poster 8 giugno

Transcript

poster 8 giugno
Sponsor d’oro
BMS
Pfizer
Sponsor d’argento
Dompé
Grünenthal
Mundipharma
Si ringrazia inoltre
AMS
Codman
Euro Imaging
Helsinn
Hospital Service
Innovapharma
Janssen-Cilag
Glaxo
Meda
Medtronic Int. Trad.
Medtronic Italia
Molteni
Novartis
Recordati
Sanofi-Pasteur
Sigma-Tau
Patrocinato da: Regione Veneto, Provincia di Verona, Comune di Verona e Ordine dei Medici di Verona
Segreteria Organizzativa
Soluzioni Omnia Media
Via Anfiteatro 10 - 37121 Verona
Tel. +39 045 8034553 - Fax +39 045 8021669
www.soluzioniverona.it - [email protected]
Il 30° Congresso Nazionale dell’AISD si
terrà a Perugia il 24-26 Maggio 2007.
Anche Perugia è una città con antiche tradizioni culturali ed algologiche. In essa
l’AISD ritorna ancora una volta per il proprio Congresso Annuale, certa che sarà
capace di catalizzare le forze scientifiche
che studiano il fenomeno dolore acuto e
cronico, nei suoi aspetti di base e clinici.
Il Consiglio Direttivo dell’AISD si augura di
vedervi ancora una volta tutti insieme per
discutere e confrontarvi su questo affascinante tema della Medicina.
Per tutte le informazioni aggiornate potete
visitare il sito:
www.aisd.it.
29° Congresso Nazionale AISD
Verona 8-10 Giugno 2006
Palazzo della Gran Guardia
Comitato Scientifico
Stefano Ischia (Presidente)
Giustino Varrassi (Presidente AISD)
Edoardo Arcuri, Giancarlo Carli, Gabriele Finco, Maria Adele Giamberardino
Leonardo Gottin, Aldo Luzzani, Alberto Panerai, Alberto Pasetto, Enrico Polati
Comitato Organizzatore Locale
Stefano Ischia (Presidente)
Gabriele Finco (Vice-Presidente)
Gabriele Brognoli, Marcello Ceola, Katia Donadello, Leonardo Gottin, Aldo Luzzani
Antonio Marchi, Mario Musu, Antonella Paladini, Eleonora Pedrazzoli, Giulia Perina,
Alba Piroli, Enrico Polati, Vittorio Schweiger
Indice
Programma Scientifico
Sessioni
Poster
6
7
11
Relazioni e Abstract
25
Informazioni Generali
17
ECM
18
Sede e Segreteria
19
Area Espositiva e Punto Ristoro
20
Iscrizioni, Informazioni Scientifiche e Sociali 21
Programma Sociale
22
Saluto di benvenuto del Comitato Organizzatore Locale
I
l Comitato Organizzatore Locale ha piacere di darvi il benvenuto al 29° Congresso
Nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore. L’AISD ha deciso di festeggiare il proprio 30° anniversario tornando a Verona per il congresso nazionale.
Il COL è ben lieto che in questa gioiosa occasione siate intervenuti ancor più numerosi
degli anni scorsi per lasciarvi conquistare da questo angolo magico d’Italia, dove la cultura
del dolore si mescola con la favola magica di Romeo e Giulietta, di cui potrete respirare l’aria passeggiando per il centro della città, dopo una giornata di lavoro congressuale.
Ma Verona è anche città di grande tradizioni culturali e fieristiche. Basti pensare alla stagione operistica che ogni anno richiama nell’Arena centinaia di migliaia di appassionati o a
manifestazioni come “VinItaly” che hanno rappresentato il volano per il lancio di un mercato, quello del vino, che non poco contribuisce all’economia nazionale. Siamo già certi
che, da un incontro del genere, i Vostri interessi culturali e scientifici sul dolore sapranno cogliere nuova
linfa e rafforzarsi.
Allo studio ed alla terapia del dolore la città di Verona ha dedicato molte energie. Qui, infatti, sono già stati
fatti 3 Congressi Nazionali AISD, incluso quello svolto all’interno del 1° Congresso EFIC, “Pain in Europe”,
nel Maggio 1995. Qui, nel 1982, è nata la prima Scuola di Specializzazione al mondo in Fisiopatologia e
Terapia del Dolore. Qui sono stati portati avanti tanti importanti trials clinici, che sono all’origine di molte
pubblicazioni internazionali, soprattutto sul trattamento del dolore con metodiche invasive.
Per il COL è un irripetibile piacere darvi il benvenuto ed aiutarvi a trovare ciò che meglio si addice alle
Vostre esigenze in una terra che offre un ampio ventaglio di occasioni da non mancare.
Cari Soci, Amici e Colleghi,
Il Presidente
(Prof. Stefano Ischia)
è un piacere vedervi a Verona, al 29° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana per
lo Studio del Dolore. Questa città storicamente ha dato un grande contributo all'algologia
italiana ed internazionale, sia sotto il profilo culturale che clinico. In questa sede, infatti,
sono stati organizzati 2 precedenti congressi nazionali AISD ed il 1° Congresso EFIC. Qui
è anche nata la prima Scuola di Specializzazione universitaria al mondo in Fisiopatologia e
Terapia del Dolore (1982).
Questo appuntamento coinciderà con la celebrazione del Trentennale dell'AISD e, pertanto,
rappresenterà un momento molto significativo nella vita della Società Scientifica. L’AISD è
stata, infatti, uno dei primissimi capitoli nazionali della IASP, essendo stata fondata nel Marzo
del 1976, solo pochissimi mesi dopo il primo congresso IASP (Firenze, Settembre 1975).
Trenta anni di vita non sono pochi. Se li rapportiamo alla vita dell’uomo, sono il momento
in cui si raggiunge la maturità intellettuale, il compimento di un cammino di apprendimento che sarà poi
la base per la produttività futura.
Lo stesso vale per l’AISD. Essa ha raggiunto la maturità scientifica, ha saputo convogliare in se le molteplici facce del dolore, le molteplici competenze di chi lavora e studia la fenomenologia del dolore. L’AISD è
cresciuta in parallelo con l’interesse generale nei confronti del dolore, da essa promosso e guidato con decisa leadership. Nello stesso tempo, ha saputo calarsi ancor più profondamente in un contesto internazionale che, in epoca di globalizzazione, è divenuto irrinunciabile. Ne sono prova tangibile le innumerevoli iniziative che al dolore vengono dedicate, come la “European week against pain”, iniziativa propria dell’EFIC
e delle sue società fondatrici, che quest’anno, alla sua 6° edizione, si aprirà, ad Istanbul, con il Global Day
Against Pain e sarà dedicata al dolore nell’anziano.
Il Congresso Nazionale AISD rappresenta, ogni anno, un’occasione irripetibile in cui si concentra il più alto
numero di “addetti ai lavori”, vale a dire di professionisti dediti alla cura di malati con dolore acuto e cronico, ma anche di ricercatori di base, farmacologi e quant’altri hanno fatto dello studio del dolore la loro
scelta di vita professionale. In sintesi, è un’occasione che, chi è qui, ha fatto bene a non mancare in quanto Gli sarà data la possibilità di contattare un elevato numero di persone che con Voi condivide interessi
professionali e scientifici. Ed inoltre, in questa sede si avrà anche modo di interagire con tutte le più importanti Aziende del settore, il cui apporto ha contribuito a realizzare questo evento. A loro, ancora una volta,
va il ringraziamento più sentito.
Il Presidente
(Prof. Giustino Varrassi)
Visitate il sito:
www.aisd.it
ci troverete:
• Storia dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore
• Sezione dedicata ai Soci
• Biblioteca
• News
Statistiche degli ultimi 4 mesi (1.988 visite e 13.773 hits nella
settimana 21-27 Maggio 2006)
4
Relatori
Agrò F. (Roma)
Aloisi A.M. (Siena)
Alon E. (Svizzera)
Amantea B. (Catanzaro)
Ambrosio F. (Padova)
Arcuri E. (Roma)
Ascoli Marchetti V. (Roma)
Aurilio C. (Napoli)
Badalamenti A. (Palermo)
Beltrutti D. (Bra)
Bernardini U.D. (Firenze)
Berti M. (Parma)
Bertoni F. (Modena)
Bonezzi C. (Pavia)
Braschi A. (Pavia)
Bruno F. (Bari)
Camaioni D. (Roma)
Caraceni A. (Milano)
Carli G. (Siena)
Casale R. (Montescano, PV)
Cassisi G.A. (Belluno)
Cattaneo A. (Roma)
Ceccherelli F. (Padova)
Cesaroni A. (Roma)
Chiefari M. (Napoli)
Coaccioli S. (Terni)
Colini Baldeschi G. (Roma)
Costantini A. (Chieti)
Cruccu G. (Roma)
Dal Cin T. (Treviso)
Davis K. (Canada)
De Benedittis G. (Milano)
Delogu G. (Roma)
Di Massa A. (Siena)
Enea P. (Palermo)
Erdine S. (Turchia)
Evangelista M. (Roma)
Finco G. (Cagliari)
Fogliardi A. (Pesaro)
Franchi G. (Verona)
Gagliardi G. (Padova)
Galeotti F. (Roma)
Gatti A. (Roma)
Giamberardino M.A. (Chieti)
Gotlieb A. (Genova)
Ischia S. (Verona)
Lamberto A. (Cuneo)
Lucia M. (Palermo)
Luzzani A. (Verona)
Mameli S. (Cagliari)
Marinangeli F. (L’Aquila)
Marchettini P. (Milano)
Margaria E. (Torino)
Matossi L’Orsa R.M. (Torino)
Mattia C. (Roma)
Mediati R. (Firenze)
Melotti R.M. (Bologna)
Mense S. (Germania)
Montrone V. (Napoli)
Muggeo M. (Verona)
Nardi L. (Macerata)
Nardi P. (Roma)
Nava T. (Milano)
Nicotera G. (Cosenza)
Niv D. (Israele)
Orlandini G. (Tortona)
Pagni C.A. (Torino)
Panerai A. (Milano)
Paoletti F. (Perugia)
Pasetto A. (Modena)
Pasqualucci A. (Perugia)
Pavone F. (Roma)
Peduto V.A. Perugia)
Pepeu G. (Firenze)
Pinto G. (Roma)
Piroli A. (L’Aquila)
Polati E. (Verona)
Poli P. (Pisa)
Porro C.A. (Modena)
Reverberi C. (Cremona)
Rinaldi R. (Roma)
Romanò C. (Milano)
Rossato M. (Padova)
Ruiz Lopez R. (Spagna)
Sabato A.F. (Roma)
Sabbatini R. (Modena)
Salar G. (Padova)
Sandrini G. (Pavia)
Santamaria L. (Messina)
Santangelo E. (Catanzaro)
Santoro L. (Napoli)
Sarzi Puttini P. (Milano)
Savoia G. (Napoli)
Sotgiu M.L. (Milano)
Tiengo M. (Milano)
Truini A. (Roma)
Tufano R. (Napoli)
Tupputi M. (Cagliari)
Vadalouca A. (Grecia)
Varrassi G. (L’Aquila)
Vecchiet L. (Chieti)
Vellani V. (Modena)
Vellucci R. (Firenze)
Volpi A. (Roma)
Zoppini G. (Verona)
Zucco F. (Milano)
5
6
CA 2
AISD-SIMFER
Muscular pain
Welcome party
Cerimonia inaugurale
LP1 – Trattamento
Chirurgico della Nevralgia
del Trigemino
CA 1
Dolore neuropatico (III)
Casi Clinici
TR 3
Anticorpo anti-TrkA
MNAC13 nel dolore
infiammatorio e
neuropatico
Serata di Gala
Assemblea Soci
SS 3
Nuovi oppiacei nel
dolore cronico e nel DEI
Discussione posters
TR 2
Dolore da metastasi
ossee
TR 4
Medicine non
convenzionali e dolore
neurogeno
CA: Corso di aggiornamento; LP: Lettura plenaria; ME: Meet the expert; SS: Simposio sponsorizzato; TR: Tavola rotonda
20:30
18:00-20:30
17:00 - 18:00
14:30 - 17:00
13:30 - 14:30
12:00 - 13:30
SS 2
Buprenorfina
transdermica: nuovi dati
su un farmaco di lunga utilizzazione clinica
TR 1
Il dolore nell’ospedale
SS 4
Metodiche invasive nel
dolore cronico non da
cancro
TR 6
Psicologia e
trattamento dei
pazienti terminali
TR 5
Farmaci non
analgesici e
modulazione del dolore
ME 4
Denervazione delle faccette articolari nelle algie
croniche della colonna
ME 3
Ziconotide: un nuovo
farmaco per il dolore
cronico
SS 1
Aspetti clinici del
dolore
ME 2
Neurolesione e neuromodulazione nel dolore da
cancro
ME 1
Terapia del dolore cronico nel paziente pluritrattato
Aula B
Aula A
10:30 - 12:00
Aula B
Aula A
10 giugno 2006
LP 3
Recent advances in
imaging acute and
chronic pain
CA 2
AISD-SIMFER
Muscular Pain
Aula B
9 giugno 2006
LP 2
Prevenzione di Herpes
Zoster e sue sequele
CA 1
Dolore neuropatico
(I e II)
Aula A
8 giugno 2006
9:45 - 10:30
8:30 - 9:30
ore
PROGRAMMA SCIENTIFICO
Aula A
8 Giugno 2006
10:30-13:30
10:30-13:30 CA 1 – Dolore neuropatico (parte I)
Moderatori: F. Agrò, G. Varrassi
10:30-10:40 Compilazione questionario pre-evento
10:40-11:00 Epidemiologia e manifestazioni del dolore
neuropatico
P. Marchettini
11:00-11:20 Diagnostica differenziale e strumentale nel
dolore neuropatico
L. Santoro
11:20-11:40 Linee guida terapeutiche nel dolore neuropatico
G. Cruccu
10:30-10:50
10:50-11:10
11:10-11:30
11:40-11:50 Coffee break
CA 1 – Dolore neuropatico (parte II)
Moderatori: A.F. Sabato, A. Pasqualucci
11:30-11:45
11:50-12:10 CRPS I e II e dolore neuropatico centrale
C. Bonezzi
12:10-12:30 Dolore neuropatico nel paziente diabetico
M. Muggeo, G. Zoppini
12:30-12:50 Dolore post-herpetico e post-attinico
F. Paoletti
12:50-13:10 Dolore neuropatico in ortopedia
C. Romanò
13:10-13:30 Discussione
12:00-12:20
12:20-12:40
12:40-13:30
CA 2 – Corso congiunto AISD-SIMFER
(Gruppo di Studio Dolore e Riabilitazione)
Fisiopatologia e trattamento del dolore
muscolare - Pathophysiology and treatments of muscular pain
Chairmen: D. Beltrutti, L. Vecchiet
Evoluzione storica del concetto di dolore
muscolare - Historical evolution of the
concept of muscular pain
M.A. Giamberardino
Fisiopatologia del dolore muscolare
Pathophysiology of muscular pain
S. Mense
Dolore muscolare e fatica
Muscular pain and fatigue
R. Casale
Discussione - Discussion
Sintomi correlati al dolore muscolare
Correlate symptoms of muscular pain
P. Sarzi Puttini
Trattamento farmacologico
Pharmacological treatments
F. Ambrosio
Discussione - Discussion
13:30-14:30 Discussione Poster
13:30-14:30 Discussione Poster
14:30-17:30
14:30-17:00 CA 1 – Dolore neuropatico (parte III)
Casi clinici vincitori del concorso
Moderatori: E. Alon, A. Gatti
- Nevralgia del trigemino - F.P. Alberico
- Pregabalin nel trattamento della lombosciatalgia - M. Caranese
- Pregabalin nel trattamento della cervicobrachialgia - M. Ceccobelli
- Pregabalin nel controllo del dolore da neuropatia diabetica - D. Ciocchetti
- Dolore addominale cronico in paziente con neuropatia diabetica e drepanocitosi - R. Di Leo
- Pregabalin e clearence della creatinina - R. Esposito
- Sindrome post-laminectomia: un calcio al dolore - L. Fabozzi
- Aggravamento di dolore cronico in paziente affetta da diabete mellito - F. Formaglio
- Trattamento agopunturale conservativo per l’ernia discale del rachide lombosacrale
- F.E. Madruga
- Trattamento con immunoglobuline in un paziente affetto da radicoloplessopatia lombosacrale diabetica - S. Tamburin
- Pregabalin nella neuropatia posterpetica - G. Tufaro
14:30-14:50
14:50-15:10
15:10-15:30
15:30-15:50
18:00–20:30 Cerimonia inaugurale
LP 1 – Trattamento chirurgico della
nevralgia del trigemino
S. Ischia
16:00-16:20
Welcome party
16:20-16:40
Consegna dei premi per i migliori contributi scientifici
20:30
Aula B
16:40-17:30
7
CA 2 – Corso congiunto AISD-SIMFER
(Gruppo di Studio Dolore e Riabilitazione)
Trattamenti non-farmacologici e fisici del
dolore muscolare - Non-pharmacological
and physical treatments of muscular pain
Chairmen: D. Beltrutti, A. Vadalouca
Interventi psicofisici e supplementi dietetici - Psycophysical, and dietary supplementation interventions
G. Carli
Trattamento dei trigger points - Trigger
points treatments
G.A. Cassisi
Stretch-and-spray
M. Cazzola, T. Nava
Agopuntura ed elettroagopuntura
Acupuncture
F. Ceccherelli
Massaggio connettivale riflessogeno
Connective tissue massage
T. Dal Cin, R. Casale
Cinesiterapia, postura ed equilibrio
Kinesitherapy, posture and gait
M. Rossato
Discussione e compilazione dei questionari - Discussion and questionnaires compilation
PROGRAMMA SCIENTIFICO
Aula A
9 Giugno 2006
08:30-09:30
08:30–09:30 ME 1 – Terapia del dolore cronico nel
paziente pluritrattato
Moderatori: D. Camaioni, G. Varrassi
Esperti: M. Evangelista, F. Marinangeli
Esperti: Neurolesione – S. Mameli
Neuromodulazione - A. Costantini
10:30–12:00 TR 1 – Il dolore nell’ospedale
10:30-10:50
10:30–12:00 SS 1 – Aspetti clinici del dolore
Moderatori: R. Tufano, G. Varrassi
10:30-10:50 Fisiopatologia del dolore e paracetamolo
V.A. Peduto
10:50-11:10 Gestione del dolore cronico non da cancro
S. Coaccioli
11:10-11:30 Gestione del dolore postoperatorio
M. Berti
11:30-12:00 Discussione
12:00-13:30 SS 2 – Buprenorfina Transdermica: nuovi
dati su un farmaco di lunga utilizzazione
clinica
Moderatori: F. Bruno, G. Varrassi
10:50-11:10
11:10-11:30
11:30-12:00
Moderatori: G. Delogu, G. Pinto
Raccomandazioni delle Società Scientifiche
e qualità di cura del paziente ospedalizzato
G. Savoia
Organizzazione dell’Acute Pain Service
A. Pasetto
Il dolore in un ospedale di insegnamento
R.M. Melotti
Discussione
12:00–13:30 TR 2 – Dolore da metastasi ossee
12:00-12:20
12:00-12:20 Influenze della buprenorfina sul sistema
endocrino
A.M. Aloisi
12:20-12:40 Buprenorfina transdermica nella fibromialgia
R. Casale
12:40-13:00 Buprenorfina transdermica e dolore da cancro
F. Marinangeli
13:00-13:30 Discussione
12:20-12:40
12:40-13:00
13:00-13:20
13:20-13:30
14:30-17:00
Moderatori: A. Di Massa, A. Luzzani
Fisiopatologia e clinica delle metastasi ossee
A. Pasetto
Terapia medica
P. Conte
Radioterapia palliativa
F. Bertoni
Neuromodulazione e neurolesione
E. Polati
Discussione
TR 3 – Anticorpo anti-TrkA MNAC13 nel
dolore infiammatorio e neuropatico
Moderatori: A. Panerai, C.A. Porro
14:30-17:00 SS 3 – Nuovi oppiacei nel dolore cronico
e nel DEI
Moderatori: B. Amantea, G. Varrassi
14:30-14:50
14:30-15:00 Ruolo dell’ossicodone a rilascio controllato
nel trattamento del dolore da cancro
G. Finco
15:00-15:30 DEI: caratteristiche ed importanza della sua
valutazione
R. Mediati
15:30-16:00 Riconoscere e trattare il DEI
E. Arcuri
16:00-16:30 Ossicodone a rilascio controllato e dolore
cronico non da cancro
R. Vellucci
16:30-17:00 Discussione
20:30
ME 2 – Neurolesione e neuromodulazione nel dolore da cancro
Moderatori: V. Montrone, P. Poli
09:45–10:30 LP 2 – Prevenzione di Herpes Zoster e sue
sequele
A. Volpi
Moderatore: C. Aurilio
17:00
Aula B
Assemblea dei Soci
Serata di Gala
14:50-15:10
15:10-15:30
15:30-15:50
15:50-16:10
16:10-17:00
8
Ricerca di base e sviluppo delle potenzialità terapeutiche nel dolore cronico
A. Cattaneo
Mediatori infiammatori e traduzione sensoriale nei nocicettori
V. Vellani
I recettori NGF/TrKA: potenziali bersagli terapeutici nel dolore infiammatorio e neuropatico
F. Pavone
Il contributo del neurone sensoriale primario nell’allodinia/iperalgesia: osservazioni
microneurografiche
P. Marchettini
Nevralgia trigeminale: una condizione
peculiare da caratteristiche proprie del
nervo trigemino?
G. Cruccu, F. Galeotti, A. Truini
Discussione
PROGRAMMA SCIENTIFICO
Aula A
10 Giugno 2006
08:30–09:30 ME 3 – Ziconotide: un nuovo farmaco per il
dolore cronico
Moderatore: A. Braschi, M. Tupputi
Esperti: P. Marchettini, G. Varrassi
09:45–10:30 LP 3 – Recenti acquisizioni nell’imaging del
dolore acuto e cronico
Recent advances in imaging acute and chronic pain
K. Davis
Moderatore: C.A. Porro
10:30–12:00 SS 4 – Metodiche invasive nel dolore cronico non da cancro
Moderatori: A. Fogliardi, L. Nardi
10:30-10:50 Update e risultati della stimolazione periferica
C. Reverberi
10:50-11:10 Evoluzione del trattamento del dolore cronico con il nuovo elettrocatetere Pasha e con
radiofrequenza pulsata
G. Colini Baldeschi
11:10-11:30 Applicazioni cliniche e prospettive future
della nucleoplastica
P. Nardi, A. Cesaroni
11:30-11:50 Nucleoplastica lombare e cervicale: 4 anni
di follow-up
M. Lucia, A. Badalamenti, P. Enea
11:50-12:00 Discussione
12:00-14:00 TR 4 – Medicine non convenzionali e
dolore neurogeno
Moderatori: M. Chiefari, E. Santangelo
12:00-12:20 Fisiopatologia dell’allodinia e dell’iperalgesia
R. Casale
12:20-12:40 Diagnostica e medicine complementari
R. Rinaldi
12:40-13:00 Ricerca scientifica ed agopuntura
A. Piroli
13:00-13:20 Basi razionali dell’integrazione farmaci-agopuntura
G. Gagliardi
13:20-13:40 Terapia integrata nel dolore neurogeno
F. Ceccherelli
13:40-14:00 Discussione
9
Aula B
08:30-09:30 ME 4 – Denervazione delle faccette articolari nelle algie croniche della colonna
Moderatori: G. Nicotera, L. Santamaria
Esperti: Colonna lombare – D. Niv
Colonna cervicale – R. Ruiz Lopez
10:30–12:00 TR 5 – Farmaci non analgesici e
modulazione del dolore
Moderatori: C. Mattia, L. Vecchiet
10:30-10:50
Farmaci non analgesici nella modulazione
del dolore muscolare
10:50-11:10
Ormoni gonadici come modulatori della
percezione algogena
A.M. Aloisi
11:10-11:30
11:30-12:00
M.A. Giamberardino
Farmaci non analgesici nelle cefalee
G. Sandrini
Discussione
12:00–14:00 TR 6 – Psicologia e trattamento dei
pazienti terminali
Moderatori: D. Beltrutti, F. Zucco
12:00-12:20 Stress e cure palliative
A. Lamberto
12:20-12:40 Supporto psicologico a famiglia e paziente
nelle cure palliative
G. De Benedittis
12:40:13:00 Palliativista e burn-out
A. Caraceni
8 Giugno 2006
ELENCO POSTER
1) EPIDURALE ANTALGICA IN PRONTO SOCCORSO
A. Brunelli,G. Verde, A. Nava , M. Allegri, C. Della Ferrera, G. Arachi, A. Braschi, A. Pasqualucci.
2) NEUROSTIMOLAZIONE MIDOLLARE SUBLIMINARE NELL’ANGINA PECTORIS: UN CASO CLINICO
V. Carboni, B. Rossini, C. Pedroni, A. Serio, A. Brunelli, M. Allegri, A. Pasqualucci, A. Braschi.
3) IL KETOROLAC PUÒ RISOLVERE LO SPASMO VESCICALE NEL PICCOLO PAZIENTE UROLOGICO SOTTOPOSTO AD INTERVENTO CHIRURGICO DI CORREZIONE DI MEGAURETERE E DI REFLUSSO VESCICO-URETERALE?
F. Corradetti, M. Cascelli, M. DiVirgilio, F. Gori, A. Pasqualucci, S. Tesoro
4) UTILIZZO DELLA BUPRENORFINA TDS NEL CONTROLLO DEL DOLORE ONCOLOGICO
D. Della Porta, D. Lo Sapio, R. Cocchia, A.Pironti, S.Ambrosio., Notaro S., Lo Sapio B., Chiefari M.
5) BURNOUT E CURE PALLIATIVE. IL RUOLO DELLA SUPERVISIONE
A. Fogliardi, R. Filipponi
6) EFFICACIA DELL’ANALGESIA PERIDURALE NEL CONTROLLO DEL DOLORE POSTOPERATORIO IN CHIRURGIA MAGGIORE
A. Lilla, E. Peluso, M. Parise, S. Bettinelli, A. Brunelli, M. Allegri, A. Pasqualucci, A. Braschi
7) UTILIZZO DELLA BUPRENORFINA TDS NEI PZ CON HERPES ZOSTER: STUDIO PRELIMINARE
D. Lo Sapio, D. Della Porta, R. Cocchia, A. Pironti, S. Ambrosio, S. Notaro, B. Lo Sapio, M. Chiefari
8) ANALGESIA NEL TRAVAGLIO DI PARTO: INSUFFICIENTE IL SUPPORTO NORMATIVO
F. Marinangeli, L. Di Stefano, A. Piroli, A. Ciccozzi, A. Paladini, I. Marsili, G. Varrassi
9) L’OSSICODONE NELLA TERAPIA DEL DOLORE DEI PAZIENTI ONCOLOGICI E NON ONCOLOGICI:
VALUTAZIONE DEI NOSTRI RISULTATI
A. Marra, R. Capozzolo, V. Pagnozzi, C. Moccaldi, G. Valletta, C. Maiorano, A. Campanile, V. Conforti,
C. Arena
10) CEFALALGIA E RIFLESSO-TERAPIA: NOSTRA ESPERIENZA
S.Meloncelli, R.Rinaldi, Castellani, M.Casiraghi
11) LA VIA PERIDURALE CONFRONTO TRA METODICHE DI SOMMINISTRAZIONE
C. Moretti, BG. Samolsky-Dekel, F. Sangiorgi, E. Piraccini, C. Rotondo, I. Turriziani, M. Villa,
GF. Di Nino
12) IL DOLORE ACUTO NELL’EMERGENZA SUL TERRITORIO
C. Narducci, F. Marinangeli, L. Ursini, P. Tasciotti, M. Tomei, A. Piroli, A. Ciccozzi, A. Paladini, I. Marsili,
M. Evangelista, G. Varrassi
13) E.S.P. E TENS NELLE SINDROMI DOLOROSE MIOFASCIALI
R.Occhioni, R.Rinaldi, S.Meloncelli, M.Casiraghi
14) EFFICACIA ANALGESICA DEL PROPACETAMOLO VS KETOPROFENE IN PAZIENTI SOTTOPOSTE AD INTERVENTI DI CHIRURGIA GINECOLOGICA MINI-INVASIVA
G. Pedini, A. Tarquini, F. Gori, A. Pasqualucci, S. Tesoro
15) DOLORE EPISODICO INTENSO: 2 CASI CLINICI
A.Piroli, F. Marinangeli, A. Ciccozzi, F. Cantagalli, I. Marsili, A. Paladini, G. Varrassi
16) TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DEL DOLORE CERVICALE
E. Pusceddu, F.C. Caria, F. Masillo, D. Sanna, D. Ghirra, M. Musu
17) CONFIGURAZIONE DIFFORME DEL CATETERE PERIDURALE IN SITU. UNO STUDIO SULLA PREVALENZA E
SULLE VARIABILI CAUSALI DEL FENOMENO
G. Rinaldelli, BG. Samolsky-Dekel, E. Caporossi, A. Cecchi, R. D’Andrea, E. Gasperoni, C. Zanzani, GF.
Di Nino.
11
18) TRATTAMENTO DEL DOLORE POST-OPERATORIO NELLA DAY SURGERY PEDIATRICA
M. Cascelli, A. Tarquini, G. Pedini, F. Gori, A. Pasqualucci, S. Tesoro
19) EFFICACIA ANALGESICA DEL PARECOXIB VERSUS KETOROLAC IN PAZIENTI SOTTOPOSTE AD ISTEROSCOPIA OPERATIVA
M. Di Virgilio, F. Corradetti, S. Tesoro, A. Pasqualucci, F. Gori
20) SOMMINISTRAZIONE COMBINATA DI MORFINA PERIDURALE E BUPRENORFINA TRANSDERMICA NEL
TRATTAMENTO DEL DOLORE ONCOLOGICO
M. Ferrara, M.L. Malafronte, P. Bonaccia, D. Pinto, A. Granata, D. Tammaro, R. Palomba.
21) IL DOLORE NEL PAZIENTE ANZIANO CON DEFICIT COGNITIVO - REVISIONE CRITICA DELLA LETTERATURA
L. Ottolini
22) OSSICODONE A RILASCIO CONTROLLATO PARAGONATO A MORFINA CR IN PAZIENTI AFFETTI DA
DOLORE CRONICO ONCOLOGICO
R. Palomba, A. Granata, M. Ciaravola, R. Melillo, P. Bonaccia, G. Conte, D. Tammaro
23) TERAPIA A SEGNALI PULSANTI NELLA PATOLOGIA DEGENERATIVA ARTROSICA: NOSTRA ESPERIENZA
D. Rizzitano, A. Gatti, C. Croce, M. Lazzari, M.C. Guarino, C. Martucci, F. Limongi, D. Caruso, M. Proietti,
M. Lazzari
24) DISTORSIONE DEL CATETERE PERIDURALE IN SITU. UNO STUDIO PILOTA
B.G. Samolsky-Dekel, G. Rinaldelli, R.M. Melotti, G.F. Di Nino
25) LA VIA PERIDURALE CONFRONTO TRA METODICHE DI SOMMINISTRAZIONE
F. Sangiorgi, B.G. Samolsky-Dekel, C. Moretti, R.M. Melotti, G.F. Di Nino
26) BUPRENORFINA TDS NEL PAZIENTE CRITICO
R. Sorrentino, R. Vestini, M. Iannotti, M.B. Passavanti, P. Sansone, L. Mazzariello, M. Maisto, C. Aurilio
27) BUPRENORFINA TRANSDERMICA NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE
CRONICO SEVERO NON ONCOLOGICO : NOSTRA ESPERIENZA
F. Strudel, A. Gatti, M.E. Aliotta, C. Croce, M. Lazzari, M. G. Celeste, A. Carucci, M.C. Guarino, F. Riva,
M. Proietti
12
ELENCO POSTER
9
GIUGNO
2006
1) LAWRENCE THERAPY VS TENS NEL TRATTAMENTO DELLA LOMBOSCIATALGIA
C. Guetti, C. Angeletti, A. Paladini, A. Piroli, F. Marinangeli, A. Ciccozzi, I. Marsili, G. Varrassi
2) CASO DI DOLORE NEUROPATICO CRONICO TRATTATO MEDIANTE INFILTRAZIONE AURICOLARE CON
ANESTETICO LOCALE (NEURAL- AURICOLOTERAPIA)
P. Barbagli
3) LESIONI ULCERATIVE VASCOLARI: IL DOLORE CRONICO E IL CONTENIMENTO DEL DOLORE IN SEDE DI
CAMBIO DI MEDICAZIONE. UN CASO CLINICO
T. Bianchi, M. Reggiani
4) STEROIDI EPIDURALI E GABAPENTIN A BASSO DOSAGGIO NEL LOW BACK PAIN
C. Croce, A. Gatti, L. Bertini, M.G. Celeste, M. Lazzari, C. Martucci, F. Limongi, T. Agostino, A. Carucci
5) RADIOFREQUENZA PULSATA NEL TRATTAMENTO DI DOLORE NEUROPATICO: STUDIO MORFOLOGICO
SPERIMENTALE SUGLI EFFETTI SULLE CELLULE GANGLIARI LOMBARI
A. Dario, C. Reverberi, S. Sangiorgi, M. Protasoni, E. Borsani, M. Reguzzoni, F. Pessina, G. Tomei
6) SCRAMBLER THERAPY E GABAPENTIN NEL TRATTAMENTO DELLA FAILED BACK SURGERY SYNDROME
G. De Marini, A. Gatti, M. Ceccobelli, A.D’Ercole, P. Gafforio, D. Caruso, M.C. Guarino, C. Monaco,
G. De Rossi, M. Friso
7) PARTOANALGESIA: POSIZIONE DELLA PAZIENTE
D. Di Cerbo, P. Iuorio, F. Marinangeli, L. Di Stefano, M.L. Ursini, A. Piroli, G. Varrassi
8) TRATTAMENTO ORTESICO CON BUSTO C35 ED APPROCCIO FARMACOLOGICO AL BACK PAIN ACUTO
DOPO RECENTE FRATTURA VERTEBRALE OSTEOPOROTICA. APPROCCIO 3-STEPS O SUBITO UN OPPIOIDE
FORTE? ANALISI RETROSPETTIVA DELLA NOSTRA ESPERIENZA CON FENTANYL TRANSDERMICO. DATI PRELIMINARI
L. Di Lorenzo, A. Landolfi, C. Di Maria, A. Fort, I. Bello, V. Palmieri, C. Trombetti
9) PREGABALIN E NEVRALGIA TRIGEMINALE
A. Fasulo, A. Gatti, M.G. Celeste, P. Gafforio, M. Ceccobelli, M. Lazzari, L. Cococcia, G. De Rossi,
C. Martucci, D. Caruso
10) FENTANYL TRANSDERMICO NEL PERIOPERATORIO
E. Foglia, F. Intelligente, M.G. Mezzetti, F. Rizzi
11) GABAPENTIN E DOLORE NEUROPATICO POST-TORACOTOMIA: NOSTRA ESPERIENZA
F. Gabrielli, A. Gatti, M.G. Celeste, M.Lazzari D.Caruso, C.Monaco, C.Martucci, F. Limongi,
M.C. Guarino, T. Agostino
12) QUANTITATIVE SENSORY TESTING (QST) E DOLORE NEUROPATICO
A.Gatti, G. Tufaro, M. Lazzari, S. De Benedictis, M. Proietti, M. Friso, F. Riva, L. Cococcia, T. Agostino,
A. Carucci.
13) SINDROME DELL’ARTO FANTASMA : CASE REPORT
M. Gorini, A. Gatti, A. Fasulo, M. Proietti, F. Riva, C. Martucci, F. Limongi, M.C. Guarino, D. Caruso, D.
Rizzitano
14)LAWRENCE THERAPY IN FAILED BACK SURGERY SYNDROME (FBSS): A CASE REPORT
C. Angeletti, C. Guetti, L. Merola, A. Paladini, A. Piroli, F. Marinangeli, A. Ciccozzi, I. Marsili, G. Varrassi
15) PERCUTANEOUS ENDOSCOPIC LUMBAR ANNULOPLASTY FOR DISCOGENIC LOWER BACK PAIN
H.S. Park, K.J. Kim, S.H. Lee, S.W. Shin
14
ELENCO POSTER
16)NEVRALGIA POSTERPETICA: PROPOSTA DI TRATTAMENTO
R. Rinaldi, S. Meloncelli, M. Casiraghi, S. Stirparo, R. Occhioni
17) LA TERAPIA CON IMMUNOGLOBULINE PER VIA ENDOVENOSA NELLA PLESSOPATIA LOMBOSACRALE
DIABETICA
S. Tamburin, A. Forgione, D. Idone, G. Zanette
18) L’ESTENSIONE DEI SINTOMI SENSITIVI AL DI FUORI DEL TERRITORIO DEL NERVO MEDIANO NELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE E’ CORRELATA A MECCANISMI DEL DOLORE
G. Zanette, S. Marani, A. Fiaschi, S. Tamburin
19) ASSOCIAZIONE DI OSSICODONE A RILASCIO PROLUNGATO E GABAPENTINA NEL DOLORE NEUROPATICO
E. Apicella, D. Tammaro, A. Granata, A. Ebano, A. Vitiello, R. Melillo, M. Pennimpede, R. Palomba
20) PREGABALIN ED EFFETTI COLLATERALI: LA NOSTRA ESPERIENZA
A. D’Ercole, A. Gatti, M.G. Celeste, M. Ceccobelli, P. Gafforio, L. Cococcia , A. Francavilla, T. Agostino,
A. Carucci, M. Lazzari
21) DOLORE NEUROPATICO DA LESIONE DEL PLESSO BRACHIALE: CASE REPORT
A. Gatti, M. Lazzari, G. De Marini, M.C. Guarino, F. Riva, M. Proietti, G. De Rossi, M. Friso. C. Monaco
22) PREGABALIN NELLA FAILED BACK SURGERY SYNDROME
E. La Placa, A.Gatti, P.Gafforio, M. Ceccobelli, M.G. Celeste, M. Lazzari, F.Riva, T. Agostino,
L. Cococcia, A. Carucci, C. Monaco
23) PREGABALIN E T.E.N.S. NEL TRATTAMENTO DELLA NEVRALGIA POSTERPETICA
L. Mazzariello, M. Maisto, V. Pota, M.C. Pace, M.B. Passavanti, R. Vestini, P. Sansone, C. Aurilio
24) ARTO FANTASMA: CARATTERISTICHE CLINICHE IN UNA POPOLAZIONE DI 33 AMPUTATI IN UNO STUDIO RETROSPETTIVO NON RANDOMIZZATO
M. Meattelli, P. Ferranti, I. Anselmi, F. Gori, A. Pasqualucci, S. Tesoro
25) SWITCH DEI FARMACI ANTIEPILETTICI NEL DOLORE NEUROPATICO CRONICO RESISTENTE.
