comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio

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comprendere le forme dello spazio sociologia della città e del territorio
[Veduta notturna dell’Europa ripresa dal satellite]
ANTONIO SCAGLIA
comprendere le forme dello spazio
sociologia della città e del territorio
università degli studi di trento
2002-2003
Città,
alternarsi di fumo
susseguirsi di voci.
Un quadro grigio,
un sole d’anime.
Città,
altro non sei
che una colomba in fin di vita.
(Maria, anni 10)
2
ANTONIO SCAGLIA
Comprendere le forme dello spazio
sociologia della città e del territorio
«E’ inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra le città infelici.
Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che
continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare forma ai desideri e quelle in cui
i desiderii o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.»
(Italo Calvino, Le città invisibili)
Facoltà di Sociologia
Anno Accademico 2002/2003
3
Premessa
L'insediamento umano nello spazio si propone come uno
degli aspetti più affascinanti della storia e della vita sociale
dell'uomo.
Il corso di sociologia urbana e rurale ha quale oggetto
appunto le forme dell'ecologia in senso etimologico, ovvero
le modalità del rapporto fra l'uomo e lo spazio, in particolare
fra le forme sociali, le loro dimensioni culturali e le realtà
spaziali.
Ripercorrere e cercare di penetrare il senso proprio di
queste forme sociali e delle modalità con cui queste hanno
trasformato lo spazio, piegandolo, in forme assai diverse, alla
loro concezione del mondo, alle esigenze materiali ed
immateriali, permette di evidenziare alcuni tratti, non
secondari, della storia e della civiltà umana.
La vastità della materia ci costringe a toccare alcuni
aspetti, ovviamente non irrilevanti, di questa inesauribile tela
che l'uomo ha costruito. Alla scienza sociologica, pur
avvalendosi della storia, è possibile indagare unicamente un
periodo assai limitato della storia del rapporto fra l'uomo e lo
spazio, quello che noi, in modo certamente semplificatorio,
chiamiamo il periodo della civiltà, quello che può essere
ricostruito dalla storia e dalle scienze antropologiche.
Rispetto al milione di anni cui sembra risalire la presenza
dell'uomo sulla terra, noi possiamo parlare con qualche
conoscenza di causa solo a partire da un momento storico
relativamente recente.
L'ampiezza della materia e la difficoltà di esporne in
modo articolato le parti, sia pur selezionate, del programma
di studio che ci proponiamo, hanno indotto a preferire la
modalità di presentazione propria della procedura
schematica delle lezioni. Ognuna di esse avrà pertanto una
forma strutturata e sarà corredata da una bibliografia
essenziale. Quest'ultima conterrà un rinvio a delle letture
dalle quali si possono ricavare opportune esplicitazioni ed
approfondimenti.
4
Allo studente viene affidato lo studio e l'approfondimento
che e deve avvenire rivolgendosi ai testi indicati ed alla
bibliografia generale.
Secondo l'indirizzo espresso dalla Facoltà, lo studente,
oltre allo studio della parte generale contenuta nel
programma ed esposta nel corso, dovrà elaborare una relazione
(corrispondente alla parte monografica), frutto di specifiche letture
e di una ricerca personale, utilizzando una bibliografia
specifica. La metodologia per tale lavoro verrà fornita
durante il corso e la tematica verrà concordata con il docente.
Le linee del corso di sociologia urbana e rurale
La nascita della sociologia sembra essere strettamente
legata al fenomeno urbano moderno.
Stabilire in che misura la nascita della disciplina
sociologica sia da porre in connessione con il fenomeno
urbano moderno è il punto saliente, quasi il fulcro della
metodologia dell'analisi urbano rurale. Sia ben chiaro, si
tratta della presentazione degli elementi che si ritengono
rilevanti in sociologia urbana e rurale come disciplina
scientifica e non di un quadro esaustivo del fenomeno città.
Peraltro, la storia del fenomeno urbano, alla quale
dedicheremo un certo spazio, dimostrerà ampiamente quanto
esso sia stato rilevante ben prima che la sociologia come
disciplina se ne occupasse. Per poter fare un’analisi
sociologica dei fenomeni urbani esistiti anteriormente alla
nascita della sociologia, è giocoforza fare riferimento alle
discipline storiche.
La sociologia, per iniziare la propria esistenza e la propria
attività come disciplina scientifica dovette attendere che
maturasse socialmente e culturalmente la distinzione fra due
prospettive: lo stato e la società.1
Nel mondo occidentale ha luogo un processo di grande
rilievo, una grande trasformazione, in cui giocarono un ruolo
rilevante più fattori: mutamenti nel pensiero, nella scienza,
nella politica, nella tecnologia e nella concezione del mondo..
Si tratterà di un mutamento che si allargherà, gradualmente,
all'intero pianeta, ma il cui senso profondo non è ancora stato
1
Jonas F., Storia della sociologia, Bari, Laterza 1970, p. 8.
5
esplorato nella sua interezza. Recenti studi di storia
economica e culturale, hanno evidenziato il carattere
semplificatorio della connessione automatica fra sviluppo
tecnologico, sviluppo urbano, industrialesimo e Grande
Trasformazione.2 A questo tema sarà dedicata la prima sezione
del corso.
In che modo, dunque, le problematiche dello sviluppo
urbano moderno si collocano all'interno della nascita della
sociologia?
Una seconda sezione sarà dedicata ai classici della
sociologia urbana e rurale: autori, scuole ed evoluzione
metodologica.
Una terza parte affronta i temi della dimensione urbana
d’oggi (in particolare il tema del cittadino virtuale) e quello
della centralità della sociologia della città per la lettura e la
pianificazione dell’insediamento.
Restano in attesa di trattazione scritta due temi che
verranno tuttavia affrontati nelle lezioni: le forme attuali del
potere e della partecipazione nella vita urbana. Questi temi
saranno oggetto di due lezioni pubbliche, nel maggio del
2000, presso la Katholische Universität di Eichstätt. Il testo
italiano, che sarà riscritto da quello tedesco, sarà tuttavia
disponibile unicamente per l’anno accademico successivo. Gli
studenti avranno tuttavia l’opportunità di conoscerne e
discuterne il contenuto frequentando le lezioni.
2
Polany, K., La Grande Trasformazione, Torino, Einaudi 1974.
(1997, 11 rist.)
6
7
Città e società
E' solo dopo anni di studio, di insegnamento e di ricerca
che si può giungere a tracciare delle linee di lettura di
comprensione del fenomeno urbano a partire dalla sua
complessa vicenda storica ed a partire dalle problematiche
che potremmo chiamare, impropriamente, strutturali che lo
connotano.
In attesa che questa maturità sopraggiunga, tentiamo, per
ora, di tracciare alcune riflessioni su quanto ci è dato di
comprendere con il limitato strumentario metodologico e di
esperienza oggi a nostra disposizione.
Un primo ed, a nostro parere, fondamentale punto di
riferimento è ciò che avvenne agli albori dell'insediamento
umano, nel paleolitico, quando questo fenomeno evidenziò
alcune caratterizzazioni che sembrano riprodursi nelle
successive fasi dell'insediamento urbano. Non solo. Sembra, a
noi, che queste primigenie forme costituiscano una cartina di
tornasole della correttezza del rapportarsi dell'uomo allo
spazio anche per le più complesse forme storiche successive.
Sociologia urbana: retrospettiva e nuovi
trends
Quando, nel 1956, René König redasse un volume
monografico della Kölner Zeitschrift für Soziologie und
Sozialpsychologie intitolato Die Gemeinde (il Comune), la
tematica della disciplina era indubbiamente diversa da come
si presenta oggi.3 Ora, il Sonderheft n.26 della stessa rivista,
porta il titolo di Soziologische Stadtforschung (ricerca
sociologica urbana) (KZSS 1988) ed è a cura di Jürgen
Friedrichs.
Se si confrontano i contenuti di questo volume con i temi
trattati oggi dalla nostra disciplina, si può avere una idea di
quanto essa sia mutata, per metodi ed obiettivi, almeno nella
Germania federale. Del resto, una scorsa ai nomi ed alla
bibliografia dei sociologi a partire da quella data, ci permette
di asserire che, ovunque, i mutamenti sono stati notevoli.
Il volume del 1956 conteneva quasi esclusivamente
contributi che trattavano il tema dei comuni agricoli e finiva
quasi per escludere il tema della città. Le motivazioni di tale
scelta sono legate alle peculiarità del periodo ed alla
percezione di R. König rispetto alle problematiche del tempo
della ricostruzione ed al desiderio di ridare spazio alla
partecipazione della popolazione alla ricostruzione del suo
paese e della società e della cultura europea dopo il periodo
nazista.
Si è trattato, comunque, di una pietra miliare della
sociologia urbana in Germania. E' stato, infatti, a partire da
quest'opera che la disciplina è assurta a disciplina scientifica
in quel paese. Si tratta di un esempio emblematico di come la
Weltanschauung influenzi le prospettive, le scelte e le
metodologie disciplinari della scienza sociologica come di
altre discipline scientifiche.
La sociologia urbana non aveva una vera e propria
tradizione scientifica negli USA prima della seconda guerra
mondiale, fatta eccezione per l’esperienza della scuola di
3
König, R.(hrg.), “Gemeindesoziologie”, Kölner Zeitschrift für
Soziologie und Sozialpsychologie, Sonderheft 1988.
9
Chicago che non ebbe forse un influsso determinante sulla
impostazione della teoria sociologica generale.
E, se Max Weber, Georg Simmel e Werner Sombart
diedero importanti contributi alla sociologia urbana e rurale,
si deve, purtroppo constatare che i loro contributi non
diedero, peraltro, l'avvio ad una ricerca sistematica sulle
condizioni di vita delle città; lo sviluppo delle città. Inoltre,
ciò avvenne in seguito e quasi ignorando la loro produzione
scientifica. Cosa che , del resto, avviene anche ora.
In che misura e verso quali lidi si è diretta la sociologia
urbana da allora?
J. Friedrichs sembra, per la obiettiva difficoltà di ampliare
la prospettiva, volersi riferire solo alla Germania (quella di
prima del 1991). Credo si possa affermare che queste
constatazioni valgano anche per l'Italia4 come per altri paesi
ad economia capitalistica o di mercato, pur con vistose
differenze specifiche in corrispondenza delle diverse culture.
Come si potrà notare in seguito, la caratterizzazione
culturale di ogni paese si reputa abbia un influsso cospicuo,
anzi decisivo, sulla conformazione dell'insediamento e della
città in particolare. Il contributo dei classici e, per quanto
concerne la storia, il contributo di L. Mumford nei tempi
recenti, mettono in evidenza in modo efficace quanto stretta
sia la connessione fra la singola cultura e le forme che assume
la città.
L'affermazione di Friedrichs, circa la capacità della
sociologia urbana e rurale di influenzare lo sviluppo della
città è un problema che ovviamente non tocca i periodi storici
nei quali la disciplina non esisteva. Per tali periodi siamo
impossibilitati a verificare se la riflessione sulla città in
termini scientifici avrebbe potuto influire sulle forme stesse
della città.
Le tematiche degli anni Cinquanta
R. König, nel volume citato, privilegiò le seguenti
problematiche:
4
Vedi il lavoro di Delle Donne M., Teorie sulla città, Napoli, Liguori
1979.
10
le condizioni di vita nei nuovi insediamenti urbani5, il vicinato,
contatti/visite e reti sociali, spazi dell'agire, ricerche orientate al
risanamento, risultati delle iniziative di risanamento, migrazioni ed
immigrazioni, sottourbanizzazione, realizzazione di infrastrutture e
disparità, segregazione, integrazione e condizioni di vita delle
minoranze (lavoratori immigrati), strutture socio spaziali,
migrazioni, selezione dei gruppi, valori fondiari ed affitti, sviluppo
dei centri urbani, sviluppo urbano, il potere nel Comune.
In Germania, questo trend della sociologia urbana è
documentato dai seguenti lavori:
Pfeil, Großstadtforschung (ricerca sulla grande città) 1950 (opera
del 1972, in seguito ampliata), Bahrdt, Die moderne Großstadt (la
grande città moderna) 1961, Mitscherlich, Die Unwirklichkeit der
Städte (L'irrealtà delle città) 1965, Atteslander-Hamm, Materialien
zur Siedlungssoziologie (Materiali per la sociologia dell'insediamento)
1974, Herlyn, Stadt- und Sozialstruktur (Struttura urbana e struttura
sociale) 1974, Pehnt, Die Stadt in der Bundesrepublik (La città nella
Repubblica federale tedesca) 1974), , Friedrichs, Stadtanalyse
(Analisi urbana) 1977, Hamm, Lebensraum Stadt (La città / spazio
vitale) 1979, Friedrichs, Die Städte in der 80er Jahren (Le città negli
anni Ottanta) 1985, Häusermann e Siebel, Neue Urbanität (Nuovo
urbanesimo) 1987.
Nella Sezione Stadt- und Regiolasoziologie (sociologia
urbana e regionale) si evidenziano posizioni diverse circa la
necessità di ricerche quantitative, circa gli approcci marxisti e
sul necessario orientamento alla prassi applicativa che
debbono avere le ricerche.
La Sezione ha, comunque, dato un impulso significativo
alla ricerca urbana in Germania federale.
La sociologia urbana ha quindi dato risultati significativi
sia per la quantità delle ricerche condotte, sia per il supporto
offerto alla pianificazione, sia per l'interesse suscitato.
Tuttavia, nonostante la quantità degli studi e delle
ricerche, questa disciplina manifesta, nel più recente periodo,
un’evidente crisi.
5
L'Italia ebbe le stesse problematiche: vedi ad es.: Cavalli L., La città
divisa, Milano, Giuffré 1965.
11
Dalla crisi verso nuovi orientamenti
La sociologia urbana è uno dei primi ambiti disciplinari
della sociologia. Con la istituzione della cattedra di Albion
Small nel 1892 a Chicago, numerosi giovani ricercatori e
giornalisti giunsero ad occuparsi dei problemi maggiormente
evidenti della loro città.
Le pubblicazioni degli anni Venti e Trenta, soprattutto
quelli di Park, Burgess e McKenzie, autori che vengono
generalmente definiti come i più significativi rappresentanti
della Scuola di Chicago, hanno influenzato le ricerche urbane
sino ad oggi.
L'ecologia sociale, o human ecology, com'essa è stata
successivamente chiamata, fondata da questi autori,
rappresenta tutt'oggi l'unico approccio teoretico autonomo in
sociologia urbana. Si tratta certamente di un paradigma
molto conosciuto e con il quale ogni ricercatore si è
confrontato.
Il riferimento ad un quadro teorico ecologico che ha
trovato esplicitazione, inizialmente, in un ambito di studio
proprio del mondo animale e vegetale, ha fatto sì che un tale
approccio trovasse difficoltà ad essere accolto nella teoria
sociologica. Questo è uno dei motivi che hanno condotto alla
crisi della teoria sociologica sulla città ed, in particolare, dello
scarso legame che si è venuto a creare fra sociologia generale
e sociologia della città.
E' altrettanto importante notare come questo rilevante e
specifico ambito disciplinare della sociologia perda
gradualmente di importanza e di incisività. Gli indicatori di
questo fenomeno sono numerosi.
Le riunioni annuali dell'American Sociological Association
vedono decrescere continuamente Sessioni e Rapporti sulla
Urban Sociology. Nella riunione dellASA del 1987, ad esempio,
non è nemmeno stata ipotizzata una sessione con una simile
denominazione. Diminuisce, inoltre, il numero di
pubblicazioni in questo settore; poche sono, inoltre, le
recensioni sulla rivista Contemporary Sociology sull’argomento
Nella Soziologische Revue i temi di sociologia urbana vengono
trattati solo in recensioni cumulative.
12
Connotazione dei nuovi trends in sociologia urbana
Si possono, dunque, trarre le seguenti considerazioni:
1.- La ricerca urbana sembra avere un'importanza ridotta
per la prassi e per la pianificazione dei governi nazionali e
locali. Questa tendenza è più forte negli USA che in
Germania. Sembra, inoltre, che i grandi problemi nelle aree
urbane appaiano oggi in modo meno pressante che non negli
anni Sessanta e Settanta. Constatazione che si è rivelata come
un errore.
2.- Se la differenziazione fra le aree urbane non sembra
essere significativa, si è, invece, accentuata la disparità fra le
aree regionali. Si nota, infatti, il prevalere di analisi
comparative di città-aree regionali, come pure si accrescono
le ricerche di carattere economico, di politica del mercato del
lavoro e di carattere fiscale, mentre la sociologia come tale
riveste un'importanza limitata.
3.- La sociologia ecologica classica, nonostante il tentativo
di aggiornarsi operato negli anni Quaranta e Cinquanta, ha
terminato il suo iter quale utile teoria interpretativa.
In proposito, sarà da verificare se i recenti tentativi di
dare ad essa un nuovo sviluppo (Bidwell e Kasarda 1985,
Hawley 1986) possa avere possibilità di successo.
Anche gli approcci marxisti non hanno condotto ad una
teoria capace di analizzare con sufficiente precisione
fenomeni loro consoni come le migrazioni, la marginalità e
l'integrazione; si ricorre, infatti, per questi ambiti, alla
sociologia economica.
4.- I problemi propri della città vengono studiati a
preferenza dei problemi sociali generali. I problemi
dell'integrazione, delle minoranze, degli strati sociali inferiori
presenti nelle nuove realtà urbane, oppure gli effetti delle
tecnologie applicate all'uso del territorio o le interazioni
sociali corrispondenti sono una esemplificazione di problemi
che possono, ipoteticamente, essere meglio interpretati con
l'ausilio delle teorie sociologiche generali piuttosto che
nell'ambito dell'apparato teoretico dell'ecologia sociale.
13
5.- Nella misura in cui la società si differenzia, le teorie
individualizzanti sono più adeguate delle teorie aggregate
(non solo per analizzare le realtà individuali ma anche le
stesse realtà aggregate; vedi Coleman 1986, p. 1318), a
prescindere da quali teorie debbano essere utilizzate.
La differenziazione sociale tocca solo una parte della
società. Alcuni strati sociali subiscono una perdita di potere
d’acquisto ed altri, invece, se lo vedono aumentare. Vi è
dunque sia una individualizzazione sia una polarizzazione
(Beck 1986).
In Francia, le opere di sociologia sono più orientate alla
ricerca qualitativa su temi come amore, matrimonio, ruolo
dei sessi. Mentre, se vengono utilizzate variabili classiche a
carattere socio-demografico ed economico, come sesso, età,
grado di istruzione e reddito, le spiegazioni divengono più
difficoltose, per cui si accentua l'analisi qualitativa.
Non conducono molto più in là anche le ricerche sul ciclo
della vita e sullo stile di vita dei gruppi. Di conseguenza e per
reazione, la ricerca si è orientata verso la descrizione e la
spiegazione delle disuguaglianze sociali (Hradil 1987,
Kreckel 1983).
Questo orientamento di ricerca non è stato così accentuato
come negli USA ma, secondo l’autore, è ipotizzabile che esso
si accentuerà in Germania nel prossimo futuro. Cosa
avvenuta, anche se con accentuazioni che privilegeranno i
fenomeni della marginalità.
J. Friedrichs, chiedendosi che cosa si dovrebbe fare in
sociologia urbana, ritiene sia più utile precisare ciò che,
secondo lui, non si dovrebbe fare6. Egli sostiene che l'analisi
dello spazio sociale e l'ecologia fattoriale, con l'analisi della
distribuzione della popolazione con dati aggregati, abbia
condotto a conoscenze cumulative sulle dimensioni più
6
Friedrichs J., «Stadtsoziologie wohin?», in
Stadtforschung, KZSS, Sonderheft 29/1988, pp.10-11.
14
Soziologische
importanti della struttura socio-spaziale della città,
permettendo raffronti fra città appartenenti a stati diversi.
Non ci dobbiamo attendere, egli sostiene, alcun
avanzamento
conoscitivo
dall'applicazione
acritica
dell'analisi fattoriale, in cui n variabili disponibili con i dati
concernenti una città vengono ridotte a k dimensioni.
Analisi sociologica e pianificazione.
Nel caso in cui si mettano in correlazione variabili che
concernono zone della città (ad es. il tasso di disoccupazione
ed il tasso di criminalità), ciò conduce unicamente ad una
conoscenza di livello descrittivo. Il problema è di riuscire a
superare il livello descrittivo per divenire una spiegazione,
rispondendo al la domanda del perché esista tale connessione.
L'intento di rendere utili i risultati della ricerca urbana
per il pianificatore sembra avere una giustificazione piuttosto
ristretta non fosse altro perché non sappiamo veramente chi
siano gli enti e le persone che procederanno a pianificare. I
burocrati difficilmente hanno, ad esempio, il tempo di
leggere tali studi, anche se venissero pubblicati su riviste di
loro pertinenza. Tali studi vengono concretamente utilizzati
dalle relazioni dei responsabili per i loro superiori
amministrativi o politici oppure per le esposizioni che fanno i
pianificatori. Altrimenti, afferma Friedrichs, rimane
un'ultima chance: che noi pubblichiamo per la nostra scientific
community.
Lo stato della ricerca in sociologia urbana, come
numerose ricerche hanno dimostrato, non permette certo di
esprimere delle indicazioni e degli indirizzi che siano in
grado di orientare significativamente le linee di ricerca
territoriale e le scelte urbanistiche; al massimo, in presenza di
misure già assunte, tali ricerche possono condurci a poterci
esprimere sulla loro adeguatezza. Non necessariamente tale
opinione va condivisa, anche se riflette indubbiamente la
posizione sino ad oggi debole della sociologia nei processi di
pianificazione.
Con espressioni disincantate, J. Friedrichs afferma che
risulta di fatto difficile analizzare e confrontare tra loro i
problemi pratici di fronte ai quali si trovano le autorità,
15
soggetto della pianificazione, con i risultati della ricerca
scientifica.
Le risposte che vengono fornite dai sociologi rispondono
spesso all'impegno ed all'entusiasmo del ricercatore, e
fors'anche alla legittimazione dell'autorità che deve
pianificare, molto meno alle esigenze dell'utente.
Una posizione che non coincide con altri contributi di
analisi socio territoriale nella quale sono emersi elementi di
carattere sia strutturale sia operativo per la pianificazione
territoriale e urbana.
Tentare nuove vie
Friedrichs ritiene che si debbano approntare strumenti
teoretici e tentativi migliori di quelli attuali, anche per levare
la ricerca in sociologia urbana dallo stato di stagnazione in
cui essa è finita.
La ricerca che poggia sulla cumulazione dei dati fa ricorso
alle cosiddette teorie additive. In queste ultime vengono
chiamate in causa variabili che si sono rivelate significative in
ricerche precedenti (sono in grado di spiegare la varianza); ed
a ciò si aggiungono le nuove ipotesi formulate dal ricercatore.
Tali effetti vengono normalmente analizzati con lo strumento
della regressione multipla; si tratta, pertanto, di un
procedimento cumulativo.
Lo svantaggio di questa procedura consiste nel fatto che
questi modelli sono utili solamente per spiegare lo specifico
problema e, di conseguenza, anche l'aspettativa di Merton di
veder nascere una teoria generale dalla teoria di medio
raggio appare non sostenibile sul piano metodologico.
Critiche in questo senso sono venute da Fischer (1986: 223 ss.)
e da Esser (1979) in quanto il primo l'ha criticata come
«compositional analysis» in sociologia urbana ed il secondo
come «sociologia delle variabili».
Lo stesso procedimento, di una teoria ottenuta per
additività è seguito dagli studi sui comportamenti individuali
nella città (spazi comuni, vicinato, frequentazione di centri
sociali, rete di conoscenze, comportamento nel tempo libero,
orientamento per escursioni, orientamenti localizzativi).
Tuttavia, anche con l'aggregazione di tali dati non si riesce a
costruire una teoria macrosociologica.
16
Friedrichs sembra, allora, indicare una strada nuova,
individuata nell'utilizzo della cosiddetta analisi trasversale
dei fenomeni urbani. Ciò significherebbe mettere in relazione
i dati e le metodologie delle ricerche che puntano sulla
dimensione individuale con le ricerche che utilizzano
aggregazioni di dati.
Per venire a capo di questo problema, possono essere utili
le analisi del contesto anche se le dinamiche che in esso
agiscono non sono ancora chiarite sul piano teorico. Utile
appare anche l'uso della teoria degli effetti inattesi. Insomma
uno spettro metodologico complesso e, diremmo, eclettico.
Si potrebbe aggiungere che in sociologia urbana, e per la
sociologia in generale, la ineludibile utilizzazione delle
metodologie della rilevazione empirica si affianca alla
sempre più evidente complessità delle singole realtà sociospaziali; è questo a richiedere la versatilità delle tecniche di
rilevazione e, soprattutto, la necessità di individuare nei tratti
culturalmente rilevanti di queste realtà, l'orientamento per la
formulazione delle ipotesi della ricerca e, di conseguenza,
anche la scelta, sia pure plurima, delle tecniche e degli
strumenti di rilevazione.
La sociologia urbana degli anni ’90
Th. Krämer-Badoni7 rinvia al volume di J. Friedrichs Die
Stadte in den 90er Jahren8 come all’opera che permette di fare il
bilancio del decennio della sociologia urbana in Germania,
come era avvenuto in un contributo precedente e ad opera
dello stesso autore.
In sintesi, K. Badoni ritiene che il decennio sia
caratterizzato dai seguenti elementi:
• Dal 1989 molti mutamenti sono intervenuti nella
realtà urbana tedesca e negli studi di sociologia
urbana
• Il periodo non è tuttavia caratterizzato da significativi
dibattiti metodologici
7
Krämer-Badoni, Th., “Die Stadt der 90en Jahren”, in Soziologische
Revue, 1999, II, pp.
8 Friedrichs, J., Großstadt. Soziologische Stichworte Hartmut
Haeusserman (Hrsg.). – Opladen, Leske und Budrich, 1998.
17
•
•
•
Vi è una scarsità di nuovi autori che si siano affacciati
sulla scena
Dominano la scena vecchi nomi: Jürgen Friedrichs,
Hartmut Häusermann, Ulfert Herlyn, Walter Siebel
(possiamo aggiungere Thomas Krämer-Badoni che
non si cita per ovvi motivi di modestia)
Fra i pochi nuovi va citato Jens Dangschat che si
evidenzia per una ricca ed interessante produzione
Se non vi sono numerosi autori nuovi, vi sono invece
nuove tematiche che vengono affrontate; esse sono
documentate nel testo citato di J. Friedrichs come pure nel
volume di H. Häusermann Großstadt. Soziologische
Stichworte che si rivela un buon manuale, un volume
collettaneo edito per festeggiare i 60 anni di W. Siebel.9
Le prospettive della sociologia urbana in Germania
negli anni 90 dal volume di J. Friedrichs
Krämer-Badoni, richiamandosi al volume di Friedrichs
sulla sociologia degli anni 90 in Germania10, mette in
evidenza gli orientamenti della sociologia urbana in
Germania in questo periodo.
Accanto al mutamento delle tendenze di lettura ed
approfondimento della disciplina rispetto agli anni 8011, si
ha, in particolare:
Il fenomeno del trasferimento dei processi di produzione
industriale e dei servizi nei Länder con salari più bassi. A
questa conclusione cui giunge il saggio del volume di
Friedrichs, viene fatta l’osservazione che il fenomeno
9 Hartmut Häussermann (Hrsg.), Grossstadt Soziologische Stichworte,
Opladen, Leske und Budrich, 1998.
10 Friedrichs, J. (Hrsg.), Die Städte in der 90er Jahren:
demografische, ökonomische und soyiale Entwicklungen, Opladen,
Westdeutscher Verlag 1997.
11 Si ricordi, in proposito, il contributo di J. Friedrichs con i lavori:
Friedrichs, J., (Hrsg.), Stadtentwicklungen in West- und Osteuropa, Berlin,
New York, Gruyter Walter de & Co 1985, ed ancora: Friedrichs, J.,
O’Loughl (ed. by), Social Polarisation in post – industrial metropolies,
Berlin, New York, Gruyter , Walter de, & Co 1996.
18
andrebbe letto in modo più approfondito verificando le
connessioni con le dimensioni socio economiche e socio
culturali
Stimolante appare il contributo di Jens Dangschat sul
tema: “Povertà e delimitazione socio spaziale nelle città della
Germania”
Come pure è da considerare assai buono il contributo di
Dangschat e Häusermann: „Sviluppo urbano nella Germania
orientale“
Il saggio di Norbert Gestring sulla „Ecologia della città”
(Oldenburg, Göttingen) pone a sua volta in evidenza come,
su questa tematica, vi sia una scarsa produzione scientifico
sociologica. Interessanti in questo saggio sono le correlazioni
che esistono fra „ecologia e modi di vita urbani“ (urbane
Lebensweise“. Vengono inoltre messi in evidenza:
Due costellazioni di esigenze: a) l‘emancipazione, l‘equità
sociale, l‘autonomia e la liberazione dalla costrittività del
lavoro; b) i bisogni connessi con le condizioni dell‘ambiente
urbano cui sono collegati altri fattori: abitazione equità
sociale, pari opportunità di lavoro e partecipazione.
Condizione basilare per poter attare questo quadro di
nuovi modelli di vita connessi con le modalità di vita consoni
alla dimensione ecologica, è la necessità di introdurre un
mutamento del modo di vivere, il che presuppone che la
nostra società sviluppi ed affermi un‘etica della rinuncia
rispetto a quella dei consumi illimitati. Gli autori ritengono
che il ruolo centrale non lo debba giocare l‘attività scientifica
ma che realizzare questo nuovo orientamento dipenda
piuttosto da un disegno e da decisioni di una politica.
La sociologia della città può, in questo disegno, assumere
i simboli come tema.
Inoltre, la nostra società che cosa ci rimette se mette da
parte un‘utopia fallita di urbanità universale?
Un settore che richiama un nuovo interesse è pure quello
della valenza positiva che la città sta sviluppando con le
attività culturali. Il volume di Kirchberg e Göschel esplicita in
forma articolata potenzialità ed esemplificazioni in merito a
19
questo vasto settore12.
L’insegnamento della sociologia urbana in altre
Università
Con l’ausilio di Internet, abbiamo raccolto alcune
informazioni sull’insegnamento della sociologia urbana in
altre Università.
Iniziamo con le Università tedesche.
Alla Humboldt Universität, presso la cattedra di Stadt- und
Regionalsoziologie, si punta su di un insegnamento che ha
quali punti di approfondimento le strutture e lo sviluppo
socio - spaziali a livello urbano e regionale. In una prima
parte del corso vengono presentate le teorie ed i metodi di
analisi della sociologia urbana; in una seconda parte della
didattica si affrontano i temi della sociologia dell’abitare ed in
una terza parte si affrontano le teorie della differenziazione
sociale.
Nei Proseminare e nei Seminare, vengono affrontati, a loro
volta, altre tematiche: la segregazione, l’analisi ed i problemi
connessi con le nuove espansioni, la carenza di abitazioni. Ed
ancora: i mutamenti nella struttura urbana, la povertà nelle
grandi città, immigrazione e sviluppo urbano, sviluppo
urbano nella Germania orientale, risanamento urbano a
Berlino ecc.
I progetti di ricerca in corso toccano i seguenti temi:
modernizzazione delle abitazioni, strutture sociospaziali a
Berlino, mutamento socioeconomico nelle grandi città in
Germania e formazione di una “nuova underclass urbana”,
privatizzazione del parco abitativo nei nuovi Bundesländer e
nell’Europa orientale, influsso del principio di “riparazione
dei danni” nello sviluppo urbano, pluralismo degli stili di
vita nelle monostrutture costruttive.
12
Kirchberg,V., A Göschel, Kultur in der Stadt, Opladen,
Leske+Budrich 1998.
20
La didattica di base (Grundstudium) offre un corso generale
sulla disciplina, uno sui classici della sociologia urbana, uno
dedicato alla “Città divisa: segregazione e polarizzazione
sociale a Berlino”, un Proseminar dedicato a “Città, potere ed
infeltrimento dei rapporti sociali”.
Il docente titolare di cattedra è Hartmut Häusermann che,
con W. Siebel, ha pubblicato il testo Neue Urbanität, Frankfurt,
Surkamp 1987
(Indirizzo: http://www2.rz.huberlin.de/inside/stadtsoz/citylehr.htlm).
Al Wissenschaftszentrum di Berlino è attivo un gruppo di
ricerca denominato Metropolenforschung del quale è direttore
Bernward Joerges. Oggetto: studiare in che modo la grande
città può essere organizzata.
(Indirizzo: http://www.wz-berlin.de/tau/met/met.htm).
Particolarmente
fornito
di
documentazione
è
il
Forschungsstelle Vergleichende Stadtforschung (Centro di ricerca
urbana comparata) di Amburgo.
Il sito in Internet:
(http://sozialwiss.uni-hamburg.de/Isoz/Fvs/homepage.htm),
contiene:
„ gli indirizzi dei collaboratori,
i campi di ricerca (dal 1990):
il caso Amburgo, comparazione urbana, segregazione
residenziale, Gentrification, povertà urbana, disuguaglianze e
stili di vita, persistenza dello sviluppo, pianificazione dello
sviluppo urbano, innovazione urbana, risanamenti, statuto
per la conservazione, economia e politica dell’abitazione,
globalizzazione, lo Stato locale, lo spazio, ambiti futuri di
ricerca; bibliografia. Vedi:
(http://sozialwiss.uni-hamburg.de/Isoz/Fvs/liter.htm),
i rapporti conclusivi delle ricerche
„ i partners universitari e di ricerca.
21
Il titolare della cattedra e direttore del Centro è il Prof. Dr.
Jens S. Dangschat e sua è anche la maggior parte delle
pubblicazioni riportate.
Presso l’Università di Bamberg, All’interno del
Diplomstudiengang
Soziologie,
la
“Stadtund
Regionalsoziologie” è una sociologia “specifica, e pertanto
non una cattedra. Le attività didattiche hanno i seguenti
contenuti:
„ Nozioni fondamentali: sviluppo storico della disciplina;
concetti di base; teorie scientifiche sullo sviluppo della
città; sviluppo delle forme di insediamento e
dell’urbanizzazione
alla
luce
di
un
raffronto
internazionale.
„ temi specifici:
- metodi e modelli per l’analisi delle strutture socio spaziali
(ecologia fattoriale, analisi dello spazio sociale, modelli di
sviluppo urbano);
- dimensione empirica delle strutture e dei processi socio
spaziali
(concentrazione,
segregazione,
successione,
dispersione ecc.);
- mobilità spaziale (mobilità residenziale e traffico): forme e
dimensione, effetti, teorie della mobilità;
- modello dei contatti e relazioni di vicinato nelle comunità e
nella città;
- problemi sociali urbani / struttura urbana e problemi
connessi;
- sociologia dell’abitare.
Il riferimento in Internet: http//www.uni-bamberg.de/∼
ba6sfr/lehre/reg.html
Citiamo due siti presso i quali si possono trovare due temi
trattati in forma interessante:
1. Car - Free Cities
22
(http://www.mokum.com/city/ind_bo.htm)
Il titolo dice da solo quale sia l’oggetto ed il taglio. Diamo
solamente l’indice dei paragrafi:
„ Il problema - La soluzione - obiettivi del disegno standards - trasporto rapido - stazioni di corona - corona
di verde - trasporto commerciale - muoversi senza
macchina ecc.
„ Avvertenza. Le bellissime immagini di Venezia rendono
lentissimo il lavoro in Internet.
Urban Control The Ecology of Fear
by Mike Davis
(file://C:\Bladerunner\
Indice: Beyond Blade Runner - Scanscape - Free Fire Zone The Half/Moon of Repression - The Neighbors are watching
- Minicitadels and Gerocrats - Parallel Universes Holliwood(s) - The Toxic Rim - Before we wake Bibliography.
Sociologia rurale - Granada Anno a. 1997-98.
Riportiamo qui gli elementi essenziali del programma di
Sociologia rurale dell’insegnamento tenuto alla Facultad de
Ciencias Politicas y Sociologia de la Universidad de Granada
tenuto dal prof. Francisco Entrena Duran (programma
ottenuto via Fax (05/1095).
Preliminari: oggetto e collegamento con la sociologia urbana.
Prima Unità tematica: concetti ed orientamenti teorici della
sociologia rurale istituzionale e negli studi agricoli (dalla
legge di Purnell allo sviluppo della disciplina negli USA Sorokin, Zimmermann, Galpin); La Path Analysis ed altre
tecniche multivariate di ricerca - Comunità rurali ed urbane ambiente rurale ed urbano tradizionale e scomparsa del
contrasto fra i due ambiti - protoautori nello studio del
rurale: Marx, Lenin, Kautsky, il populismo di Chayanv Autori più recenti; antropologi: Redfield e Wolf; i neomarxisti
23
Galeski e Shanin (la ruralità come fattore politico). Altre
prospettive marxiste: Cavailhes, Servolin, Lebossé.
La ruralità economica, familiare, culturale, comunità, la
mentalità, modo di produzione.
Seconda Unità tematica: incursione nelle società socialiste. La
sociologia rurale negli stati del socialismo reale.
Terza Unità tematica. Istituzioni, struttura e mutamento
sociale nell’ambiente rurale. Concetti sociologici per l’analisi.
Fattori che determinano la struttura rurale. Le strutture di
classe nella società agraria tradizionale. I rapporti di lavoro in
agricoltura. La famiglia rurale e l’agricoltura familiare. Effetti
del mutamento sociale nell’ambito rurale. Modernizzazione
dell’agricoltura e della società rurale. Agricoltura, società
rurale ed inserimento nel sistema socio economico mondiale.
La politica agraria e l’intervento dello stato nell’agricoltura.
Sviluppo in ambito rurale.
Quarta Unità tematica. Organizzazioni e movimenti sociali
agrari. La mobilitazione contadina agli inizi dello stato
liberale capitalistico. Carte ed orientamento dei movimenti
sociali agrari.
Quinta Unità tematica. Il pensiero sociale agrario in Spagna.
Sesta Unità tematica. Movimenti sociali ed organizzazioni di
azione collettiva nell’ambito agrario spagnolo.
Settima Unità tematica. Istituzioni, struttura e mutamento
sociale nell’ambito agrario spagnolo.
Ottava Unità tematica. Stato ed agricoltura in Spagna.
Da Internet. Su Rural Sociology
Riportiamo qui alcuni elementi informativi su Rural
Sociology.
Http://sosig.uk
Rural Sociological Society
Description:
The objective of the Rural Sociological Society is to
promote the study of rural life through research, extension
24
and education; for the purpose of confronting problems,
answering questions, increasing opportunities and thereby,
improving the quality of life in rural areas. The Web site
gives information about meetings, membership matters and
publications of the Society. Publications include the printbased journals The Rural Sociologist and Rural Society; of the
latter there are some contents pages and abstracts. Keywords:
rural sociology, USA Alternative Title: RSS Available from:
http://www.lapop.lsu.edu/rss/
International Rural Sociology Association
Description:
Formed in 1964, IRSA, is an international consortium of
regional and continental societies in rural sociology. The
object of IRSA is to foster the development of the science of
sociology, to further the application of social research to the
improvement of the quality of life for rural populations, and
to promote the subject-matter of rural sociology as a topic of
instruction. IRSA sponsors a World Congress every four
years whereby rural social scientists can generate dialogue
and useful exchange. The Web page gives details of the
current World Congress, along with information about the
Association itself. Keywords: rural sociology, international
Alternative Title: Available from:
http://www.ag.auburn.edu/irsa/#intro
European Society for Rural Sociology
Description:
No formal description of the Society's activities is available
on the Web page, but an idea of its wide ranging interests can
be gained by an inspection of its online newsletter European
Rural Sociology News - ERS-News - which is accessible on
the page. There is also membership information along with
announcements about future meetings. Keywords: rural
sociology, Europe Alternative Title: Société Européenne de
Sociologie Rurale Europäische Gesellschaft für Land- und
Agrarsoziologie Available from:
http://cc.joensuu.fi/~alma/esrs/index.htm
25
RURSOC-L mailing list
Description:
The RURSOC-L (Rural Sociology) mailing list covers various
aspects of rural sociology, i.e. sociology that explicitly does
not cover urban areas. Frequent topics include the
disenfranchisement of people due to isolation, the effects of
IT in minimising this isolation and the effects of legislation on
rural communities. To join this list, email: subscribe
RURSOC-L firstname lastname, to: [email protected].
Keywords: rural sociology, social isolation, legislation,
information technology Alternative Title: Rural Sociology
Available from: mailto: [email protected]
Reaper mailing list archive
Description:
Reaper is a new European network of rural social science
researchers and practitioners, working up a database of rural
social science research in 16 participating countries. The aim
is to make this database more widely available. It is hoped
that others will add information on research activities.
Keywords: social science, rural, research, development
studies, Alternative Title: Available from:
http://www.mailbase.ac.uk/lists-p-t/reaper
La Construction de l'Anthropologie Québécoise:
Mélanges Offerts à Marc-Adélard Tremblay
Description:
This is an elecrtonic, full-text version of the Festschrift
offered to Marc-Adélard Tremblay on the occasion of the 25th
anniversary of the foundation of the Department of
Anthropoloigy at Laval University. The work has five
sections: the first is devoted to the life and works of
Tremblay, the second conatins articles on the anthropology of
health, the third covers methodology and applied studies, the
fourth, ethnicity and the final section rural communities and
social change. The bias of the collection is towards Canadian
studies but other parts of the world are also covered in
particular essays. The book closes with short biographical
26
notes on the contributors. Keywords: Canada, social
anthropology, health, rural communities, social change,
methodology Alternative Title: Available from:
http://www.bibl.ulaval.ca/doelec/pul/tremblay.html
Centre for Rural Social Research
Description:
Based in the Charles Sturt University the Centre for Rural
Social Research's homepage provides access to web resources
on rural social issues, rural change, rural community
development and allied topics. Details are also given of: rural
conferences and workshops (worldwide); current Centre
research activities and how to order Centre publications. You
can also read articles from 'Rural Society' - the Australian
journals of rural social issues. Keywords: Social sciences,
rural development, social development, economics,
sociology, social research, rural change, rural community
development, rural media, small town development, rural
policy, rural gender issues, agricultural restructuring,
heritage, tourism Alternative Title: Available from:
http://www.csu.edu.au/research/crsr/centre.htm
BLDS Bibliographic Database
Description:
Searchable web version of the library catalogue and
journal articles database of the British Library for
Development Studies (BLDS) at the Institute of Development
Studies. The database contains records of over 116,000
documents held by the library and includes all serial titles,
monographs acquired since 1987 and journal articles
selectively indexed since 1990. The collection comprises
literature, in English and other European languages, relating
to economic and social development, both rural and urban.
Specific areas of interest include: health, education,
communication,
industrial
development,
debt
and
adjustment, population studies, gender and development, the
environment, participatory appraisal, human rights, good
government and democratization. Amongst the types of
material represented are commercial, institutional and
government publications (including national and sectoral
27
plans) from developing countries, together with a selection of
periodicals and non-published material from these regions.
The BLDS is a depository library of the United Nations, the
South Pacific Commission and the General Agreement on
Tariffs and Trade. In addition, it collects material from those
institutes, NGO's and commercial publishers of developed
countries, that publish on issues relating to developing
regions or development theory. Keywords: geography,
economic and social development, developing countries,
sustainable development, libraries Alternative Title:
Available from:
http://www.ids.ac.uk/bldsdb/
Bulgarian Society for Regional Cultural Studies
Description:
The Bulgarian Society for Regional Cultural Studies was
founded shortly after the democratic changes of November
1989. The Society was founded by faculty members of the
Universities of Sofia and Varna, predominantly linguists,
social scientists,psychologists and psychiatrists, interested in
contributing to the peaceful management and resolution of
Balkan ethnic inter- and intracultural problems. Against this
background the following topics have been pursued during
the last eight years: name changes; nation-state and minority
discourse; rural minorities in the process of transition
(Pomaks, Turks, Roma, Sami (NW Russia); minority women's
studies; minority substance-abuse and dependent behaviour;
environmental problems. The Society's web page has a brief
overview of its history, an outline of its main areas of
research activity, and an announcements section giving
details of forthcoming field trips. There is also a bibliography
of some 50 items relating to the research interests of the
Society published from 1991 to 1997. Keywords: Bulgaria,
minorities, Islam, naming, women, Pomaks, Turks, Roma,
Sami Alternative Title: Available from:
http://www.cit.bg/home/bsrcs/index.htm
Institute of Social Studies (ISS)
Description:
28
The Institute of Social Studies (ISS) is an international
graduate school of social science teaching, research and
advisory work in the field of development studies. Contains
details about activities, research areas, publications and
teaching programme. Also provides links to other sites
related to development studies. Keywords: development
studies, social studies, industrialisation, urban employment,
labour relations, rural developmen, women, gender,
economics, public policy, world accounting matrix,
postgraduate studies Alternative Title: ISS Available from:
http://www.iss.nl/
Development Studies in Britain: a select course guide
Description:
The first edition of Development Studies in Britain - A
Select Course Guide was produced for 1985 - 1987 as a
register of the courses of these institutions of common
purpose. Standard entries include contact details, emphasis
of research and teaching, approach to teaching, operational
areas, student provision, courses available and details of
staff. Twenty institutions are represented in the guide. The
guide is also available as a published document. Keywords:
development studies, developing area studies, rural
development, Alternative Title: Available from:
http://www.ids.ac.uk/courses/cou_inst.html
Ethnobiological Classification Systems of the Tzeltal
Indians by Kristin Lockhart
Description:
This paper is a contribution to the Center for Indigenous
Knowledge for Agriculture and Rural Development
(CIKARD) project "Indigenous Knowledge and Education".
Using the Tzeltal Indians of Mexico as a case study, it
addresses the following learning objectives for universitylevel students: 1) to understand the concept of ethnobiology
and its subdivisions, ethnobotany and ethnozoology. 2) to be
able to compare and contrast ethnobiological classification
systems with scientific biological classification systems. 3) to
understand the ideas of induction and deduction and the part
these processes play in both classification systems. 4) to
29
understand the ethnobiological classification systems of the
Tzeltal Indians. Keywords: Tzeltal Indians, Mexico,
classification, ethnobotany, ethnozoology, ethnobiology
Alternative Title: Available from:
http://www.physics.iastate.edu/cikard/iked5.html
DATAHOUSE
Description:
DATAHOUSE comprises a stand-alone PC application
and a set of data, both of which may be downloaded from
this Web site. The database contains "comprehensive city and
national (urban/rural) statistics on human settlements." The
database is produced by the United Nations Centre for
Human Settlements (Habitat), Settlement Planning and
Policies Section. The database contains data from population
and housing censuses of the most recent "1990 Round of
Population and Housing Censuses", collected through the
Human Settlements Statistics Questionnaire 1992 (HSSQ/92),
launched by United Nations Statistics Division (UNSD). The
data includes information on population, housing, crime,
infrastructure and services, and land use in urban areas.
DATAHOUSE runs under DOS on an IBM-compatible 386
PC with at least 4MB of RAM and 5MB of free hard disk
space (SVGA-monitor and mouse are recommended).
Keywords: demographic data, urban population, housing,
urban areas, local community services, land use, census data
30
Attuali ambiti di ricerca in sociologia urbana
Il primo ambito è quello degli approcci teorici e
metodologici.
L'ecologia sociale, di cui sono rappresentanti Bidwell e
Kasarda (1985), con un accentuazione dell'aspetto proprio
alla sociologia dell'organizzazione, trovano in Hawley (1986)
una formulazione teoretica rigorosa e castigata13. A questa
teoria si connettono gli studi sui grandi afflussi, sulle
sostituzioni
di
popolazione,
sulla
concentrazione
demografica, il risanamento, tutte operazioni che hanno come
oggetto di studio il mutamento che avviene nei quartieri
residenziali e che dovrebbero trovare una spiegazione in un
modello che ha nella sostituzione della popolazione il
proprio fattore determinante.
Il problema che preoccupa Friedrichs è la possibilità da
parte delle teorie aggregate o delle macroteorie di dare una
interpretazione dei fenomeni macrosociali.
Il problema è, in realtà, quello di stabilire un raccordo fra
livello macro- e microsociologico. Si tratta certamente,
innanzitutto, di un problema teoretico che andrebbe risolto
con un dibattito ed una proposta operazionale con adeguato
fondamento epistemologico in sociologia.
Un secondo ambito di ricerca è quello che si occupa delle
conseguenze economico-spaziali del mutamento strutturale
economico. Il mutamento delle città ad alto sviluppo
industriale è legato al tasso di produzione di beni e di
informazioni, alla loro potenzialità economica, alla
disponibilità di forza lavoro, come pure alla struttura dei ceti
produttivi, alla quota di disoccupati.
Il problema analitico che si pone a livello di dati aggregati
riguarda, in modo differenziato:
- il decrescere o lo sviluppo del fenomeno urbano, legato
a tali fenomeni;
13Jiri Musil, «Der Status der Sozialökologie», in KZSS, 29/88 cit. pp. 18-34.
31
- le differenziazioni regionali (spesso racchiuse nel
paradigma «Nord-Sud»;
- i crescenti e violenti problemi fiscali e finanziari delle
città;
- disoccupazione e interventi economico-sociali, legati agli
effetti finanziari e sociali per le città;
- la nascita di una urban underclass, come ad es. i
disoccupati, gli assistiti dal servizio sociale, le ragazze madri,
i profughi, come pure
- l'insorgere di un nuovo fenomeno di senza tetto in molti
paesi (Friedrichs 1988)14.
Il fenomeno della agglomerazione, che abbiamo visto
nella sua dimensione storica, viene affrontato, sempre
nell'opera citata, da P. Gatzweiler e da W. Strubelt15.
Nuove tecnologie e mutamento urbano
Il mutamento economico delle città si collega anche alle
nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione.
La microelettronica ha introdotto consistenti novità nei
processi organizzativi e del lavoro. La città stabilisce un
legame molto stretto con le imprese presenti sul suo
territorio (Markusen 1985). Si tratta di un tema, quello dello
sviluppo urbano legato alle nuove tecnologie ed al loro
influsso sullo sviluppo urbano, cui si dedicano anche altri
autori, fra i quali S.J. Appold e J. Kasarda16, prendendo in
considerazione l'influsso delle nuove tecnologie sulla
localizzazione delle imprese e della residenza. Interessante è
pure la lettura fatta da D. Henkel e B. Grabow17 secondo la
quale tali tecnologie introducono una maggiore flessibilità
dell'orario di lavoro e delle modalità con cui le forze
14 Vedi gli articoli di Häusermann H., Siebel W., Naroska H.-J. nel
quaderno della KZSS citato.
15 Ibidem.
16 KZSS, quad cit., «Agglomeration unter den Bedingungen
fortgeschrittener Technologien», pp. 132-149.
17 Ibidem, «Technick und neue Zeitordnungen: Folgen für die Städte»,
quad cit., pp.150-170.
32
lavorative utilizzano la città, flessibilità legata anche al
mutamento infrastrutturale.
In quale misura si deve applicare qui l'ipotesi di Ogburn
circa l'influsso della cultura materiale su quella spirituale e,
non da ultimo, quella circa la natura del rapporto fra
mutamento della cultura tecnologica e la dimensione spaziale
della vita sociale?
Mutamenti nella organizzazione spaziale urbana
Sono collegati a questo processo molti elementi e rilevanti
mutamenti delle aree urbane. Tali mutamenti tenderanno ad
accentuarsi man mano che la differenziazione economica ed
anche una crescente polarizzazione dei redditi e delle
opportunità tenderà ad accentuarsi.
Il mutamento assumerà le caratteristiche che le zone
urbane espliciteranno.
Cerchiamo di tracciare una tipologia:
- I centro-città sono sempre più in competizione con i
centri di quartiere e sono, allo stesso tempo, un simbolo del
declino o della rivitalizzazione della città18;
- Le vecchie zone costruite e limitrofe al centro città
mutano in seguito al sopraggiungere di gruppi appartenenti
a strati sociali superiori sia per composizione sociale sia per
struttura: un incremento qualitativo che viene definito con il
termine «Gentrification». Si tratta, secondo la definizione di
N. Smith e P. Williams, di una «riabilitazione delle abitazioni
operaie e degradate e la conseguente trasformazione di
queste in un'area tipica di un vicinato della classe media»19;
- Nelle aree di nuova residenza degli anni 60 e 70, i
problemi maggiori sono rappresentati dalle abitazioni non
occupate, dall'aumento del fenomeno di problemi legati ai
gruppi ed ai danneggiamenti agli edifici. Il problema si
acutizza rendendo non più vincolante l'occupazione di una
parte delle abitazioni. In tal modo vengono garantiti gli
18
Vedi, nel volume citato della KZSS, il saggio di V. Kirchber e O.
Behn, «Zur Bedeutung der Aktraktivität der City. Ein nutzen- und
wahrnehmungstheoretischer Ansatz», pp. 357-380.
19 N. Smith e P. Williams (edtrs),Gentrification of the City, Boston
1986, p. 1. Vedi il saggio di Von Jens S. Dangschat, «Der Wandel
innenstadtnaher Wohnviertel» in KZSSS 29, 1988, pp.272-292.
33
affittuari che non hanno problemi, ma si costringono, allo
stesso tempo, divenendo non più calmierati gli affitti, i ceti
più deboli a rifugiarsi in altri quartieri della città.
Oltre a questi problemi ve ne sono altri che arricchiscono
la dinamica socio-spaziale della città e che non sono sempre
direttamente collegati con i precedenti:
- Si tratta dei fenomeni della maggiore richiesta di servizi
e rappresentazioni culturali conseguenti all'aumento del
reddito ed al crescere del doppio reddito familiare. E' per
questo che gli amministratori comunali attribuiscono una
crescente importanza alla cultura per l'economia urbana,
legata alla domanda interna ed anche a quella turistica20. Gli
elementi storici e quelli più recenti del connubio città-cultura
rappresentano uno degli aspetti più caratterizzanti delle
forme assunte dall'insediamento umano e dal fenomeno
urbano in particolare.
- Il problema della confrontabilità dei dati concernenti lo
sviluppo delle macro teorie urbane è oggetto di un articolato
e non agevole processo di riformulazione. E' nostra opinione,
come abbiamo già detto, che tale problema debba essere
meglio approfondito sul piano epistemologico e
metodologico in sociologia, stabilendo una connessione fra
idealtipologia e modelli ed indicatori di carattere statisticomatematico. Le osservazioni introdotte da J. Friedrichs
all'inizio di questo capitolo ci trovano parzialmente
consenzienti. A restare aperto è, comunque, il problema del
criterio utilizzato per rendere significativi i dati, le
correlazioni, le regressioni e la metodologia dell'analisi
causale21. In proposito, va approfondita la proposta fatta da
Friedrichs di stabilire una migliore verifica del rapporto fra
costrutti ed indicatori. Certamente la disponibilità di migliori
strumenti di misurazione può apportare indubbi vantaggi,
20
Schäfers B.,«Sdadt und Kultur», KZSS, Soderheft cit. 95-110.
