Paesi e uomini - Le Montagne Divertenti

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Paesi e uomini - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
n°20 - PRIMAVERA 2012 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Don Chiari
L'uomo di pianura che
ci ha fatto amare
le montagne
Alpi Retiche
Pizzo e lago di Sareggio
in val Fontana
Alpi Orobie
Con gli sci verso gli alti
gendarmi della cima
Soliva
Passeggiate
Dagua, il paese più
bello della Valmalenco
Alta Valtellina
Scialpinismo al colle
delle Pale Rosse
Valchiavenna
Dov'è l'alpe Sparavera?
Bassa Valtellina
Escursione al Culmine
di Dazio
I quàtru surèli
Le fontane di Sondrio
Valtellinesi nel
mondo
Australia e reunion
Pesca a mosca
Uno stile di vita
Fauna
La volpe
Fotografia
Click di primavera
Inoltre
Ricette, poesie, foto dei
lettori, giochi, libri ...
Paesi e uomini
che guardano dall'alto delle montagne
valchiavenna
- bassa valtellina - Val Màsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti IL G R UPP O B ANC ARIO
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Editoriale
- Che ne diresti di andare in cima alla Corna di Mara per vedere sorgere il sole?
Don Vittorio Chiari era anche questo. Un prete forte e gioioso che trascinava tutti con entusiasmo e tenacia difficili da
immaginare per chi non l’ha conosciuto.
Lui non era una sola persona. Era mille cose. Un poliedro dai molti lati, spigoli e facce, che mostrava secondo le
circostanze e le occasioni. Questo numero della rivista vuole mettere l’accento sul suo rapporto con le montagne. Un prete
giovane, in formazione, arriva all’Oratorio Salesiano San Rocco di Sondrio dentro una valle circondata da altre infinite
valli e cime e maggenghi e alpeggi; con un gran numero di ragazzi da accudire, stimolare, riscaldare, far crescere.
E lui che fa? Si inventa la montagna.
All’inizio le sue gite sono osteggiate e prese alla leggera. Poi però “crescono”.
- Sei matto! Gli dicono quando lo vedono partire con 50-100 ragazzi, che ci si immagina capaci di percorrere solo pochi
metri e stramazzare al suolo.
Invece quei ragazzi camminano, imparano, resistono e arrivano sul Corno Stella, sul pizzo Scalino e su tante altre cime.
Provate a partire a piedi da Arquino (m 450) nel cuore della notte, andare in cima al pizzo Scalino (m 3323) e
scendere a Caspoggio; sembrerebbe una follia, però è molto di più!
È una forza, uno stile, un carisma che ha trascinato ragazzi e adulti e che li ha aiutati a crescere.
Antonio Boscacci
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2
Gestore del SERVIZIO di CASSA
del CLUB ALPINO ITALIANO
Sede Centrale - Milano
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
In copertina: Valchiavenna, la piana di Gualdera in primavera, ovunque fiori, forse massima espressione della grazia che la natura può
generare in un essere vivente (10 aprile 2011, foto Enrico Minotti - www.clickalps.com).
Ultima di Copertina: fioritura di ranuncoli alla Braciascia in Valmalenco. Sullo sfondo la Sassa di Fora (14 maggio 2011, foto Roberto Moiola).
Editoriale: monte Aga e pizzo dell'Omo riflessi nell'evanescente lago Zapello in val d'Ambria (28 maggio 2011, foto Beno).
Le Montagne Divertenti 3
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Giorgio Orsucci
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno e Giorgio Orsucci
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
Hanno collaborato a questo numero:
Adriana e Marino Amonini, Andrea Zampatti, Antonio
Boscacci, Davide Gotti, Eliana e Nemo Canetta, Enrico
Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Flavio Casello,
Francesca Benedetti, Francesco Vaninetti, Franco Benetti,
Giacomo Meneghello, Gianluca Sala, Gioia Zenoni, Giordano
Gusmeroli, Giuseppe Cerfoglia, Luciano Bruseghini, Luigi
Fanetti, Luisa Angelici, Manuela Grasso, Marcello Di Clemente
(Dicle), Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini,
Maurizio Torri, Nicola Giana, Paola Pizzini, Pietro Pizzini,
Roberto Corona, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto
Ganassa, Rocco del Nero, Sergio Scuffi, Valter Bianchini.
ARIO
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
10
52
80
108
28
Si ringraziano inoltre
Chiari di luna
In montagna con don Vittorio Chiari
Vittorio Chiari
Biografia
60
Val Fontana
Lago e pizzo di Sareggio (m 2779)
Approfondimento
'na volta sü en Sarécc'
87
Valchiavenna
Dov'è l'alpe Sparavera?
Approfondimento
Intervista a Giulia Rossotti
113
Valtellinesi nel mondo
Australia
Fauna
La volpe
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio
M
Ezio Gianatti, Antonio e Mario Gandossini, Salesiani di
Sondrio, Bruno Locatelli, Mario Maffezzini, Fabrizia Vido,
Eva Fattarelli, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi, gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor
che credono in noi e in questo progetto.
30
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registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com
Pesca a mosca
62
Contatti, informazioni e merchandising
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
Alta Valtellina
Il colle delle Pale Rosse (m 3375)
88
Valmalenco
Dagua
122
L'arte della fotografia
Click di primavera
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
M
Abbonamenti per l’Italia
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
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- oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia
del versamento a: [email protected]
- oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati
in segreteria).
Riunione di famiglia
La reunion di Campodolcino
69
Approfondimento
Il bacino artificiale dei Forni
96
Approfondimento
Frammenti di val Dagua
O
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
127
Le foto dei lettori
135
Vincitori e vinti
137
Arretrati
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Giochi
Ma che scimma i-è, Ma ch'èl
Prossimo numero
S
21 giugno 2012
38
I quatru surèli
Le fontane di Sondrio
Primavera 2012
70
Alpi Orobie
Cima Soliva (m 2710)
Le Montagne Divertenti 100
138
Bassa Valtellina
Il Culmine di Dazio (m 921)
Ricette della nonna
Le Fritule
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
Curtegns 1864
2115
3062
Mulegns
Pizzo Tambò
3278
3378
Cresta
St. Moritz
Juf
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Casaccia
Mera
Pizzo Galleggione
3107
San Cassiano
Pizzo Martello
2459
3378
ra
T. Code
Novate
Mezzola
3032
Cima del Desenigo
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
100
Sirta
MORBEGNO
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Caiolo
Tartano
Premana
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
Le Montagne Divertenti Barzio
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
Pizzo Campaggio
2502
Olmo
al Brembo
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2914
Monte Masuccio
2816
Pizzo Redorta
3039
TIRANO
Carona
Pizzo Coca
3050
Aprica
Gromo
Primavera 2012
Vezza
d'Oglio
Còrteno
Monte Sellero
2743
Pizzo Camino
2492
(Nicola Giana, Pietro e Paola Pizzini)
Passo del Tonale
1883
Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) (Beno)
62 Alta Valtellina
Il colle delle Pale Rosse
(m 3375)
(G. Meneghello e R. Ganassa)
70 Alpi Orobie
Cima Soliva (m 2710)
(Beno)
80Valchiavenna
Alpe Sparavera (m 1775)
(Beno)
88Valmalenco
Adamello
3554
Monte Fumo
3418
Garda
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Edolo
Loveno
Villa
Vione
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Vilminore
Colere
Cortenedolo
Malonno
Monte Torena
2911
Pezzo
Incudine
Monno
Passo dell'Aprica
Monte Gleno
2883
Valbondione
Passo del Vivione
1828
Gandellino
Corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Mazzo
Tovo
Lovero
Sernio
Schilpario
Branzi
Roncorbello
Arigna
70
Foppolo
Mezzoldo
Valtorta
Pasturo
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Tresenda
Adda
Pizzo Rodes
2829
Fumero
Sondalo
Punta San Matteo
3678
Passo del Gavia
2621
Le Prese
Grosotto
Brusio
Chiuro
Albosaggia
San Caterina
Grosio
Bianzone
Teglio
Ponte in Valt.
BORMIO
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
frana
di val Pola
Adda
Boirolo
Tresivio
T. V
enin
a
Albaredo
Tremenico
Bellagio
6
Bema
Sondrio
36
Talamona
3136
Le Prese
52
Vetta di Ron
Torre
di S. Maria
Postalesio
Berbenno
Castione
Colorina
3323
88
T. Livrio
Lago
di Como
3114
Pizzo Scalino
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
San Martino Corni Bruciati
2845
Verceia
Monte Legnone
2610
Dervio
3678
Pizzo Ligoncio
Malghera
Poschiavo
62
San Antonio
Valdisotto
Cima Saoseo
3263
T. Fo
ntana
Còlico
Bagni
del Màsino
Primolo
La Rösa
San Carlo
T. Mallero
Lago
di Mezzola
Monte Disgrazia
T. Caldenno
Dongo
Somaggia
Cima di Castello
Oga
Eita
Sasso Nero
2917
Chiareggio
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
80
3308
4050
Gran Zebrù
3851
Cima de' Piazzi
3439
Cepina
i
od
Lag chiavo
Pos
San Pietro
Samòlaco
Era
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
Arnoga
I quatru surèli
52 Val Fontana
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
T. Roasco
Prata
Camportaccio
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
Pizzo Bernina
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Bondo
CHIAVENNA
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Sils
Passo dello Stelvio
2757
Isolaccia
Solda
Giogo di Santa Maria
2502
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Forcola
di Livigno
2315
T.
La
nte
rna
Campodolcino
Can
can
o
Trepalle
Pianazzo
Maloja
hi d
i
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Fraciscio
36Sondrio
Cima la Casina
Lag
3180
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3210
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Reno
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Julia
Splügen
Medels
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
Valle
Val Dagua
(Luciano Bruseghini, E. e N. Canetta)
100Bassa Valtellina
Il Culmine di Dazio
(m 921)
(Fabio Pusterla)
Capo
di Ponte
Làveno
Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello
2889
Niardo
© Beno 2011 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
Si comincia a doversi
proteggere dal freddo e dai
ferocissimi ermellini, ma per
fortuna il tratto su neve è poco
ripido. Occorre estrema
abilità per riuscire a
perdersi.
Itinerario invernale adatto a chi si è
appena trasferito in Valtellina da
un isola tropicale e ha visto il
ghiaccio solo nei cocktail.
Lo spazzaneve per te
non ha più misteri, ti
senti pronto a nuove
esperienze lontane
dagli impianti di
risalita.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento
crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione
dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Ne vale veramente la pena
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ore di percorrenza
Una passeggiata!
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
dislivello in salita
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Sai sciare o sei un manico con
le ciaspole, non hai paura del
dislivello o di brevi tratti ripidi,
ma, se vieni portato al pronto
soccorso, preferesti avere
al capezzale l'abominevole
uomo delle nevi che tua suocera
inferocita perché perderai giorni
di lavoro!
E’ richiesta una buona conoscenza
dell’ambiente alpino, discreta
capacità di arrampicare
e muoversi su terreno gelato, gamba
sicura su ogni tipo di neve e pendio.
E’ consigliabile una guida.
su RADIO TSN
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno, Nicola Giana e Antonio Boscacci
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco
di insidie di varia specie. E' facile perdersi, incengiarsi
o prender notte per contrattempo. Nei momenti di
massima tensione spererai di poter presto ascoltare i
rimproveri di tua suocera al pronto soccorso.
8
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Il tuo sogno è farti
lanciar giù dalla nord del
Disgrazia incatenato
a una slitta,
ma non trovi nessuno
che ha il coraggio di darti
la spinta,
così cerchi alternative.
Chiari di luna
Speciali
Antonio Boscacci
Di don Chiari molti hanno scritto e continuano a scrivere con
competenza ed affetto. Nella sua vita è riuscito ad essere mille
cose contemporaneamente e chi ha raccontato di lui e delle sue tante
attività, sempre a favore dei giovani e delle comunità nelle quali era coinvolto, ha messo
in rilievo la sua energia, la sua capacità di trascinare, di essere una guida, un progetto,
un luogo sicuro verso il quale dirigersi e presso il quale riposare.
Il suo bisogno di ampi spazi dentro i quali muoversi, il suo desiderio di vastità
sembravano mal conciliarsi con il suo stare a Sondrio, chiuso dentro una specie di gabbia
di montagne incombenti da tutte le parti.
Ma come fate … diceva all’inizio.
Però quasi subito la gabbia si è rotta, è scomparsa, e le montagne
sono diventate per lui la siepe di Leopardi.
Un pretesto per vedere ancora più lontano.
Per questo ha sempre amato tanto Sondrio e la Valtellina.
Per questo ci ha fatto amare ancora di più, lui uomo di
pianura, le montagne che da sempre circondano la
nostra vita e il nostro crescere.
La luna e le nubi giocano col pizzo Scalino
(18
foto BenoDivertenti
- www.clickalps.com).
10ottobreLe2010,
Montagne
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari
11
Uomini e montagne
Speciali
IL CORNO STELLA
- Facciamo così, intanto che loro si
fermano qui a riposare e a mangiare,
noi andiamo a cercare la cima. Da
qualche parte deve pur esserci.
Il "loro" era riferito a un centinaio di
ragazzi e a qualche accompagnatore. Il
"noi" invece, riguardava pochi strambi
individui che in quella nebbia fissa e
incartapecorita, densa e appiccicosa
come lo zucchero filato, sarebbero
dovuti andare alla ricerca della cima.
Infatti siamo saliti per oltre un’ora e
alla fine, sempre in quel grigiume, che
secondo una frase molto utilizzata, si
sarebbe potuto tagliare con il coltello,
siamo arrivati su un cocuzzolo.
12
Le Montagne Divertenti - Ecco la nostra cima.
Questo è chiaramente la
sommità del Corno Stella.
Non riuscendo a vedere più in là di
due metri, ed essendo anche un po’
stanchi e confusi, abbiamo accettato
di buon grado l’idea di essere finalmente arrivati in cima.
Siccome non c’era verso di capire
dove eravamo, tanto valeva pensare
che eravamo davvero sul Corno Stella.
Così abbiamo iniziato a scendere e,
pur con qualche difficoltà di orientamento e dopo aver girovagato un po’
per i pascoli, siamo arrivati là dove
saremmo dovuti arrivare, alle baite del
Publino.
Questa storia, come le altre storie
che qui verranno raccontate, si sono
svolte nella prima parte degli anni
sessanta.
Eravamo partiti, come spesso ci
capitava in quel tempo di memo-
rabili faccende, dall’Oratorio San
Rocco di Sondrio.
Alle 3 del mattino.
Cento ragazzi che alle 3 del mattino
attraversano Sondrio a piedi diretti ad
Albosaggia.
- Ma dove andate a quest’ora, benedetti ragazzi, è ancora buio pesto,
ci aveva domandato l’unico essere
umano che avevamo incontrato, un
panettiere, dalle parti di piazzale
Bertacchi.
- Andiamo al Corno Stella.
- Al Corno Stella?
- Sì, proprio al Corno Stella.
- Ma chi è quel matto che ha pensato a una cosa del genere?
- Sono io, ha risposto don Chiari.
Era proprio lui il matto che aveva
proposto questa cima, dicendo che
non era difficile e che si trattava solo
di camminare un po’.
Quando abbiamo imboccato la
mulattiera per la valle del Livrio, il
cielo cominciava a mandare i
primi segnali di una gior-
Primavera 2012
nata splendida.
Alla fontana di Sant’Antonio la luce
era più che sufficiente per farci trovare
la bocca. Per una prima colazione.
- Ragazzi, il più è fatto, da qui in
avanti è tutto in piano.
Pur essendo ancora un ragazzino,
ero già abbastanza allenato con i
numeri e mi tornava un po’ complicato pensare che, essendo noi in quel
momento a m 700 e dovendo raggiungere i m 2600 del Corno Stella, il
percorso fosse tutto in piano.
In ogni caso, abbiamo raggiunto il
Forno, la Costa e poi la Piana.
- Adesso c’è una leggera salitella qui
a destra e siamo arrivati. Prima però
mangiamo.
La leggera salitella (600 metri di
dislivello) ci ha condotti alle baite del
Publino.
Fino alla Piana era stata una giornata bellissima. Non avevamo
incontrato una nuvola.
Ma quando abbiamo iniziato la
salitella, è arrivato uno di quei nebbioni che non è raro trovare nelle
Orobie e che il Galli-Valerio ha
così ben raccontato in molti
Le Montagne Divertenti dei suoi scritti.
Siamo riusciti a trovare a stento le
baite del Publino.
La nebbia era così fitta che non
riuscivamo nemmeno a vederci tutti.
C’era poi una umidità tale, che avevamo tutti i capelli bagnati, come se
avessimo camminato sotto l’acqua.
In quelle condizioni, andare alla
ricerca del Corno Stella, era un’impresa davvero ardua.
Tenendo anche conto del fatto che
nessuno di noi c’era mai stato prima.
Però c’era anche un specie di
risvolto positivo. In fondo, nella nebbia, chi mai avrebbe potuto contestarci il fatto che quella che avevamo
raggiunto non fosse la sommità del
Corno Stella?
Anche se era tutto in piano, il salire
era stata una faccenda lunga e faticosa. Immaginatevi il ritornare fino a
Sondrio a piedi.
Ricordo che quella sera non sono
riuscito a fare le scale di casa e
quando mi sono seduto in
cucina, non sono più stato in
grado di rialzarmi.
- Allora, com’era il
Corno Stella? Ha domandato mio
padre. Avete visto il Duomo e la
Madonnina?
- Ma che Duomo e che Madonnina,
non abbiamo visto niente perché c’era
la nebbia; però siamo riusciti lo stesso
ad arrivare in cima.
- Allora avete visto l’ometto di pietre e il palo di legno.
- No, non ci sono più.
- Come non ci sono più, li ho visti
io tre settimane fa.
- Magari sono stati spazzati via dal
vento.
- Secondo me la storia è più semplice: voi non siete arrivati sul Corno
Stella. Chissà dove siete andati.
Quando il giorno dopo ho riferito
a don Chiari del palo e dell’ometto di
pietre e dei dubbi di mio padre, lui mi
ha risposto:
- Noi non siamo andati sul Corno
Stella, quello facile dove vanno tutti,
ma in un altro lì vicino.
Ne abbiamo riso per anni.
Don Chiari, in basso a dx, con i
ragazzi dell'Oratorio San Rocco di
Sondrio. A braccia alzate don Silverio
Raschetti (inizio anni '60, foto
archivio
Salesiani
di Sondrio).
Don
Vittorio
Chiari
13
Uomini e montagne
Speciali
IL LAGO CHE NON C’È
Mi aveva detto che voleva andare al
lago di Arcoglio.
- Fatti dire bene da tuo
padre dove si trova e
come dobbiamo fare per
arrivarci. Se c’è la nebbia,
non dobbiamo fare come al
Corno Stella.
Mio padre Carlo era una guida
alpina, quindi "doveva" sapere ogni
cosa riguardasse la montagna. Così
mi aveva spiegato dove si trovasse il
lago e come avremmo dovuto fare per
raggiungerlo.
Ripetei le stesse cose a don Chiari e
lui rispose;
- Meno male, è facilissimo.
Immaginatevi la scena.
Giornata bellissima. 120 ragazzi
scendono dalle corriere a Torre di
Santa Maria (è meglio che andiamo in
corriera fino a Torre se no diventa un
po’ lunga) e sciamano da ogni parte.
- Andiamo, andiamo, questa è la
strada per Ciappanico.
Così siamo arrivati a Ciappanico e
ai Piasci scavalcando il Torreggio.
Poi su verso le baite di Arcoglio
inferiore.
- Non possiamo fermarci qui a
mangiare, perché il lago è appena lì
sopra. Cinque, massimo dieci minuti
e ci arriviamo. Intanto voi tre andate
avanti e quando vedete il lago, sventolate il maglione e fate un po’ di versi.
I tre indicati da don Chiari erano il
mio amico Daniele, mio fratello Giovanni ed io.
Siccome il lago era appena lì sopra,
tanto valeva che lo raggiungessimo
direttamente, senza passare per Arcoglio superiore.
Abbiamo iniziato a salire i pendii
sotto l’anticima del monte Arcoglio.
Ogni vallecola percorsa, ogni
piccolo dosso che raggiungevamo,
avrebbe dovuto nascondere il lago.
Ma del lago non c’era nessuna traccia.
Era mezz’ora che salivamo tra erbe e
sassi e del lago non si vedeva l’ombra.
Abbiamo anche deciso di dividerci.
Niente da fare.
Il lago era sparito.
Così abbiamo pensato di aspettare
gli altri, per capire che cosa fare.
Nel lago di Arcoglio si specchiano
le montagne che vanno dal pizzo Scalino
(a sx) alla Corna di Mara
(28 maggio 2011, foto Roberto Ganassa).
14
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari
15
Uomini e montagne
Speciali
accorgersi dell’aria pungente in quel
luogo così bello, pieno di ragazzi che
vociavano e domandavano quanto
mancava ancora alla cima dello
Scalino.
Sempre camminando di fianco al
torrente Antognasco, abbiamo risalito il gradino glaciale che introduce
ai vasti ripiani dell’alpe Painale.
- Quando siamo all’alpe Painale,
praticamente siamo arrivati, ha detto
mio padre ai ragazzi che aspettavano
con ansia di vedere la nostra meta.
Si era però dimenticato di aggiungere che dall’alpe alla sommità dello
Scalino, c’erano ancora 1200 metri
di dislivello. In ogni caso avevamo
già percorso circa 1700 metri e tutto
andava bene.
Però è successo che, quando siamo
arrivati all’alpe Painale, i pastori avevano appena finito di fare il burro e
c’era un bel secchio di lac' pégn1.
- Lo volete?
Quattro parole prima del pranzo nella gita all'alpe Ventina e ai piedi del ghiacciaio omonimo (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio).
Noi eravamo assetati e quello era
1 - il latticello senza grasso che rimane nella
zangola dopo aver tolto il burro.
I famosi cinque minuti, massimo
dieci, erano trascorsi da un gran
pezzo, quando sono arrivati tutti.
- Non può che essere lì sopra, ha
detto don Chiari mostrandoci un
avvallamento sotto la cresta che dal
monte Arcoglio va al sasso Bianco.
- Se qui c’è un lago, deve essere lì.
Naturalmente non era lì.
- Sapete, ha detto allora il carismatico nostro capo, sapete che vi dico:
a volte, in anni del tutto eccezionali
(e questo è un anno eccezionale),
il lago di Arcoglio sparisce a causa
della siccità. Peccato. Non bisogna
demoralizzarsi. Attraversiamo in
questa direzione e scendiamo verso
Arcoglio superiore. Ci fermiamo a
mangiare davanti alla chiesa. Voi tre
andate a vedere se trovate il sentiero.
Così, cercando il sentiero per scendere alla chiesetta, abbiamo trovato
il lago di Arcoglio.
Lui se ne stava lì proprio dove
doveva stare.
Bello, tranquillo, rilassato, con
dentro l’azzurro del cielo, il verde
dei pascoli e il grigio delle rocce
intorno.
16
Le Montagne Divertenti IL PIZZO SCALINO
- Chiedo al Marco se può venire a
portarci fino ad Arquino, almeno ci
risparmiamo un pezzetto di strada.
Così mio padre si è messo d’accordo con mio zio Marco, che aveva
un vecchio motocarro a tre ruote
con il quale faceva il trasportatore
di sabbia e ghiaia, perché alle 2 del
mattino, si trovasse davanti a San
Rocco.
- Facciamo alle 2, perché la salita è
un po' lunga, avevano stabilito don
Chiari e mio padre, che ci avrebbe
accompagnato, forte della sua esperienza di guida alpina, in quell’ennesima avventura.
Siccome sul motocarro non ci
potevano stare tutti, alcuni si erano
avviati a piedi e altri erano andati
con l’auto di non so più chi.
Sull’auto c’erano otto
o nove ragazzi e sul
motocarro venticinque. In
piedi, stretti gli uni agli
altri, attenti a non cadere.
Dopo averli scaricati ad Arquino,
il motocarro era sceso per fare un
secondo viaggio, raccogliendo quelli
che stavano salendo verso Ponchiera.
Tra una cosa e l’altra, abbiamo
imboccato la mulattiera della val di
Togno che erano quasi le 3.
Allora non c’era ancora la strada
che entrava in questa valle e una
lunga fila di ragazzi si snodava sulla
mulattiera che saliva verso Mialli e
Pòrtola.
Ai primi movimenti del giorno,
stavamo entrando nella val di Togno
ed era ormai chiaro quando siamo
arrivati alla vecchia caserma della
Guardia di Finanza.
Prima colazione ufficiale.
Poi di nuovo in viaggio verso l’alpe
Rogneda.
Quando ci siamo arrivati, il sole
cominciava a illuminare le montagne sopra di noi.
Anche questa volta era una giornata bellissima, di quelle nelle quali
il cielo sembra riversarti negli occhi
tutto il suo splendore.
All’alpe Rogneda l’aria era un
po’ pungente, ma chi poteva mai
Primavera 2012
freschissimo.Insomma, una cazza2
alla volta, l’abbiamo bevuto tutto.
Siccome però qualcuno era rimasto
senza, i pastori ci hanno dato anche
un secchio di serùn, parte del siero
loro rimasto dopo la preparazione
del formaggio di quella mattina.
Quella volta con noi c’era anche
mio zio Ferruccio, un poliziotto
veneto che aveva sposato la sorella di
mio padre.
La cosa curiosa era che, pur non
avendo mai fatto una gita, aveva
scelto questa passeggiatina per
migliorare le sue conoscenze nel
campo della montagna.
Non solo non aveva mai fatto
escursioni, né corte, né lunghe, ma
non aveva mai nemmeno assaggiato
il lacc' pégn e il serùn.
Molti dei nostri lettori non sanno
che anche una sola di queste due
bevande è in grado di smuovere l’intestino in maniera molto energica.
Se poi le si mischia.
"Apriti cielo", avrebbe detto mia
nonna Maria sorridendo.
Il tratto che dall’alpe Painale porta
2 - Mestolo.
alla base della cresta sud dello Scalino è un grande ammasso di sassi
più o meno grossi.
Se avessimo potuto osservare
quella scomposta fila di persone che
saliva destreggiandosi tra i massi,
avremmo visto che, molto spesso,
dalla fila si staccava qualcuno e se ne
andava dietro un sasso a liberarsi.
Sarebbe sembrata a un primo
sguardo superficiale, una specie di
sgangherata armata Brancaleone.
Arrivati sotto la cresta, abbiamo
aspettato tutti i ritardatari, poi don
Chiari ci ha fatto più o meno una
predicozza di questo tipo.
- Ragazzi, da qui in avanti non è
più tempo di scherzare. Se qualcuno
si fa male, viene da me che gli do
anche un calcio.
Così, tenendoci il più possibile vicini per non far cadere sassi
sulla testa di quelli che seguivano,
abbiamo risalito una specie di pendio/canale, molto ripido e accidentato e siamo arrivati sulla cresta che
dallo Scalino va verso il passo del
Forame.
L’ultimo tratto è stato il più impe-
In vetta al pizzo Scalino dopo la lunga salita da Arquino. Si noti la piccozza - piccone che si usava in quel periodo (inizio anni '60, foto archivio Salesiani).
Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari
17
Uomini e montagne
Non è facile tenere a freno l'entusiasmo dei ragazzi, ma nemmeno quello di don Chiari (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio).
gnativo ma, un po’ tirando e un po’
spingendo, siamo arrivati sulla vetta.
Sottolineo, per chi non
lo sapesse, che Arquino
si trova a m 450 e che la
vetta del pizzo Scalino è a
m 3323.
Alpe Prabello.
Meno male che ogni tanto ci si riposa
(metà anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio).
Con la scusa che non potevamo
certo ripercorrere la val di Togno,
mio padre, consultatosi con don
Chiari, ci annunciò che saremmo
scesi a Caspoggio e che lì avremmo
preso la corriera fino a Sondrio.
Grande esultanza da parte di tutti.
Aveva solo omesso di dire che tra
noi e Caspoggio c’era il ghiacciaio
dello Scalino.
Prima di scendere sul ghiacciaio,
mio padre ci ha raccomandato di
stare in fila indiana, tenendo con una
mano la corda, di non uscire dalla
traccia e di non fare stupidaggini.
In ogni caso, se qualcuno fosse
finito in un crepaccio, cosa non probabile, ma non per questo impossibile, non c’era da spaventarsi:
sarebbe stato tratto in salvo subito.
Le Montagne Divertenti La corda era una vecchissima corda
di canapa intrecciata, come quelle
che si vedono in certe immagini a
tracolla delle guide alpine dell’ottocento. Di quelle che quando si
bagnavano diventavano rigide come
un robusto filo di ferro.
Ad una estremità (davanti) era
legato don Chiari e all’altra estremità, in fondo alla fila, c’era mio
padre.
Il povero dio dei crepacci, vedendo
tutte quelle persone vestite in modo
così casual, che scendevano lungo
il ghiacciaio dello Scalino cantando
per farsi coraggio, attaccate con una
mano a una corda, si deve essere
intenerito.
Così siamo scesi veloci e senza il
più piccolo problema anzi, su una
grande chiazza di neve che c’era
ancora sotto il Cornetto, siamo riusciti anche a fare delle lunghe e piacevoli scivolate.
Poi
l’interminabile
sentiero
dall’alpe Prabello a piazzo Cavalli e
l’ancor più interminabile discesa a
Caspoggio.
Ricordo mio padre scendere con
sulle spalle il ragazzo più piccolo che
era con noi, che aveva solo sette anni
e del quale purtroppo non ricordo il
nome.
Quando è arrivata la corriera a
prenderci, non riuscivamo più ad
alzarci dal prato nel quale ci eravamo
sdraiati.
Questa è stata forse la più
grande impresa compiuta
dai ragazzi di un oratorio.
Certo, dopo di allora se
ne sono fatte molte altre
di escursioni. Ma questa è
stata, e rimarrà nella storia,
come unica e inimitabile.
Ne ho parlato tante volte con don
Chiari e le nostre conclusioni sono
sempre state che per fare una cosa
del genere ci voleva tanto entusiasmo, ma anche un’abbondate dose di
follia.
Così andavano le cose in quei
primi anni ‘60.
Don Vittorio Chiari
19
Uomini e montagne
Speciali
LA POLENTA
- Dunque, devi dire all’Esilde3 se ci
può prestare il paiolo, quello grande,
mi raccomando, e magari la farina.
Il sale lo porto io. Voi preoccupatevi
anche del tarài, del formaggio, dell’acqua, perché di acqua lì non ce n’è.
Così don Chiari mi
comunicava di aver deciso
di andare in cima al
Meriggio a fare la polenta.
Poi ha aggiunto:
- Questa volta partiamo tardi, alle
quattro, perché la gita è corta e non
dovremmo impiegare troppo tempo.
In fondo sono solo 2000 metri di
dislivello: che saranno mai.
In questo modo, alle quattro di un
Mercoledì di fine agosto del 1964,
una cinquantina di ragazzi si muoveva dall’Oratorio San Rocco verso il
Porto di Albosaggia.
Mio fratello Giovanni, il mio vicino
di casa Daniele e un altro nostro
amico portavano la farina, il formaggio e il tarài (che aveva costruito mio
padre Carlo) e io il paiolo.
Per l’acqua avevamo cinque fiaschi vuoti. Li avremmo riempiti solo
all’ultimo momento, il più vicino
possibile alla cima.
Abbiamo superato l’Adda e ci siamo
infilati sulla mulattiera per la Moia.
Se fino a questo punto avevamo
mantenuto un passo sostenuto e un
vociare piuttosto intenso, la mulattiera e la salita ci hanno costretto a un
piccolo esercizio di disciplina e soprattutto a formare una specie di fila.
Attraversate le case della Moia,
abbiamo preso il sentiero per Gàndola e siamo arrivati alle Bratte e a
Campelli.
A quell’ora c’erano decine di mucche a popolare i prati e i pascoli del
maggengo con i loro versi e i loro
suoni.
Abbiamo fatto colazione con la
faccia rivolta verso la val Malenco, il
gruppo del Disgrazia e quello, un po’
più lontano, del Bernina.
Don Chiari, di quando in quando,
tra un boccone di pane e un pezzo di
3 - Esilde è mia madre.
Polenta in cima al pizzo Meriggio (agosto 1964, foto archivio Salesiani di Sondrio).