RAZIONALE SECONDO “ EVIDENCE BASED MEDICINE” ED ESPERIENZA CLINICA
P. Notaro, I. Zanotti, F. Ceresa, I. Montagna
26) VALUTAZIONE DI UNA METODOLOGIA PER LO STUDIO DEGLI EFFETTI BIOLOGICI DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE ANTALGICA (PHYBACK, PBK-2C) SULL’ATTIVAZIONE DEL VEGF
P. Properzi, A. Piroli, A. Paladini, F. Marinangeli, M.G. Cifone, G. Varrassi
15
INFORMAZIONI GENERALI
ECM
Accreditamento
Al 29° Congresso Nazionale AISD sono stati concessi 15 crediti
formativi ECM (evento numero 12196-242090).
Istruzioni ECM
Al Vostro arrivo alla Segreteria del Congresso, Vi sarà consegnato
il badge magnetico, riportante anche il Vostro nome e cognome. Il materiale ECM è contenuto all’interno di questo programma.
Il percorso formativo accreditato prevede la frequenza di almeno il 75%
delle sessioni che si terranno nell’Aula A.
Per la certificazione ECM è assolutamente indispensabile compi-
lare in ogni sua parte (in particolare codice fiscale ed indirizzo email) il
Modulo Dati ECM.
Per certificare
la Vostra frequenza presso l’Aula A, sono disposti
rilevatori magnetici all’ingresso della stessa. Pertanto dovrete seguire i
percorsi indicati per l’accesso.
Lo smarrimento
o la mancata riconsegna del badge magnetico
comporterà la indispensabilità di nuova emissione dello stesso, con relativo addebito di Euro 5,00.
Certificato ECM
Per ottenere il certificato ECM è indispensabile restituire alla
Segreteria Organizzativa il badge magnetico, il questionario opportunamente riempito ed il modulo dati. La certificazione sarà spedita via email, dopo la verifica della correttezza delle risposte al questionario di
valutazione dell’apprendimento. In caso di mancato ricevimento della
certificazione dopo 3 mesi dalla chiusura dell’evento, si prega di contattare:
Segreteria AISD
Tel. 0862 433326
[email protected]
18
SEDE CONGRESSUALE E SEGRETERIE
Palazzo della Gran Guardia
Piazza Bra - 37121 VERONA
Segreteria AISD
Nel foyer del piano terra è a disposizione, per tutta la durata del congresso, la
Segreteria AISD per qualsiasi Vostra esigenza. In quella sede potrete raccogliere
notizie sull’Associazione, rinnovare la Vostra iscrizione o diventare Soci dell’AISD,
qualora ancora non lo foste.
Segreteria Organizzativa
Il desk della Segreteria Organizzativa, sito presso l’area espositiva bouvette è aperto dalle ore 8:30 del giorno 8 Giugno 2006 alle ore 14:00 del giorno
10 Giugno 2006.
Segreteria Relatori
Il desk della Segreteria Relatori è sito nel foyer del piano terra, accanto alla
Segreteria AISD, e sarà aperto dalle ore 8:30 del giorno 8 Giugno 2006 alle ore
14:00 del giorno 10 Giugno 2006.
Internet point
Nel foyer del piano terra, sono disponibili gratuitamente alcuni punti di collegamento internet, per le Vostre esigenze.
19
AREA ESPOSITIVA E PUNTO DI RISTORO
Presso le aree espositive, è possibile apprendere le ultime novità tecnologiche e
farmacologiche per il trattamento del dolore acuto e cronico. Si raccomanda di
dedicare parte del proprio tempo libero alla visita di questi interessanti spazi.
Punto ristoro
Presso l’area espositiva (bouvette) sarà a disposizione un punto ristoro che funzionerà nei seguenti orari:
• 9 Giugno 2006: dalle 10:00 alle 11:30
• 10 Giugno 2006: dalle 10:00 alle 11:30
20
ISCRIZIONI, INFORMAZIONI SCIENTIFICHE E SOCIALI
Quote
*
**
***
Soci AISD
Non Soci AISD
Specializzandi*
Altre figure professionali**
Accompagnatori***
Iscrizione giornaliera
€
€
€
€
€
€
350.00
400.00
100.00
100.00
150.00
150.00
Allegare certificato di iscrizione rilasciato dall’Università
Infermieri, Fisioterapisti, Ostetriche/i, Psicologi
Comprende l’accesso alla cerimonia inaugurale ed al Punto di Ristoro
L’iscrizione al congresso da diritto a:
• Cartella Congressuale
• Badge di accesso alle sessioni scientifiche
• Welcome party
• Crediti ECM, laddove soddisfatta le esigenze
minime per questo previste
• Volume atti/CD
• Attestato di partecipazione
• Coffee break
Attestato di partecipazione al congresso
Dalle ore 12.00 del 10 Giugno 2006, è possibile
ritirare, il desk della Segreteria Organizzativa,
Cerimonia Inaugurale
La cerimonia inaugurale sarà tenuta presso l’aula
principale della sede congressuale alle ore 18.00
di giovedì 8 Giugno 2006. L’accesso è libero per
tutti gli Iscritti e gli Accompagnatori.
Durante lo svolgimento si terrà una Lettura
Plenaria ed alla fine saranno premiati i lavori vincitori dei premi per i migliori contributi scientifici.
l’attestato di partecipazione al congresso.
Volume di Storia dell’AISD
Presso l’area espositiva Grünenthal-Formenti
potrete ritirare un voucher che Vi darà diritto a
ricevere il volume commemorativo, pubblicato in
occasione del trentesimo anniversario della fondazione dell’AISD.
Premi
Poster
I casi clinici vincitori del concorso sul dolore
neuropatico saranno presentati, il giorno 8
Giugno 2006, in aula A, nell’ambito del corso di
aggiornamento “Dolore Neuropatico” (si veda
Programma Scientifico)
I 2 migliori contributi scientifici (ricerca di base e
ricerca clinica) e le 3 migliori tesi saranno premiati durante la Cerimonia Inaugurale. Essi,
comunque, saranno esposti sotto forma di poster
e discussi nelle ore indicate in programma.
Le presentazioni a poster devono essere esposte
negli appositi spazi, secondo gli orari comunicati ad ognuno degli Autori
Serata di Gala - 9 giugno 2006
Villa Arvedi, una delle più affascinanti Ville
Venete, ospiterà la cena di gala del congresso.
In questa suggestiva cornice sarete accolti da cantanti lirici professionisti, che allieteranno, con
aree tratte dalle più note Opere, il percorso enogastronomico creato perchè possiate conoscere i
migliori prodotti di un territorio, tanto famoso in
tutto il mondo.
Partecipazione Euro 100,00 per persona, incluso
21
PROGRAMMA SOCIALE
Proposte di tour a Verona
In occasione del 29° Congresso AISD, che si
terrà a Verona, sarà possibile sfruttare l’opportunità con splendidi tour paracongressuali che
potranno entusiasmare Voi ed i Vostri Ospiti.
Tour “Verona Classica”
Visita a piedi all’incantevole città di Verona,
con guida turistica autorizzata. Si potranno
ammirare i principali monumenti, tra i quali
l’Arena, la Casa di Giulietta, Piazza Erbe con il
suo mercato colorato, l’elegante salotto di
piazza Dante con le Arche dei Signori
Scaligeri, le arterie romane del cardo e del
decumano, Ponte Pietra, Castelvecchio e gli
splendidi scorci e panorami tipici della città.
Durata: 2 ore e trenta circa.
Date: 08/09/10 Giugno - ore 15.00 partenza da
Palazzo Della Gran Guardia.
Quotazione Euro 15,00 a persona (ingressi ai
Musei/Chiese esclusi)
L’escursione avrà luogo con un gruppo di
minimo 25 persone.
Tour “Verona Città dell’Amore”
Visita guidata dedicata alla Verona di
Shakespeare e al dramma dei due giovani
amanti, comprendente visita alla Casa e alla
Tomba di Giulietta, Porta Borsari, Piazza dei
Signori. Durata: 2 ore e trenta circa.
Data: 09 Giugno - ore 15.30 partenza da
Palazzo della Gran Guardia.
Quotazione Euro 15,00 a persona (ingressi ai
Musei/Chiese esclusi)
L’escursione avrà luogo con un gruppo di
minimo 25 persone.
Conclusione tour
A conclusione dei tour, possibilità di effettuare
un aperitivo presso la prestigiosa ENOTECA
SEGRETA, enoteca e wine bar che nasce nel
cuore di Verona da produttori e appassionati,
uniti dal desiderio di creare un luogo dedicato
ai sapori e alla tradizione veronese.
Un antico pozzo romano, due colonne medievali ed un arredamento molto curato ne fanno
un locale tra i più accoglienti della città, dove
sono raccolti i migliori vini delle più rinomate
aziende vitivinicole veronesi.
Quotazione aperitivo Euro 15,00 per persona
(con due vini e stuzzichini)
Cena tipica
Cena per i congressisti organizzata presso un
ristorante tipico del centro storico della città
dove si potranno assaporare i piatti tradizionali della cucina veneta, uniti ai famosissimi vini.
Data: Giovedì 08 Giugno - ore 20.30
Quotazione Euro 45,00 (bevande incluse)
22
Una giornata a Venezia
9 giugno - ore 08.30 partenza e rientro da/per
Palazzo della Gran Guardia.
• Ore 9.00 Partenza da Palazzo della Gran
Guardia per Venezia con pullman GT.
• Ore 11.00 Arrivo a Venezia e incontro con l’
hostess, per transfer con imbarcazione privata a Piazza San Marco.
• Ore 11:15 Incontro con guida locale e visita
del centro storico secondo l’itinerario
“Venezia Classica” (2 ore) - visita a piedi del
centro città. Gli ospiti cominceranno il loro
percorso con un’introduzione storico- artistica di Venezia da Piazza San Marco per poi
proseguire all’interno della Basilica di San
Marco per ammirare i mosaici, i marmi e la
loggia. La visita continuerà all’interno del
Palazzo Ducale; si terminerà al Ponte dei
Sospiri, che collega il Palazzo Ducale ai
Piombi, le prigioni medievali.
• Ore 13.30 Pranzo in un ristorante del centro
storico.
• Ore 15.00 tempo libero per shopping e visita della città (hostess al seguito).
• Ore 16:15 Partenza per Verona e arrivo al
Palazzo della Gran Guardia, per le ore
18.30 circa.
Quotazione Euro 150,00 (tutto incluso)
L’escursione avrà luogo con un gruppo di
minimo 40 persone. Per esigenze organizzative il programma potrà subire delle variazioni.
24
ABSTRACT E LAVORI
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
EPIDEMIOLOGIA E MANIFESTAZIONI DEL DOLORE
NEUROPATICO
Il dolore chirurgico persistente: Secondo uno studio scozzese
condotto su 5130 pazienti, il dolore post-operatorio cronico,
con il 22% dei casi, costituisce la seconda più comune causa
d’indirizzo ad un centro di terapia del dolore. Lo stesso studio
riporta i traumi come la terza causa e le malattie degenerative
in generale come prima causa (Crombie et al., 1998). Nella
maggior parte dei casi un dolore post-operatorio persistente è
conseguente ad un processo di guarigione prolungato, come
nel caso del dolore post toracotomia con sublussazione della
clavicola, oppure la reazione infiammatoria locale nella sede
di impianto di protesi. Anche nei casi in cui perduri più di tre
mesi, questo dolore post-operatorio non dovrebbe essere considerato una condizione cronica, perché migliora nel tempo e
tende a scomparire secondo tempi della guarigione naturale.
Le informazioni sull’incidenza delle complicazioni dolorose
conseguenti ad un danno nervoso sono molto limitate, e sono
quasi del tutto assenti quelle sull’incidenza delle lesioni di
nervo non sintomatiche. E’ comunemente riportato che il
dolore neuropatico post chirurgico si manifesta in circa il 2.5
- 5 % dei pazienti (Sunderland, 1991; Kline e Hudson, 1995).
Dati più precisi sulla possibilità di sviluppare una nevralgia a
seguito ad una lesione chirurgica del nervo sono forniti dalla
letteratura di chirurgia vascolare. Valutando gli esiti degli
interventi di safenectomia sfilando la vena dall’alto piuttosto
che quelli in cui la vena è sfilata dal basso, i chirurghi vascolari hanno interrogato i pazienti circa le sensazioni soggettive
provate ed hanno anche ricercato oggettivamente eventuali
perdite di sensibilità. Lo studio ha dimostrato che in 22 dei 60
arti operati (37 %) vi era una oggettiva perdita di sensibilità,
mentre soggettivamente solo 3 pazienti (5% degli interventi)
riportavano tali sintomi (Cox et al., 1974). Uno studio simile
riporta che sensazioni anormali venivano accusate in una percentuale variabile dal 24 al 29 % dei pazienti, di cui almeno
la metà (dal 9 al 12 % del totale, secondo la tecnica utilizzata) lamentava dolore ed il 27 % intorpidimento od altre alterazioni di sensibilità (Docherty et al., 1994). Nonostante l’esiguità dei dati correlati a questa problematica, la pratica clinica
suggerisce che la nevralgia post chirurgica è un problema piuttosto comune (Karmakar and Ho, 2004).
La causa più comune di dolore centrale è l’ischemia cerebrale. Secondo Andersen e collaboratori (1995) l’incidenza di
dolore nelle ischemie cerebrali è dell’8%. Gli stessi autori stimano che la prevalenza del dolore in queste condizioni sia di
40 persone su 100. 000 (nei paesi occidentali la prevalenza di
pazienti con esiti d’ischemia cerebrale in genere è di 500 su
100.000). Si stima che almeno 23 % dei pazienti con sclerosi
multipla abbiano dolore neuropatico, e che questa malattia sia
la seconda causa più comune di dolore centrale. L’esatta incidenza di dolori centrali nella sclerosi multipla non è però nota
perché la malattia causa anche dolori d’altra natura, sia di tipo
nevralgico, come la nevralgia trigeminale, sia secondari a spasticità, rigidità muscolare o retrazioni tendinee. Le lesioni spinali traumatiche causano dolore centrale almeno in un paziente su tre (30 % dei casi) e la prevalenza di questi casi è elevata, perché si tratta di una popolazione giovane con lunga
sopravvivenza dopo la lesione. Quasi tutti i pazienti con siringomielia idiopatica, o in ogni modo secondaria a cause diverse dal trauma, hanno dolore centrale. Il dolore centrale può
anche essere uno dei sintomi dell’epilessia. Si calcola che questo sintomo compaia, isolato o in associazione con altri sintomi, nell’8% dei casi di epilessia. La localizzazione più comune del dolore delle crisi epilettiche sono i visceri, in particolare la regione epigastrica, ma sono anche descritti dolori localizzati al volto ed agli arti.
P. Marchettini
I dolori neuropatici periferici più comuni sono provocati dal
diabete, dagli esiti di lesione da herpes zoster e dalle lesioni
traumatiche e iatrogene. I dolori centrali sono soprattutto conseguenti a malattie cerebrovascolari, sclerosi multipla e traumi.
La neuropatia sensitivo motoria distale è tra le più comuni
complicanze cliniche del diabete e colpisce il 34 % dei
pazienti con questa malattia metabolica (Benbow et al 1999).
Il dolore è uno dei sintomi più disturbanti per i pazienti affetti da neuropatia diabetica, ed è spesso il sintomo che porta alla
diagnosi, la presenza di dolore si correla con la gravità della
malattia, la sua durata e lo scarso controllo glicemico (Ziegler
et al 1992). Non è noto con precisione quale sia la prevalenza dello stato cronico di dolore neuropatico nei pazienti con
diabete, si stima però che essa sia elevata ed è probabile che
questa condizione sia una delle più frequenti cause di dolore
cronico in assoluto.
La nevralgia posterpetica è una condizione dolorosa cronica
temibile perché resiste ad una miriade di trattamenti; colpisce
oltre il quattro per cento e secondo alcune casistiche fino ad
un terzo dei pazienti che hanno presentato una manifestazione acuta di Herpes Zoster. L’Herpes Zoster è un’infezione
comune diffusa in tutto il mondo che colpisce entrambi i sessi
con un’incidenza di tre - cinque persone su mille l’anno. La
probabilità di presentare un’eruzione erpetica aumenta nell’età avanzata e anche la percentuale di cronicizzazione (numero di casi che presentano nevralgia posterpetica in rapporto al
numero di casi colpiti da eruzione zosteriana), aumenta nettamente con l’età. L’elevata percentuale di sequele croniche
rende la nevralgia da Herpes Zoster e la nevralgia posterpetica la prima causa di dolore neuropatico nell’anziano.
Secondo Hope-Simpson se mille persone vivessero tutte fino
all’età di 85 anni, la metà avrebbe probabilmente almeno un
episodio di Herpes Zoster e dieci di loro anche due. Si è, infatti, affermato che l’eruzione erpetica produce immunità permanente, ma in caso di riduzione delle difese immunitarie, la
malattia può colpire di nuovo. È più frequente nei pazienti con
ridotte difese immunitarie, in quelli affetti da AIDS o linfomi,
in particolare se splenectomizzati e in radioterapia. Circa il 30
per cento dei pazienti con morbo di Hodgkin trattati con chemioterapia e radioterapia e circa il 10 per cento di quelli che
ricevono sola radioterapia sviluppano un Herpes Zoster
(Schimpff et al 1972, Guinee et al 1985) entro 36 mesi dall’inizio delle terapie; questa percentuale è anche maggiore nei
bambini. Nei pazienti con neoplasie il picco di incidenza di
infezione da Herpes Zoster è raggiunto entro sei mesi dall’inizio della terapia antitumorale e in qualche rara occasione l’eruzione erpetica si sviluppa nella sede della neoplasia o nel
punto di irradiazione. L’eruzione erpetica può essere il segnale d’allarme di un’alterazione delle difese immunitarie, infatti
in più del 5 per cento dei pazienti con Herpes si scopre in
seguito una neoplasia maligna, il doppio rispetto a una popolazione di controllo. La stima dei casi di nevralgia acuta che si
cronicizza varia notevolmente secondo gli autori (dal 7 al 33
per cento).
Nelle invasioni del distretto facciale si
distinguono alcune sindromi erpetiche caratteristiche, il così
detto Herpes oftalmico e quello genicolato. Nell’Herpes oftalmico, che costituisce circa il 10 - 15 per cento di tutti i casi di
Herpes Zoster, l’eruzione e il dolore si distribuiscono nella
prima branca trigeminale.
26
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
EUROPEAN GUIDELINES ON PHARMACOLOGICAL
TREATMENT OF NEUROPATHIC PAIN
with postherpetic neuralgia (PHN) and painful polyneuropathies (PPN) mainly due to diabetes. These trials provide level
A evidence for the efficacy of tricyclic antidepressants, gabapentin, pregabalin and opioids, with a large number of class I
trials, followed by topical lidocaine (in PHN) and the newer
antidepressants venlafaxine and duloxetine (in PPN). A small
number of controlled trials were performed in central pain, trigeminal neuralgia, other peripheral neuropathic pain states
and multiple-aetiology neuropathic pains. The main peripheral pain conditions respond similarly well to tricyclic antidepressants, gabapentin, and pregabalin, but some conditions,
such as HIV-associated polyneuropathy, are more refractory.
There are too few studies on central pain, combination therapy, and head-to-head comparison. For future trials, we
recommend to assess quality of life and pain symptoms or
signs with standardized tools.
G. Cruccu
EFNS Panel Neuropathic Pain, Dipartimento Scienze
Neurologiche - Università La Sapienza - Roma
Neuropathic pain treatment remains unsatisfactory despite a
substantial increase in the number of trials. Studies were identified using first the Cochrane Database then Medline. Trials
were classified according to the aetiological condition. All
class I and II controlled trials (according to EFNS classification
of evidence) were assessed, but lower-class studies were considered in conditions that had no top level studies. Only treatments feasible in an outpatient setting were evaluated. Effects
on pain symptoms/signs, quality of life and comorbidities were
particularly searched for. Most of the RCTs included patients
LE SINDROMI REGIONALI COMPLESSE (CRPS) DI TIPO I E II
evocato da stimoli non dolorosi di tipo meccanico (l’allodinia
meccanica dinamica) o di tipo termico (l’allodinia al caldo e al
freddo) applicati alla cute sana o danneggiata. Allo stesso
modo uno stimolo doloroso viene percepito come più doloroso (l’iperalgesia). Il dolore può essere evocato anche nei tessuti profondi con il movimento passivo delle articolazioni o la
pressione (allodinia somatica profonda) in tessuti direttamente
e non direttamente coinvolti nella lesione primitiva. Nelle
CRPS di tipo II si aggiungono i vari segni deficitari (sensitivi
e/o motori) indotti dal danno più o meno completo delle fibre
afferenti ed efferenti (così lesioni delle fibre A? darà una ipoestesia tattile, quelle delle fibre A? una ipoalgesia punteria,
quello delle fibre C termiche una ipoalgesia al caldo).
Per spiegare il motivo per cui un evento traumatico genera
queste forme cliniche così complesse e soprattutto perché esse
perdurano al di la di ogni normale decorso clinico, si è ipotizzato che il sistema nervoso autonomo ne sia responsabile,
basandosi su alcuni segni clinici generalmente presenti e sulla
risposta terapeutica ai blocchi delle vie simpatiche efferenti,. Il
suo intervento genererebbe il quadro clinico, il dolore, l’edema, le alterazioni circolatorie e sudomotorie.
In questi ultimi anni le evidenza scientifiche dimostrano che le
CRPS sono sindromi algiche postraumatiche caratterizzate da
quadri clinici complessi e apparentemente sproporzionati
rispetto al trauma iniziale, dove il sistema nervoso simpatico,
con le sue vie ed i suoi gangli, non ha qual ruolo determinante che gli era stato attribuito. Nello stesso tempo si è osservato che esso entra ugualmente in gioco, sia per le catecolamine
che normalmente libera, sia perchè contribuisce a livello tissutale al processo infiammatorio cronico, scatenato dal trauma
e spesso complicato dall’immobilità.
Nella relazione vorremmo dimostrare:
che le catecolamine si comportano come un fattori irritanti nei
confronti dei recettori periferici sensibilizzati dal processo flogistico o dei siti ectopici insorti dopo danno delle vie nervoso.
che la presenza di una aumentata sensibilità alle catecolamine
(adrenosensibilità) dei recettori periferici o dei siti ectopici
lungo le fibre nervose è in grado di generare dolore spontaneo
ed evocato.
che il sistema nervoso autonomo gioca un ruolo potenziante
il processo flogistico e pertanto la sensibilizzazione dei recettori e dei siti ectopici.
Che non è necessaria una iperattività del sistema nervoso simpatico efferente perché, in condizioni di ipersensibilità del
recettore o del sito ectopico, sono sufficienti i normali contenuti adrenergici.
C. Bonezzi
Responsabile Servizio Anestesia e terapia del Dolore
Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS - Pavia
Queste sindromi, che sono caratterizzate dal punto di vista clinico dalla complessità del quadro, sono causate da un evento
traumatico, talora insignificante e sproporzionato rispetto alla
gravità dei sintomi che lamenta il paziente e dei segni osservati. Il dolore continuo spontaneo si associa ad un dolore evocato da numerosi fattori, con allodinia ed iperalgesia, ad alterazioni sensitive, motorie, autonomiche e distrofiche, che tendono ad estendersi al di fuori della zona traumatizzata, coinvolgendo spesso un intero arto. La zona colpita si presenta
quasi sempre edematosa e sudata, più calda o più fredda della
corrispondente zona controlaterale del corpo. Il quadro tende
a cronicizzarsi e a durare per anni dimostrandosi talvolta non
responsivo ai trattamenti attuati.
Definite in modi diversi, sono sempre state attribuite, per
quanto riguarda il dolore e gli altri segni clinici, ad un’iperattività del sistema nervoso autonomo efferente e raggruppate,
proprio per questo legame patogenetico, in un contenitore
separato. E’ stato addirittura coniato il termine di “dolore
sostenuto dal simpatico” per sottolineare la stretta relazione tra
dolore e sistema nervoso simpatico efferente. Si è anche ipotizzata la presenza di una patologia del midollo spinale in
grado di coinvolgere in varia misura le corna dorsali e laterali
così come le colonna intermediolaterali, producendo anormalità sensoriali, motorie e autonomiche. Nello stesso tempo le
CRPS sono inserite nel capitolo del dolore neuropatico per la
presenza di sintomi e segni particolari e connessi a meccanismi somato-sensoriali aberranti sviluppatisi nel sistema nervoso periferico e centrale.
Se analizziamo questi quadri clinici che vengono oggi definiti
con i termini di CRPS (Complex Regional Pain Sindrome) di
tipo I e di tipo II (in base alla assenza o presenza di danno nervoso), troviamo la complessità a livello degli eventi scatenanti, a livello dei processi patologici e dei meccanismi patogenetici, sia infine a livello sintomatologico. Ne nascono quadri
di difficile interpretazione e ovviamente di trattamento.
La maggior parte dei pazienti, affetti da CRPS (di tipo I), riferisce di percepire un dolore spontaneo superficiale e profondo,
localizzato in una parte delle estremità. L’intensità del dolore
è frequentemente elevata e sproporzionata rispetto l’evento
scatenante. Accanto al dolore spontaneo è presente un dolore
27
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
DOLORE NEUROPATICO NEL PAZIENTE DIABETICO
non sono ancora ben definiti, tuttavia sembrano svolgere un
ruolo l’aumento dell’età, la durata del diabete, la lipotossicità
e la glucotossicità, la suscettibilità genetica, i processi infiammatori e lo stress ossidativi. I pazienti possono lamentare un
dolore spontaneo, allodinia, iperalgesia o altri spiacevoli disturbi. Tali alterazioni possono inoltre determinare una riduzione dell’attività fisica, un aumento dell’astenia e diturbi dell’umore e del sonno, che nell’insieme portano ad una compromissione della cenestesi. L’approccio terapeutico è indirizzato al controllo del dolore, che può richiedere l’uso di classi
diverse di farmaci.
G. Zoppini, M. Muggeo
Dipartimento Scienze Biomediche e Chirurgiche – Università
di Verona
Il dolore neuropatico è stato definito come un dolore iniziato
o causato da una lesione o disfunzione primaria del sistema
nervoso. La neuropatia diabetica dolorosa (NDD) è una delle
forme più comuni di dolore neuropatico. Circa ? dei pazienti
diabetici soffre di NDD e più del 50% sviluppa neuropatia
periferica dopo 25 anni di malattia. I fattori di rischio di NDD
IL DOLORE POSTHERPETICO
( a livello del corno posteriore MS) con dolore (dolore costante,
spontaneo, generalmente profondo e/o cutaneo “bruciante”;
dolore ricorrente, pungente, acuto o tipo “a scarica elettrica”;
allodinia-iperalgesia). Al di là dei risultati ottenuti con antidepressivi triciclici ed antiepilettici di nuova generazione, l’unica
valida soluzione al problema PHN è la prevenzione con anestetici locali per via peridurale entro circa 10 giorni dalla comparsa dell’eruzione cutanea, stante la loro capacità di bloccare il trasporto assonale (che serve per la propagazione del virus neurodermotropo per via ortograda,retrograda e transneurale dopo la
riattivazione a livello del ganglio della radice posteriore).Il meccanismo con il quale questi farmaci determinano quest’azione
non è del tutto chiarito comunque, bloccando la diffusione del
virus , eviterebbero o limiterebbero i danni delle terminazioni
nervose e dell’intero tratto della radice spinale (riducendo così
l’incidenza delle sintomatologie definite “abnormal sensations”
o PHN-2) e soprattutto eviterebbero il danneggiamento del
corno posteriore (quindi la comparsa della sintomatologia dolorosa o PHN-1).
F. Paoletti
Azienda Ospedaliera di Perugia
Ospedale S. Maria della Misericordia
Struttura Complessa di Anestesia, Rianimazione e Medicina del
Dolore
(Direttore: Prof. F. Paoletti)
La nevralgia posterpetica (PHN),sindrome algica cronica a distribuzione dermatomerica caratterizzata dal persistere del dolore
dopo la guarigione del rash cutaneo da Herpes Zoster,ha incidenza e severità direttamente correlate all’età e allo stato immunologico del soggetto. Il VZV dà luogo a dei quadri anatomopatologici diversi a seconda della fase dell’infezione
considerata:infiammatorio della radice nervosa nel periodo esantematico mentre in quello post-eruzione cutanea si può avere
danno periferico con “abnormal sensations” (anestesia, parestesia, disestesia, pizzico, prurito, bruciore, ecc.) oppure danno
centrale
DOLORE NEUROPATICO IN ORTOPEDIA
dolore neuropatico in ortopedia, con particolare riguardo alla
prevalenza relativa delle diverse condizioni cliniche e con
cenni ai trattamenti attualmente in uso.
Si dimostra quindi come le patologie ortopediche causino più
della metà dei casi stimati di dolore neuropatico in Italia e,
mentre il trattamento sia medico che chirurgico appare ancora efficace solo in una parte dei casi, rimane ancora sotto-diagnosticata e trattata la componente neuropatica di tali patologie.
In conclusione la componente neuropatica deve essere ricercata in molte condizioni cliniche che si presentano all’ortopedico, interrogando adeguatamente il paziente riguardo alle
caratteristiche del dolore ed eventualmente utilizzando adatte
e semplici schede di valutazione.
Ulteriori studi appaiono certamente necessari per valutare l’efficacia delle terapie farmacologiche oggi disponibili nel trattamento del dolore neuropatico e misto in ortopedia.
C. L. Romanò
Istituto Ortopedico Gaetano Pini – Milano
Dipartimento Chirurgie Ortopediche Specialistiche
Il dolore di tipo neuropatico può essere dovuto a diverse patologie.
Tra le condizioni di più frequente riscontro in ortopedia vi
sono senz’altro alcune patologie che si possono associare a
dolore neuropatico di origine periferica o a dolore misto neuropatico-nocicettivo:
Radicolopatie cervicali o lombari
Sindromi da intrappolamento nervoso (tunnel carpale, ecc.)
“Complex regional pain syndrome”
S. post-chirurgiche e post-traumatiche
S. arto fantasma
Vengono brevemente discusse le diverse localizzazioni del
28
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
NEVRALGIA DEL TRIGEMINO I, II, III BRANCA A SX:
CASO CLINICO
L-acetilcarnitina 1g x 2/die e si praticano infiltrazioni con
Naropina allo 0,3% della cicatrice chirurgica, dei TP dei
muscoli contratti del cingolo scapolare (in particolare SCM) e
dei tessuti peri ATM di sx.; tramadolo e paracetamolo in caso
di dolore. Controlli settimanali in ambulatorio con trattamenti
mirati. La sintomatologia dolorosa nel distretto del trigemino
migliora in maniera significativa, ma non stabile; persiste dolore marcato nel distretto delo sciatico a dx. Si procede ad una
rotazione tizanidina =>baclofen, 6,25 mg x 4/die e si aggiunge lamotrigina fino a 15 mg ogni 8 ore, senza risultati soddisfacenti. Nel dicembre, dopo progressiva riduzione della
lamotrigina, si inserisce in terapia la carbamazepina sciroppo
alla dose di 7,5 ml x 2/die e il tramadolo rs 100mg al mattino. Netto miglioramento e regressione stabile della sintomatologia dolorosa a carico del trigemino; persiste immutato il
dolore sciatalgico.
Dopo un episodio sporadico di riacutizazione del dolore in
sede trigeminale a metà gennaio, persistendo il dolore sciatalgico, si decide di ruotare pregabalin a gabapentina: viene
aumentata la carbamazepina a 10 ml x 2/die e viene sostituito
il tramadolo con buprenorfina transedermica da 35 alla dose
di ? + al bisogno ? - ? cp sublinguali. Successivamente nuova
rotazione baclofen => tizanidina, con dosaggi analoghi.
Queste ultime due rotazioni ha prodotto un significativo
miglioramento della sintomatologia sciatalgia.
Allo stato la pz. assume 600 mg x 3/die di gabapentina, carbamazepina sciroppo 10 ml al mattino e 7,5 ml la sera, tizanidina 1mg ogni 5 ore, L-acetilcarnitina 1g x 2/die, buprenorfina transedermica da 35, alla dose di ? ogni 3 gg, più buprenorfina sub linguale ? al bisogno, con buon controllo della sintomatologia dolorosa tanto a carico del distretto trigeminale
che dello sciatico.
F.P. Alberico
Azienda Sanitaria Locale Na 1
Presidio SanitarIO Intermedio E. d’AOSTA
Unita’ Operativa di Terapia Antalgica
Pz. di anni 45, sesso femminile, coniugata con prole, sofferente da oltre dieci anni per la patologia di cui sopra, arriva
alla Ns. osservazione a fine ottobre del 2005, in trattamento
con pregabalin 300mg x 2, più fans al bisogno, in totale assenza di controlllo della sintomatologia dolorosa continua, caratte rizzata da dolore tra fittivo-urente, con esacerbazioni a
carattere “scosse elet triche” durante la masticazione, per sfioramento cutaneo o in maniera del tutto estemporanea; lacrimazione e fotofobia a sx; riposo notturno costantemente alterato dal dolore.
Anamnesi pat.remota: ptosi renale dx, ovariectomia bil., trombosi venosa prof. Episodi di low back pain e cervicalgia con
cefalea m.t. Bruxismo.
Anamnesi pat.prossima: low back pain, con marcato interessamento dell’ar to inf. dx, caratterizzato da dolore intenso ed
impotenza funzionale, cervico brachialgia bil.
Anamnesi specifica: terapia farmacologica fino al giugno del
1998, epoca nella quale viene sottoposta al 1° intervento chirurgico decompressivo in fossa cranica, cui segue nel settembre dello stesso anno una alcoolizzazione e nel novembre del
1999 una neurolisi in radiofrequenza; nell’ottobre 2000
nuovo intervento decompressivo, anche questo, come tutti i
precedenti, senza successo.
Alla terapia già in atto con pregabalin, si associano tizanidina
1mg ogni 4 ore, amitriptilina 1gg in acqua mattino e sera,
IL PREGABALIN NEL TRATTAMENTO DELLA
LOMBOSCIATALGIA
Criteri d’inclusione :
i pazienti sono stati reclutati in base alla presenza delle
seguenti caratteristiche :
1. età maggiore di 18 anni;
2. parametri della funzionalità renale nella norma;
3. insuccesso delle terapie precedentemente effettuate sia di
natura fisica che farmacologica;
4. non contemporanea assunzione di altri farmaci antiepilettici.
Tutti i pazienti erano affetti da dolore neuropatico cronico
insorto da 3 a 20 anni prima rispetto al momento della prima
visita.
La sintomatologia algica presentava caratteristiche di dolore
gravativo e tipo a “morsa” in sede lombare associato a sensazione di tipo “scossa elettrica” lungo gli arti inferiori,inoltre
presentavano sensazione di “freddo doloroso” ed intorpidimento ai piedi.
83 pz erano stati precedentemente sottoposti a terapia con
Gabapentin ad un dosaggio compreso tra 1200 mg/die e 2700
mg/die senza giovamento.
Il protocollo da noi proposto prevedeva un’iniziale dosaggio
di pregabalin a 75 mg/die con rivalutazione dei pz a distanza
di 7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni e 150 giorni con una
progressiva titrazione della terapia fino ad un dosaggio massimo di 600 mg/die.
Nei controlli successivi al primo l’incremento del dosaggio è
stato effettuato in base al grado di sollievo del dolore ed alla
comparsa ed intensità degli eventuali effetti collaterali.
• La scala VAS (Visual Analogic Scale) è stata utilizzata per
quantificare l’intensità del dolore;
• Riguardo agli effetti collaterali il metodo di valutazione adottato è quello proposto nell’appendice IV del National
Cancer Institute Grading Criteria dove ad ogni effetto indesiderato viene assegnato un punteggio su una scala di 5 livelli in base all’entità e/o alla necessità di assumere farmaci per
M. Caranese, A. Gatti, M.G. Celeste*, E. La Placa, M. Lazzari,
C. Martucci, F. Limongi, D. Caruso, L. Cococcia, A. Carucci
Universita’ degli Studi Roma “Tor Vergata” - Cattedra di
Anestesia e Rianimazione, Scuola di Specializzazione a/r Dipartimento Emergenze, Urgenze e Terapie Intensive Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore - Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica - Azienda Ospedaliera
Universitaria Policlinico Tor Vergata
Abstract:
Sono stati arruolati 186 pz (65 maschi e 121 femmine) affetti
da radicolopatia da compressione lombo-sacrale con età compresa tra 37 anni e 87 anni.
Si è ottenuto una riduzione dell’intensità del dolore di circa il
50% entro il primo mese con successivo guadagno nei mesi
successivi, a fronte di una bassa incidenza di effetti indesiderati . In conclusione il pregabalin si è rivelato essere un farmaco efficace nel trattamento della lombosciatalgia
Lo scopo dello studio:
Lo scopo dello studio è verificare l’efficacia dell’uso degli
antiepilettici nel dolore neuropatico, in particolare come il
Pregabalin sia efficace nella radicolopatia da compressione
lombo-sacrale.
Materiali e metodi:
Sono stati reclutati 186 pz con diagnosi di radicolopatia localizzata ai metameri lombosacrali , (65 M e 121 F), con età
compresa tra 37 anni e 87 anni .
29
alleviare il sintomo indesiderato insorto.
(grado 1);
• la sensazione di “ritenzione idrica e/o aumento di peso”
tende a verificarsi nel 10% dei casi ma anche essa di intensità lieve (grado 1);
• la sensazione di “bocca secca” tende ad aumentare nel
tempo fino a che non viene più registrata nell’ultimo controllo per possibile adattamento al farmaco.
Risultati
l’andamento dell’intensità del dolore durante il periodo dello
studio è riassunto nella Tabella 1:
Degli 83 pz “non responder” al gabapentin, 52 pz dimostrarono di aver ottenuto un abbassamento di almeno due punti
sulla scala VAS entro il primo mese mostrando: da un VAS
medio iniziale di 5,6, dopo sette giorni si è giunti a 4,8, a trenta giorni di terapia il valore VAS scende a 3,7 e si è attesta sul
valore di 2,9 al secondo mese di terapia e nel corso dei successivi controlli.
Nella tabella 2 sono registrati gli effetti collaterali rilevati dopo
7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni, 150 giorni.
Gli effetti più frequentemente riferiti nel campione sono sonnolenza, capogiri, torpore e ritenzione idrica e /o aumento di
peso e xerostomia.
Gli effetti collaterali che si sono registrati hanno evidenziato
questo andamento:
• il parametro “nessuno effetto indesiderato” aumenta nel
tempo col progredire dei controlli
• la “sonnolenza” decresce in incidenza stabilizzandosi intorno al 11% dei pazienti presentandosi di lieve intensità
(grado 1);
• la sensazione di capogiri/sbandamenti decresce nei successivi controlli attestandosi intorno all’11% con lieve intensità
Conclusioni:
Questa nostra esperienza ha sottolineato come il Pregabalin
sia un farmaco efficace nei confronti del dolore neuropatico
dovuto a radicolopatia lombosacrale perché si è ottenuta una
significativa riduzione del VAS a valori inferiori al 50% già a
distanza dei primi trenta giorni, con ulteriore decremento
dell’intensità nei controlli successivi, a fronte di una scarsa
presenza di effetti collaterali .
