Paesi e uomini - Le Montagne Divertenti
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Paesi e uomini - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti n°20 - PRIMAVERA 2012 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Don Chiari L'uomo di pianura che ci ha fatto amare le montagne Alpi Retiche Pizzo e lago di Sareggio in val Fontana Alpi Orobie Con gli sci verso gli alti gendarmi della cima Soliva Passeggiate Dagua, il paese più bello della Valmalenco Alta Valtellina Scialpinismo al colle delle Pale Rosse Valchiavenna Dov'è l'alpe Sparavera? Bassa Valtellina Escursione al Culmine di Dazio I quàtru surèli Le fontane di Sondrio Valtellinesi nel mondo Australia e reunion Pesca a mosca Uno stile di vita Fauna La volpe Fotografia Click di primavera Inoltre Ricette, poesie, foto dei lettori, giochi, libri ... Paesi e uomini che guardano dall'alto delle montagne valchiavenna - bassa valtellina - Val Màsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti IL G R UPP O B ANC ARIO AL CENTRO DELLE ALPI I - 23100 Sondrio SO piazza Giuseppe Garibaldi 16 tel. +39 0342 528111 fax +39 0342 528204 Editoriale - Che ne diresti di andare in cima alla Corna di Mara per vedere sorgere il sole? Don Vittorio Chiari era anche questo. Un prete forte e gioioso che trascinava tutti con entusiasmo e tenacia difficili da immaginare per chi non l’ha conosciuto. Lui non era una sola persona. Era mille cose. Un poliedro dai molti lati, spigoli e facce, che mostrava secondo le circostanze e le occasioni. Questo numero della rivista vuole mettere l’accento sul suo rapporto con le montagne. Un prete giovane, in formazione, arriva all’Oratorio Salesiano San Rocco di Sondrio dentro una valle circondata da altre infinite valli e cime e maggenghi e alpeggi; con un gran numero di ragazzi da accudire, stimolare, riscaldare, far crescere. E lui che fa? Si inventa la montagna. All’inizio le sue gite sono osteggiate e prese alla leggera. Poi però “crescono”. - Sei matto! Gli dicono quando lo vedono partire con 50-100 ragazzi, che ci si immagina capaci di percorrere solo pochi metri e stramazzare al suolo. Invece quei ragazzi camminano, imparano, resistono e arrivano sul Corno Stella, sul pizzo Scalino e su tante altre cime. Provate a partire a piedi da Arquino (m 450) nel cuore della notte, andare in cima al pizzo Scalino (m 3323) e scendere a Caspoggio; sembrerebbe una follia, però è molto di più! È una forza, uno stile, un carisma che ha trascinato ragazzi e adulti e che li ha aiutati a crescere. Antonio Boscacci www.popso.it [email protected] CH - 6900 Lugano via Giacomo Luvini 2a tel. +41 58 8553000 fax +41 58 8553015 www.bps-suisse.ch [email protected] I - 23100 Sondrio SO via Delle Prese 8 tel. +39 0342 210040 - 515450 fax +39 0342 514685 www.pirovano.it [email protected] Sci eStivo SnowBoard Sci di fondo I - 20122 Milano MI via Cino del Duca 12 treKKinG ed eScUrSioni tel. +39 02 58150.1 fax +39 02 58150.205 centro fitneSS www.factorit.it [email protected] centro BeneSSere QUota 3000 MeetinG la terrazza del pirovano wine Bar pUnto toUrinG 2 Gestore del SERVIZIO di CASSA del CLUB ALPINO ITALIANO Sede Centrale - Milano Le Montagne Divertenti Primavera 2012 In copertina: Valchiavenna, la piana di Gualdera in primavera, ovunque fiori, forse massima espressione della grazia che la natura può generare in un essere vivente (10 aprile 2011, foto Enrico Minotti - www.clickalps.com). Ultima di Copertina: fioritura di ranuncoli alla Braciascia in Valmalenco. Sullo sfondo la Sassa di Fora (14 maggio 2011, foto Roberto Moiola). Editoriale: monte Aga e pizzo dell'Omo riflessi nell'evanescente lago Zapello in val d'Ambria (28 maggio 2011, foto Beno). Le Montagne Divertenti 3 Editore Beno Direttore Responsabile Enrico Benedetti Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Giorgio Orsucci Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno e Giorgio Orsucci Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Adriana e Marino Amonini, Andrea Zampatti, Antonio Boscacci, Davide Gotti, Eliana e Nemo Canetta, Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Flavio Casello, Francesca Benedetti, Francesco Vaninetti, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Gianluca Sala, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giuseppe Cerfoglia, Luciano Bruseghini, Luigi Fanetti, Luisa Angelici, Manuela Grasso, Marcello Di Clemente (Dicle), Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Maurizio Torri, Nicola Giana, Paola Pizzini, Pietro Pizzini, Roberto Corona, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Rocco del Nero, Sergio Scuffi, Valter Bianchini. ARIO LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 10 52 80 108 28 Si ringraziano inoltre Chiari di luna In montagna con don Vittorio Chiari Vittorio Chiari Biografia 60 Val Fontana Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) Approfondimento 'na volta sü en Sarécc' 87 Valchiavenna Dov'è l'alpe Sparavera? Approfondimento Intervista a Giulia Rossotti 113 Valtellinesi nel mondo Australia Fauna La volpe Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio M Ezio Gianatti, Antonio e Mario Gandossini, Salesiani di Sondrio, Bruno Locatelli, Mario Maffezzini, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. 30 Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Pesca a mosca 62 Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Alta Valtellina Il colle delle Pale Rosse (m 3375) 88 Valmalenco Dagua 122 L'arte della fotografia Click di primavera annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) M Abbonamenti per l’Italia nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” 36 - www.lemontagnedivertenti.com - oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia del versamento a: [email protected] - oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati in segreteria). Riunione di famiglia La reunion di Campodolcino 69 Approfondimento Il bacino artificiale dei Forni 96 Approfondimento Frammenti di val Dagua O fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su 127 Le foto dei lettori 135 Vincitori e vinti 137 Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Giochi Ma che scimma i-è, Ma ch'èl Prossimo numero S 21 giugno 2012 38 I quatru surèli Le fontane di Sondrio Primavera 2012 70 Alpi Orobie Cima Soliva (m 2710) Le Montagne Divertenti 100 138 Bassa Valtellina Il Culmine di Dazio (m 921) Ricette della nonna Le Fritule Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers Curtegns 1864 2115 3062 Mulegns Pizzo Tambò 3278 3378 Cresta St. Moritz Juf Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Casaccia Mera Pizzo Galleggione 3107 San Cassiano Pizzo Martello 2459 3378 ra T. Code Novate Mezzola 3032 Cima del Desenigo Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio 100 Sirta MORBEGNO Delébio Rògolo Còsio Regolédo Caiolo Tartano Premana Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica Le Montagne Divertenti Barzio Carona Cùsio Piazzatorre Cassiglio Pizzo Campaggio 2502 Olmo al Brembo Pizzo del Diavolo di Tenda 2914 Monte Masuccio 2816 Pizzo Redorta 3039 TIRANO Carona Pizzo Coca 3050 Aprica Gromo Primavera 2012 Vezza d'Oglio Còrteno Monte Sellero 2743 Pizzo Camino 2492 (Nicola Giana, Pietro e Paola Pizzini) Passo del Tonale 1883 Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) (Beno) 62 Alta Valtellina Il colle delle Pale Rosse (m 3375) (G. Meneghello e R. Ganassa) 70 Alpi Orobie Cima Soliva (m 2710) (Beno) 80Valchiavenna Alpe Sparavera (m 1775) (Beno) 88Valmalenco Adamello 3554 Monte Fumo 3418 Garda Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Concarena 2549 Ponte di Legno Edolo Loveno Villa Vione Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Vilminore Colere Cortenedolo Malonno Monte Torena 2911 Pezzo Incudine Monno Passo dell'Aprica Monte Gleno 2883 Valbondione Passo del Vivione 1828 Gandellino Corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Mazzo Tovo Lovero Sernio Schilpario Branzi Roncorbello Arigna 70 Foppolo Mezzoldo Valtorta Pasturo Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Tresenda Adda Pizzo Rodes 2829 Fumero Sondalo Punta San Matteo 3678 Passo del Gavia 2621 Le Prese Grosotto Brusio Chiuro Albosaggia San Caterina Grosio Bianzone Teglio Ponte in Valt. BORMIO Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 frana di val Pola Adda Boirolo Tresivio T. V enin a Albaredo Tremenico Bellagio 6 Bema Sondrio 36 Talamona 3136 Le Prese 52 Vetta di Ron Torre di S. Maria Postalesio Berbenno Castione Colorina 3323 88 T. Livrio Lago di Como 3114 Pizzo Scalino Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco San Martino Corni Bruciati 2845 Verceia Monte Legnone 2610 Dervio 3678 Pizzo Ligoncio Malghera Poschiavo 62 San Antonio Valdisotto Cima Saoseo 3263 T. Fo ntana Còlico Bagni del Màsino Primolo La Rösa San Carlo T. Mallero Lago di Mezzola Monte Disgrazia T. Caldenno Dongo Somaggia Cima di Castello Oga Eita Sasso Nero 2917 Chiareggio o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario 80 3308 4050 Gran Zebrù 3851 Cima de' Piazzi 3439 Cepina i od Lag chiavo Pos San Pietro Samòlaco Era Villa di Chiavenna Pizzo Badile Arnoga I quatru surèli 52 Val Fontana Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio T. Roasco Prata Camportaccio Passo del Bernina Piz Palù 2323 3906 Pizzo Bernina Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Bondo CHIAVENNA Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Sils Passo dello Stelvio 2757 Isolaccia Solda Giogo di Santa Maria 2502 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Forcola di Livigno 2315 T. La nte rna Campodolcino Can can o Trepalle Pianazzo Maloja hi d i 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Fraciscio 36Sondrio Cima la Casina Lag 3180 Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3210 Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Reno Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Julia Splügen Medels Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore Valle Val Dagua (Luciano Bruseghini, E. e N. Canetta) 100Bassa Valtellina Il Culmine di Dazio (m 921) (Fabio Pusterla) Capo di Ponte Làveno Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello 2889 Niardo © Beno 2011 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. Si comincia a doversi proteggere dal freddo e dai ferocissimi ermellini, ma per fortuna il tratto su neve è poco ripido. Occorre estrema abilità per riuscire a perdersi. Itinerario invernale adatto a chi si è appena trasferito in Valtellina da un isola tropicale e ha visto il ghiaccio solo nei cocktail. Lo spazzaneve per te non ha più misteri, ti senti pronto a nuove esperienze lontane dagli impianti di risalita. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Ne vale veramente la pena Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ore di percorrenza Una passeggiata! Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro dislivello in salita meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Sai sciare o sei un manico con le ciaspole, non hai paura del dislivello o di brevi tratti ripidi, ma, se vieni portato al pronto soccorso, preferesti avere al capezzale l'abominevole uomo delle nevi che tua suocera inferocita perché perderai giorni di lavoro! E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su terreno gelato, gamba sicura su ogni tipo di neve e pendio. E’ consigliabile una guida. su RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno, Nicola Giana e Antonio Boscacci ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. E' facile perdersi, incengiarsi o prender notte per contrattempo. Nei momenti di massima tensione spererai di poter presto ascoltare i rimproveri di tua suocera al pronto soccorso. 8 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Il tuo sogno è farti lanciar giù dalla nord del Disgrazia incatenato a una slitta, ma non trovi nessuno che ha il coraggio di darti la spinta, così cerchi alternative. Chiari di luna Speciali Antonio Boscacci Di don Chiari molti hanno scritto e continuano a scrivere con competenza ed affetto. Nella sua vita è riuscito ad essere mille cose contemporaneamente e chi ha raccontato di lui e delle sue tante attività, sempre a favore dei giovani e delle comunità nelle quali era coinvolto, ha messo in rilievo la sua energia, la sua capacità di trascinare, di essere una guida, un progetto, un luogo sicuro verso il quale dirigersi e presso il quale riposare. Il suo bisogno di ampi spazi dentro i quali muoversi, il suo desiderio di vastità sembravano mal conciliarsi con il suo stare a Sondrio, chiuso dentro una specie di gabbia di montagne incombenti da tutte le parti. Ma come fate … diceva all’inizio. Però quasi subito la gabbia si è rotta, è scomparsa, e le montagne sono diventate per lui la siepe di Leopardi. Un pretesto per vedere ancora più lontano. Per questo ha sempre amato tanto Sondrio e la Valtellina. Per questo ci ha fatto amare ancora di più, lui uomo di pianura, le montagne che da sempre circondano la nostra vita e il nostro crescere. La luna e le nubi giocano col pizzo Scalino (18 foto BenoDivertenti - www.clickalps.com). 10ottobreLe2010, Montagne Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari 11 Uomini e montagne Speciali IL CORNO STELLA - Facciamo così, intanto che loro si fermano qui a riposare e a mangiare, noi andiamo a cercare la cima. Da qualche parte deve pur esserci. Il "loro" era riferito a un centinaio di ragazzi e a qualche accompagnatore. Il "noi" invece, riguardava pochi strambi individui che in quella nebbia fissa e incartapecorita, densa e appiccicosa come lo zucchero filato, sarebbero dovuti andare alla ricerca della cima. Infatti siamo saliti per oltre un’ora e alla fine, sempre in quel grigiume, che secondo una frase molto utilizzata, si sarebbe potuto tagliare con il coltello, siamo arrivati su un cocuzzolo. 12 Le Montagne Divertenti - Ecco la nostra cima. Questo è chiaramente la sommità del Corno Stella. Non riuscendo a vedere più in là di due metri, ed essendo anche un po’ stanchi e confusi, abbiamo accettato di buon grado l’idea di essere finalmente arrivati in cima. Siccome non c’era verso di capire dove eravamo, tanto valeva pensare che eravamo davvero sul Corno Stella. Così abbiamo iniziato a scendere e, pur con qualche difficoltà di orientamento e dopo aver girovagato un po’ per i pascoli, siamo arrivati là dove saremmo dovuti arrivare, alle baite del Publino. Questa storia, come le altre storie che qui verranno raccontate, si sono svolte nella prima parte degli anni sessanta. Eravamo partiti, come spesso ci capitava in quel tempo di memo- rabili faccende, dall’Oratorio San Rocco di Sondrio. Alle 3 del mattino. Cento ragazzi che alle 3 del mattino attraversano Sondrio a piedi diretti ad Albosaggia. - Ma dove andate a quest’ora, benedetti ragazzi, è ancora buio pesto, ci aveva domandato l’unico essere umano che avevamo incontrato, un panettiere, dalle parti di piazzale Bertacchi. - Andiamo al Corno Stella. - Al Corno Stella? - Sì, proprio al Corno Stella. - Ma chi è quel matto che ha pensato a una cosa del genere? - Sono io, ha risposto don Chiari. Era proprio lui il matto che aveva proposto questa cima, dicendo che non era difficile e che si trattava solo di camminare un po’. Quando abbiamo imboccato la mulattiera per la valle del Livrio, il cielo cominciava a mandare i primi segnali di una gior- Primavera 2012 nata splendida. Alla fontana di Sant’Antonio la luce era più che sufficiente per farci trovare la bocca. Per una prima colazione. - Ragazzi, il più è fatto, da qui in avanti è tutto in piano. Pur essendo ancora un ragazzino, ero già abbastanza allenato con i numeri e mi tornava un po’ complicato pensare che, essendo noi in quel momento a m 700 e dovendo raggiungere i m 2600 del Corno Stella, il percorso fosse tutto in piano. In ogni caso, abbiamo raggiunto il Forno, la Costa e poi la Piana. - Adesso c’è una leggera salitella qui a destra e siamo arrivati. Prima però mangiamo. La leggera salitella (600 metri di dislivello) ci ha condotti alle baite del Publino. Fino alla Piana era stata una giornata bellissima. Non avevamo incontrato una nuvola. Ma quando abbiamo iniziato la salitella, è arrivato uno di quei nebbioni che non è raro trovare nelle Orobie e che il Galli-Valerio ha così ben raccontato in molti Le Montagne Divertenti dei suoi scritti. Siamo riusciti a trovare a stento le baite del Publino. La nebbia era così fitta che non riuscivamo nemmeno a vederci tutti. C’era poi una umidità tale, che avevamo tutti i capelli bagnati, come se avessimo camminato sotto l’acqua. In quelle condizioni, andare alla ricerca del Corno Stella, era un’impresa davvero ardua. Tenendo anche conto del fatto che nessuno di noi c’era mai stato prima. Però c’era anche un specie di risvolto positivo. In fondo, nella nebbia, chi mai avrebbe potuto contestarci il fatto che quella che avevamo raggiunto non fosse la sommità del Corno Stella? Anche se era tutto in piano, il salire era stata una faccenda lunga e faticosa. Immaginatevi il ritornare fino a Sondrio a piedi. Ricordo che quella sera non sono riuscito a fare le scale di casa e quando mi sono seduto in cucina, non sono più stato in grado di rialzarmi. - Allora, com’era il Corno Stella? Ha domandato mio padre. Avete visto il Duomo e la Madonnina? - Ma che Duomo e che Madonnina, non abbiamo visto niente perché c’era la nebbia; però siamo riusciti lo stesso ad arrivare in cima. - Allora avete visto l’ometto di pietre e il palo di legno. - No, non ci sono più. - Come non ci sono più, li ho visti io tre settimane fa. - Magari sono stati spazzati via dal vento. - Secondo me la storia è più semplice: voi non siete arrivati sul Corno Stella. Chissà dove siete andati. Quando il giorno dopo ho riferito a don Chiari del palo e dell’ometto di pietre e dei dubbi di mio padre, lui mi ha risposto: - Noi non siamo andati sul Corno Stella, quello facile dove vanno tutti, ma in un altro lì vicino. Ne abbiamo riso per anni. Don Chiari, in basso a dx, con i ragazzi dell'Oratorio San Rocco di Sondrio. A braccia alzate don Silverio Raschetti (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). Don Vittorio Chiari 13 Uomini e montagne Speciali IL LAGO CHE NON C’È Mi aveva detto che voleva andare al lago di Arcoglio. - Fatti dire bene da tuo padre dove si trova e come dobbiamo fare per arrivarci. Se c’è la nebbia, non dobbiamo fare come al Corno Stella. Mio padre Carlo era una guida alpina, quindi "doveva" sapere ogni cosa riguardasse la montagna. Così mi aveva spiegato dove si trovasse il lago e come avremmo dovuto fare per raggiungerlo. Ripetei le stesse cose a don Chiari e lui rispose; - Meno male, è facilissimo. Immaginatevi la scena. Giornata bellissima. 120 ragazzi scendono dalle corriere a Torre di Santa Maria (è meglio che andiamo in corriera fino a Torre se no diventa un po’ lunga) e sciamano da ogni parte. - Andiamo, andiamo, questa è la strada per Ciappanico. Così siamo arrivati a Ciappanico e ai Piasci scavalcando il Torreggio. Poi su verso le baite di Arcoglio inferiore. - Non possiamo fermarci qui a mangiare, perché il lago è appena lì sopra. Cinque, massimo dieci minuti e ci arriviamo. Intanto voi tre andate avanti e quando vedete il lago, sventolate il maglione e fate un po’ di versi. I tre indicati da don Chiari erano il mio amico Daniele, mio fratello Giovanni ed io. Siccome il lago era appena lì sopra, tanto valeva che lo raggiungessimo direttamente, senza passare per Arcoglio superiore. Abbiamo iniziato a salire i pendii sotto l’anticima del monte Arcoglio. Ogni vallecola percorsa, ogni piccolo dosso che raggiungevamo, avrebbe dovuto nascondere il lago. Ma del lago non c’era nessuna traccia. Era mezz’ora che salivamo tra erbe e sassi e del lago non si vedeva l’ombra. Abbiamo anche deciso di dividerci. Niente da fare. Il lago era sparito. Così abbiamo pensato di aspettare gli altri, per capire che cosa fare. Nel lago di Arcoglio si specchiano le montagne che vanno dal pizzo Scalino (a sx) alla Corna di Mara (28 maggio 2011, foto Roberto Ganassa). 14 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari 15 Uomini e montagne Speciali accorgersi dell’aria pungente in quel luogo così bello, pieno di ragazzi che vociavano e domandavano quanto mancava ancora alla cima dello Scalino. Sempre camminando di fianco al torrente Antognasco, abbiamo risalito il gradino glaciale che introduce ai vasti ripiani dell’alpe Painale. - Quando siamo all’alpe Painale, praticamente siamo arrivati, ha detto mio padre ai ragazzi che aspettavano con ansia di vedere la nostra meta. Si era però dimenticato di aggiungere che dall’alpe alla sommità dello Scalino, c’erano ancora 1200 metri di dislivello. In ogni caso avevamo già percorso circa 1700 metri e tutto andava bene. Però è successo che, quando siamo arrivati all’alpe Painale, i pastori avevano appena finito di fare il burro e c’era un bel secchio di lac' pégn1. - Lo volete? Quattro parole prima del pranzo nella gita all'alpe Ventina e ai piedi del ghiacciaio omonimo (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). Noi eravamo assetati e quello era 1 - il latticello senza grasso che rimane nella zangola dopo aver tolto il burro. I famosi cinque minuti, massimo dieci, erano trascorsi da un gran pezzo, quando sono arrivati tutti. - Non può che essere lì sopra, ha detto don Chiari mostrandoci un avvallamento sotto la cresta che dal monte Arcoglio va al sasso Bianco. - Se qui c’è un lago, deve essere lì. Naturalmente non era lì. - Sapete, ha detto allora il carismatico nostro capo, sapete che vi dico: a volte, in anni del tutto eccezionali (e questo è un anno eccezionale), il lago di Arcoglio sparisce a causa della siccità. Peccato. Non bisogna demoralizzarsi. Attraversiamo in questa direzione e scendiamo verso Arcoglio superiore. Ci fermiamo a mangiare davanti alla chiesa. Voi tre andate a vedere se trovate il sentiero. Così, cercando il sentiero per scendere alla chiesetta, abbiamo trovato il lago di Arcoglio. Lui se ne stava lì proprio dove doveva stare. Bello, tranquillo, rilassato, con dentro l’azzurro del cielo, il verde dei pascoli e il grigio delle rocce intorno. 16 Le Montagne Divertenti IL PIZZO SCALINO - Chiedo al Marco se può venire a portarci fino ad Arquino, almeno ci risparmiamo un pezzetto di strada. Così mio padre si è messo d’accordo con mio zio Marco, che aveva un vecchio motocarro a tre ruote con il quale faceva il trasportatore di sabbia e ghiaia, perché alle 2 del mattino, si trovasse davanti a San Rocco. - Facciamo alle 2, perché la salita è un po' lunga, avevano stabilito don Chiari e mio padre, che ci avrebbe accompagnato, forte della sua esperienza di guida alpina, in quell’ennesima avventura. Siccome sul motocarro non ci potevano stare tutti, alcuni si erano avviati a piedi e altri erano andati con l’auto di non so più chi. Sull’auto c’erano otto o nove ragazzi e sul motocarro venticinque. In piedi, stretti gli uni agli altri, attenti a non cadere. Dopo averli scaricati ad Arquino, il motocarro era sceso per fare un secondo viaggio, raccogliendo quelli che stavano salendo verso Ponchiera. Tra una cosa e l’altra, abbiamo imboccato la mulattiera della val di Togno che erano quasi le 3. Allora non c’era ancora la strada che entrava in questa valle e una lunga fila di ragazzi si snodava sulla mulattiera che saliva verso Mialli e Pòrtola. Ai primi movimenti del giorno, stavamo entrando nella val di Togno ed era ormai chiaro quando siamo arrivati alla vecchia caserma della Guardia di Finanza. Prima colazione ufficiale. Poi di nuovo in viaggio verso l’alpe Rogneda. Quando ci siamo arrivati, il sole cominciava a illuminare le montagne sopra di noi. Anche questa volta era una giornata bellissima, di quelle nelle quali il cielo sembra riversarti negli occhi tutto il suo splendore. All’alpe Rogneda l’aria era un po’ pungente, ma chi poteva mai Primavera 2012 freschissimo.Insomma, una cazza2 alla volta, l’abbiamo bevuto tutto. Siccome però qualcuno era rimasto senza, i pastori ci hanno dato anche un secchio di serùn, parte del siero loro rimasto dopo la preparazione del formaggio di quella mattina. Quella volta con noi c’era anche mio zio Ferruccio, un poliziotto veneto che aveva sposato la sorella di mio padre. La cosa curiosa era che, pur non avendo mai fatto una gita, aveva scelto questa passeggiatina per migliorare le sue conoscenze nel campo della montagna. Non solo non aveva mai fatto escursioni, né corte, né lunghe, ma non aveva mai nemmeno assaggiato il lacc' pégn e il serùn. Molti dei nostri lettori non sanno che anche una sola di queste due bevande è in grado di smuovere l’intestino in maniera molto energica. Se poi le si mischia. "Apriti cielo", avrebbe detto mia nonna Maria sorridendo. Il tratto che dall’alpe Painale porta 2 - Mestolo. alla base della cresta sud dello Scalino è un grande ammasso di sassi più o meno grossi. Se avessimo potuto osservare quella scomposta fila di persone che saliva destreggiandosi tra i massi, avremmo visto che, molto spesso, dalla fila si staccava qualcuno e se ne andava dietro un sasso a liberarsi. Sarebbe sembrata a un primo sguardo superficiale, una specie di sgangherata armata Brancaleone. Arrivati sotto la cresta, abbiamo aspettato tutti i ritardatari, poi don Chiari ci ha fatto più o meno una predicozza di questo tipo. - Ragazzi, da qui in avanti non è più tempo di scherzare. Se qualcuno si fa male, viene da me che gli do anche un calcio. Così, tenendoci il più possibile vicini per non far cadere sassi sulla testa di quelli che seguivano, abbiamo risalito una specie di pendio/canale, molto ripido e accidentato e siamo arrivati sulla cresta che dallo Scalino va verso il passo del Forame. L’ultimo tratto è stato il più impe- In vetta al pizzo Scalino dopo la lunga salita da Arquino. Si noti la piccozza - piccone che si usava in quel periodo (inizio anni '60, foto archivio Salesiani). Le Montagne Divertenti Don Vittorio Chiari 17 Uomini e montagne Non è facile tenere a freno l'entusiasmo dei ragazzi, ma nemmeno quello di don Chiari (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). gnativo ma, un po’ tirando e un po’ spingendo, siamo arrivati sulla vetta. Sottolineo, per chi non lo sapesse, che Arquino si trova a m 450 e che la vetta del pizzo Scalino è a m 3323. Alpe Prabello. Meno male che ogni tanto ci si riposa (metà anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). Con la scusa che non potevamo certo ripercorrere la val di Togno, mio padre, consultatosi con don Chiari, ci annunciò che saremmo scesi a Caspoggio e che lì avremmo preso la corriera fino a Sondrio. Grande esultanza da parte di tutti. Aveva solo omesso di dire che tra noi e Caspoggio c’era il ghiacciaio dello Scalino. Prima di scendere sul ghiacciaio, mio padre ci ha raccomandato di stare in fila indiana, tenendo con una mano la corda, di non uscire dalla traccia e di non fare stupidaggini. In ogni caso, se qualcuno fosse finito in un crepaccio, cosa non probabile, ma non per questo impossibile, non c’era da spaventarsi: sarebbe stato tratto in salvo subito. Le Montagne Divertenti La corda era una vecchissima corda di canapa intrecciata, come quelle che si vedono in certe immagini a tracolla delle guide alpine dell’ottocento. Di quelle che quando si bagnavano diventavano rigide come un robusto filo di ferro. Ad una estremità (davanti) era legato don Chiari e all’altra estremità, in fondo alla fila, c’era mio padre. Il povero dio dei crepacci, vedendo tutte quelle persone vestite in modo così casual, che scendevano lungo il ghiacciaio dello Scalino cantando per farsi coraggio, attaccate con una mano a una corda, si deve essere intenerito. Così siamo scesi veloci e senza il più piccolo problema anzi, su una grande chiazza di neve che c’era ancora sotto il Cornetto, siamo riusciti anche a fare delle lunghe e piacevoli scivolate. Poi l’interminabile sentiero dall’alpe Prabello a piazzo Cavalli e l’ancor più interminabile discesa a Caspoggio. Ricordo mio padre scendere con sulle spalle il ragazzo più piccolo che era con noi, che aveva solo sette anni e del quale purtroppo non ricordo il nome. Quando è arrivata la corriera a prenderci, non riuscivamo più ad alzarci dal prato nel quale ci eravamo sdraiati. Questa è stata forse la più grande impresa compiuta dai ragazzi di un oratorio. Certo, dopo di allora se ne sono fatte molte altre di escursioni. Ma questa è stata, e rimarrà nella storia, come unica e inimitabile. Ne ho parlato tante volte con don Chiari e le nostre conclusioni sono sempre state che per fare una cosa del genere ci voleva tanto entusiasmo, ma anche un’abbondate dose di follia. Così andavano le cose in quei primi anni ‘60. Don Vittorio Chiari 19 Uomini e montagne Speciali LA POLENTA - Dunque, devi dire all’Esilde3 se ci può prestare il paiolo, quello grande, mi raccomando, e magari la farina. Il sale lo porto io. Voi preoccupatevi anche del tarài, del formaggio, dell’acqua, perché di acqua lì non ce n’è. Così don Chiari mi comunicava di aver deciso di andare in cima al Meriggio a fare la polenta. Poi ha aggiunto: - Questa volta partiamo tardi, alle quattro, perché la gita è corta e non dovremmo impiegare troppo tempo. In fondo sono solo 2000 metri di dislivello: che saranno mai. In questo modo, alle quattro di un Mercoledì di fine agosto del 1964, una cinquantina di ragazzi si muoveva dall’Oratorio San Rocco verso il Porto di Albosaggia. Mio fratello Giovanni, il mio vicino di casa Daniele e un altro nostro amico portavano la farina, il formaggio e il tarài (che aveva costruito mio padre Carlo) e io il paiolo. Per l’acqua avevamo cinque fiaschi vuoti. Li avremmo riempiti solo all’ultimo momento, il più vicino possibile alla cima. Abbiamo superato l’Adda e ci siamo infilati sulla mulattiera per la Moia. Se fino a questo punto avevamo mantenuto un passo sostenuto e un vociare piuttosto intenso, la mulattiera e la salita ci hanno costretto a un piccolo esercizio di disciplina e soprattutto a formare una specie di fila. Attraversate le case della Moia, abbiamo preso il sentiero per Gàndola e siamo arrivati alle Bratte e a Campelli. A quell’ora c’erano decine di mucche a popolare i prati e i pascoli del maggengo con i loro versi e i loro suoni. Abbiamo fatto colazione con la faccia rivolta verso la val Malenco, il gruppo del Disgrazia e quello, un po’ più lontano, del Bernina. Don Chiari, di quando in quando, tra un boccone di pane e un pezzo di 3 - Esilde è mia madre. Polenta in cima al pizzo Meriggio (agosto 1964, foto archivio Salesiani di Sondrio). 