concetto di continuum, ci sarebbe in realtà una teoria evoluzionistica unilineare e unidirezionale dello sviluppo, che procede quindi dal folk alla realtà urbana; R. Dewey114 scrive un articolo in cui sostiene che il continuum urbano-rurale è reale ma poco importante: ciò che noi notiamo come differenza tra città e campagna, non è il diverso modo di organizzarsi, bensì il mutamento storico, sociale, che in città si verifica prima rispetto alla campagna. Si ipotizza inoltre la unidimensionalità del continuum, ma senza provarla. Si ha unidimensionalità quando gli elementi che qualificano il cambiamento sono tra loro perfettamente correlati. L'analisi dei fattori è lo strumento matematico per capire se una serie di variabili sono tra loro convergenti, e quindi si identificano in un'unica dimensione, oppure se sono divergenti in più dimensioni. 3 FASE Se accettiamo la concezione che sul continuum urbanorurale tutti gli elementi che identificano il rurale si spostano verso elementi urbani, allora la società rurale scompare. In 114Dewey R., The Rural-urban Continuum. Real but Relatively Unimportant, in: “The American Journal of Sociology”, luglio 1960. 233 questa 3° fase si cerca perciò di dare una precisa identità, che diventi pure autonomia, alla società rurale. Ricordiamo come Parsons individui 4 sottosistemifunzione dei sistemi sociali: - adattamento - perseguimento dei fini - integrazione - latenza mezzi fini esterno adattamento perseguimento dei fini interno latenza integrazione F. Demarchi,115 ai fini della sua proposta interpretativa delle differenze tra città e campagna, riprende la teoria parsonsiana distinguendo tra sottosistemi funzionali che chiama: - adattamento - dominanza - mantenimento (funzione che in una società fa sì che gli individui interiorizzino i valori) - integrazione mezzi esterno fini adattamento dominanza mantenimento integrazione 115Demarchi F. Società e spazio op. cit. 234 interno La differenza strutturale tra città e campagna diviene quindi la seguente: città = sviluppa tutte e quattro le funzioni; campagna = sviluppa solo due funzioni: adattamento e mantenimento (il villaggio riesce a mantenere il passato, non a rinnovarsi: chi non si adatta è deviante e viene espulso, spesso mediante il fenomeno dell'emigrazione). Perché la città riesce a sviluppare anche le altre due funzioni? Secondo Weber = perché è strutturalmente diversa dalla campagna; essa ha pluralità di poteri istituzionali, nessuno dei quali riesce ad essere egemone. La città permette l'innovazione, ed è questo che le permette di essere dominante sull'ambiente esterno. Ci sono stati altri tentativi di definire città e campagna superando sia il continuum sia la dicotomia tra le due, e sono i modelli funzionali. - Modello prevalente in Germania: città come centro di servizi per la campagna; - Modello prevalente nei Paesi mediterranei: campagna come luogo funzionale per la città; - Altre teorie più recenti: città e campagna non sono funzionali a vicenda, ma sono sottosistemi funzionali di un sistema più grande, il sistema nazionale. 4 FASE La campagna del mondo è il terzo mondo. Le aree dei paesi sviluppati vengono viste come caratterizzate dalla presenza di megalopoli, cioè grandi metropoli distribuite all'interno di uno spazio rurale che ormai è completamente industrializzato. Di conseguenza, in questa fase vengono proposti vari sviluppi, vari approcci alternativi allo studio della sociologia rurale: 235 - studiare il processo di sviluppo dei Paesi del terzo mondo, considerandoli la "campagna del mondo". - la sociologia rurale si deve trasformare in sociologia dell'agricoltura, sociologia legata quindi ad una figura professionale (l'agricoltore) più che al territorio. - sociologia della pianificazione delle aree rurali - sociologia rurale come sociologia dell'ambiente, che si interessa del modo in cui la società si pone nei confronti della natura. Nessuno di questi sviluppi esaurisce però l'interrogativo iniziale che sta a monte della sociologia rurale. Non rimane perciò che far confluire la sociologia rurale all'interno della sociologia del territorio, analizzando il rapporto tra società e spazio. Aspetti particolari della situazione della disciplina in Italia. Il grosso problema italiano è sempre stata la questione meridionale, cioè la grande differenza tra sud e centro-nord. Ci sono due grandi direttrici di studio della sociol. rurale in Italia: la prima di taglio economico-agrario (nel 1931 l'Inea pubblica una monografia sulla famiglia agricola); la seconda di taglio antropologico-culturale, che studia la società contadina del sud e i flussi emigratori dal sud al nord. Sul finire degli anni ‘60, inizio '70, si ha un fiorire di studi sulla cooperazione agricola (Benvenuti).116 Negli anni '80 si manifestano due tendenze: studi sulle zone marginali, che mettono in evidenza il sopravvivere di elementi culturali tradizionali in zone come quelle collinari e montane (Catelli117, Gubert118); e studi sul part-time agricolo (Cavazzani 119). 116Benvenuti B., Problemi di sociologia rurale, in Questioni di Sociologia, La Scuola, Brescia, 1966 117 Catelli G., Sociologia rurale, Ed. Lavoro, Roma, 1984 118 Gubert R., Ruralità e marginalità, F. Angeli, Milano, 1989 119Cavazzani A. Il part-time agricolo, Marsilio, Venezia, 1979. 236 Esempi di ricerca Thomas/Znanieki, "The polish peasant in Europe and America" 120 (Thomas = sociologo della Scuola di Chicago; Znanieki = sociologo polacco) Questa ricerca è nota soprattutto per essere il "contraltare" del "Suicidio" di Durkheim. Mentre Durkheim nella sua ricerca esalta l'aspetto empirico, l'oggettività dei dati e quindi delle conclusioni, Thomas e Znanieki tendono a valorizzare i dati soggettivi della ricerca, convinti che non è la situazione come tale che pesa sul comportamento degli individui, bensì è importante come la stessa viene definita (cd. teorema di Thomas. "basta che una situazione sia vissuta come reale dagli individui perché essa abbia conseguenze reali"). Si ha quindi una distinzione tra situazione e sua definizione. Per capire ciò si devono usare documenti soggettivi, quali interviste, storie di vita vissuta, biografie, riuscendo così a ricostruire il "mondo dei significati". La loro opera, in due volumi, si apre con l'enunciazione della "teoria della personalità": la definizione della situazione deriva dagli atteggiamenti frutto del carattere di una persona, il quale a sua volta è la risultante di due elementi: - temperamento (innato) - fattori sociali esterni (modo in cui la società è organizzata in base ai valori sociali rilevanti). La combinazione tra temperamento e fattori sociali esterni da origine alle diverse personalità. I tratti diversi di personalità si possono cogliere in base a 4 desideri fondamentali e innati: - desiderio di sicurezza - di nuove esperienze 120Thomas W. I., Znanieki F. Il contadino polacco in Europa e in America Edizioni di Comunità, Milano, 1968 (ed. or. 1920). 237 - di dominio ( = avere una relazione asimmetrica in senso positivo) - di corrispondenza ( = è l'opposto del precedente: desiderio di una relazione paritaria, amicale) Ciascuna persona è dotata di ciascuno di questi 4 desideri: ciò che cambia è la proporzione con cui questi sono dosati nelle singole persone. La ricerca empirica di Thomas/Znanieki si sviluppa in due direzioni: 1° Ricerca: "Contadino polacco in Europa" 2° Ricerca: "Contadino polacco in America" Nel 1920 i due lavori vengono unificati nel volume "The polish peasant in Europe and America"121 121Ibidem 238 RICERCA: "Il Contadino polacco in Europa e in America" La tipologia è stata ripresa successivamente da Lazarsfeld, il quale sostiene che fare una tipologia significa ridurre uno spazio di attributi, cioè una combinazione di dimensioni da qualificare, con attributi intermedi. Lazarsfeld cerca di ricostruire la tipologia di Thomas e Znaniecki, i quali senza rendersene conto hanno applicato la riduzione alle dimensioni individuate con la loro teoria della personalità: dominio filisteo sicurezza creativo nuove esperienze bohemien corrispondenza L'incrocio delle due dimensioni dà invece origine a una matrice con nove caselle, in cui potevano trovare collocazione altri tipi. 239 Dalla polis al cittadino virtuale Premessa E' convinzione comune che il legame fra il termine polis che in greco significa città e la politica sia un rapporto solamente etimologico-storico. Politologi e sociologi spiegano, più o meno sbrigativamente, che il termine politica trova la sua origine nella realtà della polis-città greca, in quanto la città greca rappresentò compiutamente il governo della vita sociale nelle sue componenti, definita com'era, dai suoi precisi limiti geografici, organizzativi e culturali. La politica dei corpi sociali che hanno avuto seguito nella storia, si sarebbe svincolata dalla città, assumendo forme ben diversificate da questo primo archetipo, divenendo via via regno, impero, stato, unione di stati, federazione continentale o tentativo di governo mondiale della comunità delle nazioni. Ebbene, quello che questa breve discussione intende proporre è, al contrario, una stretta connessione fra città e politica, affermando che la città iniziò e continuò nei secoli a mantenere e ad esercitare un influsso determinante e sostanziale sui rapporti sociali, come essi si manifestano e si sviluppano nella vita di governo. La città, insomma, come soggetto, centro e luogo della cultura e della prassi del potere, nonché delle forme che via via esso assume nella storia. In questo senso esprime un evidente, illuminante e pieno significato l'affermazione di Lewis Mumford, quando all'inizio della sua celebre epopea della città nella storia dice: «questo libro si apre con una città che era simbolicamente un mondo, e si conclude con un mondo che è diventato, per molti aspetti pratici, una città»122 L'affermazione di Mumford andrebbe, a mio modo di vedere, rinforzata e chiarita, nel senso che il mondo è divenuto sì una città, ma nel senso che il potere, o dominio (per usare l'espressione weberiana) sono divenuti 122 Mumford L., La città nella storia, Milano, Comunità 1963, p.9. 240 appannaggio se non privativa della città. Il mondo è cultura urbana in tutte le sue espressioni.123 La città, insomma, è concentrazione, gestione simbolica e reale della politica, ovvero del governo delle attività umane, attraverso una molteplicità ed una varietà di strumenti che rendono la sua storia uno dei capitoli più affascinanti e ricchi di stimoli alla riflessione. Stanzialità e sacralità E' scavando nei quattromila anni di storia (e sono poca cosa) del rapporto dell'uomo con lo spazio che riusciamo ad individuare alcuni archetipi della città. Riusciamo così a comprendere come sia avvenuta la concentrazione nella città del potere di governo, scoprendo, altresì, le forme comunicative ed i canali del linguaggio simbolico nonché le strutture materiali, architettoniche ed organizzative che lo costituiscono. Nella nascita e nella crescita del rapporto con lo spazio. La città, trasformando e potenziando il nucleo di elementi contenuti nel villaggio, rivoluziona la vita dell'uomo cronicamente nomade. Ma quali sono gli elementi costitutivi di questa rivoluzione che è la città, mutamento che per importanza sembra essere secondo solo al linguaggio quale mutamento nella cultura? Il primo di questi elementi è la sacralità. Dalle necropoli-santuario del paleolitico, ai lari, ai penati, al tempio, sino ai monumenti in onore dei caduti per la patria, ai mausolei, alla 'Arche' voluta dall'appena trascorsa presidenza di F. Mitterrand, il riferimento sacro segna ciò che unisce, in forma e con significato indiscutibile ed intoccabile, perché è proprio del sacro la non manipolabilità quotidiana. E' per questa ragione che solo il sacro offre la garanzia della intoccabilità ed una giustificazione del dominio che va al di là della legittimazione del potere sociologico weberiano.124 Ricordiamo che secondo questo autore, una definizione del resto data per acquisita dai sociologi, il potere (o meglio il 123 124 Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo, cit.,. Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft cit.. 1956: I, pp. 122-176. 241 dominio) esiste unicamente quando vi è una legittimazione libera, ovvero una risposta di obbedienza, da parte del soggetto e dei soggetti ai quali viene proposto formalmente un comando. In caso contrario si tratta o di obbedienza per costrizione oppure di una potenza generica ed astratta (Gewalt e Macht) Ed è per questa ragione che risulta per noi chiarificatrice ed insieme efficace e fors'anche inquietante la definizione che lo stesso M. Weber dà al capitolo sulle tipologie della città, ovvero la città come come «potere non legittimo» ovvero non accettato liberamente dai cittadini.125 La città, dunque, come dominio oppressivo, sia questa oppressione palese od occulta. In questa definizione e nella ricca e puntigliosa storia della città ricostruita da questo autore, e sviluppata in seguito da altri celebri studiosi (Mumford, Benevolo), si esprime il fondamento del nostro assunto. La città rappresenta la radice strutturale, il luogo, la simbolica, il soggetto nel quale si forgiano le decisioni, si affilano le armi o si attivano le astuzie per applicarle, si forma e si esegue la politica. La città è sì, anzitutto, un luogo che accentua ed arricchisce la stanzialità, una concentrazione significativa della popolazione; la città diviene quindi anzi tutto un luogo in cui si ha un'implosione del potere con la monarchia politica, quando essa sviluppa un dominio economico sul territorio circostante, con la presenza militare che rende la guerra una istituzione stabile. La città diviene altresì concentrazione del sapere politico, giuridico, scientificotecnologico (un sapere che organizza la resistenza alle forze naturali); la città diviene mercato, nonché un'idra che domina ed allo stesso tempo assorbe risorse dal territorio circostante per vivere o per rinascere. Se la cinta muraria definisce e si erge ad evitare intromissioni ed attacchi, la sacralità, quale meccanismo che definisce una realtà «totalmente altra»126 erige una barriera contro qualsiasi manipolazione del potere proprio della città, escludendo chi è profano, chi è esterno ma anche chi vive 125 126 Weber M., ibidem: II, p. 735 ss.. Otto R., Das Heilige, 1966. 242 nella città e non appartiene alla monarchia, al ceto, all'élite, alla cerchia di chi elabora ed applica le decisioni. La città, dunque, come implosione del potere non legittimo, imposto, escludente la libera risposta obedienziale e solidale. Sembra, pertanto, esservi una quasi ininterrotta connessione, una connessione stretta e diretta fra città e potere politico, inteso come potere non sociologicamente legittimato. In parole più semplici, la città sembra essere storicamente il luogo in cui il potere implode, rendendo problematico ogni fiorire e maturare della democrazia politica come partecipazione. Non si tratta né di affermare che esiste un determinismo urbano totalitario, né tanto meno di proporre un atteggiamento di resa ad una realtà storica anche se essa appare conclamata, quanto piuttosto di una presa di coscienza del carattere fondamentalmente autoritario del potere o del dominio urbano. In questa premessa, sembra proporsi ai cultori della psicoanalisi, un campo d'indagine e di lavoro di grande interesse. In quale forma, infatti, questo magma dell'irrazionale urbano che dà origine a questo perpetuarsi del potere non legittimo, di una imposizione o di una sopraffazione che tende ad escludere il ruolo attivo e determinante del razionale degli individui e dei gruppi potrebbe far luogo alla partecipazione politica, ovvero alla democrazia, in modo che scelte razionali prendano il posto dell'irrazionalità del potere urbano?127 Un compito, questo, che può e forse deve vedere alleati e conniventi politologi, sociologi, psicanalisti, politici e cittadini per un'azione di frontiera. La faticosa Polis e lo splendore delle irreggimentazioni urbane Per rendere plasticamente chiara la forza della città, quale potere sacrale che si esplicita in una vita sociale caratterizzata dalla presenza di un potere tendenzialmente autoritario ed assoluto, modello che, a parer nostro risulta essere 127 Scaglia A., Sacro e potere, Trento, UNICoop 1977. 243 predominante nella storia della città, è opportuno operare un confronto fra una delle classiche esperienze di democrazia urbana, quella della polis greca ed il modello nel quale essa si ebbe ad evolvere, quello della città ellenistica, con un accenno al modello di Roma per riuscire a leggere in questa diarchia, come in un archetipo, il dispotismo ed insieme il rischio di crollo della odierna megalopoli telematica, nella quale cittadino e partecipazione assumono prevalente carattere virtuale, dove cittadino e partecipazione sono realtà costruite, proposte ed interiorizzate a prescindere dal libero processo di valutazioni, di scelte e di conseguenti rapporti comunitari e societari. La Polis greca, la città ellenica, in particolare l'esperienza di Atene del VII e VI sec. a C. è tutt'altro che la città ideale di cui ebbero bisogno di sognare, aspirare o filosofare tanti pensatori, da Platone, Aristotele, Agostino di Ippona , Tommaso Campanella, Tommaso Moro, F. Bacone, William Morris, Robert Owen, Italo Calvino e tanti altri.128 La Polis greca nasce quando la paranoia del potere dell'età del ferro, in cui re assoluti e violenti utilizzano la forza, la violenza e la legittimazione sacrale come indiscutibile e totale visione del mondo, si evolve, passando attraverso la costruzione di conoscenze pratiche che fanno acquisire ai cittadini la capacità di dominare razionalmente il mondo, prima attraverso i miti religiosi e poi attraverso le speculazioni filosofiche; si raggiunge così una libertà dall'arcano indefinito e da chi lo utilizza per esercitare un potere autoritario ed oscuro. Nasce la Polis: una città che sostituisce monarchi assoluti, e caste militari ed anche quelle dei mestieri con una specializzazione funzionale, capace di esprimere abbondanza materiale, filosofica, letteraria, accanto a quella delle arti dell'architettura e della scultura. Alfabeto e moneta favoriscono e formalizzano, a loro volta, la comunicazione e lo scambio dei beni. L'Atene del VII secolo a.c., sarà, fra le Polis, l'esempio di ciò che la città greca saprà scoprire e creare. In un periodo 128 Vercelloni V.: 1994. 