Riguardo le caratteristiche del dolore si è evidenziato un
miglioramento della percezione di disestesia a tipo “scossa
elettrica” e “freddo doloroso” lungo gli arti inferiori, mentre si
ha un variabile giovamento delle disestesie a tipo “formicolio” e “intorpidimento” a livello plantare e permane costante
la sensazione di tipo gravativa in sede lombare .
In conclusione si può evidenziare come il pregabalin sia una
valida opzione terapeutica nel trattamento della lombosciatalgia sia in termini di efficacia che di effetti collaterali visto la
sua tollarabilità.
Tabella 1
VAS
Prima visita
5,6 (ds 1,7)
1 Settimana
4,5 (ds1,7)
1 Mese
2,9 (ds 1,6)
2 Mesi
2,3 (ds 1,6)
3 Mesi
2,2 (ds 1,7)
5 Mesi
2,5 (ds 1,9)
Tabella 2
Bibliografia
1. McQuay Hj ,Tramer M, Nye BA,Carroll D , wiffen PJ
(1996): “A systematic review of antidepressants in neuropathic pain”. Pain 68 : 217-227 ;
2.Vagner EA, Denisov AS, Krivoshchekov VD, Ladeishchikov
VM, Matveel AT: “ Discogenic Lumbosacral radiculitis “ 1994;
3. Rowbotham MC :”Mechanisms of neuropatic pain and their
implications for the design of clinical trials” Neurology
2005 Dec 29;65 (12 Suppl 4)
4.Lopez –Trigo J., Sancho J. :”Pregabalin. A new treatment for
neuropathic pain. “ Neurologia 2006 Mar;21 (2):96-103
30
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
IL PREGABALIN NEL TRATTAMENTO DELLA
CERVICOBRACHIALGIA
Il protocollo, da noi proposto, prevedeva un’iniziale dosaggio
di pregabalin a 75 mg/die con rivalutazione dei pz a distanza
di 7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni e 120 giorni con una
progressiva titrazione della terapia fino ad un dosaggio massimo di 600 mg/die.
Nei controlli successivi al primo, l’incremento del dosaggio è
stato effettuato in base al grado di sollievo del dolore ed alla
comparsa ed intensità degli eventuali effetti collaterali.
La scala VAS (Visual Analogic Scale) è stata utilizzata per
quantificare l’intensità del dolore;
Riguardo gli effetti collaterali, il metodo di valutazione adottato è quello proposto nell’appendice IV del National Cancer
Institute Grading Criteria dove ad ogni effetto indesiderato
viene assegnato un punteggio su una scala di 5 livelli in base
all’entità e/o alla necessità di assumere farmaci per alleviare il
sintomo indesiderato insorto
Risultati
L’efficacia del Pregabalin è stata valutata confrontando i valori medi della VAS rilevati alla prima visita con quelli registrati
nel corso dei controlli successivi:
media delle VAS alla prima visita= 5,0 (ds 1,7);
dopo una settimana VAS= 3,9 (ds 1,9);
dopo 30 giorni VAS= 2,4 (ds 1,8);
dopo due mesi VAS= 2,1 (ds 1,7):
dopo 90 giorni VAS= 2,1 (ds 1,7);
dopo quattro mesi VAS=1,4 (ds 1,3).
M. Ceccobelli, A. Gatti, M.G. Celeste*, M. Lazzari
C. Monaco, F. Limongi, L. Cococcia, M. Friso, G. De Rossi
L. Abruzzese
Universita’ degli Studi Roma “Tor Vergata” - Cattedra di
Anestesia e Rianimazione, Scuola di Specializzazione a/r Dipartimento Emergenze, Urgenze e Terapie Intensive Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore - Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica - Azienda Ospedaliera
Universitaria Policlinico Tor Vergata
Scopo dello studio
Lo scopo del nostro studio è valutare l’efficacia di questo farmaco appartenente alla classe degli antiepilettici nel dolore
neuropatico.
Nel caso specifico è dimostrare oggettivamente come il
Pregabalin sia indicato nel trattamento del dolore da compressione radicolare del tratto cervicale.
Materiali e metodi
Sono stati reclutati 71 pz con diagnosi di dolore neuropatico
con interessamento dei metameri C4 -C7 di cui 26 maschi e
45 femmine, di età compresa tra 37 anni e 79 anni.
Criteri d’inclusione :
i pazienti sono stati reclutati in base alla presenza delle
seguenti caratteristiche :
età maggiore di 18 anni;
esami della funzionalità renale nella norma;
insuccesso delle terapie precedentemente effettuate sia di
natura fisica che farmacologica;
non contemporanea assunzione di altri farmaci antiepilettici
Tutti i pazienti erano affetti da dolore neuropatico cronico
insorto da 3 anni a 20 anni .
La sintomatologia algica presentava caratteristiche di dolore
gravativo a livello cervicale, episodiche sensazioni tipo “scossa elettrica” lungo gli arti superiori associato a parestesie tipo
“formicolio” e “intorpidimento” alle mani .
Su 71 pz, 29 erano stati precedentemente trattati con
Gabapentin con dosaggi compresi tra 900 mg/die e 2700
mg/die in titrazione ,senza miglioramenti sulla sintomatologia
algica.
Con riferimento ai 29 pazienti che erano stati trattati in precedenza con Gabapentin ed ora in terapia con Pregabalin ,si
evidenzia che 17 hanno mostrato una riduzione del VAS di
almeno due punti sulla scala valutativa a distanza di 30 giorni
di terapia:
da una VAS iniziale di 4,8 si evidenzia un VAS medio di 2,5
alla fine del primo mese di trattamento.;
alla fine del secondo mese il VAS medio era di 2,3, mantenutosi nel tempo .
Gli effetti indesiderati sono stati registrati in occasione dei controlli a distanza di 7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni, 120
giorni dall’inizio della terapia considerandone sia la frequenza che l’intensità.
La tabella riassume la raccolta dei dati relativi agli effetti collaterali, in essa si nota che gli effetti più frequenti sono sonnolenza, capogiri/sbandamenti, ritenzione idrica e/o aumento di
peso, e il senso di torpore/confusione mentale. (Tab.1)
Tabella 1
31
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
Conclusioni
La nostra esperienza ambulatoriale ha permesso di evidenziare che nella radicolopatia da compressione cervicale l’uso del
Pregabalin reca un vantaggio positivo nel ridurre primariamente l’intensità del dolore.
Già dopo il primo mese di terapia l’intensità del dolore risultava ridotta del 50% con ulteriore guadagno sulla sintomatologia algica nel corso del tempo fino ad arrivare al quarto
mese in cui c’è stata una diminuzione del VAS medio superiore ai due terzi rispetto l’inizio.
Tale sollievo della sintomatologia dolorosa ha comportato un
miglioramento della qualità della vita dei pazienti grazie
soprattutto alla riduzione della frequenza degli episodi di
dolore acuto e della sensazione d’intorpidimento delle mani
che ostacolava lo svolgimento delle normali attività quotidiane.
E’ da sottolineare, inoltre, come il Pregabalin sia stato efficace
nel trattamento dei 17 pazienti che erano stati precedentemente in terapia con un altro farmaco antiepilettico, permettendo un miglioramento della sintomatologia algica già dopo
il primo mese di trattamento.
A sostegno dell’importanza dell’uso del Pregabalin in questo
tipo di dolore neuropatico c’è la scarsità degli effetti collaterali che sono insorti durante la terapia infatti:
• La frequenza del parametro “nessun effetto indesiderato”
aumenta nel corso dei successivi controlli;
• L’aumento della frequenza degli episodi del disturbo “sonnolenza” è probabilmente riconducibile all’aumento del
dosaggio; tuttavia l’intensità di questo effetto collaterale si è
manifestato di grado lieve nella quasi totalità ,eccetto in 2
casi con grado 2 ;
• La percentuale di pazienti che lamentava “capogiri” si è attestata intorno al 10% di cui l’85% di grado 1 (ossia lieve ) e
solamente il 14% (10pz) di grado 2;
• La sensazione di “torpore” non meglio precisata dai pazienti nei primi controlli ,tende a scomparire nel tempo verosimilmente correlabile con un aumento graduale nel tempo
della posologia
IL PREGABALIN NEL CONTROLLO DEL DOLORE DA
NEUROPATIA DIABETICA
intrappolamento e da compressione)
neuropatia diabetica prossimale
4. polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica
secondaria
L’utilizzo degli antiepilettici nel trattamento delle neuropatie
dolorose di natura diabetica è ampiamente descritto nella letteratura internazionale. Lo scopo del nostro studio è quello di
valutare l’efficacia di un nuovo epilettico di recente introduzione,il Prebagalin, in questo tipo di dolore neuropatico.
Bibliografia
1. Swerdlow M : “Anticonconvulsant drugs and cronic pain”.
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2. Frykholm R. : “Cervical nerve root compression resulting
from degeneration and root-sleeve fibrosis: a clinical investigation”. Acta Chir Scand 2000 160 ;
3. Cepeda MS, Farrar JT :” Evaluation of oral treatment for neuropathic pain” J .Pain 2006 Feb; 7 (2): 119-28;
4. Lopez –Trigo J., Sancho J. :”Pregabalin. A new treatment for
neuropathic pain. “ Neurologia 2006 Mar;21 (2):96-103
D. Ciocchetti, A. Gatti, A. Francavilla, M.G. Celeste*,
M. Lazzari, L. Cococcia, A. Carucci, G. de Rossi, M. Friso
F. Riva
Universita’ degli Studi Roma “Tor Vergata” - Cattedra di
Anestesia e Rianimazione, Scuola di Specializzazione a/r Dipartimento Emergenze, Urgenze e Terapie Intensive Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore - Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica - Azienda Ospedaliera
Università Policlinico Tor Vergata
Materiali e Metodi
Presso il servizio di Fisiopatologia e Terapia del dolore del
Policlinico di Tor Vergata in Roma sono stati trattati 11 pz (6
M; 5 F) con età compresa tra 53 e 67 anni.
Criteri d’inclusione :
i pazienti sono stati reclutati in base alla presenza delle
seguenti caratteristiche :
1.età maggiore di 18 anni;
2.funzione renale integra;
3. insuccesso delle terapie precedentemente effettuate sia di
natura fisica che farmacologica;
4. non contemporanea assunzione di altri farmaci antiepilettici.
La neuropatia diabetica è una delle maggiori complicanze
legata al diabete mellito oltre alla retinopatia diabetica, nefropatia e disfunzioni gastrointestinali.
La neuropatia diabetica compare in circa il 50% degli individui con DM di tipo 1 o 2 .
Lo sviluppo è correlato con la durata del diabete e il controllo
glicemico .
La classificazione delle neuropatie diabetiche non è ancora
definitiva ,e, nel tempo, è sottoposta a successive modificazioni alla luce dell’evolversi delle conoscenze.
La più seguita attualmente è quella di Thomas ,che viene qui
di seguito riportata:
1. neuropatia iperglicemica
2. neuropatie generalizzate
polineuropatia sensitivo-motoria
neuropatia autonomica
neuropatia sensitiva acuta dolorosa
3.neuropatie focali e multifocali
neuropatie craniche
radiculoneuropatia toracoaddominale
neuropatie focali degli arti (comprese le neuropatie da
Tutti i pazienti erano affetti da dolore neuropatico cronico di
natura diabetica insorto da 6 mesi ad 1 anno rispetto alla
prima visita, la sintomatologia algica era localizzata agli arti
inferiori con la tipica distribuzione a “calza”, il dolore era
descritto dai pazienti come “pungente” ed “urente“ cui si associavano parestesie, disestesie e deficit di sensibilità.
7 pz erano stati precedentemente sottoposti a terapia con
Gabapentin ad un dosaggio compreso tra 1500 mg/die e 1800
mg/die senza giovamenti sulla sintomatologia algica.
Il protocollo da noi proposto prevedeva un’iniziale dosaggio
di pregabalin a 75 mg/die con rivalutazione dei pz a distanza
di 7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni e 120 giorni con una
progressiva titrazione della terapia fino ad un dosaggio massimo di 600 mg/die.
32
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
Nei controlli successivi al primo l’incremento del dosaggio è
stato effettuato in base al grado di sollievo del dolore ed alla
comparsa ed intensità degli eventuali effetti collaterali.
più frequentemente riferiti nel campione sono sonnolenza,
capogiri, torpore e ritenzione idrica e /o aumento di peso .
Per quanto concerne gli effetti indesiderati:
• il parametro “nessuno effetto indesiderato” aumenta nel
tempo col progredire dei controlli;
• anche la “sonnolenza” decresce in incidenza stabilizzandosi intorno al 10 % dei pazienti presentandosi di lieve intensità e ben tollerabile;
• la sensazione di “ritenzione idrica e/o aumento di peso”
tende a verificarsi nel 10% dei casi ma anche essa di intensità lieve (grado 1).
• La scala VAS (Visual Analogic Scale) è stata utilizzata per
quantificare l’intensità del dolore;
• Riguardo agli effetti collaterali il metodo di valutazione adottato è quello proposto nell’appendice IV del National
Cancer Institute Grading Criteria dove ad ogni effetto indesiderato viene assegnato un punteggio su una scala di 5 livelli in base all’entità e/o alla necessità di assumere farmaci per
alleviare il sintomo indesiderato insorto.
Conclusioni :
La neuropatia diabetica oltre a rappresentare un modello classico di dolore neuropatico è una patologia assai diffusa e particolarmente invalidante per la persone che ne sono affette,
inoltre, non sempre risulta di facile trattamento per i terapisti
del dolore.
I dati precedentemente descritti, anche se rilevati in una popolazione così piccola di pazienti, suggeriscono che il pregabalin potrebbe essere una valida opzione terapeutica nel trattamento della neuropatia diabetica vista la riduzione della sintomatologia algica di circa il 50 % già dopo il primo mese
d’assunzione con ulteriore decremento nel corso del tempo e
la scarsa comparsa di effetti collaterali di intensità tale da non
peggiorare la qualità di vita dei pazienti.
Si auspica che in futuro si effettuino ulteriori studi che possano confermare i dati da noi proposti.
Risultati :
Il valore medio della VAS alla prima visita era di 5,2 (ds=2,3)
a distanza di una settimana si rileva un valore di 4,1 (ds =2,2);
dopo i primi 30 giorni di terapia il VAS scende di 2,7 (ds 1,7).
Tale trend di diminuzione dei valori di VAS si mantiene stabile anche nei controlli successivi: a 60 giorni VAS = 2,3
(ds=1,4); a 90 giorni VAS= 2,2 (ds=1,5); a 120 giorni VAS
=2,2 (ds=1,3).
Nel gruppo di 7 pazienti “non responder” al gabapentin, 5
dimostrano di aver ottenuto un abbassamento di almeno due
punti sulla scala VAS entro il primo mese mostrando: da un
VAS iniziale di 6,5, si è giunti ad un valore di 4,8 dopo la
prima settimana, a 30 giorni di terapia il valore VAS scende a
2,3 mantenendosi fino al termine del secondo mese.
Nella tabella sono registrati gli effetti collaterali rilevati dopo 7
giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90 giorni, 120 giorni. Gli effetti
pathy and postherpetic neuralgia: diurnal pain variation and
effects of analgesic therapy”. Pain 2006;
4. Thomas,P.K.(1999a). Mechanism and treatment of pain. In
Dyck, P.& Thomas,P.(Eds.), Diabetic Neuropathy (pp 387397). Philadelphia: W.B. Saunders Company.
5. Richter RW,Portenoy R.,Sharma U.,Lamoreaux L.,
Bockbrader H., KnappLE. :“ Relief of painful diabetic peripheral neuropathy with pregabalin:a randomized, placebocontrolled trail“ J.Pain 2005 Apr;6(4):253-60
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3. Odrcich M, Bailery JM, Cahill CM, Gilron I. :
“Chronobiological characteristics of painful diabetic neuro-
33
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
DOLORE ADDOMINALE CRONICO IN PAZIENTE CON
NEUROPATIA DIABETICA E PORTATRICE DI
DREPANOCITOSI
della variabilità dell’intervallo RR a riposo e dell’aumento
della frequenza cardiaca dopo respiro profondo ed del rapporto 30/15). Diverse esofago-gastro-duodeno-scopie hanno
mostrato un ritardato svuotamento gastrico.
Non sono stati evidenziati accumuli di amiloide alla biopsia
di nervo, tuttavia è in corso l’analisi molecolare per amiloidosi genetica.
L’introduzione del pregabalin, ad un dosaggio crescente fino
a 300 mg b.i.d. ha determinato un miglioramento della sintomatologia dolorosa e la riduzione del dosaggio della pentazocina.
R. Di Leo, A. Mazzeo, G. Vita
Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Psichiatriche ed
Anestesiologiche
Università di Messina
Riportiamo il caso di una donna di 28 anni, affetta da diabete
mellito insulino-dipendente dall’età di 15 anni. Da diversi
anni lamenta stipsi, che negli ultimi anni ha avuto un andamento ingravescente, tale che all’età di 25 anni ha presentato
un episodio di subocclusione intestinale. Nello stesso anno,
osteomielite al 5° dito del piede destro per la quale ha subito
intervento di disarticolazione dello stesso.
Giunge alla nostra osservazione in quanto, circa 2 anni prima,
ha iniziato a lamentare dolore di tipo trafittivo, lancinante, in
regione epigastrica, della durata di pochi secondi, dapprima a
cadenza quasi mensile (ogni 20 giorni circa) che nel tempo è
aumentato di intensità e frequenza, fino a diventare pluriquotidiano. Inizialmente la sintomatologia si presentava in relazione ai pasti e si accompagnava a nausea e vomito, specie al
mattino. Su consiglio di specialisti, ha intrapreso diverse terapie analgesiche con scarso beneficio. Da alcuni mesi ha iniziato terapia con pentazocina (30 mg, i.m., b.i.d.), da cui ha
tratto parziale beneficio.
All’esame obiettivo presentava plurime lesioni ulcerative ai
piedi. L’esame neurologico mostrava una iporeflessia osteotendinea e una ipoestesia dolorifica distale agli arti inferiori.
Gli esami ematochimici di routine hanno mostrato un’anemia microcitica; nella norma gli indici di funzionalità epatica,
renale ed il profilo autoimmunitario. La ricerca di emoglobine
patologiche ha mostrato il 3.8% di HbA2 (v.n. 2-3.5), HbS
44% (v.n. assente), riferibile ad una condizione di portatore
sano di Drepanocitosi. Ha, inoltre, praticato uno studio ecografico e un’Angio-TC addominale risultati nella norma, escludendo una causa di tipo vascolare.
Negativi sono risultati il dosaggio dell’alfa-galattosidasi ed il
dosaggio urinario dell’acido d-aminolevulinico e del porfobilinogeno.
Lo studio delle velocità di conduzione motorie e sensitive ha
mostrato un quadro di polineuropatia assonale sensori-motoria. La risposta simpatico-cutanea era assente.
I test di funzionalità autonomica cardiovascolare sono risultati alterati (ipotensione ortostatica asintomatica; riduzione
Le neuropatie delle piccole fibre sono caratterizzate sia da
sintomi legati a disturbi della sensibilità quali dolore, parestesie, sindrome delle gambe senza riposo, che da sintomi legati
ad un coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo come
disturbi della sudorazione, della motilità gastrointestinale, dell’apparato genito-urinario ed ipotensione ortostatica [1].
Nel diabete coesiste un contemporaneo coinvolgimento
delle fibre di grosso e piccolo calibro. Comune è il riscontro
strumentale di una neuropatia autonomica (12-40%); tuttavia
una neuropatia autonomica sintomatica (se si esclude l’impotenza) è poco frequente [2].
Nel caso della nostra paziente, coesiste anche lo stato di portatrice di drepanocitosi, condizione di per sé associata a sintomatologia dolorosa, anche atipica, per fenomeni trombotici
[3].
Gli esami clinico-strumentali praticati dalla paziente hanno
permesso di escludere altre cause di dolore associato a neuropatia, come la Porfiria, la malattia di Fabry, l’amiloidosi, le
vasculiti.
La risposta al Pregabalin supporta l’ipotesi che si tratti di un
dolore neuropatico legato alla neuropatia diabetica autonomica.
Bibliografia
1. Hoitsma E, Reulen JP, de Baets M, Drent M, Spaans F, Faber
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3. Ahmed S, Shahid RK, Russo LA. Unusual causes of abdominal pain: sickle cell anemia. Best Pract Res Clin
Gastroenterol. 2005 Apr;19(2):297-310
34
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
PREGABALIN E CLEARENCE DELLA CREATININA
virus della Varicella-Zoster.[1,2]
Una review del 2005 ha suggerito come vi sia evidenza dell’efficacia analgesica nella nevralgia posterpetica per diversi
farmaci: antidepressivi triciclici, oppiodi, gabapentin, tramadolo e pregabalin. In particolare per i gabapentinoidi l’evidenza è superiore in quanto supportata da molti studi, coinvolgenti un notevole numero di pazienti.[3,4]
Il Pregabalin è un amminoacido strutturalmente correlato al
neurotrasmettitore GABA, che attraversa la barriera ematoencefalica. Sebbene sia una molecola che ha analogia con la
formula di struttura del GABA, non sembra interagire con i
recettori gabaergici, non viene trasformato metabolicamente
in GABA o in GABA agonista, non è un inibitore dell’uptake
di GABA o della sua degradazione, si lega con la subunità ?2
dei canali al calcio di tipo N ad alto voltaggio, modulando l’iperreattività del neurone, riducendol’ingresso del calcio a
livello delle terminazioni pre- e post-sinaptiche nei neuroni
iperattivat e il rilascio dei neurotrasmettitori eccitatori.
Questo farmaco circola ampiamente non legato (<3% è legato a proteine plasmatiche). Il volume apparente di distribuzione, calcolato dopo iniezione endovenosa di 150 mg di farmaco, è circa 58+/-6 litri (media +/- deviazione standard) e
60+/-5 litri rispettivamente.
Non sono state evidenziate condizioni allergiche nei confronti di questo composto,se non rarissime in quanto, la sua struttura chimica è piuttosto simile alla L-leucina, un amminoacido
essenziale.
Il nostro organismo possiede un meccanismo specifico, il sistema trasporter L-aminoacidico, per assorbire questo composto
abbastanza rapidamente nel sangue, attraverso un trasporto
della leucina, e quindi viene trasferito dal sangue al
S.N.C,sempre grazie allo stesso sistema. Questo farmaco non
viene praticamente metabolizzato,se non in quantità minima,e
questo aspetto è molto importante in quanto non si determinano interazioni farmacologiche. L’emivita è di circa 5-7 ore e
non cambia con la dose e con dosaggi multipli continui.
Il pregabalin viene eliminato dalla circolazione sistemica principalmente mediante escrezione renale, sotto forma di farmaco immodificato. Poichè la clearence di pregabalin è direttamente proporzionale alla clearence della creatinina (ClCR), la
R. Esposito, V. Pota , M.C. Pace, C. Aurilio
[email protected]
Dipartimento di Scienza Anestesiologiche, Chirurgiche e
dell’Emergenza
Seconda Università degli Studi di Napoli
Il controllo del dolore cronico è uno degli obiettivi che la
medicina,da sempre, cerca di raggiungere. Dati recenti
dell’OMS (1998) confermano che il dolore, quale ragione
principale di consultazione medica, ha ripercussioni nella vita
quotidiana e professionale dei pazienti.
Il dolore cronico, si divide in oncologico e non oncologico,
nell’ambito di quest’ultimo un ruolo importante viene svolto
dal dolore neuropatico.
Secondo la definizione data dalla IASP il dolore neuropatico è
causato da una lesione primaria, una disfunzione, o una transitoria perturbazione nel Sistema Nervoso Periferico o Centrale.
Si riconoscono diversi agenti eziologici, tuttavia molti sintomi
e segni sono comuni tra le diverse sindromi pertanto si pensa
all’esistenza di meccanismi fisiopatologici comuni.
Le neuropatie dolorose possono essere classificate nelle
seguenti principali categorie eziologiche:
1. Tossico-metaboliche: endocrine (diabete); post-chemioterapiche (isoniazide); associate ad esposizione di
sostanze chimiche; nutrizionali (beriberi).
2. Post-traumatiche: sindromi complesse regionali dolorose di tipo I e II.
3. Da compressione: sindromi da intrappolamento nervoso (tunnel carpale).
4. Autoimmuni: vasculitiche; demielinizzanti; paraneopalstiche; parainfettive.
5. Infettive: virali ( sindrome da immunodeficienza
umana, HIV, herpes zoster); spirochetosi (M. di Lyme);
malattia di Guillian-Barré.
6. Ereditarie: malattia di Fabry; Amiloidosi.
L’epidemiologia delle neuropatie dolorose non è ben conosciuta. Essa varia enormemente in rapporto al livello socioeconomico, all’incidenza e alla prevalenza della patologia di
paese in paese.
Dati più precisi sono noti per la neuropatia post-erpetica, che,
nonostante i progressi della terapia antivirale, e la recente
introduzione della vaccinazione, continua a manifestarsi in
più del 25% dei pazienti che hanno subito una infezione da
CLEARENCE
CREATININA
riduzione del dosaggio, nei pazienti con compromissione
della funzionalità renale, deve essere personalizzata in base
alla clearence individuale della creatininia (ClCR) come indicato dalla tabella:
Sono stati effettuati numerosi studi preclinici per valutare gli
DOSE TOTALE DI PREGABALIN
ml/min
DOSE INIZIALE
(mg/die)
DOSA MASSIMA
(mg/die)
REGIME
POSOLOGICO
> 30 a < 60
75
300
BID or TID
> 60
> 15 a < 30
< 15
150
25 a 50
25
600
150
75
effetti collaterali del Pregabalin.
L’Insieme dei dati provenienti da 10 studi Pregabalin vs placebo nel dolore neuropatico periferico hanno evidenziato che
l’incidenza di tutti gli eventi avversi riferiti spontaneamente, o
osservati durante il trattamento, si manifestano nel ≥5% dei
pazienti trattati con pregabalin.
La maggior parte degli eventi avversi è stata di intensità lieve
o moderata (è stata grave solo nel 9,7% dei casi per pregabalin e nel 7,1% per il placebo).
BID or TID
QD or BID
QD
Gli eventi avversi più frequenti tendevano ad essere associati
al dosaggio.
In generale quelli maggiormente osservati sono:
• Sonnolenza: 9,8 % dei pazienti con una dose di pregabalin pari a 150mg, 15,9% dei pazienti trattati con pregabalin 300mg, e 17,6% dei pazienti con pregabalin
600mg.
• Vertigini: 13,3% dei pazienti con pregabalin 150mg,
15,5% dei pazienti con pregabalin 300mg e 29,6% con
35
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
pregabalin 600mg
• Edemi periferici: 5,2% dei pazienti con pregabalin
150mg, 12% dei pazienti con pregabalin 300mg e
13,5% con pregabalin 600mg
• Aumento ponderale: 3,5% dei pazienti con pregabalin
150mg, 4,7 % dei pazienti con pregabalin 300mg e 8,3
% con pregabalin 600mg
Le numerose ipotesi di efficacia di questo farmaco in diverse
condizioni patologiche, molte delle quali clinicamente testate,
i buoni risultati della sperimentazione pre-clinica, nonché la
buona maneggevolezza che i parametri farmacocinetici hanno
messo in evidenza (non necessitano di essere
metabolizzati,non si legano alle proteine plasmatiche, non ci
sono cross-reazioni con altri farmaci,non ci sono livelli tossici
e sono molti sicuri) consentono di definire questo composto
come un nuovo agente anticonvulsivante ben tollerato, che
opera attraverso un nuovo meccanismo d’azione,che può in
parte giustificare la risposta favorevole di una certa percentuale di pazienti affetti da patologia con dolore cronico.
evidenza una alterata funzionalità renale (creatininemia 2.3
mg/dl) per cui si richiede una clearance della creatinina che
risulta di 38 ml/min. Tale insufficienza renale non era mai
stata evidenziata dal medico di medicina generale. In base a
tali considerazioni si prescrive terapia con 1 cpr da 75 mg di
Pregabalin la sera per i primi cinque giorni associato a
Tramadolo 25 mg da somministrare tre volte a distanza di otto
ore (il prolungamento del tempo di intervallo tra le dosi è stato
effettuato al fine di ridurre il rischio di accumulo); dal sesto
giorno si prescrive Pregabalin 75 mg x 2/die, con un intervallo di 12 ore,associato a Tramadolo 25 mg al bisogno (max
3/die). Al termine della visita viene consegnato al paziente il
daily pain diary. Al settimo giorno viene contattato telefonicamente il paziente il quale riferisce un notevole miglioramento
della sintomatologia algica, pertanto viene fissata visita di controllo alla quattordicesima giornata. Al 14 giorno, il paziente
ritorna al nostro ambulatorio con i seguenti risultati: notevole
miglioramento della qualità di vita con particolare riferimento
al sonno, con un punteggio di 4 alla Sleep Interference Scale
(scala ad undici punti per valutare l’interferenza del dolore
sulla qualità del sonno); all’esame algologico riduzione dei
fenomeni di allodinia e iperpatia con difficoltà a scatenare
crisi algiche che, quando presenti, erano di durata inferiore a
quelle delle prime visite e di minore intensità; McGill Pain
Questionnaire Score 15, VAS 35.
Non riferisce alcuna comparsa di reazioni avverse ascrivibili al
farmaco, né tantomeno gli edemi osservati con la precedente
terapia. Il controllo della funzionalità renale risultava stazionario. Pertanto il paziente è attualmente ancora in trattamento
con Pregabalin al dosaggio di 150 mg pro die, dosaggio che è
compatibile con il suo stato di moderata insufficienza renale.
Egli riferisce un deciso miglioramento della qualità di vita e di
sonno soprattutto; obiettivamente è stato riscontrato un VAS di
2.5 e un McGill Pain Questionnaire di 10.
CASO CLINICO
Si rivolge presso l’ambulatorio di terapia del dolore della
Seconda Università degli studi di Napoli un paziente di 79
anni con dolore spontaneo, superficiale, urente, associato a
disturbi della sensibilità in regione latero-cervicale e mammaria dx soprattutto in corrispondenza dei quadranti superiori; il
dolore è intenso e spesso insopportabile. Il paziente riferisce
inoltre che il dolore di base, nonché l’intensità e la frequenza
delle crisi algiche, sono aggravate e/o scatenate da stimoli
innocui, termici e tattili, da ogni genere di stress e dalle variazioni climatiche. In anamnesi si mette in evidenza un Herpes
Zoster, curato circa 5 mesi prima con Aciclovir 800 mg * 2 per
5 giorni, da cui è residuata una nevralgia post-erpetica (NPH)
trattata dal medico di medicina generale con Pregabalin prima
75 mg x 2 e successivamente 150 mg x 2, vit. B1 cpr 300 mg
e un associazione di
Tiamina, Piridossina e
Cianocobalammina in cpr 500 mg. Il paziente riferisce di aver
sospeso tale trattamento, nonostante un miglioramento della
sintomatologia dolorosa, per la comparsa di un episodio che
egli indica come di tipo allergico e caratterizzato dalla comparsa di vertigini ed edemi generalizzati e con una maggiore
evidenza al volto. Alla sospensione del trattamento il paziente riferisce la ricomparsa della sintomatologia dolorosa, nonchè la scomparsa delle vertigini e la progressiva diminuzione
dello stato edematoso. All’esame algologico si osserva allodinia marcata nella zona erpetica da stimoli tattili leggeri (strofinamento con un batuffolo di cotone) e iperalgesia puntoria.
McGill Pain Questionnaire Score 27, VAS 75. Si effettua
esame con Neurometer CPT-C che mostra un alterazione nella
trasmissione dell’impulso delle fibre A?, ? e C, come si evince
da Grade 5.5 nei siti interessati a dx, a fronte di Grade 0 nei
rispettivi siti controlaterali.
Si praticano esami ematochimici di routine che mettono in
Bibliografia
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4. Sabatowski R, Galvez R, Cherry DA, Jachot F, Vincent E.
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36
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
PAZIENTE AFFETTO DA SINDROME
POST-LAMINECTOMIA: UN “CALCIO” AL DOLORE
Il pz ritorna presso l’ambulatorio dopo 40 giorni e il controllo del dolore risulta buono (VAS 3). Continua terapia orale e
riassume sertralina 50mg/die.
Dopo ulteriori 30 giorni, il controllo della sintomatologia
dolorosa risulta ancora buono (VAS 2)., pertanto si decide di
ridurre il dosaggio della buprenorfina transdermica a 52.5
mcg/ora. Il pz riferisce di aver spontaneamente sospeso la
somministrazione di sertralina.
Il successivo controllo avviene dopo 30 giorni. Il pz riferisce
di aver sospeso spontaneamente l’applicazione del cerotto di
buprenorfina a causa di irritazazione
della cute e
riferisce,inoltre, nausea e sudorazione. Si propone al paziente il posizionamento di un neurostimolatore midollare ma il
paziente non si mostra disponibile a tale procedura. Pertanto
si continua la terapia farmacologica.
Viene altresì prescritto il proseguimento della terapia con levetiracetam 500mg/die e aggiunta oxcarbazepina fino a 600 mg
per 2/die.
A due settimane di distanza dagli ultimi accertamenti, il controllo del dolore risulta modesto (VAS 5) e, pertanto, si decide di somministrare buprenorfina orale 0.2 mg/die. Si sospende levetiracetam e si continua l’ oxcarbazepina.
Dopo ulteriori 10 gg il pz sospende spontaneamente la buprenorfina orale e riapplica il cerotto al dosaggio di 17.5 microgrammi/ora riferendo buona risposta. Viene da noi consigliata,
visti i precedenti di allergia, l’assunzione di buprenorfina per
os 0.4 mg per 2/die e di rimuovere il cerotto.
Visti gli scarsi risultati a 4 giorni dall’ultima prescrizione, si
decide l’applicazione di fentanyl transdermico al dosaggio di
50 mcg/ora e continuare l’assunzione di oxcarbazepina (600
mg per 2/die).
La sintomatolologia dolorosa a 20 giorni è quantificabile in
VAS 2.
Si continua, pertanto, con l’applicazione del cerotto, con
oxcarbazepina, e si decide di aggiungere amitriptilina
2mg/die.
A un mese di distanza si opta per continuare con l’assunzione
di fentanyl e amitriptilina, sospendere oxcarbazepina. Si
decide, inoltre, di aggiungere pregabalin 75 mg per 2/die.
Il paziente, nei successivi controlli dopo 30 e 60 giorni, riferisce l’assenza di sintomatologia dolorosa (VAS 0-1 ) con residua algia al solo arto inferiore destro.
Il paziente asserisce di essere disposto al posizionamento di
un neurostimolatore midollare allo scopo di ridurre o riuscire
a sospendere la terapia farmacologica
Si programma, pertanto, per il posizionamento di uno stimolatore midollare temporaneo.
Quest’ultimo viene posizionato 30 giorni dopo l’ultimo follow-up. Si procede a svezzamento farmacologico da pregabalin e fentanyl TTS somministrando clonidina TTS 1 un cerotto ogni 5 giorni e paroxetina a dosaggio di 20 mg/die.
Alla valutazione successiva, dopo 15 giorni, il paziente riferisce buon controllo della sintomatologia dolorosa (VAS 1).
Viene posizionato il neurostimolatore midollare definitivo e
continuata la terapia con clonidina TTS e paroxetina (il cui
dosaggio viene ridotto a 10 mg/die per 10 giorni e poi definitivamente sospesa l’assunzione).
Al controllo dopo 30 giorni il paziente riferisce assenza di sintomatologia (VAS 0). Durante questo periodo il paziente ha
sospeso la somministrazione di clonidina ( quindi interrotto
ogni terapia farmacologica) ed ha praticato, senza alcun impedimento, attività sportiva non agonistica leggera-moderata
riuscendo persino a disputare 45 minuti di una partita di calcetto.
L. Fabozzi, A. Granata, D. Tammaro, R. Palomba
M. Pennimpede, R. Melillo, I. Santoriello, F. Marinelli
Dipartimento Universitario di Scienze AnestesiologicheRianimatorie e dell’Emergenza “Federico II” di Napoli. Area
funzionale di Anestesia Generale e Speciale, di Terapia
Antalgica e Cure Palliative.
Resp. Prof.ssa R.Palomba
Giunge alla nostra osservazione il signor D.G., 57 anni, pensionato, che riferisce sintomatologia dolorosa ad origine dalla
regione lombare inizialmente localizzata a gluteo e gamba
destri, successivamente irradiatasi anche all’arto inferiore e
gluteo sinistri. L’intensità VAS è pari a 7.
L’anamnesi familiare e fisiologica risultano negative.
Dall’anamnesi patologica remota, il pz risulta affetto da gastropatia,sinusite frontale e cervicobrachialgia bilaterale correlata
ad ernia discale C5-C6.
Il paziente riferisce di essere stato sottoposto, nel 1973, a intervento chirurgico di emilaminectomia S1-L5 e discectomia L4L5 per ernia discale e resezione di osteofiti a livello di L4.
L’attuale stato morboso si fa risalire al 1998, anno in cui compare la sintomatologia algica. A causa della patologia in questione, il pz riferisce di aver praticato numerosi cicli di TENS,
massoterapia e altre FKT e di aver assunto FANS, oppioidi
deboli e gabapentina ( fino a 1600 mg/die) senza soddisfacente remissione della sintomatologia
All’E.O. si evidenzia un’ ipostenia muscolare localizzata all’arto inferiore destro, di grado medio-grave, ed una analoga alterazione, di grado medio, all’arto inferiore sinistro.
Il paziente mostra una RMN del rachide praticata nel 2004
che evidenzia protrusione discale posteromediana nello spazio intersomatico L2-L3 che impronta il sacco durale, una
modesta protrusione posteromediana nello spazio L3-L4 e
alterazioni artrosiche diffuse delle faccette articolari vertebrali.
Durante il follow-up presso il nostro ambulatorio, viene richiesto al pz di praticare una nuova RMN ed una EMG degli arti
inferiori.
Alla RMN si evidenzia una evoluzione del precedente stato
patologico con fenomeni disidratativi di tutti gli spazi intersomatici da L2 a S1,protrusioni discali marginali multiple con
impegno dei forami di coniugazione e possibile conflitto pluriradicolare. Normale per segnale e volume il cono midollare.
L’elettromiografia evidenzia segni di sofferenza muscolare
neurogena di tipo cronico a carico di numerosi nervi. Tale
alterazione, a carico del nervo tibiale anteriore dx e del nervo
gastrocnemio mediale di sinistra, risulta di modesta entità; il
nervo gastrocnemio mediale di destra è, invece, interessato in
modo grave. Tali risultati sono compatibili con una diagnosi
radicolopatia L4-L5-S1.
Dopo aver raccolto anamnesi, visionato i referti radiologici ed
effettuato un attento esame obiettivo, viene prescritta la
seguente: levetiracetam ( 500mg/die per 5 giorni fino a raggiungere i 500mg x 3/die); lamotrigina (da 25 mg fino a 100
mg/die); sertralina (50mg/die) e buprenorfina TTS 70 microgrammi /ora.
Al controllo dopo 14 giorni, il pz riferisce un miglioramento
della sintomatologia dolorosa (VAS 4.5) sebbene ammetta una
incompleta compliance al trattamento. La terapia viene modificata come segue: levetiracetam fino a 500mg per 2/die,
lamotrigina 50mg/die e la buprenorfina TTS a 70 mcg/ora.