20
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti salame (quello del pòor ciùn), cercava
di spiegare quali cime avevamo di
fronte.
Ma, per la verità, le sue spiegazioni
raccoglievano pochissimi consensi
in quei momenti di intensa attività
masticatoria.
Anche perché, oltre a questo, era
a tutti nota la facilità con la quale
faceva confusione e scambiava le
montagne.
Ricordo che una volta che eravamo
a Carnale, voleva assolutamente farmi
credere che da lì si vedeva il pizzo di
Coca. Alla fine, quando mio padre è
intervenuto nella discussione dicendo
che era impossibile vedere il pizzo
di Coca, don Chiari se l’è cavata
dicendo che lo sapeva benissimo, ma
che aveva voluto mettermi alla prova.
Abbiamo risalito i prati di Campelli e, osservando dalle baite più in
alto, tutto il maggengo era occupato
da un lungo serpentone di ragazzi
schiamazzanti.
Perché in questa come in tutte le
gite, quanto a risparmiare il fiato per
la salita, nessuno ci pensava proprio.
Forse perché di fiato, allora, ce n’era
da vendere.
Alla partenza da Sondrio i volontari
per la polenta sembravano numerosissimi, ma a Campelli erano praticamente introvabili.
Alla fine, quando ci siamo contati,
eravamo sei in tutto.
Abbiamo chiesto a un contadino
dell’acqua e lui ci ha fatto capire che
era meglio prenderla qui.
- Perché più in alto c’è, però non
si sa mai; magari dovete star lì un’ora
per riempire un fiasco.
E così abbiamo fatto.
Da Campelli abbiamo scelto la
strada più lunga e meno faticosa verso
il Meriggio, quella che gira verso est
e poi passa dalla sella sotto la punta
della Piada. Qui ci siamo fermati ad
aspettare tutti. Era il momento adatto
per cercare qualche altro volontario
che ci aiutasse a raccogliere la legna.
Però i volontari, che già scarseggiavano a Campelli, alla Piada erano
spariti del tutto.
Non proprio del tutto del tutto,
perché uno siamo riusciti a trovarlo.
A questo punto, noi sette della
polenta abbiamo deciso di avviarci.
Soprattutto volevamo arrivare per
tempo in cima per iniziare il più presto possibile ad accendere il fuoco e a
metter su l’acqua.
Quando ho chiesto a don Chiari
di darmi il sale, lui mi ha guardato
stupito.
- Quale sale?
- Il sale per la polenta.
- Mi sono dimenticato.
Per fortuna l’Esilde, che conosceva
le sue proverbiali distrazioni, mi
aveva dato anche un cartoccio di sale,
che pesa poco e non si sa mai.
Quando abbiamo lasciato la sella
della Piada, la coda del serpentone era
ancora al di là dall’arrivare e grandi
versi provenivano ancora lontani dal
bosco sottostante.
Per fortuna di legna ce n’era tanta e
abbiamo fatto in fretta a raccoglierla.
Andavamo così veloci che, alla baita
della Piada ci siamo dovuti fermare a
tirare il fiato.
Di acqua non ce n’era.
Meno male che l’avevamo presa a
Campelli.
Abbiamo percorso la cresta e l’ultimo tratto della salita alla velocità
della luce, tanto che quando abbiamo
raggiunto la cima, in basso non si
vedeva ancora arrivare nessuno.
Abbiamo appeso il grosso paiolo a
un robusto palo, infilato di traverso
alla base della grande croce di ferro e
abbiamo acceso il fuoco.
La polenta cuoceva già da quasi
mezz’ora, quando sono arrivati i
primi ed era quasi cotta all’arrivo
degli ultimi.
Però ci eravamo dimenticati di un
piccolo particolare.
Come avremmo fatto a distribuirla.
Abbiamo risolto il problema in
questo modo.
Ognuno ha steso il suo fazzoletto
e noi, passando con il paiolo, ci
abbiamo messo sopra un pezzetto di
polenta e un pezzetto di formaggio.
E a quelli che non avevano il fazzoletto o si vergognavano di farlo vedere
tanto era ridotto male, gliela abbiamo
messa direttamente sull’erba.
Forse era la fame, forse era l’aria
fina, sta di fatto che poche altre volte
la polenta mi è sembrata così buona
come questa.
Cotta sotto la croce del Meriggio.
Don Vittorio Chiari
21
Uomini e montagne
Speciali
Che c'è di meglio di una bella zuppiera di pomidoro dopo le fatiche della salita? (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio).
Sulla vetta della Corna di Mara (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio).
LA CORNA DI MARA
Tutto cominciò durante un torneo
di calcio. A quel tempo c’erano un
sacco di tornei di calcio all’Oratorio
San Rocco.
- Perché martedì pomeriggio non
andiamo sulla Corna di Mara, mi ha
detto un giorno don Chiari.
- Se ti va dillo anche a tuo fratello
Giovanni e a qualche tuo amico.
- Verrei volentieri, risposi allettato
da quella proposta, però devo fare
una partita alle sei. Potremmo partire dopo.
- Sì, sì. Va bene.
- Ma che ci andiamo a fare
di notte?
- Ci andiamo … per vedere
sorgere il sole.
Foto ricordo al bivacco Parravicini (m 3182) sul ghiacciaio dello Scerscen superiore con don Chiari al centro (inizio anni '60, foto archivio Salesiani).
- Ah, bene. Bella idea.
Così quel martedì, dopo aver terminato di giocare a calcio, siamo
partiti.
Eravamo in cinque.
Abbiamo preso la strada per
Colda e la vecchia mulattiera per la
Madonnina. Poco sopra la chiesa di
San Giorgio e il cimitero di Monta-
22
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2012
gna, abbiamo seguito il sentiero per
Ca’ Mazza e siamo arrivati alla chiesa
di Santa Maria.
Fin lì siamo saliti con le ultime
tracce di luce. Poi il buio ha cominciato a prendere decisamente il
sopravvento.
Non c’era nessuna traccia di luna
in giro per il cielo e inciampavamo
spesso.
Però, secondo la massima che, se
si accende una luce, poi non ci si vede
più, o quell’altra che dice, quando
finiscono gli alberi, ci vedremo molto
meglio, siamo andati avanti a incespicare fino al maggengo di Mara.
Effettivamente, uscendo dagli
alberi, il buio non era più così fitto.
Però non vedevamo niente lo
stesso.
Alla casera di Mara ci siamo fermati a mangiare.
La valle dell’Adda, in quel chiarore
di stelle, era ricoperta da un velo di
oscurità e di nebbie.
Dietro di noi, in un luogo indefinito e indefinibile, si elevava il tratto
finale della Corna di Mara.
Abbiamo ripreso a camminare che
era mezzanotte e mezza e quando
siamo arrivati alle Cavalline era già
l’una del mattino.
Il giorno non dava ancora segni
di vita, nemmeno impercettibili e
lontani.
Dando retta alle massime di cui
sopra, abbiamo sbagliato strada e,
alla fine, abbiamo dovuto approntare le nostre luci.
Che consistevano in due lampade
a petrolio che, bontà loro, non si
erano ancora rotte.
Facevano una luce talmente insignificante, in quelle nostre condizioni, che quando la prima si è rotta,
finendo contro un sasso, abbiamo
spento anche la seconda.
Assolutamente inutili.
Per essere più veloci nel salire,
avevamo scelto una specie di
direttissima.
Andare su lungo il pendio sud un
po’ a occhio e molto a caso.
In effetti, a parte qualche problema con dei grossi blocchi, che
non capivamo come aggirare, siamo
attivati in cima alla Corna di Mara
(m 2807) abbastanza velocemente.
Erano le 3 del mattino e già più
d’uno erano gli annunci dell’imminente arrivo del giorno.
Faceva freddo e allora ci siamo
Don Vittorio Chiari
23
Speciali
Cà Leüsc, ovvero la contrada Madonnina a Montagna in Valtellina, illuminata dagli ultimi raggi di sole (3 marzo 2006, foto Matteo Gianatti).
Alba sulle Alpi Orobie dalla Corna di Mara (8 settembre 2007, foto Beno).
La ciàna di Cavalìnna ("Cavalline" in italiano), il rifugio Gugiatti-Sertorelli e il monte Disgrazia (3 settembre 2005, foto Beno).
La Corna di Mara, oramai da tutti chiamata Corna di Mara, specchiata nel lago di Rogneda (11 luglio 2010, foto Beno).
stretti dentro la coperta che mio
fratello aveva portato nel suo zaino.
Lui, don Chiari, aveva in testa
quel suo caratteristico cappello,
tutto ricoperto di spille e sonaglietti.
Per ingannare la fame, abbiamo
chiacchierato un po’ della polenta
e funghi che anche quell’anno
era venuto a mangiare con noi a
Carnale.
Eravamo padroni del giorno che
stava per nascere.
Padroni di tutto!
Poi, quando Aurora dalle rosee
dita ha iniziato il suo lavoro di
decoratrice del cielo, c’è stata un’e-
24
Le Montagne Divertenti splosione di colori, prima verso est
e poi dietro le Orobie e poi ancora
alle nostre spalle, verso il Bernina.
Ci eravamo chiesti quanto potesse
durare il sorgere del giorno e l’arrivo del sole.
È stato un attimo.
Giusto il tempo di riempirci gli
occhi di stupore.
Adesso anche il Disgrazia era
pennellato di luce. E con lui mille
e mille altre montagne vicine e lontane, là fin dove si perdeva il nostro
sguardo.
Quello è il monte Rosa, ha detto
a un tratto don Chiari mostrandoci
una montagna persa nell’orizzonte.
Ma, mentre diceva così, già si era
voltato per osservare l’Adamello
immerso in una luce ormai matura.
Il fondo della Valtellina intanto,
si stava liberando pian piano del
mantello della notte e l’Adda stava
riprendendo a vivere di argentei
bagliori.
Saremmo rimasti lì per sempre a
stupirci, con quella luce negli occhi
e quella bellezza senza fine.
FORMIDABILI QUEGLI ANNI
Ho ripercorso questo e molti altri
itinerari anche da adulto. Ogni volta
li ho trovati molto interessanti e
piacevoli.
Andare al pizzo Meriggio,
al Corno Stella, al pizzo
Scalino, alla Corna di
Mara partendo a piedi da
Sondrio, sono esperienze
ricche e piene di emozioni.
Eppure, quei percorsi fatti da ragazzino avevano un fascino in più.
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Un fascino che nessuna parola sarà
mai capace di tradurre e di raccontare
fino in fondo.
Ho avuto ancora mille altri modi di
conoscere don Chiari durante quegli
anni "formidabili".
Ma anche dopo, quando le nostre
occasioni di incontro si sono fatte, per
questioni logistiche, più rade e sporadiche, c’è sempre stato, ad unirci,
questa lunga nostra amicizia, cementata negli anni anche dal reciproco
rispetto per le proprie scelte personali.
Quando veniva a Sondrio o in Valtellina, non mancava mai di passare a
salutarci.
L’ho visto tante volte, ho mangiato
da mia madre la polenta, i pizzoccheri
e i taròz con lui e, ogni volta, o prima
o dopo, il discorso ricadeva su quegli
anni, su quelle storie, sulla bellezza di
quel vivere pieni di tutto.
Però non giocavamo mai a quel
pericoloso gioco del come era meglio
il bel tempo andato.
Era una cosa che non ci apparteneva.
Un filo di nostalgia, quello sì...
Quello ce lo permettevamo.
Anche perché, come dicevamo
spesso, era un antidoto contro la trista
gente di questo tristissimo presente.
Don Vittorio Chiari
25
Uomini e montagne
Speciali
CARNALE e il siludÀT
L
e nostre vacanze, da piccoli, le
trascorrevamo a Carnale, ampio
maggengo e balcone panoramico a
cavallo tra la valle dell’Adda, la val
Malenco e la val di Togno.
Funzionava più o meno così: verso
la fine di giugno mia madre cominciava a preparare il necessario per trascorrere un mese in montagna. Non è
che avessimo granché da portare, però,
un po’ di roba per i sei figli, un po’ di
roba per lei; insomma qualcosa c’era
da trasportare.
I primi tempi partivamo a piedi
dalla cà Paini e negli anni successivi
sempre più in su seguendo la strada
che si stava costruendo.
Il compito di trasportare le nostre
cose era affidato al motocarro di mio
zio Marco, che lui adoperava normalmente per il suo lavoro di trasportatore
di sabbia e ghiaia. L’andava a caricare,
verso le quattro del mattino, quasi
sempre alla confluenza tra il Mallero e
l’Adda con l’aiuto di mio padre e mio
zio Andrea.
Loro poi, dico mio padre e mio zio,
andavano a lavorare altrove e mio zio
Marco continuava a caricare e trasportare ghiaia e sabbia per tutto il giorno.
Aveva la sabbia che gli veniva fuori
dagli occhi.
Negli ultimi anni delle nostre
vacanze a Carnale ci trasportava con
il suo nuovo leoncino, piccolo camion
di cui era orgogliosissimo.
A metà strada tra la contrada Farina
e santa Maria si fermava sotto una
pianta di ciliegie e noi, salendo sopra
la cabina del camion, ne facevamo una
abbondante raccolta.
Pur agevolati dalla costruzione della
strada di santa Maria, c’era da andare
a piedi. Di solito ci fermavamo a San
Giovanni per una breve pausa mangiareggia e poi su fino alle baite del Pozzolo e a Carnale.
L’arrivo nella nostra microscopica
baita, che la zia Natalina e lo zio
Omobono molto gentilmente ci concedevano, segnava la fine di un lungo,
inesorabile tormento.
Era soprattutto il materasso per mia
madre che ci trascinavamo fin lì che ci
creava un sacco di problemi.
Il nostro carico era però costituito
per la maggior parte da generi alimen-
26
Le Montagne Divertenti tari, dove primeggiava un gigantesco
sacco di pane, che doveva durare per
una settimana (ma che non ci riusciva
quasi mai). C’era anche un grosso
sacco di farina, perché la polenta era
un altro dei nostri cibi quotidiani. Per
terzo veniva la pasta, quasi sempre di
un solo tipo che, opportunamente
sbriciolata, serviva anche da pastina
per la minestra.
A volte mio padre veniva a trovarci
il mercoledì o il giovedì, ed allora
era festa, perché c’era il pane fresco e
magari qualche pezzo di cioccolato.
Arrivava alla sera, dopo il lavoro,
tutto sudato per la salita a piedi (lui
veniva sempre dalla cà Paini) e se ne
tornava al mattino presto per essere a
Sondrio alla conceria Carini alle 7.
Della nostra casetta non vi posso
parlare a lungo perché in realtà si trattava di un unico locale di circa 3,5 x
5 m dentro il quale abitavamo tutti,
compreso un focolare che non aveva
camino e disperdeva il fumo tra le
piode del tetto e una piccola finestra
senza vetri.
Verso metà luglio, mio padre ci
ricordava che don Chiari sarebbe
arrivato per la solita polenta e funghi.
Ormai questo era diventato un appuntamento annuale costante.
Comunicatoci l’arrivo di don Chiari
e dei salesiani, stava a noi occuparci
della raccolta dei funghi: quelli che
venivano a trovarci mangiavano come
lupi e quindi cominciavamo una settimana prima.
Boleti e, quando questi scarseggiavano, uregìnna (giallini, cantarelli ...),
che crescevano numerose nei boschi
del Büi, luogo da dove partiva l’acqua
dell’unica fontana che serviva tutti i
nuclei di baite di Carnale.
Alla fine dei preparativi, arrivava
don Chiari con gli altri preti salesiani e
i ragazzi dell’Oratorio San Rocco.
Mia madre aveva già messo da ore
lo spezzatino a cuocere con i funghi.
Qualche chilo dell’uno e qualche chilo
degli altri, poi si faceva una polenta
memorabile.
Di una grandezza inimmaginabile.
Tutto questo condito con un
discreto numero di fiaschi di vino.
Ogni anno un gran successo.
Una volta capitò che nel rovesciare
la polenta su un tavolo, adattato a
grande tagliere, una parte della stessa
finisse sull’erba.
Dopo cinque minuti non c’era più
traccia dell’accaduto.
In genere tutto terminava con la
promessa che faceva don Chiari di
portare lui l’anno dopo la carne per lo
spezzatino.
Naturalmente non è mai capitato, o
meglio, una volta, in verità, portò un
po’ di sale.
n giorno che c’era la Rosa, la
nostra anziana vicina di casa, le
ho chiesto di recitare il Siludàt per il
don Chiari: era una strana, lunga preghiera che lei ripeteva ogni sera verso
le 8:15. Siccome le porte delle nostre
baite erano una a fianco dell’altra (per
lei era la maśun dove andava a dormire) e poiché con la sua vecchia sedia
sgangherata si metteva sull’entrata
appoggiando la schiena al mucchio del
fieno, la sentivamo molto bene.
Era una preghiera molto speciale che
mescolava italiano, muntagnùn e un
po’ di latino strafüsàri, come diceva la
Rosa e teneva insieme incollando un
po’ di tutto, dall’Ave Maria al Padre
Nostro, dall’Angele Dei alle liturgie
per i poveri morti con interessanti
escursioni in altre preghiere e in altri
linguaggi.
Una delle curiosità del Siludàt è che
è sempre stata una preghiera in divenire, mai qualcosa di stabilito e stabile
per sempre.
Ognuno poteva aggiungerci del suo,
poteva italianizzare vocaboli dialettali
o viceversa, ognuno poteva riempirlo
di contenuti suoi, metterci un pezzo
preso da un’altra preghiera.
Lo scheletro era sostanzialmente lo
stesso, per tutto il resto, la preghiera si
sviluppava secondo gli usi, i costumi,
gli errori della nonna, della zia, della
mamma, di coloro che la recitavano.
Passano alcuni anni e una sera, mentre mangiavamo polenta e osei a casa di
don Chiari, nella nostra conversazione
ritorna il Siludàt.
- Devi cercarlo e scriverlo, mi dice.
Però, purtroppo, non faccio niente
e la preghiera svanisce nei miei ricordi
insieme alle persone che la recitavano.
Negli anni successivi lo cerco
in lungo e in largo senza trovarlo,
quando una sera don Antonio Gandossini viene a casa mia e mi dice che,
con l’aiuto di suo fratello Mario, forse
lo può riscrivere.
SILUDÀT
U
Primavera 2012
La polenta a Carnale era anche una occasione per ritrovarsi con i parenti e con gli
amici (1963, foto archivio Carlo Boscacci).
Il tavolo "bello" per la polenta a Carnale era lasciato alle autorità: il direttore dei
Salesiani, mia madre ... (1963, foto archivio Carlo Boscacci).
Don Antonio Gandossini, don Vittorio Chiari e don Simone Chiari a Montagna.
Su questa omonimia don Vittorio scherzava ribadendo che don Simone non era suo
figlio! (1998, foto archivio Antonio Gandossini).
Le Montagne Divertenti Siludàt benedétu Diu.
Ringraziàt
el Zignùr, la Madùnna e la Santìsüma Trinità,
el nos car Àngel me cüstodi
e tüc’ i sant e i santa del paradìs
e i nos bun benedét mòrt
ch'ai n’a dunàt el bun dì
ai ne duni ä la buna nòc’.
Prümma la salütta de l'anima
e pö ä quélla del còrp.
Pas ai uìf.
Rèquiem ai mòrt.
Anch’ai fedéli defünt
In uniùn strepaziùn de l'ereśia cuśeśìa
uìf u mòrt cume sia
disi el num de Geśü, de Giüśèp e de Maria.
Geśü aiutatemi
Geśü securridétemi
Geśü non mai abandunàtemi.
Geśü liberatemi da quell'eterna pena.
Zignùr mio Geśü Crist,
mi pento e mi dolgo cun tüt el mé cör
de tüc’ i mé pecà.
Mi pento per el paradìs c'ho pèrs
e l'infèrèn che mi sono meritato.
E molto più mi pento
e molto più mi dolgo
perché ho offeso, ho malparlato,
ho strapazzato
ün Diu inscì grant, inscì bun,
inscì degn d'essere amato come siete voi.
E per avervi offeso, per l'avvenire
propongo e desidero di volere una buona
morte
che offendervi più.
Angele Dei qui tolis mei
Dimiti mi cumè sunt
Pietate, superbia,
illümina, custodia,
rege e guèrna mè …
amen.1
1 - Questa versione del Siludàt è quella ricordata da Mario e don
Antonio Gandossini.
Don Vittorio Chiari
27
Uomini e montagne
Vorrei tanto
essere
e morire
da clown
Don Vittorio Chiari (1937 - 2011)
(1964, archivio Carlo Boscacci).
Don Vittorio Chiari
R
agazzi di strada, difficili, figli di
nessuno, piccoli delinquenti:
questi erano i “suoi” ragazzi, quelli
che amava di più, quelli per i quali ha
speso la sua vita.
Vittorio Chiari è nato a Treviglio il
15 dicembre 1937.
Dopo aver scelto di diventare salesiano, l’hanno mandato a fare il tirocinio a Sondrio, dove è rimasto dal
1958 al 1962.
Mai scelta si è dimostrata più saggia.
Pareva fosse arrivato una specie
di vulcano il cui motto era quello di
non stare mai fermo. E anche in quei
pochi momenti nei quali sembrava
assopirsi, in realtà stava pensando a
nuove iniziative, a migliorare e snellire tradizioni e modi di fare un po’
incrostati dal passare del tempo, dalla
pigrizia, dal depositarsi della polvere e
dall’indolenza degli uomini.
È ordinato sacerdote a Roma, nella
parrocchia di San Giovanni Bosco il
5 Marzo 1966 e alla cerimonia partecipa una folta delegazione di adulti e
ragazzi legati all’Oratorio San Rocco
di Sondrio.
In quell’anno entra nella casa salesiana di Arese e vi resta fino al 1973,
con i suoi ragazzi difficili, quelli che
lui chiamava barabit, i miei barabiti.
Di ognuno di loro conosce vita,
morte e miracoli, di ognuno di loro
registra le emozioni, scruta ogni piega
del vivere, la schifezza nella quale
spesso hanno vissuto, le loro pigrizie,
ribellioni, i loro sogni.
I loro sogni amari e spezzati erano
quelli che lo intrigavano di più.
E sui loro sogni scavava, lavorava e
costruiva. Centinaia di ragazzi [e genitori] devono la loro vita a lui.
Nel 1974 è nominato direttore dei
salesiani di Sondrio.
Tra i sondriesi ritrova l’affetto di
sempre, anche se con qualche difficoltà in più dovuta al momento storico e al passare degli anni.
Quando se ne va, nel 1977, rimpianto da tutti, ritorna ad Arese dai
suoi barabìt.
I tempi stanno cambiando, i
ragazzi sono cambiati, i salesiani sono
Le Montagne Divertenti Il teatro era una delle passioni di don Chiari (secondo da sx) (prima metà anni '60, archivio
Salesiani di Sondrio).
cambiati.
Lui apparentemente è un tipo tosto,
deciso, energico; però, sotto quella
specie di scorza, è fragile, dubbioso,
per certi versi anche timido.
In ogni caso, instancabile.
Dentro il suo fare, c’è anche lo scrivere: sa scrivere, scrive bene e scrive
molto.
Dopo due anni passati a Milano
come delegato per la comunicazione
sociale presso l’Ispettoria Salesiana,
nel 1988 viene mandato a Reggio
Emilia per dare inizio, in quella città,
all’opera salesiana.
Trascorsi due anni a Ferrara (20032004), che in verità gli stanno un po’
stretti, è nominato responsabile del
centro di Arese fino al 2009.
Da quell’anno assume l’incarico di
direttore del centro San Domenico
Savio, la casa di Milano.
Ed è lì che trascorre gli ultimi anni
soprattutto scrivendo1.
Nell'articolo a lui dedicato, ho
parlato di lui e del suo legame con la
montagna, ma Don Vittorio Chiari
non è stato certo solo questo.
È stato innanzitutto un prete, un
grande animatore, un sapiente educatore, e mille altre cose.
Ma il suo desiderio più grande era
quello di essere ricordato come un
clown, una specie di giullare a servizio
dei deboli, degli emarginati, dei “difficili”, degli ultimi: un clown di Dio.
Quando ci siamo sentiti al telefono
la sera prima che se ne andasse, mi
ha detto, "Ciao Antonio, ci sentiamo
domani."
Nessun domani.
Don Vittorio Chiari ci ha lasciati
l’11 Febbraio 2011.
Ad accompagnarlo nel suo ultimo
viaggio c'erano i suoi ragazzi con le
loro preghiere, i loro canti, le loro
lacrime.
Ed erano migliaia2.
1 - Oltre a centinaia di articoli, tra i libri di
Vittorio Chiari si possono ricordare: Dalle profonde
radici, Il vangelo secondo Barabba, Un giorno di 5
minuti, Il Corpo racconta, I volti giovani della
preghiera, I Salesiani a Sondrio, e un bel, Anche i
figli di puttana sono figli di Dio, dedicato ai “suoi”
ragazzi.
2 - Si ringraziano i Salesiani di Sondrio e in
particolare il presidente degli ex allievi Bruno
Locatelli per aver messo a disposizione una gran
parte del materiale fotografico utilizzato nell’articolo.
Don Vittorio Chiari
29
PESCA A
MOSCA
Una passione, un'arte,
una filosofia di vita
Valter Bianchini
Un'imitazione di tricottero: non più solo un'esca, ma vera e
propria opera d'arte in miniatura (foto Gianluca Sala).
Pesca
Speciali
Un pescatore nello scenario granitico del torrente Masino (23 maggio 2011, foto Roberto Moiola).
Sono due giorni che sto
pescando in un fiume
sperduto tra le montagne
e le foreste della British
Columbia canadese,
immerso sino alla cintola
nell’acqua gelida di ottobre.
Sono in attesa che la
grande trota iridea - quella
che risale dal Pacifico per
riprodursi nel fiume dove
è nata - decida prima o
poi di aggredire la mia
esca, una imitazione di
sanguinerola realizzata con
il pelo di coniglio. Non ho
ancora avuto un accenno di
abboccata. Ma questi pesci
sono così, se hanno la luna
storta ti può capitare di
pescare l’acqua per giorni,
che nel gergo vuol dire non
prendere nulla.
32
Le Montagne Divertenti Durante una sosta, mentre mi
riscaldo sulla riva, sopraggiunge una
grossa jeep targata Colorado. Mi
chiedo come lo avranno trovato gli
americani questo sperduto accesso al
fiume a 80 km dalla prima casa, un
posto che solo un profondo conoscitore del suo territorio ti può indicare.
Si avvicina una donna sulla cinquantina e dal fisico asciutto e incurante
della pioggia mista a neve domanda:
“Hi, where are you from?” Rispondo
“North of Italy, on the border with
Switzerland.” Il volto della signora
si illumina e mi chiede se conosco
Saint Moritz e il pizzo Badile. Ovvio
le dico, si trovano quasi dietro casa
mia! Mi racconta di aver scalato la
parete nordest del Badile tanti anni
fa e di aver arrampicato sulle nostre
montagne, complice un fidanzato
di Davos. Ovviamente conosce Riccardo Cassin; quando le dico che è
scomparso alla venerabile età di cento
anni assume un’espressione triste,
credo di capire che se fosse stato per
lei sarebbe vissuto in eterno. Incuriosito, le chiedo cosa ci faccia un’alpinista in riva al fiume e lei risponde che,
quando non arrampica, va a pescare
le trote con la mosca artificiale.
Mi è tornato alla mente proprio
quell’incontro quando i ragazzi de Le
Montagne Divertenti mi hanno chiesto
di scrivere un articolo sulla pesca in
Valtellina. Sin dalle prime battute non
hanno avuto dubbi sull’argomento
da trattare: la pesca con la mosca artificiale, “perché è la tecnica che più si
avvicina alla nostra filosofia”. Non so
da dove abbiano tratto questa convinzione, ma in effetti è così. All’interno
della grande famiglia dei pescatori, chi
si dedica alla pesca con la mosca artificiale non fa mistero di appartenere ad
una categoria speciale.
Primavera 2012
Pescare a mosca in passato era
simbolo di appartenenza ad una
élite, oggi trafficano gomito a
gomito con fili colorati, perline
e piume, ricchi e poveri, manager e operai. La pesca a mosca
annulla qualsiasi status sociale, rende
tutti uguali ed è capace di disintegrare
le incrollabili certezze di persone
che nel loro campo lavorativo sono
leader mondiali. Un piccolo pesciolino ti può ridicolizzare rifiutando
decine di perfette imitazioni che tu
gli hai posato con un abile lancio
davanti al naso.
Una delle definizioni che
meglio rappresenta questa
tipologia di sport l’ha data, a
mio avviso, lo scrittore Fabio
Genovesi: “La pesca a mosca
è un capolavoro dell’inventiva
umana. L’esca è semplicemente un
amo al quale vengono avvolte le piume
Le Montagne Divertenti Due trote pescate con la tecnica
a mosca (15 agosto 2011, foto Valter Bianchini).
Pesca a mosca
33
Pesca
Speciali
Livigno
sul torrente Vallaccia a
Un pomeriggio di pesca lter Bianchini).
(21 agosto 2010, foto Va
L' "arma" del pescatore (21 agosto 2010, foto Valter Bianchini).
di vari uccelli da far volteggiare con
movimenti simili agli esercizi col nastro
nella ginnastica artistica e poi posare
sull’acqua come se fosse un insetto. In
un sol gesto, quindi, si uniscono tre
mondi: le piume degli animali dell’aria
aiutano noi animali della terra a catturare quelli che vivono sott’acqua, in
una magia che qualcuno considera un
hobby, ma è molto più giusto chiamarla
passione”.
Pescare con la mosca artificiale,
infatti, è molto di più che non la semplice cattura di un pesce, che peraltro
può essere sempre rilasciato, poiché la
tecnica consente che possa ritornare
nel suo elemento avendo come conseguenza solo una piccola puntura sul
labbro. Niente esche vive ma solo imitazioni di insetti che vivono l’habitat
fluviale, piccole opere d’arte costruite
con pazienza durante i lunghi mesi
invernali e che serviranno a ingannare
34
Le Montagne Divertenti il pinnuto. Usare questa tecnica equivale a instaurare un rapporto privilegiato con la natura; è un’attività lenta
che non richiede fretta, proprio come
l’andare in montagna, e tutt’al contrario della frenesia che accompagna le
attività di ogni giorno.
Dicono anche che sia un
po’ come pregare in riva al
fiume invece che in una
chiesa e, a ben vedere, non
è poi una bestemmia.
“Nella nostra famiglia non c'era una
chiara linea di demarcazione tra la religione e la pesca a mosca": così inizia il
libro di Norman McLean “In mezzo
scorre il fiume”, da cui l’omonimo film
di Robert Redford. L’autore ricorda
che suo padre, severo pastore presbiteriano degli anni Venti, gli raccontava
che gli apostoli di Cristo erano pesca-
tori e lasciava intendere, a lui e al fratello, che i pescatori più bravi del mare
di Galilea pescavano a mosca. Il primo
trattato sulla pesca a mosca risale al
XV secolo, autrice la nobile badessa
inglese Juliana Barners. Anche San
Zeno, vescovo di Verona, nelle iconografie ha sempre una canna da pesca in
mano e tanti altri prelati sono ricordati
non per i loro sermoni ma per aver
realizzato modelli di mosche artificiali
intramontabili.
Il pescatore a mosca è un accanito
viaggiatore se appena ne ha le possibilità. Lo si può incontrare nei posti più
sperduti, dai fiumi della Mongolia a
quelli dell’Alaska, dai corsi d’acqua
dell’Islanda e Groenlandia a quelli
della Terra del Fuoco. Ma lo si avvista
di frequente anche lungo i torrenti
delle nostre belle vallate alpine. Già,
perché in Valtellina i luoghi da favola
sono proprio dietro l’angolo.
Primavera 2012
A dirla tutta, il fine vero di questa
forma di pesca non è tanto la cattura,
ma la ricerca di ambienti naturali
incontaminati. Che è poi il motivo
che spinge ed ispira anche chi va in
montagna.
Chi pratica la pesca con la mosca
artificiale è spesso impegnato in
prima persona nelle battaglie in difesa
dell’ambiente. Tanto per fare un nome
noto, Yvon Chuinard, fondatore e
proprietario di Patagonia – il marchio
è frutto di un’ispirazione durante un
Le Montagne Divertenti Pesca nell'ad
da nei pressi
della Sassella
(13 novembr
e 2011, foto V
alter Bianchi
ni).
viaggio di pesca - ci mise molto
del suo perché si demolisse il grande
sbarramento ad uso idroelettrico
realizzato sul fiume dove pescava da
giovane. Trovarne dalle nostre parti di
gente così!