244 relativamente breve, la Polis scoprirà ciò che egizi e sumeri non seppero scoprire nel corso di millenni: ovvero il modello della popolazione che forma e governa la città. Sarà, purtroppo, un modello che deperirà, in seguito, per un tarlo che gli ateniesi non seppero eliminare, quello del rifiuto del lavoro e dell'attività economica lasciata agli stranieri ed la conseguente tentazione di procurarsi con tributi autoritari e guerre i beni che ad un certo momento verranno a mancare. Si trattò, tuttavia, di un modello che ben raramente poté essere imitato o riprodotto nella storia della città (Aloni A., 1996). Atene sviluppa gli elementi che, esistiti, in nuce, nel villaggio paleolitico, divengono forma urbana: luoghi dell'organizzazione governativa (gli uffici), il ginnasio, il teatro, il mercato, il pritaneo (municipio o assemblea dei magistrati, guarda caso anche con funzione sacra), la fontana, il tempio e l'agorà (come primitivo recinto del tempio) ed infine l'acropoli o montagna sacra, il tutto inglobato in un'autoamministrazione febbrile, faticosa ma libera. La città greca avrà anche una dimensione universale, con Delfi, come città oracolo che regola la fondazione delle colonie legate al proprio destino ed alla propria origine, Olimpia con i giochi cui tutti i greci possono e si onorano di partecipare e Coo, luogo della salute e del benessere secondo le norme ippocratiche. Sono, questi luoghi che potremmo chiamare di inter-Polis, sono anche zone franche, prefigurazione delle comunità continentali ed internazionali moderne. E' l'evoluzione della forma della sacralità a connotare l'anima democratica della Polis. Il tempio segue la trasformazione che il dio subisce con l'evoluzione della città e della sua cultura. Il tempio, pur rimanendo architettonicamente ristretto, si amplia, nella coscienza e nella visione del mondo dei cittadini, secondo la dimensione che assume il suo influsso sacrale, diviene simbolo della esaltazione ed inebriazione collettiva di una collettività che, in questa sacralità, adora sì il dio o gli dei, adorando al contempo, attraverso i valori e le norme che essi 245 rappresentano, la dimensione migliore di se stessa. Nel caso di questa Polis il sacro, gli dei legittimano la città mentre domina e governa il quotidiano, l'amministrativo, il ludico, il culturale e d il teatrale. Il cittadino guarda, lassù, il tempio illuminato, fisicamente ristretto, ma simbolicamente esteso a tutto il mondo sociale della città circostante. L'agorà, primigeniamente estensione del tempio, è luogo di incontro e di commerci. Luogo anche di dialettica ed insieme di contraddizione; i commerci sono costì gestiti dai forestieri, dai metèci. Infatti, il cittadino della Polis non ha mai saputo vincere il tabù del valore proprio dell'attività economica e del lavoro, affidato ai forestieri, con il conseguente ricorso ad un atteggiamento autoritario e bellicoso verso l'esterno, un atteggiamento originato dalla propria mancata autonomia e creatività economica. Sarà questo l'elemento che porterà la Polis sulla china del dissolvimento, o meglio, verso la trasformazione nella città ellenistica. La Polis negherà libertà alle colonie, cedendo alla tentazione della illibertà. Quando la Polis si troverà in difficoltà economiche, mancando della virtù dell'operare economicamente, non troverà di meglio che convertirsi allo strumento dei tributi e della guerra per poter sopravvivere dominando. L'esito sarà la trasformazione nella splendida città ellenistica, dove il reticolo di viuzze nelle quali si svolge una intensa rete di rapporti comunitari; gli spazi comuni e l'agorà dove si radunavano le assemblee nelle quali la frenetica turnazione dei cittadini che amministravano rendeva ragione del proprio operato, si trasformeranno in una città architettonicamente monumentale, con viali che conducono diritto ai luoghi della sacralità, del potere e delle funzioni urbane principali, in grandi piazze funzionali ma non più luogo della dialettica democratica. La città ellenistica è una città imperiale, irreggimentata, una macchina di conquista e di dominio, che fa del cittadino attivo ed assillato dall'autogestione, un cittadino conquistatore insolente, sfruttatore di altri territori, in patria pedagogo servile, parassita e scroccone. 246 Il cittadino ellenico, scostatosi, nel passato, dai limiti arcaici della tirannia, cioè dall'arbitrio del potere e dell'autorità come segretezza, pagando alti prezzi alla partecipazione, era divenuto, come l'eroe solitario di Sofocle, il libero cittadino «che agisce, solo, e cerca, con l'esercizio dell'intelligenza, di "tenere una mano levata davanti al fato"» (MUMFORD L., 1963: 213). Un cittadino che seppe resistere ai Persiani, e che intende muoversi, sempre nell'espressione di Sofocle, «solo o con l'appoggio di tutti". La grandezza del cittadino ellenico nella Polis, si esprime anche nel teatro, come spettatore, in un'esperienza collettiva e comunitaria, in una produzione incredibile di rappresentazioni ed in una partecipazione critica della vita sociale, attraverso la tragedia ed il dramma, immedesimandosi nell'attore e condividendo i commenti del coro, facendo intervenire innumerevoli cittadini alla recita. Il Teatro, insomma, come evento, esperienza ed esercizio della vita democratica. Il rifiuto del lavoro, della produzione economica e dei commerci, la dicotomia città campagna, la convinzione che «le stelle le pietre, gli alberi non possono insegnarmi nulla» (Sofocle), condurranno al rifiuto del collegamento cosmico, ovvero al rifiuto di comprendere e dare senso al mondo, in un atto di stolta superbia intellettualistica che conduce alla solitudine dell'io, ad un'idolatria dell'io che coinciderà con la solitudine. L'incapacità dell'io di rompere la cinta muraria per dare senso e dignità al mondo circostante, alla campagna, alla natura da trasformare con il proprio lavoro, diviene rifiuto di dare autonomia alle colonie come riproduzione della libera Polis. Il risultato sarà una solitudine suicida. Saranno i monumenti a sostituire quest'io, solo, depresso, impotente e non più creativo. Un io non più in grado di far vivere la città democratica e tanto meno di riprodurla all'esterno. Invece di riprodursi creativamente la Polis imboccherà la via della sterilità. L'ultimo, errato tentativo di trovare una via d'uscita sarà la regressione nell'Utopia. Quest'ultima fa sparire, con Platone, la dialettica greca in cui il cittadino 247 esprime la sua mente comunitaria, insieme autonoma e creatrice (Oechselin W.: 1993: 419-458). In questa astratta Utopia, hanno campo libero gli irreggimentatori delle attività umane dentro le funzioni urbane. I cittadini abdicheranno al loro potere legittimo e si affideranno agli ordinamenti ed ai potentati che si rispecchiano nella città a pianta milesia e dalle splendide ed imponenti ed impositive forme monumentali. Nel nostro assunto, la Grecia, come culla della civiltà e della cultura, presenta prima gli archetipi della liberazione dalla sacralità assoluta, animistica premitica, quindi quelli della Polis comunitaria ed anche l'archetipo della sua decadenza, quello che vede la Polis sfociare nella metropoli ellenistica e quindi nella megalopoli alessandrina. Il processo che condanna gli sforzi della Polis per sopravvivere, coinvolge ad esempio anche Aristotele che traccia una fisionomia della città tutta ritagliata sul finalismo proprio della natura (l'entelecheia), per cui, secondo questa legge universale, la città deve rispettare la dimensione spaziale e demografica ed avere un obiettivo comune a tutte le città. Per «grandezza ed estensione essa dovrebbe essere tale da poter permettere ai suoi abitanti di viverci insieme sobriamente e liberamente nel godimento del tempo di riposo». A ben guardare, questa connotazione ripropone, pari pari, la ferrea regola della insuperabile piccola dimensione della Polis, dimensione che veniva mantenuta con la fondazione di colonie, mentre la democrazia utilizzava la regola dell'ostracismo. Ciò che anche Aristotele e Platone non riuscirono a proporre, fu una dimensione diversa della Polis, nel momento nel quale essa stava cedendo alla tentazione della forza per procurarsi la sopravvivenza economica. Una dimensione che avrebbe dovuto essere un aperto riconoscimento delle colonie e delle altre Polis, l'assunzione di un modello economico che prevedesse la nobilitazione del lavoro e dei commerci, nonché la proposta di recuperare le 248 dimensioni di Delfi, Coo ed Olimpia per una federazione delle individualità comunitarie. Nella concezione di Aristotele e Platone esce vincitore un ceto medio senza apertura e senza creatività, «incapace di resistere alle oppressioni politiche, alle suddivisioni in classi, ai sacrifici irrazionali ed alle guerre inutili...»129, ritornando, nella sostanza, alla barbarie della città antica. E' la metropoli alessandrina la matrice, l'archetipo della città moderna. Una città elegante, dall'architettura monumentale, culturalmente pluralista e sincretista, volta ad una razionalità espansiva e guidata da una logica di conquista, di dominio sui territori circostanti e sugli altri popoli. Una città che abbandona, come arcaico ed arretrato, il modello democratico, creativo e partecipativo della Polis, una città che accoglie in sé e sviluppa un potere nel quale il cittadino si identifica senza poterlo modificare o condizionare significativamente. Un potere, pertanto, sociologicamente non legittimo, ovvero non apertamente e coscientemente riconosciuto, un potere sostanzialmente arbitrario anche quando è sostenuto dal corpus giuridico. Una città che si troverà sempre in dialettico rapporto con ceti e gruppi che covano la ribellione. Verso il cittadino virtuale La città, nella sua evoluzione storica, proprio perché strutturale concentrazione del potere, assume molteplici forme, ma passa attraverso i secoli, i regimi, gli imperi riuscendo a risorgere dalle crisi forgiando sempre nuove articolazioni di potere, un potere che, quasi per sua natura, tende a non evolversi verso modelli di partecipazione che rimangono così fatti eccezionali e non determinanti nella conformazione della città. Roma, come città e come dominio mondiale, esprime una grandezza, un sistema urbanistico, organizzativo, giuridico ed economico, produce un «mondo fatto città»; ma in luogo di produrre un equilibrio politico, una comunità universale, 129 Mumford L., La storia della città... 1964, cit., pp 248-49. 249 produce un immenso e potente, vasto equilibrio di privilegi e di corruzioni. L'immensa rete di strade, i municipia, le legioni, la rete di innumerevoli città, il sistema economico degli approvvigionamenti, esprimono insieme potenza e parassitismo, sincretismo culturale ed intolleranza di fronte a qualsiasi ipotesi di autonomia culturale e politica dei popoli dell'impero. Nascono frustrazioni ed ansie che Roma tenta di placare con i diritti garantiti ai cittadini romani, con lo splendore dell'Impero, delle terme, dei templi e dei Fori e con il rito sacrificale dell'arena. I cittadini di Roma sono, fondamentalmente irreggimentati nel grande palinsesto dell'impero e convertiti in parassiti. Nel 354 d. C. più di metà dell'anno è occupata da feste e giochi. Epidemie, sovrani assoluti, una città immobile, un abitare scomodo ed insalubre, cittadini che sono tuttavia abbagliati dallo splendore monumentale ed appagati con il sadismo collettivo dell'arena costituiscono la negazione del modello della Polis greca. Roma, insomma, come città con dialettica sociale e democratica, come identità culturale propositiva e propulsiva cade in pezzi al suo interno prima ancora che i barbari la attacchino. Dal disfacimento del sistema urbano di Roma, nascerà la città medievale di ispirazione cristiana. Un rinnovamento, questo, che trae dal messaggio cristiano della libertà, attraverso il monachesimo, il senso della libertà e della dignità dell'operare e del vivere solidale che segna la ripresa dopo lo spopolamento urbano dell'Alto Medioevo. Le città vescovili sono affiancate da città rette da consoli. Il servaggio rurale gradualmente scompare e queste nuove forze vanno ad arricchire la città di nuova manodopera. Le città si arricchiscono di chiese, di arti, mestieri, confraternite e corporazioni (Le Goff J., 1987). Tuttavia, nonostante la forte carica della libertà nella communitas, la città medievale non sa rompere la cinta muraria, ordinata dal paleolitico per dare senso al mondo circostante, non sa fare del cittadino artigiano, commerciante e poi signore, un annunciatore di libertà. Il messaggio di 250 Francesco d'Assisi e di Pietro Valdo s'infranse contro le mura e la volontà di abitare nei palazzi della ricchezza e del potere. La città medievale e rinascimentale, anche la stessa Venezia, che attua un mirabile sistema spaziale flessibile, cadrà vittima della segretezza della cosa pubblica e dello spionaggio volto ad opprimere il cittadino, soffocando la città nel suo spirito di libertà. Il fallimento di questa città cera, allora, un'altra volta la strada dell'Utopia. Amaurote, di Tommaso Moro, è una città ideale e pertanto irrealizzabile, ideologica e pertanto autoritaria, illiberale, anticomunitaria, non democratica. Le Signorie rinnovano pregi e difetti della splendida città ellenistica. Le città mercantili affermano il predominio dell'interesse economico corporativo, familiare o, in alcuni casi statale. Le città di vengono soggetti preoccupati di quella ricchezza artificiale che secondo Tommaso d'Aquino non accettava limiti, una sovrastruttura irrispettosa dei cittadini. La città si articola e si arricchisce di un esercito di impiegati laici, della scuola, del capitale e della finanza, con nuovi templi. La città capitalistica introduce l'imperiosa e, di fatto, inarrestabile logica del profitto con conseguenze terrificanti per le città della prima rivoluzione industriale, la città paleotecnica, dove tutto è organizzato unicamente attorno ai poli della produzione. Una logica che, gradualmente, ma limitatamente, viene corretta o aggiustata nei periodi successivi con la legislazione e la cultura urbanistica, dapprima a favore unicamente dei ceti borghesi e poi, gradualmente, anche a favore dei cittadini quando essi divengono titolari dei moderni diritti costituzionali. La storia della città contemporanea, tornando alla nostra ipotesi iniziale, riproduce le sfide, le vicissitudini ed impronta, forse, anche le sorti della democrazia del nostro tempo. Una democrazia formale, conclamata, ma 251 strutturalmente condizionata dagli ordinamenti, dalle potenze, dal potere non legittimo delle città. L'esperienza delle New Towns inglesi di Howard (1904), le città giardino, si incrociano con Megalopoli, una enorme concentrazione di potere, una concentrazione che, stando alla storia, potrebbe essere all'origine di un prevedibile declino di una civiltà. La nostra è una civiltà che ha prodotto due orribili guerre mondiali ed innumerevoli altri conflitti, che ha prodotto un immenso fenomeno metropolitano, affascinante, radioso, stimolante ed insieme oppressivo e disastroso. Una Babele che, nonostante le tecnologie, tiene il passo del potere ma non quello della dimensione di una vita sociale organica ed aperta alla creatività dei cittadini. Anche Megalopoli si evolve; scompare il suo involucro originario; il suo spazio ed i suoi tentacoli sfuggono ad una definizione spaziale ed anche di senso. I sociologi parlano della città regione ed anche della città invisibile. Consci di questo nuovo potere metropolitano incontrollabile, non comprensibile nei suoi orientamenti e soprattutto non riconducibile ad una dialettica con i cittadini, politologi e cittadini costruiscono ingegnerie elettorali e partecipative, simili alle utopie degli antichi filosofi, ignorando o sottovalutando l'estensione del potere occulto non legittimo di Megalopoli. Questa città non è più un organismo vivo, individuabile, comprensibile, riconducibile al senso della diretta vita collettiva. Chi rappresenta la città afferma di poterla dominare e pertanto rappresentare. In realtà, le utopie della riconquista della città attraverso l'energia dei mondi vitali (Ardigò A., 1978), le esperienze di decentramento amministrativo dei quartieri e delle circoscrizioni sembrano essersi arrese, di fatto, allo strapotere di questo nuovo fenomeno metropolitano, riducendo la rinascita del locale ad una curiosità della sociologia e dell'antropologia culturale. La città non è divenuta, e sembra non poter divenire, un organismo vivo, comunitario nel quale i cittadini possono aspirare all'autogoverno; gli stessi governi della metropoli tracciano alcune linee d'argine, consci che i potentati del 252 sapere tecnologico, dell'economia e della finanza, ed oggi soprattutto coloro che costruiscono l'immagine della città come immagine del mondo, coloro che orchestrano la comunicazione telematica condizionano la politica come governo e come quadro su scala individuale e sociale dei valori (Capulli L., 1983; Echeverria J., 1995; Lizza G., 1984). I cittadini, liberati dalle aberrazioni urbanistiche della città paleotecnica e di Coketown, sono divenuti cittadini virtuali, costruiti quotidianamente dal palinsesto delle notizie, delle immagini, dei messaggi, delle leadership, delle scelte e delle valutazioni, persino dei sentimenti, degli entusiasmi e delle indignazioni. Un palinsesto non originato, non costruito e non modificabile dalla intelligenza, volontà e decisione dei cittadini, che assistono coinvolti, divertiti e persino convinti alla proiezione quotidiana della propria dimensione virtuale, finendo per farla coincidere con quella reale, rinunciando pertanto a pretendere che quest'ultima alzi la voce per farsi sentire e per dire «siamo noi i cittadini reali». Megalopoli ha prodotto anche una ideologia scientifica per non essere attaccata. Ha prodotto la teoria della razionalità limitata (Simon H.) facendo coincidere la verità con la diversità delle situazioni e delle prospettive. Megalopoli fa prevalere la teoria della ipercomplessità, non riducibile a dimensioni dominabili (Luhmann N.), affidando le decisioni, ancora una volta alle élites. Ed ancora una volta, Megalopoli, dopo aver fagocitato i cittadini reali, proietta la loro realtà divenuta virtuale, pertanto acritica, nel vortice del neoellenismo splendido, affascinante, conquistatore e sfruttatore delle realtà esterne, abbassandole al rango di nutrimento di Megalopoli, divenuta il Moloch della nostra civiltà. Esiste una via d'uscita a questa riduzione del cittadino culturalmente vivo perché autonomo e partecipe a cittadino costruito dall'agire comunicativo (Habermas J., Kommunkatives Handeln) manipolato dai potentati di Megalopoli? Se le vicissitudini storiche faranno valere il loro archetipo, Megalopoli ed i suoi potentati possono avere di fronte a sé due esiti. Lo sterile volgersi all'Utopia, oppure l'affermarsi, nello strapotere di Megalopoli, dell'autoritarismo e della 253 violenza dei signori della guerra dell'età del ferro, una violenza del tutto simile a quella del cieco sguardo del denaro e della manipolazione delle visioni del mondo imposte attraverso le reti della comunicazione. Questi mondi autoritari predispongono da soli il proprio tramonto. Vi sarà una visione del mondo che possa accingersi a ricostruire, sulle macerie di Megalopoli, una nuova Polis? Preoccupante che non si intraveda un mondo di valori sufficientemente incisivo, una visione del mondo, alla quale una cultura possa attingere per accingersi a ricostruire dopo il crollo di Megalopoli. Ricostruire a partire dall'io individuale e quindi sociale, sembra impresa ardua, come quella di sottrarre a questi potentati, quale nuovo Prometeo, la scintilla della ragione, della sua dialettica e con essa il senso del mondo per riprendere la ricerca di miti, da noi costruiti e che ci sottraggano al sopruso di una sacralità indefinita dietro la quale si trincerano i moderni tiranni dell'immagine, del consumo e della felicità virtuale. Nota bibliografica 1978 Ardigò A., Governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna 1996 Aloni A., La democrazia di Atene, Lectio magistralis per l'inaugurazione dell'Anno Accademico 1995-96, Università degli Studi di Trento. 1983 Capulli L., La città telematica. Su nuovi linguaggi e comunicazione sociale. Il Lavoro Editoriale. 1995 Echeverria J., Telepolis. La nuova città telematica, Bari, Laterza. Habermas J., Kommunikatives Handeln, 254 1995 Institut für Städtebau und Raumplanung, Idealstädte, 14 Jh.v.Chr. bis 1990, Leopold Franzens Universität Innsbruck. 1987 Le Goff J. (a cura di), L'uomo medievale, Bari, Laterza & Figli. 1984 Lizza G., L'organizzazione telematica della città, Padova, Marsilio. 1984 Lopez S., Intervista sulla città medievale, Bari, Laterza. 1979 (1936) Otto R., Das Heilige,über das Irrationale in der Idee des Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen, München, Beck Verl. (trad. it.. Il sacro, l'irrazionale nell'idea del divino, e la sua relazione al razionale, Bologna, Zanichelli 1926, Milano, Feltrinelli 1966). 1963 Mumford L., La città nella storia, Milano, Edizioni di Comunità. 