37
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
AGGRAVAMENTO DI DOLORE CRONICO IN PAZIENTE
AFFETTA DA DIABETE MELLITO
Infusione continua di Insulina; Tiroxina 100 mcg/die.
ESAME OBIETTIVO
All’esame algologico: sfumato incremento della temperatura
cutanea all’avampiede, bilateralmente; allodinia meccanica
dinamica / iperalgesia alla puntura / allodinia al freddo alla
cute dei dermatomeri da D7 a D11 a destra; disestesia per lo
stimolo meccanico dinamico alla regione anteriore della caviglie; allodinia meccanica statica (per pressione continua) alle
gambe dal 3° superiore in giù bilateralmente e ai piedi.
All’esame neurologico : dubbia, incostante deviazione a sinistra dell’ombelico come da ipostenia dei muscoli della parete
addominale destra; riflessi addominali assenti bilateralmente;
iporeflessia achillea bilaterale; ipoestesia panmodale a tutto l’emisoma ed emivolto destro, più grave (anestesia per stimoli termici) alla regione addominale compresa tra i dermatomeri D7
e D11 a destra, meno grave agli stessi dermatomeri al fianco.
ESAMI STRUMENTALI
Esame quantitativo sensibilità termiche : marcata ipoestesia per
gli stimoli caldi alle gambe ed ai piedi, più evidente nelle sedi
distali
Grave ipoestesia / anestesia per tutte le modalità anche nelle
sedi addominali esaminate, in particolare a destra
Elettroneurografia / elettromiografia : nella norma i parametri di
conduzione nervosa testati agli arti inferiori e superiori. Non
segni di denervazione nei muscoli esplorati agli arti inferiori.
Diffusi segni di denervazione in atto in tutti i muscoli paraspinali esplorati da T3 a S1 bilateralmente
Teletermografia : Inversione del pattern termico con temperatura cutanea distalmente agli areti inferiori maggiore del distretto prossimale.Risonanza magnetica colonna dorsale e lombosacrale: protrusione discale mediana paramediana destra a
livello L4 – L5, marcata riduzione dello spessore del disco
intersomatico L5 – S1
CONCLUSIONI Dolore neuropatico subacuto al tronco (in
particolare regione addominale destra) e distalmente arti inferiori, conseguenti ad estesa radicolopatia dorso – lombare, più
grave alle radici da D7 a D11 a destra, ed a severa polineuropatia sensitiva selettiva per le fibre nervose di piccolo calibro.
Tale neuropatia è verosimilmente correlata a diabete mellito
(da escludere comunque infezione erpetica)
Si sovrappone emisindrome sensitiva deficitaria facio – brachio – crurale destra di lieve entità come da possibile sofferenza encefalica emisferica sinistra.Tale forma di polineuropatia è
documentata dall’esame clinico e quantitativo delle sensibilità
termiche, mentre l’esame EMG è poco sensibile ed infatti risulta quasi normale,
Il dolore neuropatico ed i disturbi sensitivi al tronco (in particolare in regione addominale destra) sono invece correlati ad
una radicolopatia focale dolorosa toraco-addominale di verosimile natura microischemica/infiammatoria correlata al diabete
mellito. Non si può tuttavia escludere che tale radicolopatia sia
conseguente ad infezione da herpes zoster, con presentazione
atipica (assenza di lesioni dermatologiche, estensioni a multipli dermatomeri). La diagnosi di sofferenza radicolare è supportata, oltre che dall’esame delle sensibilità, da lievi deficit
motori ai miomeri D7 > D11 a destra, oltre che dall’esame
elettromiografico della muscolatura paraspinale che risulta diffusamente denervata.
È stato riscontrato un modesto deficit sensitivo esteso a tutto
l’emisoma ed emivolto destro, forse secondario a lesione
(ischemica?) encefalica sinistra, di probabile entità e rilevanza
clinica modesta.
INDICAZIONI DI INDAGINE DIAGNOSTICA
• valutazione dell’eventuale coinvolgimento della componente vegetativa mediante studio funzioni neurovegetive
• eventuale miglior definizione della sofferenza nervosa peri-
F. Formaglio (1),, M. Lacerenza (2)
UO Neurologia Neurofisiologia e Neuroriabilitazione, H San
Raffaele, Milano (1),
UO Neurologia UF Medicina del Dolore, San Raffaele Turro,
Milano (2)
Donna di 53 anni, degente (ricovero per dolore e scompenso
glicemico) in Medicina – Indirizzo patologie metaboliche
ANAMNESI ALGOLOGICA
Circa 4 mesi prima comparsa di dolore sordo, profondo, continuo, bruciante ed a scossa elettrica superficiale ai piedi, più
grave a destra, associato a disturbi sensitivi positivi ( fastidio
allo sfregamento, formicolio) e negativi (ipoestesia per il tatto)
nella stessa sede + episodico arrossamento cutaneo e tumefazione ai piedi.
Due mesi dopo esordio acuto di nuovo grave dolore con analoghe caratteristiche esteso dal dorso dalla scapola alla regione glutea e, più grave, in regione addominale a destra.
Negli ultimi 2 mesi calo ponderale di 5 kg.
Durante la visita riferisce: dolore spontaneo di intensità 7,3 /
10 VAS, media ultime 72° 6,5/10 VAS. Con riposo 5,6 / 10
VAS; con attività fisiche / intellettive stressanti e di sera/notte
sino a 9,3 / 10 VAS.
Lo sfregamento cute è gravemente doloroso alla regione dell’addome destro, fastidioso – doloroso alla regione delle caviglie anteriori.
Si associa episodico arrossamento della cute ai piedi, nelle ore
serali, e sensazione di distensione addominale a destra con le
esacerbazioni del dolore.
L’umore è buono, pur con discreta preoccupazione per le proprie condizioni di salute e le limitazioni imposte dal dolore alla
sua attività di casalinga.
Le attività fisiche sono parzialmente limitate dal dolore ma
anche dalle importanti fluttuazioni dei valori glicemici. Attività
intellettive e sociali ridotte anche in conseguenza al grave
dolore.
In anamnesi :
Diabete mellito tipo 1, complicato da retinopatia diabetica non
proliferante con cataratta secondaria, associato a calo ponderale recente (5 Kg negli ultimi 2 mesi) ed in scarso compenso
metabolico in trattamento con : infusione continua di insulina
ed in programma per intervento di impianto di isole pancreatiche; glaucoma bilaterale, trattato chirurgicamente in OS a 35
anni; esiti di intervento di rimozione di cisti del seno pilonidale (3 mesi prima); frattura del femore traumatica in caduta accidentale (8 mesi prima); esiti di tiroidite autoimmune, in terapia
con Tiroxina. Allergia a Metamizolo, steroidi (?)
Esami effettuati
Ematochimici recenti : di significativo si rileva Hb glicata 10,5
% (7/11); Hb 10,4 (4/11). Segnalata positività Ab anti Varicella
Zoster IgM ed IgG. Hb 11,2 g/dL. PCR nella norma.
Elettromiografia (3 settimane prima): dati compatibili con
moderata polineuropatia sensitivo motoria assonale cronica
(invariata da precedente controllo 2 anni prima)Terapia in
corso :
Da 17 giorni in terapia analgesica con Gabapentin, 400 mg X
4/die (iniziato a dosaggio di 300 mg X 3/die 8 mesi prima e
solo recentemente aumentato di dosaggio) + Desipramina, 25
mg X 2/die (iniziato circa 6 mesi prima) entrambi ben tollerati,
senza chiaro beneficio analgesico + Indometacina 50 mg fl IM
od Tramadolo 50 mg fl EV / IM “su richiesta”, disponibili ogni
6 ore, senza eventi collaterali avversi ed associati entrambi a
riduzione del dolore del 35 %.
38
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
ferica con biopsia cutanea per lo studio delle fibre nervose di
piccolo calibro
• eventuale miglior definizione della possibile infezione erpetica con esame del liquor e PCR per virus varicella zoster >
in caso di riscontro positivo riconsidera terapia antivirale
• considerare studio con risonanza magnetica encefalo per
indagine sull’emisindrome sensitiva deficitaria destra
INDICAZIONI TRATTAMENTO Incremento progressivo
dosaggio Gabapentin, sino a 800 mg X 4/die PO
• Eventuale associazione di Tramadolo. 100 mg cpr rilascio
protratto, ? cpr X 3/die e considera riduzione Desipramina,
25 mg X 1/die per minimizzare eventuale sedazione effetto
collaterale
• Valutazione risposta analgesica a terapia su richiesta con
Diclofenac, 75 mg fl IM / EV o cps 50 mg ed a Tramadolo,
100 mg fl IM / EV o gtt 20 – 40.
• Nel caso di inadeguato controllo analgesico da valutare i
futuro : terapia con altri farmaci antiepilettici (Pregabalin o
Oxcarbazepina), ad orari regolari e/o con altri antidepressivi
(Duloxetina o Venlafaxina Desipramina a più alto dosaggio o
Amitriptilina; Paroxetina o Citalopram), ad orari regolari e/o
oppioidi forti, ad orari regolari e “su richiesta” e/o trattamento con neurostimolazione cordonale posteriore cervicale e/o
neurostimolazione (mielo)radicolare dorsale
• Da rivalutare terapia antidiabetica; dieta bilanciata; corretta
igiene del sonno (con eventuale farmacoterapia) regolare attività fisica, eventuale terapia di supporto psicologico e/o farmacoterapia a scopo antidepressivo appropriato supporto
sociosanitario (assistenza al domicilio)
TRATTAMENTO AGOPUNTURALE CONSERVATIVO PER
L’ERNIA DISCALE DEL RACHIDE LOMBOSACRALE (T.A.C.E)
al dolore, irradiato dalla schiena verso l’arto inferiore destro,
interessa la zona postero laterale del polpaccio. Lieve miglioramento con il riposo in decubito laterale sinistro, peggiora
con i movimenti e la posizione seduta. E già stata sottoposta
ad un ciclo di trattamento con Voltaren e Muscoril per via
intramuscolare senza alcun miglioramento, seguito da infiltrazione di cortisonico con risultati poco soddisfacenti.
Radiodiagnostica:
Rx rachide L/S: Scoliosi lieve, riduzione gli spazi discali corrispondenti ai segmenti L4-L5, L5-S1.
RMN: Ernia discale di piccole dimensioni spazio L4-L5, localizzazione posterolaterale destra, protusione discale L5-S1.
Esame Obiettivo:
Limitazione e dolore al inizio dei movimenti, in tutte le direzioni. Verificati con la stella di Maigne.
Laseghe positivo a destra (45°). Riflessi, forza muscolare e sensibilità conservati.
Dolore alla palpazione negli spazi intervertebrali coinvolti e
punti paravertebrali dx.
Si riscontrano punti trigger in corrispondenza della cresta iliaca dx, gluteo massimo e la zona peritrocanterica femorale
dello stesso lato.
Presenza di vasta zona dermalgica che interessa la zona laterodistale della coscia dx, zona laterale della fossa poplitea e il
polpaccio attorno alla testa del perone.
Lombosciatic Pain Test (Brief Pain Inventory Test, modificato):
L’applicazione del test ci permette di classificare e monitorare
il dolore; che in questo caso viene definito dalla paziente
come severo, insopportabile e invalidante. Grado d’intensità 9
sulla scala VAS corrispondente, significativa interferenza con
la capacità di camminare e i movimenti in genere, l’umore, il
sonno e le attività del vivere quotidiano.
Trattamento:
Dopo aver escluso la concomitanza d’altri disturbi patologici
a carico del segmento corrispondente, proponiamo alla
paziente l’applicazione del protocollo T.A.C.E (trattamento
agopunturale conservativo per l’ernia discale del rachide lombosacrale), variante A (radice L4-L5).
Trattamento Agopunturale Conservativo per l’Ernia Discale
del Rachide Lombosacrale (T.A.C.E).
Variante A (radice L4-L5):
• Step 1: Punti auricolari (punto sciatico e punto lombare), e
distali della mano e il viso (DM 26 e IT 3). In totale 4 punti.
Materiale: Aghi coreani sterili monouso, diametro 0,17 per 7
mm di lunghezza. Tecnica: Infissione con iniettore metallico
coreano.
F. E. Madruga
Studio Medico Terapia del Dolore (Corso Palermo 81, 10152,
Torino. Italia)
Il trattamento agopunturale conservativo per l’ernia discale del
rachide lombosacrale (T.A.C.E), è un protocollo d’ultima generazione che fa parte della cosiddetta Agopuntura Osteopatica
Americana. Nasce dalla fusione tra l’osteopatia occidentale e
le tecniche d’agopuntura giapponese, cinese e coreana.
Costituisce la integrazione di due conosciuti protocolli diversi
tra loro, ancora in uso a Cuba e Cina, ispirati al metodo
Giapponese di Akabane per il trattamento delle ernie discali
L4-L5, L5-S1. Al risultato di questa integrazione, sono state
apportate delle modifiche negli ultimi cinque anni, eliminando le trazioni vertebrali presenti nel protocollo cinese, includendo l’utilizzo del microsistemi auricolare ed adottando
nuovi materiali e tecniche di provenienza estremo orientale
(Corea e Giappone). II protocollo odierno, si propone come
valida opzione, capace di riempire il vuoto esistente tra la terapia farmacologica e l’intervento neurochirurgico. Nella pratica, costituisce una eccellente alternativa terapeutica alle manipolazioni vertebrali, in quanto spesso in questi pazienti si verifica un blocco totale con attitudine antalgica in cifosi, caso nel
quale il trattamento manipolativo osteopatico non può essere
applicato poiché non è possibile rispettare la “regola del non
dolore” essendo doloroso il movimento in tutte le direzioni.
Questa metodica di estrema efficacia, scientificamente fondata, riproducibile e quantificabile con metodi statistici occidentali, offre la possibilità di verifica e la sua estensione a grande
scala come linea guida per il trattamento delle lombosciatalgie
di origine discale.
Key words: agopuntura osteopatica, ernia discale, dolore lombosciatico.
Lombosciatalgia Subacuta Destra:
Paziente di 23 anni, sesso femminile con antecedenti di dolore lombare cronico lieve da due anni e presenza di protusioni
discali L4-L5 ed L5-S1 alla RMN. In questa occasione riferisce
dolore lombosciatico destro iniziato tre settimane fa, conseguente a sforzo (sollevamento di un peso da terra), e preceduto da un “clic” in zona lombare. Manifesta contrattura antalgica in cifosi con limitazione funzionale e dolore a i movimenti
in tutte le direzioni, definito come “lancinante”. Riferisce sensazione di “bruciore” al arto inferiore destro che accompagna
39
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
• Step 2: Punti paravertebrali, trigger e dermalgici (Hua Tuo
Jiaji, ahshi della cresta iliaca, ahshi del gran trocantere e adiacenti del meridiano vescicola biliare, VB30-32-34). In totale 8
punti. Materiale: Aghi giapponesi sterili monouso, diametro
0,20-0,18 per 40-30 mm di lunghezza, con manico in acciaio.
Tecnica: Infissione con mandrino o tubo guida in plastica.
• Step 3: Elettroagopuntura (EAP)-1 nei punti paravertebrali
Jiaji e dermalgici VB32-34 a 4 Hz di frequenza.
Elettroagopuntura (EAP)-2 nei punti trigger-ahshi della cresta
iliaca, del gran trocantere e VB30 a 80 Hz di frequenza.
Tempo di stimolazione: 15 min. Modalità di stimolazione:
scansione di frequenze. Intensità: livello di massima sopportabilità. Durata degli impulsi: 0,5 ms. Disposizione degli elettrodi: attivi sull’area del dolore-dispersivi sull’area distale.
Materiale: elettrostimolatore professionale a norma CE, onda
rettangolare asimmetrica, intensità degli impulsi regolata indipendentemente su ogni canale fra 0 e 12 mA, intensità massima per canale di 4 mA, frequenza degli impulsi fra 0 e 99 Hz,
con sistema di sicurezza autonomo integrato digitale. Dotato
di 4 uscite funzionanti a coppie di elettrodi per due frequenze
diverse in contemporanea, con possibilità di regolazione indipendente dell’intensità su ogni canale.
• Step 4: Moxibustione indiretta sul manico degli aghi, nei
punti paravertebrali Jiaji. Materiale: 2 carboncini di moxa a
capello. Tecnica: Kyutoshin giapponese moderno (senza
fumo). Tempo di stimolazione: 15 min. Intensità: 45°C sull’ago-38°C sulla cute. Moxibustione indiretta sul corpo degli
aghi, nei punti restanti. Materiale: 6 coni forati di carboncino
di moxa. Tecnica: cono di moxa senza fumo. Tempo di stimolazione: 15 min. Intensità: 45°C sull’ago-38°C sulla cute.
Il protocollo prevede la sua applicazione ogni 48-72 ore (due
volte alla settimana). Sia il test della mobilità di Maigne, sia il
Lombosciatic Pain Test sono stati applicati al inizio e la fine
d’ogni seduta terapeutica.
Risultati
• Si è verificato una risoluzione progressiva del dolore (40%prima seduta, 70%-seconda seduta, 80%-terza seduta, 100%quarta seduta).
• Gli altri outcome presenti nel Lombosciatic Pain Test si sono
comportati in modo analogo (motilità, capacità di camminare,
etc).
Conclusioni
Questa metodica, pubblicata in Cuba dopo la sua applicazione su 644 pazienti, ha dimostrato nel 97% dei casi un’efficacia superiore alle terapie farmacologiche di comune uso, capace di risolvere al 80% il quadro doloroso in sole due settimane, per cui dopo la sua validazione in Italia, potrebbe costituire la terapia di prima scelta nel trattamento delle ernie discali L4-L5 refrattarie ai metodi convenzionali.
Bibliografia
- Boch Valdès, F; e col. Acupuntura y electroacupuntura en el
alivio del dolor de la osteoartrosis de la regiòn lumbar.
Revista Cubana de Medicina General Integral. 2001;
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- Birch, S. Ida, J. Japanese Acupuncture. Paradigm
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- Terry Oleson, PhD. Auriculotherapy Manual. Chinese and
Western Systems of Ear Acupuncture. 2nd ed. Healt Care
Alternatives. Los Angeles. USA, 1996.
- Yoo, T. Koryo Hand Therapy. Eum Yang Maek. Seoul. Korea,
1993.
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON
IMMUNOGLOBULINE ENDOVENA IN UN PAZIENTE
AFFETTO DA RADICOLOPLESSOPATIA LOMBOSACRALE
DIABETICA NON RESPONSIVA ALLA TERAPIA
CORTISONICA
carico dell’arto inferiore. Non vi è uniformità di vedute sul
processo patologico alla base della RPLSD, ma l’ipotesi più
accreditata è quella di un processo di tipo microvasculitico
piuttosto che un danno metabolico (Dyck & Windebank,
2002). Casistiche cliniche non controllate suggeriscono che
farmaci immunomodulatori possano essere di beneficio nella
RPLSD. E’ stato riportato che la terapia cortisonica migliora la
sintomatologia dolorosa nei pazienti con RPLSD (Dyck et al.,
2001). Tuttavia non tutti i pazienti rispondono ai cortisonici e
sono spesso necessari alti dosaggi, che comportano il rischio
di uno scompenso glicemico, data la presenza del DM. Più
recentemente è stato suggerito che l’infusione di immunoglobuline endovena (IgEV) costituisca una valida alternativa al
cortisone nei pazienti con RPLSD (Pascoe et al., 1997). Altri
Autori hanno riportato una scarsa efficacia delle IgEV in questa condizione (Zochodne et al., 2003).
Presentiamo il caso di un paziente affetto da RPLSD che è stato
trattato con beneficio con IgEV. Il nostro paziente presenta due
interessanti peculiarità. La prima è che un precedente tentativo
terapeutico con cortisone era stato inefficace, mentre il paziente ha risposto brillantemente all’infusione con IgEV, suggerendo che il fallimento di un trattamento immunomodulatore non
predica l’insuccesso di altre terapie immunomodulatrici. La
seconda è che, 4-5 mesi dopo il primo trattamento con IgEV, il
paziente ha presentato la ricomparsa della sintomatologia
dolorosa ed è stato di nuovo trattato con beneficio. L’efficacia
delle IgEV in due occasioni e l’intervallo libero da dolore, compatibile con l’emivita delle IgEV (Dalakas, 2004), sembrano
escludere l’ipotesi di un effetto placebo nel nostro paziente.
S. Tamburin,1,2 A. Forgione,2 D. Idone,2 G. Zanette1,2
1 Dipartimento di Scienze Neurologiche e della Visione,
Università degli Studi di Verona;
2 U.O. di Neurologia, Ospedale Pederzoli, Peschiera del
Garda (VR)
Introduzione
La radicoloplessopatia lombosacrale diabetica (RPLSD), altrimenti conosciuta come amiotrofia diabetica, rappresenta una
rara complicanza del diabete mellito (DM) (Dyck &
Windebank, 2002). La RPLSD è una neuropatia dolorosa degli
arti inferiori, ad andamento subacuto e distribuzione asimmetrica. La RPLSD inizia in modo focale e unilaterale ma tende a
coinvolgere tutto l’arto inferiore e talvolta può diffondere controlateralmente. Spesso l’esordio della RPLSD è preceduto da
un rilevante calo ponderale. Pur non rappresentando la neuropatia più comune in corso di DM, la RPLSD comporta un’elevata disabilità, per la presenza di un dolore neuropatico
molto severo e scarsamente responsivo alla terapia farmacologica e di un deficit motorio. Solitamente coesiste un interessamento doloroso multiradicolare a livello del torace e dell’addome, che può precedere l’insorgenza della sintomatologia a
40
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
Caso Clinico
Un uomo di 67 anni, affetto da DM tipo II da 14 anni, in terapia insulinica da 6 anni, giunge alla nostra attenzione con la
seguente storia clinica. Nulla di rilevante in anamnesi tranne
il DM. Da 3-4 anni presenta dolore e parestesie alla parete
laterale dell’addome. Circa 18 mesi prima ha presentato un
importante calo ponderale (8-10 Kg) senza aver seguito alcuna dieta. Un anno prima ha lamentato l’insorgenza di dolore
al ginocchio di sinistra ed ipostenia prossimale all’arto inferiore sinistro; è stato valutato da un collega ortopedico, che lo ha
sottoposto ad intervento di meniscectomia senza alcun beneficio. Nei mesi successivi, il paziente ha lamentato la progressiva estensione della sintomatologia dolorosa e dell’ipostenia
a tutto l’arto inferiore sinistro, seguita dall’iniziale coinvolgimento prossimale dell’arto inferiore destro.
L’obiettività neurologica ed algologica del paziente mostrano:
• marcia difficoltosa sui talloni ed in misura minore sulle
punte (sinistra > destra);
• ipostenia ed ipotrofia di tutto l’arto inferiore sinistro, prevalente in sede prossimale;
• asimmetria addome con svasamento a sinistra da iposteniaipotrofia dei muscoli addominali;
• ipopallestesia arti inferiori con gradiente (sinistra > destra);
• ipoestesia tattile-dolorifica arto inferiore sinistro con distribuzione ‘a gambaletto’;
• fascia di iperestesia dolorifica ed allodinia con distribuzione
T6-T12 a sinistra;
• fascia di ipoestesia puntoria T2-T4 a destra;
• assente il ROT rotuleo sinistro, ipoevocabili i ROT achillei,
iporeflessia dei ROT arti superiori;
• indenni i nervi cranici.
Tra gli accertamenti cui il paziente è stato sottoposto nel corso
della nostra osservazione ed in precedenza, si segnalano:
• valori glicemici: non ottimale compenso; Hb glicata: > 8%;
• markers reumatologici (VES, PCR, FR, TASLO, WR, ANA,
ENA, ANCA): nei limiti della norma;
• fibrinogeno: 535 (v.n. < 400);
• markers neoplastici: negativi;
• rachicentesi: proteine 62 (v.n. < 50), 1 cellula (v.n. < 2);
• elettromiografia – elettroneurografia: segni di neuropatia
periferica diffusa con lieve riduzione della velocità di conduzione nervosa e riduzione dell’ampiezza dei potenziali
motori (CMAP), assente il potenziale sensitivo (SAP) del
nervo surale; importanti aspetti di denervazione attiva nei
muscoli dell’arto inferiore sinistro;
• potenziali evocati somatosensitivi con spinogramma: rallentamento della conduzione sensitiva compatibile con sofferenza nel tratto cono midollare – cauda;
• RMN encefalo e rachide in toto: nei limiti della norma;
• biopsia del nervo surale: riduzione della densità delle fibre
mieliniche a distribuzione disomogenea nei diversi fascicoli
con infiltrato infiammatorio pericapillare; quadro compatibile con neuropatia assonale ischemica.
Prima dell’arrivo alla nostra attenzione, il paziente era stato
trattato con FANS e farmaci per il dolore neuropatico senza
sostanziale beneficio. Una minima efficacia si era ottenuta con
l’associazione di gabapentin 2400 mg/die, amitriptillina 12
mg/die, nimesulide 100 mg/die, tramadolo al bisogno, pur in
presenza di effetti collaterali; ulteriori incrementi posologici
erano stati gravati da intolleranza del paziente. Dapprima
abbiamo sottoposto il paziente ad un tentativo terapeutico con
cortisonici ad alti dosaggi (metilprednisolone 1 gr/die per 5 gg
in ambito ospedaliero, seguito da prednisone 50 mg/die a
domicilio per 1 mese). Tale protocollo era stato sostanzialmente inefficace. Inoltre, mentre durante l’ospedalizzazione si
era mantenuto un accettabile controllo dei valori glicemici, a
domicilio veniva segnalato un importante scompenso diabetico (glicemia > 250 mg, Hb glicata > 9%). Abbiamo pertanto deciso di trattare il paziente con IgEV, secondo il protocollo consueto (0.4 gr/Kg/die per 5 gg, per una dose totale di 2
gr/Kg).
Risultati
Il paziente ha tollerato la terapia con IgEV senza lamentare
effetti collaterali. Sia la sintomatologia dolorosa a livello addominale, che quella a carico dell’arto inferiore di sinistra sono
migliorate a partire da 15-20 gg dopo il termine dell’infusione
delle IgEV. Abbiamo osservato un miglioramento anche della
forza a carico degli arti inferiori e dell’autonomia della marcia.
Tale beneficio è perdurato per 4-5 mesi, trascorsi i quali il
paziente ha riferito un progressivo riaggravarsi della sintomatologia dolorosa ed una minore autonomia della marcia. La
sintomatologia dolorosa, in questa occasione, era nettamente
più marcata a destra, mentre il deficit motorio prevaleva ancora a carico dell’arto inferiore di sinistra. Abbiamo pertanto
intrapreso un secondo ciclo di trattamento con IgEV con un
dosaggio analogo al precedente. Anche in questa seconda
occasione, il paziente ha riferito un beneficio dopo 2-3 settimane, sia sulla sintomatologia dolorosa, che sulla forza agli
arti inferiori e sull’autonomia della marcia. Tale beneficio è in
seguito persistito per tutto il tempo dell’osservazione clinica.
All’ultimo controllo ambulatoriale, il paziente aveva nettamente ridotto la terapia farmacologica (gabapentin 1200
mg/die, nimesulide al bisogno) ed era tornato ad una completa autonomia nello svolgimento delle attività della vita quotidiana. Anche l’indagine elettromiografica mostrava miglioramento del quadro neurofisiologico, con comparsa di iniziali
fenomeni di reinnervazione a carico dei muscoli dell’arto inferiore di sinistra.
I grafici sottostanti illustrano l’andamento dei sintomi clinici. Il
grafico di sinistra mostra l’intensità dei sintomi dolorosi,
espressa secondo la scala VAS; il grafico di destra mostra l’autonomia della marcia, espressa come metri percorsi, prima che
il paziente debba fermarsi per l’ipostenia e/o il dolore agli arti
inferiori. I momenti in cui il paziente è stato sottoposto ad
infusione di IgEV sono segnalati (IgEV). Si noti come la prima
infusione di IgEV abbia determinato un beneficio di breve
durata, mentre, dopo la seconda infusione, il paziente ha presentato un miglioramento persistente.
41
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
Discussione
Il paziente presentato testimonia l’efficacia della terapia con
IgEV nel trattamento della RPLSD. L’utilizzo delle IgEV nella
RPLSD è stato già segnalato in letteratura (Dyck & Windebank,
2002; Pascoe et al., 1997), tuttavia l’efficacia di questo trattamento non è confermato in tutte le casistiche cliniche
(Zochodne et al., 2003) e mancano studi clinici controllati in
doppio cieco. Pur non rappresentando una conferma definitiva dell’efficacia della RPLSD, il nostro paziente può indurre ad
una serie di considerazioni.
Una delle problematiche dell’interpretazione dei risultati di
ogni trattamento immunomodulatore della RPLSD è che tale
condizione, soprattutto per quanto riguarda la componente
dolorosa, può migliorare spontaneamente (Dyck &
Windebank, 2002). In assenza di un gruppo di controllo, si
potrebbe ipotizzare che i pazienti con RPLSD che rispondono
alla terapia possono essere quelli in cui la malattia è già in fase
di spontanea guarigione. Alcune osservazioni indicano che
ciò non è accaduto nel nostro paziente. Il paziente ha risposto
due volte alla terapia con IgEV, con un tempo di latenza (2-3
settimane) compatibile con l’ipotesi che il miglioramento sia
ascrivibile ad un effetto biologico delle IgEV (Dalakas, 2004).
Anche il peggioramento dei sintomi dopo 4-5 mesi dal primo
trattamento è in linea con l’emivita delle IgEV (Dalakas, 2004).
Possiamo pertanto concludere, con ragionevole sicurezza, che
il miglioramento dei sintomi testimoni l’efficacia delle IgEV in
questo caso di RPLSD. Non esistono segnalazioni in letteratura su pazienti con RPLSD, che hanno risposto due volte alla
terapia con IgEV. Il nostro paziente pare suggerire che, in caso
di efficacia, il trattamento con IgEV possa essere ripetuto.
Infine, l’efficacia delle IgEV nel nostro paziente, nonostante
l’insuccesso di un precedente trattamento con cortisonici,
induce a concludere che il fallimento di un trattamento immu-
nomodulatore nella RPLSD non predice l’insuccesso di altre
terapie immunomodulatrici.
Conclusioni
Il caso clinico presentato suggerisce l’utilità di un tentativo
terapeutico con IgEV nei pazienti affetti da RPLSD, anche se in
precedenza non vi è stata risposta ai cortisonici. Pur rappresentando un trattamento costoso, le IgEV possono ridurre la
gravità della sintomatologia dolorosa della RPLSD, solitamente mal controllabile con la comune terapia farmacologica.
Studi clinici controllati in doppio cieco sono necessari per
confermare l’efficacia delle IgEV nella RPLSD e per definire le
caratteristiche dei pazienti, che meglio rispondono a questo
trattamento.
Bibliografia
Dalakas MC. The use of intravenous immunoglobulin in the
treatment of autoimmune neuromuscular diseases: evidencebased indications and safety profile. Pharmacology &
Therapeutics 2004;102:177–193
Dyck PJB, Windebank AJ. Diabetic and nondiabetic lumbosacral radiculoplexus neuropathies: new insights into pathophysiology and treatment. Muscle Nerve 2002;25:477-491.
Dyck PJB, Norell JE, Dyck PJ. Methylprednisolone may improve lumbosacral radiculoplexus neuropathy. Can J Neurol Sci
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Pascoe MK, Low PA, Windebank AJ, Litchy WJ. Subacute diabetic
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neuropathy.
Mayo
Clin
Proc
1997;72:1123–1132.
Zochodne DW, Isaac D, Jones C. Failure of immunotherapy to
prevent, arrest or reverse diabetic lumbosacral plexopathy.
Acta Neurol Scand 2003;107: 299–30
42
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
PREGABALIN NELLA NEUROPATIA POST ERPETICA
Nei pazienti la patologia posterpetica si presentava con le
seguenti localizzazioni:
• 11 pz (44%) avevano un interessamento dei metameri toracici
• 4 pz (16%) hanno avuto un interessamento del nervo trigemino di cui 1 solamente alla branca oftalmica e 3 pz sia alla
I che alla II branca ;
• 4 pz (16%)manifestano sintomatologia nel territorio d’innervazione del nervo sciatico cioè a livello del polpaccio, gluteo e della tibia anteriormente;
• 4 pz (16%) avevano una localizzazione all’arto superiore;
• 2 pz (8%) presentavano algia a livello addominale.
Di questi 10 pz erano stati trattati con Gabapentin con dosaggi compresi tra 1200 mg e 2700 mg senza aver ottenuto miglioramenti; 3 pz erano stati trattati con adiuvanti quali anestetici
locali e capsaicina con minimo beneficio ;
18 pz presentavano allodinia, in 7 pz era presente prurito
insopportabile, sensazione di formicolio e disestesie .
Il metodo valutativo usato alla prima visita e nei successivi controlli è la Visual Analogic Scale (VAS).
Riguardo agli effetti collaterali il metodo di valutazione adottato è quello proposto nell’appendice IV del National Cancer
Institute Grading Criteria dove ad ogni effetto indesiderato
viene assegnato un punteggio su una scala di 5 livelli in base
all’entità e/o alla necessità di assumere farmaci per alleviare il
sintomo indesiderato insorto.
I pazienti sono stati sottoposti a terapia con Pregabalin in titrazione fino ad un dosaggio massimo di 600 mg/die con rivalutazione dei pz a distanza di 7 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90
giorni, 150 giorni.
Durante questi controlli si effettuava un progressivo aumento
del dosaggio in base alla risposta al farmaco e alla comparsa
effetti collaterali, agendo prima sulla somministrazione serale e
poi su quella della mattina.
Risultati
Il valore medio della VAS alla prima visita era 5,9 (ds=1,4);
dopo la prima settimana si osserva un valore di 4,8 (ds=1,9).
Al controllo dopo 30 giorni l’intensità della sintomatologia si
attesta ad un VAS di 3,5 (ds=1,6) ;
Dopo due mesi dall’inizio della terapia il valore medio della
VAS scende a 2,8 (ds=1,6) ;
Dopo tre mesi si è attestato intorno al 2,1 mantenutosi anche
fino al quarto mese (ds=1,6);
fino a che a distanza del quinto mese il VAS era di 2,1 (ds
=1,1);
Tra i 10 pz non responder al gabapentin, 7 trattati con pregabalin mostrarono riduzione del VAS di almeno due punti gia al
termine del primo mese: da un VAS medio iniziale di 5,9,
dopo sette giorni passarono a 4,1; a distanza di 30 giorni il
VAS scende a 2,5 ed a distanza di 90 giorni il VAS si attesta a
2,3.
La seguente tabella mostra quali sono gli effetti collaterali
manifestatesi ai vari controlli considerando che i quattro effetti
più frequenti sono la “sonnolenza”, “capogiri”, “torpore”,
“ritenzione idrica” .
G.Tufaro, A. Gatti, M.G. Celeste*, M.Lazzari, L. Cococcia
T. Agostino, M. Proietti, M. Friso, G. De Rossi
Universita’ degli Studi Roma “Tor Vergata” - Cattedra di
Anestesia e Rianimazione, Scuola di Specializzazione a/r Dipartimento Emergenze, Urgenze e Terapie Intensive Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore - Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica - Azienda Ospedaliera
Università Policlinico Tor Vergata
Abstract
Background: La neuropatia post erpetica è la maggiore complicanza dell’infezione da HZ. Attualmente i farmaci antiepilettici vengono considerati una delle opzioni terapeutiche più valide per il trattamento del dolore neuropatico. Lo scopo di questo lavoro è riportare la nostra esperienza nell’utilizzo di un
nuovo antiepilettico, il pregabalin, nel trattamento della NPH.
Materiali: Nel nostro studio abbiamo reclutato 25 pz di cui 10
precedentemente trattati con Gabapentin.
In 18 pz il dolore era caratterizzato da sensazione urente e
allodinia, 7 presentavano prurito insopportabile.
Risultati: si è osservata una riduzione dei valori medi del VAS
entro il primo mese di trattamento con riduzione del 50% del
valore medio a distanza di due mesi dall’inizio della terapia.
Si è evidenziato una diminuzione della sensazione urente in
10 pz su 18 e 5 pz su 7 hanno riferito che il prurito ed il formicolio da continui sono divenuti episodici.
Conclusione : questi dati suggeriscono come il Pregabalin può
essere considerato un farmaco utile della neuropatia post erpetica.
Scopo dello studio
Lo scopo dello studio è di valutare l’efficacia di questo nuovo
farmaco antiepilettico nel dolore neuropatico, in particolar
modo nella neuropatia post erpetica.
Sono stati arruolati 25 pz affetti da dolore neuropatico cronico
insorto dopo l’eruzione erpetica nei quali la sintomatologia
algica persisteva per almeno un mese dopo la guarigione dell’eritema cutaneo
Materiali e metodi
Materiali
Sono stati reclutati 25 pz con diagnosi di neuropatia post erpetica di cui 12 femmine e 13 maschi aventi un’età compresa tra i
40 anni e gli 82 anni (media 65).
La sintomatologia algica era insorta in un periodo di tempo compreso dai due a i dodici mesi al momento della prima visita.
Criteri d’inclusione
I pazienti sono stati reclutati in base alla presenza di tali caratteristiche :
1. età maggiore di 18 anni ;
2. valori della funzionalità renale nella norma;
3. pazienti non rispondenti alle terapie fisiche e farmacologiche;
4. non assunzione di altri farmaci antiepilettici.
Dopo 7 giorni
Dopo 30 giorni
Dopo 60 giorni
Dopo 90 giorni
Dopo 150 giorni
Sonnolenza
21% (8pz)
14%(4pz)
11% (3pz)
6%(2pz)
20%(5pz)
Torpore
3% (1pz)
Nessuno
Capogiri
Ritenz.idrica/aum. Peso
Nervosismo
Xerostomia
Altro:dist.vista,dist.attenz.
38% (14pz)
14% (5pz)
6% (2pz)
3% (1pz)
6% (2pz)
6% (2pz)
38%(10pz)
47%(12pz)
11% (3pz)
5%(1pz)
5% (1pz)
14% (4pz)
21% (5pz)
5% (1pz)
-
-
5%(1 pz)
5% (1pz)
-
43
46%(11pz)
24%(6pz)
6%(2pz)
12% (3pz)
-
-
6%(2pz)
40%(10pz)
20% (5pz)
20% (5pz)
-
-
-
ABSTRACT - RELAZIONI CA-1
Conclusioni
E’ importante riconoscere che la popolazione maggiormente
coinvolta da questa patologia è la fascia d’età superiore ai 60
anni per cui è ragionevole trattare i pz precocemente ed
aggressivamente per alleviare il dolore da HZ e nella speranza
di prevenire tale complicanza se la terapia è ben tollerata e
sicura.
L’età media del nostro campione rientrano nelle statistiche
generali secondo cui circa il 50% dei pazienti con 60 anni e
quasi il 75% di quelli con 70 anni con HZ svilupperanno la
NPH nell’arco di un mese o più dal rash cutaneo .