K.-H. Simon, «Probleme vergleichender Stadtforschung», KZSS
29/1988, pp.381-409.
21
34
specie nel discernere fra l’uso della ricerca empirica
cumulativa o comparativa22.
Un interrogativo rimane, a nostro avviso, aperto. La
ricerca cumulativa o comparativa non potrebbero forse trarre
un indubbio migliore vantaggio qualora si parta dall'ipotesi
che la realtà urbana possa essere letta secondo un senso
conferito alla realtà culturale - spaziale di cui essa è
costituita? I due tipi di ricerca dovrebbero comunque fare
riferimento al quadro culturale complessivo ed ai nessi di
senso che esistono e si manifestano nelle azioni degli
individui che compongono questa realtà culturale poi dalla
concretazione strutturale che tale senso assume. Gli apporti
delle ricerche permetterebbero allora di comprendere il senso
strutturale costruito nello spazio urbano?
Le tipologie della città che dal paleolitico sino agli anni '60
ha tracciato L. Mumford sono indubbiamente sguarniti di
un'analisi quantitativa, di indicatori e di comparazioni
quantitative raffinate. Ci sembra, tuttavia, che fra le due
metodologie si sia creato un divario insopportabile.
La città odierna non sembra, secondo le strumentazioni
quantitative, più riconducibile ad una matrice di senso che
permetta di esprimere una valutazione sulla possibilità di un
suo governo culturale e sociale da parte dei cittadini. La
tipologia paleolitica - ellenica contrapposta a quella
ellenistica e paleotecnica - industriale sono emblematiche per
evidenziare questo disagio macro - teorico in sociologia.
La città neo - industriale ha indubbiamente abbattuto la
cinta muraria, quella materiale e fors’anche quella
psicologico - culturale. Essa non ha, peraltro, rinunciato ad
essere una città che ha costruito la città - mondo. La sua
capacità polarizzatrice, come offerta di lavoro, culturale, di
spettacoli e di fascino, sembra essere strumentale, come lo è
stata nel periodo antico. Questa città possiede indubbiamente
un’attrazione fatale prodotta dalla fantasmagorica ed
irresistibile concentrazione dei poteri. Essa intende sostituire
con il panem et circenses la dimensione democratica della città.
Stadio, spettacoli di massa (pubblici ed attraverso i media),
22
J. Blasius, «Indizes der Segregation», KZSS cit pp.410-431.
35
potere legislativo, amministrativo e giudiziario, sedi della
conoscenza e della ricerca scientifica, della religione e
dell’etica, palazzi della politica, dell’economia, della
tecnologia, della cultura, produzione e distribuzione dei beni,
occupazione, assistenza ed ammortizzatori sociali, tendono a
fare del meccanismo urbano una macchina, un articolato
manufatto, una concentrazione di simboli che solo
apparentemente si sforza ogni giorno di rinnovare il miracolo
democratico della coralità, della tragedia e del dramma di
Atene. In realtà, la città viene accettata come un insieme di
poteri sostanzialmente non legittimi ma apparentemente
graditi.
E' bene che ripercorriamo, nella visione del passato e nella
ipotetica fattispecie del presente, questo miracolo di
democrazia culturale.
Questa lettura di ricordo quasi mitico (ed al contrario
reale) di una democrazia nata dall'evoluzione della socialità
della comunicazione culturale - politica della civiltà ateniese,
deve condurci ad analizzare in modo impietoso ed insieme
forse
provocatorio
e
creativo
la
miseria
della
ipercomunicazione
della
cultura
contemporanea
e
specificamente della realtà urbana neo industriale.
E dobbiamo farlo per comprendere, sfuggendo alla
labirintica ed «irreführende Interpretation der modernen
Soziologie» (alla fuorviante interpretazione quantitativistica
della sociologia contemporanea), quale trappola, la città
economica, populista, mass-medianica e pallonara, stia
tendendo, in maniera di fatto volgare alla cultura politicosociale del nostro tempo.
36
37
38
39
Il centro di Roma
40
41
Pianta di Mégara Ibléa. Verso l’agorà trapezoidale convergono due
gruppi di strade orientati da sud a nord. All’angolo nord-ovest dell’agorà è
un edificio bipartito, l’heroon del fondatore della città. L’ubicazione di esso
e degli altri edifici sacri dell’ agorà ha evidentemente condizionato gli
ulteriori interventi nell’impianto urbano, sia prima del 483 a.C. (anno in cui
la città fu distrutta da Gelone di Siracusa), sia dopo la restaurazione
timoleontea (circa 340 a.C.).
Mégara Ibléa, sulla costa orientale della Sicilia. Fotografia aerea.
42
Pianta della città di Mileto, ricostruite dopo le guerre persiane nel V
secolo a.C. secondo i piani di Ippodamo da Mileto
43
Pianta della città alta di Pergamo (metà del III–metà del II
sec. a.C.)
44
45
La storia della città: dall'origine
dell'insediamento ad oggi
Premessa
Il linguaggio evocativo, classico ed efficace di L.
Mumford, nella Prefazione al suo celebre testo La città nella
storia, esprime un assunto assai efficace e certamente ancora
valido per lo studio della città. Non si badi allo stile
leggermente enfatico dell’esposizione. A contare è il quadro
generale, la capacità di prospettarci una vera e propria
epopea dell’uomo che forgia lo spazio e che da esso viene
condizionato. Un intreccio dal quale trarre fondamentali
elementi di lettura sociologica del passato e del presente della
città.
«Questo libro si apre con una città che era,
simbolicamente, un mondo, e si conclude con un mondo che
è diventato, per molti aspetti pratici, una città».23
Con qualche accento illuministico («confido d'aver
dimostrato che essa potrà assumere in avvenire
un'importanza ancora maggiore di quella che ha avuto in
passato, una volta eliminati i difetti...)24 la lettura storica fatta
da questo studioso conserva la sua ineludibile validità.
Non vi è il tempo per fare con lui il lunghissimo percorso
storico della città, ma è opportuno che, sulla base del suo
grandioso affresco, ripercorriamo alcuni momenti di questa
lettura. E ciò per capire quanto esso sia complesso ed insieme
unitario. Si tratta di un lungo cammino di sedimentazione,
un cammino non sempre evolutivo, un intreccio che ha
caratterizzato il fenomeno urbano nella storia dell'umanità.
Una storia tanto ricca ed in parte non più ricostruibile perché
distrutta.
E’ di questo significativo capitolo della storia della cultura
che intendiamo dare qui alcuni elementi di sintesi.
23
Mumford L., La città nella storia, Milano, Edizioni di Comunità
1963, p.9.
24 Ibidem.
Prime forme di insediamento
Il rapporto dell’uomo con lo spazio, le modalità della
sopravvivenza, della vita quotidiana, dell’insediamento e
dell’uso del suolo, della natura nel suo insieme rappresenta
uno dei temi principali dell’antropologia culturale e della
sociologia.
Se vogliamo riassumere alcuni momenti storici di questo
processo potremmo indicarli come di seguito.
Le forme dell'insediamento umano vanno oltre l'orizzonte
storico: dalle forme di conquista e trasformazione dello
spazio già realizzata da parte degli animali: castori, api,
branchi. In questo processo si inserisce l'uomo che dà origine
alla cultura.
Dal paleolitico alla polis
In questa lunghissima esperienza condotta dall’uomo nel
rapporto con la natura inizialmente ostile sono presenti
interessi, angosce, ricerca di un rifugio materiale e prima
ancora psicologico-spirituale. Fanno parte di questa
dimensione
psicologico
spirituale,
quale
rilevante
dimensione socio-culturale ad esempio, la difesa della
famiglia, il rispetto per i morti di cui diviene espressione
spaziale simbolica la necropoli. I santuari paleolitici giocano
infatti un ruolo importante, anzi fondamentale nella
configurazione culturale dello spazio. Si tratta di un elemento
centrale nella società e nella cultura di ogni tempo.
Gli archeologi e gli specialisti delle culture primitive
mettono in rilievo come “l’uomo si sedentarizzò, ossia si stabilì
in determinate località abbandonando progressivamente i
regolari spostamenti imposti dalla sua precedente condizione
di cacciatore - raccoglitore”25. E’ nel Vicino Oriente, a partire
dal IX millennio prima della nostra era che avviene questa
pacifica rivoluzione che ricomprende: la stanzialità legata alla
graduale coltivazione dei cereali selvatici, al dissodamento
25
Guilaine, J.,Settis, S., Storia d’Europa, vol. 2, Preistoria e
antichità, Torino, G. Einaudi Editore 1994, pp. 145. Bagolini, B.,
Introduzione al Neolitico dell’Italia settentrionale, Pordenone 1980.
47
della terra, alla semina, al raccolto, all’immagazzinamento26. I
villaggi nascono intorno a questo nuovo ciclo colturale. Si
evolvono anche l’arte della casa, della difesa dei villaggi,
delle suppellettili, dei materiali utilizzati, le modalità delle
sepolture. Dai reperti archeologici si cerca di risalire anche
alle modalità che assume la stratificazione e la gerarchia
sociale
Le prime forme dello stanziamento hanno sempre a che
fare con cose sacre, segno evidente della connotazione dello
spazio stesso come espressione culturale.
Con il mesolitico, abbiamo le prime forme di
disboscamento a fine agricolo; è il periodo che registra i
fenomeni dell'addomesticamento degli animali e che evolve la
centrale realtà del villaggio. Colture, conservazione del cibo,
concimazione, fertilità (connessa con la nascita e la pratica dei
riti della fertilità), la disponibilità diretta dei beni che passano
sotto il dominio dell'uomo, tutto ciò esercita un decisivo
influsso sulla vita relazionale, sulla organizzazione sociale, in
quanto per realizzare certe opere occorrono braccia e
concentrazione
di
risorse
alimentari;
anche
la
26
Probst, E., “Die Jungsteinzeit (Neolitikum). Die ersten
Ackerbauern, Viehzüchter und Töpfer”, in: Deutschland in der Steinzeit,
Jäger, Fischer und Bauern zwischen Nordküste und Alpenraum, München,
C. Bertelsmann 1991, pp.226-245. Vedi anche: “Der Opferaltar von
Herrnbaumgarten. Die Linienbandkeramischekultur”, Ibidem, pp. 417-422.
Höhneisen, M., “Die Ausbreitung frühester bäuerlicher Kultur in Europa”,
in: Schweizerisches Landesmuseum, Die ersten Bauern, pp. 14-26.
Bagolini, B., “Gli ambienti umidi e gli insediamenti dei primi agricoltori allevatori nell’Italia settentrionale (V - III millennio avanti Cristo), in:
Natura Alpina, XXIV - 1983, 4, pp. 1-14. Ed anche: Emilia - Romagna, in:
Preistoria e protostoria Guide archeologiche, 3, XIII Congresso
Internazionale delle scienze preistoriche e protostoriche, Forlì Italia 1996.
Biagi, P., “The Neolitic settlement structures of Northern Italy”, in Modelli
insediativi - Settlment Patterns Tra Alpi e Mar Nero dal 5° al 2° millennio
A.C., Atti del Convegno di Verona - Lazise 1992, pp. 289-293, Memorie
del Museo Civico di Storia Naturale di Verona (Iia Serie). Sezione Scienze
dell’Uomo, 4, 1995. Guilaine, J., “Les structures de l’habitat dans le
Néolitique de la France mediterranéenne”, Ibidem, pp. 279-288.
48
differenziazione dei ruoli sessuali nella società assume una
valenza importante. Gli studiosi della preistoria sembrano
oggi più prudenti di fronte all’ipotesi che nella società
primitiva il ruolo della donna dedita all’agricoltura ed alla
casa avesse generato un diffuso matriarcato. Infatti, sepolture
e monili sembrano testimoniare anche di un potere maschile
riconosciuto ed indiscusso.
Tutto ciò abbisognò di una maturazione assai lunga. Lo
strutturarsi della vita sociale sembra andare di pari passo con
lo strutturarsi dell’universo simbolico-culturale.
Nasce dunque il villaggio che segna la trasformazione
della vita «cronicamente» nomade. Il passo compiuto con
questa forma di vita sociale è fondamentale. Si tratta di una
forma di vita tramandata sino ai nostri giorni, trasfusa sia
nella cultura del villaggio, sia nella commistione
comunitaria-societaria rappresentata dalla vita sociale
urbana,
Elementi della nuova cultura sono: ceramica, idraulica,
geotecnica. Le tecnologie, pur importanti, sembrano
assumere una connotazione prevalentemente strumentale
rispetto alla centralità della cultura spirituale, rappresentata
nelle visioni del mondo. 5000 anni a.C. compare, nel Vicino
Medio Oriente una vasta utilizzazione della ceramica. Questo
uso si accompagna ad un deciso abbandono dell’attività di
caccia e di raccolta di frutti spontanei per introdurre
l’agricoltura. La cura con cui queste società esprimono in
simboli la loro vita segna un passo decisivo nel caratterizzare
lo stanziamento.
Se si intende apprezzare la grande novità avvenuta in
questa fase, basti pensare che il passaggio dal villaggio alla
città sarà quasi insensibile.
La protocittà vede i cacciatori divenire stanziali. Secondo
L. Mumford, nella città si ha un Neolitico che riceve elementi
dal Paleolitico, si pensi all'occupazione del territorio ed al
rafforzamento del ruolo maschile su quello femminile.27
27
Ibidem, pp. 40-43.
49
La prima trasformazione urbana, a diversità di quella
attuale che esprime una esplosione di potere (tecnologia,
scienza, specializzazione del lavoro), è piuttosto una
implosione di potere. Ne sono emblema:
- la cinta muraria,
- la concentrazione della popolazione,
- la monarchia politica,
- il riferimento religioso,
- il dominio economico sul territorio circostante,
- il significato militare (viene introdotta la guerra come
istituzione stabile: ci si salva con il sacrificio umano su vasta
scala),
- la concentrazione del sapere,
- il saper resistere alle forze naturali,
- la nascita del centro dei commerci...)
L’origine della città avviene quando giunge a
compimento un lungo processo nel quale giocano più fattori.
Gordon Child ha sostenuto28 essere centrale, in questo
processo della nascita della città, il giungere a compimento
delle specializzazioni lavorative che darebbero origine alla
città nel Vicono Medio Oriente. Mentre la civiltà del villaggio
neolitico moltiplicò cellule simili ed autosufficienti, la nuova
civiltà, quella urbana, sostituisce, secondo questo autore,
cellule complementari e successive nella catena produttiva.
Ne sgorgherebbe la necessità del coordinamento e del
controllo. La coesione e l’integrazione sociale non può essere
ormai più assicurata prevalentemente dalla famiglia bensì da
un livello di organizzazione lavorativa che supera e si
differenzia da questo livello sociale.
Un simile modello interpretativo appare, in realtà,
riduttivo. I fattori che concorrono a formare la città sono sì
elementi di un processo organizzativo nel quale si rende
evidente ed efficace la specializzazione. Tuttavia, benché la
specializzazione lavorativa abbia avuto un ruolo incisivo,
non vanno sottovalutati altri analoghi processi di
specializzazione: quello sacrale, quello delle leadership
28
Child,G, “The Urban Revolution”, in Town Planning Review, XXI,
1950, pp. 3-17. Vedi anche: Liverani,M., L’origine delle città, Roma 1986.
50
politica, della leadership scientifica e tecnologica. Per
convincersi della eccessiva semplificazione della tesi di G.
Child, basti pensare a quanto velocemente raggiunse
un’assoluta autoreferenzialità il potere politico nelle città
mesopotamiche, riducendo la differenziazione lavorativa ed
organizzativa al rango di puro strumento di tale potere.
La città (seconda solo, per rilevanza, al linguaggio come
veicolo di trasmissione della cultura29) è anche un'entità
soggetta a smembramento; alle volte essa si rivitalizza
prendendo forze dal territorio rurale circostante. Questo
dominio sul territorio rappresenta una costante del fenomeno
urbano ed, al contempo, ne sancisce anche il fattore di
debolezza. La città, mentre sembra trarre vantaggio da questa
posizione dominante ed anche oppressiva, trova proprio in
questa sua incapacità ad essere reciproca, a stabilire uno
scambio equilibrato con il territorio aperto, con le comunità
rurali e comunque periferiche, l’origine della sua decadenza.
Ciò può richiedere, alle volte, anche lunghi periodi, tuttavia
giunge il momento in cui il potere narcisistico urbano si
avviluppa su se stesso e non sa ritrovare la fecondità
necessaria a perpetuare, nella reciprocità con il territorio e
con le comunità esterne, la propria stessa esistenza. Non fosse
altro perché la città, come affermò A. Toinbee, “è
l’insediamento umano gli abitanti del quale non sono in
grado di produrre, all’interno dei suoi confini, quella
quantità di alimenti che sono necessari per tenerli in vita”30
I quattromila anni di storia del fenomeno urbano a noi
noto sono poca cosa rispetto all'esperienza umana
complessiva che sembra estendersi ad un milione d’anni. Il
fenomeno del rapporto dell'uomo con lo spazio può
estendersi, tuttavia, documentatamente sino ad oggi, solo a
questo periodo.
Per quanto riguarda le prime esperienze urbane, si
trattava di città di cui conosciamo poco (i ruderi nascondono
29
Mumford 1964, p. 76.
Toynbee, A., Cities on the Move, London, NY, Toronto, Oxford
Univ. Press 1970, p.8.
30
51
molti misteri in quanto sono spesso difficilmente decifrabili e
ci nascondono le forme di vita sociale quotidiana, economica,
politica, familiare e religiosa).
Anche il significato della monumentalità rimane spesso
enigmatico. Comunque, elementi rilevanti in queste città
riscoperte appaiono: il fiume, la strada, il mercato. E, benché
il tempo abbia cancellato gran parte della struttura delle città,
da ciò che resta ancora risalta la forte personalità delle città
del passato, attraverso le vestigia che la storia riesce a far
parlare.
La città mesopotamica appare, ad esempio, come una
realtà in cui dominano re di spietata ferocia. Città che da
centro cerimoniale passano perciò a divenire centri di
controllo.
La città come tale realizza una dimensione antropologica
e sociale nuova nel senso che essa supera l'endogamia del
villaggio passando dall'involucro protetto, con forte
appartenenza, solidarietà e controllo sociale, al magnete
urbano capace di attrarre e dominare i territori e le aree
circostanti. Alla divisione del lavoro dei mestieri, la città
affianca la cultura della proprietà come bene che appartiene
al re; in questo senso essa è bene comune (non come furto,
secondo il detto di Proudhon).
La città è pure una continua alternanza di concentrazioni
e differenziazioni materiali e simboliche ed in questo senso
essa rappresenta la più ricca alternanza che la cultura umana
conosca. In questa realtà si avverano le maggiori tensioni mai
conosciute, proprio perché la città spezza la dimensione del
villaggio e costruisce e vive sulle tensioni che sono alla base
stessa della sua personalità, la competitività quando essa è
resa possibile, la solidarietà corporativa quando i mestieri
predominano, la sottomissione quando la città diviene realtà
irreggimentata, monumentale, sede principesca, regale o
imperiale.
La città mesopotamica
Per le conoscenze che abbiamo oggi, la città mesopotamica è
la prima forma di città, sorta nella metà del quarto millenio
a.C. nella parte meridionale della Mesopotamia, alla
52
confluenza del Tigri e dell’Eufrate. Qui avvenne quella che
chiamiamo oggi la “rivoluzione urbana”; un lungo processo
sorto dall’eccedenza della produzione agricola rispetto
all’esigenza alimentare, dalla introduzione della divisione del
lavoro (non più legate solo al sesso ed all’età), dalla
complessità organizzativa e professionale, da insediamenti
sempre più ampi. L’origine è data dalla costruzione di un
palatium, residenza del sovrano e delle attività produttive
diverse da quelle dell’agricoltura (commercio, lavorazione
dei metalli, amministrazione e culto). La città è abitata dai
servi del re, dai commercianti, artigiani, scribi e sacerdoti. La
città stabilisce, sin da subito, un rapporto di dominio sulla
campagna, ovvero sui villaggi, da cui la città trae
sostentamento.31 La prima urbanizzazione si ha nel periodo
di Uruk (bassa Mesopotamia, nel periodo compreso fra il
4000 ed il 3500 a.C., quindi nel periodo Elam (media
Mesopotamia), quindi sull’altopiano iranico, , nell’alta
Mesopotamia, nell’Anatolia e nella Siria - Palestina. L’Egitto,
sviluppa tuttavia forme urbane molto diverse da quelle
mesopotamiche.
31
Rossi, P. (a cura di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche,
Torino, Storica Einaudi 1987, pp. 53-54.
53
Mesopotamia. L’origine della città
L’immagine è ripresa da un bassorilievo ritrovato negli scavi di Nimrod.
Esso rappresenta lo schema di una città orientale di forma circolare. La
hierografia egizia rappresenta la città con un cerchio (le mura) tagliato in
quattro campi dalle strade a forma di croce. Le culture insediative
precedenti, quelle del vicino Oriente e quelle egiziane che le seguirono
esistevano da millenni quando sorsero le prime città in Europa. Solo una
cultura eurocentrica può dimenticarlo. La città si pone come lo
straordinario, la contrapposizione con la vita dei pastori, con la vita
nomade. La Gerico della Bibbia rappresenta questo contrasto. La città è
insieme realtà e mito; una realtà dalla quale il mito trae la propria origine.
(Bainoch, P., De Jéricho a Mexico. Villes et économie dans l’histoire, Paris 1985.
Bernal, M., Schwarze Athene. Die afroasiatischen Wurzeln der griechischen
Antike, München - Leipzig 1992.
54
Nel corso di tre millenni (3500 - 300 a.C.) avvengono profondi
mutamenti nella città del vicino Oriente, in sintesi, si può
affermare che si passa dalla città tempio alla città propria
dell’impero universale.
Gli studi sulla città del vicino Oriente mettono in rilievo il
fatto che questo fenomeno urbano sia un fenomeno vario,
legato ad una pluralità di fattori. Essi si possono così
riassumere: originalità regionale, diffusione alle volte
colonizzatrice delle forme urbane, influsso delle variabili
produttive, ecologiche, etnico linguistiche, per forma socio
politica.
In questo importante periodo storico della città, gli studi
hanno messo in rilievo l’intrecciarsi delle variabili
economiche, di servizio, politico amministrative, religiose e
sociali. Il rapporto fra le funzioni svolte dal palatium e dal
tempio sono, a questo proposito, emblematiche. In
Mesopotamia, Egitto e nell’area siro palestinese, queste
funzioni alle volte si distinguono ed alle volte si
sovrappongono, a dimostrazione del differenziarsi del
fenomeno urbano e dei diversi volti che esso assume in
periodi ed in aree regionali diverse fra loro32. La città è
comunque specializzazione delle funzioni e diversa a
seconda che essa svolga un ruolo regionale o sia città - stato.
Essa articolerà, allora, diversamente, la funzione
amministrativa, quella di mercato, quella ideologico politica e
quella religiosa. Il sistema gerarchico fra città imperiale e
centrale e città periferiche, utilizzate per gestire il territorio,
per drenare risorse e per mantenere una rete di potere
politico ed amministrativo che si pone al di sopra della
differenziazione etnico linguistica e regionale, rappresenta
una delle caratteristiche precipue di questo esteso e
millenario fenomeno urbano del vicino Oriente.
La differenziazione fra città e villaggi è netta come, del
resto, anche il necessario legame collegato con la funzione di
fornitura di beni economici che il villaggio fa pervenire alla
città. Quest’ultima possiede una dominanza non solo politica,
32
Liverani, M., “La città vicino orientale antica”, in Rossi, P. (a cura
di), Modelli di città, cit. pp. 62-65.
55
religiosa ed ideologica ma anche simbolica e culturale
indiscussa.
56
L’antico Egitto. La più importante cultura urbana della storia.
Questa ricostruzione archeologica appresenta i quartieri operai di Tell el
Amarna, affascinante rappresentazione di una pianificazione urbana razionale.
Città costruita durante la 18a dinastia, da Amenophe IV (seconda metà del 14° sec.
dopo Cristo, la città esprime il rinnovamento religioso, politico, sociale ed
artistico. Solo 900 anni più tardi, Ippodamo di Mileto svilupperà un modello
urbano analogo per la Grecia. La città doveva essere un’alternativa a Tebe, ma non
fu così. Città sulla riva occidentale del Nilo, no aveva mura; era invece circondata
da 14 stele. Doveva essere il frutto della sola volontà di potenza del Signore:
centro sono il palazzo, il tempio, il centro amministrativo, le case dei sacerdoti. Le
abitazioni dei lavoratori ne sono la periferia. La città realizza l’idea della città
ideale voluta da Amenophe il Faraone - Dio, ne è la materializzazione.
57
Babilonia. Storia e mito della nascita della città.
La tradizione giudaico cristiana considerò le città del vicino Oriente quali miti
negativi trasferendoli quindi alla cultura eurocentrica. Furono le città di una grande
civiltà ed, allo stesso tempo, anche sfruttatori del popolo ebraico. L’esempio più
tipico è Babilonia: la città della torre simbolo dellamegalomania umana, ma anche
la città dei giardini pensili, delle celbri mura e degli edifici unici al mondo. A
partire dal 3000 a.C., le città sumeriche rappresentano il mito e la realtà urbana. Il
mito viene fissato nelle sette meraviglie del mondo dell’età dell’oro, un mondo
scomparso. Alessandro il Grande, nel VI secolo a.C., sconfitto Ciro, pone mano
alla ricostruzione di Babilonia per farne la capitale dell’impero ellenistico. La
rappresentazione di Babilonia è presa dal volume di Johann Bernard Fischer von
Erlach, Entwurf einer historischen Architektur, Wien 1721. Si tratta di una storia
dell’architettura come storia della città come insieme di miti del passato; egli
sostiene la tesi che l’idea di città del tempo dell’autore si deve rifare ai miti del
passato. E’ come dire che la città ideale non va collocata solo nel passato: essa è
modello per le città di ogni epoca.
Kunoth, G., Die historische Architektur Fischer von Erlachs, Düsseldorf
1956. Playton, P.A., Price, M.J., The Seven Wonders of the Ancient World,
London-1988.
58
La Mesopotamia antica
59
Fig.1-Rappresentazione di una città, dipinta sul muro di un santuario a Katal
Huyuk, Anatolia (5900 a.C. circa)
Fig.2-Rappresentazione di una città, nel dipinto di Paul Klee, “Un foglio del libro
urbano”, 1928
60
Vedute di Persepoli
61
Planimetria di Tell-el-Amarna, la nuova capitale fondata da Amenhotep IV (circa
1370-1350 a.C.) e abbandonata dopo un breve periodo. Questa città ha potuto
essere scavata e studiata meglio delle altre in Egitto; i palazzi, i templi e le case
sono strettamente legati fra loro, e formano per noi un quadro più familiare.
62
Tell-el-Amarna. Particolari del quartiere centrale: pianta generale; pianta del
palazzo lungo la strada reale; veduta del ponte fra il palazzo e la casa del re; pianta
della casa del funzionario Nakht.
63
Tell-el-Amarna, particolari del quartiere centrale: pianta generale; pianta del
palazzo lungo la strada reale; veduta dal ponte fra il palazzo e la casa del re; pianta
della casa del funzionario Nakht.
64
Durante il lungo regno di Ramsete II (1290-1224 a. C.), nel periodo più splendido
della civiltà egizia (il cosiddetto Nuovo Regno), vennero costruiti monumenti
straordinari, destinati a durare millenni: tra questi il tempio di Amon a Luxor.
Nella foto, l’obelisco alto 25 metri (una copia si trova a Parigi in Place de la
Concorde) ai cui lati si trovano due colossali statue sedute del faraone.
65
La polis33
Nella nascita della città greca (o Polis) esercitano un
influsso il fattore militare e quello religioso; fattori che ne
fanno una realtà aristocratica nella quale le strutture di
parentela, a seguito dello sviluppo economico e sociale, viene
sostituita da ordinamenti gentilizi funzionali alla leva ed
all’organizzazione militare, come pure al riconoscimento dei
diritti civili e della cittadinanza.34 Le strutture gentilizie e le
fratrie formano le comunità, assicurano addestramento e
specializzazione militare, escludono, d’altro canto, le lotte
intestine assicurando il demos o comunità dalla perdita di
identità.
La città greca classica è il risultato di un processo in cui le
tendenze aristocratiche vengono frenate e sorge la koinonìa o
città “tutta quanta” costituita da tutti i cittadini, con le loro
differenze, con il loro numero e con le loro qualità. I diritti
sono inizialmente degli aristocratici, si identificano con
luoghi da costoro abitati e quindi si estendono ai cittadini in
generale attraverso un processo di diffusione peraltro non
continuo. Le città greche hanno un rapporto diverso con il
territorio circostante. Si tratta, comunque, di un rapporto che
è, in qualche misura, di reciprocità per cui viene assicurato
un certo equilibrio fra i due mondi; rapporto che diverrà di
dominio e di sfruttamento con la città ellenistica.
Le città egee sono isole, reali come Creta e Cnosso, isole
separate da gole profonde, da montagne e dal mare quelle
egee della terraferma. Mutano, da una polis all'altra, anche le
colture, e, come appare dal frammento ritrovato a Gurnia, nel
palazzo di Minosse (Creta), l'impianto urbano presenta una
complessità, un'articolazione di mestieri, abitazioni
pluripiano con finestre e vetri, impianti idraulici-sanitari,
insomma l'anticipazione del comfort urbano moderno.
33
Pugliese Carratelli, «Dalla polis all'urbs», in: Principii e forme
della città, Garzanti Scheiwiller, Milano 1993, pp. 3-46.
34 Lepore, E., “La città greca”, in Rossi, P. (a cura di), Modelli di
città, cit. pp.87-108.
66
La distribuzione delle polis nella Grecia classica.
67
Tipologia costruttiva per le città del futuro (dal V° al II°
secolo d.C.). La struttura della città greca è un insieme di elementi
costruttivi ognuno dei quali possiede una specifica funzione: agorà,
tempio, centri di incontro, bagni, ostelli, luoghi sacri, strutture di culto e
sportive collegati con le aree residenziali. Questi condensatori rivestono
una sicura rilevanza per la vita economica, sociale, politica e culturale e
sono centrale per ogni polis dell’intera Grecia.
L’illustrazione rappresenta le tipologie urbanistiche della Grecia;
tipologia di una città democratica fondata sulla schiavitù e proveniente
dalla tirannide. La Polis è il punto di riferimento di vaste aree economiche e
sociali agricole dalle quali trae sostentamento. Il modello si ripete nelle
colonie a Nord ed a Sud del mediterraneo.
68
Le Polis greche. Pianta e veduta del teatro di Epidauro, il
meglio conservato tra i teatri greci.
69
Le ricerche archeologiche rinviano al rapporto con le città
sumeriche, alla civiltà dell'Indo. Resta, comunque, la novità
minoica della finestra che dà luce all'abitazione con materiale
trasparente tutt'ora ignoto.
Creta «scompare», fossilizzata dalle invasioni di Micene o
Tirinto che la bloccano nel suo sviluppo autonomo.35
Fra l'VIII ed il VI secolo a.C. (Esiodo: Le opere e i giorni,
Teogonia) nasce una nuova struttura culturale di cui sono
parte fondamentale: l'alfabeto e la moneta. Il primo elemento
formalizza socialmente la comunicazione, il secondo esprime
formalmente i rapporti sociali a livello di beni.
Dalla cittadella si passa alla comunità democratica, ad
una nuova autocoscienza rispetto ai villaggi. Queste prime
forme di città sembrano considerare possibile la
concentrazione di potere e di tecnologia con la dimensione
democratica del governo, attraverso forme di autogoverno. Si
acquisiscono nuove conoscenze pratiche, si costruiscono i
miti religiosi e le speculazioni filosofiche che debbono essere
considerate forme di razionalizzazione e di dominio della
natura e della relazione sociale da parte dell’uomo. E' da
questo insieme di elementi che nasce la polis greca.
Dai re bellicosi, i poteri passano alla città. Sorsero, quindi,
le polis continentali che fondano colonie: sul Mar Nero.
Corinto-Siracusa-Corcyra (Corfù), quindi le città in Egitto,
Marsiglia in Gallia, le città in Sicilia.
Dalla paranoia del potere dei monarchi dell'età del ferro,
si passa ad una città che sostituisce le caste militari e dei
mestieri con la specializzazione funzionale, con la
conseguente economia dell'abbondanza materiale, filosofica,
letteraria delle arti dell'architettura e della scultura.
Atene fu l'esempio eclatante di ciò che la Grecia seppe
scoprire e creare in poco tempo; essa scoprì e creò ciò che
egizi e sumeri non avevano scoperto in millenni.36
Il modello della popolazione che forma e governa la città
secondo le dinamiche che illustreremo rappresenta una pietra
35
Per una lettura in chiave urbanistco-storica: Heigl F., Geschichte
des Städtebaus, Städtebau 8, Wien, Mainz Verlag 1990, Kap. 2 e 3.
36 Aloni, La democrazia di Atene Lectio magistralis per
l'inaugurazione dell'Anno Accademico 1995-1996 dell'Univerrità degli
Studi di Trento.
70
miliare nel significato universale della vita e della forma
urbana. Tuttavia, questo non durerà a lungo e non passerà
necessariamente alle culture successive e nemmeno alle
forme che la città greca assumerà dopo la polis ellenica. A
dimostrazione che la società e la cultura urbana non seguono
linee ascendenti e continue nel loro sviluppo.
La guerra fatale del Peloponneso segna la regressione ad
una cultura della illibertà; quest’ultima trova la propria
origine nel diniego a concedere la liberta tributaria alle città
fondate come colonie e non precipuamente nella prepotenza
di Sparta.
Da quando le città ellenistiche non fondarono più colonie
dovettero affrontare l'aumento demografico con guerre e
tributi. Vennero a galla: guerra, schiavitù, sterminio, ovvero
la matrice negativa dell'antico, rinnegando la democrazia
maturata.
Atene: modello della polis
Atene, per la vivacità e per la qualità della politica,
dell'arte e della speculazione, rappresenta la città modello fra
le polis.
Qualità della vita
La città greca è costituita di abitazioni precarie, senza
scarichi e forniture razionali d'acqua, con il grave problema
delle immondizie, aiutata, in questo, dal sole come antisettico
e dalla campagna circostante che assorbe le immondizie
utilizzate quale concime.
La sua forza è la cultura, l'arte, l'apertura politica. La città
madre impediva al cittadino il commercio come disdicevole.
Le città ioniche lo permisero. Ciò favorì il nascere di ingegni e
di pensatori più numerosi di quanto non fosse accaduto nella
madrepatria. In questa cultura connotata da alterigia e dal
rifiuto della operosità economica diretta si colloca la causa
della futura crisi della polis originaria. Bellezza fisica,
raffinatezza intellettuale e culturale, dispregio del mondo dei
barbari e dei meteci fanno della civiltà greca una delle
migliori esperienze occidentali.
71
La pianta di Atene
72
Le strutture urbane ci aiutano a comprendere la grandezza ed
insieme i punti di fragilità delle polis greche.
Elementi di continuità con il villaggio paleolitico
Uffici governativi, ginnasio, teatro, mercato, pritaneo o
assemblea dei magistrati, fontana sono forme esistite, in nuce,
nel villaggio e maturate nelle polis dell'VIII secolo.
Il ginnasio è una struttura complessa, con spazio verde
per esercizi ginnici, aule, bagni, spogliatoi (sono banditi
esercizi ginnici violenti per lasciare elastica la mente); si tratta
di una struttura che scinde queste attività dal loro luogo
originario. La città specializza le proprie funzioni; queste
attività una volta si svolgevano sulla piazza del mercato.
Olimpia con i giochi, Delfi (Apollo e Dioniso) con il
santuario), Coo (sanatori in luogo salubre, ameno, con ordine
e salute, lontano dai rumori e dagli odori della città greca)
per le cure termali, sono i centri urbani che irradiano,
attraverso i visitatori, pellegrini, atleti, idee nuove e norme di
vita unificanti per il mondo greco nel suo complesso.
I giochi di Olimpia danno libertà a tutti i Greci di
viaggiare liberi e protetti da Zeus: è così che nasce la
coscienza della Comunità ellenica.
Delfi, con il suo oracolo, guidò e controllò l'emigrazione e
la fondazione ordinata delle colonie, facendone un fenomeno
ordinato ed organico, legato religiosamente al proprio
destino ed alla propria origine. L’oracolo detta l’ordine e le
condizioni secondo le quali fondare nuove città. E' l'esempio
di un'antropologia politica urbana che trasferisce le direttrici
di un progetto non ad una persona o ad un'autorità politica
formata da persone a ciò deputate ma ad una prassi religiosa
che trasmette, tuttavia, le linee di una saggezza religiosa che
garantisce, in quanto sacra, le strutture della polis da fondare.
Cloo, con le norme ippoccratiche contenute nel trattato
Delle arie, delle acque e dei luoghi, diviene faro urbanistico in
nome della salute e del benessere37.
37
Mumford L., cit. p. 189 e ss..
73
Teatro, tempio, agorà, pritaneo
Il teatro greco nasce dalle feste religiose e, quindi, con la
tragedia, il teatro affronta i nuovo problemi dell'ordine
urbano: il fato, la fortuna, il libero arbitrio. Esso rappresenta
la riflessione sociale, politica e culturale. Individua gli
elementi non contrastabili che guidano la vita, esaltano
l’ambivalenza della ragione e della libera volontà dell’uomo.
Quindi, il dramma sostituisce le orge scatenate, le
sostituisce con divertimenti solo intellettuali e soppianta i riti
osceni con opere solenni ed edificanti. Ciò fa smarrire la
prospettiva cosmica, conducendo l'io umano all'arroganza ed
all'aridità, riducendo la vita a dramma privato, chiuso e
capriccioso.
Della dimensione dell’antica cultura, rimangono i teatri,
con viste ampie, intesi a collocare gli eventi tragici nella realtà
cosmica (costruzione ordinata entro uno spazio ordinato).
Con il dramma ed il narcisismo individualista, rimane la
scena esteriore di queste costruzioni entro un amplissimo
paesaggio, ma la scena da sola non sa più infondere la
prospettiva cosmica allo spettatore, perché questi non ha più
la vista per raggiungere la dimensione cosmica della quale è
fatalmente parte.
Il tempio greco segue la trasformazione che subisce il dio. Il
tempio originario è ridotto; esso non contiene la comunità (gli
dei si guardano a distanza); quindi il tempio si amplia,
diviene simbolo della esaltazione ed inebriazione collettiva,
di una collettività che, inconsciamente, esalta ed adora se
stessa nel tempio di grande bellezza, posto lassù alla luce, al
sole, immagine della polis.
L'agorà nasce come distacco dal recinto del tempio di uno
spazio in cui i cittadini si ritiravano per decidere gravi
problemi di giustizia e di equità per la comunità; serviva
inoltre per il mercato (le installazioni commerciali sono in
mano dei forestieri che qui operano, o metèci: come l'ebreo
nella comunità cristiana medievale).
La comunità come tale è costituita da cittadini liberi. Il
greco cittadino, incapace di assorbire l'economia finisce per
74
divenire insolente conquistatore e sfruttatore e, più tardi, un
pedagogo servile, scroccone e parassita e questo con con
l'avvento dei Romani).
Le città greche realizzarono nel pritaneo o municipio (anche
con funzione sacra) la struttura ove si esercitò la democrazia
diretta. La rotazione breve delle cariche non seppe tuttavia
trasformare questa democrazia in una democrazia
rappresentativa, e questo per la incapacità di trovare
qualcosa che sapesse controllare il numero dei cittadini con
un meccanismo, appunto, rappresentativo. Si trattava di una
democrazia assembleare, complessa e faticosa ma capace di
avere ragione della città dei poteri.
L'uomo ellenico, scostandosi dai limiti arcaici, dall'arbitrio
del potere e dalla segretezza dell'autorità, crea il libero
cittadino; questi, come il solitario eroe di Sofocle; «agiva, solo
e cercava, con l'esercizio dell'intelligenza di "tenere una mano
levata davanti al fato"»38. Questo è il carattere ideale, la base
culturale della polis greca; un’esperienza urbana che non
ebbe se non rarissime imitazioni.
La forma della città ellenica
L'acropoli. E' la montagna sacra, ove hanno luogo le
attività più prestigiose, ove dimorano gli dei urbani. Qui
sono raccolti gli elementi del paleolitico: la sorgente, la
caverna; qui vi sono il muro ed il sacro recinto del neolitico, il
palazzo reale, la fortezza, il tempio cosmico, l'accampamento
protetto, la città fiera e potente, complessa ed archetipa.
Come l'agorà è aperta, l'acropoli è chiusa.
Le abitazioni, case ad un piano, modeste, spesso tuguri,
senza i servizi igienici elementari, senza distinzione spaziale
per censo, con vicoli angusti; una città, Atene, che nel IV
secolo era sovrapopolata.
Il greco non considerava ciò disagevole, dato che la sua
cultura non aveva esigenze superiori a questo modo di
38
Ibidem, p. 213.
75
vivere. Il suo motto: risparmiare nelle piccole cose e spendere
nelle grandi.
La rete di relazione diretta, la coscienza della libertà, la
vittoria sui Persiani, la mentalità di Sofocle («da solo o con
l'appoggio di tutti») fece sì che mai una cultura producesse
tanti geni ed intelletti come Atene in quel periodo: Aristide,
Eschilo, Temistocle, Tucidide, Euripide e Platone.
La vita amministrativa, gestita da 50 cittadini per volta, le
numerosissime opere teatrali, le innumerevoli opere musicali,
le tragedie, misteri, rappresentazioni sacre, danze, stanno a
significare nelle quali gran parte della popolazione dei
cittadini era coinvolta come attore. Una polis reale, incarnata,
superiore a quella di cui Platone parlerà nella sua utopia.
Eppure, quella di Sofocle, sarà un'illusione ("le stelle e le
pietre, gli alberi non possono insegnarmi nulla"). A questa
città, per molti aspetti unica, ignorare e rifiutare il
collegamento città campagna, il collegamento cosmico, sarà
fatale.
Da quando questa idolatria dell'io isolerà l'uomo, i
monumenti cominceranno a sostituirlo, la creatività
dell'uomo decrescerà e con essa anche la vita della città
ellenica39.
Regressione all'utopia
Da questo fatto ha inizio la regressione all'utopia. Da qui
nascono gli irregimentatori delle funzioni urbane ed umane.
In questo senso, la proposta di Platone, in quanto ideale, fa
sparire la dialettica greca che faceva del cittadino una mente
comunitaria ed insieme autonoma, creatrice. L’utopia non
rappresenta un’apertura quanto piuttosto una fuga
nell’irreale, la deresponsabilizzazione intellettuale di fronte
alla dura ed impegnativa responsabilità partecipata della
città reale.
Il rifiuto della responsabilità economica ed il passaggio ad
una dimensione urbana con i caratteri di un’urbanistica e di
un’architettura sovrastrutturale segnano la fine della città
dove il cittadino è il soggetto primo della vita sociale. La
39Öchselin
W., «Il mito della città ideale», in: Pugliese-Carratelli,
Principii e forma della città, Garzanti-Scheiwiller 1993, pp. 419-458.
76
forma e la struttura culturale, politica, urbanistica ed
architettonica della città dal potere sociologicamente non
legittimo, per richiamare la definizione di M. Weber, nasce
con la città ellenistica; essa rappresenta un modello che si
perpetuerà per secoli nella storia delle città non
democratiche.
La città ellenistica
Dalla polis ellenica, si passa alla metropoli ellenistica e,
quindi, megalopoli alessandrina.
Il personaggio che in questa lotta fra una polis che tenta
disperatamente di sopravvivere e una cultura sempre più
cosmopolita, il personaggio che rappresenta lo sforzo di
coniugare i due mondi è Aristotile. Egli è precettore di
Alessandro Magno, cultore delle discipline classiche e delle
scienze naturali. Un grande greco che tenta, senza riuscire a
fermare il tempo, di mediare la cultura ellenica e l’impetuoso
avanzare dell’ellenismo.
Alla città, Aristotile porta la dimensione della realtà, la
varietà che è insita nella natura stessa che egli amava tanto
studiare. «Il fine è insito in tutti i processi naturali e non è
sovrapposto o proposto ad essi dall'uomo»40. In Aristotile vi
è, tuttavia, la convinzione che la realtà possiede una misura
40
Mumford L., cit. p. 242.
77
V sec. a.C. La Mileto di Hippodamos. Il progetto della città
euclidea. Questa pianta urbana, tracciata sui reperti degli scavi della città di
Mileto come essa fu costruita secondo il sistema di Hippodamo. Aristotele lo definì
l’inventore della città perfetta (arìste politeia), una città reale da lui definita come
ideale. La rappresentazione intende esprimere l’espressione di uno stretto rapporto
fra uomo e natura. La scienza ionica si limita alle conoscenze geometriche ed
archeologiche che le provengono da Babilonia e dall’Egitto. Per l’Oriente, la forma
rotonda della città è assodata, come dimostrano i bassorilievi assiri e babilonesi (tale
tradizione continua anche nelle città islamiche, vedi Bagdad). L’elemento
concettuale dell’angolo retto nasce probabilmente dall’Egitto (la ierografia urbana
rappresenta un cerchio tagliato da due strade che si incrociano). Un modello che
compare anche in Platone. Aristotele è legato alla cultura egizia (Erodoto). Mileto è
un classico esempio del rapporto fra uomo ed urbanistica pianificatrice in termini
esaustivi. La città si sviluppa in tutte le direzioni senza trasformare la realtà
circostante. Una polis senza mura. “Quando si può dire - scrive Aristotele - che la
polis è un’unità? Certamente non in ragione delle sue mura, poiché si potrebbe
circondare l’intero Peloponneso con un unico muro. Un caso simile lo abbiamo forse
a Babilonia.” Anche quando Aristotele ritiene necessario dotare la città di mura egli
scrive tuttavia che gli abitanti sono pur sempre in grado di servirsi della città in due
sensi ...”come di una città fortificata oppure di una città aperta”. Castagnoli, F.,
Ippodamo di Mileto e l’urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956. Greco, E., Torelli, M.,
Storia dell’urbanistica. Il mondo greco, Bari 1983.
78
che le è dettata dall'ineludibile richiamo al finalismo insito
nella natura (l'entelecheia). Anche la città, come realtà che
deve corrispondere a questa improrogabile legge della
natura, deve rispettare la dimensione spaziale, demografica
ed avere un obiettivo comune a tutte le città: per «grandezza
ed estensione; essa dovrebbe essere tale da poter permettere
ai suoi abitanti di viverci insieme sobriamente e liberamente
nel godimento del tempo di riposo». Lo small is beautiful ha
dunque un precedente.
La dimensione della città è strettamente legata con la
tipologia della relazione fra cittadini e governanti e fra
governanti e cittadini.
La città conserva un disegno complesso, la trama degli
antichi sentieri, rifugge dalla razionalità geometrica.
Aristotile, conservatore, sostiene che l'agorà mercato deve
essere separata dall'agorà come foro politico e che il ginnasio
venga, almeno in parte (quella riservata ai liberi cittadini)
riportato all'interno della città.
Insomma, Platone ed Aristotile non riuscirono a pensare
ad una città che conglobasse Coo (salute), Delfi (oracolo) ed
Olimpia (giochi del corpo di tutta l'Ellade), incanalandole
pertanto nell'immagine di una città aperta. Essa rimase una
città autarchica ancorata unicamente ad un ceto medio senza
apertura verso altre categorie di cittadini operosi; in questa
forma la polis, non poteva che avvizzire. L’idea di una città
autogovernata non avrebbe dovuto escludere i cittadini con
nuove professioni e capaci di conferire alla vita della città
nuove energie e nuove forme di vita.
L'alessandrinismo, nella sua capacità di illustrare
elegantemente ma senza incisività comprendente, la pluralità
culturale, fu una scuola insufficiente all'apertura di una città
propulsiva e creativa. Se questa città accoglie ogni sorta di
cittadini, essa ne sovrasta la personalità e la specificità. La
città diviene metropoli: uno spazio dove ognuno può
collocarsi ma che è accogliente in quanto sa di poter
conservare il proprio potere irregimentando tutti.
La metropoli imperiale alessandrina, nella sua razionalità
espansiva, ed insieme opprimente, dimostrò di non saper
cogliere, anzi di voler abbandonare il messaggio democratico,
79
partecipativo, creativo, umano della polis greca, la quale,
peraltro, non trovò strumenti per affermarsi efficacemente al
di là dei limiti che impose un ceto medio senza spirito
creativo.
Questo divenne la città alessandrina, dotta ed elegante ma
«incapace di resistere alle oppressioni politiche, alle
suddivisioni in classi, ai sacrifici irrazionali e alle guerre
inutili... che avevano caratterizzato la città antica»41
Le città greche furono dominate da due propensioni:
quella in cui dominava lo spirito dell'acropoli che si esprime
nella dialettica tradizioni-forze esterne, e quella in cui
dominava lo spirito dell'agorà che si esprime invece nella
dialettica commercio-agricoltura.
Nelle numerosissime città ellenistiche, diffuse in tutto il
mondo conquistato da Alessandro il Macedone, viene a
mutare ed a rompersi l’equilibrio fra i te elementi che
caratterizzarono la polis classica: l’equilibrio fra città e
territorio agricolo, l’equivalenza di cittadino e soldato, la base
della cittadinanza fondata sulla proprietà fondiaria.42
L’estensione delle terre intorno alla città, i mercenari, la
specializzazione delle professioni urbane, gli arricchimenti
repentini deformano l’istituto della cittadinanza ed il
rapporto città campagna, rendendo subalterna quest’ultima.
La città ellenistica passa dal duttile disordine
«all'eleganza irregimentata». La città assume una forma
regolare, ricava risorse dal ricco entroterra, vive di guerre,
piraterie e commerci:. Nasce una forte classe media, la
povertà e la noia della vita politica vengono combattute con
la raffinatezza e l'estetica. Entrano in piena azione i due
fattori che hanno dato inizio alla vita della città, divenendo
strumenti di azione e di dominio. In questa città divengono
cioè grandi protagonisti: il denaro e l'alfabeto. La città
ellenistica diviene concentrazione dei commerci e della
cultura.
La città assume la pianta «milesia» (da Mileto). La città
acquisisce forme regolari, con l’agorà collocata in posizione
centrale o verso il porto. Gli isolati, le strade, l'agorà sono
41
42
Ibidem pp. 248-49.
Lepore, E.,”La città greca” cit. p.101.
80
geometricamente disposti, per offrire ai marinai,
commercianti ecc. una immediata identificazione. Polibio
paragona questa città ad un accampamento militare. Lo stoà
(colonnati o portici coperti) segnano lo sforzo per un
miglioramento della vita. Un elemento che apparterrà
all'estetica architettonica mediterranea.
La città ellenistica introduce spazi pubblici geometrici,
larghezza delle strade principali, luce. Orientamento
generale: aumentano tutte le proporzioni degli elementi
urbani. Dominano la prospettiva e l'asse longitudinale; in
questa città, a differenza di quanto succedeva nella polis, non
si vaga verso l'acropoli ma si è immersi in un disegno
geometrico orientatore. La città ellenistica anticipa l'assetto
della città romana.
Nella polis ogni cittadino era un soggetto con un proprio
compito da adempiere; nella città ellenistica il cittadino si
trova immerso in un ordine al quale obbedire. Questa città
riproduce pertanto una forte disarmonia fra ordine estetico
ed ordine morale. Inoltre la città ellenistica, abbattendo gli
antichi campanilismi, si rivolge ad un mondo più vasto, con
le conquiste, le guerre, i commerci, gli schiavi, la forma di
dominio imperiale.
Dalla didattica allievo-maestro si passa alle biblioteche, il
museo convive con il palazzo. L'organizzazione cresce,
ansiosa perché priva di quel contenuto umano che il
disordine partecipativo della polis possedeva in grado
eccelso. Qui dominò l'estetica, la crescita quantitativa,
l'ordine, il monumentalismo, il calcolo, il dispotismo; un
regime urbano che riesuma quello mesopotamico.
Caratteristiche di questa realtà urbana sono: l'urbanistica
geometrica, l'agorà, gli spazi aperti, strade più lunghe e
concentrate, la città come emporio, arena per gli spettacoli di
massa, la vita stessa concepita come spettacolo, considerando
il lavoro con la visuale cronica e distorta della polis antica,
ovvero come incompatibile con il concetto di cultura delle
classi agiate.
L'urbanistica persegue l'esigenza di esprimere lo sfoggio
colossale dello spettacolo del potere dei monarchi43.
43
Heigl F., Ibidem, pp. 46-48
81
Insofferenza dell'antico involucro
Sotto la superficie di questa città cova la ribellione poiché
non si può tentare di far convivere troppo a lungo esercizio
dell’intelletto e dispotismo politico ed urbano.
Le donne, gli schiavi ed i forestieri, esclusi dalla
cittadinanza, si espressero in associazioni di mutuo soccorso,
confraternite, cerimonie iniziatiche (Bacco, Orfeo, la Fertilità),
riuniti in locali sotterranei, dando vita alla polis che «non è di
questo mondo».
Il riferimento di questa insofferenza e di questa forma di
ribellione è una società più vasta per tempo e spazio; il suo
humus è il credo operante delle nuove religioni che offrivano
l'estasi contro le frustrazioni (questo avviene dopo il VI sec. a.
C.).
Ci vorrà molto tempo per risolvere il dualismo fra città
terrena e città celeste. Lo vedremo nella dialettica interna alla
città medievale che pure non saprà trovare una convincente
via d’uscita.
I Romani, a loro volta, non seppero imitare la creatività
greca, «se non in volgari e ampollose imitazioni». Benché
avessero saputo sviluppare un’aristocrazia terriera, non
seppero dare origine ad una città autogovernata e
riproducibile in culture diverse. In tal modo, gli imperi
decretarono la propria fine. Essa sarebbe giunta con la loro
vecchiaia, in quanto si condannarono a non avere eredi.
82
83
Roma: dalla megalopoli alla necropoli
Roma appare in tutta la sua grandezza attraverso alcuni
elementi strutturali di grande rilievo.
