scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara

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scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
Rassegna Stampa del 19 gennaio 2015
INDICE
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Cure anticancro I tagli di Londra faranno scuola
7
17/01/2015 Corriere della Sera - Milano
Sanità, l'assessorato non firma la riforma
8
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
medicina difensiva e malasanità
9
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
In Italia ancora 32 milioni di tonnellate di amianto
10
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Un Piano per migliorare le cure ma senza un soldo in più
11
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La quota richiesta varia in base a molti criteri
12
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Alzheimer: chi deve pagare per il ricovero
13
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Molto carenti le Unità di diagnosi e terapia
15
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Perché la mandibola a volte fa «clic»?
17
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Cure su misura ai diabetici anziani
20
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Vasi «liberi» se c'è un tumore
22
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Stamina: la fine triste della partita?
24
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Maxitaglio sui conti delle Regioni
26
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
La salute a rischio nelle urne di maggio
28
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
La moglie in clinica per un mal di pancia Conto di 18mila euro all'ambasciatore russo
29
17/01/2015 La Repubblica - Bari
"Influenza letale, vaccino ancora possibile"
31
17/01/2015 La Repubblica - Bari
Policlinico, codici rossi raddoppiati La Asl a caccia di altri cento posti letto**
32
17/01/2015 La Repubblica - Bologna
Caso Porretta la Cgil all'Ausl "Colpa del tagli"
33
17/01/2015 La Repubblica - Bologna
Pileri lascia il Sant'Orsola per Milano lotterà per Veronesi contro la leucemia
34
17/01/2015 La Repubblica - Torino
L'emergenza in corsia Stanziati quattro milioni per i Pronto soccorso
35
17/01/2015 La Repubblica - Milano
Sanità, tempi lunghi la maggioranza cerca un'intesa sulla riforma
36
18/01/2015 La Repubblica - Bari
"Qui al 118 ci sono 600 chiamate al giorno"
37
18/01/2015 La Repubblica - Bari
"Così la Puglia avrà milioni di danni ecco di chi è la colpa"
38
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"L'ambasciatore non ci ha pagato e quella parcella era pure scontata"
39
18/01/2015 La Repubblica - Firenze
Dopo Peretola la sanità il rettore prova a sbarrare la riforma della Regione
41
18/01/2015 La Repubblica - Torino
Emergenza in corsia Le delibere regionali nel mirino dei pm
42
19/01/2015 La Repubblica - Torino
Sanità, nel mirino la delibera di Cota sul blocco turnover
43
19/01/2015 La Repubblica - Torino
Pronto soccorso in tilt, sopralluogo dei sindaci
45
19/01/2015 La Repubblica - Torino
"Troppi campanilismi, la riorganizzazione non c'entra con la crisi attuale"
46
17/01/2015 La Stampa - Nazionale
Una giornata in clinica Conto da 18 mila euro per l'ambasciatore russo
47
17/01/2015 La Stampa - Torino
Rivoluzione pronto soccorso "Stop ai malati in corridoio"
48
17/01/2015 La Stampa - Torino
«Ma stiamo tornando ai lazzaretti»
49
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Torna la suina È allerta negli ospedali
50
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
All'inizio sintomi generici ma a un certo punto manca l'aria
52
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Perché l'influenza fa paura
53
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
"L'influenza suina? Vaccinatevi subito Il picco deve arrivare"
54
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
In un villaggio colombiano il segreto dell'Alzheimer
56
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Garantire la dignità ai pazienti"
57
17/01/2015 Il Messaggero - Roma
«Il San Filippo Neri è salvo sarà il punto di riferimento oncologico della Asl Rm E»
59
17/01/2015 Il Giornale - Milano
Influenza, ospedali in crisi: «Riprendete a vaccinarvi»
60
18/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Il 25 per cento delle donne è colpito da fibromi uterini
61
18/01/2015 Il Fatto Quotidiano
I " drogati " di Internet si curano nei lager
62
17/01/2015 QN - Il Resto del Carlino - Bologna
Il Sant'Orsola perde un'eccellenza
64
17/01/2015 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
«Trasferimento del Salesi,chiedo l'accesso agli atti»
65
17/01/2015 Avvenire - Nazionale
«Chiarezza su EllaOne» Il governo chiede lumi
66
17/01/2015 Avvenire - Milano
Riforma sanitaria, il tavolo parte in salita
67
17/01/2015 Avvenire - Milano
La Lombardia dice 33. Milioni
68
17/01/2015 Avvenire - Milano
Lodi Spese insostenibili Stop al corso di laurea per gli infermieri
69
18/01/2015 Avvenire - Milano
Cura anti epatite C Spesi già 350mila euro
70
17/01/2015 QN - Il Giorno - Milano
Stamina, colpo di coda al Tar LazioUn altro ricorso contro il Ministero
71
17/01/2015 QN - Il Giorno - Milano
C'è la riforma bis della sanitàTempi incerti sull'applicazione
72
17/01/2015 Libero - Milano
Nessuno si vaccina più. Ma questa influenza uccide
73
18/01/2015 Libero - Nazionale
Leucemia mieloide cronica, finalmente cambia il decorso
74
17/01/2015 Il Secolo XIX - Genova
In 20 mila perdono il loro medico
75
17/01/2015 ItaliaOggi
Cancro, scariche elettriche in testa
77
19/01/2015 QN - La Nazione - Firenze
Careggi, policlinico senza fumoStop sigarette anche all'aperto
78
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
La sanità cattolica al bivio più incassi per tappare i buchi
79
19/01/2015 ItaliaOggi Sette
Tagli alla sanità inevitabili
80
19/01/2015 ItaliaOggi Sette
L' e-health è la nuova frontiera
81
19/01/2015 ItaliaOggi Sette
Responsabilità medica, Milano spariglia le carte
82
19/01/2015 ItaliaOggi Sette
Come affrontare le malattie rare
83
17/01/2015 Milano Finanza
un sorriso hi-tech
84
17/01/2015 La Notizia Giornale
Incubo tumore della prostata Finalmente più facile vederlo
86
17/01/2015 Left
Ebola non è invincibile
87
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
64 articoli
17/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Cure anticancro I tagli di Londra faranno scuola
a cura di Alessandra Muglia
Il Servizio nazionale britannico ha deciso di tagliare del 30% i fondi per le cure anticancro, escludendo dal
rimborso una dozzina di medicinali «salvavita» per migliaia di pazienti perché «troppo costosi». Altri Paesi
faranno lo stesso, suggerisce Andrew Ward che sul Financial Times ha condotto un'ampia inchiesta a livello
internazionale. Da un lato ci sono il clima di austerity e le pressioni politiche per contenere i budget; dall'altra i
numeri di una malattia in aumento (+ 70% di casi nei prossimi 20 anni per l'Oms) e spese già più che
raddoppiate in 10 anni.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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17/01/2015
Corriere della Sera - Milano
Pag. 5
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Sanità, l'assessorato non firma la riforma
Riscritto e approvato in giunta il testo voluto dalla Lega Un caso il mancato visto di Mantovani e del suo
dirigente Roberto Maroni (Lega) Sono stato eletto dai lombardi per fare, voglio modificare la Sanità per
adeguarla alle sfide future Alessandro Alfieri (Pd) Sono dilettanti allo sbaraglio. Una gestione così superficiale
della Sanità non si era mai vista Angelo Capelli (Ncd) Da settimane insistevamo sulla necessità di un
documento con l'impatto finanziario della riforma
Simona Ravizza
In meno di 48 ore il provvedimento di riforma della Sanità è stato riscritto e approvato. Il testo, come articolato
dal leghista Fabio Rizzi, non rispondeva ai requisiti formali di legge. E l'opposizione, con Alessandro Alfieri,
aveva denunciato: «Sono dilettanti allo sbaraglio».
Acqua passata. Con le correzioni di ieri, la riforma della Sanità può iniziare il suo cammino legislativo per
andare a cambiare l'offerta di cure in Lombardia. Ma si apre un nuovo caso, ennesimo sintomo dei mal di
pancia interni al centrodestra. L'assessorato alla Sanità non firma la riforma. Un gesto del tutto inconsueto,
che nega quell'avallo tecnico e giuridico con cui da sempre vengono licenziate le proposte di legge. C'è però
chi non si sorprende visti gli errori di stesura - veri e propri svarioni procedurali - che il testo ha già
presentato.
Tra polemiche e sgambetti, il governatore Roberto Maroni ha deciso di giocarsi la partita in prima persona e
di assumersi la responsabilità politica di trovare un accordo entro il 2015 (con tempi più lunghi, dunque,
rispetto al previsto). L'aveva spiegato anche sotto Natale: «Presiederò un tavolo tecnico-politico. Sono stato
eletto dai lombardi per fare e io voglio modificare il sistema sanitario per adeguarlo alle esigenze dei prossimi
20 anni». Così ieri si è svolto il primo vertice di maggioranza. Ne seguiranno altri - sempre presieduti da
Maroni - con l'obiettivo di trovare un accordo almeno all'interno del centrodestra: in giunta Forza Italia ha
votato la riforma nonostante le criticità denunciate, mentre il Nuovo Centrodestra - anche ieri - si è astenuto
ed è pronto a presentare il suo progetto di legge.
È stato proprio il Nuovo Centrodestra, del resto, con il consigliere regionale Angelo Capelli, a mettere in
discussione la correttezza formale della bozza Rizzi e a costringere il Pirellone a riscrivere il testo. Erano
assenti tutti i riferimenti alla Legge 33 del 2009, quella da emendare, i cui contenuti possono essere modificati
oppure cancellati, ma non ignorati. Il problema è stato risolto con l'introduzione di due articoli: uno che abroga
la legge di riferimento, l'altro che elenca le disposizioni che restano in vigore. Allegato al provvedimento c'è
anche il documento di sostenibilità economica. Sono sei pagine in cui si chiariscono possibili costi e risparmi
della riforma della sanità. Tra i capitoli più interessanti, gli 80 milioni di euro che potranno essere tagliati con
una riduzione dei manager di ospedali e Asl.
@SimonaRavizza
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10 Il numero massimo di articolazioni territoriali delle attuali 15 Asl. Saranno coordinate da un'unica
super-Asl che si chiamerà Agenzia di tutela della Salute 20 Le Aziende integrate per la Salute e l'Assistenza
(Aisa) che sostituiranno i 29 ospedali. È previsto un risparmio sui compensi ai manager di 20 milioni l'anno 60
I milioni di euro di risparmio previsti dalla riduzione delle spese di gestione delle aziende ospedaliere per il
minore turnover di personale amministrativo
Foto: Tra gli obiettivi della riforma sanitaria,
la maggiore integrazione fra ospedali
e territorio
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 53
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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La riflessione
medicina difensiva e malasanità
Alberto Scanni
A volte il medico può eccedere nel prescrivere medicine ed esami per la preoccupazione di vedersi intentare
cause giudiziarie «gratuite».
Quando ciò accade, è costretto a provare la propria innocenza pur avendo agito in scienza e coscienza, e
aver fatto diagnosi e prescrizioni corrette, per le quali alcuni esami non sarebbero stati necessari.
Da qui quella che viene definita ormai comunemente come «Medicina difensiva», che consiste nell'eccedere
nelle prescrizioni per scongiurare il rischio di andare in tribunale .
Non si vuole difendere aprioristicamente il medico, che può avere in alcuni casi le sue colpe, ma in un clima
diffuso di «malasanità» il costume di denunciarlo ( anche a torto) è ormai all'ordine del giorno.
Si pretendono certi esami e se non vengono prescritti e le cose poi non vanno per il verso giusto, ci si ritiene
danneggiati.
Basta così inviare una semplice lettera raccomandata per mettere in moto avvocati aggressivi e pugnaci per
cause risarcitorie pur in presenza di scarsi elementi probatori.
E il medico, anche quando si sia comportato bene, è costretto a lottare per dimostrare la propria innocenza.
È ovvio in questo contesto che un modo per difendersi consista nel far fare il maggior numero di esami
possibili.
Qualcosa però sta cambiando.
Una sentenza del luglio scorso, del tribunale di Milano (sentenza Gattari) potrebbe liberarlo dalla paura di
essere sempre accusato anche se innocente.
La sentenza infatti inverte il cosiddetto onere della prova: dovrà essere chi denuncia a provare la colpa del
sanitario e non quest'ultimo a difendere a priori il suo operato.
Giusto condannarlo se ha sbagliato, ma chi lo accusa deve fornire prima dati di colpa inoppugnabili.
Una sentenza innovativa, emessa da alcuni giudici che si sono posti il problema delle cause della «Medicina
difensiva», degli sprechi che questa comporta e del fatto che spesso non prescrivere non è malpractice ma
invece comportamento etico e meritevole.
Le istituzioni, i media, i medici stessi e i loro ordini professionali devono però lavorare per educare la
popolazione sul fatto che non tutto è dovuto e che esami inutili tolgono risorse a chi realmente ne ha bisogno.
Quindi: medici responsabili sì, ma anche aiuti dal sistema per evitare criminalizzazioni a senso unico.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 53
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In Italia ancora 32 milioni di tonnellate di amianto
Si nasconde ovunque: dalle tubature, alle rotaie, alle scuole e palestre, ai rivestimenti di tetti e garage. È
l'amianto, il killer silenzioso che miete circa 3 mila vittime ogni anno in Italia, 1.200 per mesotelioma, il tumore
originato dall'esposizione a questo minerale che, secondo le stime, ha avuto l'anno scorso nel nostro Paese
1.800 diagnosi.
In Italia, il suo impiego è stato bandito da quasi 20 anni, ma ne restano nell'ambiente 5 quintali per ogni
cittadino, 32 milioni di tonnellate. «Purtroppo il livello di rischio è ancora poco percepito dalla popolazione»,
spiegano Carmine Pinto, presidente nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica, e Giorgio
Scagliotti, direttore del Dipartimento di oncologia dell'Università di Torino. Per fare il punto sul mesotelioma, il
29 e 30 gennaio Bari ospiterà la III Consensus nazionale per il controllo del mesotelioma della pleura,
promossa da Aiom.
3 mila il numero di vittime causate dall'amianto ogni anno
in Italia
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il numero
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
M. G. F.
La Conferenza unificata Stato-Regioni ha sancito a fine ottobre l'accordo sul «Piano nazionale demenze.
Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi nel
settore delle demenze».
Il documento, atteso da anni e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio, è frutto della
collaborazione tra ministero della Salute, Regioni, Istituto superiore di sanità e Associazioni nazionali dei
pazienti con demenza e Alzheimer: tutto è mirato a promuovere, in base ai bisogni specifici, gli aspetti
terapeutici e l'accompagnamento del malato e dei familiari lungo l'intero percorso di cura.
«Dopo il progetto Cronos, il nuovo Piano nazionale è il più importante intervento di sanità pubblica per le
demenze - commenta Nicola Vanacore, dell'Istituto superiore di sanità e responsabile scientifico del progetto
«Demenze» -. «Il censimento dei servizi sanitari e sociosanitari per le demenze, avviato dall'Istituto,
consentirà di individuare le aree critiche, e quindi gli enti preposti potranno rimodulare la programmazione sul
territorio».
Uno degli obiettivi del Piano, infatti, è «rendere omogenea l'assistenza, con particolare attenzione alle
disuguaglianze sociali e alle condizioni di fragilità e/o vulnerabilità sociosanitaria». Le Uva, Unità di
valutazione Alzheimer, saranno sostituite dai Cdcd, Centri per disturbi cognitivi e demenze. Si punta a una
rete integrata sanitaria, sociosanitaria e sociale che dovrebbe consentire al paziente, al medico di famiglia e
ai familiari di fruire di un qualificato riferimento clinico e assistenziale: dagli specialisti all'ospedale; dagli
ambulatori diurni all'assistenza domiciliare integrata; dalle residenze sanitarie assistenziali ai Centri diurni.
«Altro obiettivo importante del Piano - sottolinea Mario Possenti, coordinatore delle associazioni aderenti alla
Federazione Alzheimer Italia - è quello di migliorare la qualità di vita di pazienti e famiglie, attraverso una
maggiore consapevolezza sulla malattia e combattendo lo stigma, grazie anche a corrette informazioni sui
servizi disponibili. Sono previsti, inoltre, strumenti per monitorare le condizioni di salute dei caregivers ».
«Di certo - prosegue Possenti - si tratta di un documento ambizioso. Peccato che non siano previsti
finanziamenti».
In assenza di fondi, dunque, sarà solo un libro dei sogni? «Se si considera che il costo delle demenze
ammonta a circa 12 miliardi di euro l'anno, è intuibile che per poter ottenere buoni risultati, soprattutto nelle
aree critiche, bisogna metterci del denaro - riflette Vanacore -. Certo, sono possibili anche decisioni a costo
zero: per esempio, realizzare Percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali nelle Asl per migliorare
l'assistenza, o promuovere la figura dell'amministratore di sostegno. Ma l'auspicio è che siano individuate
risorse economiche immediate, per esempio con una legge ad hoc, e che le attività previste dal Piano siano
collegate alla revisione dei livelli essenziali di assistenza».
Il 6 novembre la Conferenza delle Regioni ha inviato alla Conferenza unificata una lettera in cui viene
evidenzia la necessità di «supportare la realizzazione del Piano con ulteriori strumenti operativi quali i
percorsi sociosanitari, in quanto non sono previste risorse aggiuntive».
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Un Piano per migliorare le cure ma senza un soldo in più
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 54
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La quota richiesta varia in base a molti criteri
Fatta salva la quota coperta dal Ssn per l'assistenza medica, non esiste una cifra unica per la cosiddetta
quota «alberghiera» richiesta per il ricovero in una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa): varia da Regione
a Regione, addirittura da Rsa a Rsa. In alcuni casi, la quota di compartecipazione viene integrata dal
Comune di residenza del malato, in altri viene richiesta alle famiglie in base a diversi criteri, quali Isee,
condizioni di non autosufficienza del malato, livello di deterioramento cognitivo, presenza di altre malattie.
«Spesso i parenti sono chiamati a integrare la quota di compartecipazione pagando la differenza tra la
pensione del ricoverato versata alla struttura e il costo complessivo - spiega Francesca Arnaboldi,
vicepresidente di Confconsumatori -. Per esempio, se la quota "alberghiera" mensile richiesta è 2 mila euro e
la pensione del malato è 500 euro, al familiare viene richiesto l'impegno a versare i restanti 1500 euro».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La cifra
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 54
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Alzheimer: chi deve pagare per il ricovero
Ogni mese 900 euro «Non riesco più a pagarli, perché ho perso il lavoro». «Ho proposto di versare solo la
pensione di mia madre, ma non hanno accettato» Il principio La Corte ha stabilito che in questa malattia non
sono scindibili le prestazioni socioassistenziali da quelle sanitarie in senso stretto
Maria Giovanna Faiella
La figlia di una malata d'Alzheimer ricoverata in una struttura di lungodegenza in Brianza: «Non riesco più a
pagare 900 euro di retta ogni mese, perché la mia azienda ha chiuso e ho perso il lavoro». Un artigiano,
anch'egli con la mamma in una Residenza sanitaria assistita: «Il mio reddito è precipitato; ho proposto alla
struttura di versare solo la pensione di mia madre, ma non hanno accettato. Ora siamo in causa». Due casi,
fra i molti, di familiari di malati di Alzheimer che, al momento del ricovero del proprio congiunto in Rsa o in
una casa di cura convenzionata, hanno sottoscritto l'impegno a integrare la retta, ma che ora non sono più in
grado di sostenere i costi, già gravosi, della cosiddetta quota «alberghiera» a loro carico, che si affianca alla
quota sanitaria, rimborsata alla struttura dal Servizio sanitario regionale.
«Le persone che si rivolgono per questo problema ai nostri sportelli stanno aumentando in modo
esponenziale - dice la vicepresidente dell'associazione Confconsumatori, Francesca Arnaboldi -. Molti hanno
visto il proprio reddito calare nettamente per effetto della crisi; sono disperati perché non riescono a pagare
per i loro congiunti e temono di vederli dimettere dalle strutture: a casa non riuscirebbero ad assisterli perché,
nella maggior parte dei casi, la malattia è a uno stadio avanzato e difficilmente gestibile, soprattutto in
assenza del supporto di servizi sociosanitari sul territorio».
Eppure, quasi tre anni, fa una sentenza della Corte di cassazione, la n. 4558 del 22 marzo 2012, ha stabilito
che i malati di Alzheimer - e i loro parenti - non devono versare alcuna retta alle Rsa o alle Casa di cura
convenzionate (ovviamente non vale per quelle private).
«La Cassazione - chiarisce l'avvocato Giovanni Franchi, consulente legale di Confconsumatori Parma - ha
ribadito che nella patologia di Alzheimer non sono scindibili le attività socioassistenziali da quelle sanitarie,
per cui si tratta "di prestazioni totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale"». La sentenza, però, nella
maggior parte dei casi è disattesa, anche perché esistono leggi regionali o regolamenti comunali che
prevedono la compartecipazione dei malati per la quota alberghiera.
«È vero che spesso le strutture si trovano a operare in un quadro normativo confuso, perfino contraddittorio dice il legale -. Ma la Cassazione richiama "il diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito
inviolabile della dignità umana". Quindi, non è possibile alcuna rivalsa nei confronti del paziente o, se questi è
nel frattempo deceduto, dei parenti. Inoltre, la "promessa di pagamento" sottoscritta dai familiari al momento
del ricovero del congiunto è da ritenersi "nulla" perché illegittima».
Fin qui il diritto. Come si devono comportare, allora, i familiari cui viene richiesta l'integrazione della retta?
«Dopo la sentenza della Cassazione, ci siamo attivati per trovare soluzioni in base alle esigenze delle
famiglie e alla normativa applicabile - spiega Francesca Arnaboldi -. Innanzitutto, suggeriamo di chiedere
aiuto ai servizi sociali del Comune di residenza, per verificare se l'ente può farsi carico dell'integrazione della
retta. In alcuni casi è stato possibile raggiungere una soluzione bonaria tra le parti. Quando non ci sono
alternative, consigliamo di mandare alla Rsa la lettera di recesso dall'impegno sottoscritto, in cui si comunica
che nulla verrà più pagato».
Qualche struttura che ha ricevuto la lettera di sospensione dei pagamenti ha minacciato le dimissioni del
malato. «Non possono farlo, perché commetterebbero il reato di abbandono di persone incapaci, perseguibile
a livello penale» precisa l'avvocato.
Una Rsa lombarda, però, ci ha provato a dimettere una signora ottantenne con Alzheimer a uno stadio
avanzato. Ricorda la figlia: «Mia madre era intrasportabile per le precarie condizioni di salute, ma l'hanno
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Dossier Diritto Tocca alla Sanità farsi carico di tutti i costi per la lungodegenza delle persone colpite da una
forma di demenza. Così ha stabilito una sentenza della Cassazione. Eppure di giorno in giorno aumentano le
famiglie che si vedono presentare il conto. Da respingere al mittente
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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messa in ambulanza e portata a casa, per ben due volte. Non hanno trovato nessuno e hanno dovuto
riaccompagnarla in Rsa. Pochi giorni fa abbiamo ricevuto un decreto ingiuntivo: la struttura ci chiede il
pagamento di 34 mila euro per le quote maturate in circa un anno di ricovero. Ma ci opporremo per vie legali:
bisogna rivolgersi al giudice per vedere riconosciuto un diritto. Ci siamo rivolti a Confconsumatori perché
abbiamo saputo della sentenza della Corte di cassazione e abbiamo spedito la lettera di recesso». Altri
familiari di malati di Alzheimer deceduti hanno avviato le prime cause civili per la restituzione di quanto
pagato: è avvenuto a Parma e Trieste. A Milano i figli di un malato hanno chiesto al giudice che accerti che
nulla è dovuto per la permanenza in Rsa del loro congiunto.
«La situazione sta esplodendo: ci sono famiglie che da anni integrano la retta spendendo diverse migliaia di
euro e ora sono ritrovate sul lastrico, tuttavia lo scopo della nostra associazione non è incentivare le cause sottolinea Francesca Arnaboldi -. Comprendiamo che anche gli enti locali devono fare i conti con risorse
sempre più scarse, perciò stiamo scrivendo ai presidenti delle Regioni per provare a costruire un dialogo tra
enti locali, famiglie e Rsa, in modo da garantire risposte adeguate ai bisogni dei malati e delle loro famiglie».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lazio Friuli Venezia Giulia Prov. aut. Trento Lombardia CdS La mappa delle Unità di valutazione Alzheimer
(U.V.A.) I Centri diurni e i Centri di lungodegenza In Italia Fonti: Federazione Alzheimer Italia; Relazione sullo
stato sanitario del Paese 2012-2013, ministero della Salute; Cnesps-Istituto superiore di sanità, anagrafe
servizi per le demenze (da elenchi regionali e locali), novembre 2014 Le persone colpite da demenza 600
mila I malati di Alzheimer 1 milione +50% L'incremento dei casi di Alzheimer e demenze senili dal 2005 a
oggi 3 milioni Le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell'assistenza di questi malati Emilia
Romagna Friuli Venezia Giulia Liguria Lombardia Piemonte Prov. aut. Bolzano Prov. aut. Trento Valle d'Aosta
Veneto Lazio Marche Toscana Umbria Abruzzo Basilicata Calabria Campania Molise Puglia Sardegna Sicilia
Totale 15 70 7 34 Umbria 30 Campania 79 Abruzzo 10 Emilia Romagna 64 Basilicata 3 Puglia 30 Calabria 35
Sicilia 36 Marche 15 Veneto 21 Prov. aut. Bolzano 3 Molise 3 Valle d'Aosta 7 Piemonte 36 Liguria 24
Toscana 23 Sardegna 13 Strutture semi-residenziali Strutture residenziali 21 16 34 262 17 16 309 688 919
140 18 27 13 26 2 1 0 3 112 5 19 104 9 33 45 74 12 57 5 18 40 3 0 42 7 26 1 1 0 0 6 17 18 48
L'iniziativa
Come ci si può comportare se si riceve una cartella di pagamento di Equitalia intestata al coniuge o al
genitore malato di Alzheimer? Per i familiari di una persona con Alzheimer può essere complicato districarsi
tra pratiche, tributi, pagamenti e contributi vari. Ora possono rivolgersi a uno «sportello amico» attivato da
Federazione Alzheimer Italia, grazie
a un accordo firmato con Equitalia. Per informazioni 02.809767
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Molto carenti le Unità di diagnosi e terapia
M. G. F.
I familiari dei malati di Alzheimer dedicano mediamente sette ore al giorno all'assistenza diretta del congiunto
e quasi 11 ore alla sua sorveglianza. L'impatto del carico assistenziale sulla vita è tale da costringere questi
caregivers - per lo più mogli e figlie del malato, a loro volta con famiglia - a lasciare il lavoro, a chiedere il part
time o a cambiare attività. Anche la loro salute psicofisica subisce conseguenze, tanto che almeno un
caregiver su tre assume psicofarmaci.
Lo rilevano diverse indagini, lo sottolinea anche la Relazione sullo stato sanitario del Paese 2012-2013,
presentata lo scorso dicembre dal ministero della Salute.
Ma come si articola l'assistenza pubblica per i pazienti e i loro familiari? Nel 2000, col progetto Cronos, sono
stati definiti i centri specialistici dedicati alla diagnosi e all'assistenza per l'Alzheimer, denominati Uva, Unità di
valutazione Alzheimer: in base a una ricerca condotta dall'Istituto superiore di sanità nel 2006, circa il 25 per
cento delle 400 Uva contattate era aperto un solo giorno a settimana.
«Ciò implica probabilmente - si sottolinea ora nella Relazione ministeriale - liste di attesa più lunghe e quindi
un livello di appropriatezza molto eterogeneo nell'offerta dei trattamenti farmacologici e non farmacologici ai
pazienti affetti da demenze».
Queste considerazioni sembrano confermate dai dati preliminari dell'Indagine nazionale sulle caratteristiche
di Uva, Centri diurni, Residenze sanitarie assistenziali, assistenza domiciliare integrata nel nostro Paese,
affidata dal ministero al Cnesps-Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute,
dell'Istituto superiore di sanità. L'indagine ha censito in tutta Italia 554 Uva, 688 strutture semiresidenziali e
919 residenziali: ora i ricercatori stanno analizzando le schede predisposte per ciascuna tipologia, per
individuare prestazioni fornite, modalità di accesso, utenti seguiti, risultati clinici e sociali.
«Finora abbiamo esaminato i dati forniti da sette Regioni - riferisce Nicola Vanacore, ricercatore del Cnesps e
responsabile scientifico del progetto «Demenze» -. Dopo nove anni, ci saremmo aspettati risultati diversi,
invece somigliano a quelli registrati nel 2006, quando un quarto delle Uva era aperto una sola volta a
settimana». Inoltre, stando ai dati preliminari dell'indagine, su 95 Uva esaminate finora, il 27,3 per cento ha
solo il geriatra, il 26,3 per cento solo un neurologo e appena il 6,3 per cento offre una combinazione
multidisciplinare di neurologo, geriatra e psichiatra.
«La mappa dei servizi che stiamo realizzando - aggiunge Nicola Vanacore - sarà aggiornata periodicamente:
è una delle azioni centrali del "Piano nazionale demenze" ( vedere articolo sotto )». E una volta terminata
l'indagine, le informazioni sulle strutture presenti in ogni Regione saranno disponibili, su un portale dedicato,
a tutti i cittadini. Un'esigenza, questa, fortemente sentita dai familiari dei malati.
«Spesso non si sa quali servizi ci sono sul territorio e chi li eroga - denuncia Gabriella Salvini Porro,
presidente della Federazione italiana Alzheimer -. Invece, servirebbe una gestione integrata della malattia, a
cominciare dalla costruzione di ambienti "amichevoli" intorno ai malati, fino ai soggiorni in strutture per periodi
limitati, per esempio quando il caregiver ha problemi di salute». Insomma, una presa in carico globale del
malato e dei suoi cari che tuttora ancora manca, tranne qualche eccezione.
«In diverse Regioni, inoltre - continua Salvini Porro - le Uva sono in fase di riorganizzazione, hanno diverse
denominazioni e funzionano a macchia di leopardo: per esempio, dovrebbero offrire un'équipe
multidisciplinare e invece, come rivela l'indagine, spesso si trova un solo medico».
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6,3 per cento Le Unità
di valutazione Alzheimer
che, stando ai dati preliminari dell'Istituto superiore
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L'indagine
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di sanità, garantiscono un'équipe composta
da neurologo, geriatra
e psichiatra
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Perché la mandibola a volte fa «clic»?
Spesso l'articolazione va «fuori posto» per mancanza di denti posteriori
Antonella Sparvoli
Lo specialista
A vvertire un «clic» della mandibola quando si mastica è un'evenienza molto più frequente di quanto si pensi,
spesso accompagnata da altri disturbi, tutti a carico dell'articolazione temporo-mandibolare, quella che
connette la mandibola al cranio e che entra in azione ogni volta che si apre la bocca per masticare o parlare.
Che cos'è il cosiddetto «clic mandibolare»?
«Si tratta di un rumore articolare causato dal cattivo posizionamento del disco articolare, che è frapposto
tra l'osso temporale del cranio e il condilo mandibolare - spiega il professor Roberto Deli, direttore della Uoc
di odontoiatria riabilitativa ed estetica del Policlinico Gemelli di Roma -. I capi di queste due ossa entrano in
contatto durante i movimenti di apertura e chiusura della bocca in una concavità denominata f ossa glenoide ,
delimitata anteriormente da una sorta di "montagnetta" ( tubercolo articolare ). A volte può addirittura capitare
che il condilo superi questa convessità causando una lussazione, condizione che può richiedere un intervento
tempestivo per riposizionare manualmente la mandibola bloccata. Sia i "clic" sia i blocchi in apertura o in
chiusura della bocca segnalano una sofferenza del sistema articolare e in particolare una incoordinazione fra
disco articolare e articolazione che determina "inciampi", avvertiti appunto come "clic"».