Al riguardo, nel nostro piccolo,
tutti i pescatori valtellinesi sono delle
vedette che vigilano sulla salvaguardia
dei corsi d’acqua. Tramite UPS, da
decenni siamo infatti riusciti a cre-
are un baluardo a
difesa dell’integrità di quei fiumi che
contribuiscono significativamente alla
diversità degli ecosistemi e che costituiscono un'ineguagliabile ricchezza
per il paesaggio alpino. Se potremo
continuare in futuro a magnificare le
bellezze naturali di queste vallate, un
grazie particolare deve andare ai pescatori, moschisti e non.
Pesca a mosca
35
Valchiavenna
Speciali
RIUNIONE
DI FAMIGLIA
Gregorio Luigi Fanetti
Chi poteva aspettarsi che qualche
discendente di emigranti chiavennaschi
potesse aver le vertigini lungo il sentiero
del Cardinello? (12 agosto 2011).
3 agosto 2011, Campodolcino
è imbandierata a festa, pronta
ad accogliere qualche ospite
un po' speciale. Ecco arrivare,
direttamente dagli States, le
famiglie Barilani, Buzzetti, Curti,
Francoli, Gadola, Ghelfi, Gianoli,
Guanella, Levi, Pench, Trussoni,
Vener, Zaboglio e Pedretti. Per
loro un ricco programma di
due settimane, dedicato per
intero alla scoperta del territorio
chiavennasco. Un territorio
che per queste persone
rappresenta ben più d'una
semplice meta turistica: è per
loro la terra d'origine.
È un ritrovo storico per le comunità
della Valchiavenna: a far ritorno fra le
nostre montagne sono i discendenti
di un gruppo di italiani di Fraciscio
e Prestone che a metà Ottocento ha
lasciato la terra natia per cercar maggior fortuna nel Nuovo Continente.
Alla guida di questo manipolo di
emigranti v'erano lo zio di don Guanella, Tommaso, e il ticinese Monti,
che ebbero l’intuito di individuare
una zona ancora relativamente poco
abitata e di grande potenziale svi-
36
Le Montagne Divertenti Una veduta della cittadina di Genoa
(5 maggio 2010).
I partecipanti allla "Reunion Genoa-Campodolcino" a Mottaletta,
lungo la Via Spluga (12 agosto 2011).
luppo per le nostre comunità emigranti, con un clima simile a quello
della nostra valle.
Il luogo da loro prescelto fu Genoa,
un piccolo paese lungo il Mississippi,
nello stato del Wisconsin. Lì molti
italiani fecero i tagliaboschi per fornire la legna ai battelli a vapore che
navigavano sul Mississippi. Il lavoro
di disboscamento ha reso coltivabili molte terre oggi gestite dai loro
discendenti.
Per un periodo abbastanza lungo,
di loro si persero quasi le tracce. Chi
partiva era spesso chi aveva alle spalle
le storie di maggior miseria, motivo
per cui, giunti in America, avevano
più da pensare a lavorare che a pensare di tornare indietro.
I loro figli si sono poi impegnati
ad essere bravi americani, a studiare
la lingua e a integrarsi. Tanto che
Genoa è stata in assoluto l’antesignana dell’insediamento agricolo
italiano negli Stati Uniti, strappando
numerosi elogi da parte delle autorità
nordamericane.
A Genoa c’è la chiesa cattolica dedicata a San Carlo: presso questa chiesa
don Guanella inviò un sacerdote per
dare assistenza religiosa ai suoi paesani. Nel 1910 la comunità di Genoa
fece una sottoscrizione ed inviò a don
Guanella un’offerta per le sue opere
caritatevoli. Questo forse fu l’ultimo
atto che vide rapportarsi la nostra
comunità con l’Italia. Fino ad oggi.
Il merito d'aver riaperto un canale
di comunicazione fra i discendenti
di quegli emigranti e le comunità
chiavennasche è di Bill Trussoni e
della moglie Rose, che negli anni
scorsi hanno più d'una volta visitato Campodolcino, e che l'anno
Primavera 2012
scorso sono sapientemente riusciti a dar forma a questo storico
incontro, ricordato come "Reunion
Genoa-Campodolcino”.
D'altronde in America la ricerca
delle proprie origini è molto sentita,
poiché sono in molti a interrogarsi
sulle proprie radici. Con l'ausilio di
alcune banche dati, molti sono riusciti a conoscere i nomi di tutti gli
avi fino ai primi emigranti. E in valle,
Bill ha potuto contare sull'aiuto di
alcuni amici che gli hanno fatto da
corrispondenti svolgendo molte ricerche storiche e genealogiche.
La colonia italiana ha continuato a
svilupparsi, come è dimostrato dalla
presenza alla Reunion di residenti
in 14 stati d’America. Per alcune
famiglie è stata anche l’occasione per
ritrovarsi.
Ecco cosa scrive una partecipante
Le Montagne Divertenti alla Reunion appena tornata negli
States: "Abbiamo raccontato della
visita alle nostre famiglie, e mostrato
loro le foto. Sono rimasti tutti entusiasti dell'unicità del viaggio, del
numero di eventi e della bellezza di
questa zona di cui poco si conosceva.
Speriamo di aver gettato un sasso
nello stagno, e che il racconto del
nostro ritorno nella vostra bellissima
regione vi porti altri visitatori. Ma
l'unico modo in cui potremo davvero ringraziarvi è quello di tenere le
nostre porte aperte per voi negli anni
a venire. Saremo disponibili ad ospitare i vostri ragazzi quando vorranno
trascorrere qualche tempo ai Chicago
o Wisconsin. Dobbiamo mantenere attiva la connessione per il loro
futuro."
La Reunion di Campodolcino
37
Speciali
le fontane
di Sondrio
Nicola Giana e Paola Pizzini
e apröf la sta a ‘na grànda cantìna:
dü i par càlés per béf el Grümèl,
la püsè pìscena la par en ciapèl!
Da quant che i-è lì i-à vedüt tanti gént
a fermàs per pusà e ‘ndà via cuntént.
Frescüra i-à dac’ cui so’ àqui ai regiùr,
ai purét, ai vegiàt e fusbé anca ai sciùr.
E de tüc’ i Sundràsch che ghe pàsa visìn
‘sti quàtru surèli i salüda i fiulìn.
Poesia di Pietro Pizzini
38 Le Montagne
Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti I quàtru surèli
Speciali
Ad accomunare queste quattro fontane del capoluogo, proprio come delle
vere sorelle, sono l’acqua della sorgente di Dagua che le alimenta, e la
pietra dalla quale sono state abilmente ricavate, il granito della val Màsino.
Acqua e pietra, due elementi fondamentali che caratterizzano l’intera città, presenti
ovunque, silenti testimoni delle origini e delle vestigia di Sondrio.
Partenza: villa Quadrio (biblioteca civica Pio Rajna) a Sondrio.
Itinerario automobilistico: per raggiungere la biblioteca
dalla stazione ferroviaria si attraversa (N) piazzale Bertacchi, si
percorre (dx) via Nazario Sauro per 500 metri (incrocio
Questura), per poi imboccare via Fiume (sx). Oltrepassata la
traversa con via Trieste/via Gorizia, si è all'incrocio con via Piazzi
(caserma dei Carabinieri) dove inizia via IV Novembre. Insistendo
per 100 metri verso N, sulla dx si trova villa Quadrio, sede della
biblioteca (1 km dalla stazione).
Itinerario sintetico: villa Quadrio - fontana del Raja Convitto nazionale - Scarpatetti - piazza Quadrivio - chiesa
dell'Angelo Custode - piazzetta Gualzetti - piazza Campello giardini Sassi - via Zara - villa Quadrio.
Tempo previsto: 30 minuti.
Attrezzatura richiesta: nessuna.
Difficoltà/dislivello: 0 su 6 / 100 m.
Dettagli: T. Breve passeggiata tra le vie della città.
La fontana del Raja, la vecchia casa di riposo e la cinta muraria di villa Quadrio (anni '20, cartolina archivio Maurizio Cittarini).
Q
uesto è il primo degli itinerari
che vi proporremo per riscoprire i paesi della Valtellina attraverso
le loro antiche fontane e per ricostruire il percorso delle acque che le
alimentano e certificare la qualità,
spesso nascosta per ragioni commerciali, dell'acqua che sgorga gratuitamente dalle loro bocche.
a villa Quadrio, precisamente
dall'ingresso principale del giardino (O), raggiungiamo (N) l’incrocio
con via Don Bosco e ci troviamo di
fronte la fontana del Raja1. Fu collocata proprio lì, esternamente al muro
di cinta della casa di ricovero2. Delle
"quattro sorelle", quella del Raja è la
D
1 - Nome con cui da tempo immemorabile è
chiamato l'imbocco dell'antica strada per
Montagna.
2 - Costruita fra il 1883 e il 1885 su progetto degli
ingegneri Giacomo Orsatti e Franceso Polatti in
un’area agricola di proprietà della famiglia
Quadrio.
40
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti più piccola e di forma assomiglia a una
ciotola. Nella cartolina dei primi del
‘900 a pagina 43 si può notare il felice
inserimento urbanistico della piccola
fonte nella esedra ricavata nell’angolo
NE dell'incrocio. In una stampa successiva (immagine sopra), due donne
con gerlo sono ritratte mentre posano
il fardello, forse per abbeverarsi prima
di affrontare la salita verso Montagna.
Sulla destra si nota il muro di cinta del
giardino della villa Quadrio con la cappelletta in esso inclusa.
La fontana del Raja fu luogo d’incontro ove ci si dava appuntamento per
entrare o uscire dall’abitato, e la fermata
delle corriere conferma ancora oggi
questa sua vocazione.
Si sale verso Montagna. Sul lato sx
della strada un tempo c'era l'osteria "Al
Raja" che offriva agli assetati una buona
alternativa all'acqua della fontana.
Segue casa Gianoli, notevole esempio
di architettura liberty dei primi del ‘900.
Siamo alla base dell'altura rocciosa del
Moncucco e alla nostra sx si profila in
lontananza la mole del castel Masegra.
Seminascosto da vegetazione e immondizie, un cancello di lamiera incassato
nella roccia chiude l’ingresso del rifugio
antiaereo scavato sotto il Convitto3.
Costruito contemporaneamente al tunnel antibomba della Bajacca, come questo non fu completato. I lavori di scavo
iniziarono nel giugno del ’44 su progetto dell’ingegner Martinola e con la
fine della guerra furono definitivamente
sospesi. Si racconta che oltre alla mancanza di finanziamenti, i lavori furono
rallentati per la scarsità di mano d’opera
alla quale spesso sopperirono studenti
di passaggio, precettati per lavorare con
pala e piccone o spingere i vagoncini
col materiale escavato. Benché incom3 - Una breve galleria che sbuca poco oltre
nell'attiguo terreno privato.
I quàtru sureli
41
Acqua e pietra, binomio antitetico e bivalente, di elementi complementari
Casa Gianoli e il Convitto Nazionale ripresi dalla fermata dei bus del Raja (16 febbraio 2012, foto Beno).
Alla pagina precedente: la bocca della fontana alla base del campanile di Sondrio ( 6 febbraio 2012, foto Marino Amonini).
Per ascoltare le poesie di Pietro Pizzini recitate dall'autore: www.scarpatetti.it oppure www.podistivaltellinesi.it .
I quàtru surèli
Speciali
Villa Quadrio
Villa Quadrio dai giardinetti pubblici (lato S) (16 febbraio 2012, foto Beno).
F
u costruita tra il 1913 e il 1916
dall'architetto milanese Adolfo
Zacchi come residenza del nobile,
scrittore, giornalista, editore e politico
Emilio Quadrio (1858-1933) e della
celebre violinista Teresina Tua1 (18661956). In stile neorinascimentale con
riferimenti alla tradizione locale (decorazione a graffito) e influenze liberty
(decorazioni floreali nel portichetto),
introdusse nuovi moduli stilistici che
influenzarono fortemente l’architettura sondriese del XX secolo2. Sorse
come villa suburbana d'ispirazione
rinascimentale, riconducibile a sua
volta ai modelli dell’antica Roma, in
cui il giardino è parte integrante dell'edificato. All'esterno la villa presenta
interessanti dettagli di non immediata
visibilità, come le formelle in maiolica
policroma di gusto rinascimentale
1 - La biografia della grande violinista è raccontata
da Anna Trombetta e Luca Bianchini in Teresina
Tua. L'angelo del violino, Daniela Piazza Editore,
2006.
2 - Esempi sono il restauro di palazzo Pretorio e la
costruzione del palazzo di Giustizia realizzati da
Antonio Giussani.
42
Le Montagne Divertenti (facciata N; lato E della cappelletta), lo
stemma araldico angolare con finiture
in oro zecchino, elementi decorativi in
ferro battuto o anche gli stessi mattoni
di fattura arigianale.
el giardino originario, quasi
dimezzato negli anni '60 per
costruire la scuola elementare, rimangono tracce significative, purtroppo
non particolarmente valorizzate e non
sempre facilmente riconoscibili, come
le 18 colonne parallele alla recinzione
settentrionale che costituivano la struttura per una “architettura di verzura”
ossia una galleria vegetale a pergolato
(forse un roseto) dove passeggiare
all’ombra nei mesi estivi. Accanto
alla cappelletta, negletto e un po' striminzito, s'innalza altissimo un abete
rosso, ultimo rimasto dei tre messi a
dimora nel 1918 a ricordo della fine
della prima guerra mondiale, durante
la quale Teresina Tua era stata capoinfermiera della Croce Rossa a Torino e
successivamente, da maggio a dicembre 1918, nell’ospedale da campo che
a Sondrio accoglieva i feriti di ritorno
D
dal fronte3. La pianta è riconoscibile
da apposita targhetta malamente
inchiodata al tronco, mentre degli altri
esemplari restano gli enormi ceppi a
lato del colonnato. Di estremo interesse sono le bordure delle aiuole con
fioriere fitomorfe in cemento decorativo lungo il fianco settentrionale della
villa e la parvenza di “giardino verticale”, un tempo coltivato nelle cavità
a sporgenza incluse ad arte nei muretti
a scarpata4.
lla morte di Emilio Quadrio,
per sua esplicita volontà la Tua
donò al Comune di Sondrio, con il
vincolo di utilizzo a scopo culturale,
la bella villa con giardino in cui oggi
hanno sede la bilblioteca civica e la
Società Storica Valtellinese.
A
3 - Per il suo impegno Teresina Tua fu decorata con
tre medaglie d’argento da parte del ministro della
Guerra, del ministro degli interni e della C.R.I.
4 - Questi raffinati dettagli raccontano di un'epoca
in cui anche a Sondrio furono introdotte le rinomate
tecniche di giardinaggio in uso nei parchi delle ville
lariane, come pure la predilezione per specie
botaniche esotiche di cui i palmizi e i giganteschi
cedri di villa Quadrio sono testimonianza.
Primavera 2012
pleti, durante gli allarmi entrambi i
rifugi furono ugualmente utilizzati
dalla popolazione che aveva meno agio
a raggiungere il rifugio di Scarpatetti,
ultimato fin dall'agosto 1943. Forse
l’odierna incuria vuol essere un modo
per dimenticare quei tristi episodi, ma
è pur sempre vero che tener desto il
ricordo potrebbe servir da monito alle
future generazioni. All’occhio attento
non sfuggiranno i soprastanti terrazzamenti con muri a secco appoggiati sulla
viva roccia, un tempo coltivati a vite; è
sorprendente l’abilità e la maestria dei
nostri antenati nel ricavare spazi utili
all’attività agricola che oggi, per quanto
abbandonati, conservano un'intrinseca
bellezza che suggerirebbe di riconvertirli
a belvedere cittadino.
Poco oltre s’imbocca sulla sx la salita
Giovanni Francesco Schenardi che
porta al Convitto Nazionale. Ricavata
nella nuda roccia, la via sale ripida in
direzione O rasentando i giardini terrazzati dell’ex Imperial Regio Ginnasio
di Sondrio. L’acciottolato sul quale si
cammina, pur rimaneggiato, rimanda
ancora all'iterazione fra acqua e pietra,
all’abilità e al rapporto con l'ambiente
che avevano i nostri avi.
Le Montagne Divertenti Salendo, la vista si alza sopra l’abitato
di Sondrio di cui la torre civica diventa
l’elemento ordinatore. Raggiunto il
piazzale ci appare un platano secolare,
purtroppo, come un naufrago tra la
marea di auto occupanti ogni centimetro libero. La vista spazia su tutta la
valle e ben si comprende il motivo per
cui nel 1628 proprio qui fu eretto il
convento dei Cappuccini, soppresso dai
napoleonici nel 1805.
“Il vasto ed appropriato edificio sorge
su di una collina in postura che non
potrebbe essere più amena. [...] Nel 1820
vi si fondò il Collegio, cioè il ginnasio con
Convitto. Nel 1860 vi si aggiunse il Liceo.
Questo è tra i Convitti nazionali quello
in cui per avventura la retta è minore. Sia
per tale cagione, sia per la salubrità del
clima, sia per le ottime tradizioni, sia per
le ottime Scuole governative, Ginnasio e
Liceo, Scuole tecniche e Istituto tecnico che
sono in Sondrio, il numero degli alunni
di questo convitto si mantenne sempre
I quàtru sureli
43
L’acqua, priva di forma, è contenuta dalla pietra
La fontana del Raja e l'ottocentesca "Pia casa di ricovero" (anni '20, cartolina archivio Maurizio Cittarini). Attualmente l'area è sede di un cantiere per la
costruzione di due alte palazzine: prosegue l'opera di trasformazione di una piccola città armoniosa e piacevole, com'era un tempo Sondrio, in un aggregato
devastato dalla speculazione edilizia iniziata nella seconda metà del '900 sacrificando ville e palazzi, non di rado sostituiti da obrobri architettonici.
I quàtru surèli
Speciali
elevato, e fra essi molti ve ne furono e ve
ne sono che vi vennero o vi vengono dalla
bassa Lombardia”4.
Nel 1864/65 Liceo ginnasio e Convitto furono intitolati all’abate pontasco Giuseppe Piazzi, a lungo rettore
dell’istituto, omonimo nonché nipote
del celebre astronomo. Tra il 1903 e il
1906 fu demolito il vecchio convento e
costruito un nuovo edificio progettato
da Giacomo Orsatti.
Fra gli allievi celebri ricordiamo Pio
Rajna, Luigi Credaro e il nipote Bruno,
Palmiro Togliatti e la sorella Maria Cristina, Ausonio Zubiani, Fabio Besta,
Ezio Vanoni, Pietro Fojanini, Filippo
Orsatti, ma l'elenco potrebbe essere
lunghissimo. Viene spontaneo il confronto con lo stato attuale della scuola
4 - Fabio Besta, Guida alla Valtellina ed alle sue
acque minerali, Sondrio, stab. tipo litografico A.
Moro & C., 1884.
e della cultura in Italia, ma lasciamo
trarre a chi legge le proprie conclusioni.
nziché scendere subito dalla
scalinata percorriamo il piazzale
sino in fondo e, in corrispondenza della
salita verso il “Piazzo”, imbocchiamo
sulla sx la ripida viuzza in acciottolato5
(risc ancora integro, almeno nel primo
tratto) che porta all'ultimo lavatoio di
Sondrio tuttora in uso, quasi al limite
superiore della contrada Scarpatetti6.
Il lavatoio fu costruito nel dopoguerra e in origine era scoperto; fronteggiava l’osteria stagionale dei Puzzùn7,
A
5 - Chiamata strada granda, era la via antica per
Ponchiera e raggiungeva il Moncucco attraverso le
vigne. D’inverno, con partenza dal Piazzo, era usata
dai bambini come pista naturale per le slitte.
6 - Benché Scarpatetti sia un nome di famiglia
testimoniato a Sondrio fin dal 1352, l’intitolazione
della via è da riferire al casato grigionese cui
apparteneva Hans Jörg Scarpatetti, governatore di
valle dal 1535 e con ciò residente a Sondrio.
7 - Attività estiva della famiglia Pozzoni.
una delle tante che nel quartiere offrivano un'alternativa all'acqua di fonte.
Al tempo non molto remoto in cui
l’acqua corrente era ancora un “lusso” a
venire, la fontana principale di Scarpatetti, utilizzata anche per lavarsi, si trovava di fronte alla Curt di Scabèi8, dietro
l'angolo NO di casa Colombera. Sia le
vie che le corti erano pavimentate con
ciottoli recuperati nei torrenti e sapientemente disposti a terra per reggere il
calpestio di persone e animali (spesso
con traino) che fittamente popolavano
la contrada.
cendendo ancora per l’antica via,
oggi coperta col più comodo
porfido, si raggiunge il capitello della
Madonna dell’uva, che dal 1874 custodisce la statua lignea proveniente dalla
demolita chiesa del convento dei Cappuccini. La terza domenica di settembre si teneva la festa della Madonna
dell’Uva, in contemporanea con l’analoga festa di Colda che includeva la processione sino al Moncucco. Oltre alla
vestizione della statua con abiti e monili
gelosamente custoditi, la cerimonia prevedeva l’allestimento di un padiglione
che, simulando la volta di una chiesa,
comprendeva pure la cappelletta. Vi si
accedeva tramite un grande arco trionfale costituito da un’impalcatura rivestita di sempreverdi e rampicanti.
Un angolo recondito, ribassato
rispetto all'imbocco della scalinata che
sale al Convitto e denominato el puz,
ospitava in origine il lavatoio di Scar-
Le Montagne Divertenti patetti. Era incassato sotto una volta
inserita nel muro di sostegno della scalinata. Un barbacane eretto a rinforzo del
muro ne cela la vista, ma tutt'ora si ode
il cristallino mormorio dell’acqua che
scorre attraverso le rocce su cui nasce
Scarpatetti. Poco avanti resta a testimonianza una vasca in pietra con canaletta
di carico. Spazi esigui, di uso comune,
luoghi d’incontro e di scambi, usanze
ormai desuete e conservate nella memoria di anziani.
ipresa la via, nel giro di poco
s’intensificano gli affioramenti
rocciosi e le testimonianze di come gli
abitanti seppero fare di necessità virtù.
Elencare i numerosi esempi sarebbe
tedio per chi scrive e noia per chi legge.
Citiamo solo i paracarri in pietra scanalati posti ai piedi dell'arco che immette
nella Curt di Bundi dove è la trattoria
Adua; avevano la duplice funzione di
proteggere gli spigoli e reggere le tavole
inserite a mo’ di paratoie per deviare
l’acqua durante gli stratempi. Tutte da
osservare attorno a noi le originali soluzioni che si celano nei portéc, nelle corti
e negli angusti o aerei collegamenti
verticali di questo piccolo universo
roccioso.
Poco prima del voltone sopra la via,
accanto alla fontana che sostituisce
quella in pietra con abbeveratoio per sei
bovini costruita nel 1877, un cancello
in lamiera cela l’ingresso del rifugio
R
S
8 - Ovvero "sgabelli", soprannome della famiglia
Pedrazzoli legato alla bassa statura dei suoi
componenti.
44
Scarpatetti: in corrispondenza della cappella della Madonna dell'uva ha inizio la salita Schenardi (16 febbraio 2012, foto Beno).
Primavera 2012
Piazza Quadrivio, fra i pochi angoli di Sondrio risparmiati dagli stravolgimenti edilizi
dell'ultimo secolo. Si noti la fontana a due bocche (anni '20, archivio Maurizio Cittarini).
Le Montagne Divertenti I quàtru sureli
45
L'acqau a a sua volta plasma la pietra e la disgrega ridimensionandone l’idea di forte resistenza
Scarpatetti e il castel Masegra visti dal piazzale del Convitto. Sullo sfondo a sx il pizzo Pidocchio e a dx il monte Rolla (16 febbraio 2012, foto Beno).
I quàtru surèli
Speciali
A
vicolo che sale verso il crap del Masegra. La chiesetta dell’Angelo Custode
fu costruita fra il 1658 e il 1660 per
volontà del nobile Francesco Carbonera assieme ad altri nobili lì residenti,
che fecero praticare un grande scavo
nella roccia per far posto all’edificio che
avrebbe dovuto proteggerli dagli spiriti maligni di cui ritenevano infestate
le rovine del Castelletto. Il campanile
fu aggiunto nel 1763 evitando con
ingegno di sbancare ulteriormente la
roccia per sfruttarla invece come base
d'appoggio della piccola torre pensile. La chiesa è letteralmente avvolta
nel suo nido di roccia che continua
sul sagrato, malauguratamente celato
da un discutibile insieme di vialetti e
aiuole. Rasentando l’elegante portale di
casa Marlianici, in origine della famiglia Sassi, attraversiamo il passaggio
del condominio che nel 1964 ha preso
il posto della cinquecentesca dimora
di Francesco Carbonera, con accesso
diretto all'attigua chiesa da lui voluta.
Raggiunta piazzetta Gualzetti pos-
Pietra: espressione di solidità ed eternità
antiaereo di Scarpatetti9.
rrivare in piazza Quadrivio è
come accedere a un salotto in
cui l'atmosfera è resa accogliente dal
melodioso sottofondo della fontana,
udibile ancor prima di poterla vedere.
Delle "quattro sorelle" è la maggiore
ed è tonda come una tinozza. Assieme
alla fontana del campanile costituisce la
primordiale rete idrica realizzata a partire dal 1818 dopo un’epidemia di tifo,
a parziale sostituzione dei malleretti
scoperti che all’epoca attraversavano
la città fornendo ai Sondriesi l’acqua
per le necessità quotidiane. Terminata
nel 1820, fu realizzata in granito della
val Masino dallo scalpellino Giuseppe
Peduzzi per conto dell'appaltatore fontaniere Ercole Maria Bassi.
Giovanni Battista Gianoli10, scongiurando il pericolo della sua rimozione
dalla piazza (ventilato negli anni ’60), le
attribuisce una “particolare rude bellezza
ingentilita da classiche decorazioni” e così
la descrive: “La possente tazza monolitica
di granito, perfettamente rotonda e scavata a sembianza di primitivo battistero,
poggia su un basso gradino, e dal piede
sale in leggera curva con sagome semplici
sino al largo bordo levigato. Al centro
s’alza massiccia una colonna pure in granito ora mozza, ma forse destinata a portare qualche statua di santo o di guerriero,
che getta acqua da due bronzee maschere
efebiche di raffinato gusto rinascimentale
leggiadramente patinate dal tempo.
Tre peraltro erano le bocche, ma vandali moderni purtroppo hanno soppresso
quella verso sera con pregiudizio euritmico della bella Fontana”. Ora ne vanta
addirittura quattro!
opo aver assaporato la freschezza
dell'acqua, imbocchiamo a dx
la via Lavizzari che, in leggera salita e al
cospetto di numerosi palazzi nobiliari,
conduce alla piazzetta dell’Angelo
Custode, ai piedi del crap chiamato
anticamente Castelletto per la presenza
sulla sua sommità di un piccolo fortilizio a guardia del ponte sul Mallero.
Sulla stessa rupe sorgeva anche la chiesetta di S. Siro, ricordata nel nome del
D
9 - Iniziata sul finire del 1942 e ultimata
nell’agosto 1943, la galleria sbuca ai piedi del
“crap” ove sale la scalinata che continua il vicolo S.
Siro. Può contenere 700 persone. Il materiale
escavato (detto "marino"), trasportato su rotaia con
vagoncini, servì per la costruzione della via Lusardi.
10 - G. B. Gianoli (1880-1968) fu conservatore
della biblioteca civica Pio Rajna e tra i fondatori
del Museo di Storia e Arte Valtellinese.
46
Le Montagne Divertenti Momenti di sosta prima di riprendere il cammino
(fontana del campanile in piazza Campello, maggio
1955, foto Mosè Bartesaghi). Una raccolta dei suoi
migliori scatti è il volume: Antonio Boscacci (a cura
di), Una montagna di forografie. Archivio Mosè
Bartesaghi, Tipografia Bonazzi, Sondrio 1994).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti I quàtru sureli
47
I quàtru surèli
Speciali
11 - Franco Monteforte (a cura di), Sondrio. Guida
alla città, ed. Lyasis, Sondrio 1977, pag.26.
P
Piazza Campello negli anni '20 (cartolina Cittarini) e nel 2012 (foto Gianatti). Si nota
l'assenza della chiesa di S. Eusebio, detta del Suffragio dalla confraternita titolare. Costruita
nel 1670 al posto del cimitero annesso alla chiesa riformata (distrutti entrambi dopo l'eccidio
del 1620), fu sconsacrata dai napoleonici nel 1797 e destinata all'archivio notarile istituito
nel 1807. Ospitò l'archivio fin quando al podestà Bettino Bertolini non riuscì d'abbatterla
per dare all'area un'ampiezza consona ai canoni fascisti. Nonostante i ripetuti tentativi
Le Montagne Divertenti della Parrocchia di restituirla al culto e la strenua opposizione del presidente del Piccolo
Credito Valtellinese Enrico Vitali, sostenuta dall'architetto Giovanni Muzio (artefice del
Palazzo del Governo) e dal parere contrario della Sovrintendenza all'arte, grazie a un nuovo
sovrintendente più in linea col regime, nel settembre 1940 l'edificio sacro più pregevole di
Sondrio fu raso al suolo risparmiando solo uno dei due portali minori, tuttora visibile nella
chiesa di S. Carlo a Mossini.
P
Il Raja e via Don Bosco oggi (16 febbraio 2012, foto Matteo Gianatti).
La torre Ligariana sullo sfondo dei giardinetti Sassi e della loro fontana (16 febbraio 2012, foto Beno).
48
Ligari, viene spesso definito "torre
ligariana". Anche questa fontana corse
il rischio di essere spostata in un vano
aperto nel vecchio cimitero (1839) o
annessa alla chiesa (1843). I recenti
lavori di rifacimento della piazza hanno
snaturato i rapporti proporzionali tra
la fontana e il suo basamento che ora
appare esageratamente ampio a scapito
di un minore risalto della fontana.
roseguendo lungo via Piazzi raggiungiamo i giardini pubblici che
nel 1922 furono donati al Comune di
Sondrio insieme al palazzo Sassi de'
Lavizzari e sono ora sede del Museo
Valtellinese di Storia e Arte. Nello
spiazzo centrale ci attende l'ultima delle
"quattro sorelle", anch'essa a forma di
calice. Collocata nel 1956 in occasione
del primo intervento di sistemazione
dei giardini (a cura del professor Renzo
Sala), la fontana di granito proviene
da Ardenno e porta tuttora i segni del
trasporto, avvenuto -ricorda un testimone- su un camion di dimensioni
non adeguate a contenerla cosicché la
colonna si ruppe. Fu ricomposta, ma la
linea della frattura è ancora ben visibile.
Anche la vasca è crepata in più punti
da cui trasuda acqua all’esterno. Un
elegante finimento in ferro battuto dà
slancio e leggerezza alla piccola fontana
che a ben guardare sembra un guscio di
noce.
reso il vialetto a fianco del ritratto
a mezzo busto dell'ingegner Carlo
Donegani, si attraversano i giardini di
palazzo Sertoli sbucando in via Zara
che ci riporta al Raja, il nostro punto di
partenza.
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti I quàtru sureli
49
L'acqua delle fontane di Sondrio è semplicemente buona
siamo voltarci a cercare di ricomporre
fra gli interstizi dei moderni edifici la
sagoma sopraelevata di casa Marlianici,
con la sua torre colombaia, e fantasticare sul suo splendido giardino pensile.
Attraverso la galleria del vituperato
condominio Campello sbuchiamo sulla
piazza omonima (il toponimo Campello
deriva dal fatto che “il luogo, come altri
spazi simili attorno alla chiesa, fu per
molto tempo adibito a cimitero"11), dove
si trova la chiesa parrocchiale intitolata
ai SS. Gervasio e Protasio. Di rimpetto
al Municipio, antica dimora nobiliare
acquistata nel 1552 dal Consiglio di
Valle come sede del governatore grigione, svetta la torre civica, ai cui piedi
riconosciamo la "terza sorella" dalla
forma a calice. Realizzata in granito,
sembra ispirarsi alla fontana settecentesca in piazza della Basilica a Tirano,
forse in omaggio all’epoca di costruzione del campanile stesso. Il progetto
del nuovo campanile fu in origine affidato a Pietro Ligari che però, a soli due
anni dalla posa della prima pietra e per
motivi non ancora chiariti, se lo vide
sfilare di mano nel 1742. Gli subentrò
Giacomo Cometti, che a sua volta non
riuscì a portare a termine l'opera. Spettò
di concludere al capacissimo architetto Pietro Solari da Bolvedro, impegnato all'epoca nella ristrutturazione
di palazzo Sertoli in piazza Quadrivio,
che seppe tener conto dell'originaria
impostazione ligariana. In questo senso
il nostro campanile, che pure differisce
moltissimo da come lo aveva pensato
Speciali
È buona l'acqua delle fontane?