Gli acquedotti, le strade, la creazione di un sistema
amministrativo capace di irregimentare, manovrare oggetti
concreti sono alcuni fra i pilastri che reggono questa grande
cultura politica.
Vi sono centri civici distribuiti in un'ampia gerarchia, un
mondo fatto città, con città che avrebbero (e tali furono alle
volte tante città dell’impero), senza mura, con la cittadinanza
comune a tutti che sostituiva la cinta muraria44.
L'origine della città romana è duplice: etrusca, di forma
rettangolare, creata con l'aratro dal sacerdote, secondo gli
aruspici, con il pomerio o zona che circonda la città ove non è
lecito costruire. Vi è quindi la città murata, ovvero la città che
eredita dagli etruschi il genio dell'ingegneria.
E' inoltre città orientata, segnata da due strade principali,
il cardine da nord a sud, il decumano da est ad ovest; dunque
città assiale, ove tempio, foro, acropoli si collocano in questo
sistema. In alcuni esempi, l'orientamento mutò per ripararsi
dai venti caldi o freddi. Lo schema milesio venne adottato e
fatto progredire, soprattutto nelle città commerciali e militari
dell'Africa e della Siria.
Roma accoglie tutte le culture, le macina e le fonde a
propria misura, diffondendo il modello in tutto l'impero,
garantendo il dominio dell'Urbe.
Fra il III ed il II sec. a.C. Roma creò 430 città in Italia; città
di dimensioni ridotte (dai 5 ai 270 ettari: Basilea-Nimes),
dotate di mura, con criteri per la difesa, con una forma
urbana estetica ed organizzativa. Una vera politica delle new
towns. Roma si espande moltiplicando oppida ed urbes. Il
fenomeno dell’espansione moltiplicatrice delle città si arresta
con il 68 d.C.
La rete di piccole città è un enorme vantaggio per
l'equilibrio che si crea fra città e campagna. Anche il terreno
viene organizzato in campi lunghi e rettangolari
(centuriazioni). Nelle città vi erano, inoltre, tutte le arti e le
44
Mumford L., cit, cap. 8 , pp. 267-306; Heigl, cit., Ibidem, pp.48-78.
84
istituzioni di Roma: esse esistevano anche qui secondo quel
modello, tranne che per l'immensità ed il prestigio.
Roma non seppe, comunque, proporre o imporre un
equilibrio politico, economico, urbanistico: non produsse una
comunità universale, produsse invece un vasto equilibrio di
privilegi e di corruzioni.
Piazze, campi, porticati del Medio Evo discendono
dall'urbanistica romana. Le città commerciali e burocratiche
della Siria e dell'Asia Minore preludono alla città moderna.
Mentre Roma è buia, la notte, Efeso e Antiochia sono
illuminate ed hanno una varia vita notturna, ricca di attività
economiche e di svago. Non si hanno, purtroppo,
documentazioni sull'attività industriale dell'Impero.
Cloaca e acquedotto.
Le opere di ingegneria e l'esibizionismo (le città-colonie
greche hanno un'eleganza ben diversa) sono accompagnate
dall'opera di ingegneri e soldati in Roma: mura e fossati,
argini e serbatoi «su scala ciclopica».45
Esempio di grande infrastruttura è la cloaca Massima (VI
sec. a.C.), una struttura utilizzata ancora oggi, come lo sono
certi ponti romani.
Mentre i greci badarono alla bellezza della città, i Romani
pensarono anzitutto alle strade, agli acquedotti, alle fogne.
L’acquedotto Traiano è del 109 d.C.; va ricordato che sino ad
allora bastano le fonti locali.
Tuttavia, a Roma, non tutte le strade sono lastricate, ed i
gabinetti non sono collegati con le fogne se non sono al primo
piano o in abitazioni troppo affollate (esistevano vasche
coperte cui attingevano i contadini in cerca di concime o
letame). Tranne che nelle abitazioni dei ricchi, per le fontane
pubbliche e le terme, l'acqua per i più era trasportata a mano.
Roma, a causa di questa scarsa igiene, verrà colpita da
terribili pestilenze (23 a.C., 65, 79, e 162 d. C.). I carnai
romani, fonte di epidemie e di rischio (carcasse di animali e
cadaveri), fosse fetide ancora dopo venti secoli, sono un
45
Ibidem p. 279.
85
aspetto non trascurabile della gestione urbana (vedi la
testimonianza dell'archeologo Lanciani46.
A Roma, la rete stradale seguiva gli antichi sentieri,
mentre l'ordine romano fu invece esemplare nelle piccole
città provinciali e coloniali. (Giulio Cesare proibisce il traffico
di giorno rendendo insonne la notte). Nulla si fece per
ridurre invece la popolazione dei vari quartieri.
Le abitazioni si dividevano in case dei patrizi ed in insulae
o abitazioni degradate, fetide, dagli affitti esorbitanti, i cui
abitanti erano assoggettati ad umiliazioni e paure, con sfoghi
compensatòri che provocavano altre brutalizzazioni.
La città offriva, accanto a questo, squarci di bellezza e di
ordine civico, non toccati dalla violenza e dalla cupidigia.
Il Foro
è più di una piazza e del mercato. Esso si arricchisce, via
via, di funzioni come la giustizia, ed è luogo dell'assemblea;
qui si svolgono gare atletiche e gladiatorie, transazioni
commerciali. Vicino crescono le basiliche, luoghi al coperto
che permettono varie attività al riparo dalle intemperie.
Vicino ancora vi deve essere il tempio o vi debbono essere i
templi. Vitruvio esprime bene l'equilibrio spaziale del Foro:
fusione tra Acropoli ed Agorà.
Lo spazio in altezza compensa la ressa alla base.
I vomitoria
sono le aperture e corridoi che fanno defluire le masse
dalle tribune verso l’esterno ad es. del Colosseo o delle Terme
di Caracalla.
L'importanza dell'acqua
Dalla pozza alla quale trova refrigerio l'agricoltore
sudato, si passa alle Terme, invenzione igienico-sanitaria
utilizzata da un grande numero di persone, recinto con saloni
monumentali, bagni caldi, freddi e tiepidi, stanze per
massaggi, per colazione, palestre, campi da gioco,
biblioteche; l'acqua appare come un elemento centrale nella
vita di Roma
46
Ibidem pp. 283-284.
86
Fig. 1 Un acquedotto nella campagna romana.
Fig. 2 L’acquedotto romano di Segovia, detto “ponte del diavolo”.
87
I beni vengono riservati ai ricchi, mentre l'unico oggetto di
adorazione è il corpo: le Terme ne sono il tempio,
compensazione allo squallore caotico della vita domestica. Le
terme divennero anche luogo in cui assume rilevanza
l'esplicitazione della vita sessuale di Roma.
Tramonto
La pace e la giustizia romana, elementi basilari della
potenza e della cultura, sono costruite sullo sfruttamento e
sull'oppressione. Alla base vi è una politica di potenza
predatoria che produce nel fenomeno urbano il vasto e
micidiale fenomeno del parassitismo. Questo motiva gli
slanci di generosità di chi ha grandi ricchezze verso chi non
ha nulla. La frustrazione ed il parassitismo toccano chi dà e
chi riceve,47 suscitando «desideri e ansie che non è possibile
placare». Ed il parassitismo si esprime come un elemento che
connota profondamente la vita sociale urbana in particolare.
A Roma, la pace è una finzione, dietro la quale avvengono
congiure di palazzo e lotte atroci per il potere.
Il rito sacrificale dell'arena è la forma laica dell'antico
sacrificio di sangue. Questo rito simbolizzano le gare
gladiatorie violente ed espressione di un diffuso sadismo
sociale. I giochi dei greci appaiono ai romani forme
effeminate.
Roma, dal I sec. a. C., diviene città di parassiti e di
malattie. I giochi finanziati dallo stato, le esigenze
primordiali della popolazione pure: panem et circenses:
Anche le terme sono offerte al libero utilizzo. Nel 354 d.C., a
Roma, più di metà dell'anno era occupata da giorni di festa o
da giochi. Dalla vita attiva dell'era repubblicana si passa
dunque a quella parassitaria dell'Impero.
Dal gioco dei gladiatori fatti per punire i colpevoli e
dissuadere il popolo dalla vita delittuosa, questo spettacolo
diviene uno svago ed una pratica di sadismo collettivo che ha
per oggetto uomini ed animali senza alcun momento di
riscatto. Circo Flaminio, Circo Massimo, Colosseo sono i
luoghi di questo spettacolo violento, uno spettacolo che
consiste in carneficine inaudite.
47
Ibidem, p. 296.
88
Plastico di Roma antica (del 1939)
89
Di questo passo, Roma da città di parassiti diviene città di
epidemie, cala la popolazione; la città ha sovrani dissoluti ed
assoluti. Roma presenta un materialismo radicalmente privo
di scopi.
Significativo è l'inventario urbano di Roma48.
Roma non seppe eterizzarsi: non seppe cioè diffondere il
proprio ordine e la propria potenza; non seppe fare
dell'Impero una cooperazione reciproca con gli altri popoli.
Roma muore dunque di implosione, diviene una
megalopoli parassitaria e frustrata. Le città e le regioni
dell’impero non sono rappresentate nella capitale sul
Campidoglio; solamente i loro dei vengono inglobati e chiusi
nel Pantheon. Dunque la pax e la justitia romane sono solo
facciata di un centralismo unidirezionale sciovinista e
pertanto
intollerante
e
monocratico.
Roma
fa
dell'immobilismo una virtù. Un abbagliante, sfarzoso
esempio di ciò che bisogna evitare.
Roma viene conquistata dal di dentro, prima ancora che le
invasioni la facciano cadere. Una città vittima del proprio,
alla lunga, sterile narcisismo.
48
Ibidem p. 304 s.
90
91
Nuova società: chiostro e comunità
E’ dalle rovine di Roma che la religione cristiana fa
nascere una nuova concezione della vita49.
Il Cristianesimo affronta i fatti negativi che esistono
all’interno della città e della cultura romana. Nel
Cristianesimo, Dio si fa uomo per redimere quest’ultimo dal
peccato, dall'angoscia e dal senso di colpa. La religione
cristiana rafforza il senso di solidarietà presente nella
religione greca dei Misteri.
Dal punto di vista dell’evoluzione urbana, le strade
romane da vie di conquista divennero vie di invasione; la
città trasferisce il Foro sul Colle capitolino in quanto più
difendibile, così avvenne anche per il palazzo municipale.
49
Mumford L., La città nella storia, cit. cap 9, 313-353. Frugoni
Chiara: «Rappresentazioni di città nell'Europa Medievale», in Carratelli
Pugliese, Principii e forme della città, cit. pp. 95-140. Heigl F., cit. Die
Europäische Stadt des Mittelalters, pp. 86-144.
92
Aigues-mortes, alle foci del Rodano.
93
Il monachesimo fonda il monastero. I membri della
confraternita si allontanano dalla città per salvarsi l'anima,
abbandonando il mondo per costruire una nuova città ed un
nuovo mondo e fondano la nuova città. Misura, ordine,
onestà, equilibrio interiore, orario sono il contenuto della
cittadella dell'Abbazia e sono anche gli elementi che
caratterizzano la città medievale e, più tardi, lo stile del
capitalismo e della sua etica50.
Si propone sotto l'egida del Cristianesimo, l'ideale di
Aristotile: una società di uguali che aspirano a vivere nel
migliore dei modi possibili.
A loro volta: sicurezza, protezione durevolezza,
continuità sono i caratteri della città medievale. Due
esigenze, l'aspirazione di principio e la realtà solidale,
convivono e si esprimeranno nella nuova e non omogenea
realtà urbana.
Se il monastero aveva guidato la ritirata, fu la città a
guidare il contrattacco per superare, in positivo, la
frustrazione ispiratrice della città romana..
Il Battistero dove l’acqua porta purificazione e nuova vita,
sostituisce le terme; le incursioni fecero riscoprire le mura.
requisito per ottenere lo statuto autonomo di città (ciò che
Schwaz, in Tirolo, non ottenne, appunto perché ne era priva).
La città offre dunque sicurezza agli abitanti, a chi vi si rifugia,
al mercato; l'incorporazione dei mercanti come liberi cittadini
fa allargare le mura urbane e la città include così il sobborgo.
50
Moulin, L., Oursel, R., Grégoire, R., La civiltà dei monasteri,
Milano, Mondadori 1988. - Moulin, L., La vita quotidiana dei monaci del
Medioevo, Milano, Jaca Book 1988.
94
Il borgo medievale di Lenzen sull’Elba
95
Libertà ed uguaglianza mai furono piene, ma certamente la
communitas prevalse sul dominio e fu più forte che nelle
epoche precedenti, compresa quella ellenica che non aveva
voluto riconoscere dignità urbana all'attività economica. La
libertà concessa alle città che si chiamarono (e che si
definiscono tutt'ora) libere segna l'uscita dal Medio Evo
(dall'XI al XIV secolo).
In un alternarsi di spinte a potenziare o ad impedire lo
sviluppo di città libere, vescovi e signori feudali non
poterono impedire che le nuove città crescessero e si
avviassero a recuperare il terreno perduto con il crollo
dell'Impero romano.
Sviluppo della città medievale
A partire dall'anno Mille si avvia lo sviluppo di una
nuova forma di città. L'aumento della produzione agricola e
della popolazione sono fattori che precedono lo sviluppo
mercantile e lo rendono possibile.
La Chiesa attrae le popolazioni barbariche con i suoi riti e
le sue espressioni "mitologiche" e dà inizio ad una nuova
epoca della cultura.
96
Ulm, cattedrale nel Burg
97
Gli ordini monastici danno rifugio ai profughi ed ai
viaggiatori, costruiscono ponti, fondano mercati, bonificano
vaste aree. I mercati sono una dimensione locale e vengono
autorizzati da re e vescovi. Ma non è il mercato l'elemento
decisivo per la nascita della città medievale.
Fu invece la nascita della città murata che permise la
riapertura delle rotte nazionali ed internazionali dei
commerci, che aprì alla circolazione delle eccedenze di
produzione e che fece circolare i beni di lusso (lane
d'Inghilterra, vino del Reno, spezie e sete d'Oriente, armature
di Lombardia, zafferano e mercurio di Spagna, cuoio di
Pomerania, tessuti di Fiandra, icone e oggetti sacri).
Il recinto, la difesa e l’identità riconoscibile della città
murata sono un elemento fortemente ambivalente. Infatti
quando le mura non hanno più la capacità di osmosi, nel
senso di esercitare al contempo il compito di difesa e di
permettere un rapporto di reciprocità con la campagna e con
le altre città, con le altre culture, quando divengono
espressione della prepotenza delle famiglie signorili e
principesche, allora le mura divengono espressione di un
narcisismo urbano che finirà per conferire alla città il
carattere di un potere non legittimo che sembra segnare il suo
destino storico.
I commerci internazionali non fecero nascere le città, ma
influirono sullo sviluppo di alcune di esse (Venezia, Genova,
Arras, Milano e Bruges).
Sintomi della rinascita urbana dopo il Mille sono: il
commercio, le unificazioni politiche (Fiandre, Aquitania,
Brandeburgo), bonifiche e disboscamenti operati dai monaci,
come lo fu anche l'immensa espansione dell'edilizia sacra.
Distese di terra arabile, bonifiche, irrigazioni e metodi
adeguati di coltivazione aumentarono i raccolti, il tutto
operato da uomini liberi e non più al lavoro per coercizione.
Accanto alla concezione dell'uomo libero come figlio di Dio,
ed insieme suddito, i monasteri utilizzano energia idraulica
per poter dedicare tempo alla preghiera ed allo studio (sec.
XI). Alle città questi strumenti giunsero con il sec. XII e XIV.
Si deve notare che l'elemento della elevazione dell'uomo con
l'attività produttiva ed intellettuale completa una visione del
mondo radicalmente nuova.
Si ebbe, al contempo, un consistente aumento
demografico, come pure si registrò un consistente aumento di
capitale. La città medievale è, inoltre, legata alla campagna in
quanto i commercianti mantengono uno stretto rapporto con
i contadini che hanno in affitto la loro campagna. Ogni rione
ha un villaggio urbano come sua provincia rurale. Inoltre,
agricoltura, uccellagione e pesca sono parte integrante della
vita urbana.
La città fortificata libera il mercato, attira soldati e lavoro
protetto; il danaro sostituisce il baratto, il lavoro a cottimo
muta e sostituisce il rapporto di servo della gleba (si passa ad
una condizione a contratto, segno di indipendenza e nobiltà
morale). Lo Statuto concesso ai centri urbani è un contratto
sociale. Chi viveva in un comune per un anno ed un giorno
non aveva più gli obblighi della servitù della gleba. La città
diviene selezionatrice dei migliori; la libera associazione
cittadina sostituisce i legami di sangue ed il legame alla terra
della servitù della gleba.
Questo diede origine alle città di frontiera: città che
offrivano agli scontenti di lasciare il paese limitrofo e
ricominciare da capo la loro vita.
Inizialmente, il signore fortificava una città dopo aver
conquistato un territorio ed affidava ai cittadini il compito di
difenderlo, acquistando il diritto ad essere libero dalle
corvées militari e dagli obblighi feudali.
Mercato. moneta, pesi e misure, giurisdizione, diritto a
portare le armi sono il segno di un'indipendenza che gli stati
conquistarono molto tempo dopo. Pedaggi di ponti e di
mercato, affitti rurali, dazi doganali, multe inflitte dai
tribunali erano benefici del proprietario della terra.
La sorte della città medievale fu segnata quando si giunse
a dividere ed a vendere la terra. Si spezza, in questo modo, il
legame solido fra città e campagna, un legame in una qualche
misura solidale e di reciprocità. Sembra ripetersi, sotto altra
forma, l’altezzoso atteggiamento greco di rifiuto di una
dimensione economica per un presuntuoso atteggiamento di
superiorità che porta al rifiuto di un elemento invece
sostanziale per la vita urbana.
Più tardi, la libera associazione urbana acutizzò infatti il
divario dalla campagna ed enfatizzò questa pretesa libertà da
99
protezioni e regolamenti, facendo venire a mancare, appunto,
la reciprocità con la campagna; ciò determinerà la nascita
delle nuove iniziative industriali ed il caotico sviluppo
urbano.
Caduto l'Impero Romano, la Chiesa
rimane l'unica
dimensione associativa grande e potente. Essa aggrega,
organizza, ispira; i re temono la sua scomunica. La Chiesa è
presente in ogni comunità che è parrocchia, mentre la grande
rete delle diocesi garantisce la Comunità globale che a sua
volta obbedisce al papa. La decima è la forma di tassazione
motivata religiosamente, mezzo con cui si esprime
l’appartenenza organizzativa e fattiva all’organizzazione
religiosa.
Gli ospedali, in centro città, sono a disposizione di tutti i
cittadini bisognosi; gli ospizi sono un'istituzione municipale
ed insieme una forma urbanistica (per aree di 5.000 abitanti)
forma urbanistica e struttura di servizio sulla quale sarebbe
utile riflettere ancora oggi.
Il Medio Evo fa della città un'unione della Chiesa con la
città. Il monastero, il chiostro, i conventi, le chiese e le
cappelle offrono un rifugio dalla vita mondana, un rifugio da
una dimensione della mondanità che oscura la vita dello
spirito.
Per vivere, per non essere vittime della scomunica e
dell'esilio, si deve appartenere ad un'associazione, alla
famiglia, al maniero, al monastero, alla corporazione o
all’associazione. In queste forme si attua ed esprime la
solidarietà, si colloca il lavoro collettivo, si manifesta la fede
comune. La conjuratio o giuramento di assistersi a vicenda è
un elemento centrale.
La corporazione dei mercanti regola la produzione, il
mercato,
protegge
dalla
concorrenza
spietata
o
monopolistica.
La Chiesa sostiene l'ora et labora benedettino. I lavoratori
sono liberi e lontani da ogni forma di schiavismo. Le
corporazioni hanno sedi, finanziano feste, costruiscono
cappelle e chiese.
Il proletariato nasce quando scompare lo spirito della
corporazione, i ricchi vogliono trasmettere ai figli i privilegi,
100
impongono alte tasse di ammissione, escludono gli artigiani
ed i commercianti dal circuito economico privilegiato.
La corporazione è l'aspetto economico prevalente della
città medievale.
Il palazzo municipale è collocato al centro della città. Una
grande sala al piano terreno (oppure sotto un colonnato,
anche con canale) per proteggere ed esporre le merci; al
secondo piano vi è una grande sala per il Consiglio, per
riunioni delle corporazioni, ma anche per feste e balli.
L'universitas nasce come esigenza delle corporazioni di
impartire le modalità con cui compiere il proprio lavoro,
oppure per snidare la teologia di Averroè, trasmettere il
corpus delle leggi latine appena ricostituito. Le facoltà
originarie sono: giurisprudenza, medicina e teologia ed
hanno carattere professionale. Ecco la nascita delle prime
grandi università Bologna 1100, Parigi 1150, Cambridge 1229,
Salamanca 1243; esse sostituirono in parte le scuole delle
cattedrali e dei monasteri. Esse divengono sedi di
immagazzinamento, disseminazione dl sapere e scambio
culturale.
Questa attività indispensabile della città si esplica come
distacco delle responsabilità pratiche immediate, quale
riesame critico, rinnovamento dell'eredità culturale attraverso
il rapporto diretto maestro-allievo. Urbanisticamente (ne
sono splendido esempio Oxford e Cambridge) nasce l'isolato
ed il recinto urbano staccato dall'antica rete di strade e vicoli.
L'università eredita il compito della Chiesa o ne riceve le
consegne (giungendo poi ad esasperare la ricerca astratta
della verità).
101
Ulm. Piazza della Cattedrale (raffigurazione del 1677)
102
La città medievale è palcoscenico di pellegrinaggi,
processioni e cortei. La verticalità predomina quasi ossessiva.
Tutto si mantiene unito in una visione cosmica, scandito da
battesimo, messa, processione, matrimonio, funerale,
preghiera.
Il dramma della Chiesa e quello del suo fondatore si
tengono all’interno di questa visione cosmica, mantenendo
l'ordine morale. Quando quest'ordine sociale perde la sua
compattezza, la Chiesa diviene soggetto di potere e la città un
campo di battaglia di culture e sistemi di vita in conflitto.
Città medioevale: la vita quotidiana
La famiglia medievale è ampia, comprendeva anche
domestici, operai ecc.; la bottega di un mercante, l'ufficio di
un mercante erano vita in comune. Le stesse corporazioni
sono una sorta di famiglia.
Nella città, le abitazioni sono ammassate, con portone che
conduce sul parco retrostante, sono al massimo di tre piani,
addossate per protezione dalle intemperie e dal freddo. La
finestra è a tre ante di vetro, con persiane interne; con mezzi
arditi per procurare luce.
Per il riscaldamento, al focolare si sostituiscono il
caminetto ed il fumaiolo. Gradatamente, alle case in legno si
sostituiscono le case in pietra, si studiano materiali refrattari.
La pianta: cucina e bottega al pian terreno, sala al primo
piano e dormitori sopra. Nel giardino posteriore vi è il
magazzino, lì avvengono il carico e lo scarico. Vi è scarsità di
spazio e le funzioni urbane ora si specializzano. Quando ciò
avvenne (la privacy) la città conobbe un mutamento radicale:
la specializzazione appunto. Conseguenza: scompare il
rapporto fra classi superiori ed inferiori...per cui vale la
massima: «è più facile essere inumani con coloro che non si
vedono».
Nella casa urbana medievale mancano privacy e comfort.
Queste abitazioni sovraffollate furono causa di malattie
soprattutto per i bambini.
I giardini delle abitazioni ed altri spazi agricoli entro la
città rafforzano la presenza di attività rurale interna. I
cimiteri divennero un pericolo con l'accrescersi della
popolazione. Anche la carenza di acqua corrente, le stuoie sui
103
pavimenti, la mancanza di sapone, furono cause di mortalità
infantile e di pestilenze. Spesso, il fuoco con gli incendi si
dimostrava un germicida efficace.
All'inizio del XIII secolo compare il bagno privato, con
spogliatoio. Nelle città nordeuropee è diffuso il bagno
pubblico, ha vapori che fanno sudare e che disinfettano.
L'acqua viene convogliata alle fontane che divengono
elemento funzionale, luogo di incontro, monumento.
La città possiede ospedali ed ospizi, pratica la quarantena
per le malattie infettive, mentre il personale sanitario
pubblico costituisce un'organizzazione sanitaria efficace.
Canto recitazione, danza sono attività svolte da tutti. La
ronda annuncia le ore. I profumi della campagna e dei
giardini si mescolano agli sgradevoli odori degli animali.
L'estetica è associata al simbolismo religioso. Questa è
altresì una scuola che educa il senso artistico.
Urbanistica.
Accanto all'Abbazia ed al Castello il ME vede la cattedrale
gotica. La città ha forma rettangolare, a blocchi se ha origine
romana. Quella cresciuta attorno al monastero da antichi
villaggi ha forme assai diversificate ed improntate da
elementi originari. La città ha una serie infinita di forme
diverse. Essa precipita comunque verso un centro.
Leon B. Alberti, con il suo sostenere le linee curve e gli
scenari cangianti salva e sostiene la città medievale.Non si
dimentichino le mura con la porta, creatrici di unità e di
sicurezza. La porta a sua volta è luogo d'incontro e di
apertura.
I principali edifici medievali non sorgono in spazi aperti,
non si raggiungono per assi lineari (ciò avverrà solo nel
Cinquecento). Quando lo si fece, in seguito, si distrusse
l'essenza della dimensione medievale basata sulla segretezza,
sulla sorpresa, sull'apertura improvvisa, sulla verticalità e
sugli elementi scultorei fatti per essere visti da vicino. In
questo senso, la città medievale richiama la polis greca.
Il mercato si colloca vicino alla chiesa. La piazza del
mercato ha forma irregolare, non corrispondente ad un
modello razionale-politico o funzionale.
104
La piazza del mercato svolge spesso anche le funzioni
dell'antico foro e dell'agorà. Le corporazioni rappresentano
qui le loro scene sacre, qui si ergono i patiboli ed i roghi;
questa piazza è, alle volte, collegata con una piazza
subordinata (Parma, Padova).
L'architetto medievale non privilegia i grandi edifici.
Chiese parrocchiali per 2-3000 abitanti, ospizi per poche
persone, monasteri per piccoli gruppi sono la misura usuale.
Per questo le chiese non vengono collocate in spazi troppo
ampi. Il risultato è una scala urbana a dimensione umana e lo
spirito è creativo e non omologato.
Le strade medievali sono strette e curvilinee, fanno parte
di isole abitative che non prevedono traffico veicolare su
ruote; gli abitanti si spostano a piedi. Poi, la città introduce
una differenziazione fra strade veicolari e strade pedonali. Le
case si affacciano sull'una e sull'altra.
L. B. Alberti, prevede e propone strade ampie e dritte ma
fa l'apologia della strada medievale per il suo ricco significato
urbano, forma urbana di protezione dalle intemperie,
«salutare sarà, nella città piccola, una vista così aperta ad
ogni svoltar di strada».
Il portico, ereditato forse dalla città antica, è la parte
anteriore della bottega; le lastre di vetro delle botteghe
eliminarono la necessità dei portici: Bologna, Padova, Trento,
Merano, Innsbruck...
La pavimentazione progredì in modo temporalmente
differenziato, ma fu una caratteristica del ME. La cubettatura
a falce, le lastre di pietra, l'imitazione di S. Marco etc.
La città è un insieme funzionale di quartieri. La
parrocchia con la chiesa, la piazza con il pozzo (il
trasferimento del sacro recinto antico alla vita di ogni giorno).
Purtroppo questa fusione fra Gemeinschaft e Gesellschaft
non venne raccolta dall'urbanistica moderna.
Questa città fece uno sforzo per razionalizzare in un
modello l'ordine e la bellezza? Vi si giunse attraverso un
percorso di lotte, sforzi, supervisioni e controllo. E ciò in
consonanza con l'articolarsi della società medievale.
Cittadini, famiglie, esigenze municipali e locali, funzionari e
corporazioni maturarono modelli accettati-imposti, modelli
urbanistici, architettonici ed antropologici, in cui l'antico, il
105
nuovo, la spinta degli interessi, la tradizione e le esigenze
pratiche produssero un modello sempre più ricco in cui
dominano «i processi invisibili della vita»51.
La città medievale non è statica. Essa ha due modi per far
fronte all'espansione demografica, allarga la cinta muraria,
ma spesso fonda nuove comunità, città indipendenti, con
propria chiesa, municipio, con una vivace iniziativa edilizia,
spinta a ciò più dalla sicurezza a lunga scadenza che dal
profitto immediato.
Le città vanno da poche migliaia di abitanti a città di
40.000 (Bruges, la più grande, giunge a 70.000 abitanti). In
Italia le cifre vanno aumentate. La crisi della città medievale
sopraggiunge con la forma economica e di vita capitalistica,
forma che produce affitti esorbitanti e spinge la popolazione
in zone suburbane, in luogo di spingere a costruire città
nuove.
La città medievale si avvicina, forse più della polis, alla
forma della città democratica. I suoi punti deboli, quelli che le
impedirono di maturare pienamente il proprio progetto
furono: il divorzio dalla campagna, l’incapacità di integrare
nella dimensione urbana i nuovi ceti che, al contrario, furono
espulsi dalla cinta muraria urbana e la nascita di famiglie o
individui che monopolizzarono il potere economico e
politico.
51
Mumford L., cit. p. 394.
106
107
Dissolvimento del Medioevo e nascita del
mondo moderno
Monastero, corporazione, e chiesa permearono ogni
quartiere, integrando la vita collettiva che avrebbe travolto le
istituzioni negative della cittadella.
Cooperazione volontaria, obblighi contrattuali e doveri
reciproci sostituirono l'obbedienza cieca e la coercizione
unilaterale: questo è l'archetipo della città medievale. Le città
furono
differentemente
caratterizzate
dall’università,
dall'attività mercantile o dalla chiesa (Bruges, Lubecca,
Venezia, Bristol). Spesso, le funzioni si fondono e si
potenziano reciprocamente. La città medievale non è il
rifugio nella speranza cristiana, ma nemmeno il composto di
ignoranza, sporcizia, brutalità e superstizione come vollero i
suoi detrattori. La tortura civile e militare, i campi di
sterminio sono piuttosto realtà della nostra epoca. Le
analoghe forme medievali sono ben poca cosa al confronto.
La città medievale riuscì ottimamente a realizzare alcuni
elementi che l'esperienza urbana aveva positivamente
prodotto nella storia, rispetto a molte città delle culture
precedenti. La maggioranza dei suoi abitanti erano uomini
liberi (fatta eccezione ad es. per gli ebrei). Il controllo del
dominus diviene autocontrollo delle corporazioni il cui motto
potrebbe essere: dominium et communitas. I fini locali e gli
interessi religiosi si fondono armoniosamente. La mobilità
sociale è divenuta una reale potenzialità.
La Chiesa domina il mondo medievale ma essa stessa
viene coinvolta nella vita del mondo. La Chiesa cerca di
esprimere il corrispettivo visibile del suo sacro dominio; è per
questa ragione che i santi criticarono acremente il tradimento
dello spirito cristiano operato da questo compromesso. Ma se
veramente l’applicazione del distacco dal mondo fosse
avvenuta in modo radicale, ciò avrebbe significato sì il
rafforzamento di alcuni elementi di forza morale ma avrebbe
significato anche il rifiuto della base originaria sulla quale era
fondata la città: potere della conoscenza, leggi sacre di un
dominio non legittimo, coercizione morale sulla dimensione
libertaria degli individui, rifiuto della schiavitù ma
108
accettazione della ineguaglianza fra i ceti. Insomma, questa
città realizza un compromesso tra virtù cristiana e dominio
del mondo attraverso l’attività economica; essa attua pertanto
la dimensione minima dell'ordine e della pace cristiana.
Pur tuttavia, l’ispirazione cristiana conferì forti
caratterizzazioni alla città: la pace dei monasteri, l'ispirazione
solidale delle corporazioni, l'esteso aiuto agli ammalati, ai
vecchi, sofferenti e poveri. La Chiesa, tuttavia, non toccò,
trasformandoli, a partire dalla sua ispirazione, il potere
politico e militare, la proprietà privata, il monopolio
intellettuale, anzi li fece propri. E' rilevante operare una
riflessione in merito al diverso modo di affrontare potere
politico, militare e ricchezza in prospettiva religiosa o
superstiziosa.
La superstizione, se la consideriamo attentamente, ha
origine dal compromesso fatto con queste forme tipiche del
dominio e dell’utilizzo del dominio di questo periodo storico
culturale e sociale: ciò derivò da un utilizzo della cultura,
dall'afflusso e dall'accumulazione della ricchezza che
generarono orgoglio e sentimento di potenza.
Le forze che impedirono di creare Cristianopoli in quanto
città dai postulati basilari del Cristianesimo: povertà, castità,
obbedienza, non violenza, umiltà furono quelle forze che
frenarono l’attuazione della città come realizzazione piena o
prevalente di questo disegno. Cristianopoli, pertanto, non si
realizzò pienamente; la piazza del mercato generò ricchezza,
le guerre bottino e potere. Le resistenze alla città senza mura
e palazzi di Francesco, Domenico, Pietro Valdo ed altri da
parte dell'istituzione Chiesa furono chiare. Da qui il
significato mascheratore degli affreschi di Giotto nella chiesa
superiore di Assisi. La Chiesa fa propri ed usa questi fattori,
non permette loro di entrare come elementi frammisti alla
ispirazione religiosa e li conduce appunto ad un
compromesso52. Vi può essere incompatibilità fra i due piani,
quello religioso e quello dei poteri, ma ciò non significa
compromesso. La Chiesa sviluppò invece storicamente una
giustificazione di questa convivenza fra i due elementi.
52
Moulin, L., Vita e governo degli ordini religiosi, Milano, Ferrero
1965.
109
Tempio, barriere ostili, isolamenti - simboli della
permanenza materiale - sopravvissero nel cuore della città
medievale. Un portato giustificato dalla dottrina del peccato
originale. E ciò fece ammettere anche l'esistenza, accanto alla
vocazione religiosa, della potenza e della ricchezza della
Chiesa. Fu in questo modo che il disegno democraticosolidale di Cristianopoli lasciò il posto alla città dei signori e
dei principi.
La cinta murata e la città medievale
La città medievale non seppe superare l'antico involucro
murato proprio della fine del neolitico. Unicamente Venezia
cercò di attuare questo progetto. Lo dimostra la sua pianta
urbanistica del tutto singolare: organizzata per rioni e zone
che vede S. Marco, la basilica bizantina con ampio frutteto e
spazio antistante, dotatasi poi di una piazza del mercato. Una
piazza che è un accumulo di finalità urbane, funzioni
politiche, economiche e sociali della piazza, funzioni che
soppiantarono quelle rurali.
Una pianta urbana flessibile, conseguente alle esigenze
sociali susseguitesi nella storia. Il potere patrizio,
sommamente concentrato ed autoritario, era bilanciato dai
480 del Gran Consiglio, obbligati a risiedere nelle parrocchie
di appartenenza. Ogni parrocchia riproduce S. Marco: campo,
fontana, chiesa, scuola, palazzo della corporazione; il sestiere
è proprio di una corporazione, delimitato dai canali.
Lo spazio, intelligentemente disposto, vede facili ed
ampie comunicazioni d'acqua, lagune per il diporto e lo
svago; il mare sostituisce il paesaggio agricolo.
Nessun'altra città medievale seppe riprodurre con
altrettanta chiarezza la zonizzazione funzionale dei sestieri e
delle isole. Il cimitero al Torcello, l'industria all'Arsenale ed a
Murano, al Lido la zona balneare e ricreativa, S. Marco e
Palazzo Ducale - il più bell'esempio di architettura
municipale al mondo - il centro di riferimento comune.
Una magistrale pianta urbana che si espande per zone
autonome, senza ammassamento, sovraffollamento ed
espansione indifferenziata, zone affiancate da vie d'acqua
funzionali.
110
Ma pure Venezia ebbe il suo tragico tarlo, un tarlo
collocato nel sistema di segretezza, nello spionaggio, nella
violenza punitrice. Ciò deve avere disturbato e gradualmente
minato il lavoro onesto, la collaborazione fiduciosa, unico
deterrente perché i gruppi di potere non perdessero la testa.
Venezia si resse in quanto offriva sicurezza in luogo della
libertà appoggiata da un sentimento popolare che accettava
quel sistema politico, il quale si esprimeva in grandi
iniziative di assistenza sociale ed in feste pubbliche. Un
baratto, in fondo, meschino e ricattatorio, fondamentalmente
endogamico.
Eppure, senza rendersene conto, i creatori di Venezia
avevano prodotto un involucro urbano caratterizzato dalla
eterizzazione delle mura. Radburn, nel 1928, mette in luce ciò
che gli urbanisti ancora non comprendono appieno. Venezia
si stacca dall'antico ordine medievale e dall'ancora vigente
ordine dell'età della pietra: un municipio moderno, rapide
comunicazioni e trasporti. E ciò venne ottenuto con la
separazione delle strade pedonali dalle altre veloci vie di
trasporto affidate ai canali. L. da Vinci lo proporrà, molto
tempo dopo, per Milano.
111
Copenhagen. Veduta aerea con la piazza ottogonale Amalienborg.
112
Stoccolma, la Venezia del Nord. La città sorge su otto isole e due penisole
dalle coste frastagliatissime.
113
Il Prdiso. Rappresentazione simbolica del Paradiso come metafora urbana,
legata alla rinascita della città nel Medioevo. Dal Liber Floridus di
Lamberto di Saint-Om er (inizi del XII secolo).
114
Strasburgo, Bibliotèque Nazionale et Universitarie. La Città di Dio di
Sant’Agostino, nella traduzione francese di Raoul de Presles.
115
Fortunato Depero, Grattacieli e tunnel. Trento, Museo d’arte moderna e
contemporanea di Trento e Rovereto.
116
1600 Il paese della cuccagna
Londra, National Gallery: Antonello da Messina, San Girolamo nello
studio, 1474. La scelta rappresentata si può leggere come colta
sperimentazione dell’identità albertiana architettura-città.
Pianta della città ideale di Sforzinda. Firenze, Biblioteca nazionale, libro II
del Trattato di architettura di Antonio Averlino detto il Filerete.
119
1682 W. Penn. Il piano di Filadelfia
120
1698 S. Le Presre de Vauban La città inespugnabile.
121
Restituzione ideogrammatica di Sforzinda in rapporto al Castello di
Galisforma. Elaborazione di Marcello Fagiolo (1987).
122
Piano di ristrutturazione ed ampliamento della città di Milano
1717 J.-B. Le Blond La capitale europea della Russia
1784 R. Owen La costruzione di Utopia
125
John C. Berkey, Città spaziale; 1990 circa
Peter Cook, Bloch city; 1983.
1829 Londra: la città dei giardinieri del paesaggio
128
Square one, 1987
129
Rappresentazione della Città del bene,. Da Civitas Veri sive morum
Bartholomei Delbene (1565), Paris, 1609. La struttura radiocentrica, dopo
le città di fra’Giocaondo e di Doni, viene utilizzata in una città articolata
con percorsi espiativi e finalizzata alla conquista della saggezza. Di qui si
passerà, con Bacone e Campanella, alla città della conoscenza.
130
Pianta della città di Tenochtitlàn, situata nell’Altopiano Centrale del
Messico, basata sulla descrizione di Cortés. Dalle Lettere di Hernàn Cortés
pubblicate a Norimberga nel 1524.
Palmanova come città ideale, da V.Scamozzi, Della idea dell’architettura
universale, Venezia 1615. Realizzata tra il 1593 e il 1600, la città
fortificata viene reinterpretata come città ideale, ‘Palma Città nova’,
attraverso la trasformazione dell’impianto radiale in un impianto radiale in
un impianto ortogonale dedotto dai modelli di Cutaneo, specie per la
gerarchia delle piazze.
132
1800: Germania: La struttura biologica quale modello della città ideale
1922:La città di tre milioni di abitanti
1925 Le Corbusier: l’arroganza dell’utopia razionalistica
1929 Le Corbusier: La città della macro-architettura
1947 Le Corbusier: Le fondamenta della città di domani
Peter Cook, Garden Towers; 1983
Carl laubin, Cérémonie d’Ouverture ; rappresentazione pittorica della città
di atlantide immaginata da Léon Krier ; 1987.
139
1916 Giorgio De Chirico: profezia della città postindustriale
1924 Mosca: la città del costruttivismo
141
1924 Hilbersheimer: il sogno della città razionalistica
142
New York Anni Venti: Euforia dei grattacieli quale modello urbano
143
1930 Mak Stam: dalla socialdemocrazia al comunismo
144
1937 Berlino: la città di Adolf Hitler ed Albert Speer
145
1955 Disneyland: la città della nostalgia
146
1981 SITE: il contenitore di sogni e di aspettative individuali
147
1960 Kenzo Tange: L’impotenza della ragione utopica
148
1984: New York: la nuova città ricavata dal 1700
149
1987 Léon Krier: ritorno radicale al classicismo
150
1990 USA. Il modello della Edge City
151
20° secolo. Emisfero Sud: la città come periferia
152
Brasilia. Le armoniose curve dei pilastri sulla facciata del Tribunale
Supremo in piazza dei Tre Poteri
153
Brasilia. La Cattedrale Metropolitana “Nossa Senhora
Aparecida"
154
Il pericolo di Utopia
Amaurote, la capitale di Utopia di Tommaso Moro,
contiene le idee innovatrici della distribuzione di agi e
ricchezze, la conversione del lavoro in una sorta di gioco; agi
e lavoro rafforzano lo spirito; potenzialità sociali che la
società moderna ha iniziato a comprendere ed a
strumentalizzare con prassi cinica nella pianificazione e nella
gestione della città.
In Amaurote, servizio collettivo e dimensione amichevole
addolciscono le forme del potere. L’intuizione di T. Moro
sarà illustrata magistralmente da Max Weber, quando
perseguirà l’inscindibile intreccio fra dimensione o processo
comunitario e societario. Ebbene, Venezia è, al confronto,
molto più fisica; comunque il cammino verso Utopia è ancor
oggi lontano, troppo lungo.
Ma ciò che Moro dovrebbe proporre urbanisticamente si
blocca. La sua scala non risponde all'esigenza del pedone (i
borghi agricoli sono ad una giornata di cammino: 6 Km), la
dimensione demografica è oltre i 100.000 abitanti. Inoltre le
città saranno terribilmente monotone; chi conosce questa città
le conoscerà tutte; il limite dell'Utopia è che essa non è storia.
Utopia non è Eutopia. Con Utopia siamo vicini
all'accettazione del dispotismo ideologico. Un'utopia che
vuole, forse, reagire al prevalere della ricchezza nella città
medievale, ma si tratta di un progetto e di una giustizia
astratta, stimolante intellettualmente ma astorica; si pensi alla
astrattezza del giardino urbano.
Corpo e spirito erano categorie e non relazionalità.
Amaurote diviene, in fondo e sicuramente, irregimentazione,
mentre, nella sua storica concretezza e romantica tragedia,
Venezia è una città relazionale, sia pure con il tarlo della
tirannide.
La città, nel suo evolversi storico, sembra infatti portarsi
dietro l'associazione della tirannide con la schiavitù,
l'associazione del potere con il sacrificio umano, la relazione
sociale con l'eterizzazione delle mura oppure la relazionalità
con il perdurare del potere, della prevalenza della guerra,
della sopraffazione, della ricchezza, della cinta muraria di
pietra, l'incapacità di coniugare creatività, libertà e lavoro. Un
155
trauma interno alla città che sembra accompagnare la città
stessa.
156
La città post-medievale e la campagna
Le campagne, soprattutto nella Baviera, in Olanda e nelle
contee occidentali d'Inghilterra, vissero un forte sviluppo ed
un ringiovanimento, con case di pietra e mattoni, prospere,
con palazzi delle corporazioni. Gli artigiani si allontanano dai
comuni troppo protezionistici e controllati, divenendo
artigiano agricoltore.
Espansione commerciale e dissoluzione della
città medievale53
La dissoluzione delle mura urbane è l'obiettivo di nuove
forze economiche, sociali, culturali e politiche, di quel
soggetto che, sotto il nome di mercantilismo, invera il
capitalismo. Il mercantilismo perseguì la conquista dei
territori d'oltre mare, la creazione di nuove industrie e
tecnologie, fenomeni per cui la distruzione delle mura urbane
doveva essere una conseguenza pratica ed insieme un fatto
simbolico.
Il fenomeno inizia con il Seicento e si rafforza con
l'Ottocento, con le invenzioni meccaniche e con
l'industrialesimo che dominano su vasta scala. Il calcolo dei
profitti e dei redditi domina ogni transazione.
Vengono introdotte le regole universalizzanti della piazza
del mercato; ogni quartiere ed ogni parte della città sottostà
al criterio di poter apportare un profitto. Il denaro si avvia a
sostituire Cesare, come sostiene Alain de Lille.
Dalla protezione e sicurezza della città medievale si passa
al principio del rischio calcolato. Il capitalismo libera la
produzione dal fardello di doni, elemosine, lasciti,
accumulati dalla Chiesa per assistere poveri e bisognosi, per
proporre, in forma sempre più rigorosa, la regola del più alto
profitto possibile.
I mercanti divengono, gradualmente, capi dei governi
municipali ed anche di stati, preoccupati di quella che
Tommaso d'Aquino chiama la ricchezza artificiale che non
53
Burke Gerald, «Città in formazione. Il Rinascimento», in Carratelli
Pugliese, Principii e forme della città, cit. pp. 141-168. Catronovo
Valerio, «La città nell'era industriale», Ibidem pp.169-234
157
accetta limiti. E fu questa assenza di limiti che causò la
sostituzione dei soggetti economici personali e di gruppo
guidati da un’etica in qualche misura solidale con una regola
impersonale ed indiscussa: il profitto. Ciò avvia e compie la
decadenza formale della città, ad iniziare con il Settecento che
si conferma appunto come il secolo della rivoluzione
industriale o meglio come il secolo della “grande
trasformazione”.
Ecco nascere un esercito di impiegati laici; nasce la scuola
elementare che doveva trasmettere le conoscenze necessarie
al controllo ed all'accertamento dei processi economici che
stanno alla base del profitto. Nascono la borsa, la banca
nazionale, il cambio dei mercanti, cattedrali del nuovo ordine
capitalistico.
Nonostante le resistenze teologico-morali all'usura, il
capitale liquido si dimostrò spietato nel dissolvere la
sovrastruttura medievale. E così, la concreta piazza del
mercato viene sostituita dall'astratto mercato sovranazionale,
svincolato da rapporti, regole, norme e costumi morali pur
facendo nascere una morale sua propria oppure prendendo
l'ispirazione da dottrine morali e facendone un'ideologia del
profitto.
Questa logica condusse non solo alla distruzione delle
restrizioni municipali, facendo preferire i sobborghi ai
quartieri urbani, ma attuò pure la sostituzione delle vecchie
strutture :frutteti, campi da gioco, antichi edifici, e delle
stesse corporazioni. In fondo, si compie e si riprodurrà poi in
forme sempre cangianti, il processo che ha condotto alla città
come potere non legittimo. La città del capitale, sia essa capitale
finanziaria o città del sud del mondo, riposa su di un comune
presupposto: l’accettazione della regola del profitto, del
guadagno e del consumo. Una regola che, se accettata, non
offre in cambio partecipazione, richiesta di legittimazione
critica della sua filosofia totale. Tale accettazione offre la
fruizione fantasmagorica e stimolante della cultura dei
consumi, una cultura che permea acriticamente ormai il
quotidiano del nostro vivere urbano.
158
Nascono le regole della nuova morale.
Temperanza, abnegazione, ordine sistematico di vita (una
nuova ascesi), la rinuncia ai piaceri immediati divengono una
morale per ottimizzare gli affari. L’etica puritana sposa
l’ordine economico, ideologia e prassi della conduzione di
vita capitalistica. Gli orologi urbani sostituiscono quelli
solari. La fabbrica verrà sottoposta ad una supervisione
ferrea. Dalla libertà dalle restrizioni medievali si era passati
alla libertà delle corporazioni ed ora alla libertà dell'iniziativa
privata senza alcuna restrizione in favore del benessere della
comunità.
Con il secolo XIX, regolamenti municipali iniziano a
regolare un poco i soprusi e le miserie, le differenze fra
quartieri occidentali ed orientali. Ma le materie prime
provenienti da paesi lontani, gli scambi internazionali e
l'organizzazione produttiva e commerciale in generale
sfuggono alla dimensione municipale. La vita urbana
tradizionale viene smantellata e sottoposta alla dimensione
impersonale del denaro e del profitto.
Le vecchie strutture vengono abbandonate e le nuove
divengono effimere causando la deperibilità degli impianti e
delle
strutture.
L'interesse
pecuniario
soppianta
gradualmente quello fondiario nel tracciato dei nuovi
quartieri urbani: si pensi alla distanza siderale che esiste fra
questi nuovi tipi di rapporto economico e quelli dell'enfiteusi.
Nascono allora gli slums che danno profitti abbondanti. Si
comincia a non comprendere più quale sia la natura e quali
siano veramente i fini della stessa città.
I trasporti e gli scambi subiscono un grande impulso
con la costruzione di porti fluviali e marittimi.
Decadono Firenze e Bruges, mentre fioriscono Napoli,
Palermo, Lisbona, Francoforte e Liverpool. Si costruiscono
banchine, magazzini e stazioni di caricamento, con una
sterminata manovalanza senza corporazione.
Scarsa è l'innovazione tecnologica, in quanto questa
attività non è integrata nella città, come invece lo erano gli
arsenali di Venezia, i magazzini del sale di Lubecca o quelli
di Amsterdam (nati nel XIII secolo ed attivi ancora nel XIX).
159
Lo stivatore e facchino dei docks sono organizzati
dall'iniziativa privata; il degrado di queste aree si diffuse agli
altri quartieri della città diffondendo malattie fra le quali la
sifilide. Queste zone andarono in buona parte distrutte nel
secondo conflitto mondiale e vennero ricostruite su progetti
dei moderni urbanisti.
Fatta eccezione per i porti francesi di Le Havre e
Cherbourg (opera di Francesco I e Napoleone), i porti
dell'economia capitalistica ottocentesca testimoniano della
scarsità e povertà di strutture portuali e tecnologiche, in
contrasto con il diffondersi della contabilità commerciale,
dimostrando come la regola fosse una malintesa
esasperazione del solo profitto.
E' in base a questa logica del puro calcolo che la città si
amplia tenendo conto unicamente di unità standard che si
possono comprare e vendere, unità rettangolari che
ubbidiscono prevalentemente alla parcellizzazione ed alla
funzionalità commerciale. Con questo strumento, l'ingegnere
riesce a progettare una città senza alcuna competenza nella
organizzazione dei servizi o in sociologia, secondo la
strumentazione ancor oggi prevalente, ovverosia egli
pianifica e progetta secondo gli standard fungibili sempre e
comunque. Con questo criterio di base, la città può
espandersi in ogni dimensione, limitata solo dagli ostacoli
naturali o dalla funzionalità dei trasporti pubblici.
Nasce una città con una pianta di tipo inorganico, ovvero
una città che risponde al criterio della funzionalità degli affari
e non ad altri criteri. La stessa sovrabbondanza dello spazio
delle arterie urbane sta ad indicare il prevalere dello
scorrimento sugli spazi di vita comune. Questo schema segue
l’idea ed è simbolizzato dalla pianta reticolare. Istruttivo
risulta il paragone fra il reticolo irrispettoso della collinarità
di S. Francisco e della utilizzazione delle scorciatoie e delle
scalinate di Siena.
Persino l'esposizione solare, ai venti, la salubrità delle
aree non vengono prese in considerazione dall'applicazione
della zonizzazione radicale. Se questo orientamento
urbanistico e questa impostazione di governo del territorio
hanno una evidenziazione eclatante nella progettazione
urbana, questo modello trova applicazione anche nelle
160
espansioni degli abitati minori, con risultati spesso
esteriormente funzionali ed eleganti ma capaci di decostruire
il tessuto delle relazioni sociali comunitarie di quartiere e di
villaggio. Ovviamente, questo tipo di suddivisione favorisce
il massimo grado di speculazione.
Persino le aree per costruire edifici pubblici trovano
difficoltà ad essere recuperate in questa logica reticolare. Tale
schema di suddivisione è, in linea di principio, un fallimento
urbanistico, poiché l'urbanistica è un processo assai
complesso, un contemperarsi di interessi pubblici e privati.
Reticolo speculativo e sistema dei trasporti pubblici si
abbinano nella espansione urbana ottocentesca, dando
assicurazione di fronte agli enormi investimenti volti ad
assorbire aree urbane e periferiche nel gioco degli
investimenti.
L'anonima pianta reticolare della città disattende
completamente le funzioni sociali presenti e potenziali della
città e divorate dalla speculazione. Questa è la ragione
fondamentale della sparizione della piazza nella città
reticolare.
Da questa logica nasce la distruzione di tutti gli elementi
naturali presenti nell'area occupata dalla città. I fiumi
divengono fogne, le zone di porto inaccessibili, il traffico
abbatte edifici monumentali, gli spazi di svago sono
eliminati.
Solo con il 1870, si inizia a porre attenzione agli spazi per
bambini, ma le strade vennero assogettate al traffico, oppure
fatte assurgere a simbolo solo monumentale del progresso e
non di incontro relazionale. Le urbanizzazioni costose
vengono piegate alle logiche della città reticolare e da queste
sostenute. L'urbanizzazione costosa, con ampie strade,
costose pavimentazioni, costose fognature ed altre
infrastrutturazioni, fa ricadere i costi sull'intera città.
Il fenomeno della espansione urbana diviene un
fenomeno fra i più cospicui del tempo moderno,
trasformandosi, altresì, in un enorme business sotto ogni
punto di vista: fondiario, imprenditoriale costruttivo, del
mercato delle aree e dei servizi, commerciale, industriale, dei
trasporti. La regola divenne, pertanto, rendere tutto mercato.
Alle volte, misure economiche per i salari, per il trasporto o
161
per altre infrastrutture, vengono adottate al fine di rendere
concorrenziale la città e per accentuare e far prevalere
pertanto la sua dimensione di mercato.
Il capitalismo che ha condotto il profitto sino allo spasimo
dimostra di non aver fatto un calcolo adeguato: Place
Vendòme, alla lunga, apporta un beneficio molto maggiore di
uno sfruttamento cieco ed invivibile; fu ed è pertanto un
errore escludere dal calcolo la dimensione della convivenza
umana.