Per il dolore neuropatico persistente da più di un mese dopo
l’eruzione erpetica il trattamento con tale antiepilettico è risultato essere efficace perché in questo campione si evidenzia la
positiva riduzione dell’intensità dell’algia già entro il primo
mese con un trend in discesa che ha portato all’ulteriore decremento del VAS nel corso dei successivi controlli.
Infatti dopo il secondo mese di terapia si è attestato a valori di
2,8 che corrisponde alla metà rispetto quello iniziale con progressivo guadagno nei mesi seguenti .
L’effetto del Pregabalin si osserva anche nelle modificazioni
delle caratteristiche del dolore infatti c’è stata una riduzione
della sensazione urente in 10 pz su 18 e dell’allodinia in 9 su
18 pz , anche se i restanti riportano persistenza di tale segno
non più associato all’idea di dolore ma di “fastidio”.
Con riferimento alla disestesia: su 7 pz , 2 conservavano una
situazione pressocchè invariata, gli altri 5 riferivano prurito
moderato formicolio che da continuo diventa episodico.
L’analisi degli effetti indesiderati ha rilevato che:
• La “sonnolenza” è progressivamente diminuita dopo la
prima settimana sia in intensità che in frequenza, fino al
quinto mese in cui è riferita da un solo pz e d’intensità
moderata;
• I “capogiri/sbandamenti” registrati anche se sono man
mano incrementati con l’aumento del dosaggio, si sono
mantenuti di lieve intensità ;
• La “sensazione di ritenzione idrica e/o aumento di peso”
si presenta in modo più rilevante nel tempo mantenendosi pur tuttavia sempre con un grado 1 cioè inferiore al
5% del peso del paziente, perciò accettabile.
• La frequenza della modalità “nessun effetto collaterale”
si è ridotta nel tempo, di pari passo si è notato l’incremento degli altri sintomi che comunque sono stati di
grado 1 (lieve)
In conclusione con riferimento alla nostra esperienza, seppur
limitata, possiamo affermare che nei pz trattati con pregabalin
si è avuta una risposta significativa in termini di pain relief con
effettiva riduzione del VAS (> 50 %) ed una limitata comparsa di effetti indesiderati.
Bibliografia
1. Dworkin RH,Corbin AE, Young JP Ir, Sharma U , LaMoreaux
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the treatment of postherpetic nevralgia : a ramdomized , placebo-controlled trials.” Neurology 2003;60 1274-1283
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Antidepressants and anticonvulsants for postherpetic neuralgia “Aquantitative systematic review”JPain symptom
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3. Kishore-Kumar R, Max MB , Schafer SC ,Gsughan AM ,
Smoller B (1990) : Desipramine relieves posterpetic neuralgia. Clin Pharmacol Ther 47 : 305-312
4. Eisenberg E, Kleiser A., Dortort A. ,Haim T, Yaritsky D: The
NMDA receptor antagonist memantine in the treatment of
postherpetic neuralgia: Adouble-blind,placebo-controlled
study. EUR J Pain 2: 321-327
5. Sindrup SH, Jensen TS (1999) Efficacy of pharmacological
treatment of neuropathic pain :An update and effect related
to mechanism of drug action. Pain 83 :389-400
44
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
The involvement of spinal cord mechanisms in muscle pain
Referral of muscle pain
Muscle pain – particularly that originating in MTrPs - has a tendency to be referred, i.e. the pain is felt at sites remote from
the lesion. One possible mechanism explaining the referral of
muscle pain is an expansion of the spinal neuronal population
that is excited by input from the nociceptors of the lesioned
muscle. The expansion is due to an opening of silent (or ineffective) synapses by the nociceptive input from muscle. The
opening of preformed but ineffective synapses reflects central
sensitisation, i.e the dorsal horn neurones have become overexcitable by the input from the muscle nociceptors. When the
expansion of the excitation reaches neurones that supply areas
other than the painful muscle, subjective pain is felt in those
areas. Among the substances that cause such an expansion of
muscle-induced excitation are SP acting on NK-1 and glutamate acting on NMDA receptors.
MUSCLE PAIN MECHANISMS - NOVEL ASPECTS
S. Mense
Department of Anatomy and Cell Biology III, University of
Heidelberg, D-69120 Heidelberg, Germany
Peripheral Mechanisms: the origin of local muscle pain
Nociceptive nerve endings in muscle express a multitude of
receptor molecules for algesic agents. Among them are receptors for well-known algesic agents such as bradykinin, serotonin, and prostaglandins that can excite or sensitise the nerve
endings. Particularly interesting is the purinergic P2X3 receptor that binds ATP. ATP is considered a general signal for pain,
because all cells contain ATP and release it when they are
damaged. Other receptors are the acid-sensing ion channels
(ASICs) which open at various degrees of tissue acidity, and
the vanilloid receptor TRPV1, which is sensitive to protons
and heat. In muscle disorders which are associated with a drop
in pH (ischaemia, inflammation) the protons sensitise the nociceptors so that the body temperature may activate the receptor
and cause pain.
NGF as a hyperalgesic agent
When injected i.m. in healthy subjects, nerve growth factor
(NGF) does not elicit immediate pain, but one day later the
injected muscle is allodynic and hyperalgesic. A puzzling finding in this context is that rat nociceptors are strongly excited
by NGF. A possible explanation for the lack of pain upon i.m.
injection of NGF in spite of the excitation of nociceptors is that
the growth factor induces mainly subthreshold excitatory
postsynaptic potentials (EPSPs) in dorsal horn neurones which
are not transmitted to higher centres. Thus, relatively strong
excitations of muscle nociceptors can occur without eliciting
subjective pain. However, these subthreshold potentials may
induce hyperalgesia. Possibly, also during normal life nociceptive input from muscle to the spinal cord is present which
is not felt as pain but can induce sensitization of dorsal horn
neurones. Under unfavourable circumstances, this central sensitization can lead to muscle pain or hyperalgesia later.
Myofascial trigger points (MTrPs) have been shown to contain
segmentally contracted muscle fibers, i.e. only the central part
of the fibers is contracted. Such a “contraction” is a contracture in the physiological sense, namely an activation of the actin
and myosin filaments without electrical activity of the muscle
cell. The contracted part (the contraction knot) compresses
blood vessels and thus causes ischaemia which releases bradykinin and other sensitising substances. The tenderness of a
MTrP is assumed to be due to this ischaemia-induced sensitisation of nociceptors close to the trigger point.
45
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
FIBROMIALGIA E COMORBIDITÀ
da sensibilità chimica (“Multiple chemical sensitività disorders”): l’ipotesi patogenetica più accreditata si basa sull’osservazione dell’insorgenza di un quadro caratterizzato da cefalea, affaticamento e dolori muscolari; essa sostiene che alcuni
soggetti, esposti cronicamente ad agenti comunemente presenti nell’ambiente, sviluppino una sindrome da intolleranza.
Una variante studiata con attenzione da alcuni Autori è la
“Sick building syndrome (SBS)” , un’entità clinica caratterizzata da secchezza delle mucose, cefalea e astenia, correlata con
le contaminazioni fungine presenti nei luoghi di lavoro con
impianti di condizionamento attivi per molte ore durante la
giornata.
Sindrome della guerra del Golfo (Gulf War syndrome)
Uno studio condotto nel 1997 ha messo in evidenza che circa
3700 dei 670000 soldati impegnati nelle operazioni militari
durante la guerra del Golfo nel 1991 hanno sviluppato una
sindrome post-traumatica: i sintomi più frequentemente
lamentati sono sovrapponibili ad un quadro fibromialgico,
insieme a bronchite, asma, sindromi ansioso-depressive e
deterioramento cognitivo. In molti casi è stata riconosciuta
una relazione con l’esposizione ad agenti chimici utilizzati
durante la guerra, ma non è ancora chiaro con quale meccanismo si sviluppi la sintomatologia.
Sindrome da impianto di protesi mammaria al silicone
(Siliconosis)
In letteratura è riportata la descrizione dell’insorgenza di una
sindrome simil-fibromialgica in pazienti sottoposte ad impianto di protesi al silicone nelle ghiandole mammarie, caratterizzata da astenia, dolori muscolari diffusi, calo della memoria e
deterioramento cognitivo senza anomalie all’esame obiettivo
neurologico. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia
risultava quindi completamente soggettiva, senza riscontro clinico né strumentale.
P. Sarzi-Puttini, F. Atzeni
Unità Operativa di Reumatologia
Azienda Ospedaliera Polo Universitario L Sacco, Milano
.
La sindrome fibromialgica (FM) è oggetto di interesse da parte
di molte discipline mediche. Accanto a tale patologia sono
state riconosciute alcune sindromi ad estrinsecazione clinica
molto simile. In questo ambito la consultazione della letteratura pone di fronte a numerose interpretazioni diagnostiche e
patogenetiche. In sintesi è possibile tentare di raggruppare le
ipotesi formulate da diversi Autori in cinque gruppi: le sindromi similfibromialgiche a verosimile patogenesi infettiva, a
verosimile patogenesi neuro-endocrinologica, a verosimile
patogenesi chimico-ambientale, a verosimile patogenesi psichiatrica o a verosimile patogenesi muscolo-scheletrica
Sindromi simil-fibromialgiche a verosimile patogenesi infettiva
Sindrome da affaticamento cronico (Chronic fatigue syndrome,CFS)
L’astenia è un sintomo di frequentissimo riscontro nella pratica medica e può associarsi a numerose patologie organiche e
funzionali . Quando l’affaticabilità perdura per oltre 6 mesi e
non sembra essere correlata a malattia
sottostante individuabile si parla comunemente di sindrome
da affaticamento cronico (SFC). Molti dei criteri diagnostici per
la SFC sono simili a quelli che permettono di diagnosticare la
FM, soprattutto per quanto riguarda l’affaticabilità, le mialgie,
la debolezza muscolare ed i disturbi del sonno.
Sindromi simil-fibromialgiche a verosimile patogenesi neuroendocrinologica
Sindrome delle gambe senza riposo (Restless legs syndrome)Altrettanto affascinante è l’ipotesi che, nella patogenesi
di alcune sindromi simil-fibromialgiche, intervengano alterazioni di tipo neuro-endocrinologico: una riduzione di attività
della dopamina a livello del sistema nervoso centrale sembra
spiegare una sintomatologia riferita dai pazienti che soffrono
della sindrome delle gambe senza riposo (Restless Legs
Syndrome): torpore, talvolta doloroso localizzato soprattutto
agli arti inferiori, coincidente con l’assunzione della posizione
seduta o supina. Un meccanismo analogo potrebbe rivelarsi
responsabile dei disturbi periodici degli arti (DPMA), che spesso si associano alla RLS e che consistono in contrazioni
muscolari e movimenti improvvisi durante il sonno non-REM.
Disturbi periodici dei movimenti degli arti
I disturbi periodici dei movimenti degli arti (DPMA) sono
caratterizzati da movimenti improvvisi durante il sonno nonREM (dorsiflessione della caviglia e delle dita del piede, con o
senza flessione del ginocchio e dell’anca sul tronco) attuati dal
paziente in modo ripetitivo, breve e stereotipato. Le contrazioni muscolari durano per alcuni secondi: si manifestano
costantemente ogni 20-40 secondi per una durata totale degli
episodi da alcuni minuti ad alcune ore. Una volta definiti
come mioclono notturno, i DPMA spesso si associano alla sindrome delle gambe senza riposo.
Sindrome da ipereccitabilità neuromuscolare
Definita anche tetania normocalcemica o spasmofilia dagli
Autori francesi è caratterizzata da una sintomatologia polimorfa che comprende disturbi sensoriali, motori, psicologici e
viscerali.
Sindromi simil-fibromialgiche a verosimile patogenesi psichiatrica
Reumatismo psicogeno
Il reumatismo psicogeno viene spesso confuso con la FM,
anche se il primo rappresenta una entità nosologica differente
. L’atteggiamento del paziente affetto da reumatismo psicogeno è in genere apprensivo, diffidente, angosciato; il racconto
anamnestico è prolisso ed estremamente particolareggiato,
riferendosi ad una sequela di disturbi multipli e vaghi. L’esame
clinico evidenzia un dolore intenso alla nomale palpazione
dei diversi distretti mioarticolari, ed è spesso reso difficoltoso
dalla drammatizzazione di ogni manovra semeiologica (fenomeno del “touch me not”). Non sono riscontrabili i tender
points caratteristici della FM e, solitamente, all’imponente sintomatologia riferita non corrisponde alcun riscontro obiettivo.
La sintomatologia algica, che nella FM viene modulata da fattori esterni (caldo, freddo, umidità, riposo, esercizio) nel reumatismo psicogeno è influenzata piuttosto dalle condizioni
emotive del paziente (eccitazione, tono dell’umore ecc.).
Disturbi Somatoformi
“La caratteristica comune dei Disturbi Somatoformi è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione
medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non
sono invece giustificati da una condizione
medica generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un
altro disturbo mentale” [DSM IV].
Sindromi similfibromialgiche a verosimile patogenesi muscoloscheletrica
Sindrome da stiramenti ripetuti (ripetitive strain syndrome)
Una sindrome epidemica caratterizzata da dolore, spontaneo
ed evocabile alla palpazione, a livello delle estremità superiori, è stata descritta in Australia tra i lavoratori la cui attività professionale si basa sull’uso ripetitivo delle estremità superiori.
Questa sindrome, indicata con l’acronimo SSR (repetitive
Sindromi simil-fibromialgiche a verosimile patogenesi chimico-ambientale
Sindrome da sensibilità chimica multipla (Multiple chemicalsensitivity syndrome, MCS)
Le sindromi simil-fibromialgiche ancora considerate entità
nosologiche controverse sono conosciute come sindromi
46
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
strain syndrome), è simile alla FM regionale, ma sembra essere complicata da fattori emotivi, sociali e medico-legali (in
relazione alle indennità), caratterizzata da un’esagerata sintomatologia dolorosa cronica e da una importante disabilità.
Spesso la dolorabilità dei tessuti molli è diffusa e comprende
anche una dolorabilità tendinea. Questi pazienti presentano
molte caratteristiche cliniche comuni alla fibromialgia, compreso il riscontro di numerosi tender points (talvolta generalizzati), di una sindrome da colon irritabile, di cefalea, di disturbi del sonno, di parestesie.
rea, più o meno ampia, distante dalla zona stimolata (Target
Area). I punti dolenti della sindrome miofasciale hanno caratteristiche in parte differenti dai TPs della FM e sono stati definiti da Travell Trigger points (punti grilletto). Il trigger point
(TRP) è un focolaio di irritabilità eccessiva del muscolo, situato all’interno di un fascio di fibre muscolari contratte (bendelletta palpabile) identificabile con la palpazione accurata del
ventre muscolare.
Sindrome da disfunzione temporomandibolare
Sindromi dolorose dell’apparato muscolo-scheletrico facciale
di causa sconosciuta vengono riportate con vari nomi.
Attualmente il termine di sindrome da disfunzione temporomandibolare
(SDTM),
adottato
dall’Associazione
Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP), è quello maggiormente utilizzato. La prevalenza stimata nella popolazione
generale di SDTM va dal 6 al 12%, con un prevalenza del
sesso femminile (2:1). I pazienti con SDTM riferiscono quasi
sempre il dolore come disturbo principale. La precisa determinazione della sede del dolore è molto importante in termini diagnostico-terapeutici. I pazienti localizzano il dolore a
uno o più muscoli della masticazione; il muscolo massetere è
il muscolo singolarmente più interessato.
Sindrome da ipermobilità
Pazienti che giungono dallo specialista reumatologo con una
storia iniziata tempo addietro di dolore diffuso post-traumatico e non, con personalità dai tratti ansiosi ed esami di routine,
reumatologici e strumentali nella norma, possono essere erroneamente classificati come fibromialgici; dal 1967 viene considerata come patologia distinta la sindrome da ipermobilità,
caratterizzata da un difetto, probabilmente ereditario, del collagene di tipo I: i reperti obiettivi non sono caratteristici come
nella sindrome di Marfan o di Ehlers-Danlos, ma è possibile
osservare una iperlassità legamentosa e facilità alle ecchimosi.
Sindromi dolorose miofasciali
La presenza di punti dolenti localizzati è una caratteristica,
oltre che della FM, delle cosiddette sindromi dolorose miofasciali. La differenziazione tra queste due condizioni non è
semplice ed ulteriore confusione viene creata dal fatto che, da
alcuni Autori, la sindrome miofasciale viene definita fibromialgia localizzata. Nella sindrome miofasciale la palpazione
di una zona circoscritta della muscolatura scheletrica determina l’insorgenza di una sintomatologia algica a carico di un’a-
Conclusioni
Numerosi sintomi clinici e/o sindromi dolorose associate sono
descritte nei pazienti affetti da FM. La presenza di tali sintomi
sembrerebbe derivare da molteplici cause ma la cronicizzazione dei sintomi sembrerebbe essere correlata a meccanismi
patogenetici simili.
PHARMACOLOGICAL TREATMENTS
stetici locali. E’ sulla somministrazione topica che vi sono
stati, nel recente passato, entusiasmi per quanto riguarda il
botulino, ma, per certi aspetti, anch’esso risulta ridimensionato in certa letteratura.
Non sembra esservi evidenza della superiorità di uno specifico agente sugli altri, ragione per la quale spesso si assiste ad
un percorso terapeutico con “successive approssimazioni” al
risultato terapeutico, sotto la guida del pragmatismo clinico.
Non mancano tuttavia nuove indicazioni in letteratura, come
l’uso del tropisetron, un antagonista dei recettori 5HT3 , usato
F. Ambrosio
Dipartimento di Farmacologia e Anestesiologia – Università di
Padova
La letteratura sulla terapia farmacologica del dolore muscolare
è di varia importanza e di difficile confronto, stante la eterogeneità delle condizioni cliniche e la mancanza di criteri diagnostici e di classificazione precisi. Spesso manca la descrizione degli endpoints ricercati né vi è omogeneità nelle
misure di outcome, la stessa variabile tipologia clinica di dolore, acuto o cronico, non contribuisce a render più facile la
ricerca.
Si trovano trial clinici che riportano risultati ottenuti con
FANS, rilassanti muscolari, antidepressivi tricilici, benzodiazepine, analgesici narcotici, per quanto riguarda la somministrazione sistemica, mentre per quanto riguarda la somministrazione topica abbiamo dati sui FANS e, ovviamente, sugli ane-
sia per via generale nella dolore da fibromialgia, sia in via
locale infiltrativa nelle sindromi miofasciali, o come l’inibitore della fosfodiesterasi III , cilostazolo, per il dolore muscolare relativo a problematiche vascolari.
Un quadro che si rivela, quindi, in movimento con la ricerca
continua di nuove possibilità terapeutiche da fornire ai pazienti, con l’indicazione ai curanti di porre, anche in questo come
in ogni campo medico, la diagnosi più corretta prima di iniziare una terapia.
PSYCHOPHYSICAL, DIETARY AND SUPPLEMENTATION
INTERVENTIONS
due tipi di trattamento: il primo che utilizza una terapia di
gruppo intensiva, di 3 settimane, combinando tecniche psicologiche di natura cognitivo-comportamentale, e di rilassamento, tecniche fisiche di riabilitazione funzionale e di allenamento aerobico integrate con programmi sia comuni al gruppo che individualizzati. Poiché questo tipo di approccio presuppone un coinvolgimento attivo molto intenso adatto solo a
pazienti selezionati, è stata messa a punto anche una terapia “alimentare” che si avvale di alcune sostanze quali gli
acidi grassi omega 3 che, da dati sporadici della letteratura,
sembra esercitino una blanda azione antinfiammatoria e antidolorifica. I risultati dei due protocolli sperimentali sono
molto promettenti e verranno discussi soprattutto in relazione
alla durata degli effetti nel tempo.
G. Carli
Dipartimento di Fisiologia-Università di Siena
In questa relazione verranno discussi due approcci non farmacologici al trattamento del dolore cronico muscoloscheletrico diffuso sperimentato da un ampio gruppo interdisciplinare
di terapisti. I presupposti partono dal concetto che, quando
non si conosce la etiopatogenesi di una sindrome e i farmaci
tradizionali non hanno effetti terapetutici, è lecito tentare trattamenti sintomatici sia specifici che aspecifici che potrebbero
migliorare le condizioni di vita del paziente. Verranno riferiti
47
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
TRIGGER POINTS TREATMENTS
IL PUNTO TRIGGER: SEMEIOTICA E TRATTAMENTO
INFILTRATIVO
l’iniezione con ago “a secco” o con ago per agopuntura. Sono
state descritte altre sostanze utilizzabili per l’iniezione del PT
(anti-infiammatori, steroidi, miorilassanti, tossina botulinica).
L’iniezione deve essere eseguita con ago di medio calibro (2122 G) e di adeguata lunghezza, in base alla profondità da raggiungere. La quantità di liquido da iniettare può variare da 2 a
5 cc per gruppo muscolare ed è dipendente dal numero dei PT
(in casi più complessi si può arrivare a 10cc). La presenza della
twich-response (contrazione spontanea di qualche frazione di
secondo nella sede iniettiva) è segno di una buona localizzazione del PT. Quando non sia individuabile il PT o quando
non sia possibile raggiungerlo con certezza, l’infiltrazione
andrà fatta “a ventaglio”. E’ buona abitudine tenere due dita
prossimalmente una e distalmente l’altra al punto di iniezione,
con l’esercizio di una leggera pressione; ciò facilita la percezione di labili TR e il “fissaggio” del cordone muscolare, spesso mobile al momento dell’infiltrazione (è bene mantenere il
muscolo in allungamento). Il sanguinamento andrebbe sempre
ridotto al minimo perché irritante; va mantenuta la pressione
della cute durante l’infiltrazione, con le dita che esercitano
una pressione attorno alla punta dell’ago per un’emostasi dei
tessuti più profondi, durante la procedura infiltrativa e la retrazione dell’ago. I PT vanno tutti infiltrati; l’area trattata andrebbe infine bersagliata “a ventaglio” o in modo circolare; per
questo, dopo ogni movimento di “sonda”, l’ago va ritirato fino
ai tessuti sottocutanei e ridirezionato, per evitare il danno
muscolare. Se l’introduzione è efficace, la maggior parte dei
sintomi dovrebbe scomparire. L’insuccesso nell’iniezione può
essere dovuto a iniezione di un PT latente o di un’area di dolore proiettato, “salto” del PT, utilizzo di aghi troppo sottili o di
soluzione con eccipienti troppo allergenici o irritanti, inadeguata emostasi, non trattamento di altri PT attivi, mancato
recupero della ampiezza del movimento e non adeguato esercizio domiciliare di allungamento passivo.
G. Cassisi
Ambulatorio di Reumatologia USL1 Belluno
AIRAS – Associazione Italiana per la Ricerca e
l’Aggiornamento Scientifico PADOVA
Il punto trigger (PT) è la sede di origine del dolore miofasciale. Il PT è una zona ipereccitabile localizzabile nel tessuto
muscolare e nella sua fascia, alla giunzione muscolo tendinea,
al bordo libero o anche al ventre muscolare. Può essere presente nel muscolo patologico (primario), nei muscoli sinergici
o antagonisti (secondario), nell’area di dolore riferito (satellite); può anche essere latente se clinicamente silente, ma sempre attivabile. Viene solitamente localizzato con la palpazione
in una bandelletta contratta, costituita da un cordone di fibre
muscolari tese tra le fibre normalmente rilassate ed in essa corrisponde alla zona di massima dolenzia. I muscoli sani non
hanno PT, né bandellette contratte. La palpazione può essere
eseguita “a piatto” con i polpastrelli delle dita, cercando di far
scorrere la pelle del paziente sopra le fibre muscolari o “a pizzico” prendendo tra il pollice e le altre dita il ventre muscolare (come ad es. per lo sternocleidomastoideo, il gran dorsale e
il gran pettorale). Qualunque struttura “a cordone” è percepita nel momento in cui viene fatta “rotolare” sotto il dito, dando
la sensazione di un cordoncino di circa 1-4 mm. di diametro.
La metodica di infiltrazione della benderella contratta e del
punto trigger, descritta e perfezionata da Janett Travell e David
Simons, ha come obbiettivo di inattivare il PT tramite un’iniezione di anestetico con o senza fisiologica o di sola fisiologica, direttamente sul PT e inducendo un blocco dei meccanismi di feed-back che mantengono la contrattura. E’ possibile
LA TECNICA DELLO SPRAY AND STRETCH NEL
TRATTAMENTO DELLE SINDROMI MIOFASCIALI
membrana plastica; questa constatazione ha portato Travel e
Simons, nell’edizione del 1992 del loro trattato sul dolore
muscolare, a sostituire il termine di “spruzzo ed allungamento” con quello di “freddo intermittente con allungamento”.
Indipendentemente dal tipo di sostanza che si utilizza a scopo
refrigerante il raffreddamento deve sempre precedere l’allungamento passivo; un getto di spray refrigerante è applicato con
passate parallele, in una sola direzione, prima sull’intera lunghezza del muscolo e poi lungo l’area di distribuzione topografica del dolore proiettato. Per effettuare l’allungamento passivo del muscolo è necessario che il paziente sia posizionato
in modo confortevole e che uno dei due capi muscolari sia fissato; solitamente il peso corporeo serve come ancoraggio, ma,
in alcuni casi, il paziente deve stabilizzare un’estremità del
muscolo “ancorandosi” a qualche cosa di solido, ad esempio
al sedile della sedia quando viene stirato lo scaleno o il trapezio superiore. L’operatore applica quindi una forza costante in
modo da stirare il muscolo in modo lento, fino a raggiungere
il punto di disagio tollerabile; i passaggi di allungamento e
spray possono essere ripetuti più volte, fino al recupero della
lunghezza muscolare completa. La fase successiva consiste
nell’applicazione immediata di un impacco caldo-umido che
aiuta a rilassare il muscolo ed evita fenomeni ci contratture
riflesse. Una volta riscaldata la cute, se necessario, l’allungamento e lo spray di quel muscolo possono essere ripetuti.
Parecchi cicli di movimento attivo per tutta l’estensione possibile del muscolo che è stato allungato completano la sessione
di trattamento.
M. Cazzola*, T. Nava**
*Dirigente Medico di I° livello. Unità Operativa di Medicina
Riabilitativa. Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo” di
Busto Arsizio – Presidio di Saronno (VA).
**Dr.ssa in fisioterapia-referente nazionale della riabilitazione delle malattie reumatiche
L’utilizzo di sostanze refrigeranti nel trattamento del dolore
muscolo-scheletrico risale al 1952, quando Hans Kraus
descrisse come fosse possibile ridurre il dolore muscolare
spruzzando cloruro d’etile sulla cute (spray). Con questa metodica, come per qualsiasi altra procedura che si può utilizzare
per inattivare un trigger point miofasciale (TRp), il risultato
migliore si ottiene allungando passivamente il muscolo
(stretch). La prima sostanza utilizzata a scopo refrigerante è
stata il cloruro d’etile, che tuttavia presenta numerosi limiti: ha
un’azione refrigerante eccessiva, quando viene a contatto con
l’aria è infiammabile e potenzialmente esplosivo e, se inalato,
agisce come rapido anestetico generale. Negli anni 70 sono
stati utilizzati spray a base di fluorimetano, una miscela di clorofluorocarburi attualmente abbandonata per gli effetti negativi di queste sostanze sullo strato di ozono. Gli effetti sensitivi
e riflessi determinati dagli spray refrigeranti, in realtà, possono
essere ottenuti con altri metodi quali, ad esempio, il raffreddamento cutaneo tramite cubetti di ghiaccio rivestiti da una
48
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
AGOPUNTURA ED
ELETTROAGOPUNTURA
fetto positivo è indipendente da ciò che si inietta e che un
uguale attività terapeutica si ottiene con l’ago a secco.
L’iniezione di soluzione salina o di un qualsiasi farmaco viene
quindi ad essere considerata alla stregua dell’ago a secco.
Probabilmente l’unico farmaco che si distingue da queste considerazioni è la tossina botulinica.
L’efficacia dell’agopuntura nel trattamento dei trigger points
viene continuamente rafforzata da osservazioni cliniche e da
review sistematiche. Già nel 1997 la consensus conference
sull’agopuntura, tenuta al National Institute of Health, ha individuato nel dolore miofasciale una importante indicazione di
questa tecnica. Attualmente sono disponibile nelle banche
dati internazionali circa 20 review sistematiche su questo
tema, la maggioranza delle quali registra l’efficacia dell’agopuntura. Possono esserci delle differenze di risultato dovute a
differenze nel modo di eseguire l’agopuntura, ma si assiste ad
un trend sicuramente positivo utilizzando una tecnica di infissione profonda, nei trigger muscolari, con stimolazione algica
dell’ago e con stimolazione omo-metamerica anche periferica.
F. Ceccherelli *, M. Rossato **
*Dipartimento di Farmacologia ed Anestesiologia, Università
di Padova, A.I.R.A.S.- Padova, Osservatorio per le Medicine
non Convenzionali-Regione Veneto
** Presidente CIES ITALIA, Poliambulatorio MED – Padova
La terapia mediante ago a secco del dolore muscolare ha evidenziato sempre più la sua efficacia. Le prime osservazioni
vennero pubblicate negli ultimi anni settanta da parte di Lewit
che descrisse per primo il cosiddetto “effetto ago”.
Nel 1980 Gunn e coll. Hanno coniato il termine “dry needling” ovverro il cosiddetto ago a secco che deve essere infisso
nel punto trigger o secondo alcuni Autori, nella cute e sottocute sopra il muscolo in cui sia iscritto il trigger point.
In una recente review sistematica di Cummings e White
(2001), in cui sono stati analizzati tutte le modalità iniettive
dei trigger points, gli autori arrivano alla conclusione che l’ef-
IL MASSAGGIO CONNETTIVALE RIFLESSOGENO (MCR):
INDICAZIONI E TECNICA IN TERAPIA DEL DOLORE
formare con gli stessi una specie di “spazzola”.
La caratteristica principale di questa tecnica, è che si tratta di
una stimolazione di tipo tattile ad alta frequenza (movimenti
veloci, ritmici) e bassa intensità (lo sfioramento è veramente
lievissimo). Essa attiva fibre mielinizzate di vario calibro legate funzionalmente ai recettori per la pressione e lo stiramento
sia a livello dell’epidermide(corpuscoli di Meissner) che dell’ipoderma(corpuscoli di Pacini) . Per quanto riguarda il dolore uno dei possibili meccanismi messi in gioco è il cosiddetto
controllo midollare delle informazioni nocicettive da parte di
stimoli tattici non nocicettivi (teoria del cancello midollare o
gate theory).In altre parole uno stimolo non nocicettivo se
ripetuto con sufficiente frequenza è in grado di ridurre il dolore.
Tecnica profonda
La manovra caratteristica della tecnica profonda è lo stiramento terapeutico, che viene effettuato usando il dito medio e che
si definisce tratto quando viene eseguito prolungando lo stiramento stesso lungo un percorso (ben definito) più lungo e
agganciamento quando viene eseguito sul punto di applicazione del dito. Sia l’agganciamento che il tratto devono evocare nel paziente la caratteristica sensazione di taglio, acuta, a
volte fastidiosa, ma sopportabile. Queste manovre daranno
come esito visibile quasi immediato un dermografismo più o
meno marcato (triplice reazione del Lewis). La tecnica profonda, con la sua caratteristica sensazione di taglio rientra nelle
tecniche di controirritazione in grado di attivare sistemi
discendenti di controllo sul dolore stesso (DNIC).
Accanto a gate e sistemi DINC è riconosciuta al MCR anche
una potente azione di attivazione del neurovegetativo
T. Dal Cin1, B. Sommovigo1, R. Casale2
1 Scuola Europea di Massaggio Connettivale Riflessogeno
(MCR) – Sezione Italiana
2 Div. Riabilitazione Neuromotoria & Servizio Neurofisiopatologia,
U.O. di Riabilitazione del Dolore, Istituto Scientifico di
Montescano, Fondazione “S.Maugeri” IRCCS, Pavia, 27040
Montescano, Italia
Il massaggio è uno degli strumenti terapeutici più antichi usato
dall’uomo. Conosciuto già in età romana era considerato alla
stregua di un “lavaggio “ dei tessuti in quanto si riteneva favorisse in qualche modo l’eliminazione degli “umori nocivi”.
Tale nozione riduttiva stenta ad essere abbandonata così
come stenta ad essere accettata la nozione che lo stimolo
meccanico indotto dal massaggio possa avere solidi meccanismi neurofisiologici in grado di giustificarne l’efficacia.
La tecnica del Massaggio Connettivale Riflessogeno (MCR)
consta di una parte ispettiva, visiva e palpatoria che porta alla
compilazione della così detta carta del dorso, e di una parte di
trattamento. Esse servono ad identificare aree o zone codificate del dorso. I risultati dell’ispezione visiva (e palpatoria poi)
verranno utilizzate dal terapista per l’impostazione del trattamento e per la scelta della tecnica da applicare al paziente.
Le aree o zone del dorso a tutt’oggi codificate sono 14 e sono
denominate in base a riferimenti anatomici. Esse sono osservabili in presenza di patologie internistiche e/o algiche. Le
tecniche proprie del MCR sono due:
Tecnica superficiale
Consiste in lievi, ritmici e rapidi sfioramenti della cute in zone
del tronco o degli arti ben identificate e codificate,eseguiti
unendo i polpastrelli delle dita (pollice escluso),cercando di
Oltre a questi specifici meccanismi sul dolore il MCR riconosce anche una azione diretta, a livello locale, con coinvolgimento dei tessuti (cute,connettivo e muscoli) sottoposti all’azione meccanica del massaggio. Questa azione è comune a
tutti i tipi di massaggio ed è di tipo meccanico.
49
ABSTRACT - RELAZIONI CA-2
IL RUOLO DELLA POSTUROLOGIA MODERNA NELLA
TERAPIA DEL DOLORE: I FONDAMENTI NEUROFISIOLOGICI E SPERIMENTALI
I 2 occhi formano in realtà un solo organo. Un occhio non
può fare alcun movimento che non si possa ritrovare identico
nell’occhio opposto. I movimenti sono dunque sempre bioculari.
Ciò che è importante è che la mobilità dell’occhio in tutti i
sensi avviene attraverso una rotazione. Il ruolo dei movimenti
di fusione è di modificare la posizione rispettiva degli occhi
affinché le immagini si creino di nuovo su paia di punti corrispondenti retinici.
Il difetto di convergenza è così il principale difetto posturale.
Il recettore podalico dei bipedi è sia adattativo che causativo
del sistema muscolo tendineo ed articolare. Infatti nel bipede
le informazioni propiocettive del contatto gravitario partono
dal piede.
E’ così possibile apportare delle correzioni attraverso la ginnastica ortottica e l’uso di solette polarizzate che modifichino
tutto il sistema posturale attraverso riflessi integrati nel sistema
nervoso centrale che, una volta ingrammati, possono portare
alla prevenzione della patologia e/o alla guarigione del
paziente.
M. Rossato*, F. Ceccherelli **
* Presidente CIES ITALIA, Poliambulatorio MED – Padova,
[email protected]
**Dipartimento di Farmacologia ed Anestesiologia Università
di Padova, AIRAS, Osservatorio per le Medicine non
Convenzionali, Regione Veneto, [email protected]
La “postura“ è intesa come la relazione spaziale tra segmenti
scheletrici il cui fine è il mantenimento dell’equilibrio anche
in condizioni di instabilità del soggetto o dell’ambiente circostante.
Quindi è fondamentale il ruolo preventivo della
Riprogrammazione Posturale Globale (RPG).
Il recettore podalico è, insieme all’occhio, il recettore fondamentale del sistema posturale.
Ciò che interessa più particolarmente è il meccanismo muscolare dei movimenti oculari.
50
ABSTRACT - RELAZIONI LP-1
IL TRATTAMENTO DELLA NEVRALGIA TRIGEMINALE:
QUALCOSA È CAMBIATO?
zioni e va aumentato fino a conseguimento dell’analgesia che
si ottiene con dosaggi variabili da 600 a 1200 mg/die. Altri farmaci utilizzati nel trattamento della nevralgia sono l’oxacarbazepina, il Gabapentin, il baclofene, il clonazepam e l’acido
valproico. L’indicazione al trattamento chirurgico della nevralgia trigeminale è il fallimento della terapia medica, legato ad
un’insufficiente risposta analgesica o agli effetti avversi dei farmaci. Un trattamento chirurgico ideale per la nevralgia del trigemino dovrebbe essere minimamente invasivo, ottenere un
immediato e duraturo sollievo dal dolore, senza complicanze
e con minimi effetti collaterali, non dare recidive, eliminando
la possibilità di ricorrere a trattamento medico. Attualmente,
nessuna di queste tecniche possiede tutti questi requisiti. Gli
studi sulle tecniche chirurgiche riportati in letteratura sono disomogenei in quanto nel metodo, nella valutazione dell’outcome e nel follow-up. La complicanza più frequente in tutte le
procedure è il deficit trigeminale, sia sensitivo che motorio,
che nella maggior parte dei casi è transitorio. Altre complicanze sono costituite da cheratite, perdita del riflesso corneale, disestesia e anestesia dolorosa, meningite, deficit di nervi
cranici (soprattutto IV e VI), lesioni vascolari con sviluppo di
emorragia cerebrale, o raramente fistole carotido-cavernose.
Le disestesie severe tale da interferire con la qualità della vita
o da richiedere trattamento medico specifico sono presenti in
tutte le tecniche, ma più frequentemente si manifestano con la
decompressione, la radiochirurgia stereotattica, e la rizolisi glicerolica rispetto alla termorizotomia. L’anestesia dolorosa è
più frequente con le tecniche percutanee.
S. Ischia, L. Gottin, G. Finco*, V. Schweiger, G. Perina
E. Pedrazzoli
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione-Centro di Terapia
del Dolore
Università degli Studi di Verona
Direttore: Prof. Stefano ISCHIA
*Cattedra di Anestesiologia-Policlinico Universitario
Monserrato
Università degli Studi di Cagliari
Direttore: Prof. Gabriele FINCO
Il dolore trigeminale è una patologia dolorosa parossistica di
difficile trattamento. Il quadro algico si localizza lungo il territorio delle tre branche del V° nervo cranico, colpendone
solitamente una o due omolateralmente. Caratteristica distintiva è inoltre la presenza di “trigger zones” a livello del viso, del
cavo orale o della lingua, la cui stimolazione meccanica determina lo scatenamento del dolore, e per l’assenza di una obiettività neurologica. Tali criteri sono decisivi per la diagnosi,
non essendoci dati di laboratorio o esami strumentali specifici
per questa patologia.
I trattamenti farmacologici storicamente impiegati per curare
la nevralgia trigeminale sono numerosi. Nel 1942 venne introdotta la fenitoina con la quale iniziò una nuova era nei trattamenti farmacologici per la nevralgia trigeminale. Negli stessi
anni vennero sperimentati altri farmaci, poi però abbandonati
poiché inefficaci o eccessivamente tossici. Introdotta nel 1962
da Blom come antinevralgico e anticonvulsivante, la carbamazepina è divenuto il farmaco di prima scelta nel trattamento di
prima linea della nevralgia trigeminale. Numerosi studi hanno
evidenziato un efficacia analgesica nel 50-70% dei pazienti
trattati. Il dosaggio iniziale è di 100 mg in due somministra-
Bibliografia
Sindrup SH, Jensen TS. Pharmacotherapy of trigeminal neuralgia. Clin J Pain. 2002 Jan-Feb;18(1):22-7.