Francesca Benedetti
M
olto spesso, per ragioni di natura
economica, non viene raccontata la bontà delle acque degli acquedotti
della nostra provincia.
Pure negli ambienti di ristorazione è
raro vedersi servita con orgoglio la caraffa
di acqua del rubinetto, quasi come a voler
far sentire inopportuno chi la chiede.
E questo fino ad arrivare ai paradossi.
Ad esempio, in un ristorante in alta Valtellina non distante dalla sede della Levissima, ad amici scambiati per forestieri
è stata negata l'acqua del rubinetto con
la scusa che questa non fosse potabile:
il tutto per obbligarli all'acquisto della
bottiglia1.
Durante una gita col trenino del Bernina ho ascoltato i discorsi di una coppietta di turisti che stavano in albergo a
Tirano:
«Stanotte - diceva lui con la voce
affranta di chi ha visto la guerra - nel
frigo non c'era più acqua minerale. Io
non ce la facevo più per la sete e allora
ho bevuto due bicchieri di quella del
rubinetto.»
« Ma sei pazzo!» gli risponde lei.
«Mi hanno detto - si giustifica lui con
poca convinzione - che in questi paesi di
montagna, in via eccezionale, ogni tanto,
si può consumare anche l'acqua del
rubinetto.»
Cose che fanno sorridere, ma che
spingono a cercare di fare una corretta
informazione al contrario del geniale
quanto perverso sistema di marketing che
vuol convincere la gente di una falsità,
cioè che l'acqua in bottiglia è migliore
di quella dell'acquedotto, o addirittura,
che l'acqua dell'acquedotto non è buona.
In Valtellina non è assolutamente così.
L'unica affermazione vera è che l'acqua
in bottiglia è più costosa e dannosa per
l'ambiente, vista l'inutile movimentazione di un bene già presente e di altissima qualità in tutto il nostro territorio.
Le acque minerali, va comunque sottolineato, risultano particolarmente utili per
la cura di determinate patologie per cui
è richiesta una caratteristica che è peculiare dell'acqua di una fonte. Se questa
non fosse prossima al consumatore, è
allora opportuno acquistare il prodotto
imbottigliato.
1 - Ovviamente non c'era alcun problema
all'acquedotto, come ho avuto modo di verificare.
50
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Infine, al contrario di quel che si
pensa, le norme che regolamentano le
acque pubbliche sono per certi versi più
rigide di quelle delle acque in bottiglia.
all’analisi dell’acqua prelevata
dalla fontana pubblica Sertoli a
Sondrio2, sono emersi i seguenti dati:
D
1) Durezza totale: 11,3 gradi francesi
La quantità di sali minerali che rimangono dopo aver fatto evaporare un litro
d’acqua a 180°C ne determina il residuo
fisso che, nell’acqua potabile, non deve
superare gli 1,5 g/litro.
Quando invece si parla di durezza dell’acqua, ci si riferisce alla quantità di sali di
calcio e magnesio.
Un grado francese corrisponde a 10mg
di carbonato di calcio per litro di acqua.
11,3 gradi sono tipici di un'acqua di
durezza media.
Le acque altresì molto dure sono caratterizzate da una scarsa digeribilità, causano
la formazione di incrostazioni sui tubi,
caldaie e pentole, e, se usate insieme a
detersivi, impediscono la formazione
della schiuma necessaria per l’asportazione dello sporco.
2) Conducibilità: 204 S/cm
Tale valore aumenta all'aumentare delle
sostanze minerali disciolte. Maggiore è la
conducibilità elettrica, maggiore è il contenuto di sali minerali.
3) Ph 8.1
Corrisponde a un’acqua alcalina. In particolar modo l'alimentazione per lo sportivo dovrebbe tendere al cibo e bevande
2 - Le acque sono le medesime che alimentano le
altre fontane e provengono da Dagua. Le analisi
vengono effettuate ogni 2 settimane.
alcalinizzanti, cercando di ridurre il cibo
e bevande acidificanti. Non solo, è essenziale anche bere acqua ionizzata alcalina
per drenare più velocemente gli accumuli di acido lattico. Durante un’attività
fisica intensa, i cataboliti acidi, in caso
di grosse quantità, possono ostacolare
l'evacuazione dei lattati dai muscoli con
prolungamento della fase di recupero. Per
questo motivo è opportuna un'alimentazione e un’idratazione con prevalenza di
cibi e acqua alcalinizzanti prima e dopo
l'attività fisica.
4) Ferro: 0,011 mg/l
Il ferro è un metallo molto utile al sangue
per trasportare l’ossigeno ai tessuti, ma
non deve superare 1mg/l.
5) solfati: 52,58 mg/l
Sopra i 50 mg/l l’acqua è indicata per
disturbi allo stomaco e alla bile ed è leggermente lassativa.
6) parametri microbiologici
Data l’assenza di Escherichia coli, enterococchi e coliformi, si certifica che
quest’acqua è microbiologicamente pura.
7) Piombo, Nichel, Cromo, Arsenico,
Nitrati, Nitriti, Azoto ammoniacale,
Cloruri, torbidità e odore
Parametri perfettamente nella norma.
In particolare, il valore di nitrati
1,64 mg/l indica che l'acqua delle fontane di Sondrio è adatta anche a bambini
e neonati (si consigliano acque <10 mg/l).
In conclusione l'acqua delle fontane
di Sondrio è molto pregiata e particolarmente adatta per gli sportivi, viste la
quantità di sali minerali e l'alcalinità.
E
cco il confronto di conducibilità e Ph dell'acqua che esce dalle fontane
pubbliche di Sondrio con alcune acque minerali commercializzate:
Acqua
Ph
Conducibilità
fontane di Sondrio
8,1
204 S/cm
Levissima
7,8
107,5 S/cm
Uliveto
6
1410 S/cm
Santa Croce
7,61
297 S/cm
L'acqua delle fontane di Sondrio
51
Alpinismo
Lago e pizzo di Sareggio
Beno
Salendo dall'alpe Arasé all' alpe Sareggio. La foto è
stata scattata nei pressi delle torri di Sareggio, i due
grandi ometti di pietra che segnalano l'arrivo all'alpe.
Sullo sfondo, da sx, si stagliano contro il cielo il pizzo
Calino, le cime di val Molina, la cima di Forame, la
punta di Vicima, il pizzo Painale e la cima di Val di
Togno. Dalla cima di Forame si stacca verso NE una
bella cresta, ricca di torrioni rocciosi, che raggiunge
la bella piramide della cima d'Aiada (8 marzo 2009,
foto Beno).
52
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779)
53
La valle dei laghi e la valle di Sareggio dalla val d'Aiada (12 dicembre 2009, foto Beno).
Alpinismo
Versante retico
Corno dei Marci
(2805)
Pizzo Murascio
(2762)
Bocch. di Sareggio
(2679)
Pizzo di Sareggio
(2779)
Bocch. dei Marci
(2675)
Cima di Ganda Rossa
(2741)
Passo dell'Arasé
(2602)
La val Fontana, assieme alla val Màsino, è il luogo eletto per lo scialpinismo
esplorativo in Valtellina: itinerari poco battuti o addirittura sconosciuti in
valli remote e d'inverno calpestate dai soli animali selvatici. Si tratta di gite
generalmente impegnative e che richiedono allenamento (la traccia è quasi
sempre da battere), senso dell'orientamento, intuito e capacità di valutazione
del manto nevoso. Queste zone sono infatti esposte alla caduta di grosse
valanghe.
Ma se questa premessa non vi spaventa, vi assicuro sciate indimenticabili e
divertentissime.
Q
Alpe Sareggio
(2241)
uesta è la prima gita di scialpinismo in val Fontana che
Le Montagne Divertenti propone. In
quanto tale ho scelto un itinerario sì
faticoso e con un lungo sviluppo, ma
anche tecnicamente semplice.
L'obbiettivo è il pizzo di Sareggio,
una vetta di m 2779 in testa all'omonima valle, remota laterale sx (E) della
val Fontana.
Che lassù ci si arrivasse anche con
gli sci l'ho scoperto per caso nel 2008
quando con Gioia e Nicola ci eravamo
immersi senza meta nel silenzio surreale della val Fontana. Anche allora
come oggi avevamo calzato gli sci già al
ponte di Premelé, a nemmeno m 1000
di quota.
In genere su questa strada la neve
si compatta e ghiaccia velocemente,
Alpe Arasè
(1936)
Fatica
Pericolosità
Partenza: ponte di Premelè (m 1000 ca).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende
la Strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano
Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al
km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al
km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve
salita, immettersi sulla strada a sx che porta in Val
Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti e, appena
dopo il centro sperimentale per la salvaguardia della
selvaggina, si incontra la chiesetta di S. Rocco. 100 metri
e si ignora la svolta a sx per San Bernardo. Si seguita sulla
stretta via asfaltata che penetra in Val Fontana fino al
ponte di Premelé, dove generalmente si lascia l'auto. In
caso di strada pulita si può proseguire oltre.
Il pizzo di Sareggio (anticima O) dall'alpe Sareggio. In rosso il tracciato
diretto, in verde la variante più semplice (15 gennaio 2012, foto Beno).
Itinerario sintetico: ponte di Premelè (m 1000)
- Sant' Antonio (m 1200) - rifugio Erler (m 1400) - pian
dei Cavalli (m 1550) - alpe Arasé (m 1936) - alpe
Sareggio (m 2241) - pizzo di Sareggio (m 2779).
Tempo previsto: 6 ore per la salita.
Attrezzatura
richiesta:
attrezzatura
da
scialpinismo o ciaspole. Kit antivalanga. Con neve
ghiacciata tornano utili i rampanti nell'ultimo tratto.
Difficoltà/dislivello
3 su 6 / oltre 1800 m.
in salita:
Dettagli: OS. Non ci sono difficoltà alpinistiche.
L'ultimo canale per la vetta è ripido (>35°) e la discesa
dall'Arasé al fondovalle richiede buona tecnica perchè
si svolge nel bosco fitto.
Senza neve la gita può essere compiuta
semplicemente con gli scarponi (EE).
Mappe consigliate: Kompass n. 93, Bernina, 1:50000.
Pizzo di Sareggio
(2779)
Bocchetta dei Marci
(2675)
54
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
15 gennaio 2011
he ci vado a fare lassù che non
c'è neve? Mi chiedo proprio
questo mentre con Lele salgo tra i
meleti spogli di Ponte. L'inverno
quest'anno non è arrivato e neve ce
n'è pochissima, confinata sulle alte
cime dove il vento per di più l'ha flagellata. Triterò gli sci, ma in Sareggio
devo andarci a far le foto: nella sciata
del 2008 non ne avevo quasi scattate
C
a causa della notte che ci rincorreva,
mentre nel 2009 avevo impostato la
macchina sul bianco e nero, così nel
mio archivio ho solo una ventina di
immagini che sembran fatte prima
della guerra. Che fesso.
Attraversiamo il ponte di Premelè.
Neve e ghiaccio ci sorprendono; la
strada ne è ricoperta. Ma come? Chi ce
l'ha portati?
Non si può proseguire oltre, così ci
sbarazziamo del Panda e, giusto per
sfizio, calziamo subito gli sci pensando
di doverli levare già dopo pochi metri.
Curva dopo curva però, ci accorgiamo
che la neve aumenta sempre più. Dopo
la chiesetta, attraversiamo il paesino di
Sant'Antonio. Sul muro di un edificio
si notano ancora gli anelli per legare i
cavalli: quello era il parcheggio della
La caserma delle Guardie di Finanza in val Fontana (attuale rifugio Erler, a inizio '900
(cartolina archivio Maurizio Cittarini).
Bellezza
così che non è prudente salire oltre
con l'automobile, anche perché sulla
strada si scia e se si è qui per quello non
c'è ragione di rendere la discesa più
breve. Tuttavia però, in certe occasioni,
è tutto pulito fin più in alto e, senza
rischiare brutti incidenti, ci si riesce a
portare fino al rifugio Erler.
Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779)
55
Alpinismo
L'alpe Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno).
56
Le Montagne Divertenti Versante retico
vecchia osteria. Le pelli scivolano
lungo la rotabile che si copre anche di
soffice polvere. La valle è in ombra e il
vento, che scorre nella stessa direzione
del torrente, ci congela le guance. Lo
sviluppo è notevole e il ripetersi dei
passi monotono e alienante. Con
un buon innevamento si potrebbero
tagliare tutti i tornanti.
In alto a sx svetta il pizzo Calino illuminato dal sole. Un guado ci annucia
la vicinanza del rifugio Erler. Dall'altra parte del torrente Val Fontana (si
chiama proprio così!) ci sono le baite di
Selva e, più in alto, s'alza la val Vicima,
uno dei luoghi più incantevoli in cui io
abbia mai sciato. Sulla dx, invece, oltre
un ripido salto, è la val Combolina che
coi suoi ripidi pendii si presta a ottime
gite, se pur molto impegnative.
"E perché se è così bello non ci va
nessuno?" mi chiede Lele.
"La maggior parte degli scialpinisti
peccano d'egoismo e sono impegnati
esclusivamente a trovare artifici per
alleggerire la propria attrezzatura!", ironizzo. "È per questo che non vanno in
paradiso."
Sulla rotabile vi sono impronte di
ciaspole, forse qualche cacciatore.
Curva, controcurva, due guadi
asciutti e la strada scende di qualche
metro per portarci al pian dei Cavalli
(m 1550, ore 2), grande distesa bianca
spazzata dal vento. A sx si notano le
baite dell'Ortighé, a dx quelle del
Piano e, sopra di esse, il sentiero che
porta in val Malgina e al passo omonimo, il valico più diretto per raggiungere la Svizzera. Sul versante NO del
Combolo colpiscono le due grandi
cascate che scendono dall'alto per centinaia di metri.
La strada che stiamo seguendo contorna la piana sulla dx, ma per far più
svelti puntiamo dritti a N e ne raggiungiamo la "sponda" settentrionale
dove troviamo i resti delle piante sradicate nel marzo 2009 da una grossa
valanga. Come avevamo constatato
pochi giorni dopo, la grande massa
nevosa era precipitata dalle pendici
occidentali della cima di Ganda Rossa,
arrestandosi ben lontana dagli alberi,
ma generando un tale spostamento
d'aria che li aveva strappati e ribaltati
come fossero fili d'erba.
Il pianone è finito, la valle si stringe
e ci reimmergiamo nel bosco di abeti.
Primavera 2012
Siamo sempre sulla rotabile dove d'estate molte coppe dell'olio metton fine
ai loro giorni rompendosi contro il
fondo sconnesso. Poco oltre il ponticello di legno che supera il torrente che
scende dall'Arasè con le acque della val
Sareggio e della valle dei Laghi, c'è un
bivio1. La strada principale prende a sx
in discesa e si spinge fino all'alpe Campascio, "l'ombelico della val Fontana",
il ramo di dx, come confermato anche
dal cartello segnaletico, è la via che
dovremmo seguire per l'alpe Sareggio.
Pochi metri e dalla carrareccia si
diparte un ripido sentiero bollato sulla
dx. Mentre d'estate lo si geue integralmente fino all'alpe Arasè, con gli sci,
dopo pochi metri, si piega a dx per
salire la ripida radura che s'inerpica
a dx (NE) e, tagliando le curve del
sentiero, giunge a ridosso della fascia
rocciosa che protegge l'alpe. Le inversioni da fare sono molte e ripide, ma
stando fuori dal bosco si evita di incastrarsi nei rami: lo spessore del manto
nevoso, infatti, rende i passaggi angusti, essendo la potatura degli abeti fatta
d'estate ad altezza d'uomo.
Il sentiero, che va ora seguito, passa
nel bosco al di sotto delle rocce, traversando da sx a dx (SE) fino al cancello
per i cavalli posto ai piedi dei pascoli.
Alla nostra dx il torrente rumoreggia
dentro la sua profonda forra.
Gli spazi si riaprono. La val d'Aiada e
1 - Quando non c'è neve si può arrivare fin qui con
l'automobile, anche se si consiglia, per non perdersi
una bella parte della passeggiata, di lasciarla al più
rifugio Erler, al termine della strada asfaltata.
la val Forame mostrano la loro corona
di vette.
Siamo all'alpe Arasé (m 1936, ore
1:30), un bel poggio panoramico alla
confluenza tra le scarpate che proteggono la val Sareggio e l'angusto
imbocco della valle dei laghi. Vi sono
alcune baite e uno splendido stallone
con capriate in legno, ultimo superstite
della sua stirpe. I cacciatori, per fortuna, ne hanno recentemente bonificato la copertura impedendo all'acqua
di far marcire le travi che sorreggono il
pesante tetto di predùn.2
Verso E si insinua la valle dei Laghi,
mentre a N un piccolo sentiero sale nel
bosco di conifere in direzione dell'alpe
Sareggio (Sarecc' nel dialetto locale),
com'è chiamato il lembo inferiore
della valle di Sareggio, grande conca
di pascoli e pietraie all'estremità nord
orientale della val Fontana.
Anche qui, mentre d'estate torna
comoda la via bollata, con la neve
si deve valutare il tracciato più
conveniente.
Si può stare a dx, salendo dritti
sopra lo stallone, oppure si può zigzagare nello stretto e ripido canalino
che s'impenna verso N, proprio al di
sopra delle baite3. A circa m 2150 gli
alberi finiscono e alcuni grossi ometti
di pietra segnalano il limite della conca
di Sareggio.
Ci affacciamo così alla val Sareggio. Il panorama è stupendo, così
2 - Piattoni grezzi di gneiss ricavati dalle rocce della
zona.
3 - Assolutamente da evitare con neve non sicura.
come la sensazione di essere fuori dal
mondo. Raggiungiamo la baita rossiccia dell'alpe Sareggio (m 2241,
ore 0:45), l'ultima che resiste ancora in
piedi protetta dal suo tetto di lamiera.
Accanto ad essa ci sono i resti dei muri
perimetrali dello stallone, oltre ad altre
costruzioni più piccole e a spezzoni
della conduttura di metallo che portava qui l'acqua attingendola dal vicino
lago di Sareggio.
Il vento e le valanghe hanno ripulito
le scarpate erbose a N, così i camosci
stanno pascolando ai piedi del corno
dei Marci. A E, in senso orario, si vede
il corno dei Marci, la bocchetta dei
Marci (indicato anche come bocchetta
di Sareggio), il pizzo Murascio - punto
panoramico sul lago di Poschiavo -, la
bocchetta di Murascio e, al termine
di un lungo e frastagliato crestone
che precipita fin quasi all'alpe Arasé,
il pizzo di Sareggio, la nostra meta.
La cima, a dire il vero, non è visibile
perché coperta da una delle anticime
occidentali, ma dove sia è facilmente
intuibile.
Il fondo della valle è costituito da
numerosi lobi morenici che limitano le
zone di pascolo.
Oltre il primo di questi c'è il lago
di Sareggio. Non è molto grande, ma,
come il lago di Rogneda sopra Tresivio,
non mostra né immissario né estuario.
Quando gela d'autunno o sgela di primavera emette boati e brontolii, quasi
fosse la dimora di un piccolo mostro
di Lochness. In autunno specialmente,
quando al gelo si associa un calo del
livello, ai boati talvolta segue lo spezzarsi della coltre di ghiaccio e l'emergere di spuntoni di roccia scura simili
alle creste che hanno sul dorso certi
dinosauri.
Senza via obbligata, scavalchiamo
il dossone a E del lago e, oltre il successivo ripiano pietroso, prendiamo la
ripida vallecola sulla sx che rimonta il
costolone che orla a O la conca ai piedi
della bocchetta di Murascio e del versante N del pizzo di Sareggio4.
Immediatamente a E del pizzo
di Sareggio scende un ripido canale
(oltre 35°) che, dati i flussi ventosi
Il primo gelo al lago di Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno).
4 - Per chi volesse fare un itinerario meno
impegnativo, consiglio di prendere quota in
direzione della bocchetta di Sareggio (NNE), per
poi voltarsi e traversare in direzione pizzo di
Sareggio (S) lungo un tracciato molto meno ripido
e più sicuro in caso di neve instabile.
Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779)
57
Alpinismo
che asportano la neve, è raramente
sciabile fino in cima a causa dei massi
affioranti.
Oggi però, quando di neve non
ce n'è da nessuna parte, proprio in
questa ruga se n'è accumulata molta.
Saliamo così a zig-zag perseguitati dal
vento gelido. La crosta si fa dura e ci
muniamo di rampanti. A N iniziano
ad apparire le vette del gruppo del Bernina che fino ad ora erano nascoste dal
Corno dei Marci.
Gli accumuli, come quello che Eolo
ha depositato in questo canale, non
sono mai sicuri, per cui, per non tagliare
troppo il pendio, le curve diventano
sempre più strette fino a sbucare sulla
cresta. Siamo su una selletta dal paesaggio estesissimo e incantevole. Levati
gli sci, pochi metri lungo le rocce del
filo (O, dx) ed ecco la vetta (pizzo di
Sareggio, m 2779, ore 1:15).
Il vento è zitto e ci lascia sdraiare
sul cocuzzolo abbagliati dall'ultimo
sole. Il tè esce fumante dalla thermos
e nell'aria si diffonde il profumo dei
mandarini che sto sbucciando. Il silen-
L'origine del lago di Sareggio
Davide Gotti
In vetta al pizzo di Sareggio (8 marzo 2009).
zio e la pace sono indescrivibili e sono
una delle cose che più apprezzo della
val Fontana. So che ci aspetta una bella
e lunghissima discesa, interrotta solo
dal noioso superamento del pian dei
Cavalli, ma vorrei rimanere quassù a
guardare le stelle sorgere e ruotare nel
cielo.
Alle fine, però, una folata di vento
mi ricorda che di notte fa molto freddo
e mi convince a tornare a casa.
D
i solito si dice che i laghetti
alpini stanno in conche di
sovra escavazione glaciale (conche
prodottesi in seguito all’erosione
glaciale). Nulla di più assurdo: anche
ammesso che il ghiacciaio scavi,
come potrebbe il ghiacciaio avere
forza a sufficienza per scavare proprio dove ha il suo circo e quindi la
sua origine?
In realtà se si percorrono i sentieri
delle valli laterali minori delle valli
affluenti della Valtellina non si potrà
fare a meno di osservare che sono
caratterizzate da tutta una serie alternata di forti salite e di tratti più rilassanti in cui sono adagiati i laghetti
alpini.
Ciò è dovuto alla presenza di una
serie macroscopica di dossi (pieghe
anticlinali) e depressioni (sinclinali)
generatisi a causa della deformazione
delle rocce durante il sollevamento
della catena alpina con andamento
58
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti quasi ortogonale a quello della valle
in cui si trovano.
La formazione del bacino dei singoli laghetti è variabile a seconda dei
processi geomorfologici che hanno
interessato le singole aree: alcuni si
formano all’interno delle depressioni
citate sopra in seguito alla impermeabilizzazione del terreno dovuta al trasporto di sedimenti sempre più fini da
monte, mentre altri hanno una formazione molto più complessa.
l lago di Sareggio, per esempio,
è racchiuso tra due rock glacier
(masse di blocchi spigolosi con ghiaccio all’interno che colano verso valle
per gravità; sono riconoscibili per la
presenza di numerosi lobi). L’incontro
di queste due masse ha bloccato il corso
del torrente a valle formando il bacino
del lago di Sareggio successivamente
impermeabilizzato dai sedimenti fini.
Di questi rock glacier quello sulla
sinistra del lago è relitto e interamente
I
inerbito (il ghiaccio all’interno non è
più presente), mentre è probabile che
quello sulla destra sia ancora attivo
(ghiaccio all’interno) solo nelle porzioni superiori presso i coni di detrito
provenienti dalla cresta O del pizzo
di Sareggio. Inoltre sulla sinistra del
rock glacier inerbito troviamo dei dossi
erbosi allungati secondo la direzione
della valle: si tratta di tre morene laterali testimoni delle ultime avanzate del
ghiacciaio di Sareggio durante il ritiro
successivo all’ultima massima espansione glaciale di 20000 anni fa. Il lago
è alimentato dal torrente che nasce dai
rock glacier attivi ai piedi del pizzo
Sareggio e che scorre al di sotto delle
pietraie.
Il pizzo Calino specchiato nel lago di Sareggio
(4 ottobre 2011, foto Fabio Pusterla).
Lago e pizzo di Sareggio (m 2779)
59
Approfondimenti
Versante retico
'Na volta sü en Sarécc'
Beno e Fabio Pusterla
S
alendo oggi in Sareggio vi si
trovano dei ruderi di varia grandezza, un'ultima baita che, seppur
malconcia, resiste al passare degli
anni, alcune coppelle1 e degli spezzoni
di tubi di ferro che corrono fino al
vicino al lago. Qualche cavallo viene
ancora portato quassù nella bella
stagione, ma un tempo la situazione
era ben diversa: la grande conca di
Sareggio era tra i pascoli più ambiti
della val Fontana, specialmente perché il laghetto garantiva l'acqua per
il bestiame. Per servire le baite con
quest'acqua si erano resi necessari
una pompa e un tubo di ferro che
permettessero all'acqua di superare il
dosso tra il lago e l'alpe. Sulla sponda
occidentale del lago si trovano ancora
il tubo e la nicchia dove era stata posizionata la pompa.
Come ricorda Maria Baruta2 - classe
1931 di Castionetto-, la malga era
gestita dai pontaschi. Lei oltre 50 anni
fa andava lassù a prendere la quagiàda3
perchè suo marito, Alessio- classe
1929-, era amico del capomalga, un
certo Liberio.
I pontaschi erano molto accoglienti
e ogni volta che Maria saliva, da intendersi in giornata e a piedi da Castionetto, gli preparavano la polenta.
Ovviamente doveva presentarsi con
un po' di legna, preziosissima ai tempi
dato i monti erano molto più spogli di
come li vediamo ora, sia perché erano
stati trasformati in pascolo tutti i pendii sfruttabili, sia perché il legname
era molto utilizzato per l'edilizia e per
scaldare.
I pastori di Sareggio erano molto
puntigliosi: ognuno doveva portarsi la
propria coperta, le posate e il ciapèl di
legno.
In Sareggio c'erano almeno 3 o 4
uomini fissi perchè c'erano oltre un
centinaio di vacche.
In Sareggio l'acqua era molto
abbondante. A chi, come Maria
Baruta, caricava con la propria fami-
I resti delllo stallone dell'alpe Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno).
Il tubo che aspirava l'acqua dal lago di Sareggio (4 ottobre 2011, foto Fabio Pusterla).
4 - È l'alpe ai piedi del versante orientale del pizzo
Calino, 600 metri più in alto del pian dei Cavalli.
Già Bruno Galli-Valerio nel 1904 affermava che i
pastori del Montirolo avevano il coraggio di stare
lassù solo perché reduci da terribili esperienze di
guerra come lo Stelvio e Abba Garima!
1 - Rinvenute su dei massi da Antonio Boscacci.
2 - Nonna di Fabio Pusterla che ha gentilmente
raccolto queste informazioni.
3 - Cagliata.
60
Le Montagne Divertenti glia un'alpe povera come il Montirololo4, Sareggio sembrava il paradiso!
Maria ricorda che le torri di Sareggio, i due grandi ometti di pietra che
annunciano l'alpe a chi sale dall'Arasé, sembravano sempre lontani.
Una volta era salita lassù con un
maglione rosso e i pastori avevano
dovuto sgolarsi per avvertirla che le si
stava affrontando il toro.
Si dice che una mucca fu risucchiata
dal lago. Ma forse questo fatto non è
mai accaduto veramente: è solo una
delle tante leggende che animavano le
serate davanti al focolare.
Dagli anni '70 il silenzio della valle
è interrotto solo dai fischi dei camosci
che pascolano numerosi sulle sponde
erbose. I ripidi pendii di visega sulla
scarpata meridionale del Corno dei
Marci non trattengono la neve e le
valanghe cadono frequenti liberando
i prati dalla loro coperta bianca, così
che gli animali trovano di che nutrirsi
anche lungo l'inverno.
I ruderi dello stallone dell'alpe Sareggio
(26 novembre 2011, foto Beno).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti 'Na volta sü en Sarécc'
61
Alpinismo
Il colle delle
Pale Rosse
Giacomo Meneghello e Roberto Ganassa
Il colle delle Pale Rosse (m 3375)
è un’ampia sella, tra la parete S del
Gran Zebrù (m 3851) e costiera
della cima delle Pale Rosse
(m 3444), che collega la val Cedéc
con la valle delle Miniere e di qui
con la val Zebrù.
L’escursione, benchè semplice,
ha grande sviluppo.
La bellezza del panorama,
soprattutto al tramonto o di
primo mattino, regala sempre forti
emozioni.
Tramonto al colle delle Pale Rosse. Sullo
sfondo il monte Cevedale (21 marzo 2011,
foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
62
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Colle delle Pale Rosse (m 3375)
63
Alpinismo
Alta Valtellina
Gran Zebrù
Cima delle Pale Rosse
(3851)
(3444)
Colle
delle Pale Rosse
(3375)
Cime di Campo
Monte Zebrù
(3740)
Rifugio Pizzini
(2706)
Il tracciato per il colle delle Pale Rosse dalla vedretta di Cedéc (5 maggio 2010, foto Roberto Ganassa, toponomastica Fabio Meraldi).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: parcheggio dei Forni (m 2150).
Itinerario automobilistico: da Bormio si segue la
SP29 per Santa Caterina Valfurva (13 km). Giunti in
paese, dopo meno di un km si incontra un bivio dove
prenderemo a sx seguendo le indicazione per i Forni.
Dopo 2 km di strada pianeggiante seguono 4 km a forte
pendenza che conducono al parcheggio dove finisce la
strada asfaltata e aperta al traffico veicolare. Si è proprio
ai piedi del rifugio Ghiacciaio dei Forni.
Itinerario
sintetico:
parcheggio dei Forni
(m 2150) – rifugio Pizzini (m 2706) – colle delle Pale
Rosse (m 3375).
Tempo previsto: 3 ore per la salita.
Attrezzatura
richiesta:
attrezzatura
da
scialpinismo o ciaspole (imbraco e corda consigliati
visto che l'itinerario si svolge in parte su ghiacciaio).
Kit antivalanga.
Difficoltà/dislivello
3 su 6 / 1230 m.
in salita:
Dettagli: MSA. L'ultimo tratto si svolge su
ghiacciaio. Tracciato molto frequentato.
Mappe: Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio,
1:50000 (attenzione ai toponimi talvolta errati).
Gran Zebrù
(3851)
Cima delle Pale Rosse
(3444)
Colle delle Pale Rosse
(3375)
Le Montagne Divertenti n pomeriggio di fine marzo ci
incamminiamo dal parcheggio
dei Forni1. Pur sapendo che in primavera le gite scialpinistiche andrebbero affrontate di primo mattino per
sfruttare il rigelo notturno e quindi la
maggior stabilità del manto nevoso,
vogliamo raggiungere il colle delle
Pale Rosse con la luce radente del tramonto, per abbinare alla bella sciata
delle fotografie spettacolari. Nel fare
ciò ci conforta la consapevolezza che il
percorso non presenta grandi pericoli
e che, in questi giorni, in alta quota le
temperature sono rimaste rigide.
È stato semplice giungere fin qui
in auto; e pensare che un tempo da
Santa Caterina si saliva solo a piedi o a
dorso d'asino 2.
Poi fino al 1896 non c'era neppure l'albergo dei Forni, costruito da
Rinaldo Buzzi per accogliere i turisti
che volevano ammirare lo spettacolo
del ghiacciaio dei Forni e delle vette
che lo coronano3.