Quali sono le possibili cause?
«I fattori che possono essere coinvolti sono numerosi, quelli più spesso chiamati in causa sono i problemi di
malocclusione (cattivo combaciamento delle arcate dentarie, talvolta legati alla perdita di denti posteriori), a
cui spesso si associa il bruxismo. Quest'ultimo disturbo comporta movimenti involontari della mandibola e ha
il più delle volte un'origine emotiva. Quando il "clic" mandibolare diventa cronico si possono instaurare anche
fenomeni artrosici o di rimodellamento del condilo che possono aumentare ulteriormente il disturbo.
Raramente e solo nel dislocamento cronico si può parlare di lassità legamentosa o di lesione permanente del
disco articolare, da usura o rottura».
A chi bisogna rivolgersi?
«La figura di riferimento è lo gnatologo o specialista in ortognatodonzia , la branca dell'odontoiatria che si
occupa dello studio della posizione delle arcate dentali e delle funzioni dell'articolazione temporomandibolare. Un'attenta visita in genere basta per mettere a fuoco il problema. Il ricorso a indagini più
approfondite,
in particolare la risonanza magnetica, ha senso solo
in casi insidiosi per orientare meglio la terapia.
Se il fenomeno è accompagnato da altri sintomi
(si veda il box in alto in questa pagina), potrebbero rivelarsi utili ulteriori esami strumentali».
Quali sono i trattamenti?
«Se il disturbo è lieve e solo occasionale non occorrono particolari provvedimenti, se non l'eventuale ricorso a
terapie sintomatiche, per esempio con farmaci miorilassanti che riducono la tensione muscolare, o analgesici
per alleviare il dolore. Se invece il problema persiste, e magari tende anche a peggiorare, è utile un attento
studio delle arcate dentarie. Qualora si evidenzino problemi di malocclusione occorre correggerli con terapie
ortodontiche o con protesi che sostituiscano gli elementi dentari mancanti. A volte, se a prevalere è il
bruxismo, può essere utile anche il ricorso a specifici bite ("apparecchi" di plastica da portare in genere di
notte, ndr ). Non bisogna, comunque, dimenticare che sia i rumori articolari sia i dolori nella aree circostanti
i muscoli hanno spesso una forte componente emotiva che potrebbe trarre giovamento da un
approfondimento dei fattori stressanti chiamati in gioco e dalla conseguente messa in atto di misure per
migliorare la qualità di vita. Proprio in quest'ottica abbiamo dato vita presso il nostro centro a un programma
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Medicina Pratica
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denominato "Est-etica benessere", la cui caratteristica principale sta nell'accogliere il paziente considerando
le diverse sfaccettature, dalle problematiche dentali a quelle psicologiche, nutrizionali e inerenti l'armonia
funzionale del corpo».
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Corriere della Sera / Mirco Tangherlini Il clic mandibolare è un rumore a livello dell'articolazione temporomandibolare causato dal cattivo posizionamento del disco articolare (menisco), che si trova tra l'osso
temporale del cranio e la mandibola In condizioni normali, quando si apre la bocca il condilo scivola in avanti
e verso il basso seguendo il profilo dell'eminenza articolare, e il menisco ne segue il movimento Quando si
chiude la bocca, il condilo ritorna indietro con il menisco, che ne segue il movimento Il clic mandibolare è
legato a una mancanza di coordinazione con conseguente dislocazione del menisco quando la bocca è
chiusa Durante il movimento di apertura il menisco ritorna nella sua posizione corretta (viene ricatturato), e
questo avviene con un movimento rapido che dà origine al clic Il contrario si verifica durante la chiusura della
bocca, quando il disco si disloca di nuovo in avanti con la comparsa, in genere, di un altro clic A volte,
durante l'apertura della bocca, il disco si inceppa e si fissa in una posizione sbagliata. In questi casi si ha una
deviazione della mandibola (se è monolaterale) con limitazione dell'apertura della bocca: il clic non è più
presente e la mandibola è bloccata OSSO TEMPORALE DEL CRANIO EMINENZA ARTICOLARE DISCO
ARTICOLARE (MENISCO) CONDILO MANDIBOLARE L'articolazione temporo-mandibolare è formata dalla
parte finale dell'osso della mandibola (condilo) che si articola con una cavità corrispondente nella parte
inferiore dell'osso temporale del cranio. Tra queste due strutture si trova un disco di tessuto fibrocartilagineo
(menisco o disco articolare), che serve a far combaciare meglio i capi articolari tra loro e rendere i movimenti
più fluidi Le cause possono essere diverse, la più comune è il cattivo combaciamento delle arcate dentarie
(malocclusione) o la perdita di elementi dentari posteriori (molari), a cui spesso si associa il bruxismo, ovvero
il movimento involontario della mandibola In rari casi, e solo nel dislocamento cronico della mandibola,
possono essere chiamate in causa una «lassità legamentosa» o una lesione permanente del disco (da usura
o rottura) La cronicizzazione della dislocazione condilo-meniscale può portare anche a fenomeni artrosici o di
rimodellamento del condilo Quando la dislocazione del menisco è lieve e non è accompagnata da altri
sintomi, non servono trattamenti specifici, a meno che non ci siano peggioramenti Se il clic è accompagnato
da dolore o è conseguenza di bruxismo può giovare l'uso di miorilassanti che aiutano a ridurre la tensione
muscolare. A volte si usano anche analgesici per alleviare il dolore In alcuni casi è utile ricorrere ad
apparecchi (bite) che aiutano a stabilizzare un'arcata o a generare un cambiamento del contatto occlusale e
dell'attività muscolare. Nei casi di dislocazione discale, in particolare, può giovare la costruzione di dispositivi
occlusali di riposizionamento (distrattori posteriori), che ricollocano la mandibola in un punto più avanzato, nel
quale i clic normalmente presenti scompaiono Se, dopo un attento studio delle arcate, si individuano problemi
di malocclusione, si interviene con terapie ortodontiche mirate o con protesi che sostituiscano gli elementi
mancanti In alcuni pazienti può risultare utile una fisioterapia della muscolatura masticatoria e/o cervicale
Spesso, visto che sia i rumori articolari sia i dolori nelle aree circostanti i muscoli hanno una forte componente
emotiva, possono essere d'aiuto misure per migliorare la qualità di vita Infine nei casi in cui si verifica un
blocco mandibolare è necessario un intervento tempestivo per riposizionare in modo manuale la mandibola Il
clic mandibolare può essere accompagnato anche da altri disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare. I
principali sono Dolore, soprattutto ai muscoli masticatori e/o all'articolazione stessa, talvolta irradiato a faccia,
collo o spalle Sensazione di orecchie tappate, vertigini e acufeni Disturbi alla colonna cervicale e alla postura
del corpo Blocco della mandibola Spostamento della posizione dentale abituale legata al continuo serramento
con conseguente scivolamento degli elementi dentali In genere per scoprire la presenza di un clic
mandibolare è sufficiente un'attenta visita del dentista, meglio se specialista in ortognatodonzia (disciplina
che studia lo studio della posizione delle arcate dentali e della funzione dell'articolazione temporomandibolare) Solo in casi particolari può essere utile eseguire esami più approfonditi come la risonanza
magnetica, per individuare la causa e quindi orientare meglio il trattamento Se ci sono altri sintomi possono
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rendersi necessari ulteriori accertamenti LE CAUSE ALTRI SINTOMI I MECCANISMI LE CURE LA
DIAGNOSI
Foto: Direttore Odontoiatria riabilitativa
ed estetica, Policlinico Gemelli
di Roma
Foto: Per saperne
di più
su problemi
di ossa
e articolazioni corriere.it/
salute/
reumatologia
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Cure su misura ai diabetici anziani
Talvolta i trattamenti troppo energici sono sbagliati. Ma in generale un controllo «ad hoc» della glicemia fa la
differenza per la qualità della vita Tempestività L'intervento precoce è decisivo per scongiurare il rischio di
complicanze Cautela Nei soggetti molto fragili va valutato con particolare attenzione il rischio di ipoglicemie
Costanza La sorveglianza sui parametri non va però allentata solo perché il malato invecchia
Elena Meli
Stiamo forse esagerando? Nel tentativo di contrastare il diabete, una delle più diffuse «epidemie» che
minacciano la nostra salute, abbiamo la mano troppo pesante con alcuni pazienti e li curiamo troppo, più di
quanto sarebbe necessario?
Il dubbio sorge leggendo un articolo appena pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Internal Medicine ,
secondo cui una porzione considerevole dei diabetici anziani sarebbe sovratrattata. Stando a dati raccolti da
ricercatori dell'università di Yale su circa 1300 diabetici con più di 65 anni, infatti, perfino i pazienti in
condizioni di salute non buonissime, ad esempio perché già in dialisi o perché affetti da altre patologie, in due
casi su tre verrebbero curati in modo «intensivo», mirando a obiettivi di glicemia che sarebbero più
ragionevoli in malati senza complicanze.
«Sono, questi, soggetti vulnerabili, che difficilmente possono trarre vantaggio da un controllo serrato della
glicemia, mentre potrebbero correre il rischio di andare incontro a effetti collaterali di un trattamento troppo
energico, come le ipoglicemie, che spesso negli anziani causano cadute - scrivono gli autori -. Una
valutazione attenta dei pro e contro della terapia è perciò obbligatoria per poter scegliere la cura più adatta».
Questa conclusione pare l'unica condivisa fino in fondo da Enzo Bonora, presidente della Società italiana di
diabetologia (Sid), che osserva: «In alcuni casi la terapia può essere eccessiva, ma sono molti di più i
diabetici in cui non si arriva a un controllo soddisfacente della glicemia: gli ultimi dati del progetto Riace
(Renal Insufficiency and Cardiovascular Events) della Sid, ad esempio, dimostrano che pur tenendo conto dei
diversi obiettivi di emoglobina glicata (valore che dà un'idea dell'andamento della glicemia negli ultimi due-tre
mesi, ndr ), valutati considerando le condizioni di ciascun paziente, la maggioranza li "sfora" e non ha un
buon controllo glicemico».
Non bisogna quindi ridurre la terapia solo perché si sta invecchiando o perché ci sono altre malattie oltre al
diabete, a meno di avere un'aspettativa di vita realmente breve: «Un settantenne o un ottantenne oggi
possono avere davanti a sé ancora molti anni di vita in buona salute e hanno il diritto di essere curati al
meglio, soprattutto perché avere la glicemia alta significa essere più a rischio per qualsiasi altra patologia e
avere un decorso peggiore se ci si ammala, anche di una "banale" polmonite - sottolinea Bonora -. Inoltre, il
diabete è un disturbo molto eterogeneo: alcuni diabetici sono destinati a viluppano complicanze pure in
presenza di valori di glicemia relativamente bassi o dopo essere stati esposti a livelli eccessivi di glucosio nel
sangue meno a lungo rispetto ad altri, per cui un buon controllo resta fondamentale. Il vero punto è quali
farmaci usare per ottenerlo: il problema delle ipoglicemie, sollevato dallo studio americano, si ha in realtà
soltanto con l'insulina e le sulfaniluree. Tutti gli altri medicinali sono sicuri: se serve l'insulina non abbiamo
alternative e siamo costretti a monitorare il paziente più da vicino, ma in tutti gli altri casi possiamo scegliere
farmaci diversi, che consentono un trattamento appropriato senza esporre a grossi rischi».
L'obiettivo quindi non è curare «tanto» ma farlo bene, con i mezzi giusti a seconda del paziente, modificando
il trattamento se le condizioni di salute cambiano e impongono un ripensamento, ma tenendo sempre ben
presente che abbassare la glicemia non è uno «sfizio» bensì il vero obiettivo della terapia. Anche nel caso del
diabete di tipo I, come provano i risultati del Diabetes Control and Complications Trial, avviato oltre 30 anni fa
per seguire negli anni oltre 1400 pazienti: se si tiene sotto controllo la glicemia senza «cedimenti» fin
dall'esordio della malattia, la mortalità si riduce del 33% e si hanno meno danni a occhi, reni, sistema nervoso
a conferma che la diagnosi non è più la condanna a una vita breve come accadeva in passato. Malattie
cardiovascolari, tumori, complicanze si riducono se il glucosio nel sangue viene mantenuto sempre vicino ai
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limiti; inoltre, un controllo della glicemia efficiente e tempestivo impedisce che aumentino le proteine nelle
urine e si manifestino le lesioni renali, strettamente correlate alla maggior mortalità.
«Troppo zucchero nel sangue fa danni a tutti gli organi - fa notare il diabetologo -. Vale per entrambi i tipi di
diabete ed è vera anche la regola per cui prima si agisce per arrivare a un buon controllo, meglio è: iniziare a
tenere la glicemia entro i limiti in ritardo, magari dopo dieci anni di terapie non incisive, significa non ottenere
buoni risultati e rischiare più complicanze. Non a caso oggi il Piano nazionale diabete prevede l'intervento del
diabetologo subito, alla diagnosi, per entrambe le forme di diabete: in questo modo si può impostare al meglio
la cura, mentre arrivare dallo specialista quando è troppo tardi e magari ci sono già danni diffusi è inutile»,
conclude Bonora.
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Diabete I Diabete II Nirad Fonte: SID (Società Italiana di diabetologia) Corriere della Sera Le persone affette
in Italia Le persone affette in Italia Le persone con diabete II non diagnosticato È dovuto alla distruzione da
parte di autoanticorpi delle cellule del pancreas che producono insulina È dovuto alla resistenza dei tessuti
all'azione dell'insulina e al progressivo esaurimento della funzione del pancreas Che cos'è (Diabete
autoimmune che non richiede insulina alla diagnosi) I pazienti sono adulti e sovrappeso come nel diabete di
tipo II, ma hanno autoanticorpi simili a quelli del diabete di tipo I, che distruggono le cellule del pancreas,
rendendo, prima o poi, necessaria la terapia insulinica, anche se dopo molto tempo Che cos'è Che cos'è Le
persone che non riescono a tenere la glicemia nella norma (pre-diabete) Le varianti della malattia ?Non si
dispone ancora di dati epidemiologici di questa forma di diabete 200 mila 3,7 milioni 1 milione 2,6 milioni
L'esperto risponde
Foto: Alle domande dei lettori
sul diabete all'indirizzo http://forum.
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diabete
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Vasi «liberi» se c'è un tumore
Oggi esistono strategie preventive e terapie efficaci contro la trombosi venosa, una delle complicanze più
frequenti nei malati oncologici Terminologia Adesso gli specialisti parlano di «malattia tromboembolica
venosa» Chi è a rischio Sebbene sia più probabile negli anziani, nessuna età è esclusa dal pericolo
Vera Martinella
Prevenire la trombosi nelle persone a rischio e gestire al meglio i nuovi farmaci anticoagulanti orali disponibili
per curarla. Circa un terzo degli studi scientifici presentati al congresso dell'Associazione americana di
ematologia (Ash), tenutosi di recente a San Francisco, si è focalizzato su questa patologia, che in Italia
colpisce ogni anno circa tre milioni di individui. «E i numeri sono in crescita - commenta Fabrizio Pane,
direttore di Ematologia all'Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società
italiana di ematologia - in particolare fra i malati di tumore e più in generale perché si tratta di disturbi che
aumentano con l'avanzare dell'età e la nostra popolazione invecchia».
Le trombosi venose (oggi gli specialisti preferiscono parlare di «malattia tromboembolica venosa» o Mtev, si
veda il box) dipendono da un'alterata attivazione della coagulazione che spesso complica patologie croniche
e, com'è emerso chiaramente negli ultimi anni, soprattutto i tumori. «Il tromboembolismo venoso è la seconda
causa di morte nei pazienti oncologici dopo il cancro stesso - chiarisce Sergio Siragusa, direttore della Scuola
di specializzazione in ematologia del Policlinico di Palermo -. Per questo la ricerca ha fatto molti sforzi per
identificare i meccanismi che determinano le trombosi, ma anche e soprattutto le condizioni che ne riducono
l'incidenza. La Mtev è infatti una patologia potenzialmente fatale, ma prevenibile se conosciuta e
riconosciuta».
Sebbene sia più frequente nella popolazione anziana, nessuna età è «esclusa dal pericolo» perché i
meccanismi che causano la trombosi sono legati più a condizioni acquisite e congenite piuttosto che al solo
invecchiamento. In pratica, ci sono condizioni ben note che possono causare il problema ed esporre a rischi
maggiori alcune categorie di persone, come i pazienti allettati per lunghi periodi, quelli con traumi importanti o
sottoposti a chirurgia ortopedica, perché lo stare a lungo fermi impedisce alle gambe la loro funzione di
pompa del sangue verso l'alto e la stasi può quindi favorire la formazione di trombi.
La predisposizione genetica, invece, non ha grande influenza: solo pochissime alterazioni (tra cui la
mutazione del Fattore V di Leiden e la protrombina mutata) sono responsabili di un incremento del rischio di
Mtev. «Molti studi presentati all'Ash riguardano poi rapporti tra cancro e trombosi, un problema noto da
decenni di cui però solo da poco si è determinata la frequenza - continua Siragusa -. Riguarda i malati di
neoplasie del sangue e di tumori solidi (in particolare gastroenterici o alla zona pelvica, come quelli di
prostata e utero). Ora sappiamo che le cellule tumorali attivano la coagulazione del sangue e dunque
finiscono per agevolare la formazione di trombi, e che lo stesso può accadere come effetto collaterale della
chirurgia o di farmaci chemioterapici. A ciò si aggiungono, non di rado, lunghi periodi a letto». D'altro canto,
per motivi legati al cancro e alle terapie, molti pazienti sono anche esposti al rischio opposto, quello di
sviluppare emorragie. Che fare, dunque?
«La cosa migliore per gestire la Mtev nei pazienti oncologici è la prevenzione con anticoagulanti - rispondono
gli esperti -. Conoscendo il pericolo, possiamo monitorarlo o prevenirlo, valutando con attenzione la
condizione generale del malato. Sono già partite le prime sperimentazioni per avere risposte certe alle nostre
domande: chi deve ricevere la terapia? Per quanto tempo e con quali dosaggi? Quale il miglior trattamento
una volta che la trombosi si è sviluppata?».
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Le cifre Corriere della Sera 10-15% La quota di malati di tumore che va incontro a episodi di malattia
tromboembolica venosa 3 milioni I casi di malattia tromboembolica venosa ogni anno in Italia La patologia La
malattia tromboembolica venosa è dovuta alla formazione di un trombo (coagulo di globuli rossi e fibrina)
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nelle vene (più spesso in quelle delle gambe) Il trombo impedisce il ritorno del sangue venoso a cuore e
polmoni Il trombo può staccarsi e arrivare fino ai polmoni provocando un'embolia polmonare
L'esperto risponde
Foto: Sui tumori
del sangue all'indirizzo http://forum.
corriere.it/
sportello_
cancro_
ematologia
18/01/2015
Il Sole 24 Ore - Domenica
Pag. 30
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Stamina: la fine triste della partita?
Michele De Luca
Nonostante l'ultima udienza sul caso Stamina si sia svolta a porte chiuse, le indiscrezioni emerse alla sua
conclusione e le agenzie che ne sono seguite riferiscono come quasi nessuno degli imputati abbia escluso la
possibilità di ricorrere al patteggiamento. Certamente sembra non la abbiano esclusa né i legali di Davide
Vannoni, su cui pendono i più gravi capi di imputazione, né quelli di Erika Molino, deus ex machina
"scientifico" della truffa medica ideata da Vannoni e messa a segno dalla presunta associazione a delinquere
da lui capeggiata, stando a quanto sostiene il procuratore di Torino, Raffaele Guariniello.
Anche un non giurista come me rimane di sasso di fronte a questo tipo di dichiarazioni, che sottendono
un'implicita ammissione di colpa rispetto ai reati contestati, sia nella forma che nella sostanza.
Ma come?!
Dopo mesi e mesi di dichiarazioni di innocenza e di proclamazione di buona fede ed altruismo, adesso si
sarebbe disposti ad ammettere (per limitare la pena?) che siano state promesse in malafede guarigioni che
già a priori si sapeva non sarebbero mai avvenute?
Dopo centinaia di dichiarazioni vittimistiche secondo cui Vannoni Davide da Moncalieri, novello Galileo,
rischiava di perdere il Premio Nobel per la medicina, a cui si era autocandidato, per colpa dell'ottusità e della
malafede della comunità scientifica di cui io stesso faccio parte, adesso si sarebbe disposti ad ammettere,
anche di fronte ai malati e alle loro famiglie, di aver scientemente somministrato farmaci imperfetti e pericolosi
per la salute a decine di pazienti, tra cui molti bambini?
Dopo centinaia di post su Facebook e di tweet in cui Stamina & supporters, inclusi alcuni pseudogiornalisti e
pseudoesperti, accusavano lo Stato (istituzioni sanitarie, agenzie regolatorie, Nas) e la comunità scientifica
(scienziati, medici, veri Nobel, Accademie, Nature, Science) di ogni nefandezza arrivando anche a definire
"assassini" coloro che ostacolavano una sedicente "terapia" in grado di salvare la vita a migliaia di pazienti
con centinaia di patologie diverse, ora si sarebbe disposti a patteggiare ammettendo quindi che i nostri
sospetti e timori erano fondati?
Non posso sapere quali saranno le scelte finali, anche perché sembra che i legali di Vannoni si riservino di
decidere dopo aver valutato le altre posizioni processuali, ma mi domando come abbiano potuto anche solo
considerare l'ipotesi del patteggiamento. Se si è certi della propria innocenza, immagino non si possa fare
altro che desiderare di andare a tutti i costi a processo per avere finalmente l'occasione di dimostrare al
mondo che nessuno dei capi di imputazione di cui si è accusati corrisponde a verità. Mi sembra di ricordare
che gli stessi legali che oggi parlano di patteggiamento abbiano più volte dichiarato di avere prove
schiaccianti ed incontrovertibili in grado di dimostrare l'innocenza degli imputati: potrebbe essere l'occasione
per mostrarle finalmente anche ai membri dei vari comitati ministeriali che avrebbero dovuto autorizzare la
sperimentazione pubblica e a noi scienziati, per dimostrare che ci siamo sbagliati e che abbiamo inutilmente
tuonato per mesi contro un terapia che non è l'olio di serpente che tutti credevamo.
Sono convinto che Vannoni questo lo debba se non altro a chi ha creduto (o voluto credere) in lui al punto di
forzare la mano e le regole per portare irresponsabilmente il trattamento in un ospedale pubblico e ai vertici
della politica. A chi, dai tavoli ministeriali ai banchi del parlamento, senza alcuna minima prova scientifica, si è
prodigato per ottenere una legge ad hoc che, almeno nelle intenzioni iniziali, liberalizzasse il "metodo
Stamina" e lo sottraesse, facendolo passare come trapianto, alle stringenti regole che sottostanno alla
produzione dei farmaci. A chi, tra gli scienziati, si è esposto così tanto da offrirsi di far volare le cellule oltre
oceano o da dichiarare pubblicamente che Stamina rappresentasse la punta di diamante della medicina
rigenerativa italiana. A chi, dedicando decine di puntate televisive alla vicenda, ha contribuito ad alimentare
tante illusioni nell'opinione pubblica italiana, arrivando anche a condizionare, attraverso la bolla mediatica che
ne è scaturita, molti giudici del lavoro che hanno imposto una "terapia" che la scienza medica non ha mai
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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le pseudocure verso il patteggiamento
18/01/2015
Il Sole 24 Ore - Domenica
Pag. 30
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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riconosciuto come tale.
Sarà che abito a Modena, ma a me, guccinianamente, continua a soffiare nelle orecchie il libeccio di una
domanda, rovaio di un dubbio eterno (o quasi) che separa, a livello planetario, la comunità degli staminalisti
dai mercanti di illusioni: la vera truffa sta solo nel metodo e nell'approccio adottato da Stamina o riguarda
invece la pretesa stessa di curare con una sola tipologia di cellule, nella fattispecie le mesenchimali, centinaia
di patologie diversissime tra loro, incluse quelle di origine genetica, a carico di tessuti completamente diversi
da quelli che in natura sono deputate a rigenerare?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
19/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Maxitaglio sui conti delle Regioni
Emilia-Romagna e Lombardia le più a rischio - Il nodo sanità
Cimbolini e Trovati
Emilia-Romagna e Lombardia si contendono il primato dei tagli alle Regioni, nella sforbiciata da 4 miliardi che
la legge di Stabilità assesta ai conti territoriali. I Governatori devono arrivare a una distribuzione condivisa dei
sacrifici, da presentare al Governo entro il 31 gennaio se non si vuole far scattare la clausola automatica, con
cui i tagli verranno decisi da Roma in base a Pil e popolazione di ogni territorio. La speranza iniziale era di
salvare dalla stretta il capitolo sanità, che pesa per quattro quinti sulle uscite regionali, ma l'alleggerimento
chiesto più volte dai Governatori non è arrivato, e l'impresa pare impossibile. Risultato: Asl e ospedali
rischiano grosso, insieme al trasporto pubblico locale.
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Emilia Romagna e Lombardia si contendono il primato dei tagli alle Regioni, nella sforbiciata da 4 miliardi che
la legge di Stabilità assesta ai conti territoriali, e che ora deve trovare la sua formula definitiva. I Governatori
si stanno arrovellando nel tentativo di arrivare a una distribuzione condivisa dei sacrifici, da presentare al
Governo entro il 31 gennaio se non si vuole far scattare la clausola automatica, con cui i tagli verranno decisi
da Roma in base alla "ricchezza" (cioè al Prodotto interno lordo) e alla popolazione di ogni territorio. Una
sfida complicata: la speranza iniziale era di salvare dalla stretta il capitolo della sanità, che però pesa per
quattro quinti sulle uscite regionali, ma l'alleggerimento della cura chiesto più volte dai Governatori non è
arrivato, e l'impresa pare quindi impossibile. Risultato: Asl e ospedali rischiano grosso, insieme al trasporto
pubblico locale, anche se non bisogna dimenticare che la spesa regionale più pesante fuori dalla sanità è
un'altra: è la macchina amministrativa, che secondo i dati Copaff (la Commissione per il federalismo fiscale
che disaggrega i conti delle Regioni per funzioni di spesa) vale 12,7 miliardi all'anno.
Per capire i problemi in gioco basta uno sguardo ai numeri del grafico in pagina: il conto presentato a ogni
Regione è stato elaborato dal Centro Studi ReAl Sintesi distribuendo i sacrifici per metà in base al Pil e per
metà in base agli abitanti. I numeri sono stati poi messi in rapporto alla spesa che ogni Regione dedica alla
salute e alle altre voci, e sono queste cifre a mostrare i "pericoli" che corre proprio la sanità: un metodo di
questo tipo chiederebbe all'Emilia Romagna di alleggerire di botto le proprie uscite non sanitarie del 18,4%,
mentre la Lombardia, che primeggia in valore assoluto essendo la Regione leader sia nel Pil sia nella
popolazione, si vedrebbe sfilati 750 milioni, cioè poco meno del 14% delle proprie spese extra-salute.
La stretta si attesterebbe fra il 12 e il 14% in altre cinque Regioni del Centro-Nord, vale a dire Piemonte,
Veneto, Liguria, Marche e Toscana, oscillerebbe intorno al 10% in Abruzzo e Umbria, mentre sarebbe un po'
più "leggera" nel Mezzogiorno, dove la densità demografica e soprattutto la ricchezza pro capite sono
inferiori. In media, comunque, il taglio vale l'11,5% della spesa extra-sanità.
Nelle Regioni a statuto autonomo, per le quali le cifre sono già scritte nella manovra e quindi non sono più
soggette a variazioni, la legge di Stabilità impone tagli profondi soprattutto in Sardegna, mentre altrove non
va oltre l'1% della spesa.
Nei territori a statuto ordinario i numeri a carico di ogni Regione possono cambiare, ma dal momento che il
Governo ha resistito a ogni richiesta di alleggerire i tagli, ogni euro in più riconosciuto a una Regione si
trasforma in un euro in meno a carico delle altre. Il quadro d'insieme, insomma, non può modificarsi e anche
l'eventuale accordo, ancora da trovare, fra i Governatori dovrà tenerne conto.
Accanto alla politica, però, la questione interessa soprattutto i cittadini, perché, anche se non si volesse
toccare la sanità, tagli di questa misura non potrebbero certo ignorare le voci di spesa che più direttamente
riguardano i servizi.
Certo, come accennato, una buona sfoltita potrebbe concentrarsi prima di tutto sui 12,7 miliardi all'anno
assorbiti dall'«amministrazione generale», una voce che però comprende anche molte spese strutturali per
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Entro gennaio la riduzione di 3 miliardi e 400 milioni nei fondi ai Governatori
19/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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personale e servizi. Appena dopo arriva il trasporto pubblico locale, che pesa per 9 miliardi all'anno sui conti
regionali: l'arrivo della manovra ha infatti subito acceso i dibattiti locali, con tanto di polemiche fra Regioni e
Comuni sulla sorte dei sistemi di trasporto e soprattutto dei biglietti a carico di chi sale su un bus o su un
treno regionale (si veda anche l'articolo sotto).
Quale che sia l'articolazione definitiva dei tagli, il dato certo è che la responsabilità delle scelte su come
attuarli sarà tutta nelle mani di presidenti e assessori, ai quali la legge di Stabilità assicura una libertà di
scelta molto più ampia che in passato.
Questa volta non ci sono ambiti di spesa sui quali intervenire imposti dallo Stato, con i relativi problemi di
costituzionalità. E non ci sono azioni obbligatorie da porre in essere in via eccezionale e derogatoria rispetto
ai princìpi generali del nostro ordinamento (per esempio, riduzione ex lege del valore di contratti di fornitura in
essere, salvo possibilità di recesso) anche queste sovente in odore d'incostituzionalità.
Spetterà alla politica regionale, in piena libertà, ma senza alibi, scegliere dove e quanto tagliare all'interno
dei propri bilanci.
E sarà suo compito anche quello di contemperare al meglio gli obiettivi di finanza pubblica necessari al
rispetto dei vincoli europei e al miglioramento della nostra credibilità sui mercati finanziari e le esigenze di
spesa proprie di ciascuna Regione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Luciano Cimbolini
Gianni Trovati
LA MAPPA SUL TERRITORIO
L'effetto della manovra sulla spesa non sanitaria e sulla spesa totale Regione per Regione . Valori in milioni
di euro Rank Regione Tagli * Spesa
non sanitaria Taglio %
su spesa non sanitaria Spesa
sanitaria Taglio %
su spesa totale Regioni a statuto ordinario 1 Emilia Romagna 326 1.773 18,4 9.510
2,9 2
Lombardia 751 5.399 13,9 17.542 3,3 3 Piemonte 306 2.248 13,6 9.776 2,5 4 Veneto 349 2.649 13,2 8.702
3,1 5 Liguria 109 839 13,0 3.471 2,5 6 Marche 103 804 12,8 2.830 2,8 7 Toscana 259 2.033 12,7 7.432
2,7 8 Abruzzo 82 785 10,5 2.762 2,3 9 Umbria 57 555 10,2 1.738 2,5 10 Lazio 410 4.303 9,5 12.857 2,4 11
Puglia 225 2.467 9,1 7.644 2,2 12 Campania 317 3.565 8,9 11.570 2,1 13 Calabria 108 1.676 6,5 3.242 2,2
14 Basilicata 33 617 5,3 1.103 1,9 15 Molise 19 369 5,0 724 1,7 Totale 3.452 30.083 11,5 100.903 2,6
Regioni a statuto speciale 1 Sardegna 273 3.007 9,1 3.282 4,3 2 Friuli Venezia Giulia 87 2.802 3,1 2.284 1,7
3 Sicilia 97 6.460 1,5 8.469 0,6 4 Valle d'Aosta 10 1.095 0,9 280 0,7 5 Trentino-Alto Adige 0 869 - 0 - 6 Prov.
aut. Bolzano 0 3.508 - 1.153 - 7 Prov. aut. Trento 0 3.349 - 1.211 - Totale 467 21.091 2,2 16.679 1,2
Nota: (*) Per le Regioni a Statuto ordinario, l'ipotesi di distribuzione dei tagli complessivi è basata per il 50%
in base al Pil e per il 50% in base alla popolazione
Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore-Centro Studi Real Sintesi su dati dei bilanci regionali
19/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La salute a rischio nelle urne di maggio
Roberto Turno
C'è un convitato di pietra al tavolo dei tagli alle Regioni imbandito dal Governo con la manovra 2015. Tagli
agli italiani, per dirla tutta. Dove l'ospite sgradito al banchetto già di per sé indigesto, rischia sempre più
seriamente di essere la salute e dunque le cure agli italiani. Al Nord come al Sud, nelle Regioni con i conti in
regola come in quelle con i bilanci già più o meno dissestati. Perché l'Italia e le sue manovre davvero non si
fanno mai mancare niente e non finiscono di sorprendere perfino gli osservatori meno superficiali, in un
impasto di "non detto" che ancora una volta ci fa poco onore.