Lopez BC, Hamlyn PJ, Zakrzewska JM. Systematic review of
ablative neurosurgical techniques for the treatment of trigeminal neuralgia. Neurosurgery 2004;54(4):973-82
51
ABSTRACT - RELAZIONI ME-1
ERRATO TRATTAMENTO DELLA CEFALEA E RICADUTE
CLINICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE. CASE REPORT E
CONSIDERAZIONI PER L’INTERRUZIONE DI UN LOOP AD
ALTO IMPATTO CLINICO E SOCIO-ECONOMICO.
vicale in 2 proiezioni (23/02/06): “riduzione della fisiologica
lordosi cervicale, manifestazioni uncospondiloartrosiche e
significativa E’ stato prescritto il seguente schema terapeutico:
Fluxarten 5 mg ore 21
Laroxyl 5 gtt ore 21
Sirdalud 1/2 cp bid
Rizatriptan RPD 10 mg s.l. al bisogno.
L’efficacia terapeutica è stata valutata mediante VAS con
cadenza mensile ed ancora in corso
Risultati.
La profilassi prescritta è stata assunta in maniera continuativa
anche in virtù di un vantaggioso profilo di tollerabilità. A quattro settimane la frequenza mensile delle crisi si è ridotta a tre,
con VAS 7 e responsività al rizatriptan assunto all’esordio
della crisi. Ad otto settimane di terapia la frequenza mensile è
stata di due crisi, VAS 5, responsive alla rescue dose.
Attualmente il paziente è drug free e riferisce una frequenza
media mensile di due crisi, responsive al rizatripan. La sua attività professionale e sociale sono definite, attualmente, come
“normali”
B. Cappa, E. Tasciotti, D. Camaioni, M. Evangelista
Università Cattolica del Sacro Cuore
Istituto di Anestesiologia, Rianimazione e Terapia del Dolore
Premessa. Quanto descritto in questo case report vuole costituire elemento di discussione per evidenziare quanto ancora
sia necessario fare in termini di formazione e divulgazione
appropriata nel capitolo delle cefalee
Descrizione del caso. Si presenta il caso di un uomo di 41
anni, affetto da cefalea (primo episodio 15 anni fa) peggiorata
negli ultimi 12 mesi per frequenza, intensità e refrattarietà alla
rescue dose precedentemente efficace e tale da compromettere in termini disabilitanti la professione del paziente. Le caratteristiche della cefalea descritta sono: frequenza: quotidiana
con localizzazione in emicranio destro a partenza dall’occipite, prodromi assenti ad eccezione di un riferito senso di “tensione” in zona cervico-nucale in corrispondenza dei muscoli
paravertebrali associata a dolenzia dei punti di emergenza del
nervo di Arnold, bilateralmente, durata ≥24H, intensità del
dolore, misurata secondo Visual Analogical Scale (VAS),10.
Durante la crisi coesistevano fono e fotofobia in misura tale da
costringere il paziente all’abbandono dell’attività in corso.
Come rescue dose per la crisi il paziente aveva assunto, dietro
prescrizione, paracetamolo 500 mg cpr effervescenti e, successivamente all’insoddisfacente pain relief, rizaliv rpd 10 mg.
In quest’ultimo caso il beneficio ottenuto non è stato definito
soddisfacente. Nessuna profilassi, nonostante l’epoca d’insorgenza e l’aumento della frequenza, e nessuna informazione
circa il timing di assunzione della rescue dose sono state fornite al paziente dai medici precedentemente consultati.
All’esame obiettivo algologico: algie alla digitopressione della
muscolatura paravertebrale cervicale con flesso-estensione e
lateralità conservate, dolorabilità alla digitopressione dei punti
di emergenza della prima branca del trigemino. Trigger point
nel ventre del muscolo trapezoidale di destra. APR: Sinusite
cronica in paziente che svolge lavoro in zona esposta a variazioni climatiche e meteorologiche. Allergia all’acidoacetilsalicilico. ITER DIAGNOSTICO-STRUMENTALE: Rx cranio e cer-
Commento.
Il caso presentato rappresenta un paradigma di errato trattamento di una sintomatologia cefalalgica sia per quanto relativo alle strategie più idonee, sia per quanto relativo all’informazione circa i tempi d’assunzione del farmaco sintomatico.
E’ infatti evidente come una strategia di trattamento sintomatico di una cefalea quotidiana esponesse il paziente ad un
abuso di farmaco e ad insuccesso terapeutico con notevoli
ripercussioni nella quotidianità della sfera professionale e di
quella sociale; è peraltro da segnalare l’assenza di informazione corretta circa la necessità di un precoce timing d’assunzione del farmaco al bisogno. Quanto sopra esposto, sebbene
riferito ad un singolo caso, rappresenta in maniera paradigmatica uno scenario di dolore cronico non oncologico, altamente disabilitante e con notevoli ripercussioni socio-economiche.
Le sequele correlate ad un sottodimensionamento e consequenziale sottotrattamento impongono un rinnovato impegno
da dedicare alla formazione del medico di base, primo ma
essenziale livello di consultazione, ed alla formazione del
paziente che spesso, in virtù di errate convinzioni e pregiudizi, pone in atto errati comportamenti alla base dell’insuccesso
terapeutico il più delle volte fattore determinante per la croni-
52
ABSTRACT - RELAZIONI LP-2
PREVENZIONE DI HERPES ZOSTER E SUE SEQUELE
Nella fascia di età compresa tra 20 e 50 anni la sua incidenza
rimane costante, attorno ai 2-3 casi/1000 persone/anno, nella
sesta decade il tasso è di 5/1000, nella settima ed ottava decade è di 6-7/1000 e nei soggetti con età superiore a 80 anni è
superiore all’1% annuo. I soggetti che vivranno per più di 85
anni avranno una probabilità del 50% di avere avuto almeno
un episodio di herpes zoster. Circa il 5% dei pazienti immunocompetenti può avere un secondo episodio e meno dell’1%
un terza recidiva.
Il dolore associato allo zoster è la manifestazione più importante della malattia e rappresenta oltre ? delle complicanze.
Lo zoster oftalmico si riscontra in circa il 6% dei pazienti, di
cui il 20% presentano complicanze oculari. L’80% delle complicanze si osserva in individui di età superiore a 50 anni. In
tabella vengono riportate le complicanze rilevate a seguito di
riattivazione di VZV
A. Volpi
Malattie Infettive
Università di Roma “Tor Vergata”
L’Herpes zoster è una condizione relativamente frequente dal
momento che colpisce tra due e cinque persone per 1000 abitanti per anno. Recenti studi riportano infatti una frequenza di
2.9/1000 in USA, 4/1000 in Italia, 4.6/1000 in Islanda, e
4.8/1000 in Francia.L’herpes zoster può colpire individui di
ogni età, ma la sua incidenza aumenta drammaticamente con
l’aumentare dell’età. E’ raro nell’infanzia e nell’adolescenza
(circa 0.75 casi per 1000 bambini con età inferiore a 10
anni/anno; 1-2 casi per 1000 persone all’età di 20 anni/anno.
Cutanee
Disseminazione cutanea
Superinfezione batterica
cicatrici
cellulite
zoster gangrenosum
setticemia
Viscerali
Neurologiche
Estensione nervosa dell’infezione da VZV
bronchite
esofagite
gastrite
colite
cistite
miostite
pericardite
pleurite
peritonite
Disseminazione viscerale di VZV
polmonite
epatite
miocardite
pericardite
artrite
La terapia antivirale, se iniziata precocemente (entro 24 ore e
comunque non oltre le 72 dall’esordio), può notevolmente
ridurre le complicanze e l’intensità e la durata del dolore sia
acuto sia cronico. I benefici sono particolarmente evidenti
negli individui di età superiore a 50 anni.
L’evidenza che contatti con bambini con varicella riduce la
probabilità di herpes zoster e che l’herpes zoster è associato al
calo dell’immunità cellulo-mediata nei confronti del virus
Varicella-zoster, ha indotto ad ipotizzare che un “booster” dell’immunità possa ridurre la probabilità di insorgenza della
neuralgia post-erpetica
meningite asettica
Meningo-encephalite
mielite trasversa
mielite ascendente
paralisi di nervi periferici
paralisi diaframmatica
paralisi dei nervi cranici
Perdita di sensibilità
Sordità
disfunzione vestibolare
complicazioni oculari
perdita di sensibilità corneale panoftalmite
cheratite
sclerite
uveite
corioretinite
iridociclite
ptosi
midriasi
glaucoma secondario
necrosi retinica acuta
necrosi progressiva della retina periferica
angite cerebrale granulomatosa
manifestazione clinica. Su questa base è stato condotto uno
studio randomizzato controllato con placebo su oltre 38.000
soggetti di età superiore a 60 anni per valutare efficacia e sicurezza della vaccinazione con virus varicella-zoster attenuato. I
risultati dopo 5 anni di follow-up sono stati ottimi, poiché la
vaccinazione ha ridotto del 51% i casi di zoster, del 61% il
dolore e del 66% il dolore cronico, suggerendo che, almeno
parzialmente è possibile prevenire l’evenienza della malattia e
delle sue complicanze.
53
ABSTRACT - RELAZIONI SS-1
GESTIONE DEL DOLORE CRONICO NON DA CANCRO
e flogistico di tipo autoimmunitario, si realizza un quadro clinico subito evidente fin dalle prime settimane. Il dolore anche
in questi casi rappresenta una delle caratteristiche cliniche
principali: di tipo infiammatorio, ed anch’esso ingravescente,
richiede spesso importanti misure terapeutiche per il suo controllo. Non solo, ma il processo infiammatorio sollecita e condiziona anche un concomitante meccanismo degenerativo
che conduce ad una OA secondaria, a sua volta responsabile
del sovrapporsi di un secondo quadro clinico e sintomatologico al primo.
Appare allora del tutto evidente che uno dei problemi clinici
di fondo negli schemi terapeutici che vengono disegnati per le
strategie di approccio a queste MR, è rappresentato dal dolore
e dal suo trattamento.
Le linee generali di indirizzo terapeutico, poste sulla base
della medicina basata sull’evidenza e in riferimento alle lineeguida internazionali, vedono gli analgesici impiegati per il
dolore meccanico e gli antinfiammatori indicati nelle condizioni di dolore flogistico, da soli o in associazione agli analgesici stessi.
Una volta sottolineata l’importanza che le molecole ad azione
analgesica siano prescritte laddove non sia presente una condizione flogistica – quindi nella quasi totalità dei casi di OA
ma anche nei pazienti con artriti inveterate in fase di flogosi
“spente” ma con OA secondaria dolorosa – alcune riflessioni
sono doverose nell’ambito della terapia analgesica, in senso
lato, in Reumatologia.
Sono numerose oggi le molecole ad azione analgesica a disposizione del terapeuta: paracetamolo, codeina, tramadolo,
oppiacei. In questo contesto si vuole sottolineare l’importanza
di due aspetti fondamentali del problema: in primo luogo la
sottovalutazione che, insieme a timori non giustificati, grava
sull’impiego degli oppiacei e, in secondo luogo, la semplicità
dell’utilizzo per via transdermica di queste molecole che si
accompagna ad comprovata sicurezza ed a soddisfacente tollerabilità: tali evidenze sono comprovate da studi retrospettivi,
da dati di farmacovigilanza e da studi controllati (BMJ 2001;
322:1154; JPSM 1997; 13(5):254; website dell’American Pain
Society: www.ampainsoc.org).
S. Coaccioli
Clinica Medica e Reumatologia, Università di Perugia
Azienda Ospedaliera “S.Maria” di Terni
Il dolore cronico generato da condizioni non neoplastiche rappresenta un problema clinico di assoluto spessore che coinvolge i pazienti, il sistema sanitario nel suo complesso ed i
care givers, in un piano multifattoriale di interventi diversificati.
In questo ambito le malattie reumatiche (MR) sono le condizioni cliniche maggiormente rappresentate. Le MR colpiscono
in modo preferenziale le articolazioni con meccanismi patologici degenerativi e infiammatori entrambi in grado di evolvere in modo ingravescente ed esitare in quadri di invalidità,
sono quindi infezioni croniche che, in considerazione di un
indice di morbosità superiore a 10, rappresentano uno dei problemi socio-sanitari più importanti del mondo sviluppato,
comportando una spesa economica di dimensioni enormi.
Sul piano clinico ed in modo affatto schematico l’interessamento articolare nelle MR si può suddividere in due grandi
gruppi di affezioni: le MR degenerative, rappresentate sostanzialmente dall’osteoartrosi (OA) e le MR infiammatorie che
comprendono le artriti, a loro volta suddivise nell’artrite reumatoide (AR) nelle spondiloartropatie (SAp) sieronegative. Per
brevità di testo, sono qui tralasciate sia la poliartropatia iperostosante e le artropatie da microcristalli sia le artriti in corso
di malattie del tessuto connettivo. L’OA si caratterizza per un
lungo periodo prodromico pre-clinico, durante il quale la progressiva condrolisi condiziona la distruzione del patrimonio
cartilagineo fino al momento nel quale la sintomatologia compare in modo evidente: il dolore di tipo meccanico si fa allora
manifesto e non abbandona il paziente se non si pongono in
atto misure terapeutiche, farmacologiche e non, in grado di
ridurre la sintomatologia dolorosa che appare, nel contempo,
sempre più ingravescente. Le artriti, al contrario, mostrano una
presentazione clinica del tutto diversa: dal momento che la
patogenesi è rappresentata da un meccanismo immunologico
54
ABSTRACT - RELAZIONI SS-1
GESTIONE DEL DOLORE POSTOPERATOIO
monitoraggio cui il paziente postoperato verrà sottoposto in
rapporto ai farmaci prescritti ed alle vie di somministrazione
prescelte.
Infine, ultimo ma non meno importante, è necessario prevedere la esecuzione di audit clinici periodici atti a valutare l’efficacia delle terapie gli effetti avversi e la soddisfazione dei
pazienti.
Il problema più importante da risolvere sembra per tutti proprio il controllo del paziente A questo proposito deve essere
ricordato che se si affida esclusivamente il controllo del dolore a medici, come negli USA si rischia un notevole incremento dei costi gestionali, e si riuscirà a monitorizzare questo sintomo solo ad una parte molto piccola dei pazienti.
L’istitutizione di un modelo low cost, riduce sicuramente la
necessità economica del servizio del servizio ma rende difficile l’iscrizione del controllo del dolore in un programma di
riabilitazione precoce del paziente.
Un modello più consono alla realtà italiana potrebbe essere
quello applicato ad esempio dal nostro gruppo presso
l’OSpedale di Parma : il dolore in termini di monitoraggio
viene demandato al personale infermieristico che ha la possibilità di coinvolgere costantemente del personale medico
dedicato in maniera direttamente proporzionale alla complessità del quadro clinico generale più che del dolore in particolare: un percorso siffatto permetterà di riscrivere il trattamento
del dolore all’interno di un programma di medicina perioperatoria unico sistema per provare una volta per tute come un
adeguato trattamento del dolore possa migliorare l’outcome.
M. Berti, R. Troglio, G. Maspero, M. Baciarello
Azienda Ospedaliero- Universitaria di Parma
Servizio di Anestesia Rianimazione e Terapia Antalgica
Dir Prof G Fanelli
Nonostante qualcosa sia stato fatto per promuovere un adeguato trattamento del dolore in generale e di quello postoperatorio in particolare, il dolore rimane sempre un problema
nell’ambito del sistema salute.
L’atavico disinteresse per questo sintomo da parte delle varie
figure professionali, la scarsa conoscenza delle problematiche
associate al dolore da parte dei pazienti, la ridotta disponibilità di risorse investite dalle istituzioni e per tutti la paura dei
possibili effetti avversi dei farmaci antidolorifici, possono spiegare perché la maggior parte dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico continui a percepire inaccettabili livelli di
dolore. Tutto questo nonostante le raccomandazioni delle
varie società scientifiche e nonostante sia stato ormai accertato come il dolore scarsamente controllato possa indurre gravi
complicanze.
Per controllare il dolore postoperatorio è necessario in primis
costituire un team multidisciplinare che indichi gli steep
necessari alla realizzazione di un APS (acute pain service): nel
caso del dolore acuto postoperatorio le figure professionali da
coinvolgere saranno chirurghi, anestesisti, nurses, fisioterapisti
e farmacisti. Al gruppo sarà demandato il compito di esaminare la attuale situazione, riguardo al trattamento del dolore e
quindi l’intervento culturale sulle varie figure professionali per
istituire dei sistemi di trattamento e di controllo del paziente
in linea con i suggerimenti della letteratura. I protocolli clinici
saranno fondati sulla terapia multifarmacologica e necessariamente accompagnati da algoritmi decisionali utili in caso di
dolore non controllato. Al team è inoltre demandato l’onere di
stabilire il sistema di misurazione del dolore, la soglia oltre il
quale il dolore deve essere trattato, ma soprattutto il sistema di
Bibliografia
N. Rawal: Acute Pain Service Good from far or far from goog
Reg Anesth Pain Manag. 2002; (27):117-121
N Rawal: Ten years of acute pain service: achievement and
challenges Reg Anesth Pain Manag. 1999; (24):68-73
Bardiau F.M., Breakman M.M.: Effectiveness of APS in General
Hospital Journ. Of Clinic Anesthe 1999;11:583-589
55
ABSTRACT - RELAZIONI SS-2
INFLUENZE DELLA BUPRENORFINA SUL SISTEMA ENDOCRINO
del testosterone indotta dalle altre sostanze oppiacee, morfina
compresa. Data la complessità ed il numero elevatissimo di
funzioni svolte dagli ormoni gonadici sull’organismo umano
sia maschile che femminile, si ritiene che questi risultati indichino la necessità di effettuare ulteriori studi per valutare la
migliore terapia da proporre ai pazienti con dolore cronico
che necessitano di oppiacei.
Tra gli ormoni più sensibili alle variazioni dello stato di salute
dei pazienti, ma pochissimo studiati in relazione al dolore cronico, ci sono certamente gli ormoni gonadici: estrogeni e
androgeni. Nei soggetti con dolore cronico e trattati con
oppiacei i livelli di estradiolo e quelli di testosterone sono più
bassi dei controlli sia negli uomini che nelle donne. Questi
dati mostrano la presenza di un importante effetto neuroendocrino del dolore e del dolore più oppiacei sul funzionamento
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, cioè una drastica riduzione
dei livelli degli ormoni gonadici circolanti. Risultati su animali hanno mostrato un diverso comportamento della buprenorfina che a livello cerebrale non produce la drastica riduzione
Bibliografia
Aloisi A.M., Pari G., Ceccarelli I., Vecchi I., Ietta F., Lodi L.
and Paulesu L. (2005). Gender-related effects of chronic nonmalignant pain and opioid therapy on plasma levels of macrophage migration inhibitory factor (MIF). Pain 115: 142-151
Ceccarelli I., De Padova AM., Fiorenzani P., Massafra C. and
Aloisi AM Single opioid administration modifies gonadal steroids in both the CNS and plasma of male rats. Neuroscience,
in press
Aloisi AM. and Bonifazi M. Sex hormones, central nervous
system and pain. Hormones and Behavior, in press
BUPRENORFINA TRANSDERMICA NEL DOLORE
CRONICO DA CANCRO
meno. Inoltre, non vi è stata alcuna evidenza di tolleranza2.
Gli studi presenti in letteratura indicherebbero, nell’ambito
della scala analgesica della Organizzazione Mondiale di
Sanità, un posizionamento tra il secondo e terzo gradino, sempre che si voglia continuare ad affermare l’utilità di questa
scala3. Infatti, anche se vi sono studi che indicano una pari
A. M. Aloisi, G. Passavanti, M. Carlucci, I. Ceccarelli
P. Fiorenzani, E. Aceto, M. G. Coppola
Laboratorio di Neurofisiologia dello Stress e del Dolore,
Dipartimento di Fisiologia, Università di Siena, Via Aldo
Moro, 2, Siena
F. Marinangeli, A. Piroli, A. Ciccozzi, A. Paladini
I. Marsili, M.L.Ursini, G. Varrassi
Università degli studi di L’Aquila, Cattedra di Anestesia e
Rianimazione, P.le S. Tommasi, 1, 67100 L’Aquila.
efficacia del sistema transdermico di buprenorfina rispetto ad
altri oppiacei forti nel dolore moderato-severo di qualsiasi origine4, è intuitivo che, il fatto stesso che esista un dosaggio
Oltre 9 milioni di persone soffrono di dolore da cancro ogni
anno. Neanche la metà di loro riceve un adeguato trattamento del dolore che rappresenta, così, fra tutti i sintomi, la causa
più importante di riduzione della qualità di vita nel periodo di
sopravvivenza, che tende progressivamente a prolungarsi. Ciò
ha valso a tale sintomo le drammatiche etichette di “cronico”
e “maligno”. Negli ultimi anni, grazie anche alle modifiche
della normativa sull’utilizzo degli oppiacei, l’industria farmaceutica ha preso atto dei vantaggi e della necessità di lavorare
su nuove formulazioni di oppiacei. Al fentanyl transdermico,
già in commercio da circa 10 anni, si è aggiunto, del tutto
recentemente, la formulazione in cerotto della buprenorfina.
A differenza del presidio, la molecola non è nuova per la classe medica italiana. La buprenorfina, infatti, è stata utilizzata
per anni, nella formulazione in compresse sublinguali e in
fiale, per il trattamento, prevalentemente, del dolore acuto.
Ciò permette di affermare, senza timore di smentita, che si
tratta di un farmaco sicuro ed efficace, che, evidentemente,
può essere utilizzato nel paziente con dolore da cancro senza
alcuna particolare attenzione. Ciò è dimostrato, in letteratura,
dall’utilizzo in una paziente gravida, senza alcun problema
per se stessa e per il bambino1. Uno studio post marketing è
massimo di buprenorfina (dose tetto), è indice di una efficacia
terapeutica che presenta dei limiti oggettivi, a differenza di
quanto accade per gli oppiacei agonisti puri, come il fentanyl,
la morfina o il metadone. Comunque, facendo un bilancio di
efficacia e tollerabilità proprie del cerotto di buprenorfina,
anche per la componente neuropatica del dolore, non è inopportuno pensare ad un uso molto più estensivo dello stesso,
fin dalle prime fasi della patologia oncologica, senza timore di
incorrere in tolleranza, assuefazione o interazioni farmacologiche di entità importante.Davies sottolinea, tra i vantaggi
della buprenorfina transdermica, il supporto polimerico di
nuova concezione, che ha permesso la strutturazione di un
presidio a matrice. Ciò consente, con il frazionamento opportuno del cerotto, di evitare il salto di dose tipico di un sistema
a serbatoio5. In conclusione, si ritiene che il sistema transdermico di buprenorfina abbia rappresentato un passo in avanti
nella lotta al dolore da cancro e non da cancro. Esso, inoltre,
ha fortemente facilitato l’approccio all’uso di oppiacei forti da
parte della classe medica italiana, notoriamente ostile ad essi.
Bibliografia
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pregnancy. Schmerz. 2005 Nov 10
2. Griessinger N. Sittl R, Likar R. Transdermal buprenorphine
in clinical practice—a post-marketing surveillance study in
13,179 patients. Curr Med Res Opin. 2005; 21: 1147-56.
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Updates 2005 december; XIII (5): 1-4
4. Muriel C, Failde I, Mico JA, Neira M, Sanchez-Magro I.
Effectiveness and tolerability of the buprenorphine transdermal system in patients with moderate to severe chronic
pain: a multicenter, open-label, uncontrolled, prospective,
observational clinical study. Clin Ther. 2005; 27: 451-62
5. Davis MP. Buprenorphine in cancer pain. Support Care
Cancer. 2005; 13: 878-87
stato effettuato su 13179 pazienti, di cui 3690 (28%) affetti da
dolore da cancro e 9489 (72%) da dolore non da cancro. Nel
78% dei pazienti il trattamento è iniziato con la dose di
35mcg/h. Il patch si è rivelato utile ed efficace nella maggior
parte dei pazienti, indipendentemente da età e sindrome dolorosa. E’ stato registrato un sollievo dal dolore buono o molto
buono solo nel 6% dei pazienti alla valutazione iniziale, ma
tale percentuale è risultata incrementata al 71% al primo controllo e all’80% alla valutazione finale. Meno del 5% dei
pazienti ha interrotto il trattamento per mancanza di efficacia.
Sono stati registrati effetti collaterali in 2874 pazienti (22%),
ma soltanto nel 10% dei casi tali effetti sono stati riconducibili alla buprenorfina. Il profilo di tollerabilità è risultato, pertanto, in linea con quello di altri oppiacei, e non è sembrato
variare a seconda della presenza di patologia neoplastica o
56
ABSTRACT - RELAZIONI SS-3
OSSICODONE A RILASCIO CONTROLLATO E DOLORE
CRONICO NON DA CANCRO
la sua azione; il grado di liposolubilità ed il legame alle proteine plasmatiche (38-48%) sono simili a quelli della morfina
ma significativamente inferiori a quelli del fentanyl 6-7.
G. Finco, M. Musu, D. Sanna, E. Pusceddu
F. Masillo, A. Marchi
Cattedra di Anestesiologia – Policlinico Universitario di
Monserrato (Ca) – Università degli Studi di Cagliari
Un’elevata quota di ossicodone viene demetilata a norossicodone durante il metabolismo di primo passaggio. Il norossicodone rappresenta il principale metabolita circolante, con un
più debole effetto analgesico rispetto alla molecola di origine.
L’ossicodone viene anche in parte demetilato a idrossimorfone, il quale, essendo circa 14 volte più potente del suo composto di origine, possiede elevata attività analgesica, ma è presente a basse concentrazioni plasmatiche dopo somministrazione orale. L’ossicodone ed i suoi metaboliti vengono eliminati prevalentemente per via renale e solo in parte per via
biliare 8-9.
E’ ormai noto che la terapia del dolore da cancro si avvale di
analgesici efficaci quali gli oppioidi, in associazione o meno
con farmaci adiuvanti. Dopo anni di controversie è stato riconosciuto agli oppioidi un ruolo importante nel dolore cronico
non-maligno di grado severo, allorché tutte le altre terapie
mediche non abbiano mostrato risultati soddisfacenti.
Linee guida per il trattamento del dolore non maligno suggeriscono che dopo aver selezionato correttamente il paziente e
valutato periodicamente il livello di analgesia, nonché gli
effetti collaterali e l’eventuale insorgenza di comportamenti
aberranti, la terapia con oppioidi sembrerebbe rappresentare il
più sicuro ed efficace trattamento nei soggetti affetti da dolore
cronico non da cancro1.
Non può essere definita una dose massima assoluta di ossicodone: all’aumentare della dose aumenta l’effetto analgesico. .
Caratteristiche ben precise rendono l’ossicodone una molecola più gestibile rispetto alla morfina. Metaboliti non significativamente attivi, elevata biodisponibilità orale, andamento prevedibile e assenza di effetto immunosoppressore10.
Tali caratteristiche hanno contribuito a rendere l’ossicodone
un’importante alternativa alla morfina orale per il trattamento
del dolore cronico, maligno e non maligno.
Sette studi evidenziano l’ efficacia e la sicurezza dell’ossicodone nel trattamento di sindromi dolorose non oncologiche,
in particolare low back pain, dolore da osteoartrite e neuropatia diabetica5-11-12-15. Durante questi trials clinici sono
Negli ultimi anni negli Stati Uniti l’uso degli oppioidi a lunga
durata d’azione è incrementato in maniera significativa, e l’ossicodone è divenuto l’oppioide più prescritto per il dolore cronico non maligno, in particolare per il trattamento del dolore
da osteoartrite e nel low back pain cronico. Sempre negli Stati
Uniti, il mercato dell’ossicodone, come singolo agente, è passato dal 10% nel 1996 al 53% nel 2000, diventando così l’oppioide più venduto. Nel 2000 sono state fatte oltre 6,5 milioni di prescrizioni di ossicodone tanto da fargli meritare l’undicesimo posto nella classifica dei farmaci più prescritti dell’anno2-3.
state prese in considerazione due formulazioni di ossicodone:
una a rilascio immediato (IR) ed una a rilascio controllato (CR).
Quest’ultima sembra offrire maggiori vantaggi dal punto di
vista farmacodinamico ed una migliore compliance da parte
dei pazienti. Le dosi giornaliere medie somministrate sono
state di 40 mg, con una bassa incidenza di effetti indesiderati
non tollerabili (vomito, allucinazioni, vertigini, prurito).
Quattro tra gli studi sopra citati sono stati condotti su pazienti
affetti da low back pain cronico 5-11-12-14.
L’ossicodone è un oppioide semi-sintetico, derivato dalla
tebaina. Esso è stato usato per oltre 80 anni nel trattamento di
molte sindromi dolorose, da solo o in combinazione con altre
sostanze quali il paracetamolo e l’acido acetilsalicilico.
Comparato alla morfina, l’ossicodone ha una più elevata biodisponibilità orale (in media il 60% della dose raggiunge il
compartimento centrale) ed è circa due volte più potente; per
questo viene definito oppioide “forte”. Presenta un’affinità per
i recettori “mu” pari ad 1\10 – 1\40 rispetto alla morfina, ma
probabilmente possiede maggiore affinità per i recettori
“kappa”. La sua attività intrinseca prevalente su questi ultimi
spiegherebbe l’efficacia dell’ossicodone nel dolore cronico di
tipo viscerale come quello da pancreatite cronica. Nei visceri
infatti i recettori “kappa” sono particolarmente espressi e coinvolti nella regolazione della sensazione dolorosa. La loro stimolazione non inibisce il transito intestinale e non determina
stipsi. Poiché essi sono periferici si possono ottenere effetti
analgesici diminuendo l’incidenza di effetti collaterali a livello centrale.
A conferma di ciò alcuni studi condotti sui recettori periferici
degli oppioidi, con l’elettrostimolazione dolorosa, affermano
che l’ossicodone e la morfina presentano il medesimo effetto
analgesico in tutti i tessuti con l’eccezione del dolore viscerale dove l’ossicodone presenta maggiore efficacia4.
Molteplici cause portano alla comparsa di low back pain, e tali
cause possono essere di natura meccanica, funzionale, nocicettiva e neuropatica; raramente la causa viene identificata
con esattezza. In questa sindrome dolorosa i FANS rappresentano gli analgesici maggiormente prescritti in Europa, e nel
69% dei casi vengono considerati la prima scelta terapeutica.
Dall’analisi della letteratura i FANS risultano sicuramente efficaci per il trattamento sintomatico a breve termine, ma non
altrettanto nel trattamento cronico, soprattutto a causa degli
ormai noti effetti indesiderati conseguenti a somministrazioni
prolungate.
I COXIB non hanno dimostrato grandi vantaggi analgesici
rispetto ai FANS non selettivi. Piuttosto sembrerebbero addirittura meno efficaci nel dolore neurogenico e incidente. Su
questo frangente l’ossicodone si è rivelato superiore ai FANS,
a dosi giornaliere medie di 40 mg, sia con la formulazione a
lento rilascio che con quella a rilascio controllato. Anche nella
fase di titolazione il raffronto tra le due formulazioni non ha
mostrato differenze statisticamente significative in termini di
efficacia e sicurezza. Questo dato è stato confermato anche
per quanto riguarda il dolore da osteoartrite.
L’osteoatrite è una delle più comuni patologie articolari. Si
presenta con lesioni visibili radiograficamente nell’80% della
popolazione di età superiore ai 75 anni.
Anche nell’osteoartrite i farmaci di prima scelta sono considerati i FANS, con le stesse problematiche riscontrate nel trattamento a lungo termine del low back pain. Poiché il dolore da
osteoartrite è prevalentemente di tipo incidente i COXIB non
rappresentano una valida alternativa. Il trattamento con ossicodone ha dato risultati incoraggianti. Anche in questo caso
entrambe le formulazioni sembrano essere sicure ed efficaci
permettendo un soddisfacente livello di analgesia e miglioran-
Gli effetti farmacologici dell’ossicodone sono paragonabili a
quelli di tutti gli altri oppioidi: ansiolisi, euforia, sensazione di
benessere, prurito, depressione respiratoria, stipsi, nausea,
miosi, sonnolenza, depressione del riflesso della tosse, e naturalmente analgesia. Alcuni autori suggeriscono che a dosi
equianalgesiche la morfina causi una maggiore incidenza di
nausea e l’ossicodone una maggiore incidenza di stipsi. E’ possibile trovare tracce di ossicodone nel latte materno. La maggior parte degli effetti collaterali tende ad attenuarsi o addirittura scomparire con l’insorgenza di tolleranza.
L’ossicodone è una sostanza già farmacologicamente attiva
che non richiede la conversione ad ossimorfone per espletare
57
ABSTRACT - RELAZIONI SS-3
12 ore esso si è dimostrato ancora una volta efficace nel trattamento del dolore continuo-urente, spontaneo parossistico, o
ancora in presenza di allodinia, tutti elementi che caratterizzano spesso la nevralgia post-erpetica 17.
do anche la qualità del sonno con dosi giornaliere medie di 40
mg 15.
Questi sono però dati preliminari, relativi alle fasi iniziali del
trattamento. Infatti l’ossicodone a rilascio controllato è l’unico
ad essere stato studiato per il trattamento del dolore a lungo
termine ( per un periodo di 6 mesi) dimostrando di conferire
pain relief prolungato e miglioramento della QoL (Quality of
Life) in termini non solo di qualità del sonno ma anche di tono
dell’umore e dei rapporti interpersonali. La preparazione a
rilascio controllato, con una lunga durata d’azione, permette
intervalli più lunghi di somministrazione ed un effetto analgesico sostenuto nel tempo. Oltre ad un’elevata biodisponibilità
orale, esso mostra una curva di assorbimento bifasica, rapido
onset (entro 1 ora), l’assenza di effetto tetto ed una facile titolazione nelle prime fasi della somministrazione.
Con questa formulazione le concentrazioni plasmatiche del
farmaco raggiungono lo steady-state in 24-36 ore e l’effetto
analgesico viene mantenuto costante per 12 ore.
La responsività del dolore neuropatico agli oppioidi è stata per
molto tempo dibattuta.
Vi sono numerosi lavori che dimostrano la loro efficacia anche
in questo campo, ma l’assenza di omogeneità nella definizione di dolore neuropatico spiega i risultati contrastanti presenti
in letteratura. Inoltre il dolore neuropatico non presenta un’
unico meccanismo patogenetico, motivo per il quale dovrebbero essere prese in considerazione le singole sindromi13.
L’applicazione dell’ossicodone a rilascio controllato si estende
anche al dolore post-operatorio. Esso è efficace e sicuro anche
nei bambini ed è meglio tollerato (soprattutto in termini di
effetti indesiderati) della morfina in PCA.
Alcuni interventi di tipo ortopedico condotti in regime di daysurgery, come la ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio, sono associati ad un considerevole grado di
dolore post-operatorio. Sebbene gli oppiacei a rilascio immediato per os siano efficaci nel dolore da moderato a severo,
essi devono essere somministrati ogni 4-6 ore per un adeguato mantenimento dell’efficacia analgesica. L’ossicodone a rilascio controllato invece mantiene concentrazioni terapeutiche
per un tempo più lungo. Risultati soddisfacenti si sono ottenuti ancora una volta con dosi medie giornaliere di 40 mg, con
posologia di 20 mg ogni 12 ore, e con end-point di valutazione del dolore a 72 ore. Tale trattamento è associato ad una
ridotta incidenza di effetti indesiderati rispetto agli oppiacei a
rilascio immediato18.
Posto che i dati derivanti dai trials clinici sulla somministrazione di ossicodone a rilascio controllato su differenti tipologie di dolore cronico necessitino di ulteriori conferme, è ragionevole pensare che tale formulazione farmacologica offra
indubbi vantaggi in termini di efficacia clinica, ridotta incidenza di effetti indesiderati, miglioramento della qualità di
vita ed anche in termini economici.
Benché i dati riportati in letteratura offrano prospettive incoraggianti, l’approfondimento di ulteriori aspetti relativi al problema risulta fondamentale per la valutazione più precisa
delle tipologie di dolore che possono trarre beneficio dalla
somministrazione di ossicodone a rilascio controllato.
L’unico studio controllato e randomizzato sul dolore neuropatico è stato condotto su 45 pazienti affetti da neuropatia diabetica, distale e simmetrica 16. Più del 50% dei pazienti con
diabete mellito sviluppa una neuropatia periferica; di questi il
10% va incontro inesorabilmente ad una sindrome dolorosa
invalidante. Tale sindrome dolorosa nel 45% dei casi dura per
più di un anno e spesso presenta tipiche caratteristiche neuropatiche: iperestesia, disestesia, iperalgesia, parestesie, allodinia. Può essere inoltre accompagnata da perdita sensoriale ed
assenza di riflessi.
Esistono numerosi tipi di neuropatia diabetica, ma quella con
prevalente componente sensoriale, distale e simmetrica, è la
più comune. In questa patologia gli oppioidi sono considerati
come l’ultima risorsa per quei pazienti che divengono refrattari agli antidepressivi triciclici, agli anticonvulsivanti o ad altri
analgesici. Il dolore neuropatico in passato è stato considerato
meno responsivo agli oppioidi rispetto al dolore nocicettivo,
ma aumentano le evidenze che vanno a confutare questa tesi
e che sostengono invece che gli oppioidi sono efficaci nei
pazienti attentamente selezionati e seguiti nelle prime fasi
della somministrazione. Inoltre, il rischio di dipendenza psicologica ed addiction è basso se il soggetto non presenta una
pregressa storia di abuso.
In questi pazienti l’ossicodone a rilascio controllato ( sempre
con dosi giornaliere di circa 40 mg) si è mostrato efficace e
sicuro nel trattamento del dolore da neuropatia diabetica e nel
miglioramento della QoL, riducendo il grado di invalidità.
Quest’ultimo rappresenta un aspetto molto importante dello
studio. Raggiunta una QoL soddisfacente questa non viene
ridotta nel tempo in maniera significativa dalla comparsa di
effetti indesiderati insorti come conseguenza della somministrazione farmacologica. L’88% di questi pazienti ha manifestato preferenza per l’ossicodone a rilascio controllato rispetto
agli altri farmaci precedentemente utilizzati, e ne risulta molto
soddisfatto.
Tali risultati si sono rilevati sia in assenza che in presenza di
altri analgesici, antidepressivi o anticonvulsivanti, dimostrando ulteriormente la responsività del dolore neuropatico agli
oppioidi.
Bibliografia
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Dati incoraggianti vengono riportati in letteratura anche sul
trattamento della nevralgia post-erpetica con ossicodone a rilascio controllato: con dosi giornaliere massimali di 30 mg ogni
58
ABSTRACT - RELAZIONI SS-3
Pain – Optimizing multidisciplinary Rehabilitation programs in hig – risk patients with chronic low back Pain
using the who-III opioid oxycodone.