1977 1993 Oechselin W., «Il mito della città ideale», in: PuglieseCarratelli: «Principii e forma della città», Milano, GarzantiScheiwiller, pp. 419-458. Scaglia A., Sacro e legittimazione del potere, Trento UNICoop. 1991 Scaglia A., La costituzione dell'ambiente montano, relazione al Convegno "Incontro Tra/Montani", Sonogno 27-29. 9.1991, 15 pp. 255 1994 Vercelloni V., Europäische Stadtutopien, München. 1956 Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft, Grundriss der verstehenden Soziologie, Mohr, Tübingen. 256 Sociologia, territorio, urbanistica Urbanistica Scienza giovane, l’urbanistica si presenta come l’arte di leggere ed organizzare lo spazio attraverso l’uso di tecniche sempre più affinate. Essa costituisce da un lato uno strumento ormai insostituibile e dall’altro viene spesso considerata come un orpello a causa dei numerosi vincoli che essa pone all’uso del territorio. Tale atteggiamento ostile all’urbanistica nasce dalla discrasia che si viene creando fra esigenze delle comunità e degli operatori economici in particolare e la lentezza con cui l’adeguamento delle norme, delle cartografie e delle autorizzazioni danno risposta ai problemi che attendono risposta. L’urbanistica, nella sua insostituibilità e nelle sue contraddizioni, esige inevitabilmente un approccio interdisciplinare, ovvero la sinergia fra numerose discipline. «L’urbanistica è la scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico, sia attraverso l’interpretazione, il riordinamento, il risanamento, l’adattamento funzionale di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia attraverso l’eventuale progettazione di nuovi aggregati, sia infine attraverso la riforma e l’organizzazione ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e con l’ambiente naturale».130 Altri hanno voluto esplicitare tale definizione attribuendo all’urbanistica il compito di studiare e regolare i processi di antropizzazione del territorio quale arte e tecnica dello sviluppo urbano nelle sue più svariate articolazioni.131 In proposito, è appena il caso di ricordare che l’espressione territorio urbano va assunta secondo un’accezione del tutto ampio sino a ricomprendere tutte le forme, da quella più utilizzata a quella maggiormente vicina alla dizione ambiente naturale. 130 Astengo G., voce «Urbanistica», in: Enciclopedia universale dell’arte. 131 Barocchi R., Dizionario di urbanistica, Milano, F. Angeli 1984. 257 Le discipline che si incrociano dentro il processo di pianificazione urbanistica sono innumerevole. Esemplificativamente citiamo la geografia, la topografia, l’informatica, la geologia, l’ecologia, l’architettura, la tecnica della viabilità e quella dei trasporti, l’economia, il diritto, la politica, l’antropologia, la sociologia ecc.. Va detto, in proposito, che il ruolo della discipline afferenti trova accentuazioni particolari a seconda della natura del territorio e della forma di antropizzazione che esso subisce. La capacità dell’urbanista si manifesta nel saper coordinare gli apporti pluridisciplinari, farli convergere entro un’analisi efficace al fine di ottenere uno strumento progettuale consono alla realtà territoriale, culturale e storica presa in considerazione. Sociologia ed urbanistica hanno la loro origine dalla congestione e dall’esposizione a rischio cui andarono incontro le comunità ed i territori con la grande trasformazione che va sotto il nome di «rivoluzione industriale».132 Un periodo nel quale le nuove tecnologia produttive e di intervento sul territorio, i grandi movimenti di popolazione verso le città, le nuove infrastrutture provocarono vistosi fenomeni di squilibrio territoriale. Gli interventi attuati allora rappresentano i primi elementi dell’urbanistica intesa come tentativo analitico e progettuale per governare il territorio di fronte a situazioni di emergenza. Alcune proposte ebbero carattere utopistico, filantropico o assistenziale; ma troviamo anche i primi elementi di teoria urbana, di urbanistica amministrativa intesi a garantire elementari livelli di igiene urbana, troviamo i primi esempi di esproprio per utilità pubblica. L’urbanistica ottocentesca trova il proprio sbocco nelle esperienze novecentesche delle new towns (1904) ed in seguito nella sperimentazione della prima città giardino di Howard nella quale si cerca di far coesistere l’unità e la necessaria differenziazione delle funzioni, nella convinzione che la dimensione e la specializzazione urbana non sono alternative alla comunità. 132 Scaglia A., La scienza del sociale. Nascita e sviluppo della sociologia, Università degli Studi di Trento, Clep 1996, pp. 14 -178. 258 L’urbanistica moderna non raccoglie l’eredità di un’arte autorevole, condivisa e partecipata di autogoverno o di un governo illuminato e paterno delle comunità, essa è piuttosto un intervento riparatore, un intervento giunto in ritardo e che assume il carattere di aggiustamento e di vincolo posto ad un processo che tende ad espandersi liberisticamente. Oggi, questo confrontarsi dei programmi urbanistici ed i programmi politici sembra voler superare la frattura originatasi con la rivoluzione industriale dell’Ottocento.133 L’urbanistica ha gradualmente posto sotto controllo il territorio dei paesi maggiormente sviluppati; essa sembra, tuttavia, non aver trovato un adeguato equilibrio metodologico e soprattutto sociale nel suo rapportarsi alle dinamiche sociali, culturali e soprattutto a quelle economiche. In questo processo di evoluzione dell’urbanistica giocano un ruolo la dicotomia sociologica villaggio-città (identità comunitaria ed appartenenza prevalentemente funzionale) come pure il progressivo prevalere delle analisi e delle valutazioni economiche delle dimensioni territoriali, per cui l’economia urbana e regionale vengono ad assumere un peso sempre maggiore.134 Non disponiamo di spazio sufficiente per tracciare qui, sia pure in sintesi, la metodologia urbanistica. Diamo tuttavia uno schema degli elementi di rilevazione, di analisi e di progettazione ai quali si attiene l’urbanistica. Quest’ultima si serve di una serie di strumenti che possono essere così indicati: - lettura del territorio nei suoi aspetti geografici, geologici, ambientali; - cartografia di base leggibile ed aggiornata; una restituzione cartografica dei più importanti elementi analizzati; - storia del territorio e della sua antropizzazione; 133 Benevolo L., Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, Laterza 1989, p. 192. Heigl F., Geschichte des Städtebaus, Wien, Mainz 1990. 134 Per la dicotomia sociologica vedi soprattutto: Demarchi F., Società e spazio, Trento, Ist. Sup. di Scienze sociali 1967, p. 330. Per la forma attuale dicotomica villaggio - città (centro/periferia) vedi: Shils E., Centro e periferia, Brescia, Morcelliana 1984, p. 29. 259 - analisi demografica secondo la dinamica storica, al fine di illustrare la connessione fra forme sciali e territorio; - fenomeni e strutture della mobilità; - analisi economica: settori di attività, unità produttive e della distribuzione dei beni; reddito prodotto; ceti e classi sociali; - strumenti di programmazione urbanistica, paesistica, economica esistenti. Programmi di sviluppo, di organizzazione dei settori economici e dei servizi. Piani e programmi, strumenti cartografici e normativi. - gli obiettivi posti allo specifico processo di pianificazione; - modalità partecipative al processo di pianificazione; - elementi per un piano di struttura; - individuazione delle valenze simboliche dello spazio, del territorio e delle forme spaziali da progettare. Per una esplicitazione di alcune di queste voci rinviamo a testi specifici.135 L’obiettivo principale di questo capito è il rapporto che esiste, o meglio che dovrebbe sussistere, fra urbanistica e sociologia. Urbanistica e sociologia E' utile o indispensabile la lettura sociologica di una comunità quale strumento per la pianificazione 136 territoriale? E' a questa domanda che, pensiamo, si debba preliminarmente rispondere al fine di chiarire non tanto, e non solo, il rapporto fra sociologia ed urbanistica, quanto piuttosto la connessione che esiste e deve eventualmente esistere fra la realtà sociale della comunità da pianificare e le scelte territoriali che lo strumento urbanistico è chiamato a compiere. 135 Heigl F., Grundlagen der Planung, Wien, Manz 1985. Amorosino S., Barsotti L., D’Alessio G., Di Giovine G., Enciclopedia di Urbanistica e Pianificazione territoriale, F. Angeli, Milano 1984. Coppa M. (a cura di), Introduzione allo studio della Pianificazione, Torino, UTET 1986. 136 Il fondamento teorico e metodologico del ruolo della sociologia nella pianificazione territoriale è stato esplicitato nella parte introduttiva di questo testo. 260 Dobbiamo, purtroppo constatare come in urbanistica, salvo alcune eccezioni, l'analisi sociologica non sembra essere considerata come necessaria. Per quegli amministratori e per quegli urbanisti che cercano, con l'impegno che richiede l'interdisciplina, di percorrere la strada dell'analisi dello spazio e delle sue forme servendosi della comprensione sociologica, essa si trasforma in un aiuto sostanziale ed in un complemento irrinunciabile per poter operare delle scelte di organizzazione del territorio, di destinazione delle aree, di definizione della forma urbana che non poggino su di una tecnica meramente formale. Chi evita di condurre un'analisi sociologica delle forme spaziali del passato e di quelle che il territorio potrà assumere in futuro ricorre usualmente a valutazioni di buonsenso o di intuizione. Ma quale apporto può offrire la sociologia alla pianificazione urbanistica? La sociologia è una scienza che, pur avvalendosi dei preziosi dati delle analisi empiriche (economiche, demografiche, geografiche, analisi dell'uso del suolo, degli stessi bisogni "espressi o non espressi" della popolazione ecc.) cerca di stabilire il nesso causale che esiste fra le visioni del mondo, la cultura e le motivazioni della società e le forme che gli individui ed i gruppi danno allo spazio, al territorio alla sua organizzazione ed utilizzazione. Un'impresa certamente ardua da un lato, non esaustiva né definitiva dall'altro. Non esaustiva, data la inesauribile complessità della realtà sociale e culturale. Non definitiva, in quanto la individuazione di queste connessioni di causalità fra modi di concepire la vita e concrete forme di vivere, di comportarsi e, nello specifico, di operare delle scelte di organizzazione e di uso del territorio è legata all'oggi, alla forma della cultura attuale e deve, per essere efficace, tradursi in valutazioni e decisioni di politica del territorio. Aggiungiamo che la inesauribile ricchezza della vita sociale sul territorio viene semplificata sia dal sociologo che persegue alcuni obiettivi di analisi e non altri (quelli affidatigli dalla comunità e particolarmente da chi la governa), sia dall'autorità che per assumere delle decisioni si 261 trova ad operare una scelta fra l'altrettanto innumerevole serie di obiettivi possibili, secondo criteri di priorità. Istanza politica, urbanistica e sociologia A dare forma concreta alle decisioni interviene, appunto, l'istanza politica. Il che deve essere considerato irrinunciabile ed auspicabilmente inevitabile. Di fronte a questa vitale istanza, la sociologia risulta essere strumentale ma non indifferente. Al contrario, la sociologia appare come uno strumento in grado di chiarire la coerenza fra le concezioni della vita, le mete che una comunità si propone, i comportamenti e le scelte territoriali operate dalla politica del territorio. Essa rappresenta un contributo, a ben guardare, irrinunciabile. Il rapporto dei gruppi sociali e delle comunità con il territorio sviluppa certamente forme solidaristiche volte ad affrontare i problemi, le ostilità delle forze naturali e la risposta ai bisogni dell'abitare, dell'alimentarsi, del produrre e dello scambio dei beni, ai bisogni del vivere sociale, civile e politico nonché a quelli di socializzare. Accanto a queste forme solidaristiche vi sono anche forme dialettiche e conflittuali, forme che vengono a galla anche nella fase di elaborazione degli strumenti di programmazione urbanistica e che abbisognano di un'analisi e di una gestione specifica. E la sociologia può aiutare a comprendere adeguatamente la natura e l'origine di tali conflitti, ponendo così le premesse per poterli affrontare, soprattutto attraverso il modello partecipativo della pianificazione e della programmazione territoriale137. L'urbanistica, intesa come lettura e come tecnica della organizzazione e pianificazione territoriale, scienza che trova 137 Per quanto riguarda la partecipazione ai piani di sviluppo ed alla programmazione urbanistica vedi, per una concreta esemplificazione, il Pino di sviluppo socioeconomico di Roncegno. Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo. Roncegno Valsugana tra identità affettive e calcolo razionale, Milano, F. Angeli 1988. Sulla problematica del conflitto nella pianificazione delle aree urbane: Küpper U. I., «Zum Wandel der Verfahren und Entscheideungstrukturen in Stadtentwicklung und Stadtplanung». In: Sieverts, Th. W. (hrg), Zukunftsausgaben der StadtplanungI, Düsseldorf, Werner Verlag 1990, p. 141. 262 nella elaborazione di modelli e di principi il proprio specifico fondamento, offre la possibilità di dare volto organico ed insieme concreto, attraverso cartografia e normativa, ai futuri assetti del territorio. Va da sé che fra le analisi sopra citate (in particolare quella sociologica) e l'urbanistica deve stabilirsi, come si è detto, una collaborazione assai stretta, collaborazione che va sotto il nome di analisi interdisciplinare. Per fare un esempio. La decisione di creare una nuova area per la residenza non può rispondere unicamente ad un calcolo statistico-demografico che dimostra l'effettiva esigenza di nuovi alloggi. Il problema, come si è detto, presenta una ricca serie di aspetti e di problemi. Si è certi che la popolazione di quella comunità vede in quella soluzione una risposta alle proprie esigenze abitative? La scelta di offrire una risposta parziale o prevalente attraverso una ristrutturazione di edifici nel centro storico potrebbe rappresentare una soluzione alternativa? Ed ancora. Nell'un caso o nell'altro (nuova area residenziale oppure opzione centro storico) quale rete di rapporti si verrà a stabilire? Quali risposte relazionali avranno i gruppi sociali diversi per età, condizione professionale, di censo, per istruzione, mentalità, identità o integrazione sociale? Quale ruolo potranno e dovranno giocare gli spazi privati, quelli pubblici, le strade, i percorsi pedonali, la piazza, la raggiungibilità dei servizi, del posto di lavoro, il collegamento con le altre zone abitate? La risposta la deve esperire il sociologo con la strumentazione empirico analitica e con l'utilizzo degli studi già condotti da altri sul territorio e consolidati in quella che i sociologi chiamano teoria sociologica del territorio. E con ciò dovrebbe risultare chiara anche la stretta connessione fra analisi sociologica ed urbanistica, in quanto a quest'ultima spetta la formalizzazione di quanto la sociologia ha potuto leggere dentro la complessità socioculturale; la sociologia intende operare individuando i tratti della forma urbana, intesa come portato socioculturale del territorio e come aspirazione sociale per una sua nuova organizzazione. L'urbanistica traduce quindi tale lettura in una serie di scelte 263 organizzative concrete e coerenti, approntando le cartografie di base e di progetto, nonché l'apposita normativa. E' facile intuire quale stretta connessione debba esistere fra le due discipline. Il fatto che spesso questa collaborazione non vi sia o non venga nemmeno presa in considerazione fa comprendere agevolmente i motivi che rendono la sociologia senza sbocchi concreti ed efficaci e l'urbanistica una mera tecnica basata sulla gestione onorevole del buonsenso. Una sociologia dell'urbanistica Il ruolo e la rilevanza della conoscenza sociologica per la pianificazione urbanistica e per la programmazione dello sviluppo economico di un territorio discende dalla stessa definizione e dallo statuto scientifico della disciplina che va sotto il nome di sociologia. É, allora, importante dare subito una prima, e possibilmente sintetica, definizione della scienza sociologica in ordine al suo ruolo nei processi di lettura e di pianificazione del territorio. La sociologia del territorio La sociologia, in quanto scienza che si occupa dell'agire sociale umano, è una scienza che si differenzia profondamente dalle scienze naturali, quali la fisica, la chimica, la biologia ecc., in quanto, pur facendo ricorso all'osservazione empirica dell'agire degli uomini, punta a risalire dagli aspetti e dalle forme materiali di esso alla causa prima, alla radice dell'agire individuale che poi, in forza dei processi di rapporto e di convivenza fra gli uomini, diviene sociale. E qual è la causa, la radice di questo agire? Ciò a cui gli uomini si rifanno nel loro agire, almeno per quell'agire di cui si interessa la sociologia è la motivazione che discende dalla Weltanschauung, dalla costellazione dei valori dell'attore sociale. In conclusione, se noi, attraverso le forme visibili ed osservabili delle azioni degli uomini, risaliamo al senso del loro agire, riusciamo a comprenderlo ed a comprendere anche il senso delle opere che questo agire ha prodotto. Se noi osserviamo i fenomeni, le forme dell'agire senza risalire a questo senso, le forme materiali prodotte dall'uomo appaiono mute o statiche. 264 Questa considerazione ci permette non solo di esprimere una definizione della sociologia ma anche di valutarne la rilevanza. Si pensi all'importanza che ha la motivazione che sta alla base di questo senso dell'agire. Essa può affondare le proprie radici nella tradizione, in una fede in valori che stanno al di là della dimostrabilità da parte della ragione umana, oppure ancora questa motivazione può conformarsi, ed è il caso della cultura moderna della società industriale, al parametro della efficacia del pensiero e della proposta imprenditoriale che si dimostra corretta solo in quanto è in grado di raggiungere l'obiettivo prefissatosi. Il territorio come espressione culturale Assumendo la sociologia secondo questa definizione, il territorio, in quanto abitato, in passato o attualmente, da individui e dalle comunità che essi formano diviene un campo ricchissimo di esplorazione sociologica. La sociologia del territorio potrà scoprire la storia del senso che gli uomini, singoli e associati, hanno espresso nelle trasformazioni da essi operate sul territorio. Il territorio diviene così una ricchissima espressione culturale. L'uomo lo ha configurato in base ai propri bisogni materiali, secondo un senso intenzionato guidato dalle proprie esigenze di vita e di sopravvivenza, legate alla necessità di procurarsi cibo, riparo dalle intemperie e dall'inclemenza delle stagioni. Le esigenze dell'uomo sono, tuttavia, assai più ricche di quelle appena espresse. L'uomo matura infatti esigenze assai più articolate e complesse di quelle che entrano in un qualsiasi repertorio costruito con la rilevazione. Ogni epoca ed ogni cultura presenta esigenze, bisogni e risposte proprie. L’uomo nasce e vive in un gruppo sociale; nasce e cresce normalmente in una famiglia. E la famiglia organizza forme dell'abitare, della coltivazione dei campi, realizza volumi, inventa utensili ed attrezzi, tecnologie per il lavoro, si ingegna per la coltivazione e la conservazione dei prodotti che servano per la vita di tutti i giorni e per le occasioni di festa. Le forme sociali non si arrestano comunque alla famiglia. Il paese, quello che i sociologi chiamano il villaggio, rappresenta una forma sociale e culturale che condivide una 265 costellazione di valori, di sentimenti ed emozioni, un linguaggio o dialetto che esprime una concezione della vita spesso assai diversa dal villaggio o paese vicino. Ciò va tenuto ben presente, per non correre il rischio di considerare le stesse forme materiali (casa, fienile, organizzazione agricola, chiesa, ecc.), in quanto simili, come manifestazione di un senso strutturale universale e pertanto comune alla vita individuale e sociale dei paesi, senso che invece può essere profondamente diverso da un luogo all’altro e soprattutto da una cultura all’altra. Occorrerà scoprire questo senso particolare, rintracciando, nelle forme di espressione specifica, la via per risalire alle motivazioni profonde particolari. Possono essere di aiuto, in ciò, i rapporti tra figli e genitori, le modalità di educazione dei minori, le forme di solidarietà e di conflitto, le forme di vicinato e di vita di paese, le espressioni del dialetto. Nel paese vi sono, quindi le forme di vicinato e di parentela, le contrade, le frazioni, ed alle volte i masi. Ognuna di queste forme esprime un modo di intendere la vita, un qualche cosa che in passato o nel presente questi soggetti e queste comunità hanno voluto o vogliono esprimere. In queste comunità territoriali esistono moltissime altre forme culturali, modificazioni del territorio, edifici, viabilità, opere di regimazione, dissodamento di terreni, disboscamenti, viabilità poderale, bonifiche, sistemi di irrigazione antichi e moderni, sistemi di approvvigionamento dell'acqua, eliminazione dei materiali di risulta e del letame e dei liquami ecc.. Come pure esistono luoghi e manufatti con cospicua rilevanza simbolica. Basti pensare a tutte quelle opere nelle quali gli individui e le comunità vedono simbolizzati i sensi più profondi ed intoccabili della propria vita. Mi riferisco ai all'ambiente natio o di appartenenza, ai monumenti, alle chiese, ai cimiteri ed agli edifici sacri in genere ai quali appartengono anche le abitazioni, i luoghi dell'infanzia, della vita della comunità. Nella concezione della vita, il legame con il passato, il ricordo ed il culto dei morti, rappresenta nella nostra cultura di paese (ma anche di città e di paesi) un elemento fondamentale, sacro, intoccabile, un grande e sostanziale senso della vita delle comunità. 