Gli ideali aristocratici, quelli dei ceti abbienti o delle
corporazioni, e più tardi quelli dei cittadini che cercano la
partecipazione cercarono di andare in controtendenza. Forse,
per il disegno della città moderna, la cultura non seppe
produrre un ideale alternativo e nemmeno adeguati antidoti.
Il traffico
Il dominio del criterio commerciale fece sparire
addirittura la distinzione fra arteria di scorrimento dei veicoli
a ruote ed il corso. Viene così sacrificato il rione, la zona
tranquilla e vivibile. Il corso veicolare assorbe anche il
mercato, antichissima forma urbana che perde, così, la
propria identità. La possibilità di raggiungere il luogo di
lavoro a piedi sparì con l'introduzione dei mezzi di trasporto
più veloci (diligenza, ferrovia e tram). Ciò significò la
possibilità di un'espansione senza limiti della città.
La nascita degli agglomerati e della città regione si
accompagnò ad un allargamento smisurato della città, ad un
aumento dei tempi e dei costi di trasporto, per cui il
vantaggio per il trasportato è a somma zero: il tutto
controllato da un solo imprenditore, mentre l’utente viene
favorito sulla tariffa quasi a prescindere dall’espandersi dei
tempi di percorrenza.
Un altro errore, diffuso dall'America del Nord al resto del
mondo, è la costruzione in altezza. Essa induce un aumento
del traffico veicolare, pone problemi di viadotti, garages, aria
inquinata: la città ammala se stessa.
L'errore della città commerciale dell'Ottocento fu quello
di essersi illusa che l'aumento illimitato della circolazione
veicolare avrebbe prodotto ciò che, al contrario, soltanto la
162
dimensione pedonale può produrre, ovvero la vivibilità
sociale dello spazio.
E questo errore ne produsse un altro: credere che
risolvendo il problema del trasporto si sarebbero risolti anche
i problemi di altra natura della città: quelli degli spazi
comuni, della convivenza, dell'incontro, della salubrità ecc.
Congestione irregimentata
Il sovraffollamento prodotto dai fattori summenzionati
nella città ottocentesca doveva essere regolamentato. Il modo
più logico sarebbe stato quello di controllare le forze che
stavano spingendo la popolazione a sovraffollare la città.
La crescita spietata degli affitti urbani provoca una
utilizzazione intensiva dello spazio, conducendo alla
accettazione della miseria come condizione normale. Un
fenomeno non nuovo: nel '600 in molte città europee un
quarto della popolazione urbana era costituita da avventizi e
mendicanti.
Paradossalmente, ed a favore delle classi inferiori, la città
ottocentesca degradò per tutti i ceti; essa venne ad essere
costituita da slums, semi--slums e super-slums, nella
descrizione che ne fa Patrick Geddes54. Nasce, come uno dei
rimedi, sia pure parziali, la filantropia che diede origine, in
alcuni esempi, ad abitazioni che diedero alloggio unicamente
a ladri e prostitute concentrando la marginalità, fenomeno
che, pur con modalità meno crude, si ripete anche oggi con
l’applicazione del modello dell’edilizia economico.
Carenza di spazi comuni, per i giochi dei bambini, per la
vita comunitaria si accompagnarono all’angustia interna
degli spazi. E' così che nasce lo slum.
Il nuovo mercato urbano
Nel nuovo mercato urbano, il luogo del mercato
tradizionale rimane ma si restringe ad un luogo ben
delimitato nella domanda, anche se caratterizzato dalla
presenza popolare. Spariscono il negozio con retrobottega;
prediligendo gli spazi lussuosi per prodotti già preparati.
Produttore e consumatore diventano più anonimi, nasce la
54
Geddes, P., Città in evoluzione, Milano, Il Saggiatore 1970
163
capacità del produttore di condizionare la domanda, ed ecco
sorgere la Moda e l'ostentazione sociale di cui divennero
portatrici soprattutto Venezia e Parigi che la sostituisce nel
Seicento, ruolo poi assunto dalle capitali di ogni paese.
La capitale barocca vede come un pregio sprecare risorse
nell'accentramento attraverso i trasporti, convinta che tutto
viva come polarizzazione ed irradiazione dalla città
principale. Il grande magazzino e poi il supermercato
sostituiscono la piazza del mercato disponendola su più piani
ma riducendo la relazionalità della contrattazione e la
socialità.
Tutto in questa città diviene misurato in unità astratte e
fungibili, fatte per decadere ed essere sostituite, per
autoconsumarsi. Una delle poche forme che sfuggono a
questa logica sono le gallerie di vetro: Genova, Londra,
Napoli, Bruxelles, Milano, mirabile esempio del commercio
frammisto alla promenade, alla socialità lontana dal traffico
veicolare. J. S. Buckingam e E. Howard nelle città giardino
misero sottovetro la città dei negozi55. Si tratta in effetti di
eccezioni, poiché esse violano la prima legge della città
commerciale.
Amsterdam fa eccezione. Questa città entrò nella fase della
libera concorrenza senza perdere la sua forma. Una forma
fondata sul mirabile sfruttamento delle acque che sono:
comunicazione, trasporto, paesaggio. Il sistema delle dighe,
le case costruite su palafitte e l'impossibilità di espandersi in
ogni direzione, tutto ciò portò ad un'inevitabile espansione
controllata
dalle
municipalità
che
concedevano
autorizzazioni ove fosse possibile urbanizzare; in tal modo il
capitalismo fu costretto ad agire entro questo ordinato
sviluppo.
Amsterdam divenne, per motivi geografici, di sicurezza e
di organizzazione, un efficace porto commerciale assicurando
vendite veloci, sicure, magazzini capaci, credito ed ottima
55
Howard, E., Garden Cities of tomorrow, London, Faber and Faber
1965. Ed it.: La città giardino del futuro, prefazione di F. J. Osborn, con
saggio di L. Mumford “L’idea della città giardino e la progettazione
moderna”, Bologna, Calderini 1972.
164
amministrazione, adeguate assicurazioni; Amsterdam seppe
commerciare con chiunque.
Dal 1500, la città dispone ed impone una
regolamentazione costruttiva ed igienico-sociale severa.
L'espansione avvenne costruendo canali concentrici, strade e
zone di espansione. Un'espansione in cui l'iniziativa
municipale si affiancò alla necessariamente regolamentata
iniziativa privata. Ed ancora. Certe aree vennero riservate a
piazze, chiese, mercati rionali. Le decorazioni arboree che
costeggiano i canali evitarono l'irregimentazione del
classicismo barocco. Al retro degli edifici vi sono spazi verdi
per il giardinaggio (m 8/25). Solo recentemente quest’area è
minacciata dall'automobile.
Amsterdam non fu tuttavia un equilibrio perfetto. Tale
equilibrio si realizzò dove la mano pubblica fu presente e
dove i mercanti furono costretti a tener conto della
dimensione civica. Dove essa cedette, il capitalismo mostrò il
suo volto peggiore; la trascuratezza delle abitazioni gradevoli
e degli spazi liberi ed il massimo sfruttamento ebbero il
sopravvento.
La città commerciale del nostro tempo diviene uno sfondo
per la pubblicità, trascinando in questo ruolo storia,
monumetalità, antiche funzioni sociali ed anche quelle
commerciali-comunitarie.
165
166
Coketown56
Il modello della città paleotecnica, chiamata coketown,
costituisce l'emblema del periodo classico del capitalismo
urbano occidentale. Questo modello riesce a rendere
recessive attività quali la religione, l'arte, il divertimento.
Con il Cinquecento, il capitalismo estende i propri
tentacoli sulla città trasformandola in una funzione
commerciale. La città diviene allora una condizione dei
cittadini, da condizione che era stata la condizione propria
degli schiavi delle miniere. La città servì, dunque,
prevalentemente alle esigenze produttive, commerciali, di
trasporto, di produzione, sino all'accumulo dei rifiuti.
Gli urbanisti partirono da questa situazione per dire ciò
che doveva essere evitato. In fondo, questa nuova città, che
succedeva allo sfaldarsi della corte, diviene una città che si
dedica allo sfruttamento industriale ed all'espansione
finanziaria; essa finisce per dedicarsi a questi obiettivi,
spacciandosi per luogo della democrazia.
Mentre il nobile sogno barocco era un sogno nobileborghese, fatto di piacerei della vita, la nuova città scommette
e punta sugli sforzi produttivi tout-court, sull'avidità di per
sé, quasi un'ascetica da produzione, una rinuncia a tutto in
nome del profitto, volgendo le spalle al passato, ai piaceri,
alla dimensione umana, costruendo un mondo che sarebbe
stato distrutto con spietato rifiuto, una volta creato.
Banchieri, industriali e inventori sono i responsabili della
Coketown dei Tempi difficili di Charles Dickens 57. Una città
orribile per tutti: abolizione delle corporazioni, instabilità
sociale, mercato del lavoro, mercato dei prodotti, colonie
come approvvigionamento per le materie prime e per le
eccedenze della produzione e del mercato. Carbone,
siderurgia, macchina a vapore. Società a responsabilità
limitata, società per azioni, contabilità e bilanci, revisioni e
56
Castronovo, V., «La città nell'età industriale», in: Pugliese
Carratelli G., Principi e forme della città, cit. pp. 169-234. Heigl F.,
Geschichte des Städtebaus, cit. pp. 187-227.
57 Dickens, C. Tempi difficili, 4. ed., nuova ed., - Milano, Garzanti,
1988. Tit. orig. Hard times for these times.
167
controlli, organizzazione delle fabbriche, l'uomo-atomo
individuale enfatizzato come libero, praticamente schiavo
(non ancora presente in A. Smith, ma presto ottenibile con
l'aggressività della potenzialità del cittadino).
Lo straordinario aumento demografico sul pianeta
coincise con la concentrazione delle eccedenze nelle città,
accompagnata dalla industrializzazione. In presenza della
pressione di questo fenomeno, gran parte della popolazione
cercò di sfuggire alla miseria del luogo di origine, dando vita
al grande inurbamento.
Lo sviluppo demografico fu reso possibile dall'enorme
aumento delle risorse alimentari, si costruì con grande
celerità, oppure si cercarono soluzioni insediative di ripiego e
di improvvisazione.
Il 1800 rivaleggiò con l'Alto Medio Evo nella
colonizzazione su vasta scala. Ma questa seconda
colonizzazione è affidata ai singoli ed ai gruppi che si
affidano a loro volta totalmente alla fortuna.
La città dell'800 non presenta vantaggi sulle città del 600.
Queste ultime erano città che non presentavano una forma di
amministrazione politica ed amministrativa autonoma, esse
sono prevalentemente ammassi di uomini e di macchine.
Concezione paleotecnica della città
La città venne concepita urbanisticamente solo dalle
strumentazioni metodologiche offerte dai filosofi della
natura; secondo un ordine meccanico che non è proprio né
dei gruppi sociali, né della persona umana. Solo la macchina
poteva impersonare quest'ordine e solamente il capitale
poteva costituirne la forma corporativa.
Anche la città odierna appartiene, secondo una logica
prevalente, a questa concezione paleotecnica, quella che era
stata degradata e brutalizzata dalla miniera; il contrario della
forma disciplinata costituita dall'agricoltura che si pone come
ponte fra l'ambiente incolto e l'uomo. In questa città, domina
una produzione che ruota e continua, mentre la miniera
esaurisce la ricchezza ed è seguita dall'abbandono, non prima
di aver guastato l'ambiente, con strade, depositi, frastuono di
locomotive, fumo, fabbriche sciatte.
168
Siamo dunque in presenza di un fenomeno di
decostruzione (Abbau) che si estese alla maggior parte delle
città industriali. Un fenomeno simile a quegli organismi che
si atrofizzano e perdono la ricchezza della loro complessità.
Si attua in questa dimensione urbana un servizio postale e
di trasporto universale, con grandi e rapidi mezzi di
locomozione, masse di uomini sincronizzati, differenziazione
legalmente riconosciuta fra mestieri, professioni ed
organizzazioni.
La decostruzione dell'ambiente ed anche del mondo
animale si estende inesorabilmente, la natura viene sfruttata
con la logica della miniera, con una modalità di produzione
che non prevede il ricrearsi delle risorse. Decostruzione che
coincise prevalentemente con la connotazione dell’ambiente
urbano.
Utilitarismo
Al concetto della Fortuna, proprio della decadenza greca,
si sostituisce una concezione che ha un fondamento teologico:
la provvidenza che guida le azioni incontrollate degli
individui verso un piano che attua il bene pubblico e
collettivo.
La città caotica industriale dell'Ottocento ubbidisce a
questo presupposto del laissez faire utilitaristico: il caos non
va pianificato.
Questa teoria era, di fatto, un affrancamento dalle reti dei
privilegi e dai regolamenti delle città medievali. A tutto
questo impianto del passato si oppose appunto
quell'orientamento politico economico che va sotto il nome di
liberismo.
In realtà, questa ipotesi si manifestò come ingannevole
favorendo di fatto monopòli e diseguaglianze sociali. Il fronte
della classe capitalistica, dal canto suo, si mostra compatto
nel fronteggiare la classe proletaria.
La scelta delle funzioni produttive, residenziali, le
infrastrutture ed i servizi furono decisi dall’iniziativa privata,
al fine di accumulare profitti. E ciò distrusse ogni forma di
cooperazione e di pianificazione comune. Gli utilitaristi si
169
attendevano che ciò scaturisse da un ordine superiore
provvidenziale, ordinatore della libera concorrenza.
L'espansione urbana di quel periodo è esemplificata dallo
sviluppo demografico esponenziale della città di Manchester:
1685: 6.000;
1760: 40.000;
1801: 72.000;
1851: 303.000.
Una simile crescita demografica fa intuire agevolmente
quali trasformazioni territoriali, di organizzazione dello
spazio e della struttura sociale debbano essere avvenute nella
realtà urbana.
Agglomerazione
Mentre, all'inizio, l'utilizzo della manodopera rurale
diffuse la produzione tessile nelle campagne, sfuggendo alle
regole che avrebbe imposto la città, in seguito si cercò di
utilizzare l'energia idrica delle zone montagnose ed, in un
terzo periodo, l'introduzione dell'energia a vapore e del
trasporto ferroviario, concentrò le industrie nelle aree
carbonifere, presso gli snodi ferroviari, facendo decadere
demograficamente le aree rurali.
La congestione urbana è anche un'enorme concentrazione
di manodopera, ovvero di miserabili che vivono al limite
della sussitenza.
La forma della città paleotecnica
Questa forma di città perde gli elementi propri della città
neolitica, i luoghi dove si concentri l'incontro, la relazione e
l'eredità sociale, se non in forme quasi raggrinzite; così per i
servizi d'acqua, per la religione, l'arte, l'amministrazione
politica gli spazi vengono proporzionalmente ridotti sia
materialmente che simbolicamente.
La posizione dominante è assunta dalla fabbrica, vicina
alla banchina, al fiume ed al canale che divengono allo stesso
tempo rifornimento e via d'acqua nonché scarico.
Conseguenza di tutto questo: aria ed acqua inquinate,
insalubrità e malattie.
170
Le abitazioni vengono costruite senza una pianificazione,
in un guazzabuglio di fabbriche, edifici commerciali e
domestici, anche muro a muro. Si tratta di abitazioni con
poca luce, vi sono immondizie nelle strade, latrine in cantina,
maiali per le strade (a Manchester nel 1843-44 esisteva un
gabinetto ogni 212 abitanti).
Le città non riescono a costruire abitazioni a sufficienza e
si cominciano ad abitare gli scantinati.
Febbri tifoidi, mancanza d'acqua (con distribuzione
razionata, acqua che veniva mendicata), mancanza di servizi
municipali, proliferazione di asili per mendicanti, pensioni
per avventizi e promiscue; mancano spazi aperti e pubblici,
per il gioco dei bambini. Anche se l'organino, il ciarlare
d'osteria, i rapporti di vicinato danno, nelle strade più
povere, un segno di umanità la condizione complessiva è
pesante. Solo alcune città industriali, legate a tradizioni rurali
ebbero condizioni migliori.
Fatte le debite proporzioni, anche le abitazioni borghesi
erano qualitativamente scadenti (quelle che Patrick Geddens
definisce come super-slums).
Esempi di quartieri paleotecnici esistono ancor oggi in
non poche città occidentali. Ed ancor oggi non ci si rende
conto di quanto rimane nell'urbanistica della distruzione
della concezione dell'abitare portata con sé da questa
rivoluzione urbana paleotecnica.
Mutamento
La borghesia, a partire dal 1830, comincia a dotarsi di
gabinetto, stufa in ferro, vasca da bagno, luce, afflusso e
deflusso dell'acqua. Cose che per tutto il periodo paleotecnico
non vennero estese alle masse.
L'arredamento, le oleografie, le cianfrusaglie, le stesse
immagini religiose, quali elementi dell’abitare propri delle
epoche precedenti, subirono un radicale degrado.
Il secolo del progresso produce uomini degradati,
rachitismo, malformazioni, vaiolo, tifo, scarlattina, faringite
settica, tubercolosi, bronchiti, polmoniti, malattie da lavoro.
Nelle città si registrano alti tassi di mortalità degli adulti ed
infantile, rispetto all'ambiente rurale (1810: New York 120171
145 morti su mille abitanti; 180 nel 1850; 240 nel 1870).
Insomma, una vita urbana degradata forse come mai nella
storia, una vita degradata che tuttavia, data la visione del
mondo è ritenuta normale.
Altro mutamento: verso una nuova urbanistica
Si cominciò a reagire innanzitutto sul piano dell'igiene
pubblica, a partire dalle prigioni e dagli ospedali del
Settecento.
Condutture smaltate ed in ferro per l'acqua e per lo
smaltimento permisero di migliorare le condizioni igieniche.
Si cominciarono a costruire villaggi per gli operai. Si
cominciò a progettare spazi verdi, parchi per un'aria più
pura. Pasteur portò l'attenzione sui microorganismi da
combattere con la pulizia e l'igiene oltre che con i vaccini. Le
sostanze cancerogene che infestano l'aria delle città vengono
ad essere riconosciute e messe sotto accusa.
I servizi urbani passarono all'iniziativa pubblica che si
avverò con il socialismo municipale di Beatrice e Sidney Webb e
che troverà forma nuova nella città giardino di Ebenezer
Howard (ognuna doveva avere 32.000 abitanti per 2.500 ha di
terreno); Richardson prevede 100.000 abitanti su 1600 ha.
proponendo un sistema di piccoli ospedali per 5.000 abitanti,
richiamando il capillare modello medievale.
Haussmann libererà Parigi da aree di terribile
sottosviluppo. Ancor oggi, non si è saputo sfruttare il potere
battericida della luce solare diretta, cosa che la città
paleotecnica aveva distrutto e che apparteneva invece a
modelli abitativi precedenti.
Un elemento della città neotecnica è il passaggio dal
carbone all'elettricità (Patrick Geddes). A ciò si affiancano
tutti gli elementi per l'igiene che introdussero mutamenti
sostanziali nella organizzazione sia dell’abitazione sia
dell’area residenziale e nella qualità ambientale.
L'industria viene, a sua volta, allocata entro un suo
spazio, un elemento cooperante nel tessuto urbano e non un
elemento sovrastante. Nasce il modello che viene definito
dello Welfare State, modello che segna una svolta nella
172
politica pubblica rispetto agli individui ed ai ceti in difficoltà
o marginali.
Alcuni errori vengono tuttavia perpetuati. Un esempio
per tutti, significativo perché strutturale: l'introduzione nella
città di ampie arterie di scorrimento, anche se sopraelevate,
attraversate da percorsi ferroviari.
Un altro errore è aver sviluppato l'ideale della città
sotterranea. Negozi, trasporti, attività che fanno vivere uomini vivi
sotto terra, con luce artificiale ed aerazione forzata, con costi
molto elevati. Oggi si riflette in modo diverso su ciò che può
essere attuato sotto terra. La «società a rischio»58 e la penuria
di spazi da urbanizzare fanno apparire come una soluzione
accettabile gli spazi in roccia, quelli interrati, la protezione
che ne consegue e la ferita meno visibile all’ambiente.
La città neotecnica ha poi sviluppato gas tossici,
radiazioni nucleari, distruzioni nella stessa ionosfera,
dell'ozono, con danni superiori a quelli prodotti dalla città
paleotecnica.
L'uomo della città paleotecnica deve probabilmente
reimparare a vivere in superficie, convincendo i governanti a
disimparare la guerra ed a fermare la distruzione del mondo,
ad apprendere l'arte della vita.
Il suburbio
Le forme di vita suburbana sono storicamente assai varie.
Esistettero nelle stesse città mesopotamiche, furono presenti
nel periodo medievale, in quello rinascimentale come forma
patrizia e poi borghese di vivere in ambiente salubre, lontano
dalle convenzioni ed insieme con tutte le opportunità urbane.
Per divenire, nei periodi più recenti, una sorta di caricatura
urbana con territori costruiti a tappeto ed irregimentati nel
verde, secondo modelli di vita massificati.
Esistono, certamente, forme sontuose di vita suburbana,
dalle ville venete, a quelle sui laghi del Nord Italia e di tanti
altri paesi e regioni, a quelle connotate dalle ville sul mare.
Quando l'area suburbana viene raggiunta dalla ferrovia e
da arterie di trasporto, essa viene costruita, si cerca, in un
secondo momento, di evitare l'isolamento rurale e la carenza
58
Beck U., Risikogesellschaft, München 1988.
173
di servizi; nasce così l'espansione dell'area urbana, facendo
sparire il vantaggio dell'area del sobborgo, divenendo
un'appendice della città sia per i costi, per i servizi ed anche
per la violenza e la criminalità (secondo varie
differenziazioni).
Forse, il sobborgo è una resa alla sfida che avrebbe
dovuto invece condurre ad una riorganizzazione e
pianificazione interna della città.
Uno dei costi delle aree di suburbio americano sono le
decine di migliaia di morti in incidenti automobilistici, di
feriti e di invalidi per il pendolarismo verso la città. La vita di
sobborgo del cittadino è priva di provocazioni, tensioni e
stimoli urbani («una pura, disperata, ordinatissima noia»,
come disse Kipling nel 1896).
Il sobborgo diviene una concezione infantile che sacrifica
la vita all'ambiente, con prevalenza di un nuovo matriarcato
e con l'informazione filtrata dagli schermi televisivi.
Il problema del sobborgo, ed anche la sua potenzialità, è
quello di come esso possa interagire con la campagna.
L'urbanistica suburbana diede risultati eccellenti (vedi:
Raymond Unwin, Nothing Gained by Overcrowding)
diminuendo il numero inutile delle strade di scorrimento,
eliminando i marciapiedi inutili, ampliando i giardini,
schema praticabile anche in città, creando più parchi aperti
garantiti da un controllo possibile solo all'azione municipale.
Inoltre il traffico deve scorrere fuori dalle zone residenziali.
L'esperienza del sobborgo sembra condurre verso la
decisione di progettare nuove comunità di livello migliore
anche se si tratta di un progetto complesso.
Il sobborgo diviene, a sua volta, un'entità rionale capace
di recuperare partecipazione democratica e vita comunitaria,
culturale e associativa. Ritornano sia l'idea del quartiere della
città mesopotamica come pure le caratteristiche della vita
sociale della polis greca come esigenza centrale: tempo libero,
distacco dalle occupazioni più volgari,, preoccupazione per il
bene pubblico come autogoverno.
Si aggiunga che la città moderna ha maturato
l'aspirazione alla soddisfazione nel lavoro come elemento
importante. Di rilievo sono anche i centri rionali, quelli per
174
l'attività culturale anche partecipata e la vita amministrativa
locale che divennero la base per i centri scolastici e per quelli
culturali; elementi che confluirono nella struttura
polifunzionale di Perry nel 1920, idea che venne sviluppata
anche da Henry Wright e Clarence Stein che ripresero la
proposta di Unwin e di Radburn; quest'ultimo propose di
separare le strade di traffico dalle strade pedonali come reti
indipendenti.
Purtroppo, l'attuale quartiere suburbano assomma
solamente i difetti originari: snobismo, segregazione, caccia al
prestigio, irresponsabilità politica. Queste cellule sono i segni
della città che scompare e di un individuo dissociato.
Benché, centri commerciali, alberghi, assicurazioni si
disseminino sul territorio urbano, al fine di diminuire gli
spostamenti ma anche perché questi sono i poli che
determinano la città e l'urbanistica, il risultato è che queste
realtà suburbane nulla hanno a che fare con i centri urbani
nei quali dovrebbe pulsare la vita cittadina.
Queste forze, se non controbilanciate ed opportunamente
rapportate con il centro, distruggeranno la città.
Le aree verdi che separano i sobborghi, come unità
urbane, dovevano essere protette dall’aggressione delle altre
funzioni urbane(fu il consiglio di Alfred Marshall nel 1899).
Invece si andò verso Megalopoli che non è l'estensione dei
vantaggi della città alla città-regione; essa diviene piuttosto
anticittà: scompare la dimensione pedonale che viene
soppiantata dalla massa informe, si trasforma in rioni
assorbiti dalla conurbazione, senza più dimensione semirurale, cancellata dall'annullamento delle distanze con i
trasporti.
La massa suburbana è una massa di autisti e le abitazioni
vengono trasformate in semplici edifici ed in un parcheggio
che si allarga intorno agli ipermercati, agli aeroporti.
Lo spreco di spazio della superespansione ha dato la
mazzata finale alla vita del rione e del suburbio come
godimento dello spazio in quanto vita sociale.
Si pone qui una riflessione sul problema del trasporto.
L'eliminazione del mezzo di trasporto pubblico e lo spazio
175
riservato all'auto privata, la quasi impossibilità di percorrere
spazi a piedi, fanno della politica urbana un modello
dissennato; le città ammassano popolazioni che né i mezzi
pubblici, né le auto private riescono a trasportare
convenientemente.
Invece di distruggere la città per fare parcheggi, occorre
forse ripensare la città come città di abitanti con modelli di
percorso fin dove possibile pedonali, articolandoli con
modelli legati al mezzo pubblico, all'auto (per l'esterno) ed
all'aereo per le grandi distanze. Lo stesso dicasi per
raggiungere le aree industriali o i centri del terziario.
Ci si deve chiedere, per pensare ad una buona
urbanistica, se non si debba selezionare il veicolo a seconda
dei percorsi, impedendo all'auto di inquinare e dominare lo
spazio urbano. Uno spazio che deve avere come obiettivo
primo quello di essere abitato, vissuto socialmente e goduto,
non assoggettato all'automobile.
Il suburbio non può essere un’espansione rarefatta e
nemmeno la parte di Metropoli, ove dominano le autostrade
e le auto, dove vive la folla solitaria, folla che comunica con il
telefono, Internet, la televisione, la simbolica dell'area di
appartenenza senza autogoverno sociale.
Anche il limite della dimensione demografica gioca un
ruolo importante, accanto alla rete della funzioni e degli
spazi sociali necessari.
New Town
Nel 1904 ha luogo la sperimentazione della prima città
giardino di Howard (Letchworth): una proposta di comunità
equilibrata, partendo dall'analisi delle funzioni vitali in
rapporto all'ambiente urbano-rurale, cercando di far sì che
l'espansione non facesse perdere la coerenza, l'unità e la
necessaria differenziazione. Ad essere rivoluzionaria è la sua
forma urbana non la sua orticoltura. Howard non propone
una forma architettonica ma lascia all'arte dei suoi costruttori
definire i rapporti fra le parti.
Il difetto di questa concezione è di non aver tenuto conto
della complessità di interazione fra questi 32.000 abitanti e la
176
grande Londra; ma ciò è anche la forza di questa concezione;
la new town avrebbe saputo sviluppare in misura adeguata
la sua autonomia e la sua non separatezza da Londra.
Rimaneva comunque importante, per questa nuova realtà,
anche il controllo amministrativo dall'alto.
La rinuncia a questi modelli è dovuta alla decisione di
favorire il caos territoriale, industriale e demografico.
L'integrazione, come forza, deve forse partire dal fatto che
ogni città ha una dimensione di sviluppo che non può
superare ciò che il suo organismo è in grado di superare
rimanendo associazione ed organizzazione.
177
178
Megalopoli
Mai come in quest'ultimo secolo il fenomeno urbano è
riuscito a capovolgere il rapporto demografico, economico e
di potere città-campagna. Una concentrazione di dominio o
potere che ha contrassegnato, nella storia, il momento di
declino delle civiltà precedendone il crollo.
Questa nostra civiltà ha segnato due guerre mondiali,
sterminio di masse, annientamento di popolazioni di interi
continenti, dipendenza economica e culturale di popoli, ha
prodotto anche il fenomeno metropolitano, grandioso,
stimolante ma anche oppressivo e disastroso.
Risulta, allora, assai utile individuare i fattori che hanno
fatto nascere e messo in crisi Megalopoli. Molte città, giunte
all'orlo del disfacimento, hanno fatto ricorso ad una loro
vitalità interna per rinascere.
Sembra, secondo L. Mumford59 che i loro involucri
conservino elementi comuni alle forze dominanti della civiltà
attuale. Lo studio dei valori interiorizzati e «fatti cultura»
potrebbe aiutarci ad individuare queste forze per non
rischiare di intaccarle o di perderle di vista.
Indubbiamente, per quanto possiamo ricavare dalla lunga
storia delle civiltà, un rischio è costituito dalla perdita del
rapporto che l'uomo dovrebbe avere con l'aria, l'acqua, la
terra ed altri suoi compagni di viaggio.
La tecnologia si preoccupa oggi di «sostituire alle forme
organiche autonome, ingegnosi surrogati meccanici
controllabili e redditizi». Col togliere la possibilità di contatto
con la natura in città e con la sterilizzazione della campagna
(si ricordi questa fu una delle debolezze della polis) si
annienta la città ed alla lunga anche la civiltà.
La città sembra, comunque, ancora possedere la vigoria
culturale di invertire questo processo. Anche se i processi
meccanici hanno soppiantato i processi organici in molti
settori60.
Il principio dell'espansione economica, divenuto elemento
fondamentale della cultura politica e di governo, introduce
59
60
Ibidem p.656.
Mumford L., Tecnica e civiltà, cit.
179
l'oligopolio come strumento di dominio, passando attraverso
l'economia di produzione e di consumo. La città come
metropoli assorbe la città industriale, quindi la città regia e
quella aristocratica. Fabbrica, mercato, terziario e politica
obbediscono ad una logica comune, estendendo la stessa
logica alla finanza, all'università, al mercato, al terziario
tecnologico e culturale, riducendo la componente della vita
sociale organica ad elemento secondario.
I controlli messi in atto dalla metropoli svolgono le stesse
funzioni delle mura della città fortificata che è in grado di
eterizzare il proprio potere senza abbattere le mura.
L'industrialesimo non portò alla pace ma alla
irregimentazione,
forma
di
controllo
e
dominio
apparentemente pacifica ed ordinata, in realtà violenta. La
città moderna ha curato i sintomi della malattia della città
paleoindustriale ma non la malattia, ovvero non ha
esorcizzato il predominio del profitto sulla vita sociale intesa
come autogoverno comunitario e come rapporto organico
con lo spazio di vita.
La burocrazia, vituperata ed insieme esaltata, si affianca
ad una nuova trimurti: finanza, assicurazione, pubblicità.
Poteri che estendono il potere urbano a regioni estese, dai
confini imprecisabili. La metropoli ha nuovi tentacoli per
dominare il territorio ed aggregarlo a sé, offrendo la garanzia
del proprio marchio, legittimato dalla concentrazione della
ricchezza e dagli strumenti per gestirla, dalla
omogeneizzazione della popolazione, garanzia della stabilità
del dominio.
Esercito e flotte assurgono al rango di strumenti per
assicurare le forniture di Megalopoli che non è fenomeno
spontaneo bensì frutto di un disegno e di una possente
strategia. Nonostante le tecnologie, questa nuova Babele non
riesce a tenere il passo; tiene il passo del potere ma non
quello della qualità della vita che offre.
Il sistema ecologico diviene meccanico, l'espansione
incontrollata, i controlli invisibili, né riconosciuti né
legittimati, eterizzati, la forma che il sistema urbano assume è
quella della conurbazione, il suo orizzonte illimitato diviene
popolato, riempito di elementi indifferenziato, non più
compatto.
180
Si inizia a parlare di città regione, una realtà
territorialmente indifferenziata ma per molti e centrali aspetti
rigidamente controllata dalla città cui essa fa riferimento. Il
controllo viene esercitato sotto l'etichetta metropolitana.
In base a questa nuova gerarchia del potere urbano, il
locale61, l’autonomo, il piccolo, debbono essere soppressi,
manipolati, irreggimentati nella scala urbana, nel prestigio,
nella dinamica socio-culturale.
L'involucro originario di Megalopoli è scomparso o non
traspare dalla mappa generale che la rappresenta. Siamo in
presenza di uno spazio non più «comprensibile», di fronte al
quale anche il dominio sociologico diviene una categoria
spuria e pertanto sperimenta di fatto la sua impotenza. Si
afferma, meglio è dire si impone il potere come forza; una
potenza che è appunto forza non necessariamente legittimata
(qui sta appunto la sua dimensione non sociologica; per
questo questa potenza userà strumenti imperiali, attuerà
costruzioni di piramidi o di monumenti che trasmettano
l'immagine e non la convinzione, comunicando che la
legittimazione partecipata del potere non è un elemento
necessario alla composizione ed alla vita della città.
La città non è più un organismo vivo. I suoi abitanti,
liberati dalla schiavitù di Coketown, sono resi schiavi dello
spazio senza confini e dei consumi come unica sublimazione,
ammiratori apparentemente liberi della monumentalità del
potere.
L'immaginazione di questo mondo viene costruita con
un'invasione di carta illustrata e stampata, con la
rappresentazione televisiva, con quella della celluloide, della
telematica e dell'informatica, dalla ragnatela mondiale
(WorldWideWeb) che solo apparentemente è nelle mani degli
individui. In realtà, questi ultimi recitano il copione di una
cultura di megalopoli che nessuno sa mettere in discussione
poiché megalopoli sfugge alla comprensione; essa pertanto, a
ben guardare, preferisce solo trasmettere.
61
Il conceto viene oggi proposto da quegli autori che riscoprono la
dimensione dell'identità e del locale. Citiamo: Dickens P., Sociologia
urbana, Bologno, Il Mulino, 1992, capp. VI e VII.
181
La città sembra essere tendenzialmente, salvo rare
eccezioni, connotata da una costante e quasi congenita
carenza di reciprocità fra il potere implosivo che la rende
forte e possente e l’aspirazione comunitaria, solidale e
responsabile e partecipativa dei suoi abitanti e dei territori
circostanti. Essa, proprio per la sua incapacità di comunicare
e di interagire è condannata dall’essere il bellissimo e sterile
Narciso incantatore, condannato ad essere solo ed a cadere
vittima dell’autoammirazione. Qui sta la radice della
tirannide, dello strapotere e della illibertà: non tanto nella
mancanza di spazi e possibilità di espressione democratica
nella città, quanto piuttosto nel fatto che tali espressioni non
vengono considerate come componenti strutturali della città
stessa. Al contrario, tali espressioni sono spurie, estranee alla
città ed a megalopoli in particolare. E’ per questa ragione che
la città è sostanzialmente un’implosione di potere.
In questo senso, megalopoli può anche accettare che si
consideri il mondo come un villaggio. Ad esso mancano,
tuttavia, gli elementi che il paleolitico aveva formato come
senso dello spazio sociale. L'uomo di megalopoli è
certamente e forzosamente l'uomo behaviorista la cui regola è
il comportamento efficiente non l’uomo che domina lo spazio
costruendo i propri universi di senso.
E la carenza di senso si manifesta nella sempre più
problematica capacità di controllare sia i sistemi funzionali
sia le relazioni sociali della città. Forniture d'acqua,
disponibilità di aree, costi dei trasporti, presenza di cartelli,
di trusts e di malavita sembrano quasi incontrollabili dai
poteri pubblici ed anche da quelli internazionali.
La massa che vive e circola intorno al nucleo, assume una
tale dinamica ed una tale pressione da rischiare di farlo
esplodere, pur conservando esso una perdurante capacità di
attrazione sia demografica, sia di immagine, sia di
ammirazione, sia, ancora, della speranza di far rivivere, nel
centro urbano, nuclei comunitari e forme di vita sociale
originaria. Ma la città sembra in genere non ritenere che
questa speranza debba essere considerata elemento
connettivo della realtà e soprattutto della struttura di senso
di se stessa.
182
L’ambivalenza fra comunità e società che Max Weber
rintraccia nel capitalismo e nelle sue forme, anche in quelle
più smaccatamente zweckrational, trapelano fortunatamente,
ma non adeguatamente, anche in Megalopoli: nella sua realtà
composita, nei vicinati, nelle comunità di amici, nelle
solidarietà occasionali o strutturali; certamente compaiono
meno nella sua ideologia e nelle sue visioni del mondo.
E’ per quest’ultima ragione che le forme comunitarie
presenti in megalopoli hanno un carattere sostanzialmente
residuale,
sembrano
cioè
processi
spontanei
e
fondamentalmente marginali piuttosto che il frutto di una
politica strutturale della città; gli aspetti comunitari
sembrano dunque in antitesi con la cultura di megalopoli.
Rimane comunque assodato che le forze contraddittorie
presenti nel villaggio originario e nella città cui esso diede
origine sono presenti anche in Megalopoli ovviamente in
proporzioni e con un rapporto ben diverso con la potenzialità
della forma comunitaria. In modo precipuo la
differenziazione consiste: nella forza comunitaria con la
incisività dei suoi gruppi e dei suoi spazi ha un peso di fatto
quasi insignificante in megalopoli, nella strumentalizzazione
dei poteri della città tirannica come di megalopoli finalizzata
alla utilizzazione di ogni forma di potenza e forza al fine di
sottrarsi al controllo ed alla partecipazione alla gestione del
dominio e per sottomettere il territorio circostante. Ecco
l’ambivalenza di Megalopoli, ambivalenza sbilanciata
decisamente verso la forma di dominio che non ha bisogno
per sussistere ed operare di alcuna legittimazione
sociologica..
Anche in Megalopoli permangono pertanto forze di vita
comunitaria che prevalgono o cercano di convivere con le
forze distruttive, senza cedere o arrendersi, conservando
negli uomini, nella relazionalità, nella cultura, nei musei e
nelle comunità la forza che può ridare senso a megalopoli ed
agli spazi del mondo, benché ciò si scontri con la logica
persistente di questa forma urbana prepotente che, in luogo
di essere costruzione quotidiana e rinnovata di dominio
legittimato e pertanto condiviso, finisce per divenire
fortissima ma anche narcisistica e sterile implosione di
potere.
183
Verso quale città?
L'interrogativo che ci poniamo oggi non è soltanto verso
quale forma di città stiamo andando o verso quale città
andremo. Il problema è piuttosto quello di individuare
attraverso quali strumenti siamo in grado oggi di capire e di
rendere megalopoli un ambiente orientato alla vita come
centralità della nostra visione del mondo, quella che intende
restituire all'associazione umana il governo del sociale e dello
spazio, ovvero una simbiosi fra ideologia e struttura di
comunità e di megalopoli.
Ora, nel mondo occidentale capitalistico sembra non
esservi alternativa alla comunità autoorganizzata in quanto
capace di vivificare e di rendere meno prepotente e tirannica
la città. Tale constatazione si accompagna ad una conclusione
prevalentemente pessimistica circa la percorribilità di un
disegno urbano democratico. Infatti dalle prime forme di vita
socio-spaziale ad oggi, soprattutto a partire dalle città
ellenistiche gli interrogativi sembrano essere gli stessi.
Ciò, sia pure in presenza di un mondo urbano quasi non
comprensibile entro l'orizzonte fisico e delle logiche proprie
degli oligopoli del potere, non esclude involucri culturali
ancestrali e sempre vivi, appunto comunitari, che cercano
faticosamente di sopravvivere ed alle volte di far breccia nelle
mura virtuali e pertanto non scalfibili di megalopoli. L'uomo
chiede alla propria comunità, sotto varie forme, di ricondurre
entro le mura di una città ideale nuove capacità di
comunicazione e di solidarietà concrete e si scontra con un
dominio sommamente capace di trasmettere e non di
recepire e di comunicare.
L'attesa sembra essere quella antica: capire l'ordine
cosmico e maturare la decisione politica che deve governare e
non essere fagocitata dalla città. Un’attesa per la quale
occorre un tempio o sacro recinto nonché la cittadella della
politica.
Quella che potremmo chiamare «la città degli uomini»,
ovvero le forme di identità comunitaria, che vive dentro
megalopoli, cerca, oggi, di sprigionare una nuova energia
creativa per dare senso al mondo, con l'esito di cooperare per
dare senso allo spazio, alla convivenza nel diritto,
rappresentando tutto ciò nel teatro, nella letteratura,
184
soprattutto nell'autogoverno. I risultati sono invero ridotti,
assai ridotti. Megalopoli non appare scalfita dal ripetersi dei
tentativi, anche se tali tentativi rivestono comunque
un’importanza sul piano simbolico e come mantenimento di
una concezione del mondo.
Guerra, schiavitù, sopraffazione, cultura di morte, sono
passate quale eredità alla cultura urbana posteriore, alla città
ellenistica, a Roma, alle città fortificate ed a quelle che
attraverso l’implosione urbana del potere hanno progettato
ed attuato il dominio di forza sugli abitanti della città e sul
territorio circostante; la città è divenuta un termine di
riferimento storico ineguagliabile ma anche un termine di
contraddizione profonda, a ben pensare, ancestrale e quasi
fatale.
Oggi, i nostri riti si dividono fra potenti espressioni
simboliche legate drammaticamente alle potenti arti
tecnologiche ed in pratiche ed aspirazioni comunitarie,
culturali e sociali, manipolate dalle arti politiche,
praticamente impotenti. Il drammatico e quasi fatale esito è
che proprio nel sopraffare la dimensione comunitaria, la città
prepotente e narcisista si priva del libero consenso dei suoi
membri e predispone la propria possibile dissoluzione.
Il ricercare e, soprattutto, il dare senso alla proliferante,
fantasmagorica ed insieme oligopolistica tecnologica e
soprattutto politica forma dello spazio, affermando al
contempo il controllo individuale e comunitario su quello
iper- o an-organico riconosciuto nelle irregimentazioni
monumentali, tecnologiche ed ideologiche dell’arte politica,
rappresenta la reale sfida del nostro tempo. La politica della
scelta democratica può essere quella che riassume sia la
dimensione culturale comunitaria sia quella del controllo
partecipato dello spazio.
185
186
La storia della sociologia urbana e rurale:
i classici
La città in M. Weber
Sulla base di materiale del 1889, Weber elaborò questo
scritto probabilmente nel 1911-13, scritto che venne
pubblicato da Marianne Weber nel 1921 nell'Archiv für
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik (Archivio per la scienza
sociale e la scienza politica), ripreso, poco dopo, in Wirtschaft
und Gesellschaft del 1922; nella edizione di J. Winckelmann
porta un altro sovratitolo, ovvero: Die nichtlegitime Herrschaft
(Typologie der Städte).
Si tratta di un lavoro che propone lo sviluppo ed il
significato storico della città in occidente, particolarmente
nell'antichità e nel Medio Evo.
Dal punto di vista sociologico, la città è "un luogo,
un'allocazione di abitazioni contigue, che presentano un
abitare comune talmente complesso da far sì che venga meno
al rapporto di vicinato una conoscenza specifica, personale e
reciproca degli abitanti."62
Dal punto di vista economico, "parliamo di città ...
solamente ove la popolazione residente, o quella del
circondario soddisfi una parte essenziale delle proprie
necessità procurandosele sul mercato locale, o che altrimenti
il mercato ha prodotto."63 Viene qui introdotta una tipologia
economica della città che serve solo da strumento analitico: la
città di consumatori contrapposta alla città di produttori; la
artigianale contrapposta a quella commerciale.
In termini giuridici e amministrativi Weber mette in
evidenza il fatto che la città fu, nell'antichità come nel Medio
Evo, una fortezza ed una guarnigione, con un borgo o con
delle mura, cui è universalmente proprio un "borgo
signorile", un principato del borgo. Coloro che abitavano
dentro o nei pressi del borgo avevano una partecipazione
militare alla vita del borgo stesso: servizio militare,
62 Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft Mohr-Siebeck 1976, 6 revidierte Aufl., p.
727.
63 Ibidem p. 728.
187
riparazione o mantenimento delle mura, servizio di guardia e
di difesa; un complesso intricato di rapporti economicomilitari che caratterizza in modo sostanziale la costituzione
della città.64
La comunità della città assume, secondo Weber, le
seguenti caratteristiche:
1. la fortificazione,
2. il mercato,
3. un proprio giudizio (tribunale) ed in parte un proprio
ordinamento giuridico,
4. il carattere federativo dei ceti ed un’amministrazione
almeno in parte autonoma, cioè l’amministrazione da parte di
un'autorità di preposti "alla cui nomina i cittadini erano in
qualche modo partecipi"65, per cui lo status di cittadino
portava con sé dei privilegi, cosa che costituisce la
caratteristica della città in senso politico.
Per quanto concerne la collocazione storica di questa
entità, si tratta di una comunità urbana che esiste, almeno in
maniera massiccia, solamente in Occidente.
"Solamente qui (in Occidente) esiste un'associazione
federalistica con la rappresentanza di una comunità di
cittadini come tali. Questo concetto manca altrove pressoché
del tutto. Mancano anzitutto specifiche qualità di ceto degli
abitanti della città. Nulla di tutto ciò si riscontra in Cina, in
Giappone, in India, mentre segni iniziali si ritrovano
solamente nel vicino Oriente."66
Nell'esempio delle città della regione al nord delle Alpi
del periodo medioevale, Max Weber riconosce una forma di
socialità istituzionalizzata come federazione di cittadini,
secondo un proprio diritto comune e con il carattere di
affratellamento (Verbrüderung) che trovava la propria forza nel
giuramento di fratellanza cristiana; ecco il significato della
chiesa principale della città e pertanto dei santi patroni,
64 Ibidem p. 735.
65 Ibidem p. 736.
66 Ibidem p. 737.
188
dell'eucarestia, delle feste religiose ufficiali alle quali ad
esempio gli ebrei non potevano prendere parte.
Nasce una conjuratio (congiura nel senso etimologico di
unione in base a giuramento) che dà origine ad una
monopolizzazione delle possibilità economiche garantita dal
giuramento dei membri delle confraternite, ad una vera e
propria nobiltà gentilizio-carismatica, al patriziato come
dominio della progenie.
Max Weber studiò pure le città italiane sul finire del
secolo XI e le città dell'inizio del XII secolo, città dove egli
ritrova imprenditori urbani e artigiani, in contrasto con gli
ordini cavallereschi riuniti in corporazioni. Egli crede di
riconoscere un "popolo" che ha propri impiegati, proprie
finanze, proprio ordinamento militare, insomma uno stato
nello stato. Secondo l’analisi di M. Weber si tratta della prima
associazione
politica
coscientemente
illegittima
e
67
rivoluzionaria. Una lotta sanguinosa contro la nobiltà da
parte di questo nuovo soggetto sociale condusse alla nascita
dei consigli cittadini nei quali furono presenti anche le
corporazioni inferiori, mentre fu proprio la resistenza dei
nobili, di fronte alla pretesa di questi nuovi ceti di essere
riconosciuti legalmente, a provocare le lotte più sanguinose
nelle quali il sentimento di appartenenza del cavalierato e
quello di identità-ceto della borghesia si scontrarono
furiosamente.
In un recente saggio sulla città quale oggetto dell’indagine
delle scienze sociali, T. Krämer - Badoni68 riprende una
suggestione di altri autori, chiedendosi se Max Weber sia o
meno da considerarsi un fondatore della sociologia della
città. Ora, a detta di questo autore, definire il contributo di
Max Weber la “prima teoria della città” (Friedrichs) oppure
“una teoria economica della città (Bahrdt) rappresenta un
equivoco.
67 Ibidem p. 776.
68
Krämer Bdoni, Th., “Die Stadt als sozialwissenschaftlicher
gegenstand”, in AAVV, Stadt und Raum, Pfaffenweiler, Centaurus 1991,
pp.9-12.
189
Ciò che M. Weber aveva in animo di fare era, com’è
risaputo, individuare una spiegazione alla nascita del
capitalismo nell’Europa occidentale; egli attribuì questo fatto,
in particolare, agli elementi che si svilupparono nelle società
feudali del Medioevo, elementi che diedero origine alla
razionalità
occidentale
negli
ambiti
dello
stato,
dell’amministrazione, dell’economia, della scienza, del diritto
ecc.. Nell’ipotesi weberiana, nell’antichità appartengono al
processo di razionalizzazione della condotta di vita i poteri
religiosi e magici, poteri che fondano rappresentazioni di
carattere etico. Da questo quadro di riferimento, M. Weber
trae quell’”ordine sociale dell’Occidente” che costituisce
l’apparato delle condizioni necessarie alla nascita del
capitalismo moderno.
In questo complesso quadro di ricerca, l’interesse di
Weber per la città medievale si concentra quindi sul
mutamento delle forme di potere verso l’insorgere del
cittadino come individuo e della borghesia, della borghesia
urbana, elementi che preludono la nascita dei grandi
imprenditori industriali e formalmente dei liberi prestatori
d’opera salariati.. Storicamente, la città occidentale - e solo
questa - fu una complessa pappa dello sviluppo verso il
dissolversi della società feudale verso quella capitalistica.
Questo sarebbe il senso della tipologia weberiana della
città.69 La stessa definizione data da Weber della città
risponde a questo presupposto, cioè alla città medievale che
si trasforma in città del capitalismo occidentale.70 Anche
Saunders ritiene71 che la tipologia weberiana della città
risponda alla problematica specifica che : Weber ha di fronte
e che tale tipologia debba appunto mutare con la
problematica storica in cui la città viene collocata; per cui,
l’interesse è per il metodo idealtipico e non per la specifica
indagine storica.
69
Ibidem, pp.9-10.
Schreiner, K.,”Die mittelalterliche Stadt in Webers Analyse und die
Deutung des okzidentalen Rationalismus”, in Kocka, J., (Hrsg.), Max
Weber der Historiker, Göttingen 1986, p.119.
71 Saunders 1987, p.40.
70
190
Del lavoro weberiano, realizzatosi nella tipologia della
città, rimane rilevante la complessa problematica della
razionalizzazione occidentale, problematica che può essere
ulteriormente
approfondita.
Emblematici
rimangono
comunque alcuni elementi messi in evidenza: lo sviluppo di
una dimensione cittadina autonoma e la consonante
modificazione della legittimazione del potere; l’evolversi di
autonomi sistemi specificamente urbani giuridici ed
amministrativi; la nascita di economie urbane fondate sul
commercio, sulle arti e sui mestieri; così importante è anche il
settore dell’etica religiosa che conduce al primato del lavoro
professionale ed alla stigmatizzazione dell’ozio.
Il contributo di M. Weber contiene comunque due
importanti elementi: quello della ricchezza analitico storica e
quello della idealtipologia. Si aggiunga che la prospettiva del
processo di razionalizzazione occidentale potrebbe essere
affiancato a quello della individualizzazione da verificare in
chiave storica. La chiave teoretica, metodologica e
concretamente storica appartengono tutte alla accezione
sociologica weberiana, nessuna esclusa.
191
192
Sociologia urbana e rurale.
Approcci e Scuole
Premessa
Il termine sociologia urbano-rurale intende mettere in
evidenza e sottolineare una situazione di stretta connessione
e interdipendenza tra mondo rurale e realtà urbana.
Recentemente si preferisce usare il termine di sociologia
urbana e rurale, distinguendo così, pur all'interno di uno
stesso campo di studio, le due discipline. Negli anni più
recenti, infatti, l'interdipendenza tra città e campagna è
andata via via scemando. A ciò è dovuto il fatto che in luogo
della tradizionale denominazione di "sociologia urbana e
rurale" si sta affermando quella di "sociologia urbana e
regionale", oppure di "sociologia del territorio", come si vedrà
più avanti.
Filoni della sociologia urbana
La tradizionale presentazione degli approcci teorici
espressi dalle differenti scuole di pensiero si indicano
comunemente i filoni seguenti:
1) l’approccio ecologico
2) l’approccio socio-psicologico
3) l’approccio storico-istituzionale
1- L'approccio ecologico nasce in America ed ha la sua base
nell'Università di Chicago. Di qui il riferimento alla scuola
ecologica di Chicago i cui fondatori sono Park, Burgess e
McKenzie.72
In cosa consiste fondamentalmente tale approccio?
Similmente a quanto avviene per l'ecologia animale o
vegetale, i sociologi di Chicago hanno osservato l'esistenza di
una stretta connessione tra ambiente fisico e tipologie di
individui che andavano a localizzarsi in tale ambiente. Ad
esempio: l'immigrato a Chicago viveva nei quartieri poveri
72R. E. Park, E. W. Burgess, R. D. McKenzie La Città Edizioni di Comunità, Milano,
1979 (ed or. 1925).
193
fino a quando il suo lavoro non gli permetteva un reddito
discreto; quindi, con l'aumentare delle proprie capacità di
spesa, si trasferiva in quartieri migliori lasciando il posto a
nuovi immigrati.
In particolare uno dei risultati a cui giunsero gli studiosi
americani fu il seguente: a parità di caratteristiche personali,
la probabilità di diventare delinquenti dipendeva
dall'ambiente in cui gli individui vivevano. Ciò significa in
realtà che l'ambiente socio-spaziale è in grado di generare
fenomeni sociali. Ecco quindi che l'obiettivo dell'approccio
ecologico è quello di trovare corrispondenze tra fenomeni
sociali e ambiente. All'interno della città si individuano varie
"aree naturali" con le rispettive caratteristiche dei gruppi
sociali ivi residenti.
2L’approccio
socio-psicologico
invece
parte
dall'osservazione e dalla conseguente individuazione del
"tipo urbano" e del "tipo rurale" (intesi come persone) con
particolare attenzione agli aspetti relazionali e psicologici.
Sempre secondo tale approccio, il diverso modo di aggregarsi
e di socializzare nella città e nella campagna provoca due
differenti modi di vivere.