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DOLORE EPISODICO INTENSO: CARATTERISTICHE ED
IMPORTANZA DELLA SUA VALUTAZIONE
tuali di prevalenza molto diverse tra loro che vanno dal 38
all’89% (2), le differenze sono probabilmente determinate
dalla difficoltà ad inquadrare clinicamente questo tipo di dolore e all’utilizzo di parametri diversi per diagnosticarlo nelle
diverse realtà cliniche.
Le caratteristiche cliniche del DEI che vanno sempre indagate
in pazienti affetti da dolore cronico soprattutto se causato da
malattia neoplastica sono:
Rapida insorgenza
Intensità severa del dolore (≥ 6-7)
Durata limitata (quasi i ? degli episodi DEI dura meno di 30
min)
Ripetitività nel corso del tempo (1-6 episodi al giorno)
Imprevedibilità (50-60% dei casi )
Correlazione col tumore (p. es. localizzazioni ossee, viscerali), o con i trattamenti antineoplastici (p. es. neuropatie periferiche)
La difficoltà ad identificare questo tipo di dolore può determinare anche una inadeguatezza della terapia, infatti da uno studio tedesco (4) risulta che la maggior parte dei pazienti (84%)
R. Mediati
S.O.D. Cure Palliative e Terapia del Dolore Dipartimento
Oncologico
Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - Firenze
Molte sindromi dolorose, determinate sia da malattie oncologiche che da malattie croniche degenerative, sono caratterizzate da situazioni nelle quali i pazienti possono lamentare
due tipi di dolore:
Il dolore di base o cronico o persistente, di durata media pari
o superiore alle 12 ore che richiede una terapia analgesica a
dosi fisse e ad orari fissi.
Il dolore episodico intenso (DEI) o breakthrough pain, cioè
episodi transitori di esacerbazione del dolore che richiedono
terapia analgesica al bisogno.
Il DEI può essere definito come “aumento transitorio dell’intensità del dolore, in un paziente con un dolore di base
ben controllato da una terapia analgesica somministrata in
modo continuativo (mediante farmaci oppioidi)” (1), oppure
non riceve un immediato trattamento analgesico.
La presenza di un dolore episodico non adeguatamente trattato si associa generalmente a dolore di base in media più intenso, a minor risposta agli oppiacei per il dolore di base, ma
soprattutto si associa a minor soddisfazione del paziente sul
controllo del dolore (25% soddisfatti vs 78% soddisfatti senza
DEI p<0.0005) (5) , con relativo peggioramento della qualità
“transitoria esacerbazione del dolore che compare in una
situazione di dolore persistente altrimenti stabile” (2).
La genesi è nocicettiva somatica nel 46% dei casi, nocicettiva viscerale nel 30%, neuropatica nel 10% e, infine, mista
nel 16% dei casi.
La causa scatenante è ignota nel 50 % dei casi, nel rimanente 50 % è causato da fattori precipitanti quali il movimento,
la distensione intestinale, la tosse, lo spasmo muscolare, un
contatto su una mucosità, ecc.
Un’ interessante ipotesi patogenetica è espressa in una recente review (3) in cui si sostiene che la sensibilizzazione cen-
della vita del paziente.
Nella maggior parte dei casi il DEI necessita di un trattamento
specifico.
Bibliografia
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trale e periferica determinata dal dolore cronico possa giocare
un ruolo importante nelle genesi del DEI, che ne costituirebbe
un epifenomeno.
Il DEI è un fenomeno spesso sottovalutato, sebbene la sua
prevalenza sia relativamente elevata soprattutto nei pazienti
affetti da malattia oncologica. Diversi studi indicano percen-
59
ABSTRACT - RELAZIONI SS-3
DOLORE EPISODICO INTENSO
costringere alla rinuncia del (non certo) beneficio causale.
b) nell’ambito invece delle Cure Palliative il dolore incidente
volontario è legato alle pratiche igieniche o al necessario cambio di posizione (letto-poltrona per esempio). Anche in queste
condizioni il prezzo in termini di dolore, per mantenere dignità e qualità di vita, può essere particolarmente alto.
Nella nostra esperienza il Fentanyl transmucosale in queste
condizioni (che verranno presentate come casi clinici) ha
dimostrato in tempi rapidi un effetto analgesico buono o sufficiente a prevenire o contrastare il dolore indotto da movimenti necessari, permettendoli.
Data la particolare frequenza di queste situazioni in oncologia
occorre perfezionare le modalità di titolazione di tale farmaco
in rapporto alla dose oppioidea basale ed all’uso preventivo o
meno.
L’esperienza clinica finora accumulata ha reso già evidente
che, se i movimenti implicano un picco di dolore molto alto,
il 20 % della dose giornaliera, prevista dai precedenti protocolli, appare del tutto insufficiente e che la titolazione deve
partire da dosaggi medio alti per ottenere un pain relief accettabile in tempi realistici rispetto alla necessità di movimento.
Comunque l’effetto antagonistico del picco di dolore indotto
dal movimento rende del tutto teorica la possibilità di depressione respiratoria.
E. Arcuri
Unità Operativa U.O.C. di Rianimazione, Terapia Intensiva,
terapia del Dolore e Cure Palliative, Roma
Allo stato attuale, così come inquadrata dalla ricognizione
dell’EAPC (Cancer 2002), questa sindrome rappresenta la
complessa risultante di incertezze tassonomiche, insufficiente
conoscenza dei meccanismi del dolore da cancro e strategia
terapeutica poco aderente alla miriade di situazioni della pratica clinica routinaria. Molti suoi aspetti rientrano nel difficile
capitolo della scarsa risposta agli oppioidi.
Sicuramente uno degli aspetti più difficili da trattare nell’ambito del Dolore Episodico Intenso è il dolore incidente nella
sua forma involontaria di allodinia meccanica (ovvero dolore
da movimenti abitualmente non dolorosi) ma soprattutto in
quella volontaria. Di quest’ultima condizione, fra una miriade
due situazioni ci sembrano rappresentative:
a) nell’ambito delle cure oncologiche attive, nella radioterapia
ambulatoriale, nella quale i pazienti affrontano il giornaliero
disagio di un trasporto in automobile o in ambulanza seguito
da forti difficoltà a raggiungere una posizione sul rigido letto
di radioterapia, per pochi ma spesso soffertissimi minuti. Non
raramente il costo del dolore da terapia è talmente alto da
TRATTAMENTO CON OSSICODONE NEL DOLORE
ONCOLOGICO
moderato-severo (5), in particolari condizioni, altri oppioidi
possono mostrare un più prevedibile comportamento farmacocinetico o un più favorevole bilancio tra effetti analgesici ed
effetti indesiderati. Come confermato dall’esperienza clinica e
dalle raccomandazioni dell’Associazione Europea per le Cure
Palliative (EAPC) l’ossicodone si è dimostrato una alternativa
efficace alla morfina orale nella gestione del dolore oncologico (5). I primi studi controllati sull’ossicodone nel trattamento
del dolore oncologico sono stati realizzati nel 1978, evidenziando l’utilità di questo farmaco come analgesico e la sua
maggiore biodisponibilità rispetto alla morfina (6-7). Il confronto in doppio ceco tra ossicodone a rilascio controllato (CR)
e a pronto rilascio (IR) nel dolore oncologico è stato valutato
in tre studi (8-9-10). Nello studio con numerosità campionaria
maggiore (8) si è evidenziato una identica efficacia analgesica
tra i due bracci di studio, con una minore incidenza di effetti
avversi per la formulazione CR rispetto alla IR. Tutti gli studi
hanno evidenziato che il trattamento con ossicodone si può
intraprendere subito con la formulazione CR senza necessità
di titolazioni iniziali con la formulazione a IR. Tre studi clinici randomizzati in doppio ceco confrontano morfina CR e
ossicodone CR (11-12-13), senza evidenti differenze per quanto attiene all’effetto analgesico. Uno studio (11) evidenzia
minore intensità di prurito e assenza di allucinazioni in
pazienti trattati con ossicodone CR rispetto a quelli in trattamento con morfina CR. Nello studio condotto da Heiskanen
(13) e in quello di Mucci-Lorusso (11) sono state eseguite valutazioni farmacocinetiche su entrambi i farmaci evidenziando
come l’ossicodone CR possieda un profilo farmacocinetico più
affidabile e prevedibile rispetto alla morfina CR. L’efficacia e
la tollerabilità dell’ossicodone CR nel lungo periodo è stato
valutato sia nel dolore oncologico che in quello non oncologico giungendo a conclusioni quasi sovrapponibili (14-15).
L’ossicodone utilizzato nel trattamento del dolore oncologico
(14) per un periodo di 12 settimane ha messo in luce come, a
fronte di un mantenimento dell’effetto analgesico, si osservi
un progressiva attenuazione di effetti indesiderati nonostante
un incremento delle dosi di farmaco somministrato. Lo studio
R. Vellucci*, S. Gasperoni**, S. Colloca, J. Valoriani
*SOD di Cure Palliative e Terapia del Dolore;**UO
Oncologia Medica
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi Firenze
Il 60%-90% dei pazienti affetti da malattia oncologica avanzata vive un dolore di grado moderato severo (1). L’introduzione
di nuovi farmaci, il miglioramento nell’uso dei vecchi e lo sviluppo di linee guida semplici ed efficaci da parte dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha solo in parte migliorato la gestione del dolore oncologico; infatti più del 50% dei
pazienti affetti da una malattia oncologica riceve un trattamento analgesico insufficiente e circa il 30% non assume il
farmaco adeguato al proprio dolore (2-3). Nel nostro paese le
principali motivazioni del sottotrattamento del dolore neoplastico risiedono nella riluttanza a prescrivere oppioidi, nell’inadeguatezza delle dosi di analgesico somministrate, nell’inappropriata selezione dei farmaci, nell’utilizzo di questi al bisogno e non ad orario fisso e nell’assenza di prescrizioni di dosi
di analgesico a pronto rilascio per controllare il dolore episodico intenso. Inoltre il trattamento con oppioidi è riservato,
frequentemente, solo ai pazienti affetti da malattia oncologica
in fase molto avanzata, trascurando il dolore nelle fasi iniziali
di malattia oncologica o indotto dai trattamenti chemioterapici, ormonoterapici o radioterapici. Nella pratica clinica chi utilizza oppioidi nel dolore oncologico incontra la necessità di
personalizzare il trattamento, sulla base della risposta che il
paziente offre al farmaco. Spesso i pazienti, per il verificarsi di
un’insufficiente analgesia nonostante l’incremento dei dosaggi
o di effetti avversi intollerabili come il delirio (4), necessitano
di una rotazione dell’oppioide (passaggio da un oppioide ad
un altro). Questa variabilità di risposte allo stesso farmaco o a
diversi farmaci è causa di incertezza sul trattamento o sulla
corretta valutazione del dolore. Sebbene la morfina sia considerata l’oppiaceo di prima scelta per il dolore oncologico
60
ABSTRACT - RELAZIONI SS-3
ha confermato anche l’affidabilità della durata della formulazione CR per 12 ore senza segni di accumulo di farmaco o di
metaboliti. La disponibilità di una formulazione di ossicodone
CR, caratterizzata da un affidabile profilo farmacocinetico,
offre una opzione terapeutica facile da utilizzare ed adattare
alle caratteristiche e necessità del paziente oncologico. Gli
studi esposti mostrano come l’assunzione ogni 12 ore di ossicodone CR, a fronte di effetti indesiderati che caratterizzano
prevalentemente le prime fasi di trattamento, permetta un adeguato controllo del dolore cronico oncologico moderato-severo.
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61
ABSTRACT - RELAZIONI ME-2
TECNICHE NEUROLESIVE NEL DOLORE DEL PAZIENTE
NEOPLASTICO
oppiacei sono poco efficaci nel dolore con tali caratteristiche,
mentre i FANS, agendo sul tessuto periferico dove si produce
lo stimolo nocicettivo possono essere più efficaci.
Nella pratica clinica il dolore non è necessariamente “incident” o non “incident”, ma più spesso i due caratteri sono rappresentati con diversa percentuale responsabile della risposta
agli oppiacei, che sarà completa se la quota “incident” è assente, nulla nel dolore “incident” prevalente.
La cordotomia cervicale percutanea è una manovra neurolesiva che trova indicazione assoluta nel trattamento di dolori
nocicettivi che, per la loro caratteristica “incident” non sono
controllato dalla terapia farmacologia.
La scelta terapeutica sarà guidata dalla corretta diagnosi patogenetica e dalle caratteristiche del paziente.
La cordotomia dovrebbe precedere la terapia farmacologia e
non essere proposta come ultima ratio dopo che tutte le altre
strategie terapeutiche hanno fallito, quindi andrebbe riservata
a pazienti con discreta aspettativa di vita, ancora in grado di
lavorare e capaci ancora di una buona vita di relazione.
S. Mameli*, S. Foddis**
*U.O. Medicina del Dolore – Ospedale Oncologico – Cagliari
** Istituto Anestesia Rianimazione Università degli Studi –
Sassari
Nel trattamento dei pazienti affetti da patologie neoplastiche
ci troviamo spesso a dover fronteggiare sindromi dolorose
complesse che rappresentano una vera e propria sfida diagnostica e terapeutica.
Particolare difficoltà assume il trattamento del dolore “incident”, che obbliga il paziente a cambiare le sue abitudini di
vita, limitando le attività che gli provocano dolore.
Il dolore “incident” è dovuto a boli di impulsi che improvvisamente ed in massa raggiungono il SNC e non sono frenati
dai meccanismi antinocicettivi endogeni.
Questi stimoli attivano un surplus di fibre C ed i meccanonocicettivi A delta.
L’attivazione delle fibre A delta è frequente e fisiologico ma
non provoca necessariamente il dolore “incident”, a meno che
non ne siano attivate simultaneamente un gran numero.
Le fibre a delta sono responsabili del primo dolore, riscontro
neurofisiologico che consiste nell’anticipare la percezione del
dolore per la maggiore velocità di conduzione della nocicezione delle fibre a delta rispetto alle fibre C, mentre il dolore
“incident” è dovuto alla simultanea attivazione di molte afferente nocicettive C e A delta.
Questo meccanismo patogenetico oltre all’osservazione che
gli oppiorecettori presinaptici sono presenti sui terminali centrali delle fibre C ma non su quelli A delta, spiega perché gli
Bibliografia
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NEUROMODULAZIONE NEL DOLORE DA CANCRO
minimo dosaggio;
Evitare i problemi metabolici dei singoli pazienti, superando
le difficoltà di terapia legate a pool metabolici svantaggiosi;
Limitare i fenomeni di addiction.
A. Costantini
U.O. Centro di Fisiopatologia e Terapia del Dolore. Ospedale
Clinicizzato SS. Annunziata. Chieti
Istituto di Anestesia - Università G. D’Annunzio Chieti-Pescara
La neuromodulazione va utilizzata quando con la terapia
sistemica non si ottenga un sufficiente pain relief, o quando il
pain relief si ottenga con effetti collaterali insopportabili per i
pazienti o, ancora, quando i pazienti abbisognano di incrementi di dosaggio di oppioidi troppo frequenti, non spiegabili
con l’andamento della malattia e non controllabili con lo
switch.
Le linee-guida vigenti prevedono sei livelli di intervento.
Il razionale della infusione intratecale di farmaci nel dolore
neoplastico poggia sui seguenti principi:
Somministrare i farmaci direttamente sui propri recettori, evitando le problematiche legate ad assorbimento, distribuzione
e trasporto ed ottenendo, così, il massimo risultato clinico al
62
ABSTRACT - RELAZIONI TR-1
RACCOMANDAZIONI DELLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE E
QUALITÀ DI CURA DEL PAZIENTE OSPEDALIZZATO
degenza ospedaliera e quindi dei costi della terapia a breve
termine ed a lungo termine come riduzione dell’incidenza del
dolore cronico.
Una corretta programmazione delle modalità di trattamento
del dolore postoperatorio deve tener conto di alcuni fattori:
incidenza attesa dell’intensità e della durata del dolore postoperatorio.
l’adozione di strumenti di “misura” e di “valutazione” del
dolore a riposo e al movimento, di rapido utilizzo (quali le
scale verbali, scale numeriche, gli analoghi lineari visivi)
organizzazione delle risorse esistenti
individuazione e formazione del personale coinvolto e necessità di formazione continua per modificare abitudini di trattamenti ormai superati e inefficaci)
Lo sviluppo di un Servizio di trattamento del Dolore Acuto
Postoperatorio dovrebbe seguire un processo di programmazione e di controllo della qualità, definendo procedure operative e linee guida intraospedaliere.
La ricerca della qualità, e quindi della soddisfazione del
paziente, è la base per ottenere i risultati migliori sia a breve
che a lungo termine, solo una pratica di qualità aumenta il
valore del servizio di anestesia agli occhi dei nostri pazienti,
la soddisfazione degli operatori e la motivazione al miglioramento.
G. Savoia, G. Calzetta, A. Limone, V. Di Palma, A. Erman
M. Loreto
IV Servizio di Anestesia e Rianimazione Pediatrica c/o la
Struttura AORN “A. Cardarelli” Napoli
L’approccio alla qualità consiste nel soddisfare ed anche anticipare i bisogni dell’utente. Per raggiungere un tale obiettivo
sono indispensabili la responsabilizzazione dell’insieme degli
attori della struttura (tutti gli operatori sanitari).
Dalla lettura delle linee guida europee ed americane emerge un dato comune: in tutti gli ospedali dovrebbero essere previsti protocolli di trattamento del dolore acuto postoperatorio
per i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, utilizzando
un approccio multidisciplinare con la collaborazione di chirurghi, nurse ed eventualmente altri specialisti, possibilmente
attraverso l’istituzione di un servizio per il trattamento del
dolore acuto.
Una volta fissati gli end-points maggiori: abbattimento della
risposta da stress perioperatoria, riduzione delle complicanze
e degli effetti avversi e miglioramento delle funzioni cognitive,
nonché della mobilitazione e riabilitazione, ci si aspetterà una
riduzione della mortalità e morbilità perioperatoria, della
VALUTAZIONE ORGANIZZATIVA
DELL’ACUTE PAIN SERVICE
movimento,bromage,scala di sedazione,effetti collaterali.
A. Pasetto, L. Rinaldi, L. Donno, T. Serri, E. Barbieri
Cattedra di Anestesia e Rianimazione Università di Modena e
Reggio Emilia
Introduzione
L’istituzione di un Servizio per il controllo del dolore acuto
postoperatorio è raccomandato ,in ogni ospedale(1,2). Dal 2000
anche presso il Policlinico di Modena è attivo un Acute Pain
Service(APS).
Materiali e metodi
L’organizzazione del servizio prevede la presenza di un anestesista coordinatore di unità funzionale che redige i protocolli per
le varie tipologie di dolore,medici in formazione che ruotano
giornalmente sul turno APS diurno e notturno. Abbiamo valutato i tempi di rilevazione,la compilazione delle schede, i parametri vitali,Numerical Rating Scale (NRS) sia a riposo che col
Risultati
Lo studio osservazionale retrospettivo per l’anno 2005 ha incluso 1562 pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia vascolare,urologica,ostetrica,ginecologica,dei trapianti. I protocolli di
trattamento sono stati applicati nel 15,5% dei casi ad litteram,nel
75% con modeste variazioni,nel 9,5% sono stati completamente modificati. I tempi di monitoraggio stabiliti (ogni 2 e 4 ore in
prima e seconda giornata rispettivamente) vengono rispettati nel
46% dei casi. Pressione arteriosa e frequenza cardiaca hanno
avuto una corretta rilevazione nel 94,5% , la frequenza respiratoria solo nel 29,5%,il bromage nel 99% dei pazienti totali. I
controlli postoperatori si esaurivano nel 53% in prima giornata,
nel 31,5% in seconda e nel 15,5% in terza giornata. Le percentuali degli indicatori di risultato antalgico rilevate nelle singole
chirugie sono state rappresentate in tabella 1.
Gli effetti collaterali sono stati riscontrati solo nel 3% dei casi. Si
è osservato un’eccessiva sedezione dei pazienti nel 2% e il bro-
Tabella 1. Le percentuali degli indicatori dei risultati antalgici nelle singole chirurgie.
CH. VASCOL
GINECOLOGIA
OSTETRICIA
UROLOGIA
CH. TRAPIANTI
91
90
90
NRSriposo<3 (%)
95
94
90
Rescue dose (%)
3
5
5
NRSmov<3 (%)
92
93
63
97
6
95
7
ABSTRACT - RELAZIONI TR-1
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mage, in caso di anestesia locoregionale, è stato rilevato positivo
solo nell’1% dei casi.
Conclusioni
Gli aspetti organizzativi del sistema APS, se non ben controllati,
influenzano l’efficacia del sistema.
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Lievens Y, Kesteloot K, Rijnders A, Kutcher G, and Van den
R.M. Melotti
La prevalenza del dolore, sia in ambito ospedaliero che in
quello extra-ospedaliero, è ingiustificatamente elevata. Il dolore e la sofferenza sono trascurati, sottostimati e/o maltrattati
dalla classe medica, nonostante quest’ultima possegga gli strumenti adeguati per lenire il dolore nel 90% dei pazienti. Negli
ospedali il 70-80% dei pazienti lamenta dolore non controllato in maniera adeguata E’ ormai acquisito che un efficace controllo del dolore, oltre ad essere un caposaldo etico della professione medica e infermieristica, è in grado di migliorare la
qualità della vita ed influenzare favorevolmente la storia naturale delle malattie concorrendo, in ultima analisi, a ridurre la
spesa sanitaria.
L’inadeguato controllo del dolore, oltre ad essere un fenomeno trasversale che interessa tutte le branche mediche, ha una
portata mondiale. Infatti, nel 1992 fu avviato un progetto canadese, finalizzato a modificare attitudini e comportamenti sia
degli operatori sanitari che dei malati ricoverati nei nosocomi.
Tale progetto, denominato ”verso un ospedale senza dolore”
ed appoggiato dall’OMS, è stato adottato da vari paesi. Anche
il Ministero Italiano della Sanità ha istituito nel Settembre
2000 una Commissione di Studio “Ospedale senza dolore” le
cui linee-guida sono state approvate dalla Conferenza StatoRegioni il 24 Maggio 2001 e pubblicate sulla G.U. il 29
Giugno 2001.
Per poter quantificare la reale estensione del fenomeno in
ambito intra-ospedaliero, e per poter progettare dei provvedimenti di miglioramento occorre conoscere le condizioni di
partenza abbiamo programmato un’indagine trasversale nell’ospedale universitario (Azienda universitaria ospedaliera di
Bologna) con i seguenti obbiettivi: quantificare la prevalenza
del dolore in ospedale, la conoscenza e le abitudini dei medici, infermieri e medici in formazione in tema del dolore e infine, la congruenza tra operatori sanitari e pazienti nella valutazione del dolore. In particolare, la prevalenza del dolore era
di 38%. Tra le variabili che si sono dimostrati predittivi per la
presenza di dolore erano la giovane età, pazienti socialmente
vulnerabili, donne e quelli con dolore ed ospedalizzazione
prolungati.
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65
ABSTRACT - RELAZIONI TR-2
FISIOPATOLOGIA DEL DOLORE DA METASTASI OSSEE
Oltre a fenomeni di tipo infiammatorio l’osso affetto da neoplasia subisce danni a carico della propria innervazione, poichè le cellule tumorali sensibilizzano e danneggiano le fibre
amieliniche e mieliniche che innervano l’osso mineralizzato e
il midollo. Queste modifiche determinano a livello centrale
(corna posteriori) l’up-regulation di galantina, GFAP e ATF3 da
parte dei neuroni danneggiati, ipertrofia degli astrociti satelliti
con infiltrazione macrofagica. Si può affermare che il dolore
osseo neoplastico ha caratteristiche comuni ad altre forme
dolorose, come il dolore infiammatorio o neuropatico, ma
anche di proprie e peculiari (nel feed back negativo nel controllo degli osteoclasti) che necessitano di essere conosciute e
valutate all’atto del trattamento terapeutico.
A. Pasetto, G. Scaglioni, *Lucia Serio
Cattedra di Anestesia e Rianimazione Università di Modena e
Reggio Emilia
*1° Servizio di Anestesia e Rianimazione – Azienda
Policlinico Modena
Le forme più diffuse di neoplasia, quali il carcinoma prostatico, polmonare e mammario sono correlate alla presenza di
metastasi ossee che sono la causa principale di dolore neoplastico. Tuttavia anche se il dolore rappresenta il sintomo più
debilitante e frequente i meccanismi responsabili dell’origine
e del mantenimento del dolore osseo non sono chiaramente
conosciuti. Sono considerati fattori promuoventi il rimaneggiamento osseo, l’ipercalcemia, la distruzione ossea; nella
genesi del dolore possono essere distinti fenomeni periferici e
centrali. Tra i primi rilevante ruolo giocano l’ aumento dell’attività degli osteoclasti, il rilascio di citochine o di altri fattori
iperalgesici da parte delle cellule tumorali, l’incremento di
cellule proinfiammatorie. Diversi Autori hanno posto l’accento sul ruolo dell’osteoprogenina, una proteina in grado di
ridurre il dolore osseo antagonizzando l’attività degli osteoclasti, specialmente nelle forme avanzate. Altri Autori hanno
studiato la riorganizzazione neurochimica del midollo spinale, evidenziando come le afferenze sensitive primarie vengono sensibilizzate in seguito alla crescita e alla distruzione
ossea operata dal tumore, con conseguente incremento dell’espressione del gene c-Fos da parte dei neuroni della lamina I.
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TERAPIA MEDICA SPECIFICA DELLE METASTASI OSSEE
steoporosi, la malattia di Paget, le metastasi scheletriche, e l’ipercalcemia maligna. I bisfosfonati sono analoghi del pirofosfato
inorganico, e si legano alla matrice minerale dell’osso preferenzialmente nei siti di maggiore metabolismo osseo; vengono
quindi rilasciati nelle lacune di riassorbimento osseo. Sin dagli
anni ’70, sono state sviluppate diverse generazioni di bisfosfonati, con progressive incremento della potenza di queste molecole.
I bisfosfonati di prima generazione, tra cui etidronato e clodronato, sono attivi a concentrazioni molari relativamente alte, ed
hanno un basso indice terapeutico. Pamidronato, ibandronate ed
alendronato appartengono alla seconda generazione di bisfosfonati, e sono stati sviluppati nei primi anni ’80: l’introduzione
nella molecola di un gruppo funzionale contenente un atomo di
azoto ha drammaticamente incrementato la potenza relativa di
questi farmaci, che sono da 10 a 100 volte più potenti nell’inibire il riassorbimento osseo se confrontati con i bisfosfonati di
prima generazione.
I bisfosfonati di ultima generazione, come risendronato e zoledronato, sono caratterizzati nella loro struttura da una catena
laterale eterociclica. In particolare lo zoledronato contiene 2
atomi di azoto, ed ha dimostrato di essere da 40 a 850 volte più
potente del pamidronate in modelli preclinici. Molti bisfosfonati, tra cui clodronato, pamidronato, ibandronato e zoledronato
sono approvati per il trattamento delle metastasi scheletriche da
carcinoma mammario e nel mieloma multiplo; ad oggi solo lo
zoledronato è approvato per il trattamento delle metastasi scheletriche da altri tumori solidi.
P.F. Conte, V. Guarneri
Dipartimento Integrato di Oncologia ed Ematologia, Università
di Modena e Reggio Emilia
La metastatizzazione scheletrica rappresenta un evento frequente nel corso della progressione di malattia in diversi tipi tumorali, e rappresenta una delle maggiori cause di morbidità nel
paziente oncologico. La compromissione dell’integrità dello
scheletro comporta infatti una serie di complicanze, tra cui il
dolore, le fratture patologiche, la compressione midollare, l’alterazione dell’ematopoiesi, che hanno un impatto severo sulla
qualità di vita del paziente.
Prevenire la comparsa di queste complicanze e garantire ai
pazienti una soddisfacente qualità di vita rappresentano gli obiettivi nel trattamento delle metastasi scheletriche.
Oltre alla terapia specifica antineoplastica (chemioterapia, terapia endocrina, terapie biologiche), i trattamenti disponibili per la
gestione del paziente con metastasi ossee comprendono: il trattamento radioterapico, il trattamento con radionuclidi, le procedure ortopediche (chirurgia di stabilizzazione/vertebroplastica
con cemento), e il trattamento con bisfosfonati.
I bisfosfonati sono una categoria di farmaci che inibiscono il riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti; il loro impiego si
associa ad un significativo beneficio clinico nel trattamento di
molte malattie sia benigne che maligne dell’osso, tra cui l’o-
66
ABSTRACT - RELAZIONI TR-2
DOLORE DA METASTASI OSSEE:
RADIOTERAPIA PALLIATIVA
delle lesioni da trattare, comorbilità, spettanza di vita e altre
variabili legati al paziente.
Gli argomenti trattati forniranno nozioni sulla radiobiologia
dell’approccio radioterapico con finalità sintomatica alle
metastasi ossee, informazioni sulle dosi di tolleranza dei diversi organi critici e i criteri clinici sui quali si fondano le scelte
terapeutiche e le indicazioni delle diverse modalità di irradiazione.
Studi recenti sembrano precisare meglio i vantaggi e i limiti
delle diverse modalità di trattamento radioterapico utilizzate
quali radioterapia “local field”, radioterapia a campi estesi e
radioisotopoterapia . Gli algoritmi terapeutici proposti e le
modalità attuative dei diversi trattamenti saranno descritti e
presentati valutandone indicazioni, limiti e risultati per fornire conoscenze utili a realizzare programmi terapeutici per le
metastasi ossee sintomatiche che siano efficaci e vantaggiosi
in termini di rapporto costo/beneficio.
F. Bertoni
U.O. di Rradioterapia Oncologica – A.Ospedaliero
Universitaria – Policlinico di Modena
La radioterapia riveste un ruolo importante in osteoncologia e
rappresenta l’approccio terapeutico principale con finalità sintomatica per le lesioni ossee metastatiche.
Esistono diverse modalità di esecuzione del trattamento
radiante, tuttavia in generale quando la RT è utilizzata come
trattamento palliativo-sintomatico, è possibile eliminare, controllare o prevenire i sintomi e le complicanze da localizzazioni ossee nel 60-80% dei pazienti trattati.
Le scelte terapeutiche richiedono una attenta valutazione di
fattori quali fasi della malattia, sede , estensione e numero
DOLORE DA METASTASI OSSEE: NEUROMODULAZIONE E
NEUROLESIONE
duati presidi terapeutici in grado di controllare efficacemente
la maggior parte delle sindromi algiche. Infatti sono spesso
presenti un meccanismo fisiopatologico di tipo neuropatico, o
un pattern temporale di tipo incidente che rendono il dolore
poco responsivo agli analgesici tradizionali (FANS, oppioidi).
Inoltre tale tipo di dolore presenta spesso una durata protratta
nel tempo, e talvolta vi è anche un coinvolgimento del sistema nervoso simpatico, tutti fattori che contribuiscono ad a renderne difficile il trattamento.
In questa relazione vengono prese in considerazione le diverse strategie di trattamento di questo dolore: le tecniche neurolesive, in particolare la cordotomia cervicale per cutanea, e la
neuromodulazione farmacologia perimidollare.
E. Polati
SRAU Anestesia e Rianimazione “A”- Centro di Terapia
Antalgica - O.C.M. Borgo Trento - Az. Ospedaliera di Verona
Per il dolore oncologico vi sono oggi a disposizione presidi
terapeutici in grado di controllare la quasi totalità del dolore
presentato dai pazienti. Ciò è dovuto al fatto che l’aspettativa
di vita di questi pazienti è ridotta e quindi possono essere
attuati trattamenti neurolesivi o neuroinvasivi, o possono essere impiegati oppioidi ad alto dosaggio. Nel dolore da metastasi ossee, tuttavia, a tutt’oggi non sono stati ancora indivi-
67
ABSTRACT - RELAZIONI TR-3
MEDIATORI INFIAMMATORI E TRASDUZIONE
SENSORIALE NEI NOCICETTORI
mediatori infiammatori nei neuroni nocicettivi, tra essi le
endoteline, la des-Arg bradichinina, le prochineticine, le proteasi, ed altri. Tutti questi mediatori infiammatori agiscono tramite recettori accoppiati a proteina Gq, la quale attiva una via
enzimatica che porta alla traslocazione ed attivazione di una
specifica isoforma di PKC (PKCepsilon), che a sua volta fosforila il canale TRPV1 (recettore della capsicina) ed i canali del
Na che intervengono nella genesi del potenziale di azione
producendone la sensibilizzazione. La PKCepsilon rappresenta quindi un punto di convergenza dei meccanismi pro-nocicettivi mediati da numerosi mediatori infiammatori, quindi
ipotizziamo che un farmaco in grado di bloccare specificamente la attività della PKCepsilon potrebbe rappresentare una
nuova strategia terapeutica utile per combattere il dolore
infiammatorio a livello periferico.
V. Vellani, P. C. Magherini
Dipartimento di Scienze Biomediche - Università degli Studi
di Modena e Reggio Emilia, via Campi 287 41100 Modena
Numerosi mediatori infiammatori si legano a specifici recettori espressi sulla membrana plasmatica dei neuroni nocicettivi,
i quali attivano meccanismi che producono la sensibilizzazione di specifici canali ionici nocicettore-specifici. Questi canali sono responsabili della trasduzione sensoriale degli stimoli
nocivi, e la loro sensibilizzazione costituisce uno dei meccanismi responsabili della iperalgesia e allodinia. Nella presentazione verranno mostrati alcuni meccanismi attivati da
I RECETTORI NGF/TRKA: POTENZIALI BERSAGLI
TERAPEUTICI NEL DOLORE INFIAMMATORIO E
NEUROPATICO
neuroni nocicettivi mostrano durante il processo infiammatorio livelli aumentati di NGF; inoltre la sensitizzazione dei
nocicettori periferici è ampiamente dipendente dalla disponibilità di NGF. In questa ricerca è stato dimostrato per la prima
volta come l’MNAC13, un anticorpo neutralizzante il recettore per l’NGF TrkA, sia in grado di ridurre sia il dolore infiammatorio che quello neuropatico. E’ stato inoltre osservato un
effetto sinergico tra l’anticorpo anti-TrkA e la morfina: la combinazione di dosi inefficaci di MNAC13 e dell’oppiaceo induce effetti analgesici sul dolore infiammatorio paragonabili a
quelli ottenuti da una dose due volte più alta di morfina.
Questi risultati sono di particolare rilevanza per la comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sottostanno al dolore
cronico e indicano il recettore TrkA come possibile bersaglio
per future applicazioni anche nell’ambito clinico.
F. Pavone
Istituto di Neuroscienze – CNR - Roma
La verifica sperimentale attraverso l’utilizzo di modelli animali dell’efficacia di nuovi farmaci nel trattamento del dolore persistente rappresenta una fase molto importante per lo sviluppo
di strategie innovative nella terapia del dolore.
Il Nerve growth factor (NGF) ed il suo recettore ad alta affinità TrkA svolgono un ruolo di rilievo nella trasmissione e nella
modulazione dell’informazione nocicettiva, sia durante lo sviluppo che nella vita adulta. Da un punto di vista funzionale, i
IL CONTRIBUTO DEL NEURONE SENSORIALE
PRIMARIO NELL’ALLODINIA IPERALGESIA:
OSSERVAZIONI MICRONEUROGRAFICHE
zione della soglia di attivazione della via nocicettivo specifica.
Usando come scala i von Frey commerciali espressi in logaritmo della forza, la soglia minima per attivare i nocicettori
umani è di 4.08, che corrisponde alla forza di un pennello
strofinato sulla cute. L’iperalgesia è per definizione evocata
con von Frey di 4,17. Inoltre nei pazienti con allodinia si
osserva spesso che questa è abolita da blocco ischemico di
breve durata, prima che avvenga un blocco delle fibre di largo
calibro. L’allodinia è di norma anche il primo sintomo che
migliora durante trattamento con antiepilettici. Nelle lesioni
nervose si verifica selettivamente nelle fibre amieliniche
un’aumentata espressione di canali sodio tetrodotossina resistenti, che sono più sensibili all’ischemia ed ai farmaci bloccanti i canali ionici (Na). Nei modelli sperimentali piccole dosi
di lidocaina bloccano selettivamente i neuroni iperattivi,
risparmiando la fisiologica attività di scarica dei neuroni normali. Ipotizziamo perciò che molte condizioni definibili clinicamente come allodinia siano in realtà conseguenti ad iperattività delle fibre di piccolo calibro. La definizione clinica di
allodinia dovrebbe, quando possibile, essere associata alla
quantificazione del tempo necessario per l’abolizione di questo sintomo con blocco ischemico confrontato con il tempo
richiesto dal blocco di conduzione delle fibre di largo calibro.
A questa informazione andrebbe aggiunta anche la risposta
differenziale agli antiepilettici dell’allodinia e del dolore spontaneo.
P. Marchettini
Uno dei sintomi più gravi per il paziente con dolore neuropatico è l’allodinia, soprattutto quella indotta da stimoli tattili;
nelle forme più gravi il paziente ha difficoltà nel compiere
anche i comuni atti della vita quotidiana e ad indossare indumenti sopra l’area colpita.
In oltre la metà dei pazienti con nevralgia posterpetica, il semplice strofinamento della cute con fiocco di cotone evoca allodinia o disestesia (Watson, Evans, Watt e Birkett, 1998).
In uno studio il dolore raggiunge il culmine in media dopo
mezzo minuto di stimolazione e l’iperpatia dura circa quaranta secondi dopo che lo stimolo è interrotto (Nurmikko e
Bowsher 1990). Si ritiene tradizionalmente che nell’allodinia
da stimoli meccanici dinamici siano coinvolte in modo particolarmente selettivo le fibre A (fibre mieliniche di largo calibro). Non disponiamo di solide evidenze che escludano un
ruolo delle fibre di largo calibro nell’allodinia, tuttavia sottoponiamo l’ipotesi che molte condizioni cliniche di allodinia
siano in verità delle manifestazioni d’iperalgesia, ossia il dolore evocato da stimoli dolorosi sia percepito non in conseguenza di modificazioni della via anatomica, ma per moltiplicazione d’impulsi nella via nocicettivo specifica o per ridu-
68
ABSTRACT - RELAZIONI ME-3
ZICONOTIDE: CONSIGLI PRATICI PER L’USO
antidepressivi, antiepilettici, oppioidi. Non avevano neppure
risposto all’infusione spinale di oppioidi ed alla neurostimolazione spinale. La dose media efficace della nostra casistica è
stata di 0,4 microgrammi ora. In tutti i pazienti abbiamo
riscontrato la scomparsa di allodinia meccanica. La riduzione
del dolore è stata ottima in 4 pazienti (VAS da 8 a 5, da 7 a
3,5, da 8 a 3, da 7,5 a 2,2). Il quinto paziente ha avuto una
riduzione del dolore spontaneo soltanto da 7,8 a 6,5.
Tre pazienti hanno riferito confusione e vertigini. A causa
degli effetti avversi una paziente che aveva risposto alla terapia ha preferito non proseguire il trattamento. Abbiamo riscontrato che gli effetti avversi possono ridursi drasticamente con
una titolazione lenta del farmaco, che ritarda il raggiungimento della efficace dose analgesica, ma consente una migliore
compliance. Ziconotide ha dimostrato una marcata efficacia in
pazienti non rispondenti ad altre terapie antalgiche, ma per
ottenere il suo miglior impiego è indispensabile una prudente
titolazione associata ad un’esaustiva informazione e motivazione del paziente per indurlo ad attendere la risposta terapeutica.