266 Oserei dire che questo culto estende la propria influenza a tutta la vita religiosa e sacrale in senso lato, che viene vissuta, principalmente come una espressione rituale e che trova la sua massima efficacia e necessità quando essa sancisce, in modo sacro, i momenti più importanti della vita: la nascita, l'entrata nell'età adulta, il matrimonio, l'arrivo di nuovi figli, le festività che scandiscono lo scorrere dei mesi e degli anni, la morte ed il ricorso di essa, quasi a riportare nella comunità coloro che materialmente non sono più, garantendo altresì a coloro che sono presenti nella comunità che saranno, in futuro, presenti, proprio attraverso questo culto, anche dopo la loro morte. Il territorio e le comunità non sono, dunque, solamente un insieme di elementi interessanti che la storia ha prodotto, sono un insieme vivo, sensibile e suscettibile, una cultura che ci permette, come si è detto, di risalire al mondo dei valori ed al tipo di pensiero, all'atteggiamento mentale, a quella che potremmo chiamare la cultura di un popolo oppure di un’area anche delimitata, ad esempio di una valle di montagna. Ci riferiamo alla valle come dimensione territoriale ed insieme, in quanto, dalle ricerche condotte in alcune valli del Trentino, sembra che, ad un livello di maggiore generalizzazione, al di là della particolarità dei paesi, vi sia una cultura specifica per ogni valle138. Come pure vi è un rapporto che è indispensabile esplorare, per completare il quadro del ruolo e del significato della sociologia per l'urbanistica, rapporto che si stabilisce fra paesi, valle e dimensione-autorità provinciale e regionale. Vi sono anche i rapporti con le realtà extraregionali, nazionali ed internazionali, ma ad esse non vorremmo accennare in questa sede. La personalità di valle e l'ambiguità del rapporto con la dimensione provinciale in Trentino Attraverso percorsi storici e sociali complessi ed in parte certamente ancora non esplorati, alcune valli del Trentino, ad esempio, hanno maturato una costellazione di valori, una 138 Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo. Roncegno Valsugana tra identità affettive e calcolo razionale, cit. 267 Weltanschauung comune. Gli esempi da noi studiati, della Valle di Non e della Bassa Valsugana sembrano essere emblematici al riguardo.139 Ciò sta a dimostrare in primo luogo che esiste una dimensione motivazionale di valle che ci fa comprendere tanto le potenzialità quanto le resistenze ad iniziative o realizzazioni di carattere valligiano, in secondo luogo quale tipo di rapporto si può o non è possibile stabilire fra dimensione valligiana e paesi. In linea di larga massima, la società e la cultura trentina appaiono profondamente caratterizzate dalla dominanza familiare. Una dimensione che sembra esaurire in se stessa tanto i processi di formazione ed interiorizzazione dei valori, quanto i processi di socializzazione degli individui. Ne deriva una forte e preminente valutazione della figura materna, mentre quella paterna svolge i compiti della socializzazione secondaria, a partire dalla gestione con i gruppi esterni alla famiglia, il compito di far conoscere e rispettare, da parte degli altri membri della famiglia, le regole sociali proprie ai gruppi esterni. In realtà, le forme sociali di parentela, di vicinato, i borghi ed il paese stesso, appaiono come un'entità fortemente e quasi esclusivamente caratterizzata e dominata dalle logiche e dall’etica familiare. Si può aggiungere che la stessa vita economica familiare, ma anche quella delle organizzazioni economiche di paese, vedi ad esempio le forme di cooperazione, nonchè le modalità di conduzione e di legittimazione della vita amministrativa comunale, sono fortemente e sostanzialmente controllate dalle logiche di senso familiare. Questo influsso familiare si estende anche all'ambito politico ed amministrativo provinciale e regionale, divenendone il criterio prevalente di legittimazione e di conferimento del mandato politico fiduciario. É come dire che, il meccanismo di cooptazione del consenso politico agisce, in questa terra, prevalentemente su base familiare. Ciò provoca forti coesioni ed insieme una seria disfunzionalità. Infatti, la dimensione familiare e di paese non possiede ad esempio le categorie analitiche e conoscitive adeguate per valutare le logiche legislative, amministrative e tecniche 139 Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo ,cit. 268 provinciali che si attengono alle dinamiche economiche e tecnologiche della società industriale e del mercato. Siamo così in presenza di una cultura primaria, di cui la famiglia è la più tipica espressione, che legittima gli eletti ed i loro programmi, eletti e programmi che ricevono, in realtà, una delega al buio, in quanto agli elettori, di estrazione e permanenza culturale familiare, manca la possibilità di esercitare un controllo sulle decisioni. La conseguenza di questo processo è paradossale. In assenza di una simile capacità di controllo, la cultura politica familiare o si affida alla qualità carismatica dei propri leaders, oppure esercita l'unico potere che ha a sua disposizione: richiede interventi di carattere concreto e specifico, insistendo su prestazioni di aiuto e di appoggio per pratiche amministrative specifiche, individuali o dirette all'interesse delle piccole comunità, e, per quanto concerne il controllo fiduciario, ricorre alla sostituzione dei leaders non carismatici con ritmi accelerati, senza una effettiva valutazione delle capacità e delle prestazioni. Sfuggono, parzialmente a questa dinamica solamente i leaders carismatici, oppure coloro che richiedono la propria legittimazione politica a gruppi o associazioni di categoria con le quali riescono ad interagire utilizzando la dimensione corporativa quale mezzo per costruire una coscienza collettiva appropriata alla complessa società moderna e comunque capace di esplorarla e di conferirle senso.140 Sulla base di quest'ultima analisi si possono meglio comprendere anche i rapporti fra concezione, legislazione urbanistica e gestione urbanistica provinciale e comunità di paese. In quest'ottica sociologica si possono interpretare e comprendere altresì le motivazioni che hanno reso forte il ritorno alla dimensione comunale, la presenza nella nuova normativa di elementi che danno risposta a problematiche assunte e difese dalle associazioni di categoria, mentre la dimensione comprensoriale ne è uscita poco definita e realisticamente indebolita. 140 É questo il significato del corporativismo di E. Durkheim nel suo celebre saggio: La divisione del lavoro sociale. 269 Quali utilizzazioni dell'analisi sociologica in urbanistica? Da quanto siamo venuti dicendo, la dimensione sociologica presenta per la pianificazione urbanistica una rilevanza del tutto particolare. Si potrebbe dire che ogni urbanista, in quanto conduce delle analisi del territorio, al di là di quegli aspetti che egli recupera dalle discipline geologiche, metereologiche, agronomiche, biologiche, e dalle scienze naturali in genere, in effetti raccoglie una documentazione e produce una lettura che persegue obiettivi sociologici. Tutto l’operare dell’urbanista ha infatti uno scopo: la conoscenza delle comunità, della cultura che esse hanno prodotto trasformando il territorio conferendo ad esso un ricco significato simbolico, al fine di proporne una riorganizzazione che risponda, in base alla disponibilità ed alla economicità delle risorse, alle esigenze, al bisogno di conferimento di senso individuale e sociale di quelle comunità. E’ per questa ragione che la lettura del territorio richiede l’azione sinergica delle scienze che dispongono di competenze tecniche e delle scienze che sanno penetrare e comprendere i nessi causali fra prodotti materiali della cultura ed universi di valore che ne sono la causa motivazionale prima. Il problema è che una simile analisi appare usualmente ricca di elementi descrittivi molto utili ma spesso essa opera un salto nel buio, quando cioè sulla base di un'analisi quantitativa si presuppone di conoscere con sicurezza il senso inteso da queste culture nel passato ed altresì quello che esse intendono dare al proprio futuro. L'urbanista, spesso per necessità di cose, opera una semplificazione, ricorrendo semplicemente alle autorità che gli affidano l’incarico, chiedendo loro di esprimere i loro desiderata. Per quanto riguarda le scelte che attengono la dimensione e l’organizzazione territoriale, l'urbanista fa ricorso ai modelli teorici del proprio bagaglio culturale e tenta una mediazione con le amministrazioni, con il risultato che spesso tali proposte appaiono come un corpo estraneo nel tessuto territoriale che la comunità locale sente proprio. Va perso, in questo modo, quel processo di recupero della cultura locale al fine di far maturare ad essa un sapere 270 superiore a quello localistico. Ciò avviene quando la comunità è condotta, attraverso la partecipazione al processo di pianificazione, ad appropriarsi delle logiche della razionalità industriale e della organizzazione razionale di alcune funzioni del territorio e delle attività produttive che la vita comunitaria familiare deve iniziare a conoscere, a considerare importanti accanto alla identità primaria; la comunità deve imparare a controllare la razionalità urbana e le sue logiche zweckrational onde evitare inutili e dannosi meccanismi di rifiuto o quelle accettazioni in base alla fiducia cieca che si concludono, alla lunga, anch'esse in un rifiuto irrazionale dovuto al sospetto di fronte ad un potere che appare estraneo ed incontrollabile.141 La sociologia appare, dunque, come una disciplina concorrente,e, così proposta, come una disciplina insostituibile per la pianificazione urbanistica, almeno per un'urbanistica che intenda procedere verso scelte di utilizzo e di organizzazione del territorio che corrispondano ad una conoscenza corretta del territorio come espressione culturale di una comunità, corrispondente ad una conoscenza della cultura quale espressione del passato ma anche di una cultura che intende esprimersi coerentemente anche nel futuro, prossimo o lontano.142 Mutamento sociale, culturale e urbanistica Si è già detto della rilevanza della lettura del territorio in quanto esso esprime una valenza culturale assai diversificata. É a questa valenza che si rivolge l'opera di analista ed osservatore dello studioso e dell'operatore urbanista. Tuttavia tale valenza, come si è cercato di evidenziare, non ha significato solamente in quanto si riesce a raggiungere il senso storico che gli individui e le comunità hanno voluto esprimere. Anzi, l'analisi sociologica del territorio mette l'urbanistica nelle condizioni di individuare le tendenze del 141 Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr (Paul Siebeck) 19564 , “Die nichtlegitime Herrschaft (Typologie der Städte)”, pp. 735-822. 142 Rogers A., Vertovec S., The urban context: ethnicity, social networks and situational analysis, Oxford-Washington D.C., Berg 1995. 271 mutamento sociale e culturale, onde operare delle scelte di uso ed organizzazione del territorio che corrispondano ad esse. L'analisi del mutamento sociale raggiunge il proprio obiettivo quando riesce a cogliere i nuovi orientamenti e la natura del pensiero sociale, quegli orientamenti e quella natura dell'agire che porteranno l'uomo ad orientarsi verso precise direzioni. É questa la via che la sociologia deve seguire, ed è solamente questa la sua possibilità di prevedere come si orienterà l'agire sociale e quali aspetti assumeranno o quali forme sarebbero consone alla cultura territoriale futura. Come si potrà notare, la probabilità sulla quale si basa la previsione non si basa sulla verifica strettamente empirica delle scelte precedenti. La verifica empirica, in luogo di offrirmi una pura probabilità statistica, permette di risalire alla costellazione dei valori di orientamento che divengono i veri elementi causali adeguati. Sono questi ultimi ad assumere la valenza causale e non la pura forza dei fatti che si ripetono. Questo assunto, porterebbe con sé alcune ulteriori considerazioni, circa il compito dell'urbanistica e delle attività di pianificazione in generale, in quanto esse svolgono, accanto al compito di dare risposta alle esigenze esistenti, anche quello di indirizzare verso un mutamento negli stessi orientamenti di pensiero e di comportamento, proponendo soluzioni tecniche ed organizzative che in base all’adeguatezza culturale vengono considerate migliori di quelle precedenti. Ma anche ciò richiede un'adeguata conoscenza della realtà concreta intesa, tuttavia, come sentiero che conduce alle motivazioni. Il paziente e corretto lavoro di rilevazione empirica permette di giungere all’approfondimento ed alla individuazione della persistenza, del mutamento o della flessibilità del pensiero sociale. Ciò permetterà di prevedere il grado di accettazione e di coinvolgimento dei destinatari delle scelte urbanistiche. Espressioni simboliche dello spazio. Esemplificazioni Il modo più efficace di rendere l'importanza del rapporto concezione del mondo, natura del pensiero sociale e forma culturale del territorio è tentarne una esemplificazione che 272 vorremmo esprimere qui cercando di dare ad essa una sorta di procedere gerarchico. Assunto come ambiente di partenza il centro abitato denominato capoluogo, frazione o quartiere, non dobbiamo correre il rischio, come si è detto, di considerare tutte le forme culturali espresse dal territorio come aventi la stessa valenza. L’ambiente urbano ha avuto in passato e possiede anche nella nostra cultura un peso determinante nell’indirizzare le politiche del territorio. Ma non dimentichiamo che anche il potere urbano va letto nella sua antropologia, nell’intreccio delle connessioni di senso che lo connotano. In esso si esprimono i poteri della razionalità strumentale, quelli della politica, dell’economia, della comunicazione ma anche quelli delle forme comunitarie di vicinato, di quartiere e di comunità che convivono con le prime forme di appartenenza e di potere. Il culto dei morti. Cimitero e chiesa Questa dimensione risulta appartenere alla matrice culturale arcaica, ancestrale e inerente alla personalità sociale più profonda del paese. Le motivazioni che abbiamo cercato di enucleare (il legame profondo con il passato che si fonde e diviene un tutt'uno con il presente e con la garanzia di essere ricordati e rivivere anche in futuro, all'interno di questa dimensione di fatto totemica) fa del cimitero e degli elementi che hanno a che fare con il culto dei morti una dimensione spaziale del tutto speciale. Ecco perché le scelte territoriali che riguardano le aree cimiteriali centrali o minori, la loro riorganizzazione anche simbolica presentano uno degli elementi più delicati ed anche importanti per la vita del paese. Lo stesso dicasi per la chiesa del paese. Mutamenti di sede vengono di solito accompagnati da un'azione corale della popolazione che partecipa alla nuova costruzione, producendo così una graduale interiorizzazione del nuovo edificio sacro, trasferendo in esso il contenuto sostanziale della sacralità, quasi un rito inteso ad evitare che quest'esperienza si tramuti in senso di colpa per aver abbandonato l'antico luogo sacro. 273 La casa degli avi ed il centro storico L'attaccamento alla casa degli antenati, alla casa paterna, ha subito, negli ultimi decenni un processo a doppia valenza. Da un lato, la casa paterna ha esercitato ed esercita ancora un'attrattiva assai forte. Ne sono una dimostrazione il legame che gli emigrati nei centri urbani mantengono con la vecchia casa dei padri e dei nonni, il che si traduce in una vischiosità del mercato delle abitazioni inutilizzate dei centri storici che, in tal modo, si svuotano facendo declinare anche i servizi. Allo stesso tempo, il tardivo, non organico (non si è proceduto sistematicamente a sollecitare la ristrutturazione e la creazione di adeguati servizi) ed ancora incerto intervento di sollecitazione per la ristrutturazione dei centri storici, ha indotto il fenomeno della realizzazione di nuove abitazioni in frangia ai centri storici. Abbiamo qui un esempio emblematico di come una certa urbanistica non abbia saputo utilizzare l'indubbio attaccamento alla tradizione abitativa incentivando, tempestivamente e con modelli opportuni, scelte di ristrutturazione che il valore della casa paterna, le tradizioni di vicinato e di parentela avrebbero indotto a far accettare. Si tratta di una delle occasioni perdute, anche se vi sono ancora spazi da recuperare in questa direzione. Le case di riposo come risposta funzionale e come negazione dell’identità. Contraria alla tradizione che vuole il padre, il nonno ed i figli viventi sotto lo stesso tetto, attuando il passaggio diretto dell'esperienza, accomunando la vita che nasce con quella che si spegne e che tuttavia continua nel cognome, nel ricordo e nella proprietà, la casa di riposo entra come una necessità forzosa e funzionale per la dinamica familiare che non è più solamente agricola. Tuttavia, la casa di riposo diviene una tragedia quando l'anziano deve, anzitutto, abbandonare il paese. Si tratta, in termini antropologici, di una vera morte prima della morte, in quanto il membro di questa comunità ancestrale viene strappato alla sua identità ed all’universo dei valori che per lui motivano l’esistenza. 