Capita infatti che il Governo con la manovra 2015 abbia da una parte aumentato di 2 mld i fondi al Ssn, ma
dall'altra abbia tagliato ai bilanci dei governatori 4 mld, con l'aggiunta di altri 1,65 mld di tagli ereditati dal
passato e da attuare quest'anno, oltre ad altri 600 mln di vecchia Irap. Qualcosa come 6,2 mld da recuperare
quest'anno. E capita ancora che intanto lo stesso Governo abbia detto: la sanità non la tagliamo. Certo,
perché per forza di cose dovranno farli le Regioni quei tagli. E dove pescare se non nella sanità che per
inciso rappresenta l'80%
dei loro bilanci?
Non esattamente un bell'esempio di trasparenza e di responsabilità, da parte del Governo. E non per stare
dalla parte delle Regioni, che non sempre meritano pacche sulle spalle quanto a buona condotta. Fatto sta
che in questo frangente - chi si prende la responsabilità di dire: sì, taglio io - l'incertezza è massima. E gli
italiani resteranno all'oscuro di tutto fino a che non si vedranno recapitare alla asl o in ospedale la cattiva
notizia delle cure che sempre meno saranno gratuite. E anche sempre meno di qualità se è vero che, senza
fondi, gli investimenti possono attendere.
Intanto i Governatori vanno in ordine sparso. Il Veneto agita lo spettro di un colpo d'accetta alla salute da 240
mln, la Toscana prepara una maxi riforma interna e invita tutte le regioni ad agire proprio sulla sanità e sulle
politiche di spesa per evitare di restare spiazzati dalle scelte del Governo. Le regioni in piano di rientro dicono
di non poter tagliare oltre, a meno di ridurre i servizi per la salute ai minimi termini. E tutto questo quando
mancano meno di due settimane alla data, il 31 gennaio, che la manovra indica come limite per le scelte
locali, dopo di che ci dovrebbe pensare il Governo. Anche se i dubbi sono legittimi: a maggio si vota e
nessuno (né il Governo, né le Regioni) vorrà restare con in mano il cerino acceso dei tagli, davvero poco
popolari nelle urne. Che tutto slitti? Che si faccia come sempre all'italiana? Certo è che intanto del mitico
«Patto per la salute» finora non c'è traccia alcuna: e dire che tante scadenze sono trascorse invano
dall'accordo di sei mesi fa. Forse in settimana arriverà la bozza dei nuovi Lea, le cure che lo Stato passa
gratis o quasi. Ma tutto il resto, ospedali inclusi, è nel libro dei sogni. E i governatori ora alzano il tiro: «No
money, no Patto». La pubblicità fa scuola anche in fatto di conti pubblici.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'ANALISI
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La moglie in clinica per un mal di pancia Conto di 18mila euro
all'ambasciatore russo
MICHELE BOCCI
TOUR de force sanitario con mazzata finale.
Ventiquattr'ore di analisi, visite, tac, risonanzee gastroscopie in una clinica romana per scoprire di essere
sana e un po' più povera: di 18mila euro. La storia iniziata con un mal di pancia ha per protagonista la moglie
dell'ambasciatore russo. A PAGINA 23 ROMA. Tour de force sanitario con mazzata finale. Ventiquattr'ore di
analisi, visite, tac, risonanze e gastroscopie in una clinica romana per scoprire di essere sanae un po' più
povera. Di 18mila euro, per la precisione. La storia iniziata con un semplice mal di pancia sarebbe rimasta
sconosciuta se la paziente per un giorno non fosse stata la moglie dell'ambasciatore russo in Italia. Il marito,
dopo aver ritirato un pacchetto di fatture alto così e aver saldato tutti i conti, ha preso carta e penna per
scrivere un po' di lettere. «È normale quello che è successo?», chiede prima di tutto al presidente dell'Ordine
dei medici di Roma. Di recente una delle sue missive è arrivata anche al ministero della Salute, dove il tono
non polemico ma anzi gentile del diplomatico ha fatto montare ancora di più la rabbia del ministro Beatrice
Lorenzin. Così i Nas l'altro ieri sono stati inviatia fare un sopralluogo nella clinica, la Pio XI sulla via Aurelia,
quella che fa da sfondo alle avventura del medico della mutua Guido Terzilli di Alberto Sordi, dove di recente
Papa Francesco si è presentato a sorpresa per visitare un anziano cardinale ricoverato. «La casa di cura ci
riferisce che non esiste alcun rapporto economico tra la stessa e i vari professionisti, che si limitano a pagare
unicamente il costo dell'affitto dei locali», precisa l'ambasciatore. E infatti i conti sono separati: ogni medico
ha firmato la sua fatturae la clinica ha chiesto un compenso per la degenza (642 euro) e vari esami. I prezzi
sono alti ma non stratosferici, anche se fa sorridere che con un pagamento del genere siano stati richiesti
19,52 euro, sotto la voce "accompagnatore", cioè chi è stato con lei durante la giornata.
A fine ottobre la moglie dell'ambasciatore non stava bene, aveva un dolore che partiva nella parte destra
della pancia e arrivava alla schiena e alla gamba. Il diplomatico ha avuto da un amico il contatto con un
medico che lavora alla Pio XI, il quale ha suggerito un ricovero. Alle 8.30 del 29 ottobre iniziano le 24 ore di
check up. «Il medico di sua iniziativa - precisa l'ambasciatore all'Ordine - l'ha fatta sottoporre a una serie di
visite specialistiche da altri medici, sia presso la casa di cura che all'esterno, tutto in un solo giorno». Il
diplomatico elenca le voci di spesa che hanno portato a un esborso totale di 17.913 euro.
Intanto la donna è stata visitata da ben 8 specialisti: un cardiologo, un angiologo, un ortopedico, un
gastroenterologo, un anestesista, un oncologo, oltrea due professionisti da lei richiesti, cioè un dermatologo e
un oculista. Ognuno di loro ha fatturato tra i 200 e i 350 euro. «Tralascio in questa occasione di commentare
la qualità ed il tempo dedicato a mia moglie nelle singole visite», chiosa il marito. Otto visite in un giorno sono
veramente un bell'impegno, ma passano in secondo piano rispetto agli esami. Le hanno fatto una
"esofagogastroduodenoscopia" e una colonscopia con biopsia, costata 2.500 euro, a cui vanno aggiunte le
spese per il materiale sanitario, i medicinali e sala operatoria, l'anestesista e l'esame istologico. Il totale è
superiore a 4mila euro. Poi ci sono le analisi del sangue e delle urine (1.200 euro), un ecocolordoppler, una
ecografia, una risonanza magnetica alla colonna vertebrale (858 euro), una Tac con liquido di contrasto al
cranio, all'addome, e alle coronarie (1.420 euro) e addirittura una mineralometria ossea, l'esame che serve a
valutare un'eventuale osteoporosi. Sannoi medici che l'hanno richiesta cosa ha a che fare con il mal di
pancia.
«Poiché siamo cittadini russi- scrive il diplomatico, sembra con una punta di ironia - non riusciamo a
comprendere se sia usuale che per i summenzionati problemi si debba essere sottoposti a tali esami
invasivi». Di certo non nello spesso vituperato servizio sanitario pubblico, che con le sue luci ed ombre ha
comunque una maggiore attenzione alla appropriatezza delle cure ed, salvo i ticket sulla specialistica, è
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL CASO
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
30
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gratuito. Ma il bersaglio principale della lettera inviata all'Ordine è il professionista che ha gestito le incredibili
24 ore di degenza della signora, quello che si è tagliato la fetta più grossa della torta. «Va premesso che non
ha diagnosticato alcun male alla mia consorte né ha rilasciato una precisa refertazione sui problemi che
aveva sottoposto alla sua attenzione durante la visita, vorrei sapere se è normale che per un controllo di un
giorno si debba pagare a un medico 5mila euro più 400 per la prima visita e al suo assistente 2mila euro a
titolo, per il primo di "visita medica specialistica, impostazione diagnostica, impostazione terapeutica,
assistenza in degenza" e per il secondo di "assistenza in degenza"». L'ambasciatore dice di voler capire
dall'Ordine se «i due professionisti, che non hanno svolto alcuna attività clinica né medica, possano chiedere
degli importi così cospicui, che ci sembrano discostarsi dagli importi indicati dagli usuali tariffari professionali
di medici privati e pubblici». Sembra di essere di fronte a uno di quei casi di turisti che pagano due gelati 200
euro, o un pranzo in trattoria 2mila euro.
Solo che qui si tratta di salute.
IL RECLAMO L'ambasciatore russo scrive al presidente dell'Ordine IL DOCUMENTO
17.913
7.400
4.120 euro gastroscopia con biopsia, colonscopia, anestesia, esami istologici
642 euro degenza in clinica per un giorno Il prezzo totale pecialisti: cardiologo, ortopedico, angiologo,
gastroenterologo, anestesista, oncologo, dermatologo e oculista medico per impostazione terapia e
assistenza degenza e assistente ( 2mila euro) 4.300 euro analisi del sangue e delle urine, ecocolor doppler,
ecografia, moc, risonanza magnetica alla colonna, tac alla testa, all'addome e alle coronarie
Foto: IL CHECK UP La moglie del l' ambasciatore russo per un controllo di un giorno in clinica ha speso
18mila euro
17/01/2015
La Repubblica - Bari
Pag. 7
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Influenza letale, vaccino ancora possibile"
L'APPELLO I medici: "Scorte pagate e non utilizzate. C'è tempo fino al 31 gennaio"
FRANCESCA RUSSI
LE SCORTE di vaccino sono ancora intatte e l'epidemia influenzale è già nel vivo. Ma c'è tempo fino al
31gennaio. «Almeno per ridurre il danno » spiega il professor Michele Quarto, direttore dell'istituto di Igiene
del Policlinico di Bari. «Ci si può ancora vaccinare. Anzi, raccomandiamo di farlo alle categorie ad alto rischio
di complicanze, come nefropatici, cardiopatici, diabetici, obesi, altrimenti sarà un bollettino di guerra». I malati
a letto con l'influenza aumentano di giorno in giorno: in tutta la Puglia sono 60mila e il picco arriverà tra duetre settimane. «Solo un cittadino su 3 si è vaccinato aggiunge Ludovico Abbaticchio, ex assessore al Welfare
del Comune di Bari e ora consigliere dell'Agenzia italiana del farmaco - non vaccinarsi è un errore e ha una
ricaduta di spesa per le casse pubbliche: il calo della copertura provoca più ricoveri e maggiori spese di
salute». Senza calcolare il numero di scatole di vaccini che, una volta scaduti, dovranno essere buttati. «Ogni
vaccino costa 15 euro al cittadino» fa i conti Abbaticchio. «Uno spreco incredibile - commenta Quarto quest'anno avanzeranno vaccini che purtroppo saranno buttati con un impatto non indifferente sulle spese di
sanità pubblica. Tutto questo doveva essere evitato, viviamo una situazione di forte frustrazione: dopo quella
maledettisima campagna contro i vaccini, ora bisogna limitare il danno e il rischio di morte legato alle
complicanze dell'influenza». Lo ribadisce Cinzia Germinario, a capo dell'Osservatorio epidemiologico
regionale. «Tutti i medici di medicina generale hanno ancora scorte di vaccino non utilizzate.
Invito i pugliesi ad andare a vaccinarsi, solo così si può arginare l'emergenza».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'emergenza
17/01/2015
La Repubblica - Bari
Pag. 7
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Policlinico, codici rossi raddoppiati La Asl a caccia di altri cento posti
letto**
ANTONELLO CASSANO
UN AUMENTO vertiginoso di codici gialli e rossi, più 90 per cento di pazienti "gravissimi" rispetto allo stesso
periodo dello scorso anno. Sono numeri impressionanti quelli raccolti dal pronto soccorso del Policlinico di
Bari. Dati che saranno presentati lunedì mattina nel corso del primo incontro della task force costituita
insieme al dipartimento di emergenza-urgenza dell'Asl di Bari, per gestire l'enorme afflusso di malati negli
ospedali e far fronte all'arrivo imminente del picco influenzale. Ieri l'Osservatorio epidemiologico pugliese ha
parlato di 5060mila pugliesi colpiti da sindromi influenzali, ma sono le cifre raccolte dal primario del pronto
soccorso del Policlinico, Francesco Stea, (basate sul gran numero di pazienti transitati in questi giorni nel suo
reparto) a far comprendere che qualcosa nella campagna vaccinale è andato storto e che quest'anno non ci
si trova di fronte al solito pienone degli ospedali causato dai malanni di stagione.
I dati prendono in esame un periodo di 45 giorni (dal primo dicembre al 15 gennaio), mettendo a confronto il
2013-2014 con il 2014-2015. Fra le due stagioni il numero di pazienti è rimasto invariato, ma quest'anno
quelli trasferiti nei reparti di malattie infettive sono aumentati del 150 per cento rispetto alla stagione
precedente, i pazienti dirottati verso le pneumologie hanno registrato un più 65 per cento, mentre i pazienti
definiti gravissimi sono aumentati del 90 per cento, passando da 70 dello scorso annoa 136 del 2015:
«Questi ultimi dati - spiega Stea - riguardano quei pazienti che vanno direttamente in sala rossa, senza
neanche passare dal triage. Un incremento simile non l'avevamo mai visto». Anche i codici gialli, vale a dire i
casi mediamente critici, sono aumentati sensibilmente facendo registrare un più 24,7 per cento.
In calo, invece i codici bianchi e verdi. Diminuiscono anche i ricoveri, passati dal 15 per cento del totale degli
accessi al 13 per cento. Una conseguenza della carenza di posti letto. Tommaso Fiore, direttore del
dipartimento di emergenza e della rianimazione 1 del Policlinico, parla di dati sorprendenti: «In questo campo
i maggiori esperti sono gli epidemiologi, ma facendo il confronto con i numeri dello scorso anno possiamo dire
che l'operazione vaccinaleè stata un fallimento completo. In più rileviamo una piccola bolla di ripresa del virus
H1N1, in un certo senso completamente inaspettata, che ha avuto un peso sulle disponibilità nelle
rianimazioni». Ma c'è un altro numero, diffuso dall'Asl di Bari, che fa capire a quale livello di stress sono
sottoposti gli ospedali in questo momento: la direzione generale barese sta lavorando in queste ore per
mettere a disposizione 100 posti letto in più da dedicare ai pazienti affetti da sindrome influenzale. «Saranno
ricavati dai reparti dei 7 presidi ospedalieri baresi- conferma il direttore generale dell'Asl, Vito Montanaro ogni presidio metterà a disposizione 10-15 posti letto per affrontare l'emergenza. In questo momento infausto
dobbiamo prendere misure straordinarie». Misure che anche le altre Asl pugliesi stanno via via adottando.
Nei giorni scorsi l'Ordine dei medici aveva chiesto all'assessore Donato Pentassuglia di costituire un'unità di
crisi regionale. Richiesta accordata. È convocato, infatti, per lunedì mattina in assessorato il gruppo di lavoro
tra medici di base, rete di emergenza e medici ospedalieri. Si ritroveranno insieme all'Osservatorio
epidemiologico regionale per fare il punto della situazione.
PER SAPERNE DI PIÙ bari.repubblica.it I NUMERI RICOVERI Al pronto soccorso del Policlinico pazienti
gravissimi aumentati del 90 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno 'H1N1 "Stiamo rilevando
una piccola ripresa del virus H1N1, in un certo senso completamente inaspettata" conferma Tommaso Fiore
00 POSTI L'Asl Bari ha deciso di mettere a disposizione 100 posti letto in più da dedicare ai pazienti con
sindromi influenzali per far fronte alla richiesta esponenziale di ricoveri
Foto: RICOVERI BLOCCATI Negli ospedali si accettano solo ricoveri urgenti, quelli ordinari sono stati bloccati
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL BILANCIO
17/01/2015
La Repubblica - Bologna
Pag. 11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Caso Porretta la Cgil all'Ausl "Colpa del tagli"
" NON è certo sparando nel mucchio e peraltro solo in particolari occasioni che si difendono i servizi e
cittadini e gli operatori". E comunque, "il tema vero chiamato in causa dal luttuoso evento di Porretta è invece
quello di una azienda sanitaria, l'Ausl di Bologna, che da troppo tempo ritiene superfluo, se non inutile,
confrontarsi con i professionisti e i sindacati sull'organizzazione del lavoro". Dopo gli allarmi sollevati da
Snami e Cisl sul 118, a seguito del decesso per arresto cardiaco di una signora a Porretta, ora è la funzione
pubblica della Cgil ad alzare la voce e a chiedere che si guardi appunto al "vero problema" innescato da quel
caso: l'atteggiamento dell'Ausl. La Cgil ricorda ad esempio che, "dopo la chiusura improvvisa e improvvida
del punto nascita di Porretta", presentò "una proposta seria su come affrontare il tema della salute nell'area
montana", ma "ancora oggi stiamo attendendo di essere convocati per confrontarsi nel merito. Per ora
l'azienda ha improvvisato solo soluzioni raffazzonate come l'appartamento riservato alle gestanti del distretto
di Porretta nei pressi dell'ospedale Maggiore". E lo stesso potrebbe dirsi anche "per altri progetti
riorganizzativi della sanità bolognese che in comune hanno un unico denominatore: il taglio del personalee
dei servizi".
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA POLEMICA
17/01/2015
La Repubblica - Bologna
Pag. 1.11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Pileri lascia il Sant'Orsola per Milano lotterà per Veronesi contro la
leucemia
Il luminare s'era distinto in una classificazione tale da rendere più efficaci le cure Si apre inoltre un problema
di fondi: 3 milioni in meno, a lui garantiti dai privati
VALERIO VARESI
UN PEZZO pregiato della ricerca medico scientifica lascia Bologna. Stefano Pileri, direttore dell'Unità
operativa di Emolinfopatologia del policlinico Sant'Orsola, se ne va a Milano al prestigioso "Ieo", l'istituto
europeo di oncologia ideato da Umberto Veronesi, uno dei centri d'eccellenza continentale nella cura dei
tumori. E con Pileri se ne vanno anche circa 3 milioni devoluti alle sue linee di ricerca dalle associazioni come
l'Airc, l'Ail, dal 5/1000, dalle fondazioni bancarie e dai privati. Una perdita rilevante, per una città che sulla
ricerca ha puntato con massicci investimenti, come quello del Tecnopolo all'ex Manifattura Tabacchi. L'addio
è andato in scena ieri nel suo ufficio al primo piano del padiglione 8 del policlinico, dove si sono riuniti i più
stretti collaboratori e alcune personalità che hanno sempre sostenuto il professore nella sua attività. I meriti di
Pileri si possono riassumere nel fatto che è uno dei quattro ricercatori nel mondo che hanno prodotto la
riclassificazione dei linfomi e delle leucemie al fine di migliorarne la cura sulla base della miglior conoscenza.
Questo ha permesso di passare da una terapia standard a cure cucite su misura in base alle caratteristiche
del paziente e a quelle della malattia che gli studiosi come Pileri hanno catalogato, individuando come
attaccarla. Il risultato è stato un drastico abbattimento della mortalità e un innalzamento delle guarigioni. Ora,
a Milano, il professore bolognese andrà a perfezionare ulteriormente la conoscenza di queste malattie,
ponendosi l'ambizioso traguardo di curarle senza far ricorso alla chemioterapia. A Bologna, dove il luminare
iniziò a lavorare nel '76, il cammino della sezione e poi Unità operativa di Emolinfopatologia non è stato dei
più scorrevoli. La precarietà ha sempre accompagnato la vita di questo prezioso centro di ricerca. Carenze
che riconobbe l'ex presidente della Regione Vasco Errani nel 2008, quando Pileri già minacciò di andarsene,
e che non sono state sanate ancor oggi, se nel giugno dell'anno scorso il direttore dell'Unità di anatomia
patologica Walter Grigioni sottolineava le lacune «di personalee di strumenti che hanno sempre caratterizzato
la struttura di Emolinfopatologia».
Del resto, i numeri parlano chiaro: su 140 attrezzature di laboratorio, 126 sono state acquistate con fondi
privati, così come sui privati sono gravate le spese di ristrutturazione dei laboratori per adeguarli alle norme.
Anche il personale, in larga parte precario,è stato pagato con fondi di privati. Eppure le 11mila biopsie
emopatologiche eseguite (dato del 2013) a carico del sistema sanitario hanno fruttato al policlinico parecchi
soldi. Adesso il problema sarà la continuità scientifica di un centro che viveva intorno al suo animatore. PER
SAPERNE DI PIÙ www.aosp.bo.it www.ieo.it
Foto: PROFESSORE Stefano Pileri, direttore di Emolinfopatologia, era al Sant'Orsola dal 1976. Ora va allo
"Ieo" di Milano
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La sanità
17/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
L'emergenza in corsia Stanziati quattro milioni per i Pronto soccorso
Serviranno per eseguire lavori di ampliamento rimasti al palo Cantieri entro la primavera alle Molinette,
Mauriziano e Rivoli Saitta: "Abbiamo di fronte 20 giorni difficili, ho chiesto ai direttori di rendere
l'organizzazione più elastica possibile per ridurre il caos" Ma la vera sfida è riuscire a liberare i reparti per
curare i pazienti in strutture più adatte Il ruolo dei medici di famiglia
MARIACHIARA GIACOSA
QUATTRO milioni di lavori entro la primavera per tamponare l'emergenza dei pronto soccorso. Ieri, al termine
di una delle settimane più critiche per gli ospedali di Torino, l'assessore alla sanità Antonio Saitta ha
raggiunto un accordo con i direttori generali e dato il via libera agli interventi di potenziamento delle situazioni
più difficili: Molinette, Mauriziano e Rivoli.
Nei cassetti dei manager ci sono da anni studi per ampliare i locali che ora saranno realizzati per evitare di
trovarsi ancora in emergenza nel prossimo inverno. «Abbiamo di fronte 20 giorni difficili - ha spiegato Saitta ho invitato i direttori a rendere l'organizzazione più elastica possibile, utilizzando i posti dei reparti e mettendo
tutto il personale in corsia: nei momenti di crisi si sta in trincea».
In prospettiva l'assessore pensa a sistemi di «gestione del traffico», come numeri verdi con tempi d'attesa e
strumenti digitali che diano la fotografia aggiornata dell'affollamento dei reparti, ma l'urgenza ora è
riorganizzare gli spazi e usare tutto il personale, anche se la «strigliata» di giovedì ha mandato su tutte le
furie i sindacati - «le emergenze sono quotidiane non basta la buona volontà dei singoli, ci vuole
programmazione» hanno detto Cgil, Cisl e Uil - e del collegio infermieri.
La situazione più critica è quella delle Molinette dove arrivano anche casi gravi da tutta la regione. Ha un
progetto di ampliamento del pronto soccorso datato 2010, ma mai partito «perché le risorse, 3 milioni, furono
cancellate» spiega il direttore generale della Città della Salute, Gian Paolo Zanetta. Ora la proposta è di
partire con un primo lotto, 500 mila euro, entro l'autunno «per sistemare alcuni locali, che non rispettano i
parametri di sicurezza, e adibirli ai codici gialli e verdi». Al Mauriziano qualcosa è già stato fatto, ma gli effetti
si vedranno solo a primavera inoltrata. «Si è iniziato il trasloco di ambulatori di ginecologia attigui al pronto
soccorso per poter far spazio e due nuovi locali accanto al Dea per le barelle che oggi sono nei corridoi»
spiega il direttore generale Vittorio Brignolio che dalla Regione attende anche nuovo personale «soprattutto
per poter attivare 12 posti letto di prima urgenza pronti al primo piano».
Arriveranno a breve i muratori anche al pronto soccorso di Rivoli dove un terzo dello spazio dedicato alle
emergenze è un corridoio. La proposta presentata a Saitta prevede un'ampliamento dagli attuali 1600 a 2200
metri quadrati, con 10 nuovi posti letti di chirurgia e medicina d'urgenza, per i quali servirebbero 18 infermieri
e tre medici. Il costoè intorno ai 350 mila euro, anche se l'obiettivo resta più ambizioso: la nuova piastra
urgenze da 6 milioni.
L'ampliamento e la miglior organizzazione dei Dea è però solo un pezzo del problema. Tutti concordano che
la sfida delle prossime settimane sarà quella di un piano di continuità assistenziale. Organizzare le reti
territoriali, ribadisce Saitta, significa liberare i reparti e curare le persone in strutture più adatte rispetto
all'ospedale.
Collegato a questo tema c'è quello dei medici di base, circa 3300 in Piemonte, che in molti casi potrebbero
essere un'alternativa al pronto soccorso. L'assessore ha incontrato le associazioni chiedendo più
collaborazione: «Non si riduca tutto a una questione di soldi» ha detto Saitta che ha invitato i rappresentanti
di Smi, Snami e Fimmg a un confronto, il 30 gennaio, con le altre regioni. «Ascolteremo come fanno perché ci
sono realtà che sono meglio organizzate della nostra».
PER SAPERNE DI PIÙ www.regione.piemonte.it/sanita torino.repubblica.it
Foto: MOLINETTE Il pronto soccorso avrà presto nuovi spazi per operare
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Il pianeta sanità
17/01/2015
La Repubblica - Milano
Pag. 9
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Sanità, tempi lunghi la maggioranza cerca un'intesa sulla riforma
Il provvedimento modificato secondo le nuove regole restano ancora da sciogliere i nodi che dividono i partiti
ALESSANDRA CORICA
GIOCHI riaperti. L'ennesima lunga giornata della sanità si è conclusa con la decisione di cercare una sintesi
sulla riforma, attraverso una serie di incontri del tavolo di maggioranza presieduto da Roberto Maroni. E dal
quale però è stato escluso il leghista Fabio Rizzi, autore della bozza di riforma fatta propria nelle scorse
settimane dal governatore.
«Sono ottimista, penso che ci saranno tempi rapidi nel cronoprogramma», ha detto ieri Maroni. La decisione
di cercare un accordo potrebbe però allungare i tempi: «La giunta ha archiviato la brutta figura, ma non ha
risolto nulla - attacca il capogruppo Pd Enrico Brambilla - Il tavolo dovrà affrontare tutti i nodi che la "bozza
Rizzi" non risolve. Intanto il testo non sarà discusso nemmeno la prossima settimana».
Il provvedimento ieri è stato modificato dopo i rilievi espressi dal Consiglio, e riapprovato dalla giunta. Come
accaduto il 23 dicembre, con l'astensione degli assessori di Ncd, Mauro Parolini e Mario Melazzini. Subito
dopo Maroni ha incontrato gli assessori alla Salute Mario Mantovani e alla Famiglia Maria Cristina Cantù, con
i rappresentanti di Forza Italia, Carroccio, Lista Maroni e Fratelli d'Italia. Risultato: la riforma approvata prima
di Natale sarà solo un punto di partenza. Visto che nelle prossime settimane, i partiti cercheranno una
quadra, mentre la commissione Sanità condurrà le audizioni con gli operatori del settore. Obiettivo, arrivare in
aula con un provvedimento condiviso, per evitare la presentazione di decine di emendamenti degli stessi
partiti di maggioranza.
«A oggi la riforma è in alto mare, un totem senza fondamenta», commenta la grillina Paola Macchi. La nuova
approvazione del testo si è resa necessaria visto l'inserimento dei riferimenti alla legge 33 del 2009 (il Testo
unico della sanità, che la riforma andrà a sostituire). Ampliata anche la relazione tecnico finanziaria allegata
al provvedimento. Nelle sei pagine del documento si descrive - a grandi linee - l'impatto che avrà la riforma.
Che, comunque, dovrà essere portata a termine senza sforare il bilancio della sanità previsto per il 20152017. Si elencano i cambiamenti che permetteranno di risparmiare, come la trasformazione degli ospedali in
Aisa che farà tagliare 20 milioni, o la riduzione dei ricoveri e delle prestazioni inappropriate per un totale di
145 milioni. Nella relazione si elencano anche quelli che potrebbero essere i nodi economici. Come il
potenziamento dei servizi di salute mentale (100 milioni di spesa, il doppio rispetto ad oggi) e delle cure
primarie, con la creazione di Pot e Presidi sociosanitari territoriali che avranno «costi di start up che potranno
essere riassorbiti a regime». Stesso discorso per l'introduzione dell'infermiere di famiglia, con una «maggiore
spesa, che potrebbe essere in assoluto molto rilevante». «L'obiettivo, che Maroni ha più volte ripetuto, è una
riduzione dei costi - ragiona Angelo Capelli, Ndc - Questo però implica un approfondimento finanziario, che
colmi tutte le lacune che sono state evidenziate durante questa prima fase».
Gli alfaniani depositeranno comunque un proprio progetto di legge: il testo sarà presentato lunedì durante un
convegno a cui è annunciata la presenza del ministro Beatrice Lorenzin.
Probabile anche la presentazione di un testo di Forza Italia: «Se il mio partito lo farà, io darò una mano»,
annuncia l'assessore Mantovani.
I RUOLI FABIO RIZZI Leghista, autore del testo arrivato in Giunta, ora esautorato da Maroni ANGELO
CAPELLI Ncd, vice presidente della commissione sanità del Consiglio PER SAPERNE DI PIÙ
www.regione.lombardia.it
Foto: GLI OSPEDALI Passeranno da 29 a 20 e si trasformeranno in Aisa, aziende integrate per la salute
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La Regione
18/01/2015
La Repubblica - Bari
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Qui al 118 ci sono 600 chiamate al giorno"
FRANCESCA RUSSI
IL TELEFONO squilla in media 600 volte al giorno. Basta entrare nella centrale operativa del 118 per capire
che significa.
Ogni due minuti arriva un SOS.
Ma oggi no. Nei giorni dell'emergenza influenzale il numero di chiamate schizza. «Almeno cento in più al
giorno rispetto al solito» spiega il direttore del servizio 118 di Bari Gaetano Dipietro. Il drin dei telefoni è quasi
un rumore di fondo. «C'è un incidente stradale in via Principe Amedeo, mandare un'ambulanza, la personaè
cosciente» segnala l'operatore poco dopo mezzogiorno. Da Bari città, spiegano, arriva il 30 percento delle
richieste di intervento. E, nel 21 percento dei casi, sono per traumi stradali. Le statistiche ormai consolidate
della centrale non spiegano, però, un fenomeno tutto di questi giorni.
«Un iperafflusso di chiamate a causa dell'influenza che spesso sono solo richieste di informazioni» prosegue
Dipietro.
< PAGINA DALL' ALTRO lato della cornetta, infatti, una donna, voce giovane, segnala 39 di febbre e difficoltà
respiratorie.