Il sociologo che per primo ha contribuito a evidenziare
tali aspetti è G. Simmel.73 Simmel cercò anche di spiegare il
perché della diversità riscontrata. Secondo questo autore,
l'individuo urbano è sottoposto ad una quantità elevata di
stimoli, dovuti soprattutto alla grande quantità di persone
con le quali interagisce. Il cittadino, non potendo interagire
concretamente con tutti quelli che incontra, finisce quindi per
assumere uno stile di vita "blasé", ossia distaccato e con la
tendenza a selezionare secondo la propria utilità le persone
con cui venire a contatto. Tutto questo porta ad una
attitudine al calcolo razionale ed insieme alla manipolazione.
Ci sono poi due correnti all'interno di questo approccio:
- i primi si possono definire come pro-urbani: in essi
predomina l’ottimismo, essi sono considerati progressisti;
73Simmel G. La metropoli e la vita dello spirito Armando, Roma, 1995.
194
- i secondi invece si possono definire come pro-rurali: in
essi predomina il pessimismo e sono considerati dei
romantici.
3- L’approccio storico-istituzionale si concentra sul tipo di
istituzioni che caratterizzano e differenziano città e
campagna.
Nel sistema rurale si ha un monismo istituzionale, cioè un
unico assetto politico determinato dal consiglio degli anziani.
Circa la fondazione della città abbiamo invece diversi
punti di vista:
- secondo Fustel de Coulanges74 l'origine della città è legata
all'istituzione religiosa; l’esempio si ha quando la città nasce
attorno al tempio:
- secondo lo storico Pirenne,75 invece, l'origine della città
sono il commercio, il mercato;
- ci sono poi altri punti di vista che attribuiscono
all'istituzione militare l'origine della città.
Il sociologo Max Weber sarà colui che darà unitarietà a
questi punti di vista differenti. Secondo lui la città è data
dalla compresenza delle tre istituzioni viste prima: religiosa,
economica e militare. Nella sua analisi Weber76 si riferisce ad
una città storicamente ben determinata: si tratta
dell'evoluzione della città occidentale dal medioevo ai nostri
giorni. La città occidentale nasce quindi da una pluralità di
istituzioni che si possono sintetizzare in mercato (istituzione
economica), tempio (istituzione religiosa e culturale) e
palazzo (istituzione amministrativa e militare).
Tale pluralismo istituzionale si rivelò di fondamentale
importanza nella storia evolutiva delle città in quanto fu il
fattore principale che permise l'innovazione. Mentre il
monismo istituzionale richiede la conformità dei cittadini ad
un'unica istituzione e la mancata conformità comporta
l'automatica esclusione ed emarginazione del "diverso", il
pluralismo istituzionale concede ai cittadini più alternative di
scelta. Come si afferma anche nel volume di F. Demarchi
74Fustel De Coulanges, M. D., La città antica, Sansoni, Firenze, 1972.
75Pirenne H., Le città del medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1995.
76Weber M., Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1962.
195
"Società e spazio"77, il regime urbano stimola il progresso,
consente la dinamica, e spiega la dominanza della città sulla
campagna.
Questi tre differenti approcci della sociologia urbana si
svilupparono attorno al 1920.
Come si articolano e come si evolvono tali approcci?
1- Approccio ecologico. La definizione è stata data
precedentemente. Nel corso degli anni '50 tale approccio si è
a sua volta differenziato in tre filoni:
a) L’approccio neo-ortodosso: mantiene l'impianto di fondo
dell'approccio ecologico iniziale. Gli autori più importanti
sono Hawley, Duncan, Quinn.78
b) L’approccio dell’analisi delle aree sociali. Autori come
Shevky, Bell, Tryon, mettono da parte il fondamento della
scuola di Chicago che ricercava corrispondenze tra aree
naturali (cioè con facile comunicazione interna e difficile
comunicazione esterna) e fenomeni sociali. E' questo ancor
oggi il filone più robusto e moderno.
c) L’approccio dell’ecologia culturale trova il suo maggior
esponente in W. Firey79. Secondo l'approccio ecologico
classico, esiste tra le classi sociali una vera e propria
competizione per l'uso dello spazio, cosicché le classi sociali
più elevate occupano le zone migliori. Per l'analisi ecologica
classica la posizione funzionalmente più pregiata delle città è
quella centrale. W. Firey contraddice questa teoria studiando
la città di Boston, che presenta un centro che può essere
considerato praticamente inabitato, in quanto in esso sono
custodite memorie sociali e storiche quali monumenti e
parchi. Ne deriva che non è solo il valore funzionale a
determinare l'uso dello spazio, bensì anche il suo valore
simbolico.
77Demarchi, F., Società e spazio, Istituto Superiore di Scienze Sociali, Trento, 1969.
78Hawley A. H., Human Ecology. A Theory of Community Structure, New York,
Ronalds Press, 1950; Duncan O. D., Reiss A. J., Social Characteristics of Urban and Rural
Communities, Jhon and Wiley and Sons, New York, 1956; Quinn J. A., Human Ecology New
York, 1950.
79Firey W., Man, Mind and Land. A Theory of Resource Use, Free Press of Glencoe,
Glencoe, 1960.
196
2- L'approccio socio-psicologico non ha avuto evoluzioni
significative rispetto alle sue caratteristiche iniziali.
3- L'approccio storico-istituzionale si è invece diviso in due
filoni:
a) lo sviluppo struttural-funzionalista (Parsons);
b) l’approccio conflittualista che consiste nell’applicazione
alla realtà urbana della visione conflittualista che portava a
sua volta a due diverse tendenze:
- il tipo ortodosso (nel senso marxista): il conflitto non si
pone a livello urbano ma a livello di classe sociale
(imprenditori/operai); questa tendenza portava a non dare
troppa importanza al conflitto urbano (si vedano in merito i
lavori di H. Lefebvre;80 come anche "La città divisa"81 di L.
Cavalli)
- la posizione meno ortodossa: il conflitto urbano è un
conflitto strutturale che si basa sull'idea di fabbrica e sulle
economie esterne di agglomerazione riconducibili alla
presenza di un certo numero di fabbriche in un determinato
luogo circoscritto. Ecco allora che si può intendere la città
come agglomerazione di individui e di attività, i cui benefici
possono essere acquisiti da chi detiene il controllo dei suoli
(proprietà o potere urbanistico); il conflitto si determina
appunto tra chi controlla lo spazio urbano e chi si deve
assoggettare a tale potere. Opere consultabili in merito a
questo approccio quelle di M. Castells.82
Dibattito sull'opportunità di una specializzazione
disciplinare che si occupi di "sociologia urbana"
Per la verità alcuni di questi approcci allo studio della
sociologia urbana non si sono sottratti a critiche e tentativi di
abolire il termine di "sociologia urbana". Recentemente si
ritiene ad esempio che la campagna dei paesi europei sia
ormai di fatto urbanizzata, e quindi non avrebbe più senso
parlare di sociologia urbana ma di sociologia in generale; altri
80Lefebvre H., Dal rurale all’urbano, Guaraldi, Rimini, 1973.
81Cavalli L., La città divisa. Sociologia del consenso e del conflitto in ambiente
urbano, Giuffrè, Milano, 1965.
82Castells M. La questione urbana Marsilio, Padova, 1977.
197
preferirebbero analizzare il mutamento sociale, senza
distinzioni tra città e campagna, ritenendo che tra le diverse
realtà esista solo un diverso ritmo di un cambiamento che
sostanzialmente è lo stesso.
Alcuni sociologi hanno delineato una soluzione alla crisi
della sociologia urbana puntando su un approccio sistemico
basato sulla dimensione spaziale. Ecco allora che il termine
più appropriato diviene quello di sociologia del territorio.
Interessa cioè vedere come lo spazio condiziona la vita
sociale, e come la vita sociale condiziona lo spazio. Se però si
considera lo spazio come una costante e la società come una
variabile, non potremo mai comparare i due termini così
strutturalmente diversi. Occorre perciò considerare anche lo
spazio come una variabile, e questo è possibile se poniamo
attenzione alla:
- peculiarità del sito (ciascun luogo ha cioè una propria
specificità: clima, fertilità, ...);
- frizione della distanza: l'accessibilità a ciascun luogo è
diversa, e dipende dalla tecnologia dei mezzi di trasporto per
le merci, le persone e le comunicazioni; più bassa è la frizione
della distanza, meno importante diventa la peculiarità del
luogo;
- concentrazione dello spazio: al di là delle
rappresentazioni tradizionali del territorio - che potremmo
chiamare naturalistiche, anche se sono sempre frutto di una
prospettiva antropocentrica - si deve fare attenzione a quelle
che sono le effettive condizioni di accessibilità e di centralità
dei diversi luoghi.
La via percorsa dalla sociologia urbana per recuperare
una sua identità come approccio, è il recupero della
dimensione spaziale.
Sviluppi recenti
Attualmente nell'organizzazione della sociologia urbana e
del territorio ci sono due tendenze:
- l’ecologia sociale che intende studiare la dimensione
spaziale (rapporto spazio/società);
- la sociologia urbana regionale: si limita allo studio delle
aree di sviluppo;
198
Metodi di ricerca della sociologia urbana
Il metodo usato solitamente dalla sociologia urbana è
quello dello "studio di comunità". Intendendo per comunità
la collettività insediata all'interno di un territorio ben
delimitato, è chiaro come per studi di comunità si intendano
studi interessanti una città, un quartiere, o un'area più vasta.
Si tratta comunque sempre di una metodologia di studio
orientata alla singola comunità, al caso singolo, e basata sulla
cd "osservazione partecipante", fatta cioè attraverso
interviste, questionari, analisi della stampa o degli statuti
locali.
Perché nascono gli studi di comunità? Perché si voleva
emancipare la sociologia dalle grandi teorizzazioni
ottocentesche. Studiare la comunità consente di avere un
oggetto concreto e quindi consente l'analisi empirica. Nello
stesso tempo, non si perde il rapporto parte-tutto: come cioè
il vivere entro una collettività influenzi il modo di
comportarsi dei singoli individui.
Limiti dello studio di comunità
Lo studio di comunità possiede alcune caratteristiche:
1) l’impossibilità della generalizzazione. Nonostante vari
tentativi basati sull'inferenza o sull'analisi di "casi tipici",
ancor oggi lo studio di comunità rimane uno studio non
generalizzabile.
2) è uno studio di realtà medio/piccole e non di quelle più
estese. Studiando le realtà medio/piccole si comprendono i
fenomeni sociali in ritardo, in quanto questi si verificano
anzitutto nelle grandi metropoli e solo in seguito di
diffondono anche ai centri minori.
3) E’ lo studio della comunità che non può essere condotto
come se essa fosse isolata dal contesto. E' di fatto impossibile oggi
formulare teorie sociali a partire dalle singole comunità.
Verso gli anni '60 questo metodo degli studi di comunità
era molto usato, ma a partire da quegli anni è decaduto.
Ultimamente c'è stata una parziale ripresa di alcuni aspetti
del metodo, in quanto ci si é accorti che per capire
determinati fenomeni e realtà sociali spesso è necessario
199
partire dal basso, dai piccoli centri, interagendo con i singoli
individui.
Tipologie di "studi di comunità"
Abbiamo tre tipi di "studi di comunità":
1) ecologico urbano;
2) antropologia culturale;
3) strutturalista.
1) L’approccio ecologico-urbano per lo studio di comunità
si sviluppa a partire dalla scuola di Chicago. E' caratterizzato
per l'attenzione nei confronti della distribuzione, all'interno
della città, dei fenomeni sociali. Non usa una prospettiva
complessiva ma seleziona pochi aspetti della società urbana,
uno dei quali ad esempio è la devianza. Si tratta quindi di
studi specifici e non globali.83
2) L’approccio antropologico-culturale si ispira appunto
all'antropologia culturale, la quale è una disciplina che si
occupa delle società pre-industriali, cosiddette "primitive".
Questo metodo studia le società urbane come un tutto,
prediligendo magari meno gli aspetti geografici per cogliere
l'essenza di tutta una comunità.84
3) Il metodo strutturalista opera una sintesi dei due
precedenti, ponendo l'attenzione sugli aspetti localizzativi,
ma anche sulla totalità della comunità. Il termine
strutturalista sta ad indicare che la comunità è concepita
come struttura essenziale della vita sociale.85
Esempi di ricerca
W. Zorbaugh, "The Gold Coast and the slum" (1929).
83Zorbaugh H., The Gold Coast and the Slum. A Sociological Study of Chicago’s near
north Side, University of Chicago Press, Chicago, 1929.
84 Lynd R.S., Lynd H. M., Middletown. A Study in Contemporary American Culture
Harcourt, Brace, New York, 1925.
85 Warner L., Yankee City, Yale University Press, New Hawen, 1962 (ed or. 1935).
200
Viene studiato un particolare quartiere della città di
Chicago con 90 mila abitanti. Si vuole vedere se ci sono delle
caratterizzazioni ambientali che corrispondono ai tipi sociali
che abitano questa zona, cioè se esiste una corrispondenza tra
aree naturali e vita sociale. Zorbaugh osserva come all'interno
del quartiere esistano vari mondi sociali, e tenta quindi di
scomporre il quartiere stesso in settori attraverso il metodo
dell'osservazione partecipante. Riesce così ad identificare 6
settori:
1- Gold Coast: zona vicino al lago dove stanno le classi più
agiate e dove si vive meglio. E' abitata da persone con una
mentalità cosmopolita, che viaggiano molto e quindi hanno
un debole legame sociale; unica occasione di incontro è il
"social register", l'albo delle persone per bene della città che
trovano così l'occasione di scambiarsi inviti e frequentarsi.
Esiste poi una vera lotta per entrare in questo registro,
specialmente da parte dei nuovi ricchi. Nei confronti
dell'esterno l'ambiente è chiuso.
2- Zona delle camere ammobiliate: inizialmente abitata da
ricchi aristocratici, ma al tempo della ricerca non più. E' stata
adibita ad area con camere in affitto, all'interno della quale
c'era una notevole mobilità. Vivono qui conviventi illegali e
le persone marginali della comunità; è l'area con il maggior
numero di suicidi, dovuti ad una sostanziale carenza
relazionale.
3- Towerton: quartiere degli artisti e dei bohemien;
vivono qui artisti caratterizzati da modelli di vita
anticonformisti specialmente dal punto di vista sessuale
(omosessuali). Diffusa la devianza sessuale.
4- North Clark Street: è la via dei grandi negozi, cinema,
teatri. Era la zona viva del centro è qui si trovano coloro che
vogliono mescolarsi, mantenere l'anonimato (drogati,
prostitute, ricercati...).
5- Slum: in quest'area ci sono due tipi di abitazioni: le case
degli immigrati e le camere in affitto per i poveracci.
All'interno di quest'area convivono 28 nazionalità diverse, si
è sviluppata una cultura cosmopolita , poliglotta e si è avuta
una forte riduzione della distanza sociale, ossia della
difficoltà ad intrattenere relazioni e rapporti sociali positivi.
Si ha inoltre, all'interno di questa area, una assenza del senso
201
di responsabilità verso le istituzioni che non vengono di fatto
legittimate. Tre sono le categorie di persone che si possono
trovare nello slum: vagabondi, immigrati recenti, bande
giovanili formate dai figli degli immigrati.
6- Little Sicily o Little Italy. E' un'area di immigrati siciliani.
Si distingue dalle altre in quanto è un'area dove gli abitanti
sono molto "attaccati" ai propri costumi tradizionali e questo
determina anche una forte intolleranza etnica. Si mantiene il
dialetto di origine, si mantengono i costumi familiari e
sessuali di origine, si riproducono le lotte che c'erano al paese
d'origine.
L'ultima parte del lavoro di Zorbaugh è dedicata ad
un'analisi dei servizi sociali: occorre migliorare le condizioni
di vita di queste aree e non limitarsi ad accettare la loro vita
(ciò che facevano gli assistenti sociali).
Che considerazioni si possono trarre dal lavoro di
Zorbaugh?
- essa conferma le ipotesi dell'approccio ecologico per
quanto riguarda il fenomeno della successione
- la mobilità e basso senso di appartenenza alla comunità
- la relazione tra struttura individualista (camere in
affitto) e tasso di suicidio
- l’effetto di disorientamento subito dalla seconda
generazione di immigrati
- viene però messa in crisi la stretta corrispondenza,
supposta dall'approccio ecologico, tra aree naturali e aree
sociali.
I coniugi Lynd, "Middletown", 1925
Robert Lynd, pastore protestante, è interessato allo studio
dei fenomeni religiosi. Individua così Muncie, sua città
d'origine, come area di studio. Capisce però che non è
possibile studiare il fenomeno religioso se non si studia
l'intera vita sociale della città. Questa diventa quindi l'oggetto
202
della sua indagine, intesa però in modo totalizzante, secondo
una prospettiva di antropologia culturale. Utilizzando le 6
aree tematiche proposte da Wissler:
- guadagnarsi da vivere
- farsi la casa
- educare i figli
- impiegare il tempo libero
- impegnarsi in pratiche religiose
- impegnarsi in pratiche comunitarie
Lynd studia la vita sociale della città di Muncie (Indiana).
Per condurre uno studio del genere egli osserva che in
teoria sono possibili più metodi:
- Osservazione partecipante che si avvale di interviste e
questionari, perché si accorge che la realtà urbana non è ben
tradotta e sintetizzata dalle statistiche.
- Analisi funzionalista della realtà sociale della città: si
scopre come le istituzioni, le associazioni e il senso di
appartenenza sono tutte funzionali al successo, mascherato
da una certa solidarietà associativa; persiste quindi un forte
individualismo.
- Viene poi messo in evidenza il passaggio da un'etica del
risparmio ad un'etica del consumo, passaggio che ha
caratterizzato un po' ovunque la transizione dal primo al
secondo capitalismo.
Nel 1935, dieci anni dopo il primo lavoro, Lynd torna a
Muncie per cogliere eventuali cambiamenti dovuti alla crisi
economica del '29. Ed in realtà trova che una famiglia di
industriali dominava la vita politica e religiosa della città; e
questo confermava la teoria marxista secondo la quale
politica e religione altro non sono che sovrastrutture della
struttura economica. Come mai nella prima ricerca non si era
scoperta la dominanza della famiglia x. Si può rispondere che
nel frattempo Lynd ha approfondito, in Europa, la
conoscenza di Marx. Ne consegue, allora, che non c'è ricerca
sociologica obiettiva, perché l'interpretazione dei fatti
dipende dal punto di vista del ricercatore.
Si possono però fare alcune altre considerazioni:
- accanto alla famiglia x c'era la famiglia y, altrettanto
potente della prima. La famiglia x seguiva lo stile del secondo
203
capitalismo (finanziare associazioni) mentre la famiglia y,
dedita al risparmio, all'accumulazione, seguiva lo stile del
primo capitalismo. Ciò costava alla famiglia y in termini di
influenza sociale: da ciò si deduce che non è il potere
economico che stabilisce l'influenza sociale, ma la cultura
economica:
- è probabile che sia stata la crisi economica del '29 a far
emergere l'importanza della famiglia x, e non il fatto che
Lynd abbia letto Marx.
- nella seconda analisi (1935) Lynd individua 5 classi
sociali all'interno della città: l'adesione a una impostazione
marxista avrebbe richiesto il mantenimento della dicotomia
iniziale, e non l'ampliamento delle classi.
In questa sua seconda ricerca Lynd notò poi altri
cambiamenti:
una maggiore tolleranza verso sessualità e religione, una
maggiore intolleranza in termini politico-economici; la crisi
del '29 ha poi segnato una maggiore distanza tra le classi (è
stata più sentita dalle classi povere), ma ciò non toglie che la
classe lavoratrice adotti come gruppo di riferimento la classe
più abbiente; è inoltre aumentata l'ostilità tra i gruppi etnici.
Nonostante questi cambiamenti, però, lo spirito di fondo
di Middletown (lo pseudonimo sta a indicare che si vuole
rappresentare la realtà di una tipica città media), è rimasto lo
stesso.
204
Donald J. Bogue. La struttura della comunità metropolitana
Il lavoro di Donald Bogue è da considerare come
continuazione concettuale e metodologica della scuola
ecologica di Chicago, quale area di ricerca volta ad
evidenziare „i legami che, in base all‘ipotesi ecologica,
riguardano la struttura ed il funzionamento della comunità e
dell‘intercomunità“. D. Bogue, che ha poi continuato la sua
ricerca prevalentemente nell‘ambito degli aspetti demografici
della struttura e della dinamica sociale, ritiene che la
prospettiva dell‘ecologia umana, con il suo fondamento
biologico, debba „misurare gli standard della conoscenza che
ogni scienza sottoscrive, quale promessa per un eventuale
corpo teorico capace di legare la scienza sociale con le altre
scienze, elemento basilare per ogni ricerca della scienza
sociale. In tal modo – continua Bogue – l‘ecologista è un
simbiotico e non un predatore nella comunità delle scienze
sociali“.86
L‘ampio lavoro di Bogue intende esplorare l‘affermazione
iniziale secondo la quale „le grandi città, o metropoli,
dominano l‘organizzazione sociale ed economica delle società
tecnologicamente avanzate“.87 E, per verificare una simile
ipotesi, vengono analizzati quegli aspetti dell‘organizzazione
umana che riguardano la distribuzione della popolazione
nello spazio, i tipi di attività legate al reddito. Le grandi città
o metropoli divengono punto focale di una più vasta entità
fisica con un modello ed una struttura definiti.88 La città
occidentale moderna appare come una realtà centrale e
prioritaria, una realtà che esprime una forte interdipendenza
fra i suoi elementi.
E‘ la grande varietà delle città a porre il problema della
interpretazione del fenomeno urbano.
L‘ipotesi del dominio metropolitano cerca di uscire dalla
86
Bogue, D.J., The Structure of the Metropolitan Community. A
Study of Dominance and Subdominance, University of Michigan, Chicago
1948 (Tesi di Doctor of Philosophy), p. IV.
87 Ididem p. 1.
88 Ibidem, p.2.
205
difficoltà che sorgono se si pensa che ogni fenomeno urbano
abbia la sua caratteristica ed una singolarità specifica e unica.
L‘ipotesi che si formula è invece quella secondo la quale vi è
invece una interdipendenza urbana. Le città vengono allora
classificate „secondo le funzioni che esse esplicano e secondo
la loro relativa abilità a „dominare“ le altre città ed il
territorio che le circondano“.89 Di conseguenza si parla di una
dicotomia fra „centri metropolitani“ e „città dell‘hinterland“.
La metropoli viene considerata quella che, oltre alla
grandezza, è anche la più complessa e la più distante dalla
città media. Oltre che sviluppare la dipendenza dai
produttori agricoli che vi vedono il grande mercato di
riferimento, la metropoli è il focus della vita morale,
intellettuale, un mercato dei beni più diversi, il focus della
finanza, del progresso delle arti e della scienza,
dell‘informazione, dei mutamenti delle filosofie e della
religione e nel far emergere nuovi valori.90
E‘ in base alla concezione della città come „organismo“
che Bogue chiama la città community (ricordando The
Metropolitan
Community
di
R.D.
McKenzie.91
E
l‘argomentazione viene rafforzata dagli studi sugli aspetti
economici della metropoli che ne evidenziano il ruolo
funzionale
dominante
all‘interno
del
quadro
di
interrelazione, insomma la centralità di un organismo che
riunisce e fa vivere la realtà urbana come realtà organica nella
quale risulta evidente la gerarchia funzionale, proprio come
accade nell‘organismo biologico.
Il lavoro di D. J. Bogue analizza i seguenti settori al fine di
verificare il modello di dominanza e sottodominanza urbana:
- la struttura della popolazione delle comunità
metropolitane (distanza dalla metropoli – settori definiti dalle
linee direttrici secondo le quali si organizzano i settori
territoriali – tipi di metropoli secondo le connotazioni
demografiche – le città dell‘Hinterland secondo la
dimensione demografica – ambiente fisico e comunità
89
Ibidem p.10.
Ibidem p. 11-12.
91 R.D. McKenzie, The Field and Problem of Demography, Human
Geography, and Human Ecology, New York, Lang and Smith 1934.
90
206
metropolitana)
la struttura delle attività di sostentamento nelle
Metropolitan Communities (le quattro principali attività:
commercio, servizi, vendita complessiva ed attività
manifatturiera)
Il contributo di D. J. Bogue, oltre ad estendere la teoria
sociologica e metodologia della Scuola di Chicago alla
moderna realtà metropolitana nord americana, rappresenta
un notevole contributo all‘analisi urbana con un apparato
interessante di analisi quantitativa.
Credo che uno dei contributi più interessanti di questo
percorso della Scuola di Chicago, al di là delle opere celebri
che citiamo nel capitolo specifico, sia l‘introduzione al
volume Contributions to Urban Sociology (a cura di E.W.
Burgess e D.J. Bogue) dal titolo „Research in Urban Society: A
Long View“92, nella quale si ricostruisce in modo
inusualmente completo il contributo della Scuola di Chicago.
92
Burgess, E.W., Bogue, D.J., Contributions to Urban Sociology (a
cura di) dal titolo „Research in Urban Society: A Long View“, hicago –
London, The University of Chicago Press 1964.
207
L. Warner, "Yankee City", (1935-1959)
Tale ricerca riguarda Newburysport, una cittadina di
origine seicentesca (1600) con 17 mila abitanti situata sulla
costa atlantica. La popolazione ivi residente è stata
fortemente influenzata da fenomeni migratori: il 45% è
costituito infatti da popolazione immigrata, mentre il restante
55% è rappresento dagli yankee, nativi del posto.
I risultati di questa monumentale ricerca, condotta grazie
a un’équipe di collaboratori per un lungo arco di anni, sono
raccolti in sei volumi, di cui il
il 1° volume descrive la comunità;
i l 2° volume descrive il sistema di stratificazione;
il 3° volume analizza i gruppi etnici;
il 4° volume prende in considerazione l’attività
economica e l’industria in particolare;
il 5° volume studia il comportamento simbolico.
Prendiamo rapidamente in esame alcuni di essi.
Nel 2° volume troviamo l’analisi del sistema di
stratificazione.
Warner, nel descrivere il sistema di
stratificazione delle classi sociali, si distacca dal metodo
classico europeo che consiste nello stratificare in rapporto alla
posizione nei rapporti di lavoro. Afferma invece che la
stratificazione si misura in base alla ricompense sociali di cui
uno gode in virtù della sua posizione. Viene proposto quindi
il concetto di status socio-economico.
I criteri da lui utilizzati per misurare lo status socioeconomico sono:
- il reddito (elementi economici)
- la professione (prestigio sociale)
- il tipo di casa
- la zona di residenza
Warner propone quindi una tipologia di criteri di
stratificazione basata su due dimensioni:
208
- il grado di apertura dei sistemi di stratificazione
(sistemi chiusi/aperti);
- il grado di segmentarietà o inclusività della gerarchia
sociale (la gerarchia sociale può essere unica, dominata da un
solo criterio, oppure può essere molteplice, cosicché uno
stesso individuo può occupare posizioni diverse in diverse
scale gerarchiche):
grado di apertura
sistemi chiusi
inclusività
grado di segmentarietà
ruoli di fabbrica
caste
sistemi aperti
ruoli associativi
sistema delle
classi USA
- sistemi chiusi (casta) = impossibilità di mobilità sociale
verticale;
- sistemi aperti = facilità di mobilità sociale
ESEMPIO. La società americana è quella che permette una
maggiore mobilità sociale, mentre la società europea è in
questo senso più tradizionale e scarica sui figli l'eredità
paterna.
Warner riesce ad identificare 6 classi all'interno della
comunità:
pesi demografici
1) Superiore-superiore (SS)
1,4%
2) Superiore-inferiore (SI)
1,5%
3) Media-superiore (MS)
10%
4) Media-inferiore
(MI)
28%
5) Inferiore-superiore (IS)
33%
6) Inferiore-inferiore (II)
25%
SS: classe degli imprenditori aristocratici; si distingue
dalla classe SI per la sua capacità di influenzare lo stile di
vita;
209
SI: nuovi ricchi, che hanno raggiunto da poco la
ricchezza;
MS: professionisti, managers, imprenditori;
MI: tecnici, impiegati, piccoli imprenditori;
IS: commercianti, artigiani, operai qualificati;
II: lavoratori non qualificati, immigrati;
Non è però esatto rappresentare una situazione di questo
tipo con uno schema piramidale, perché le posizioni più
basse tendono ad essere minoritarie rispetto a quelle
intermedie.
Le classi superiori si caratterizzano per l'elevata
endogamia e per l'elevato grado di ritualismo (importanza
degli aspetti formali); le classi inferiori presentano un'elevata
criminalità (a tal proposito Warner scopre che la polizia si
comporta in modo diverso a seconda di chi compie l'atto
deviante: la devianza dei ceti medi è registrata meno di
quella dei ceti inferiori).
Analizzando il pattern di spesa delle singole classi,
Warner arriva poi a delle interessanti conclusioni:
- in proporzione, maggiore è il reddito minore è la parte
di questo che viene destinata per consumi alimentari e beni
di prima necessità;
- SS: spese elevate per viaggi d'affari e beneficenza.
SI: spese maggiori per consumo ostentativo (case, viaggi
piacere, sport).
IS: spese maggiori per ciò che può manifestare una forte
tendenza al successo (istruzione, traslochi).
II: spende solo per consumo obbligatorio (bilancio
familiare fortemente vincolato).
Warner ha poi studiato la presenza delle varie classi nelle
realtà associative, registrando una massiccia presenza
nell'associazionismo delle classi elevate:
SS 23%
SI 35%
MS 72%
MI 89%
IS 78%
II 59%
210
L'associazionismo è un modo di aggregarsi in base ad
interessi comuni, più che non con l'intento di sostituire il
rapporto
primario
comunitario
(=punto
di
vista
funzionalista).
3° VOLUME: gruppi etnici
Quello dei gruppi etnici è un problema fortemente
presente in realtà sociali come quella americana, costituite da
una pluralità di etnie immigrate. Quale apporto dà in tal
senso tale ricerca?
Cerca di delineare un processo di integrazione degli
immigrati in base:
- alle fasi del processo di immigrazione;
- ai fattori di ritardo e accelerazione dell'integrazione
stessa;
Nella comunità ci sono:
- immigrati adulti (> 18 anni)
- immigrati giovani (figli di immigrati)
- successive generazioni;
Per quanto riguarda i gruppi etnici nella comunità
studiata c'erano:
yankee (del posto), irlandesi, franco-canadesi, ebrei,
italiani, armeni, greci (provenienti da zone urbane), polacchi
(provenienti da zone profondamente rurali), russi.
1) Fasi del processo di immigrazione, considerate facendo
riferimento a due livelli: livello insediativo, livello sociale.
Quando un gruppo etnico arriva, come e dove si insedia?
a) Livello insediativo
1° FASE: insediamento disperso nella zona 1 (zona est
meno bella della ovest);
2° FASE: consolidamento residenziale. Concentrazione
nella zona 1 in quanto, nel momento in cui un'etnia
211
raggiunge un certo numero di unità immigrate, questa tende
a compattarsi e formare nuclei ben precisi all'interno del
nuovo territorio.
3° FASE: dispersione per nuclei verso la zona 2 (migliore
della 1). La dispersione, che inizia per nuclei verso la zona 2,
continua poi verso le zone migliori.
b) Parallelamente al livello insediativo si sviluppano delle
fasi anche a livello sociale:
1° FASE: assenza di organizzazione di gruppo;
2° FASE: strutturazione della comunità (ci si concentra
perché si vuole stare assieme per vivere meglio);
processo di strutturazione:
- negozio: vende la merce tipica della patria d'origine;
- associazione informale: nascono reti di relazioni
informali per parlare dei problemi del gruppo;
- chiesa: praticare i propri credo religiosi;
- scuola: mantenere i valori tradizionali e la cultura
d'origine;
- associazione formale: gli italiani sentono di più le
associazioni regionali;
3° FASE: Strutture associative. Servono per mantenere il
legame con le persone che sono ormai inserite e che si
spostano per nuclei nelle varie zone.
Per quanto riguarda il rapporto con la struttura
occupazionale, quando arriva un nuovo gruppo, questo
tende a spingere verso l'alto, all'interno della gerarchia
sociale, i gruppi che già c'erano, e tende a ripercorrere a sua
volta la storia del gruppo che lo precede allorché arriveranno
gruppi successivi.
Ci sono diverse teorie riguardo al rapporto stratificazione
sociale/dimensione etnica. Vi è un primo modello che può
essere rappresentato graficamente secondo queste teorie il
pregiudizio etnico serve per mascherare interessi di classe e
si sviluppa in un modo ben preciso.
212
A)
Un altro modello, che trova conferma nell'analisi di Warner, è
invece
B) la stratificazione relativa agli immigrati
Se cioè arriva un nuovo gruppo, mano a mano che questo
si integra, all'interno della società di immigrati si riproduce la
stratificazione. In questo modo si pone in rilievo il
discriminante etnico.
Warner prende quindi in considerazione i fattori che ritardano e
accelerano l'integrazione degli immigrati.
Fattori di ritardo:
- intenzione originaria circa la durata dell'immigrazione;
- struttura familiare e peso della famiglia nell'attribuzione
dello status e del ruolo familiare.
- ordine di arrivo nella cittadina (secondo Warner il primo
che arriva trova > difficoltà ad integrarsi rispetto agli ultimi);
- ampiezza del gruppo (più il gruppo è grande, più è
sentito come una minaccia da parte degli autoctoni e quindi
maggiore fatica farà ad integrarsi);
- prossimità alla terra d'origine (se è facile ritornare in
patria c'è più resistenza a stabilire rapporti duraturi e quindi
ad integrarsi);
Fattori di accelerazione sono:
- la somiglianza tra società del gruppo etnico immigrato e
la società ospitante;
213
Teoria della "distanza culturale" (Warner). Questa teoria
afferma che maggiore è la distanza culturale tra società di
immigrati e società che li ospita, maggiore sarà la difficoltà di
integrazione. Arriverà però un momento in cui si giungerà
all'integrazione completa.
Warner sottopone tale teoria a controllo empirico.
Le ipotesi sono le seguenti:
- le differenze culturali e razziali producono più forti
sottosistemi sociali (etnici) e più lungo è il periodo di
assimilazione.
Per verificare queste ipotesi Warner si serve di:
- indicatori di subordinazione: zona di residenza,
pregiudizio per l'entrata in associazioni, mobilità verticale;
- indicatori che evidenziano i sottosistemi di
strutturazione: potere della Chiesa, scuola,, presenza di
associazioni etniche formali, unità politiche ed economiche
del gruppo;
- indicatori per il tempo dell'integrazione: quanto
impiega un gruppo etnico a sparire, quota di appartenenti al
gruppo, inserimento nella società locale.
Servendosi di tali indicatori, Warner arriva a veder
confermata la propria ipotesi iniziale. Ipotesi che, tra l'altro, è
stata oggetto di attenzione anche da parte di due sociologi
italiani: F. Alberoni e G. Baglioni.93 Interessati al problema
dell'immigrazione, le loro ricerche notarono che, nonostante
la grande differenza tra nord e sud d'Italia, l'integrazione da
parte dei meridionali è stata quasi immediata. Hanno lanciato
allora un'ipotesi alternativa: la socializzazione anticipatoria.
Attraverso la TV, diffusasi proprio a partire dagli anni '60, la
popolazione meridionale aveva modo di vedere i modelli di
consumo del nord benestante; questo provocò in loro un
sentimento di inadeguatezza anomizzante (nel senso che
creava distacco). Quindi, emigrando, arrivarono al Nord
avendo avuto già modo di conoscere questa cultura ed
93Alberoni F., Baglioni G., Elementi per una tipologia delle emigrazioni italiane
esterne, Vita e Pensiero, Milano, 1963.
214
essendosi già psicologicamente distaccati nella progettualità
psicologicosociale dalla loro cultura d'origine.
Questa teoria, nell'idea di F. Alberoni, voleva
contrapporsi a quella di Warner. In realtà però si dimostrò
che il fenomeno della socializzazione anticipatoria era
possibile solo in casi particolari, come quello italiano
appunto, dove non esistevano tra Nord e Sud diversità
linguistiche. Quindi l'ipotesi di Alberoni, che si poneva come
alternativa a quella di Warner, ne diventa complementare.
4° VOLUME: Relazioni industriali
Viene qui studiato il rapporto che si stabilisce tra
comunità locale e sistema interno, in termini di rapporti
industriali. Si evidenziano, in particolare, le ragioni per le
quali, per la prima volta, si era avuto uno sciopero. Queste
sono da collegarsi al mutamento nella tipologia di lavoro
dell'operaio. Inizialmente esso controllava il prodotto dal suo
nascere al suo uscire dalla fabbrica; poi, col lavoro in serie e
l'introduzione delle macchine, all'operaio viene affidata solo
una particolare mansione. Questo ha livellato e schiacciato
verso il basso la categoria dei lavoratori, rendendo così più
teso e difficile il rapporto tra base e gerarchia.
Inoltre, è da considerarsi anche il rapporto economia
locale/economia esterna: finché il proprietario delle unità
economiche era del posto, il suo rapporto con i dipendenti
era più facile.
Altro fattore alla base dello sciopero è la connessione in
reti associative da parte sia dei lavoratori, sia degli
imprenditori.
Ricerche sulla cultura autoritaria
Tutti gli studi di comunità esaminati riguardano
l'America. In Europa si inizia col dopoguerra. Ci sono alcune
ricerche di comunità condotte in Germania e in Italia, su
ispirazione dell'Unesco, per cercare di capire la cultura
autoritaria.
215
Nel 1952 R. Mayntz94 conduce una ricerca sulla cittadina
tedesca di Euskirchen (18.000 abit.) riproducendo l'indagine
su Yankee City. Si tratta di una ricerca specifica sulla cultura
autoritaria degna di essere ricordata, una ricerca che applica
al territorio le ipotesi della più celebre ricerca nordamericana.
94Mayntz R., Soziale Schichtung und sozialer Wandel in einer industriegemeinde, eine
soziologische Untersuchung der Stadt Euskirchen, Stuttgart, 1958.
216
Jean Gottmann: Megalopolis. The Urbanized Northeastern
Seaboard of the United States95
Frutto di vent’anni di lavoro, l’opera di J. Gottmann parte
dall’assunto che ciò che egli chiama appunto Megalopoli sia
l’inizio di un nuovo ordinamento urbano che, nelle
conclusioni viene definito come Novus ordo saeculorum
(seclorum), overo New Order of Ages.
L’area ricompresa tra il Southern New Hampshire, il
Nord della Virginia, fra la costa dell’Atlantico e le colline che
sono ai piedi degli Appalachi, per la concentrazione
demografica e per la supremazia negli ambiti: politico,
economico e culturale, “non ha paragoni al mondo” con aree
di questa dimensione96
Si tratta di una grande area con propria identità, che
supera gli stati (alcuni ne sono ricompresi, un’area che,
riprendendo la denominazione greca per l’area del
Peloponneso che progettava di divenire grande fenomeno
urbano, cioè Megalopoli. L’area oggetto dello studio di
Gottmann traduce in realtà questo sogno.
L’area di Megalopoli ha una struttura analoga ad una
nebulosa ed è l’arteria principale, il carrfour della nazione
americana ed è il laboratorio della crescita urbana.
Le dinamiche dell’urbanizzazione che hanno costituito
Megalopoli riguardano non solo l’esplosione demografica,
bensì anche le caratteristiche territoriali che hanno favorito e
guidato lo sviluppo, le dinamiche economiche provenienti
dal continente, la crescita urbana, lo sviluppo dei centri
urbani e lo scadere dei suburbi.
Nella seconda parte del volume, Gottman analizza la
“grande rivoluzione nell’utilizzazione del territorio”
avvenuta in Megalopoli. Spostamenti per lavoro, ma anche per
tante altre necessità, introducono e sono gestiti secondo
nuove regole dei consumi dei beni e dello spazio. La nuova
realtà urbana divora non solo beni ma anche tempo e spazio
95
Gottmann, J., Megalopolis. The Urbanized Northeastern Seaboard
of the United States, Cambridge Massachusset, The M.I.T. Press 1965
(prima edizione 1961).
96 Ibidem, p. 3.
217
dedicato ai vari movimenti cui è costretta la popolazione.
Gottmann ricorda, in proposito, il detto di Montesquieu,
secondo il quale: E’ la natura del commercio a rendere utile il
superfluo e l’utile necessario”.97 La vita diviene intensa,
come intensa, più ancora della popolazione, diviene la
concentrazione e la varietà di attività.
Megalopoli sembra essere un’area urbana con medie di
reddito, educazione, servizi e opportunità fra le migliori del
mondo. Restano, tuttavia, aperti dei problemi, come il
rapporto fra urbanizzazione ed ambiente, abitare nella
dimensione urbana e libertà.
Nonostante i problemi, Gottmann ritiene che Megalopoli
rappresenti non solo una realtà urbana straordinaria ma
anche il modello al quale si possono riferire i futuri sviluppi
urbani: New Order of Ages, il Novus Ordo saeculorum.98
97
98
Ibidem p. 11.
Ibidem p. 770.
218
Problemi e aspetti particolari messi in luce
dalle ricerche
La formazione degli "slums"
L'architettura prima, e la sociologia poi, si sono molto
interessate ai fenomeni e ai processi di degrado. Ma perché si
formano gli "slums"? Varie teorie cercano di spiegarlo:
1^ teoria: età della casa
La diffusione dell'automobile ha abbassato i costi di
trasporto. Ciò comporta una minore domanda di case centrali
e vecchie, in quanto se i costi di trasporto diminuiscono, la
distanza dal centro perde importanza come fattore
localizzativo. Inoltre, l'avvento dell'automobile rende più
congestionato il centro, quindi c'è più convenienza a spostarsi
intorno alla periferia (trasporto circolare) che non verso il
centro (trasporto radiale). Ciò implica minore o nulla
propensione alla ristrutturazione degli edifici del centro,
quindi deterioramento e formazione degli slums.
Nella realtà, entrambe queste teorie sono state però in
parte smentite:
- non sempre è vero che le case sono di pessima qualità
soltanto perché sono vecchie;
il prezzo delle case, anche vecchie, in realtà non è
diminuito in quanto la localizzazione urbana è
andata
assumendo
un'importanza
sempre
maggiore. Anche se l'avvento dell'automobile ha
portato ad uno spostamento verso l'esterno, il
centro non è diventato periferia, bensì è rimasto
centro di un'area più grande. Di conseguenza nel
costo delle case c'è convenienza rispetto a prima,
ma non in assoluto.
2 teoria
2a teoria: costi di trasporto.
219
inquilini a
basso reddito
Automobile (-)
costi di trasporto
(-) domanda di case
centrali e vecchie
(-) prezzo di case
centrali e vecchie
inoltre
(-) reddito
(-)
investimenti
deterioramento
automobile
formazione
slum
(+) congestione
del centro
(+) convenienza al
trasporto circolare
più che al
trasporto radiale
convenienza a
ristrutturare
il centro
spostamento del
mercato fuori
dal centro
La diffusione dell'automobile ha abbassato i costi di
trasporto. Ciò comporta una minore domanda di case centrali
e vecchie, in quanto se i costi di trasporto diminuiscono, la
distanza dal centro perde importanza come fattore
localizzativo. Inoltre, l'avvento dell'automobile rende più
congestionato il centro, quindi c'è più convenienza a spostarsi
intorno alla periferia (trasporto circolare) che non verso il
centro (trasporto radiale). Ciò implica minore o nulla
propensione alla ristrutturazione degli edifici del centro,
quindi deterioramento e formazione degli slums.
Nella realtà, entrambe queste teorie sono state però in
parte smentite:
- non sempre è vero che le case sono di pessima qualità
soltanto perché sono vecchie;
220
- il prezzo delle case, anche vecchie, in realtà non è
diminuito in quanto la localizzazione urbana è andata
assumendo un'importanza sempre maggiore. Anche se
l'avvento dell'automobile ha portato ad uno spostamento
verso l'esterno, il centro non è diventato periferia, bensì è
rimasto centro di un'area più grande. Di conseguenza nel
costo delle case c'è convenienza rispetto a prima, ma non in
assoluto.
3° teoria: fattori di modificazione del mercato.
Ed in particolare l'introduzione di tasse e nuove imposte,
oltre al blocco degli affitti.
a) Per quanto riguarda tasse e imposte, negli USA gli enti
locali vengono finanziati dall'imposizione sugli immobili:
- si paga in base al valore iniziale del patrimonio (casa).
Quindi, in questo senso, il valore della casa è fisso e non
dipende dal reddito;
- la casa decresce di valore ma l'imposizione è quella
iniziale.
Negli USA esiste quindi il fenomeno dell'abbandono della
proprietà (= abbandono la casa per non continuare a pagare
una tassa inadeguata alla qualità della casa ormai vecchia.
b) Per quanto riguarda il blocco degli affitti, c'è da dire
che il prezzo d'affitto rimane invariato nel corso degli anni, e
quindi il proprietario della casa ha un reddito sempre meno
adeguato per apportare le opportune manutenzioni.
Tutte queste teorie, 1, 2, 3, presentano però un difetto:
esse puntano l'attenzione sui proprietari, i quali per vari
motivi, non sono più in grado di far manutenzione alla casa,
la quale così si deteriora fino ad arrivare agli slums.
4° teoria
Una teoria alternativa è stata elaborata da Muth. Essa
punta l'attenzione sulla domanda.
Non esiste quindi più relazione tra età della casa e sua
qualità: le case di bassa qualità esistono perché c'è gente che
le domanda, fossero esse vecchie o nuove.
221
Conclusioni: i processi di rinnovo urbano che vengono
suggeriti a livello politico per migliorare la condizione degli
slums, non fanno altro che peggiorare la situazione. Il
rinnovo urbano, infatti, elimina l'offerta di case di bassa
qualità, quindi peggiora la situazione di chi non può
permettersi di più. Tutto ciò non si verificherebbe se le casestandard, dopo il rinnovo, venissero offerte allo stesso prezzo
delle case di bassa qualità.
Valore della casa
Per la classe bassa la casa è solo strumentale, mentre per
le classi medio-alte, questa assume un valore simbolico di
status. Per chi ci vive, la situazione non è poi così negativa: la
casa di città è comunque sempre migliore delle case rurali di
provenienza.
E' quindi opportuno migliorare le condizioni della casa,
purché si tenga conto della strumentalità di questa e dei
vincoli reddituali ad essa collegati. La casa poi non deve
essere motivo di disunione, divisione in una comunità, ma
deve modellarsi alla vita e alle esigenze della comunità
stessa.
Ma come si svolgono i processi di rinnovo urbano?
Privati (grandi imprese)
- si suddivide la città in blocchi
- con un anticipo di 20-30-50 anni si stabilisce quale
blocco rinnovare
- le grandi imprese iniziano quindi ad acquistare delle
case in quel blocco
- quando tutte le case sono state acquistate, si demolisce
tutto e si ricostruisce da zero.
Pubblico
- deve ricorrere al mezzo dell'esproprio
La segregazione residenziale
Perché si forma? Negli Usa avviene specialmente tra
bianchi e neri.
222
TEORIA 1: sarebbero i proprietari a determinare
discriminazione, accettando o meno gli inquilini bianchi o
neri. Questa asserzione è però un po' troppo vaga, in quanto
il fenomeno si registra anche in altri ambiti, come a scuola o
nelle associazioni, ed inoltre la forza del mercato finirebbe
per far affittare anche ai non desiderati.
TEORIA 2: sarebbero i simili ad attrarre i propri simili ed
a formare raggruppamento.
TEORIA 3: I bianchi non sarebbero disposti a vivere
vicino ai neri, mentre i neri sarebbero disposti a vivere vicino
ai bianchi. Questa teoria è appoggiata dall'osservazione che le
agenzie immobiliari vendono di più nelle zone in cui non
esistono neri. Questo provoca poi una svalutazione delle case
dei bianchi che si trovano nei pressi di zone residenziali nere,
e viceversa una sopravvalutazione delle case dei neri vicine
ai bianchi.
223
LA SCUOLA DI CHICAGO
Chicago è una delle città che, nella seconda metà del XIX
e nella prima metà del XX secolo, hanno vissuto una delle
trasformazioni più forti e cosmopolite che si conoscano.99
Esplosione demografica, immigrazioni, quartieri urbani
con gravi fenomeni di etnocentrismo, forme di forte povertà,
una città che sembrò dipendere dal rilievo che assumevano i
suburbi.
Questo fenomeno urbano e sociale di grande
trasformazione diviene oggetto di studio sociologico di una
delle scuole più note, quella che sarà chiamata: la scuola
sociologica di Chicago.
L’atteggiamento degli americani si mantiene a lungo
quale atteggiamento di diffidenza, elaborando un’ideologia
che giunge anche a considerare l’America del passato, quella
del countryside, del mondo rurale, come il mondo perduto
della bontà e della felicità.
Assimilazione e non assimilazione
Ovimenti religiosi sviluppano un atteggiamento rivolto a
considerare il superamento della povertà soprattutto con la
trasmissione ed il rafforzamento dei principi morali, meno
con l’utilizzo di misure di carattere economico volte a
combattere la povertà. In seguito, si fa strada la convinzione
che le due cose debbano marciare assieme facendo nascere
quello che venne chiamato il Social Gospel.
La città di Chicago, come anche altre città americane,
vedono una forte espansione urbana, attirano grandi masse
di popolazione di ogni razza, lingua e religione, allargano i
suburbi in maniera massiccia. L. Tomasi, nel suo volume
sulla Scuola di Chicago100, rinvia, per questo fenomeno che
investì la città in questo periodo, all’opera storica di due
autori che organizzarono, nel 1990, una speciale exibition
99
Grossman, J.R., Land of Hope. Chicago, Black Southerners and the
Great Migration, Chicago, The University of Chicago Press 1989.
100 Tomasi, L., La scuola sociologica di Chicago. 1. La teoria
implicita, Milano, F. Angeli 1997.
224
storica.101 Le condizioni ed i processi di arrivo, inserimento
negli slums, nelle fabbriche o nei mestieri più duri, il
prevalere dei gruppi di religione cattolica, seguiti da quelli di
religione ebraica, quindi gli appartenenti alle confessioni e
sette protestanti di vario tipo. I quartieri poveri, gli slums, la
congerie di lingue, etnie e religioni, ma soprattutto la povertà
e la scarsità di servizi sociali, attivati peraltro su iniziativa dei
gruppi più solidali e coesi (ebrei e tedeschi), provocano la
nascita di movimenti di intolleranza e spinte verso una
restrizione dell’immigrazione.
La nascita della Scuola sociologica di Chicago va datata
intorno al 1920. I sociologi hanno origine dalla cultura e dalla
società tradizionale e religiosa e l’oggetto delle loro indagini
e ricerche è la vita urbana e industriale. Le condizioni sociali
urbane precarie, il formarsi di movimenti sia reazionari sia
progressisti di fronte alla situazione che presenta aspetti di
forte degrado ed insieme di accelerato sviluppo economico,
fa sì che si sviluppi un’attività scientifica che accetta di
sporcarsi le mani con i problemi del mondo e del momento
attuale. Nasce la sociologia come disciplina cui si fa ricorso in
modo diffuso sia nella formazione superiore ed universitaria
sia nelle ricerche condotte per conoscere e capire i problemi
sociali.
101
Hirsch, S. E., Goler, R.I., A City Comes of Age. Chicago in the
1890s, Chicago, Chicago Historical Society 1990.
225
LA SOCIOLOGIA RURALE
Quadro storico
I primi studi di sociologia rurale si sono svolti in Europa;
in seguito il "grosso" si è avuto negli Usa.
Una delle prime opere è quella di Max Weber "I
comportamenti dei lavoratori agricoli nella Germania a est
dell'Elba" del 1911.102 Dello stesso anno è anche un rapporto
di Roosvelt per la Commissione sulla vita rurale, da cui
emerge l'esistenza di forti squilibri relativi a comunicazioni e
trasporti, strutture sanitarie, possibilità di occupazione
femminile. Sempre nel 1991 si ha negli USA l'istituzione
della prima cattedra di sociologia rurale, affidata a Galpin. Il
primo testo di sociologia rurale è del 1913 (J.M. Gillette). In
questi primi anni, la sociologia rurale viene considerata per la
verità come una disciplina ausiliaria, di appoggio alla
preparazione tecnica degli agrari.
Nel 1936 si fonda la rivista Rural Sociology, e nel 1937 si
costituisce in USA l'associazione per la sociologia rurale.
In Europa, dopo alcuni studi condotti negli anni '20, si ha
una specie di blocco dell'attività sociologica, in Italia e in
Germania, a causa dei regimi totalitari. Dopo la seconda
guerra mondiale gli studi riprendono, centrandosi sul
processo di cambiamento della campagna in relazione ai
processi di industrializzazione.
Nel 1957 è fondata la Società europea di sociologia rurale
e la rivista Sociologia Ruralis.
Cammino evolutivo della sociologia rurale
Gli studi di sociologia rurale si sono sviluppati lungo un
cammino che si può sintetizzare in 4 fasi, fino ad un periodo
di forte "crisi di identità" che si ha a partire dagli anni '70.
1° Fase: dicotomia città-campagna. La sociologia rurale
esamina in che cosa la vita della campagna si differenzia da
quella della città.
2° fase: città e campagna vengono posti su un continuum
che prevede come estremi:
102Weber M. Die Lage der Landarbeiter im ostelbischen Duetschland. 1892 Mohr,
Tübingen, 1984.
226
molto rurale ---------------------molto urbano
Si passa dunque da una concezione che considera due
tipi, due modelli contrapposti di insediamento, a una
concezione gradualistica.
3° fase: analisi della vita in campagna come sistema
autonomo e alternativo rispetto a quello urbano.
4° fase: l'attenzione si sposta dai paesi industrializzati al
terzo mondo. Tutto il mondo occidentale si è ormai
urbanizzato, e quindi se vogliamo studiare le campagne
dobbiamo andare nel Terzo Mondo.
1a FASE
La contrapposizione città-campagna nasce dalla
sociologia classica che vedeva la città come luogo di
progresso sociale e motore della storia, mentre la campagna
diveniva simbolo di arretratezza materiale ma ancor più
culturale, molto legata alla tradizione.
Analizziamo alcuni autori cui questa concezione
dicotomizzante può essere ricondotta:
F. Toennies, "Comunità e società"103
L’Autore distingue la Gemeinschaft (comunità), basata su
legami di sangue (famiglia), di luogo (comunità agricola), di
religione, di costume, e dove pilastri portanti delle relazioni
sociali sono la cultura orale e il modello dell'autoconsumo;
dalla Gesellschaft (società), basata su una società industriale
urbana, sulla presenza accentratrice dello Stato, sul libero
mercato, su una morale sganciata dalla religione e una
cultura prevalentemente scritta.