Oggi il paesaggio è cambiato radicalmente, perché dalla fine della Piccola Età Glaciale (1450-1850) il ritiro
delle nevi perenni è stato inesorabile
e sempre più veloce: per la lingua del
ghiacciaio dei Forni si parla di 2.65
km di lunghezza4!
al parcheggio dei Forni ci sono
tre possibilità per arrivare in
Pizzini:
1- si continua in piano verso E per
la pista (generalemnete battuta e fresata dai rifugisti) che punta alla piccola diga. Ignorata la deviazione per
quest'ultima, si guada il torrente Cedéc
su un ponte di legno, e, poco oltre si
prende la deviazione sulla sx che, con
D
1 - I toponimi forno, forni, miniera diffusi in
quest'area sono correlati all'antica e intensa attività
estrattiva e fusoria del materiale ferroso.
2 - "La gita fino alle baite del Forno (2102 m) può
farsi sugli asini o a piedi in circa quattro ore, due
all'andata, e poco più di una e mezzo al ritorno"
(Guida della Valtellina, Sezione Valtellinese del
Club Alpino, 1873).
3 - "Una mulattiera da Santa Caterina volge a est,
rimontando il ramo destro del Frodolfo, e conduce in
meno di due ore ai piedi del ghiacciaio del Forno
(albergo del Forno, m. 2225)[n.d.r. spesso di
trovano indicati anche col toponimo "Forno"],
tanto ammirato dallo Stoppani. poco distante si
trovano due belle marmitte dei giganti, e le splendide
guglie di ghiaccio del Forno" (Ercole Bassi, La
Valtellina. Guida illustrata, Grafiche Saspe, Milano
1927-28).
4 - "Si giunge dove la vedretta comincia (2025 m)
scendendo lungo una ripida parete" (Guida della
Valtellina, Sezione Valtellinese del Club Alpino,
1873). Attualmente la quota minima del ghiacciaio
è a m 2499 (fonte Riccardo Scotti - SGL).
Salendo la vedretta del Gran Zebrù verso il colle delle Pale Rosse (21 marzo 2011, foto Giacomo Meneghello).
64
U
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti una serie di tornanti, sale la costa
fino alla malga dei Forni (m 2318).
La pista prosegue poco ripida verso
(N) e, attraversato il torrente Cedec
sul ponte della Girella, si ricollega
alla strada che dal rifugio dei Forni
porta al rifugio Pizzini (m 2706, ore
1:40).
2- dal parcheggio si sale al rifugio dei
Forni e si segue integralmente la strada
carrozzabile (generalemnete battuta e
fresata dai rifugisti). Inizialmente questa prende quota con alcuni tornanti,
poi si addentra (NNE) in val Cedéc
con pendenza moderata. Gli ultimi
150 metri di dislivello per il rifugio
Colle delle Pale Rosse (m 3375)
65
Alpinismo
Il rifugio albergo dei Forni in due cartoline d'inizio '900 (archivio Maurizio Cittarini).
Alta Valtellina
Pizzini (m 2706, ore 1:40) sono un
po' più ripidi.
3- si segue l'itinerario precedente per
una decina di minuti, quindi si prende
la mulattiera militare (pista non battuta) che si stacca sulla sx (indicazioni
per il "sentiero panoramico") e raggiunge le baite dei Forni (m 2327). Si
continua a mezza costa, paralleli alla
strada dell'itinerario precedente. Il
paesaggio è splendido e molto vasto.
Si incontrano i ruderi di vecchie fortificazioni militari della Grande Guerra
e il relitto di una caserma (m 2547).
Pianeggiando lungo una sorta di
terrazzamento sulla dx orografica
della val Cedéc, si raggiunge il piccolo lago Cedec5 che al disgelo torna
a specchiare il Tresero, la Pedranzini,
il Dosegù e il San Matteo. Poca fatica
e si è al rifugio Pizzini (m 2706, ore
1:50).
Dopo aver bevuto qualcosa di
caldo, ripartiamo per la nostra missione fotografica al Colle delle Pale
Rosse. Procediamo in leggera salita
(N) e puntando alla parete S del Gran
Zebrù senza itinerario obbligato.
L’ampia vallata6, la pendenza moderata e l’assenza di “ostacoli” permettono infatti a ogni escursionista di
inventarsi una propria via di salita,
sebbene convenga sfruttare le tracce
già battute dagli altri.
La temperatura, fin qui mite, si
è decisamente abbassata e un forte
vento da N ha cominciato a sferzare
ingrato contro di noi. Sebbene il colle
sia già visibile (NNO), serrato tra la
parete S del Gran Zebrù e la cima
delle Pale Rosse, non dobbiamo sottovalutare la distanza, apparente breve
per il gioco prospettico dato dalle
imponenti cime e dall'ampia vallata.
Oltre i m 3000 la neve che aumenta
e l'aria rarefatta rallentano il nostro
incedere, lasciandoci però più tempo
per ammirare il panorama che inizia a
disegnarsi alle nostre spalle, dominato
dall’immenso ghiacciaio del Cevedale.
Il sole, già basso all’orizzonte, segna
l'ovest. Proseguiamo, ormai nell’om-
Il rifugio Pizzini (21 marzo 2011, foto Roberto Ganassa). Nella foto in basso, da sx, il monte Giumella, la punta San Matteo, il pizzo Dosegù, la
punta Pedranzini e il pizzo Tresero specchiati nel laghetto di Cedéc (19 settembre 2010, foto Roberto Ganassa).
5 - Sulla CTR il lago è semplicemente indicato
come "sorgente". Non vi sono in loco cartelli che
ne attestano la presenza.
6 - Qui si trova la vedretta del Gran Zebrù,
erroneamente indicata sulle mappe CTR come
"ghiacciaio di Cedéc". Il ghiacciaio di Cedéc è
invece la bifida lingua glaciale che dal monte
Cevedale cola verso la val Cedéc.
66
Le Montagne Divertenti Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Colle delle Pale Rosse (m 3375)
67
Alpinismo
Cima delle Pale Rosse anticima settentrionale
(3416)
Cima delle Pale Rosse
(3444)
quota 3410
Monte Cevedale
(3769)
Cima Cevedale
(3757)
Monte Vioz
(3645)
e
l
veda
iC
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tta
re
d
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t
t
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Palon de la Mare
(3703)
Monte Pasquale
(3553)
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Dal colle delle Pale Rosse (21 marzo 2011, foto Giacomo Meneghello). La vedretta di Cedec, erroneamente posizionata su CTR, è il ghiacciaio che
scende nel vallone compreso tra il monte Cevedale e il monte Pasquale. Attualmenente la sua lingua è divisa in due colate. La vedretta del Pasquale è
invece l'ormai misera lente di ghiaccio sotto la parete O del monte Pasquale.
bra, verso la sella illuminata dalla luce
radente del tramonto.
Poco prima del colle delle Pale
Rosse, visto che la gita sarebbe già
conclusa, decidiamo di inserire una
breve variante: pieghiamo a sx (SSO)
sul pendio che porta all'evidente
bocchetta tra l'anticima meridionale
(m 3402) e la cima delle Pale Rosse
(m 3444), punto panoramico sulla val
Zebrù, sui gruppi montuosi che la circondano, sul Gran Zebrù e sull’intera
val Cedéc. Le Tredici Cime, infine,
chiudono l'orizzonte.
Il contatto con la roccia, il sole basso
che illumina i nostri volti, la sensazione di essere tanto piccoli, quanto
grandi, ci riempie il cuore, ma manca
ancora un ultimo sforzo per raggiungere la meta prefissata. Dopo un lungo
traverso (S), superiamo di slancio gli
ultimi metri che ci separano dalla selletta. La luce ora è perfetta e facilita
68
Le Montagne Divertenti il nostro compito fotografico, a differenza del vento gelido che frena ogni
intraprendenza. Dallo spartiacque la
vista spazia sull’ampia e inizialmente
dolce valle delle Miniere che all'improvviso s'inabissa in val Zebrù7.
orniamo sui nostri passi e raggiungiamo finalmente il colle
delle Pale Rosse (m 3375, ore 2:30
- senza la variante appena descritta),
da cui, infine, conquistiamo l'anticima settentrionale delle Pale Rosse
(m 3416, ore 0:15). Sfiniti dal vento,
più che dalla fatica, decidiamo di
rientrare al rifugio Pizzini senza aspettare che il sole sparisca all’orizzonte,
anche perché l’assenza di nuvole non
lascia presagire alcuna “sfiammata” del
cielo. Le mani congelate e il soffiare
incessante del vento ci rendono difficile anche togliere le pelli, ma pro-
T
prio al momento di tuffarci in discesa
ecco che notiamo l’ultima lingua di
neve illuminata dal sole e il fantastico
scenario con il Cevedale al tramonto
sullo sfondo: con uno sciatore in
azione sarebbe un'inquadratura bellissima. Nessuno di noi però vuole
risalire a scaletta il pendio per fare
da modello. Nessuno di noi, inoltre,
vuole estrarre di nuovo la macchina
fotografica e congelarsi del tutto le
mani.
Non so come abbiamo fatto a convincerci a vicenda, ma alla fine ci
abbiamo provato. Un'unica curva,
un'unica foto, un’unica possibilità, e
la copertina di questo articolo ne è il
risultato.
Rientriamo nell'ombra al rifugio dove la cena calda ci ritempra: è
quanto di meglio avremmo potuto
chiedere dopo il freddo patito.
Il bacino artificiale dei Forni
Il bacino artificiale dei Forni sorge
a quota 2167 metri ai piedi dell’omonimo ghiacciaio ed è un'importante
opera di presa del sistema idroelettrico A2A in Valtellina. Il bacino
raccoglie le acque che l’imponente
ghiacciaio dei Forni rilascia assieme
a quelle captate al passo del Gavia,
La diga dei Forni (24 maggio 2011, foto archivio A2A).
7 - Non visibile da questa selletta.
Primavera 2012
per poi inviarle alla diga di San
Giacomo in val Fraele, non prima
di essere utilizzate dalla centrale
idroelettrica del Braulio posta sulla
strada dello Stelvio.
L’alta Valfurva è da sempre un
bacino idrico pregiato ed importante, tanto da stimolare la realizza-
Le Montagne Divertenti zione di molteplici iniziative, tra le
quali la realizzazione del Sentiero
Glaciologico del Centenario, realizzato nell’occasione dei cento anni
di fondazione della Commissione
Glaciologica Italiana, all’installazione della prima stazione meteorologia fissa su un ghiacciaio italiano
nel 2005. Inoltre, mantenendo vivo
l’interesse scientifico per queste
aree, proprio sull’opera di presa dei
Forni, A2A nel 2011 ha installato
un torbidimetro; strumento capace
di misurare in continuo il trasporto
solido presente nell’acqua captata ed inviata nei bacini artificiali.
Queste informazioni statistiche,
assieme a quelle rilevate dalla
stazione presente a livello del ghiacciaio dei Forni, sono visibile on line
sul sito della società www.a2a.eu .
Colle delle Pale Rosse (m 3375)
69
Alpinismo
È una delle gite più conosciute e belle delle Alpi Orobie.
Sviluppo contenuto, pendii divertenti, nessuna motoslitta e
panorama emozionante sono gli ingredienti genuini di questa
squisita uscita con le pelli di foca.
Beno
In discesa dalla cima Soliva. Scatto
effettuato nei pressi delle rocce basali del
pizzo Cavrin. A dx il pizzo del Salto e il
passo del Forcellino (24 marzo 2011, foto
Roberto Ganassa
- www.clickalps.com).
70
Le Montagne
Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710)
71
Escursionismo
Alpi Orobie
A
l calar del sole un vento freddo agitato dalle tenebre corre tra le case di Agneda. Un'altra splendida
giornata è appena finita. Mi volto e vedo il cupolone innevato della cima Soliva che continua a
brillare per non arrendersi alla notte. Distinguo gli alti gendarmi che abitano la sommità del monte.
L'1 settembre 1891 Bruno Galli-Valerio pose qui il primo masso, poi, pietra dopo pietra, gli
ometti si sono alzati e moltiplicati per mano di altri alpinisti.
uesta sera la pietra più alta è la mia; starà barcollando al vento, appoggiata alle centinaia
di chi, come me, ha scelto di voler guardare per un istante il cielo un po' più da vicino e il
mondo un po' più da lontano.
Q
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Vedello (m 1032).
Itinerario automobilistico: alla fine della
tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del
passaggio a livello si svolta a dx e si segue la strada
provinciale fino a Busteggia. 100 metri oltre l'ex canile
(semaforo) si prende la stradina sulla dx che sale a Pam
per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda
Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località
Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val
Vedello fino alla centrale di Vedello (m 1000, 6 km).
Mancano 2,5 km ad Agneda, ma per non avere
sorprese (strada senza parapetti), è opportuno, appena
si incontra la neve, parcheggiare la macchina e
proseguire a piedi o con gli sci fino ad Agneda.
Itinerario sintetico: Vedello (m 1032) - Agneda
(m 1228) - diga di Scais (m 1494) - baite Cornascio
(m 1599) - ex villaggio delle miniere di uranio
(m 1936) - bocchetta della Foppa (m 2560) - cima
Soliva (m 2710).
Tempo previsto: 5 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: attrezzatura
da
scialpinismo o ciaspole. Kit antivalanga. Utili ramponi
e piccozza per l'ultimo tratto.
Difficoltà/dislivello
3 su 6 / 1670 m.
in salita:
Dettagli: BSA. Salita su pendii a tratti ripidi da
affrontarsi solo con neve perfettamente assestata.
Brevi passi di arrampicata per raggiungere la vetta
(I/II).
Mappe: Kompass n.104 - Foppolo - Valle Seriana,
1:50000
10 aprile 2010
C'è chi dice che la fortuna aiuta gli
audaci, ma credo che quando si va a
fare scialpinismo è meglio non prendersi rischi con l'auto sulla strada
ghiacciata.
Così abbandono il Panda nello
spiazzo che precede il ponticello sul
torrente Caronno, 150 metri oltre
la centrale di Vedello (m 1000 ca),
costruita negli anni '30 alla confluenza
tra la val Venina e la val Caronno. È
curioso il fatto che qui vengano turbinate, oltre a quelle dei monti di Piateda, anche le acque provenienti dal
lontano lago del Publino.
Attraversato il ponte, dopo una
manciata di tornanti (circa 1,5 km),
sono ad Agneda (m 1228, ore 0:30).
Oltre la chiesa cinquecentesca di
Sant'Agostino, la vista si apre sulla
piana di Agneda, baciata dai primi
raggi di sole, e sulle spettacolari cime
che sovrastano il lago di Scais.
Mi fermo accanto a una piccola
pozza all'inizio della piana a guardare
le forme perfette di queste montagne
che hanno affascinato generazioni
di alpinisti, ma che sicuramente terrorizzano chi con le rocce ha poca
confidenza.
72
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710)
73
Escursionismo
Alpi Orobie
La chiesa di Sant'Agostino ad Agneda (3 marzo 2011, foto Beno). Sul portale è indicata la data 1515 DIE 16 MADII (16 maggio 1525). Al suo interno
si trova un affresco del tardo Valorsa, come confermato dalla scritta ai piedi della ricca cornice ad intagli dorati. All'esterno della chiesa giaceva il
cimitero, bonificato solo negli anni '70 del secolo scorso. Il piccolo borgo di Agneda, ora abitato solo d'estate, conobbe la sua massima espansione
demografica negli anni '30, in concomitanza con la costruzione della diga di Scais.
Q
uello più a sx è il Medasc con
le sue 7 ardite cime. La lancia all'estremità NNO (sx) è quotata
2510 ed è il Medasc propriamente
detto, l'enorme montagna che sovrasta i pascoli di Caronno. Poi la dorsale
corre verso SSE fino a raggiungere la
poco appariscente vetta principale
(m 2647). A dx del Medasc è la poco
visitata valle del Mottolone, col suo
ghiacciaietto. Questa conca è sospesa
sopra la val Caronno e da essa è separata da una alta fascia rocciosa. La dx
orografica della valle del Mottolone è
delimitata dalla cresta NO della cima
Soliva. Sulla dorsale spiccano l'avancorpo quotato 2496, localmente chiamato Mottolone Biot, poichè spoglio
di alberi, e "l'elegante cono boscoso"1
del Mottolone Vestito. A dx della cima
Soliva, sulla linea orografica principale2, oltre la bocchetta della Foppa,
1 - Alfredo Corti in Guida dei Monti d'Italia. Alpi
Orobie, CAI-TCI, Milano 1936.
2 - Questa cresta separa la valle di Vedello dalla
valle di Fiumenero.
Medasc, Soliva e Cavrin dalla piana di
Agneda (18 febbraio 2012, foto Beno 74
Le Montagne Divertenti www.clickalps.com).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti si trova la rocciosa e arrotondata quota
2647 che Antonio Boscacci3 ha battezzato pizzo Cavrin Est. Da qui si stacca
una diramazione secondaria (NO),
che, dopo una profonda depressione,
giunge al pizzo Cavrin (m 2547), la
massiccia e slanciata torre rocciosa
all'estrema dx del quadro che sto
ammirando.
Da altri punti della piana è anche
possibile vedere il pizzo Gro (m 2653),
il più a S (dx) di tutti. Ha le falde
molto più ampie del pizzo Cavrin ed
è inconfondibile visto che la cima è
costituita da un monolita rettangolare.
inito il mio ripasso di toponomastica, mi spingo verso SE
attraversando tutta la piana e scorro
tutti i segni dell'antropizzazione: dalla
roulotte trasformata in finta baita in
sasso, alla bella staccionata, al campo
di calcio sulla sx, all'area di pic-nic tra
gli abeti. Poi la rotabile inizia a pren-
F
3 - Antonio Boscacci, Orobie Valtellinesi. Un parco
naturale per lo sci alpinismo, Edizioni Albatros,
Milano 1991.
der quota. Rimangono sullo sfondo
solo la Soliva e il Medasc, infine il solo
Medasc. Dopo una piccola ansa, sono
ai piedi della cascata dove si deve quasi
sempre attraversare la grande valanga
scesa dalle pendici della Motta di
Scais.
La strada si fa ripida e tortuosa.
La piana e Agneda si allontanano,
mentre all'orizzonte si nota il monte
Disgrazia che luccica. Ignoro le indicazioni per il rifugio Mambretti
all'altezza del ponte della Padella,
passerella in cemento e ferro4 sospesa
sopra delle bellissime marmitte dei
giganti, e continuo lungo la carreggiabile fino al limite meridionale
del muraglione della diga di Scais5
(m 1494, ore 1).
Il lago è ancora ghiacciato, ma la
crosta è stata frantumata dai continui
cambi di livello del bacino. A NE si
4 - Ha sostituito l'antico e caratteristico ponte in
legno.
5 - Costruita nella seconda metà degli anni '30,
con le sue acque ha sommerso il villaggio di Scais.
Cima Soliva (m 2710)
75
Escursionismo
Alpi Orobie
Cima Soliva
(2710)
Pizzo Cavrin Est
(2647)
Mottolone Biot
(2496)
Pizzo Gro
(2653)
Pizzo Cavrin
(2547)
Bocchetta della
Foppa
(2560)
villaggio delle
miniere di uranio
(1936)
arrivo funicolare
staglia orgogliosa contro il cielo la
testata della val Caronno con il pizzo
Scotes, la cima di Caronno, la punta di
Scais e le altre vette minori.
Costeggio il lago da SO lungo la
strada 6, poi mi allontano dal lago (dx)
ed entro nella valle di Vedello, dove
una fatiscente struttura di metallo7 mi
dà il benvenuto. In cima alla valle c'è
l'impressionante parete N del pizzo del
Salto. La salita alla cima soliva si svolge
per la seconda delle valli laterali alla
mia sx8; si passa anche dalla prima, ma
solo superando un canale impervio e
sconsigliabile.
Procedendo (S) a mezza costa raggiungo le baite di Cornascio, quindi,
spostandomi a ridosso del letto del torrente, giungo all'altezza delle opere di
regimentazione idriche delle miniere.
Alcuni manufatti in cemento sono ben
visibili in alto a sx. Tra di loro spicca
il grande blocco che costituiva l'arrivo della funicolare. Lo prendo come
punto di riferimento e, appoggiandomi al tracciato della vecchia strada
di servizio, eccomi alla sua altezza
nella conca che ospitava il villaggio
delle miniere di uranio della valle
di Vedello (m 1936, ore 1:20). Qui
30 anni fa c'era un assembramento di
baracche con infermieria, dormitori,
mensa e uffici.
Attraversata la conca (E) ha inizio il
tratto più ripido e pericoloso dell'intera gita. Salgo a sx delle rocce basali
del pizzo Cavrin verso il settore alto
della valle compresa tra la cresta occidentale della cima Soliva e quella che
corre tra il pizzo Cavrin e la quota
2647. Le pendenze sono sostenute
fino a m 2500, poi con maggiore rilassatezza posso compiere le ultime inversioni per la bocchetta della Foppa
(m 2560, ore 1:40), valico di comuni6 - Le slavine cadute obbligano talvolta a dei traversi ripidi su neve ghiacciata.
7 - Era la partenza della funicolare per le miniere di
uranio della valle di Vedello. Le miniere furono
utilizzate per la ricerca del minerale da metà anni
'70 fino al 1985, quindi dismesse e abbandonate.
In estate nella conca a quota 1936 si riescono
tutt'ora a vedere i punti di ancoraggio delle
baracche. Per approfondimenti: "Le Montagne
Divertenti, n.2, autunno 2007".
8 - La sx guardando guardando il pizzo del Salto è
la dx orografica della valle di Vedello.
La costiera cima Soliva - pizzo Gro dalle
pendici della Motta di Scais (1 marzo 2011,
foto Beno).
76
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710)
77
Alpinismo
Alpi Orobie
Cima Soliva
(2710)
Pizzo di Scotes
(2978)
Cima di Caronno
(2945)
Bocch. di
Caronno
Punta di Scais
(3039)
Pizzo di Redorta
(3039)
Panorama dal pizzo Cavrin Est verso la cima Soliva e il gruppo Scais-Redorta. Indicati i tracciati possibili di salita alla cima Soliva dalla bocchetta
della Foppa (22 marzo 2009, foto Beno). Sotto: dalla vetta della cima Soliva guardando verso S (24 marzo 2011, foto Roberto Ganassa).
Pizzo Poris
(2712)
Pizzo del Diavolo di Tenda
(2914)
Diavolino
(2810)
Pizzo dell'Omo
(m 2773)
cazione tra la valle di Vedello e la valle
di Fiumenero.
Piego a sx (NE) e rimonto con gli
sci la dorsale9 fino alle roccette terminali. Con facile arrampicata (I-II)
eccomi accanto agli altissimi ometti
che addobbano la vetta10 (cima Soliva,
m 2710, ore 0:20). A S, oltre la bocchetta della Foppa, c'è il pizzo Cavrin
Est (m 2647), da questo versante davvero inquietante: "scende verso oriente
con alcune decine di metri di roccia
selvaggia che devono offrire gravi difficoltà di arrampicata"11. Tutt'attorno
montagne a perdita d'occhio. Metto a
fatica una pietra in cima ad uno degli
ometti. È brutto esser bassi!
Sperando non mi caschi in testa il
masso che ho giusto faticosamente
posizionato, mi sdraio accanto al gendarme. Coccolato dal tepore della luce
e dal silenzio, assisto il sole che lentamente attraversa il cielo.
Solo quando il fondovalle è già
tutto in ombra, mi decido a ripartire
per godermi la solita fantastica discesa
dalla cima Soliva.
9 - È un tratto molto ripido che può convenire
affrontare senza sci e con l'ausilio dei ramponi.
10 - Si può raggiungere la vetta con minori
difficoltà aggirandone il testone sommitale a dx
fino all'innesto della cresta che va al Medasc. Da
qui un canalino (I-II) porta sulla cima.
11 - Alfredo Corti in Guida dei Monti d'Italia. Alpi
Orobie, CAI-TCI, Milano 1936.
78
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710)
79
Dov'è l'alpe
Escursionismo
Sparavera?
Beno
è oltre il bosco
degli allberi inclinati
è oltre le placconate
è oltre il canyon
dello Scarione
è oltre l'antro
di Monte
L'antro sopra Monte (28 settembre 2011,
foto Beno - www.clickalps.com).
80
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
è molto lontana
Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera
81
Escursionismo
Valchiavenna
uardando le mappe si
G
trovano segnati dei luoghi
remoti, così remoti da rendere
Pizzo di Prata
(2727)
impensabile che l'uomo possa
esserci vissuto e lì essersi
dedicato a una quasivoglia attività.
Eppure le casette disegnate sulla
carta certificano l'inspiegabile
antropizzazione.
Consideriamo la Valchiavenna
e la sua montagna simbolo, il
pizzo di Prata. Il suo versante S è
un contorcersi di canyon, pareti di
roccia, boschi pensili: un luogo a
dir poco inospitale. Eppure lassù è
indicata "alpe Sparavera (m 1770)".
Sella di Sparavera
(1810)
Motta dell'Orso
(758)
Monte
(m 1002)
Malaguardia
(277)
Il versante S del pizzo di Prata da Santa Teresa sopra Samolaco (3 novembre 2010, foto Beno).
Il lavatoio in via Macolini a Malaguardia, frazione di San Cassiano (14 gennaio 2012, foto Beno).
Bellezza
Partenza: San Cassiano, frazione Malaguardia,
lavatoio in via Macolini (m 277).
Itinerario
Fatica
Pericolosità
automobilistico: da Colico si segue
la SS36 dello Spluga in direzione Chiavenna fino a San
Cassiano. Oltre il centro del paese si svolta a dx in via
Malaguardia. Dopo 400 metri si prende a dx in via
Macolini e la si segue fino al lavatoio ubicato 80 metri
prima del suo termine (possibilità di parcheggio).
Dalla rotonda di Dubino sono circa 17 km.
Itinerario sintetico: Malaguardia (m 277) Motta dell’Orso (m 758) - Monte (m 1002) - val
Scarione - sella di Sparavera (m 1810 ca.) - alpe
Sparavera (m 1770).
Tempo
82
previsto: 4 ore e mezza per la salita.
Le Montagne Divertenti Attrezzatura
richiesta:
scarponi, uno
spezzone di corda (20 metri), imbraco, un paio di
cordini e moschettoni.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / oltre 1600 m.
Dettagli: EE/ alpinistica facile. Sentiero, benchè
bollato, non sempre chiaro. Ambiente selvaggio e
isolato, passaggi esposti su placche friabili fino al
II+. Corde fisse e piastrine non affidabili.
Da non sottovalutare e ASSOLUTAMENTE DA
EVITARE con neve in bassa quota.
Mappe consigliate:
Kompass n. 92, Valchiavenna - Val Bregaglia,
1:50000 (anche se poco precisa).
Primavera 2012
L'ho vista in lontananza dai pressi
della cima del pizzo di Prata nel 2006
e ho pensato fosse un cumulo di baite
diroccate, null'altro poteva esserci
sospeso a mezz'aria fra il fondovalle e il
cielo, in un luogo che anche le anime
dei confinati troverebbero troppo fuori
dal mondo, isolato dal resto della Valchiavenna da 1600 metri di dislivello su
sentieri che, chiedendo in giro, in pochi
hanno percorso.
Che ci andava a fare la gente? Cosa
rimane di quelle case?
Le risposte vaghe dei miei informatori
mi invogliano a cercare una via per arrivarci e sciogliere ogni dubbio.
La Kompass con fantasia e tratto
robusto, tipico delle mete classiche
dell'escursionismo, segnala anche due
sentieri: uno che sale da Porettina,
frazione di San Cassiano e uno da
Malaguardia, ma nessuna delle persone che avevo intervistato prima della
gita mi aveva detto di averli percorsi
interamente.
Pascal, pure lui intenzionato a raggiungere Sparavera, aveva già tentato
la salita da Porettina, ma dice di aver
incontrato i peggiori rovi in commercio
e perciò desistito.
Così in una calda giornata d'autunno, spinti da una curiosità comune,
arriviamo in moto a Malaguardia
(m 277), per la precisione al lavatoio in
via Macolini.
Pascal conosce bene i valloni di questo versante, visto che vi ha aperto dei
tracciati di canyoning. Mi dice che nelle
gole del torrente Scarione c'è la cascata
più alta della nostra provincia, un salto
di 120 metri.
- "E Sparavera l'hai mai vista?"
Le Montagne Divertenti Ruderi a Motta dell'Orso (14 gennaio 2012, foto Beno).
Dal belvedere sopra Motta dell'Orso si vede il Corno di Piodalancia (14 gennaio 2012, foto Beno).
L'alpe Sparavera
83
Escursionismo
Valchiavenna
- "No, penso sia un cumulo di macerie abbandonate."
La strada asfaltata termina nei pressi di una villetta e diviene
un tratturo che si inoltra nelle selve.
Un signore è lì a far legna e ci chiede dove andiamo.
"È molto lontana, io non ci sono mai salito, ma dicono che
è molto lontana", aggiunge.
Tra le fronde degli alberi si scorge in alto la sella a NE di
Motta dell'Orso. Benché il sentiero sia bollato, il fogliame, la
distanza dei segnali e le numerose false tracce portano a perdere la via molto facilmente. Puntiamo a quella sella, sicuri
che così non ci si possa smarrire. Sentiero o no, la direzione
è quella! Ci muoviamo nel pesante letto di foglie fruscianti,
goffi come i bagnanti che camminano nell'acqua bassa.
Il tracciato è poco ripido fino al piede del monte, al che
s'impenna e non concede più sconti ai polpacci.
Attraversata la Vallaccia ci inerpichiamo per le selve di
castagno abbandonate. Tra le fronde degli alberi si scoprono
scorci di Valchiavenna accarezzati dalla tiepida luce dell'alba.
Il sole ci abbaglia non appena calpestiamo il promontorio
della Motta dell’Orso (m 758, ore 1:30).
Si tratta di poche abitazioni di bella fattura, ma tutte in
rovina. Una scritta sgrammaticata ci indica che qui è il regno
delle capre. Nei pressi di un capitello, un cartello segnala la
statua della Madonna1, posta poco più in basso su un poggio
panoramico.
Saliamo il crinale verso ENE finché il sentiero, dopo un'ultima baita isolata, piega a dx (E). Siamo in un bosco unico:
tutti gli alberi sono inclinati verso valle, ma i loro tronchi non
sono curvi, bensì dritti come fusi. Una cosa mai vista altrove.
Il bosco degli alberi inclinati sopra Motta dell'Orso
(14 gennaio 2012, foto Beno).
1 - È chiaramente visibile anche dal fondovalle, in cima alla grande placconata
che sorregge Motta dell'Orso.
Oltre il bosco pianeggiamo in una zona perseguitata dalle
frane, poi al successivo poggio dobbiamo superare una pericolosa placconata attrezzata con del "filo interdentale"2.
Ancora verso NE ed ecco la sella che ci guida in valle Trebecca
(una volta punto di incontro con l’itinerario da Porettina, ora
impraticabile a causa degli infestanti).
Proseguiamo verso N e ci imbattiamo nel minuscolo nucleo
di Monte (m 1002, ore 0:40), un insieme di baite in pietra
crollate e bizzarri ricoveri posti sotto grandi massi.
Attorno non c'è nulla. Che ci venivan su a fare? Contando
le "unità immobiliari", si deduce che quassù ci stava molta
gente. Ora vi sono solo le capre che cercano di rubarmi la
merenda. A N, ai piedi della vicina cascata, c'è una sorta di
piccolo sbarramento per raccogliere l'acqua3.
oco sopra Monte c'è una pietraia. Il sentiero che l’attraversa è per un breve tratto lastricato e guida all'imbocco
di una alta cavità. Qui c'è un masso con incisi dei nomi e
alcune date. Per terra c'è un tappeto di Golia di capra. Risaliti
ad un crinale (SE, m 1088), da cui si vede chiaramente la sella
di Sparavera, fiancheggiamo l'incassata e vertiginosa valle Scarione per la sua orografica dx e, superata una placca esposta e
pericolosa4, in breve scendiamo al torrente e lo attraversiamo.
Questa è la via bollata, ma ora che il sentiero non viene più
curato non può essere annoverata come escursionistica! Le
corde o i pioli artificiali son tutti marci e inaffidabili.
Sulla pietraia sopra Monte (28 settembre 2011, foto Beno).
P
2 - La Guida dei Monti d'Italia del Bonacossa definisce questo tratto"malagevole
sentierino da capre". Le funi di sicurezza con cui è attrezzata la parete sono
marce: non fateci affidamento!