274 Ma anche quando la casa di riposo per anziani rimane all'interno del paese, vi può essere un isolamento spaziale e comunitario che suona estraniazione e marginalità. In termini urbanistico-comunitari, la collocazione della casa di riposo non può prescindere dal mondo psicologico e culturale dell'anziano. La prossimità fisica e psicologica con la piazza del paese, con il luogo dove la comunicazione di vicinato è quella viva e reale, non dopo salite che conducono in luoghi magari ameni ma inaccessibili, danno all'anziano il segnale dell'esclusione dall'incontro con la gente che si reca e sosta in piazza, che frequenta il negozio, il bar o, meglio ancora l'osteria, cose che mettono l'anziano in diretto e costante rapporto con la vita di tutto i giorni. La scomparsa della piazza nelle nuove aree residenziali La destrutturazione della vita di paese non sembra essere stata intaccata dalla scomparsa dei centri storici e nemmeno da questo secondo grave decadimento dei luoghi più naturali della socialità, ovvero delle piazze nelle zone residenziali nuove. Siamo anche qui in presenza di errori urbanistici legati ad una metodologia, quella della ozonizzazione ed alla razionalizzazione dei concetti razionali (abitazione, viabilità, parcheggio, parco giochi, verde, spazio pubblico-per strutture o servizi) che ha dimenticato una categoria importantissima per la socialità comunitaria: la piazza. Il paradosso è che con un'urbanistica razionale in termini strumentali non si riesce a riaffidare alla comunità la libera scelta (un tempo naturale, e così, di fatto, obbligatoria) dello spazio da dedicare alla piazza. Le conseguenze sono la nascita di zone residenziali razionali che posseggono magari tutti gli spazi urbanistici di norma ma non concedono nulla alla socialità di vicinato e di contrada. L'analisi del territorio come espressione culturale potrebbe e dovrebbe proseguire, prendendo in considerazione le maggiori espressione che essa assume oggi e quelle che invece hanno perduto il significato che ebbero in passato. Le arterie e le strutture di scorrimento, la modificazione introdotta dalle stazioni e dalla presenza turistica, dalle zone produttive, dal terziario produttivo e dei 275 servizi, l'abbandono agricolo nelle aree marginali, la coltura agricola intensiva, la rotazione delle colture e l'impatto con le nuove tecnologie di produzione e con quelle caratterizzate dalla chimica. É convinzione di chi scrive che, nonostante il massiccio impatto con la modernizzazione industriale urbana, non ultima con l'imposizione di una normativa urbanistica che non mostra di comprendere la sostanza della vita di comunità di paese, la cultura di quest'ultima dimensione comunitaria permanga assai solida e profonda, capace addirittura di influenzare la città. Si tratta comunque di una risorsa che purtroppo l'urbanistica non ha saputo né rispettare né utilizzare come risorsa per una pianificazione territoriale adeguata ad un ammodernamento rispettoso della cultura rurale. Ambivalenza simbolica della città moderna Nell’applicazione del metodo interdisciplinare proposto alla città è necessario tenere conto della sua profonda ambivalenza. La città dell’occidente, quella nata dalla grande trasformazione tecnologica e industriale affianca due caratteristiche sociologiche: quella comunitaria e quella della razionalità strumentale. Se vogliamo richiamare la dicotomia weberiana, siamo in presenza di un intreccio fra processo di azioni sociali comunitarie (Vergemeinschaftung) e processo di azioni sociali di carattere organizzativo, efficiente ed efficace (Vergesellschaftung).143 Chi è chiamato a studiare la città per indirizzarne la pianificazione, se vuole comprendere le sue tendenze e soprattutto se vuole indirizzarle, valutando le scelte che asseconderanno le attuali inclinazioni distinguendole dalle scelte che invece andranno controcorrente, dovrà scavare e scoprire queste due dimensioni dell’ambivalenza urbana. La città vive infatti di una ricca serie di appartenenze comunitarie: i vicinati dei quartieri popolari come il Boca di Buenos Aires, i Bassi di Napoli, ma anche le microidentità di quelli superfunzionali come Manhattan o della Cité a Parigi. Nella città, in ogni città, si sviluppa questo intreccio di forti 143 Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft... cit., vol. I. 276 sentimenti di appartenenza,mescolati alla più razionale, spesso spietata logica del profitto, del successo, della competizione propria del libero mercato. La nostra origine e la nostra anima illuministica tendono a dicotomizzare questa ambivalenza. Essa, come ha bene intuito Max Weber144, è un inestricabile intreccio delle due dimensioni. Certamente, la razionalità strumentale concentra un enorme potere e lo esprime attraverso simboliche possenti: i palazzi dello Stato, del potere bancario, delle sedi di grandi società ed imprese, delle Università e delle grandi istituzioni di ricerca e della cultura, della Biblioteche, dei musei, dei giornali e delle televisioni, i grandi magazzini, i laboratori, le aree industriali e commerciali. Ma persino queste espressioni della razionalità strumentale si confrontano e si intrecciano con la percezione identitaria cui danno origine, percezione che queste stesse espressioni utilizzano quale base per ottenere la necessaria legittimazione sociale e politica. La città presenta inoltre le contraddizioni proprie della società moderna: competitiva e, per questo, tendenzialmente efficiente ed impietosa. Accanto alla potenza, alla simbolica del potere e della ricchezza, le città offrono anche le simboliche delle vecchie e nuove povertà.145 La città attuale diviene, in tal modo, profondamente ambivalente, specchio dell’ambivalenza che connota alle volte drammaticamente la nostra cultura. Un dramma connesso con il paradigma del mercato che i rapporti sociali, politici e culturali assumono come senso della modernità e della convivenza. Gli individui ed i gruppi che non reggono la logica della competitività del mercato sono di per sé marginali e possono godere di benefici anch’essi marginali al reddito prodotto, ovvero al profitto. Ed anche il reddito, la competitività, e la forza della nazione si esprimono in simboliche territoriali, nelle opere pubbliche, nelle strutture di servizio, nelle grandi tecnologie produttive, viarie, dei 144 Ibidem. Martinelli F., Poveri senza ambiente. La sociologia della povertà e della miseria. La condizione dei senzacasa a Roma, Napoli, Liguori 1995. In termini di analisi sistematica del tema vedi: Mela A., Sociologia delle città, Roma, Nis 1996, particolarmente parte 2 e 3. 145 277 trasporti via aria e via terra, nelle tecnologie comunicative, sanitarie e ricreative. Ed il tutto si intreccia, ancora una volta, con nuovi sentimenti, esperienze, vissuti di identità, persino in coloro che sviluppano una dialettica forte, sino a giungere ad atti di ribellione. L’urbanista non può certo dirimere e risolvere questa drammatica ambivalenza urbana. E’ tuttavia necessario che ne abbia coscienza e che si faccia carico di comprenderla e di riprodurla nello spazio, proponendo tentativi per alleviarla nella solidale convivenza. 278 La città dei bit Verso una nuova concezione dello spazio Parla William Mitchell, architetto australiano146: "L'elettronica è il mattone del nuovo millennio" "Il futuro è adesso: ecco la mia città dei bit" 146 Nato nel 1944, Mitchell si è laureato in architettura all'Università di Melbourne, Australia e ha ottenuto Master presso la Yale University e presso l'Università di Cambridge. E' attualmente professore ordinario di Architecture and Media Arts and Sciences, ed é Preside della School of Architecture and Planning del MIT (Massachusetts Institute of Tecnology). Precedentemente é stato responsabile del Programma di Architettura e Progettazione urbana alla UCLA (University of California at Los Angeles), ha insegnato Architettura all'Univesità di Cambridge ed è stato poi professore di Architettura alla Harvard Graduate School of Design. Ha svolto attività di insegnamento in numerose università degli Stati Uniti d'America, Europa, Asia e Australia. I suoi campi di interesse sono teoria del progetto, applicazioni del computer in architettura e urbanistica, e rappresentazione e produzione di immagini di sintesi. Mitchell è conosciuto per i successi ottenuti nello sviluppo di teorie e pratiche del progetto architettonico e nella promozione internazionale di formazione CAD. La sua pubblicazione più recente, La città dei bits. Spazi, luoghi, e autostrade informatiche, (tradotto in italiano nel 1997, Electa, Milano), tratta delle conseguenze architettoniche, urbane e sociali della attuale rivoluzione digitale. Tra il 1978 ed il 1991 è stato tra i membri fondatori della compagnia di software di Los Angeles The Computer-Aided Design Group, che ha creato e messo in commercio CAD ed i sistemi di gestione delle facilities. Tra il 1996 ed il 1997 ha presieduto, assieme a Michael Dertouzos, il Consiglio del MIT sulle tecnologie educative ed ha prodotto un rapporto che suggeriva un ambizioso programma per portare il MIT ad una posizione di leadership nello sviluppo e nell'uso di nuove tecnologie educative. Attualmente presiede il consiglio editoriale della MIT Press ed è membro del comitato direttivo dell'Istituto. E' membro del Royal Australian Institute of Architects e anche della American Academy of Arts and Sciences. E' stato insignito di un master onorario dalla Harvard University e di un dottorato in architettura dall'Università di Melbourne. Nel 1997 ha ricevuto il premio Appreciation Prize da parte dell' Architectural Institute of Japan per "i successi ottenuti nello sviluppo della teoria e pratica del progetto architettonico nell'era dell'informazione, e per la promozione della formazione CAD nel mondo". E'autore di numerosi saggi e pubblicazioni, e attualmente sta lavorando ad un nuovo libro dal titolo provvisorio E-topia. 279 Nel suo ultimo libro ha descritto la città del futuro, quella dei bit: in che modo immagina questa città? "La città dei bit è una città nella quale le interazioni non avvengono unicamente faccia a faccia, ma anche elettronicamente, una città dove le transazioni commerciali avvengono elettronicamente, dove anche una buona parte delle interazioni sociali avviene elettronicamente, dove la cultura tutta è supportata dall'elettronica. Allo stesso modo, tutto ciò avviene anche fisicamente. Un aspetto non sostituisce l'altro, i due mondi lavorano congiuntamente: il mondo fisico e quello elettronico. Quasi tutto ciò che accade nel mondo elettronico, tuttavia, non è visibile, non ad occhio nudo. Se si riflette sul mondo finanziario, i capitali si muovono intorno al mondo ad una velocità incredibile, producendo effetti enormi sulla nostra esistenza quotidiana; eppure, noi non vediamo niente di tutto ciò, nessuna di queste operazioni è percepibile ad occhio nudo. Inoltre, il mondo, grazie ai collegamenti elettronici, è diventato molto più interconnesso: un qualsiasi luogo non può essere indipendente da un'altra località remota. In questa prospettiva, la situazione che ci offre il mondo elettronico conduce la cultura ad un processo di globalizzazione; perciò, in molti contesti, i contatti che vi sono in esso sono tanto importanti quanto quelli che avvengono in un contesto fisico. Non voglio dire, con questo, che non sia importante il luogo di provenienza di un individuo; si tratta di una situazione molto più complessa, di una sorta di complesso dialogo tra il fisico ed il virtuale, tra il luogo di provenienza e la maniera di interagire; sono, questi, tutti elementi che concorrono insieme a formare le nostre vite attuali. Credo, inoltre, che le nostre vite si stiano trasformando con la rivoluzione delle Bibliografia The Reconfigured Eye: Visual Truth in the Post-Photographic Era, 1992, MIT Press. Digital Design Media (con Malcom Mcollough), 1991 e 1995 (ed.it. 1996, Milano). The Logic of Architecture: Design, Computation, and Cognition, 1990, MIT Press. The Poetics of Gardens (con Charles W.Moore e William Turnbull Jr.), 1998, MIT Press. Computer-Aided Architectural Design, 1977, Van Nostrand Reinhold. 280 telecomunicazioni digitali; tuttavia, non penso che lo sviluppo tecnologico sia inesorabile. In questa direzione, credo sia possibile, per noi, cercare di capire ciò che sta accadendo per organizzarci, per definire il futuro che vogliamo, piuttosto che essere degli spettatori passivi se non addirittura vittime passive della trasformazione". Cosa pensa a proposito di aree del mondo dove i problemi per sopravvivere sono enormi? Come possono avere, lì, la sua stessa visione ottimistica nei confronti delle nuove tecnologie? "In primo luogo dovremmo distinguere fra il lungo ed il breve periodo. Nel breve periodo penso che una grande trasformazione crei delle iniquità, delle difficoltà e dello stress. Stiamo cominciando a renderci conto, nella rivoluzione delle telecomunicazioni digitali, che abbiamo gli abbienti e i non abbienti, ed è evidente che la tecnologia sta accrescendo il divario piuttosto che diminuirlo. Ma nel lungo periodo, nel campo dell'istruzione, per esempio, la rivoluzione delle telecomunicazioni digitali è una forza enorme per dare delle uguali opportunità, per accrescere i collegamenti, per rompere l'isolamento. Prevedo, dunque, degli sviluppi positivi nel lungo periodo, mentre nel breve e nel medio periodo avremo molti problemi da affrontare, particolarmente per le zone in via di sviluppo. Penso che ci sia un enorme pericolo di accrescere il divario fra ricchi e poveri, fra privilegiati ed emarginati". Poiché nel mondo elettronico i "luoghi" stanno diventando virtuali, qual è il ruolo dell'architetto nella progettazione dello spazio? "Credo che gli architetti si siano sempre occupati di comprendere le attività umane e di creare le strutture per l'attività umana. Nel passato lo si è fatto con la pietra ed i mattoni e gli oggetti concreti, il tipo di cose che vediamo intorno a noi. Oggi, e nel futuro, i mezzi stanno cambiando: non sono più mezzi fisici, ma anche connessioni elettroniche e software che formano parte del repertorio di un architetto. Credo, tuttavia, che la funzione fondamentale dell'architetto rimanga la stessa, vale a dire, quella di comprendere le attività umane, capire la cultura umana, e cercare di creare le strutture per sostenere queste attività. Dobbiamo accrescere il nostro repertorio di mezzi, non i nostri obiettivi, non i nostri 281 committenti sociali; questi ultimi rimangono gli stessi, i mezzi diventano diversi". Qual è la sua opinione a proposito dell'architettura pulp, questa architettura che vuole creare delle forme fluide ed organiche come rappresentazione delle forme umane? Pensa che in queste forme sia implicito un rifiuto totale della forma architettonica tradizionale? "Penso che vi siano dei diversi fattori coinvolti in questo tema. Il museo "Bilbao Guggenheim" di Frank O. Gehry, penso sia l'esempio recente più interessante ed elettrizzante di architettura di un complesso geometricamente a forma libera. Si tratta di un esempio architettonico legato strettamente alla rivoluzione digitale, ma non nel modo che si crede. In questo caso è avvenuto che la tecnologia del computer è stata inizialmente usata per disegnare delle forme libere che non sarebbe stato possibile realizzare ricorrendo alle tecniche tradizionali di disegno i di "modelling". Inoltre, è stata usata la nuova tecnologia di fabbricazione CAD-CAM, che è basata sulla connessione diretta del computer; si tratta di una tecnologia che si giova dell'ausilio del computer per le tecniche di fabbricazione, per consentire la costruzione di forme libere, non ripetibili. E' stata realizzata, dunque, qualcosa di molto "fisico" in un modo nuovo, avvalendosi della tecnologia del computer". Nella città dei bit l'essere umano si deve rapportare con una nuova dimensione spazio-temporale. Qual è la dimensione spaziotemporale nell'era virtuale? "Eravamo abituati al fatto che le nostre vite quotidiane erano vissute in uno spazio totalmente circoscritto, ed erano ordinate, fondamentalmente, secondo i ritmi del sole, dell'orologio cittadino, delle campane della chiesa. Adesso, facendo riferimento alla mia vita, ogni giorno io sono collegato con persone in tutto il mondo attraverso la posta elettronica, le video-conferenze, il telefono; l'ambito delle mie connessioni spaziali, dunque, è globale e non soltanto locale. Tutte le persone con le quali io mi connetto si trovano in zone con differenti fusi orari, e, quando parlo con loro, si collegano simultaneamente, in momenti differenti della vita quotidiana. Per questa ragione non possiamo più assumere quel tipo di struttura spazio-temporale che avevamo nel passato; ora, questa dimensione è molto più frammentata e complessa. 282 Non possiamo più fare affidamento sui vecchi ritmi ordinari e sui modelli spaziali che esistevano prima. Credo che tale trasformazione renda l'architettura anche più importante ammesso che possa essere più importante che nel passatoperché essa fornisce una struttura di ordine, un modo per comprendere il mondo. La sfida che l'architettura lancia al XXI secolo è quella di realizzare dei posti che ci consentano di vivere in questo mondo frammentato e complesso in cui ora viviamo". Questo processo di trasformazione condiziona anche la percezione umana, in particolare perché le necessità tecnologiche stanno espandendo i sensi umani. Qual è, in questo senso, una definizione della percezione umana capace di accogliere tale trasformazione? "La percezione è diventata 'cyborg'. Non si tratta soltanto delle capacità dei nostri corpi, ma certamente, come disse Marshall McLuhan molti decenni fa, dobbiamo pensare ai mezzi elettronici come estensioni del nostro corpo ed estensioni dei nostri organi sensori. Tutto ciò sta diventando vero, talvolta in maniera straordinaria: se vado nel "WWW" posso prendere un gruppo di finestre che sono web-cam, collegate a delle telecamere sparpagliate in tutto il mondo; in questo modo io posso vedere delle finestre in una dozzina di diverse città simultaneamente. E' come se io guardassi da una finestra fisica e vedessi ciò che si trova fuori della stanza adiacente a quella in cui siedo. In un senso molto diretto e chiaro, la mia connessione visiva con il mondo si è straordinariamente estesa. Possiamo moltiplicare questi esempi, ovviamente, ma non si tratta soltanto di collegamenti di organi sensori con altri organi sensori, piuttosto di realizzare elettronicamente delle estensioni globali: siamo estesi globalmente per mezzo dell'elettronica; siamo tutti dei cyborg globali, a questo punto". Un passo del suo libro recita: "non è più necessario essere 'là' per agire". Significa che noi abbiamo una nuova consapevolezza del potere, della nostra forza, potendo agire senza essere nel luogo in cui si concretizza l'azione? "Questo è un concetto relativamente recente, risale al diciannovesimo secolo, quando il genere umano ha imparato a "imbrigliare" l'elettromagnetismo e a cimentarsi con l'azione 283 a distanza, che era sempre stata vista come un processo impossibile. In realtà, quel che si sta verificando alla fine del ventesimo secolo è la combinazione della nostra padronanza dell'elettromagnetismo con la nostra padronanza della tecnologia dell'informazione; la nostra capacità di azione è estesa anche fisicamente, e io penso che questo cambi la nostra soggettività in modo fondamentale". Cominciamo ad esaminare i luoghi che possiamo trovare nella città del bit; in primo luogo, le scuole del futuro. "Quando penso alla scuola del futuro, penso alla classe di mio padre. Mio padre era un insegnante di campagna in Australia, aveva una stanza per aula, in un luogo molto isolato e un piccolo gruppo di bambini con un piccolo numero di libri, e nessuno di loro era mai uscito da quella piccola comunità; era una comunità molto ristretta. Se si entra adesso in una classe ben attrezzata, che ha delle connessioni elettroniche, indipendentemente dal luogo in cui si trova, vi è possibilità di accesso a tutte le risorse intellettuali del "WWW", è possibile collegarsi con bambini di altre parti del mondo. Dunque, vi è