20 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti salame (quello del pòor ciùn), cercava di spiegare quali cime avevamo di fronte. Ma, per la verità, le sue spiegazioni raccoglievano pochissimi consensi in quei momenti di intensa attività masticatoria. Anche perché, oltre a questo, era a tutti nota la facilità con la quale faceva confusione e scambiava le montagne. Ricordo che una volta che eravamo a Carnale, voleva assolutamente farmi credere che da lì si vedeva il pizzo di Coca. Alla fine, quando mio padre è intervenuto nella discussione dicendo che era impossibile vedere il pizzo di Coca, don Chiari se l’è cavata dicendo che lo sapeva benissimo, ma che aveva voluto mettermi alla prova. Abbiamo risalito i prati di Campelli e, osservando dalle baite più in alto, tutto il maggengo era occupato da un lungo serpentone di ragazzi schiamazzanti. Perché in questa come in tutte le gite, quanto a risparmiare il fiato per la salita, nessuno ci pensava proprio. Forse perché di fiato, allora, ce n’era da vendere. Alla partenza da Sondrio i volontari per la polenta sembravano numerosissimi, ma a Campelli erano praticamente introvabili. Alla fine, quando ci siamo contati, eravamo sei in tutto. Abbiamo chiesto a un contadino dell’acqua e lui ci ha fatto capire che era meglio prenderla qui. - Perché più in alto c’è, però non si sa mai; magari dovete star lì un’ora per riempire un fiasco. E così abbiamo fatto. Da Campelli abbiamo scelto la strada più lunga e meno faticosa verso il Meriggio, quella che gira verso est e poi passa dalla sella sotto la punta della Piada. Qui ci siamo fermati ad aspettare tutti. Era il momento adatto per cercare qualche altro volontario che ci aiutasse a raccogliere la legna. Però i volontari, che già scarseggiavano a Campelli, alla Piada erano spariti del tutto. Non proprio del tutto del tutto, perché uno siamo riusciti a trovarlo. A questo punto, noi sette della polenta abbiamo deciso di avviarci. Soprattutto volevamo arrivare per tempo in cima per iniziare il più presto possibile ad accendere il fuoco e a metter su l’acqua. Quando ho chiesto a don Chiari di darmi il sale, lui mi ha guardato stupito. - Quale sale? - Il sale per la polenta. - Mi sono dimenticato. Per fortuna l’Esilde, che conosceva le sue proverbiali distrazioni, mi aveva dato anche un cartoccio di sale, che pesa poco e non si sa mai. Quando abbiamo lasciato la sella della Piada, la coda del serpentone era ancora al di là dall’arrivare e grandi versi provenivano ancora lontani dal bosco sottostante. Per fortuna di legna ce n’era tanta e abbiamo fatto in fretta a raccoglierla. Andavamo così veloci che, alla baita della Piada ci siamo dovuti fermare a tirare il fiato. Di acqua non ce n’era. Meno male che l’avevamo presa a Campelli. Abbiamo percorso la cresta e l’ultimo tratto della salita alla velocità della luce, tanto che quando abbiamo raggiunto la cima, in basso non si vedeva ancora arrivare nessuno. Abbiamo appeso il grosso paiolo a un robusto palo, infilato di traverso alla base della grande croce di ferro e abbiamo acceso il fuoco. La polenta cuoceva già da quasi mezz’ora, quando sono arrivati i primi ed era quasi cotta all’arrivo degli ultimi. Però ci eravamo dimenticati di un piccolo particolare. Come avremmo fatto a distribuirla. Abbiamo risolto il problema in questo modo. Ognuno ha steso il suo fazzoletto e noi, passando con il paiolo, ci abbiamo messo sopra un pezzetto di polenta e un pezzetto di formaggio. E a quelli che non avevano il fazzoletto o si vergognavano di farlo vedere tanto era ridotto male, gliela abbiamo messa direttamente sull’erba. Forse era la fame, forse era l’aria fina, sta di fatto che poche altre volte la polenta mi è sembrata così buona come questa. Cotta sotto la croce del Meriggio. Don Vittorio Chiari 21 Uomini e montagne Speciali Che c'è di meglio di una bella zuppiera di pomidoro dopo le fatiche della salita? (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). Sulla vetta della Corna di Mara (inizio anni '60, foto archivio Salesiani di Sondrio). LA CORNA DI MARA Tutto cominciò durante un torneo di calcio. A quel tempo c’erano un sacco di tornei di calcio all’Oratorio San Rocco. - Perché martedì pomeriggio non andiamo sulla Corna di Mara, mi ha detto un giorno don Chiari. - Se ti va dillo anche a tuo fratello Giovanni e a qualche tuo amico. - Verrei volentieri, risposi allettato da quella proposta, però devo fare una partita alle sei. Potremmo partire dopo. - Sì, sì. Va bene. - Ma che ci andiamo a fare di notte? - Ci andiamo … per vedere sorgere il sole. Foto ricordo al bivacco Parravicini (m 3182) sul ghiacciaio dello Scerscen superiore con don Chiari al centro (inizio anni '60, foto archivio Salesiani). - Ah, bene. Bella idea. Così quel martedì, dopo aver terminato di giocare a calcio, siamo partiti. Eravamo in cinque. Abbiamo preso la strada per Colda e la vecchia mulattiera per la Madonnina. Poco sopra la chiesa di San Giorgio e il cimitero di Monta- 22 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2012 gna, abbiamo seguito il sentiero per Ca’ Mazza e siamo arrivati alla chiesa di Santa Maria. Fin lì siamo saliti con le ultime tracce di luce. Poi il buio ha cominciato a prendere decisamente il sopravvento. Non c’era nessuna traccia di luna in giro per il cielo e inciampavamo spesso. Però, secondo la massima che, se si accende una luce, poi non ci si vede più, o quell’altra che dice, quando finiscono gli alberi, ci vedremo molto meglio, siamo andati avanti a incespicare fino al maggengo di Mara. Effettivamente, uscendo dagli alberi, il buio non era più così fitto. Però non vedevamo niente lo stesso. Alla casera di Mara ci siamo fermati a mangiare. La valle dell’Adda, in quel chiarore di stelle, era ricoperta da un velo di oscurità e di nebbie. Dietro di noi, in un luogo indefinito e indefinibile, si elevava il tratto finale della Corna di Mara. Abbiamo ripreso a camminare che era mezzanotte e mezza e quando siamo arrivati alle Cavalline era già l’una del mattino. Il giorno non dava ancora segni di vita, nemmeno impercettibili e lontani. Dando retta alle massime di cui sopra, abbiamo sbagliato strada e, alla fine, abbiamo dovuto approntare le nostre luci. Che consistevano in due lampade a petrolio che, bontà loro, non si erano ancora rotte. Facevano una luce talmente insignificante, in quelle nostre condizioni, che quando la prima si è rotta, finendo contro un sasso, abbiamo spento anche la seconda. Assolutamente inutili. Per essere più veloci nel salire, avevamo scelto una specie di direttissima. Andare su lungo il pendio sud un po’ a occhio e molto a caso. In effetti, a parte qualche problema con dei grossi blocchi, che non capivamo come aggirare, siamo attivati in cima alla Corna di Mara (m 2807) abbastanza velocemente. Erano le 3 del mattino e già più d’uno erano gli annunci dell’imminente arrivo del giorno. Faceva freddo e allora ci siamo Don Vittorio Chiari 23 Speciali Cà Leüsc, ovvero la contrada Madonnina a Montagna in Valtellina, illuminata dagli ultimi raggi di sole (3 marzo 2006, foto Matteo Gianatti). Alba sulle Alpi Orobie dalla Corna di Mara (8 settembre 2007, foto Beno). La ciàna di Cavalìnna ("Cavalline" in italiano), il rifugio Gugiatti-Sertorelli e il monte Disgrazia (3 settembre 2005, foto Beno). La Corna di Mara, oramai da tutti chiamata Corna di Mara, specchiata nel lago di Rogneda (11 luglio 2010, foto Beno). stretti dentro la coperta che mio fratello aveva portato nel suo zaino. Lui, don Chiari, aveva in testa quel suo caratteristico cappello, tutto ricoperto di spille e sonaglietti. Per ingannare la fame, abbiamo chiacchierato un po’ della polenta e funghi che anche quell’anno era venuto a mangiare con noi a Carnale. Eravamo padroni del giorno che stava per nascere. Padroni di tutto! Poi, quando Aurora dalle rosee dita ha iniziato il suo lavoro di decoratrice del cielo, c’è stata un’e- 24 Le Montagne Divertenti splosione di colori, prima verso est e poi dietro le Orobie e poi ancora alle nostre spalle, verso il Bernina. Ci eravamo chiesti quanto potesse durare il sorgere del giorno e l’arrivo del sole. È stato un attimo. Giusto il tempo di riempirci gli occhi di stupore. Adesso anche il Disgrazia era pennellato di luce. E con lui mille e mille altre montagne vicine e lontane, là fin dove si perdeva il nostro sguardo. Quello è il monte Rosa, ha detto a un tratto don Chiari mostrandoci una montagna persa nell’orizzonte. Ma, mentre diceva così, già si era voltato per osservare l’Adamello immerso in una luce ormai matura. Il fondo della Valtellina intanto, si stava liberando pian piano del mantello della notte e l’Adda stava riprendendo a vivere di argentei bagliori. Saremmo rimasti lì per sempre a stupirci, con quella luce negli occhi e quella bellezza senza fine. FORMIDABILI QUEGLI ANNI Ho ripercorso questo e molti altri itinerari anche da adulto. Ogni volta li ho trovati molto interessanti e piacevoli. Andare al pizzo Meriggio, al Corno Stella, al pizzo Scalino, alla Corna di Mara partendo a piedi da Sondrio, sono esperienze ricche e piene di emozioni. Eppure, quei percorsi fatti da ragazzino avevano un fascino in più. Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Un fascino che nessuna parola sarà mai capace di tradurre e di raccontare fino in fondo. Ho avuto ancora mille altri modi di conoscere don Chiari durante quegli anni "formidabili". Ma anche dopo, quando le nostre occasioni di incontro si sono fatte, per questioni logistiche, più rade e sporadiche, c’è sempre stato, ad unirci, questa lunga nostra amicizia, cementata negli anni anche dal reciproco rispetto per le proprie scelte personali. Quando veniva a Sondrio o in Valtellina, non mancava mai di passare a salutarci. L’ho visto tante volte, ho mangiato da mia madre la polenta, i pizzoccheri e i taròz con lui e, ogni volta, o prima o dopo, il discorso ricadeva su quegli anni, su quelle storie, sulla bellezza di quel vivere pieni di tutto. Però non giocavamo mai a quel pericoloso gioco del come era meglio il bel tempo andato. Era una cosa che non ci apparteneva. Un filo di nostalgia, quello sì... Quello ce lo permettevamo. Anche perché, come dicevamo spesso, era un antidoto contro la trista gente di questo tristissimo presente. Don Vittorio Chiari 25 Uomini e montagne Speciali CARNALE e il siludÀT L e nostre vacanze, da piccoli, le trascorrevamo a Carnale, ampio maggengo e balcone panoramico a cavallo tra la valle dell’Adda, la val Malenco e la val di Togno. Funzionava più o meno così: verso la fine di giugno mia madre cominciava a preparare il necessario per trascorrere un mese in montagna. Non è che avessimo granché da portare, però, un po’ di roba per i sei figli, un po’ di roba per lei; insomma qualcosa c’era da trasportare. I primi tempi partivamo a piedi dalla cà Paini e negli anni successivi sempre più in su seguendo la strada che si stava costruendo. Il compito di trasportare le nostre cose era affidato al motocarro di mio zio Marco, che lui adoperava normalmente per il suo lavoro di trasportatore di sabbia e ghiaia. L’andava a caricare, verso le quattro del mattino, quasi sempre alla confluenza tra il Mallero e l’Adda con l’aiuto di mio padre e mio zio Andrea. Loro poi, dico mio padre e mio zio, andavano a lavorare altrove e mio zio Marco continuava a caricare e trasportare ghiaia e sabbia per tutto il giorno. Aveva la sabbia che gli veniva fuori dagli occhi. Negli ultimi anni delle nostre vacanze a Carnale ci trasportava con il suo nuovo leoncino, piccolo camion di cui era orgogliosissimo. A metà strada tra la contrada Farina e santa Maria si fermava sotto una pianta di ciliegie e noi, salendo sopra la cabina del camion, ne facevamo una abbondante raccolta. Pur agevolati dalla costruzione della strada di santa Maria, c’era da andare a piedi. Di solito ci fermavamo a San Giovanni per una breve pausa mangiareggia e poi su fino alle baite del Pozzolo e a Carnale. L’arrivo nella nostra microscopica baita, che la zia Natalina e lo zio Omobono molto gentilmente ci concedevano, segnava la fine di un lungo, inesorabile tormento. Era soprattutto il materasso per mia madre che ci trascinavamo fin lì che ci creava un sacco di problemi. Il nostro carico era però costituito per la maggior parte da generi alimen- 26 Le Montagne Divertenti tari, dove primeggiava un gigantesco sacco di pane, che doveva durare per una settimana (ma che non ci riusciva quasi mai). C’era anche un grosso sacco di farina, perché la polenta era un altro dei nostri cibi quotidiani. Per terzo veniva la pasta, quasi sempre di un solo tipo che, opportunamente sbriciolata, serviva anche da pastina per la minestra. A volte mio padre veniva a trovarci il mercoledì o il giovedì, ed allora era festa, perché c’era il pane fresco e magari qualche pezzo di cioccolato. Arrivava alla sera, dopo il lavoro, tutto sudato per la salita a piedi (lui veniva sempre dalla cà Paini) e se ne tornava al mattino presto per essere a Sondrio alla conceria Carini alle 7. Della nostra casetta non vi posso parlare a lungo perché in realtà si trattava di un unico locale di circa 3,5 x 5 m dentro il quale abitavamo tutti, compreso un focolare che non aveva camino e disperdeva il fumo tra le piode del tetto e una piccola finestra senza vetri. Verso metà luglio, mio padre ci ricordava che don Chiari sarebbe arrivato per la solita polenta e funghi. Ormai questo era diventato un appuntamento annuale costante. Comunicatoci l’arrivo di don Chiari e dei salesiani, stava a noi occuparci della raccolta dei funghi: quelli che venivano a trovarci mangiavano come lupi e quindi cominciavamo una settimana prima. Boleti e, quando questi scarseggiavano, uregìnna (giallini, cantarelli ...), che crescevano numerose nei boschi del Büi, luogo da dove partiva l’acqua dell’unica fontana che serviva tutti i nuclei di baite di Carnale. Alla fine dei preparativi, arrivava don Chiari con gli altri preti salesiani e i ragazzi dell’Oratorio San Rocco. Mia madre aveva già messo da ore lo spezzatino a cuocere con i funghi. Qualche chilo dell’uno e qualche chilo degli altri, poi si faceva una polenta memorabile. Di una grandezza inimmaginabile. Tutto questo condito con un discreto numero di fiaschi di vino. Ogni anno un gran successo. Una volta capitò che nel rovesciare la polenta su un tavolo, adattato a grande tagliere, una parte della stessa finisse sull’erba. Dopo cinque minuti non c’era più traccia dell’accaduto. In genere tutto terminava con la promessa che faceva don Chiari di portare lui l’anno dopo la carne per lo spezzatino. Naturalmente non è mai capitato, o meglio, una volta, in verità, portò un po’ di sale. n giorno che c’era la Rosa, la nostra anziana vicina di casa, le ho chiesto di recitare il Siludàt per il don Chiari: era una strana, lunga preghiera che lei ripeteva ogni sera verso le 8:15. Siccome le porte delle nostre baite erano una a fianco dell’altra (per lei era la maśun dove andava a dormire) e poiché con la sua vecchia sedia sgangherata si metteva sull’entrata appoggiando la schiena al mucchio del fieno, la sentivamo molto bene. Era una preghiera molto speciale che mescolava italiano, muntagnùn e un po’ di latino strafüsàri, come diceva la Rosa e teneva insieme incollando un po’ di tutto, dall’Ave Maria al Padre Nostro, dall’Angele Dei alle liturgie per i poveri morti con interessanti escursioni in altre preghiere e in altri linguaggi. Una delle curiosità del Siludàt è che è sempre stata una preghiera in divenire, mai qualcosa di stabilito e stabile per sempre. Ognuno poteva aggiungerci del suo, poteva italianizzare vocaboli dialettali o viceversa, ognuno poteva riempirlo di contenuti suoi, metterci un pezzo preso da un’altra preghiera. Lo scheletro era sostanzialmente lo stesso, per tutto il resto, la preghiera si sviluppava secondo gli usi, i costumi, gli errori della nonna, della zia, della mamma, di coloro che la recitavano. Passano alcuni anni e una sera, mentre mangiavamo polenta e osei a casa di don Chiari, nella nostra conversazione ritorna il Siludàt. - Devi cercarlo e scriverlo, mi dice. Però, purtroppo, non faccio niente e la preghiera svanisce nei miei ricordi insieme alle persone che la recitavano. Negli anni successivi lo cerco in lungo e in largo senza trovarlo, quando una sera don Antonio Gandossini viene a casa mia e mi dice che, con l’aiuto di suo fratello Mario, forse lo può riscrivere. SILUDÀT U Primavera 2012 La polenta a Carnale era anche una occasione per ritrovarsi con i parenti e con gli amici (1963, foto archivio Carlo Boscacci). Il tavolo "bello" per la polenta a Carnale era lasciato alle autorità: il direttore dei Salesiani, mia madre ... (1963, foto archivio Carlo Boscacci). Don Antonio Gandossini, don Vittorio Chiari e don Simone Chiari a Montagna. Su questa omonimia don Vittorio scherzava ribadendo che don Simone non era suo figlio! (1998, foto archivio Antonio Gandossini). Le Montagne Divertenti Siludàt benedétu Diu. Ringraziàt el Zignùr, la Madùnna e la Santìsüma Trinità, el nos car Àngel me cüstodi e tüc’ i sant e i santa del paradìs e i nos bun benedét mòrt ch'ai n’a dunàt el bun dì ai ne duni ä la buna nòc’. Prümma la salütta de l'anima e pö ä quélla del còrp. Pas ai uìf. Rèquiem ai mòrt. Anch’ai fedéli defünt In uniùn strepaziùn de l'ereśia cuśeśìa uìf u mòrt cume sia disi el num de Geśü, de Giüśèp e de Maria. Geśü aiutatemi Geśü securridétemi Geśü non mai abandunàtemi. Geśü liberatemi da quell'eterna pena. Zignùr mio Geśü Crist, mi pento e mi dolgo cun tüt el mé cör de tüc’ i mé pecà. Mi pento per el paradìs c'ho pèrs e l'infèrèn che mi sono meritato. E molto più mi pento e molto più mi dolgo perché ho offeso, ho malparlato, ho strapazzato ün Diu inscì grant, inscì bun, inscì degn d'essere amato come siete voi. E per avervi offeso, per l'avvenire propongo e desidero di volere una buona morte che offendervi più. Angele Dei qui tolis mei Dimiti mi cumè sunt Pietate, superbia, illümina, custodia, rege e guèrna mè … amen.1 1 - Questa versione del Siludàt è quella ricordata da Mario e don Antonio Gandossini. Don Vittorio Chiari 27 Uomini e montagne Vorrei tanto essere e morire da clown Don Vittorio Chiari (1937 - 2011) (1964, archivio Carlo Boscacci). Don Vittorio Chiari R agazzi di strada, difficili, figli di nessuno, piccoli delinquenti: questi erano i “suoi” ragazzi, quelli che amava di più, quelli per i quali ha speso la sua vita. Vittorio Chiari è nato a Treviglio il 15 dicembre 1937. Dopo aver scelto di diventare salesiano, l’hanno mandato a fare il tirocinio a Sondrio, dove è rimasto dal 1958 al 1962. Mai scelta si è dimostrata più saggia. Pareva fosse arrivato una specie di vulcano il cui motto era quello di non stare mai fermo. E anche in quei pochi momenti nei quali sembrava assopirsi, in realtà stava pensando a nuove iniziative, a migliorare e snellire tradizioni e modi di fare un po’ incrostati dal passare del tempo, dalla pigrizia, dal depositarsi della polvere e dall’indolenza degli uomini. È ordinato sacerdote a Roma, nella parrocchia di San Giovanni Bosco il 5 Marzo 1966 e alla cerimonia partecipa una folta delegazione di adulti e ragazzi legati all’Oratorio San Rocco di Sondrio. In quell’anno entra nella casa salesiana di Arese e vi resta fino al 1973, con i suoi ragazzi difficili, quelli che lui chiamava barabit, i miei barabiti. Di ognuno di loro conosce vita, morte e miracoli, di ognuno di loro registra le emozioni, scruta ogni piega del vivere, la schifezza nella quale spesso hanno vissuto, le loro pigrizie, ribellioni, i loro sogni. I loro sogni amari e spezzati erano quelli che lo intrigavano di più. E sui loro sogni scavava, lavorava e costruiva. Centinaia di ragazzi [e genitori] devono la loro vita a lui. Nel 1974 è nominato direttore dei salesiani di Sondrio. Tra i sondriesi ritrova l’affetto di sempre, anche se con qualche difficoltà in più dovuta al momento storico e al passare degli anni. Quando se ne va, nel 1977, rimpianto da tutti, ritorna ad Arese dai suoi barabìt. I tempi stanno cambiando, i ragazzi sono cambiati, i salesiani sono Le Montagne Divertenti Il teatro era una delle passioni di don Chiari (secondo da sx) (prima metà anni '60, archivio Salesiani di Sondrio). cambiati. Lui apparentemente è un tipo tosto, deciso, energico; però, sotto quella specie di scorza, è fragile, dubbioso, per certi versi anche timido. In ogni caso, instancabile. Dentro il suo fare, c’è anche lo scrivere: sa scrivere, scrive bene e scrive molto. Dopo due anni passati a Milano come delegato per la comunicazione sociale presso l’Ispettoria Salesiana, nel 1988 viene mandato a Reggio Emilia per dare inizio, in quella città, all’opera salesiana. Trascorsi due anni a Ferrara (20032004), che in verità gli stanno un po’ stretti, è nominato responsabile del centro di Arese fino al 2009. Da quell’anno assume l’incarico di direttore del centro San Domenico Savio, la casa di Milano. Ed è lì che trascorre gli ultimi anni soprattutto scrivendo1. Nell'articolo a lui dedicato, ho parlato di lui e del suo legame con la montagna, ma Don Vittorio Chiari non è stato certo solo questo. È stato innanzitutto un prete, un grande animatore, un sapiente educatore, e mille altre cose. Ma il suo desiderio più grande era quello di essere ricordato come un clown, una specie di giullare a servizio dei deboli, degli emarginati, dei “difficili”, degli ultimi: un clown di Dio. Quando ci siamo sentiti al telefono la sera prima che se ne andasse, mi ha detto, "Ciao Antonio, ci sentiamo domani." Nessun domani. Don Vittorio Chiari ci ha lasciati l’11 Febbraio 2011. Ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio c'erano i suoi ragazzi con le loro preghiere, i loro canti, le loro lacrime. Ed erano migliaia2. 1 - Oltre a centinaia di articoli, tra i libri di Vittorio Chiari si possono ricordare: Dalle profonde radici, Il vangelo secondo Barabba, Un giorno di 5 minuti, Il Corpo racconta, I volti giovani della preghiera, I Salesiani a Sondrio, e un bel, Anche i figli di puttana sono figli di Dio, dedicato ai “suoi” ragazzi. 2 - Si ringraziano i Salesiani di Sondrio e in particolare il presidente degli ex allievi Bruno Locatelli per aver messo a disposizione una gran parte del materiale fotografico utilizzato nell’articolo. Don Vittorio Chiari 29 PESCA A MOSCA Una passione, un'arte, una filosofia di vita Valter Bianchini Un'imitazione di tricottero: non più solo un'esca, ma vera e propria opera d'arte in miniatura (foto Gianluca Sala). Pesca Speciali Un pescatore nello scenario granitico del torrente Masino (23 maggio 2011, foto Roberto Moiola). Sono due giorni che sto pescando in un fiume sperduto tra le montagne e le foreste della British Columbia canadese, immerso sino alla cintola nell’acqua gelida di ottobre. Sono in attesa che la grande trota iridea - quella che risale dal Pacifico per riprodursi nel fiume dove è nata - decida prima o poi di aggredire la mia esca, una imitazione di sanguinerola realizzata con il pelo di coniglio. Non ho ancora avuto un accenno di abboccata. Ma questi pesci sono così, se hanno la luna storta ti può capitare di pescare l’acqua per giorni, che nel gergo vuol dire non prendere nulla. 32 Le Montagne Divertenti Durante una sosta, mentre mi riscaldo sulla riva, sopraggiunge una grossa jeep targata Colorado. Mi chiedo come lo avranno trovato gli americani questo sperduto accesso al fiume a 80 km dalla prima casa, un posto che solo un profondo conoscitore del suo territorio ti può indicare. Si avvicina una donna sulla cinquantina e dal fisico asciutto e incurante della pioggia mista a neve domanda: “Hi, where are you from?” Rispondo “North of Italy, on the border with Switzerland.” Il volto della signora si illumina e mi chiede se conosco Saint Moritz e il pizzo Badile. Ovvio le dico, si trovano quasi dietro casa mia! Mi racconta di aver scalato la parete nordest del Badile tanti anni fa e di aver arrampicato sulle nostre montagne, complice un fidanzato di Davos. Ovviamente conosce Riccardo Cassin; quando le dico che è scomparso alla venerabile età di cento anni assume un’espressione triste, credo di capire che se fosse stato per lei sarebbe vissuto in eterno. Incuriosito, le chiedo cosa ci faccia un’alpinista in riva al fiume e lei risponde che, quando non arrampica, va a pescare le trote con la mosca artificiale. Mi è tornato alla mente proprio quell’incontro quando i ragazzi de Le Montagne Divertenti mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulla pesca in Valtellina. Sin dalle prime battute non hanno avuto dubbi sull’argomento da trattare: la pesca con la mosca artificiale, “perché è la tecnica che più si avvicina alla nostra filosofia”. Non so da dove abbiano tratto questa convinzione, ma in effetti è così. All’interno della grande famiglia dei pescatori, chi si dedica alla pesca con la mosca artificiale non fa mistero di appartenere ad una categoria speciale. Primavera 2012 Pescare a mosca in passato era simbolo di appartenenza ad una élite, oggi trafficano gomito a gomito con fili colorati, perline e piume, ricchi e poveri, manager e operai. La pesca a mosca annulla qualsiasi status sociale, rende tutti uguali ed è capace di disintegrare le incrollabili certezze di persone che nel loro campo lavorativo sono leader mondiali. Un piccolo pesciolino ti può ridicolizzare rifiutando decine di perfette imitazioni che tu gli hai posato con un abile lancio davanti al naso. Una delle definizioni che meglio rappresenta questa tipologia di sport l’ha data, a mio avviso, lo scrittore Fabio Genovesi: “La pesca a mosca è un capolavoro dell’inventiva umana. L’esca è semplicemente un amo al quale vengono avvolte le piume Le Montagne Divertenti Due trote pescate con la tecnica a mosca (15 agosto 2011, foto Valter Bianchini). Pesca a mosca 33 Pesca Speciali Livigno sul torrente Vallaccia a Un pomeriggio di pesca lter Bianchini). (21 agosto 2010, foto Va L' "arma" del pescatore (21 agosto 2010, foto Valter Bianchini). di vari uccelli da far volteggiare con movimenti simili agli esercizi col nastro nella ginnastica artistica e poi posare sull’acqua come se fosse un insetto. In un sol gesto, quindi, si uniscono tre mondi: le piume degli animali dell’aria aiutano noi animali della terra a catturare quelli che vivono sott’acqua, in una magia che qualcuno considera un hobby, ma è molto più giusto chiamarla passione”. Pescare con la mosca artificiale, infatti, è molto di più che non la semplice cattura di un pesce, che peraltro può essere sempre rilasciato, poiché la tecnica consente che possa ritornare nel suo elemento avendo come conseguenza solo una piccola puntura sul labbro. Niente esche vive ma solo imitazioni di insetti che vivono l’habitat fluviale, piccole opere d’arte costruite con pazienza durante i lunghi mesi invernali e che serviranno a ingannare 34 Le Montagne Divertenti il pinnuto. Usare questa tecnica equivale a instaurare un rapporto privilegiato con la natura; è un’attività lenta che non richiede fretta, proprio come l’andare in montagna, e tutt’al contrario della frenesia che accompagna le attività di ogni giorno. Dicono anche che sia un po’ come pregare in riva al fiume invece che in una chiesa e, a ben vedere, non è poi una bestemmia. “Nella nostra famiglia non c'era una chiara linea di demarcazione tra la religione e la pesca a mosca": così inizia il libro di Norman McLean “In mezzo scorre il fiume”, da cui l’omonimo film di Robert Redford. L’autore ricorda che suo padre, severo pastore presbiteriano degli anni Venti, gli raccontava che gli apostoli di Cristo erano pesca- tori e lasciava intendere, a lui e al fratello, che i pescatori più bravi del mare di Galilea pescavano a mosca. Il primo trattato sulla pesca a mosca risale al XV secolo, autrice la nobile badessa inglese Juliana Barners. Anche San Zeno, vescovo di Verona, nelle iconografie ha sempre una canna da pesca in mano e tanti altri prelati sono ricordati non per i loro sermoni ma per aver realizzato modelli di mosche artificiali intramontabili. Il pescatore a mosca è un accanito viaggiatore se appena ne ha le possibilità. Lo si può incontrare nei posti più sperduti, dai fiumi della Mongolia a quelli dell’Alaska, dai corsi d’acqua dell’Islanda e Groenlandia a quelli della Terra del Fuoco. Ma lo si avvista di frequente anche lungo i torrenti delle nostre belle vallate alpine. Già, perché in Valtellina i luoghi da favola sono proprio dietro l’angolo. Primavera 2012 A dirla tutta, il fine vero di questa forma di pesca non è tanto la cattura, ma la ricerca di ambienti naturali incontaminati. Che è poi il motivo che spinge ed ispira anche chi va in montagna. Chi pratica la pesca con la mosca artificiale è spesso impegnato in prima persona nelle battaglie in difesa dell’ambiente. Tanto per fare un nome noto, Yvon Chuinard, fondatore e proprietario di Patagonia – il marchio è frutto di un’ispirazione durante un Le Montagne Divertenti Pesca nell'ad da nei pressi della Sassella (13 novembr e 2011, foto V alter Bianchi ni). viaggio di pesca - ci mise molto del suo perché si demolisse il grande sbarramento ad uso idroelettrico realizzato sul fiume dove pescava da giovane. Trovarne dalle nostre parti di gente così! Al riguardo, nel nostro piccolo, tutti i pescatori valtellinesi sono delle vedette che vigilano sulla salvaguardia dei corsi d’acqua. Tramite UPS, da decenni siamo infatti riusciti a cre- are un baluardo a difesa dell’integrità di quei fiumi che contribuiscono significativamente alla diversità degli ecosistemi e che costituiscono un'ineguagliabile ricchezza per il paesaggio alpino. Se potremo continuare in futuro a magnificare le bellezze naturali di queste vallate, un grazie particolare deve andare ai pescatori, moschisti e non. Pesca a mosca 35 Valchiavenna Speciali RIUNIONE DI FAMIGLIA Gregorio Luigi Fanetti Chi poteva aspettarsi che qualche discendente di emigranti chiavennaschi potesse aver le vertigini lungo il sentiero del Cardinello? (12 agosto 2011). 