- E. Durkheim nell’opera "La divisione del lavoro
sociale"104 contrappone una società segmentaria (quella
tradizionale), basata su una solidarietà meccanica, su valori
comuni e omogenei e dove assume un peso predominante il
diritto penale, a una società organica (quella moderna) in cui
l'interdipendenza è funzionale, basata sulla convenienza
103Tönnies F., Comunità e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1963.
104Durkheim E., La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1962.
227
reciproca allo scambio, e i rapporti sono per lo più regolati
dalle norme di diritto civile.
Egli accetta la definizione di Gemeinschaft di Toennies,
non ne accetta invece l'idea di Gesellschaft (società), in
quanto la ritiene una visione eccessivamente utilitaristica,
regno dell'individualismo egoistico, della libertà di opinione,
del denaro e del commercio. Secondo Durkheim nessuna
società può reggersi sull'individualismo esasperato; essa è
comunque sempre, e prima di tutto, un insieme morale
dotato di una coscienza collettiva. Secondo Durkheim, alla
base della concezione di Toennies della società, vi è un errore
metodologico, in quanto l'autore procede in maniera astratta,
filosofica. Più corretto sarebbe stato invece studiare la
Gesellschaft empiricamente, cioè secondo le modalità
concrete in cui questa si manifesta.
- Anche M. Weber,105 parlando del processo di
razionalizzazione, riprende la distinzione di F. Toennies. Egli
distingue tra due idealtipi:
a) L'agire di comunità. L'azione sociale si regge sulla
possibilità di ciascun attore di riuscire ad anticipare le
reazioni degli altri in base a valutazioni ad personam. Questo
comporta una conoscenza quotidiana ed individuale dei
soggetti con i quali vengo e verrò a contatto. Ecco quindi che
nell'agire di comunità, il soggetto agisce in base ad
aspettative fondate su valutazioni soggettive circa il
comportamento degli altri individui come conseguenza del
proprio agire.
b) Agire di società. Anticipare le reazioni degli altri in
base a delle regole, ad ordinamenti precostituiti. Il soggetto
agisce quindi in base ad aspettative fondate su ordinamenti,
circa l'atteggiamento di altri individui come conseguenza del
proprio agire.
- K. Mannheim,106 sociologo tedesco, distingue due
possibili categorie di relazioni:
105Weber M., Economia e Società, op. cit.
106Mannheim K., Sociologia sistematica. Introduzione allo studio della società, Ed.
Comunità, Milano, 1960
228
a) relazioni simpatetiche, tipiche delle società tradizionali,
basate sulla conoscenza diretta dell'interlocutore.
b) relazioni categoriali, tipiche invece della società
moderna, che tengono conto delle categorie, dello status e del
ruolo che caratterizzano la persona interlocutore.
- C. H. Cooley107 distingue tra:
a) Rapporti primari (propri dell'ambiente rurale),
caratterizzati dall'interazione faccia a faccia, fatta in piccoli
gruppi ed in maniera informale.
b) Rapporti secondari (propri dell'ambiente urbano),
speso mediati dai mass-media, da organizzazioni, da soggetti
o regole codificate e formali.
- T. Parsons108 ha identificato 5 variabili che permettono
di distinguere società da comunità (anche se il suo livello di
concettualizzazione è analitico, non empirico, e quindi non si
presta a identificare concretamente diversi tipi di
insediamento):
1) diffusività-specificità. Diffusività (che potremmo dire
prevalente nelle società tradizionali, e dunque in ambito
rurale): nel rapportarsi agli altri si agisce tenendo conto dei
caratteri complessivi degli altri non legati al contenuto
specifico dell'azione. Specificità (prevalente nella società
moderna, nell'ambiente urbano): nei rapporti si tiene conto
del particolare contenuto dell'azione che si sta svolgendo.
2) particolarismo-universalismo. Particolarismo: agire
distinguendo a seconda del contesto o del tipo di
appartenenza. Universalismo: non fare alcuna distinzione in
quanto si applicano regole generali.
3) affettività-neutralità affettiva. Affettività: adesione alla
gratificazione immediata. Neutralità affettiva: pospone le
gratificazioni immediate in vista di quelle future. Permette di
riuscire a stabilire e a agire secondo una logica mezzi-fine.
4) ascrizione-acquisizione. Ascrizione (attribuzione): si ha
un atteggiamento ascrittivo nei confronti di una persona
107Cooley C. H., Social Organization. A Study of the Larger Mind, Schocken, New
York, 1962.
108Parsons T., La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna, 1986.
229
quando si considera "chi è" (qual è la sua famiglia, la sua
provenienza, la sua posizione sociale). Acquisizione
(prestazione): si ha un atteggiamento acquisitivo quando si
considera una persona per "ciò che fa", per la sua effettiva
prestazione.
5) orientamento alla collettività-orientamento a sé. Il
primo permette di massimizzare i vantaggi della collettività.
Il secondo permette un'attenzione maggiore, se non unica, ai
vantaggi individuali.
Ciascun ruolo, nella società di oggi, presenta diverse
componenti di queste 5 variabili-modello. Perciò è errato
pensare in termini assoluti: non è vero che in città si ha
completa assenza di relazioni basate su atteggiamenti
diffusivi, o ascrittivi, o particolaristici.
Ciò che cambia è
semmai la loro proporzione, la loro dominanza o minoranza
rispetto alle relazioni di segno opposto. Allo stesso modo
non si deve pensare a una rigida alternativa, sul piano
empirico, tra relazioni primarie e secondarie, o simpatetiche e
categoriali.
Tuttavia, è chiaro che questo tipo di
concettualizzazione polarizzata favorisce e sostiene una
visione dicotomizzante della società, anche in relazione alle
sue modalità insediative.
2 FASE
I processi di cambiamento sociale che si manifestano negli
anni '20 e '30, con aumento dei trasporti, diffusione delle
comunicazioni, rafforzamento delle attività e dei servizi
statali su base centralistica, rottura dell'isolamento rurale,
fanno progressivamente perdere autonomia e rilevanza alle
comunità locali. Le relazioni dei singoli insediamenti con
l'esterno sono sempre maggiori, sia sul piano materiale che
simbolico. Si procede verso una crescente sistemizzazione
(aumento delle interrelazioni tra le parti) e centralizzazione.
La tradizionale concettualizzazione dicotomica dei rapporti
città-campagna è messa in crisi, per il venir meno di uno dei
due poli, a causa del diffondersi del modo di vita urbano
nelle campagne.
Un gruppo di autori si sforza di salvaguardare l'identità
rurale, sottolineando che le comunità, nonostante i
mutamenti in atto, non cessano di distinguersi dalla città,
230
adattandosi in modo originale alle nuove situazioni. Non si
tratta quindi di semplice urbanizzazione, affermano Sorokin,
Zimmerman e Galpin (1931)109, ma di "rurbanizzazione",
coniando tale termine per sottolineare la capacità di
evoluzione della comunità rurale senza la perdita delle sue
essenziali caratteristiche.
Questa sistemazione concettuale non resiste però
all'evidenza del progressivo sfaldarsi del tessuto sociale della
comunità rurale: gli elementi tradizionali vengono
soppiantati da quelli nuovi, l'autonomia della comunità
sempre più ridotta dalla forza dei mutamenti esogeni, dalle
spinte centralizzatrici. L'impostazione teorica della sociologia
rurale compie una significativa modificazione con
l'abbandono del presupposto che la campagna debba essere
caratterizzata dal mantenimento di caratteristiche costanti,
essenziali. Si assume invece, con T. Lynn Smith110, che ogni
insediamento può essere caratterizzato da una diversa
combinazione di un insieme di variabili. Il concetto di
continuum rurale-urbano si presta meglio a rappresentare i
fenomeni osservati di quanto non faccia la dicotomia cittàcampagna. In questo modo si possono identificare più
esattamente le differenze tuttora esistenti tra vita nei villaggi
e vita nelle città, e più esattamente si può seguire
l'andamento del processo di urbanizzazione, identificandone
i fattori accelerativi.
rurale
urbano
Sulle variabili da prendere in considerazione per collocare
sul continuum gli insediamenti, interessanti sono i lavori di
C.P. Loomis (1950 e 1960),111 che propongono la seguente
articolazione:
109Sorokin P. Zimmerman C. G., Galpin C. J., A Systematic Source Book in Rural
Sociology, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1930-32 (3 voll.).
Sorokin P., Zimmerman C. G., Principles of Rural-urban Sociology, New York, 1929.
110Lynn Smith T., Trends in Community Organisation and Life, American Sociological
Review, 1940 (V).
111Beegle J. A., Loomis C. P., Rural Sociology. The Strategy of Change, Englewood
Cliffs N. J., Prentice Hall, 1957.
231
1) azione razionale
non razionale
2) specificità
diffusione funzionale
3) responsabilità sociale
responsabilità limitata
4) integrazione dei ruoli
fuori del sistema locale
nel sistema locale
(in una piccola comunità si riesce a cogliere le funzioni e
l'integrazione dei ruoli all'interno del sistema; in città invece
ci si deve mettere al di sopra delle località, essendo la
divisione del lavoro molto più complessa).
Viene poi proposto un prolungamento del continuum
verso il "folk", ossia le società "primitive" extraeuropee):
folk--------soc. rurale----------------soc. urbana
Variabili che tendono a portare l'evoluzione della società
da folk verso urbana, individuate da Redfield,112 sono:
- eterogeneità etnica
- divisione del lavoro
- uso della moneta
- secolarizzazione della cultura
- controllo sociale da parte di organizzazioni impersonali
- libertà di scelta individuale
Vi sono poi tre processi ancor più generali che tendono a
determinare queste variabili:
disorganizzazione, secolarizzazione, individualismo ==
portano alla modernità.
Un aspetto positivo dell'analisi su un continuum è che in
questo modo è più facile tener conto delle diversità dei casi
specifici.
Secondo L. Wirth113 ci sono 3 variabili che spiegano il
collocarsi sul continuum urbano-rurale:
1) Volume della popolazione
112Redifield R., The Folk Society, in: American Journal of Soxiology, 1946 (LIV).
113Wirth L. Urbanism as a way of life, in: American Journal of Sociology, 1938, n.
XLIV, pp. 1-24.
232
2) Densità
3) Prossimità alla città
Cioè, tanto più una zona è grande e densa, tanto più
produce l'"effetto città" (punti 1 e 2). Inoltre, tanto più un
villaggio è prossimo alla città, tanto più risentirà
dell'influenza di questa.
A queste 3 variabili va poi aggiunto anche l'effetto dei
mass media.
Critiche mosse al concetto del continuum urbano-rurale.
Pur essendo più adeguata della concezione dicotomica a
cogliere la molteplice diversità delle situazioni concrete, la
concezione del continuum rurale-urbano non elimina
l'ambiguità propria della prima, che consiste essenzialmente
nell'interpretare in termini di città-campagna processi di
mutamento che coinvolgono l'intera società.
Sottostante al concetto di continuum, ci sarebbe in realtà
una teoria evoluzionistica unilineare e unidirezionale dello
sviluppo, che procede quindi dal folk alla realtà urbana;
R. Dewey114 scrive un articolo in cui sostiene che il
continuum urbano-rurale è reale ma poco importante: ciò che
noi notiamo come differenza tra città e campagna, non è il
diverso modo di organizzarsi, bensì il mutamento storico,
sociale, che in città si verifica prima rispetto alla campagna.
Si ipotizza inoltre la unidimensionalità del continuum, ma
senza provarla. Si ha unidimensionalità quando gli elementi
che qualificano il cambiamento sono tra loro perfettamente
correlati. L'analisi dei fattori è lo strumento matematico per
capire se una serie di variabili sono tra loro convergenti, e
quindi si identificano in un'unica dimensione, oppure se sono
divergenti in più dimensioni.
3 FASE
Se accettiamo la concezione che sul continuum urbanorurale tutti gli elementi che identificano il rurale si spostano
verso elementi urbani, allora la società rurale scompare. In
114Dewey R., The Rural-urban Continuum. Real but Relatively Unimportant, in: “The
American Journal of Sociology”, luglio 1960.
233
questa 3° fase si cerca perciò di dare una precisa identità, che
diventi pure autonomia, alla società rurale.
Ricordiamo come Parsons individui 4 sottosistemifunzione dei sistemi sociali:
- adattamento
- perseguimento dei fini
- integrazione
- latenza
mezzi
fini
esterno
adattamento
perseguimento dei
fini
interno
latenza
integrazione
F. Demarchi,115 ai fini della sua proposta interpretativa
delle differenze tra città e campagna, riprende la teoria
parsonsiana distinguendo tra sottosistemi funzionali che
chiama:
- adattamento
- dominanza
- mantenimento (funzione che in una società fa sì che gli
individui interiorizzino i valori)
- integrazione
mezzi
esterno
fini
adattamento
dominanza
mantenimento
integrazione
115Demarchi F. Società e spazio op. cit.
234
interno
La differenza strutturale tra città e campagna diviene
quindi la seguente:
città = sviluppa tutte e quattro le funzioni;
campagna = sviluppa solo due funzioni: adattamento e
mantenimento (il villaggio riesce a mantenere il passato, non
a rinnovarsi: chi non si adatta è deviante e viene espulso,
spesso mediante il fenomeno dell'emigrazione).
Perché la città riesce a sviluppare anche le altre due
funzioni?
Secondo Weber = perché è strutturalmente diversa dalla
campagna; essa ha pluralità di poteri istituzionali, nessuno
dei quali riesce ad essere egemone. La città permette
l'innovazione, ed è questo che le permette di essere
dominante sull'ambiente esterno.
Ci sono stati altri tentativi di definire città e campagna
superando sia il continuum sia la dicotomia tra le due, e sono
i modelli funzionali.
- Modello prevalente in Germania: città come centro di
servizi per la campagna;
- Modello prevalente nei Paesi mediterranei: campagna
come luogo funzionale per la città;
- Altre teorie più recenti: città e campagna non sono
funzionali a vicenda, ma sono sottosistemi funzionali di un
sistema più grande, il sistema nazionale.
4 FASE
La campagna del mondo è il terzo mondo. Le aree dei
paesi sviluppati vengono viste come caratterizzate dalla
presenza di megalopoli, cioè grandi metropoli distribuite
all'interno di uno spazio rurale che ormai è completamente
industrializzato.
Di conseguenza, in questa fase vengono proposti vari
sviluppi, vari approcci alternativi allo studio della sociologia
rurale:
235
- studiare il processo di sviluppo dei Paesi del terzo
mondo, considerandoli la "campagna del mondo".
- la sociologia rurale si deve trasformare in sociologia
dell'agricoltura, sociologia legata quindi ad una figura
professionale (l'agricoltore) più che al territorio.
- sociologia della pianificazione delle aree rurali
- sociologia rurale come sociologia dell'ambiente, che si
interessa del modo in cui la società si pone nei confronti della
natura.
Nessuno di questi sviluppi esaurisce però l'interrogativo
iniziale che sta a monte della sociologia rurale. Non rimane
perciò che far confluire la sociologia rurale all'interno della
sociologia del territorio, analizzando il rapporto tra società e
spazio.
Aspetti particolari della situazione della disciplina in
Italia.
Il grosso problema italiano è sempre stata la questione
meridionale, cioè la grande differenza tra sud e centro-nord.
Ci sono due grandi direttrici di studio della sociol. rurale in
Italia: la prima di taglio economico-agrario (nel 1931 l'Inea
pubblica una monografia sulla famiglia agricola); la seconda
di taglio antropologico-culturale, che studia la società
contadina del sud e i flussi emigratori dal sud al nord. Sul
finire degli anni ‘60, inizio '70, si ha un fiorire di studi sulla
cooperazione agricola (Benvenuti).116 Negli anni '80 si
manifestano due tendenze: studi sulle zone marginali, che
mettono in evidenza il sopravvivere di elementi culturali
tradizionali in zone come quelle collinari e montane
(Catelli117, Gubert118); e studi sul part-time agricolo
(Cavazzani 119).
116Benvenuti B., Problemi di sociologia rurale, in Questioni di Sociologia, La Scuola,
Brescia, 1966
117 Catelli G., Sociologia rurale, Ed. Lavoro, Roma, 1984
118 Gubert R., Ruralità e marginalità, F. Angeli, Milano, 1989
119Cavazzani A. Il part-time agricolo, Marsilio, Venezia, 1979.
236
Esempi di ricerca
Thomas/Znanieki,
"The polish peasant in Europe and America" 120
(Thomas = sociologo della Scuola di Chicago; Znanieki =
sociologo polacco)
Questa ricerca è nota soprattutto per essere il "contraltare"
del "Suicidio" di Durkheim. Mentre Durkheim nella sua
ricerca esalta l'aspetto empirico, l'oggettività dei dati e quindi
delle conclusioni, Thomas e Znanieki tendono a valorizzare i
dati soggettivi della ricerca, convinti che non è la situazione
come tale che pesa sul comportamento degli individui, bensì
è importante come la stessa viene definita (cd. teorema di
Thomas. "basta che una situazione sia vissuta come reale
dagli individui perché essa abbia conseguenze reali"). Si ha
quindi una distinzione tra situazione e sua definizione. Per
capire ciò si devono usare documenti soggettivi, quali
interviste, storie di vita vissuta, biografie, riuscendo così a
ricostruire il "mondo dei significati".
La loro opera, in due volumi, si apre con l'enunciazione
della "teoria della personalità": la definizione della situazione
deriva dagli atteggiamenti frutto del carattere di una persona,
il quale a sua volta è la risultante di due elementi:
- temperamento (innato)
- fattori sociali esterni (modo in cui la società è
organizzata in base ai valori sociali rilevanti).
La combinazione tra temperamento e fattori sociali esterni
da origine alle diverse personalità.
I tratti diversi di personalità si possono cogliere in base a
4 desideri fondamentali e innati:
- desiderio di sicurezza
- di nuove esperienze
120Thomas W. I., Znanieki F. Il contadino polacco in Europa e in America Edizioni di
Comunità, Milano, 1968 (ed. or. 1920).
237
- di dominio ( = avere una relazione asimmetrica in senso
positivo)
- di corrispondenza ( = è l'opposto del precedente:
desiderio di una relazione paritaria, amicale)
Ciascuna persona è dotata di ciascuno di questi 4 desideri:
ciò che cambia è la proporzione con cui questi sono dosati
nelle singole persone.
La ricerca empirica di Thomas/Znanieki si sviluppa in
due direzioni:
1° Ricerca: "Contadino polacco in Europa"
2° Ricerca: "Contadino polacco in America"
Nel 1920 i due lavori vengono unificati nel volume "The
polish peasant in Europe and America"121
121Ibidem
238
RICERCA: "Il Contadino polacco in Europa e in America"
La tipologia è stata ripresa successivamente da
Lazarsfeld, il quale sostiene che fare una tipologia significa
ridurre uno spazio di attributi, cioè una combinazione di
dimensioni da qualificare, con attributi intermedi. Lazarsfeld
cerca di ricostruire la tipologia di Thomas e Znaniecki, i quali
senza rendersene conto hanno applicato la riduzione alle
dimensioni individuate con la loro teoria della personalità:
dominio
filisteo
sicurezza
creativo
nuove esperienze
bohemien
corrispondenza
L'incrocio delle due dimensioni dà invece origine a una
matrice con nove caselle, in cui potevano trovare collocazione
altri tipi.
239
Dalla polis al cittadino virtuale
Premessa
E' convinzione comune che il legame fra il termine polis
che in greco significa città e la politica sia un rapporto
solamente etimologico-storico. Politologi e sociologi
spiegano, più o meno sbrigativamente, che il termine politica
trova la sua origine nella realtà della polis-città greca, in
quanto la città greca rappresentò compiutamente il governo
della vita sociale nelle sue componenti, definita com'era, dai
suoi precisi limiti geografici, organizzativi e culturali.
La politica dei corpi sociali che hanno avuto seguito nella
storia, si sarebbe svincolata dalla città, assumendo forme ben
diversificate da questo primo archetipo, divenendo via via
regno, impero, stato, unione di stati, federazione continentale
o tentativo di governo mondiale della comunità delle nazioni.
Ebbene, quello che questa breve discussione intende
proporre è, al contrario, una stretta connessione fra città e
politica, affermando che la città iniziò e continuò nei secoli a
mantenere e ad esercitare un influsso determinante e
sostanziale sui rapporti sociali, come essi si manifestano e si
sviluppano nella vita di governo. La città, insomma, come
soggetto, centro e luogo della cultura e della prassi del
potere, nonché delle forme che via via esso assume nella
storia.
In questo senso esprime un evidente, illuminante e pieno
significato l'affermazione di Lewis Mumford, quando
all'inizio della sua celebre epopea della città nella storia dice:
«questo libro si apre con una città che era simbolicamente
un mondo, e si conclude con un mondo che è diventato, per
molti aspetti pratici, una città»122
L'affermazione di Mumford andrebbe, a mio modo di
vedere, rinforzata e chiarita, nel senso che il mondo è
divenuto sì una città, ma nel senso che il potere, o dominio
(per usare l'espressione weberiana) sono divenuti
122
Mumford L., La città nella storia, Milano, Comunità 1963, p.9.
240
appannaggio se non privativa della città. Il mondo è cultura
urbana in tutte le sue espressioni.123
La città, insomma, è concentrazione, gestione simbolica e
reale della politica, ovvero del governo delle attività umane,
attraverso una molteplicità ed una varietà di strumenti che
rendono la sua storia uno dei capitoli più affascinanti e ricchi
di stimoli alla riflessione.
Stanzialità e sacralità
E' scavando nei quattromila anni di storia (e sono poca
cosa) del rapporto dell'uomo con lo spazio che riusciamo ad
individuare alcuni archetipi della città. Riusciamo così a
comprendere come sia avvenuta la concentrazione nella città
del potere di governo, scoprendo, altresì, le forme
comunicative ed i canali del linguaggio simbolico nonché le
strutture materiali, architettoniche ed organizzative che lo
costituiscono.
Nella nascita e nella crescita del rapporto con lo spazio.
La città, trasformando e potenziando il nucleo di elementi
contenuti nel villaggio, rivoluziona la vita dell'uomo
cronicamente nomade.
Ma quali sono gli elementi costitutivi di questa
rivoluzione che è la città, mutamento che per importanza
sembra essere secondo solo al linguaggio quale mutamento
nella cultura?
Il primo di questi elementi è la sacralità.
Dalle necropoli-santuario del paleolitico, ai lari, ai penati,
al tempio, sino ai monumenti in onore dei caduti per la
patria, ai mausolei, alla 'Arche' voluta dall'appena trascorsa
presidenza di F. Mitterrand, il riferimento sacro segna ciò che
unisce, in forma e con significato indiscutibile ed intoccabile,
perché è proprio del sacro la non manipolabilità quotidiana.
E' per questa ragione che solo il sacro offre la garanzia della
intoccabilità ed una giustificazione del dominio che va al di là
della legittimazione del potere sociologico weberiano.124
Ricordiamo che secondo questo autore, una definizione
del resto data per acquisita dai sociologi, il potere (o meglio il
123
124
Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo, cit.,.
Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft cit.. 1956: I, pp. 122-176.
241
dominio) esiste unicamente quando vi è una legittimazione
libera, ovvero una risposta di obbedienza, da parte del
soggetto e dei soggetti ai quali viene proposto formalmente
un comando. In caso contrario si tratta o di obbedienza per
costrizione oppure di una potenza generica ed astratta
(Gewalt e Macht)
Ed è per questa ragione che risulta per noi chiarificatrice
ed insieme efficace e fors'anche inquietante la definizione che
lo stesso M. Weber dà al capitolo sulle tipologie della città,
ovvero la città come come «potere non legittimo» ovvero non
accettato liberamente dai cittadini.125 La città, dunque, come
dominio oppressivo, sia questa oppressione palese od
occulta.
In questa definizione e nella ricca e puntigliosa storia
della città ricostruita da questo autore, e sviluppata in seguito
da altri celebri studiosi (Mumford, Benevolo), si esprime il
fondamento del nostro assunto. La città rappresenta la radice
strutturale, il luogo, la simbolica, il soggetto nel quale si
forgiano le decisioni, si affilano le armi o si attivano le astuzie
per applicarle, si forma e si esegue la politica.
La città è sì, anzitutto, un luogo che accentua ed
arricchisce la stanzialità, una concentrazione significativa
della popolazione; la città diviene quindi anzi tutto un luogo
in cui si ha un'implosione del potere con la monarchia
politica, quando essa sviluppa un dominio economico sul
territorio circostante, con la presenza militare che rende la
guerra una istituzione stabile. La città diviene altresì
concentrazione del sapere politico, giuridico, scientificotecnologico (un sapere che organizza la resistenza alle forze
naturali); la città diviene mercato, nonché un'idra che domina
ed allo stesso tempo assorbe risorse dal territorio circostante
per vivere o per rinascere.
Se la cinta muraria definisce e si erge ad evitare
intromissioni ed attacchi, la sacralità, quale meccanismo che
definisce una realtà «totalmente altra»126 erige una barriera
contro qualsiasi manipolazione del potere proprio della città,
escludendo chi è profano, chi è esterno ma anche chi vive
125
126
Weber M., ibidem: II, p. 735 ss..
Otto R., Das Heilige, 1966.
242
nella città e non appartiene alla monarchia, al ceto, all'élite,
alla cerchia di chi elabora ed applica le decisioni. La città,
dunque, come implosione del potere non legittimo, imposto,
escludente la libera risposta obedienziale e solidale.
Sembra, pertanto, esservi una quasi ininterrotta
connessione, una connessione stretta e diretta fra città e
potere politico, inteso come potere non sociologicamente
legittimato.
In parole più semplici, la città sembra essere storicamente
il luogo in cui il potere implode, rendendo problematico ogni
fiorire e maturare della democrazia politica come
partecipazione.
Non si tratta né di affermare che esiste un determinismo
urbano totalitario, né tanto meno di proporre un
atteggiamento di resa ad una realtà storica anche se essa
appare conclamata, quanto piuttosto di una presa di
coscienza del carattere fondamentalmente autoritario del
potere o del dominio urbano.
In questa premessa, sembra proporsi ai cultori della
psicoanalisi, un campo d'indagine e di lavoro di grande
interesse. In quale forma, infatti, questo magma
dell'irrazionale urbano che dà origine a questo perpetuarsi
del potere non legittimo, di una imposizione o di una
sopraffazione che tende ad escludere il ruolo attivo e
determinante del razionale degli individui e dei gruppi
potrebbe far luogo alla partecipazione politica, ovvero alla
democrazia, in modo che scelte razionali prendano il posto
dell'irrazionalità del potere urbano?127
Un compito, questo, che può e forse deve vedere alleati e
conniventi politologi, sociologi, psicanalisti, politici e
cittadini per un'azione di frontiera.
La faticosa Polis e lo splendore delle irreggimentazioni
urbane
Per rendere plasticamente chiara la forza della città, quale
potere sacrale che si esplicita in una vita sociale caratterizzata
dalla presenza di un potere tendenzialmente autoritario ed
assoluto, modello che, a parer nostro risulta essere
127
Scaglia A., Sacro e potere, Trento, UNICoop 1977.
243
predominante nella storia della città, è opportuno operare un
confronto fra una delle classiche esperienze di democrazia
urbana, quella della polis greca ed il modello nel quale essa si
ebbe ad evolvere, quello della città ellenistica, con un accenno
al modello di Roma per riuscire a leggere in questa diarchia,
come in un archetipo, il dispotismo ed insieme il rischio di
crollo della odierna megalopoli telematica, nella quale
cittadino e partecipazione assumono prevalente carattere
virtuale, dove cittadino e partecipazione sono realtà costruite,
proposte ed interiorizzate a prescindere dal libero processo di
valutazioni, di scelte e di conseguenti rapporti comunitari e
societari.
La Polis greca, la città ellenica, in particolare l'esperienza
di Atene del VII e VI sec. a C. è tutt'altro che la città ideale di
cui ebbero bisogno di sognare, aspirare o filosofare tanti
pensatori, da Platone, Aristotele, Agostino di Ippona ,
Tommaso Campanella, Tommaso Moro, F. Bacone, William
Morris, Robert Owen, Italo Calvino e tanti altri.128
La Polis greca nasce quando la paranoia del potere
dell'età del ferro, in cui re assoluti e violenti utilizzano la
forza, la violenza e la legittimazione sacrale come
indiscutibile e totale visione del mondo, si evolve, passando
attraverso la costruzione di conoscenze pratiche che fanno
acquisire ai cittadini la capacità di dominare razionalmente il
mondo, prima attraverso i miti religiosi e poi attraverso le
speculazioni filosofiche; si raggiunge così una libertà
dall'arcano indefinito e da chi lo utilizza per esercitare un
potere autoritario ed oscuro.
Nasce la Polis: una città che sostituisce monarchi assoluti,
e caste militari ed anche quelle dei mestieri con una
specializzazione funzionale, capace di esprimere abbondanza
materiale, filosofica, letteraria, accanto a quella delle arti
dell'architettura e della scultura. Alfabeto e moneta
favoriscono e formalizzano, a loro volta, la comunicazione e
lo scambio dei beni.
L'Atene del VII secolo a.c., sarà, fra le Polis, l'esempio di
ciò che la città greca saprà scoprire e creare. In un periodo
128
Vercelloni V.: 1994.
244
relativamente breve, la Polis scoprirà ciò che egizi e sumeri
non seppero scoprire nel corso di millenni: ovvero il modello
della popolazione che forma e governa la città. Sarà,
purtroppo, un modello che deperirà, in seguito, per un tarlo
che gli ateniesi non seppero eliminare, quello del rifiuto del
lavoro e dell'attività economica lasciata agli stranieri ed la
conseguente tentazione di procurarsi con tributi autoritari e
guerre i beni che ad un certo momento verranno a mancare.
Si trattò, tuttavia, di un modello che ben raramente poté
essere imitato o riprodotto nella storia della città (Aloni A.,
1996).
Atene sviluppa gli elementi che, esistiti, in nuce, nel
villaggio paleolitico, divengono forma urbana: luoghi
dell'organizzazione governativa (gli uffici), il ginnasio, il
teatro, il mercato, il pritaneo (municipio o assemblea dei
magistrati, guarda caso anche con funzione sacra), la fontana,
il tempio e l'agorà (come primitivo recinto del tempio) ed
infine l'acropoli o montagna sacra, il tutto inglobato in
un'autoamministrazione febbrile, faticosa ma libera.
La città greca avrà anche una dimensione universale, con
Delfi, come città oracolo che regola la fondazione delle
colonie legate al proprio destino ed alla propria origine,
Olimpia con i giochi cui tutti i greci possono e si onorano di
partecipare e Coo, luogo della salute e del benessere secondo
le norme ippocratiche. Sono, questi luoghi che potremmo
chiamare di inter-Polis, sono anche zone franche,
prefigurazione delle comunità continentali ed internazionali
moderne.
E' l'evoluzione della forma della sacralità a connotare
l'anima democratica della Polis. Il tempio segue la
trasformazione che il dio subisce con l'evoluzione della città e
della
sua
cultura.
Il
tempio,
pur
rimanendo
architettonicamente ristretto, si amplia, nella coscienza e nella
visione del mondo dei cittadini, secondo la dimensione che
assume il suo influsso sacrale, diviene simbolo della
esaltazione ed inebriazione collettiva di una collettività che,
in questa sacralità, adora sì il dio o gli dei, adorando al
contempo, attraverso i valori e le norme che essi
245
rappresentano, la dimensione migliore di se stessa. Nel caso
di questa Polis il sacro, gli dei legittimano la città mentre
domina e governa il quotidiano, l'amministrativo, il ludico, il
culturale e d il teatrale.
Il cittadino guarda, lassù, il tempio illuminato,
fisicamente ristretto, ma simbolicamente esteso a tutto il
mondo
sociale
della
città
circostante.
L'agorà,
primigeniamente estensione del tempio, è luogo di incontro e
di commerci. Luogo anche di dialettica ed insieme di
contraddizione; i commerci sono costì gestiti dai forestieri,
dai metèci. Infatti, il cittadino della Polis non ha mai saputo
vincere il tabù del valore proprio dell'attività economica e del
lavoro, affidato ai forestieri, con il conseguente ricorso ad un
atteggiamento autoritario e bellicoso verso l'esterno, un
atteggiamento originato dalla propria mancata autonomia e
creatività economica.
Sarà questo l'elemento che porterà la Polis sulla china del
dissolvimento, o meglio, verso la trasformazione nella città
ellenistica.
La Polis negherà libertà alle colonie, cedendo alla
tentazione della illibertà. Quando la Polis si troverà in
difficoltà economiche, mancando della virtù dell'operare
economicamente, non troverà di meglio che convertirsi allo
strumento dei tributi e della guerra per poter sopravvivere
dominando.
L'esito sarà la trasformazione nella splendida città
ellenistica, dove il reticolo di viuzze nelle quali si svolge una
intensa rete di rapporti comunitari; gli spazi comuni e l'agorà
dove si radunavano le assemblee nelle quali la frenetica
turnazione dei cittadini che amministravano rendeva ragione
del proprio operato, si trasformeranno in una città
architettonicamente monumentale, con viali che conducono
diritto ai luoghi della sacralità, del potere e delle funzioni
urbane principali, in grandi piazze funzionali ma non più
luogo della dialettica democratica. La città ellenistica è una
città imperiale, irreggimentata, una macchina di conquista e
di dominio, che fa del cittadino attivo ed assillato
dall'autogestione, un cittadino conquistatore insolente,
sfruttatore di altri territori, in patria pedagogo servile,
parassita e scroccone.
246
Il cittadino ellenico, scostatosi, nel passato, dai limiti
arcaici della tirannia, cioè dall'arbitrio del potere e
dell'autorità come segretezza, pagando alti prezzi alla
partecipazione, era divenuto, come l'eroe solitario di Sofocle,
il libero cittadino «che agisce, solo, e cerca, con l'esercizio
dell'intelligenza, di "tenere una mano levata davanti al fato"»
(MUMFORD L., 1963: 213). Un cittadino che seppe resistere
ai Persiani, e che intende muoversi, sempre nell'espressione
di Sofocle, «solo o con l'appoggio di tutti".
La grandezza del cittadino ellenico nella Polis, si esprime
anche nel teatro, come spettatore, in un'esperienza collettiva e
comunitaria,
in
una
produzione
incredibile
di
rappresentazioni ed in una partecipazione critica della vita
sociale,
attraverso
la
tragedia
ed
il
dramma,
immedesimandosi nell'attore e condividendo i commenti del
coro, facendo intervenire innumerevoli cittadini alla recita. Il
Teatro, insomma, come evento, esperienza ed esercizio della
vita democratica.
Il rifiuto del lavoro, della produzione economica e dei
commerci, la dicotomia città campagna, la convinzione che
«le stelle le pietre, gli alberi non possono insegnarmi nulla»
(Sofocle), condurranno al rifiuto del collegamento cosmico,
ovvero al rifiuto di comprendere e dare senso al mondo, in
un atto di stolta superbia intellettualistica che conduce alla
solitudine dell'io, ad un'idolatria dell'io che coinciderà con la
solitudine. L'incapacità dell'io di rompere la cinta muraria
per dare senso e dignità al mondo circostante, alla campagna,
alla natura da trasformare con il proprio lavoro, diviene
rifiuto di dare autonomia alle colonie come riproduzione
della libera Polis. Il risultato sarà una solitudine suicida.
Saranno i monumenti a sostituire quest'io, solo, depresso,
impotente e non più creativo. Un io non più in grado di far
vivere la città democratica e tanto meno di riprodurla
all'esterno.
Invece di riprodursi creativamente la Polis imboccherà la
via della sterilità. L'ultimo, errato tentativo di trovare una via
d'uscita sarà la regressione nell'Utopia. Quest'ultima fa
sparire, con Platone, la dialettica greca in cui il cittadino
247
esprime la sua mente comunitaria, insieme autonoma e
creatrice (Oechselin W.: 1993: 419-458).
In questa astratta Utopia, hanno campo libero gli
irreggimentatori delle attività umane dentro le funzioni
urbane. I cittadini abdicheranno al loro potere legittimo e si
affideranno agli ordinamenti ed ai potentati che si
rispecchiano nella città a pianta milesia e dalle splendide ed
imponenti ed impositive forme monumentali.
Nel nostro assunto, la Grecia, come culla della civiltà e
della cultura, presenta prima gli archetipi della liberazione
dalla sacralità assoluta, animistica premitica, quindi quelli
della Polis comunitaria ed anche l'archetipo della sua
decadenza, quello che vede la Polis sfociare nella metropoli
ellenistica e quindi nella megalopoli alessandrina.
Il processo che condanna gli sforzi della Polis per
sopravvivere, coinvolge ad esempio anche Aristotele che
traccia una fisionomia della città tutta ritagliata sul finalismo
proprio della natura (l'entelecheia), per cui, secondo questa
legge universale, la città deve rispettare la dimensione
spaziale e demografica ed avere un obiettivo comune a tutte
le città. Per «grandezza ed estensione essa dovrebbe essere
tale da poter permettere ai suoi abitanti di viverci insieme
sobriamente e liberamente nel godimento del tempo di
riposo».
A ben guardare, questa connotazione ripropone, pari pari,
la ferrea regola della insuperabile piccola dimensione della
Polis, dimensione che veniva mantenuta con la fondazione di
colonie, mentre la democrazia utilizzava la regola
dell'ostracismo.
Ciò che anche Aristotele e Platone non riuscirono a
proporre, fu una dimensione diversa della Polis, nel
momento nel quale essa stava cedendo alla tentazione della
forza per procurarsi la sopravvivenza economica. Una
dimensione che avrebbe dovuto essere un aperto
riconoscimento delle colonie e delle altre Polis, l'assunzione
di un modello economico che prevedesse la nobilitazione del
lavoro e dei commerci, nonché la proposta di recuperare le
248
dimensioni di Delfi, Coo ed Olimpia per una federazione
delle individualità comunitarie.
Nella concezione di Aristotele e Platone esce vincitore un
ceto medio senza apertura e senza creatività, «incapace di
resistere alle oppressioni politiche, alle suddivisioni in classi,
ai sacrifici irrazionali ed alle guerre inutili...»129, ritornando,
nella sostanza, alla barbarie della città antica.
E' la metropoli alessandrina la matrice, l'archetipo della
città moderna. Una città elegante, dall'architettura
monumentale, culturalmente pluralista e sincretista, volta ad
una razionalità espansiva e guidata da una logica di
conquista, di dominio sui territori circostanti e sugli altri
popoli. Una città che abbandona, come arcaico ed arretrato, il
modello democratico, creativo e partecipativo della Polis, una
città che accoglie in sé e sviluppa un potere nel quale il
cittadino si identifica senza poterlo modificare o condizionare
significativamente. Un potere, pertanto, sociologicamente
non legittimo, ovvero non apertamente e coscientemente
riconosciuto, un potere sostanzialmente arbitrario anche
quando è sostenuto dal corpus giuridico. Una città che si
troverà sempre in dialettico rapporto con ceti e gruppi che
covano la ribellione.
Verso il cittadino virtuale
La città, nella sua evoluzione storica, proprio perché
strutturale concentrazione del potere, assume molteplici
forme, ma passa attraverso i secoli, i regimi, gli imperi
riuscendo a risorgere dalle crisi forgiando sempre nuove
articolazioni di potere, un potere che, quasi per sua natura,
tende a non evolversi verso modelli di partecipazione che
rimangono così fatti eccezionali e non determinanti nella
conformazione della città.
Roma, come città e come dominio mondiale, esprime una
grandezza, un sistema urbanistico, organizzativo, giuridico
ed economico, produce un «mondo fatto città»; ma in luogo
di produrre un equilibrio politico, una comunità universale,
129
Mumford L., La storia della città... 1964, cit., pp 248-49.
249
produce un immenso e potente, vasto equilibrio di privilegi e
di corruzioni.
L'immensa rete di strade, i municipia, le legioni, la rete di
innumerevoli
città,
il
sistema
economico
degli
approvvigionamenti, esprimono insieme potenza e
parassitismo, sincretismo culturale ed intolleranza di fronte a
qualsiasi ipotesi di autonomia culturale e politica dei popoli
dell'impero.
Nascono frustrazioni ed ansie che Roma tenta di placare
con i diritti garantiti ai cittadini romani, con lo splendore
dell'Impero, delle terme, dei templi e dei Fori e con il rito
sacrificale dell'arena. I cittadini di Roma sono,
fondamentalmente irreggimentati nel grande palinsesto
dell'impero e convertiti in parassiti. Nel 354 d. C. più di metà
dell'anno è occupata da feste e giochi.
Epidemie, sovrani assoluti, una città immobile, un abitare
scomodo ed insalubre, cittadini che sono tuttavia abbagliati
dallo splendore monumentale ed appagati con il sadismo
collettivo dell'arena costituiscono la negazione del modello
della Polis greca. Roma, insomma, come città con dialettica
sociale e democratica, come identità culturale propositiva e
propulsiva cade in pezzi al suo interno prima ancora che i
barbari la attacchino.
Dal disfacimento del sistema urbano di Roma, nascerà la
città medievale di ispirazione cristiana. Un rinnovamento,
questo, che trae dal messaggio cristiano della libertà,
attraverso il monachesimo, il senso della libertà e della
dignità dell'operare e del vivere solidale che segna la ripresa
dopo lo spopolamento urbano dell'Alto Medioevo.
Le città vescovili sono affiancate da città rette da consoli.
Il servaggio rurale gradualmente scompare e queste
nuove forze vanno ad arricchire la città di nuova
manodopera. Le città si arricchiscono di chiese, di arti,
mestieri, confraternite e corporazioni (Le Goff J., 1987).
Tuttavia, nonostante la forte carica della libertà nella
communitas, la città medievale non sa rompere la cinta
muraria, ordinata dal paleolitico per dare senso al mondo
circostante, non sa fare del cittadino artigiano, commerciante
e poi signore, un annunciatore di libertà. Il messaggio di
250
Francesco d'Assisi e di Pietro Valdo s'infranse contro le mura
e la volontà di abitare nei palazzi della ricchezza e del potere.
La città medievale e rinascimentale, anche la stessa
Venezia, che attua un mirabile sistema spaziale flessibile,
cadrà vittima della segretezza della cosa pubblica e dello
spionaggio volto ad opprimere il cittadino, soffocando la città
nel suo spirito di libertà.
Il fallimento di questa città cera, allora, un'altra volta la
strada dell'Utopia. Amaurote, di Tommaso Moro, è una città
ideale e pertanto irrealizzabile, ideologica e pertanto
autoritaria, illiberale, anticomunitaria, non democratica.
Le Signorie rinnovano pregi e difetti della splendida città
ellenistica. Le città mercantili affermano il predominio
dell'interesse economico corporativo, familiare o, in alcuni
casi statale. Le città di vengono soggetti preoccupati di quella
ricchezza artificiale che secondo Tommaso d'Aquino non
accettava limiti, una sovrastruttura irrispettosa dei cittadini.
La città si articola e si arricchisce di un esercito di
impiegati laici, della scuola, del capitale e della finanza, con
nuovi templi.
La città capitalistica introduce l'imperiosa e, di fatto,
inarrestabile logica del profitto con conseguenze terrificanti
per le città della prima rivoluzione industriale, la città
paleotecnica, dove tutto è organizzato unicamente attorno ai
poli della produzione.
Una logica che, gradualmente, ma limitatamente, viene
corretta o aggiustata nei periodi successivi con la legislazione
e la cultura urbanistica, dapprima a favore unicamente dei
ceti borghesi e poi, gradualmente, anche a favore dei cittadini
quando essi divengono titolari dei moderni diritti
costituzionali.
La storia della città contemporanea, tornando alla nostra
ipotesi iniziale, riproduce le sfide, le vicissitudini ed
impronta, forse, anche le sorti della democrazia del nostro
tempo. Una democrazia formale, conclamata, ma
251
strutturalmente condizionata dagli ordinamenti, dalle
potenze, dal potere non legittimo delle città.
L'esperienza delle New Towns inglesi di Howard (1904),
le città giardino, si incrociano con Megalopoli, una enorme
concentrazione di potere, una concentrazione che, stando alla
storia, potrebbe essere all'origine di un prevedibile declino di
una civiltà. La nostra è una civiltà che ha prodotto due
orribili guerre mondiali ed innumerevoli altri conflitti, che ha
prodotto un immenso fenomeno metropolitano, affascinante,
radioso, stimolante ed insieme oppressivo e disastroso. Una
Babele che, nonostante le tecnologie, tiene il passo del potere
ma non quello della dimensione di una vita sociale organica
ed aperta alla creatività dei cittadini.
Anche Megalopoli si evolve; scompare il suo involucro
originario; il suo spazio ed i suoi tentacoli sfuggono ad una
definizione spaziale ed anche di senso. I sociologi parlano
della città regione ed anche della città invisibile.
Consci di questo nuovo potere metropolitano
incontrollabile, non comprensibile nei suoi orientamenti e
soprattutto non riconducibile ad una dialettica con i cittadini,
politologi e cittadini costruiscono ingegnerie elettorali e
partecipative, simili alle utopie degli antichi filosofi,
ignorando o sottovalutando l'estensione del potere occulto
non legittimo di Megalopoli.
Questa città non è più un organismo vivo, individuabile,
comprensibile, riconducibile al senso della diretta vita
collettiva. Chi rappresenta la città afferma di poterla
dominare e pertanto rappresentare. In realtà, le utopie della
riconquista della città attraverso l'energia dei mondi vitali
(Ardigò A., 1978), le esperienze di decentramento
amministrativo dei quartieri e delle circoscrizioni sembrano
essersi arrese, di fatto, allo strapotere di questo nuovo
fenomeno metropolitano, riducendo la rinascita del locale ad
una curiosità della sociologia e dell'antropologia culturale.
La città non è divenuta, e sembra non poter divenire, un
organismo vivo, comunitario nel quale i cittadini possono
aspirare all'autogoverno; gli stessi governi della metropoli
tracciano alcune linee d'argine, consci che i potentati del
252
sapere tecnologico, dell'economia e della finanza, ed oggi
soprattutto coloro che costruiscono l'immagine della città
come immagine del mondo, coloro che orchestrano la
comunicazione telematica condizionano la politica come
governo e come quadro su scala individuale e sociale dei
valori (Capulli L., 1983; Echeverria J., 1995; Lizza G., 1984).
I cittadini, liberati dalle aberrazioni urbanistiche della
città paleotecnica e di Coketown, sono divenuti cittadini
virtuali, costruiti quotidianamente dal palinsesto delle
notizie, delle immagini, dei messaggi, delle leadership, delle
scelte e delle valutazioni, persino dei sentimenti, degli
entusiasmi e delle indignazioni. Un palinsesto non originato,
non costruito e non modificabile dalla intelligenza, volontà e
decisione dei cittadini, che assistono coinvolti, divertiti e
persino convinti alla proiezione quotidiana della propria
dimensione virtuale, finendo per farla coincidere con quella
reale, rinunciando pertanto a pretendere che quest'ultima alzi
la voce per farsi sentire e per dire «siamo noi i cittadini reali».
Megalopoli ha prodotto anche una ideologia scientifica
per non essere attaccata. Ha prodotto la teoria della
razionalità limitata (Simon H.) facendo coincidere la verità
con la diversità delle situazioni e delle prospettive.
Megalopoli fa prevalere la teoria della ipercomplessità, non
riducibile a dimensioni dominabili (Luhmann N.), affidando
le decisioni, ancora una volta alle élites.
Ed ancora una volta, Megalopoli, dopo aver fagocitato i
cittadini reali, proietta la loro realtà divenuta virtuale,
pertanto acritica, nel vortice del neoellenismo splendido,
affascinante, conquistatore e sfruttatore delle realtà esterne,
abbassandole al rango di nutrimento di Megalopoli, divenuta
il Moloch della nostra civiltà.
Esiste una via d'uscita a questa riduzione del cittadino
culturalmente vivo perché autonomo e partecipe a cittadino
costruito
dall'agire
comunicativo
(Habermas
J.,
Kommunkatives Handeln) manipolato dai potentati di
Megalopoli?
Se le vicissitudini storiche faranno valere il loro archetipo,
Megalopoli ed i suoi potentati possono avere di fronte a sé
due esiti. Lo sterile volgersi all'Utopia, oppure l'affermarsi,
nello strapotere di Megalopoli, dell'autoritarismo e della
253
violenza dei signori della guerra dell'età del ferro, una
violenza del tutto simile a quella del cieco sguardo del
denaro e della manipolazione delle visioni del mondo
imposte attraverso le reti della comunicazione.
Questi mondi autoritari predispongono da soli il proprio
tramonto.
Vi sarà una visione del mondo che possa accingersi a
ricostruire, sulle macerie di Megalopoli, una nuova Polis?
Preoccupante che non si intraveda un mondo di valori
sufficientemente incisivo, una visione del mondo, alla quale
una cultura possa attingere per accingersi a ricostruire dopo
il crollo di Megalopoli.
Ricostruire a partire dall'io individuale e quindi sociale,
sembra impresa ardua, come quella di sottrarre a questi
potentati, quale nuovo Prometeo, la scintilla della ragione,
della sua dialettica e con essa il senso del mondo per
riprendere la ricerca di miti, da noi costruiti e che ci
sottraggano al sopruso di una sacralità indefinita dietro la
quale si trincerano i moderni tiranni dell'immagine, del
consumo e della felicità virtuale.
Nota bibliografica
1978
Ardigò A., Governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna
1996
Aloni A., La democrazia di Atene, Lectio magistralis per
l'inaugurazione dell'Anno Accademico 1995-96, Università
degli Studi di Trento.
1983
Capulli L., La città telematica. Su nuovi linguaggi e
comunicazione sociale. Il Lavoro Editoriale.
1995
Echeverria J., Telepolis. La nuova città telematica, Bari,
Laterza.
Habermas J., Kommunikatives Handeln,
254
1995
Institut für Städtebau und Raumplanung, Idealstädte, 14
Jh.v.Chr. bis 1990, Leopold Franzens Universität Innsbruck.
1987
Le Goff J. (a cura di), L'uomo medievale, Bari, Laterza &
Figli.
1984
Lizza G., L'organizzazione telematica della città, Padova,
Marsilio.
1984
Lopez S., Intervista sulla città medievale, Bari, Laterza.
1979 (1936)
Otto R., Das Heilige,über das Irrationale in der Idee des
Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen, München, Beck
Verl. (trad. it.. Il sacro, l'irrazionale nell'idea del divino, e la sua
relazione al razionale, Bologna, Zanichelli 1926, Milano,
Feltrinelli 1966).
1963
Mumford L., La città nella storia, Milano, Edizioni di
Comunità.
1977
1993
Oechselin W., «Il mito della città ideale», in: PuglieseCarratelli: «Principii e forma della città», Milano, GarzantiScheiwiller, pp. 419-458.
Scaglia A., Sacro e legittimazione del potere, Trento
UNICoop.
1991
Scaglia A., La costituzione dell'ambiente montano, relazione
al Convegno "Incontro Tra/Montani", Sonogno 27-29. 9.1991,
15 pp.
255
1994 Vercelloni V., Europäische Stadtutopien, München.
1956
Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft, Grundriss der
verstehenden Soziologie, Mohr, Tübingen.
256
Sociologia, territorio, urbanistica
Urbanistica
Scienza giovane, l’urbanistica si presenta come l’arte di
leggere ed organizzare lo spazio attraverso l’uso di tecniche
sempre più affinate. Essa costituisce da un lato uno
strumento ormai insostituibile e dall’altro viene spesso
considerata come un orpello a causa dei numerosi vincoli che
essa pone all’uso del territorio.
Tale atteggiamento ostile all’urbanistica nasce dalla
discrasia che si viene creando fra esigenze delle comunità e
degli operatori economici in particolare e la lentezza con cui
l’adeguamento delle norme, delle cartografie e delle
autorizzazioni danno risposta ai problemi che attendono
risposta.
L’urbanistica, nella sua insostituibilità e nelle sue
contraddizioni, esige inevitabilmente un approccio
interdisciplinare, ovvero la sinergia fra numerose discipline.
«L’urbanistica è la scienza che studia i fenomeni urbani in
tutti i loro aspetti avendo come proprio fine la pianificazione
del loro sviluppo storico, sia attraverso l’interpretazione, il
riordinamento, il risanamento, l’adattamento funzionale di
aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro
crescita, sia attraverso l’eventuale progettazione di nuovi
aggregati, sia infine attraverso la riforma e l’organizzazione
ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e con
l’ambiente naturale».130
Altri hanno voluto esplicitare tale definizione attribuendo
all’urbanistica il compito di studiare e regolare i processi di
antropizzazione del territorio quale arte e tecnica dello
sviluppo urbano nelle sue più svariate articolazioni.131 In
proposito, è appena il caso di ricordare che l’espressione
territorio urbano va assunta secondo un’accezione del tutto
ampio sino a ricomprendere tutte le forme, da quella più
utilizzata a quella maggiormente vicina alla dizione ambiente
naturale.
130
Astengo G., voce «Urbanistica», in: Enciclopedia universale
dell’arte.
131 Barocchi R., Dizionario di urbanistica, Milano, F. Angeli 1984.
257
Le discipline che si incrociano dentro il processo di
pianificazione
urbanistica
sono
innumerevole.
Esemplificativamente citiamo la geografia, la topografia,
l’informatica, la geologia, l’ecologia, l’architettura, la tecnica
della viabilità e quella dei trasporti, l’economia, il diritto, la
politica, l’antropologia, la sociologia ecc.. Va detto, in
proposito, che il ruolo della discipline afferenti trova
accentuazioni particolari a seconda della natura del territorio
e della forma di antropizzazione che esso subisce.
La capacità dell’urbanista si manifesta nel saper
coordinare gli apporti pluridisciplinari, farli convergere entro
un’analisi efficace al fine di ottenere uno strumento
progettuale consono alla realtà territoriale, culturale e storica
presa in considerazione.
Sociologia ed urbanistica hanno la loro origine dalla
congestione e dall’esposizione a rischio cui andarono
incontro le comunità ed i territori con la grande
trasformazione che va sotto il nome di «rivoluzione
industriale».132 Un periodo nel quale le nuove tecnologia
produttive e di intervento sul territorio, i grandi movimenti
di popolazione verso le città, le nuove infrastrutture
provocarono vistosi fenomeni di squilibrio territoriale. Gli
interventi attuati allora rappresentano i primi elementi
dell’urbanistica intesa come tentativo analitico e progettuale
per governare il territorio di fronte a situazioni di emergenza.
Alcune proposte ebbero carattere utopistico, filantropico o
assistenziale; ma troviamo anche i primi elementi di teoria
urbana, di urbanistica amministrativa intesi a garantire
elementari livelli di igiene urbana, troviamo i primi esempi di
esproprio per utilità pubblica.