«Lì dove però non c'è bisogno dell'invio di un ambulanza per l'ospedalizzazione - va avanti il direttore rinviamo i pazienti ai medici di base. Il vero problema è proprio questo: chiamano noi al 118 intasando le linee
telefoniche anche solo per avere consigli e suggerimenti, dovrebbe invece rivolgersi ai medici di base.
Purtroppo non lo fanno, non sappiamo perché. Forse perché siamo gli unici che garantiamo immediatamente
una risposta telefonica, il medico invece non sempre è rintracciabile o è impegnato a fare visite». E se già in
questi giorni, nelle ore di punta, il telefono squilla ogni minuto, tra due settimane, quando è previsto il picco
influenzale, sarà peggio.
La stragrande maggioranza delle telefonate arriva da casa, più del 68 percento confermano le statistiche per
l'anno 2014, e nel 51 percento degli interventi con ambulanza si tratta di codici verdi.
Non manca la telefonata falsa. È una richiesta di aiuto per un incidente imprecisato in una via sconosciuta.
«Sono gli scherzi, purtroppo, simulano la necessità di un intervento sanitario ma spessoi nostri operatori con
domande incalzanti li smascherano» spiega Dipietro. Ogni giorno ce ne sono circa 15 di chiamate simili.
«Scatta immediatamente la denuncia alla procura della Repubblica per distrazione di risorse legate
all'emergenza e, in questo periodo, non ce lo possiamo proprio permettere».
In tutto il 2014 le chiamate ricevute dalla centrale operativa situata nel Policlinico di Bari sono state 219.171
di cui 97.073 per urgenze. L'anno precedente, nel 2013, erano state 194.667. Praticamente 24mila in più.
L'incremento è stato del 12 percento, concentrato soprattutto nel mese di dicembre quando, oltre le festività
natalizie, è cominciata l'epidemia influenzale.
Le richieste vere e proprie di soccorso sono state 107.817, 15.535 le telefonate per informazioni e 5802 gli
scherzi.
Foto: RESPONSABILE il direttore del servizio 118 di Bari Gaetano Dipietro
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL RACCONTO
18/01/2015
La Repubblica - Bari
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Così la Puglia avrà milioni di danni ecco di chi è la colpa"
"Abbiamo convocato la task force subito più posti letto a disposizione e stretta relazione in rete
(a.cass.)
«L' INFLUENZA farà danni per milioni di euro, chi ha cavalcato l'onda della mancata vaccinazione ha delle
responsabilità enormi». L'assessore regionale alla Sanità, Donato Pentassuglia, monitora l'emergenza.
L'Ordine dei medici stima mezzo milione di pugliesi con l'influenza a metà febbraio.
«I dati sono davvero eccezionali, siamo preoccupati anche perché il picco arriverà ai primi di febbraio, ma
abbiamo già superato di 3 volte il numero di persone colpite rispetto all'anno scorso e ricordiamo che troppa
gente non si è vaccinata». Perché secondo lei? «Perché c'è stato chi ha cavalcato l'onda della mancata
vaccinazione. Oggi queste persone hanno una responsabilità, perché i danni, costi sociali e farmaceutici,
sono ingentissimi».
Si può fare già una prima stima? «Difficile farla, gente che non va a lavorare, che non produce, che utilizza
farmaci e chiama medici». Possiamo parlare di milioni di euro? «Sicuramente sì».
Lei, prima, parlava di chi ha cavalcato l'onda. A chi si riferiva? «C'è stato un battage continuo contro i
vaccini». Parla delle associazioni antivacciniste? «Tutti coloro i quali hanno cavalcato quest'onda. Ognuno
deve assumersi le sue responsabilità. Gente che è salita in cattedra accusando professionisti seri di essere
dei ciarlatani e dicendo che i vaccini sono inutili».
Da più parti chiedono una campagna di comunicazione per sensibilizzare i pugliesi a vaccinarsi.
«Stiamo facendo sensibilizzazione, ma preparare uno spot oggi per farlo domani quando l'emergenza sarà
finita mi sembra uno spreco di soldi». Chi parteciperà alla task force regionale convocata per domani mattina
in assessorato? «Medici di medicina generale, tutti i responsabili della rete di emergenza-urgenza con i
referenti dei presidi ospedalieri e il direttore d'area».
Quali saranno secondo lei le principali mosse da prendere? «Punto unico di intervento, più posti lettoa
disposizione e stretta relazione tra medici e rete dell'emergenza».
Foto: RESPONSABILE L'assessore regionale alla Sanità, Donato Pentassuglia
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L'INTERVISTA / L'ASSESSORE REGIONALE PENTASSUGLIA
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"L'ambasciatore non ci ha pagato e quella parcella era pure scontata"
Roma, il medico che ha seguito il ricovero della moglie del diplomatico russo: "Lei ci ha chiesto check-up
completo: 18mila euro prezzo giusto"
MICHELE BOCCI
ROMA. «L'ambasciatore? Mi deve ancora pagare, ho da poco scritto alla Farnesina perché mi aiutinoa
recuperarei miei soldi».
Aniello Pietropaolo è il medico che ha gestito il ricovero da 18 mila euro (per un solo giorno) della moglie del
diplomatico russo nella clinica Pio XI di Roma, da dove confermano che «il denaro ancora non si è visto».
Pietropaolo ha emesso una fattura da 5mila euro mentre il suo collaboratore Michele De Meo ne ha chiesti
2mila. Il resto dei soldi? Andati via per visite specialistiche (otto), esami, degenza e farmaci. Pietropaolo, che
si fa chiamare professore, si dice stupito dalle lettere di protesta all'Ordine dei medici e al Ministero, e lascia
trasparire la sua particolare idea di sanità, agli antipodi del servizio pubblicoe del diritto alla salute. Il suo
risulta essere un mondo sconosciuto ai più. Non le sembrano troppi 18 mila euro? «Non so quanto ha chiesto
la clinica. La mia fatturae quella del mio collaboratore sono giuste».
Per 5 mila euro di cosa si è occupato? «Ho impostato il check-up , seguito la degenza, valutato nuove
indagini, fatto la diagnosi e dato terapie». Prima del ricovero aveva anticipato l'entità della sua parcella? «Non
me l'hanno chiesto, ma hanno dato il consenso ai vari accertamenti. E dopo hanno voluto uno sconto».
E il suo collaboratore, per 2 mila euro cosa ha fatto? «Ha collaborato con me».
Dice di essere professore: dove insegna? «Ho una docenza a Parigi e in passato ho avuto un incarico
all'Aquila». Sul sito dell'ordine dei medici di Roma lei non risulta nemmeno specializzato. Ha soltanto la
laurea? «Sarà un errore. Ho studiato chirurgia con il professor Stefanini e poi sono stato sei anni in Francia in
un istituto di oncologia». Ma la cifra che avete chiesto è esorbitante: 7mila euro in due per un giorno di
lavoro...
«Non lo è. Svolgo attività da libero professionista e ho la coscienza a posto: nessun paziente si è mai
lamentato. Sono disponibile sempre, anche a Ferragosto.
Ho seguito i vari esami della signora personalmente».
Quindi l'ambasciatore è il primo a lamentarsi? «Si, ma ora mi lamento anch'io. Ho scritto all'ufficio del
cerimoniale della Farnesina perché mi aiutinoa recuperarei miei soldi. Non mi ha ancora pagato, e gli avevo
fatto pure lo sconto. Voglio andarea spiegare tutto al ministro Lorenzin. Spero mi dia una mano a incontrarla il
fratello di un collega della Clinica che era parlamentare di Forza Italia».
Ma intanto: perché la moglie del diplomatico si è rivolta a lei? «Su consiglio di un dentista, amico comune.
Abbiamo fissato di fare una serie di accertamenti il 29 ottobre. Aveva disturbi addominali aspecifici, forse in
parte dovuti a ipocondria».
E alla fine cosa ha diagnosticato? «Non ho trovato nessun problema organico». È giusto fare tutti quegli
accertamenti, per giunta in un giorno solo, per un dolore addominale? «E se c'era una cosa di cui non mi
accorgevo? Quello sarebbe stato un errore grave. Se tutti a una certa età facessero dei check up si
intercetterebbero molte malattie». Con tariffe così alte, lei quanti pazienti ha? «Tanti, anche se 5 anni fa
erano di più. Oggi ci sono più difficoltà a pagare».
Evidentemente la crisi ha colpito anche chi era disposto a spendere 20 mila euro per un giorno in clinica. LE
TAPPE IL MAL DI PANCIA 29 ottobre 2014: la moglie dell'ambasciatore russo si rivolge alla clinica romana
Pio XI per un "forte mal di pancia".
Le viene suggerito il ricovero lungo un giorno per esami e check-up: nessun preventivo GLI ESAMI Il risultato
di 24 ore di analisi, visite, Tac, risonanze e altri esami è una parcella di 18mila euro che comprende i 5mila
per il medico (vedi ricevuta sopra) che ha seguito la signora e 2mila per il suo assistente LA DENUNCIA
L'ambasciatore russo in Italia denuncia l'accaduto al presidente dell'Ordine dei medici. Il ministero incarica i
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
39
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L'intervista
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
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Nas di effettuare un sopralluogo nella clinica romana sotto accusa PER SAPERNE DI PIÙ
www.casadicurapioxi.it roma.repubblica.it
Foto: IL DOCUMENTO
Foto: LA RICEVUTA Il compenso (5mila euro) del medico della clinica Pio XI
18/01/2015
La Repubblica - Firenze
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Dopo Peretola la sanità il rettore prova a sbarrare la riforma della Regione
Tesi sul sito dell'ateneo dice no ai superdirettori Rossi: "La competenza è nostra, andiamo avanti" LA
POLEMICA
DI TRAVERSO. Ancora una volta. Dopo la battaglia sull'aeroporto per la «salvezza» del Polo scientifico di
Sesto, Alberto Tesi prova a sbarrare la strada anche alla riforma della sanità Toscana. Il rettore lo fa
sorprendendo tutti con un intervento sul sito dell'Università di Firenze di sabato mattina, giorno di riposo per
prof e studenti. Il suo è un no secco all'ultima forma data dalla Regione alla grande riorganizzazione. Non più
fondata su tre sole grandi aziende universitarie e sanitarie, ma su tre aree vaste, ognuna composta da una
maxi Asl e da una azienda ospedaliera e universitaria.
Tesi, ormai a fine mandato, esce allo scoperto. E dice chiaramente di non condividere la figura dei super
direttori di area vasta, che cominceranno ad operare già dal primo marzo, ben prima del gennaio 2016,
quando la riforma dovrebbe andare a regime. E non gradisce neppure l'idea di affidare loro la
«programmazione congiunta» di personale e risorse, la stessa che nella delibera approvata dalla giunta
Rossi prevede i «dipartimenti interaziendali», strutture che imporranno una forte riduzione dei primari. Il
rettore avrebbe preferito che a gestire la transizione fosse «l'assessorato», capace di fare da «garante
rispetto a tutti gli enti e istituzioni coinvolti» e di preservare così «la gestione quotidiana (e autonoma) delle
due singole aziende». Insomma, il rettore rivendica l'autonomia di azione del mondo accademico dalla
politica. Perché se prima gli atenei nominavano da soli i loro direttori generali, adesso perdono peso. A
scegliere il super direttore saranno il governatore, i rettori e i sindaci di ogni area vasta.
«Nel dibattito che ha preceduto l'approvazione - ammette Tesi c'è sempre stata piena condivisione del fatto
che una programmazione congiunta permetterebbe di arrivare ad un sistema più razionale e
economicamente sostenibile»; sa che i «vincoli normativi» della legge non hanno permesso a Rossi di creare
un'unica maxi azienda per ognuna delle tre zone, la formula «che personalmente considero il vero obiettivo a
cui dovrebbe tendere il riordino», anche per favorire «l'integrazione» fra universitari e ospedalieri, creando
«benefici per assistenza, ricerca, innovazione e formazione di nuove generazioni» di medici. Ma così si
«creano presupposti per delicate questioni di tipo normativo-giuridico». Come dire: si apre la strada ad un
altro ricorso dopo quello contro il Pit e la nuova pista di Peretola presentato al Capo dello Stato. «Noi
abbiamo fatto la nostra proposta, andiamo avanti - dice il governatore Enrico Rossi - L'intervento di Tesi inizia
la discussione. È normale che si avanzino obiezioni. Ma la programmazione sanitaria è competenza della
Regione, nel rispetto della legge 517 che regola i rapporti tra il servizio sanitario e l'università. Ricordo però
che le ospedaliere-universitarie sono aziende miste non solo degli atenei. Sono convinto che ci capiremo». In
chiusura anche Tesi si dice «fiducioso che nel corso dell'iter si trovino soluzioni» per il riconoscimento dei
ruoli. «Condividiamo in pieno il suo intervento, del resto parla del riordino anche come di una grande
opportunità», dice il rettore pisano Massimo Augello. (m.n.)
Foto: ULTIMI COLPI Alberto Tesi chiuderà quest'anno il suo mandato a rettore: tra sviluppo aeroporto e
riforma Asl non ha risparmiato colpi alla Regione
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Palazzi in fermento
18/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Emergenza in corsia Le delibere regionali nel mirino dei pm
I Nas nei prossimi giorni nella sede dell'assessorato per spulciare gli atti sulla riorganizzazione sanitaria
Esposto dei sindacati sull'ospedale di Rivoli: l'altro giorno affluenza record, con nei corridoi più di cinquanta
barelle
FEDERICA CRAVERO
C'È UN salto di qualità significativo nell'inchiesta sulla situazione disastrosa dei pronto soccorso, coordinata
dal pm Raffaele Guariniello e condotta dal Nas di Torino, che nei prossimi giorni andranno negli uffici
dall'assessorato alla Sanità di corso Regina Margherita per spulciare tra le delibere e in generale acquisire
tutti gli atti che riguardano la riorganizzazione della rete sanitaria piemontese e in particolare i tagli per far
quadrare budget sempre più scarsi.
Se da una parte gli investigatori allargano il cerchio di osservazione disponendo controlli a tappeto in tutti gli
ospedali, dall'altra si fa strada una lettura dei fatti che va a toccare direttamente la Regione, superando i
singoli casi, i singoli disservizi e le singole soluzioni adottate da ciascun nosocomio. L'intenzione della
procura è infatti «fare accertamenti sulle cause del fenomeno, visto che si tratta di un servizio pubblico
essenziale» e quindi andare al livello di coloro che assumono le decisioni che poi ricadono sulla sanità.
Se le barelle nei corridoi e i turni massacranti di medici e infermieri a causa delle carenze di organico sono
un problema che devono gestire i manager che guidano gli ospedali, è evidente che le cause e le soluzioni
non possano essere legate solo alle scelte di un direttore sanitario, che a sua volta è sempre più stretto da
vincoli di bilancio. Per trovare posti letto per i Dea, le direzioni sono costrettea recuperarli da altri reparti: dalle
chirurgie, per esempio, allungando però le liste di attesa per gli interventi.
Oppure si "mescolano" nei reparti pazienti con patologie molto diverse, con il rischio di contaminazioni e di
infezioni, chea loro volta anziché ridurre i costi della sanità, li aumentano. Inoltre il problema che sta alla
base, ovvero il sovraffollamento dei pronto soccorso, è un fenomeno fluttuante che ha un'origine in parte
legata alla stagione invernale e ai picchi dell'influenza, ma risente anche della mancanza di un'adeguata
alternativa per i pazienti, altro argomento che esula dalle competenze delle direzioni saniatarie. Se da una
parte si può rimproverare l'atteggiamento del cittadino che ricorre al pronto soccorso senza passare dal
medico di base o dalla guardia medica, è pur vero che c'è un ricorso intenso del 118 e dei Dea anche da
parte delle case di riposo, che pur percependo una quota per l'assistenza degli ospiti, spesso e volentieri
chiamano un'ambulanza per portare gli anziani al pronto soccorso per malattie da raffreddamento.
Il lavoro del Nas, tuttavia, continua anche controllando le situazioni ospedale per ospedale. Oltre al caso del
Martini, dove un infermiere è finito in coma dopo 12 ore di lavoro,e alle segnalazioni di decine di pazienti
"parcheggiati" in barella alle Molinette e al Mauriziano, ieri sulla scrivania di Guariniello è arrivato un esposto
firmato da Cgil, Cisl e Uil che riguarda l'ospedale di Rivoli. Secondo quanto denunciato dai sindacati, infatti,
nei giorni scorsi si è verificato un afflusso straordinario di pazienti: «Nei corridoi stazionavano fino a 45 barelle
- si legge nell'esposto - più 10 barelle da campo. E tutto questo a fronte di una disponibilità massima di 14
posti letto. Per questo dal Dea sono costretti a dire al 118 di non portare più pazienti in ospedale. Ma
soprattutto c'è il timore che in una situazione di stress quotidiano gli infermieri possano con conseguenti turni
estenuanti per il personale sanitario, in particolare infermieristico. RIVOLI Un esposto dei sindacati denuncia
un numero record di barelle al pronto soccorso di Rivoli.
"L'altro giorno erano più di cinquanta" MARTINI Sotto inchiesta il caso del caposala finito in coma per un
malore dopo aver lavorato al Dipartimento emergenza per 12 ore di fila MOLINETTE Guariniello ha aperto un
fascicolo sul caso delle 65 barelle "parcheggiate" nei corridoi il giorno dopo l'Epifania I CASI CLOU SU
INTERNET Altre notizie di cronaca sul sito torino.repubblica.it
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Pianeta sanità
19/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 1
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Lo stop alle assunzioni non sarebbe stato tassativo Ma la giunta leghista ha puntato tutto sul personale Così
si è arrivati alle emergenze nei pronto soccorso
FEDERICA CRAVERO SARA STRIPPOLI
IL PESO del commissariamento e dei vincoli del piano di rientro è stato caricato soprattutto sui dipendenti
della sanità: infermieri, operatori sanitari, medici. Roberto Cota e i suoi assessori alla sanità hanno raggiunto
gli obiettivi di risparmio soprattutto con il blocco del turn over: prima il 50 per cento, poi addirittura il 100, per
ritornare al 50 attuale. «Diktat inappellabili del Tavolo Massicci», era il mantra ripetuto all'infinito in questi
anni. Non c'erano davvero alternative? PARE proprio invece che il vincolo non fosse poi così tassativo, il
criterio avrebbe potuto essere più elastico, riducendo il taglio sul personale e compensandolo con altri
risparmi che avessero un minor impatto sulla qualità del servizio.
Ora sui responsabili di quella decisione - il quadro generale compariva nei piani operativi 2013-2015
consegnati in ministero e poi declinati con la delibera di giunta del 31 maggio 2013 - si posa l'attenzione della
magistratura torinese. Da qualche tempo, il pm Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo sulla situazione
dei pronto soccorso, dove le barelle in corridoio per la mancanza di posti e i doppi turni degli infermieri sono
all'ordine del giorno. Il caso più doloroso quello dell'ospedale Martini, dove il caposala Pier Angelo Bozzetto
(ancora in coma in rianimazione alla Città della Salute)è crollato al termine di un turno di 12 ore. Mentre ogni
giorno si rinnovano le segnalazioni di disservizi, il magistrato ha deciso di elevare l'inchiesta al livello di chi
guida l'assessoratoe ha delegato il Nas di Torino a svolgere tutti gli accertamenti necessari per risalire la
catena di responsabilità. Oltre ad analizzare i provvedimenti presi dalle singole aziende ospedaliere, i
carabinieri andranno quindi anche negli uffici dell'assessorato di corso Regina Margherita, per capire le
ragioni delle scelte che potrebbero aver contribuito a causare i disagi attuali.
Uno degli atti-chiave è appunto la delibera del maggio 2013, che decide il blocco totale del turn over, 100 per
cento per tutto l'anno. Era possibile seguire altre strade convincendo Roma e salvaguardando così i ritmi di
lavoro dei dipendenti e l'assistenza dei pazienti? Probabilmente sì, ma la riduzione del personale senza
dubbio era la scorciatoia più facile per raggiungere l'obiettivo. Così la scure della giunta Cota si è abbattuta
sui dipendenti, la voce di risparmio che dà i migliori margini, 120 milioni di tagli.
Un anno e mezzo dopo, pressoché tutti i reparti sono in affanno e il pronto soccorso paga il prezzo più alto.
La scarsità di personale nell'autunno scorso ha costretto la direzione sanitaria della Città della Salute a
chiudere un intero reparto di medicina, 24 posti letto persi dopo che alcuni dipendenti avevano presentato un
esposto in Procura per turni troppo pesanti nel reparto di medicina diretto da Massimo Porta.
Assai interessanti anche i documenti in cui la Regione ha deciso la riduzione dei posti letto.
La delibera del centrodestra è del 12 maggio 2014. Non dovrebbe aver creato effetti concreti visto che
Antonio Saitta il 4 agosto del 2014 ha bloccato tutto, ma nonè escluso che qualche direttore particolarmente
solerte possa aver dato corso a qualche azione. Solo a dicembre la nuova delibera con il piano di
riorganizzazione della rete è stata approvata e per il momento non è ancora operativa. Sarà infatti seguita da
una seconda delibera (quella che contiene le modifiche concordate con i territori e Roma) che dovrebbe
essere approvata entro lunedì prossimo. Antonio Saitta, il quale torna a promettere che nessun posto letto
sarà tagliato prima di avere soluzioni, è sereno: «Tutti gli atti sono in assessorato e a disposizione della
Procura e dei Nas - dice - le uniche delibere approvate da questa giunta sono due, la prima che bloccava il
provvedimento deciso da Ugo Cavallera e questa della riorganizzazione di fine novembre».
Mercoledì e giovedì prosegue il pressing a Roma per le assunzioni.
PER SAPERNE DI PIÙ Altri servizi sull'emergenza sul sito torino.repubblica.it
Foto: CAOS SANITÀ Dietro l'emergenza che in questi giorni ha colpito vari pronto soccorso di Torino (dal
Martini al Mauriziano) e provincia ci sarebbe la delibera dell'assessore della giunta Cot Ugo Cavallera (a
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Sanità, nel mirino la delibera di Cota sul blocco turnover
19/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 1
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sinistra) sul blocco delle assunzioni
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19/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 3
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Pronto soccorso in tilt, sopralluogo dei sindaci
FABIO TANZILLI
SOPRALLUOGO di sindaci al pronto soccorso di Susa che ha vissuto un altro giorno di caos e sofferenza.
Dopo l'emergenza di sabato, anche nella giornata di ieri i corridoi dell'ospedale sono stati intasati di pazienti,
e si sono ripetuti i problemi legati alla carenza di posti letto e di personale medico. La situazione è rimasta
critica, al punto che sabato sera il personale era stato costretto a limitare gli arrivi del 118, solo per i casi
davvero gravi. Nel pomeriggio di ieri il sindaco di Susa, Sandro Plano, ha fatto un sopralluogo in ospedale per
fare un punto e toccare con mano la situazione dopo le varie lamentele giunte da cittadini e dipendenti
dell'AslTo3, esasperati dai continui rallentamenti nelle visite. Il primo cittadino ha visitato l'ospedale insieme
con il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, e il consigliere regionale dei Cinque Stelle, Stefania Batzella. Oltre a
loro si sono dati appuntamento davanti al pronto soccorso una trentina di persone, tra No Tav e semplici
cittadini, al fine di verificare le condizioni del servizio sanitario. Sul posto c'era anche il capitano dei carabinieri
di Susa, Flavio Pieroni. «Alle 17.30 c'erano ancora una dozzina di pazienti sulle barelle nel corridoio - accusa
il sindaco Plano - e i letti nei tre reparti dell'ospedale erano tutti occupati. L'assessore Saitta deve interessarsi
e risolvere questo problema... è paradossale che la Regione voglia declassare, con la nuova delibera, questa
struttura».
Gli amministratori locali hanno colto l'occasione per ricordare l'incontro istituzionale richiesto alcuni giorni fa
all'assessore Saitta, in modo da affrontare anche questa criticità. In vista c'è pure il ricorso al Tar contro la
delibera del nuovo piano di riorganizzazione della sanità in Piemonte, e probabilmente sarà organizzata nel
prossimo weekend una manifestazione popolare a Susa, per difendere l'ospedale dai tagli e chiedere il
potenziamento del pronto soccorso.
Foto: SOS A SAITTA Il pronto soccorso di Susa intasato dalle barelle
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ALL'OSPEDALE DI SUSA
19/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Troppi campanilismi, la riorganizzazione non c'entra con la crisi attuale"
"La grillina Batzella si muove come una Giovanna d'Arco della sanità" "Prevalgono le barricate invece di un
lavoro serio che parta dai numeri"
(s.str.)
SILVIO Viale, lei scrive che sul tema dell'emergenza dei pronto soccorso il Movimento 5 stelle ha un
atteggiamento "sciovinista campanilista". Ci può spiegare? «Leggo che una consigliera regionale
pentastellata, dipendente di un ospedale, interviene quasi ogni giorno teorizzando responsabilità che non
credo possano essere attribuite alla riorganizzazione.
Vorrei vedere qual era la situazione lo scorso anno, in momenti di punta come quelli di questi giorni. Mi
chiedo cosa accadrebbe se fosse un consigliere di un altro partito a fare questi interventi come dipendente
dell'Asl».
Le pare che gli allarmi di questi giorni siano esagerati? «Io dico che la situazione di questi giorni è
eccezionale.
Penso che gli interventi che arrivano dalla Valle di Susa siano strumentali. La consigliera Batzella si
comporta come una Giovanna d'Arco della sanità, ma un operatore sa bene che le scelte regionali
sull'ospedale non hanno nulla a che fare con l'emergenza. Nel suo ruolo non dovrebbe sfruttare la situazione
ma avere una visione più ampia, che vada oltre atteggiamenti campanilisti».
Lei fa il ginecologo, noto per essere piuttosto attivo. In questi giorni si parla molto di turni insopportabili di
infermieri e sanitari. Concorda? «Siamo realisti. Nel mio ultimo turno in pronto soccorso, in dodici ore, ho
visto e valutato 74 pazienti. Da solo. A questo sommiamo pure numerose telefonate per consulenze
telefoniche che mi sono state passate dal centralino. Peraltro aggiungo che da quando lavoro negli ospedali,
la richiesta di turni di 12 ore, soprattutto nelle strutture più piccole, è sempre stata difesa dai medici». Nonè
solo il movimento5 stelle ad alzare la voce, le proteste arrivano da molti punti del Piemonte e non è ancora
certo che sulla delibera di riorganizzazione non possa arrivare un ricorso. Magari proprio dalla Valle di Susa.
Tutti campanilisti? «Io vorrei sentire analisi approfondite, capire quali sono i dati della guardia medica,
vedere un confronto fra le cifre di dell'affluenza di ieri con quelle degli anni precedenti, avere un riscontro
sulla complessità dei casi. Un lavoro serio che parta dai numeri. Invece vedo prevalere sempre atteggiamenti
di barricata da localismo esasperato mentre invece è l'interesse della comunità piemontese nel suo
complesso a dovere essere tutelata. Solo così il giudizio può essere oggettivo».
Foto: AL SANT'ANNA Silvio Viale racconta che nel suo turno al pronto soccorso, in 12 ore, ha visitato 74
pazienti: "Ma è la norma"
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'INTERVISTA/ SILVIO VIALE GINECOLOCO E ESPONENTE DEL PARTITO RADICALE
17/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 13
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Una giornata in clinica Conto da 18 mila euro per l'ambasciatore russo
Roma, la moglie del diplomatico era ricoverata alla "Pio XI" Dopo una lettera al ministro Lorenzin arriva
l'ispezione dei Nas
PAOLO RUSSO ROMA
«A'dotto, che me mette un punto de sutura». «E no, tre punti, così me rimborsano l'intervento chirurgico». Era
il 1968 quando il dottor Tersilli, interpretato dall'Albertone nazionale, con il film "Il medico della mutua" faceva
riflettere sulla voracità di qualche camice bianco. Quasi cinquant'anni dopo il Sordi-dottore impallidirebbe di
fronte a quei medici, che nella stessa clinica romana dove furono girate alcune scene, hanno presentato un
conto di 17.913 euro per una giornata di ricovero, una manciata di visite e analisi di dubbia utilità senza tirar
fuori nemmeno una diagnosi. Fatture consegnate all'ambasciatore russo Sergey Razov. Il ricovero Il 20
ottobre scorso fa ricoverare sua moglie alla clinica "Pio XI", sulla via Aurelia, per mal di pancia, fastidi alla
schiena e alla gamba destra. La consorte libererà la stanza il giorno dopo con un pacco di fatture da
capogiro, anche se senza più disturbi. Non certo per merito di clinica e sanitari. Il mal di pancia viene al
diplomatico, che con "aplomb" salda, ma poi scrive tutta la sua indignazione a Ordine dei medici e ministro
della salute, Beatrice Lorenzin. Che va su tutte le furie e ordina un'ispezione ai Nas: ieri l'altro hanno
spulciato tra le carte della casa di cura, solo in parte convenzionata. Le conclusioni arriveranno a breve ma la
figuraccia non darà lustro alla Capitale. La rabbia «Poiché siamo cittadini russi - scrive l'ambasciatore
all'Ordine- non riusciamo a comprendere se sia usuale che per i summenzionati problemi (ndr. il mal di
pancia) si debba essere sottoposti ad esami invasivi e se i due professionisti, che non hanno svolto alcuna
attività clinica né medica possano chiedere degli importi così cospicui». Ed è difficile dargli torto dopo aver
sfogliato le fatture. Il primario che prende in carico la signora spara 5.404 euro per una generica "assistenza
medica in degenza". Il suo vice batte invece cassa per 2.002 euro. «E tralascio di commentare la qualità e il
tempo dedicato a mia moglie nelle singole visite», rimarca il diplomatico. A cosa servissero poi le visite
oculistiche e ortopediche per un mal di pancia lo sanno solo i luminari della clinica, che in tutta questa
vicenda si è limitata ad incassare i 527 euro della giornata di degenza più la quota parte delle parcelle dei
medici liberi professionisti. Anche se gridano vendetta quei 1.268 euro per analisi delle urine e del sangue,
che di solito in un laboratorio privato non costano più di un centinaio di euro. E che dire di quella valanga di
accertamenti (esofago e gastro endoscopie, Tac, risonanze e colonscopie), costate al marito oltre quattromila
euro e alla signora una massiccia dose di anestesia? Il precedente Due anni fa ai familiari dello scrittore
Alberto Bevilacqua una famosa clinica della Roma bene presentò un conto da oltre un milione per tre mesi in
terapia intensiva. «Nessun illecito», ha appurato la magistratura. Ma converrà forse ricordarsi di queste
super-fatture quando ci si lamenta della nostra un po' troppo vituperata sanità pubblica.
Il conto
17.913,78 euro Tac Iva Ecografia TOTALE LA STAMPA 418,2 402 602 202 Visita oculistica (DATI IN EURO)
7.406 2.502 1.268,80 Mineralometria ossea Risonanza magnetica Visita ortopedica Una notte di degenza
Visita medica e assistenza medica in degenza Esofagogastroduodenoscopia con biopsia Materiale sanitario
e medicinali Anestesista Aiuto esofagogastroduodenoscopia Esame istologico Analisi del sangue e delle
urine Ecocolor doppler 259,86 198,86 281,82 858 1.426 302 402 527 1.384,32
527 euro Sono stati pagati dall'ambasciatore russo per la notte trascorsa in clinica dalla moglie
5.404 euro È il compenso del primario che ha preso in carico la donna, per «assistenza medica in degenza»
Foto: Gli esami La donna soffriva di mal di pancia, disturbi alla schiena e alla gamba destra I medici hanno
effettuato Tac, risonanza, colonscopia e gastroendoscopia
Foto: Ex set Nella clinica «Pio XI» furono girate alcune scene del film «Il medico della mutua» (1968) con
Alberto Sordi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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il caso
17/01/2015
La Stampa - Torino
Pag. 41
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Rivoluzione pronto soccorso "Stop ai malati in corridoio"
elisa barberis
Via le barelle dai pronto soccorso entro il prossimo inverno. Tra un anno non ci sarà più il caos delle ultime
settimane negli ospedali. «Ho chiesto garanzie e così dovrà essere», annuncia l'assessore alla Sanità,
Antonio Saitta, al termine della riunione con i direttori generali dei sei ospedali cittadini. Un incontro per fare il
punto sull'emergenza d'inizio gennaio. Intanto Fulvio Moirano, il direttore dell'assessorato annuncia: «Tra
venti giorni, se tutto va bene, le prime assunzioni». E le Asl hanno già stanziato un milione e 250 mila euro
per potenziare Mauriziano, Molinette e Rivoli. Interventi urgenti
Come anticipato ieri da «La Stampa», in corso Bramante il piano d'intervento è già stato delineato: servono
600 mila euro per creare l'area di Osservazione Bassa Intensità. Una sorta di piccolo reparto interno per
smistare i codici verdi e gialli. Per l'Umberto I° la priorità è attivare, altri dodici posti letto di dea, che saranno
sistemati al primo piano. Vicino al nuovo reparto di Terapia Intensiva. E occorrono 350 mila euro, e un
numero congruo di infermieri e medici. Altri 300 mila sono necessari all'ospedale di Rivoli per ampliare di 500
metri quadrati l'area urgenze, aggiungendo 10 letti per un turnover più rapido.