3 agosto 2011, Campodolcino è imbandierata a festa, pronta ad accogliere qualche ospite un po' speciale. Ecco arrivare, direttamente dagli States, le famiglie Barilani, Buzzetti, Curti, Francoli, Gadola, Ghelfi, Gianoli, Guanella, Levi, Pench, Trussoni, Vener, Zaboglio e Pedretti. Per loro un ricco programma di due settimane, dedicato per intero alla scoperta del territorio chiavennasco. Un territorio che per queste persone rappresenta ben più d'una semplice meta turistica: è per loro la terra d'origine. È un ritrovo storico per le comunità della Valchiavenna: a far ritorno fra le nostre montagne sono i discendenti di un gruppo di italiani di Fraciscio e Prestone che a metà Ottocento ha lasciato la terra natia per cercar maggior fortuna nel Nuovo Continente. Alla guida di questo manipolo di emigranti v'erano lo zio di don Guanella, Tommaso, e il ticinese Monti, che ebbero l’intuito di individuare una zona ancora relativamente poco abitata e di grande potenziale svi- 36 Le Montagne Divertenti Una veduta della cittadina di Genoa (5 maggio 2010). I partecipanti allla "Reunion Genoa-Campodolcino" a Mottaletta, lungo la Via Spluga (12 agosto 2011). luppo per le nostre comunità emigranti, con un clima simile a quello della nostra valle. Il luogo da loro prescelto fu Genoa, un piccolo paese lungo il Mississippi, nello stato del Wisconsin. Lì molti italiani fecero i tagliaboschi per fornire la legna ai battelli a vapore che navigavano sul Mississippi. Il lavoro di disboscamento ha reso coltivabili molte terre oggi gestite dai loro discendenti. Per un periodo abbastanza lungo, di loro si persero quasi le tracce. Chi partiva era spesso chi aveva alle spalle le storie di maggior miseria, motivo per cui, giunti in America, avevano più da pensare a lavorare che a pensare di tornare indietro. I loro figli si sono poi impegnati ad essere bravi americani, a studiare la lingua e a integrarsi. Tanto che Genoa è stata in assoluto l’antesignana dell’insediamento agricolo italiano negli Stati Uniti, strappando numerosi elogi da parte delle autorità nordamericane. A Genoa c’è la chiesa cattolica dedicata a San Carlo: presso questa chiesa don Guanella inviò un sacerdote per dare assistenza religiosa ai suoi paesani. Nel 1910 la comunità di Genoa fece una sottoscrizione ed inviò a don Guanella un’offerta per le sue opere caritatevoli. Questo forse fu l’ultimo atto che vide rapportarsi la nostra comunità con l’Italia. Fino ad oggi. Il merito d'aver riaperto un canale di comunicazione fra i discendenti di quegli emigranti e le comunità chiavennasche è di Bill Trussoni e della moglie Rose, che negli anni scorsi hanno più d'una volta visitato Campodolcino, e che l'anno Primavera 2012 scorso sono sapientemente riusciti a dar forma a questo storico incontro, ricordato come "Reunion Genoa-Campodolcino”. D'altronde in America la ricerca delle proprie origini è molto sentita, poiché sono in molti a interrogarsi sulle proprie radici. Con l'ausilio di alcune banche dati, molti sono riusciti a conoscere i nomi di tutti gli avi fino ai primi emigranti. E in valle, Bill ha potuto contare sull'aiuto di alcuni amici che gli hanno fatto da corrispondenti svolgendo molte ricerche storiche e genealogiche. La colonia italiana ha continuato a svilupparsi, come è dimostrato dalla presenza alla Reunion di residenti in 14 stati d’America. Per alcune famiglie è stata anche l’occasione per ritrovarsi. Ecco cosa scrive una partecipante Le Montagne Divertenti alla Reunion appena tornata negli States: "Abbiamo raccontato della visita alle nostre famiglie, e mostrato loro le foto. Sono rimasti tutti entusiasti dell'unicità del viaggio, del numero di eventi e della bellezza di questa zona di cui poco si conosceva. Speriamo di aver gettato un sasso nello stagno, e che il racconto del nostro ritorno nella vostra bellissima regione vi porti altri visitatori. Ma l'unico modo in cui potremo davvero ringraziarvi è quello di tenere le nostre porte aperte per voi negli anni a venire. Saremo disponibili ad ospitare i vostri ragazzi quando vorranno trascorrere qualche tempo ai Chicago o Wisconsin. Dobbiamo mantenere attiva la connessione per il loro futuro." La Reunion di Campodolcino 37 Speciali le fontane di Sondrio Nicola Giana e Paola Pizzini e apröf la sta a ‘na grànda cantìna: dü i par càlés per béf el Grümèl, la püsè pìscena la par en ciapèl! Da quant che i-è lì i-à vedüt tanti gént a fermàs per pusà e ‘ndà via cuntént. Frescüra i-à dac’ cui so’ àqui ai regiùr, ai purét, ai vegiàt e fusbé anca ai sciùr. E de tüc’ i Sundràsch che ghe pàsa visìn ‘sti quàtru surèli i salüda i fiulìn. Poesia di Pietro Pizzini 38 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti I quàtru surèli Speciali Ad accomunare queste quattro fontane del capoluogo, proprio come delle vere sorelle, sono l’acqua della sorgente di Dagua che le alimenta, e la pietra dalla quale sono state abilmente ricavate, il granito della val Màsino. Acqua e pietra, due elementi fondamentali che caratterizzano l’intera città, presenti ovunque, silenti testimoni delle origini e delle vestigia di Sondrio. Partenza: villa Quadrio (biblioteca civica Pio Rajna) a Sondrio. Itinerario automobilistico: per raggiungere la biblioteca dalla stazione ferroviaria si attraversa (N) piazzale Bertacchi, si percorre (dx) via Nazario Sauro per 500 metri (incrocio Questura), per poi imboccare via Fiume (sx). Oltrepassata la traversa con via Trieste/via Gorizia, si è all'incrocio con via Piazzi (caserma dei Carabinieri) dove inizia via IV Novembre. Insistendo per 100 metri verso N, sulla dx si trova villa Quadrio, sede della biblioteca (1 km dalla stazione). Itinerario sintetico: villa Quadrio - fontana del Raja Convitto nazionale - Scarpatetti - piazza Quadrivio - chiesa dell'Angelo Custode - piazzetta Gualzetti - piazza Campello giardini Sassi - via Zara - villa Quadrio. Tempo previsto: 30 minuti. Attrezzatura richiesta: nessuna. Difficoltà/dislivello: 0 su 6 / 100 m. Dettagli: T. Breve passeggiata tra le vie della città. La fontana del Raja, la vecchia casa di riposo e la cinta muraria di villa Quadrio (anni '20, cartolina archivio Maurizio Cittarini). Q uesto è il primo degli itinerari che vi proporremo per riscoprire i paesi della Valtellina attraverso le loro antiche fontane e per ricostruire il percorso delle acque che le alimentano e certificare la qualità, spesso nascosta per ragioni commerciali, dell'acqua che sgorga gratuitamente dalle loro bocche. a villa Quadrio, precisamente dall'ingresso principale del giardino (O), raggiungiamo (N) l’incrocio con via Don Bosco e ci troviamo di fronte la fontana del Raja1. Fu collocata proprio lì, esternamente al muro di cinta della casa di ricovero2. Delle "quattro sorelle", quella del Raja è la D 1 - Nome con cui da tempo immemorabile è chiamato l'imbocco dell'antica strada per Montagna. 2 - Costruita fra il 1883 e il 1885 su progetto degli ingegneri Giacomo Orsatti e Franceso Polatti in un’area agricola di proprietà della famiglia Quadrio. 40 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti più piccola e di forma assomiglia a una ciotola. Nella cartolina dei primi del ‘900 a pagina 43 si può notare il felice inserimento urbanistico della piccola fonte nella esedra ricavata nell’angolo NE dell'incrocio. In una stampa successiva (immagine sopra), due donne con gerlo sono ritratte mentre posano il fardello, forse per abbeverarsi prima di affrontare la salita verso Montagna. Sulla destra si nota il muro di cinta del giardino della villa Quadrio con la cappelletta in esso inclusa. La fontana del Raja fu luogo d’incontro ove ci si dava appuntamento per entrare o uscire dall’abitato, e la fermata delle corriere conferma ancora oggi questa sua vocazione. Si sale verso Montagna. Sul lato sx della strada un tempo c'era l'osteria "Al Raja" che offriva agli assetati una buona alternativa all'acqua della fontana. Segue casa Gianoli, notevole esempio di architettura liberty dei primi del ‘900. Siamo alla base dell'altura rocciosa del Moncucco e alla nostra sx si profila in lontananza la mole del castel Masegra. Seminascosto da vegetazione e immondizie, un cancello di lamiera incassato nella roccia chiude l’ingresso del rifugio antiaereo scavato sotto il Convitto3. Costruito contemporaneamente al tunnel antibomba della Bajacca, come questo non fu completato. I lavori di scavo iniziarono nel giugno del ’44 su progetto dell’ingegner Martinola e con la fine della guerra furono definitivamente sospesi. Si racconta che oltre alla mancanza di finanziamenti, i lavori furono rallentati per la scarsità di mano d’opera alla quale spesso sopperirono studenti di passaggio, precettati per lavorare con pala e piccone o spingere i vagoncini col materiale escavato. Benché incom3 - Una breve galleria che sbuca poco oltre nell'attiguo terreno privato. I quàtru sureli 41 Acqua e pietra, binomio antitetico e bivalente, di elementi complementari Casa Gianoli e il Convitto Nazionale ripresi dalla fermata dei bus del Raja (16 febbraio 2012, foto Beno). Alla pagina precedente: la bocca della fontana alla base del campanile di Sondrio ( 6 febbraio 2012, foto Marino Amonini). Per ascoltare le poesie di Pietro Pizzini recitate dall'autore: www.scarpatetti.it oppure www.podistivaltellinesi.it . I quàtru surèli Speciali Villa Quadrio Villa Quadrio dai giardinetti pubblici (lato S) (16 febbraio 2012, foto Beno). F u costruita tra il 1913 e il 1916 dall'architetto milanese Adolfo Zacchi come residenza del nobile, scrittore, giornalista, editore e politico Emilio Quadrio (1858-1933) e della celebre violinista Teresina Tua1 (18661956). In stile neorinascimentale con riferimenti alla tradizione locale (decorazione a graffito) e influenze liberty (decorazioni floreali nel portichetto), introdusse nuovi moduli stilistici che influenzarono fortemente l’architettura sondriese del XX secolo2. Sorse come villa suburbana d'ispirazione rinascimentale, riconducibile a sua volta ai modelli dell’antica Roma, in cui il giardino è parte integrante dell'edificato. All'esterno la villa presenta interessanti dettagli di non immediata visibilità, come le formelle in maiolica policroma di gusto rinascimentale 1 - La biografia della grande violinista è raccontata da Anna Trombetta e Luca Bianchini in Teresina Tua. L'angelo del violino, Daniela Piazza Editore, 2006. 2 - Esempi sono il restauro di palazzo Pretorio e la costruzione del palazzo di Giustizia realizzati da Antonio Giussani. 42 Le Montagne Divertenti (facciata N; lato E della cappelletta), lo stemma araldico angolare con finiture in oro zecchino, elementi decorativi in ferro battuto o anche gli stessi mattoni di fattura arigianale. el giardino originario, quasi dimezzato negli anni '60 per costruire la scuola elementare, rimangono tracce significative, purtroppo non particolarmente valorizzate e non sempre facilmente riconoscibili, come le 18 colonne parallele alla recinzione settentrionale che costituivano la struttura per una “architettura di verzura” ossia una galleria vegetale a pergolato (forse un roseto) dove passeggiare all’ombra nei mesi estivi. Accanto alla cappelletta, negletto e un po' striminzito, s'innalza altissimo un abete rosso, ultimo rimasto dei tre messi a dimora nel 1918 a ricordo della fine della prima guerra mondiale, durante la quale Teresina Tua era stata capoinfermiera della Croce Rossa a Torino e successivamente, da maggio a dicembre 1918, nell’ospedale da campo che a Sondrio accoglieva i feriti di ritorno D dal fronte3. La pianta è riconoscibile da apposita targhetta malamente inchiodata al tronco, mentre degli altri esemplari restano gli enormi ceppi a lato del colonnato. Di estremo interesse sono le bordure delle aiuole con fioriere fitomorfe in cemento decorativo lungo il fianco settentrionale della villa e la parvenza di “giardino verticale”, un tempo coltivato nelle cavità a sporgenza incluse ad arte nei muretti a scarpata4. lla morte di Emilio Quadrio, per sua esplicita volontà la Tua donò al Comune di Sondrio, con il vincolo di utilizzo a scopo culturale, la bella villa con giardino in cui oggi hanno sede la bilblioteca civica e la Società Storica Valtellinese. A 3 - Per il suo impegno Teresina Tua fu decorata con tre medaglie d’argento da parte del ministro della Guerra, del ministro degli interni e della C.R.I. 4 - Questi raffinati dettagli raccontano di un'epoca in cui anche a Sondrio furono introdotte le rinomate tecniche di giardinaggio in uso nei parchi delle ville lariane, come pure la predilezione per specie botaniche esotiche di cui i palmizi e i giganteschi cedri di villa Quadrio sono testimonianza. Primavera 2012 pleti, durante gli allarmi entrambi i rifugi furono ugualmente utilizzati dalla popolazione che aveva meno agio a raggiungere il rifugio di Scarpatetti, ultimato fin dall'agosto 1943. Forse l’odierna incuria vuol essere un modo per dimenticare quei tristi episodi, ma è pur sempre vero che tener desto il ricordo potrebbe servir da monito alle future generazioni. All’occhio attento non sfuggiranno i soprastanti terrazzamenti con muri a secco appoggiati sulla viva roccia, un tempo coltivati a vite; è sorprendente l’abilità e la maestria dei nostri antenati nel ricavare spazi utili all’attività agricola che oggi, per quanto abbandonati, conservano un'intrinseca bellezza che suggerirebbe di riconvertirli a belvedere cittadino. Poco oltre s’imbocca sulla sx la salita Giovanni Francesco Schenardi che porta al Convitto Nazionale. Ricavata nella nuda roccia, la via sale ripida in direzione O rasentando i giardini terrazzati dell’ex Imperial Regio Ginnasio di Sondrio. L’acciottolato sul quale si cammina, pur rimaneggiato, rimanda ancora all'iterazione fra acqua e pietra, all’abilità e al rapporto con l'ambiente che avevano i nostri avi. Le Montagne Divertenti Salendo, la vista si alza sopra l’abitato di Sondrio di cui la torre civica diventa l’elemento ordinatore. Raggiunto il piazzale ci appare un platano secolare, purtroppo, come un naufrago tra la marea di auto occupanti ogni centimetro libero. La vista spazia su tutta la valle e ben si comprende il motivo per cui nel 1628 proprio qui fu eretto il convento dei Cappuccini, soppresso dai napoleonici nel 1805. “Il vasto ed appropriato edificio sorge su di una collina in postura che non potrebbe essere più amena. [...] Nel 1820 vi si fondò il Collegio, cioè il ginnasio con Convitto. Nel 1860 vi si aggiunse il Liceo. Questo è tra i Convitti nazionali quello in cui per avventura la retta è minore. Sia per tale cagione, sia per la salubrità del clima, sia per le ottime tradizioni, sia per le ottime Scuole governative, Ginnasio e Liceo, Scuole tecniche e Istituto tecnico che sono in Sondrio, il numero degli alunni di questo convitto si mantenne sempre I quàtru sureli 43 L’acqua, priva di forma, è contenuta dalla pietra La fontana del Raja e l'ottocentesca "Pia casa di ricovero" (anni '20, cartolina archivio Maurizio Cittarini). Attualmente l'area è sede di un cantiere per la costruzione di due alte palazzine: prosegue l'opera di trasformazione di una piccola città armoniosa e piacevole, com'era un tempo Sondrio, in un aggregato devastato dalla speculazione edilizia iniziata nella seconda metà del '900 sacrificando ville e palazzi, non di rado sostituiti da obrobri architettonici. I quàtru surèli Speciali elevato, e fra essi molti ve ne furono e ve ne sono che vi vennero o vi vengono dalla bassa Lombardia”4. Nel 1864/65 Liceo ginnasio e Convitto furono intitolati all’abate pontasco Giuseppe Piazzi, a lungo rettore dell’istituto, omonimo nonché nipote del celebre astronomo. Tra il 1903 e il 1906 fu demolito il vecchio convento e costruito un nuovo edificio progettato da Giacomo Orsatti. Fra gli allievi celebri ricordiamo Pio Rajna, Luigi Credaro e il nipote Bruno, Palmiro Togliatti e la sorella Maria Cristina, Ausonio Zubiani, Fabio Besta, Ezio Vanoni, Pietro Fojanini, Filippo Orsatti, ma l'elenco potrebbe essere lunghissimo. Viene spontaneo il confronto con lo stato attuale della scuola 4 - Fabio Besta, Guida alla Valtellina ed alle sue acque minerali, Sondrio, stab. tipo litografico A. Moro & C., 1884. e della cultura in Italia, ma lasciamo trarre a chi legge le proprie conclusioni. nziché scendere subito dalla scalinata percorriamo il piazzale sino in fondo e, in corrispondenza della salita verso il “Piazzo”, imbocchiamo sulla sx la ripida viuzza in acciottolato5 (risc ancora integro, almeno nel primo tratto) che porta all'ultimo lavatoio di Sondrio tuttora in uso, quasi al limite superiore della contrada Scarpatetti6. Il lavatoio fu costruito nel dopoguerra e in origine era scoperto; fronteggiava l’osteria stagionale dei Puzzùn7, A 5 - Chiamata strada granda, era la via antica per Ponchiera e raggiungeva il Moncucco attraverso le vigne. D’inverno, con partenza dal Piazzo, era usata dai bambini come pista naturale per le slitte. 6 - Benché Scarpatetti sia un nome di famiglia testimoniato a Sondrio fin dal 1352, l’intitolazione della via è da riferire al casato grigionese cui apparteneva Hans Jörg Scarpatetti, governatore di valle dal 1535 e con ciò residente a Sondrio. 7 - Attività estiva della famiglia Pozzoni. una delle tante che nel quartiere offrivano un'alternativa all'acqua di fonte. Al tempo non molto remoto in cui l’acqua corrente era ancora un “lusso” a venire, la fontana principale di Scarpatetti, utilizzata anche per lavarsi, si trovava di fronte alla Curt di Scabèi8, dietro l'angolo NO di casa Colombera. Sia le vie che le corti erano pavimentate con ciottoli recuperati nei torrenti e sapientemente disposti a terra per reggere il calpestio di persone e animali (spesso con traino) che fittamente popolavano la contrada. cendendo ancora per l’antica via, oggi coperta col più comodo porfido, si raggiunge il capitello della Madonna dell’uva, che dal 1874 custodisce la statua lignea proveniente dalla demolita chiesa del convento dei Cappuccini. La terza domenica di settembre si teneva la festa della Madonna dell’Uva, in contemporanea con l’analoga festa di Colda che includeva la processione sino al Moncucco. Oltre alla vestizione della statua con abiti e monili gelosamente custoditi, la cerimonia prevedeva l’allestimento di un padiglione che, simulando la volta di una chiesa, comprendeva pure la cappelletta. Vi si accedeva tramite un grande arco trionfale costituito da un’impalcatura rivestita di sempreverdi e rampicanti. Un angolo recondito, ribassato rispetto all'imbocco della scalinata che sale al Convitto e denominato el puz, ospitava in origine il lavatoio di Scar- Le Montagne Divertenti patetti. Era incassato sotto una volta inserita nel muro di sostegno della scalinata. Un barbacane eretto a rinforzo del muro ne cela la vista, ma tutt'ora si ode il cristallino mormorio dell’acqua che scorre attraverso le rocce su cui nasce Scarpatetti. Poco avanti resta a testimonianza una vasca in pietra con canaletta di carico. Spazi esigui, di uso comune, luoghi d’incontro e di scambi, usanze ormai desuete e conservate nella memoria di anziani. ipresa la via, nel giro di poco s’intensificano gli affioramenti rocciosi e le testimonianze di come gli abitanti seppero fare di necessità virtù. Elencare i numerosi esempi sarebbe tedio per chi scrive e noia per chi legge. Citiamo solo i paracarri in pietra scanalati posti ai piedi dell'arco che immette nella Curt di Bundi dove è la trattoria Adua; avevano la duplice funzione di proteggere gli spigoli e reggere le tavole inserite a mo’ di paratoie per deviare l’acqua durante gli stratempi. Tutte da osservare attorno a noi le originali soluzioni che si celano nei portéc, nelle corti e negli angusti o aerei collegamenti verticali di questo piccolo universo roccioso. Poco prima del voltone sopra la via, accanto alla fontana che sostituisce quella in pietra con abbeveratoio per sei bovini costruita nel 1877, un cancello in lamiera cela l’ingresso del rifugio R S 8 - Ovvero "sgabelli", soprannome della famiglia Pedrazzoli legato alla bassa statura dei suoi componenti. 44 Scarpatetti: in corrispondenza della cappella della Madonna dell'uva ha inizio la salita Schenardi (16 febbraio 2012, foto Beno). Primavera 2012 Piazza Quadrivio, fra i pochi angoli di Sondrio risparmiati dagli stravolgimenti edilizi dell'ultimo secolo. Si noti la fontana a due bocche (anni '20, archivio Maurizio Cittarini). Le Montagne Divertenti I quàtru sureli 45 L'acqau a a sua volta plasma la pietra e la disgrega ridimensionandone l’idea di forte resistenza Scarpatetti e il castel Masegra visti dal piazzale del Convitto. Sullo sfondo a sx il pizzo Pidocchio e a dx il monte Rolla (16 febbraio 2012, foto Beno). I quàtru surèli Speciali A vicolo che sale verso il crap del Masegra. La chiesetta dell’Angelo Custode fu costruita fra il 1658 e il 1660 per volontà del nobile Francesco Carbonera assieme ad altri nobili lì residenti, che fecero praticare un grande scavo nella roccia per far posto all’edificio che avrebbe dovuto proteggerli dagli spiriti maligni di cui ritenevano infestate le rovine del Castelletto. Il campanile fu aggiunto nel 1763 evitando con ingegno di sbancare ulteriormente la roccia per sfruttarla invece come base d'appoggio della piccola torre pensile. La chiesa è letteralmente avvolta nel suo nido di roccia che continua sul sagrato, malauguratamente celato da un discutibile insieme di vialetti e aiuole. Rasentando l’elegante portale di casa Marlianici, in origine della famiglia Sassi, attraversiamo il passaggio del condominio che nel 1964 ha preso il posto della cinquecentesca dimora di Francesco Carbonera, con accesso diretto all'attigua chiesa da lui voluta. Raggiunta piazzetta Gualzetti pos- Pietra: espressione di solidità ed eternità antiaereo di Scarpatetti9. rrivare in piazza Quadrivio è come accedere a un salotto in cui l'atmosfera è resa accogliente dal melodioso sottofondo della fontana, udibile ancor prima di poterla vedere. Delle "quattro sorelle" è la maggiore ed è tonda come una tinozza. Assieme alla fontana del campanile costituisce la primordiale rete idrica realizzata a partire dal 1818 dopo un’epidemia di tifo, a parziale sostituzione dei malleretti scoperti che all’epoca attraversavano la città fornendo ai Sondriesi l’acqua per le necessità quotidiane. Terminata nel 1820, fu realizzata in granito della val Masino dallo scalpellino Giuseppe Peduzzi per conto dell'appaltatore fontaniere Ercole Maria Bassi. Giovanni Battista Gianoli10, scongiurando il pericolo della sua rimozione dalla piazza (ventilato negli anni ’60), le attribuisce una “particolare rude bellezza ingentilita da classiche decorazioni” e così la descrive: “La possente tazza monolitica di granito, perfettamente rotonda e scavata a sembianza di primitivo battistero, poggia su un basso gradino, e dal piede sale in leggera curva con sagome semplici sino al largo bordo levigato. Al centro s’alza massiccia una colonna pure in granito ora mozza, ma forse destinata a portare qualche statua di santo o di guerriero, che getta acqua da due bronzee maschere efebiche di raffinato gusto rinascimentale leggiadramente patinate dal tempo. Tre peraltro erano le bocche, ma vandali moderni purtroppo hanno soppresso quella verso sera con pregiudizio euritmico della bella Fontana”. Ora ne vanta addirittura quattro! opo aver assaporato la freschezza dell'acqua, imbocchiamo a dx la via Lavizzari che, in leggera salita e al cospetto di numerosi palazzi nobiliari, conduce alla piazzetta dell’Angelo Custode, ai piedi del crap chiamato anticamente Castelletto per la presenza sulla sua sommità di un piccolo fortilizio a guardia del ponte sul Mallero. Sulla stessa rupe sorgeva anche la chiesetta di S. Siro, ricordata nel nome del D 9 - Iniziata sul finire del 1942 e ultimata nell’agosto 1943, la galleria sbuca ai piedi del “crap” ove sale la scalinata che continua il vicolo S. Siro. Può contenere 700 persone. Il materiale escavato (detto "marino"), trasportato su rotaia con vagoncini, servì per la costruzione della via Lusardi. 10 - G. B. Gianoli (1880-1968) fu conservatore della biblioteca civica Pio Rajna e tra i fondatori del Museo di Storia e Arte Valtellinese. 46 Le Montagne Divertenti Momenti di sosta prima di riprendere il cammino (fontana del campanile in piazza Campello, maggio 1955, foto Mosè Bartesaghi). Una raccolta dei suoi migliori scatti è il volume: Antonio Boscacci (a cura di), Una montagna di forografie. Archivio Mosè Bartesaghi, Tipografia Bonazzi, Sondrio 1994). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti I quàtru sureli 47 I quàtru surèli Speciali 11 - Franco Monteforte (a cura di), Sondrio. Guida alla città, ed. Lyasis, Sondrio 1977, pag.26. P Piazza Campello negli anni '20 (cartolina Cittarini) e nel 2012 (foto Gianatti). Si nota l'assenza della chiesa di S. Eusebio, detta del Suffragio dalla confraternita titolare. Costruita nel 1670 al posto del cimitero annesso alla chiesa riformata (distrutti entrambi dopo l'eccidio del 1620), fu sconsacrata dai napoleonici nel 1797 e destinata all'archivio notarile istituito nel 1807. Ospitò l'archivio fin quando al podestà Bettino Bertolini non riuscì d'abbatterla per dare all'area un'ampiezza consona ai canoni fascisti. Nonostante i ripetuti tentativi Le Montagne Divertenti della Parrocchia di restituirla al culto e la strenua opposizione del presidente del Piccolo Credito Valtellinese Enrico Vitali, sostenuta dall'architetto Giovanni Muzio (artefice del Palazzo del Governo) e dal parere contrario della Sovrintendenza all'arte, grazie a un nuovo sovrintendente più in linea col regime, nel settembre 1940 l'edificio sacro più pregevole di Sondrio fu raso al suolo risparmiando solo uno dei due portali minori, tuttora visibile nella chiesa di S. Carlo a Mossini. P Il Raja e via Don Bosco oggi (16 febbraio 2012, foto Matteo Gianatti). La torre Ligariana sullo sfondo dei giardinetti Sassi e della loro fontana (16 febbraio 2012, foto Beno). 48 Ligari, viene spesso definito "torre ligariana". Anche questa fontana corse il rischio di essere spostata in un vano aperto nel vecchio cimitero (1839) o annessa alla chiesa (1843). I recenti lavori di rifacimento della piazza hanno snaturato i rapporti proporzionali tra la fontana e il suo basamento che ora appare esageratamente ampio a scapito di un minore risalto della fontana. roseguendo lungo via Piazzi raggiungiamo i giardini pubblici che nel 1922 furono donati al Comune di Sondrio insieme al palazzo Sassi de' Lavizzari e sono ora sede del Museo Valtellinese di Storia e Arte. Nello spiazzo centrale ci attende l'ultima delle "quattro sorelle", anch'essa a forma di calice. Collocata nel 1956 in occasione del primo intervento di sistemazione dei giardini (a cura del professor Renzo Sala), la fontana di granito proviene da Ardenno e porta tuttora i segni del trasporto, avvenuto -ricorda un testimone- su un camion di dimensioni non adeguate a contenerla cosicché la colonna si ruppe. Fu ricomposta, ma la linea della frattura è ancora ben visibile. Anche la vasca è crepata in più punti da cui trasuda acqua all’esterno. Un elegante finimento in ferro battuto dà slancio e leggerezza alla piccola fontana che a ben guardare sembra un guscio di noce. reso il vialetto a fianco del ritratto a mezzo busto dell'ingegner Carlo Donegani, si attraversano i giardini di palazzo Sertoli sbucando in via Zara che ci riporta al Raja, il nostro punto di partenza. Primavera 2012 Le Montagne Divertenti I quàtru sureli 49 L'acqua delle fontane di Sondrio è semplicemente buona siamo voltarci a cercare di ricomporre fra gli interstizi dei moderni edifici la sagoma sopraelevata di casa Marlianici, con la sua torre colombaia, e fantasticare sul suo splendido giardino pensile. Attraverso la galleria del vituperato condominio Campello sbuchiamo sulla piazza omonima (il toponimo Campello deriva dal fatto che “il luogo, come altri spazi simili attorno alla chiesa, fu per molto tempo adibito a cimitero"11), dove si trova la chiesa parrocchiale intitolata ai SS. Gervasio e Protasio. Di rimpetto al Municipio, antica dimora nobiliare acquistata nel 1552 dal Consiglio di Valle come sede del governatore grigione, svetta la torre civica, ai cui piedi riconosciamo la "terza sorella" dalla forma a calice. Realizzata in granito, sembra ispirarsi alla fontana settecentesca in piazza della Basilica a Tirano, forse in omaggio all’epoca di costruzione del campanile stesso. Il progetto del nuovo campanile fu in origine affidato a Pietro Ligari che però, a soli due anni dalla posa della prima pietra e per motivi non ancora chiariti, se lo vide sfilare di mano nel 1742. Gli subentrò Giacomo Cometti, che a sua volta non riuscì a portare a termine l'opera. Spettò di concludere al capacissimo architetto Pietro Solari da Bolvedro, impegnato all'epoca nella ristrutturazione di palazzo Sertoli in piazza Quadrivio, che seppe tener conto dell'originaria impostazione ligariana. In questo senso il nostro campanile, che pure differisce moltissimo da come lo aveva pensato Speciali È buona l'acqua delle fontane? Francesca Benedetti M olto spesso, per ragioni di natura economica, non viene raccontata la bontà delle acque degli acquedotti della nostra provincia. Pure negli ambienti di ristorazione è raro vedersi servita con orgoglio la caraffa di acqua del rubinetto, quasi come a voler far sentire inopportuno chi la chiede. E questo fino ad arrivare ai paradossi. Ad esempio, in un ristorante in alta Valtellina non distante dalla sede della Levissima, ad amici scambiati per forestieri è stata negata l'acqua del rubinetto con la scusa che questa non fosse potabile: il tutto per obbligarli all'acquisto della bottiglia1. Durante una gita col trenino del Bernina ho ascoltato i discorsi di una coppietta di turisti che stavano in albergo a Tirano: «Stanotte - diceva lui con la voce affranta di chi ha visto la guerra - nel frigo non c'era più acqua minerale. Io non ce la facevo più per la sete e allora ho bevuto due bicchieri di quella del rubinetto.» « Ma sei pazzo!» gli risponde lei. «Mi hanno detto - si giustifica lui con poca convinzione - che in questi paesi di montagna, in via eccezionale, ogni tanto, si può consumare anche l'acqua del rubinetto.» Cose che fanno sorridere, ma che spingono a cercare di fare una corretta informazione al contrario del geniale quanto perverso sistema di marketing che vuol convincere la gente di una falsità, cioè che l'acqua in bottiglia è migliore di quella dell'acquedotto, o addirittura, che l'acqua dell'acquedotto non è buona. In Valtellina non è assolutamente così. L'unica affermazione vera è che l'acqua in bottiglia è più costosa e dannosa per l'ambiente, vista l'inutile movimentazione di un bene già presente e di altissima qualità in tutto il nostro territorio. Le acque minerali, va comunque sottolineato, risultano particolarmente utili per la cura di determinate patologie per cui è richiesta una caratteristica che è peculiare dell'acqua di una fonte. Se questa non fosse prossima al consumatore, è allora opportuno acquistare il prodotto imbottigliato. 