L’urbanistica ottocentesca trova il proprio sbocco nelle
esperienze novecentesche delle new towns (1904) ed in seguito
nella sperimentazione della prima città giardino di Howard
nella quale si cerca di far coesistere l’unità e la necessaria
differenziazione delle funzioni, nella convinzione che la
dimensione e la specializzazione urbana non sono alternative
alla comunità.
132
Scaglia A., La scienza del sociale. Nascita e sviluppo della
sociologia, Università degli Studi di Trento, Clep 1996, pp. 14 -178.
258
L’urbanistica moderna non raccoglie l’eredità di un’arte
autorevole, condivisa e partecipata di autogoverno o di un
governo illuminato e paterno delle comunità, essa è piuttosto
un intervento riparatore, un intervento giunto in ritardo e che
assume il carattere di aggiustamento e di vincolo posto ad un
processo che tende ad espandersi liberisticamente. Oggi,
questo confrontarsi dei programmi urbanistici ed i
programmi politici sembra voler superare la frattura
originatasi con la rivoluzione industriale dell’Ottocento.133
L’urbanistica ha gradualmente posto sotto controllo il
territorio dei paesi maggiormente sviluppati; essa sembra,
tuttavia, non aver trovato un adeguato equilibrio
metodologico e soprattutto sociale nel suo rapportarsi alle
dinamiche sociali, culturali e soprattutto a quelle
economiche.
In
questo
processo
di
evoluzione
dell’urbanistica giocano un ruolo la dicotomia sociologica
villaggio-città (identità comunitaria ed appartenenza
prevalentemente funzionale) come pure il progressivo
prevalere delle analisi e delle valutazioni economiche delle
dimensioni territoriali, per cui l’economia urbana e regionale
vengono ad assumere un peso sempre maggiore.134
Non disponiamo di spazio sufficiente per tracciare qui, sia
pure in sintesi, la metodologia urbanistica. Diamo tuttavia
uno schema degli elementi di rilevazione, di analisi e di
progettazione ai quali si attiene l’urbanistica. Quest’ultima si
serve di una serie di strumenti che possono essere così
indicati:
- lettura del territorio nei suoi aspetti geografici, geologici,
ambientali;
- cartografia di base leggibile ed aggiornata; una
restituzione cartografica dei più importanti elementi
analizzati;
- storia del territorio e della sua antropizzazione;
133
Benevolo L., Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, Laterza
1989, p. 192. Heigl F., Geschichte des Städtebaus, Wien, Mainz 1990.
134 Per la dicotomia sociologica vedi soprattutto: Demarchi F., Società
e spazio, Trento, Ist. Sup. di Scienze sociali 1967, p. 330. Per la forma
attuale dicotomica villaggio - città (centro/periferia) vedi: Shils E., Centro
e periferia, Brescia, Morcelliana 1984, p. 29.
259
- analisi demografica secondo la dinamica storica, al fine
di illustrare la connessione fra forme sciali e territorio;
- fenomeni e strutture della mobilità;
- analisi economica: settori di attività, unità produttive e
della distribuzione dei beni; reddito prodotto; ceti e classi
sociali;
- strumenti di programmazione urbanistica, paesistica,
economica
esistenti.
Programmi
di
sviluppo,
di
organizzazione dei settori economici e dei servizi. Piani e
programmi, strumenti cartografici e normativi.
- gli obiettivi posti allo specifico processo di
pianificazione;
- modalità partecipative al processo di pianificazione;
- elementi per un piano di struttura;
- individuazione delle valenze simboliche dello spazio,
del territorio e delle forme spaziali da progettare.
Per una esplicitazione di alcune di queste voci rinviamo a
testi specifici.135 L’obiettivo principale di questo capito è il
rapporto che esiste, o meglio che dovrebbe sussistere, fra
urbanistica e sociologia.
Urbanistica e sociologia
E' utile o indispensabile la lettura sociologica di una
comunità
quale
strumento
per
la
pianificazione
136
territoriale?
E' a questa domanda che, pensiamo, si debba
preliminarmente rispondere al fine di chiarire non tanto, e
non solo, il rapporto fra sociologia ed urbanistica, quanto
piuttosto la connessione che esiste e deve eventualmente
esistere fra la realtà sociale della comunità da pianificare e le
scelte territoriali che lo strumento urbanistico è chiamato a
compiere.
135 Heigl F., Grundlagen der Planung, Wien, Manz 1985. Amorosino
S., Barsotti L., D’Alessio G., Di Giovine G., Enciclopedia di Urbanistica
e Pianificazione territoriale, F. Angeli, Milano 1984. Coppa M. (a cura
di), Introduzione allo studio della Pianificazione, Torino, UTET 1986.
136 Il fondamento teorico e metodologico del ruolo della sociologia
nella pianificazione territoriale è stato esplicitato nella parte introduttiva di
questo testo.
260
Dobbiamo, purtroppo constatare come in urbanistica,
salvo alcune eccezioni, l'analisi sociologica non sembra essere
considerata come necessaria.
Per quegli amministratori e per quegli urbanisti che
cercano, con l'impegno che richiede l'interdisciplina, di
percorrere la strada dell'analisi dello spazio e delle sue forme
servendosi della comprensione sociologica, essa si trasforma
in un aiuto sostanziale ed in un complemento irrinunciabile
per poter operare delle scelte di organizzazione del territorio,
di destinazione delle aree, di definizione della forma urbana
che non poggino su di una tecnica meramente formale. Chi
evita di condurre un'analisi sociologica delle forme spaziali
del passato e di quelle che il territorio potrà assumere in
futuro ricorre usualmente a valutazioni di buonsenso o di
intuizione.
Ma quale apporto può offrire la sociologia alla
pianificazione urbanistica?
La sociologia è una scienza che, pur avvalendosi dei
preziosi dati delle analisi empiriche (economiche,
demografiche, geografiche, analisi dell'uso del suolo, degli
stessi bisogni "espressi o non espressi" della popolazione ecc.)
cerca di stabilire il nesso causale che esiste fra le visioni del
mondo, la cultura e le motivazioni della società e le forme che
gli individui ed i gruppi danno allo spazio, al territorio alla
sua organizzazione ed utilizzazione.
Un'impresa certamente ardua da un lato, non esaustiva né
definitiva dall'altro. Non esaustiva, data la inesauribile
complessità della realtà sociale e culturale. Non definitiva, in
quanto la individuazione di queste connessioni di causalità
fra modi di concepire la vita e concrete forme di vivere, di
comportarsi e, nello specifico, di operare delle scelte di
organizzazione e di uso del territorio è legata all'oggi, alla
forma della cultura attuale e deve, per essere efficace,
tradursi in valutazioni e decisioni di politica del territorio.
Aggiungiamo che la inesauribile ricchezza della vita
sociale sul territorio viene semplificata sia dal sociologo che
persegue alcuni obiettivi di analisi e non altri (quelli
affidatigli dalla comunità e particolarmente da chi la
governa), sia dall'autorità che per assumere delle decisioni si
261
trova ad operare una scelta fra l'altrettanto innumerevole
serie di obiettivi possibili, secondo criteri di priorità.
Istanza politica, urbanistica e sociologia
A dare forma concreta alle decisioni interviene, appunto,
l'istanza politica. Il che deve essere considerato irrinunciabile
ed auspicabilmente inevitabile.
Di fronte a questa vitale istanza, la sociologia risulta
essere strumentale ma non indifferente. Al contrario, la
sociologia appare come uno strumento in grado di chiarire la
coerenza fra le concezioni della vita, le mete che una
comunità si propone, i comportamenti e le scelte territoriali
operate dalla politica del territorio. Essa rappresenta un
contributo, a ben guardare, irrinunciabile.
Il rapporto dei gruppi sociali e delle comunità con il
territorio sviluppa certamente forme solidaristiche volte ad
affrontare i problemi, le ostilità delle forze naturali e la
risposta ai bisogni dell'abitare, dell'alimentarsi, del produrre
e dello scambio dei beni, ai bisogni del vivere sociale, civile e
politico nonché a quelli di socializzare. Accanto a queste
forme solidaristiche vi sono anche forme dialettiche e
conflittuali, forme che vengono a galla anche nella fase di
elaborazione degli strumenti di programmazione urbanistica
e che abbisognano di un'analisi e di una gestione specifica. E
la sociologia può aiutare a comprendere adeguatamente la
natura e l'origine di tali conflitti, ponendo così le premesse
per poterli affrontare, soprattutto attraverso il modello
partecipativo della pianificazione e della programmazione
territoriale137.
L'urbanistica, intesa come lettura e come tecnica della
organizzazione e pianificazione territoriale, scienza che trova
137
Per quanto riguarda la partecipazione ai piani di sviluppo ed alla
programmazione urbanistica vedi, per una concreta esemplificazione, il
Pino di sviluppo socioeconomico di Roncegno. Scaglia A., Comunità e
strategie di sviluppo. Roncegno Valsugana tra identità affettive e calcolo
razionale, Milano, F. Angeli 1988. Sulla problematica del conflitto nella
pianificazione delle aree urbane: Küpper U. I., «Zum Wandel der
Verfahren und Entscheideungstrukturen in Stadtentwicklung und
Stadtplanung». In: Sieverts, Th. W. (hrg), Zukunftsausgaben der
StadtplanungI, Düsseldorf, Werner Verlag 1990, p. 141.
262
nella elaborazione di modelli e di principi il proprio specifico
fondamento, offre la possibilità di dare volto organico ed
insieme concreto, attraverso cartografia e normativa, ai futuri
assetti del territorio.
Va da sé che fra le analisi sopra citate (in particolare
quella sociologica) e l'urbanistica deve stabilirsi, come si è
detto, una collaborazione assai stretta, collaborazione che va
sotto il nome di analisi interdisciplinare.
Per fare un esempio. La decisione di creare una nuova
area per la residenza non può rispondere unicamente ad un
calcolo statistico-demografico che dimostra l'effettiva
esigenza di nuovi alloggi. Il problema, come si è detto,
presenta una ricca serie di aspetti e di problemi. Si è certi che
la popolazione di quella comunità vede in quella soluzione
una risposta alle proprie esigenze abitative? La scelta di
offrire una risposta parziale o prevalente attraverso una
ristrutturazione di edifici nel centro storico potrebbe
rappresentare una soluzione alternativa?
Ed ancora. Nell'un caso o nell'altro (nuova area
residenziale oppure opzione centro storico) quale rete di
rapporti si verrà a stabilire? Quali risposte relazionali
avranno i gruppi sociali diversi per età, condizione
professionale, di censo, per istruzione, mentalità, identità o
integrazione sociale?
Quale ruolo potranno e dovranno giocare gli spazi
privati, quelli pubblici, le strade, i percorsi pedonali, la
piazza, la raggiungibilità dei servizi, del posto di lavoro, il
collegamento con le altre zone abitate?
La risposta la deve esperire il sociologo con la
strumentazione empirico analitica e con l'utilizzo degli studi
già condotti da altri sul territorio e consolidati in quella che i
sociologi chiamano teoria sociologica del territorio.
E con ciò dovrebbe risultare chiara anche la stretta
connessione fra analisi sociologica ed urbanistica, in quanto a
quest'ultima spetta la formalizzazione di quanto la sociologia
ha potuto leggere dentro la complessità socioculturale; la
sociologia intende operare individuando i tratti della forma
urbana, intesa come portato socioculturale del territorio e
come aspirazione sociale per una sua nuova organizzazione.
L'urbanistica traduce quindi tale lettura in una serie di scelte
263
organizzative concrete e coerenti, approntando le cartografie
di base e di progetto, nonché l'apposita normativa.
E' facile intuire quale stretta connessione debba esistere
fra le due discipline. Il fatto che spesso questa collaborazione
non vi sia o non venga nemmeno presa in considerazione fa
comprendere agevolmente i motivi che rendono la sociologia
senza sbocchi concreti ed efficaci e l'urbanistica una mera
tecnica basata sulla gestione onorevole del buonsenso.
Una sociologia dell'urbanistica
Il ruolo e la rilevanza della conoscenza sociologica per la
pianificazione urbanistica e per la programmazione dello
sviluppo economico di un territorio discende dalla stessa
definizione e dallo statuto scientifico della disciplina che va
sotto il nome di sociologia. É, allora, importante dare subito
una prima, e possibilmente sintetica, definizione della scienza
sociologica in ordine al suo ruolo nei processi di lettura e di
pianificazione del territorio.
La sociologia del territorio
La sociologia, in quanto scienza che si occupa dell'agire
sociale umano, è una scienza che si differenzia
profondamente dalle scienze naturali, quali la fisica, la
chimica, la biologia ecc., in quanto, pur facendo ricorso
all'osservazione empirica dell'agire degli uomini, punta a
risalire dagli aspetti e dalle forme materiali di esso alla causa
prima, alla radice dell'agire individuale che poi, in forza dei
processi di rapporto e di convivenza fra gli uomini, diviene
sociale. E qual è la causa, la radice di questo agire?
Ciò a cui gli uomini si rifanno nel loro agire, almeno per
quell'agire di cui si interessa la sociologia è la motivazione
che discende dalla Weltanschauung, dalla costellazione dei
valori dell'attore sociale. In conclusione, se noi, attraverso le
forme visibili ed osservabili delle azioni degli uomini,
risaliamo al senso del loro agire, riusciamo a comprenderlo
ed a comprendere anche il senso delle opere che questo agire
ha prodotto. Se noi osserviamo i fenomeni, le forme dell'agire
senza risalire a questo senso, le forme materiali prodotte
dall'uomo appaiono mute o statiche.
264
Questa considerazione ci permette non solo di esprimere
una definizione della sociologia ma anche di valutarne la
rilevanza. Si pensi all'importanza che ha la motivazione che
sta alla base di questo senso dell'agire. Essa può affondare le
proprie radici nella tradizione, in una fede in valori che
stanno al di là della dimostrabilità da parte della ragione
umana, oppure ancora questa motivazione può conformarsi,
ed è il caso della cultura moderna della società industriale, al
parametro della efficacia del pensiero e della proposta
imprenditoriale che si dimostra corretta solo in quanto è in
grado di raggiungere l'obiettivo prefissatosi.
Il territorio come espressione culturale
Assumendo la sociologia secondo questa definizione, il
territorio, in quanto abitato, in passato o attualmente, da
individui e dalle comunità che essi formano diviene un
campo ricchissimo di esplorazione sociologica. La sociologia
del territorio potrà scoprire la storia del senso che gli uomini,
singoli e associati, hanno espresso nelle trasformazioni da
essi operate sul territorio. Il territorio diviene così una
ricchissima espressione culturale. L'uomo lo ha configurato
in base ai propri bisogni materiali, secondo un senso
intenzionato guidato dalle proprie esigenze di vita e di
sopravvivenza, legate alla necessità di procurarsi cibo, riparo
dalle intemperie e dall'inclemenza delle stagioni.
Le esigenze dell'uomo sono, tuttavia, assai più ricche di
quelle appena espresse. L'uomo matura infatti esigenze assai
più articolate e complesse di quelle che entrano in un
qualsiasi repertorio costruito con la rilevazione. Ogni epoca
ed ogni cultura presenta esigenze, bisogni e risposte proprie.
L’uomo nasce e vive in un gruppo sociale; nasce e cresce
normalmente in una famiglia. E la famiglia organizza forme
dell'abitare, della coltivazione dei campi, realizza volumi,
inventa utensili ed attrezzi, tecnologie per il lavoro, si
ingegna per la coltivazione e la conservazione dei prodotti
che servano per la vita di tutti i giorni e per le occasioni di
festa.
Le forme sociali non si arrestano comunque alla famiglia.
Il paese, quello che i sociologi chiamano il villaggio,
rappresenta una forma sociale e culturale che condivide una
265
costellazione di valori, di sentimenti ed emozioni, un
linguaggio o dialetto che esprime una concezione della vita
spesso assai diversa dal villaggio o paese vicino. Ciò va
tenuto ben presente, per non correre il rischio di considerare
le stesse forme materiali (casa, fienile, organizzazione
agricola, chiesa, ecc.), in quanto simili, come manifestazione
di un senso strutturale universale e pertanto comune alla vita
individuale e sociale dei paesi, senso che invece può essere
profondamente diverso da un luogo all’altro e soprattutto da
una cultura all’altra. Occorrerà scoprire questo senso
particolare, rintracciando, nelle forme di espressione
specifica, la via per risalire alle motivazioni profonde
particolari. Possono essere di aiuto, in ciò, i rapporti tra figli e
genitori, le modalità di educazione dei minori, le forme di
solidarietà e di conflitto, le forme di vicinato e di vita di
paese, le espressioni del dialetto.
Nel paese vi sono, quindi le forme di vicinato e di
parentela, le contrade, le frazioni, ed alle volte i masi.
Ognuna di queste forme esprime un modo di intendere la
vita, un qualche cosa che in passato o nel presente questi
soggetti e queste comunità hanno voluto o vogliono
esprimere.
In queste comunità territoriali esistono moltissime altre
forme culturali, modificazioni del territorio, edifici, viabilità,
opere
di
regimazione,
dissodamento
di
terreni,
disboscamenti, viabilità poderale, bonifiche, sistemi di
irrigazione antichi e moderni, sistemi di approvvigionamento
dell'acqua, eliminazione dei materiali di risulta e del letame e
dei liquami ecc.. Come pure esistono luoghi e manufatti con
cospicua rilevanza simbolica. Basti pensare a tutte quelle
opere nelle quali gli individui e le comunità vedono
simbolizzati i sensi più profondi ed intoccabili della propria
vita. Mi riferisco ai all'ambiente natio o di appartenenza, ai
monumenti, alle chiese, ai cimiteri ed agli edifici sacri in
genere ai quali appartengono anche le abitazioni, i luoghi
dell'infanzia, della vita della comunità. Nella concezione
della vita, il legame con il passato, il ricordo ed il culto dei
morti, rappresenta nella nostra cultura di paese (ma anche di
città e di paesi) un elemento fondamentale, sacro, intoccabile,
un grande e sostanziale senso della vita delle comunità.
266
Oserei dire che questo culto estende la propria influenza a
tutta la vita religiosa e sacrale in senso lato, che viene vissuta,
principalmente come una espressione rituale e che trova la
sua massima efficacia e necessità quando essa sancisce, in
modo sacro, i momenti più importanti della vita: la nascita,
l'entrata nell'età adulta, il matrimonio, l'arrivo di nuovi figli,
le festività che scandiscono lo scorrere dei mesi e degli anni,
la morte ed il ricorso di essa, quasi a riportare nella comunità
coloro che materialmente non sono più, garantendo altresì a
coloro che sono presenti nella comunità che saranno, in
futuro, presenti, proprio attraverso questo culto, anche dopo
la loro morte.
Il territorio e le comunità non sono, dunque, solamente un
insieme di elementi interessanti che la storia ha prodotto,
sono un insieme vivo, sensibile e suscettibile, una cultura che
ci permette, come si è detto, di risalire al mondo dei valori ed
al tipo di pensiero, all'atteggiamento mentale, a quella che
potremmo chiamare la cultura di un popolo oppure di
un’area anche delimitata, ad esempio di una valle di
montagna. Ci riferiamo alla valle come dimensione
territoriale ed insieme, in quanto, dalle ricerche condotte in
alcune valli del Trentino, sembra che, ad un livello di
maggiore generalizzazione, al di là della particolarità dei
paesi, vi sia una cultura specifica per ogni valle138.
Come pure vi è un rapporto che è indispensabile
esplorare, per completare il quadro del ruolo e del significato
della sociologia per l'urbanistica, rapporto che si stabilisce fra
paesi, valle e dimensione-autorità provinciale e regionale. Vi
sono anche i rapporti con le realtà extraregionali, nazionali ed
internazionali, ma ad esse non vorremmo accennare in questa
sede.
La personalità di valle e l'ambiguità del rapporto con
la dimensione provinciale in Trentino
Attraverso percorsi storici e sociali complessi ed in parte
certamente ancora non esplorati, alcune valli del Trentino, ad
esempio, hanno maturato una costellazione di valori, una
138
Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo. Roncegno Valsugana
tra identità affettive e calcolo razionale, cit.
267
Weltanschauung comune. Gli esempi da noi studiati, della
Valle di Non e della Bassa Valsugana sembrano essere
emblematici al riguardo.139 Ciò sta a dimostrare in primo
luogo che esiste una dimensione motivazionale di valle che ci
fa comprendere tanto le potenzialità quanto le resistenze ad
iniziative o realizzazioni di carattere valligiano, in secondo
luogo quale tipo di rapporto si può o non è possibile stabilire
fra dimensione valligiana e paesi.
In linea di larga massima, la società e la cultura trentina
appaiono profondamente caratterizzate dalla dominanza
familiare. Una dimensione che sembra esaurire in se stessa
tanto i processi di formazione ed interiorizzazione dei valori,
quanto i processi di socializzazione degli individui. Ne
deriva una forte e preminente valutazione della figura
materna, mentre quella paterna svolge i compiti della
socializzazione secondaria, a partire dalla gestione con i
gruppi esterni alla famiglia, il compito di far conoscere e
rispettare, da parte degli altri membri della famiglia, le regole
sociali proprie ai gruppi esterni. In realtà, le forme sociali di
parentela, di vicinato, i borghi ed il paese stesso, appaiono
come un'entità fortemente e quasi esclusivamente
caratterizzata e dominata dalle logiche e dall’etica familiare.
Si può aggiungere che la stessa vita economica familiare,
ma anche quella delle organizzazioni economiche di paese,
vedi ad esempio le forme di cooperazione, nonchè le
modalità di conduzione e di legittimazione della vita
amministrativa comunale, sono fortemente e sostanzialmente
controllate dalle logiche di senso familiare.
Questo influsso familiare si estende anche all'ambito
politico ed amministrativo provinciale e regionale,
divenendone il criterio prevalente di legittimazione e di
conferimento del mandato politico fiduciario. É come dire
che, il meccanismo di cooptazione del consenso politico
agisce, in questa terra, prevalentemente su base familiare. Ciò
provoca forti coesioni ed insieme una seria disfunzionalità.
Infatti, la dimensione familiare e di paese non possiede ad
esempio le categorie analitiche e conoscitive adeguate per
valutare le logiche legislative, amministrative e tecniche
139
Scaglia A., Comunità e strategie di sviluppo ,cit.
268
provinciali che si attengono alle dinamiche economiche e
tecnologiche della società industriale e del mercato. Siamo
così in presenza di una cultura primaria, di cui la famiglia è
la più tipica espressione, che legittima gli eletti ed i loro
programmi, eletti e programmi che ricevono, in realtà, una
delega al buio, in quanto agli elettori, di estrazione e
permanenza culturale familiare, manca la possibilità di
esercitare un controllo sulle decisioni. La conseguenza di
questo processo è paradossale. In assenza di una simile
capacità di controllo, la cultura politica familiare o si affida
alla qualità carismatica dei propri leaders, oppure esercita
l'unico potere che ha a sua disposizione: richiede interventi di
carattere concreto e specifico, insistendo su prestazioni di
aiuto e di appoggio per pratiche amministrative specifiche,
individuali o dirette all'interesse delle piccole comunità, e,
per quanto concerne il controllo fiduciario, ricorre alla
sostituzione dei leaders non carismatici con ritmi accelerati,
senza una effettiva valutazione delle capacità e delle
prestazioni. Sfuggono, parzialmente a questa dinamica
solamente i leaders carismatici, oppure coloro che richiedono
la propria legittimazione politica a gruppi o associazioni di
categoria con le quali riescono ad interagire utilizzando la
dimensione corporativa quale mezzo per costruire una
coscienza collettiva appropriata alla complessa società
moderna e comunque capace di esplorarla e di conferirle
senso.140
Sulla base di quest'ultima analisi si possono meglio
comprendere anche i rapporti fra concezione, legislazione
urbanistica e gestione urbanistica provinciale e comunità di
paese. In quest'ottica sociologica si possono interpretare e
comprendere altresì le motivazioni che hanno reso forte il
ritorno alla dimensione comunale, la presenza nella nuova
normativa di elementi che danno risposta a problematiche
assunte e difese dalle associazioni di categoria, mentre la
dimensione comprensoriale ne è uscita poco definita e
realisticamente indebolita.
140
É questo il significato del corporativismo di E. Durkheim nel suo
celebre saggio: La divisione del lavoro sociale.
269
Quali utilizzazioni dell'analisi sociologica in
urbanistica?
Da quanto siamo venuti dicendo, la dimensione
sociologica presenta per la pianificazione urbanistica una
rilevanza del tutto particolare. Si potrebbe dire che ogni
urbanista, in quanto conduce delle analisi del territorio, al di
là di quegli aspetti che egli recupera dalle discipline
geologiche, metereologiche, agronomiche, biologiche, e dalle
scienze naturali in genere, in effetti raccoglie una
documentazione e produce una lettura che persegue obiettivi
sociologici. Tutto l’operare dell’urbanista ha infatti uno
scopo: la conoscenza delle comunità, della cultura che esse
hanno prodotto trasformando il territorio conferendo ad esso
un ricco significato simbolico, al fine di proporne una
riorganizzazione che risponda, in base alla disponibilità ed
alla economicità delle risorse, alle esigenze, al bisogno di
conferimento di senso individuale e sociale di quelle
comunità. E’ per questa ragione che la lettura del territorio
richiede l’azione sinergica delle scienze che dispongono di
competenze tecniche e delle scienze che sanno penetrare e
comprendere i nessi causali fra prodotti materiali della
cultura ed universi di valore che ne sono la causa
motivazionale prima.
Il problema è che una simile analisi appare usualmente
ricca di elementi descrittivi molto utili ma spesso essa opera
un salto nel buio, quando cioè sulla base di un'analisi
quantitativa si presuppone di conoscere con sicurezza il
senso inteso da queste culture nel passato ed altresì quello
che esse intendono dare al proprio futuro.
L'urbanista, spesso per necessità di cose, opera una
semplificazione, ricorrendo semplicemente alle autorità che
gli affidano l’incarico, chiedendo loro di esprimere i loro
desiderata. Per quanto riguarda le scelte che attengono la
dimensione e l’organizzazione territoriale, l'urbanista fa
ricorso ai modelli teorici del proprio bagaglio culturale e
tenta una mediazione con le amministrazioni, con il risultato
che spesso tali proposte appaiono come un corpo estraneo nel
tessuto territoriale che la comunità locale sente proprio. Va
perso, in questo modo, quel processo di recupero della
cultura locale al fine di far maturare ad essa un sapere
270
superiore a quello localistico. Ciò avviene quando la
comunità è condotta, attraverso la partecipazione al processo
di pianificazione, ad appropriarsi delle logiche della
razionalità industriale e della organizzazione razionale di
alcune funzioni del territorio e delle attività produttive che la
vita comunitaria familiare deve iniziare a conoscere, a
considerare importanti accanto alla identità primaria; la
comunità deve imparare a controllare la razionalità urbana e
le sue logiche zweckrational onde evitare inutili e dannosi
meccanismi di rifiuto o quelle accettazioni in base alla fiducia
cieca che si concludono, alla lunga, anch'esse in un rifiuto
irrazionale dovuto al sospetto di fronte ad un potere che
appare estraneo ed incontrollabile.141
La sociologia appare, dunque, come una disciplina
concorrente,e, così proposta, come una disciplina
insostituibile per la pianificazione urbanistica, almeno per
un'urbanistica che intenda procedere verso scelte di utilizzo e
di organizzazione del territorio che corrispondano ad una
conoscenza corretta del territorio come espressione culturale
di una comunità, corrispondente ad una conoscenza della
cultura quale espressione del passato ma anche di una
cultura che intende esprimersi coerentemente anche nel
futuro, prossimo o lontano.142
Mutamento sociale, culturale e urbanistica
Si è già detto della rilevanza della lettura del territorio in
quanto esso esprime una valenza culturale assai diversificata.
É a questa valenza che si rivolge l'opera di analista ed
osservatore dello studioso e dell'operatore urbanista.
Tuttavia tale valenza, come si è cercato di evidenziare, non ha
significato solamente in quanto si riesce a raggiungere il
senso storico che gli individui e le comunità hanno voluto
esprimere. Anzi, l'analisi sociologica del territorio mette
l'urbanistica nelle condizioni di individuare le tendenze del
141
Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr (Paul
Siebeck) 19564 , “Die nichtlegitime Herrschaft (Typologie der Städte)”,
pp. 735-822.
142 Rogers A., Vertovec S., The urban context: ethnicity, social
networks and situational analysis, Oxford-Washington D.C., Berg 1995.
271
mutamento sociale e culturale, onde operare delle scelte di
uso ed organizzazione del territorio che corrispondano ad
esse.
L'analisi del mutamento sociale raggiunge il proprio
obiettivo quando riesce a cogliere i nuovi orientamenti e la
natura del pensiero sociale, quegli orientamenti e quella
natura dell'agire che porteranno l'uomo ad orientarsi verso
precise direzioni. É questa la via che la sociologia deve
seguire, ed è solamente questa la sua possibilità di prevedere
come si orienterà l'agire sociale e quali aspetti assumeranno o
quali forme sarebbero consone alla cultura territoriale futura.
Come si potrà notare, la probabilità sulla quale si basa la
previsione non si basa sulla verifica strettamente empirica
delle scelte precedenti. La verifica empirica, in luogo di
offrirmi una pura probabilità statistica, permette di risalire
alla costellazione dei valori di orientamento che divengono i
veri elementi causali adeguati. Sono questi ultimi ad assumere
la valenza causale e non la pura forza dei fatti che si ripetono.
Questo assunto, porterebbe con sé alcune ulteriori
considerazioni, circa il compito dell'urbanistica e delle
attività di pianificazione in generale, in quanto esse svolgono,
accanto al compito di dare risposta alle esigenze esistenti,
anche quello di indirizzare verso un mutamento negli stessi
orientamenti di pensiero e di comportamento, proponendo
soluzioni tecniche ed organizzative che in base
all’adeguatezza culturale vengono considerate migliori di
quelle precedenti. Ma anche ciò richiede un'adeguata
conoscenza della realtà concreta intesa, tuttavia, come
sentiero che conduce alle motivazioni. Il paziente e corretto
lavoro di rilevazione empirica permette di giungere
all’approfondimento ed alla individuazione della persistenza,
del mutamento o della flessibilità del pensiero sociale. Ciò
permetterà di prevedere il grado di accettazione e di
coinvolgimento dei destinatari delle scelte urbanistiche.
Espressioni simboliche dello spazio. Esemplificazioni
Il modo più efficace di rendere l'importanza del rapporto
concezione del mondo, natura del pensiero sociale e forma
culturale del territorio è tentarne una esemplificazione che
272
vorremmo esprimere qui cercando di dare ad essa una sorta
di procedere gerarchico.
Assunto come ambiente di partenza il centro abitato
denominato capoluogo, frazione o quartiere, non dobbiamo
correre il rischio, come si è detto, di considerare tutte le forme
culturali espresse dal territorio come aventi la stessa valenza.
L’ambiente urbano ha avuto in passato e possiede anche
nella nostra cultura un peso determinante nell’indirizzare le
politiche del territorio. Ma non dimentichiamo che anche il
potere urbano va letto nella sua antropologia, nell’intreccio
delle connessioni di senso che lo connotano. In esso si
esprimono i poteri della razionalità strumentale, quelli della
politica, dell’economia, della comunicazione ma anche quelli
delle forme comunitarie di vicinato, di quartiere e di
comunità che convivono con le prime forme di appartenenza
e di potere.
Il culto dei morti. Cimitero e chiesa
Questa dimensione risulta appartenere alla matrice
culturale arcaica, ancestrale e inerente alla personalità sociale
più profonda del paese. Le motivazioni che abbiamo cercato
di enucleare (il legame profondo con il passato che si fonde e
diviene un tutt'uno con il presente e con la garanzia di essere
ricordati e rivivere anche in futuro, all'interno di questa
dimensione di fatto totemica) fa del cimitero e degli elementi
che hanno a che fare con il culto dei morti una dimensione
spaziale del tutto speciale. Ecco perché le scelte territoriali
che riguardano le aree cimiteriali centrali o minori, la loro
riorganizzazione anche simbolica presentano uno degli
elementi più delicati ed anche importanti per la vita del
paese.
Lo stesso dicasi per la chiesa del paese. Mutamenti di sede
vengono di solito accompagnati da un'azione corale della
popolazione che partecipa alla nuova costruzione,
producendo così una graduale interiorizzazione del nuovo
edificio sacro, trasferendo in esso il contenuto sostanziale
della sacralità, quasi un rito inteso ad evitare che
quest'esperienza si tramuti in senso di colpa per aver
abbandonato l'antico luogo sacro.
273
La casa degli avi ed il centro storico
L'attaccamento alla casa degli antenati, alla casa paterna,
ha subito, negli ultimi decenni un processo a doppia valenza.
Da un lato, la casa paterna ha esercitato ed esercita ancora
un'attrattiva assai forte. Ne sono una dimostrazione il legame
che gli emigrati nei centri urbani mantengono con la vecchia
casa dei padri e dei nonni, il che si traduce in una vischiosità
del mercato delle abitazioni inutilizzate dei centri storici che,
in tal modo, si svuotano facendo declinare anche i servizi.
Allo stesso tempo, il tardivo, non organico (non si è
proceduto sistematicamente a sollecitare la ristrutturazione e
la creazione di adeguati servizi) ed ancora incerto intervento
di sollecitazione per la ristrutturazione dei centri storici, ha
indotto il fenomeno della realizzazione di nuove abitazioni in
frangia ai centri storici.
Abbiamo qui un esempio emblematico di come una certa
urbanistica non abbia saputo utilizzare l'indubbio
attaccamento alla tradizione abitativa incentivando,
tempestivamente e con modelli opportuni, scelte di
ristrutturazione che il valore della casa paterna, le tradizioni
di vicinato e di parentela avrebbero indotto a far accettare. Si
tratta di una delle occasioni perdute, anche se vi sono ancora
spazi da recuperare in questa direzione.
Le case di riposo come risposta funzionale e come
negazione dell’identità.
Contraria alla tradizione che vuole il padre, il nonno ed i
figli viventi sotto lo stesso tetto, attuando il passaggio diretto
dell'esperienza, accomunando la vita che nasce con quella che
si spegne e che tuttavia continua nel cognome, nel ricordo e
nella proprietà, la casa di riposo entra come una necessità
forzosa e funzionale per la dinamica familiare che non è più
solamente agricola.
Tuttavia, la casa di riposo diviene una tragedia quando
l'anziano deve, anzitutto, abbandonare il paese. Si tratta, in
termini antropologici, di una vera morte prima della morte,
in quanto il membro di questa comunità ancestrale viene
strappato alla sua identità ed all’universo dei valori che per
lui motivano l’esistenza.
274
Ma anche quando la casa di riposo per anziani rimane
all'interno del paese, vi può essere un isolamento spaziale e
comunitario che suona estraniazione e marginalità. In termini
urbanistico-comunitari, la collocazione della casa di riposo
non può prescindere dal mondo psicologico e culturale
dell'anziano. La prossimità fisica e psicologica con la piazza
del paese, con il luogo dove la comunicazione di vicinato è
quella viva e reale, non dopo salite che conducono in luoghi
magari ameni ma inaccessibili, danno all'anziano il segnale
dell'esclusione dall'incontro con la gente che si reca e sosta in
piazza, che frequenta il negozio, il bar o, meglio ancora
l'osteria, cose che mettono l'anziano in diretto e costante
rapporto con la vita di tutto i giorni.
La scomparsa della piazza nelle nuove aree
residenziali
La destrutturazione della vita di paese non sembra essere
stata intaccata dalla scomparsa dei centri storici e nemmeno
da questo secondo grave decadimento dei luoghi più naturali
della socialità, ovvero delle piazze nelle zone residenziali
nuove. Siamo anche qui in presenza di errori urbanistici
legati ad una metodologia, quella della ozonizzazione ed alla
razionalizzazione dei concetti razionali (abitazione, viabilità,
parcheggio, parco giochi, verde, spazio pubblico-per
strutture o servizi) che ha dimenticato una categoria
importantissima per la socialità comunitaria: la piazza. Il
paradosso è che con un'urbanistica razionale in termini
strumentali non si riesce a riaffidare alla comunità la libera
scelta (un tempo naturale, e così, di fatto, obbligatoria) dello
spazio da dedicare alla piazza. Le conseguenze sono la
nascita di zone residenziali razionali che posseggono magari
tutti gli spazi urbanistici di norma ma non concedono nulla
alla socialità di vicinato e di contrada.
L'analisi del territorio come espressione culturale
potrebbe
e
dovrebbe
proseguire,
prendendo
in
considerazione le maggiori espressione che essa assume oggi
e quelle che invece hanno perduto il significato che ebbero in
passato. Le arterie e le strutture di scorrimento, la
modificazione introdotta dalle stazioni e dalla presenza
turistica, dalle zone produttive, dal terziario produttivo e dei
275
servizi, l'abbandono agricolo nelle aree marginali, la coltura
agricola intensiva, la rotazione delle colture e l'impatto con le
nuove tecnologie di produzione e con quelle caratterizzate
dalla chimica.
É convinzione di chi scrive che, nonostante il massiccio
impatto con la modernizzazione industriale urbana, non
ultima con l'imposizione di una normativa urbanistica che
non mostra di comprendere la sostanza della vita di
comunità di paese, la cultura di quest'ultima dimensione
comunitaria permanga assai solida e profonda, capace
addirittura di influenzare la città. Si tratta comunque di una
risorsa che purtroppo l'urbanistica non ha saputo né
rispettare né utilizzare come risorsa per una pianificazione
territoriale adeguata ad un ammodernamento rispettoso della
cultura rurale.
Ambivalenza simbolica della città moderna
Nell’applicazione del metodo interdisciplinare proposto
alla città è necessario tenere conto della sua profonda
ambivalenza. La città dell’occidente, quella nata dalla grande
trasformazione tecnologica e industriale affianca due
caratteristiche sociologiche: quella comunitaria e quella della
razionalità strumentale. Se vogliamo richiamare la dicotomia
weberiana, siamo in presenza di un intreccio fra processo di
azioni sociali comunitarie (Vergemeinschaftung) e processo di
azioni sociali di carattere organizzativo, efficiente ed efficace
(Vergesellschaftung).143
Chi è chiamato a studiare la città per indirizzarne la
pianificazione, se vuole comprendere le sue tendenze e
soprattutto se vuole indirizzarle, valutando le scelte che
asseconderanno le attuali inclinazioni distinguendole dalle
scelte che invece andranno controcorrente, dovrà scavare e
scoprire queste due dimensioni dell’ambivalenza urbana. La
città vive infatti di una ricca serie di appartenenze
comunitarie: i vicinati dei quartieri popolari come il Boca di
Buenos Aires, i Bassi di Napoli, ma anche le microidentità di
quelli superfunzionali come Manhattan o della Cité a Parigi.
Nella città, in ogni città, si sviluppa questo intreccio di forti
143
Weber M., Wirtschaft und Gesellschaft... cit., vol. I.
276
sentimenti di appartenenza,mescolati alla più razionale,
spesso spietata logica del profitto, del successo, della
competizione propria del libero mercato.
La nostra origine e la nostra anima illuministica tendono a
dicotomizzare questa ambivalenza. Essa, come ha bene
intuito Max Weber144, è un inestricabile intreccio delle due
dimensioni. Certamente, la razionalità strumentale concentra
un enorme potere e lo esprime attraverso simboliche
possenti: i palazzi dello Stato, del potere bancario, delle sedi
di grandi società ed imprese, delle Università e delle grandi
istituzioni di ricerca e della cultura, della Biblioteche, dei
musei, dei giornali e delle televisioni, i grandi magazzini, i
laboratori, le aree industriali e commerciali. Ma persino
queste espressioni della razionalità strumentale si
confrontano e si intrecciano con la percezione identitaria cui
danno origine, percezione che queste stesse espressioni
utilizzano quale base per ottenere la necessaria legittimazione
sociale e politica.
La città presenta inoltre le contraddizioni proprie della
società moderna: competitiva e, per questo, tendenzialmente
efficiente ed impietosa. Accanto alla potenza, alla simbolica
del potere e della ricchezza, le città offrono anche le
simboliche delle vecchie e nuove povertà.145
La città attuale diviene, in tal modo, profondamente
ambivalente, specchio dell’ambivalenza che connota alle
volte drammaticamente la nostra cultura. Un dramma
connesso con il paradigma del mercato che i rapporti sociali,
politici e culturali assumono come senso della modernità e
della convivenza. Gli individui ed i gruppi che non reggono
la logica della competitività del mercato sono di per sé
marginali e possono godere di benefici anch’essi marginali al
reddito prodotto, ovvero al profitto. Ed anche il reddito, la
competitività, e la forza della nazione si esprimono in
simboliche territoriali, nelle opere pubbliche, nelle strutture
di servizio, nelle grandi tecnologie produttive, viarie, dei
144
Ibidem.
Martinelli F., Poveri senza ambiente. La sociologia della povertà e
della miseria. La condizione dei senzacasa a Roma, Napoli, Liguori 1995.
In termini di analisi sistematica del tema vedi: Mela A., Sociologia delle
città, Roma, Nis 1996, particolarmente parte 2 e 3.
145
277
trasporti via aria e via terra, nelle tecnologie comunicative,
sanitarie e ricreative. Ed il tutto si intreccia, ancora una volta,
con nuovi sentimenti, esperienze, vissuti di identità, persino
in coloro che sviluppano una dialettica forte, sino a giungere
ad atti di ribellione.
L’urbanista non può certo dirimere e risolvere questa
drammatica ambivalenza urbana. E’ tuttavia necessario che
ne abbia coscienza e che si faccia carico di comprenderla e di
riprodurla nello spazio, proponendo tentativi per alleviarla
nella solidale convivenza.
278
La città dei bit
Verso una nuova concezione dello spazio
Parla William Mitchell, architetto australiano146:
"L'elettronica è il mattone del nuovo millennio" "Il futuro è
adesso: ecco la mia città dei bit"
146 Nato nel 1944, Mitchell si è laureato in architettura all'Università
di Melbourne, Australia e ha ottenuto Master presso la Yale University e
presso l'Università di Cambridge. E' attualmente professore ordinario di
Architecture and Media Arts and Sciences, ed é Preside della School of
Architecture and Planning del MIT (Massachusetts Institute of
Tecnology). Precedentemente é stato responsabile del Programma di
Architettura e Progettazione urbana alla UCLA (University of California
at Los Angeles), ha insegnato Architettura all'Univesità di Cambridge ed è
stato poi professore di Architettura alla Harvard Graduate School of
Design. Ha svolto attività di insegnamento in numerose università degli
Stati Uniti d'America, Europa, Asia e Australia. I suoi campi di interesse
sono teoria del progetto, applicazioni del computer in architettura e
urbanistica, e rappresentazione e produzione di immagini di sintesi.
Mitchell è conosciuto per i successi ottenuti nello sviluppo di teorie e
pratiche del progetto architettonico e nella promozione internazionale di
formazione CAD. La sua pubblicazione più recente, La città dei bits.
Spazi, luoghi, e autostrade informatiche, (tradotto in italiano nel 1997,
Electa, Milano), tratta delle conseguenze architettoniche, urbane e sociali
della attuale rivoluzione digitale.
Tra il 1978 ed il 1991 è stato tra i membri fondatori della compagnia
di software di Los Angeles The Computer-Aided Design Group, che ha
creato e messo in commercio CAD ed i sistemi di gestione delle facilities.
Tra il 1996 ed il 1997 ha presieduto, assieme a Michael Dertouzos, il
Consiglio del MIT sulle tecnologie educative ed ha prodotto un rapporto
che suggeriva un ambizioso programma per portare il MIT ad una
posizione di leadership nello sviluppo e nell'uso di nuove tecnologie
educative.
Attualmente presiede il consiglio editoriale della MIT Press ed è
membro del comitato direttivo dell'Istituto. E' membro del Royal
Australian Institute of Architects e anche della American Academy of Arts
and Sciences. E' stato insignito di un master onorario dalla Harvard
University e di un dottorato in architettura dall'Università di Melbourne.
Nel 1997 ha ricevuto il premio Appreciation Prize da parte dell'
Architectural Institute of Japan per "i successi ottenuti nello sviluppo della
teoria e pratica del progetto architettonico nell'era dell'informazione, e per
la promozione della formazione CAD nel mondo". E'autore di numerosi
saggi e pubblicazioni, e attualmente sta lavorando ad un nuovo libro dal
titolo provvisorio E-topia.
279
Nel suo ultimo libro ha descritto la città del futuro, quella dei
bit: in che modo immagina questa città?
"La città dei bit è una città nella quale le interazioni non
avvengono unicamente faccia a faccia, ma anche
elettronicamente, una città dove le transazioni commerciali
avvengono elettronicamente, dove anche una buona parte
delle interazioni sociali avviene elettronicamente, dove la
cultura tutta è supportata dall'elettronica. Allo stesso modo,
tutto ciò avviene anche fisicamente. Un aspetto non
sostituisce l'altro, i due mondi lavorano congiuntamente: il
mondo fisico e quello elettronico. Quasi tutto ciò che accade
nel mondo elettronico, tuttavia, non è visibile, non ad occhio
nudo. Se si riflette sul mondo finanziario, i capitali si
muovono intorno al mondo ad una velocità incredibile,
producendo effetti enormi sulla nostra esistenza quotidiana;
eppure, noi non vediamo niente di tutto ciò, nessuna di
queste operazioni è percepibile ad occhio nudo. Inoltre, il
mondo, grazie ai collegamenti elettronici, è diventato molto
più interconnesso: un qualsiasi luogo non può essere
indipendente da un'altra località remota. In questa
prospettiva, la situazione che ci offre il mondo elettronico
conduce la cultura ad un processo di globalizzazione; perciò,
in molti contesti, i contatti che vi sono in esso sono tanto
importanti quanto quelli che avvengono in un contesto fisico.
Non voglio dire, con questo, che non sia importante il luogo
di provenienza di un individuo; si tratta di una situazione
molto più complessa, di una sorta di complesso dialogo tra il
fisico ed il virtuale, tra il luogo di provenienza e la maniera di
interagire; sono, questi, tutti elementi che concorrono insieme
a formare le nostre vite attuali. Credo, inoltre, che le nostre
vite si stiano trasformando con la rivoluzione delle
Bibliografia
The Reconfigured Eye: Visual Truth in the Post-Photographic Era,
1992, MIT Press.
Digital Design Media (con Malcom Mcollough), 1991 e 1995 (ed.it.
1996, Milano). The Logic of Architecture: Design, Computation, and
Cognition, 1990, MIT Press. The Poetics of Gardens (con Charles
W.Moore e William Turnbull Jr.), 1998, MIT Press. Computer-Aided
Architectural Design, 1977, Van Nostrand Reinhold.
280
telecomunicazioni digitali; tuttavia, non penso che lo
sviluppo tecnologico sia inesorabile. In questa direzione,
credo sia possibile, per noi, cercare di capire ciò che sta
accadendo per organizzarci, per definire il futuro che
vogliamo, piuttosto che essere degli spettatori passivi se non
addirittura vittime passive della trasformazione".
Cosa pensa a proposito di aree del mondo dove i problemi per
sopravvivere sono enormi? Come possono avere, lì, la sua stessa
visione ottimistica nei confronti delle nuove tecnologie?
"In primo luogo dovremmo distinguere fra il lungo ed il
breve periodo. Nel breve periodo penso che una grande
trasformazione crei delle iniquità, delle difficoltà e dello
stress. Stiamo cominciando a renderci conto, nella
rivoluzione delle telecomunicazioni digitali, che abbiamo gli
abbienti e i non abbienti, ed è evidente che la tecnologia sta
accrescendo il divario piuttosto che diminuirlo. Ma nel lungo
periodo, nel campo dell'istruzione, per esempio, la
rivoluzione delle telecomunicazioni digitali è una forza
enorme per dare delle uguali opportunità, per accrescere i
collegamenti, per rompere l'isolamento. Prevedo, dunque,
degli sviluppi positivi nel lungo periodo, mentre nel breve e
nel medio periodo avremo molti problemi da affrontare,
particolarmente per le zone in via di sviluppo. Penso che ci
sia un enorme pericolo di accrescere il divario fra ricchi e
poveri, fra privilegiati ed emarginati".
Poiché nel mondo elettronico i "luoghi" stanno diventando
virtuali, qual è il ruolo dell'architetto nella progettazione dello
spazio?
"Credo che gli architetti si siano sempre occupati di
comprendere le attività umane e di creare le strutture per
l'attività umana. Nel passato lo si è fatto con la pietra ed i
mattoni e gli oggetti concreti, il tipo di cose che vediamo
intorno a noi. Oggi, e nel futuro, i mezzi stanno cambiando:
non sono più mezzi fisici, ma anche connessioni elettroniche
e software che formano parte del repertorio di un architetto.
Credo, tuttavia, che la funzione fondamentale dell'architetto
rimanga la stessa, vale a dire, quella di comprendere le
attività umane, capire la cultura umana, e cercare di creare le
strutture per sostenere queste attività. Dobbiamo accrescere il
nostro repertorio di mezzi, non i nostri obiettivi, non i nostri
281
committenti sociali; questi ultimi rimangono gli stessi, i
mezzi diventano diversi".
Qual è la sua opinione a proposito dell'architettura pulp, questa
architettura che vuole creare delle forme fluide ed organiche come
rappresentazione delle forme umane? Pensa che in queste forme sia
implicito un rifiuto totale della forma architettonica tradizionale?
"Penso che vi siano dei diversi fattori coinvolti in questo
tema. Il museo "Bilbao Guggenheim" di Frank O. Gehry,
penso sia l'esempio recente più interessante ed elettrizzante
di architettura di un complesso geometricamente a forma
libera. Si tratta di un esempio architettonico legato
strettamente alla rivoluzione digitale, ma non nel modo che si
crede. In questo caso è avvenuto che la tecnologia del
computer è stata inizialmente usata per disegnare delle forme
libere che non sarebbe stato possibile realizzare ricorrendo
alle tecniche tradizionali di disegno i di "modelling". Inoltre,
è stata usata la nuova tecnologia di fabbricazione CAD-CAM,
che è basata sulla connessione diretta del computer; si tratta
di una tecnologia che si giova dell'ausilio del computer per le
tecniche di fabbricazione, per consentire la costruzione di
forme libere, non ripetibili. E' stata realizzata, dunque,
qualcosa di molto "fisico" in un modo nuovo, avvalendosi
della tecnologia del computer".
Nella città dei bit l'essere umano si deve rapportare con una
nuova dimensione spazio-temporale. Qual è la dimensione spaziotemporale nell'era virtuale?
"Eravamo abituati al fatto che le nostre vite quotidiane
erano vissute in uno spazio totalmente circoscritto, ed erano
ordinate, fondamentalmente, secondo i ritmi del sole,
dell'orologio cittadino, delle campane della chiesa. Adesso,
facendo riferimento alla mia vita, ogni giorno io sono
collegato con persone in tutto il mondo attraverso la posta
elettronica, le video-conferenze, il telefono; l'ambito delle mie
connessioni spaziali, dunque, è globale e non soltanto locale.
Tutte le persone con le quali io mi connetto si trovano in zone
con differenti fusi orari, e, quando parlo con loro, si collegano
simultaneamente, in momenti differenti della vita quotidiana.
Per questa ragione non possiamo più assumere quel tipo di
struttura spazio-temporale che avevamo nel passato; ora,
questa dimensione è molto più frammentata e complessa.
282
Non possiamo più fare affidamento sui vecchi ritmi ordinari
e sui modelli spaziali che esistevano prima. Credo che tale
trasformazione renda l'architettura anche più importante ammesso che possa essere più importante che nel passatoperché essa fornisce una struttura di ordine, un modo per
comprendere il mondo. La sfida che l'architettura lancia al
XXI secolo è quella di realizzare dei posti che ci consentano di
vivere in questo mondo frammentato e complesso in cui ora
viviamo".
Questo processo di trasformazione condiziona anche la
percezione umana, in particolare perché le necessità tecnologiche
stanno espandendo i sensi umani. Qual è, in questo senso, una
definizione della percezione umana capace di accogliere tale
trasformazione?
"La percezione è diventata 'cyborg'. Non si tratta soltanto
delle capacità dei nostri corpi, ma certamente, come disse
Marshall McLuhan molti decenni fa, dobbiamo pensare ai
mezzi elettronici come estensioni del nostro corpo ed
estensioni dei nostri organi sensori. Tutto ciò sta diventando
vero, talvolta in maniera straordinaria: se vado nel "WWW"
posso prendere un gruppo di finestre che sono web-cam,
collegate a delle telecamere sparpagliate in tutto il mondo; in
questo modo io posso vedere delle finestre in una dozzina di
diverse città simultaneamente. E' come se io guardassi da una
finestra fisica e vedessi ciò che si trova fuori della stanza
adiacente a quella in cui siedo. In un senso molto diretto e
chiaro, la mia connessione visiva con il mondo si è
straordinariamente estesa. Possiamo moltiplicare questi
esempi, ovviamente, ma non si tratta soltanto di collegamenti
di organi sensori con altri organi sensori, piuttosto di
realizzare elettronicamente delle estensioni globali: siamo
estesi globalmente per mezzo dell'elettronica; siamo tutti dei
cyborg globali, a questo punto".
Un passo del suo libro recita: "non è più necessario essere 'là'
per agire". Significa che noi abbiamo una nuova consapevolezza del
potere, della nostra forza, potendo agire senza essere nel luogo in
cui si concretizza l'azione?
"Questo è un concetto relativamente recente, risale al
diciannovesimo secolo, quando il genere umano ha imparato
a "imbrigliare" l'elettromagnetismo e a cimentarsi con l'azione
283
a distanza, che era sempre stata vista come un processo
impossibile. In realtà, quel che si sta verificando alla fine del
ventesimo secolo è la combinazione della nostra padronanza
dell'elettromagnetismo con la nostra padronanza della
tecnologia dell'informazione; la nostra capacità di azione è
estesa anche fisicamente, e io penso che questo cambi la
nostra soggettività in modo fondamentale".
Cominciamo ad esaminare i luoghi che possiamo trovare nella
città del bit; in primo luogo, le scuole del futuro.