In sei mesi tutto dovrebbe essere pronto. Rinvio al 2016 per Maria Vittoria e San Giovanni Bosco: il costo dei
lavori è di 3 milioni e 400 mila euro, soldi che la To2 non ha e che la Regione al momento non può tirare fuori.
Camere-polmone
L'idea di Saitta è creare in tutti i presìdi «aree-polmone» da utilizzare soltanto quando la situazione
raggiunge il livello di massima saturazione. E mettere in piedi un piano d'emergenza che ruoti attorno a due
punti. Primo: «Massima reperibilità del personale nei periodi più congestionati». Secondo: «Creare un
coordinamento, di cui si occuperà direttamente la Regione, che regoli il flusso dei pazienti per far sì che non
ci siano strutture sovraffollate e altre più libere». Parola di Saitta. Aspettando l'influenza
Gli interventi-tampone per far fronte al caos post feste di fine anno (turni del personale raddoppiati,
sfruttamento dei posti letto a disposizione anche nelle chirurgie, attività programmate- tipo interventi chirurgici
non urgenti - rimandati) proseguiranno per almeno due settimane. Finché non passerà il picco dell'influenza.
Resta aperta la questione dei pazienti in fase posta acuta, che potrebbero essere dimessi ma restano in
ospedale perché nessuno può assisterli. Per questo altri 200 letti, sbloccati poco prima di Natale, saranno
distribuiti tra le Asl To1 e To2.
E i sindacati che dicono? Claudio Delli Carri, segretario regionale di Nursing Up è molto critico: «Per noi è un
nulla di fatto almeno finché non sarà fissato un termine per le assunzioni». Meno lapidari Cgil-Cisl e Uil.
Intanto Saitta precisa che le nuove assunzioni non andranno tanto a coprire l'emergenza, quanto a rendere
possibile l'aumento delle prestazioni e l'utilizzo delle sale operatorie (che dovrebbero passare da 4 a 8 ore di
lavoro) così da ridurre le liste d'attesa.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Direttori generali in Regione
17/01/2015
La Stampa - Torino
Pag. 41
(diffusione:309253, tiratura:418328)
«Demagogia organizzativa, soluzioni provvisorie per una barca che sta affondando». Per Gabriele Gallone,
del sindacato medici dirigenti Anaao, c'è poco da salvare nel piano della Regione. Neanche una chance?
«Con il taglio dei posti letto in ospedale e quelli nelle strutture di continuità assistenziali limitati non si riesce a
capire come si riuscirà a invertire la rotta. Serve una revisione totale della rete sanitaria, e pochi mesi non
bastano: bisognava muoversi già a maggio, farlo adesso significa rispondere solo alla pressione dei media.
Stiamo tornando ai lazzaretti di una volta». Come se ne esce?
«Con gli investimenti. Se si riducono gli interventi per far ospitare gli anziani che non trovano posto nelle
lungodegenze, le liste d'attesa si allungheranno. Circolo mortale». Qual è il clima tra medici e infermieri?
«Chi entra in reparto o in Dea di notte, sa cosa lo aspetta: ci si ritrova catapultati in una zona di guerra. Molti
sono sconfortati ancor prima di prendere servizio e si esce dal turno distrutti». [E.BAR.]
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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«Ma stiamo tornando ai lazzaretti»
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Torna la suina È allerta negli ospedali
Marco Accossato
A PAGINA 10 Torna la suina È allerta negli ospedali L'influenza A-H1N1 torna a far paura. Il virus della
«suina» ha mandato in queste ultime due settimane 50 persone in terapia intensiva negli ospedali italiani. Un
uomo di 67 anni è morto ad Aosta, mentre un'altra donna, sempre di Aosta, è stata trasferita e ricoverata ieri
nel reparto di rianimazione della Città della Salute di Torino. Delle cinquanta persone sotto ossigeno nelle
rianimazioni italiane, 26 sono già sottoposte all'Ecmo, la tecnica della circolazione extracorporea che
consente ai casi più gravi, grazie a una macchina, di tenere a riposo cuore e polmoni per facilitare il recupero
e scongiurare il peggio. Pericolo, non allarme rosso La fotografia tracciata dal professor Marco Ranieri,
primario di Anestesia e Rianimazione alla Città della Salute di Torino e responsabile della rete Ecmo
nazionale, è di un'allerta diffusa, anche se non è ancora allarme rosso. Ogni anno - va ricordato - settemila
persone muoiono per le conseguenze della «normale» influenza. «Ma la particolarità che più preoccupa del
virus che sta colpendo l'Italia - spiega - è che i ricoverati negli ospedali della rete Ecmo sono tutte persone
giovani, sotto i 50 anni, senza particolari fattori di rischio». Se nel 2009 l'H1N1 aveva infatti colpito soprattutto
giovani a rischio (primo fattore fra tutti è l'obesità), e l'anno successivo anziani debilitati, «in queste settimane
sottolinea Ranieri - sembra colpire particolarmente persone non indebolite da altri problemi di salute».
All'ospedale di Padova sono già dieci i casi in terapia intensiva, con tre pazienti sottoposti a Ecmo; sette i casi
a Pavia (tre sotto Ecmo); cinque a Bologna (due sotto Ecmo); sei casi alla Sapienza di Roma (tre sotto Ecmo)
e altri sei alle Molinette di Torino (tre sotto Ecmo). Gli altri ricoverati sono a Palermo, Monza, Milano, Firenze
e Bari. Vigilanza dei medici di base Mentre ancora si aspetta ovunque, nel nostro Paese, il picco di influenza,
l'allarme A-H1N1 rischia di mettere ulteriormente in ginocchio gli ospedali già al collasso per i pronto soccorso
pieni. In alcune strutture stanno arrivando indicazioni per liberare il più possibile letti nei reparti, rinviando
eventualmente anche gli interventi programmati non urgenti. «Senza dubbio - spiega il professor Ranieri - è
necessario non sottovalutare i sintomi. Senza seminare il panico, è fondamentale che soprattutto i medici di
famiglia e quelli in pronto soccorso valutino con attenzione gli eventuali peggioramenti di casi di influenza».
Vaccini fondamentali È il primo anno, dopo tre senza allarme, che nelle terapie intensive dei centri di
riferimento nazionali contro l'H1N1 finisce un così alto numero di pazienti. «Colpa della politica dissennata
della non vaccinazione negli ultimi due anni», sostiene il professor Ranieri. Mentre cioè negli anni il virus,
modificandosi, è diventato sempre più aggressivo, le difese dell'organismo sono diminuite per la riduzione dei
vaccini somministrati. E la dimostrazione della tesi è che «a differenza di quanto avvenuto quattro anni fa spiega sempre il responsabile dei centri Ecmo d'Italia - quest'anno i malati sono da subito più numerosi di
quando il problema si è manifestato la prima volta nel nostro Paese». La Federazione dei medici di medicina
generale conferma i dati: nell'ultimo anno si calcolano circa 2 milioni di vaccinazioni anti-influenzali in meno.
Significa che una persona su quattro ha scelto di non vaccinarsi, sull'onda delle polemiche e delle inchieste
che tanto hanno fatto scalpore nel 2014. Al di là del pensionato morto ad Aosta non ci sarebbero, al
momento, altre persone in pericolo imminente di vita, fra i ricoverati in terapia intensiva. «Ma non dobbiamo
abbassare la guardia, perché la caratteristica di questa forma di influenza è proprio l'improvviso, e repentino
aggravarsi delle condizioni cliniche».
I numeri
50 Ricoverati In Italia attualmente ci sono 50 persone ricoverate in terapia intensiva Ventisei di queste sono
sostenute da macchine Ecmo Morto Per ora si registra un solo deceduto a causa dell'influenza suina. Si tratta
di un 67enne di Aosta. Nella stessa città era ricoverata anche una donna
0,029 per mille È questo il tasso di mortalità dell'influenza suina. Si calcola che per la normale influenza la
mortalità sia molto più elevate: il 2 per mille milioni Il calo di vaccini antinfluenzali rispetto al 2013. Per i medici
la non vaccinazione è una delle cause della diffusione del virus dell'influenza suina
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INFLUENZA, IL PICCO
18/01/2015
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il virus
n L'A-H1N1 è comparsa nel 2009 in Italia e nel mondo: un sottotipo di influenza si è trasmessa in Messico da
alcuni allevamenti di maiali all'uomo, e per questa ragione è stata battezzata «suina». Dal 13 ottobre all'8
novembre 2009 i casi in Italia sono stati circa un milione e mezzo, e la percentuale dei decessi dello 0,029
per mille, contro il 2 per mille della normale influenza. La trasmissione avviene come qualsiasi forma
influenzale, innanzitutto attraverso le vie aeree (tosse o starnuti) e poi con il contatto con le mani. La terapia tranne nei casi da rianimazione - è quella dell'influenza tradizionale fino a quando febbre e sintomi non
passano.
Foto: Sotto Ecmo Nella foto il sistema di circolazione extracorporea che viene utilizzato per i casi più gravi di
persone colpite dall'influenza suina Attualmente su 50 persone ricoverate, 26 sono sottoposte al trattamento
MAURIZIO BOSIO
18/01/2015
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All'inizio sintomi generici ma a un certo punto manca l'aria
Ecco come si diffonde e come riconoscerla
[M. ACC.]
Perché negli ospedali italiani si sono registrati nelle ultime due settimane così tanti casi di influenza A-H1N1?
Perché questi sono i giorni previsti per l'influenza tradizionale, anche se il picco deve ancora venire, atteso
per fine gennaio. Si può parlare di epidemia? O di un rischio-epidemia? No, e non bisogna fare allarmismo. È
necessario però non sottovalutare neppure il pericolo: fondamentale che i medici di famiglia tengano sotto
controllo l'evoluzione della febbre dei propri pazienti. Quest'anno il virus A-H1N1 sembra colpire non solo le
persone obese come nel 2009 e gli anziani debilitati come nel 2010. I ricoverati nelle terapie intensive italiane
sono prevalentemente uomini e donne sotto i cinquant'anni di età, senza altre patologie in essere. Persone,
in sostanza, non deboli e a rischio. Quali sono i sintomi di questa forma influenzale? I medesimi dell'influenza
tradizionale: febbre alta, difficoltà di respirazione, dolori diffusi. Quando è necessario rivolgersi al medico o
andare in pronto soccorso? La differenza con l'influenza tradizionale è in quella che i medici def iniscono
«fame d'aria». A un certo punto dell'evoluzione della malattia si ha più difficoltà a respirare, proprio come se
mancasse aria attorno. La sensazione è quella di chi, chiuso in una stanza, deve aprire la finestra per
respirare bene. A quel punto bisogna chiedere aiuto a un medico o farsi visitare in pronto soccorso. L'influenza può evolvere rapidamente in insufficienza respiratoria acuta e la situazione precipitare. Perché serve
addirittura il ricovero in rianimazione? Perché è necessaria la ventilazione artificiale. Diversi dei 50 ricoverati
nelle ultime due settimane nelle terapie intensive degli ospedali italiani sono stati addirittura intubati. Che
cosa è l'Ecmo a cui è stata sottoposta metà dei pazienti con influenza A-H1N1? È una tecnica. Una macchina
consente la circolazione extracorporea, come nel trapianto di cuore. L'organismo viene in questo modo
alleggerito dal peso della respirazione e può recuperare più facilmente. All'Ecmo vengono sottoposti i pazienti
in condizioni più critiche, in pericolo di vita. Quanto dura questa terapia? Mediamente un settimana, con
punte minime e massime di 5 e 10 giorni. In quest'arco di tempo, nel 2009 come nel 2010, sono state salvate
di- verse persone. Il primo anno di A-H1N1 in Italia e nel mondo la mortalità è stata inferiore, il secondo anno è
stata inferiore la sopravvivenza perché le persone colpite nel 2010 sono state prevalentemente anziani già
colpiti da altre patologie. La loro situazione clinica generale era peggiore fin dall'inizio, con minori possibilità
iniziali di recupero. È certo che la causa di questa recrudescenza sia il minor numero di vaccinazioni fatte? È
la più probabile ed evidente. L'unica differenza rispetto ai due anni precedenti quando l'A-H1N1 era presente
ma non ha scatenato l'allarme che oggi si è invece diffuso immediatamente. Perché l'A-N1H1 è «la suina»?
Perché i primi contagi, nel 2009, sono avvenuti da maiali a uomini, in Messico. Oggi non c'è più alcuna
relazione. E la carne non c'entra nulla.
Foto: MADE NAGI /EPA
Foto: Nel 2009 i maiali trasmettevano il virus, oggi la carne non c'entra
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Le domande
19/01/2015
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Perché l'influenza fa paura
EUGENIA TOGNOTTI
Arriva l'ordinaria influenza stagionale nell'anno del Signore 2015 - per la trecentesima volta, o poco più dal XII
secolo - e come avveniva nei secoli passati, quando si pensava che fosse provocata dal maligno influsso
degli astri e dalla loro sfavorevole congiunzione, costringe a letto una parte della popolazione, con gli stessi
sintomi descritti in una buffa Canzone popolare scritta da un fabbro bolognese nel 1580. «Mi pareva aver la
testa/ come un mazzo da stellare / mi doleva si la schiena/ch'io pareva bastonato». A dispetto delle nostre
conoscenze sul virus influenzali - e in particolare l'H1N1, smascherato in quella sorta di gioco a guardia e
ladri che è il monitoraggio virologico in ogni angolo del pianeta - riserva sempre qualche sorpresa e si diverte
a sfuggire alle previsioni: è slittato il picco dell'epidemia atteso a ridosso della Befana, come risultato degli
incontri ravvicinati delle feste e degli scambi di particelle infettanti che passano da un individuo all'altro,
alimentando una sorta di catena di Sant'Antonio virale. Sarebbe meno efficace del previsto la più potente
arma disponibile, il vaccino antinfluenzale, secondo le non dubbie informazioni dei Cdc, i centri di controllo e
prevenzione delle malattie di Atlanta. Inoltre, sarebbe un po' più aggressiva del previsto l'ondata influenzale
che sta colpendo soprattutto i bambini al di sotto dei cinque anni. Quel che è certo è che il drastico calo delle
vaccinazioni - indotto anche dallo sconsiderato allarme delle presunte morti attribuite al Fluad - porterà nei
soggetti a rischio, privi di copertura, un aumento dei casi gravi e delle ospedalizzazioni, che già sono
segnalati in varie aree del Belpaese. Chiamata nel passato «mal gentile» da medici e funzionari di salute
pubblica che dovevano fronteggiare ben più terrificanti ondate epidemiche, l'influenza, a dispetto dei
progressi della conoscenza, delle risorse terapeutiche, del miglioramento della sorveglianza e della
prevenzione, occupa oggi un posto nient'affatto secondario nella nera lavagna delle patologie umane, tanto
da rappresentare la terza causa di morte in Italia per patologia infettiva, e da contribuire in maniera rilevante
alla già mastodontica spesa sanitaria, senza considerare i costi indiretti. E da qualche anno i virus influenzali
fanno paura. Grandi sorvegliati speciali, i virus dell'influenza A sono dotati dell'eccezionale capacità di
modificare il proprio genotipo per gradi (genetic drift) o con un cambiamento radicale e improvviso (genetic
shift): uno scossone che dà luogo a un ceppo interamente nuovo. In questo caso, fortunatamente raro, si
verifica una pandemia perché buona parte della popolazione mondiale è priva dell'azione protettiva degli
anticorpi. È avvenuto nel 1918 con la terribile Spagnola e, nel secolo scorso, con l'Asiatica (1957) e la Hong
Kong (1968). In base alle scansioni delle passate epidemie, l'arrivo del Big one virale è messo in conto da
tempo, da virologi, influenzologi, epidemiologi, che ritengono che un simile evento possa verificarsi di nuovo e
in forma più grave nel nostro tempo. L'ultima pandemia, l'Influenza A 2009-2010, la prima del XXI secolo, ha
dimostrato quanto rapidamente - ovunque si manifesti il primo focolaio può propagarsi una nuova malattia
infettiva nel nostro mondo globalizzato, di grandi città densamente abitate e interconnesse: la velocità con cui
l'H1N1 si è diffuso a livello internazionale, infettando molti milioni di persone, non ha riscontri nelle precedenti
epidemie. 42 anni fa, la pandemia Hong kong ha impiegato quasi un anno, partendo dal suo focolaio iniziale,
la Cina, per diffondersi in tutto il mondo. La pandemia del 2009 ha viaggiato in aereo: attraverso i passeggeri
del traffico aereo internazionale, si è diffusa rapidissimamente, infettando 74 Paesi diversi in ogni continente,
entro cinque settimane dalla comparsa del primo focolaio in Messico.
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IL PICCO DEL VIRUS
19/01/2015
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"L'influenza suina? Vaccinatevi subito Il picco deve arrivare"
L'Istituto superiore di sanità invita a fare presto "Il falso allarme sul siero ha aumentato il caos"
PAOLO RUSSO ROMA
«Non dobbiamo creare allarmismi ma la suina ha colpito due italiani su tre di quelli a letto per l'influenza, per
cui l'appello è a vaccinarsi subito perché il picco è previsto per i primi di febbraio e il vaccino fa effetto dopo
due settimane». Invita a fare presto Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto
superiore di sanità. Anche se il virus dell'A-H1N1 non è letale come quello che ha flagellato tempo fa il
Sudamerica. In questo momento si può parlare di «allarme suina»? «No, perché non è così pericolosa come
si crede ma certo è che in questo momento due italiani su tre a letto per influenza sono stati colpiti proprio del
virus A/H1N1. Che però non sta mietendo vittime come in Sudamerica». Ma in questo momento si segnalano
50 persone in terapia intensiva in tutta Italia... «Appunto, in tutto il Paese, quindi su milioni di casi. Siamo
nelle normali statistiche. B a s t i r i co rd a re c h e p e r l e m a n c at e vacc i n a z i o n i o g n i anno
l'influenza miete ottomila vittime». I normali vaccini antinfluenzali proteggono anche dalla suina? «Sì, e chi
non si è immunizzato tra le categorie a rischio sarebbe bene lo facesse subito perché il picco influenzale è
previsto per i primi di febbraio, ma il vaccino inizia a fare effetto solo due settimane dopo averlo
somministrato. Quindi con i tempi siamo proprio al limite». A questa epidemia di A-H1N1 ha contribuito anche
il falso allarme sui vaccini antinfluenzali? «A giudicare dai più alti tassi di ospedalizzazione per l'influenza direi
proprio di sì. La s e t t i m a n a s c o r s a a b b i a m o avuto il picco con un milione e 300mila casi e le cose
andranno peggio nelle prossime settimane. La cosa apparentemente strana è che ad essere maggiormente
colpiti, soprattutto dalla suina, non sono gli anziani, ma soprattutto i bambini con meno di 4 a n n i e gl i i t a l i
a n i d i m e z z a età, dove i casi sono stati 6,23 o g n i m i l l e a b i t a n t i c o n t r o una media di 5,7». Ma
non sono quelli che possono fare a meno di vaccinarsi? «In quella fascia di età c'è un ampio spettro di
persone a rischio, soprattutto rispetto al virus A-H1N1. Dovrebbero vaccinarsi soprattutto cardiopatici,
persone con problemi respiratori seri, diabetici, neurolesi, donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza,
immunodepressi, bambini nati prematuri tra i 6 mesi e i due anni di età». Quali sono i sintomi della suina?
«Sono simili a quelli dell'influenza stagionale. All'inizio è simile a una bronchite ma poi può degenerare anche
in disturbi neurologici e polmoniti. Ai primi sintomi è consigliabile starsene a casa e consultare il proprio
medico. Anche se è impossibile stabilire con una semplice visita a studio o in pronto soccorso se i sintomi
siano causati proprio dal virus A-H1N1». E allora cosa bisogna fare? «Servirebbe un'analisi specifica, il Prc.
Un test biologico che si fa con un prelievo del sangue ma non è necessario farlo. È consigliabile solo se ci
sono complicanze serie». Ma come la curiamo questa suina? «Come tutte le altre influenze. Assumendo
antipiretici per combattere la febbre e anti infiammatori contro i dolori, mentre gli antibiotici sono inutili, a
meno che non insorgano complicanze di tipo batterico».
Com'è difficile far fare l'iniezione n Nel novembre scorso la morte sospetta di 11 persone fa scattare
l'allarme su alcuni lotti di vaccini antinfluenzali. Successive indagini dimostreranno che i vaccini «incriminati»
non avevano nulla che non andasse. n L'allarme sulle morti sospette legate alla vaccinazione produce un
fenomeno di allontanamento dalla pratica del vaccino. I medici calcolano che nel 2014 si sono registrati
all'incirca due milioni di vaccinazioni in meno. n L'esplodere dell'influenza suina viene fatta derivare dai medici
soprattutto alla mancata vaccinazione da parte degli italiani. Il vaccino antinfluenzale, infatti, protegge anche
dalla suina. n Secondo uno studio della Lancaster University privilegiare la vaccinazione di persone con molti
amici sui social network aiuterebbe la diffusione della vaccinazione. Lo studio condotto su 200 studenti
Ieri sulla Stampa Sull'edizione di ieri la notizia: 50 persone ricoverate in terapia intensiva a causa
dell'influenza suina.
66 per cento Due malati su tre oggi a letto colpiti dalla suina settimane Il periodo dopo cui fa effetto il vaccino
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IL'ALLERTA CONTAGIO Intervista
19/01/2015
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Foto: REPORTERS
Foto: Ricoveri per l'influenza suina alle Molinette di Torino
Foto: Giovanni Rezza Direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità
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19/01/2015
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In un villaggio colombiano il segreto dell'Alzheimer
Il 30% degli abitanti è malato. Un'équipe li studia per trovare la cura
FILIPPO FIORINI BUENOS AIRES
Icolombiani che vivono nella regione di Antioquia dicono che il paesino di Yarumal sia maledetto. La
settimana scorsa ci hanno stuprato una donna. Due mesi fa hanno arrestato il sindaco perché concedeva
appalti ai morti. Quest'estate, i guerriglieri delle Farc hanno messo una bomba sulla strada per Medellin e
negli Anni Novanta un prete ha fondato la banda dei «12 Apostoli» e andava in giro a far giustizia sommaria.
Tutti questi fatti, però, riguardano la quotidianità della Colombia rurale, perché la sciagura personale di
Yarumal è un'altra: il morbo d'Alzheimer. Qui una percentuale straordinaria della popolazione ne è affetta. Lo
contraggono per via ereditaria e si manifesta molto prima che diventino vecchi. Ma, sempre qui, c'è anche un
medico che sta sperimentando un farmaco nuovo e dice di essere sulla strada buona per trovare la cura. Il
«mal d'oblio» Quando il reporter di «El Tiempo» di Bogotà è entrato nella casa della signora Olga a Yarumal,
si è trovato davanti una scena curiosa: era ferma immobile, con la zuppa davanti e il cucchiaio a mezz'aria
che gocciolava. «Stava mangiando, ma se n'è dimenticata», gli ha spiegato Estela, che ha lasciato il lavoro
per prendersi cura del terzo membro della sua famiglia a essersi ammalato: la sorella appena 49enne. Non
molto lontano da lì, c'è la casa di riposo. I suoi 38 posti sono tutti occupati da malati d'Alzheimer, che però
non sempre sono anziani. I 30 milioni di casi che l'Onu registra nel mondo si diagnosticano in genere dopo i
60 anni, a Yarumal anche prima dei 40. Gli scienziati lo chiamano «cluster d'Alzheimer dell'Antioquia», i poeti
usano l'espressione «mal d'oblio» e la gente invece dice «stupidite» o «mutazione paisa». L'ha scoperto il
dottor Francisco Lopera quando stava all'ultimo anno di medicina e studiava gli abitanti di queste montagne
coltivate a caffè e cocaina, i «paisa», appunto. Nel 1980 ha osservato il primo ceppo in cui la demenza senile
si ripresentava attraverso le generazioni, oggi, ha trovato 25 famiglie, 5 mila membri in tutto, in cui il 30% è
malato o portatore. Non era perciò il contatto con le ferite dei dementi, né la linfa di certe piante che crescono
solo lì, come si diceva, a iniziare questo stato degenerativo delle cellule del cervello, ma una proteina: la
Preselina-1, che causa una mutazione nel cromosoma 14. L'origine Col tempo, Lopera è riuscito anche a
stabilire l'origine del problema: una coppia di poveri immigrati baschi, arrivati in Antioquia nel 1745 a piantare
il seme di un albero genealogico sfortunato, in cui i figli hanno il 50% di possibilità di ereditare l'Alzheimer da
un padre che l'ha avuto. Da neurochirurgo, Lopera ha messo in piedi un laboratorio molto speciale, una
banca dati di cervelli, fatta con le donazioni delle famiglie colpite. Per un profano, la differenza visiva tra un
cervello sano e uno malato d'Alzheimer è quella che ci passa tra un fungo fresco e uno secco. Attualmente,
la causa del morbo è ancora sconosciuta, ma nell'5% dei casi viene dimostrata l'origine genetica. Secondo
Lopera, bisogna agire prima che si manifestino i sintomi. Lui ci sta provando con un farmaco nuovo, che 300
membri sani delle famiglie a rischio hanno accettato di provare. Nel 2020 sapremo se questa molecola può
davvero scacciare la maledizione di Yarumal e da qui essere usata in tutto il mondo.
30 milioni I casi diagnosticati nel mondo di Alzheimer
40 anni In genere la malattia arriva dopo i 60 anni ma a Antioquia colpisce 20 anni prima
Foto: RAUL ARBOLEDA /AFP
Foto: Yarumal Un malato accompagnato dalla figlia a Yarumal Sopra la chiesa nella piazza principale del
villaggio
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La storia
19/01/2015
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"Garantire la dignità ai pazienti"
Lo sfogo di Chiamparino: "Ripenso a mio padre in barella in un corridoio"
ALESSANDRO MONDO
Lo sta dicendo ai sindacati? Conosco quelle che possono essere le realtà dei pronto soccorso: l'ho
sperimentato personalmente, anni fa, quando mio padre finì su una barella al Mauriziano». Al termine di
un'altra giornata di super-lavoro nei Dea di Torino, e in vista di una settimana decisiva per la Sanità
piemontese - quella in cui la Regione si aspetta da Roma una deroga al blocco del turn-over per assumere
almeno 600 tra medici e infermieri Sergio Chiamparino torna sull'emergenza in corso. Un dato per tutti: negli
ultimi dieci giorni i passaggi giornalieri alle Molinette sono saliti da una media di 220 a 260. Pazienti in barella,
personale esasperato, turni massacranti: da allora non è cambiato nulla? «Abbiamo trovato una serie di
problemi, stiamo lavorando per rimediare. I pronto soccorso sono i punti di primo impatto, non si può andare
avanti così: in primis, va garantita la dignità delle persone. Tanto più che non parliamo di persone qualsiasi».
In che senso? «Sovente approdano ai Dea degli ospedali i più deboli e più esposti: penso agli anziani che
non possono contare su una rete famigliare o su altre forme di assistenza». Come se ne esce? «Intanto va
premesso che l'emergenza contingente, dovuta all'arrivo dell'influenza, interessa tutta l'Italia. Può darsi che in
parte abbia inciso anche la gestione, piuttosto confusa, della questione dei vaccini». Parla degli allarmi dei
mesi scorsi? «E' plausibile che alcuni abbiano deciso di non farsi vaccinare, aumentando il numero della
popolazione esposta all'influenza». Se è per questo, l'influenza ha portato a galla vecchi problemi: ad
esempio, la carenza di medici e infermieri. «Vero. Anche così, i dati sull'impiego del personale in certe realtà,
documentati dai giornali, mi lasciano perplesso». Si riferisce agli esoneri, ai dipendenti in aspettativa o in
permesso sindacale? «Intendiamoci: non voglio demonizzare nessuno, magari sarà tutto legittimo... però
sono questioni su cui andare a fondo». «Dico che la questione va approfondita con loro: oltretutto, una
verifica puntuale delle varie situazioni, in termini di utilizzo degli organici, è fondamentale per stabilire dove
dirottare le nuove assunzioni». Assunzioni mirate? «Saranno destinate solo dove si registrano le vere
emergenze. Ecco perchè, prima di muoversi, è necessario verificare se tutti fanno il loro dovere: si sa che
nella burocrazia c'è di tutto». Fiducioso sulla possibilità di ottenerle, le assunzioni? «Molto fiducioso, dato il
buon lavoro che sta svolgendo l'assessore Saitta: l'incontro che mercoledì lui e il direttore Moirano avranno
con i tecnici dell'Economia sarà dirimente». Ci sarà anche lei? «Io sarò a Roma per la Conferenza StatoRegioni: se sarà il caso, sono pronto a fare la mia parte. Il Piemonte è soggetto al piano di rientro del debito
perchè in passato i conti della Sanità erano andati fuori controllo. Ma trovo giusto che oggi il Ministero prenda
atto degli sforzi per invertire la rotta».
Settimana decisiva per la Sanità Treno di dasciogliere per scongiurare il collasso Oggi la giunta
regionale affronterà, tra gli altri temi, il problema del pagamento degli assegni di cura per l'assistenza
domiciliare. Se non si troverà la copertura, a livello locale e nazionale, nei prossimi mesi 11 mila famiglie in
Piemonte rischiano di non poter assistere i loro cari: 300 quelle già a rischio. Mercoledì faccia a faccia tra
Antonio Saitta, con il direttore dell'assessorato Moirano, e i tecnici del ministero dell'Economia. Obiettivo della
Regione: dimostrare il progressivo risanamento dei conti della Sanità piemontese e ottenere una deroga al
blocco del turnover: servono almeno 600 assunzioni. A fine settimana, la data è ancora incerta, è prevista
una seconda riunione di giunta nella quale Saitta riporterà la delibera (già approvata) sulla riforma degli
ospedali integrata dalle modifiche concordate con le amministrazioni locali: mossa preventiva in vista del 26
gennaio, data ultima per presentare eventuali ricorsi.