1 - Ovviamente non c'era alcun problema all'acquedotto, come ho avuto modo di verificare. 50 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Infine, al contrario di quel che si pensa, le norme che regolamentano le acque pubbliche sono per certi versi più rigide di quelle delle acque in bottiglia. all’analisi dell’acqua prelevata dalla fontana pubblica Sertoli a Sondrio2, sono emersi i seguenti dati: D 1) Durezza totale: 11,3 gradi francesi La quantità di sali minerali che rimangono dopo aver fatto evaporare un litro d’acqua a 180°C ne determina il residuo fisso che, nell’acqua potabile, non deve superare gli 1,5 g/litro. Quando invece si parla di durezza dell’acqua, ci si riferisce alla quantità di sali di calcio e magnesio. Un grado francese corrisponde a 10mg di carbonato di calcio per litro di acqua. 11,3 gradi sono tipici di un'acqua di durezza media. Le acque altresì molto dure sono caratterizzate da una scarsa digeribilità, causano la formazione di incrostazioni sui tubi, caldaie e pentole, e, se usate insieme a detersivi, impediscono la formazione della schiuma necessaria per l’asportazione dello sporco. 2) Conducibilità: 204 S/cm Tale valore aumenta all'aumentare delle sostanze minerali disciolte. Maggiore è la conducibilità elettrica, maggiore è il contenuto di sali minerali. 3) Ph 8.1 Corrisponde a un’acqua alcalina. In particolar modo l'alimentazione per lo sportivo dovrebbe tendere al cibo e bevande 2 - Le acque sono le medesime che alimentano le altre fontane e provengono da Dagua. Le analisi vengono effettuate ogni 2 settimane. alcalinizzanti, cercando di ridurre il cibo e bevande acidificanti. Non solo, è essenziale anche bere acqua ionizzata alcalina per drenare più velocemente gli accumuli di acido lattico. Durante un’attività fisica intensa, i cataboliti acidi, in caso di grosse quantità, possono ostacolare l'evacuazione dei lattati dai muscoli con prolungamento della fase di recupero. Per questo motivo è opportuna un'alimentazione e un’idratazione con prevalenza di cibi e acqua alcalinizzanti prima e dopo l'attività fisica. 4) Ferro: 0,011 mg/l Il ferro è un metallo molto utile al sangue per trasportare l’ossigeno ai tessuti, ma non deve superare 1mg/l. 5) solfati: 52,58 mg/l Sopra i 50 mg/l l’acqua è indicata per disturbi allo stomaco e alla bile ed è leggermente lassativa. 6) parametri microbiologici Data l’assenza di Escherichia coli, enterococchi e coliformi, si certifica che quest’acqua è microbiologicamente pura. 7) Piombo, Nichel, Cromo, Arsenico, Nitrati, Nitriti, Azoto ammoniacale, Cloruri, torbidità e odore Parametri perfettamente nella norma. In particolare, il valore di nitrati 1,64 mg/l indica che l'acqua delle fontane di Sondrio è adatta anche a bambini e neonati (si consigliano acque <10 mg/l). In conclusione l'acqua delle fontane di Sondrio è molto pregiata e particolarmente adatta per gli sportivi, viste la quantità di sali minerali e l'alcalinità. E cco il confronto di conducibilità e Ph dell'acqua che esce dalle fontane pubbliche di Sondrio con alcune acque minerali commercializzate: Acqua Ph Conducibilità fontane di Sondrio 8,1 204 S/cm Levissima 7,8 107,5 S/cm Uliveto 6 1410 S/cm Santa Croce 7,61 297 S/cm L'acqua delle fontane di Sondrio 51 Alpinismo Lago e pizzo di Sareggio Beno Salendo dall'alpe Arasé all' alpe Sareggio. La foto è stata scattata nei pressi delle torri di Sareggio, i due grandi ometti di pietra che segnalano l'arrivo all'alpe. Sullo sfondo, da sx, si stagliano contro il cielo il pizzo Calino, le cime di val Molina, la cima di Forame, la punta di Vicima, il pizzo Painale e la cima di Val di Togno. Dalla cima di Forame si stacca verso NE una bella cresta, ricca di torrioni rocciosi, che raggiunge la bella piramide della cima d'Aiada (8 marzo 2009, foto Beno). 52 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) 53 La valle dei laghi e la valle di Sareggio dalla val d'Aiada (12 dicembre 2009, foto Beno). Alpinismo Versante retico Corno dei Marci (2805) Pizzo Murascio (2762) Bocch. di Sareggio (2679) Pizzo di Sareggio (2779) Bocch. dei Marci (2675) Cima di Ganda Rossa (2741) Passo dell'Arasé (2602) La val Fontana, assieme alla val Màsino, è il luogo eletto per lo scialpinismo esplorativo in Valtellina: itinerari poco battuti o addirittura sconosciuti in valli remote e d'inverno calpestate dai soli animali selvatici. Si tratta di gite generalmente impegnative e che richiedono allenamento (la traccia è quasi sempre da battere), senso dell'orientamento, intuito e capacità di valutazione del manto nevoso. Queste zone sono infatti esposte alla caduta di grosse valanghe. Ma se questa premessa non vi spaventa, vi assicuro sciate indimenticabili e divertentissime. Q Alpe Sareggio (2241) uesta è la prima gita di scialpinismo in val Fontana che Le Montagne Divertenti propone. In quanto tale ho scelto un itinerario sì faticoso e con un lungo sviluppo, ma anche tecnicamente semplice. L'obbiettivo è il pizzo di Sareggio, una vetta di m 2779 in testa all'omonima valle, remota laterale sx (E) della val Fontana. Che lassù ci si arrivasse anche con gli sci l'ho scoperto per caso nel 2008 quando con Gioia e Nicola ci eravamo immersi senza meta nel silenzio surreale della val Fontana. Anche allora come oggi avevamo calzato gli sci già al ponte di Premelé, a nemmeno m 1000 di quota. In genere su questa strada la neve si compatta e ghiaccia velocemente, Alpe Arasè (1936) Fatica Pericolosità Partenza: ponte di Premelè (m 1000 ca). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la Strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in Val Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti e, appena dopo il centro sperimentale per la salvaguardia della selvaggina, si incontra la chiesetta di S. Rocco. 100 metri e si ignora la svolta a sx per San Bernardo. Si seguita sulla stretta via asfaltata che penetra in Val Fontana fino al ponte di Premelé, dove generalmente si lascia l'auto. In caso di strada pulita si può proseguire oltre. Il pizzo di Sareggio (anticima O) dall'alpe Sareggio. In rosso il tracciato diretto, in verde la variante più semplice (15 gennaio 2012, foto Beno). Itinerario sintetico: ponte di Premelè (m 1000) - Sant' Antonio (m 1200) - rifugio Erler (m 1400) - pian dei Cavalli (m 1550) - alpe Arasé (m 1936) - alpe Sareggio (m 2241) - pizzo di Sareggio (m 2779). Tempo previsto: 6 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da scialpinismo o ciaspole. Kit antivalanga. Con neve ghiacciata tornano utili i rampanti nell'ultimo tratto. Difficoltà/dislivello 3 su 6 / oltre 1800 m. in salita: Dettagli: OS. Non ci sono difficoltà alpinistiche. L'ultimo canale per la vetta è ripido (>35°) e la discesa dall'Arasé al fondovalle richiede buona tecnica perchè si svolge nel bosco fitto. Senza neve la gita può essere compiuta semplicemente con gli scarponi (EE). Mappe consigliate: Kompass n. 93, Bernina, 1:50000. Pizzo di Sareggio (2779) Bocchetta dei Marci (2675) 54 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 15 gennaio 2011 he ci vado a fare lassù che non c'è neve? Mi chiedo proprio questo mentre con Lele salgo tra i meleti spogli di Ponte. L'inverno quest'anno non è arrivato e neve ce n'è pochissima, confinata sulle alte cime dove il vento per di più l'ha flagellata. Triterò gli sci, ma in Sareggio devo andarci a far le foto: nella sciata del 2008 non ne avevo quasi scattate C a causa della notte che ci rincorreva, mentre nel 2009 avevo impostato la macchina sul bianco e nero, così nel mio archivio ho solo una ventina di immagini che sembran fatte prima della guerra. Che fesso. Attraversiamo il ponte di Premelè. Neve e ghiaccio ci sorprendono; la strada ne è ricoperta. Ma come? Chi ce l'ha portati? Non si può proseguire oltre, così ci sbarazziamo del Panda e, giusto per sfizio, calziamo subito gli sci pensando di doverli levare già dopo pochi metri. Curva dopo curva però, ci accorgiamo che la neve aumenta sempre più. Dopo la chiesetta, attraversiamo il paesino di Sant'Antonio. Sul muro di un edificio si notano ancora gli anelli per legare i cavalli: quello era il parcheggio della La caserma delle Guardie di Finanza in val Fontana (attuale rifugio Erler, a inizio '900 (cartolina archivio Maurizio Cittarini). Bellezza così che non è prudente salire oltre con l'automobile, anche perché sulla strada si scia e se si è qui per quello non c'è ragione di rendere la discesa più breve. Tuttavia però, in certe occasioni, è tutto pulito fin più in alto e, senza rischiare brutti incidenti, ci si riesce a portare fino al rifugio Erler. Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) 55 Alpinismo L'alpe Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno). 56 Le Montagne Divertenti Versante retico vecchia osteria. Le pelli scivolano lungo la rotabile che si copre anche di soffice polvere. La valle è in ombra e il vento, che scorre nella stessa direzione del torrente, ci congela le guance. Lo sviluppo è notevole e il ripetersi dei passi monotono e alienante. Con un buon innevamento si potrebbero tagliare tutti i tornanti. In alto a sx svetta il pizzo Calino illuminato dal sole. Un guado ci annucia la vicinanza del rifugio Erler. Dall'altra parte del torrente Val Fontana (si chiama proprio così!) ci sono le baite di Selva e, più in alto, s'alza la val Vicima, uno dei luoghi più incantevoli in cui io abbia mai sciato. Sulla dx, invece, oltre un ripido salto, è la val Combolina che coi suoi ripidi pendii si presta a ottime gite, se pur molto impegnative. "E perché se è così bello non ci va nessuno?" mi chiede Lele. "La maggior parte degli scialpinisti peccano d'egoismo e sono impegnati esclusivamente a trovare artifici per alleggerire la propria attrezzatura!", ironizzo. "È per questo che non vanno in paradiso." Sulla rotabile vi sono impronte di ciaspole, forse qualche cacciatore. Curva, controcurva, due guadi asciutti e la strada scende di qualche metro per portarci al pian dei Cavalli (m 1550, ore 2), grande distesa bianca spazzata dal vento. A sx si notano le baite dell'Ortighé, a dx quelle del Piano e, sopra di esse, il sentiero che porta in val Malgina e al passo omonimo, il valico più diretto per raggiungere la Svizzera. Sul versante NO del Combolo colpiscono le due grandi cascate che scendono dall'alto per centinaia di metri. La strada che stiamo seguendo contorna la piana sulla dx, ma per far più svelti puntiamo dritti a N e ne raggiungiamo la "sponda" settentrionale dove troviamo i resti delle piante sradicate nel marzo 2009 da una grossa valanga. Come avevamo constatato pochi giorni dopo, la grande massa nevosa era precipitata dalle pendici occidentali della cima di Ganda Rossa, arrestandosi ben lontana dagli alberi, ma generando un tale spostamento d'aria che li aveva strappati e ribaltati come fossero fili d'erba. Il pianone è finito, la valle si stringe e ci reimmergiamo nel bosco di abeti. Primavera 2012 Siamo sempre sulla rotabile dove d'estate molte coppe dell'olio metton fine ai loro giorni rompendosi contro il fondo sconnesso. Poco oltre il ponticello di legno che supera il torrente che scende dall'Arasè con le acque della val Sareggio e della valle dei Laghi, c'è un bivio1. La strada principale prende a sx in discesa e si spinge fino all'alpe Campascio, "l'ombelico della val Fontana", il ramo di dx, come confermato anche dal cartello segnaletico, è la via che dovremmo seguire per l'alpe Sareggio. Pochi metri e dalla carrareccia si diparte un ripido sentiero bollato sulla dx. Mentre d'estate lo si geue integralmente fino all'alpe Arasè, con gli sci, dopo pochi metri, si piega a dx per salire la ripida radura che s'inerpica a dx (NE) e, tagliando le curve del sentiero, giunge a ridosso della fascia rocciosa che protegge l'alpe. Le inversioni da fare sono molte e ripide, ma stando fuori dal bosco si evita di incastrarsi nei rami: lo spessore del manto nevoso, infatti, rende i passaggi angusti, essendo la potatura degli abeti fatta d'estate ad altezza d'uomo. Il sentiero, che va ora seguito, passa nel bosco al di sotto delle rocce, traversando da sx a dx (SE) fino al cancello per i cavalli posto ai piedi dei pascoli. Alla nostra dx il torrente rumoreggia dentro la sua profonda forra. Gli spazi si riaprono. La val d'Aiada e 1 - Quando non c'è neve si può arrivare fin qui con l'automobile, anche se si consiglia, per non perdersi una bella parte della passeggiata, di lasciarla al più rifugio Erler, al termine della strada asfaltata. la val Forame mostrano la loro corona di vette. Siamo all'alpe Arasé (m 1936, ore 1:30), un bel poggio panoramico alla confluenza tra le scarpate che proteggono la val Sareggio e l'angusto imbocco della valle dei laghi. Vi sono alcune baite e uno splendido stallone con capriate in legno, ultimo superstite della sua stirpe. I cacciatori, per fortuna, ne hanno recentemente bonificato la copertura impedendo all'acqua di far marcire le travi che sorreggono il pesante tetto di predùn.2 Verso E si insinua la valle dei Laghi, mentre a N un piccolo sentiero sale nel bosco di conifere in direzione dell'alpe Sareggio (Sarecc' nel dialetto locale), com'è chiamato il lembo inferiore della valle di Sareggio, grande conca di pascoli e pietraie all'estremità nord orientale della val Fontana. Anche qui, mentre d'estate torna comoda la via bollata, con la neve si deve valutare il tracciato più conveniente. Si può stare a dx, salendo dritti sopra lo stallone, oppure si può zigzagare nello stretto e ripido canalino che s'impenna verso N, proprio al di sopra delle baite3. A circa m 2150 gli alberi finiscono e alcuni grossi ometti di pietra segnalano il limite della conca di Sareggio. Ci affacciamo così alla val Sareggio. Il panorama è stupendo, così 2 - Piattoni grezzi di gneiss ricavati dalle rocce della zona. 3 - Assolutamente da evitare con neve non sicura. come la sensazione di essere fuori dal mondo. Raggiungiamo la baita rossiccia dell'alpe Sareggio (m 2241, ore 0:45), l'ultima che resiste ancora in piedi protetta dal suo tetto di lamiera. Accanto ad essa ci sono i resti dei muri perimetrali dello stallone, oltre ad altre costruzioni più piccole e a spezzoni della conduttura di metallo che portava qui l'acqua attingendola dal vicino lago di Sareggio. Il vento e le valanghe hanno ripulito le scarpate erbose a N, così i camosci stanno pascolando ai piedi del corno dei Marci. A E, in senso orario, si vede il corno dei Marci, la bocchetta dei Marci (indicato anche come bocchetta di Sareggio), il pizzo Murascio - punto panoramico sul lago di Poschiavo -, la bocchetta di Murascio e, al termine di un lungo e frastagliato crestone che precipita fin quasi all'alpe Arasé, il pizzo di Sareggio, la nostra meta. La cima, a dire il vero, non è visibile perché coperta da una delle anticime occidentali, ma dove sia è facilmente intuibile. Il fondo della valle è costituito da numerosi lobi morenici che limitano le zone di pascolo. Oltre il primo di questi c'è il lago di Sareggio. Non è molto grande, ma, come il lago di Rogneda sopra Tresivio, non mostra né immissario né estuario. Quando gela d'autunno o sgela di primavera emette boati e brontolii, quasi fosse la dimora di un piccolo mostro di Lochness. In autunno specialmente, quando al gelo si associa un calo del livello, ai boati talvolta segue lo spezzarsi della coltre di ghiaccio e l'emergere di spuntoni di roccia scura simili alle creste che hanno sul dorso certi dinosauri. Senza via obbligata, scavalchiamo il dossone a E del lago e, oltre il successivo ripiano pietroso, prendiamo la ripida vallecola sulla sx che rimonta il costolone che orla a O la conca ai piedi della bocchetta di Murascio e del versante N del pizzo di Sareggio4. Immediatamente a E del pizzo di Sareggio scende un ripido canale (oltre 35°) che, dati i flussi ventosi Il primo gelo al lago di Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno). 4 - Per chi volesse fare un itinerario meno impegnativo, consiglio di prendere quota in direzione della bocchetta di Sareggio (NNE), per poi voltarsi e traversare in direzione pizzo di Sareggio (S) lungo un tracciato molto meno ripido e più sicuro in caso di neve instabile. Le Montagne Divertenti Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) 57 Alpinismo che asportano la neve, è raramente sciabile fino in cima a causa dei massi affioranti. Oggi però, quando di neve non ce n'è da nessuna parte, proprio in questa ruga se n'è accumulata molta. Saliamo così a zig-zag perseguitati dal vento gelido. La crosta si fa dura e ci muniamo di rampanti. A N iniziano ad apparire le vette del gruppo del Bernina che fino ad ora erano nascoste dal Corno dei Marci. Gli accumuli, come quello che Eolo ha depositato in questo canale, non sono mai sicuri, per cui, per non tagliare troppo il pendio, le curve diventano sempre più strette fino a sbucare sulla cresta. Siamo su una selletta dal paesaggio estesissimo e incantevole. Levati gli sci, pochi metri lungo le rocce del filo (O, dx) ed ecco la vetta (pizzo di Sareggio, m 2779, ore 1:15). Il vento è zitto e ci lascia sdraiare sul cocuzzolo abbagliati dall'ultimo sole. Il tè esce fumante dalla thermos e nell'aria si diffonde il profumo dei mandarini che sto sbucciando. Il silen- L'origine del lago di Sareggio Davide Gotti In vetta al pizzo di Sareggio (8 marzo 2009). zio e la pace sono indescrivibili e sono una delle cose che più apprezzo della val Fontana. So che ci aspetta una bella e lunghissima discesa, interrotta solo dal noioso superamento del pian dei Cavalli, ma vorrei rimanere quassù a guardare le stelle sorgere e ruotare nel cielo. Alle fine, però, una folata di vento mi ricorda che di notte fa molto freddo e mi convince a tornare a casa. D i solito si dice che i laghetti alpini stanno in conche di sovra escavazione glaciale (conche prodottesi in seguito all’erosione glaciale). Nulla di più assurdo: anche ammesso che il ghiacciaio scavi, come potrebbe il ghiacciaio avere forza a sufficienza per scavare proprio dove ha il suo circo e quindi la sua origine? In realtà se si percorrono i sentieri delle valli laterali minori delle valli affluenti della Valtellina non si potrà fare a meno di osservare che sono caratterizzate da tutta una serie alternata di forti salite e di tratti più rilassanti in cui sono adagiati i laghetti alpini. Ciò è dovuto alla presenza di una serie macroscopica di dossi (pieghe anticlinali) e depressioni (sinclinali) generatisi a causa della deformazione delle rocce durante il sollevamento della catena alpina con andamento 58 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti quasi ortogonale a quello della valle in cui si trovano. La formazione del bacino dei singoli laghetti è variabile a seconda dei processi geomorfologici che hanno interessato le singole aree: alcuni si formano all’interno delle depressioni citate sopra in seguito alla impermeabilizzazione del terreno dovuta al trasporto di sedimenti sempre più fini da monte, mentre altri hanno una formazione molto più complessa. l lago di Sareggio, per esempio, è racchiuso tra due rock glacier (masse di blocchi spigolosi con ghiaccio all’interno che colano verso valle per gravità; sono riconoscibili per la presenza di numerosi lobi). L’incontro di queste due masse ha bloccato il corso del torrente a valle formando il bacino del lago di Sareggio successivamente impermeabilizzato dai sedimenti fini. Di questi rock glacier quello sulla sinistra del lago è relitto e interamente I inerbito (il ghiaccio all’interno non è più presente), mentre è probabile che quello sulla destra sia ancora attivo (ghiaccio all’interno) solo nelle porzioni superiori presso i coni di detrito provenienti dalla cresta O del pizzo di Sareggio. Inoltre sulla sinistra del rock glacier inerbito troviamo dei dossi erbosi allungati secondo la direzione della valle: si tratta di tre morene laterali testimoni delle ultime avanzate del ghiacciaio di Sareggio durante il ritiro successivo all’ultima massima espansione glaciale di 20000 anni fa. Il lago è alimentato dal torrente che nasce dai rock glacier attivi ai piedi del pizzo Sareggio e che scorre al di sotto delle pietraie. Il pizzo Calino specchiato nel lago di Sareggio (4 ottobre 2011, foto Fabio Pusterla). Lago e pizzo di Sareggio (m 2779) 59 Approfondimenti Versante retico 'Na volta sü en Sarécc' Beno e Fabio Pusterla S alendo oggi in Sareggio vi si trovano dei ruderi di varia grandezza, un'ultima baita che, seppur malconcia, resiste al passare degli anni, alcune coppelle1 e degli spezzoni di tubi di ferro che corrono fino al vicino al lago. Qualche cavallo viene ancora portato quassù nella bella stagione, ma un tempo la situazione era ben diversa: la grande conca di Sareggio era tra i pascoli più ambiti della val Fontana, specialmente perché il laghetto garantiva l'acqua per il bestiame. Per servire le baite con quest'acqua si erano resi necessari una pompa e un tubo di ferro che permettessero all'acqua di superare il dosso tra il lago e l'alpe. Sulla sponda occidentale del lago si trovano ancora il tubo e la nicchia dove era stata posizionata la pompa. Come ricorda Maria Baruta2 - classe 1931 di Castionetto-, la malga era gestita dai pontaschi. Lei oltre 50 anni fa andava lassù a prendere la quagiàda3 perchè suo marito, Alessio- classe 1929-, era amico del capomalga, un certo Liberio. I pontaschi erano molto accoglienti e ogni volta che Maria saliva, da intendersi in giornata e a piedi da Castionetto, gli preparavano la polenta. Ovviamente doveva presentarsi con un po' di legna, preziosissima ai tempi dato i monti erano molto più spogli di come li vediamo ora, sia perché erano stati trasformati in pascolo tutti i pendii sfruttabili, sia perché il legname era molto utilizzato per l'edilizia e per scaldare. I pastori di Sareggio erano molto puntigliosi: ognuno doveva portarsi la propria coperta, le posate e il ciapèl di legno. In Sareggio c'erano almeno 3 o 4 uomini fissi perchè c'erano oltre un centinaio di vacche. In Sareggio l'acqua era molto abbondante. A chi, come Maria Baruta, caricava con la propria fami- I resti delllo stallone dell'alpe Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno). Il tubo che aspirava l'acqua dal lago di Sareggio (4 ottobre 2011, foto Fabio Pusterla). 4 - È l'alpe ai piedi del versante orientale del pizzo Calino, 600 metri più in alto del pian dei Cavalli. Già Bruno Galli-Valerio nel 1904 affermava che i pastori del Montirolo avevano il coraggio di stare lassù solo perché reduci da terribili esperienze di guerra come lo Stelvio e Abba Garima! 1 - Rinvenute su dei massi da Antonio Boscacci. 2 - Nonna di Fabio Pusterla che ha gentilmente raccolto queste informazioni. 3 - Cagliata. 60 Le Montagne Divertenti glia un'alpe povera come il Montirololo4, Sareggio sembrava il paradiso! Maria ricorda che le torri di Sareggio, i due grandi ometti di pietra che annunciano l'alpe a chi sale dall'Arasé, sembravano sempre lontani. Una volta era salita lassù con un maglione rosso e i pastori avevano dovuto sgolarsi per avvertirla che le si stava affrontando il toro. Si dice che una mucca fu risucchiata dal lago. Ma forse questo fatto non è mai accaduto veramente: è solo una delle tante leggende che animavano le serate davanti al focolare. Dagli anni '70 il silenzio della valle è interrotto solo dai fischi dei camosci che pascolano numerosi sulle sponde erbose. I ripidi pendii di visega sulla scarpata meridionale del Corno dei Marci non trattengono la neve e le valanghe cadono frequenti liberando i prati dalla loro coperta bianca, così che gli animali trovano di che nutrirsi anche lungo l'inverno. I ruderi dello stallone dell'alpe Sareggio (26 novembre 2011, foto Beno). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti 'Na volta sü en Sarécc' 61 Alpinismo Il colle delle Pale Rosse Giacomo Meneghello e Roberto Ganassa Il colle delle Pale Rosse (m 3375) è un’ampia sella, tra la parete S del Gran Zebrù (m 3851) e costiera della cima delle Pale Rosse (m 3444), che collega la val Cedéc con la valle delle Miniere e di qui con la val Zebrù. L’escursione, benchè semplice, ha grande sviluppo. La bellezza del panorama, soprattutto al tramonto o di primo mattino, regala sempre forti emozioni. Tramonto al colle delle Pale Rosse. Sullo sfondo il monte Cevedale (21 marzo 2011, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). 62 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Colle delle Pale Rosse (m 3375) 63 Alpinismo Alta Valtellina Gran Zebrù Cima delle Pale Rosse (3851) (3444) Colle delle Pale Rosse (3375) Cime di Campo Monte Zebrù (3740) Rifugio Pizzini (2706) Il tracciato per il colle delle Pale Rosse dalla vedretta di Cedéc (5 maggio 2010, foto Roberto Ganassa, toponomastica Fabio Meraldi). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: parcheggio dei Forni (m 2150). Itinerario automobilistico: da Bormio si segue la SP29 per Santa Caterina Valfurva (13 km). Giunti in paese, dopo meno di un km si incontra un bivio dove prenderemo a sx seguendo le indicazione per i Forni. Dopo 2 km di strada pianeggiante seguono 4 km a forte pendenza che conducono al parcheggio dove finisce la strada asfaltata e aperta al traffico veicolare. Si è proprio ai piedi del rifugio Ghiacciaio dei Forni. Itinerario sintetico: parcheggio dei Forni (m 2150) – rifugio Pizzini (m 2706) – colle delle Pale Rosse (m 3375). Tempo previsto: 3 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da scialpinismo o ciaspole (imbraco e corda consigliati visto che l'itinerario si svolge in parte su ghiacciaio). Kit antivalanga. Difficoltà/dislivello 3 su 6 / 1230 m. in salita: Dettagli: MSA. L'ultimo tratto si svolge su ghiacciaio. Tracciato molto frequentato. Mappe: Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000 (attenzione ai toponimi talvolta errati). Gran Zebrù (3851) Cima delle Pale Rosse (3444) Colle delle Pale Rosse (3375) Le Montagne Divertenti n pomeriggio di fine marzo ci incamminiamo dal parcheggio dei Forni1. Pur sapendo che in primavera le gite scialpinistiche andrebbero affrontate di primo mattino per sfruttare il rigelo notturno e quindi la maggior stabilità del manto nevoso, vogliamo raggiungere il colle delle Pale Rosse con la luce radente del tramonto, per abbinare alla bella sciata delle fotografie spettacolari. Nel fare ciò ci conforta la consapevolezza che il percorso non presenta grandi pericoli e che, in questi giorni, in alta quota le temperature sono rimaste rigide. È stato semplice giungere fin qui in auto; e pensare che un tempo da Santa Caterina si saliva solo a piedi o a dorso d'asino 2. Poi fino al 1896 non c'era neppure l'albergo dei Forni, costruito da Rinaldo Buzzi per accogliere i turisti che volevano ammirare lo spettacolo del ghiacciaio dei Forni e delle vette che lo coronano3. Oggi il paesaggio è cambiato radicalmente, perché dalla fine della Piccola Età Glaciale (1450-1850) il ritiro delle nevi perenni è stato inesorabile e sempre più veloce: per la lingua del ghiacciaio dei Forni si parla di 2.65 km di lunghezza4! al parcheggio dei Forni ci sono tre possibilità per arrivare in Pizzini: 1- si continua in piano verso E per la pista (generalemnete battuta e fresata dai rifugisti) che punta alla piccola diga. Ignorata la deviazione per quest'ultima, si guada il torrente Cedéc su un ponte di legno, e, poco oltre si prende la deviazione sulla sx che, con D 1 - I toponimi forno, forni, miniera diffusi in quest'area sono correlati all'antica e intensa attività estrattiva e fusoria del materiale ferroso. 