3 - A Monte c'è una grossa pianta di tiglio che è inserita negli alberi monumentali della Provincia di Sondrio e a pochi metri dalla stessa c'è una sorgente di
acqua sempre presente sia in inverno che in estate anche con periodi di siccità
(fonte Giuseppe Cerfoglia, capostazione del Soccorso Alpino di Chiavenna).
4 - Il detrito fine che la ricopre la rende particolarmente insidiosa.
Masso inci
(28 settem so nella grotta sop
ra
bre 2011,
foto Beno Monte
).
Le placconate tra Motta dell'Orso e Monte
(14 gennaio 2012, foto Beno).
84
Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera si trova a NE della sella di Sparavera ed è
circondata da fitte abetaie (14 gennaio 2012, foto Beno).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera
85
Escursionismo
5 - La traccia si tiene sempre sul lato sx al di sotto
delle rocce.
6 - Con Nicola Giana sono salito a Sparavera il 14
gennaio 2012, trovando neve da Monte in avanti.
In queste condizioni il percorso si rivela faticoso e
complicato (non si trova il sentiero e si rischia di
volare sulle placconate). Una curiosità di questa
salita invernale è che abbiamo raggiunto la sella di
Sparavera all'alba, ed erano le 16:55. Nel
fondovalle erano già accesi i lampioni. Il sole è poi
tramontato alle 17, dopo una giornata di ben 5
minuti!
7 - La baita più vecchia è la prima a scendere dopo
la croce ed è datata 1884 (fonte Giuseppe Cerfoglia).
Pizzo di Prata
(2727)
Cima Lavina
(1775)
Corno di Piodalancia
(1862)
Sella di Sparavera
(1810)
Monte
(1002)
Motta dell'Orso
(758)
Disgrazia di Aldo Bonacossa (1936)
dice che quella che da San Cassiano
passa per l'alpe Sparavera ("discreto
ricovero e latte durante l'estate") è la via
più breve per guadagnarne la vetta da
questo versante! Beh, in fondo, sono
solo 2500 metri di dislivello, capra più
capra meno.
L'alpe Sparavera è inoltre collegata
alla val Codera con un sentiero alto8
8 - L'abbiamo percorso il 28 settembre 2011.
in certi punti è difficile da trovare, ma
molto suggestivo.
La discesa che consiglio si svolge per
la via di salita, anche se, prima di tornare a casa, dalla sella di Sparavera vale
la pena fare una deviazione verso SO
e, per cresta, raggiungere il panoramicissimo Corno di Piodalancia (l'IGM
riporta monte Motosche, m 1870, ore
0:15), dove oltre ai laghi e all'intero
fondovalle, non è raro vedere anche le
aquile.
La falegnameria dei versanti:
la gravità modella, l’acqua leviga
U
na caratteristica che ricorre
molto spesso nelle valli
affluenti della Valtellina e della val
Chiavenna è quella di essere intervallate tra di loro da versanti di forma
quasi triangolare. Un esempio è il versante O del pizzo di Prata che separa
la val Codera dalla val Schiesone.
Questo è a sua volta solcato dalla
Vallaccia, dalla val Trebecca, dalla
valle Lobbia dalla val Piaggiosa, a loro
volta separate da inserti di forma quasi
triangolare che corrispondono, nel
caso della val Trebecca, ai versanti O
del monte Motosche (Corno di Piodalancia su IGM) e della quota 1153.
A cosa è dovuta questa caratteristica? Per rispondere dobbiamo tor-
86
Le Montagne Divertenti nare indietro fino al Miocene (23-5
milioni di anni fa), periodo caratterizzato da intensi movimenti tra
le diverse aree geologiche dell’arco
alpino che hanno dato origine alle
grandi valli delle Alpi (Valtellina,
val Chiavenna, val Pusteria, ecc.). I
continui sfregamenti lungo le linee
di faglia, sepolte attualmente sotto
qualche centinaio di metri di depositi
di ogni tipo, generarono delle grosse
fratture orientate in modo obliquo o
quasi perpendicolare al solco vallivo
principale. Lungo queste fratture si
sono impostate le valli laterali alla val
Chiavenna e alla Valtellina. Il clima
sulle Alpi, ai tempi molto caldo e
umido, ha causato inoltre complessi
La via di salita per Sparavera ripresa da Gordona. L'alpeggio di Monte
non è visibile perché incassato nella valle Trebecca (20 febbraio 2012,
foto Roberto Lisignoli).
Inizia quindi un tratto ripidissimo e
davvero faticoso. Arranchiamo su una
vallecola5 che alterna bosco e pietraie.
La meta parrebbe vicina, ma purtroppo
non è così!
Nell'aria si diffonde il profumo
inconfondibile dell'origano selvatico
presente in grande quantità. Un ultimo
strappo mitigato da numerose risvolte
ci porta alla croce sulla sella di Sparavera. L’alpe Sparavera è pochi metri
più in basso (m 1785, ore 2)6.
Sorpresa: di quelle baite, che fino
a 10 minuti fa avremmo scommesso
essere dei miseri ruderi, tre sono ben
tenute e, anzi, una è stata ristrutturata
di recente e ha anche i pannelli solari!
Sugli stipiti delle altre sono incise date
che si attestano attorno al 19307.
Sopra le nostre teste, severo e imponente, c'è il pizzo di Prata. La Guida
dei monti d'Italia - Masino Bregaglia
Valchiavenna
Davide Gotti
fenomeni di alterazione delle rocce
superficiali con conseguente degradazione delle rocce per parecchi metri di
profondità. Queste masse alterate in
superficie hanno cominciato a colare
lentamente verso valle generando
una serie di contropendenze, trincee
e guglie, come si può chiaramente
vedere guardando il pizzo di Prata
dalle rive della Mera.
In queste aree il grado di fratturazione della roccia è molto alto così
che i torrenti possono asportare il
detrito dando origine alle forre, vale a
dire le gole e gli orridi che segnano la
parte terminale di ogni valle laterale
alla Valtellina, alla val Chiavenna e
alle loro valli affluenti.
Primavera 2012
Motta dell'Orso - Monte - Sparavera
Intervista a Giulia Rossotti di Sergio Scuffi
L
L'alpe Sparavera nel 2001 (foto archivio Giulia Rossotti).
a signora Giulia Rossotti, classe
1926, abita a Porrettina, frazione di San Cassiano.
Ricorda che il piccolo alpeggio di
Sparavera, sul quale saliva anche la sua
famiglia, era utilizzato come tale fino
ai primi anni dell’ultimo dopoguerra
(fu abbandonato attorno al 1950).
Nello stesso periodo la gente smise
anche di salire anche alla ben più
vicina Motta dell’Orso.
Le dimensioni dell’alpeggio, unite
alle difficoltà nel raggiungerlo, limitavano il suo utilizzo a poche bestie: in
pratica, oltre alla sua famiglia, Giulia
ricorda di aver visto su solamente una
anziana donna.
urante il periodo bellico,
D
Sparavera fu anche rifugio
per un gruppo di partigiani.
Giulia, che aveva fra loro due
fratelli, procurava il pane a
Somaggia e lo portava sulla
montagna. Fu proprio per
una soffiata di qualcuno
del luogo che i fascisti la
catturarono (settembre 1943)
alla Motta dell’Orso, portandola
a Chiavenna dove rimase
imprigionata per circa due mesi.
T
ornando alla frequentazione dei
pochi spazi sulle aspre pendici
del pizzo di Prata, Giulia riferisce che
suo padre saliva alla Motta dell’Orso1
con le capre in febbraio e marzo; conferma anche di aver sentito parlare
della coltivazione della vite in tale
località, come ancora testimoniano i
terrazzamenti nelle pendici sottostanti
l’abitato e una vecchia botte tuttora
visibile nella cantina di un rudere.
Quanto ai frequentatori, lei ricorda
due-tre famiglie (anche se il numero
di edifici fa pensare che in tempi antecedenti i proprietari fossero almeno
una mezza dozzina).
1 - Nota dell'autore: io sono cresciuto a Samolaco,
proprio di fronte al pizzo di Prata (“Pizzone” per noi).
Quanto alla Motta dell’Orso, ricordo che, quando
ci trovavamo nel “Piano” per i lavori di campagna,
la località rappresentava un po’ il nostro orologio:
ci insegnavano, infatti, a riconoscere il mezzogiorno
dall’arrivo del primo sole su una sporgenza della
roccia nel dirupo sottostante quella località.
Le Montagne Divertenti Il sentiero di accesso,
in pessime condizioni
fino a qualche anno fa,
è stato recentemenmte
ripristinato quando gli
“Amici di Padre Pio” di
San Cassiano, che hanno
collocato sul belvedere sottostante una statua della
Madonna, ben visibile dal
fondovalle.
T
).
to S. Scuffi
io 2012, fo
a
n
en
(g
6
192
otti, classe
Giulia Ross
ornando all’alpe Sparavera, i tempi e le fasi legati alla
sua utilizzazione erano i seguenti:
- verso maggio si saliva lungo il
sentiero nel vallone, completamente
coperto da “gande”, sopra la Porrettina (val Scarióon) fino al piccolo
nucleo di Monte (non visibile dal
basso);
- qui si sostava2 per non più di ottodieci giorni, sfruttando i pochi spazi
per nutrire le bestie; nel frattempo si
risaliva l’aspro sentiero verso Sparavera provvedendo a ripristinarlo, ripulendolo in particolare dalle numerose
pietre cadute dalla montagna;
- ai primi di giungo si raggiungeva
l’alpeggio con poche mucche, molte
capre e un buon numero di maiali.
2 - Tra i cognomi incisi su un masso nei pressi di
Monte si legge anche quello della signora:
"Rossotti" (vedi foto pag. 85).
F
ra i ricordi della signora c’è
anche quello del Sass scrivüü:
una pietra recante delle incisioni
(forse una data) raggiungibile lungo
un sentiero che si allontanava dalla
baite in direzione N, attraverso il
bosco e fino a un punto abbastanza
panoramico.
Ora qualcuna delle poche baite (tra
cui quella appartenente all’intervistata) è stata ristrutturata o comunque
viene frequentata e sottoposta alle
necessarie opere di manutenzione. Le
altre sono cadute.
a signora qualche volta va su
con l’elicottero; il sentiero è
percorso da pochi escursionisti, dai
pastori in cerca delle bestie (specialmente capre) e da alcuni cacciatori.
L
L'alpe Sparavera
87
Dagua
in una valle remota della valmalenco
il tempo trent'anni fa si è fermato
Luciano Bruseghini
L'arrivo a Dagua. In alto a sx il monte
Palino e a dx il monte Foppa. La val Dagua
è incassata tra le pendici di queste due
montagne e attraversarla all'altezza di
Dagua è impresa non da poco (16 febbraio
2011, foto Beno - www.clickalps.com).
88
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Dagua
89
Escursionismo
Valmalenco
al Dagua, vualùn di Dàag: ai più questo nome non dice niente, ma in Valmalenco è molto
V
noto. Si tratta di un vallone che scende lungo il versante orografico sinistro della valle del
Mallero, proprio di fronte a Torre.
a valle è chiusa nella parte superiore dai monti Palino (m 2686) e Foppa (m 2463) ed è
L
solcata da un piccolo ruscello, il Frisigaro. Alimentato principalmente dalle nevicate invernali,
fornisce acqua a tutti gli alpeggi della zona; ma in caso di piogge abbondanti, può diventare
Monte Palino
(2686)
Bocchetta del
Palino
Gianni
(m 1396)
Dagua (Fojani)
(1230)
Melirolo
(843)
L’
DAGUA
VALLE DI
Scaia
(930)
Cristini
(852)
La val Dagua e il sentiero che da Cristini porta a Gianni passando per Dagua. Ripresa effettuata da Ciappanico (16 febbraio 2012, foto L. Bruseghini).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
90
Partenza: Cristini (Torre di Santa Maria) (m 850).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Torre di
Santa Maria (10 km) proseguire lungo la strada per
Caspoggio e Lanzada. Dopo circa un chilometro
svoltare a dx e raggiungere la vicina frazione Cristini,
dove termina la strada. I parcheggi sono tutti privati,
l'unica zona pubblica si trova proprio a ridosso
dell'inizio del sentiero.
Itinerario
sintetico: Cristini (m 850) - Scaia
(m 930) - Dagua (m 1227-1305) - Gianni (m 1396) -
Le Montagne Divertenti pericoloso, poiché trascina con impeto verso il basso tutto ciò che trova lungo il suo corso.
La parte superiore della vallata, molto impervia, è ricca di pascoli di alta quota e di fittissimi
boschi di conifere, dove abbondano funghi e selvaggina. Ma man mano che ci si abbassa,
numerosi prati e nuclei abitativi appaiono tra gli alberi, anche se la pendenza del terreno non varia
di molto! Perciò sono stati costruiti incredibili muretti a secco per sostenere i piccoli terrazzamenti
dove cresceva l’erba o venivano piantati gli ortaggi e i cerali, tra cui la segale, utilizzata per il
pane nero.
Su questa sponda della montagna vi erano i "giardini pensili" della Valmalenco, uno dei luoghi
più belli, più fertili e coltivati in quei tempi in cui anche i pendii da Primolo a Chiesa e da Ponte
a Lanzada erano magnifici campi dorati e non semplicemente un alternarsi di sterpaglie, boschi
incolti e cemento.
Il versante è disseminato di micro contrade con architetture talvolta imponenti. Una volta la
gente viveva lassù tutto l'anno, tant'è che nella principale, Dagua, esisteva una scuola elementare.
Al grido della modernità è giunto l'abbandono e le famiglie, come le frane, sono rotolate a valle.
Nulla di nuovo è stato costruito e ciò che ci attende è uno spaccato della vita contadina di mezzo
secolo fa, cristallizzato nel tempo grazie all'abilità con cui sono stati eretti le case e i muretti.
Campei (m 1550) - Motta di Caspoggio (m 1454) Prabello (m 1285) - Sant'Antonio (m 1355) - Caspoggio
(m 1050) - rientro con autobus di linea.
Tempo previsto: 4 ore.
Attrezzatura richiesta: scarponi utili.
Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 600 m.
Dettagli: E. Sentieri facili e ben segnalati.
Mappe consigliate:
Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000;
Kompass n. 93, Bernina, 1:50000.
Primavera 2012
itinerario alla scoperta della val
Dagua, davvero interessante dal
punto di vista etnografico e naturalistico, inizia da Cristini nel comune di
Torre di Santa Maria.
Prima di iniziare il trekking, è interessante una breve visita all’antico
nucleo di Melirolo che sorge a N
dell’abitato, a soli 5 minuti di distanza
dal parcheggio. Nel medioevo fu
un borgo di notevole importanza in
quanto situato sulla carrareccia che da
Sondrio saliva al castello di Caspoggio per poi proseguire verso il passo
del Muretto. La principale attrattiva
è data dalle tre costruzioni nella parte
inferiore, tra cui spicca quella centrale:
un’antica torre di controllo a segnalazione ottica in collegamento visivo
con il castello di Caspoggio e la torre
di cà di Risc presso la frazione di Sant'
Anna sempre nel comune di Torre.
Oggi è utilizzata come stalla, ma forse
questo ha permesso che giungesse
praticamente intatta ai giorni nostri.
Nei dintorni, per i golosi di funghi,
a primavera si possono trovare delle
squisite morchelle o spugnole, ma non
ditelo in giro: potrebbero fregarvele
tutte!
niziamo la salita da Cristini lungo
la val Dagua per il sentiero bollato
n. 357. Un cartello segnala che Dagua
dista 1 ora e 10 minuti, Gianni 1 ora
e 40, mentre la Motta di Caspoggio
viene data a 2 ore e 10 minuti.
I
Le Montagne Divertenti Dagua
91
Escursionismo
Valmalenco
U
na passerella in legno, delle
belle case tipiche sulla sx, e il
percorso si fa subito abbastanza ripido
lungo la splendida mulattiera che con
diversi tornanti nel bosco guadagna
quota facilmente. In breve tempo
raggiungiamo il piccolo agglomerato
di Scaia (m 930, ore 0:20) quasi
completamente abbandonato, dove
si notano vecchie costruzioni, alcune
delle quali con dei grandi ballatoi in
legno che sembra debbano crollare da
un momento all’altro. Al centro delle
case c'è una piccola fontana: è meglio
fare scorta d’acqua perché da qui in
poi sarà difficile trovarne dell’altra e
su questa sponda il sole picchia forte!
Proseguendo, consigliati dai bolli
bianco-rossi, ignoriamo una deviazione sulla dx che condurrebbe al centro della valle.
Procediamo costeggiando altri
ruderi immersi nel bosco che avanza.
Tralasciamo un’altra diramazione che
porta sempre sul versante opposto.
Man mano che ci alziamo, il panorama alle nostre spalle diventa di
ampio respiro: oltre alla val Torreggio,
nostra dirimpettaia, si ha un’ottima
vista sulle valli dei Giumellini e di Sassersa, nel comune di Chiesa e anche
le cime che delimitano la Valmalenco
verso O iniziano a far capolino.
Continuiamo ad inerpicarci tra il
fogliame fino a raggiungere un’altra
biforcazione, questa volta dotata di
cartello segnaletico: a sinistra si va
per una via diretta all’alpeggio dei
Gianni, a destra si raggiunge Dagua.
Noi prendiamo quest’ultima direzione
e in breve usciamo all'aperto. Iniziano
i pascoli inselvatichiti e si scorge il
nucleo principale della vallata: Dagua
(m 1230, ore 0:50), localmente chiamato Fojani. Si tratta di un paese con
numerose case addossate le une alle
altre. Alcune sono altissime e il senso
di verticalità si fa opprimente mentre si percorrono gli stretti vicoli che
permettono il passaggio delle persone
e degli animali1. Facendo trekking in
Valtellina, capita spesso di incontrare
degli antichi nuclei abitativi, ormai
abbandonati, però questo di Dagua
ha delle particolarità che mancano
altrove: l’elettricità, l’illuminazione
1 - Attenzione: sostare il meno possibile. I tetti
sono talvolta pericolanti e le piode giganti che li
ricoprono potrebbero cadere.
92
Le Montagne Divertenti sua attività nei primi anni ottanta del
secolo scorso2.
arebbe auspicabile un coraggioso
quanto doveroso intervento
di bonifica per evitare che questo
gioiello, meta di una passeggiata che
può stupire qualsiasi turista, crolli.
ltre la scuola il sentiero
riprende a salire nel bosco di
latifoglie e, superata una vallecola, si
raggiunge la chiesetta che sorge solitaria in un breve spiazzo (m 1380, ore
0:15). E’ dedicata alla Madonna di
Fatima e c'è una data appena sotto la
campanella: 1955. Probabilmente si
tratta della data del restauro perché è
impensabile che la gente di un tempo
non costruisse un luogo di preghiera
nei pressi delle abitazioni. La struttura
è un po’ rovinata e si comprende come
da diverso tempo non venga più utilizzata per le funzioni religiose.
Il sentiero prosegue attraversando
prima un boschetto e poi dei pascoli
fino a giungere al nucleo abitativo dei
Gianni (m 1396, ore 0:15). Sorto in
una zona pianeggiante, è costituito da
casupole “datate” e da altre di recente
realizzo sfruttate nel periodo estivo.
Fino a pochi anni fa vi trascorreva
gran parte dell’anno il famoso “Paulin”
di Torre di Santa Maria con le proprie
mucche; produceva dei formaggi squisiti. Purtroppo l’età e gli acciacchi lo
hanno costretto a cessare l’attività, con
rammarico dei suoi clienti.
Appena entrati nel complesso non
si può fare a meno di notare un’antica
casa con la volta tonda sopra la porta
di accesso, una vera rarità, per non
dire unicità, nelle costruzioni di montagna in Valmalenco.
Vicino agli edifici più a N c'è una
grande fontana che permette di dissetarsi; un tempo serviva sia come
lavatoio che come abbeveratoio per le
bestie. Sbirciando dalle finestre e dalle
porte semiaperte si possono cogliere
attimi di vita passata: i paiazz3 rosicchiati dai topi, vecchi peduli abbandonati sul pavimento, strumenti agricoli
per lo sfalcio e il taglio della legna e
S
O
Melirolo è il piccolo nucleo a NO di Cristini (30 ottobre 2011, foto Luciano Bruseghini).
Scaia. Un'abitazione tipica con ballatoio in legno (30 ottobre 2011, foto Luciano Bruseghini).
Il nucleo rurale, al contrario dei minori circostanti che versano in pessime condizioni, viene
ancora in parte utilizzato.
pubblica e un posto telefonico all’interno di un ambiente, che poteva
essere un’osteria o una taverna!
Le costruzioni sono quasi tutte di
pietra con il tetto in legno ricoperto
dalle caratteristiche piode della Valmalenco; su parecchi di essi c'è anche uno
spesso strato di muschio verde ad indicare ulteriormente lo stato di abban-
dono del paese. La maggior parte delle
case è ancora in ottimo stato poichè
erano state edificate veramente bene,
nonostante il luogo impervio e la difficoltà di reperire il materiale, come
la sabbia e il cemento. Vi sono anche
alcuni esempi di costruzioni con i
tronchi incastrati ad angolo, rarissime
in Valmalenco.
Primavera 2012
Su una delle altissime case di Dagua (Fojani) rimane ancora l'insegna del punto pubblico di
chiamata. Alcuni edifici sono ben conservati e abitati nei mesi estivi, come dimostrano le recenti
opere di manutenzione e le parabole installate su alcune terrazze (16 febbraio 2012, foto Beno).
Il tempo sembra essersi
fermato quarant’anni fa quando
questo piccolo borgo di
montagna brulicava di gente che
sgobbava dalla mattina alla sera
nei campi per poter coltivare il
necessario alla sopravvivenza
e provvedere al bestiame, fonte
principale di cibo.
Le Montagne Divertenti E
di gente ce n’era tanta perché vi
era pure una scuola elementare
che accoglieva i bambini di Dagua e di
tutti i nuclei vicini. Tale edificio lo si
nota quasi subito, in quanto è l’unico
in stile anni sessanta. È intonacato
e si trova nella parte alta dell’abitato.
Con l’abbandono progressivo di queste contrade anche la scuola cessò la
2 - Un signore, originario di Dagua e lassù
incontrato in una splendida giornata di sole, ci ha
detto a malincuore indicando con la mano Torre
Santa Maria - già in ombra e morsa del freddo di
febbraio - : "Siamo scesi tutti giù là. E qualcuno ha
anche il coraggio di dire che è più bello di quassù:
non c'è il sole e van tutti di fretta! La vita moderna
rende proprio stupidi."
3 - Materassi fatti con le foglie di granturco.
Dagua
93
Rubriche
Valmalenco
qualche tolla di olio scolorita dal trascorrere del tempo!
Zigzagando tra le costruzioni, lungo
il sentiero bollato di bianco e rosso,
raggiungiamo la parte alta della frazione dove la piccola traccia nei prati
si trasforma in un ampio tratturo
utilizzato dai mezzi agricoli. In breve
si arriva ad un poggio panoramico:
qui la carrareccia si innesta in una
pista forestale. La vista sulle alte cime
della valle si squarcia: appare verso N
il trio Entova-Malenco-Tremoggia
che segnano il confine con la Svizzera
e anche la vetta del Disgrazia a O
occhieggia sopra il pizzo Cassandra.
Prendendo verso dx (S) si raggiunge
Campei (m 1550, ore 0:20): circondato da ampi pascoli, è costituito
da un piccolo nucleo di case in cui
vivono alcune famiglie dalla primavera
all’autunno. Questo è l’alpeggio più
sfruttato di tutta la zona, forse per la
comodità di accesso, grazie alla pista
forestale che sale da Caspoggio.
Il nome “Campei” molto probabilmente deriva dal termine “Campelli”,
che stava ad indicare una parte di territorio, all’interno delle Quadre, di proprietà di una o più famiglie e che solo
da esse poteva essere sfruttato. Infatti,
se ci guardiamo bene intorno, notiamo
un grande prato circolare contenuto da
muretti a secco ormai cadenti, lavorato
nei tempi passati da una precisa famiglia di Caspoggio, pur trovandosi nel
territorio di Torre di Santa Maria.
eguendo il tratturo che si snoda
nel bosco in direzione S, in breve
si raggiunge Pra’ Mosin (m 1600,
ore 0:15), il più alto insediamento
della Val Dagua. Un muretto sgangherato circonda i prati e le diverse
baite e stalle ormai cadenti e delimita
il bosco. Fortunatamente di recente è
stata ristrutturata una vecchia stalla
che si è trasformata in una moderna
baita, sempre in legno e pietra, ma che
è forse un segnale di ripresa della zona!
La salita è finita; ritornati a Campei
(m 1550, ore 0:10), si inforca la pista
forestale che scende all’alpe Motta
di Caspoggio (m 1450, ore 0:15).
Proseguendo lungo il tratturo che
taglia diagonalmente l’alpeggio si
giunge all’imbocco della stradina per
Sant' Antonio. È il famoso sentiero del
“Lac’”, realizzato intorno al 1959 , in
concomitanza con lo sviluppo turistico
Gianni: strano gioco prospettico tra le case della contrada. Non distante dalla pista carrozzabile,
viene sfruttata per la villeggiatura nei mesi estivi. Ciò nonostante molte case sono in rovina
(16 febbraio 2012, foto Beno).
S
94
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti La signora Cesarina ci ha raccontato che, dopo aver lavorato fino alla pensione presso il
cotonificio Fossati di Sondrio, ora vive tutto l'anno a Campei curando i suoi animali: 10 pecore,
4 asini, una mucca e un vitello: "Štu tropp bégn che!" (16 febbraio 2012, foto Matteo Gianatti).
del paese, allo scopo di trasportare il
latte munto alla Motta fino al centro
di raccolta di Sant' Antonio, da dove
in seggiovia veniva inviato in paese,
alla latteria sociale che provvedeva a
rivenderlo o trasformarlo in ottimi
prodotti caseari. Ristrutturato recentemente dalla protezione civile, permette
di compiere un lungo traverso panoramico in tutta sicurezza; è allietato da
piccole sculture in legno realizzate da
volontari, per la gioia dei bambini che
lo percorrono.
Una volta raggiunto Sant' Antonio
(m 1355, ore 0:30), si scarpina fino a
Caspoggio (m 1050, ore 0:30), utilizzando uno dei numerosi tracciati che
scendono a valle. Dal centro del paese,
con il bus di linea si ritorna a Torre di
Santa Maria in venti minuti.
Dagua
95
Escursionismo
Valmalenco
Frammenti di
Illuminazione pubblica a Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini).
96
Divertenti
L. Bruseghini).
La scuolaLe
di Montagne
Dagua 30 ottobre
2011, foto
"Scale mobili" nei vicoli di Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini).
Primavera 2012
La chiesa di Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini).
val Dagua
All'imbocco della contrada a Dagua (30 ottobre 2011, foto Bruseghini).
Le Montagne
Divertenti
Bruseghini).
Gianni
(30 ottobre
2011, foto L.
L'interno di una abitazione a Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini).
Eliana e Nemo Canetta
Dagua
97
L'interno di una abitazione ai Gianni (30 ottobre 2011,
foto L. Bruseghini).
Valmalenco
Approfondimenti
M
i sono iscritto al CAI da
ragazzo, nel 1963, anno del
centenario dell’associazione. Ricordo
ancora come la sede della Sezione di
Milano mi incutesse soggezione: erano
altri tempi e noi ragazzini appassionati
di passi e vette entravamo in quel sancta sanctorum del grande alpinismo con
malcelata trepidazione. Già allora ero
maniaco di libri e quindi, profittando
degli sconti ai soci, mi precipitai ad
acquistare qualche tomo della mitica
Guida dei Monti d’Italia, ai tempi
quasi unica in italiano sulle Alpi e
lungi dal completamento.
Tra i primi, il volume Bernina di Silvio Saglio, noto guidista negli anni del
secondo conflitto mondiale. Il testo,
pubblicato nel 1959, era moderno
e aggiornato; ciò che sfuggiva a noi,
neofiti dell’andar per monti, era che le
guide, per quando ben fatte e accurate,
non erano la Bibbia. Taluni itinerari,
spesso di interi massicci e specie se
periferici, risentivano della scarsa notorietà, delle poche notizie e non erano
visitati dagli autori con la stessa cura
di quelli principali. Chiunque abbia
scritto guide, come noi, sa bene ormai
queste cose. Ma allora noi ragazzi,
forse un poco ingenui, pensavamo che
ciascuna riga fosse Vangelo, leggevamo
e studiavamo i volumi per conoscere
ogni risvolto delle salite, delle traversate che sognavamo di intraprendere
nelle estati successive.
Facile immaginare allora il nostro
stupore quando consultammo l’itinerario della bocchetta del Palino,
l’intaglio che divide il monte Foppa
dal monte Palino; ideale salita per
accedere alla lunga costiera FoppaAcquanegra-Scalino, di cui vagheggiavamo la traversata integrale. La guida
Bernina, recitava testualmente “Da
Torre Santa Maria, seguendo la carrozzabile per Caspoggio si attraversa il
Torrente Mallero e, al di là del ponte, si
prende la mulattiera a destra che sale per
una costola alle case di Melirolo e Dagua
m 1305 (ore 1,30). Da quest’ultima
località per proseguire è conveniente
farsi accompagnare perché [ n.d.r. si
dovrebbe] risalire l’ertissima testata
della Val Dagua, aperta a ventaglio,
con una serie di valloncelli, superando
un dislivello di circa 1000 metri (ore 4
– 5,30)”.
Ora, a parte qualche confusione ini-
98
Le Montagne Divertenti Val Dagua (1975, foto Canetta). La donna ritratta è Maria Foianini, abitante a Dagua, morta
cadendo mentre scendeva in paese e ritrovata in un burrone solo 3 giorni dopo dai soccorritori.
Ritrovamento di utensili agricoli - un sciarscèl e un gerlo - in val Dagua (foto Canetta e Gianatti).
ziale (tra l’altro il villaggio di Dagua in
realtà si chiama Fojani ma le mappe
turistiche riportano sempre il nome
della valle), quel si dovrebbe era sin
troppo chiaro: il buon Silvio Saglio
NON aveva risalita la val Dagua, che
riteneva un territorio stile ich sunt leones. Non a torto; infatti per montare
alla bocchetta del Palino da Dagua è
di gran lunga preferibile guadagnare
Gianni, da lì raggiungere la Motta
di Caspoggio e Piazzo Cavalli (ormai
in territorio non più di Torre, ove si
trova la parte bassa della valle, ma di
Caspoggio). Da Piazzo un sentierino a
mezza costa, non a caso detto dei contrabbandieri, risistemato alla fine degli
anni ’70, porta alla bocchetta. Anzi
no, a dire il vero conduce alla selletta
tra le quote 2379 e 2421, sull’erbosa
ma ripida cresta tra Foppa e Palino.
La vera bocchetta, più a NO, sul versante di Dagua è infatti inaccessibile:
vi giunge un orrido vallone roccioso…
non sarebbe quindi bastato farsi
accompagnare (ma da chi?)!
M
a pure noi accantonammo i
progetti, perdendo così l’occasione per poter traversare una val
Dagua palpitante di vita e di attività.
Solo in parte però perché, quindici
anni più tardi, in occasione della realizzazione delle escursioni storico - etnografico - naturalistiche del museo della
Valmalenco, decidemmo di segnalare
l’itinerario Piazzo Cavalli - Motta di
Caspoggio-val Dagua - Torre che, oltre
Primavera 2012
La stanza al di là della passarella all'imbocco della contrada di Dagua (16 febbraio 2012, foto Beno).
tutto, collegava l’ultima tappa dell’Alta
Via con il suo punto di partenza
(Torre, giustappunto). Durante la
nostra prima visita facemmo in tempo
a incontrare gli ultimi abitanti permanenti ancora in posto, a vedere campi
di segale, pure se ormai inselvatichiti,
un insieme di terrazzamenti splendidamente mantenuti, grossi nuclei d’abitazioni dove noi credevamo essere solo
costruzioni di maggengo o poco più. Il
progresso stava arrivando: a Fojani vi
era il posto telefonico pubblico, né ci
meravigliammo più di tanto nel constatare come, poco distante, la scuola
elementare fosse in ottime condizioni.
Insomma uno spaccato di vita agricola malenca tra i meglio conservati e
più validi che si potessero immaginare.