Foto: I letti Per far fronte all'emergenza in alcuni ospedali hanno rinviato gli interventi non urgenti
Foto: Il personale Si attende da Roma il via libera per poter assumere almeno 600 fra infermieri e medici e
sbloccare il turn-over
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Emergenza pronto soccorso: verso il picco dell'influenza Intervista
19/01/2015
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Foto: Un'immagine del pronto soccorso del Mauriziano intasato di barelle e malati in attesa di un letto in
reparto: anche il presidente della Regione ricorda le ore in attesa di un posto quando ha assistito il padre
17/01/2015
Il Messaggero - Roma
Pag. 41
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Il San Filippo Neri è salvo sarà il punto di riferimento oncologico della Asl
Rm E»
CHIRURGIA CHIUDE MA I CINQUE MEDICI SARANNO INTEGRATI IN ALTRI NOSOCOMI VIA AI LAVORI
IN DUE REPARTI
Camilla Mozzetti
Ha rischiato di fare la fine del San Giacomo con la minaccia licenziamenti per quasi 2mila dipendenti. Invece
l'ospedale San Filippo Neri sulla Trionfale, eccellenza regionale per i reparti di Oncologia, Cardiologia,
Neurochirurgia e Chirurgia vascolare, a due anni dalla crisi che ne preannunciava la chiusura, continuerà il
proprio lavoro grazie all'accorpamento della struttura con l'Asl Roma E. Una riorganizzazione, in vigore dal
primo gennaio, deliberata dalla regione Lazio nei programmi operativi 2013-2015 e nel riordino ospedaliero,
che pone il nosocomio alle dipendenze dell'Asl territoriale e lo trasforma nel terzo punto di raccordo di una
rete sanitaria che contempla anche l'ospedale Santo Spirito e l'Oftalmico. L'operazione di riconversione è
stata affidata al dirigente dell' azienda sanitaria, Angelo Tanese. Dottor Tanese, come cambierà il San Filippo
Neri? «L'obiettivo è di specializzare maggiormente l'attività dell' ospedale integrandola con gli altri presidi
sanitari. L'attività chirurgica oncologica del San Filippo, ad esempio, che, nel 2014, ha coperto 1.174
interventi, diventerà il punto di riferimento della rete e intendiamo trasferire su questo anche l'attività del
Santo Spirito, mentre l'attività oculistica sarà decentrata maggiormente sull'ospedale oftalmico, questo
consentirà anche dei risparmi per l'acquisto dei beni e servizi in tutte le strutture. Inoltre, saranno definiti
percorsi integrati con il personale dell'Asl Rm E e con i consultori ginecologici creando un ponte per
programmare poi i parti (1.100 quelli dell'anno passato) al San Filippo». Il personale medico e infermieristico
sarà ridotto? «Il nuovo atto aziendale prevede una riduzione di reparti, le unità operative complesse
passeranno da 135 a 89 ma questo non significa taglio di dipendenti o di posti letto quanto una riduzione sul
numero di primariati che caleranno del 35 per cento». Eppure, il reparto di cardiochirurgia del San Filippo
sarà cancellato. «È l'unica reale dismissione con la cancellazione di dodici posti letto, mentre per il personale
medico, cinque chirurghi, si sta elaborando un piano di trasferimento in altre strutture ospedaliere». Come
affronterà, invece, l'emergenza del Pronto soccorso e l'ammodernamento di strutture ormai vetuste? «Nel
piano di rientro il San Filippo ha ottenuto l'autorizzazione ad assumere due medici da pronto soccorso, sul
versante dei lavori, invece, grazie a un appalto di 18 milioni di euro già assegnato, porteremo a termine la
ristrutturazione di due dei quattro blocchi ospedalieri, quelli costruiti negli anni '40 e '60 del secolo scorso,
mentre nei prossimi tre anni proseguiremo al miglioramento delle strutture restanti».
Foto: Angelo Tanese, dirigente della Asl Rm E
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista Angelo Tanese
17/01/2015
Il Giornale - Milano
Pag. 6
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Influenza, ospedali in crisi: «Riprendete a vaccinarvi»
L'allarme per alcuni decessi sospetti ha ridotto del 20% la prevenzione Via libera alle nuove regole per pronto
soccorso, visite serali e cure dentali TRASPARENZA Obbligo di pubblicare i tempi di attesa nei siti aziendali
Giannino della Frattina
Dopo il crollo delle vaccinazioni, la Regione annuncia il prolungamento della campagna anti-influenza che di
solito termina a dicembre. Ieri la conferma di un calo del 20 per cento e l'invito postato su Twitter
dall'assessore alla salute Mario Mantovani: «In #Lombardia la campagna per la #vaccinazione prosegue.
Auspicio massima partecipazione ad una così importante iniziativa di prevenzione!». Perché anche secondo il
ministero l'influenza stagionale si sta rivelando quest'anno molto «più aggressiva» del solito. Con l'Istituto
superiore di sanità che segnala un aumento dei casi nelle ultime settimane, per un numero di italiani costretti
a letto che ha superato quota 1,3 milioni. Creando molti problemi ai pronto soccorso dove si sono allungate le
attese e preoccupazione visto che il picco dei casi è previsto per metà febbraio. E così l'invito è vaccinarsi,
rifuggendo «dalla psicosi e dalle campagne disinformative sul tema che - ha detto il ministro Beatrice
Lorenzin - dilagano in rete». Ma ieri, per gli assessori Mantovani e Cristina Cantù, è stata anche la giornata
per presentare le nuove Regole 2015 del sistema socio-sanitario. Principi e interventi che precedono quella
rivoluzione che dovrà essere introdotta dalla nuova legge regionale che ieri è tornata in giunta per
l'approvazione dopo le modifiche richieste. Nuova astensione del Nuovo centrodestra che difende il sistema
formigoniano e convocazione del tavolo voluto dal governatore Roberto Maroni per trovare un'intesa nel
centrodestra. Tornando alle Regole 2015 e ai pronto soccorso, Mantovani ha annunciato progetti «per la
gestione delle emergenze-urgenze finanziati con 2 milioni di euro nell'area metropolitana, prevedendo un
aumento temporaneo dei posti letto nei periodi di iper-afflusso» come quelli dell'influenza. Fissato in via
Rugabella il punto di emergenza legato all'Expo, confermata l'operazione Ambulatori aperti che da settembre
ha già visto oltre 100mila appuntamenti fissati la sera, il sabato e la domenica. Con visite ed esami radiologici
che arrivano a 7 milioni e un incremento di Tac e risonanze magnetiche del 4 per cento. Nelle Regole 2015
anche l'obbligo di «pubblicazione dei tempi di attesa nei siti aziendali», perché i pazienti possano scegliere le
strutture dove minore è la coda. Risorse a disposizione per «odontoiatria sociale» con protesi dentarie offerte
gratuitamente a chi è in difficoltà, ma anche creme e guaine per il seno ai pazienti oncologici. Quelli ad «alto
rischio» avranno anche l'esenzione dal ticket per le attività di sorveglianza. Già avviato il programma delle
«ricette elettroniche» e nelle farmacie diventate sportelli della salute in due settimane sono già state 60mila
ad esempio le pratiche per la richiesta di esenzioni. «In Lombardia - ha spiegato Maroni - vogliamo
continuare sulla strada della riduzione dei costi per i cittadini nella sanità». Con il progetto di riduzione dei
ticket fino ad azzerarli, sottolinea Mantovani, che «dipende dal governo, dal rispetto delle risorse previste nel
Patto per la salute».
I numeri 1,3 I milioni di italiani costretti a letto per i sintomi influenzali. Il picco è previsto nel mese di febbraio
2 I milioni di euro messi a disposizione per affrontare la gestionedelleemergenze-urgenze 33
Ilcostoinmilionidi13settimane di influenza per le imprese lombarde fino all'11 gennaio: 284mila giorni di lavoro
persi 60.000 Le pratiche già avviate in Lombardia da parte di cittadini che chiedeno l' esenzione
Foto: ALLARME Dalla Regione nuova campagna pro vaccini
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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SANITÀ La Regione allunga i termini della campagna
18/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Il 25 per cento delle donne è colpito da fibromi uterini
Luisa Romagnoni
Alcune patologie, sono esclusivamente femminili. Quelle che colpiscono gli organi della riproduzione (ovaio,
tube, utero, vagina e vulva), quando si manifestano affliggono la donna nella sfera più intima, quella della
femminilità. Prevenirle è doveroso. Occorrono controlli regolari ginecologici, anche in assenza di problemi e
sintomi. Poi a livello di trattamento, oggi sono disponibili innovative soluzioni terapeutiche che possono,
indubbiamente contribuire a migliorare la salute, la qualità di vita ed a preservare l'integrità anatomica del
proprio corpo. Un esempio in questo senso, riguarda il trattamento del fibroma uterino. Il più diffuso tumore
benigno dell'apparato riproduttivo femminile. Interessa una donna su 4 in età fertile, 24milioni di Europee, più
di 3milioni di Italiane, con un'incidenza fino al 30-40 per cento nella fascia d'età 40-49 anni. «L'utero
rappresenta nella mente della donna quella culla primordiale della riproduzione e della fertilità che, se colpita
da una malattia, crea disagio e sofferenza, anche più delle patologie della mammella», spiega Rossella
Nappi, Policlinico San Matteo di Pavia. «A ciò va aggiunto lo stress per via dei sintomi, in modo particolare, il
sanguinamento abbondante e l'anemia ad esso correlata, che interferiscono nella vita di tutti i giorni, dalle
uscite ai viaggi, al non poter praticare sport, al doversi assentare dal lavoro. Ci sono inoltre forti ricadute sulla
sessualità e sul desiderio di maternità, oggi più di ieri dal momento che le donne arrivano alla gravidanza più
tardi, anche dopo i 40 anni». Non solo i sintomi, ma anche l'approccio terapeutico per questa patologia
(riservato ai fibromi uterini sintomaci, il 50 %), fino ad oggi chirurgico (circa il 30 % delle procedure
chirurgiche ginecologiche e i 2/3 delle isterectomie, sono effettuate per i fibromi uterini), impatta fortemente
sulla salute e sulla sfera emotiva della donna. Uno scenario destinato però a cambiare, grazie alla
disponibilità, anche in Italia, di ulipristal acetato, il primo trattamento orale per la terapia prechirurgica dei
fibromi uterini. Il farmaco appartiene ad una nuova classe di molecole :i modulatori selettivi del recettore del
progesterone, SPRMs.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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NUOVE TERAPIE
18/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 17
(tiratura:100000)
IN CINA CAMPI DI LAVORO PER LA RIEDUCAZIONE DEI FORZATI DA WEB-DIPENDENZA SPESSO
SONO I GENITORI A PORTARE I FIGLI NEI CENTRI-PRIGIONE, PER CURE LUNGHE MESI PEGGIO DI
DROGHE L ' abuso provoca alterazioni simili a quelle degli eroinomani Distrugge le relazioni umane e causa
disordini alimentari
Carlo Antonio Biscotto
In Cina ci sono 632 milioni di utenti di Internet e, stando a quanto riferiscono le autorità, 24 milioni sono
giovani dipendenti da questa droga virtuale. Come vengono disintossicati? In campi di tipo militare ai quali
vengono affidati dai genitori disperati. Come sono gestiti questi campi di rieducazione e come ci vivono i
ragazzi, lo ha raccontato Zigor Aldama in un bel reportage pubblicato dal Daily Telegraph. Al giovane Chen
Fei, ad esempio, i genitori avevano promesso una vacanza a Pechino dopo la fine dell ' anno scolastico. Ma
gli è bastato uno sguardo per capire che non si trattava di una vacanza. In una specie di casermone a
Daxing, un quartiere operaio nella periferia sud di Pechino, che un tempo ospitava un istituto tecnologico,
coabitano una settantina di adolescenti che indossano uniformi di foggia militare. In un ' altra ala dell ' edificio,
la mamma di Chen piange mentre spiega a uno psichiatra per quale ragione hanno fatto un viaggio di oltre
900 chilometri: " La dipendenza di nostro figlio da Internet sta distruggendo la famiglia " , dice. " Ha
cominciato un paio di anni fa frequentando gli Internet Point, ma non abbiamo dato peso alla cosa. Andava
bene a scuola e pensavamo che questo svago servisse a rilassarlo. Ma il tempo passato dinanzi al computer
aumentava di giorno in giorno tanto che ha cominciato a soffrirne il suo rendimento scolastico. Poi circa sei
mesi fa ha perso completamente il controllo e ha trascorso oltre 20 ore dinanzi al computer senza dormire e
senza mangiare. Sembrava impazzito " . Chen Fei dovrà rimanere nel centro dai 3 ai 6 mesi e dovrà seguire il
programma terapeutico messo a punto da Tao Ran, psichiatra e colonnello dell ' esercito, che combina la
disciplina militare con le normali procedure di disintossicazione. Durante la permanenza nel centro Chen non
potrà avere accesso ad alcun dispositivo elettronico e non potrà avere contatti con l ' esterno. " LA
DIPENDENZA da Internet provoca nel cervello alterazioni simili a quelle che si riscontrano negli eroinomani "
, spiega il dottor Tao. " Ma per certi aspetti è persino più pericolosa in quanto distrugge le relazioni umane e
causa disordini alimentari, problemi alla vista e alla schiena " . Inoltre, sempre secondo Tao, il 90% dei
pazienti soffre di depressione e il 58% ha aggredito i genitori. " Il 67% della delinquenza giovanile è causata
dalla dipendenza da Internet. Questi particolari tossicodipendenti idolatrano la mafia e non sono più in grado
di distinguere tra realtà e finzione " , aggiunge Tao. Ma i metodi militari di Tao Ran sono anche oggetto di
critiche. Il dottor Tao Hongkai, docente universitario, si è messo alla testa di un movimento per la chiusura del
centro di Daxing e il medico neozelandese Trent Bax ha scritto la tesi per il dottorato su Daxing e ritiene che i
metodi di Tao Ran siano una forma dissimulata di tortura. Entrambi contestano l ' affermazione secondo cui la
dipendenza da Internet si possa equiparare alla tossicodipendenza da sostanze stupefacenti e la
considerano, piuttosto, una forma di devianza sociale e non una patologia clinica. Ma come è la giornata tipo
nel centro di Daxing? Sveglia alle 6 e 30 e appello con un altoparlante che urla i nomi di tutti i pazienti. Finito l
' appello, 20 minuti per lavarsi poi inizia l ' addestramento militare affidato a un ex soldato: " Quando arrivano
sono arroganti, ma in condizioni fisiche pietose. Non riescono né a correre né a fare dei semplici piegamenti "
, spiega l ' istruttore Ma Liqiang. L ' esercizio fisico serve a rimetterli in forma, ma anche a insegnare il rispetto
e l ' obbe dienza. " All ' inizio è dura, ma dopo pochi mesi i risultati si vedono " , aggiunge Ma. Il dottor Tao
Ran si augura che il metodo da lui messo a punto divenga la cura standard per i dipendenti da Internet.
Sostiene che dal 2008, il 75% dei ragazzi passati nel centro sono stati recuperati a una vita normale. Un dato
straordinario, ma difficile da verificare. Tuttavia in Cina ci sono già 300 cliniche che utilizzano - in tutto o in
parte - il metodo basato sulla disciplina militare. Il vangelo di Tao è stato pubblicato in 22 lingue. " È iniziato
tutto nel 2003 con l ' epi demia di Sars. I ragazzi erano costretti a stare a casa per paura del contagio e, in
assenza di un efficace controllo da parte dei genitori, hanno preso l ' abi tudine di passare ore su Internet " ,
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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I " drogati " di Internet si curano nei lager
18/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 17
(tiratura:100000)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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dice Tao. " Ho cominciato a curare questi adolescenti con le terapie convenzionali e il risultato è stato
fallimentare. Poi nel 2007 mi è stato permesso di ricoverare gli studenti in un ospedale militare e le cose sono
migliorate immediatamente tanto che l ' anno seguente abbiamo iniziato a coinvolgere le famiglie " . Un mese
di terapia costa 9.300 yuan (circa 1.300 euro, ndr ) cui bisogna aggiungere le spese per il cibo, gli esami
clinici e i farmaci. Per molte famiglie è un sacrificio economico notevole, ma necessario. Il metro per valutare
la guarigione? " Semplice " , risponde Tao. " Considero un ragazzo guarito se a sei mesi dalla fine della
permanenza nel centro, riesce a usare Internet per meno di 6 ore al giorno " .
Foto: A destra, un internetcafé a Pechino e un carcere a Shanghai Ansa
17/01/2015
QN - Il Resto del Carlino - Bologna
Pag. 4
(diffusione:165207, tiratura:206221)
Il Sant'Orsola perde un'eccellenza
Se ne va Stefano Pileri, direttore di Emolinfopatologia IL SALUTO «Il bene dei pazienti viene prima di tutto.
Servono umiltà e costante aggiornamento»
BOLOGNA perde una preziosa eccellenza con l'addio di Stefano Pileri, direttore responsabile dell'unità
operativa di Emolinfopatologia al Sant'Orsola e docente all'Alma Mater di anatomia patologica, nonché
quarantaduesimo nella classifica dei 'Top italian scientists'. Ieri il luminare ha salutato commosso amici e
colleghi all'Istituto di Ematologia ed Oncologia Medica Seràgnoli, che lascia per l'Istituto europeo di oncologia
di Umberto Veronesi (portandosi via alcuni dei suoi collaboratori), dove si occuperà, assieme ad un gruppo di
esperti da lui soprannominato 'Dream Team', dello studio del sequenziamento del genoma delle cellule
tumorali, per la ricerca di un trattamento alternativo alla chemioterapia. La sua Unità di Ricerca ha raccolto
nei soli ultimi cinque anni 2,6 milioni di euro; inoltre, Pileri ha fondato personalmente la Spes onlus, ora
chiusa, per l'acquisto di attrezzature e l'organizzazione eventi, e l'Associazione bolognese per lo Studio dei
tumori ematologici, in liquidazione, che ha raccolto un milione e duecentomila euro per gli stipendi dello staff
dell'unità di Emolinfopatologia. Il professore è inoltre stato indicato dal Miur nel 2013 come docente in servizio
con più titoli dell'università di Bologna; all'attivo ha più di mille pubblicazioni. ALLA cerimonia di saluto hanno
partecipato anche il rettore Dionigi, che ha ringraziato Pileri a nome della città e delle tante persone cui ha
giovato, e Fabio Roversi-Monaco. Il direttore dell'unità operativa di Ematologia, Michele Cavo, ha sottolineato
quanto il professore «abbia contribuito ad accrescere la credibilità e il peso scientifico dell'Istituto Seràgnoli».
«Ho sempre cercato di mettere il mio lavoro davanti a tutto, così come il bene dei miei pazienti, senza mai
curarmi del guadagno personale - ha detto Pileri -. Ritengo poi siano fondamentali l'empatia con il paziente e
il costante aggiornamento, non solo tecnologico». Nel 1976 diventa assistente incaricato di Anatomia
Patologica; dal 2001 è professore ordinario: «Uno dei momenti più importanti della mia vita è stato quando,
nel 1994, sono stato uno dei firmatari della classificazione di linfomi Real (Revised European-American
Lymphoma), una vera e propria rivoluzione per il nostro settore», ricorda. Non solo: Pileri è noto anche per i
suoi decisivi studi nel campo della diagnosi delle neoplasie dei linfonodi come processo integrato, che hanno
portato alla modifica dei controlli da rigidi protocolli standard a terapie individuali. Pileri ha concluso
elencando le capacità «scontate, auspicabili e fondamentali della professione medica: cultura, umiltà,
passione e onestà intellettuale» e ricordando che «freedom is not free: il bene va preservato anche se talvolta
può costare». Federica Orlandi Il professore Stefano Pileri (a sinistra) con il rettore Ivano Dionigi durante la
cerimonia di ieri
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL SALUTO
17/01/2015
QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Pag. 2
(diffusione:165207, tiratura:206221)
«Trasferimento del Salesi,chiedo l'accesso agli atti»
RICHIESTA di accesso agli atti sul trasferimento del Salesi a Torrette e sulla prospettiva del nuovo
pediatrico-infantile. Il sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli ha scritto la richiesta ufficiale di accedere agli atti
che le due parti hanno redatto e sottoscritto l'autunno scorso al direttore generale dell'azienda Ospedali
Riuniti', Paolo Galassi. Ciò che è scritto nel cronoprogramma dovrebbe essere di sua conoscenza, a meno
che nel frattempo non siano intervenute delle modifiche: «La richiesta si legge in una nota diffusa da Palazzo
del Popolo riguarda la documentazione del Piano analitico ed integrale dei trasferimenti e spostamenti dei
reparti dell'ospedale regionale di Torrette propedeutico a lasciare spazio, presso la stessa struttura, per
l'ospedale materno infantile Salesi. Il Comune di Ancona, fedele al cronoprogramma concordato con la
Regione, è impegnato a compiere ogni azione utile e necessaria perchè si realizzi il nuovo Salesi, ponendo
massima attenzione a modalità e i tempi della fase cosiddetta transitoria e le possibili conseguenze sulla
qualità dei servizi erogati nei reparti che sono soggetti a trasferimento e compressione per lasciare posto al
pediatrico».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL SINDACO AL DIRETTORE GALASSI
17/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Pareri tecnici da Consiglio superiore di sanità e Aifa, poi la decisione sull'obbligo di ricetta Il Ministero della
Salute risponde all'interpellanza di Gian Luigi Gigli: verrà esaminato «ogni aspetto correlato alla sicurezza
nell'uso del farmaco». Che non è solo un contraccettivo
FRANCESCO OGNIBENE
Il governo italiano non intende adeguarsi senza batter ciglio alla decisione europea di mettere in vendita nelle
nostre farmacie EllaOne - meglio nota come «pillola dei cinque giorni dopo» - senza più esigere la
prescrizione medica. E rivendica il diritto-dovere delle autorità sanitarie del nostro Paese di vederci chiaro su
funzionamento, effetti e responsabilità. L'ha dichiarato ieri alla Camera Vito De Filippo, sottosegretario alla
Salute, che rispondendo a un'interpellanza di Gian Luigi Gigli (Per l'Italia) ha annunciato che «la questione
sarà rimessa al Consiglio superiore di sanità affinché approfondisca i profili di sicurezza del medicinale e si
esprima nuovamente alla luce della intervenuta variazione a livello comunitario». Il Consiglio - organo di
consulenza del ministro della Salute, chiamato in causa ad esempio per decidere sul caso Stamina - si era
già espresso su EllaOne quando il discusso "contraccettivo d'emergenza" (con effetti abortivi se una
gravidanza è già in corso) era stato immesso in commercio nel nostro Paese: e proprio per l'effetto del
principio attivo (l'ulipristal acetato, lo stesso della pillola abortiva Ru486) nell'impedire l'annidamento
dell'embrione eventualmente già formato aveva proposto il 14 giugno 2011 di anteporre al rilascio della ricetta
un test di gravidanza. Adottando il parere, il Ministero sancì che solo in presenza di esito negativo del test il
medico poteva prescrivere il farmaco. Ora l'improvvisa decisione dell'Ema - l'ente di controllo sui farmaci
nell'Unione europea - di assecondare la richiesta dell'azienda produttrice francese Hra Pharma di ricatalogare
EllaOne come contraccettivo, eliminando l'allarme sui possibili effetti abortivi, richiama in causa gli organismi
scientifici e di vigilanza. Anche l'Aifa - omologo italiano dell'Ema - viene ora convocata dal governo, tuttt'altro
che rassegnato a prendere ordini da Bruxelles in tema di aborto e contraccezione: l'Agenzia italiana del
farmaco, ha detto infatti De Filippo, «sottoporrà la questione alla propria commissione tecnicoscientifica, che
sta esaminando in maniera approfondita ogni aspetto correlato alla sicurezza dell'uso del farmaco in
automedicazione, in quanto in tal caso lo stesso potrebbe divenire liberamente acquistabile». L'esito è
facilmente immaginabile: chiunque - adolescenti in primis - potrebbe procurarsi un numero indefinito di
confezioni assumendo senza controllo medico un farmaco tutt'altro che innocuo. Le responsabilità di una
simile scelta sono di assoluto rilievo. E suggeriscono di pensarci bene. Una volta acquisiti tutti i pareri, il
Ministero della Salute deciderà «se ricorrano o meno le condizioni per la dispensazione del medicinale su
prescrizione medica». Gigli aveva svolto in aula una vera e propria lezione: «Parlare di prevenzione della
gravidanza - aveva detto il deputato centrista - quando al farmaco viene invece richiesto di agire con un
meccanismo post-concezionale è una grossolanità, un falso scientifico, un po' come quella storia, poi caduta
in disuso, del cosiddetto pre-embrione che sarebbe stata c osa diversa dall'embrione». Citando dati esibiti
dalla stessa HraPharma, Gigli ha aggiunto che «se il potere antiovulatorio di EllaOne è solo dell'8% e
l'efficacia nell'evitare la gravidanza è di oltre l'80%, qualcosa di diverso come meccanismo evidentemente
deve esserci. Anche uno sprovveduto capisce che se una donna avesse un rapporto in periodo fertile oggi,
concepisse domani, prendesse EllaOne dopodomani, e questa funzionasse, non potrebbe agire solo un
meccanismo antiovulatorio...».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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«Chiarezza su EllaOne» Il governo chiede lumi
17/01/2015
Avvenire - Milano
Pag. 1
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Riforma sanitaria, il tavolo parte in salita
La giunta cerca soluzione condivisa. Ma altre proposte arrivano da Ncd e Forza Italia Sarà il presidente
Maroni a coordinare i lavori, con appuntamenti fissi prima dei passaggi più delicati Brambilla (Pd): «Non
hanno ancora risolto nulla»
Davide Re
Riforma della Sanità, per la maggioranza di centrodestra prima schiarita, anche se molti nodi - politici rimangono ancora da sciogliere. Si cerca una proposta condivisa, nonostante ieri mattina la giunta ha votato
nuovamente la delibera presentata prima di Natale (che una volta arrivata in Consiglio regionale si era
mostrata priva di alcuni documenti tecnicogiuridico, come la sostenibilità economica) senza i voti degli
assessori del Nuovo Centro Destra, Mauro Parolini e Mario Melazzini. Così ieri si è insediato in Regione un
tavolo di maggioranza con lo scopo, appunto, di coordinare e sintetizzare in un solo testo tutte le proposte di
riforma del centrodestra. Ieri si è deciso che il tavolo sarà coordinato dal governatore Roberto Maroni e che
l'appuntamento sarà fisso e precederà sempre le commissioni consiliari più delicate, laddove la Riforma
prenderà forma. Una modifica della Sanità lombarda che dovrà essere pronta prima della fine dell'anno. Non
solo, sia Forza Italia sia Ncd presenteranno nei prossimi giorni un proprio testo in commissione, che
affiancherà quello della giunta. Alla riunione hanno preso parte gli assessori alla Salute, Mario Mantovani (Fi)
e alla Famiglia, Maria Cristina Cantù (Lega Nord), il presidente della commissione Sanità del Consiglio
regionale e autore della proposta che la giunta ha approvato a dicembre come testo base su cui lavorare,
Fabio Rizzi (Lega Nord), e i rappresentanti di tutti i gruppi della maggioranza di centrodestra. «Credo che
oggi si sia avuta la conferma di proseguire uniti e determinati sull'argomento», ha affermato in una nota il
consigliere del Carroccio Fabio Rolfi, il quale ha ribadito - in merito ai contenuti - che «il Libro Bianco sulla
Sanità resta il riferimento imprescindibile di tutta la maggioranza». Così come rimane centrale una delle
indicazioni di Maroni, ovvero una migliore organizzazione del modello permetterebbe risparmi importanti da
reinvestire nella componente socioassistenziale, anche alla luce del progressivo invecchiamento della
popolazione lombarda. Dopo l'incontro è intervenuto anche Luca Del Gobbo, capogruppo di Ncd. «Siamo
sicuri - ha detto Del Gobbo - che con la regia del presidente Maroni questo lavoro porterà al risultato
auspicato di migliorare un sistema già di grande eccellenza». Non mancano però le polemiche. All'incontro ha
detto di non essere stata invitata Maria Teresa Baldini, medico e consigliere dei Popolari per l'Italia. «Sono
amareggiata dalla mancanza di rispetto nei miei confronti da parte del presidente di Regione Lombardia,
Roberto Maroni». Baldini era stata eletta nella Lista Maroni presidente, per poi migrare successivamente in
Popolari per l'Italia, la formazione politica di Mario Mauro. Sulla proposta di riforma della Sanità per il Pd
lombardo «la giunta Maroni ha archiviato la brutta figura ma non ha ancora risolto nulla», ha concluso il
capogruppo democratico in Regione Lombardia, Enrico Brambilla. Nei mesi scorsi i consiglieri regionali
democratici, Carlo Borghetti e Sara Valmaggi, avevano pure loro consegnato una proposta di riforma.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Regione.
17/01/2015
Avvenire - Milano
Pag. 3
(diffusione:105812, tiratura:151233)
La Lombardia dice 33. Milioni
È il «costo» dei lavoratori colpiti da influenza negli ultimi mesi La Camera di Commercio di Milano ha
elaborato dati Istat e del Ministero della Salute. Fra ottobre e gennaio si sono persi per malattia 284mila
giorni. Nello stesso periodo dell'anno prima, si erano spesi 19 milioni
CARLO GUERRINI
influenza "colpisce" senza distinzioni, anche il mondo delle imprese. E in Lombardia comporta un costo che,
in base alle prime stime, cresce decisamente nel raffronto su base annua, collocando alcune province nelle
prime posizioni della "classifica" nazionale. A dare sostanza al "peso" della malattia sul sistema produttivo
lombardo sono le stime della Camera di commercio di Milano prendendo come base i dati Istat e del
ministero della Salute. L'aggravio per le aziende in termini economici, considerate le tredici settimane
comprese tra lo scorso mese di ottobre e l'11 gennaio di quest'anno, supera in Lombardia i 33 milioni di euro,
oltre un quinto del totale italiano (stimato in 153 milioni di euro a fronte di 1,5 milioni di giorni "condizionati"
dall'influenza), per circa 284mila giorni persi in malattia. Un dato - spiega una nota - che considera gli
occupati costretti a letto, tra imprenditori e lavoratori, per una media di tre giorni di convalescenza a testa ed
esclude il costo del weekend. E, come detto, si tratta di una "spesa" significativamente in aumento in
Lombardia nel raffronto con lo stesso periodo dell'anno precedente (quando l'incidenza dell'influenza era
stata quantificata in 19 milioni di euro) a causa soprattutto del forte aumento degli effetti del virus nella
seconda settimana di questo mese: l'incidenza, dal 5 all'11 gennaio, in Italia, come spiega la nota, è stata di
6,23 ogni mille persone con età compresa tra i 15 e i 64 anni, rispetto a 3,93 dello stesso periodo dello scorso
anno. La più colpita tra le province lombarde è Milano con un costo di 11 milioni di euro (rispetto ai 6,3 milioni
di euro dello scorso anno) e circa 92mila giorni di malattia: il capoluogo regionale, nel Paese, come evidenzia
la Camera di commercio di Milano, è preceduta solo da Roma (con 13 milioni di euro per 115mila giornate); a
seguire Brescia con 4 milioni di euro circa (è quinta in Italia) e Bergamo con 3,6 milioni, entrambe con oltre
30mila giorni di malattia. Vengono poi Monza e Brianza e Varese (entrambe con circa 3 milioni a testa e oltre
25mila giorni di malattia). Dati più contenuti, comunque non indifferenti, negli altri territori lombardi: si spazia
dai 2 milioni di euro di costi per le imprese comasche (a fronte di 17mila giornate perse per le conseguenze
dell'influenza) ai 590mila euro di Sondrio (5mila giorni penalizzati dall'influenza) passando - tra l'altro - per gli
1,8 milioni di euro di Pavia, 1,4 milioni di Mantova e 1,1 milioni di euro di Lecco e il milione di euro di costi per
le aziende cremonesi. Per fronteggiare l'influenza anche in questi giorni non mancano gli inviti a ricorrere al
vaccino. Dopo i medici - che hanno ricordato la possibilità fino alla fine del mese -, è intervenuto anche il
vicepresidente e assessore alla Salute della Regione Lombardia, Mario Mantovani: sul suo profilo twitter ha
sottolineato che «in Lombardia la campagna per la vaccinazione prosegue. Auspico la massima
partecipazione a una così importante iniziativa di prevenzione».