2 - "La gita fino alle baite del Forno (2102 m) può farsi sugli asini o a piedi in circa quattro ore, due all'andata, e poco più di una e mezzo al ritorno" (Guida della Valtellina, Sezione Valtellinese del Club Alpino, 1873). 3 - "Una mulattiera da Santa Caterina volge a est, rimontando il ramo destro del Frodolfo, e conduce in meno di due ore ai piedi del ghiacciaio del Forno (albergo del Forno, m. 2225)[n.d.r. spesso di trovano indicati anche col toponimo "Forno"], tanto ammirato dallo Stoppani. poco distante si trovano due belle marmitte dei giganti, e le splendide guglie di ghiaccio del Forno" (Ercole Bassi, La Valtellina. Guida illustrata, Grafiche Saspe, Milano 1927-28). 4 - "Si giunge dove la vedretta comincia (2025 m) scendendo lungo una ripida parete" (Guida della Valtellina, Sezione Valtellinese del Club Alpino, 1873). Attualmente la quota minima del ghiacciaio è a m 2499 (fonte Riccardo Scotti - SGL). Salendo la vedretta del Gran Zebrù verso il colle delle Pale Rosse (21 marzo 2011, foto Giacomo Meneghello). 64 U Primavera 2012 Le Montagne Divertenti una serie di tornanti, sale la costa fino alla malga dei Forni (m 2318). La pista prosegue poco ripida verso (N) e, attraversato il torrente Cedec sul ponte della Girella, si ricollega alla strada che dal rifugio dei Forni porta al rifugio Pizzini (m 2706, ore 1:40). 2- dal parcheggio si sale al rifugio dei Forni e si segue integralmente la strada carrozzabile (generalemnete battuta e fresata dai rifugisti). Inizialmente questa prende quota con alcuni tornanti, poi si addentra (NNE) in val Cedéc con pendenza moderata. Gli ultimi 150 metri di dislivello per il rifugio Colle delle Pale Rosse (m 3375) 65 Alpinismo Il rifugio albergo dei Forni in due cartoline d'inizio '900 (archivio Maurizio Cittarini). Alta Valtellina Pizzini (m 2706, ore 1:40) sono un po' più ripidi. 3- si segue l'itinerario precedente per una decina di minuti, quindi si prende la mulattiera militare (pista non battuta) che si stacca sulla sx (indicazioni per il "sentiero panoramico") e raggiunge le baite dei Forni (m 2327). Si continua a mezza costa, paralleli alla strada dell'itinerario precedente. Il paesaggio è splendido e molto vasto. Si incontrano i ruderi di vecchie fortificazioni militari della Grande Guerra e il relitto di una caserma (m 2547). Pianeggiando lungo una sorta di terrazzamento sulla dx orografica della val Cedéc, si raggiunge il piccolo lago Cedec5 che al disgelo torna a specchiare il Tresero, la Pedranzini, il Dosegù e il San Matteo. Poca fatica e si è al rifugio Pizzini (m 2706, ore 1:50). Dopo aver bevuto qualcosa di caldo, ripartiamo per la nostra missione fotografica al Colle delle Pale Rosse. Procediamo in leggera salita (N) e puntando alla parete S del Gran Zebrù senza itinerario obbligato. L’ampia vallata6, la pendenza moderata e l’assenza di “ostacoli” permettono infatti a ogni escursionista di inventarsi una propria via di salita, sebbene convenga sfruttare le tracce già battute dagli altri. La temperatura, fin qui mite, si è decisamente abbassata e un forte vento da N ha cominciato a sferzare ingrato contro di noi. Sebbene il colle sia già visibile (NNO), serrato tra la parete S del Gran Zebrù e la cima delle Pale Rosse, non dobbiamo sottovalutare la distanza, apparente breve per il gioco prospettico dato dalle imponenti cime e dall'ampia vallata. Oltre i m 3000 la neve che aumenta e l'aria rarefatta rallentano il nostro incedere, lasciandoci però più tempo per ammirare il panorama che inizia a disegnarsi alle nostre spalle, dominato dall’immenso ghiacciaio del Cevedale. Il sole, già basso all’orizzonte, segna l'ovest. Proseguiamo, ormai nell’om- Il rifugio Pizzini (21 marzo 2011, foto Roberto Ganassa). Nella foto in basso, da sx, il monte Giumella, la punta San Matteo, il pizzo Dosegù, la punta Pedranzini e il pizzo Tresero specchiati nel laghetto di Cedéc (19 settembre 2010, foto Roberto Ganassa). 5 - Sulla CTR il lago è semplicemente indicato come "sorgente". Non vi sono in loco cartelli che ne attestano la presenza. 6 - Qui si trova la vedretta del Gran Zebrù, erroneamente indicata sulle mappe CTR come "ghiacciaio di Cedéc". Il ghiacciaio di Cedéc è invece la bifida lingua glaciale che dal monte Cevedale cola verso la val Cedéc. 66 Le Montagne Divertenti Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Colle delle Pale Rosse (m 3375) 67 Alpinismo Cima delle Pale Rosse anticima settentrionale (3416) Cima delle Pale Rosse (3444) quota 3410 Monte Cevedale (3769) Cima Cevedale (3757) Monte Vioz (3645) e l veda iC d tta re d Ve Ce a del t t e r Ved Palon de la Mare (3703) Monte Pasquale (3553) éc ed Ve d ret t ad el P asq ua le Dal colle delle Pale Rosse (21 marzo 2011, foto Giacomo Meneghello). La vedretta di Cedec, erroneamente posizionata su CTR, è il ghiacciaio che scende nel vallone compreso tra il monte Cevedale e il monte Pasquale. Attualmenente la sua lingua è divisa in due colate. La vedretta del Pasquale è invece l'ormai misera lente di ghiaccio sotto la parete O del monte Pasquale. bra, verso la sella illuminata dalla luce radente del tramonto. Poco prima del colle delle Pale Rosse, visto che la gita sarebbe già conclusa, decidiamo di inserire una breve variante: pieghiamo a sx (SSO) sul pendio che porta all'evidente bocchetta tra l'anticima meridionale (m 3402) e la cima delle Pale Rosse (m 3444), punto panoramico sulla val Zebrù, sui gruppi montuosi che la circondano, sul Gran Zebrù e sull’intera val Cedéc. Le Tredici Cime, infine, chiudono l'orizzonte. Il contatto con la roccia, il sole basso che illumina i nostri volti, la sensazione di essere tanto piccoli, quanto grandi, ci riempie il cuore, ma manca ancora un ultimo sforzo per raggiungere la meta prefissata. Dopo un lungo traverso (S), superiamo di slancio gli ultimi metri che ci separano dalla selletta. La luce ora è perfetta e facilita 68 Le Montagne Divertenti il nostro compito fotografico, a differenza del vento gelido che frena ogni intraprendenza. Dallo spartiacque la vista spazia sull’ampia e inizialmente dolce valle delle Miniere che all'improvviso s'inabissa in val Zebrù7. orniamo sui nostri passi e raggiungiamo finalmente il colle delle Pale Rosse (m 3375, ore 2:30 - senza la variante appena descritta), da cui, infine, conquistiamo l'anticima settentrionale delle Pale Rosse (m 3416, ore 0:15). Sfiniti dal vento, più che dalla fatica, decidiamo di rientrare al rifugio Pizzini senza aspettare che il sole sparisca all’orizzonte, anche perché l’assenza di nuvole non lascia presagire alcuna “sfiammata” del cielo. Le mani congelate e il soffiare incessante del vento ci rendono difficile anche togliere le pelli, ma pro- T prio al momento di tuffarci in discesa ecco che notiamo l’ultima lingua di neve illuminata dal sole e il fantastico scenario con il Cevedale al tramonto sullo sfondo: con uno sciatore in azione sarebbe un'inquadratura bellissima. Nessuno di noi però vuole risalire a scaletta il pendio per fare da modello. Nessuno di noi, inoltre, vuole estrarre di nuovo la macchina fotografica e congelarsi del tutto le mani. Non so come abbiamo fatto a convincerci a vicenda, ma alla fine ci abbiamo provato. Un'unica curva, un'unica foto, un’unica possibilità, e la copertina di questo articolo ne è il risultato. Rientriamo nell'ombra al rifugio dove la cena calda ci ritempra: è quanto di meglio avremmo potuto chiedere dopo il freddo patito. Il bacino artificiale dei Forni Il bacino artificiale dei Forni sorge a quota 2167 metri ai piedi dell’omonimo ghiacciaio ed è un'importante opera di presa del sistema idroelettrico A2A in Valtellina. Il bacino raccoglie le acque che l’imponente ghiacciaio dei Forni rilascia assieme a quelle captate al passo del Gavia, La diga dei Forni (24 maggio 2011, foto archivio A2A). 7 - Non visibile da questa selletta. Primavera 2012 per poi inviarle alla diga di San Giacomo in val Fraele, non prima di essere utilizzate dalla centrale idroelettrica del Braulio posta sulla strada dello Stelvio. L’alta Valfurva è da sempre un bacino idrico pregiato ed importante, tanto da stimolare la realizza- Le Montagne Divertenti zione di molteplici iniziative, tra le quali la realizzazione del Sentiero Glaciologico del Centenario, realizzato nell’occasione dei cento anni di fondazione della Commissione Glaciologica Italiana, all’installazione della prima stazione meteorologia fissa su un ghiacciaio italiano nel 2005. Inoltre, mantenendo vivo l’interesse scientifico per queste aree, proprio sull’opera di presa dei Forni, A2A nel 2011 ha installato un torbidimetro; strumento capace di misurare in continuo il trasporto solido presente nell’acqua captata ed inviata nei bacini artificiali. Queste informazioni statistiche, assieme a quelle rilevate dalla stazione presente a livello del ghiacciaio dei Forni, sono visibile on line sul sito della società www.a2a.eu . Colle delle Pale Rosse (m 3375) 69 Alpinismo È una delle gite più conosciute e belle delle Alpi Orobie. Sviluppo contenuto, pendii divertenti, nessuna motoslitta e panorama emozionante sono gli ingredienti genuini di questa squisita uscita con le pelli di foca. Beno In discesa dalla cima Soliva. Scatto effettuato nei pressi delle rocce basali del pizzo Cavrin. A dx il pizzo del Salto e il passo del Forcellino (24 marzo 2011, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). 70 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710) 71 Escursionismo Alpi Orobie A l calar del sole un vento freddo agitato dalle tenebre corre tra le case di Agneda. Un'altra splendida giornata è appena finita. Mi volto e vedo il cupolone innevato della cima Soliva che continua a brillare per non arrendersi alla notte. Distinguo gli alti gendarmi che abitano la sommità del monte. L'1 settembre 1891 Bruno Galli-Valerio pose qui il primo masso, poi, pietra dopo pietra, gli ometti si sono alzati e moltiplicati per mano di altri alpinisti. uesta sera la pietra più alta è la mia; starà barcollando al vento, appoggiata alle centinaia di chi, come me, ha scelto di voler guardare per un istante il cielo un po' più da vicino e il mondo un po' più da lontano. Q Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Vedello (m 1032). Itinerario automobilistico: alla fine della tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la strada provinciale fino a Busteggia. 100 metri oltre l'ex canile (semaforo) si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello fino alla centrale di Vedello (m 1000, 6 km). Mancano 2,5 km ad Agneda, ma per non avere sorprese (strada senza parapetti), è opportuno, appena si incontra la neve, parcheggiare la macchina e proseguire a piedi o con gli sci fino ad Agneda. Itinerario sintetico: Vedello (m 1032) - Agneda (m 1228) - diga di Scais (m 1494) - baite Cornascio (m 1599) - ex villaggio delle miniere di uranio (m 1936) - bocchetta della Foppa (m 2560) - cima Soliva (m 2710). Tempo previsto: 5 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da scialpinismo o ciaspole. Kit antivalanga. Utili ramponi e piccozza per l'ultimo tratto. Difficoltà/dislivello 3 su 6 / 1670 m. in salita: Dettagli: BSA. Salita su pendii a tratti ripidi da affrontarsi solo con neve perfettamente assestata. Brevi passi di arrampicata per raggiungere la vetta (I/II). Mappe: Kompass n.104 - Foppolo - Valle Seriana, 1:50000 10 aprile 2010 C'è chi dice che la fortuna aiuta gli audaci, ma credo che quando si va a fare scialpinismo è meglio non prendersi rischi con l'auto sulla strada ghiacciata. Così abbandono il Panda nello spiazzo che precede il ponticello sul torrente Caronno, 150 metri oltre la centrale di Vedello (m 1000 ca), costruita negli anni '30 alla confluenza tra la val Venina e la val Caronno. È curioso il fatto che qui vengano turbinate, oltre a quelle dei monti di Piateda, anche le acque provenienti dal lontano lago del Publino. Attraversato il ponte, dopo una manciata di tornanti (circa 1,5 km), sono ad Agneda (m 1228, ore 0:30). Oltre la chiesa cinquecentesca di Sant'Agostino, la vista si apre sulla piana di Agneda, baciata dai primi raggi di sole, e sulle spettacolari cime che sovrastano il lago di Scais. Mi fermo accanto a una piccola pozza all'inizio della piana a guardare le forme perfette di queste montagne che hanno affascinato generazioni di alpinisti, ma che sicuramente terrorizzano chi con le rocce ha poca confidenza. 72 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710) 73 Escursionismo Alpi Orobie La chiesa di Sant'Agostino ad Agneda (3 marzo 2011, foto Beno). Sul portale è indicata la data 1515 DIE 16 MADII (16 maggio 1525). Al suo interno si trova un affresco del tardo Valorsa, come confermato dalla scritta ai piedi della ricca cornice ad intagli dorati. All'esterno della chiesa giaceva il cimitero, bonificato solo negli anni '70 del secolo scorso. Il piccolo borgo di Agneda, ora abitato solo d'estate, conobbe la sua massima espansione demografica negli anni '30, in concomitanza con la costruzione della diga di Scais. Q uello più a sx è il Medasc con le sue 7 ardite cime. La lancia all'estremità NNO (sx) è quotata 2510 ed è il Medasc propriamente detto, l'enorme montagna che sovrasta i pascoli di Caronno. Poi la dorsale corre verso SSE fino a raggiungere la poco appariscente vetta principale (m 2647). A dx del Medasc è la poco visitata valle del Mottolone, col suo ghiacciaietto. Questa conca è sospesa sopra la val Caronno e da essa è separata da una alta fascia rocciosa. La dx orografica della valle del Mottolone è delimitata dalla cresta NO della cima Soliva. Sulla dorsale spiccano l'avancorpo quotato 2496, localmente chiamato Mottolone Biot, poichè spoglio di alberi, e "l'elegante cono boscoso"1 del Mottolone Vestito. A dx della cima Soliva, sulla linea orografica principale2, oltre la bocchetta della Foppa, 1 - Alfredo Corti in Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI, Milano 1936. 2 - Questa cresta separa la valle di Vedello dalla valle di Fiumenero. Medasc, Soliva e Cavrin dalla piana di Agneda (18 febbraio 2012, foto Beno 74 Le Montagne Divertenti www.clickalps.com). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti si trova la rocciosa e arrotondata quota 2647 che Antonio Boscacci3 ha battezzato pizzo Cavrin Est. Da qui si stacca una diramazione secondaria (NO), che, dopo una profonda depressione, giunge al pizzo Cavrin (m 2547), la massiccia e slanciata torre rocciosa all'estrema dx del quadro che sto ammirando. Da altri punti della piana è anche possibile vedere il pizzo Gro (m 2653), il più a S (dx) di tutti. Ha le falde molto più ampie del pizzo Cavrin ed è inconfondibile visto che la cima è costituita da un monolita rettangolare. inito il mio ripasso di toponomastica, mi spingo verso SE attraversando tutta la piana e scorro tutti i segni dell'antropizzazione: dalla roulotte trasformata in finta baita in sasso, alla bella staccionata, al campo di calcio sulla sx, all'area di pic-nic tra gli abeti. Poi la rotabile inizia a pren- F 3 - Antonio Boscacci, Orobie Valtellinesi. Un parco naturale per lo sci alpinismo, Edizioni Albatros, Milano 1991. der quota. Rimangono sullo sfondo solo la Soliva e il Medasc, infine il solo Medasc. Dopo una piccola ansa, sono ai piedi della cascata dove si deve quasi sempre attraversare la grande valanga scesa dalle pendici della Motta di Scais. La strada si fa ripida e tortuosa. La piana e Agneda si allontanano, mentre all'orizzonte si nota il monte Disgrazia che luccica. Ignoro le indicazioni per il rifugio Mambretti all'altezza del ponte della Padella, passerella in cemento e ferro4 sospesa sopra delle bellissime marmitte dei giganti, e continuo lungo la carreggiabile fino al limite meridionale del muraglione della diga di Scais5 (m 1494, ore 1). Il lago è ancora ghiacciato, ma la crosta è stata frantumata dai continui cambi di livello del bacino. A NE si 4 - Ha sostituito l'antico e caratteristico ponte in legno. 5 - Costruita nella seconda metà degli anni '30, con le sue acque ha sommerso il villaggio di Scais. Cima Soliva (m 2710) 75 Escursionismo Alpi Orobie Cima Soliva (2710) Pizzo Cavrin Est (2647) Mottolone Biot (2496) Pizzo Gro (2653) Pizzo Cavrin (2547) Bocchetta della Foppa (2560) villaggio delle miniere di uranio (1936) arrivo funicolare staglia orgogliosa contro il cielo la testata della val Caronno con il pizzo Scotes, la cima di Caronno, la punta di Scais e le altre vette minori. Costeggio il lago da SO lungo la strada 6, poi mi allontano dal lago (dx) ed entro nella valle di Vedello, dove una fatiscente struttura di metallo7 mi dà il benvenuto. In cima alla valle c'è l'impressionante parete N del pizzo del Salto. La salita alla cima soliva si svolge per la seconda delle valli laterali alla mia sx8; si passa anche dalla prima, ma solo superando un canale impervio e sconsigliabile. Procedendo (S) a mezza costa raggiungo le baite di Cornascio, quindi, spostandomi a ridosso del letto del torrente, giungo all'altezza delle opere di regimentazione idriche delle miniere. Alcuni manufatti in cemento sono ben visibili in alto a sx. Tra di loro spicca il grande blocco che costituiva l'arrivo della funicolare. Lo prendo come punto di riferimento e, appoggiandomi al tracciato della vecchia strada di servizio, eccomi alla sua altezza nella conca che ospitava il villaggio delle miniere di uranio della valle di Vedello (m 1936, ore 1:20). Qui 30 anni fa c'era un assembramento di baracche con infermieria, dormitori, mensa e uffici. Attraversata la conca (E) ha inizio il tratto più ripido e pericoloso dell'intera gita. Salgo a sx delle rocce basali del pizzo Cavrin verso il settore alto della valle compresa tra la cresta occidentale della cima Soliva e quella che corre tra il pizzo Cavrin e la quota 2647. Le pendenze sono sostenute fino a m 2500, poi con maggiore rilassatezza posso compiere le ultime inversioni per la bocchetta della Foppa (m 2560, ore 1:40), valico di comuni6 - Le slavine cadute obbligano talvolta a dei traversi ripidi su neve ghiacciata. 7 - Era la partenza della funicolare per le miniere di uranio della valle di Vedello. Le miniere furono utilizzate per la ricerca del minerale da metà anni '70 fino al 1985, quindi dismesse e abbandonate. In estate nella conca a quota 1936 si riescono tutt'ora a vedere i punti di ancoraggio delle baracche. Per approfondimenti: "Le Montagne Divertenti, n.2, autunno 2007". 8 - La sx guardando guardando il pizzo del Salto è la dx orografica della valle di Vedello. La costiera cima Soliva - pizzo Gro dalle pendici della Motta di Scais (1 marzo 2011, foto Beno). 76 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710) 77 Alpinismo Alpi Orobie Cima Soliva (2710) Pizzo di Scotes (2978) Cima di Caronno (2945) Bocch. di Caronno Punta di Scais (3039) Pizzo di Redorta (3039) Panorama dal pizzo Cavrin Est verso la cima Soliva e il gruppo Scais-Redorta. Indicati i tracciati possibili di salita alla cima Soliva dalla bocchetta della Foppa (22 marzo 2009, foto Beno). Sotto: dalla vetta della cima Soliva guardando verso S (24 marzo 2011, foto Roberto Ganassa). Pizzo Poris (2712) Pizzo del Diavolo di Tenda (2914) Diavolino (2810) Pizzo dell'Omo (m 2773) cazione tra la valle di Vedello e la valle di Fiumenero. Piego a sx (NE) e rimonto con gli sci la dorsale9 fino alle roccette terminali. Con facile arrampicata (I-II) eccomi accanto agli altissimi ometti che addobbano la vetta10 (cima Soliva, m 2710, ore 0:20). A S, oltre la bocchetta della Foppa, c'è il pizzo Cavrin Est (m 2647), da questo versante davvero inquietante: "scende verso oriente con alcune decine di metri di roccia selvaggia che devono offrire gravi difficoltà di arrampicata"11. Tutt'attorno montagne a perdita d'occhio. Metto a fatica una pietra in cima ad uno degli ometti. È brutto esser bassi! Sperando non mi caschi in testa il masso che ho giusto faticosamente posizionato, mi sdraio accanto al gendarme. Coccolato dal tepore della luce e dal silenzio, assisto il sole che lentamente attraversa il cielo. Solo quando il fondovalle è già tutto in ombra, mi decido a ripartire per godermi la solita fantastica discesa dalla cima Soliva. 9 - È un tratto molto ripido che può convenire affrontare senza sci e con l'ausilio dei ramponi. 10 - Si può raggiungere la vetta con minori difficoltà aggirandone il testone sommitale a dx fino all'innesto della cresta che va al Medasc. Da qui un canalino (I-II) porta sulla cima. 11 - Alfredo Corti in Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI, Milano 1936. 78 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Cima Soliva (m 2710) 79 Dov'è l'alpe Escursionismo Sparavera? Beno è oltre il bosco degli allberi inclinati è oltre le placconate è oltre il canyon dello Scarione è oltre l'antro di Monte L'antro sopra Monte (28 settembre 2011, foto Beno - www.clickalps.com). 80 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 è molto lontana Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera 81 Escursionismo Valchiavenna uardando le mappe si G trovano segnati dei luoghi remoti, così remoti da rendere Pizzo di Prata (2727) impensabile che l'uomo possa esserci vissuto e lì essersi dedicato a una quasivoglia attività. Eppure le casette disegnate sulla carta certificano l'inspiegabile antropizzazione. Consideriamo la Valchiavenna e la sua montagna simbolo, il pizzo di Prata. Il suo versante S è un contorcersi di canyon, pareti di roccia, boschi pensili: un luogo a dir poco inospitale. Eppure lassù è indicata "alpe Sparavera (m 1770)". Sella di Sparavera (1810) Motta dell'Orso (758) Monte (m 1002) Malaguardia (277) Il versante S del pizzo di Prata da Santa Teresa sopra Samolaco (3 novembre 2010, foto Beno). Il lavatoio in via Macolini a Malaguardia, frazione di San Cassiano (14 gennaio 2012, foto Beno). Bellezza Partenza: San Cassiano, frazione Malaguardia, lavatoio in via Macolini (m 277). Itinerario Fatica Pericolosità automobilistico: da Colico si segue la SS36 dello Spluga in direzione Chiavenna fino a San Cassiano. Oltre il centro del paese si svolta a dx in via Malaguardia. Dopo 400 metri si prende a dx in via Macolini e la si segue fino al lavatoio ubicato 80 metri prima del suo termine (possibilità di parcheggio). Dalla rotonda di Dubino sono circa 17 km. Itinerario sintetico: Malaguardia (m 277) Motta dell’Orso (m 758) - Monte (m 1002) - val Scarione - sella di Sparavera (m 1810 ca.) - alpe Sparavera (m 1770). Tempo 82 previsto: 4 ore e mezza per la salita. Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: scarponi, uno spezzone di corda (20 metri), imbraco, un paio di cordini e moschettoni. Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / oltre 1600 m. Dettagli: EE/ alpinistica facile. Sentiero, benchè bollato, non sempre chiaro. Ambiente selvaggio e isolato, passaggi esposti su placche friabili fino al II+. Corde fisse e piastrine non affidabili. Da non sottovalutare e ASSOLUTAMENTE DA EVITARE con neve in bassa quota. Mappe consigliate: Kompass n. 92, Valchiavenna - Val Bregaglia, 1:50000 (anche se poco precisa). Primavera 2012 L'ho vista in lontananza dai pressi della cima del pizzo di Prata nel 2006 e ho pensato fosse un cumulo di baite diroccate, null'altro poteva esserci sospeso a mezz'aria fra il fondovalle e il cielo, in un luogo che anche le anime dei confinati troverebbero troppo fuori dal mondo, isolato dal resto della Valchiavenna da 1600 metri di dislivello su sentieri che, chiedendo in giro, in pochi hanno percorso. Che ci andava a fare la gente? Cosa rimane di quelle case? Le risposte vaghe dei miei informatori mi invogliano a cercare una via per arrivarci e sciogliere ogni dubbio. La Kompass con fantasia e tratto robusto, tipico delle mete classiche dell'escursionismo, segnala anche due sentieri: uno che sale da Porettina, frazione di San Cassiano e uno da Malaguardia, ma nessuna delle persone che avevo intervistato prima della gita mi aveva detto di averli percorsi interamente. Pascal, pure lui intenzionato a raggiungere Sparavera, aveva già tentato la salita da Porettina, ma dice di aver incontrato i peggiori rovi in commercio e perciò desistito. Così in una calda giornata d'autunno, spinti da una curiosità comune, arriviamo in moto a Malaguardia (m 277), per la precisione al lavatoio in via Macolini. Pascal conosce bene i valloni di questo versante, visto che vi ha aperto dei tracciati di canyoning. Mi dice che nelle gole del torrente Scarione c'è la cascata più alta della nostra provincia, un salto di 120 metri. - "E Sparavera l'hai mai vista?" Le Montagne Divertenti Ruderi a Motta dell'Orso (14 gennaio 2012, foto Beno). Dal belvedere sopra Motta dell'Orso si vede il Corno di Piodalancia (14 gennaio 2012, foto Beno). L'alpe Sparavera 83 Escursionismo Valchiavenna - "No, penso sia un cumulo di macerie abbandonate." La strada asfaltata termina nei pressi di una villetta e diviene un tratturo che si inoltra nelle selve. Un signore è lì a far legna e ci chiede dove andiamo. "È molto lontana, io non ci sono mai salito, ma dicono che è molto lontana", aggiunge. Tra le fronde degli alberi si scorge in alto la sella a NE di Motta dell'Orso. Benché il sentiero sia bollato, il fogliame, la distanza dei segnali e le numerose false tracce portano a perdere la via molto facilmente. Puntiamo a quella sella, sicuri che così non ci si possa smarrire. Sentiero o no, la direzione è quella! Ci muoviamo nel pesante letto di foglie fruscianti, goffi come i bagnanti che camminano nell'acqua bassa. Il tracciato è poco ripido fino al piede del monte, al che s'impenna e non concede più sconti ai polpacci. Attraversata la Vallaccia ci inerpichiamo per le selve di castagno abbandonate. Tra le fronde degli alberi si scoprono scorci di Valchiavenna accarezzati dalla tiepida luce dell'alba. Il sole ci abbaglia non appena calpestiamo il promontorio della Motta dell’Orso (m 758, ore 1:30). Si tratta di poche abitazioni di bella fattura, ma tutte in rovina. Una scritta sgrammaticata ci indica che qui è il regno delle capre. Nei pressi di un capitello, un cartello segnala la statua della Madonna1, posta poco più in basso su un poggio panoramico. Saliamo il crinale verso ENE finché il sentiero, dopo un'ultima baita isolata, piega a dx (E). Siamo in un bosco unico: tutti gli alberi sono inclinati verso valle, ma i loro tronchi non sono curvi, bensì dritti come fusi. Una cosa mai vista altrove. Il bosco degli alberi inclinati sopra Motta dell'Orso (14 gennaio 2012, foto Beno). 1 - È chiaramente visibile anche dal fondovalle, in cima alla grande placconata che sorregge Motta dell'Orso. Oltre il bosco pianeggiamo in una zona perseguitata dalle frane, poi al successivo poggio dobbiamo superare una pericolosa placconata attrezzata con del "filo interdentale"2. Ancora verso NE ed ecco la sella che ci guida in valle Trebecca (una volta punto di incontro con l’itinerario da Porettina, ora impraticabile a causa degli infestanti). Proseguiamo verso N e ci imbattiamo nel minuscolo nucleo di Monte (m 1002, ore 0:40), un insieme di baite in pietra crollate e bizzarri ricoveri posti sotto grandi massi. Attorno non c'è nulla. Che ci venivan su a fare? Contando le "unità immobiliari", si deduce che quassù ci stava molta gente. Ora vi sono solo le capre che cercano di rubarmi la merenda. A N, ai piedi della vicina cascata, c'è una sorta di piccolo sbarramento per raccogliere l'acqua3. oco sopra Monte c'è una pietraia. Il sentiero che l’attraversa è per un breve tratto lastricato e guida all'imbocco di una alta cavità. Qui c'è un masso con incisi dei nomi e alcune date. Per terra c'è un tappeto di Golia di capra. Risaliti ad un crinale (SE, m 1088), da cui si vede chiaramente la sella di Sparavera, fiancheggiamo l'incassata e vertiginosa valle Scarione per la sua orografica dx e, superata una placca esposta e pericolosa4, in breve scendiamo al torrente e lo attraversiamo. Questa è la via bollata, ma ora che il sentiero non viene più curato non può essere annoverata come escursionistica! Le corde o i pioli artificiali son tutti marci e inaffidabili. Sulla pietraia sopra Monte (28 settembre 2011, foto Beno). P 2 - La Guida dei Monti d'Italia del Bonacossa definisce questo tratto"malagevole sentierino da capre". Le funi di sicurezza con cui è attrezzata la parete sono marce: non fateci affidamento! 3 - A Monte c'è una grossa pianta di tiglio che è inserita negli alberi monumentali della Provincia di Sondrio e a pochi metri dalla stessa c'è una sorgente di acqua sempre presente sia in inverno che in estate anche con periodi di siccità (fonte Giuseppe Cerfoglia, capostazione del Soccorso Alpino di Chiavenna). 4 - Il detrito fine che la ricopre la rende particolarmente insidiosa. Masso inci (28 settem so nella grotta sop ra bre 2011, foto Beno Monte ). Le placconate tra Motta dell'Orso e Monte (14 gennaio 2012, foto Beno). 84 Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera si trova a NE della sella di Sparavera ed è circondata da fitte abetaie (14 gennaio 2012, foto Beno). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti L'alpe Sparavera 85 Escursionismo 5 - La traccia si tiene sempre sul lato sx al di sotto delle rocce. 6 - Con Nicola Giana sono salito a Sparavera il 14 gennaio 2012, trovando neve da Monte in avanti. In queste condizioni il percorso si rivela faticoso e complicato (non si trova il sentiero e si rischia di volare sulle placconate). Una curiosità di questa salita invernale è che abbiamo raggiunto la sella di Sparavera all'alba, ed erano le 16:55. Nel fondovalle erano già accesi i lampioni. Il sole è poi tramontato alle 17, dopo una giornata di ben 5 minuti! 