stata un'espansione dell'interconnessione e dell'accesso alle risorse educative, e ciò è di enorme importanza culturale; tutto questo è avvenuto soltanto nello spazio di una generazione. Certamente ci sono tantissime iniquità; vi sono persone, nel mondo, che hanno accesso a tutte queste opportunità ed altre che non ce l'hanno. Io penso, tuttavia, che cominciamo a vedere l'inizio di un cambiamento fondamentale nell'educazione che è sostanzialmente basato sull'espansione elettronica delle opportunità e sulla creazione di un accesso molto più ampio ai materiali e alle risorse culturali". A proposito dei libri, in che modo cambia la relazione che abbiamo con il libro materiale comprandolo attraverso la rete? "In questo momento ci troviamo in una situazione ibrida, che continuerà per un po' di tempo. Io, personalmente, quando so quale libro voglio, preferisco utilizzare Amazon: è veloce e conveniente ed anche nel mezzo della notte posso ordinare un libro che riceverò il giorno successivo. Se voglio andare in un posto dove discutere di libri e dove so che posso incontrare della gente che ha interessi simili, se sto cercando un libro raro, in questo caso preferisco andare in un luogo 284 fisico e diventare parte della cultura di quel luogo fisico. Una cosa non rimpiazzerà l'altra, tuttavia penso che vi sarà una sorta di segmentazione grazie alla quale entrambi i modi di accedere ad un libro sopravvivranno con dei luoghi diversi; in fondo, i film non hanno sostituito il palcoscenico, e la televisione non ha rimpiazzato il cinema. Noi avremo librerie "fisiche" e librerie "virtuali", e la possibilità culturale che esistano simultaneamente e siano complementari". E' possibile pensare a questa esistenza simultanea anche per altri aspetti della città? "Certamente. Non parlerei, però, semplicemente di esistenza simultanea, quanto piuttosto di ridefinizione dei ruoli. Quando il cinema si diffuse il ruolo del teatro fu ridefinito, e occupò una nicchia diversa della società. Penso che si stia verificando un fenomeno simile con lo sviluppo delle possibilità elettroniche di sostenere le attività umane. Se si pensa al commercio elettronico, allo shopping, alcune operazioni vanno molto bene nel mondo elettronico, altre no; i libri vanno molto bene perché è possibile esaminarne il contenuto elettronicamente ed inoltre il libro è piccolo, facile da trasportare, non è un oggetto di elevato valore, e può facilmente essere commercializzato elettronicamente. D'atra parte, se si vuole comprare un'automobile, la si potrebbe esaminare preliminarmente on-line, poi la si vorrebbe sperimentare fisicamente prima di guidarla. Credo, dunque, che gli oggetti adatti al commercio elettronico saranno gestiti elettronicamente, mentre quelli che hanno necessità di uno spazio fisico, continueranno ad esistere in uno spazio fisico". Per quanto riguarda i musei virtuali, come pensa che possano cambiare il nostro rapporto con il mondo dell'arte? "Un ottimo esempio di quel che credo si stia verificando lo si trova nella 'National Gallery' a Londra, nella nuova ala Sainsbury, dove vi sono i quadri "fisici" nella maggior parte del museo e poi, proprio all'entrata, c'è un museo virtuale, dove si trovano alcuni computer con i quali si può navigare elettronicamente attraverso la collezione. La parte virtuale del museo dà la possibilità di muoversi molto rapidamente attraverso la collezione, di esaminare le interconnessioni, di esplorare del materiale di sfondo. Quando si è terminato di esplorare la parte virtuale, si può prendere una mappa che 285 evidenzia la collocazione fisica del materiale da guardare; quindi, si può vagare per il museo fisico e trovarsi faccia a faccia con gli oggetti reali. Si verifica, in tal modo, una sorta di complementarietà, ancora una volta, che è molto importante: si ha velocità, convenienza, interconnessione, potendo accedere a questi materiali nella loro forma virtuale, ma vi sono anche altri generi di valori che si possono ottenere dall'accesso ad essi direttamente nella loro forma "fisica". Questo genere di relazione di complementarietà tra mondo virtuale e mondo reale è esattamente quello che otterremo dalle nuove tecnologie, le quali, non sostituiranno la realtà". Nel suo libro Lei parla anche dei teatri e delle trasformazioni che si possono ipotizzare nella relazione tra l'artista ed il suo pubblico... "Molte cose interessanti si stanno verificando nel teatro; una di queste è che vi possono essere degli spettacoli in cui gli attori non si trovano tutti nello stesso luogo. Noi abbiamo visto tutto questo, per molti anni, nel mondo della radio e della televisione: si poteva ascoltare, in un'intervista radiofonica, una discussione tra un gruppo di persone che si trovavano, di fatto, in luoghi diversi del mondo, ma si creava l'illusione che esse si trovassero a discutere in un unico luogo. In un teatro greco tutti gli attori andavano insieme in un luogo del palcoscenico e il pubblico era in contatto diretto, acustico e visivo, con gli attori: questa è l'idea classica del teatro. Dall'inizio della radio si è creata una condizione per la quale chi si esibiva poteva essere in luoghi diversi, così come il pubblico poteva trovarsi in luoghi diversi. Eppure, il mezzo elettronico li mette tutti in un unico spazio virtuale, equivalente ad uno spazio fisico. Stiamo vedendo anche delle interessanti situazioni ibride e delle combinazioni di fisico e virtuale, di "live" e registrato; penso al karaoke, che è un'esibizione "live" combinata con una registrazione in modo molto interessante". Lei pensa anche ad un nuovo tipo di prigioni, senza muri né celle. Può parlarci di questa idea e sottolineare quali sono, a Suo avviso, le possibilità reali ed obiettive che queste prigioni diventino una realtà attraverso un controllo a distanza? "Si può rispondere a questa domanda a vari livelli. E' una realtà negli Stati Uniti e in alcune parti d'Europa che le prigioni fisiche siano rimpiazzate, in alcuni casi, da un 286 monitoraggio dei carcerati. Queste persone indossano specie di braccialetto che consente la sorveglianza ed una traccia costante di dove si trovano. Anziché dei muri fisici che li confinano, ci sono dei sistemi elettronici che consentono di trovarli. Si può generalizzare il discorso così come fece Foucault; egli parlò della sorveglianza e di come essa possa essere un'imposizione di potere. E' chiaro che questo può avvenire elettronicamente molto più di quanto non possa avvenire fisicamente; io credo che ci sia qualcosa di sinistro in tutto questo, qualcosa di cui dovremmo preoccuparci. Una questione fondamentale che riguarda il mondo elettronico è quella della "quantità di sorveglianza", il "se" si possa controllare la sorveglianza, il "chi" debba sorvegliare, il "come" preservare la privacy, il "come" ci si possa disconnettere dal mondo dell'elettronica, se si vuole". Per avere questo controllo e la capacità di disconnetterci per preservare la nostra privacy dobbiamo conoscere molto bene le tecnologie, in modo da poterle noi controllare anziché essere noi controllati da loro. "Si tratta di una questione culturale importantissima, che stiamo affrontando. Tengo a sottolineare che si tratta di una questione culturale e sociale, e non di una questione tecnica, poiché possiamo comprendere la tecnologia piuttosto facilmente, e siamo molto bravi ad inventarla. Ciò che è fondamentale, però, e che dobbiamo affrontare, sono le implicazioni sociali che le nuove tecnologie nel mondo comportano. Sfortunatamente, il ritmo dei cambiamenti tecnologici è talmente elevato che è molto difficile sviluppare l'atteggiamento critico necessario per prenderne il controllo". Crede che ci sarà un periodo in cui la tecnologia ci darà il tempo di pensare ai problemi sociali e culturali? "No, non credo. Il ritmo del cambiamento continuerà a crescere, e ora siamo solo all'inizio di una curva di accelerazione rapida. La condizione fondamentale che dobbiamo comprendere non è quella di un cambiamento rapido, ma di un cambiamento che si accelera rapidamente: questo è quello con cui dovremo imparare ad avere a che fare; e si tratta di un processo di apprendimento, a mio avviso straordinariamente difficile. La nostalgia della stabilità non sarà un atteggiamento utile". 287 A suo avviso, il telelavoro in che modo può cambiare il modo di lavorare ed anche il tempo che vi si dedica, in particolare in relazione al tempo libero? "Fino alla rivoluzione industriale abbiamo assistito ad un tipo di formalizzazione delle ore di lavoro per la gran parte delle persone; infatti, si usa dire, la maggior parte delle persone lavora dalle nove alle cinque. Vi è stata, poi, la "formalizzazione" dei luoghi di lavoro: ci si reca in luoghi appositi creati per lavorare; esistono delle norme che disciplinano i luoghi di lavoro che sono diverse da quelle che riguardano gli spazi domestici. Non è stato sempre così: prima della rivoluzione industriale molta gente lavorava a casa, gli artigiani lavoravano e vivevano nello stesso luogo, i commercianti vivevano sopra il negozio. Questi ultimi erano i modelli sociali comuni. La rivoluzione industriale ha causato una sorta di separazione ed una "formalizzazione" del luogo di lavoro. Quello cui assistiamo come conseguenza della rivoluzione digitale, che arriva dopo la rivoluzione industriale, è il ritorno del luogo di lavoro nelle case. La cosa sta avendo delle conseguenze interessanti per molti; io stesso lavoro piuttosto continuativamente e dovunque, mi basta usare un PC portatile e non fa nessuna differenza dove mi trovo: scrivo nelle camere d'albergo o nei caffè, mi connetto al mio ufficio elettronicamente. Il luogo di lavoro non significa nulla e neanche le ore di lavoro. Stiamo incominciando a notarlo soprattutto nel commercio e nelle industrie, e questa è una condizione che riguarda molti. Ciò ha delle implicazioni architettoniche importanti: significa, per esempio, che nel progettare le case bisogna tenere in seria considerazione il luogo dove si lavora. Vi sono anche molte implicazioni riguardo al modo in cui le organizzazioni lavorano, come la supervisione dei lavoratori. Questo fenomeno offre un gran numero di possibilità di valorizzazione del lavoro, e direi che si è creata una nuova e complessa condizione che dobbiamo cercare di comprendere". Dunque è importante riorganizzare le case per il telelavoro... "Non solo il telelavoro, ma molte altre funzioni stanno tornando alla casa come risultato della rivoluzione digitale, c'è molto più "entertainment", adesso, nelle case. Tutto questo 288 cominciò con la radio e la televisione e adesso sta aumentando con le nuove forme di intrattenimento digitale. Anche il commercio sta rientrando nelle case: lo shopping elettronico da casa e le operazioni bancarie, per esempio. Un grande numero di funzioni, dunque, tornano ad essere svolte nello spazio domestico, per cui è necessario che esso cambi per adeguarsi ai nuovi bisogni che l'era digitale ha fatto emergere. Non si possono avere l'istruzione, il lavoro e l'intrattenimento tutti nello stesso spazio e con lo stesso strumento elettronico, è necessario creare, nelle case, spazi maggiori. Tutto questo implica una grande differenziazione dello spazio per funzioni diverse ed è relativamente facile organizzarsi nelle case nuove. Certamente, è molto difficile trasformare le case preesistenti per renderle adeguate a queste nuove condizioni. Si tratta di una grande sfida per gli architetti e per gli urbanisti". Vinton Cerf pensa al microchip per Internet in tutti gli elettrodomestici che sono nelle case, in modo che tutto possa essere connesso. Questo è un tipico esempio di città dei bit? "Esattamente. Al momento, molte persone pensano al computer come ad un aggeggio di plastica con una tastiera e un monitor. Questa è una visione obsoleta del computer. Ciò che sta cominciando ad accadere è che ogni tipo di oggetto comincia a diventare intelligente: abbiamo processori e memoria e capacità di telecomunicazione dovunque si possa immaginare. Nelle automobili, per esempio: le automobili sono dei veri robot, adesso; esse possiedono un gran numero di funzioni computerizzate. La stessa cosa vale per gli strumenti domestici: il forno a microonde ha, probabilmente, più capacità computerizzate del primo computer che io ho usato nella mia vita. Anche il telefono è un vero piccolo computer, in particolare i telefoni cellulari, che sono degli strumenti elettronici molto complessi. Dobbiamo, dunque, anticipare un mondo nel quale quasi ogni cosa ha delle funzioni computerizzate e capacità di telecomunicazione. Questi strumenti interagiscono nell'ambito di una rete pervasiva per creare un ambiente di cose che pensano. Si immagini un mondo intero che consiste di cose che pensano, che crea una sorta di ambiente pervasivo intelligente". (La Repubblica, 6 aprile 1998). 289 290 Cenno sui metodi e sugli strumenti per l’analisi quantitativa del territorio urbano Diamo qui una breve rassegna di letture utili per conoscere alcune metodologie per l’analisi empirico – quantitativa del territorio urbano. Si tratta di un’elencazione limitata e certamente non organica utile per avviare delle letture introduttive all’analisi quantitativa territoriale. Un primo contributo è rappresentato dal volume di Kent P. Schwirian, Comparative Urban Structure, Heath and Co. 1974. Si tratta di una raccolta di saggi ordinati secondo le tematiche che corrispondono alle parti del volume: Modelli urbani. I trends metodologici della ricerca ecologica urbana. Modelli dello svilupparsi della pianificazione territoriale. I modelli del disegno del piano territoriale La differenziazione metropolitana: la città e le aree di frangia. Modelli di crescita urbana. L’approccio ecologico alla teoria della suburbanizzazione. I tempi del decentramento urbano. Satelliti e suburbi. La persistenza dei suburbi. Un esame empirico della struttura metropolitana. Modelli di densità urbana e conseguenze di essa. La densità demografica: struttura e popolazione. Modelli matematici ed empirici della crescita urbana e della struttura spaziale. Componenti sociali delle densità demografiche metropolitane. Comparazione: densità demografica, valori territoriali e classe socioeconomica in America Latina. Conseguenze dell’alta densità demografica. Densità demografica e patologia. Fattori nella organizzazione dello spazio urbano. La natura delle città. La struttura interna della città. Distorsioni dei modelli classici della struttura urbana. Qualità ambientale e comportamento locale (America Latina) . Struttura sociale e pianificazione territoriale. Modelli di collocazione familiare. - - - Ecologia fattoriale delle città. Status economico, familiare ed etnico. Indici di area sociale urbana. Le aree sociali di Shevky – Bell. Aspetti spaziali dell’analisi delle aree sociali. Esempi internazionali di analisi territoriale ed ecologica. Differenziazione dello status sociale e segregazione. Distribuzione residenziale e stratificazione occupazionale. Esempi internazionali. Differenziazione etnico- razziale e segregazione. Impatto della segregazione residenziale nell’assimilazione etnica. Suburbi e modelli etnico residenziali. Segregazione razziale in vari periodi (studiati anche con modelli causali). Bahrenberg, G., Fischer, M., Nijkamp, P., Recent Developments in spatial Data Analysis, Gower House, Aldershot 1992. Introduzione metodologico teorica I problemi della misurazione. Analisi spaziale e problemi della misurazione. Modelli di equazioni lineari strutturali e correlazioni spaziali. Test non parametrici di dati direzionali. Scale multidimensionali ed omogenee nell’analisi spaziale. Metodo grafici per l’esplorazione relazionale. Analisi discreta dei dati esplorativa ed esplicativa. Appelbaum, P., Bigelow, J., Kramer H.P., Molotch, Harvey L., Relis, P.M.,The Effects of Urban Growth, Praeger, Santa Barbara In particolare, il 2° capitolo: “Cross-City Analysis”. Robson, B.T., Urban Social Areas, Oxford Univ. Press, 1975. In particolare il 1° Capitolo: The residential Kaleidoscope, con i differenti approcci e metodi di analisi. Visvalingam, M., Operational Definition of Area-based social Indicators, Pion Publ1982 Vergati, S., “Definizioni semi-operative e progettazione di 292 indicatori soggettivi: il caso della qualità della vita urbana, Sociologia e ricerca sociale, n. 47-48, 1995, pp. 77-93. Herbert, D.T., Smith, D.M., Social Problems and the City, Oxford U.P., 1979. Il Capitolo 2°: “The Identification of Problems in Cities: Application of Social Indicators”. Ercole E., Martinotti G., Bisogni informativi, Banche dati e territorio, 1994. Capitolo 8°: “L’uso di variabili di contesto nell’analisi ecologica”. Martinotti, G., “Sviluppo urbano, qualità della vita e bilanci sociali di area”, Sociologia urbana e rurale”, n. 6 1981, pp. 55-83. 293 <TITRE> VILLES <TEXTE> L'établissement humain représente un événement révolutionnaire dans la vie de Child, V. G., Man Makes Himself.Rev. Ed. American Library, l'homme. La ville devient la forme qui spécialise l'espace et qui réalise un New York 1951 (1936). Child, V. G., “The Urban Revolution”. Town changement profond dans la division du travail Planning Review, 21, 1950, pp. 3-17. social et dans la concentration différenciée des pouvoirs. Les approches et les contributions les plus significatives fournies par les sociologues et par les différentes écoles de pensée permettent de comprendre les phénoménologies et les étapes les plus importantes du développement historique de la ville. Cela ne correspond pas toujours à la finalité des manuels de sociologie urbaine. En effet, il existe plusieurs perspectives dans l'étude et la compréhension sociologique de la ville. Une approche préalable est celle qui se rattache à l'archéologie, à l'histoire, au droit et aux sciences qui s'appliquent à reconstruire l'origine et l'évolution de la ville. L'approche choisie est celle de lire la ville en remontant aux auteurs qui ont essayé de la comprendre sous d'autres points de vue, par des méthodologies sociologiques qui se différencient entre elles et qui se rapportent à des formes de la ville variées du point de vue historique. Il faut partir de l'apport exemplaire et fondamental constitué par la sociologie de la ville de Max Weber. Cet apport ne se limite as seulement à son essai Die Stadt (la ville), qui nous ferait courir le risque de croire que M. Weber voulait présenter une théorie sociologique de la ville valable pour toutes les sociétés et dans toutes les périodes historiques. Dans plusieurs de ses ouvrages, il parcourt les ifférentes époques et pénêtre dans l'histoire et dans les formes sociales de la Cité 294 antique pour en arriver , en particulier, aux villes du Moyen-Âge, -surtout aux Communes italiennes et aux villes se trouvant au nord des Alpes-dans l'intention de retrouver dans la Cité antique et, plus tard, dans celles du MoyenÂge des éléments qui puissent nous aider à comprendre les facteurs qui ont provoqué la naissance du capitalisme. La deuxième erreur à laquelle nous risquons de succomber est de considérer le titre introduit par J. Winkelmann dans l'édition de l'oeuvre Économie et société (1956) "Le pouvoir non légitime. Typologie des villes" (Die nicht legitime Herrschaft. Typologie der Städte), comme quelque chose d'incompréhensible. En réalité, M.Weber avait l'intention de rassembler les résultats de ses travaux sur la ville en un seul chapitre de l’œuvre qu'il avait prévue Grundriß der Sozialökonomik, dont le titre serait justement celui que l'on vient de citer. D'ailleurs son essai La ville, dans la version publiée en 1922, ne développe certainement pas le thème de la Nippel,W., Editorischer Bericht. In ville en tant que pouvoir non légitime. D'après Max Weber Gesamtausgabe, Abt. I.Bd. 22/5: Die Stadt, Tübingen Mohr de vastes études récentes, il apparaît avec une 1999, p.46. Edtion française: La Ville, évidence croissante que l'expression en question révèle une perspective plus ample, traduit par Philippe Fritsch avec une c'est-à-dire, presque sûrement, la thèse centrale préface de Julien Freund, Aubierde la recherche de Weber sur la ville, dont la Montaigne 1982. finalité globale était celle de découvrir les éléments qui auraient donné naissance au capitalisme moderne. D'après Weber la ville, Meier Ch., Die Okzidentale Stadt nach issue des Communes du Moyen-Age, se définit comme une réalité sociale nouvelle et Max Weber. Zum Problem der révolutionnaire, comme un pouvoir qui Zugehörigkeit in Antike und Mittelalter, Oldenburg, Munich 1994. s'oppose à celui de l'Empire ou même du Pape, comme une organisation juridique, créée par la bourgeoisie urbaine, siégeant dans les Communes, pour constituer la forme d'un gouvernement autonome et, par là-même, Scaglia, A., Die Stadt in der Sicht Max Webers, Von der revolutionärautonomen Stadt zur undemokratischen Stadt der Gegenwart, Leske +Budrich, Munich 2001 295 Weber M., Die sozialen Gründe des Untergangs der antiken Kultur, p. 59, dans Gesammelte Aufsätze zur Sozial und Wirtschaftsgeschichte, Mohr, Tübingen 1924, pp. 289-311. 