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Il caso
17/01/2015
Avvenire - Milano
Pag. 3
(diffusione:105812, tiratura:151233)
In vent'anni sono stati formati 800 studenti Ma ora le regole del ministero sono stringenti
GIACINTO BOSONI
essuno studente potrà mai più iniziare il corso di laurea per infermieri a Lodi. La decisione è già stata
deliberata e mercoledì sarà ratificata dal consiglio accademico dell'Università di Pavia. Una scelta legata alle
regole più stringenti dettate dal ministero per accreditare i corsi. Dunque nel prossimo anno accademico
nessun nuovo studente potrà essere accolto a Lodi. Così come è successo a Treviglio (Bergamo), resteranno
solo il secondo e il terzo anno e le matricole che vorranno studiare alla facoltà di infermieristica dovranno
recarsi a Pavia o a Vigevano. «Il ministero ha dettato obblighi sempre più stringenti - spiegano nella
segreteria della sede lodigiana - e il numero dei docenti impegnati nell'insegnamento è andato calando».
L'azienda ospedaliera riceve circa 23mila euro all'anno da Regione Lombardia, ma i fondi sono insufficienti a
coprire le lezioni svolte. L'Azienda ospedaliera riconosce all'Università di Lodi una quota parte del
finanziamento, ma il numero minimo per l'accreditamento di una sede è di sei docenti universitari. Così dal
punto di vista gestionale «c'è il tema del carico didattico da sostenere - avvertono in segreteria -: e i docenti
lavorano su più sedi, con un incremento di impegno e soprattutto di straordinari, e questo pesa
economicamente sulla loro retribuzione. Non c'è cattiva volontà né da parte nostra, né dell'Azienda
ospedaliera». A Lodi i primi laureati sono arrivati all'inizio degli anni Novanta e in circa vent'anni si sono
laureati più di ottocento giovani. «Se rimangono il secondo e terzo anno accademico - spiega la coordinatrice
didattica Adele Riboni - resta aperta una porta e speriamo che la convenzione sia riattivata. Il corso è una
ricchezza e la nostra città ha una preziosa tradizione in questo senso, poi la presenza dei laureandi nei
reparti è produttiva per gli alunni e per il personale dell'ospedale». Gli insegnanti di Lodi sperano che in questi
due anni cambi qualcosa dal punto di vista dei fondi, circa il numero dei docenti e delle norme per poter
riaprire la scuola che è da tutti apprezzata. Un'altra questione che crea disagio ma che potrebbe essere
risolta è che l'Azienda ospedaliera di Lodi, per mantenere il corso, paga l'affitto della scuola ai padri Barnabiti
del collegio San Francesco. È stato suggerito il trasferimento della facoltà alla struttura sanitaria nell'ex
ospedale "Fissiraga" di Lodi, spazio di proprietà dell'ospedale, che però dovrebbe essere messo a norma per
accogliere la scuola. E i fondi necessari per il momento non ci sono.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Lodi Spese insostenibili Stop al corso di laurea per gli infermieri
18/01/2015
Avvenire - Milano
Pag. 1
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Cura anti epatite C Spesi già 350mila euro
La Lombardia è una delle Regioni che ha debuttato con la super cura anti epatite C, individuando i centri
autorizzati a somministrarla e la copertura economica. «E in sole due settimane a dicembre sono già stati
erogati farmaci per 350 mila euro». È il dato diffuso dall'assessore alla Salute e vice presidente della Regione
Mario Mantovani, in occasione di un bilancio su come è andato il 2014 per la sanità lombarda e la
presentazione dei nuovi progetti in cantiere per il 2015, dopo l'approvazione delle nuove Regole per il sistema
sociosanitario regionale, presentate ieri e approvate il 23 dicembre scorso. In regione è attesa una spesa di
non meno di 120-130 milioni di euro in 18 mesi per garantire il nuovo farmaco ai pazienti prioritari, secondo le
categorie individuate a livello nazionale dall'Aifa in relazione al sofosbuvir. Ed è per questo che, come
spiegato nei giorni scorsi, sono stati già messi a preventivo 100 milioni di euro per il 2015.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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SANITÀ REGIONALE
17/01/2015
QN - Il Giorno - Milano
Pag. 19
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Stamina, colpo di coda al Tar LazioUn altro ricorso contro il Ministero
MILANO UN ALTRO ricorso al Tar del Lazio, contro la decisione del Ministero della Salute di non procedere
con la sperimentazione, ex legge Balduzzi, del metodo Stamina, stroncato per la seconda volta da un
comitato di scienziati. Il tutto mentre Davide Vannoni (nella foto) e i suoi collaboratori valutano anche la
richiesta di patteggiamento al tribunale penale di Torino, dove sono accusati di reati vari tra i quali
associazione a delinquere finalizzata alla truffa e somministrazione di farmaci imperfetti: un'ipotesi «non
esclusa», mercoledì nell'aula dell'udienza preliminare, dai legali del patron, che hanno chiesto comunque di
parlare per ultimi, «per valutare le scelte processuali degli altri». Annunci ufficiali non ce ne sono, ma al
Ministero sarebbero già stati informati del nuovo ricorso, che mira a ripercorrere le orme di quello presentato
da Stamina Foundation sempre al Tar del Lazio, e da questo accolto nel dicembre 2013. I giudici
amministrativi bocciarono la composizione del primo comitato d'esperti, che aveva già decretato non
sperimentabile il discusso metodo Vannoni. A marzo dell'anno scorso, il Ministero aveva allora nominato un
nuovo comitato, composto per più di metà da scienziati stranieri; a ottobre, anche il secondo comitato aveva
escluso, all'unanimità, la possibilità che Stamina abbia i minimi requisiti per accedere a una sperimentazione,
con quello che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha definito «un verdetto senza appello». Un mese più
tardi, il ministro aveva firmato il decreto che ha posto una pietra tombale sulla vicenda, destinando i tre milioni
della legge Balduzzi alla ricerca sulle malattie rare. E Vannoni aveva detto, e ripetuto, che avrebbe fatto di
nuovo ricorso al Tar. Anche se di conferme, poi, non ne sono più arrivate da lui. La sua pagina Facebook è
ancora ferma agli auguri di Natale. Gi. Bo. Image: 20150117/foto/124.jpg
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL CASO MENTRE VANNONI MEDITA IL PATTEGGIAMENTO
17/01/2015
QN - Il Giorno - Milano
Pag. 19
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Riscrittura tecnica rapida, ma ora si riapre la discussione
GIULIA BONEZZI
di GIULIA BONEZZI MILANO RIFORMA della sanità lombarda: si riparte, palla al centro. Ieri la Giunta
regionale ha provveduto a quella che il governatore Roberto Maroni chiama «riapprovazione tecnica» del
progetto di legge, riscritto secondo i dettami del nuovo regolamento del Pirellone in vigore dal primo gennaio;
le nuove relazioni tecnica e economico-finanziaria (sei pagine, firmata dal segretario generale della Regione
Andrea Gibelli) sono in partenza per gli uffici della Presidenza del Consiglio regionale, che avevano mosso
rilievi e rivaglieranno la documentazione prima del passaggio (saltato mercoledì) alla commissione Sanità.
«IL TESTO non è cambiato nei contenuti», insiste Maroni, motivando così il fatto che i due assessori del Ncd
non l'abbiano votato nemmeno ieri. Ma è ricondotto a mera base di lavoro, perché di fatto la partita s'è
riaperta con l'insediamento, dopo la riunione di giunta, del tavolo tecnico di maggioranza chiamato a trovare
con gli alleati la quadra che non s'era raggiunta con l'accordo Forza Italia-Lega del 23 dicembre. Un tavolo
presieduto da Maroni, con gli assessori alla Salute Mario Mantovani (Forza Italia) e alla Famiglia Cristina
Cantù (Lega), e poi un consigliere per partito: Claudio Pedrazzini per gli azzurri, Angelo Capelli per il Ncd, per
il Carroccio entra Fabio Rolfi al posto di Fabio Rizzi, che presiede già la commissione Sanità (Maria Teresa
Baldini, fuoriuscita dalla Lista Maroni, protesta per non essere stata invitata). Al tavolo ieri si son fissati i tempi
- la legge in aula entro l'estate -, ma s'è anche detto che ogni partito riporterà la sua proposta, inclusa Forza
Italia. E, naturalmente, il Nuovo centrodestra: il capogruppo Luca Del Gobbo stempera gli attriti, ma il partito
lunedì presenta la sua riforma a un convegno, davanti al ministro della Salute (Ncd) Beatrice Lorenzin. E
mentre il governatore si dichiara «ottimista, penso che i tempi saranno rapidi», Riccardo De Corato di Fratelli
d'Italia invita a «non andare di fretta». E la Lega? Per ora l'assessore Cantù fa rientrare il sistema di «vendor
rating», osteggiato dai privati ed escluso dall'accordo prenatalizio, dalla finestra delle regole di sistema per il
Welfare nel 2015: la valutazione in base a 5 indicatori determinerà riduzioni del budget storico «dal 2 al 4%»,
da redistribuire agli operatori virtuosi. Ma per adesso la regola varrà solo per le Rsa degli anziani.
[email protected] Image: 20150117/foto/129.jpg
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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C'è la riforma bis della sanitàTempi incerti sull'applicazione
17/01/2015
Libero - Milano
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Nessuno si vaccina più. Ma questa influenza uccide
ALESSANDRO GONZATO
La campagna antinfluenzale è stata un flop e oggi mezza Italia è a letto con la febbre. I casi di malattia, in
alcune regioni, sono addirittura triplicati. Dopo la vicenda «Fluad», le morti sospette e la decisione dell'Aifa
(l'agenzia italiana del farmaco) (...) segue a pagina 17 segue dalla prima (...) di bloccare il prodotto della
Novartis - poi sollevata da qualsiasi responsabilità dall'Istituto superiore della sanità il calo dei vaccini, stando
ai dati del sindacato dei medici di famiglia, è stato in media dell'80 per cento. Ilcrollo maggiore si è verificato
nel Lazio, mentre in Emilia Romagna la diminuzione è stata più contenuta. Da Nord a Sud febbre, tosse e
raffreddore. Ha vinto la psicosi. In quei giorni di caos, di polemiche, di accuse e di sospetti, Luca Pani,
direttore dell'agenzia del farmaco, aveva ipotizzato che si potesse scatenare un fenomeno simile. Ma i
numeri, oggi, forse vanno al di là di ogni possibile previsione. In Veneto, dall'inizio dell'anno, a seguito di forti
attacchi influenzali sono morte sette persone:i decessi si sono verificati a Belluno, Vicenza, Treviso e Padova.
Stando all'ultimo report elaborato dal settore Promozione e Sviluppo sanità pubblica della Regione nella
settimana dal 29 dicembre al 4 gennaio l'influenza ha colpito circa 43 mila persone, una cifra quattro volte
superiore a quella dello stesso periodo delle quattro stagioni precedenti. Nel Nordest, col virus H1n1, è
tornato anche l'incubo «suina». Come a Lecce, dove per colpa del virus è morto un bimbo di appena quindici
mesi. La storia è davvero drammatica. Era stato ricoverato per una sospetta sindrome influenzale con
placche alla gola. I medici (sei sono finiti sotto indagine), una volta somministrata la terapia avevano dato il
nulla osta per le dimissioni. Sennonché nei giorni seguenti la febbre è aumentata e il bambino è stato portato
nuovamente al pronto soccorso, ricoverato in pediatria per una sospetta gastroenterite. Fino a una crisi
respiratoria con cardiomiopatia. Il 7 gennaio la situazione è precipitata: il bimbo è stato trasferito in
rianimazione per un'ischemia celebrale provocata da un'infezione polmonare. Una settimana dopo è morto. Al
momento, in Puglia, sono sei i pazienti considerati gravi. Gli ospedali e i pronto soccorso sono intasati di
gente. L'Asl di Bari, come altre aziende sanitarie del Paese, ha annullato i ricoveri ordinari - ad eccezione dei
pazienti oncologici - per dare spazio alle emergenze. L'Ordine dei medici del capoluogo pugliese ha chiesto
all'assessorato alla Sanità la creazione, in tempi rapidi, di un'unità di crisi per coordinare l'emergenza. A
Salerno, invece, è morta una donna di 34 anni. Fino a pochi giorni prima aveva sempre goduto di ottima
salute. Poi un attacco febbrile non le ha dato scampo. In Italia l'influenza è la terza causa di decesso. Ogni
anno, mediamente, contraggono il virus dai 6 ai 9 milioni di persone. Ottomila muoiono per complicanze
dovute alla malattia. La psicosi degli ultimi mesi, purtroppo, potrebbe far aumentare questa cifra.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Psicosi dopo il caso Fluad, crolla la prevenzione. E il virus dilaga
18/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Leucemia mieloide cronica, finalmente cambia il decorso
ANDREA SERMONTI
Non è, per fortuna, una patologia dai numeri impressionanti, ma la Leucemia Mieloide Cronica (LMC) vede
ogni anno nel nostro paese circa mille nuovi pazienti, che vanno ad aggiungersi agli 8mila già in cura. Si
tratta di una patologia caratterizzata da una produzione eccessiva e non regolata di globuli bianchi da parte
del midollo osseo a causa di un'anomalia genetica che produce la proteina BCR-ABL. In seguito alla fase
cronica di produzione eccessiva di globuli bianchi, l'evoluzione della malattia conduce a fasi più aggressive
definite fasi accelerata e blastica. Recentemente l'AIFa ha approvato il farmaco ponatinib proprio per il
trattamento della Leucemia Mieloide Cronica (LMC) e della Leucemia Linfoblastica Acuta Philadelphia
positiva (LLA Ph +), efficace per il trattamento della LMC in pazienti che si trovano nella fase cronica,
accelerata o blastica della malattie e sono resistenti o intolleranti a dasatinib o nilotinib e per i quali il
successivo trattamento con imatinib non è clinicamente appropriato, oppure in pazienti nei quali è stata
identificata la mutazione T315I. "Siamo lieti di poter offrire una soluzione terapeutica efficace ai pazienti che
fino ad oggi non avevano alternative di cura, soprattutto nelle forme più aggressive di leucemia - ha detto
Giancarlo Parisi, Generale Manager di Ariad Pharmaceuticals Italia, nel corso della conferenza stampa di
presentazione del nuovo farmaco - Il processo di scoperta e sviluppo di ponatinib esprime pienamente i valori
aziendali di eccellenza scientifica e di impegno nella ricerca che ci caratterizzano da sempre. Siamo
costantemente a fianco di pazienti e medici con l'obiettivo di sviluppare farmaci utili a curare i malati più
fragili, affetti da patologie attualmente prive di cure efficaci". Nel 2011, ponatinib è stato reso disponibile ad
uso compassionevole in Italia. Dopo tre anni di lavoro e investimenti, nel 2014 il farmaco ha superato l'esame
da parte di Aifa ed ha ricevuto l'approvazione e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre di
quest'anno e in queste settimane è approdato in tutte le regioni italiane.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Grazie ad un farmaco da oggi disponibile anche in Italia
17/01/2015
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 13
(diffusione:103223, tiratura:127026)
In 20 mila perdono il loro medico
Sempre più mutualisti e pediatri lasciano l'incarico alla Asl. Pazienti a caccia di sostituti Il presidente Bartolini:
«Troppi impegni e poche soddisfazioni anche economiche»
GUIDO FILIPPI
FINO A QUALCHE anno fa, il medico di famiglia non si cambiava mai. Ora il turn over è sempre più frequente
e la scelta diventa forzata: mutualisti che si dimettono e pazienti che devono cercarsi - spesso vengono
indirizzati - un altro dottore. Succede per gli adulti, ma anche per i bambini e la Asl 3 è corsa ai ripari e ha
fatto una chiamata per coprire dodici posti, di cui due per pediatri. Il risultato è un valzer infinito di pazienti che
perdono un medico e cercano un sostituto che abbia posto (il massimo è 1.500 assistiti). Nell'ultimo anno
almeno ventimila genovesi sono stati costretti a cambiare medico, che non vuol dire soltanto passare una
mezza mattinata in un ufficio della Asl, ma perdere anni di memoria sanitaria ed essere costretti a raccontare
malanni, acciacchi, interventi chirurgici, allergie e chi ne ha più ne metta. Alcuni mutualisti hanno curato due
generazioni e nei quartieri non è raro sentir dire «I nostri amici abitano nel palazzo dove ha lo studio il dottor
Rossi», ma adesso "mollano" prima della pensione. «Continua ad aumentare da almeno due anni - spiega il
presidente dell'Ordine dei medici, Enrico Bartolini - il numero dei mutualisti che abbandona l'attività. Spesso
non hanno più voglia di far fronte a tutte le nuove incombenze e di avere grattacapi con la Asl e problemi con
i pazienti. Poi è cambiato il modo di lavorare: hanno sempre più impegni e sempre meno soddisfazioni, anche
economiche. Una volta fare il medico di famiglia rendeva parecchio, ora non più. Così preferiscono dedicarsi
all'attività privata con una o più case di riposo o con i pazienti, oppure fare qualche turno di guardia medica
come riserva». Bartolini confessa che il turn over non gli dispiace affatto: «Spazio ai giovani, ce sono diverse
decine che sono in lista d'attesa da almeno cinque anni per fare i mutualisti». Negli ultimi mesi se ne sono
andati almeno in venti e altri dieci sono pronti a lasciare entro la fine del 2015. Il segretario provinciale della
Fimmg (il sindacato più rappresentativo dei mutualisti, ndr) Angelo Canepa assicura che si arrendono per
troppo stress e poche soddisfazioni. «Non ne possono più di fare sempre più i burocrati e sempre meno i
medici. Il lavoro è diventato pesantissimo. Molti colleghi lasciano l'incarico anche dieci anni prima della
pensione. Ormai è così: tra il 2017 e il 2020 andranno via il 50 % dei mutualisti di famiglia e dei pediatri». I
medici di famiglia e i pediatri non sono dipendenti della Asl, ma hanno un contratto da esterni e, se vogliono
chiudere lo studio, hanno solo l'obbligo di segnalarlo con due mesi di anticipo alla Asl e agli assistiti. Quando
compiono 70 anni, devono interrompere l'attività e andare in pensione, ma ormai sono sempre meno quelli
che aspettano di arrivare a fine carriera: si dimettono e rinunciano a uno "stipendio" mensile che, come
minimo si avvicina ai 4 mila euro netti al mese. Maria Assunta Dufour, dottoressa molto conosciuta a
Molassana e dintorni, ha lasciato di stucco i suoi pazienti quando ha annunciato che, nel giro di due mesi,
avrebbe chiuso lo studio. Così come Mauro Albrieux per la gente di San Fruttuoso, Rino Bussolino che i
genovesi del centro storico hanno sempre coccolato, o ancora Gian Stefano Pescio, a Pegli che si è fermato
quattro anni prima della pensione. È dovuto andare via per l'età, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno Mauro
Bussolino, anche perché nella sua Campomorone era più noto del sindaco e più amato del parroco.
Racconta un dirigente della Asl 3 che un ottantenne gli ha telefonato per chiedere un favore, a nome del
paese: «Fate un'eccezione, non potete toglierci il nostro dottore». Appello respinto e oltre mille pazienti
hanno dovuto cercarsi un altro "megu". Roberto Giaretti ha fatto una scelta radicale che, però, aveva in testa
da tempo: ha chiuso lo studio a Castelletto e fa il medico volontario nel centro storico, nell'ambulatorio
dell'Ordine di Malta, mentre Gabriella Renzoni è andata a lavorare lontano dalla Liguria. È ancora più
traumatico quando si dimette oppure va in pensione un pediatra che spesso ha seguito il bambino fin dalla
nascita - e i genitori con i suoi consigli: l'hanno presa male tante famiglie di Serra Riccò e Sant'Olcese
quando Antonella Lavagetto, protagonista di tanti corsi e incontri pubblici, ha deciso di rinunciare al contratto
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA GRANDE FUGA DEI CAMICI BIANCHI: ENTRO IL 2020 UNO SU DUE SI DIMETTERÀ PRIMA DELLA
PENSIONE
17/01/2015
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 13
(diffusione:103223, tiratura:127026)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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con la Asl 3. Ha spiazzato tutti anche Luigi Carrozzino che lavorerà ancora due mesi a Marassi e a San
Fruttuoso: malato cronico di Genoa, abbonamento nella Nord e studio tappezzato di rossoblù, ha comunicato
l'addio prima di Natale e ha chiesto a tanti genitori di essere aggiornato «sulla crescita dei suoi bambini» e ha
fatto sapere a tutti che sarà sempre disponibile per un parere. E a Rivarolo lascerà presto anche Roberto
Cambiaso. Nei prossimi mesi l'elenco si allungherà. Addio caro vecchio megu della famiglia.
I medici di famiglia
I pediatri Gianluigi Bafico Gianluigi Balbi David Andrea Bernardi Mauro Albrieux Walter Borreani Mauro
Bussolino Rino Bussolino Maria Assunta Dufour Gian Maria Grovale Roberto Giaretti Paola Maria Maccario
Gian Stefano Pescio Gabriella Renzoni Paolo Sacco Tommaso D'Angelo Irene Santoro Andrea Pozzati
Centro-Castelletto Sturla-Quarto Quinto San Fruttuoso Centro storico Campomorone centro storico
Molassana Albaro Castelletto Pegli Pegli Foce Pegli Centro storico Pontedecimo Struppa Roberto Cambiaso
Luigi Carrozzino Antonella Lavagetto Rivarolo Marassi-San Fruttuoso Serra Riccò i medici di famiglia che
hanno un contratto con la Asl 3 e lo studio in città o nell'entroterra i pediatri che lavorano per la Asl 3.
Possono seguire i bambini fino al compimento del 14° anno pazienti è la media di un medico di famiglia: il
massimo di assistiti è 1.500 (1.000 per un pediatra) euro lordi all'anno è la quota-paziente percepita dal
medico (52 euro per gli over 75 anni). A questa cifra vanno aggiunte alcune indennità euro lordi all'anno è la
quo ta-paziente percepita dal pediatra : a questa cifra vanno aggiunte alcune indennità euro netti è lo
"stipendio" mensile medio di un medico di famiglia le ore di lavoro settimanale , tra studio e visite domiciliari,
previste nel contratto con la Asl
La scheda: ecco chi va via
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 15
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Cancro, scariche elettriche in testa
Arriva una nuova terapia contro il glioblastoma, un aggressivo tumore che colpisce il cervello. Il trattamento,
che viene dagli Stati Uniti, sarebbe in grado di portare il tasso di sopravvivenza medio a due anni. Non si
tratta di qualche forma di chemio o radioterapia ma della somministrazione di corrente elettrica. Il metodo è
proposto dalla società Novocure, che ha sede nell'isola di Jersey, al largo della Normandia, ed è dipendente
dalla corona britannica. Il trattamento è già stato autorizzato negli Usa contro le recidive della malattia, anche
se la sua reale effi cacia non è certa. Sei ospedali francesi partecipano alla sperimentazione tuttora in corso.
Lo studio, avviato cinque anni fa, coinvolgerà in tutto 700 pazienti. I dati positivi, comunque, vengono dalla
pubblicazione dei risultati di metà percorso. Proprio l'analisi di 315 ammalati evidenzia, da un lato, che la
corrente irrogata nel cervello è ben tollerata e, dall'altro, che è molto più effi cace di quanto ci si aspettasse. Il
trattamento, associato alla chemio postchirurgica e alla radioterapia, aumenta la sopravvivenza di due anni
nel 43% dei pazienti rispetto al 29% delle cure tradizionali. Il procedimento prevede che gli elettrodi vengano
fi ssati sulla testa rasata. Essi sono collegati a un generatore portatile del peso di 3 chilogrammi, che emette
corrente di debole intensità. Ogni tre giorni i pazienti devono cambiare gli elettrodi. Essi indossano foulard,
parrucche o cappelli e tengono il generatore nella borsa, vivendo una vita normale. © Riproduzione riservata
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Frenano l'avanzata del glioblastoma
19/01/2015
QN - La Nazione - Firenze
Pag. 2
(diffusione:136993, tiratura:176177)
Come allo Ieo di Milano e nei grandi centri ospedalieri europei
L'OSPEDALE di Careggi si è liberato dal fumo. Con un nuovo regolamento, approvato il 15 gennaio, il
policlinico vieta il fumo (e anche le sigarette elettroniche) ovunque: anche negli spazi aperti, tutti: compresi
strade, cortili, balconi, terrazzi, scale esterne antincendio. E, al fine di rendere coerente l'azione di contrasto
al fumo, proibisce anche la vendita di tabacchi e dell'attrezzatura per e-cig (le sigarette elettroniche) in tutti i
bar e spacci all'interno della cittadella ospedaliera. Il divieto vale per tutti. Personale dipendente, a termine e
collaboratori autonomi sia dell'Università sia dell'azienda ospedaliera. Proibito il fumo anche ai pazienti, ai
frequentatori occasionali, a qualsiasi titolo, ai visitatori. Chi vorrà accendersi una sigaretta o un sigaro, dovrà
varcare le soglie d'uscita dell'ospedale e uscire in viale Pieraccini, in via delle Oblate, in piazza di Careggi in
largo Brambilla. L'OBIETTIVO era già in ponte da tempo. Il divieto totale di fumo vige già, tra gli ospedali
italiani, allo Ieo di Veronesi, a Milano, e nei più grandi centri ospedalieri d'Europa. Careggi dichiara guerra
totale al fumo. Anche se molti medici sono fumatori e si trovano in totale dsaccordo con la decisione
dell'azienda. Difficile riuscire a trovare il tempo per uscire dal campus del policlinico solo per una sigaretta. E
Careggi vuole riuscire proprio in questo, rendere impossibile fumare per aiutare a smettere. IL NUOVO
REGOLAMENTO arriva per fornire alla popolazione un modello di riferimento di stile di vita libero dal fumo,
eliminando l'impatto negativo sull'utenza causato dal vedere fumare personale sanitario e per salvaguardare
dal fumo passivo i non fumatori presentin in azienda. Ilaria Ulivelli Image: 20150119/foto/129.jpg
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Careggi, policlinico senza fumoStop sigarette anche all'aperto
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 8
(diffusione:581000)
La sanità cattolica al bivio più incassi per tappare i buchi
IL CASO ESEMPLARE DEL GEMELLI: NUOVE LA GESTIONE E LE STRUTTURE. BISOGNA CONCILIARE
L'ECCELLENZA MEDICA ANCORA INDISCUTIBILE CON LA DIFFICOLTÀ DI ASSICURARE ASSISTENZA
GRATUITA A TUTTI
(p.r.)
Città del Vaticano La sanità cattolica fatica in diverse sue componenti a reggere. Quasi ovunque, i conti non
tornano. Così per sopravvivere gli ospedali devono dare spazio ad un'attività privata interna che permetta di
avere nuove entrate. Il rischio, però, è non da poco per chi dichiaratamente vuole ispirarsi nel proprio lavoro
al messaggio evangelico, alla necessità di garantire a tutti, soprattutto ai poveri, una degna assistenza:
perdere la dimensione di gratuità che da sempre, non solo dall'arrivo di papa Francesco al soglio di Pietro in
poi, ha caratterizzato le grandi istituzioni sanitarie della Chiesa. Nate dalla fede, dall'identificazione del povero
e del malato con Cristo sofferente, oggi per motivi economici queste stesse strutture rischiano di smarrire
questa loro unica e particolare carta d'identità. Da qualche tempo il Policlinico Gemelli di Roma ha un piano
strategico che ha portato alla creazione di una nuova struttura denominata Gemelli Medical Center. La
creazione della struttura fa riferimento a quella quota parte di assistenza sanitaria che sempre di più oggi non
viene garantita, pur essendo compresa nei Lea (livelli essenziali di assistenza) del Sistema sanitario
nazionale. In sostanza, negli ultimi anni, si è registrata in Italia una consistente crescita della spesa sanitaria
sostenuta direttamente dalle famiglie che, secondo dati diffusi tempo fa anche dallo stesso Gemelli, si aggira
attorno al 22% di quella complessiva (30 miliardi su 140). Di qui la volontà di entrare in questa fetta di
mercato: per sopravvivere e reggere l'impatto di una crisi sempre più macroscopica. Tuttavia, secondo dati
pubblicati dal Censis, è a motivo di questa nuova spinta verso la privatizzazione interna nella sanità italiana
che oltre 9 milioni e mezzo di cittadini italiani si sono visti costretti ad abbandonare le cure a causa dei costi
elevati. Da una parte c'è chi paga per curarsi in strutture sempre più di lusso. Dall'altra c'è chi non può pagare
e fatica a trovare assistenza. Fra gli ospedali cattolici, il Gemelli è sempre stato fra quelli meglio amministrati.
Non ha subìto quegli scandali finanziari che hanno investito, per malgoverno o per attività criminose, altre
strutture della sanità cattolica. Nonostante questo, nel 2012, fu l'ormai ex direttore Maurizio Guizzardi a
lanciare un appello disperato: «Siamo sull'orlo del precipizio, sommersi dai debiti, se continua così
chiuderemo molti reparti. Rischiamo di non farcela». Così, invece, il direttore amministrativo dell'università
Cattolica, Marco Elefanti: l'ospedale non bloccherà le prestazioni non urgenti, «finché ce la facciamo,
continuiamo ad assicurare l'assistenza» ma «siamo in emergenza». All'orizzonte c'era un taglio di 29 milioni
sul budget che rischiava far chiudere diversi servizi. Di qui la necessità, messa in pagina da un comunicato
dello stesso Policlinico, «di un'integrazione strategica tra welfare pubblico e partecipazione privata alla spesa,
in un contesto in cui il cambiamento dei meccanismi di riproduzione sociale familiari e l'aumento delle
aspettative degli utenti conducono a un considerevole incremento della quota di assistenza coperta
direttamente con il reddito delle famiglie, che diventa sempre più variabile di interesse per istituti come il
Policlinico Gemelli, nella definizione del quadro complessivo dell'offerta di salute». Da questo gennaio
direttore generale del Gemelli è Enrico Zampedri, già presidente della Croce Bianca di Brescia. A lui il difficile
compito di tenere in piedi una struttura che ancora oggi vessa in problemi non facilmente risolvibili. Il Gemelli
resta ancora un colosso che economicamente fatica a reggere, nonostante un'eccellenza interna che, in ogni
caso, rimane.
Foto: Nelle foto sopra al titolo da sinistra: l' Idi (Istituto dermatologico dell'Immacolata); il Policlinico Gemelli; il
San Raffaele di Roma; il Bambin Gesù
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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[ IL CASO ]
19/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.15 - 19 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:91794, tiratura:136577)
La riduzione dei finanziamenti statali costringerà i governatori regionali a rivedere i budget al ribasso.
L'aumento delle imposte locali non è sufficiente
MARINO LONGONI
Inevitabili nuovi tagli alla sanità. Nonostante tutti gli sforzi fatti dal governo nei mesi scorsi e dalle regioni nelle
loro leggi di Stabilità per il 2015,i conti sembra proprio che non tornino. E alla fi ne sarà inevitabile, in molte
regioni, ridurre i costi di quella che è di gran lunga la spesa più pesante per i loro bilanci. Il caso della
Lombardia è emblematico: su un bilancio di 21 miliardi e 300 milioni, quasi 18 miliardi vanno alla tutela della
salute. La riduzione dei fi nanziamenti statali impatta per 800 milioni, 500 dei quali saranno tolti a ospedali e
Asl. Ma potrebbero non bastare. E questo è più o meno il trend in tutti gli enti territoriali. Per un bilancio più
preciso bisognerà aspettare la fi ne del mese di gennaio, nonostante la maggior parte delle regioni abbia già
approvato la propria legge di bilancio. Il governo, con la propria legge di Stabilità 2015, ha infatti previsto tagli
per quasi 4 miliardi alle regioni, ai quali vanno aggiunti riduzioni di spesa per altri 1,8 miliardi previsti da
norme approvate nel 2014. In questo modo si è ampiamente vanifi cato lo sforzo fatto con il patto per la
salute del 2014 che destinava alle regioni un budget aggiuntivo di 2,5 miliardi. Insomma, i conti non tornano.