Il tutto entusiasmò tanto noi etnografi
in erba che negli anni successivi vi portammo molti visitatori, ivi compresa
una numerosa comitiva di Accompagnatori Giovanili del CAI in visita
d’istruzione.
I
n successive ricerche scoprimmo
pure il lungo muro di confine tra i
comuni di Torre e di Caspoggio, muro
noto agli abitanti del luogo ma certo
sconosciuto a turisti o altri malenchi.
Eppure quel muretto basso e continuo, che dal pendio tra Prà Mosin
(m 1523, Caspoggio) e Gianni
(m 1396, Torre) si spinge verso SE in
direzione dei più incisi valloni di val
Dagua, ha provocato infinite dispute
e persino uno scontro armato tra
caspoggini e torraschi. La discussione
Le Montagne Divertenti ebbe inizio nel XVI secolo ma pare
avesse origini già precedenti: sia Torre
che Caspoggio vantavano infatti diritti
sui pascoli e i boschi della val Dagua1.
Oggi la cosa può apparire irrealistica
ma, se si tiene conto della fame di
terra di un tempo, si può comprendere come questa costa, ove i cereali
maturavano ben oltre i 1000 metri e
a cui seguono fitti e secolari boschi di
conifere, facesse gola sia a Torre che a
Caspoggio. Le discussioni si trascinarono con furti di bestiame e risse finché, agli inizi del XIX secolo, si giunse
a un vero e proprio scontro armato tra
gli abitanti dei due comuni, scontro in
cui si registrò la morte di un bellicoso
fornaio. Seguì poco meno di un altro
secolo, poi finalmente il tribunale di
Milano, nel 1901, sentenziò a favore di
Torre, condannando Caspoggio anche
al pagamento delle spese processuali.
I caspoggini comunque mantennero
– e mantengono ancora oggi - il possesso dei prati e dei boschi del versante
sud-occidentale del monte Palino, con
il controllo di larga parte del versante
orografico destro della val Dagua,
sopra i m 1500.
P
er saperne di più abbiamo
voluto fare una chiacchierata
con Gianfranco Cometti, classe 1964,
già consigliere comunale di Torre e
che, da sempre abitante a Zarri allo
1 - Presso il municipio di Caspoggio, è ancora
conservata una cartapecora, rovinatasi in parte
durante un incendio, che testimonia la contesa dei
due paesi per il possesso di quel territorio.
sbocco inferiore della valle, è certo
ben informato su come si viveva lassù
e su come e quando i villaggi furono
abbandonati. Cometti ci conferma i
racconti delle lotte con Caspoggio e
ricorda bene quando la costa di Dagua
“era d’oro per la segale matura”. Oggi
pare una leggenda, ma l’immagine
si accorda perfettamente con la fitta
popolazione che risiedeva lassù: si
dice sino a 500 persone, una fetta non
trascurabile non solo del comune di
Torre, ma dell’intera Valmalenco. Alla
segale si alternavano coltivazioni di
patate (a partire dall’800) e di fieno,
oltre a molti orti. Una tradizionale
rotazione che è provata dai ritrovamenti, oramai quasi archeologici, che
si possono fare in anditi abbandonati
dei villaggi: falcetti da cereali e caratteristiche zappe da patate. Gianfranco
ricorda bene come i suoi coscritti
avessero ancora frequentato le scuole
elementari nella pluriclasse di Dagua/
Fojani. Poi, nel giro di pochi anni,
tutto cambiò: gli abitanti scesero a
valle, andando a stabilirsi in altre, più
comode, frazioni di Torre, la scuola fu
chiusa, gradatamente tutti i villaggi si
trasformarono (solo in parte) in luoghi
ove trascorrere qualche fine settimana,
ove curare un orto ben soleggiato.
Ma pure tutto ciò ormai sta ancora
mutando: le vecchie case, lontane dalle
strade, sono scomode e ormai restano
chiuse per anni ed i villaggi lentamente
decadono, mentre le mulattiere e i
sentieri periodicamente devono essere
ripuliti da spini ed erbacce sempre più
invadenti.
P
er concludere Cometti ci narra
una leggenda su Dagua: luogo
malagevole, pur se adatto (ai tempi)
all’agricoltura, nessuno voleva andare
a stabilirsi lassù. Si finì per confinarvi
dei condannati che potevano viverci
liberi, a condizione di non uscire dai
confini (in larga parte dirupati e di
difficile transito) della valle. Questa
la ragione della presenza di cognomi
molto particolari e del tutto tipici solo
di val Dagua quali Foianini o Gianelli.
Chissà, ogni leggenda ha un fondo
di vero: solo oggi i discendenti di quegli esiliati sono tornati a valle, abbandonando per sempre la loro costa
“biondeggiante di messi”.
Dagua
99
Escursionismo
Bassa Valtellina
Il Culmine
di
Dazio
Fabio Pusterla
È risaputo che, in tempi lontani, la Valtellina era tutta ricoperta dai ghiacci.
I cambiamenti climatici li hanno disciolto e le acque si sono riversate nel
fiume Adda che, pian piano, ha disegnato il suo corso plasmando valli
e pianure. Ma questo grande fiume nei pressi di Ardenno ha trovato
un enorme blocco roccioso che, né la sua forza, né la sua pazienza,
hanno potuto sconfiggere. Così l'Adda si è fatta da parte lasciando
un'imponente collina di granito: il Culmine di Dazio.
I suoi versanti, ampiamente sfruttati nel passato, anche per
documentati scopi estrattivi di ferro e oro, oggi rimangono
piacevoli luoghi per compiere delle passeggiate con tutta
la famiglia.
Risalendo la Vallaccia Corta (17 aprile 2011, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
La mulattiera nei pressi di cà di Car ("Cara" su CTR) (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla - www.pusterlafabio.com).
100
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Il Culmine di Dazio (m 921)
101
Escursionismo
Bassa Valtellina
Cima del Desenigo
(2845)
Culmine di Dazio
(m 921)
Cima del Calvo Pizzo della Merdarola
(2735)
(2967)
NO
ASI
Caspano
M
VAL
Morbegno
Piazzalunga
Porcido
Talamona
Cima del Cavalcorto
(2763)
Biolo
Paniga
Desco
Ardenno
Masino
Panorama su bassa e media Valtellina dal Crap del Mesdì. Il Culmine di Dazio segna il confine tra i due settori (15 maggio 2011, foto Roberto Ganassa).
Il Culmine di Dazio (m 921) è il piccolo monte che separa la media
dalla bassa Valtellina, spostando il corso dell'asse principale della
valle. La sua sommità è costituita dal cosidetto "granito di Dazio",
un plutone antichissimo sviluppatosi da magma acido intruso in
una precedente struttura di rocce metamorfiche ancora prima che la
catena alpina fosse formata.
Bellezza
Fatica
Pericolosità
-
102
Partenza: Desco (m 296).
Itinerario
automobilistico:
usciti da
Morbegno, presa la SS 38 in direzione Tirano (E),
1 km dopo l'ultima rotonda, si esce sulla dx (via
Erbosta - segnalazioni per Paniga), quindi si prende
nuovamente a dx. Un sottopasso permette di
superare sia la SS 38, che la ferrovia e porta
all'inarcato ponte sull'Adda, dove un semaforo
regola il transito alternato dei veicoli. Al di là del
fiume si trova Paniga. All'incrocio si va a dx e si
prosegue verso E fino all'abitato di Desco (3,5 km
dalla rotonda di Morbegno). Si lascia l'auto nel
parcheggio nei pressi della chiesa.
Le Montagne Divertenti Itinerario sintetico: Desco (m 296) - Porcido
(m 592) - Culmine di Dazio (m 921) - Dazio (m 565)
- Porcido (m 592) - Desco (m 296).
Tempo previsto: 4 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: nessuna.
Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 625 m.
Dettagli: T. Passeggiata su sentieri segnalati
effettuabile tutto l'anno e senza alcun pericolo.
Mappa consigliata: Kompass n.92 Chiavenna-Val
Bregaglia 1:50.000
Si suggerisce di consultare le mappe CTR 1:10000
su www.cartografia.regione.lombardia.it
Primavera 2012
Pur essendo protagonisti della nostra
vita, siamo intrappolati ogni giorno
nelle reti della società moderna che,
spesso, ci oscurano i legami con la
natura. Per vedere il mondo in modo
più oggettivo talvolta basta salire più
in alto di dove solitamente ci si trova.
Una meta facile, alla portata di
tutti, che però ci permetta di dare uno
sguardo allo stato di salute della Valtellina, è il Culmine di Dazio.
Per rendere più interessante la scampagnata ci rechiamo a Desco (m 296),
un pittoresco borgo di 150 abitanti
arroccato sulle rocce che strapiombano
sul fiume Adda. Ne scriveva Ercole
Bassi1: "e più oltre, ai piedi della Colma
di Dazio, che pare ivi chiuda la valle,
il piccolo villaggio di Desco, sotto il
quale si è oggi praticata una galleria per
deviare la ferrovia dal nefasto conoide
del Tartano, che quasi ogni anno con le
1 - Ercole Bassi, La Valtellina. Guida illustrata,
grafische saspe, Milano 1927-28.
Le Montagne Divertenti sue piene rompeva la linea. Ivi la ferrovia passa con un bellissimo ponte in pietra dall'ardita arcata di 70 metri, opera
dell'onorata ingegneria italiana."
Raggiungiamo la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena;
costruita nel XVI secolo dagli abitanti
di Caspano, proprietari dei terreni circostanti. Apparteneva ufficialmente alla
parrocchia di Campovico, ma fu sempre
officiata dal parroco di Caspano finché,
nel 1922, dopo essere stata ricostruita è
divenuta parrocchia autonoma2.
Un tornante sinistrorso aggira la
chiesa, oltre cui troviamo parcheggio.
Seguiamo a piedi la strada asfaltata
verso O ma, al primo tornante, la
lasciamo per prendere il tratturo che
si addentra nei boschi. Un tornante a
dx e uno a sx ci portano in mezzo a
2 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia
di Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci,
Franco Gianasso, Massimo Mandelli, Banca
Popolare di Sondrio, Sondrio 2000.
due grossi para massi in calcestruzzo.
Di fronte a noi parte il sentiero che,
a saliscendi, si dirige verso O (segnavia bianco-rossi n° 26). Il versante è
tormentato dalle frane. Qui la caduta
di pietre è all'ordine del giorno, ma
siamo protetti dai numerosi crocefissi
che vegliano sulle rocce sopra le nostre
teste! È bizzarro pensare come Desco
sia stato costruito su un poggio che lo
difende dalla furia delle alluvioni che
flagellano il resto della valle, ma quello
scudo nulla può contro lo sgretolarsi
dei fianchi del Culmine. Anni fa dal
Crap de la Piöda, ad esempio, cadde
un enorme masso che distrusse la latteria sociale di Desco, ubicata proprio
sopra la galleria ferroviaria3.
Il percorso diventa più ripido con
una serie di tornantini che risalgono
un ombroso canalone. Trovata una
prima deviazione sulla sx la ignoriamo,
3 - Informazione tratta da: Massimo Dei Cas,
www.paesidivaltellina.it .
Il Culmine di Dazio (m 921)
103
Escursionismo
per prendere la successiva. Il sentiero,
passando sopra un muraglione a
secco, ci permette di sbucare sul limite
orientale di terrazzamenti, un tempo
sicuramente coltivati a cereali. Troviamo anche una vecchia baita, ormai
decadente.
Il sentiero prende quota rapidamente verso N, per poi serpeggiare
tra le selve, superando i muri a secco
tramite ardite scalette. In breve arriviamo al limite inferiore di Porcido
(m 592, ore 0:45), un antico villaggio
rurale ben ristrutturato che conserva
Bassa Valtellina
ancora oggi il suo fascino. Nonostante
non sia servito da strada, non è raro
incontrare qualche persona tra le case
anche nei mesi invernali. Seguendo
il sentiero giungiamo alla perla del
borgo: la chiesetta di San Sebastiano.
Ben conservata evoca pace e serenità in
un luogo davvero magico, un piccolo
giardino fiorito in mezzo alla roccia.
Poco più avanti scopriamo il segreto
di questa oasi nel deserto: una fontana
che pare succhiare l'acqua dalle viscere
della terra. L'effetto refrattario delle
rocce e l'ottima insolazione dovevano
Il Pro Shop Patagonia è in Valtellina!
essere ideali per la coltivazione della
vite e dei cereali, forse un po' meno
per l'allevamento del bestiame.
Proseguiamo su una bella mulattiera (O), ignorando la via direttissima
al Cùlmen. Prenderemo il traverso
successivo, certamente più dolce.
Superate cà di Car (IGM e la CTR
riportano il toponimo Cara) e il belvedere del Balabén4, intercettiamo
il sentiero che sale tra i boschi di
4 - Si tratta di un terrazzo naturale con delle
panchine dal quale si gode un ottimo panorama
sulla bassa valle fino al lago di Como.
3 Passi - Morbegno - Piazza Marconi
castagno e di quercia. Il primo tratto
è abbastanza regolare poi, dopo aver
incrociato la via direttissima precedentemente ignorata, si prende quota più
decisi. La vegetazione cambia, diventando mediterranea: sotto i nostri
piedi manca solo il mare! Sullo sfondo
troviamo il desolato conoide del Tartano, il grande paese di Talamona e,
oltre una fascia di territorio festonata
da capannoni, il grigiore della città di
Morbegno. Rimangono pochi prati a
N della ferrovia, tutto il resto è invaso
dal cemento. Un tempo chi aveva una
buona vigna, delle bestie ed un campo
da coltivare era considerato un benestante, oggi "l'é en por laù". L'economia moderna si basa su numeri e beni
spesso fini a se stessi, disdegnando le
ricchezze della terra.
Proseguiamo la salita tra ginestre,
piantine di Erica arborea e altri piccoli
arbusti. Facendo attenzione a qualche
passaggio tra le rocce, che può rilevarsi
insidioso se bagnato, raggiungiamo
l'ampia cima del Culmine di Dazio
(m 921, ore 1). Qui troviamo un cartello che ricorda l' accompagnatore di
media montagna Tarcisio Mattei5 al
quale è anche dedicato il sentiero che
abbiamo appena percorso. Ci dirigiamo verso E dove scorgiamo la cà del
Partigian. Si tratta di una ex caserma
costruita durante la seconda guerra
mondiale. Probabilmente in tempi
antichi su quest'altura si erigeva un
castello, ma non si trovano tracce se
non qualche pietra di granito lavorata.
La spiegazione è semplice: un tempo
i materiali da costruzione erano legno,
ferro e pietra. Il primo ci han pensato il
tempo o il fuoco a distruggerlo. I rimanenti, specialmente se appartenevano a
costruzioni di un certo pregio, sono
stati riutilizzati per altri manufatti.
A vista saliamo sulla cima dove
trova posto una vedetta, ma anche qui
niente fucili o guardiani, solo un semplice ma funzionale barbecue e un bel
tavolo dove possiamo comodamente
rifocillarci.
La vista sulla media Valtellina è
superba, nonostante la modesta elevazione lo sguardo arriva fino al gruppo
dell'Adamello. In questa direzione,
almeno nella prima parte di pianura
(Ardenno, Sirta, Forcola), la situazione
5 - Scomparso nel 2007 in seguito a un grave
incidente sulla vetta del Legnone.
104
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Desco (9 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla).
Le case di Porcellino (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla).
La chiesetta di San Sebastiano a Porcido (6 aprile 2011, foto Fabio Pusterla).
Il Culmine di Dazio (m 921)
105
Escursionismo
è rincuorante: ci sono ancora molti
prati verdi che colorano il fondovalle.
Chissà quale meraviglia di paesaggio si
poteva godere cent'anni fa, in quegli
anni che Bruno Galli-Valerio fece le
sue scalate in Valtellina e ci raccontava
di quando uomo e natura fossero davvero in armonia.
Verso N ammiriamo la val Màsino
con gli ordinati paesini costruiti al suo
imboccco e una possente dentatura di
cime. In basso la bella e dolce piana di
Dazio.
er la discesa scegliamo la via più
semplice. Nei pressi della vedetta
parte una stradina che scende verso E
tra rocce e rada vegetazione. Poi ci portiamo sul versante N in un alternarsi
di betulle, abeti e castagni. La strada,
ben tenuta, scende a tratti abbastanza
ripida e ci guida comodamente fino
al cimitero di Dazio (m 565, ore 1)6
passando per il Crotto, una struttura
adibita a ristoro.
Per concludere l'anello dobbiamo
seguire la strada provinciale verso O.
Superati gli impianti sportivi troviamo
la via per Porcido, un stradina sterrata
che si distacca sulla sx. La carrozzabile
scende tra i campi fino a una santella,
dove prosegue tagliando il versante
occidentale del Culmine. Dopo un
tratto abbastanza ripido, si incontra
una seconda cappelletta. Dobbiamo
ignorare la stradina che si distacca sulla
destra. Subito dopo, troviamo le indicazioni per il sentiero che, risalendo
tutto il crinale, ci riporterebbe sulla
cima. Proseguiamo diritti, evitandoci
la seconda conquista della vetta, passando nei pressi di qualche vecchia
cascina. Ora la strada prende quota
con diversi tornanti: dobbiamo solo
fare attenzione a tenere la sx quando
incontreremo una terza grande cappelletta. Si giunge ad un piccolo parcheggio dove la strada si trasforma in
mulattiera. La seguiamo ed in breve
ritroviamo la deviazione per la cima
del Culmine che abbiamo preso all'andata. Ignorandola proseguiamo verso
levante per arrivare a Porcido (ore
0:45) e quindi, tramite la via percorsa
all'andata, ritornare a Desco (m 296,
ore 0:30).
Bassa Valtellina
Geologia del
Culmine di Dazio
L’
aspetto che più colpisce osservando il
Cùlmen1 di Dazio è il fatto che questa
massa abbia resistito lì in mezzo alla valle milioni
di anni ai vari sommovimenti geologici avvenuti
nell’area e poi a tutti gli eventi legati all’orogenesi alpina e alla successiva erosione effettuata
sia dagli elementi atmosferici che dai ghiacci e
dalle acque di fiumi e torrenti. Non solo ha resistito ma ha anche provocato la deviazione della
valle che, dopo Ardenno, ha dovuto fare una
brusca curva a sinistra, così come anche l’Adda
che, insieme ai ghiacciai di epoca anteriore, questa valle ha scavato.
utto è dovuto al materiale molto resistente di cui il Culmen è costituita, molto
differente evidentemente da quello circostante
che è stato eroso senza alcun rispetto. Questa collina posta in mezzo alla Valtellina e allo
sbocco della val Màsino è costituita dal punto
di vista geologico da un plutone granitico2 creatosi per eventi vulcanici sotterranei, in età
ercinica, quindi molto prima della formazione
della catena alpina (a partire da circa 130 Ma)
e dell’inserimento, ancora più tardivo nelle Alpi,
del Plutone Màsino-Bregaglia (circa 30 Ma)
costituito dai famosi graniti Serizzo e Ghiandone. Questo nucleo di roccia più compatta e
resistente rispetto a quella circostante è diventata
una vera e propria barriera per i ghiacciai quaternari provenienti dalla val Màsino e dall’alta Valtellina, che quindi hanno dovuto deviare il loro
percorso. Si è così creata, anche grazie all’azione
erosiva di tanti diversi fattori, questa collina
tondeggiante, ora ricoperta di boschi che è ben
riconoscibile sia da chi proviene da Colico sia da
chi proviene da Sondrio.
ltro aspetto da sottolineare è il passaggio,
poco a N del Cùlmen della cosiddetta
Linea Insubrica o del Tonale, una delle maggiori
faglie di tutto l’arco alpino. Questa faglia che in
senso longitudinale attraversa non solo la Valtellina, ma anche il Canavese (Piemonte), prosegue
nel Canton Ticino (Svizzera), attraversa la Valtellina e continua, attraverso il passo del Tonale,
fin verso la val Pusteria (Alto Adige) e la valle
della Drava (Slovenia), divide il settore Sudalpino delle Alpi, dalla regione Nordalpina, segna
la demarcazione fra le formazioni cristalline
meridionali delle Alpi e Prealpi Orobie, dalle
Alpi propriamente dette, chiamate in Valtellina
anche Retiche.
P
6 - Il nome del paese ricorda la tassa che doveva
essere versata al feudatario quando si transitava
verso la val Màsino.
106
Le Montagne Divertenti T
Le Alpi Orobie tra i cespugli di Erica arborea (6 aprile 2011, foto Fabio Pusterla).
A
Sguardo sulla media Valtellina dal Culmine di Dazio (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla).
Primavera 2012
Dazio dal Culmine di Dazio (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla).
Le Montagne Divertenti 1 - In dialetto, a seconda delle località, è utilizzato sia al maschile
"il Cùlmen" che al femminile "la Cùlmen".
2 - Intrusione magmatica nelle preesistenti rocce metamorfiche.
Il Culmine di Dazio (m 921)
107
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
Robe dell'
altro mondo
Testi e foto
Rocco Del Nero
Le montagne dell'Australia
L'Australia è un paese
interessante. E lo è per
innumerevoli motivi. Un'isolanazione remota, lontana da
noi e dal resto del mondo, per
vastità la sesta nazione del
pianeta, e prima in grandezza
fra le isole, ma esplorata dagli
europei solo dalla fine del
Settecento. Nata come colonia
penale del regno inglese, è oggi
l'unica nazione in cui la cultura
aborigena, a cinquantamila anni
d'età, sia ancora viva e vegeta.
108
Le Montagne Divertenti Le ultime luci del tramonto impattano sul famoso monolite roccioso di Uluru (21 giugno 2011).
Venti volte più grande dell'Italia
ha una popolazione che è meno della
metà di quella italiana. Due terzi della
quale risiede nelle quattro principali
città. Ciò vuol dire che potete guidare
un giorno intero lungo le strade polverose e roventi dell'outback (cioè la
zona interna del paese, quel che da
noi è l'entroterra) senza incontrare
più di due o tre paesini d'una manciata di case, che insieme non faranno
nemmeno il numero degli impiegati
di un ufficio di medie dimensioni del
centro di Sydney. Una terra essenzialmente vuota, piatta, rovente, polverosa, ed incredibilmente inospitale.
Questo ad un primo fugace
sguardo.
Poi si scopre che tutto ciò di cui
potremmo meravigliarci qui esiste.
Potete starne certi. Migliaia di chilometri di coste incontaminate, spiagPrimavera 2012
gie da sogno, colline lussureggianti,
deserti, laghi, fiumi, vulcani estinti,
città ultramoderne e dinamiche, piccoli paesi fermi nel tempo, una catena
montuosa che doppia facilmente per
lunghezza le Alpi, e l'unicità della barriera corallina, la creatura vivente pià
grande della terra e la sola in grado
di vedersi dallo spazio. Pensate poi a
quali stravaganti animali ha dato vita
il percorso evolutivo in una terra sì
Le Montagne Divertenti isolata e inospitale: canguri di tutte
le forme e colori, koala, wombat e
platypus, squali e coccodrilli, e un'infinità di animali letali, pesci velenosi,
lucertoloni preistorici e ragni dai nomi
curiosi i cui veleni possono causare
una tal agonia da render inopportuno
scendere nei dettagli.
Infine, una nazione giovane, ricca,
dinamica, con un alto tenore di vita
e uno spiccato senso civico, un paese
in cui i politici non passano alla storia per scandali e corruzione ma per
essere stati travolti dalla corrente
dell'oceano mentre facevano il bagno
con la famiglia in un tranquillo
pomeriggio domenicale. Insomma,
un paese interessante, per numerosi
aspetti. Ed uno di questi, che tanto
sta a cuore a me e voi lettori, sono
proprio le sue montagne.
Valtellinesi nel mondo: Australia
109
Rubriche
Un po' per caso e un po'
per incoscenza ci siamo
ritrovati su un volo diretto
per Sydney con un biglietto
di ritorno 365 giorni dopo.
Per farlo abbiamo lasciato
i nostri lavori a Milano e la
nostra casetta di Morbegno.
Da quel momento ce ne
sono successe un po' di tutti
i colori. Un anno di avventure
tra Australia, Nuova Zelanda
e Sud-est Asiatico. Svariati
lavori improvvisati, tante
facce amiche, una gran quantità di chilometri percorsi
con i mezzi più sgangherati,
problemi quotidiani superati
con le soluzioni più acrobatiche. Per la cronaca, lei è Sara
e io sono Rocco, entrambi di
Morbegno, regolari frequentatore dei monti della Valtellina col pallino della fuga in
posti remoti.
Un koala sulle Snowy Mountains (3 agosto 2011).
Sulla cima d'Australia: Mount
Kosciuszko • In uno sperduto punto
nell'angolo sud-orientale della cartina australiana si trovano le celebri Australian Alps. Il nome trae in
inganno: non ci sono qui né pareti
di roccia né tantomeno ghiacciai. Si
tratta piuttosto d'una distesa vastissima di colline dal profilo gentile che
raggiungono il loro apice nei modesti
2228 metri del Monte Kosciuszko,
massima elevazione del paese. Preso
110
Le Montagne Divertenti d'assalto nei mesi invernali durante la
brevissima stagione sciistica (da metà
giugno all'inizio di agosto), rimane nel
resto dell'anno una tranquilla località
dell'entroterra, e forte è la sensazione
di star fuori dal mondo. Chissà cosa
avrà pensato l'esploratore polacco Paul
Strzelecki, quando il 15 Febbraio del
1840 salì fin qui, primo uomo bianco
a mettere piede sul tetto d'una inesplorata e sconosciuta catena montuosa
grande almeno il doppio della Polonia.
E cosa ancor più curiosa, chissà cosa
avrà pensato nel mondo dell'aldilà il
patriota e condottiero polacco Kosciuszko a cui è stata dedicata la cima più
elevata di un paese di cui pochi allora
conoscevano l'esistenza...
Ben prima dell'avvento degli esploratori europei questa era terra delle
popolazioni aborigene, che qui hanno
vissuto migliaia di anni in una incredibile simbiosi con la natura. Arrivati
nessuno sa da dove, le popolazioni
aborigene sono sbarcate sull'isola
australiana domando gli oceani con
tecniche allora decisamente avanzate.
Inspiegabilmente si sono poi insediati
nell'interno del paese, dimenticando
l'arte della navigazione e acquisendo
invece la capacità di trarre dall'ambiente ciò di cui abbisognavano per
vivere, seguendo il ritmo delle stagioni
senza sapere né leggere né scrivere, e
senza possedere nulla che non fosse
un fortissimo senso di appartenenza
alla propria terra. Tutto in una perfetta
armonia con la natura. Fino a quando,
nel 1770, una barca inglese comandata dal capitano James Cook sbarcò
sulle coste australiane poco a nord di
Sydney. Erano i primi uomini bianchi
a mettere piede su quella che all'epoca
Primavera 2012
Rocco e Sara in punta di piedi sulla sommità della massima elevazione dell'Australia, il
Mount Kosciuszko (12 febbraio 2011).
veniva chiamata Terra Australis Ignota.
Da allora per le popolazioni aborigene
è iniziato un veloce e drammatico
declino. Una letale combinazione di
malattie, alcool, omicidi e una brutale
politica che ha sottratto per decenni
i figli ai genitori naturali affidandoli
a istituti di correzione ha decimato
la popolazione aborigena. Ora solo
il 2% della popolazione australiana è
aborigena: dai tre milioni stimati di
duecento anni fa si è passati ai circa
cinquantamila di oggi.
Le popolazioni delle terre intorno
al Mount Kosciuszko per migliaia di
anni sono saliti sulle montagne per
cacciare, per scambiare oggetti con
altri gruppi e per rendere omaggio agli
spiriti creatori attraverso cerimonie,
danze, canti. Nessuna traccia rimane
oggi di quell'epoca, da che il turismo
di matrice occidentale s'è impadronito
dell'intera vallata. E tutto questo solo
per un paio di mesi di incasso all'anno.
Al villaggio di Charlotte Pass si perviene mediante una strada spettacolare, che striscia tra boschi di eucalipti
al cui interno saltellano liberi i canguri,
guardandoci con aria indifferente. Qui
Le Montagne Divertenti parte una comoda camminata lungo
un ampio sentiero. La salita alla cima
è poco più che una passeggiata, solo
500 metri di dislivello e poco più di
8 chilometri di svolgimento. Se a ciò
aggiungiamo la presenza dei comodissimi e pulitissimi bagni pubblici
posti poche decine di metri sotto la
cima (una mania di cui gli australiani
sono particolarmente fieri), e la comodità del sentiero, ben segnalato e con
apposito fondo anti scivolo, è ovvio
che sarà un'impresa meno avventurosa di quella di Strzelecki... Resta pur
sempre il pensiero di essere stati, per
un giorno, sulla cima di questo incredibile paese.
Ai piedi di una celebrità: Uluru •
Ci sono tante cose inspiegabili in questo paese. È inspiegabile come possano
gli australiani divertirsi giocando a cricket per interi pomeriggi, come possa
essere gradevole la gettonatissima pizza
con ananas e prosciutto, cosa spinga
un essere umano su una tavola galleggiante in mezzo a onde spaventose,
correnti letali, meduse mortali e squali
affamati. Ma la cosa più inspiegabile
La rada vegetazione del
deserto australiano, sullo sfondo della rossa
roccia di Uluru (21 giugno 2011).
è cosa ci faccia un monolite rosso, di
10 chilometri di circonferenza e 380
metri d'altezza, nel bel mezzo del più
assoluto e drammatico nulla dell'entroterra australiano. Mi spiego meglio.
Prendete una cartina dell'Australia
e, senza troppo pensarci, puntate un
dito nel punto che sembra essere il
centro del paese, dove in un'ipotetica
partita di calcio su campo nazionale
potrebbe essere battuto il calcio di
inizio. Il vostro dito sarà caduto più
o meno dove sorge questa celebrità
naturale, un punto qualsiasi in mezzo
al nulla, bruciato dal sole di giorno e
illuminato dalla Via Lattea di notte, a
400 chilometri di distanza dalla prima
città, Alice Springs, che sorge a sua
volta nel mezzo del nulla. Lungo la
strada qualche villaggio disgraziato e
una manciata di pompe di benzina...
Ma torniamo alla nostra celebrità.
Innanzitutto: è in 10 milioni che si
stima il flusso di visitatori provenienti
da ogni angolo del globo che ogni
anno vengono qui, a Uluru, usando il
tradizionale nome aborigeno. È incredibile che sia proprio questo posto, per
quanto remoto e isolato, la destinaValtellinesi nel mondo: Australia
111
Rubriche
zione turistica più gettonata d'Australia. Se non paradossale, quanto meno
curioso, non trovate? Tanto più che,
a ben vedere, l'Ayers Rock, usando la
denominazione dei bianchi d'Australia, altro non è che un enorme monolite rosso, un "sasso" di dimensioni
ciclopiche, qualche centinaio di volte
più voluminoso del nostro già dignitoso sasso di Remenno.
Non una macchia nera, o
grigia, o verde o blu. Rosso,
e rosso in tutte le tonalità
che questo colore possa
assumere. Tutto dipende dal
sole, che ogni minuto sembra
dipingere questa roccia di un
rosso diverso, mentre un cielo
immenso e profondamente blu
fa da sfondo perenne.
Terra, roccia, sole, cielo. Una
composizione perfetta in una paesaggio fermo da millenni, eppure in
grado di cambiare in continuazione,
ogni ora, ogni giorno, da sempre e
per sempre. È un posto magico. E
sebbene la scienza abbia già provveduto a spiegarne i come e i perché,
per spiegare la natura di Uluru vien
comunque da pensare a qualcosa di
magico ed ancestrale. D'altronde
non è un caso se per migliaia di
anni le popolazioni aborigene hanno
vissuto qui, in uno dei territori più
inospitali del pianeta, solo per stare
vicino a questa roccia. L'avrei fatto
anch'io! Avrei sopportato anch'io
il caldo ininterrotto del giorno e il
freddo acuto delle notti, la fame
e la sete di un territorio siccitoso,
senza ombra né corsi d'acqua, e
avaro di prede e fonti di cibo. L'avrei fatto anch'io, e solo per stare
vicino a Uluru, per scoprirne tutte
le angolazioni e studiarne i segreti,
per camminare ai suoi piedi e catturarne la forza. Questo è davvero un
posto magico, nonostante il continuo flusso dei turisti, nonostante i
negozi di souvenir, nonostante i 42
escursionisti e scalatori
morti nel tentativo di
conquistarne la sommità lungo scivolosi
sentieri e ripide pareti,
sotto forti venti e impietosi raggi solari che
fanno salire la temperatura a 50 gradi.