296 révolutionnaire. Pour défendre cette liberté-là, les citoyens sont disposés et se sentent prêts à épauler leurs armes. Cette organisation juridique nouvelle et alternative offre un espace à l'exercice d'une libre activité économique artisanale, commerciale et financière qui, tout en s'écartant du système économique féodal et tout en s'appuyant sur un élément sacré, tel que la "fraternité jurée", produit un espace de liberté d'entreprise et une nouvelle vision du monde en ce qui concerne la propriété, les liens économiques et la légitimité du pouvoir féodal. L'idée que notre époque et que la société moderne dérivent du Moyen-Âge est exprimée par M. Weber dans une affirmation célèbre: "Ce fut au MoyenÂge, grâce à la libre division du travail et du commerce, que la ville resurgit; en passant à travers l'économie politique, elle prépara la liberté bourgeoise et brisa tout lien entre les autorités intérieures et extérieures, datant de la période féodale. Ce fut seulement à ce moment-là que l'ancien géant se leva avec une vigueur nouvelle et qu'il plaça la puissance spirituelle de l'Antiquité dans la lumière de la culture bourgeoise moderne". En affrontant l'analyse weberienne dans cette perspective, il est évident que même le titre que Weber voulait attribuer à son chapitre spécifique sur la ville dans son Grundriß für Sozialökonomic devient une évidence. La ville communale constituait donc le centre d'intérêt de sa recherche sur la ville, qui devient un pouvoir non légitime, mais cependant innovant et révolutionnaire. Les apports de Max Weber sur ce sujet sont présents dans de nombreux ouvrages (Wirtschaft und Gesellschaft, Die Agrarverhältnisse im Altertum, Soziologische Aufsätzte zur Religionssoziologie) et doivent être lus dans la perspective de vérifier l'hypothèse weberienne exprimée justement dans le titre "Le pouvoir non légitime. Typologie des villes". La sociologie de la ville de M.Weber fournit une perspective théorique de grande envergure qui se distingue de celle d'autres auteurs, même parmi ses contemporains. Il faut bien réfléchir à la fécondité qui pourrait dériver du fait de donner suite à la tentative weberienne de comprendre les origines de la ville moderne et contemporaine et les facteurs qui en expriment le sens, en puisant dans l'histoire des villes. Le rapport entre la ville et le capitalisme est interprêté de façon tout à fait différente par Karl Marx et Friedrich Engels qui placent la ville dans l'espace de la vision du matérialisme historique dialectique. La ville industrielle est le lieu où la pathologie sociale, dérivant des rapports de production contradictoires, s'intensifie en provoquant la naissance du prolétariat, comme nouveau sujet historique, qui deviendra révolutionnaire du moment qu'il sera un objet d'abrutissement et de violence dans le contexte de la ville industrielle. Si on compare l'approche et l'analyse de la ville médiévale de Weber avec celle de Werner Sombart, on peut se rendre compte qu'elles sont absolument différentes, non seulement à cause des facteurs de recherche pris en considération, mais plutôt-chez Sombart-par l'absence d'une hypothèse de recherche analogue à celle de Weber. Pour W. Sombart, la ville médiévale, le plus souvent, prend naissance des villages qui se Sombart, W., Der moderne développent du point de vue économique et Kapitalismus, Historischdes nouveaux rôles exercés par les producteurs systematische Darstellung des gesamteuropäischen Wirtschaftslebens et les consommateurs par rapport à la ville et au territoire. Sombart cite Paul Sander pour von seinen Anfängen bis zur 297 pouvoir accepter l'opposition entre la ville médiévale et la ville moderne et pour affirmer qu'il est erroné d'attribuer à la ville médiévale des élements structurels rationnels. Une approche et une perspective également différente de celle de Weber nous est fournie par Georg Simmel. Elle part de Ferdinand Tönnies qui, dans son oeuvre célèbre Gemeinschaft und Gesellschaft (Communauté et société), semble craindre qu'à cause de la désagrégation de la culture rurale et du village, la dimension sociale de base de la communauté ne soit mise en crise. En cohérence avec son approche théorique, Georg Sombart, W., Der moderne Kapitalismus cité, p. 180-181, note 2. Simmel est l'auteur qui exprime le mieux la préoccupation diffuse, dans l'Allemagne de la fin du XIXe siècle, au sujet des problèmes posés par un développement métropolitain important. En même temps, Simmel pense que la grande ville est "le lieu par excellence dans lequel s'exprime la logique sociale orientant son époque". Dans la condition urbaine, les émotions s'intensifient et, parallèlement, Rémy, J., “ De la métropole comme s'accroît la dimension de l'anonymat, ce qui expérience fondatrice au statut des permet aux individus d'échapper au contrôle formes dans une problématique du du groupe primaire. Il en dérive une situation changement social, ” dans: Rémy, J. apparemment contradictoire, dans laquelle (édité par), Georg Simmel. Ville et cependant les conflits et la coopération, les modernité, L'Harmattan, Paris,1995, dimensions de l'individuel et du collectif p.8. cohabitent. "Il n'arrive plus que "l'homme universel" doive se refléter dans chaque Simmel, G., „Die Großstädte und das individu, mais ses valeurs lui viennent du fait d'être unique et irremplaçable". La grande ville Geistesleben“, dans: Georg Simmel. est en devoir de "fournir un lieu où le sujet Aufsätze und Abhandlungen 1901peut jouer son rôle à 1908, Bd I, Hgr R. Kramme, A. l’intérieur d’un ensemble" afin d'éviter la Ramstedt, O. Ramstedt, (G.Simmel massification. La nouveauté scientifique de Gesamtausgabe Bd VII), Surkamp, Francfort -sur- le- Main 1995, p. 131. Simmel consiste à avoir associé les facteurs quantitatifs et spatiaux à une métamorphose Gegenwart, Duncker & Humblot, Munich et Leipzig 1916, Chapitre 10. 298 sociale. La grande ville devient le lieu central de la modernité. Elle produit une forme de sociabilité, où prévaut l'économie monétaire, qui engendre des relations sociales élargies et souples. C'est finalement le texte de Simmel sur “l'étranger” qui permet de comprendre la Roncayolo, M., De la ville à complexité de la méthodologie simmelienne, l'urbanisation, L'Harmattan, Paris la capacité du social de s'auto-organiser d'une 1992, p. 9. façon différenciée. En même temps, cela renvoie aux liens avec l'école de Chicago, à E. Park en particulier. Dans les divers pays s'affirment des paradigmes d'analyse urbaine variés, correspondant aux différentes visions du monde: la frontière et, plus tard, la conurbation aux États-Unis, la ville charbonnière en Grande-Bretagne, la métropole du XIXe siècle ou la ville/région d'aujourd'hui en Allemagne. Pénétrer le sens des différentes typologies historiques et culturelles des villes pourrait constituer une lecture sociologique essentielle du point de vue scientifique, d'une grande utilité d'application même pour ce qui concerne Bulmer, M., The Chicago School of l'aménagement urbain. La sociologie urbaine a Sociology, Diversity and Rise of Sociological Research, The University trouvé l'une de ses expressions scientifiques of Chicago Press, Chicago et Londres. systématiques les plus importantes dans celle qu'on appelle justement l'École de Chicago, dont William Thomas (1863-1967) peut être considéré le précurseur. Après son expulsion en 1921, ce furent Robert Park (1864-1944), Ernest Burgess(1886-1966) et Roderick D. McKenzie (1885 - 1840) qui jouèrent un rôle important. On est redevable à ce dernier de l'élaboration théorique de l'écologie urbaine. À travers toute une série de recherches sur le terrain, la sociologie urbaine, grâce à l'école susmentionnée, passe de la philosophie sociale à une analyse professionnelle du social, en devenant la science de la société. C'est la 299 sociologie urbaine qui a caractérisé l'Université de Chicago et c'est la même Université qui a établi la sociologie comme une discipline et une profession ancrée dans l'observation et dans l'analyse empirique du social; elle l'a détachée de l'assistance sociale, après avoir établi un rapport complexe avec les institutions et avec les autres sujets urbains pour faire devenir la ville un "laboratoire social"(Park) de recherche et d'intervention. Enfin toujours à travers l’œuvre d'E.R. Park, l'école en question a élaboré une méthodologie scientifique interdisciplinaire vouée à l'étude et Thomas, W., Znaniecki, F., The à la transformation de la réalité urbaine dans Polish Peasant in Europe and in ses formes organisées. W.Thomas refuse aussi America, The University of Chicago bien le paradigme évolutionniste que le paradigme biologique dans l'interprétation des Press New York, 1918-1920. inégalités sociales, et les attribue plutôt à une immigration tumultueuse, provenant des zones rurales; c'est ce phénomène-là qui a déterminé un processus de désagrégation sociale des modèles individuels et collectifs originaires, pour faire place à un modèle successif d'organisation sociale. L'école de Chicago a surtout appliqué des méthodes qualitatives qui font appel à l'ethnographie urbaine (case study ou observation participative des histoires de vie) en développant également, par la suite, une analyse quantitative. Parmi les recherches les plus connues il faut signaler: The Hobo de Nels Anderson, les études de Norman Hayner sur la vie hôtelière, de Walter Reckless sur le vice organisé, de Louis Wirth sur le ghetto, de Frederic Thrasher sur les bandes de copains, de Ruth Cavan sur les dynamiques du suicide, de Paul Cressey sur le rapport entre la danse et ses comportements et les impulsions négatives qui en dérivent, d’Harvey Zorbaugh sur la ségrégation sociale, de Clifford Shaw 300 Gottmann, J., Megalopolis: the urbanized northeastern sea-board of the United States, MIT Press, Cambridge Mass. 1965. Amiot, M., Contre l’État, les sociologues. Eléments pour une histoire de la sociologie urbaine en France (1900-1980) EHESS, Paris 301 sur la délinquance juvénile. L'analyse d'une ville moyennement petite, menée par le couple Robert et Helen Lynd dans les deux volumes Middletown (1927) et Middletown in transition (1937) introduit une nouveauté significative dans la méthodologie et dans la théorie sociologique elle-même. Basée sur une vaste documentation, elle examine des variables reliées entre elles: industrialisation/changement institutionnel, stratification sociale/classe sociale d'appartenance, pouvoir /stabilité ou évolution sociale. Les changements relevés semblent varier selon la classe d'appartenance, alors que les disparités sociales sont dues à l'affaiblissement de la solidarité communautaire. Le pouvoir au sein de la communauté semble étroitement lié au pouvoir économique, concentré dans les mains de quelques sujets et géré de façon à permettre la manipulation. La sociologie de la ville a manifesté plus tard un développement alternatif suivant les pays. Aux États-Unis l’œuvre de J. Gottmann Megalopolis présente de façon emblématique une attention particulière au développement métropolitain. Dans cet ouvrage l'auteur semble repérer un développement urbain qui dépasse les anciennes déterminations de l'espace urbain, ainsi que les appartenances régionales ou étatiques, afin de projeter l'homme de la ville métropolitaine dans une dimension urbaine qui se traduit par la perspective d'une époque totalement nouvelle. En Europe, les études de sociologie urbaine reprennent surtout dans l'après-guerre, que ce soit comme instrument pour une planification urbaine ou comme ressource pour retrouver les facteurs d'où sont issus les changements de la société et des valeurs. En France, il faut signaler l'apport de Paul-Henri Chombart De Lauwe, un auteur qui a analysé de façon Chombart De Lauwe, P.-H., Des intéressante la forme urbaine et les problèmes hommes et des villes, Payot, Paris sociaux de la ville de 1960 à 1990, en 1965. Du même auteur: La fin des fournissant des matériaux très utiles pour la villes: mythe ou réalité, Calmanncompréhension de la ville et pour la Lévy, Paris 1982. planification urbaine. Il est souhaitable de connaître ses travaux pour une méthodologie appropriée et pour une formulation et vérification exacte des hypothèses de recherche. Toujours en France, Henri Lefèvre développe une lecture utopique de la ville, Lefèvre, H., Le droit à la ville, Anthropos, Paris 1968, La révolution qu'il considère comme une entité touchée par une crise planétaire, tandis que la société urbaine, Gallimard, Paris 1970. Du urbaine est conçue comme étant "totalement rural à l'urbain, Anthropos, Paris délivrée" (de la ségrégation, de l'hétéro 1970. direction et de l'apathie) à travers l'autogestion du droit à posséder la ville. De nos jours, cette proposition ne semble pas facile à utiliser en tant que catégorie d'analyse et d'aménagement urbain. À partir de 1977, l'International Castells, M., Sociologie des mouvements sociaux urbains, Mouton, Journal of Urban and Regional Research propose une orientation nouvelle. Manuel Paris 1977 Castells critique, d'une façon d'ailleurs inacceptable, la sociologie urbaine précédente, qu'il accuse d'exercer une fonction idéologique, en faveur de la classe dominante, dont la ville s'émancipera par la lutte des classes, mise en oeuvre par les mouvements urbains. Il n'a fallu que quelques années pour faire apparaître essentiellement idéologique cette lecture critique de la ville. En Italie mérite d'être mentionnée la contribution de l'école de Trente (Italie), Pollini, G., Appartenenza e identità, Franco Angeli, Milan 1987. Gubert,R. fondée par F. Demarchi, qui, avec une certaine originalité, a développé une sociologie du (édité par), Territorial Belonging territoire qui met en relation les valeurs, les between Ecology and culture, dimensions symboliques avec la finalité de Université de Trente, Trente 1999. 1986. 302 Friedrichs, J., „Stadtsoziologie wohin? ”, dans Soziologische Stadtforschung, Friedrichs, J., (Hrsg.), Westdeutscher Verlag, Opladen 1988. Du même auteur: Die Städte in den 90 Jahren, demographische, ökonomische und soziale Entwicklungen, Westdeutscher Verlag, Opladen 1997. 303 focaliser l'identité et l'appartenance sur le territoire. Dans la littérature sociologique de la ville, durant la seconde moitié du XXe siècle, des voies nouvelles ont été suivies pour essayer de comprendre les nouvelles typologies de la ville, sans obtenir de résultats dans le domaine de la théorie sociologique. La tentative d'aborder une approche théorique de la ville, dans les formes qu'elle présente à la suite d'une forte connotation internationale des marchés, est représentée par la sociologie soi-disant de la globalisation. Toutefois, même une approche telle que celle-là, ne permet pas de parvenir, du moins dans le domaine de la sociologie, à la précision conceptuelle et méthodologique désirée. Les villes et les métropoles dans les pays industrialisés développent une capacité toujours croissante d'interaction dans des territoires toujours plus vastes, tandis que la localisation des pouvoirs urbains semble de plus en plus difficile à repérer dans l'espace. Les grandes villes du Tiers-Monde représentent une réalité urbaine qui se caractérise par d'énormes concentrations démographiques, par des phénomènes de pauvreté urbaine, vis-à-vis de laquelle il semble difficile d'introduire un processus de développement économique et culturel. Devant la tendance à une diffusion planétaire de l'information, sélectionnée dans l'espace (les zones du sud du monde en sont en grande partie exclues), devant les nouveaux mouvements migratoires et le besoin de rendre possible un développement plus équilibré, se fait jour la nécessité de plus en plus urgente d'une méthodologie sociologique pour l'étude de la ville qui permette de comprendre quels sont les facteurs qui en favorisent le développement et ceux qui s'y opposent, pour parvenir à retrouver dans la ville contemporaine les motivations et l'éthique d'une action sociale capable de bâtir le développement économique et social à l'intérieur d'un capitalisme éthique. >SIGNATURE< Antonio Scaglia (Predisposto per: Dictionaire de l’historie de la Pensée sociologique 2001) 304 (Voce per Enciclopedia) 3.15.212 Urban Sociology The city is the entity to which the Greek philosopher Aristotle attributed a capacity “to suffice unto itself”. He argued in Politics that “the perfection of existence” was possible in the city and he concluded that “man is a political animal created to live in cities.” The history of cities displays wide typological differentiation: cities vary according to the manner in which they began and subsequently developed, and according to their geographical and cultural area. But there seems to be one feature shared by them all: a capacity to dominate and organize the space surrounding them by virtue of their concentration of power in its various forms: political and administrative, military, economic, cultural, scientific, and religious. There have indeed been societies and cultures without cities as their political, administrative, economic and cultural points of reference, or which possessed them only to a limited extent – consider the Europe of the High Middle Ages – yet it is nevertheless true that the organization and development of systematic control over a territory has always centred on a capital city, and therefore on a hierarchy of cities and settlements. Urban sociology concerns itself with the social and cultural forms assumed by the urban phenomenon in the past and in the present. It endeavours to understand the world-views of the various cultures that have produced cities, and the coherence or incoherence with which these world-views have been given concrete form. The city in history Urban sociology seeks not only to describe and explain the rich variety of the phenomenon ‘city’, but also to interpret the causal connections between the elements constitutive of a city and the factors that first gave rise to them. This approach furnishes understanding of the complex as well as profound meaning of every urban reality. To study the history of cities is to study the history of civilizations, of societies, and of cultures: a far-reaching enterprise which involves numerous 305 disciplines and is constantly enriched with the results of scientific research. One might enquire whether urban sociology is able to identify a single interpretative theme linking what by now constitutes a vast complex of urban phenomena. A simple list of the bestknown urban forms demonstrates the difficulty of the undertaking. The history of the city, in fact, displays a