7 - La baita più vecchia è la prima a scendere dopo la croce ed è datata 1884 (fonte Giuseppe Cerfoglia). Pizzo di Prata (2727) Cima Lavina (1775) Corno di Piodalancia (1862) Sella di Sparavera (1810) Monte (1002) Motta dell'Orso (758) Disgrazia di Aldo Bonacossa (1936) dice che quella che da San Cassiano passa per l'alpe Sparavera ("discreto ricovero e latte durante l'estate") è la via più breve per guadagnarne la vetta da questo versante! Beh, in fondo, sono solo 2500 metri di dislivello, capra più capra meno. L'alpe Sparavera è inoltre collegata alla val Codera con un sentiero alto8 8 - L'abbiamo percorso il 28 settembre 2011. in certi punti è difficile da trovare, ma molto suggestivo. La discesa che consiglio si svolge per la via di salita, anche se, prima di tornare a casa, dalla sella di Sparavera vale la pena fare una deviazione verso SO e, per cresta, raggiungere il panoramicissimo Corno di Piodalancia (l'IGM riporta monte Motosche, m 1870, ore 0:15), dove oltre ai laghi e all'intero fondovalle, non è raro vedere anche le aquile. La falegnameria dei versanti: la gravità modella, l’acqua leviga U na caratteristica che ricorre molto spesso nelle valli affluenti della Valtellina e della val Chiavenna è quella di essere intervallate tra di loro da versanti di forma quasi triangolare. Un esempio è il versante O del pizzo di Prata che separa la val Codera dalla val Schiesone. Questo è a sua volta solcato dalla Vallaccia, dalla val Trebecca, dalla valle Lobbia dalla val Piaggiosa, a loro volta separate da inserti di forma quasi triangolare che corrispondono, nel caso della val Trebecca, ai versanti O del monte Motosche (Corno di Piodalancia su IGM) e della quota 1153. A cosa è dovuta questa caratteristica? Per rispondere dobbiamo tor- 86 Le Montagne Divertenti nare indietro fino al Miocene (23-5 milioni di anni fa), periodo caratterizzato da intensi movimenti tra le diverse aree geologiche dell’arco alpino che hanno dato origine alle grandi valli delle Alpi (Valtellina, val Chiavenna, val Pusteria, ecc.). I continui sfregamenti lungo le linee di faglia, sepolte attualmente sotto qualche centinaio di metri di depositi di ogni tipo, generarono delle grosse fratture orientate in modo obliquo o quasi perpendicolare al solco vallivo principale. Lungo queste fratture si sono impostate le valli laterali alla val Chiavenna e alla Valtellina. Il clima sulle Alpi, ai tempi molto caldo e umido, ha causato inoltre complessi La via di salita per Sparavera ripresa da Gordona. L'alpeggio di Monte non è visibile perché incassato nella valle Trebecca (20 febbraio 2012, foto Roberto Lisignoli). Inizia quindi un tratto ripidissimo e davvero faticoso. Arranchiamo su una vallecola5 che alterna bosco e pietraie. La meta parrebbe vicina, ma purtroppo non è così! Nell'aria si diffonde il profumo inconfondibile dell'origano selvatico presente in grande quantità. Un ultimo strappo mitigato da numerose risvolte ci porta alla croce sulla sella di Sparavera. L’alpe Sparavera è pochi metri più in basso (m 1785, ore 2)6. Sorpresa: di quelle baite, che fino a 10 minuti fa avremmo scommesso essere dei miseri ruderi, tre sono ben tenute e, anzi, una è stata ristrutturata di recente e ha anche i pannelli solari! Sugli stipiti delle altre sono incise date che si attestano attorno al 19307. Sopra le nostre teste, severo e imponente, c'è il pizzo di Prata. La Guida dei monti d'Italia - Masino Bregaglia Valchiavenna Davide Gotti fenomeni di alterazione delle rocce superficiali con conseguente degradazione delle rocce per parecchi metri di profondità. Queste masse alterate in superficie hanno cominciato a colare lentamente verso valle generando una serie di contropendenze, trincee e guglie, come si può chiaramente vedere guardando il pizzo di Prata dalle rive della Mera. In queste aree il grado di fratturazione della roccia è molto alto così che i torrenti possono asportare il detrito dando origine alle forre, vale a dire le gole e gli orridi che segnano la parte terminale di ogni valle laterale alla Valtellina, alla val Chiavenna e alle loro valli affluenti. Primavera 2012 Motta dell'Orso - Monte - Sparavera Intervista a Giulia Rossotti di Sergio Scuffi L L'alpe Sparavera nel 2001 (foto archivio Giulia Rossotti). a signora Giulia Rossotti, classe 1926, abita a Porrettina, frazione di San Cassiano. Ricorda che il piccolo alpeggio di Sparavera, sul quale saliva anche la sua famiglia, era utilizzato come tale fino ai primi anni dell’ultimo dopoguerra (fu abbandonato attorno al 1950). Nello stesso periodo la gente smise anche di salire anche alla ben più vicina Motta dell’Orso. Le dimensioni dell’alpeggio, unite alle difficoltà nel raggiungerlo, limitavano il suo utilizzo a poche bestie: in pratica, oltre alla sua famiglia, Giulia ricorda di aver visto su solamente una anziana donna. urante il periodo bellico, D Sparavera fu anche rifugio per un gruppo di partigiani. Giulia, che aveva fra loro due fratelli, procurava il pane a Somaggia e lo portava sulla montagna. Fu proprio per una soffiata di qualcuno del luogo che i fascisti la catturarono (settembre 1943) alla Motta dell’Orso, portandola a Chiavenna dove rimase imprigionata per circa due mesi. T ornando alla frequentazione dei pochi spazi sulle aspre pendici del pizzo di Prata, Giulia riferisce che suo padre saliva alla Motta dell’Orso1 con le capre in febbraio e marzo; conferma anche di aver sentito parlare della coltivazione della vite in tale località, come ancora testimoniano i terrazzamenti nelle pendici sottostanti l’abitato e una vecchia botte tuttora visibile nella cantina di un rudere. Quanto ai frequentatori, lei ricorda due-tre famiglie (anche se il numero di edifici fa pensare che in tempi antecedenti i proprietari fossero almeno una mezza dozzina). 1 - Nota dell'autore: io sono cresciuto a Samolaco, proprio di fronte al pizzo di Prata (“Pizzone” per noi). Quanto alla Motta dell’Orso, ricordo che, quando ci trovavamo nel “Piano” per i lavori di campagna, la località rappresentava un po’ il nostro orologio: ci insegnavano, infatti, a riconoscere il mezzogiorno dall’arrivo del primo sole su una sporgenza della roccia nel dirupo sottostante quella località. Le Montagne Divertenti Il sentiero di accesso, in pessime condizioni fino a qualche anno fa, è stato recentemenmte ripristinato quando gli “Amici di Padre Pio” di San Cassiano, che hanno collocato sul belvedere sottostante una statua della Madonna, ben visibile dal fondovalle. T ). to S. Scuffi io 2012, fo a n en (g 6 192 otti, classe Giulia Ross ornando all’alpe Sparavera, i tempi e le fasi legati alla sua utilizzazione erano i seguenti: - verso maggio si saliva lungo il sentiero nel vallone, completamente coperto da “gande”, sopra la Porrettina (val Scarióon) fino al piccolo nucleo di Monte (non visibile dal basso); - qui si sostava2 per non più di ottodieci giorni, sfruttando i pochi spazi per nutrire le bestie; nel frattempo si risaliva l’aspro sentiero verso Sparavera provvedendo a ripristinarlo, ripulendolo in particolare dalle numerose pietre cadute dalla montagna; - ai primi di giungo si raggiungeva l’alpeggio con poche mucche, molte capre e un buon numero di maiali. 2 - Tra i cognomi incisi su un masso nei pressi di Monte si legge anche quello della signora: "Rossotti" (vedi foto pag. 85). F ra i ricordi della signora c’è anche quello del Sass scrivüü: una pietra recante delle incisioni (forse una data) raggiungibile lungo un sentiero che si allontanava dalla baite in direzione N, attraverso il bosco e fino a un punto abbastanza panoramico. Ora qualcuna delle poche baite (tra cui quella appartenente all’intervistata) è stata ristrutturata o comunque viene frequentata e sottoposta alle necessarie opere di manutenzione. Le altre sono cadute. a signora qualche volta va su con l’elicottero; il sentiero è percorso da pochi escursionisti, dai pastori in cerca delle bestie (specialmente capre) e da alcuni cacciatori. L L'alpe Sparavera 87 Dagua in una valle remota della valmalenco il tempo trent'anni fa si è fermato Luciano Bruseghini L'arrivo a Dagua. In alto a sx il monte Palino e a dx il monte Foppa. La val Dagua è incassata tra le pendici di queste due montagne e attraversarla all'altezza di Dagua è impresa non da poco (16 febbraio 2011, foto Beno - www.clickalps.com). 88 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Dagua 89 Escursionismo Valmalenco al Dagua, vualùn di Dàag: ai più questo nome non dice niente, ma in Valmalenco è molto V noto. Si tratta di un vallone che scende lungo il versante orografico sinistro della valle del Mallero, proprio di fronte a Torre. a valle è chiusa nella parte superiore dai monti Palino (m 2686) e Foppa (m 2463) ed è L solcata da un piccolo ruscello, il Frisigaro. Alimentato principalmente dalle nevicate invernali, fornisce acqua a tutti gli alpeggi della zona; ma in caso di piogge abbondanti, può diventare Monte Palino (2686) Bocchetta del Palino Gianni (m 1396) Dagua (Fojani) (1230) Melirolo (843) L’ DAGUA VALLE DI Scaia (930) Cristini (852) La val Dagua e il sentiero che da Cristini porta a Gianni passando per Dagua. Ripresa effettuata da Ciappanico (16 febbraio 2012, foto L. Bruseghini). Bellezza Fatica Pericolosità 90 Partenza: Cristini (Torre di Santa Maria) (m 850). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Torre di Santa Maria (10 km) proseguire lungo la strada per Caspoggio e Lanzada. Dopo circa un chilometro svoltare a dx e raggiungere la vicina frazione Cristini, dove termina la strada. I parcheggi sono tutti privati, l'unica zona pubblica si trova proprio a ridosso dell'inizio del sentiero. Itinerario sintetico: Cristini (m 850) - Scaia (m 930) - Dagua (m 1227-1305) - Gianni (m 1396) - Le Montagne Divertenti pericoloso, poiché trascina con impeto verso il basso tutto ciò che trova lungo il suo corso. La parte superiore della vallata, molto impervia, è ricca di pascoli di alta quota e di fittissimi boschi di conifere, dove abbondano funghi e selvaggina. Ma man mano che ci si abbassa, numerosi prati e nuclei abitativi appaiono tra gli alberi, anche se la pendenza del terreno non varia di molto! Perciò sono stati costruiti incredibili muretti a secco per sostenere i piccoli terrazzamenti dove cresceva l’erba o venivano piantati gli ortaggi e i cerali, tra cui la segale, utilizzata per il pane nero. Su questa sponda della montagna vi erano i "giardini pensili" della Valmalenco, uno dei luoghi più belli, più fertili e coltivati in quei tempi in cui anche i pendii da Primolo a Chiesa e da Ponte a Lanzada erano magnifici campi dorati e non semplicemente un alternarsi di sterpaglie, boschi incolti e cemento. Il versante è disseminato di micro contrade con architetture talvolta imponenti. Una volta la gente viveva lassù tutto l'anno, tant'è che nella principale, Dagua, esisteva una scuola elementare. Al grido della modernità è giunto l'abbandono e le famiglie, come le frane, sono rotolate a valle. Nulla di nuovo è stato costruito e ciò che ci attende è uno spaccato della vita contadina di mezzo secolo fa, cristallizzato nel tempo grazie all'abilità con cui sono stati eretti le case e i muretti. Campei (m 1550) - Motta di Caspoggio (m 1454) Prabello (m 1285) - Sant'Antonio (m 1355) - Caspoggio (m 1050) - rientro con autobus di linea. Tempo previsto: 4 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi utili. Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 600 m. Dettagli: E. Sentieri facili e ben segnalati. Mappe consigliate: Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000; Kompass n. 93, Bernina, 1:50000. Primavera 2012 itinerario alla scoperta della val Dagua, davvero interessante dal punto di vista etnografico e naturalistico, inizia da Cristini nel comune di Torre di Santa Maria. Prima di iniziare il trekking, è interessante una breve visita all’antico nucleo di Melirolo che sorge a N dell’abitato, a soli 5 minuti di distanza dal parcheggio. Nel medioevo fu un borgo di notevole importanza in quanto situato sulla carrareccia che da Sondrio saliva al castello di Caspoggio per poi proseguire verso il passo del Muretto. La principale attrattiva è data dalle tre costruzioni nella parte inferiore, tra cui spicca quella centrale: un’antica torre di controllo a segnalazione ottica in collegamento visivo con il castello di Caspoggio e la torre di cà di Risc presso la frazione di Sant' Anna sempre nel comune di Torre. Oggi è utilizzata come stalla, ma forse questo ha permesso che giungesse praticamente intatta ai giorni nostri. Nei dintorni, per i golosi di funghi, a primavera si possono trovare delle squisite morchelle o spugnole, ma non ditelo in giro: potrebbero fregarvele tutte! niziamo la salita da Cristini lungo la val Dagua per il sentiero bollato n. 357. Un cartello segnala che Dagua dista 1 ora e 10 minuti, Gianni 1 ora e 40, mentre la Motta di Caspoggio viene data a 2 ore e 10 minuti. I Le Montagne Divertenti Dagua 91 Escursionismo Valmalenco U na passerella in legno, delle belle case tipiche sulla sx, e il percorso si fa subito abbastanza ripido lungo la splendida mulattiera che con diversi tornanti nel bosco guadagna quota facilmente. In breve tempo raggiungiamo il piccolo agglomerato di Scaia (m 930, ore 0:20) quasi completamente abbandonato, dove si notano vecchie costruzioni, alcune delle quali con dei grandi ballatoi in legno che sembra debbano crollare da un momento all’altro. Al centro delle case c'è una piccola fontana: è meglio fare scorta d’acqua perché da qui in poi sarà difficile trovarne dell’altra e su questa sponda il sole picchia forte! Proseguendo, consigliati dai bolli bianco-rossi, ignoriamo una deviazione sulla dx che condurrebbe al centro della valle. Procediamo costeggiando altri ruderi immersi nel bosco che avanza. Tralasciamo un’altra diramazione che porta sempre sul versante opposto. Man mano che ci alziamo, il panorama alle nostre spalle diventa di ampio respiro: oltre alla val Torreggio, nostra dirimpettaia, si ha un’ottima vista sulle valli dei Giumellini e di Sassersa, nel comune di Chiesa e anche le cime che delimitano la Valmalenco verso O iniziano a far capolino. Continuiamo ad inerpicarci tra il fogliame fino a raggiungere un’altra biforcazione, questa volta dotata di cartello segnaletico: a sinistra si va per una via diretta all’alpeggio dei Gianni, a destra si raggiunge Dagua. Noi prendiamo quest’ultima direzione e in breve usciamo all'aperto. Iniziano i pascoli inselvatichiti e si scorge il nucleo principale della vallata: Dagua (m 1230, ore 0:50), localmente chiamato Fojani. Si tratta di un paese con numerose case addossate le une alle altre. Alcune sono altissime e il senso di verticalità si fa opprimente mentre si percorrono gli stretti vicoli che permettono il passaggio delle persone e degli animali1. Facendo trekking in Valtellina, capita spesso di incontrare degli antichi nuclei abitativi, ormai abbandonati, però questo di Dagua ha delle particolarità che mancano altrove: l’elettricità, l’illuminazione 1 - Attenzione: sostare il meno possibile. I tetti sono talvolta pericolanti e le piode giganti che li ricoprono potrebbero cadere. 92 Le Montagne Divertenti sua attività nei primi anni ottanta del secolo scorso2. arebbe auspicabile un coraggioso quanto doveroso intervento di bonifica per evitare che questo gioiello, meta di una passeggiata che può stupire qualsiasi turista, crolli. ltre la scuola il sentiero riprende a salire nel bosco di latifoglie e, superata una vallecola, si raggiunge la chiesetta che sorge solitaria in un breve spiazzo (m 1380, ore 0:15). E’ dedicata alla Madonna di Fatima e c'è una data appena sotto la campanella: 1955. Probabilmente si tratta della data del restauro perché è impensabile che la gente di un tempo non costruisse un luogo di preghiera nei pressi delle abitazioni. La struttura è un po’ rovinata e si comprende come da diverso tempo non venga più utilizzata per le funzioni religiose. Il sentiero prosegue attraversando prima un boschetto e poi dei pascoli fino a giungere al nucleo abitativo dei Gianni (m 1396, ore 0:15). Sorto in una zona pianeggiante, è costituito da casupole “datate” e da altre di recente realizzo sfruttate nel periodo estivo. Fino a pochi anni fa vi trascorreva gran parte dell’anno il famoso “Paulin” di Torre di Santa Maria con le proprie mucche; produceva dei formaggi squisiti. Purtroppo l’età e gli acciacchi lo hanno costretto a cessare l’attività, con rammarico dei suoi clienti. Appena entrati nel complesso non si può fare a meno di notare un’antica casa con la volta tonda sopra la porta di accesso, una vera rarità, per non dire unicità, nelle costruzioni di montagna in Valmalenco. Vicino agli edifici più a N c'è una grande fontana che permette di dissetarsi; un tempo serviva sia come lavatoio che come abbeveratoio per le bestie. Sbirciando dalle finestre e dalle porte semiaperte si possono cogliere attimi di vita passata: i paiazz3 rosicchiati dai topi, vecchi peduli abbandonati sul pavimento, strumenti agricoli per lo sfalcio e il taglio della legna e S O Melirolo è il piccolo nucleo a NO di Cristini (30 ottobre 2011, foto Luciano Bruseghini). Scaia. Un'abitazione tipica con ballatoio in legno (30 ottobre 2011, foto Luciano Bruseghini). Il nucleo rurale, al contrario dei minori circostanti che versano in pessime condizioni, viene ancora in parte utilizzato. pubblica e un posto telefonico all’interno di un ambiente, che poteva essere un’osteria o una taverna! Le costruzioni sono quasi tutte di pietra con il tetto in legno ricoperto dalle caratteristiche piode della Valmalenco; su parecchi di essi c'è anche uno spesso strato di muschio verde ad indicare ulteriormente lo stato di abban- dono del paese. La maggior parte delle case è ancora in ottimo stato poichè erano state edificate veramente bene, nonostante il luogo impervio e la difficoltà di reperire il materiale, come la sabbia e il cemento. Vi sono anche alcuni esempi di costruzioni con i tronchi incastrati ad angolo, rarissime in Valmalenco. Primavera 2012 Su una delle altissime case di Dagua (Fojani) rimane ancora l'insegna del punto pubblico di chiamata. Alcuni edifici sono ben conservati e abitati nei mesi estivi, come dimostrano le recenti opere di manutenzione e le parabole installate su alcune terrazze (16 febbraio 2012, foto Beno). Il tempo sembra essersi fermato quarant’anni fa quando questo piccolo borgo di montagna brulicava di gente che sgobbava dalla mattina alla sera nei campi per poter coltivare il necessario alla sopravvivenza e provvedere al bestiame, fonte principale di cibo. Le Montagne Divertenti E di gente ce n’era tanta perché vi era pure una scuola elementare che accoglieva i bambini di Dagua e di tutti i nuclei vicini. Tale edificio lo si nota quasi subito, in quanto è l’unico in stile anni sessanta. È intonacato e si trova nella parte alta dell’abitato. Con l’abbandono progressivo di queste contrade anche la scuola cessò la 2 - Un signore, originario di Dagua e lassù incontrato in una splendida giornata di sole, ci ha detto a malincuore indicando con la mano Torre Santa Maria - già in ombra e morsa del freddo di febbraio - : "Siamo scesi tutti giù là. E qualcuno ha anche il coraggio di dire che è più bello di quassù: non c'è il sole e van tutti di fretta! La vita moderna rende proprio stupidi." 3 - Materassi fatti con le foglie di granturco. Dagua 93 Rubriche Valmalenco qualche tolla di olio scolorita dal trascorrere del tempo! Zigzagando tra le costruzioni, lungo il sentiero bollato di bianco e rosso, raggiungiamo la parte alta della frazione dove la piccola traccia nei prati si trasforma in un ampio tratturo utilizzato dai mezzi agricoli. In breve si arriva ad un poggio panoramico: qui la carrareccia si innesta in una pista forestale. La vista sulle alte cime della valle si squarcia: appare verso N il trio Entova-Malenco-Tremoggia che segnano il confine con la Svizzera e anche la vetta del Disgrazia a O occhieggia sopra il pizzo Cassandra. Prendendo verso dx (S) si raggiunge Campei (m 1550, ore 0:20): circondato da ampi pascoli, è costituito da un piccolo nucleo di case in cui vivono alcune famiglie dalla primavera all’autunno. Questo è l’alpeggio più sfruttato di tutta la zona, forse per la comodità di accesso, grazie alla pista forestale che sale da Caspoggio. Il nome “Campei” molto probabilmente deriva dal termine “Campelli”, che stava ad indicare una parte di territorio, all’interno delle Quadre, di proprietà di una o più famiglie e che solo da esse poteva essere sfruttato. Infatti, se ci guardiamo bene intorno, notiamo un grande prato circolare contenuto da muretti a secco ormai cadenti, lavorato nei tempi passati da una precisa famiglia di Caspoggio, pur trovandosi nel territorio di Torre di Santa Maria. eguendo il tratturo che si snoda nel bosco in direzione S, in breve si raggiunge Pra’ Mosin (m 1600, ore 0:15), il più alto insediamento della Val Dagua. Un muretto sgangherato circonda i prati e le diverse baite e stalle ormai cadenti e delimita il bosco. Fortunatamente di recente è stata ristrutturata una vecchia stalla che si è trasformata in una moderna baita, sempre in legno e pietra, ma che è forse un segnale di ripresa della zona! La salita è finita; ritornati a Campei (m 1550, ore 0:10), si inforca la pista forestale che scende all’alpe Motta di Caspoggio (m 1450, ore 0:15). Proseguendo lungo il tratturo che taglia diagonalmente l’alpeggio si giunge all’imbocco della stradina per Sant' Antonio. È il famoso sentiero del “Lac’”, realizzato intorno al 1959 , in concomitanza con lo sviluppo turistico Gianni: strano gioco prospettico tra le case della contrada. Non distante dalla pista carrozzabile, viene sfruttata per la villeggiatura nei mesi estivi. Ciò nonostante molte case sono in rovina (16 febbraio 2012, foto Beno). S 94 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti La signora Cesarina ci ha raccontato che, dopo aver lavorato fino alla pensione presso il cotonificio Fossati di Sondrio, ora vive tutto l'anno a Campei curando i suoi animali: 10 pecore, 4 asini, una mucca e un vitello: "Štu tropp bégn che!" (16 febbraio 2012, foto Matteo Gianatti). del paese, allo scopo di trasportare il latte munto alla Motta fino al centro di raccolta di Sant' Antonio, da dove in seggiovia veniva inviato in paese, alla latteria sociale che provvedeva a rivenderlo o trasformarlo in ottimi prodotti caseari. Ristrutturato recentemente dalla protezione civile, permette di compiere un lungo traverso panoramico in tutta sicurezza; è allietato da piccole sculture in legno realizzate da volontari, per la gioia dei bambini che lo percorrono. Una volta raggiunto Sant' Antonio (m 1355, ore 0:30), si scarpina fino a Caspoggio (m 1050, ore 0:30), utilizzando uno dei numerosi tracciati che scendono a valle. Dal centro del paese, con il bus di linea si ritorna a Torre di Santa Maria in venti minuti. Dagua 95 Escursionismo Valmalenco Frammenti di Illuminazione pubblica a Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini). 96 Divertenti L. Bruseghini). La scuolaLe di Montagne Dagua 30 ottobre 2011, foto "Scale mobili" nei vicoli di Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini). Primavera 2012 La chiesa di Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini). val Dagua All'imbocco della contrada a Dagua (30 ottobre 2011, foto Bruseghini). Le Montagne Divertenti Bruseghini). Gianni (30 ottobre 2011, foto L. L'interno di una abitazione a Dagua (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini). Eliana e Nemo Canetta Dagua 97 L'interno di una abitazione ai Gianni (30 ottobre 2011, foto L. Bruseghini). Valmalenco Approfondimenti M i sono iscritto al CAI da ragazzo, nel 1963, anno del centenario dell’associazione. Ricordo ancora come la sede della Sezione di Milano mi incutesse soggezione: erano altri tempi e noi ragazzini appassionati di passi e vette entravamo in quel sancta sanctorum del grande alpinismo con malcelata trepidazione. Già allora ero maniaco di libri e quindi, profittando degli sconti ai soci, mi precipitai ad acquistare qualche tomo della mitica Guida dei Monti d’Italia, ai tempi quasi unica in italiano sulle Alpi e lungi dal completamento. Tra i primi, il volume Bernina di Silvio Saglio, noto guidista negli anni del secondo conflitto mondiale. Il testo, pubblicato nel 1959, era moderno e aggiornato; ciò che sfuggiva a noi, neofiti dell’andar per monti, era che le guide, per quando ben fatte e accurate, non erano la Bibbia. Taluni itinerari, spesso di interi massicci e specie se periferici, risentivano della scarsa notorietà, delle poche notizie e non erano visitati dagli autori con la stessa cura di quelli principali. Chiunque abbia scritto guide, come noi, sa bene ormai queste cose. Ma allora noi ragazzi, forse un poco ingenui, pensavamo che ciascuna riga fosse Vangelo, leggevamo e studiavamo i volumi per conoscere ogni risvolto delle salite, delle traversate che sognavamo di intraprendere nelle estati successive. Facile immaginare allora il nostro stupore quando consultammo l’itinerario della bocchetta del Palino, l’intaglio che divide il monte Foppa dal monte Palino; ideale salita per accedere alla lunga costiera FoppaAcquanegra-Scalino, di cui vagheggiavamo la traversata integrale. La guida Bernina, recitava testualmente “Da Torre Santa Maria, seguendo la carrozzabile per Caspoggio si attraversa il Torrente Mallero e, al di là del ponte, si prende la mulattiera a destra che sale per una costola alle case di Melirolo e Dagua m 1305 (ore 1,30). Da quest’ultima località per proseguire è conveniente farsi accompagnare perché [ n.d.r. si dovrebbe] risalire l’ertissima testata della Val Dagua, aperta a ventaglio, con una serie di valloncelli, superando un dislivello di circa 1000 metri (ore 4 – 5,30)”. Ora, a parte qualche confusione ini- 98 Le Montagne Divertenti Val Dagua (1975, foto Canetta). La donna ritratta è Maria Foianini, abitante a Dagua, morta cadendo mentre scendeva in paese e ritrovata in un burrone solo 3 giorni dopo dai soccorritori. Ritrovamento di utensili agricoli - un sciarscèl e un gerlo - in val Dagua (foto Canetta e Gianatti). ziale (tra l’altro il villaggio di Dagua in realtà si chiama Fojani ma le mappe turistiche riportano sempre il nome della valle), quel si dovrebbe era sin troppo chiaro: il buon Silvio Saglio NON aveva risalita la val Dagua, che riteneva un territorio stile ich sunt leones. Non a torto; infatti per montare alla bocchetta del Palino da Dagua è di gran lunga preferibile guadagnare Gianni, da lì raggiungere la Motta di Caspoggio e Piazzo Cavalli (ormai in territorio non più di Torre, ove si trova la parte bassa della valle, ma di Caspoggio). Da Piazzo un sentierino a mezza costa, non a caso detto dei contrabbandieri, risistemato alla fine degli anni ’70, porta alla bocchetta. Anzi no, a dire il vero conduce alla selletta tra le quote 2379 e 2421, sull’erbosa ma ripida cresta tra Foppa e Palino. La vera bocchetta, più a NO, sul versante di Dagua è infatti inaccessibile: vi giunge un orrido vallone roccioso… non sarebbe quindi bastato farsi accompagnare (ma da chi?)