Anche perché a questi tagli ne vanno aggiunti altri che pesano comunque sugli enti locali: 1 miliardo alle
province (senza contare gli stipendi dei 14 mila dipendenti provinciali destinati a spostarsi in altri enti, che
però non sanno come pagargli lo stipendio perché lo Stato ha deciso di sospendere i relativi trasferimenti);
1,2 miliardi per i comuni. Pochi giorni fa lo Stato ha proposto ai governatori delle regioni di intervenire in modo
ancora più drastico, azzerando i trasferimenti statali su alcune voci come per esempio fondi per non autosuffi
cienza o le borse di studio. Anche se nel 2015 si terranno le elezioni in alcune regioni e quindi i governatori
faranno di tutto per evitare di far uscire titoli di giornali con i tagli a una spesa alla quale l'elettorato è molto
sensibile, i sacrifi ci sono inevitabili. La situazione è senza altre vie d'uscita: il bilancio dello Stato è in affanno
nel rispetto del vincolo del 3% del rapporto debito/pil. L'obiettivo è di importanza fondamentale perché il
mancarlo creerebbe problemi ancora maggiori. L'alternativa alla riduzione della spesa è solo un aumento
delle imposte, ma la pressione fi scale sulle imprese, come dimostra il servizio a pag.6 di questo numero di
ItaliaOggi Sette, è già al 65,4%, seconda in Europa solo alla Francia. Impossibile pensare di aumentarla
ancora. Le imposte locali, d'altro canto, negli ultimi tre anni sono state addirittura triplicate. Rispetto al gettito
Ici di 9 miliardi nel 2009, quando vigeva ancora l'esenzione sulla prima casa, siamo saliti a 23,7 miliardi nel
2012 per effetto dell'Imu su tutti gli immobili.A seguito di altri balzelli successivi, come la Tasi, la pressione fi
scale sulla casa è salita a 28 miliardi nel 2014. Anche le addizionali locali sono ormai quasi sempre vicino al
massimo consentito. Eppure non basta ancora. Il motivo di fondo è quello che non si è voluto vedere per
molti anni e che ora si è gonfi ato fi no a diventare un macigno insopportabile: un debito pubblico di 2.120
miliardi, in continuo aumento, che ormai ha superato il 132% del pil. E nonostante tutti gli sforzi fatti negli
ultimi anni non c'è verso di fermarne la continua crescita. Per fi nanziare questa montagna di debiti ogni
anno, in un periodo di tassi bassissimi, si spendono tra i 70 e gli 80 miliardi. Tanto per fare un confronto, la
spesa sanitaria è di poco superiore ai 100 miliardi. Di questo passo tra poco l'Italia sarà costretta a spendere
di più per pagare gli interessi sul debito che per la salute dei suoi cittadini. Quanto può durare?
Foto: [email protected]
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Tagli alla sanità inevitabili
19/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.15 - 19 gennaio 2015
Pag. 22
(diffusione:91794, tiratura:136577)
L' e-health è la nuova frontiera
L'e-Health e in particolare la telemedicina, pur essendo in forte crescita, non hanno ancora raggiunto in Italia
piena diffusione», spiega Nadia Martini, socio junior dello Studio Nunziante Magrone e autrice di un recente
lavoro dal titolo Privacy ed e-health: problematiche e soluzioni. «L'informatizzazione nel settore sanitario
implica infatti la registrazione, la comunicazione e il trasferimento dei dati sanitari e solleva quindi vari
problemi in materia di norme applicabili, di riservatezza dei dati, di sicurezza delle reti sulle quali i dati
viaggiano; nonché dubbi interpretativi in tema di ruoli e responsabilità professionale dei soggetti che erogano
i servizi telematici in medicina (ospedali e providers del servizio e health). Finalmente, dopo l'iniziale vuoto
normativo, il Legislatore è recentemente intervenuto a normare alcune delle applicazioni dell'e-Health, così
definitivamente agevolandone lo sviluppo». Domanda. Come si conciliano i miglioramenti gestionali e la
necessaria tutela della privacy? Risposta. Semplicemente con una maggiore attenzione al paziente, che si
concreta tra l'altro in una migliore e più puntuale normazione delle applicazioni e-health e specifi catamente
dei profi li privacy. Dal momento che si tratta di servizi utilissimi per il cittadino e peraltro poco costosi, il
Legislatore dovrebbe (come già fatto per i referti) velocizzare l'adozione di una disciplina ad hoc sul Fse
pubblico, prevedere e regolamentare Fse anche privati, adottare una normativa più leggera per le
applicazioni di telemedicina, tanto effi caci nella cura del paziente. D. In concreto? R. Sul lato privacy,
basterebbe che il legislatore disciplinasse con cura gli obblighi in capo agli operatori dell'e-health in termini di
informativa (magari proponendo un modello), di consenso (fornendone un format) e di misure di sicurezza da
adottare per la protezione dei dati trattati. D. A quanto ammonta il contenzioso su queste problematiche in
Italia? R. Con riguardo alle problematiche ehealth, trattandosi di materie nuovissime e alcune ancora non
normate, non ci sono dati. Ciò non toglie però che il contenzioso possa subire nel prossimo futuro un'ascesa
esponenziale, come avvenuto per le violazioni privacy in generale. L'art. 15 Codice Privacy equipara infatti il
trattamento ad attività pericolosa prevedendo che chi cagiona ad altri un danno (quindi, nel caso, gli operatori
e i providers dei servizi di ehealth) è tenuto al risarcimento del danno ex art. 2050 c.c., qualora non dimostri di
avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. D. quali strumenti hanno le strutture ed i medici per
tutelarsi? R. Anzitutto, è necessario che gli operatori si sottopongano ad un'adeguata compliance privacy, per
verificare se sono effettivamente in regola con la normativa/provvedimenti del Garante; quindi, devono
mantenersi compliant e aggiornati mediante l'adozione di procedure dinamiche per migliorarsi; infine,
dovrebbero prendere la buona abitudine di far più del minimo: il Garante, di norma, apprezza l'impegno in tal
senso degli operatori.
Foto: Nadia Martini
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Pagine a cura di FEDERICO UNNIA/NADIA MARTINI, STUDIO NUNZIANTE MAGRONE
19/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.15 - 19 gennaio 2015
Pag. 23
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Responsabilità medica, Milano spariglia le carte
La prima sezione del Tribunale civile di Milano è intervenuta con una sentenza depositata il 17 luglio dello
scorso anno, sull'ambito applicativo e la portata precettiva dell'art. 3, primo comma della legge n. 189 del
2012 nei suoi risvolti civilistici. La sentenza ha offerto un'interpretazione che valorizza l'espresso riferimento
in tale norma contenuto alla responsabilità aquiliana in relazione alla posizione del medico c.d. dipendente o
collaboratore di una struttura sanitaria (pubblica o privata), il quale si rapporti con il paziente solo in tale veste
e, dunque, al di fuori di un contratto (diverso da quello concluso con la struttura) eventualmente stipulato a
latere con il paziente. Il Tribunale di Milano ha tratti le conseguenze sia sul piano probatorio affermando che
in tali casi l'obbligazione risarcitoria del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie), può
scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di
provare), sia sul piano prescrizionale. La norma citata (ed il riferimento all'art. 2043 del codice civile) non
incide, invece, né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata), né su quello
del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cd
attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico). «L'impatto di questa linea interpretativa
nei giudizi civili è limitato ai casi in cui la domanda risarcitoria sia proposta solo nei confronti del medico c.d.
dipendente da una struttura di cura il quale non abbia stipulato alcun contratto con il paziente», spiega Giulio
Ponzanelli, partner di Bonelli Erede Pappalardo. «E ciò accade molto raramente visto che il paziente rivolge
la propria pretesa risarcitoria quasi sempre, se non sempre, nei confronti della struttura di cura ,basandosi
sulla responsabilità da inadempimento della predetta anche in relazione al fatto dei proprio ausiliari. C'è da
sperare che le strutture sanitarie siano davvero in grado di fornire maggiori garanzie di solvibilità. Come
precisato dal Tribunale di Milano, nel caso in cui sia coinvolto nel giudizio anche il medico c.d. dipendente e
qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti (seppure in base a distinti criteri di
imputazione), essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'art. 2055 c.c. Diffi cile
prevedere se tale modifi cazione giurisprudenziale possa davvero (non tanto in astratto, quanto in concreto)
favorire la c.d. alleanza terapeutica tra medici e pazienti e contrastare il fenomeno della c.d. medicina
difensiva, non saprei proprio dire. Credo che su tale fronte possano fare molto e meglio politiche di gestione
del rischio proattive e realmente condivise» «Secondo il Tribunale di Milano», aggiunge Renato Fedeli,
Fondatore e partner dello Studio Legale Vergani & Fedeli, «al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al
professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico va
individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. Se il criterio attributivo della
responsabilità è extracontrattuale, il danneggiato dovrà provare la colpa del medico e la prescrizione sarà
quinquennale, mentre in caso di responsabilità contrattuale sarà il medico a dover fornire prova di essersi
comportato secondo i criteri della buona scienza medica e la prescrizione sarà decennale. In presenza di
contratto professionale o di contatto sociale, quindi, il sistema della responsabilità civile da colpa medica non
viene alleggerito dalla Legge Balduzzi, atteso che la responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata
- sia essa parte del Ssn o una impresa privata non convenzionata resta comunque di tipo contrattuale ex art.
1218 c.c.».
Foto: Renato Fedeli
Foto: Giulio Ponzanelli
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Pagine a cura di FEDERICO UNNIA/UNA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE MENEGHINO HA DELINEATO I
PALETTI DELLA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO
19/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.15 - 19 gennaio 2015
Pag. 34
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Come affrontare le malattie rare
C'è tempo fino al 2 febbraio 2015 per iscriversi alla nuova edizione del master in Malattie rare, gestito da
Corep e istituito dal dipartimento di scienze cliniche e biologiche dell'Università di Torino in collaborazione
con i l C m i d - Centro di coordinamento della rete interregionale per le malattie rare dell'Asl TO2. Le malattie
rare rappresentano oggi uno dei settori in maggior espansione del Sistema sanitario nazionale. In Italia,
infatti, si stima che i malati rari siano dai 300 mila ai 500 mila. Le peculiarità legate cronicità, alle difficoltà
diagnostiche e di gestione della terapia rappresentano una sfi da importante per i professionisti sanitari.
Inoltre, spesso la presenza di un malato «raro» si ripercuote sull'intera famiglia innescando delle dinamiche
diffi cili da gestire. Queste peculiarità rendono necessaria la formazione di operatori sanitari in grado di
affrontare non solo gli aspetti clinici delle malattie rare ma anche quelli assistenziali, sociali e legislativi. I
laureati delle prof e s s i o n i sanitarie, grazie a un percorso form a t i v o legato maggiormente alla
valutazione e al soddisfacimento di bisogni assistenziali rappresentano i candidati ideali alla presa in carico
dei pazienti affetti da malattia rara. Il master di primo livello in Malattie rare si propone di fornire le
conoscenze specifi che necessarie alla presa in carico di questi pazienti spesso difficili da seguire ma anche
molto stimolanti dal punto di vista lavorativo. Per informazioni: iscrizioni@ corep.it.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Master Corep-Università di Torino
17/01/2015
Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
un sorriso hi-tech
Elena Correggia
Radiografie in 3D, impronte digitali, chirurgia computer-assistita, materiali biotecnologici per la rigenerazione
ossea sono fra le innovazioni che stanno cambiando l'approccio terapeutico in odontoiatria, con un
miglioramento delle cure a vantaggio del paziente e un'ottimizzazione della qualità dei manufatti utilizzati e
dell'accuratezza degli interventi. Modelli virtuali delle arcate. In campo protesico, soprattutto per la
realizzazione di ricostruzioni parziali estetiche come corone, intarsi, faccette o piccoli ponti, l'uso dell'impronta
digitale sta riducendo notevolmente le sedute necessarie per ottenere il prodotto finito. «Una piccola
telecamera intraorale collegata a un computer è in grado di riprendere immagini separate o una sorta di
filmato delle arcate dentarie generando un modello virtuale, senza più l'utilizzo di paste e porta-impronte
fisici», spiega Massimo Nuvina, odontoiatra di Torino, membro della Digital Dental Academy, che terrà il
secondo congresso internazionale a Parma il 27 e il 28 marzo prossimi per presentare le ultime frontiere del
digitale in odontoiatria. «La telecamera collegata via cavo a un computer dedicato genera un file
tridimensionale della bocca del paziente: un programma permette il disegno virtuale della ricostruzione, che
viene inviata in modalità wireless a un'unità di molaggio in grado di modellare piccoli lavori protesici in
ceramicao in materiale composito direttamente nello studio medico. Con queste apparecchiature il
professionista può realizzare un manufatto e cementarlo nella stessa giornata, diminuendo in questo modo
anche l'impegno di tempo del paziente». Per chi non dispone di tali apparecchiature e per casi di maggiore
complessità, è possibile trasformare in digitali le impronte tradizionali o i modelli in gesso con uno scanner da
laboratorio. L'odontotecnico confeziona la protesi eseguendo però la progettazione e la lavorazione
completamente al computer. Lo studio della dentatura, dell'occlusione del paziente e di possibili interventi
correttivi anche dal punti di vista estetico hanno fatto passi da gigante grazie a queste nuove tecnologie.
Partendo dalle immagini digitali acquisite con la Tac dentale, che ricostruisce tridimensionalmente in modo
preciso il cavo orale, sia i tessuti duri sia quelli molli, l'odontoiatra può avvalersi dei software di modellazione
in 3d per la progettazione virtuale del sorriso del paziente, proponendo una simulazione personalizzata del
risultato finale dopo le cure. «Rispetto alla radiografia bidimensionale la tomografia assiale computerizzata,
grazie alla sua precisione nella ricostruzione anatomica dei distretti, aveva già migliorato la fase diagnostica»,
continua Nuvina. «Da alcuni anni sono stati introdotti sul mercato apparecchi tomografici in grado di rilevare
delle superfici di minori dimensioni rispetto alle Tac tradizionali, chiamati cone-beam (Cbct- Tac a raggio
conico), che sono meno ingombranti, richiedono investimenti di minor entità ed espongono il paziente a una
dose inferiore di radiazioni rispetto alle Tac di più grandi dimensioni». Novità in implantologia. Non si parla
ancora di robot, ma senza dubbio la chirurgia guidata attraverso il computer trova un promettente campo di
applicazione in ambito implantologico. L'approccio risulta particolarmente valido per i soggetti completamente
edentuli, portatori di protesi totali, che dispongano di una buona quantità e qualità di osso dei mascellari, che
la Tac o la Cbct aiutano a valutare. «Lo studio al computer delle immagini del distretto cranio-facciale del
paziente ottenute con le tecniche tomografiche digitali permette di programmare con massima precisione la
lunghezza, il diametro e la localizzazione degli impianti e il disegno finale delle protesi», precisa Nuvina.
«L'indagine sul modello virtuale si trasferisce poi su una mascherina trasparente, simile a una placca
ortodontica, dotata di guide, all'interno delle quali si fanno scorrere le frese per effettuare i fori degli impianti,
esattamente dove previsto nello studio prechirurgico, con un approccio mini invasivo». Al contempo, il
laboratorio odontotecnico ha già tutte le informazioni necessarie per eseguire la protesi provvisoria immediata
e quella definitiva. È così possibile effettuare l'intervento chirurgico con l'inserimento degli impianti e
l'avvitamento delle protesi relative a un'arcata dentaria in una sola seduta, eliminando il disagio di rimanere
senza denti per un certo periodo. Gli alleati della guarigione veloce. La ricerca sta facendo progressi anche
per quanto riguarda materiali e sostanze capaci di accelerare i tempi di guarigione dopo un'estrazione e per
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SALUTE
17/01/2015
Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
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favorire la rigenerazione dei tessuti. Buoni risultati stanno offrendo in questo senso alcuni concentrati
piastrinici ottenuti dal sangue del paziente centrifugato in appositi macchinari e posizionati nell'alveolo dopo
l'estrazione del dente, con lo scopo di ridurre sanguinamento, gonfiore e di agire come fattore di crescita dei
nuovi tessuti. Benché la rigenerazione di un dente partendo dalle cellule staminali sia ancora un obiettivo
sperimentale, lontano dall'essere introdotto nella pratica clinica, esistono materiali che hanno dimostrato la
capacità di indurre la crescita ossea. È il caso della membrana di goretex utilizzata a livello iuxtaosseo in
alcune tecniche di ricostruzione orizzontale o verticale delle creste ossee prive di denti. Poiché il tessuto
gengivale cresce più rapidamente dell'osso, questa membrana ha la funzione di frapporsi per impedire alle
cellule della gengiva di debordare, favorendo la specializzazione delle nuove cellule del coagulo in struttura
ossea invece che in tessuto gengivale. Addio sensibilità. Uno studio condotto dall'équipe del professor ChunPin Lin dell'Università nazionale di Taiwan, recentemente pubblicato sulla rivista della Società di chimica
americana, mette infine in luce i risultati promettenti, per ora testati però solo su animali, di un nuovo
materiale biocompatibile per contrastare la sensibilità dei dentie l'aumento del rischio di infiammazione della
polpa dentale. Il materiale in questione è un composto di calcio e fosforo, ovvero i principali elementi che
costituiscono i denti. La sostanza, applicata come pasta, è riuscita a creare un'efficace barriera in forma di
cristalli, penetrando in profondità nelle strutture della dentina, il tessuto osseo poroso compreso fra lo smalto
più esterno e la polpa del dente, che tende a diventare sensibile al freddo e al caldo quando lo smalto
superiore si assottiglia. A distanza di 70 giorni dall'applicazione siè registrata l'assenza di irritazione della
polpa e i cristalli biomimetici si sono rivelati importanti vettori di riparazione e di rigenerazione dentinale.
(riproduzione riservata)
17/01/2015
La Notizia Giornale
Pag. 14
Incubo tumore della prostata Finalmente più facile vederlo
La novità di softwere ed ecografi tridimensionali Un freno a una neoplasia in continuo aumento A Roma un
focus mondiale sulle tecnologie che stanno rivoluzionando la qualità delle biopsie
raffaella salato
Il tumore della prostata è la più frequente neoplasia dell'uomo con un'incidenza del 12%, sorpassando anche
quella polmonare che arriva appena al 10%. Si tratta di una patologia rara nei soggetti con meno di 40 anni
ed aumenta progressivamente con l'età. È stato calcolato quindi che un uomo, nel corso della vita, presenta
un rischio di sviluppare un carcinoma prostatico clinicamente evidente pari a circa il 15%. Inizialmente il
tumore prostatico è confinato alla ghiandola ed è carat terizzato da una crescita molto lenta, potendo restare
asintomatico e non diagnosticato anche per anni; in taluni casi, addirittura, non è in grado di alterare, anche
se non curato, la qualità e la spettanza di vita del paziente. MALATTIA AGGRESSIVA Al contrario, in altri
casi il tumore può risultare molto aggressivo e diffonder si velocemente ad altre parti del corpo (soprattutto a
livello linfonodale ed osseo). La diagnosi del tumore della prostata si bassa sull'uso di parametri clinici e di
laboratori (Psa e simili) ma non può prescindere dalla biopsia, ossia dall'esame istologico di frammenti di
prostata prelevati con un ago. Proprio nella biopsia prostatica in questi ultimi tempi si è assistito ad una vera
e proprio rivoluzione, con l'introduzione di nuove e sofisticate tecno logie che stanno cambiando
completamente il modo di fare la biopsia ed anche i risultati. La panoramica più completa su questi scenari
sarà visibile a Roma il 23 e 24 gennaio, nel corso di un convegno con i maggiori esperti della materia,
provenienti da Los Angeles, Houston, Parigi, Oslo, Vienna sino ai lontani Giappone ed India, chiamati a
raccolta dal Dott. Paolo Puppo , Direttore del Centro di Eccellenza di urologia di San Remo, che per primo ha
introdotto in Italia queste nuove tecnologie. Fa parte del Board scientifico dell'evento anche il Dr. Michele
Gallucci , Direttore dell'Urologia del Centro Tumori Regina Elena di Roma. "Il tumore della prostata - spiega presenta diverse gradazioni di rischio per le quali esistono terapie su misura. Per i rischi molto bassi una
opzione recentemente introdotta è quella della sorveglianza attiva, ossia in pratica il controllo attento e
periodico con riserva in caso di progressione. Per i rischi intermedi ed alti, invece, la sorveglianza attiva è
pericolosa ed entrano in gioco la chirurgia e la radioterapia. L'attribuzione delle categorie di rischio avviene
principalmente sulla base dei risultati della biopsia prostatica, che dovrebbe quindi essere la più precisa ed
attendibile possibile". IL FUTURO Per biopsiare bene bisogna vedere bene, e l'urologo per vedere dove
inserire l'ago della biopsia usa l'immagine ad ultrasuoni, ma gli ultrasuoni non distinguono quasi mai tra
tessuto sano e tumore. "A questo problema - spiega il Prof. Puppo - si sta finalmente ovviando con l'adozione
di ecografi tridimensionali e con l'uso di software appositi che simulano, ricostruiscono e registrano il percorso
dell'ago all'interno della prostata. E le macchine di nuovissima generazione consentono una diagnostica per
immagini in grado di "vedere" il tumore della prostata.
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speciale salute L'appuntamento
17/01/2015
Left - N.1
Pag. 64
(diffusione:57256, tiratura:78653)
Ebola non è invincibile
A un anno dall'inizio dell'epidemia la medicina mette a segno dei risultati positivi. Il medico italiano guarito ne
è una conferma. E nel continente africano il virus rallenta la sua corsa
Pietro Greco
La guarigione di Fabrizio Pulvirenti lo conferma: Ebola può essere battuta. Il medico di Emergency,
contagiato in Sierra Leone dal virus della famiglia dei Filoviridae, è guarito ed è stato dimesso a inizio
gennaio dall'ospedale Spallanzani di Roma dove è stato curato. Quello del medico di Catania non è un caso
né unico né raro, in Occidente. A un anno dall'inizio dell'epidemia in Africa occidentale (febbraio 2014, in
Guinea) le persone contagiate curate in Europa o in America sono state 24, così distribuite: 10 negli Stati
Uniti, 3 in Germania e Spagna, 2 in Francia e Regno Unito, 1 in Norvegia, Olanda, Svizzera e, appunto, Italia.
Le persone decedute a causa della febbre emorragica indotta dal virus di Ebola sono state 5. Una mortalità
alta (20,8 per cento), ma non paragonabile a quella, altissima, che si riscontra in Africa. Fino allo scorso 8
gennaio l'Organizzazione mondiale di sanità ha registrato 20.747 casi di infezione da Ebola, nel 99,8 per
cento dei casi localizzati in tre soli Paesi: la Sierra Leone (9.780 casi); la Liberia (8.157 casi) e la Guinea
(2.775 casi). Tra questi si sono verificati 8.235 decessi: una mortalità del 39,7 per cento. Ma, sostengono gli
esperti dell'agenzia delle Nazioni Unite, si tratta di una mortalità sottostimata visto che quella reale si avvicina
al 70 per cento. Anche perché la mortalità tra le persone contagiate che sono state curate in un ospedale tra
Sierra Leone, Liberia e Guinea e di cui si è potuto documentare il decorso risulta del 60 per cento. D'altra
parte tra gli 802 sanitari (medici o infermieri) contagiati, 488 sono morti: il 59,5 per cento, appunto. È molto
probabile che nelle campagne e nei villaggi più remoti, dove non ci sono ospedali né cure e dove la malattia
non è neppure diagnosticata, la mortalità sia superiore. Nei primi mesi dell'epidemia - tra il mese di febbraio e
il mese di agosto dello scorso anno - si sono verificati due atteggiamenti contraddittori ed entrambi pericolosi
nell'opinione pubblica occidentale. Il primo è consistito nella sottovalutazione del fenomeno Ebola: è un fuoco
epidemico - è stato detto - che presto si spegnerà e che, comunque, non travalicherà i confini dell'Africa. Il
secondo è stato un atteggiamento di resa: il virus è imbattibile, non abbiamo una cura specifica, non abbiamo
un vaccino e dunque non c'è nulla da fare se non tenersene lontani. Né l'uno né l'altro di questi atteggiamenti
era fondato. L'epidemia infatti non si è spenta, ma al contrario è esplosa, interessando sia altri tre paesi
africani - Mali (8 casi), Nigeria (20 casi) e Senegal (1 caso) - sia altri due continenti, Europa (14 casi),
America (10 casi). Anche se quasi tutti gli occidentali, come Fabrizio Pulvirenti, si sono contagiati in Africa e
sono stati curati nei loro Paesi di origine. Ma, malgrado ciò, il virus si sta dimostrando meno invincibile del
previsto. Ebola può essere fermato: l'epidemia sta rallentando la sua corsa. Da Ebola si può guarire e, infatti,
8 su 10 delle persone curate in Occidente ce l'hanno fatta o stanno per farcela. Prendiamo il caso di Fabrizio
Pulvirenti, curato con successo presso l'ospedale Spallanzani di Roma. Ce l'ha fatta anche in assenza di un
farmaco specifico in grado di contrastare il virus di Ebola, grazie a terapie di supporto, a sieri e a quattro
farmaci sperimentali le cui caratteristiche, come prevedono le linee guida dell'Oms, verranno rese note entro
la fine di gennaio. Non sappiamo ancora quale peso relativo abbiano avuto i fermaci sperimentali. Ma tanto i
medici clinici quanto i ricercatori sostengono che un aiuto formidabile, talvolta decisivo, viene fornito anche da
terapie di supporto, come l'idratazione, che sono banali in un ospedale occidentale (anche condizioni di
isolamento assoluto, come erano quelle di Pulvirenti); molto difficili da assicurare negli ospedali e nei centri di
assistenza in Africa; praticamente assenti nei villaggi dove non c'è assistenza alcuna. È anche sulla base di
questa consapevolezza che l'Oms sta organizzando in Sierra Leone, in Liberia e in Guinea una rete di centri
di assistenza - la più diffusa e capillare possibile - che presidi non solo le città e i quartieri più poveri, ma
anche i villaggi più remoti. Una rete, peraltro, integrata dai centri delle organizzazioni non governative, come
Medici senza frontiere ed Emergency. Anche dal fronte della ricerca giungono notizie positive. Lo scorso 23
dicembre, per esempio, Julie E Ledgerwood, del Vaccine research center di Bethesda (Stati Uniti), e un folto
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17/01/2015
Left - N.1
Pag. 64
(diffusione:57256, tiratura:78653)
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gruppo di suoi collaboratori hanno pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet i risultati di uno studio
condotto su un gruppo di volontari con cui si dimostra che due vaccini - uno contro il virus di Ebola e l'altro
contro il virus Marburg (un altro pericoloso membro della famiglia dei Filoviridae), contrariamente a quanto si
pensava sono sicuri anche per le popolazioni africane. La prospettiva che questi o altri vaccini in fase
sperimentale o, anche, nuovi farmaci come quelli utilizzati per la cura di Fabrizio Pulvirenti, o anche il
cosiddetto "plasma di convalescenza", ovvero il sangue dei pazienti ammalati e guariti e, si presume, dotati
degli anticorpi giusti, possano dimostrare di essere non solo sicuri, ma anche efficaci, dunque non è affatto
remota. Ma qui sorgono le prime e più importanti difficoltà: mancano i medici, mancano gli infermieri,
mancano le strutture, mancano i soldi. Non sarà facile creare una rete sufficiente di centri di assistenza e
dotarla di tutti i mezzi necessari per debellare completamente l'epidemia se non ci sarà una nuova e più
decisa mobilitazione delle autorità sanitarie, dei governi e dell'opinione pubblica internazionale. Ma,
dicevamo, l'epidemia sta rallentando comunque la sua corsa. Smentendo le previsioni più pessimistiche.
Sulla base dei dati relativi ai mesi compresi tra luglio e settembre scorsi, i Cdc (Centers for deseases control
and prevention) calcolavano che alla fine di gennaio 2015 nei tre Paesi del focolaio epidemico ci sarebbero
stati oltre 45mila casi di contagio. A tutt'oggi, come abbiamo detto, l'Oms ne conta circa 21mila: meno della
metà. E le notizie più aggiornate ci dicono che, con 250 nuovi casi a settimana, i contagi in Sierra Leone non
sono più in aumento, ma si sono stabilizzati. Stabili risultano i nuovi contagi anche in Liberia. Mentre in
Guinea, dove la corsa sembrava continuare, gli ultimi rilevamenti dimostrano che i nuovi casi sono diminuiti
del 90 per cento, passando da 400 a 40. Non si conoscono i motivi di questo rallentamento. Ma è evidente
che un fattore importante, se non decisivo, è rappresentato dal sistema di contrasto che, in un modo o
nell'altro, si è riusciti comunque ad approntare, grazie anche alla dedizione (che qualcuno non a torto
definisce eroismo) dei medici e degli infermieri, locali e stranieri, che con notevole sprezzo del pericolo non
sono scappati, ma hanno pensato e dimostrato che Ebola è un nemico pericolosissimo, ma non è imbattibile.
In 500 hanno perso la vita. Ma, evidentemente, sono riusciti almeno a frenare l'epidemia. Fabrizio Pulvirenti
ha dichiarato di voler tornare in Sierra Leone. Non è l'unico tra i sanitari ammalati e guariti che ritornano al
fronte. Sul sito dell'Oms c'è la storia di Rebecca Johnson, un'infermiera della Sierra Leone impegnata nella
cura dei malati di Ebola presso la Police training school (Pts) Hastings I, che, dopo essere stata contagiata, è
guarita ed è voluta ritornare al suo lavoro. Fabrizio e Rebecca sono una risorsa preziosa, con il loro coraggio
contribuiscono a serrare le fila dei sanitari impegnati sul pericoloso fronte. Ma, forse, il loro eroismo non è
sufficiente. Oltre alle scelte di singoli o di singole organizzazioni, per battere definitivamente Ebola occorre un
ulteriore e decisivo sforzo. Che non può che essere in primo luogo pubblico. Occorrono nuovi fondi e una
sistema di intervento, non solo per contrastare l'epidemia, ma per ricostruire l'economia e il tessuto sociale
dei paesi colpiti. A metà dicembre risultavano stanziati contro Ebola 1,4 miliardi di euro (460 milioni dagli Stati
Uniti, 170 dal Regno Unito, 120 dalla Germania, 82 dalla Banca Mondiale, 460 da altri Paesi, 78 da gruppi
privati). L'Unione europea si è impegnata a destinare un miliardo di euro contro Ebola. Questi fondi,
probabilmente, sono ancora pochi. Ma quel che più conta è che lo sforzo non è coordinato. Ciascuno
interviene per proprio conto. Mentre occorrerebbe un unico e autorevole centro di coordinamento. Questo
centro già esiste: è un'agenzia delle Nazioni unite, l'Organizzazione mondiale di sanità. Il guaio è che a
questa agenzia i governi destinano sempre meno fondi. Non capiscono che non è possibile battere Ebola e
sventare tante altre minacce alla salute umana andando, come gli ingenui e superbi Curiazi, a combattere il
terribile nemico ciascuno per conto suo.
Foto: La malattia può essere fermata: in Occidente 8 persone su 10 ce la fanno. In Africa le reti di assistenza
potrebbero funzionare meglio se aumentassero i finanziamenti
Foto: Quattro i farmaci sperimentali con cui è stato curato Fabrizio Pulvirenti. Le linee guida saranno rese
note alla fine di gennaio. Fondamentali anche terapie di supporto come l'idratazione
Foto: foto: EPA/AHMED JALLANZO Liberia, donna guarda un muraLes neLLa città di monrovia.