"Quando penso alla scuola del futuro, penso alla classe di
mio padre. Mio padre era un insegnante di campagna in
Australia, aveva una stanza per aula, in un luogo molto
isolato e un piccolo gruppo di bambini con un piccolo
numero di libri, e nessuno di loro era mai uscito da quella
piccola comunità; era una comunità molto ristretta. Se si
entra adesso in una classe ben attrezzata, che ha delle
connessioni elettroniche, indipendentemente dal luogo in cui
si trova, vi è possibilità di accesso a tutte le risorse
intellettuali del "WWW", è possibile collegarsi con bambini di
altre parti del mondo. Dunque, vi è stata un'espansione
dell'interconnessione e dell'accesso alle risorse educative, e
ciò è di enorme importanza culturale; tutto questo è avvenuto
soltanto nello spazio di una generazione. Certamente ci sono
tantissime iniquità; vi sono persone, nel mondo, che hanno
accesso a tutte queste opportunità ed altre che non ce l'hanno.
Io penso, tuttavia, che cominciamo a vedere l'inizio di un
cambiamento
fondamentale
nell'educazione
che
è
sostanzialmente basato sull'espansione elettronica delle
opportunità e sulla creazione di un accesso molto più ampio
ai materiali e alle risorse culturali".
A proposito dei libri, in che modo cambia la relazione che
abbiamo con il libro materiale comprandolo attraverso la rete?
"In questo momento ci troviamo in una situazione ibrida,
che continuerà per un po' di tempo. Io, personalmente,
quando so quale libro voglio, preferisco utilizzare Amazon: è
veloce e conveniente ed anche nel mezzo della notte posso
ordinare un libro che riceverò il giorno successivo. Se voglio
andare in un posto dove discutere di libri e dove so che posso
incontrare della gente che ha interessi simili, se sto cercando
un libro raro, in questo caso preferisco andare in un luogo
284
fisico e diventare parte della cultura di quel luogo fisico. Una
cosa non rimpiazzerà l'altra, tuttavia penso che vi sarà una
sorta di segmentazione grazie alla quale entrambi i modi di
accedere ad un libro sopravvivranno con dei luoghi diversi;
in fondo, i film non hanno sostituito il palcoscenico, e la
televisione non ha rimpiazzato il cinema. Noi avremo librerie
"fisiche" e librerie "virtuali", e la possibilità culturale che
esistano simultaneamente e siano complementari".
E' possibile pensare a questa esistenza simultanea anche per
altri aspetti della città?
"Certamente. Non parlerei, però, semplicemente di
esistenza simultanea, quanto piuttosto di ridefinizione dei
ruoli. Quando il cinema si diffuse il ruolo del teatro fu
ridefinito, e occupò una nicchia diversa della società. Penso
che si stia verificando un fenomeno simile con lo sviluppo
delle possibilità elettroniche di sostenere le attività umane. Se
si pensa al commercio elettronico, allo shopping, alcune
operazioni vanno molto bene nel mondo elettronico, altre no;
i libri vanno molto bene perché è possibile esaminarne il
contenuto elettronicamente ed inoltre il libro è piccolo, facile
da trasportare, non è un oggetto di elevato valore, e può
facilmente essere commercializzato elettronicamente. D'atra
parte, se si vuole comprare un'automobile, la si potrebbe
esaminare preliminarmente on-line, poi la si vorrebbe
sperimentare fisicamente prima di guidarla. Credo, dunque,
che gli oggetti adatti al commercio elettronico saranno gestiti
elettronicamente, mentre quelli che hanno necessità di uno
spazio fisico, continueranno ad esistere in uno spazio fisico".
Per quanto riguarda i musei virtuali, come pensa che possano
cambiare il nostro rapporto con il mondo dell'arte?
"Un ottimo esempio di quel che credo si stia verificando
lo si trova nella 'National Gallery' a Londra, nella nuova ala
Sainsbury, dove vi sono i quadri "fisici" nella maggior parte
del museo e poi, proprio all'entrata, c'è un museo virtuale,
dove si trovano alcuni computer con i quali si può navigare
elettronicamente attraverso la collezione. La parte virtuale
del museo dà la possibilità di muoversi molto rapidamente
attraverso la collezione, di esaminare le interconnessioni, di
esplorare del materiale di sfondo. Quando si è terminato di
esplorare la parte virtuale, si può prendere una mappa che
285
evidenzia la collocazione fisica del materiale da guardare;
quindi, si può vagare per il museo fisico e trovarsi faccia a
faccia con gli oggetti reali. Si verifica, in tal modo, una sorta
di complementarietà, ancora una volta, che è molto
importante: si ha velocità, convenienza, interconnessione,
potendo accedere a questi materiali nella loro forma virtuale,
ma vi sono anche altri generi di valori che si possono ottenere
dall'accesso ad essi direttamente nella loro forma "fisica".
Questo genere di relazione di complementarietà tra mondo
virtuale e mondo reale è esattamente quello che otterremo
dalle nuove tecnologie, le quali, non sostituiranno la realtà".
Nel suo libro Lei parla anche dei teatri e delle trasformazioni che
si possono ipotizzare nella relazione tra l'artista ed il suo pubblico...
"Molte cose interessanti si stanno verificando nel teatro;
una di queste è che vi possono essere degli spettacoli in cui
gli attori non si trovano tutti nello stesso luogo. Noi abbiamo
visto tutto questo, per molti anni, nel mondo della radio e
della televisione: si poteva ascoltare, in un'intervista
radiofonica, una discussione tra un gruppo di persone che si
trovavano, di fatto, in luoghi diversi del mondo, ma si creava
l'illusione che esse si trovassero a discutere in un unico luogo.
In un teatro greco tutti gli attori andavano insieme in un
luogo del palcoscenico e il pubblico era in contatto diretto,
acustico e visivo, con gli attori: questa è l'idea classica del
teatro. Dall'inizio della radio si è creata una condizione per la
quale chi si esibiva poteva essere in luoghi diversi, così come
il pubblico poteva trovarsi in luoghi diversi. Eppure, il mezzo
elettronico li mette tutti in un unico spazio virtuale,
equivalente ad uno spazio fisico. Stiamo vedendo anche delle
interessanti situazioni ibride e delle combinazioni di fisico e
virtuale, di "live" e registrato; penso al karaoke, che è
un'esibizione "live" combinata con una registrazione in modo
molto interessante".
Lei pensa anche ad un nuovo tipo di prigioni, senza muri né
celle. Può parlarci di questa idea e sottolineare quali sono, a Suo
avviso, le possibilità reali ed obiettive che queste prigioni diventino
una realtà attraverso un controllo a distanza?
"Si può rispondere a questa domanda a vari livelli. E' una
realtà negli Stati Uniti e in alcune parti d'Europa che le
prigioni fisiche siano rimpiazzate, in alcuni casi, da un
286
monitoraggio dei carcerati. Queste persone indossano specie
di braccialetto che consente la sorveglianza ed una traccia
costante di dove si trovano. Anziché dei muri fisici che li
confinano, ci sono dei sistemi elettronici che consentono di
trovarli. Si può generalizzare il discorso così come fece
Foucault; egli parlò della sorveglianza e di come essa possa
essere un'imposizione di potere. E' chiaro che questo può
avvenire elettronicamente molto più di quanto non possa
avvenire fisicamente; io credo che ci sia qualcosa di sinistro
in tutto questo, qualcosa di cui dovremmo preoccuparci. Una
questione fondamentale che riguarda il mondo elettronico è
quella della "quantità di sorveglianza", il "se" si possa
controllare la sorveglianza, il "chi" debba sorvegliare, il
"come" preservare la privacy, il "come" ci si possa
disconnettere dal mondo dell'elettronica, se si vuole".
Per avere questo controllo e la capacità di disconnetterci per
preservare la nostra privacy dobbiamo conoscere molto bene le
tecnologie, in modo da poterle noi controllare anziché essere noi
controllati da loro.
"Si tratta di una questione culturale importantissima, che
stiamo affrontando. Tengo a sottolineare che si tratta di una
questione culturale e sociale, e non di una questione tecnica,
poiché possiamo comprendere la tecnologia piuttosto
facilmente, e siamo molto bravi ad inventarla. Ciò che è
fondamentale, però, e che dobbiamo affrontare, sono le
implicazioni sociali che le nuove tecnologie nel mondo
comportano. Sfortunatamente, il ritmo dei cambiamenti
tecnologici è talmente elevato che è molto difficile sviluppare
l'atteggiamento critico necessario per prenderne il controllo".
Crede che ci sarà un periodo in cui la tecnologia ci darà il tempo
di pensare ai problemi sociali e culturali?
"No, non credo. Il ritmo del cambiamento continuerà a
crescere, e ora siamo solo all'inizio di una curva di
accelerazione rapida. La condizione fondamentale che
dobbiamo comprendere non è quella di un cambiamento
rapido, ma di un cambiamento che si accelera rapidamente:
questo è quello con cui dovremo imparare ad avere a che
fare; e si tratta di un processo di apprendimento, a mio
avviso straordinariamente difficile. La nostalgia della stabilità
non sarà un atteggiamento utile".
287
A suo avviso, il telelavoro in che modo può cambiare il modo di
lavorare ed anche il tempo che vi si dedica, in particolare in
relazione al tempo libero?
"Fino alla rivoluzione industriale abbiamo assistito ad un
tipo di formalizzazione delle ore di lavoro per la gran parte
delle persone; infatti, si usa dire, la maggior parte delle
persone lavora dalle nove alle cinque. Vi è stata, poi, la
"formalizzazione" dei luoghi di lavoro: ci si reca in luoghi
appositi creati per lavorare; esistono delle norme che
disciplinano i luoghi di lavoro che sono diverse da quelle che
riguardano gli spazi domestici. Non è stato sempre così:
prima della rivoluzione industriale molta gente lavorava a
casa, gli artigiani lavoravano e vivevano nello stesso luogo, i
commercianti vivevano sopra il negozio. Questi ultimi erano
i modelli sociali comuni. La rivoluzione industriale ha
causato una sorta di separazione ed una "formalizzazione"
del luogo di lavoro. Quello cui assistiamo come conseguenza
della rivoluzione digitale, che arriva dopo la rivoluzione
industriale, è il ritorno del luogo di lavoro nelle case. La cosa
sta avendo delle conseguenze interessanti per molti; io stesso
lavoro piuttosto continuativamente e dovunque, mi basta
usare un PC portatile e non fa nessuna differenza dove mi
trovo: scrivo nelle camere d'albergo o nei caffè, mi connetto al
mio ufficio elettronicamente. Il luogo di lavoro non significa
nulla e neanche le ore di lavoro. Stiamo incominciando a
notarlo soprattutto nel commercio e nelle industrie, e questa
è una condizione che riguarda molti. Ciò ha delle
implicazioni architettoniche importanti: significa, per
esempio, che nel progettare le case bisogna tenere in seria
considerazione il luogo dove si lavora. Vi sono anche molte
implicazioni riguardo al modo in cui le organizzazioni
lavorano, come la supervisione dei lavoratori. Questo
fenomeno offre un gran numero di possibilità di
valorizzazione del lavoro, e direi che si è creata una nuova e
complessa
condizione
che
dobbiamo
cercare
di
comprendere".
Dunque è importante riorganizzare le case per il telelavoro...
"Non solo il telelavoro, ma molte altre funzioni stanno
tornando alla casa come risultato della rivoluzione digitale,
c'è molto più "entertainment", adesso, nelle case. Tutto questo
288
cominciò con la radio e la televisione e adesso sta
aumentando con le nuove forme di intrattenimento digitale.
Anche il commercio sta rientrando nelle case: lo shopping
elettronico da casa e le operazioni bancarie, per esempio. Un
grande numero di funzioni, dunque, tornano ad essere svolte
nello spazio domestico, per cui è necessario che esso cambi
per adeguarsi ai nuovi bisogni che l'era digitale ha fatto
emergere. Non si possono avere l'istruzione, il lavoro e
l'intrattenimento tutti nello stesso spazio e con lo stesso
strumento elettronico, è necessario creare, nelle case, spazi
maggiori. Tutto questo implica una grande differenziazione
dello spazio per funzioni diverse ed è relativamente facile
organizzarsi nelle case nuove. Certamente, è molto difficile
trasformare le case preesistenti per renderle adeguate a
queste nuove condizioni. Si tratta di una grande sfida per gli
architetti e per gli urbanisti".
Vinton Cerf pensa al microchip per Internet in tutti gli
elettrodomestici che sono nelle case, in modo che tutto possa essere
connesso. Questo è un tipico esempio di città dei bit?
"Esattamente. Al momento, molte persone pensano al
computer come ad un aggeggio di plastica con una tastiera e
un monitor. Questa è una visione obsoleta del computer. Ciò
che sta cominciando ad accadere è che ogni tipo di oggetto
comincia a diventare intelligente: abbiamo processori e
memoria e capacità di telecomunicazione dovunque si possa
immaginare. Nelle automobili, per esempio: le automobili
sono dei veri robot, adesso; esse possiedono un gran numero
di funzioni computerizzate. La stessa cosa vale per gli
strumenti domestici: il forno a microonde ha, probabilmente,
più capacità computerizzate del primo computer che io ho
usato nella mia vita. Anche il telefono è un vero piccolo
computer, in particolare i telefoni cellulari, che sono degli
strumenti elettronici molto complessi. Dobbiamo, dunque,
anticipare un mondo nel quale quasi ogni cosa ha delle
funzioni computerizzate e capacità di telecomunicazione.
Questi strumenti interagiscono nell'ambito di una rete
pervasiva per creare un ambiente di cose che pensano. Si
immagini un mondo intero che consiste di cose che pensano,
che crea una sorta di ambiente pervasivo intelligente".
(La Repubblica, 6 aprile 1998).
289
290
Cenno sui metodi e sugli strumenti per
l’analisi quantitativa del territorio urbano
Diamo qui una breve rassegna di letture utili per
conoscere alcune metodologie per l’analisi empirico –
quantitativa del territorio urbano. Si tratta di un’elencazione
limitata e certamente non organica utile per avviare delle
letture introduttive all’analisi quantitativa territoriale.
Un primo contributo è rappresentato dal volume di Kent
P. Schwirian, Comparative Urban Structure, Heath and Co.
1974.
Si tratta di una raccolta di saggi ordinati secondo le
tematiche che corrispondono alle parti del volume:
Modelli urbani. I trends metodologici della ricerca
ecologica urbana. Modelli dello svilupparsi della
pianificazione territoriale. I modelli del disegno del
piano territoriale
La differenziazione metropolitana: la città e le aree di
frangia. Modelli di crescita urbana. L’approccio
ecologico alla teoria della suburbanizzazione. I
tempi del decentramento urbano. Satelliti e suburbi.
La persistenza dei suburbi. Un esame empirico della
struttura metropolitana.
Modelli di densità urbana e conseguenze di essa. La
densità demografica: struttura e popolazione.
Modelli matematici ed empirici della crescita
urbana e della struttura spaziale. Componenti
sociali delle densità demografiche metropolitane.
Comparazione:
densità demografica, valori
territoriali e classe socioeconomica in America
Latina. Conseguenze dell’alta densità demografica.
Densità demografica e patologia.
Fattori nella organizzazione dello spazio urbano. La
natura delle città. La struttura interna della città.
Distorsioni dei modelli classici della struttura
urbana. Qualità ambientale e comportamento locale
(America Latina) . Struttura sociale e pianificazione
territoriale. Modelli di collocazione familiare.
-
-
-
Ecologia fattoriale delle città. Status economico,
familiare ed etnico. Indici di area sociale urbana. Le
aree sociali di Shevky – Bell. Aspetti spaziali
dell’analisi delle aree sociali. Esempi internazionali
di analisi territoriale ed ecologica.
Differenziazione dello status sociale e segregazione.
Distribuzione
residenziale
e
stratificazione
occupazionale. Esempi internazionali.
Differenziazione etnico- razziale e segregazione. Impatto
della segregazione residenziale nell’assimilazione
etnica. Suburbi e modelli etnico residenziali.
Segregazione razziale in vari periodi (studiati anche
con modelli causali).
Bahrenberg, G., Fischer, M., Nijkamp, P., Recent
Developments in spatial Data Analysis, Gower House,
Aldershot 1992.
Introduzione metodologico teorica
I problemi della misurazione. Analisi spaziale e
problemi della misurazione. Modelli di equazioni
lineari strutturali e correlazioni spaziali. Test non
parametrici
di
dati
direzionali.
Scale
multidimensionali
ed
omogenee
nell’analisi
spaziale.
Metodo grafici per l’esplorazione
relazionale.
Analisi discreta dei dati esplorativa ed esplicativa.
Appelbaum, P., Bigelow, J., Kramer H.P., Molotch,
Harvey L., Relis, P.M.,The Effects of Urban Growth, Praeger,
Santa Barbara
In particolare, il 2° capitolo: “Cross-City Analysis”.
Robson, B.T., Urban Social Areas, Oxford Univ. Press, 1975.
In particolare il 1° Capitolo: The residential Kaleidoscope,
con i differenti approcci e metodi di analisi.
Visvalingam, M., Operational Definition of Area-based social
Indicators, Pion Publ1982
Vergati, S., “Definizioni semi-operative e progettazione di
292
indicatori soggettivi: il caso della qualità della vita
urbana, Sociologia e ricerca sociale, n. 47-48, 1995, pp. 77-93.
Herbert, D.T., Smith, D.M., Social Problems and the City,
Oxford U.P., 1979. Il Capitolo 2°: “The Identification of
Problems in Cities: Application of Social Indicators”.
Ercole E., Martinotti G., Bisogni informativi, Banche dati e
territorio, 1994. Capitolo 8°: “L’uso di variabili di contesto
nell’analisi ecologica”.
Martinotti, G., “Sviluppo urbano, qualità della vita e
bilanci sociali di area”, Sociologia urbana e rurale”, n. 6
1981, pp. 55-83.
293
<TITRE> VILLES
<TEXTE> L'établissement humain représente
un événement révolutionnaire dans la vie de
Child, V. G., Man Makes
Himself.Rev. Ed. American Library, l'homme. La ville devient la forme qui
spécialise l'espace et qui réalise un
New York 1951 (1936). Child, V.
G., “The Urban Revolution”. Town changement profond dans la division du travail
Planning Review, 21, 1950, pp. 3-17. social et dans la concentration différenciée des
pouvoirs. Les approches et les contributions
les plus significatives fournies par les
sociologues et par les différentes écoles de
pensée permettent de comprendre les
phénoménologies et les étapes les plus
importantes du développement historique de
la ville. Cela ne correspond pas toujours à la
finalité des manuels de sociologie urbaine. En
effet, il existe plusieurs perspectives dans
l'étude et la compréhension sociologique de la
ville. Une approche préalable est celle qui se
rattache à l'archéologie, à l'histoire, au droit et
aux sciences qui s'appliquent à reconstruire
l'origine et l'évolution de la ville. L'approche
choisie est celle de lire la ville en remontant
aux auteurs qui ont essayé de la comprendre
sous d'autres points de vue, par des
méthodologies
sociologiques
qui
se
différencient entre elles et qui se rapportent à
des formes de la ville variées du point de vue
historique. Il faut partir de l'apport exemplaire
et fondamental constitué par la sociologie de la
ville de Max Weber. Cet apport ne se limite as
seulement à son essai Die Stadt (la ville), qui
nous ferait courir le risque de croire que M.
Weber voulait présenter une théorie
sociologique de la ville valable pour toutes les
sociétés
et dans toutes les périodes
historiques. Dans plusieurs de ses ouvrages, il
parcourt les ifférentes époques et pénêtre dans
l'histoire et dans les formes sociales de la Cité
294
antique pour en arriver , en particulier, aux
villes du Moyen-Âge, -surtout aux Communes
italiennes et aux villes se trouvant au nord des
Alpes-dans l'intention de retrouver dans la Cité
antique et, plus tard, dans celles du MoyenÂge des éléments qui puissent nous aider à
comprendre les facteurs qui ont provoqué la
naissance du capitalisme. La deuxième erreur
à laquelle nous risquons de succomber est de
considérer le titre introduit par J. Winkelmann
dans l'édition de l'oeuvre Économie et société
(1956) "Le pouvoir non légitime. Typologie
des villes" (Die nicht legitime Herrschaft.
Typologie der Städte), comme quelque chose
d'incompréhensible. En réalité, M.Weber avait
l'intention de rassembler les résultats de ses
travaux sur la ville en un seul chapitre de
l’œuvre qu'il avait prévue Grundriß der
Sozialökonomik, dont le titre serait justement
celui que l'on vient de citer. D'ailleurs son
essai La ville, dans la version publiée en 1922,
ne développe certainement pas le thème de la
Nippel,W., Editorischer Bericht. In
ville en tant que pouvoir non légitime. D'après
Max Weber Gesamtausgabe, Abt.
I.Bd. 22/5: Die Stadt, Tübingen Mohr de vastes études récentes, il apparaît avec une
1999, p.46. Edtion française: La Ville, évidence croissante que l'expression en
question révèle une perspective plus ample,
traduit par Philippe Fritsch avec une
c'est-à-dire, presque sûrement, la thèse centrale
préface de Julien Freund, Aubierde la recherche de Weber sur la ville, dont la
Montaigne 1982.
finalité globale était celle de découvrir les
éléments qui auraient donné naissance au
capitalisme moderne. D'après Weber la ville,
Meier Ch., Die Okzidentale Stadt nach issue des Communes du Moyen-Age, se
définit comme une réalité sociale nouvelle et
Max Weber. Zum Problem der
révolutionnaire, comme un pouvoir qui
Zugehörigkeit in Antike und
Mittelalter, Oldenburg, Munich 1994. s'oppose à celui de l'Empire ou même du Pape,
comme une organisation juridique, créée par la
bourgeoisie urbaine, siégeant dans les
Communes, pour constituer la forme d'un
gouvernement autonome et, par là-même,
Scaglia, A., Die Stadt in der Sicht Max
Webers, Von der revolutionärautonomen Stadt zur
undemokratischen Stadt der
Gegenwart, Leske +Budrich, Munich
2001
295
Weber M., Die sozialen Gründe des
Untergangs der antiken Kultur, p. 59,
dans Gesammelte Aufsätze zur Sozial
und Wirtschaftsgeschichte, Mohr,
Tübingen 1924, pp. 289-311.
296
révolutionnaire. Pour défendre cette liberté-là,
les citoyens sont disposés et se sentent prêts à
épauler leurs armes. Cette organisation
juridique nouvelle et alternative offre un
espace à l'exercice
d'une libre activité
économique artisanale, commerciale et
financière qui, tout en s'écartant du système
économique féodal et tout en s'appuyant sur un
élément sacré, tel que la "fraternité jurée",
produit un espace de liberté d'entreprise et une
nouvelle vision du monde en ce qui concerne
la propriété, les liens économiques et la
légitimité du pouvoir féodal. L'idée que notre
époque et que la société moderne dérivent du
Moyen-Âge est exprimée par M. Weber dans
une affirmation célèbre: "Ce fut au MoyenÂge, grâce à la libre division du travail et du
commerce, que la ville resurgit; en passant à
travers l'économie politique, elle prépara la
liberté bourgeoise et brisa tout lien entre les
autorités intérieures et extérieures, datant de la
période féodale. Ce fut seulement à ce
moment-là que l'ancien géant se leva avec une
vigueur nouvelle et qu'il plaça la puissance
spirituelle de l'Antiquité dans la lumière de la
culture bourgeoise moderne".
En affrontant l'analyse weberienne dans cette
perspective, il est évident que même le titre
que Weber voulait attribuer à son chapitre
spécifique sur la ville dans son Grundriß für
Sozialökonomic devient une évidence. La ville
communale constituait donc le centre d'intérêt
de sa recherche sur la ville, qui devient un
pouvoir non légitime, mais cependant innovant
et révolutionnaire. Les apports de Max Weber
sur ce sujet sont présents dans de nombreux
ouvrages (Wirtschaft und Gesellschaft, Die
Agrarverhältnisse im Altertum, Soziologische
Aufsätzte zur Religionssoziologie) et doivent
être lus dans la perspective de vérifier
l'hypothèse weberienne exprimée justement
dans le titre "Le pouvoir non légitime.
Typologie des villes". La sociologie de la ville
de M.Weber fournit une perspective théorique
de grande envergure qui se distingue de celle
d'autres
auteurs,
même
parmi
ses
contemporains. Il faut bien réfléchir à la
fécondité qui pourrait dériver du fait de donner
suite à la tentative weberienne de comprendre
les origines de la ville moderne et
contemporaine et les facteurs qui en expriment
le sens, en puisant dans l'histoire des villes. Le
rapport entre la ville et le capitalisme est
interprêté de façon tout à fait différente par
Karl Marx et Friedrich Engels qui placent la
ville dans l'espace de la vision du matérialisme
historique dialectique. La ville industrielle est
le lieu où la pathologie sociale, dérivant des
rapports de production contradictoires,
s'intensifie en provoquant la naissance du
prolétariat, comme nouveau sujet historique,
qui deviendra révolutionnaire du moment qu'il
sera un objet d'abrutissement et de violence
dans le contexte de la ville industrielle.
Si on compare l'approche et l'analyse de la
ville médiévale de Weber avec celle de
Werner Sombart, on peut se rendre compte
qu'elles sont absolument différentes, non
seulement à cause des facteurs de recherche
pris en considération, mais plutôt-chez
Sombart-par l'absence d'une hypothèse de
recherche analogue à celle de Weber. Pour W.
Sombart, la ville médiévale, le plus souvent,
prend naissance des villages qui se
Sombart, W., Der moderne
développent du point de vue économique et
Kapitalismus, Historischdes nouveaux rôles exercés par les producteurs
systematische Darstellung des
gesamteuropäischen Wirtschaftslebens et les consommateurs par rapport à la ville et
au territoire. Sombart cite Paul Sander pour
von seinen Anfängen bis zur
297
pouvoir accepter l'opposition entre la ville
médiévale et la ville moderne et pour affirmer
qu'il est erroné d'attribuer à la ville médiévale
des élements structurels rationnels.
Une approche et une perspective également
différente de celle de Weber nous est fournie
par Georg Simmel. Elle part de Ferdinand
Tönnies qui, dans son oeuvre célèbre
Gemeinschaft und Gesellschaft (Communauté
et société), semble craindre qu'à cause de la
désagrégation de la culture rurale et du village,
la dimension sociale de base de la
communauté ne soit mise en crise. En
cohérence avec son approche théorique, Georg
Sombart, W., Der moderne
Kapitalismus cité, p. 180-181, note 2. Simmel est l'auteur qui exprime le mieux la
préoccupation diffuse, dans l'Allemagne de la
fin du XIXe siècle, au sujet des problèmes
posés par un développement métropolitain
important. En même temps, Simmel pense que
la grande ville est "le lieu par excellence dans
lequel s'exprime la logique sociale orientant
son époque". Dans la condition urbaine, les
émotions s'intensifient et, parallèlement,
Rémy, J., “ De la métropole comme
s'accroît la dimension de l'anonymat, ce qui
expérience fondatrice au statut des
permet aux individus d'échapper au contrôle
formes dans une problématique du
du groupe primaire. Il en dérive une situation
changement social, ” dans: Rémy, J.
apparemment contradictoire, dans laquelle
(édité par), Georg Simmel. Ville et
cependant les conflits et la coopération, les
modernité, L'Harmattan, Paris,1995,
dimensions de l'individuel et du collectif
p.8.
cohabitent. "Il n'arrive plus que "l'homme
universel" doive se refléter dans chaque
Simmel, G., „Die Großstädte und das individu, mais ses valeurs lui viennent du fait
d'être unique et irremplaçable". La grande ville
Geistesleben“, dans: Georg Simmel.
est en devoir de "fournir un lieu où le sujet
Aufsätze und Abhandlungen 1901peut jouer son rôle à
1908, Bd I, Hgr R. Kramme, A.
l’intérieur d’un ensemble" afin d'éviter la
Ramstedt, O. Ramstedt, (G.Simmel
massification. La nouveauté scientifique de
Gesamtausgabe Bd VII), Surkamp,
Francfort -sur- le- Main 1995, p. 131. Simmel consiste à avoir associé les facteurs
quantitatifs et spatiaux à une métamorphose
Gegenwart, Duncker & Humblot,
Munich et Leipzig 1916, Chapitre 10.
298
sociale. La grande ville devient le lieu central
de la modernité. Elle produit une forme de
sociabilité, où prévaut l'économie monétaire,
qui engendre des relations sociales élargies et
souples. C'est finalement le texte de Simmel
sur “l'étranger” qui permet de comprendre la
Roncayolo, M., De la ville à
complexité de la méthodologie simmelienne,
l'urbanisation, L'Harmattan, Paris
la capacité du social de s'auto-organiser d'une
1992, p. 9.
façon différenciée. En même temps, cela
renvoie aux liens avec l'école de Chicago, à E.
Park en particulier. Dans les divers pays
s'affirment des paradigmes d'analyse urbaine
variés, correspondant aux différentes visions
du monde: la frontière et, plus tard, la
conurbation aux États-Unis, la ville
charbonnière
en
Grande-Bretagne,
la
métropole du XIXe siècle ou la ville/région
d'aujourd'hui en Allemagne. Pénétrer le sens
des différentes typologies historiques et
culturelles des villes pourrait constituer une
lecture sociologique essentielle du point de
vue scientifique, d'une grande utilité
d'application même pour ce qui concerne
Bulmer, M., The Chicago School of
l'aménagement urbain. La sociologie urbaine a
Sociology, Diversity and Rise of
Sociological Research, The University trouvé l'une de ses expressions scientifiques
of Chicago Press, Chicago et Londres. systématiques les plus importantes dans celle
qu'on appelle justement l'École de Chicago,
dont William Thomas (1863-1967) peut être
considéré le précurseur. Après son expulsion
en 1921, ce furent Robert Park (1864-1944),
Ernest Burgess(1886-1966) et Roderick D.
McKenzie (1885 - 1840) qui jouèrent un rôle
important. On est redevable à ce dernier de
l'élaboration théorique de l'écologie urbaine. À
travers toute une série de recherches sur le
terrain, la sociologie urbaine, grâce à l'école
susmentionnée, passe de la philosophie sociale
à une analyse professionnelle du social, en
devenant la science de la société. C'est la
299
sociologie urbaine qui a caractérisé
l'Université de Chicago et c'est la même
Université qui a établi la sociologie comme
une discipline et une profession ancrée dans
l'observation et dans l'analyse empirique du
social; elle l'a détachée de l'assistance sociale,
après avoir établi un rapport complexe avec les
institutions et avec les autres sujets urbains
pour faire devenir la ville un "laboratoire
social"(Park) de recherche et d'intervention.
Enfin toujours à travers l’œuvre d'E.R. Park,
l'école en question a élaboré une méthodologie
scientifique interdisciplinaire vouée à l'étude et
Thomas, W., Znaniecki, F., The à la transformation de la réalité urbaine dans
Polish Peasant in Europe and in ses formes organisées. W.Thomas refuse aussi
America, The University of Chicago bien le paradigme évolutionniste que le
paradigme biologique dans l'interprétation des
Press New York, 1918-1920.
inégalités sociales, et les attribue plutôt à une
immigration tumultueuse, provenant des zones
rurales; c'est ce phénomène-là qui a déterminé
un processus de désagrégation sociale des
modèles individuels et collectifs originaires,
pour faire place à un modèle successif
d'organisation sociale. L'école de Chicago a
surtout appliqué des méthodes qualitatives qui
font appel à l'ethnographie urbaine (case study
ou observation participative des histoires de
vie) en développant également, par la suite,
une analyse quantitative. Parmi les recherches
les plus connues il faut signaler: The Hobo
de Nels Anderson, les études de Norman
Hayner sur la vie hôtelière, de Walter Reckless
sur le vice organisé, de Louis Wirth sur le
ghetto, de Frederic Thrasher sur les bandes de
copains, de Ruth Cavan sur les dynamiques du
suicide, de Paul Cressey sur le rapport entre la
danse et ses comportements et les impulsions
négatives qui en dérivent, d’Harvey Zorbaugh
sur la ségrégation sociale, de Clifford Shaw
300
Gottmann, J., Megalopolis: the
urbanized northeastern sea-board of
the United States, MIT Press,
Cambridge Mass. 1965.
Amiot, M., Contre l’État, les
sociologues. Eléments pour une
histoire de la sociologie urbaine en
France (1900-1980) EHESS, Paris
301
sur la délinquance juvénile.
L'analyse d'une ville moyennement petite,
menée par le couple Robert et Helen Lynd
dans les deux volumes Middletown (1927) et
Middletown in transition (1937) introduit une
nouveauté significative dans la méthodologie
et dans la théorie sociologique elle-même.
Basée sur une vaste documentation, elle
examine des variables reliées entre elles:
industrialisation/changement
institutionnel,
stratification
sociale/classe
sociale
d'appartenance, pouvoir /stabilité ou évolution
sociale. Les changements relevés semblent
varier selon la classe d'appartenance, alors que
les disparités sociales sont dues à
l'affaiblissement
de
la
solidarité
communautaire. Le pouvoir au sein de la
communauté semble étroitement lié au pouvoir
économique, concentré dans les mains de
quelques sujets et géré de façon à permettre la
manipulation. La sociologie de la ville a
manifesté plus tard un développement
alternatif suivant les pays. Aux États-Unis
l’œuvre de J. Gottmann Megalopolis présente
de façon emblématique une attention
particulière au développement métropolitain.
Dans cet ouvrage l'auteur semble repérer un
développement urbain qui dépasse les
anciennes déterminations de l'espace urbain,
ainsi que les appartenances régionales ou
étatiques, afin de projeter l'homme de la ville
métropolitaine dans une dimension urbaine qui
se traduit par la perspective d'une époque
totalement nouvelle.
En Europe, les études de sociologie urbaine
reprennent surtout dans l'après-guerre, que ce
soit comme instrument pour une planification
urbaine ou comme ressource pour retrouver les
facteurs d'où sont issus les changements de la
société et des valeurs. En France, il faut
signaler l'apport de Paul-Henri Chombart De
Lauwe, un auteur qui a analysé de façon
Chombart De Lauwe, P.-H., Des
intéressante la forme urbaine et les problèmes
hommes et des villes, Payot, Paris
sociaux de la ville de 1960 à 1990, en
1965. Du même auteur: La fin des
fournissant des matériaux très utiles pour la
villes: mythe ou réalité, Calmanncompréhension de la ville et pour la
Lévy, Paris 1982.
planification urbaine. Il est souhaitable de
connaître ses travaux pour une méthodologie
appropriée et pour une formulation et
vérification exacte des hypothèses de
recherche. Toujours en France, Henri Lefèvre
développe une lecture utopique de la ville,
Lefèvre, H., Le droit à la ville,
Anthropos, Paris 1968, La révolution qu'il considère comme une entité touchée par
une crise planétaire, tandis que la société
urbaine, Gallimard, Paris 1970. Du
urbaine est conçue comme étant "totalement
rural à l'urbain, Anthropos, Paris
délivrée" (de la ségrégation, de l'hétéro
1970.
direction et de l'apathie) à travers l'autogestion
du droit à posséder la ville. De nos jours, cette
proposition ne semble pas facile à utiliser en
tant que catégorie d'analyse et d'aménagement
urbain. À partir de 1977, l'International
Castells, M., Sociologie des
mouvements sociaux urbains, Mouton, Journal of Urban and Regional Research
propose une orientation nouvelle. Manuel
Paris 1977
Castells critique, d'une façon d'ailleurs
inacceptable, la sociologie urbaine précédente,
qu'il
accuse
d'exercer
une
fonction
idéologique, en faveur de la classe dominante,
dont la ville s'émancipera par la lutte des
classes, mise en oeuvre par les mouvements
urbains. Il n'a fallu que quelques années pour
faire apparaître essentiellement idéologique
cette lecture critique de la ville.
En Italie mérite d'être mentionnée la
contribution de l'école de Trente (Italie),
Pollini, G., Appartenenza e identità,
Franco Angeli, Milan 1987. Gubert,R. fondée par F. Demarchi, qui, avec une certaine
originalité, a développé une sociologie du
(édité par), Territorial Belonging
territoire qui met en relation les valeurs, les
between Ecology and culture,
dimensions symboliques avec la finalité de
Université de Trente, Trente 1999.
1986.
302
Friedrichs, J., „Stadtsoziologie
wohin? ”, dans Soziologische
Stadtforschung, Friedrichs, J., (Hrsg.),
Westdeutscher Verlag, Opladen 1988.
Du même auteur: Die Städte in den 90
Jahren, demographische, ökonomische
und soziale Entwicklungen,
Westdeutscher Verlag, Opladen 1997.
303
focaliser l'identité et l'appartenance sur le
territoire.
Dans la littérature sociologique de la ville,
durant la seconde moitié du XXe siècle, des
voies nouvelles ont été suivies pour essayer de
comprendre les nouvelles typologies de la
ville, sans obtenir de résultats dans le domaine
de la théorie sociologique. La tentative
d'aborder une approche théorique de la ville,
dans les formes qu'elle présente à la suite d'une
forte connotation internationale des marchés,
est représentée par la sociologie soi-disant de
la globalisation. Toutefois, même une
approche telle que celle-là, ne permet pas de
parvenir, du moins dans le domaine de la
sociologie, à la précision conceptuelle et
méthodologique désirée. Les villes et les
métropoles dans les pays industrialisés
développent une capacité toujours croissante
d'interaction dans des territoires toujours plus
vastes, tandis que la localisation des pouvoirs
urbains semble de plus en plus difficile à
repérer dans l'espace. Les grandes villes du
Tiers-Monde représentent une réalité urbaine
qui se caractérise par d'énormes concentrations
démographiques, par des phénomènes de
pauvreté urbaine, vis-à-vis de laquelle il
semble difficile d'introduire un processus de
développement économique et culturel.
Devant la tendance à une diffusion planétaire
de l'information, sélectionnée dans l'espace
(les zones du sud du monde en sont en grande
partie exclues), devant les nouveaux
mouvements migratoires et le besoin de rendre
possible un développement plus équilibré, se
fait jour la nécessité de plus en plus urgente
d'une méthodologie sociologique pour l'étude
de la ville qui permette de comprendre quels
sont les facteurs qui en favorisent le
développement et ceux qui s'y opposent, pour
parvenir à retrouver dans la ville
contemporaine les motivations et l'éthique
d'une action sociale capable de bâtir le
développement économique et social à
l'intérieur d'un capitalisme éthique.
>SIGNATURE< Antonio Scaglia
(Predisposto per: Dictionaire de l’historie de la Pensée
sociologique 2001)
304
(Voce per Enciclopedia)
3.15.212 Urban Sociology
The city is the entity to which the Greek philosopher Aristotle
attributed a capacity “to suffice unto itself”. He argued in
Politics that “the perfection of existence” was possible in the
city and he concluded that “man is a political animal created
to live in cities.” The history of cities displays wide
typological differentiation: cities vary according to the
manner in which they began and subsequently developed, and
according to their geographical and cultural area. But there
seems to be one feature shared by them all: a capacity to
dominate and organize the space surrounding them by virtue
of their concentration of power in its various forms: political
and administrative, military, economic, cultural, scientific,
and religious. There have indeed been societies and cultures
without cities as their political, administrative, economic and
cultural points of reference, or which possessed them only to a
limited extent – consider the Europe of the High Middle Ages
– yet it is nevertheless true that the organization and
development of systematic control over a territory has always
centred on a capital city, and therefore on a hierarchy of cities
and settlements.
Urban sociology concerns itself with the social and cultural
forms assumed by the urban phenomenon in the past and in
the present. It endeavours to understand the world-views of
the various cultures that have produced cities, and the
coherence or incoherence with which these world-views have
been given concrete form.
The city in history
Urban sociology seeks not only to describe and explain the
rich variety of the phenomenon ‘city’, but also to interpret the
causal connections between the elements constitutive of a city
and the factors that first gave rise to them. This approach
furnishes understanding of the complex as well as profound
meaning of every urban reality. To study the history of cities
is to study the history of civilizations, of societies, and of
cultures: a far-reaching enterprise which involves numerous
305
disciplines and is constantly enriched with the results of
scientific research.
One might enquire whether urban sociology is able to identify
a single interpretative theme linking what by now constitutes
a vast complex of urban phenomena. A simple list of the bestknown urban forms demonstrates the difficulty of the
undertaking. The history of the city, in fact, displays a rich
variety of forms, which may be summarily listed as follows:
the Sumerian cities, those of the Mesopotamian kingdoms, the
Greek polls, the Phoenician cities, Rome and the cities of the
Eastern and Western Roman Empire, the cities of the Asiatic
empires, the cities of the Central-American cultures, the
Muslim cities, the city-communes of the Middle Ages, the
cities of the seigniories, those of the European sovereigns, the
cities of the industrial revolution, the cities of Africa, Latin
America and Asia that arose as a result of European
colonization, the metropolises of the twentieth century, and
those that have now become city region and global cities as
well as the metropolises of the Third World. Finding an
interpretative theoretical paradigm which comprises this huge
variety of urban forms is, as said, an arduous undertaking,
unless one resorts to a set of generic statements which risk
lapsing into triviality.
One approach might be to single out a set of shared features
and then flank them with those specific to each individual
form of urban society and culture. As will be shown, every
urban form, in its birth and its development, is geared to the
production and distribution of goods, and to the management
of the surpluses that engender the city as the hub of functions,
services and political power, administrative and
organizational. The city also develops and disseminates
patterns of urban planning and organization, models for the
construction of supply and service infrastructures. It is the
engine of technological innovation and knowledge, the centre
of political, religious and military activity. These features,
however, vary considerably across the manifold historical
forms of the city, and it would be a gross over-simplification
to impose a single sociological framework on such diversity.
The general considerations to be drawn from comparative
sociological analysis take the form of a social-urban
306
philosophy, albeit one grounded on analysis of specific
sociological urban types. Examples are the (important)
assertions that can be made concerning the relationship
between the forms assumed by the city and freedom,
democracy, and the reciprocal exchange of urban political
power and other cultures.
The territorial stabilization of social life
The city was at first a permanent settlement of a population on
a particular territory, a settlement which developed specific
forms and functions. The advent of mankind began the
process known as civilization (from the Latin noun for ‘city’:
civitas) with the birth of the first settlements devoted to
farming and cattle-raising but also to a sacred element:
cemeteries and shrines. “The city of the dead antedates the
city of the living. In one sense, indeed, the city of the dead is
the forerunner, almost the core, of every living city”
(Mumford, 1961). The villages of the Mesolithic age
surrounded themselves with palisades, they ‘specialized’
space, and they organized themselves into a hierarchy, with a
political, economic and social system that the city would later
develop and strengthen.
The rise of a space symbol-system and culture
It was this revolution that gave origin to space as a symbolic
system. By choosing to live in settlements, mankind opted for
a form of social life that gave priority to social features
expressed through increasingly rich forms of communication:
language, tools, communal meeting-places, the recognition of
a leader, obedience to the rules of the community, places and
forms of worship. Language and the home were the
distinctive features of the Palaeolithic village, while the
inhabitants of the Neolithic village clung to their burial places
and their vital significance for the social group, while
continuing to develop agriculture and cattle-raising.
The origin and evolution of human settlements produced the
sociological meaning of the city through the following stages.
307
Antiquity and urban revolution in the Near East:
The origin and evolution of human settlements with their
diverse geographical and temporal features were replicated in
the birth and rise of the cities. At the end of the last ice age,
the alluvial plains of the Nile, Tigris, Euphrates and Indus
yielded abundant crops for the peoples who moved into from
south and organized themselves as farmers. Surplus produce
was used to maintain a group of artisans, scribes,
functionaries, priests and soldiers who introduced the spatial
distinction between city and countryside. The first known
urban conglomeration arose five thousand years ago (Clark,
1977).
Space organization connected with structured social
functions: the beginning of the ambivalent relation between
the city and its surrounding territories and settlements
The city became the locus of power; the place where the
allocation of surplus goods was established, where reliable
communication over long distances was made possible by the
written word, where construction techniques were developed,
where stable patterns of behaviour were formed, and where
the law was formalized (the fundamental law and rules
regulating everyday life which supplanted the family and
kinship bonds). An entirely new social and spatial dimension
arose which opened the way for a more formal and objective
legal order, one legitimated by the urban community and
which, in some cases, acquired the form of a state. The
production of material equipment was enormously increased
by the advent of models fixed by writing and registration.
Thus, culture as a set of symbols produced and reinforced
technology, exerting a powerful influence over the material
production of goods which, in the absence of that culture,
would only have developed sparsely and slowly. City and
civilization, therefore, were closely bound up with each other
in their birth and development.
The development of a governmental hierarchy
308
The city came to reproduce, in historically different ways, the
structural elements of the first human settlements. Various
factors induced settlements to grow into cities, but the most
notable of them were the centralization of the population, the
advent of market, the court and administration, the temple,
science (writings), and the army.
The clay tablets unearthed during excavations of the Sumerian
cities (Ur, Erech, Lagash) document the corporative
government exercised by priests who considered themselves
the stewards of land entrusted to them by God. This belief
was reproduced in the physical form of the city dominated by
the temple, with its dwellings, storehouses and workshops,
and around which the city articulated itself according to social
and spatial differentiation. When the Sumerian cities came
under the sway of a king with sacred status and power, they
manifested a power and an administrative organization
arranged in a hierarchy between the capital city and those of
lesser status in authority and function. Regulating this
hierarchy of cities and localities was a set of laws which
ensured the consignment of surplus or appropriated goods to
the more central cities, and then developed into a system of
tax collection and military organization which produced a
veritable state. The Egyptian city pivoted on the power of the
god-like Pharaoh, who wielded absolute control over the
economy, which he utilized to build temples, pyramids and
tombs that raised him above common mortals. In the second
millennium BC, the cities of the Far East developed according
to a similar hierarchical pattern whereby the provincial cities
were dominated by the capital.
The Greek city was the template for Western urbanism. Born
of an alliance among communities and their kings
(synoecism), from the sixth to the fourth centuries BC the
polis became a reality in which the Greeks developed a
culture devoted to reproducing in the city a vision of the
world whose central component was not absolute power and
the conquest of neighbouring territories, but rather the
harmony among man, body and intellect expressed, both
physically and spiritually, in literature and the figurative arts,
and also in the social life reproduced concretely and
309
organizationally in the polis. The term ‘city’ thus came to
coincide with ‘politics’, a city organized as a city-state, the
place of orderly and individual freedom. The Greek polis of
this period was a city whose walls protected the country
people when attacked and which granted freedom to its
citizens. The polis carefully regulated its size (surplus
population moved away to found new colonies), the purpose
being also to preserve harmony and to protect the system of
self-government constituted by the prytaneum, the place
where the community’s divine protector was worshipped, the
agora or citizens’ assembly, and the bulè, the council of
nobles and representatives of the assembly.
Roman and Greek urban development
The Greek city expressed in admirable harmony the
relationship between the city and its rural surroundings, but it
was a relationship that was always ambivalent. On the one
hand, the city comprised a complex set of powers which
subjugated the surrounding territory; on the other, it
developed a political, legal, economic and organizational
order, and a network of services, which incorporated the
smaller communities into a system of which the city was the
centre and the administrative seat. The Alexandrine city that
arose from Alexander the Great’s expansionary policies and
conquests was symmetrical in form, ordered according to a
Euclidean geometry which ensured control and the orderly
deployment of troops; a cultivated, refined and monumental
city. The concentration of powers in Alexandria gave it
decisive dominance over non-urban territory (Mumford,
1961).
Rome the capital city that ruled the territories around the
Mediterranean basis, invested its Senate, consuls, praetors,
aediles, tribunes and quaestors with powers that produced one
of the most stable empires of history. As caput mundi, the
headquarters of the state, Rome undertook the division of the
urban and agricultural territory, the founding of new cities, the
building of aqueducts, sewers, basilicas, baths, amphitheatres
and circuses, and the construction of an immense network of
310
roads and military outposts. Besides being the capital of the
state and the empire, it was the locus in which political
powers concentrated and evolved, and where the urban
models of the empire’s cities were developed (Mommsen, ).
Rome established an organic, almost biological, relationship
with the world of the empire; but it was a relationship which,
amid the city’s estimable political, administrative, legal,
organizational, and military system, permitted no form of
political, and especially cultural, reciprocity. When Rome’s
powerful inner impetus subsided, its grand design imploded
because it was unable to draw on resources arising from
interaction with other cultures regarded as equals. One single
legal order was admitted, and no other order was allowed that
might introduce innovations.
The disappearance of the ancient city
The barbarian invasions destroyed the political and
organizational structure of the Western Roman Empire, while
the empire in the East fell to the advancing Muslim Turks.
The urban structure of the Roman empire was replaced in the
West by the Christian territorial organization based on large
rural landholdings, while the cities and the road network
lapsed into decay through disuse. In the East, the Muslim
cities represented an extension of the power wielded by
princes and merchant corporations: without specific
autonomies, they served to protect citizens and to safeguard
trade routes and the agricultural market, while for other
commodities they added further urban components
European cities in the Middle Ages
The medieval city in Europe was the result of revival in the
economic and commercial development of the coastal cities of
the Mediterranean and northern Europe, and the resumption of
agriculture and artisan industry. The cities were revivified and
became the centres of corporations, guilds and confraternities,
while their citizens developed a legal order different and
distinct from that of the medieval lordship. This was a “non311
legitimate and revolutionary” legal order (Max Weber, 1921)
endowed with city walls, its own civil law (which regulated
relations among citizens according to rules established
independently), its own lawcourts, and an armed corps of
citizens called upon to defend the new order; all of which
were guaranteed by the oath-swearing (conjuratio) of those
who perceived themselves brothers in a common enterprise.
The medieval city, with its public spaces for artisan,
commercial, religious and social activity, assumed a complex
urban form: the social configuration of the new notion of an
autonomous community, with a political and legal system that
gave origin to the constitutional and civil law of the modern
state. The medieval structure of many European cities resisted
the assaults of the lords and princes of the Renaissance, and
those of the seventeenth- and eighteenth-century kings. The
latter decided to forgo their endeavour to change the city, and
instead set about building royal palaces with parks and estates
outside the cities (Versailles, Schönnbrunn, Aranjuez,
Caserta). This separation between royal-nobiliar power and
the urban classes made up of shopkeepers and professionals
was the prelude of, and ground for, the bourgeois revolution.
The modern city
The bourgeois and industrial revolutions engendered the
subsequent great urban revolution. Population growth,
immigration from the countryside, the more articulated
organization of the city, heightened demands for comfort:
these factors upset the balance between traditional and new
urban space. Flanking such ecological problems were the
inequalities among the urban classes (bourgeoisie and
proletariat) that socialist (F. N. Babeuf, Ch. Fourier) and
liberal theory analysed, and which the urban policies of the
constitutional states addressed, but only by creating public
and social spaces and services, while giving free rein to
speculation and the market under rules which applied to all
the social groups admitted to the competition for social
ascent.
312
Sociology arose in concomitance with the problems that
attended the birth and growth of industrial society, and it
analysed the urban phenomena that embodied the urban
revolution. K. Marx conducted his critique of capital by
starting from the radical inequality between the owners of the
means of production and an exploited proletariat forced to sell
its labour in the city called Coketown. Max Weber sought to
understand the birth and crisis of capitalism by studying the
medieval European city as the origin of the free economic
enterprise that gave rise to the new and free legal order; the
city that gave liberty to all those who decided to join it, and
whose motto was “The city air makes free” (Die Stadtluft
macht frei).
However, although this city produced a political and legal
system by which citizens were free under the state and the
modern legal order, it was not a city of equals: it may have
been made up of formally equal citizens but it was marked by
frequently profound social and spatial disparities.
The Chicago School analysed the phenomena and problems
of a modern industrial city under pressure from multi-ethnic
immigration and with spatial and social segregation according
to income, ethnicity and profession (Park, Burgess, McEnzie,
1925), its conviction being that urban dynamics were similar
to those of a biological organism. The modern city has
developed this segregation into the new and dramatic form
exemplified by the cities of the Third World. These urban
conglomerations are unable to drive development because
they consist of enormous concentrations of immigrants in
search of sustenance and with little hope of finding stable and
decent employment. They are cities, with their almost
boundless demographic and spatial expansion, that lack
ancient and historically importance centres with which their
inhabitants can identify. The modern installations of the cities
which have developed in the ex-colonial countries, their
business districts and quarters restricted to the middle and
upper classes, have forced their poor and marginalized
inhabitants into the periphery.
The metropolises of the European and American West have
become the world centres of political, economic and financial
power, of services and the organization of production.
313
Extending as they do across the territory of several states and
incorporating the entirety of politics, science, technology,
business, and leisure, for some time they have constituted the
symbol and Utopia of the “new order of ages” described by
Jean Gottmann in Megalopolis, which suggests that the world
is controlled and receives its meaning from an urban culture
which acts as the engine of all development, material, social
and cultural.
The world as a city system
The contemporary city has burst through the boundaries that
used to separate it from the countryside and surrounding
space; it pervades them as does Gottmann’s megalopolis
(Gottmann, 1961), or it penetrates them and binds them with
a network of communication and transport structures which
do not stand in a reciprocal relation with the countryside and
external space; on the contrary, it is thus that the city asserts
its ramified supremacy. On this view, the city determines
every type of production and the ways in which surpluses
are utilized; it decides who should receive economic rewards
and professional recognition; it establishes which spaces are
to be allocated to services and which should be reserved for
social classes, according to a meritocractic hierarchy based on
a scale of values determined by the elites of the city itself.
Urban and regional sociology
Cities do not change, even less do they dissolve in the
regional dimension. On the contrary, the latter demonstrates
that the urban dimension of power has not freed itself from
the restrictions imposed by city walls, by administrative or
314
jurisdictional boundaries, by the attraction of a market
spatially identified with an area called ‘city’. Finance and the
organization of production and work do not rely solely on
the automation and advanced technologies that require
increasingly skilled workforces. One feature of the ‘global
city’, in fact, is its indifference to the spatial allocation of the
production process. The increased production of nonmaterial goods and information technologies has led to the
greater use of telework, which enables closer and more
efficient monitoring of the quantity and quality of output.
The city continues to control the production of services and
access to them, and thus becomes almost exclusively tertiary
or quaternary. It ensures and refines its supremacy over
increasingly broader territories, using instruments of ever
greater sophistication but of decreasing visibility to public
opinion. The city, in fact, has developed a new technological
and professional perspective: that of communications, which
is now one of most highly developed and influential of
production sectors, able to construct images which convey
lifestyles, symbols of prestige and gratification, and, indeed,
visions of the world. The global city displays the features of a
market on the world scale which nation-states and
international bodies are unable to regulate with effective
policies. The city, precisely because it represents and
coincides with the power centres of the global market, also
produces the symbols and mechanisms that legitimate this
planetary power; symbols and mechanisms of legitimation
315
which the legal and political orders of states are unable to
counteract but neither to replace.
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