! M a pure noi accantonammo i progetti, perdendo così l’occasione per poter traversare una val Dagua palpitante di vita e di attività. Solo in parte però perché, quindici anni più tardi, in occasione della realizzazione delle escursioni storico - etnografico - naturalistiche del museo della Valmalenco, decidemmo di segnalare l’itinerario Piazzo Cavalli - Motta di Caspoggio-val Dagua - Torre che, oltre Primavera 2012 La stanza al di là della passarella all'imbocco della contrada di Dagua (16 febbraio 2012, foto Beno). tutto, collegava l’ultima tappa dell’Alta Via con il suo punto di partenza (Torre, giustappunto). Durante la nostra prima visita facemmo in tempo a incontrare gli ultimi abitanti permanenti ancora in posto, a vedere campi di segale, pure se ormai inselvatichiti, un insieme di terrazzamenti splendidamente mantenuti, grossi nuclei d’abitazioni dove noi credevamo essere solo costruzioni di maggengo o poco più. Il progresso stava arrivando: a Fojani vi era il posto telefonico pubblico, né ci meravigliammo più di tanto nel constatare come, poco distante, la scuola elementare fosse in ottime condizioni. Insomma uno spaccato di vita agricola malenca tra i meglio conservati e più validi che si potessero immaginare. Il tutto entusiasmò tanto noi etnografi in erba che negli anni successivi vi portammo molti visitatori, ivi compresa una numerosa comitiva di Accompagnatori Giovanili del CAI in visita d’istruzione. I n successive ricerche scoprimmo pure il lungo muro di confine tra i comuni di Torre e di Caspoggio, muro noto agli abitanti del luogo ma certo sconosciuto a turisti o altri malenchi. Eppure quel muretto basso e continuo, che dal pendio tra Prà Mosin (m 1523, Caspoggio) e Gianni (m 1396, Torre) si spinge verso SE in direzione dei più incisi valloni di val Dagua, ha provocato infinite dispute e persino uno scontro armato tra caspoggini e torraschi. La discussione Le Montagne Divertenti ebbe inizio nel XVI secolo ma pare avesse origini già precedenti: sia Torre che Caspoggio vantavano infatti diritti sui pascoli e i boschi della val Dagua1. Oggi la cosa può apparire irrealistica ma, se si tiene conto della fame di terra di un tempo, si può comprendere come questa costa, ove i cereali maturavano ben oltre i 1000 metri e a cui seguono fitti e secolari boschi di conifere, facesse gola sia a Torre che a Caspoggio. Le discussioni si trascinarono con furti di bestiame e risse finché, agli inizi del XIX secolo, si giunse a un vero e proprio scontro armato tra gli abitanti dei due comuni, scontro in cui si registrò la morte di un bellicoso fornaio. Seguì poco meno di un altro secolo, poi finalmente il tribunale di Milano, nel 1901, sentenziò a favore di Torre, condannando Caspoggio anche al pagamento delle spese processuali. I caspoggini comunque mantennero – e mantengono ancora oggi - il possesso dei prati e dei boschi del versante sud-occidentale del monte Palino, con il controllo di larga parte del versante orografico destro della val Dagua, sopra i m 1500. P er saperne di più abbiamo voluto fare una chiacchierata con Gianfranco Cometti, classe 1964, già consigliere comunale di Torre e che, da sempre abitante a Zarri allo 1 - Presso il municipio di Caspoggio, è ancora conservata una cartapecora, rovinatasi in parte durante un incendio, che testimonia la contesa dei due paesi per il possesso di quel territorio. sbocco inferiore della valle, è certo ben informato su come si viveva lassù e su come e quando i villaggi furono abbandonati. Cometti ci conferma i racconti delle lotte con Caspoggio e ricorda bene quando la costa di Dagua “era d’oro per la segale matura”. Oggi pare una leggenda, ma l’immagine si accorda perfettamente con la fitta popolazione che risiedeva lassù: si dice sino a 500 persone, una fetta non trascurabile non solo del comune di Torre, ma dell’intera Valmalenco. Alla segale si alternavano coltivazioni di patate (a partire dall’800) e di fieno, oltre a molti orti. Una tradizionale rotazione che è provata dai ritrovamenti, oramai quasi archeologici, che si possono fare in anditi abbandonati dei villaggi: falcetti da cereali e caratteristiche zappe da patate. Gianfranco ricorda bene come i suoi coscritti avessero ancora frequentato le scuole elementari nella pluriclasse di Dagua/ Fojani. Poi, nel giro di pochi anni, tutto cambiò: gli abitanti scesero a valle, andando a stabilirsi in altre, più comode, frazioni di Torre, la scuola fu chiusa, gradatamente tutti i villaggi si trasformarono (solo in parte) in luoghi ove trascorrere qualche fine settimana, ove curare un orto ben soleggiato. Ma pure tutto ciò ormai sta ancora mutando: le vecchie case, lontane dalle strade, sono scomode e ormai restano chiuse per anni ed i villaggi lentamente decadono, mentre le mulattiere e i sentieri periodicamente devono essere ripuliti da spini ed erbacce sempre più invadenti. P er concludere Cometti ci narra una leggenda su Dagua: luogo malagevole, pur se adatto (ai tempi) all’agricoltura, nessuno voleva andare a stabilirsi lassù. Si finì per confinarvi dei condannati che potevano viverci liberi, a condizione di non uscire dai confini (in larga parte dirupati e di difficile transito) della valle. Questa la ragione della presenza di cognomi molto particolari e del tutto tipici solo di val Dagua quali Foianini o Gianelli. Chissà, ogni leggenda ha un fondo di vero: solo oggi i discendenti di quegli esiliati sono tornati a valle, abbandonando per sempre la loro costa “biondeggiante di messi”. Dagua 99 Escursionismo Bassa Valtellina Il Culmine di Dazio Fabio Pusterla È risaputo che, in tempi lontani, la Valtellina era tutta ricoperta dai ghiacci. I cambiamenti climatici li hanno disciolto e le acque si sono riversate nel fiume Adda che, pian piano, ha disegnato il suo corso plasmando valli e pianure. Ma questo grande fiume nei pressi di Ardenno ha trovato un enorme blocco roccioso che, né la sua forza, né la sua pazienza, hanno potuto sconfiggere. Così l'Adda si è fatta da parte lasciando un'imponente collina di granito: il Culmine di Dazio. I suoi versanti, ampiamente sfruttati nel passato, anche per documentati scopi estrattivi di ferro e oro, oggi rimangono piacevoli luoghi per compiere delle passeggiate con tutta la famiglia. Risalendo la Vallaccia Corta (17 aprile 2011, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). La mulattiera nei pressi di cà di Car ("Cara" su CTR) (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla - www.pusterlafabio.com). 100 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Il Culmine di Dazio (m 921) 101 Escursionismo Bassa Valtellina Cima del Desenigo (2845) Culmine di Dazio (m 921) Cima del Calvo Pizzo della Merdarola (2735) (2967) NO ASI Caspano M VAL Morbegno Piazzalunga Porcido Talamona Cima del Cavalcorto (2763) Biolo Paniga Desco Ardenno Masino Panorama su bassa e media Valtellina dal Crap del Mesdì. Il Culmine di Dazio segna il confine tra i due settori (15 maggio 2011, foto Roberto Ganassa). Il Culmine di Dazio (m 921) è il piccolo monte che separa la media dalla bassa Valtellina, spostando il corso dell'asse principale della valle. La sua sommità è costituita dal cosidetto "granito di Dazio", un plutone antichissimo sviluppatosi da magma acido intruso in una precedente struttura di rocce metamorfiche ancora prima che la catena alpina fosse formata. Bellezza Fatica Pericolosità - 102 Partenza: Desco (m 296). Itinerario automobilistico: usciti da Morbegno, presa la SS 38 in direzione Tirano (E), 1 km dopo l'ultima rotonda, si esce sulla dx (via Erbosta - segnalazioni per Paniga), quindi si prende nuovamente a dx. Un sottopasso permette di superare sia la SS 38, che la ferrovia e porta all'inarcato ponte sull'Adda, dove un semaforo regola il transito alternato dei veicoli. Al di là del fiume si trova Paniga. All'incrocio si va a dx e si prosegue verso E fino all'abitato di Desco (3,5 km dalla rotonda di Morbegno). Si lascia l'auto nel parcheggio nei pressi della chiesa. Le Montagne Divertenti Itinerario sintetico: Desco (m 296) - Porcido (m 592) - Culmine di Dazio (m 921) - Dazio (m 565) - Porcido (m 592) - Desco (m 296). Tempo previsto: 4 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: nessuna. Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 625 m. Dettagli: T. Passeggiata su sentieri segnalati effettuabile tutto l'anno e senza alcun pericolo. Mappa consigliata: Kompass n.92 Chiavenna-Val Bregaglia 1:50.000 Si suggerisce di consultare le mappe CTR 1:10000 su www.cartografia.regione.lombardia.it Primavera 2012 Pur essendo protagonisti della nostra vita, siamo intrappolati ogni giorno nelle reti della società moderna che, spesso, ci oscurano i legami con la natura. Per vedere il mondo in modo più oggettivo talvolta basta salire più in alto di dove solitamente ci si trova. Una meta facile, alla portata di tutti, che però ci permetta di dare uno sguardo allo stato di salute della Valtellina, è il Culmine di Dazio. Per rendere più interessante la scampagnata ci rechiamo a Desco (m 296), un pittoresco borgo di 150 abitanti arroccato sulle rocce che strapiombano sul fiume Adda. Ne scriveva Ercole Bassi1: "e più oltre, ai piedi della Colma di Dazio, che pare ivi chiuda la valle, il piccolo villaggio di Desco, sotto il quale si è oggi praticata una galleria per deviare la ferrovia dal nefasto conoide del Tartano, che quasi ogni anno con le 1 - Ercole Bassi, La Valtellina. Guida illustrata, grafische saspe, Milano 1927-28. Le Montagne Divertenti sue piene rompeva la linea. Ivi la ferrovia passa con un bellissimo ponte in pietra dall'ardita arcata di 70 metri, opera dell'onorata ingegneria italiana." Raggiungiamo la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena; costruita nel XVI secolo dagli abitanti di Caspano, proprietari dei terreni circostanti. Apparteneva ufficialmente alla parrocchia di Campovico, ma fu sempre officiata dal parroco di Caspano finché, nel 1922, dopo essere stata ricostruita è divenuta parrocchia autonoma2. Un tornante sinistrorso aggira la chiesa, oltre cui troviamo parcheggio. Seguiamo a piedi la strada asfaltata verso O ma, al primo tornante, la lasciamo per prendere il tratturo che si addentra nei boschi. Un tornante a dx e uno a sx ci portano in mezzo a 2 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci, Franco Gianasso, Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000. due grossi para massi in calcestruzzo. Di fronte a noi parte il sentiero che, a saliscendi, si dirige verso O (segnavia bianco-rossi n° 26). Il versante è tormentato dalle frane. Qui la caduta di pietre è all'ordine del giorno, ma siamo protetti dai numerosi crocefissi che vegliano sulle rocce sopra le nostre teste! È bizzarro pensare come Desco sia stato costruito su un poggio che lo difende dalla furia delle alluvioni che flagellano il resto della valle, ma quello scudo nulla può contro lo sgretolarsi dei fianchi del Culmine. Anni fa dal Crap de la Piöda, ad esempio, cadde un enorme masso che distrusse la latteria sociale di Desco, ubicata proprio sopra la galleria ferroviaria3. Il percorso diventa più ripido con una serie di tornantini che risalgono un ombroso canalone. Trovata una prima deviazione sulla sx la ignoriamo, 3 - Informazione tratta da: Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it . Il Culmine di Dazio (m 921) 103 Escursionismo per prendere la successiva. Il sentiero, passando sopra un muraglione a secco, ci permette di sbucare sul limite orientale di terrazzamenti, un tempo sicuramente coltivati a cereali. Troviamo anche una vecchia baita, ormai decadente. Il sentiero prende quota rapidamente verso N, per poi serpeggiare tra le selve, superando i muri a secco tramite ardite scalette. In breve arriviamo al limite inferiore di Porcido (m 592, ore 0:45), un antico villaggio rurale ben ristrutturato che conserva Bassa Valtellina ancora oggi il suo fascino. Nonostante non sia servito da strada, non è raro incontrare qualche persona tra le case anche nei mesi invernali. Seguendo il sentiero giungiamo alla perla del borgo: la chiesetta di San Sebastiano. Ben conservata evoca pace e serenità in un luogo davvero magico, un piccolo giardino fiorito in mezzo alla roccia. Poco più avanti scopriamo il segreto di questa oasi nel deserto: una fontana che pare succhiare l'acqua dalle viscere della terra. L'effetto refrattario delle rocce e l'ottima insolazione dovevano Il Pro Shop Patagonia è in Valtellina! essere ideali per la coltivazione della vite e dei cereali, forse un po' meno per l'allevamento del bestiame. Proseguiamo su una bella mulattiera (O), ignorando la via direttissima al Cùlmen. Prenderemo il traverso successivo, certamente più dolce. Superate cà di Car (IGM e la CTR riportano il toponimo Cara) e il belvedere del Balabén4, intercettiamo il sentiero che sale tra i boschi di 4 - Si tratta di un terrazzo naturale con delle panchine dal quale si gode un ottimo panorama sulla bassa valle fino al lago di Como. 3 Passi - Morbegno - Piazza Marconi castagno e di quercia. Il primo tratto è abbastanza regolare poi, dopo aver incrociato la via direttissima precedentemente ignorata, si prende quota più decisi. La vegetazione cambia, diventando mediterranea: sotto i nostri piedi manca solo il mare! Sullo sfondo troviamo il desolato conoide del Tartano, il grande paese di Talamona e, oltre una fascia di territorio festonata da capannoni, il grigiore della città di Morbegno. Rimangono pochi prati a N della ferrovia, tutto il resto è invaso dal cemento. Un tempo chi aveva una buona vigna, delle bestie ed un campo da coltivare era considerato un benestante, oggi "l'é en por laù". L'economia moderna si basa su numeri e beni spesso fini a se stessi, disdegnando le ricchezze della terra. Proseguiamo la salita tra ginestre, piantine di Erica arborea e altri piccoli arbusti. Facendo attenzione a qualche passaggio tra le rocce, che può rilevarsi insidioso se bagnato, raggiungiamo l'ampia cima del Culmine di Dazio (m 921, ore 1). Qui troviamo un cartello che ricorda l' accompagnatore di media montagna Tarcisio Mattei5 al quale è anche dedicato il sentiero che abbiamo appena percorso. Ci dirigiamo verso E dove scorgiamo la cà del Partigian. Si tratta di una ex caserma costruita durante la seconda guerra mondiale. Probabilmente in tempi antichi su quest'altura si erigeva un castello, ma non si trovano tracce se non qualche pietra di granito lavorata. La spiegazione è semplice: un tempo i materiali da costruzione erano legno, ferro e pietra. Il primo ci han pensato il tempo o il fuoco a distruggerlo. I rimanenti, specialmente se appartenevano a costruzioni di un certo pregio, sono stati riutilizzati per altri manufatti. A vista saliamo sulla cima dove trova posto una vedetta, ma anche qui niente fucili o guardiani, solo un semplice ma funzionale barbecue e un bel tavolo dove possiamo comodamente rifocillarci. La vista sulla media Valtellina è superba, nonostante la modesta elevazione lo sguardo arriva fino al gruppo dell'Adamello. In questa direzione, almeno nella prima parte di pianura (Ardenno, Sirta, Forcola), la situazione 5 - Scomparso nel 2007 in seguito a un grave incidente sulla vetta del Legnone. 104 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Desco (9 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla). Le case di Porcellino (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla). La chiesetta di San Sebastiano a Porcido (6 aprile 2011, foto Fabio Pusterla). Il Culmine di Dazio (m 921) 105 Escursionismo è rincuorante: ci sono ancora molti prati verdi che colorano il fondovalle. Chissà quale meraviglia di paesaggio si poteva godere cent'anni fa, in quegli anni che Bruno Galli-Valerio fece le sue scalate in Valtellina e ci raccontava di quando uomo e natura fossero davvero in armonia. Verso N ammiriamo la val Màsino con gli ordinati paesini costruiti al suo imboccco e una possente dentatura di cime. In basso la bella e dolce piana di Dazio. er la discesa scegliamo la via più semplice. Nei pressi della vedetta parte una stradina che scende verso E tra rocce e rada vegetazione. Poi ci portiamo sul versante N in un alternarsi di betulle, abeti e castagni. La strada, ben tenuta, scende a tratti abbastanza ripida e ci guida comodamente fino al cimitero di Dazio (m 565, ore 1)6 passando per il Crotto, una struttura adibita a ristoro. Per concludere l'anello dobbiamo seguire la strada provinciale verso O. Superati gli impianti sportivi troviamo la via per Porcido, un stradina sterrata che si distacca sulla sx. La carrozzabile scende tra i campi fino a una santella, dove prosegue tagliando il versante occidentale del Culmine. Dopo un tratto abbastanza ripido, si incontra una seconda cappelletta. Dobbiamo ignorare la stradina che si distacca sulla destra. Subito dopo, troviamo le indicazioni per il sentiero che, risalendo tutto il crinale, ci riporterebbe sulla cima. Proseguiamo diritti, evitandoci la seconda conquista della vetta, passando nei pressi di qualche vecchia cascina. Ora la strada prende quota con diversi tornanti: dobbiamo solo fare attenzione a tenere la sx quando incontreremo una terza grande cappelletta. Si giunge ad un piccolo parcheggio dove la strada si trasforma in mulattiera. La seguiamo ed in breve ritroviamo la deviazione per la cima del Culmine che abbiamo preso all'andata. Ignorandola proseguiamo verso levante per arrivare a Porcido (ore 0:45) e quindi, tramite la via percorsa all'andata, ritornare a Desco (m 296, ore 0:30). Bassa Valtellina Geologia del Culmine di Dazio L’ aspetto che più colpisce osservando il Cùlmen1 di Dazio è il fatto che questa massa abbia resistito lì in mezzo alla valle milioni di anni ai vari sommovimenti geologici avvenuti nell’area e poi a tutti gli eventi legati all’orogenesi alpina e alla successiva erosione effettuata sia dagli elementi atmosferici che dai ghiacci e dalle acque di fiumi e torrenti. Non solo ha resistito ma ha anche provocato la deviazione della valle che, dopo Ardenno, ha dovuto fare una brusca curva a sinistra, così come anche l’Adda che, insieme ai ghiacciai di epoca anteriore, questa valle ha scavato. utto è dovuto al materiale molto resistente di cui il Culmen è costituita, molto differente evidentemente da quello circostante che è stato eroso senza alcun rispetto. Questa collina posta in mezzo alla Valtellina e allo sbocco della val Màsino è costituita dal punto di vista geologico da un plutone granitico2 creatosi per eventi vulcanici sotterranei, in età ercinica, quindi molto prima della formazione della catena alpina (a partire da circa 130 Ma) e dell’inserimento, ancora più tardivo nelle Alpi, del Plutone Màsino-Bregaglia (circa 30 Ma) costituito dai famosi graniti Serizzo e Ghiandone. Questo nucleo di roccia più compatta e resistente rispetto a quella circostante è diventata una vera e propria barriera per i ghiacciai quaternari provenienti dalla val Màsino e dall’alta Valtellina, che quindi hanno dovuto deviare il loro percorso. Si è così creata, anche grazie all’azione erosiva di tanti diversi fattori, questa collina tondeggiante, ora ricoperta di boschi che è ben riconoscibile sia da chi proviene da Colico sia da chi proviene da Sondrio. ltro aspetto da sottolineare è il passaggio, poco a N del Cùlmen della cosiddetta Linea Insubrica o del Tonale, una delle maggiori faglie di tutto l’arco alpino. Questa faglia che in senso longitudinale attraversa non solo la Valtellina, ma anche il Canavese (Piemonte), prosegue nel Canton Ticino (Svizzera), attraversa la Valtellina e continua, attraverso il passo del Tonale, fin verso la val Pusteria (Alto Adige) e la valle della Drava (Slovenia), divide il settore Sudalpino delle Alpi, dalla regione Nordalpina, segna la demarcazione fra le formazioni cristalline meridionali delle Alpi e Prealpi Orobie, dalle Alpi propriamente dette, chiamate in Valtellina anche Retiche. P 6 - Il nome del paese ricorda la tassa che doveva essere versata al feudatario quando si transitava verso la val Màsino. 106 Le Montagne Divertenti T Le Alpi Orobie tra i cespugli di Erica arborea (6 aprile 2011, foto Fabio Pusterla). A Sguardo sulla media Valtellina dal Culmine di Dazio (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla). Primavera 2012 Dazio dal Culmine di Dazio (7 gennaio 2012, foto Fabio Pusterla). Le Montagne Divertenti 1 - In dialetto, a seconda delle località, è utilizzato sia al maschile "il Cùlmen" che al femminile "la Cùlmen". 2 - Intrusione magmatica nelle preesistenti rocce metamorfiche. Il Culmine di Dazio (m 921) 107 Rubriche valtellinesi nel mondo Robe dell' altro mondo Testi e foto Rocco Del Nero Le montagne dell'Australia L'Australia è un paese interessante. E lo è per innumerevoli motivi. Un'isolanazione remota, lontana da noi e dal resto del mondo, per vastità la sesta nazione del pianeta, e prima in grandezza fra le isole, ma esplorata dagli europei solo dalla fine del Settecento. Nata come colonia penale del regno inglese, è oggi l'unica nazione in cui la cultura aborigena, a cinquantamila anni d'età, sia ancora viva e vegeta. 108 Le Montagne Divertenti Le ultime luci del tramonto impattano sul famoso monolite roccioso di Uluru (21 giugno 2011). Venti volte più grande dell'Italia ha una popolazione che è meno della metà di quella italiana. Due terzi della quale risiede nelle quattro principali città. Ciò vuol dire che potete guidare un giorno intero lungo le strade polverose e roventi dell'outback (cioè la zona interna del paese, quel che da noi è l'entroterra) senza incontrare più di due o tre paesini d'una manciata di case, che insieme non faranno nemmeno il numero degli impiegati di un ufficio di medie dimensioni del centro di Sydney. Una terra essenzialmente vuota, piatta, rovente, polverosa, ed incredibilmente inospitale. Questo ad un primo fugace sguardo. Poi si scopre che tutto ciò di cui potremmo meravigliarci qui esiste. Potete starne certi. Migliaia di chilometri di coste incontaminate, spiagPrimavera 2012 gie da sogno, colline lussureggianti, deserti, laghi, fiumi, vulcani estinti, città ultramoderne e dinamiche, piccoli paesi fermi nel tempo, una catena montuosa che doppia facilmente per lunghezza le Alpi, e l'unicità della barriera corallina, la creatura vivente pià grande della terra e la sola in grado di vedersi dallo spazio. Pensate poi a quali stravaganti animali ha dato vita il percorso evolutivo in una terra sì Le Montagne Divertenti isolata e inospitale: canguri di tutte le forme e colori, koala, wombat e platypus, squali e coccodrilli, e un'infinità di animali letali, pesci velenosi, lucertoloni preistorici e ragni dai nomi curiosi i cui veleni possono causare una tal agonia da render inopportuno scendere nei dettagli. Infine, una nazione giovane, ricca, dinamica, con un alto tenore di vita e uno spiccato senso civico, un paese in cui i politici non passano alla storia per scandali e corruzione ma per essere stati travolti dalla corrente dell'oceano mentre facevano il bagno con la famiglia in un tranquillo pomeriggio domenicale. Insomma, un paese interessante, per numerosi aspetti. Ed uno di questi, che tanto sta a cuore a me e voi lettori, sono proprio le sue montagne. Valtellinesi nel mondo: Australia 109 Rubriche Un po' per caso e un po' per incoscenza ci siamo ritrovati su un volo diretto per Sydney con un biglietto di ritorno 365 giorni dopo. Per farlo abbiamo lasciato i nostri lavori a Milano e la nostra casetta di Morbegno. Da quel momento ce ne sono successe un po' di tutti i colori. Un anno di avventure tra Australia, Nuova Zelanda e Sud-est Asiatico. Svariati lavori improvvisati, tante facce amiche, una gran quantità di chilometri percorsi con i mezzi più sgangherati, problemi quotidiani superati con le soluzioni più acrobatiche. Per la cronaca, lei è Sara e io sono Rocco, entrambi di Morbegno, regolari frequentatore dei monti della Valtellina col pallino della fuga in posti remoti. Un koala sulle Snowy Mountains (3 agosto 2011). Sulla cima d'Australia: Mount Kosciuszko • In uno sperduto punto nell'angolo sud-orientale della cartina australiana si trovano le celebri Australian Alps. Il nome trae in inganno: non ci sono qui né pareti di roccia né tantomeno ghiacciai. Si tratta piuttosto d'una distesa vastissima di colline dal profilo gentile che raggiungono il loro apice nei modesti 2228 metri del Monte Kosciuszko, massima elevazione del paese. Preso 110 Le Montagne Divertenti d'assalto nei mesi invernali durante la brevissima stagione sciistica (da metà giugno all'inizio di agosto), rimane nel resto dell'anno una tranquilla località dell'entroterra, e forte è la sensazione di star fuori dal mondo. Chissà cosa avrà pensato l'esploratore polacco Paul Strzelecki, quando il 15 Febbraio del 1840 salì fin qui, primo uomo bianco a mettere piede sul tetto d'una inesplorata e sconosciuta catena montuosa grande almeno il doppio della Polonia. E cosa ancor più curiosa, chissà cosa avrà pensato nel mondo dell'aldilà il patriota e condottiero polacco Kosciuszko a cui è stata dedicata la cima più elevata di un paese di cui pochi allora conoscevano l'esistenza... Ben prima dell'avvento degli esploratori europei questa era terra delle popolazioni aborigene, che qui hanno vissuto migliaia di anni in una incredibile simbiosi con la natura. Arrivati nessuno sa da dove, le popolazioni aborigene sono sbarcate sull'isola australiana domando gli oceani con tecniche allora decisamente avanzate. Inspiegabilmente si sono poi insediati nell'interno del paese, dimenticando l'arte della navigazione e acquisendo invece la capacità di trarre dall'ambiente ciò di cui abbisognavano per vivere, seguendo il ritmo delle stagioni senza sapere né leggere né scrivere, e senza possedere nulla che non fosse un fortissimo senso di appartenenza alla propria terra. Tutto in una perfetta armonia con la natura. Fino a quando, nel 1770, una barca inglese comandata dal capitano James Cook sbarcò sulle coste australiane poco a nord di Sydney. Erano i primi uomini bianchi a mettere piede su quella che all'epoca Primavera 2012 Rocco e Sara in punta di piedi sulla sommità della massima elevazione dell'Australia, il Mount Kosciuszko (12 febbraio 2011). veniva chiamata Terra Australis Ignota. Da allora per le popolazioni aborigene è iniziato un veloce e drammatico declino. Una letale combinazione di malattie, alcool, omicidi e una brutale politica che ha sottratto per decenni i figli ai genitori naturali affidandoli a istituti di correzione ha decimato la popolazione aborigena. Ora solo il 2% della popolazione australiana è aborigena: dai tre milioni stimati di duecento anni fa si è passati ai circa cinquantamila di oggi. Le popolazioni delle terre intorno al Mount Kosciuszko per migliaia di anni sono saliti sulle montagne per cacciare, per scambiare oggetti con altri gruppi e per rendere omaggio agli spiriti creatori attraverso cerimonie, danze, canti. Nessuna traccia rimane oggi di quell'epoca, da che il turismo di matrice occidentale s'è impadronito dell'intera vallata. E tutto questo solo per un paio di mesi di incasso all'anno. Al villaggio di Charlotte Pass si perviene mediante una strada spettacolare, che striscia tra boschi di eucalipti al cui interno saltellano liberi i canguri, guardandoci con aria indifferente. Qui Le Montagne Divertenti parte una comoda camminata lungo un ampio sentiero. La salita alla cima è poco più che una passeggiata, solo 500 metri di dislivello e poco più di 8 chilometri di svolgimento. Se a ciò aggiungiamo la presenza dei comodissimi e pulitissimi bagni pubblici posti poche decine di metri sotto la cima (una mania di cui gli australiani sono particolarmente fieri), e la comodità del sentiero, ben segnalato e con apposito fondo anti scivolo, è ovvio che sarà un'impresa meno avventurosa di quella di Strzelecki... Resta pur sempre il pensiero di essere stati, per un giorno, sulla cima di questo incredibile paese. Ai piedi di una celebrità: Uluru • Ci sono tante cose inspiegabili in questo paese. È inspiegabile come possano gli australiani divertirsi giocando a cricket per interi pomeriggi, come possa essere gradevole la gettonatissima pizza con ananas e prosciutto, cosa spinga un essere umano su una tavola galleggiante in mezzo a onde spaventose, correnti letali, meduse mortali e squali affamati. Ma la cosa più inspiegabile La rada vegetazione del deserto australiano, sullo sfondo della rossa roccia di Uluru (21 giugno 2011). è cosa ci faccia un monolite rosso, di 10 chilometri di circonferenza e 380 metri d'altezza, nel bel mezzo del più assoluto e drammatico nulla dell'entroterra australiano. Mi spiego meglio. Prendete una cartina dell'Australia e, senza troppo pensarci, puntate un dito nel punto che sembra essere il centro del paese, dove in un'ipotetica partita di calcio su campo nazionale potrebbe essere battuto il calcio di inizio. Il vostro dito sarà caduto più o meno dove sorge questa celebrità naturale, un punto qualsiasi in mezzo al nulla, bruciato dal sole di giorno e illuminato dalla Via Lattea di notte, a 400 chilometri di distanza dalla prima città, Alice Springs, che sorge a sua volta nel mezzo del nulla. Lungo la strada qualche villaggio disgraziato e una manciata di pompe di benzina... Ma torniamo alla nostra celebrità. Innanzitutto: è in 10 milioni che si stima il flusso di visitatori provenienti da ogni angolo del globo che ogni anno vengono qui, a Uluru, usando il tradizionale nome aborigeno. È incredibile che sia proprio questo posto, per quanto remoto e isolato, la destinaValtellinesi nel mondo: Australia 111 Rubriche zione turistica più gettonata d'Australia. Se non paradossale, quanto meno curioso, non trovate? Tanto più che, a ben vedere, l'Ayers Rock, usando la denominazione dei bianchi d'Australia, altro non è che un enorme monolite rosso, un "sasso" di dimensioni ciclopiche, qualche centinaio di volte più voluminoso del nostro già dignitoso sasso di Remenno. Non una macchia nera, o grigia, o verde o blu. Rosso, e rosso in tutte le tonalità che questo colore possa assumere. Tutto dipende dal sole, che ogni minuto sembra dipingere questa roccia di un rosso diverso, mentre un cielo immenso e profondamente blu fa da sfondo perenne. Terra, roccia, sole, cielo. Una composizione perfetta in una paesaggio fermo da millenni, eppure in grado di cambiare in continuazione, ogni ora, ogni giorno, da sempre e per sempre. È un posto magico. E sebbene la scienza abbia già provveduto a spiegarne i come e i perché, per spiegare la natura di Uluru vien comunque da pensare a qualcosa di magico ed ancestrale. D'altronde non è un caso se per migliaia di anni le popolazioni aborigene hanno vissuto qui, in uno dei territori più inospitali del pianeta, solo per stare vicino a questa roccia. L'avrei fatto anch'io! Avrei sopportato anch'io il caldo ininterrotto del giorno e il freddo acuto delle notti, la fame e la sete di un territorio siccitoso, senza ombra né corsi d'acqua, e avaro di prede e fonti di cibo. L'avrei fatto anch'io, e solo per stare vicino a Uluru, per scoprirne tutte le angolazioni e studiarne i segreti, per camminare ai suoi piedi e catturarne la forza. Questo è davvero un posto magico, nonostante il continuo flusso dei turisti, nonostante i negozi di souvenir, nonostante i 42 escursionisti e scalatori morti nel tentativo di conquistarne la sommità lungo scivolosi sentieri e ripide pareti, sotto forti venti e impietosi raggi solari che fanno salire la temperatura a 50 gradi. Un sentiero turistico, ripido ma attrezzato con un corrimano per tutta la lunghezza del percorso, permette di raggiungere il pianoro sommitale di Uluru risalendone la spalla più occidentale. Ma per godere a pieno dell'atmosfera magica del luogo sarà più utile passeggiare in silenzio lungo il suo perimetro, secondo la volontà delle popolazioni aborigene che qui hanno vissuto per millenni, quando per un uomo bianco è già faticoso starci per tre ore. Potete esserne certi, osservare un'alba o un tramonto ai piedi di Mighty Uluru, osservare il cielo, le nuvole, e sotto di noi la terra rossa, saprà stupirvi come non mai. È in quei momenti che realizzi che un viaggio in Australia è l'avventura di una vita. LA VOLPE Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Uluru non è che la più celebre delle conformazioni rocciose che disseminano il deserto australiano: questo è il Mount Conner, ripreso dalla strada per Uluru (21 giugno 2011). 112 Le Montagne Divertenti Alessandra Morgillo "attrezzato" che l ripido sentiero Un'immagine de mità di Uluru (21 giugno 2011). conduce sulla som Ritratto di volpe: lo sguardo di chi ne sa tante… (14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti - www.clickalps.com). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti La volpe 113 Rubriche Fauna In quel momento apparve la volpe. "Buon giorno", disse la volpe. "Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno. "Sono qui", disse la voce, "sotto al melo…" "Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino…" "Sono una volpe", disse la volpe. "Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono così triste…" “Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata" "Ah! scusa", fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: "Che cosa vuol dire addomesticare?" "Non sei di queste parti, tu" disse la volpe "che cosa cerchi?" "Cerco gli uomini", disse il piccolo principe. "Che cosa vuol dire addomesticare?" "Gli uomini" disse la volpe "hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?" "No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?" "È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…" "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo." da "Il piccolo principe" - Antoine de Saint-Exupéry Un emozionante incontro ravvicinato con una volpe (Vulpes vulpes crucigera) nel Parco dell’Etna, vissuto dal fotografo di Clickalps Gabriele Augello (15 gennaio 2011, foto Manuela Grasso). Con quel musetto dolce e lo sguardo intelligente, in molti hanno immaginato di farsela amica, e qualcuno, con infinita pazienza, forse ci è quasi riuscito. “Quasi”, perché la volpe, come tutti gli animali selvatici, non si può addomesticare. Può perdere la paura dell’uomo e decidere di avvicinarsi, a volte familiarizza con lui e si fida, ma mai del tutto, ed è sempre pronta a fuggire via. Non cerca affetto o compagnia, è piuttosto la sua indole curiosa, unita alla speranza di una ricompensa, che la spinge a vincere la naturale timidezza. Regina tra gli animali opportunisti, come corvidi, ratti e gabbiani, ha imparato ad approfittare delle occasioni che di volta in volta si presentano in un mondo sempre più mutevole, facendo dell’arte del sapersi arrangiare la carta vincente del suo grande successo. Segno di questo successo è il fatto che la volpe rossa (Vulpes vulpes) sia il canide più diffuso d’Europa, anzi di tutto l’emisfero settentrionale, di cui ha colonizzato ogni ambiente. Predilige i boschi collinari e montani, ma riesce a vivere fino a oltre i 114 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Parco Nazione del Gran Paradiso: un gruppo di fotografi, nell'affannosa ricerca della volpe, non si accorge di averne una proprio alle spalle (14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti - www.wildlights.it). 2000 metri, in pianura e persino in aree antropiche. Grazie all’incredibile astuzia e versatilità è in grado di adattarsi ad ogni circostanza e ad ogni tipo di alimentazione, tanto che, nonostante sia un carnivoro, può nutrirsi indifferentemente di tutto ciò che trovi commestibile, guadagnandosi perciò l’appellativo di generalista. Le sue prede principali sono piccoli mammiferi, soprattutto roditori, ma anche uccelli, rettili e persino pesci ed è in grado di catturare anche cerbiatti e piccoli caprioli. In caso di necessità sa accontentarsi di insetti e altri invertebrati, e gradisce la frutta ben matura e dolce. Si spinge fin nei centri urbani per reperire resti di cibo presso i rifiuti, aggirandosi di solito nelle periferie, soprattutto se sono presenti grandi aree verdi. La sua straordinaria capacità di adattamento è paragonabile a quella dell’uomo, il suo principale nemico. La volpe 115 Rubriche Caccia alla volpe • La volpe delle campagne ha un grande difetto: trova irresistibile cacciare nei pollai. Per questo motivo la convivenza con l’uomo è sempre stata problematica. Scaltra ed intraprendente trova quasi sempre il modo di intrufolarsi nel cortile e portar via il bottino, in barba alle trappole poste dagli uomini. Con sprezzo del pericolo agisce furtivamente col favore delle tenebre e più si abitua alle prede domestiche e più ci torna; una calamità per contadini e allevatori, che sono alla continua ricerca di nuovi stratagemmi per ideare recinti a prova di volpe, che, tuttavia, con sorprendente agilità oltre che astuzia, si dimostra quasi sempre in grado di superare. In questo contesto la volpe acquista la fama di animale dannoso e da qui trae origine la sua persecuzione, dalla famosa caccia alla volpe dei Lord inglesi, oggi fortunatamente vietata, agli abbattimenti ad opera dei cacciatori sia per il valore commerciale della morbida pelliccia sia, soprattutto, per limitare l’aumento demografico di un animale che ritengono, a torto, il principale responsabile della diminuzione della selvaggina di interesse venatorio. Ma non bisogna dimenticarsi che la volpe è anche una formidabile cacciatrice di topi e la sua presenza, dunque, è molto utile nelle campagne. Questo straordinario predatore dalla figura snella e scattante possiede una dentatura forte e tagliente e dei sensi molto sviluppati. Grazie all’udito finissimo è in grado di individuare le prede nell’erba alta e avvertire il movimento di un piccolo roditore persino sotto un metro di neve. In queste condizioni realizza una cattura davvero sorprendente: si avvicina cautamente e si affida alle informazioni che le mobilissime orecchie le forniscono sulla preda nascosta, poi spicca un balzo verso l’alto e si tuffa a testa in giù nella neve per afferrare con estrema precisione l’ignaro malcapitato. Un’altra causa della triste nomea della volpe è, purtroppo, da ricercarsi nel ruolo che essa riveste come veicolo di diffusione della rabbia. È vero che, come tutti i mammiferi selvatici, anch’essa può contribuire a diffondere infezioni in ambiente silvestre e che, trattandosi di un animale molto diffuso e frequentando talvolta discariche e periferie urbane, è effettivamente un potenziale anello di congiunzione con la rabbia urbana di cani e gatti. Di recente il fenomeno è riapparso nel Nord-Est dell’Italia (Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige), ma sono stati prontamente adottati specifici provvedimenti, che consistono in adeguate campagne di vaccinazioni, volti a limitare il contagio. In alcune aree migliaia di esche vaccinali sono state distribuite sorvolando con l’elicottero tutto il territorio interessato. La situazione è costantemente monitorata, ma è comunque buona norma non dare troppa confidenza agli animali selvatici. Non è mai buona cosa interferire con i delicati equilibri naturali dando loro da mangiare o cercando di toccarli. Inoltre è impossibile prevedere le reazioni di un animale impaurito: ricordiamoci, infatti, che il più delle volte siamo noi gli intrusi nel suo territorio ed è nostro dovere, perciò, mostrarci massimamente discreti e rispettosi. Ladri di polli • In fondo oggi non è impossibile evitare le incursioni della volpe nei pollai, purché questi vengano costruiti con accorgimenti tali da indurre l’astuta cacciatrice ad orientare il suo interesse verso altre prede. Si può provare a recintare il pollaio con reti rigide ripiegate verso l'esterno e, dato che la volpe può compiere salti molto alti e persino arrampicarsi, è raccomandabile chiu- La volpe non teme il freddo grazie alla sua pelliccia che, costituita da peli lunghi che rivestono uno strato di peli più corti e fitti, isola l’animale dalle rigide temperature (14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti www.andreazampatti.it). 116 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti La volpe 117 Rubriche dere anche sopra con rete a voliera. È inoltre necessario interrare il più possibile la rete lungo tutto il perimetro del pollaio perché la volpe è un’ottima scavatrice. Infine la presenza di cani da guardia sarà un ulteriore deterrente. Se, tuttavia, si rinvengono ancora stragi nonostante questi accorgimenti, è probabile che il colpevole allora non sia la volpe, ma la faina. Di taglia più piccola, questo mustelide riesce più facilmente ad insinuarsi nei ricoveri e arreca gravi danni perché miete molte vittime. A differenza della volpe, la faina non porta via le sue prede per interrarle come scorta alimentare, ma lascia sul campo tutte le vittime di cui non sia riuscita a cibarsi. Ciò ha alimentato la credenza che la faina sia una spietata e crudele assassina che si nutre del sangue delle sue vittime. 118 Le Montagne Divertenti Nel Parco Nazionale del Gran Paradiso il nostro fotografo ha incontrato una volpe particolarmente confidente che gli ha concesso i meravigliosi scatti di queste pagine (14 dicembre 2010, foto Andrea Zampatti - www.clickalps.com). In realtà il grande tumulto degli animali spaventati, in gran numero in uno spazio circoscritto, accentua a livello esponenziale il suo naturale istinto che, nella concitazione dell’azione di caccia, la porta ad avventarsi su più prede possibili. A livello pratico è più difficile difendere il pollaio dalle faine, anche perché molto spesso di giorno vivono nascoste nei solai della casa e di notte sono furtive arrampicatrici così silenziose che possono non essere avvertite nemmeno dai cani. È preferibile quindi scegliere una rete rigida a maglia piccola e controllare periodicamente con accuratezza tutto il perimetro del pollaio. Ci si può dunque difendere dai ladri di polli senza porre trappole o impugnare il fucile. È una guerra di astuzie, ma alla fine l’uomo, con pazienza e dedizione, può sempre trovare soluzioni per rendere possibile la convivenza con gli animali selvatici. Una volpe da favola • Quel suo folto e soffice manto rosso fulvo che sfuma in bianco nelle parti inferiori e quella coda vaporosa lunga oltre un terzo del corpo le dona un aspetto regale e fiero, eppure già in questo risiede un inganno poiché la fa sembrare più grande di quanto in realtà non lo sia. Primavera 2012 Nell’immaginario comune, fin dai tempi più antichi, la volpe è il simbolo indiscusso della furbizia. Una qualità di duplice valenza, da un lato intesa come subdola capacità di inganno, dall’altro come espressione di vivacità intellettuale. Che questo comune, ma al contempo misterioso, mammifero abbia in fondo goduto di una certa ammirazione lo dimostra il ruolo di protagonista che ricopre in moltissime favole. Tra quelle di Esopo la più conosciuta è “La volpe e l’uva”, tant’è che ancora oggi si usa l’espressione "far come la volpe con l'uva" per indicare chi finge di disprezzare una cosa che desidererebbe molto, ma Le Montagne Divertenti che non può raggiungere. Ancora “Il corvo e la volpe”, nella quale si narra di una volpe che per accaparrarsi il pezzo di formaggio che il pennuto tiene nel becco tesse le lodi della sua voce, inducendolo a cantare. Ancora oggi per indicare una persona molto astuta si usa la metafora "è una vecchia volpe" e non sempre, tuttavia, con significato positivo. Ma se in natura la volpe si serve della furbizia per la sopravvivenza della specie, l’uomo, che possiede la facoltà di scegliere, deve sempre avvalersi delle doti del suo intelletto non per frodare, ma per far progredire, nel bene comune, la società in cui vive. La volpe 119 Speciali Recensione libri L'altra Montagna Marino Amonini G Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 120 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 iunto alla diciassettesima pubblicazione, Oreste Forno, eclettico alpinista/scrittore/fotografo, nativo di Berbenno e trapiantato a Erba, rivela il proprio percorso spirituale nelle pagine di questo nuovo libro. Da collaudato narratore e alpinista ambienta sulle montagne a lui più care i momenti più intensi, le riflessioni più profonde che l’avvicinano alla percezione di Dio. Diverse stagioni, tante montagne, numerose situazioni e una raffinata capacità di sentire, ascoltare e leggere i segni, che Oreste decifra e coglie come illuminanti e rassicuranti presenze del Padre Eterno accanto a sé e a tutti noi. “Dalla insaziabile voglia di mettere sotto i piedi le cime delle montagne più ardite per affermare rigorosamente la superiorità dell’intelligenza e delle capacità umane di fronte “all’impossibile”, al desiderio inappagabile di superare anche l’orgoglio della conquista per scorgere e accogliere tutto come un dono: dono di Chi, dall’alto, ti sa indicare la vera strada della vita e la percorre silenzioso al tuo fianco. Tutto, allora, viene ad assumere il proprio, vero significato: dalle persone di famiglia che danno corpo all’amore più pervasivo e profondo, alla scoperta della natura come abitazione di pace per tutti, alla passione per il silenzio che si fa parola di verità, alla fraternità paziente capace di comporre diversità e ingiustizie. Chi volesse leggere queste pagine, sappia che non sono di avventura, ma anzitutto di saggezza, con la quale si possono salire le montagne che, invece di essere conquistate, conquistano te.” La prefazione al libro è curata da Monsignor Roberto Busti, vescovo di Mantova. “Una voce da Lassù”, “Cercare Dio sulle cime”, L’altra faccia della morte”, “L’incontro con il Sublime”…. sono alcuni dei diciotto capitoli in cui Oreste Forno traccia la via più ardita da lui individuata e percorsa per raggiungere una vetta e trovare un insostituibile Le Montagne Divertenti compagno di cordata. L’invito alla lettura di queste pagine è anche dettato da una semplice quanto inconfutabile osservazione: la montagna per molti, per troppi è banalizzata dal cronometro, dalla performance, dalla frenesia di consumarla in fretta o di spettacolarizzarla. Il libro invece ci riporta alla nobiltà della nostra spiritualità, alla ricerca di luoghi, atmosfere, ritmi e sfide dove, ascoltandoci, ritroveremo noi stessi nelle forme più vere, nei sentimenti più forti, nelle emozioni più vive. Oreste Forno, L’altra montagna. Quella che porta più in alto delle cime, Bellavite Editore in Missaglia 2011, pag. 160, € 13 Recensioni 121 Speciali CLICK di primavera 122 Dati EXIF Recensione Autore / Roberto Ganassa Data di scatto / 1 maggio 2011 Ora di scatto / 10.15 Fotocamera / Canon EOS 5D Obiettivo / EF17-40mm f/4L USM Lunghezza focale equiv. / 36mm Tempo di esposizione / 1/1600 sec Apertura del diaframma / f.11 ISO / 200 Mentre nella bassa Valtellina si percepisce già il profumo dell'estate che si avvicina, nella valle di Preda Rossa, a oltre 3000 metri di quota, si può ancora sciare. Non è facile fotografare in ambienti innevati, la presenza di persone in movimento rende poi ancora più complicato, poiché non si trovano mai dove le vorresti tu. In questo caso l'autore le ha colte in una posizione che gli ha permesso di rendere l’idea della linea arcuata tracciata dagli scialpinisti. Ma è la nebbiolina adagiata sul fondo della valle a far da protagonista in questa foto, seguita dal selvaggio versante settentrionale dei Corni Bruciati, che irrompe sulla linea dell'orizzonte nascondendo in parte quello spettacolo di nubi che si rincorrono che si può appena leggere nei due angoli superiori dell'immagine. Unico neo della foto, la luce che cade piatta e senza identità sul candido manto nevoso. Le Montagne Divertenti Primavera 2012 La primavera occupa una porzione dell’anno dove in Valtellina si possono trovare le situazioni più svariate: le condizioni di luci e colori possono passare da un’estremo all’altro anche nell’arco di breve tempo. Le tre foto della rubrica, lo testimoniano pienamente. Le rigogliose fioriture di media montagna contrastano con il lento disgelo di un laghetto alpino, mentre in alta quota la neve ancora abbondante permette agli appassionati di scialpinismo di spingersi nella loro attività fino anche all’estate. Roberto Ganassa Le Montagne Divertenti Recensioni 123 Rubriche L'arte della fotografia Dati EXIF Recensione Autore / Roberto Moiola Data di scatto / 22 aprile 2009 Ora di scatto / 9.50 Fotocamera / Canon EOS 5D Mark II Lunghezza focale equiv. / 15mm Tempo di esposizione / 1/500 sec Apertura del diaframma / f.14 ISO / 200 Le fioriture di crocus (erroneamente chiamati bucaneve) sono un po’ il simbolo della primavera; sbocciano in concomitanza dello scioglimento della neve e spesso spuntano addirittura dalla neve. Come molte altre fioriture, i crocus sono di breve durata, perciò per ottenerne buone immagini occorre allo stesso tempo esser veloci, conoscere i posti giusti e avere - perché no - un po' di fortuna. Inoltre la grande variabilità del meteo in primavera ne rende imprevedibile la data della fioritura, complicandone la ricerca. Ci troviamo qui nei pascoli dell'alpe Bracciascia, in Valmalenco. Lo scatto è sicuramente ben inquadrato; la baitella è volutamente decentrata per lasciare spazio alle vedute che si spingono fino alle Alpi Orobie. A causa della conformazione della valle, è praticamente impossibile scattare questa foto con luce migliore (mattina presto o tardo pomeriggio), senza contare che col sole basso i fiori si chiudono. 124 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Dati EXIF Recensione Autore / Francesco Vaninetti Data di scatto / 1 maggio 2011 Ora di scatto / 12.30 Fotocamera / Canon EOS 50D Obiettivo / Tokina AF 11-16mm f/2.8 AT-X Pro DX Lunghezza focale equiv. / 18mm Tempo di esposizione / 1/250 sec Apertura del diaframma / f.10 ISO / 200 Uno dei soggetti paesaggistici più intensi che la primavera possa donarci è quello del disgelo di un lago d'alta quota. Qui siamo al lago d'Inferno, bacino artificiale cullato dal pizzo dei Tre Signori e dal pizzo di Trona, che torreggia nella parte sinistra della fotografia. Come possiamo notare, il caso ha regalato al fotografo una condizione molto particolare e stimolante: mentre la parte meridionale del lago è cosparsa dei tradizionali blocchi di neve e ghiaccio, la restante parte è ricoperta d'una granatina di ghiaccio, debolmente riflettente. Ma c'è poi un braccio di lago completamente disgelato, dove invece il riflesso è perfetto, la cui forma pare puntare verso la forcella, vertice di un triangolo di cielo, punto di fuga della composizione. Il tutto è poi immerso in quell'atmosfera luminosa e cristallina di cui possiamo godere solo quando sole e neve trovano combinazione. Recensioni 125 Speciali Foto dei lettori - il miglior fotografo La luna e il pizzo Badile ripresi con una focale di 400 mm (10 novembre 2010, foto Stefano Caldera). MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: • una che premia il fotografo più bravo tra quelli che avranno pubblicato i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna . Due delle sue foto verranno pubblicate con recensione e scheda di presentazione del fotografo. • una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo. Gli scatti migliori fra quelli pubblicati su www.clickalps.com/forum-montagna negli ultimi 3 mesi sono di: Bufera sulla cresta (22 gennaio 2012, foto Stefano Caldera). 126 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 IL FOTOGRAFO LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Ganassa). Mi chiamo Stefano Caldera e sono nato a Cantù del 1979. Ho un dottorato in Geomatica e Infrastrutture, spin-off legato all'Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio. La mia passione per la fotografia è iniziata pochi anni fa spinta dal mio interesse per la cartografia e dalla curiosità di guardare da vicino e di dare un nome alle montagne più lontane visibili dalle cime intorno al lago di Como. Ho così iniziato a utilizzare fotocamere con ottiche sempre più importanti, guardandomi così intorno in modo più attento e appassionandomi della fauna alpina. Non mi definisco un fotografo, i miei scatti nascono più che altro dall'assidua frequenza dell'ambiente montano in tutte le stagioni e orari del giorno; la bellezza delle nostre zone è anche questa: si scopre sempre qualcosa di nuovo e diverso. Lo scatto nella pagina a fianco è molto particolare, sicuramente non è un paesaggio incantevole, ma la forza devastante della natura che si esprime al massimo. Guardando la foto, mi sembra di sentire il freddo intenso di quel momento e inoltre lo stato di confusione creato dalla tormenta, fa un’effetto molto speciale. Soprattutto chi va in montagna e si è già trovato in una situazione analoga, sa benissimo che non è proprio un bel momento (anche se è molto emozionante) e oltretutto sa bene che non è per niente facile tirare fuori la macchina fotografica per scattare una foto: le mani si congelano in un attimo. Personalmente mi è capitato spesso, e la sensazione di impotenza contro la grande forza della natura è davvero grande. L’unico difetto che potrei trovare alla foto è la troppa centralità del soggetto, ma in questi frangenti sinceramente non me la sento di cercare il pelo nell’uovo. Lo scatto qui sopra è invece molto più romantico: un bell'omaggio alla luna splendidamente composta con la parte terminale della cresta N del pizzo Badile spruzzata di neve. Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 127 le foto dei lettori Rubriche AUSTRALIA Elisa, Miky, Roby e Mauro ad Uluru (21 ottobre 2011). LONDRA INDIA Caterina Gianoli al fianco di Sherlock Holmes, immerso nella lettura de Le Montagne Divertenti nella sua casamuseo di Baker Street (8 agosto 2011). SINGAPORE Valter e Annalisa sullo sfondo dell'hotel Marina Bay Sands, con la piscina più alta del mondo (12 gennaio 2012). Ugo e Giorgio alla fiera dei cammelli, a Pushkar. VALCHIAVENNA Fabrizio in località Belvedere, Prata Camportaccio (23 dicembre 2011). VALMALENCO Raffaele, Klaus e Peter con Le Montagne Divertenti in vetta al pizzo Scalino (28 agosto 2011). 128 Le Montagne Divertenti ALTO LARIO Paola Bulanti, Patrizia Oregioni e Sara Mondora: tutte donne sul Sasso Canale! (15 gennaio 2012). RESEGONE Gruppo CAI in valle Imagna in quest'inverno senza neve (15 gennaio 2012, foto Gianni De Stefani). DUBAI Un gemellaggio fra Caspoggio, Lugano e Dubai (30 settembre 2011). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 129 le foto dei lettori Rubriche CANADA Valtellinesi nella British Columbia (3 febbraio 2012). INDIA Fabio Sosio e Massimo Fiorelli presso Hampi Karnataka (18 dicembre 2011). TOGO Luca Magini a Lomé, in Togo (21 gennaio 2012). IRLANDA Francesco, Maria, Paola, Simone, Stefano, Sergio, Ramona, Francesca, Claudia, Ivano, Stefano ed Enrica nei dintorni di dublino (20 novembre 2011). VALMALENCO Due piccoli lettori, Gioele Corlatti e Nicolò Gianottia, nei pressi di Torre di Santa Maria. ANDE Ambra, Giovanni, Andrea e Sara ai piedi delle Torri del Paine (5 gennaio 2012). PERITO MORENO Paolo Colo, Ambra, Andrea, Paolo Gilla, Giovanni, Sara, Imma, Paolo(ne) e Giuseppe sullo sfondo del Perito Moreno. FLORIDA CHIESA IN VALMALENCO Fabiana, Stefania, Raoul e Giordano a South Beach, Miami (13 novembre 2011). Ogni anno tutti i Lenatti di Chiesa in Valmalenco si trovano per la tradizionale cena (gennaio 2011). 130 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 131 le foto dei lettori Rubriche AFGHANISTAN Carlo a Kabul, capitale dell'Afghanistan (4 gennaio 2012). THAILANDIA Chiara e Dario in compagnia di una donna di un villaggio del "Triangolo d'oro" in vestito tipico (novembre 2011). VAL VENOSTA ISOLE FALKLAND Cristina legge Le Montagne Divertenti in compagnia di un elefante marino del sud (11 novembre 2010). Marco e Mariarita durante una breve sosta all'Hotel Bellavista di Gustav Thoeni, in centro nella foto (25 settembre 2011). EGITTO Adelma, Rosanna e Carla ad Ain Sokhna (4 gennaio 2012). NUOVA ZELANDA ALTO LARIO Ivan Giudice e Marica Caranzi sul Tongariro (30 novembre 2011). Carry, Marty, Roby, Bomma e Wendie persi sul monte Berlinghera... malgrado le chiare indicazioni presenti sullo scorso numero della rivista! (8 gennaio 2012). CAPODANNO IN VETTA VALLE DEI RATTI Fabio De Bernardi e Demetrio Martinoli festeggiano sul Berlinghera la notte di San Silvestro (1 gennaio 2012). MAR ROSSO VAL GROSINA Corrado Tavelli e Le Montagne Divertenti a -20 metri nelle acque di Sharm el Sheik (4 gennaio 2012). 132 Le Montagne Divertenti Luciano, Tiziano, Ermes, Rosi e Giulio, operai E.R.S.A.F. occupati in lavori di manutenzione sentieristica, e che nelle lunghe serate in baita leggono Le Montagne Divertenti (28 ottobre 2011). Mykla e Franz a Pugnalt (22 gennaio 2012). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti CORSICA Marco Bianchi lungo il GR20 col CAI Chiavenna. Le foto dei lettori 133 le foto dei lettori Rubriche soluzioni del n.19 Vincitori e 'N gh'el? vinti Questa foto, tratta dall'archivio di cartoline di Maurizio Cittarini, ritrae Teglio e la chiesa di San Pietro a inizio '900. Stefania Bassola ci ha anche ricordato che la chiesa "è di origine medievale, risale probabilmente ai primi anni del XI secolo ed è una delle testimonianze più significative dell’arte romanica in Valtellina. La chiesa ha navata unica terminante con un’abside semicircolare. Internamente, sul lato sinistro, vi sono due grandi arcate, ormai chiuse, il cui utilizzo è tutt’ora sconosciuto. L’apertura cruciforme in facciata è originale, mentre il portale e le aperture sulle pareti laterali sono riconducibili al XVII secolo. Sul lato destro della chiesa sorge il campanile, caratterizzato, da strette feritoie nei primi due piani, quindi da tre ordini di bifore di dimensioni differenti." ISOLE CANARIE I vincitori sono stati: 1- Paul Testini di Poggiridenti 2- Stefy 79 3- Stefania Bassola di Sondrio 4- Fabio Pedroli di San Giacomo di Teglio 5- Alessandro Piani di Albosaggia Un gruppo di nord walking sul monte Corona, Lanzarote (25 ottobre 2011). Hanno inoltre indovinato (in assenza di firma ho indicato i nickname): Sergio Proh, Pamela Morellini, Aldo Valli, Frabett, Daniele Moncecchi, Sonia Soverna, Ugoepina, Ermanni Mossini, Sdonchi, Cok, Corrado, Panpao, Andrea Sassella, Paola Civati, Enrico Gottifredi e Ivan Andreoli. ma che scimma ì-è? SCOZIA SUDAN Silvana Dell'Avanzo sulle coste delle Isole Ebridi (21 giugno 2011). Ospedale di Turalei, nella Repubblica Sud Sudan. Il personale sanitario locale e i medici e infermieri valtellinesi di www.perterreremote.it salutano e ringraziano i sostenitori del progetto (24 novembre 2011). PRESOLANA OMAN Donatella Scaglioni con Le Montagne Divertenti in Presolana (7 gennaio 2012). 134 Le Montagne Divertenti Le due cime nella foto scattata da Roby Ganassa dal rifugio Giannetti sono (da sx) la punta Bertani (m 2803) e la punta Moraschini (m 2815). I vincitori sono stati: 1- Enrico Gottifredi di Dubino 2- Linda di Bellano 3- Simone Nonini di Sorico 4- Sergio Proh di Mossini 5- Giulia Bertolini di Morbegno Hanno inoltre indovinato (in assenza di firma ho indicato i nickname): Ragnodismaria e Giovanni Rovedatti. Andrea e Alice salutano dalle montagne dell'Oman (2 febbraio 2012). Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Giochi 135 Giochi Che scimma i-è? Questa volta non sarà facile! Che cime sono ritratte in fotografia? I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 28 marzo 2012 vinceranno la foto stampata su tela (altezza 70 cm - già con telaio e supporti). Il 3° classificato avrà pantaloncini e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Scrivi la tua risposta sul forum “Che scimma i-è?” accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi Ma ch'èl? Lascia un segno. Sezioni comunali della Provincia di Sondrio AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297 AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243 AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000 Sei pratico di vecchi utensili? Dimmi allora come si chiama e a serve quello qui fotografato. cosa I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 26 marzo 2012 vinceranno maglietta+pantaloncini de “Le Montagne Divertenti” + 1 libro a scelta*, il 3° classificato ricevera' i pantaloncini de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a scelta* (* tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com). Scrivi la tua risposta sul forum “Ma ch'èl? ” accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE Le Montagne Divertenti Giochi 137 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Le frìtule perle di cucina povera Testi e foto Adriana e Marino Amonini V Gli esperti la chiamano cucina povera; a noi, affamati di scarpinate e di genuinità, piace tanto, tantissimo. Una gettonata e ruspante ricetta che coniuga facilità di preparazione, semplicità negli ingredienti e golosità certa. ricetta per 5 persone In una terrina dosate 4 cucchiai di farina bianca, 8 cucchiai di farina di grano saraceno. Aggiungete un pizzico di sale e acqua a poco a poco, mescolando bene fino a ottenere una pastella di giusta consistenza (deve scivolare fluidamente dal cucchiaio). Riempite una fondina con Casera di paese tagliato a listarelle e versatela nella pastella amalgamando il tutto. Riscaldate bene in una padella un filo d’olio d’oliva, quindi inserite la pastella disposta a cucchiaiate separate. In breve le frìtule dorano e, quando sono ben croccanti, ribaltatele. Lasciate cuocere ancora un po', a vostro piacimento. Come ultima cosa potere impreziosire il piatto di portata disponendovi le frìtule su un letto di insalatina di stagione (squisita la valeriana spontanea diffusa sui terrazzamenti ai primi tepori primaverili). Servitele ben calde, ma solo dopo aver fatto firmare una liberatoria agli amici, che vi sollevi da ogni responsabilità se gli ingordi si ustioneranno il palato per la troppa voracità. State tranquilli che questo semplice capolavoro di cucina povera sazia, cementa amicizie e non le fa rompere neppure se gli amici, invitati a cena, vi dovessero chiedere la frìtula di vostra moglie! 138 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Senza la fotografia forse non avrei mai saputo nulla dell'esistenza delle montagne. Karl Reinhard (alpinista estremo, 1946-1982) 140 Le Montagne Divertenti Primavera 2012 Le Montagne Divertenti Ricette 141