Un sentiero turistico,
ripido ma attrezzato con
un corrimano per tutta
la lunghezza del percorso,
permette di raggiungere
il pianoro sommitale di
Uluru risalendone la spalla
più occidentale. Ma per
godere a pieno dell'atmosfera magica del luogo sarà
più utile passeggiare in
silenzio lungo il suo perimetro, secondo la volontà
delle popolazioni aborigene
che qui hanno vissuto per millenni,
quando per un uomo bianco è già
faticoso starci per tre ore. Potete
esserne certi, osservare un'alba o un
tramonto ai piedi di Mighty Uluru,
osservare il cielo, le nuvole, e sotto di
noi la terra rossa, saprà stupirvi come
non mai. È in quei momenti che realizzi che un viaggio in Australia è l'avventura di una vita.
LA VOLPE
Fidarsi è bene,
non fidarsi è meglio.
Uluru non è che la più celebre delle conformazioni rocciose che disseminano il deserto australiano: questo è il
Mount Conner, ripreso dalla strada per Uluru (21 giugno 2011).
112
Le Montagne Divertenti Alessandra Morgillo
"attrezzato" che
l ripido sentiero
Un'immagine de mità di Uluru (21 giugno 2011).
conduce sulla som
Ritratto di volpe: lo sguardo di chi ne sa tante…
(14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti - www.clickalps.com).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti La volpe
113
Rubriche
Fauna
In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo…"
"Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino…"
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono così triste…"
“Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata"
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"Non sei di queste parti, tu" disse la volpe "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"Gli uomini" disse la volpe "hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche
delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?"
"È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila
ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che
una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno
dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
da "Il piccolo principe" - Antoine de Saint-Exupéry
Un emozionante incontro ravvicinato con
una volpe (Vulpes vulpes crucigera) nel
Parco dell’Etna, vissuto dal fotografo di
Clickalps Gabriele Augello (15 gennaio
2011, foto Manuela Grasso).
Con quel musetto dolce e lo
sguardo intelligente, in molti hanno
immaginato di farsela amica, e qualcuno, con infinita pazienza, forse ci
è quasi riuscito. “Quasi”, perché la
volpe, come tutti gli animali selvatici, non si può addomesticare. Può
perdere la paura dell’uomo e decidere
di avvicinarsi, a volte familiarizza con
lui e si fida, ma mai del tutto, ed è
sempre pronta a fuggire via. Non
cerca affetto o compagnia, è piuttosto la sua indole curiosa, unita alla
speranza di una ricompensa, che la
spinge a vincere la naturale timidezza.
Regina tra gli animali
opportunisti, come corvidi, ratti
e gabbiani, ha imparato ad
approfittare delle occasioni che
di volta in volta si presentano
in un mondo sempre più
mutevole, facendo dell’arte
del sapersi arrangiare la carta
vincente del suo grande
successo.
Segno di questo successo è il fatto
che la volpe rossa (Vulpes vulpes) sia
il canide più diffuso d’Europa, anzi
di tutto l’emisfero settentrionale, di
cui ha colonizzato ogni ambiente.
Predilige i boschi collinari e montani, ma riesce a vivere fino a oltre i
114
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Parco Nazione del Gran Paradiso: un gruppo di fotografi, nell'affannosa ricerca della volpe,
non si accorge di averne una proprio alle spalle
(14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti - www.wildlights.it).
2000 metri, in pianura e persino in
aree antropiche. Grazie all’incredibile astuzia e versatilità è in grado
di adattarsi ad ogni circostanza e ad
ogni tipo di alimentazione, tanto che,
nonostante sia un carnivoro, può
nutrirsi indifferentemente di tutto
ciò che trovi commestibile, guadagnandosi perciò l’appellativo di generalista. Le sue prede principali sono
piccoli mammiferi, soprattutto roditori, ma anche uccelli, rettili e persino
pesci ed è in grado di catturare anche
cerbiatti e piccoli caprioli. In caso di
necessità sa accontentarsi di insetti e
altri invertebrati, e gradisce la frutta
ben matura e dolce. Si spinge fin nei
centri urbani per reperire resti di cibo
presso i rifiuti, aggirandosi di solito
nelle periferie, soprattutto se sono
presenti grandi aree verdi. La sua
straordinaria capacità di adattamento
è paragonabile a quella dell’uomo, il
suo principale nemico.
La volpe
115
Rubriche
Caccia alla volpe • La volpe delle
campagne ha un grande difetto:
trova irresistibile cacciare nei pollai.
Per questo motivo la convivenza con
l’uomo è sempre stata problematica.
Scaltra ed intraprendente trova quasi
sempre il modo di intrufolarsi nel
cortile e portar via il bottino, in barba
alle trappole poste dagli uomini. Con
sprezzo del pericolo agisce furtivamente col favore delle tenebre e più
si abitua alle prede domestiche e più
ci torna; una calamità per contadini
e allevatori, che sono alla continua
ricerca di nuovi stratagemmi per
ideare recinti a prova di volpe, che,
tuttavia, con sorprendente agilità
oltre che astuzia, si dimostra quasi
sempre in grado di superare. In questo contesto la volpe acquista la fama
di animale dannoso e da qui trae origine la sua persecuzione, dalla famosa
caccia alla volpe dei Lord inglesi, oggi
fortunatamente vietata, agli abbattimenti ad opera dei cacciatori sia per
il valore commerciale della morbida
pelliccia sia, soprattutto, per limitare
l’aumento demografico di un animale
che ritengono, a torto, il principale
responsabile della diminuzione della
selvaggina di interesse venatorio.
Ma non bisogna dimenticarsi che la
volpe è anche una formidabile cacciatrice di topi e la sua presenza, dunque, è molto utile nelle campagne.
Questo straordinario predatore dalla
figura snella e scattante possiede una
dentatura forte e tagliente e dei sensi
molto sviluppati. Grazie all’udito
finissimo è in grado di individuare
le prede nell’erba alta e avvertire il
movimento di un piccolo roditore
persino sotto un metro di neve. In
queste condizioni realizza una cattura davvero sorprendente: si avvicina
cautamente e si affida alle informazioni che le mobilissime orecchie le
forniscono sulla preda nascosta, poi
spicca un balzo verso l’alto e si tuffa
a testa in giù nella neve per afferrare con estrema precisione l’ignaro
malcapitato.
Un’altra causa della triste nomea
della volpe è, purtroppo, da ricercarsi nel ruolo che essa riveste come
veicolo di diffusione della rabbia.
È vero che, come tutti i mammiferi
selvatici, anch’essa può contribuire
a diffondere infezioni in ambiente
silvestre e che, trattandosi di un animale molto diffuso e frequentando
talvolta discariche e periferie urbane,
è effettivamente un potenziale anello
di congiunzione con la rabbia urbana
di cani e gatti. Di recente il fenomeno
è riapparso nel Nord-Est dell’Italia (Friuli Venezia Giulia, Veneto e
Trentino-Alto Adige), ma sono stati
prontamente adottati specifici provvedimenti, che consistono in adeguate campagne di vaccinazioni, volti
a limitare il contagio. In alcune aree
migliaia di esche vaccinali sono state
distribuite sorvolando con l’elicottero
tutto il territorio interessato. La situazione è costantemente monitorata,
ma è comunque buona norma non
dare troppa confidenza agli animali
selvatici. Non è mai buona cosa interferire con i delicati equilibri naturali
dando loro da mangiare o cercando
di toccarli. Inoltre è impossibile
prevedere le reazioni di un animale
impaurito: ricordiamoci, infatti, che
il più delle volte siamo noi gli intrusi
nel suo territorio ed è nostro dovere,
perciò, mostrarci massimamente
discreti e rispettosi.
Ladri di polli • In fondo oggi non
è impossibile evitare le incursioni
della volpe nei pollai, purché questi
vengano costruiti con accorgimenti
tali da indurre l’astuta cacciatrice ad
orientare il suo interesse verso altre
prede. Si può provare a recintare il
pollaio con reti rigide ripiegate verso
l'esterno e, dato che la volpe può
compiere salti molto alti e persino
arrampicarsi, è raccomandabile chiu-
La volpe non teme il
freddo grazie alla sua
pelliccia che, costituita da
peli lunghi che rivestono
uno strato di peli più
corti e fitti, isola l’animale
dalle rigide temperature
(14 dicembre 2010, foto
Andrea Zampatti www.andreazampatti.it).
116
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti La volpe
117
Rubriche
dere anche sopra con rete a voliera. È
inoltre necessario interrare il più possibile la rete lungo tutto il perimetro
del pollaio perché la volpe è un’ottima scavatrice. Infine la presenza
di cani da guardia sarà un ulteriore
deterrente.
Se, tuttavia, si rinvengono ancora
stragi nonostante questi accorgimenti, è probabile che il colpevole
allora non sia la volpe, ma la faina. Di
taglia più piccola, questo mustelide
riesce più facilmente ad insinuarsi nei
ricoveri e arreca gravi danni perché
miete molte vittime.
A differenza della volpe, la
faina non porta via le sue
prede per interrarle come
scorta alimentare, ma lascia sul
campo tutte le vittime di cui
non sia riuscita a cibarsi. Ciò ha
alimentato la credenza che la
faina sia una spietata e crudele
assassina che si nutre del
sangue delle sue vittime.
118
Le Montagne Divertenti Nel Parco Nazionale del Gran Paradiso il
nostro fotografo ha incontrato una volpe
particolarmente confidente che gli ha
concesso i meravigliosi scatti di queste
pagine (14 dicembre 2010, foto Andrea
Zampatti - www.clickalps.com).
In realtà il grande tumulto degli
animali spaventati, in gran numero
in uno spazio circoscritto, accentua
a livello esponenziale il suo naturale
istinto che, nella concitazione
dell’azione di caccia, la porta ad
avventarsi su più prede possibili.
A livello pratico è più difficile difendere il pollaio dalle faine, anche perché
molto spesso di giorno vivono nascoste
nei solai della casa e di notte sono furtive arrampicatrici così silenziose che
possono non essere avvertite nemmeno
dai cani. È preferibile quindi scegliere
una rete rigida a maglia piccola e controllare periodicamente con accuratezza
tutto il perimetro del pollaio.
Ci si può dunque difendere dai ladri
di polli senza porre trappole o impugnare il fucile. È una guerra di astuzie,
ma alla fine l’uomo, con pazienza e
dedizione, può sempre trovare soluzioni per rendere possibile la convivenza con gli animali selvatici.
Una volpe da favola • Quel suo
folto e soffice manto rosso fulvo che
sfuma in bianco nelle parti inferiori
e quella coda vaporosa lunga oltre un
terzo del corpo le dona un aspetto
regale e fiero, eppure già in questo
risiede un inganno poiché la fa sembrare più grande di quanto in realtà
non lo sia.
Primavera 2012
Nell’immaginario comune, fin dai
tempi più antichi, la volpe è il simbolo indiscusso della furbizia. Una
qualità di duplice valenza, da un
lato intesa come subdola capacità di
inganno, dall’altro come espressione
di vivacità intellettuale. Che questo
comune, ma al contempo misterioso,
mammifero abbia in fondo goduto di
una certa ammirazione lo dimostra il
ruolo di protagonista che ricopre in
moltissime favole. Tra quelle di Esopo
la più conosciuta è “La volpe e l’uva”,
tant’è che ancora oggi si usa l’espressione "far come la volpe con l'uva"
per indicare chi finge di disprezzare
una cosa che desidererebbe molto, ma
Le Montagne Divertenti che non può raggiungere. Ancora “Il
corvo e la volpe”, nella quale si narra
di una volpe che per accaparrarsi il
pezzo di formaggio che il pennuto
tiene nel becco tesse le lodi della sua
voce, inducendolo a cantare.
Ancora oggi per indicare una persona molto astuta si usa la metafora
"è una vecchia volpe" e non sempre,
tuttavia, con significato positivo. Ma
se in natura la volpe si serve della furbizia per la sopravvivenza della specie,
l’uomo, che possiede la facoltà di scegliere, deve sempre avvalersi delle doti
del suo intelletto non per frodare, ma
per far progredire, nel bene comune,
la società in cui vive.
La volpe
119
Speciali
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L'altra Montagna
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120
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
iunto alla diciassettesima
pubblicazione, Oreste Forno,
eclettico alpinista/scrittore/fotografo,
nativo di Berbenno e trapiantato a
Erba, rivela il proprio percorso spirituale nelle pagine di questo nuovo
libro.
Da collaudato narratore e alpinista
ambienta sulle montagne a lui più care
i momenti più intensi, le riflessioni
più profonde che l’avvicinano alla percezione di Dio. Diverse stagioni, tante
montagne, numerose situazioni e una
raffinata capacità di sentire, ascoltare
e leggere i segni, che Oreste decifra e
coglie come illuminanti e rassicuranti
presenze del Padre Eterno accanto a sé
e a tutti noi.
“Dalla insaziabile voglia di mettere
sotto i piedi le cime delle montagne più
ardite per affermare rigorosamente la
superiorità dell’intelligenza e delle capacità umane di fronte “all’impossibile”, al
desiderio inappagabile di superare anche
l’orgoglio della conquista per scorgere
e accogliere tutto come un dono: dono
di Chi, dall’alto, ti sa indicare la vera
strada della vita e la percorre silenzioso
al tuo fianco. Tutto, allora, viene ad
assumere il proprio, vero significato:
dalle persone di famiglia che danno
corpo all’amore più pervasivo e profondo, alla scoperta della natura come
abitazione di pace per tutti, alla passione per il silenzio che si fa parola di
verità, alla fraternità paziente capace di
comporre diversità e ingiustizie.
Chi volesse leggere queste pagine, sappia che non sono di avventura, ma anzitutto di saggezza, con la quale si possono
salire le montagne che, invece di essere
conquistate, conquistano te.”
La prefazione al libro è curata da
Monsignor Roberto Busti, vescovo di
Mantova.
“Una voce da Lassù”, “Cercare Dio
sulle cime”, L’altra faccia della morte”,
“L’incontro con il Sublime”…. sono
alcuni dei diciotto capitoli in cui Oreste Forno traccia la via più ardita da lui
individuata e percorsa per raggiungere
una vetta e trovare un insostituibile
Le Montagne Divertenti compagno di cordata.
L’invito alla lettura di queste pagine
è anche dettato da una semplice
quanto inconfutabile osservazione:
la montagna per molti, per troppi
è banalizzata dal cronometro, dalla
performance, dalla frenesia di consumarla in fretta o di spettacolarizzarla.
Il libro invece ci riporta alla nobiltà
della nostra spiritualità, alla ricerca di
luoghi, atmosfere, ritmi e sfide dove,
ascoltandoci, ritroveremo noi stessi
nelle forme più vere, nei sentimenti
più forti, nelle emozioni più vive.
Oreste Forno, L’altra montagna.
Quella che porta più in alto delle cime,
Bellavite Editore in Missaglia 2011,
pag. 160, € 13
Recensioni
121
Speciali
CLICK
di primavera
122
Dati EXIF
Recensione
Autore / Roberto Ganassa
Data di scatto / 1 maggio 2011
Ora di scatto / 10.15
Fotocamera / Canon EOS 5D
Obiettivo / EF17-40mm f/4L USM
Lunghezza focale equiv. / 36mm
Tempo di esposizione / 1/1600 sec
Apertura del diaframma / f.11
ISO / 200
Mentre nella bassa Valtellina si percepisce già il profumo dell'estate che si avvicina, nella valle di Preda
Rossa, a oltre 3000 metri di quota, si può ancora
sciare. Non è facile fotografare in ambienti innevati, la presenza di persone in movimento rende poi
ancora più complicato, poiché non si trovano mai
dove le vorresti tu. In questo caso l'autore le ha colte
in una posizione che gli ha permesso di rendere l’idea della linea arcuata tracciata dagli scialpinisti. Ma
è la nebbiolina adagiata sul fondo della valle a far da
protagonista in questa foto, seguita dal selvaggio versante settentrionale dei Corni Bruciati, che irrompe
sulla linea dell'orizzonte nascondendo in parte
quello spettacolo di nubi che si rincorrono che si
può appena leggere nei due angoli superiori dell'immagine. Unico neo della foto, la luce che cade piatta
e senza identità sul candido manto nevoso.
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
La primavera occupa una porzione dell’anno dove in Valtellina si possono trovare le
situazioni più svariate: le condizioni di luci e colori possono passare da un’estremo
all’altro anche nell’arco di breve tempo.
Le tre foto della rubrica, lo testimoniano pienamente. Le rigogliose fioriture di media
montagna contrastano con il lento disgelo di un laghetto alpino, mentre in alta quota
la neve ancora abbondante permette agli appassionati di scialpinismo di spingersi nella
loro attività fino anche all’estate.
Roberto Ganassa
Le Montagne Divertenti Recensioni
123
Rubriche
L'arte della fotografia
Dati EXIF
Recensione
Autore / Roberto Moiola
Data di scatto / 22 aprile 2009
Ora di scatto / 9.50
Fotocamera / Canon EOS 5D Mark II
Lunghezza focale equiv. / 15mm
Tempo di esposizione / 1/500 sec
Apertura del diaframma / f.14
ISO / 200
Le fioriture di crocus (erroneamente chiamati
bucaneve) sono un po’ il simbolo della primavera;
sbocciano in concomitanza dello scioglimento
della neve e spesso spuntano addirittura dalla
neve. Come molte altre fioriture, i crocus sono di
breve durata, perciò per ottenerne buone immagini occorre allo stesso tempo esser veloci, conoscere i posti giusti e avere - perché no - un po'
di fortuna. Inoltre la grande variabilità del meteo
in primavera ne rende imprevedibile la data della
fioritura, complicandone la ricerca.
Ci troviamo qui nei pascoli dell'alpe Bracciascia, in Valmalenco. Lo scatto è sicuramente ben
inquadrato; la baitella è volutamente decentrata
per lasciare spazio alle vedute che si spingono fino
alle Alpi Orobie.
A causa della conformazione della valle, è praticamente impossibile scattare questa foto con luce
migliore (mattina presto o tardo pomeriggio), senza
contare che col sole basso i fiori si chiudono.
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Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Dati EXIF
Recensione
Autore / Francesco Vaninetti
Data di scatto / 1 maggio 2011
Ora di scatto / 12.30
Fotocamera / Canon EOS 50D
Obiettivo / Tokina AF 11-16mm f/2.8 AT-X Pro DX
Lunghezza focale equiv. / 18mm
Tempo di esposizione / 1/250 sec
Apertura del diaframma / f.10
ISO / 200
Uno dei soggetti paesaggistici più intensi
che la primavera possa donarci è quello del
disgelo di un lago d'alta quota. Qui siamo al
lago d'Inferno, bacino artificiale cullato dal
pizzo dei Tre Signori e dal pizzo di Trona, che
torreggia nella parte sinistra della fotografia.
Come possiamo notare, il caso ha regalato al
fotografo una condizione molto particolare e
stimolante: mentre la parte meridionale del
lago è cosparsa dei tradizionali blocchi di neve
e ghiaccio, la restante parte è ricoperta d'una
granatina di ghiaccio, debolmente riflettente.
Ma c'è poi un braccio di lago completamente
disgelato, dove invece il riflesso è perfetto, la
cui forma pare puntare verso la forcella, vertice di un triangolo di cielo, punto di fuga
della composizione. Il tutto è poi immerso in
quell'atmosfera luminosa e cristallina di cui
possiamo godere solo quando sole e neve trovano combinazione.
Recensioni
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Speciali
Foto dei lettori - il miglior fotografo
La luna e il pizzo Badile ripresi con una focale di 400 mm (10 novembre 2010, foto Stefano Caldera).
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
• una che premia il fotografo più bravo tra quelli che avranno pubblicato i loro scatti inerenti i monti
di Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna .
Due delle sue foto verranno pubblicate con recensione e scheda di presentazione del fotografo.
• una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a
[email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo.
Gli scatti migliori fra quelli pubblicati su www.clickalps.com/forum-montagna negli ultimi 3 mesi sono di:
Bufera sulla cresta (22 gennaio 2012, foto Stefano Caldera).
126
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
IL FOTOGRAFO
LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Ganassa).
Mi chiamo Stefano Caldera e sono nato a
Cantù del 1979. Ho un dottorato in Geomatica e Infrastrutture, spin-off legato all'Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio.
La mia passione per la fotografia è iniziata
pochi anni fa spinta dal mio interesse per la
cartografia e dalla curiosità di guardare da
vicino e di dare un nome alle montagne più
lontane visibili dalle cime intorno al lago
di Como. Ho così iniziato a utilizzare fotocamere con ottiche sempre più importanti,
guardandomi così intorno in modo più
attento e appassionandomi della fauna alpina.
Non mi definisco un fotografo, i miei scatti
nascono più che altro dall'assidua frequenza
dell'ambiente montano in tutte le stagioni e
orari del giorno; la bellezza delle nostre zone
è anche questa: si scopre sempre qualcosa di
nuovo e diverso.
Lo scatto nella pagina a fianco è molto particolare, sicuramente non è un paesaggio incantevole, ma la forza devastante della natura che si esprime al massimo.
Guardando la foto, mi sembra di sentire il freddo intenso
di quel momento e inoltre lo stato di confusione creato dalla
tormenta, fa un’effetto molto speciale.
Soprattutto chi va in montagna e si è già trovato in una
situazione analoga, sa benissimo che non è proprio un bel
momento (anche se è molto emozionante) e oltretutto sa
bene che non è per niente facile tirare fuori la macchina
fotografica per scattare una foto: le mani si congelano in un
attimo. Personalmente mi è capitato spesso, e la sensazione
di impotenza contro la grande forza della natura è davvero
grande. L’unico difetto che potrei trovare alla foto è la troppa
centralità del soggetto, ma in questi frangenti sinceramente
non me la sento di cercare il pelo nell’uovo.
Lo scatto qui sopra è invece molto più romantico: un
bell'omaggio alla luna splendidamente composta con la parte
terminale della cresta N del pizzo Badile spruzzata di neve.
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
127
le
foto dei lettori
Rubriche
AUSTRALIA
Elisa, Miky, Roby e Mauro ad Uluru (21 ottobre 2011).
LONDRA
INDIA
Caterina Gianoli al fianco di Sherlock Holmes, immerso
nella lettura de Le Montagne Divertenti nella sua casamuseo di Baker Street (8 agosto 2011).
SINGAPORE
Valter e Annalisa sullo sfondo dell'hotel
Marina Bay Sands, con la piscina più alta
del mondo (12 gennaio 2012).
Ugo e Giorgio alla fiera dei cammelli, a Pushkar.
VALCHIAVENNA
Fabrizio in località Belvedere, Prata
Camportaccio (23 dicembre 2011).
VALMALENCO
Raffaele, Klaus e Peter con Le Montagne Divertenti in
vetta al pizzo Scalino (28 agosto 2011).
128
Le Montagne Divertenti ALTO LARIO
Paola Bulanti, Patrizia Oregioni e Sara Mondora: tutte
donne sul Sasso Canale! (15 gennaio 2012).
RESEGONE
Gruppo CAI in valle Imagna in quest'inverno senza neve
(15 gennaio 2012, foto Gianni De Stefani).
DUBAI
Un gemellaggio fra Caspoggio, Lugano e Dubai
(30 settembre 2011).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
129
le
foto dei lettori
Rubriche
CANADA
Valtellinesi nella British Columbia (3 febbraio 2012).
INDIA
Fabio Sosio e Massimo Fiorelli presso Hampi
Karnataka (18 dicembre 2011).
TOGO
Luca Magini a Lomé, in Togo (21 gennaio 2012).
IRLANDA
Francesco, Maria, Paola, Simone, Stefano, Sergio, Ramona, Francesca,
Claudia, Ivano, Stefano ed Enrica nei dintorni di dublino (20 novembre 2011).
VALMALENCO
Due piccoli lettori, Gioele Corlatti e Nicolò
Gianottia, nei pressi di Torre di Santa Maria.
ANDE
Ambra, Giovanni, Andrea e Sara ai piedi delle Torri del Paine
(5 gennaio 2012).
PERITO MORENO
Paolo Colo, Ambra, Andrea, Paolo Gilla, Giovanni, Sara,
Imma, Paolo(ne) e Giuseppe sullo sfondo del Perito Moreno.
FLORIDA
CHIESA IN VALMALENCO
Fabiana, Stefania, Raoul e Giordano a South
Beach, Miami (13 novembre 2011).
Ogni anno tutti i Lenatti di Chiesa in Valmalenco si trovano per la tradizionale cena (gennaio 2011).
130
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
131
le
foto dei lettori
Rubriche
AFGHANISTAN
Carlo a Kabul, capitale dell'Afghanistan
(4 gennaio 2012).
THAILANDIA
Chiara e Dario in compagnia di una donna di un villaggio
del "Triangolo d'oro" in vestito tipico (novembre 2011).
VAL VENOSTA
ISOLE FALKLAND
Cristina legge Le Montagne Divertenti in compagnia di
un elefante marino del sud (11 novembre 2010).
Marco e Mariarita durante una breve sosta all'Hotel Bellavista di
Gustav Thoeni, in centro nella foto (25 settembre 2011).
EGITTO
Adelma, Rosanna e Carla ad Ain Sokhna
(4 gennaio 2012).
NUOVA ZELANDA
ALTO LARIO
Ivan Giudice e Marica Caranzi sul Tongariro (30 novembre 2011).
Carry, Marty, Roby, Bomma e Wendie persi sul monte Berlinghera... malgrado le chiare indicazioni presenti sullo
scorso numero della rivista! (8 gennaio 2012).
CAPODANNO IN VETTA
VALLE DEI RATTI
Fabio De Bernardi e Demetrio Martinoli
festeggiano sul Berlinghera la notte di
San Silvestro (1 gennaio 2012).
MAR ROSSO
VAL GROSINA
Corrado Tavelli e Le Montagne Divertenti a -20 metri nelle
acque di Sharm el Sheik (4 gennaio 2012).
132
Le Montagne Divertenti Luciano, Tiziano, Ermes, Rosi e Giulio,
operai E.R.S.A.F. occupati in lavori
di manutenzione sentieristica, e che
nelle lunghe serate in baita leggono Le
Montagne Divertenti (28 ottobre 2011).
Mykla e Franz a Pugnalt (22 gennaio 2012).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti CORSICA
Marco Bianchi lungo il GR20
col CAI Chiavenna.
Le foto dei lettori
133
le
foto dei lettori
Rubriche
soluzioni del n.19
Vincitori e
'N gh'el?
vinti
Questa foto, tratta dall'archivio di cartoline di Maurizio Cittarini, ritrae Teglio e la chiesa di San Pietro a
inizio '900. Stefania Bassola ci ha anche ricordato che
la chiesa "è di origine medievale, risale probabilmente ai
primi anni del XI secolo ed è una delle testimonianze più
significative dell’arte romanica in Valtellina.
La chiesa ha navata unica terminante con un’abside
semicircolare.
Internamente, sul lato sinistro, vi sono due grandi arcate,
ormai chiuse, il cui utilizzo è tutt’ora sconosciuto.
L’apertura cruciforme in facciata è originale, mentre il
portale e le aperture sulle pareti laterali sono riconducibili
al XVII secolo.
Sul lato destro della chiesa sorge il campanile, caratterizzato, da strette feritoie nei primi due piani, quindi da tre
ordini di bifore di dimensioni differenti."
ISOLE CANARIE
I vincitori sono stati:
1- Paul Testini di Poggiridenti
2- Stefy 79
3- Stefania Bassola di Sondrio
4- Fabio Pedroli di San Giacomo di Teglio
5- Alessandro Piani di Albosaggia
Un gruppo di nord walking sul monte Corona, Lanzarote (25 ottobre 2011).
Hanno inoltre indovinato (in assenza di firma ho indicato i nickname): Sergio Proh, Pamela Morellini, Aldo Valli, Frabett,
Daniele Moncecchi, Sonia Soverna, Ugoepina, Ermanni Mossini, Sdonchi, Cok, Corrado, Panpao, Andrea Sassella, Paola Civati,
Enrico Gottifredi e Ivan Andreoli.
ma che scimma ì-è?
SCOZIA
SUDAN
Silvana Dell'Avanzo sulle coste delle Isole
Ebridi (21 giugno 2011).
Ospedale di Turalei, nella Repubblica Sud Sudan. Il personale sanitario
locale e i medici e infermieri valtellinesi di www.perterreremote.it salutano e ringraziano i sostenitori del progetto (24 novembre 2011).
PRESOLANA
OMAN
Donatella Scaglioni con Le Montagne
Divertenti in Presolana (7 gennaio 2012).
134
Le Montagne Divertenti Le due cime nella foto scattata da Roby Ganassa dal rifugio Giannetti sono (da sx) la punta Bertani (m 2803) e la
punta Moraschini (m 2815).
I vincitori sono stati:
1- Enrico Gottifredi di Dubino
2- Linda di Bellano
3- Simone Nonini di Sorico
4- Sergio Proh di Mossini
5- Giulia Bertolini di Morbegno
Hanno inoltre indovinato (in assenza di firma ho indicato i
nickname): Ragnodismaria e Giovanni Rovedatti.
Andrea e Alice salutano dalle montagne dell'Oman (2 febbraio 2012).
Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Giochi
135
Giochi
Che scimma i-è?
Questa
volta non sarà facile! Che cime
sono ritratte in fotografia?
I 2 più veloci dalle ore 21:00
del 28 marzo 2012 vinceranno la
foto stampata su tela (altezza 70
cm - già con telaio e supporti).
Il 3° classificato avrà pantaloncini e
maglietta de “Le Montagne Divertenti”,
il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili
sul sito www.lemontagnedivertenti.com.
Scrivi la tua risposta sul forum “Che
scimma i-è?” accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi
Ma ch'èl?
Lascia un segno.
Sezioni comunali della Provincia di Sondrio
AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297
AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243
AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000
Sei pratico di vecchi utensili?
Dimmi allora come si chiama e a
serve quello qui fotografato.
cosa
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del
26 marzo 2012 vinceranno
maglietta+pantaloncini de “Le
Montagne Divertenti” + 1 libro a
scelta*, il 3° classificato ricevera'
i pantaloncini de "Le Montagne
Divertenti", il 4° e il 5° un libro a
scelta* (* tra quelli disponibili sul sito
www.lemontagnedivertenti.com).
Scrivi la tua risposta sul forum
“Ma ch'èl? ” accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
Le Montagne Divertenti Giochi
137
Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
Le frìtule
perle di cucina povera
Testi e foto Adriana e Marino Amonini
V
Gli esperti la chiamano cucina povera; a noi,
affamati di scarpinate e di genuinità, piace
tanto, tantissimo.
Una gettonata e ruspante ricetta che coniuga
facilità di preparazione, semplicità negli ingredienti e golosità certa.
ricetta per 5 persone
In una terrina dosate 4 cucchiai di farina bianca,
8 cucchiai di farina di grano saraceno. Aggiungete un pizzico di sale e acqua a poco a poco,
mescolando bene fino a ottenere una pastella di
giusta consistenza (deve scivolare fluidamente dal
cucchiaio).
Riempite una fondina con Casera di paese
tagliato a listarelle e versatela nella pastella amalgamando il tutto.
Riscaldate bene in una padella un filo d’olio
d’oliva, quindi inserite la pastella disposta a cucchiaiate separate.
In breve le frìtule dorano e, quando sono ben
croccanti, ribaltatele. Lasciate cuocere ancora un
po', a vostro piacimento.
Come ultima cosa potere impreziosire il piatto
di portata disponendovi le frìtule su un letto di
insalatina di stagione (squisita la valeriana spontanea diffusa sui terrazzamenti ai primi tepori
primaverili).
Servitele ben calde, ma solo dopo aver fatto firmare una liberatoria agli amici, che vi sollevi da
ogni responsabilità se gli ingordi si ustioneranno
il palato per la troppa voracità.
State tranquilli che questo semplice capolavoro
di cucina povera sazia, cementa amicizie e non le
fa rompere neppure se gli amici, invitati a cena, vi
dovessero chiedere la frìtula di vostra moglie!
138
Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Senza la fotografia forse
non avrei mai saputo nulla dell'esistenza delle montagne.
Karl Reinhard (alpinista estremo, 1946-1982)
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Le Montagne Divertenti Primavera 2012
Le Montagne Divertenti Ricette
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