rich variety of forms, which may be summarily listed as follows: the Sumerian cities, those of the Mesopotamian kingdoms, the Greek polls, the Phoenician cities, Rome and the cities of the Eastern and Western Roman Empire, the cities of the Asiatic empires, the cities of the Central-American cultures, the Muslim cities, the city-communes of the Middle Ages, the cities of the seigniories, those of the European sovereigns, the cities of the industrial revolution, the cities of Africa, Latin America and Asia that arose as a result of European colonization, the metropolises of the twentieth century, and those that have now become city region and global cities as well as the metropolises of the Third World. Finding an interpretative theoretical paradigm which comprises this huge variety of urban forms is, as said, an arduous undertaking, unless one resorts to a set of generic statements which risk lapsing into triviality. One approach might be to single out a set of shared features and then flank them with those specific to each individual form of urban society and culture. As will be shown, every urban form, in its birth and its development, is geared to the production and distribution of goods, and to the management of the surpluses that engender the city as the hub of functions, services and political power, administrative and organizational. The city also develops and disseminates patterns of urban planning and organization, models for the construction of supply and service infrastructures. It is the engine of technological innovation and knowledge, the centre of political, religious and military activity. These features, however, vary considerably across the manifold historical forms of the city, and it would be a gross over-simplification to impose a single sociological framework on such diversity. The general considerations to be drawn from comparative sociological analysis take the form of a social-urban 306 philosophy, albeit one grounded on analysis of specific sociological urban types. Examples are the (important) assertions that can be made concerning the relationship between the forms assumed by the city and freedom, democracy, and the reciprocal exchange of urban political power and other cultures. The territorial stabilization of social life The city was at first a permanent settlement of a population on a particular territory, a settlement which developed specific forms and functions. The advent of mankind began the process known as civilization (from the Latin noun for ‘city’: civitas) with the birth of the first settlements devoted to farming and cattle-raising but also to a sacred element: cemeteries and shrines. “The city of the dead antedates the city of the living. In one sense, indeed, the city of the dead is the forerunner, almost the core, of every living city” (Mumford, 1961). The villages of the Mesolithic age surrounded themselves with palisades, they ‘specialized’ space, and they organized themselves into a hierarchy, with a political, economic and social system that the city would later develop and strengthen. The rise of a space symbol-system and culture It was this revolution that gave origin to space as a symbolic system. By choosing to live in settlements, mankind opted for a form of social life that gave priority to social features expressed through increasingly rich forms of communication: language, tools, communal meeting-places, the recognition of a leader, obedience to the rules of the community, places and forms of worship. Language and the home were the distinctive features of the Palaeolithic village, while the inhabitants of the Neolithic village clung to their burial places and their vital significance for the social group, while continuing to develop agriculture and cattle-raising. The origin and evolution of human settlements produced the sociological meaning of the city through the following stages. 307 Antiquity and urban revolution in the Near East: The origin and evolution of human settlements with their diverse geographical and temporal features were replicated in the birth and rise of the cities. At the end of the last ice age, the alluvial plains of the Nile, Tigris, Euphrates and Indus yielded abundant crops for the peoples who moved into from south and organized themselves as farmers. Surplus produce was used to maintain a group of artisans, scribes, functionaries, priests and soldiers who introduced the spatial distinction between city and countryside. The first known urban conglomeration arose five thousand years ago (Clark, 1977). Space organization connected with structured social functions: the beginning of the ambivalent relation between the city and its surrounding territories and settlements The city became the locus of power; the place where the allocation of surplus goods was established, where reliable communication over long distances was made possible by the written word, where construction techniques were developed, where stable patterns of behaviour were formed, and where the law was formalized (the fundamental law and rules regulating everyday life which supplanted the family and kinship bonds). An entirely new social and spatial dimension arose which opened the way for a more formal and objective legal order, one legitimated by the urban community and which, in some cases, acquired the form of a state. The production of material equipment was enormously increased by the advent of models fixed by writing and registration. Thus, culture as a set of symbols produced and reinforced technology, exerting a powerful influence over the material production of goods which, in the absence of that culture, would only have developed sparsely and slowly. City and civilization, therefore, were closely bound up with each other in their birth and development. The development of a governmental hierarchy 308 The city came to reproduce, in historically different ways, the structural elements of the first human settlements. Various factors induced settlements to grow into cities, but the most notable of them were the centralization of the population, the advent of market, the court and administration, the temple, science (writings), and the army. The clay tablets unearthed during excavations of the Sumerian cities (Ur, Erech, Lagash) document the corporative government exercised by priests who considered themselves the stewards of land entrusted to them by God. This belief was reproduced in the physical form of the city dominated by the temple, with its dwellings, storehouses and workshops, and around which the city articulated itself according to social and spatial differentiation. When the Sumerian cities came under the sway of a king with sacred status and power, they manifested a power and an administrative organization arranged in a hierarchy between the capital city and those of lesser status in authority and function. Regulating this hierarchy of cities and localities was a set of laws which ensured the consignment of surplus or appropriated goods to the more central cities, and then developed into a system of tax collection and military organization which produced a veritable state. The Egyptian city pivoted on the power of the god-like Pharaoh, who wielded absolute control over the economy, which he utilized to build temples, pyramids and tombs that raised him above common mortals. In the second millennium BC, the cities of the Far East developed according to a similar hierarchical pattern whereby the provincial cities were dominated by the capital. The Greek city was the template for Western urbanism. Born of an alliance among communities and their kings (synoecism), from the sixth to the fourth centuries BC the polis became a reality in which the Greeks developed a culture devoted to reproducing in the city a vision of the world whose central component was not absolute power and the conquest of neighbouring territories, but rather the harmony among man, body and intellect expressed, both physically and spiritually, in literature and the figurative arts, and also in the social life reproduced concretely and 309 organizationally in the polis. The term ‘city’ thus came to coincide with ‘politics’, a city organized as a city-state, the place of orderly and individual freedom. The Greek polis of this period was a city whose walls protected the country people when attacked and which granted freedom to its citizens. The polis carefully regulated its size (surplus population moved away to found new colonies), the purpose being also to preserve harmony and to protect the system of self-government constituted by the prytaneum, the place where the community’s divine protector was worshipped, the agora or citizens’ assembly, and the bulè, the council of nobles and representatives of the assembly. Roman and Greek urban development The Greek city expressed in admirable harmony the relationship between the city and its rural surroundings, but it was a relationship that was always ambivalent. On the one hand, the city comprised a complex set of powers which subjugated the surrounding territory; on the other, it developed a political, legal, economic and organizational order, and a network of services, which incorporated the smaller communities into a system of which the city was the centre and the administrative seat. The Alexandrine city that arose from Alexander the Great’s expansionary policies and conquests was symmetrical in form, ordered according to a Euclidean geometry which ensured control and the orderly deployment of troops; a cultivated, refined and monumental city. The concentration of powers in Alexandria gave it decisive dominance over non-urban territory (Mumford, 1961). Rome the capital city that ruled the territories around the Mediterranean basis, invested its Senate, consuls, praetors, aediles, tribunes and quaestors with powers that produced one of the most stable empires of history. As caput mundi, the headquarters of the state, Rome undertook the division of the urban and agricultural territory, the founding of new cities, the building of aqueducts, sewers, basilicas, baths, amphitheatres and circuses, and the construction of an immense network of 310 roads and military outposts. Besides being the capital of the state and the empire, it was the locus in which political powers concentrated and evolved, and where the urban models of the empire’s cities were developed (Mommsen, ). Rome established an organic, almost biological, relationship with the world of the empire; but it was a relationship which, amid the city’s estimable political, administrative, legal, organizational, and military system, permitted no form of political, and especially cultural, reciprocity. When Rome’s powerful inner impetus subsided, its grand design imploded because it was unable to draw on resources arising from interaction with other cultures regarded as equals. One single legal order was admitted, and no other order was allowed that might introduce innovations. The disappearance of the ancient city The barbarian invasions destroyed the political and organizational structure of the Western Roman Empire, while the empire in the East fell to the advancing Muslim Turks. The urban structure of the Roman empire was replaced in the West by the Christian territorial organization based on large rural landholdings, while the cities and the road network lapsed into decay through disuse. In the East, the Muslim cities represented an extension of the power wielded by princes and merchant corporations: without specific autonomies, they served to protect citizens and to safeguard trade routes and the agricultural market, while for other commodities they added further urban components European cities in the Middle Ages The medieval city in Europe was the result of revival in the economic and commercial development of the coastal cities of the Mediterranean and northern Europe, and the resumption of agriculture and artisan industry. The cities were revivified and became the centres of corporations, guilds and confraternities, while their citizens developed a legal order different and distinct from that of the medieval lordship. This was a “non311 legitimate and revolutionary” legal order (Max Weber, 1921) endowed with city walls, its own civil law (which regulated relations among citizens according to rules established independently), its own lawcourts, and an armed corps of citizens called upon to defend the new order; all of which were guaranteed by the oath-swearing (conjuratio) of those who perceived themselves brothers in a common enterprise. The medieval city, with its public spaces for artisan, commercial, religious and social activity, assumed a complex urban form: the social configuration of the new notion of an autonomous community, with a political and legal system that gave origin to the constitutional and civil law of the modern state. The medieval structure of many European cities resisted the assaults of the lords and princes of the Renaissance, and those of the seventeenth- and eighteenth-century kings. The latter decided to forgo their endeavour to change the city, and instead set about building royal palaces with parks and estates outside the cities (Versailles, Schönnbrunn, Aranjuez, Caserta). This separation between royal-nobiliar power and the urban classes made up of shopkeepers and professionals was the prelude of, and ground for, the bourgeois revolution. The modern city The bourgeois and industrial revolutions engendered the subsequent great urban revolution. Population growth, immigration from the countryside, the more articulated organization of the city, heightened demands for comfort: these factors upset the balance between traditional and new urban space. Flanking such ecological problems were the inequalities among the urban classes (bourgeoisie and proletariat) that socialist (F. N. Babeuf, Ch. Fourier) and liberal theory analysed, and which the urban policies of the constitutional states addressed, but only by creating public and social spaces and services, while giving free rein to speculation and the market under rules which applied to all the social groups admitted to the competition for social ascent. 312 Sociology arose in concomitance with the problems that attended the birth and growth of industrial society, and it analysed the urban phenomena that embodied the urban revolution. K. Marx conducted his critique of capital by starting from the radical inequality between the owners of the means of production and an exploited proletariat forced to sell its labour in the city called Coketown. Max Weber sought to understand the birth and crisis of capitalism by studying the medieval European city as the origin of the free economic enterprise that gave rise to the new and free legal order; the city that gave liberty to all those who decided to join it, and whose motto was “The city air makes free” (Die Stadtluft macht frei). However, although this city produced a political and legal system by which citizens were free under the state and the modern legal order, it was not a city of equals: it may have been made up of formally equal citizens but it was marked by frequently profound social and spatial disparities. The Chicago School analysed the phenomena and problems of a modern industrial city under pressure from multi-ethnic immigration and with spatial and social segregation according to income, ethnicity and profession (Park, Burgess, McEnzie, 1925), its conviction being that urban dynamics were similar to those of a biological organism. The modern city has developed this segregation into the new and dramatic form exemplified by the cities of the Third World. These urban conglomerations are unable to drive development because they consist of enormous concentrations of immigrants in search of sustenance and with little hope of finding stable and decent employment. They are cities, with their almost boundless demographic and spatial expansion, that lack ancient and historically importance centres with which their inhabitants can identify. The modern installations of the cities which have developed in the ex-colonial countries, their business districts and quarters restricted to the middle and upper classes, have forced their poor and marginalized inhabitants into the periphery. The metropolises of the European and American West have become the world centres of political, economic and financial power, of services and the organization of production. 313 Extending as they do across the territory of several states and incorporating the entirety of politics, science, technology, business, and leisure, for some time they have constituted the symbol and Utopia of the “new order of ages” described by Jean Gottmann in Megalopolis, which suggests that the world is controlled and receives its meaning from an urban culture which acts as the engine of all development, material, social and cultural. The world as a city system The contemporary city has burst through the boundaries that used to separate it from the countryside and surrounding space; it pervades them as does Gottmann’s megalopolis (Gottmann, 1961), or it penetrates them and binds them with a network of communication and transport structures which do not stand in a reciprocal relation with the countryside and external space; on the contrary, it is thus that the city asserts its ramified supremacy. On this view, the city determines every type of production and the ways in which surpluses are utilized; it decides who should receive economic rewards and professional recognition; it establishes which spaces are to be allocated to services and which should be reserved for social classes, according to a meritocractic hierarchy based on a scale of values determined by the elites of the city itself. Urban and regional sociology Cities do not change, even less do they dissolve in the regional dimension. On the contrary, the latter demonstrates that the urban dimension of power has not freed itself from the restrictions imposed by city walls, by administrative or 314 jurisdictional boundaries, by the attraction of a market spatially identified with an area called ‘city’. Finance and the organization of production and work do not rely solely on the automation and advanced technologies that require increasingly skilled workforces. One feature of the ‘global city’, in fact, is its indifference to the spatial allocation of the production process. The increased production of nonmaterial goods and information technologies has led to the greater use of telework, which enables closer and more efficient monitoring of the quantity and quality of output. The city continues to control the production of services and access to them, and thus becomes almost exclusively tertiary or quaternary. It ensures and refines its supremacy over increasingly broader territories, using instruments of ever greater sophistication but of decreasing visibility to public opinion. The city, in fact, has developed a new technological and professional perspective: that of communications, which is now one of most highly developed and influential of production sectors, able to construct images which convey lifestyles, symbols of prestige and gratification, and, indeed, visions of the world. The global city displays the features of a market on the world scale which nation-states and international bodies are unable to regulate with effective policies. The city, precisely because it represents and coincides with the power centres of the global market, also produces the symbols and mechanisms that legitimate this planetary power; symbols and mechanisms of legitimation 315 which the legal and political orders of states are unable to counteract but neither to replace. 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