P. Marchettini
Lo ziconotide è una proteina con proprietà analgesiche derivata dalla purificazione di un veleno prodotto da una lumaca
marina (il conus magus). Ziconotide blocca i canali del calcio
di tipo N, che sono i canali ionici deputati alla liberazione del
glutammato e della sostanza P. Ziconotide inibisce la liberazione di neurotrasmettitori della via nocicettiva. L’azione inibitoria sulla nocicezione di Ziconotide si sovrappone ed
amplifica quella degli oppioidi e dei gabapentinoidi. Grazie a
questo effetto svolge funzione antianalgesica, antiiperalgesica
ed antiallodinica. Nella nostra esperienza abbiamo trattato
con infusione intratecale continua di ziconotide 5 pazienti
affetti da dolore cronico ed allodinia meccanica di origine
neuropatica (mielite dorsale, stenosi severa del canale lombare, neuropatia iatrogena da lesione del safeno, aracnoidite post
chirurgia durale e grave stenosi del canale vertebrale con radicolopatie multiple in esiti di chirurgia per ernia discale). I
pazienti non avevano risposto a terapie farmacologiche con
69
ABSTRACT - RELAZIONI LP-3
RECENT ADVANCES IN IMAGING ACUTE AND CHRONIC
PAIN
within a distributed network including the primary and secondary somatosensory cortices (S1, S2), the anterior cingulate
cortex (ACC), the insula and prefrontal cortex. More recent
imaging studies have examined brain activity associated with
particular aspects of pain, such as its intensity or quality, in
healthy subjects and in patients with chronic pain. For example, we have used percept-related fMRI to identify forebrain
activity related to cold-evoked prickle sensation and to paradoxical heat sensation. We also examined patients with irritable bowel disorder and found them to have abnormal brain
responses in the S1, medial thalamus, hippocampus, insula
and ACC during rectal distention stimuli and also in synchrony
with the perceptual experiences of pain and urge. This talk
will also discuss our studies of the impact of cognitive and personality factors such as catastrophizing on pain processing.
K.D. Davis, PhD
Toronto Western Hospital and the University of Toronto Toronto, Canada
This talk will provide an overview of brain imaging and how
it has been used to delineate brain areas associated with acute
and chronic pain. Over the last decade, there has been a concentrated effort to understand the brain mechanisms underlying human pain perception through the use of neuroimaging
technologies. Most studies have used vascular-based methods
such as positron emission tomography (PET) or functional
magnetic resonance imaging (fMRI) to delineate pain-responsive areas. These studies converge on a set of activations
70
ABSTRACT - RELAZIONI SS-4
PERIPHERAL NERVE STIMULATION (PNS): A NEW
TECHNIQUE OF IMPLANTING AND APPLICATION
of the most recent literature, and the functional improvement,
in addition to the pain reduction, could be linked to a probable accelerated nerve regeneration induced by PNS.
Pain relief induced in neuropathic pain of inflammatory origin
(deformin arthritis, neurofibromialgia) is very significant when
PNS can act on peripheral and, as a consequence, central sensibilization mechanisms.
Also, we should point out that the four patients treated with
FBSS did not respond to SCS nor ECNS, but three of them
responded very well to PNS and only one had return of pain
at six mounths from implant.
This could not only mean a prevalence of the antidromic effect
over the central one, with consequent block of ‘algic afferrences’, but also a regularization effect over the passage of impulses at ganglial and medullar synaptic level and that made us
reconsider lead placement also distally respect to the nervous
lesion.
Finally, in two rheumatologic lesions, improvement was noticed in the counter lateral affected part, (central medullary
mechanism).
As regards the materials employed, they have ben apt to the
purpose of the study, with the possible exception of the
Lamitrode S lead, potentially beneficial for its possible percutaneous applications, but difficult to fix to perinervous tissues
and easily dislocated, since not particularly suited to the application.
CONCLUSIONS: PNS is most certainly a methodology suited
to some kind of pathologies for its greater antalgic effect with
respect to SCS.
Its field of application can be extended to inflammatory pathologies of difficoult pharmacological treatment, with neuropathic pain localized to hands or feet (rheumatoid arthritis, diabetic neuropathy) and also for nociceptive pain like
Periarthritis of the shoulder.
In order to extend the possibility of implant to be performed
by operators of anaesthesiological background, it becomes
necessary to study dedicated devices, with percutaneous
implantable leads not so easily displaceable.
Furthermore, smaller devices, implantable in the lead’s proximity, should be studied and finally an urgent review of
Reimbursement provisions in Italy, presently not even covering the price of the device itself, could speed up further development of the PNS methodology.
KEY WORDS: Peripheral Nerve Stimulation ; Neuropathic
Pain; Causalgia ; Failed Back Surgery Syndrome
C. Reverberi MD*, A. Dario MD**
*Pain Therapy Centre, Oglio-Po Hospital, Cremona, Italy
**Macchi Foundation Hospital, Neurosurgery, Varese, Italy
INTRODUCTION: Peripheral Nerve Stimulation (PNS) is considered a valid method of therapeutic approach thanks to the
exceptional results obtained in some conditions of neuropathic pain (ex. causalgia) involving metameric distal territories,
especially hands and feet, and nerves like the Great Occipital
and Trigeminal.
Most certainly, this is related to better achievement of algic targets with respect to Spinal Cord Stimulation (SCS) and
Electrical Caudad Nerve Stimulation (ECNS) to physiological
antidromic and orthodromic transit of impulse with peripheral
mechanism, (blockage of afferent impulses from lesional ectopic site) and central (neuromodulation at the synaptic level).
PNS methodology has not been very successful for different
reasons, mainly related to the difficulty of implant (open sky
surgery), the absence of devoted devices (leads and impulse
generators) and, in Italy, to the low level of Reimbursement.
The aim of this abstract is to introduce novel methodologies of
implant with devices presently available on the market, and
application of the same methodologies to new pathologies.
MATERIALS AND TECHNIQUES: From October
2003 to December 2005, in our center has been implanted
nine Stimulator mod Genesis, ANS, Plano, Texas, for two
cases of post traumatic causalgia in the hand and foot, four
cases of Failed Back Surgery Syndrome (FBSS) non responding
to SCS nor ECNS, one case of hands deforming arthritis, one
case of neurofibromialgia syndrome, with pain and paresthesyae on the feet and one case of periarthritis of the shoulder.
In one case of post traumatic causalgia we used one quadripolar Lead mod. Lamitrode S, AMS Group, Italy, placed on the
Radial Nerve at the elbow, whereas in the other case, we
emploiyed the quadripolar Leads for SCS (AMS Group, Italy),
implanted for per cutaneous way near the peroneal nerve cranially to the poples.
For three cases of FBSS and deforming arthritis we put the
Leads mod Lamitrode 4, Ams Group, Italy, respectively on the
Peroneal Nerve cranially to the poples and on the Median
Nerve at the medial third of the arm, fixed to perinerval tissue
and enclosed in a patch of syntetic dura mater.
In the case of neurofibromialgia and in one case of FBSS we
fixed the Lead Lamitrode 4, AMS Goup, Italy, at the muscular
fascia upper the Tibial and Peroneal nerve cranially to the
poples and a “prolene” mesh has been used intead, to improve the adherence to the fascia itself and in the last case
(Periarthritis) has been impanted the Lead Lamitrode 4 AMS
Group, Italy, upon the suprascapular nerve in fossa supraspinata.
When used for upper arm surgeries, the impulse generator has
been placed in the sub-clavicular pocket, at gluteal level in the
remaining cases, with direct clamping to the 60 cm long lead,
tunnelled sub-cutaneously.
The stimulation parameters was 1 – 2.5 Volts, 20 Hz and 300
msec of Pulse Widht.
RESULTS: In all treated cases, we obtained a constant and
significant pain relief after four weeks from implant and the
85% of the patients had been the VAS less than 5 at six months
from the date of implant (p<0.01), with considerable improvement of functional performance an reduction of drug intake.
No local nor general side effects due to the methodology of
implant or to the device itself were observed.
DISCUSSION: The results we achieved are in line with those
REFERENCE
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peripheral nerve stimulation, Journal of Clinical Neuroscience
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Nociceptive Processing: An Electrophysiological Study in
Healty Volunteers, Neuromodulation, Vol. 8, Nà 4, October
2005, 225-232
71
ABSTRACT - RELAZIONI SS-4
EVOLUZIONE DEL TRATTAMENTO DEL DOLORE
CRONICO CON IL NUOVO CATETERE PASHA
E CON RADIOFREQUENZA PULSATA
tamento, una settimana dopo il blocco diagnostico ed ogni
mese dopo la denervazione in radiofrequenza pulsata. È stato
anche valutato il risparmio farmacologico.
Tutti i pazienti sono stati valutati mediamente per 15 mesi
dopo la procedura. In 210 pazienti si è ottenuto il completo
controllo della sintomatologia dolorosa, 90 pazienti hanno
riferito un miglioramento del 50-60%, mentre in 10 pazienti
la procedura è stata inefficace. I pazienti da noi trattati lamentavano un dolore al gluteo, anca ed alla coscia che non scendeva mai al di sotto del ginocchio. Il dolore era riferito come
sordo, profondo che peggiorava con i movimenti di estensione e rotazione del rachide lombosacrale. L’esame neurologico
era sempre nella norma.
Nei pazienti con low back pain, correttamente selezionati,
riteniamo che la denervazione in radiofrequenza pulsata delle
branche mediali possa e debba essere un trattamento da eseguire. Questa tecnica, semplice e sicura, non è a nostro avviso sufficientemente utilizzata oppure usata senza un correto
inquadramento diagnostico, il che espone a una validazione
negativa che questa tecnica non merita.
Abbiamo trattato con il catetere di Pasha, 12 pazienti affetti da
dolore neuropatico di un arto superiore o inferiore. L’etiologia
della sintomatologia dolorosa era legata a una CRPS tipo I ( 4
pazienti), radicolopatia ( 6 pazienti) e PHN ( 2 pazienti). L’età
dei pazienti ( 7 donne e 5 uomini) variava dai 36 ai 68 anni.
Tutti i trattamenti sono stati eseguiti sotto visione fluoroscopica, utilizzando l’approccio ortogrado o retrogrado dello spazio peridurale. La lesione in radiofrequenza pulsate delle radici relative alla zona dolorosa, è stata eseguita con il Pasha
Cath posizionato in paraforaminale. Sono stati trattati almeno
quattro livelli e comunque tutti quelli necessari a coprire la
zona algica.La valutazione iniziale di questo trattamento, sembra suggerire che il trattamento con il Pasha Cath di alcune
sindromi dolorose neuropatiche, possa essere efficace. Il catetere di Pasha sembra essere uno strumento in più per una corretta valutazione delle sindromi neuropatiche e un valido test
per la responsività alla neurostimolazione. Queste valutazioni
eseguite su un campione esiguo di pazienti necessitano di
conferme da parte di altri gruppi di lavoro.
*G. Colini Baldeschi, **G. Babbolin
*SSID Terapia Antalgica - Az.Osp. S.Giovanni-Addolorata Roma
**S.C. Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica Ospedale Cittadella - Padova
Il low back pain è una delle cause più frequenti di limitazione
delle attività quotidiane ed è divenuto un grande problema
sociale per il grande impatto economico che riveste per quanto concerne la spesa sanitaria. La diagnosi è spesso complessa
anche in relazione alla complessa anatomia della colonna vertebrale. I pazienti lamentano sintomi che potrebbero ascriversi ad un dolore discogenico, così quando non risultano evidenti altri meccanismi algici a sostegno della sintomatologia
presentata dal paziente, può essere considerata con buona
ragione la sindrome faccettale.
Dall’ottobre 2001 al settembre 2005 abbiamo trattato 310
pazienti affetti da low back pain. In tutti i pazienti è stata eseguita la denervazione percutanea delle faccette articolari lombari in radiofrequenza pulsata. L’età dei pazienti ( 227 donne
e 83 uomini) variava dai 43 ai 78 anni. Ogni paziente presentava una lunga storia di dolore lombosacrale ed agli arti inferiori, e l’intensità della sintomatologia algica era severa in tutti
i casi.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a blocco diagnostico delle
faccette articolari interessate,una volta la settimana per tre settimane. Nei pazienti che avevano tratto beneficio dal blocco
anestetico, abbiamo eseguito la denervazione percutanea
delle branche mediali in radiofrequenza pulsata. La procedura è stata sempre eseguita con il paziente in posizione prona
sotto visione fluoroscopica. La visualizzazione fluoroscopica è
stata eseguita in proiezione A-P e quindi in obliqua per ottenere l’immagine più corretta per la procedura.
Il follow up è stato eseguito attraverso la valutazione della sintomatologia dolorosa con il Brief Pain Inventory prima del trat-
72
ABSTRACT - RELAZIONI SS-4
NUCLEOPLASTICA PERCUTANEA IN COBLAZIONE
e la neutralizzazione dell’acidità indotta dalla degenerazione
del disco, in seguito la contrazione delle fibre collagene permette la riduzione della parte protrusa. La coblazione provoca
importanti modificazioni biochimiche quali il decremento dell’interleukina 1 responsabile dell’iperalgesia e l’incremento
dei livelli di interleukina 8 rilevabile dopo 12 settimane,
espressione dei processi riparativi discali (O’ Neill 2003).
La decompressione ottenuta consente di migliorare il flusso
assonale e il circolo radicolare (liquorale ed ematico) permettendo una risoluzione dei meccanismi infiammatori periradicolari ed una migliore diffusione delle endorfine; il processo
infiammatorio, infatti, origina da due differenti meccanismi:
• L’ischemia radicolare da compressione
• La neurotossicità dei metaboliti prodotti dalla degenerazione
discale.
Lo studio sperimentale su cadavere circa la pressione intradiscale dopo trattamento in coablazione ha segnalato una marcata riduzione della stessa nel disco dei pazienti giovani e
salutari mentre, nei pazienti anziani, vi è una minor risposta
sebbene essa sia presente e statisticamente significativa.
L’indicazione principale sono le protrusioni discali e le ernie
contenute con sintomi radicolari. Condizione essenziale è l’integrità dell’anulus fibroso, in assenza della quale non può
avvenire il meccanismo di retrazione. Non sostituisce e non e’
alternativa all’intervento chirurgico.
Possibili complicanze della tecnica sono costituite da:
•Lesione radicolare
•Lesione vascolare
•Discite
La nucleoplastica in co-ablazione consente di trattare le ernie
discali contenute mediante tecnica mininvasiva percutanea
con buoni risultati a distanza sia per la decompressione radicolare che nella risoluzione della sintomatologia dolorosa È
una metodica di semplice attuazione e relativamente sicura,
permette un rapido recupero del paziente, purché vengano
rispettate le indicazioni.
A. Cesaroni
U. O. Neurochirurgia Policlinico Casilino - Roma
La decompressione percutanea nel trattamento del prolasso
discale è una tecnica oramai consolidata e che ha dato dei
buoni successi clinici in pazienti preventivamente selezionati,
sia in termini di risoluzione della sintomatologia sia in quelli
di sicurezza e mininvasività. La prima tecnica utilizzata è stata
la chemionucleolisi con chimopapaina seguita dalla discectomia endoscopica e dalla nucleotomia percutanea automatica;
tutte queste tecniche presentavano inevitabilmente dei limiti.
Choy e Ascher utilizzarono la discectomia percutanea
mediante l’impiego del laser con buoni risultati nonostante i
rischi legati all’elevata temperatura. La termolesione in radiofrequenza plasma mediata (Nucleoplastica), già utilizzata in
altri campi, è attualmente la tecnica che meglio risponde alle
esigenze di risoluzione della patologia discale e di sicurezza
della procedura; si tratta infatti di una tecnica mininvasiva, con
bassissimi rischi operatori e un breve periodo di recupero. I
pazienti candidati a tale intervento debbono essere accuratamente selezionati presentando un’ernia contenuta o una protrusione in quanto la tecnica non sostituisce la chirurgia convenzionale nei pazienti affetti da ernia estrusa. I risultati ottenuti dalla nucleoplastica ne hanno incoraggiato l’uso nel trattamento delle discopatie.
Consiste nella ablazione in radiofrequenza del nucleo polposo attraverso un elettrodo introdotto per via percutanea.
L’azione ablativa si esplica attraverso la formazione, all’interno del nucleo, di un plasma ionico derivato dall’attivazione
del sodio, il calore prodotto è basso, circa 52°C, e con una diffusione limitata a 2 mm. Si realizzano dei canali di termolesione nel disco con una rapida perdita di acqua dal nucleo (10
– 20%) ed una immediata decompressione della radice nervosa.
Con la coblazione si ottiene una parziale riduzione del nucleo
NUCLEOPLASTICA LOMBARE E CERVICALE
Consideriamo indicata la nucleoplastica in pazienti con
dolore assiale e/o radicolare e con indagine TC o RNM positiva per protrusione discale o ernia sottoligamentosa con riduzione dello spessore del disco non superiore al 50% .
Trattiamo anche pazienti già operati con tecnica chirurgica tradizionale e pazienti che presentino una patogenesi complessa del dolore cervicobrachiale e del dolore lombare con irradiazione .
Escludiamo i pazienti con ernia estrusa o con deficit motorio,
o con riduzione dello spessore del disco superiore al 50%, o
con degenerazione gassosa del disco, o con patologia discale
settica, infiammatoria o neoplastica .
La nucleoplastica è una metodica di trattamento decompressivo intradiscale che, pur con delle variazioni tecniche ,
che si sono profilate nel corso della esperienza, sta mantenendo la promessa di essere, in mani esperte, una procedura efficace e minimamente invasiva, sia nella esecuzione, sia per la
possibilità assolutamente minima di complicanze.
M. Lucia, R. Conti, A. Badalamenti, P. Enea
U.O. Anestesia e Rianimazione e Terapia del Dolore - Az Villa
Sofia CTO - Palermo
I problemi legati alla chirurgia discale tradizionale e la
recente evidenza della importanza dei processi chimici irritativi oltre che del fattore compressione, sempre più orientano
ad utilizzare metodiche di approccio mininvasivo.
Una tecnica molto vantaggiosa per trattare le protrusioni e
le piccole ernie discali a livello lombare e cervicale , sembra
essere la Coblazione discale o termolesione a radiofrequenza
plasma mediata.
Parliamo della tecnica e dell’ approccio ai diversi livelli e
della gestione del paziente.
Presentiamo la nostra casistica dal 2002 ad oggi , valutata
con follow up a tre mesi ad un anno, a due, a tre, ed a quattro anni .
73
ABSTRACT - RELAZIONI TR-4
FISIOPATOLOGIA DELLA ALLODINIA E CAUSALGIA
COME POSSIBILE BASE TASSONOMICA E DI INDIRIZZO
TERAPEUTICO IN RIFLESSOTERAPIA AGOPUNTURALE
di una relazione spazio temporale con lo stimolo nocicettivo
ma che ha nel sistema nervoso il proprio generatore, tendendo alla instaurazione di meccanismi di automantenimento e
quindi di cronicizzazione.
Questa revisione si prefigge lo scopo di chiarire quali siano i
meccanismi fisiopatologici sottesi alla sensazione di dolore
cronico in funzione di un corretto inquadramento eziopatogenetico e di un migliore approccio sia clinico che terapeutico,
ivi includendo l’aspetto riflessoterapeutico. In questa ottica
verrà posto il problema di un possibile utilizzo dei meccanismi alla base di sintomi quali allodinia e iperalgesia, per quanto ad oggi conosciuti, come indirizzo terapeutico. In altri termini verrà affrontato il problema se e perché lo stimolo agopunturale è in grado di essere utilizzato positivamente in questo tipo di dolori.
In particolar modo ci si riferirà alle componenti allodiniche e
iperalgesiche del dolore a partenza ossea e a partenza muscolare. In questi due ambiti verranno esposti dati sul dolore
osseo derivati dalle esperienze di nucleoplastica sulla presenza di fibre amieliniche nocicettive all’interno dell’osso in
grado di giustificare l’inquadramento di alcuni dolori a partenza ossea come neuropatici, e per quanto riguarda il muscolo del coinvolgimento pivotale delle strutture spinali segmentarie e soprasegmentarie in patologie quali la fibromialgia.
R. Casale
Serv. Neurofisiopatologia, UO di riabilitazione del dolore,
Istituto scientifico di Riabilitazione di Montescano – IRCCS
Fondazione “S. Maugeri” - Pavia, 27040 Montescano
Il dolore fa parte di quegli eventi che sono avvertiti almeno
una volta nella vita da ciascuno di noi, ed è perciò definito
come una esperienza universale. Comunemente il dolore
come segnale di allarme ha una distribuzione spazio-temporale limitata e caratteristiche tipiche del dolore così detto nocicettivo. Tale definizione lega, per il dolore acuto, la presenza
di dolore a quella di uno stimolo nocicettivo adeguato.
Vi sono invece situazioni patologiche in cui il dolore assume
caratteristiche cliniche che indicano una modificazione fisiopatologia nei meccanismi di push-pull tra nocicezione e antinocicezione, tra fenomeni di inibizione/estinzione e fenomeni di eccitazione/facilitazione che accompagnano l’arrivo e la
permanenza di un informazione nocicettiva nel sistema nervoso. In questo ambito rientrano due dei sintomi caratteristici
del dolore neuropatico, di quel dolore che non ha più bisogno
DIAGNOSTICA E MEDICINE COMPLEMENTARI
E’ utile in questa tecnica distinguere il dolore in primario, in
secondario o in dolore con distribuzione anomala?
Le regole della correlazione metamerica, periferica regionale,
cordonale e somatotopica centrale sono quelle che governano
l’espressività del dolore ed a queste deve far riferimento l’applicazione riflessoterapica.
Inoltre le zone di stimolazione vanno identificate nelle zone
di iperalgesia e di allodinia superficiale e/o profonda rispettivamente corrispettivi delle dermalgie riflesse e dei trigger
points della riflessoterapia
R. Rinaldi*, R. Occhioni**, R. Castellani***
S. Meloncelli****
* Professore a contratto Terapia del Dolore, Università degli
Studi La Sapienza, Roma
** Responsabile Terapia del Dolore, Azienda Ospedaliera S.
Camillo-Forlanini, Roma
*** 1° Div. Ortopedia Azienda Ospedaliera S. CamilloForlanini, Roma
**** Servizio Anestesia e Rianimazione Casa di Cura Città di
Roma, Roma
Bibliografia
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Orlandini G., La semeiotica del dolore. I presupposti teorici e
la pratica clinica. A. Delfino Editore, 2005
Le regole in base alle quali la nocicezione in una sede produce dolore in quella sede o altrove è di particolare interesse
nella diagnostica riflessologica e nella sua applicazione pratica.
Spesso il dolore è avvertito in una particolare zona e la lesione algogena in una zona può esprimersi altrove come dolore.
Il dolore si localizza in una certa sede perché in essa vi è la
nocicezione o perché speciali meccanismi patogenetici fanno
si che esso sia avvertito in sede diverse.
I punti a distanza dell’agopuntura sono riferibili a questi meccanismi?
Anche nella riflessoterapia la modalità espressiva del dolore
dal punto di vista topografico ha il suo significato?
74
ABSTRACT - RELAZIONI TR-4
RICERCA SCIENTIFICA ED
AGOPUNTURA
analgesica dell’agopuntura. In realtà non vi è affatto univocità
di vedute su tale meccanismo d’azione, tanto che una revisione della letteratura degli ultimi 20 anni mostra che, su 46 articoli pubblicati su questo argomento, 39 risultano a favore di
un coinvolgimento delle endorfine, parziale o totale, mentre 7
appaiono contrari a tale coinvolgimento.
Un altro punto estremamente dibattuto riguardo tale pratica
medica non convenzionale è la reale efficacia sul trattamento
del dolore; per alcuni autori non esistono evidenze sufficienti
per concludere che l’agopuntura è più efficace sul dolore
rispetto al placebo o all’agopuntura simulata2, altri autori
A. Piroli, A. Ciccozzi, F. Marinangeli, I. Marsili, A. Paladini,
G. Varrassi
Università degli Studi di L’Aquila, Cattedra di Anestesia e
Rianimazione
Da molto tempo l’agopuntura è divenuta una delle metodiche
di medicina non convenzionale più diffuse in Occidente.
Questa pratica, insieme alla moxibustione, è parte integrante
di un più vasto sistema terapeutico, la Medicina Tradizionale
Cinese, che rappresenta di sicuro uno dei sistemi terapeutici
più antichi dell’umanità.
La diffusione di queste terapie ha superato da molto tempo i
confini Orientali e, anche i paesi Occidentali più industrializzati, ne hanno cominciato a valutare l’efficacia, l’innocuità e
le potenzialità di tipo preventivo.
A tale diffusione clinica è necessariamente conseguito un crescente interesse scientifico, testimoniato da numerose pubblicazioni prodotte da autori sia occidentali che cinesi, volto a
valutare scientificamente i vari aspetti di tale pratica medica.
Melzack nel 19811 sosteneva che l’agopuntura non ha fonda-
sostengono la assoluta inutilità di tale pratica3, numerosi
studi, infine, ne testimoniano l’efficacia nel controllo del dolore acuto e cronico.
Le speculazioni scientifiche effettuate riguardano sia studi su
animali, sia ricerche di laboratorio sull’uomo che ricerche cliniche. La non concordanza di risultati fa comprendere come
vi è la assoluta necessità di uniformare quanto più possibile la
ricerca scientifica, in termini di disegno dello studio, tecnologie di misura e follow-up a lungo termine.
Bibliografia
1. Melzack, Arch Phys Med Rehabil 1981; 62: 114-17
2. Associazione Medica Americana, 1981.Annual Meeting
Report: Acupuncture. J Tenn Med Assoc 1981; 75: 202-4
3. Sweet, Pain 1981; 10: 297-309
menti scientifici, anche se la scoperta delle encefaline e delle
endorfine negli anni ’70 ha condotto vari autori a sostenere l’ipotesi che il rilascio di tali sostanze sia alla base dell’efficacia
INTEGRAZIONE FARMACI-AGOPUNTURA:
BASI RAZIONALI
puntura.
Altri farmaci che influenzano la cinetica di oppiodi, serotonina, dopamina e gaba quali la metoclopramide, neurolettici
miorilassanti possono modificare l’analgesia da agopuntura.
Da tenere in considerazione anche la possibilità di sviluppo di
tolleranza o di non risposta alla stimolazione agopunturale.
Tra agopuntura e morfina esiste tolleranza crociata e CCK-8,
angiotensina II, OFQ-nociceptina, ed NMDA-receptor sembrano essere alla base del meccanismo.
In conclusione si può affermare che l’azione analgesica della
stimolazione agopunturale sembra derivare dal bilancio tra
l’influenza del sistema oppioide ed antioppioide, e l’associazione con alcuni farmaci può incrementare l’azione analgesica se richiesta, ma anche cercare di ridurre il fenomeno della
tolleranza in corso di terapia e trasformazione dei non responders in responders.
G. Gagliardi, F. Ceccherelli, M. Meneghetti, S. Zampieri,
V. Merlo, C. Ori
Molti sono gli studi sia su animale che clinici che in questi ultimi anni hanno descritto, anche se non completamente, i meccanismi neurofisiologici e le basi neurochimiche della stimolazione agopunturale. La comprensione di tali meccanismi ha
una grande valenza nella pratica clinica quotidiana per quanto riguarda in particolare il potenziamento farmacologico della
analgesia da agopuntura.
I peptidi oppiodi e la serotonina sono descritti come i principali neuromediatori implicati nella analgesia da agopuntura e
tutti i farmaci agonisti ed antagonisti di tali mediatori rispettivamente potenziano o aboliscono l’analgesia indotta da ago-
75
ABSTRACT - RELAZIONI TR-4
LA TERAPIA INTEGRATA DEL DOLORE NEUROGENO
Sono stati trattati 30 pazienti, affetti da proctalgia, tutti con
anamnesi positiva per pregresso intervento chirurgico per
patologia benigna (emorroidi, ragade anale, prolasso mucoso).
Il dolore era riferito continuo con accentuazione post-evacuazione, durata media di 24.16 mesi; e 25 pazienti affetti da
nevralgia post-herpetica toracica. Per tutti i pazienti il trattamento è stato un ciclo terapeutico di elettroagopuntura associato alla somministrazione di amitriptilina con un dosaggio
tra 5 e 10 mg. Il trattamento riflessoterapico veniva continuato fino al miglioramento della sintomatologia; se dopo 8 sedute non si registrava alcun miglioramento clinico il trattamento
veniva interrotto. La seduta terapeutica era così svolta:
L’associazione tra riflessoterapia e amitriptilina si è dimostrata
efficace per il sollievo del dolore nei nostri pazienti. Nei
pazienti portatori di proctalgia l’intensità del dolore è diminuita da uno score totale iniziale di 39.89 ± 9.61 ad un livello di 18.74 ± 7.23 a fine terapia e 20.89 ± 12.96 dopo un
mese e 22.54 ± 9.27 al controllo dei tre mesi.
Nei pazienti portatori di nevralgia posterpetica si è passati da
un livello iniziale di 36.85 ± 6.63 a 15.15 ± 11.15 a fine terapia ed al controllo del mese a 15.85 ± 14.88.
F. Ceccherelli, G. Gagliardi, S. Zampieri, V. Merlo, C. Ori
Dipartimento di Farmacologia ed Anestesiologia - Università
di Padova - A.I.R.A.S.- Padova
Osservatorio per le Medicine non Convenzionali
Regione Veneto
Il dolore neurogeno rappresenta un capitolo molto vasto della
terapia antalgica e riassume un notevole numero di quadri clinici anche molto diversi fra di loro.
Ji Hoon Kim e coll. 2004 hanno osservato la possibilità di lenire l’allodinia mediante elettroagopunturta in un modello di
dolore neuropatico nel ratto ed hanno verificato che, con una
frequenza di 2 Hz la modulazione dell’allodinia dipende dai
recettori m e d, mentre i k non sembrano rilevanti.
Abuaisha BB e coll. 1998 hanno osservato l’efficacia a lungo
termine (52 settimane) dell’agopuntura nel dolore neuropatico
in corso di diabete. Abbiamo inteso valutare se una terapia
integrata tra elettroagopuntura ed amitriptilina sia efficace per
il controllo del dolore cronico da proctalgia insorto dopo intervento chirurgico e del dolore nella nevralgia post-herpetica.
LUMBAR FACET DENERVATION IN THE MANAGEMENT
OF CHRONIC LOW BACK PAIN
controlled diagnostic injections to determine who will
respond to radio frequency treatment. Despite the value of placebo-controlled injections (i.e., comparative blocks with saline versus local anesthetic on different occasions), this is
impractical in most clinical settings. Most practitioners rely on
a single set of diagnostic local anesthetic blocks to the medial
branch nerves at the levels of suspected pathology to determine who should receive radio frequency treatment. Those who
report significant pain relief, usually defined as 50% or greater
pain reduction lasting the average duration of the local anesthetic, go on to fluoroscopy guided radiofrequency treatment.
Similarly transient pain relief with intra-articular injection of
local anesthetic can also be used as a reasonable prognostic
test before proceeding with radio frequency treatment.
Conventional radio frequency treatment produces a small area
of tissue coagulation surrounding the active tip of an insulated
cannula. When the tip of the radio frequency cannula is placed in close proximity to the facet medial branch, the lesion
encompasses the nerve causing denervation. The most commonly used cannula for facet treatment are 22-gauge SMK
(Sluijter-Mehta cannulae) which come in 5, l0, and 15-cm
lengths with an active tip (noninsulated area where coagulation occurs) of 4,5, or l0 mm. For all but the most obese
patients, the l0-cm cannula with 5-mm active tips are used.
Our first experience with a new, 18 Ga, 10-cm length and curved 10-mm active tip cannula will be presented.
In more recent years, pulsed radiofrequency treatment has
come into frequent use. Pulsed radiofrequency produces voltage fluctuations at the tip of the cannula that are similar in
magnitude to those produced during conventional radiofrequency treatment
(40 to 50 V at 300 kHz). By applying the radiofrequency
energy in intermittent pulses, the voltage fluctuations can be
applied without heating of the tissue or resultant tissue
coagulation. Pulsed radio frequency has been shown to produce significant changes in gene expression within the dorsal
horn of experimental animals, but evidence for the clinical
efficacy of this approach is still lacking. The key concept when
using conventional versus pulsed radiofrequency is to understand where the lesion or pulsed
radio frequency energy will occur relative to the active tip.
Techniques for both conventional and pulsed radiofrequency
treatment will be discussed.
D. Niv, MD FIPP
Professor and Chairman Center for Pain Medicine
Sourasky Medical Center affiliated to the Sackler Faculty of
Medicine, Tel Aviv University,
Tel Aviv, Israel
Osteoarthritis including arthrosis of the lumbar spine are very
common and an inevitable part of aging. Both body weight
load and the degenerative cascade that lead to degeneration of
the intervertebral discs, cause progressive disc dehydration
and loss of disc height. Typically starting in the third decade of
life, disc degeneration leads to increased mobility of adjacent
vertebrae and increased shear forces on the facet joints themselves. This can lead to a pattern of pain over the axis of the
spine that increases with movement, particularly with flexion
and extension, but produces little or no pain radiating toward
the extremities. In the past, the only available treatment for
those with debilitating facet-related pain was segmental fusion
of the spine to completely arrest motion within the painful portion of the spine.
Recent years have witnessed the development of Intra-articular facet injection modalities largely followed by radiofrequency treatment techniques for facet-related pain. Clinical
experience and a limited number of published observational
studies suggest that the intra-articular injection of local anesthetic and steroid leads to relief of facet related pain that is
limited in duration. In contrast, radiofrequency treatment is
safe and modestly effective in producing longer-term pain
relief in the same group of patients. Nonetheless, an understanding of facet-related pain syndromes and the methods for
both placing
medication directly within the facet joint and performing
radiofrequency denervations enable for the present time an
adequate response to a demand for treatment in around 70
percent of the LBP facet related sufferers.
When should facets denervation be recommended? In those
patients who receive only temporary relief from therapeutic
intra-articular facet injections or who have pain that is more
diffuse, requiring treatment at numerous levels, radiofrequency treatment can produce significant, enduring pain
relief. Many investigators have pointed to the need for
76
ABSTRACT - RELAZIONI TR-5
FARMACI NON ANALGESICI NELLA MODULAZIONE DEL
DOLORE MUSCOLARE
sita. Il dolore muscolare può anche essere ridotto o addirittura completamente controllato dall’utilizzo di farmaci non primariamente analgesici: un esempio è rappresentato dai composti antiossidanti, che si sono rivelati altamente efficaci nelle
mialgie dei pazienti affetti da sindrome da fatica cronica (CFS),
o dalla l-carnitina che contribuisce spesso a lenire il dolore
muscolare sia dei pazienti CFS che dei pazienti affetti da
Sindrome Fibromialgica. Nel corso della relazione saranno
descritti i quadri clinici più frequenti di dolore muscolare
modulato dai farmaci non analgesici e discussi i meccanismi
fisiopatogenetici dell’azione algica o antalgica osservata nei
singoli casi.
M. A. Giamberardino
Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento Università “G. D’Annunzio” - Chieti
Il dolore muscolare può essere provocato dalla assunzione di
farmaci non analgesici utilizzati nella terapia di svariate condizioni morbose: è il caso delle statine che vengono assunte
per il controllo dell’iperlipidemia, e degli antivirali impiegati
per il trattamento della sindrome da immunodeficienza acqui-
ORMONI GONADICI COME MODULATORI DELLA
PERCEZIONE ALGOGENA
numero elevatissimo di funzioni svolte da questi ormoni sull’organismo umano sia maschile che femminile, si ritiene che
questi risultati indichino la necessità di valutare una terapia
sostitutiva a base di ormoni nei pazienti con dolore cronico,
ma soprattutto nei pazienti in trattamento cronico con oppiacei.
A. M. Aloisi, G. Passavanti, M. Carlucci, I. Ceccarelli
P. Fiorenzani, E. Aceto, M. G. Coppola
Laboratorio di Neurofisiologia dello Stress e del Dolore,
Dipartimento di Fisiologia, Università di Siena, Via Aldo
Moro, 2, Siena
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Tra gli ormoni più sensibili alle variazioni dello stato di salute
dei pazienti, ma pochissimo studiati in relazione al dolore cronico, ci sono certamente gli ormoni gonadici: estrogeni e
androgeni. Nei soggetti con dolore cronico e trattati con
oppiacei i livelli di estradiolo e quelli di testosterone sono più
bassi dei controlli sia negli uomini che nelle donne. Questi
dati mostrano la presenza di un importante effetto neuroendocrino del dolore e del dolore più oppiacei sul funzionamento
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Data la complessità ed il
77
ABSTRACT - RELAZIONI TR-6
STRESS E CURE PALLIATIVE
emozioni e soprattutto il lutto provocano ancora conseguenze, ma molto più limitate sia come impatto che come gestione nel tempo. L’esperienza di lavoro e il ricorso a modalità più
costruttive nella gestione delle emozioni permette un allentamento della tensione e delle difese, ormai non più estremizzate. C’è ancora il bisogno di mettere una certa distanza dal
paziente e della famiglia in quanto erogatori di emozioni e
qualche tentennamento esiste soprattutto quando scatta il
meccanismo dell’identificazione. L’operatore deve mettere in
atto una modalità sanamente egoistica che metta la propria
salute psicofisica al primo posto eliminando la rischiosa tendenza di attendersi i cambiamenti e le soluzioni dall’esterno.
La ricca vita interiore di ognuno contiene pensieri, sensazioni,
convinzioni che costituiscono una meravigliosa sorgente di
anticorpi rispetto alle intrusioni esterne senza peraltro necessitare di corazze o barriere poderose.
Il quinto scalino conclude l’evoluzione e raggiunge la maturità nel processo emozionale di chi opera con pazienti e familiari nelle Cure Palliative. La consapevolezza delle proprie e
delle altrui emozioni permette un coinvolgimento professionale ed un calore nell’assistenza senza peraltro rimanerne
scottati. La natura delle situazioni stressanti è ben conosciuta
e soprattutto nello specifico delle cure di fine vita. L’abilità di
filtrare le emozioni rende possibile il vissuto esperienziale nell’assistenza del paziente e della sua famiglia e la valutazione
dell’impatto sul proprio personale e professionale. Gli operatori che raggiungono questo livello tendono ad avere una chiara filosofia di vita nei suoi aspetti materiali e spirituali e riescono a vivere in modo equilibrato il presente in previsione di un
futuro. Il senso di autoefficacia professionale si combina con
quello personale riuscendo ad apprezzare i limiti personale e
la propria forza interiore. L’incontro con le diverse persone nel
corso dell’attività in Cure Palliative è una risorsa preziosa che
arricchisce la giornata.
Razionalizzare emotivamente.
Razionalizzare emotivamente è la chiave di lettura cognitiva
che permette di lavorare a contatto con emozioni fortissime,
come quelle legate alla malattia grave e alla morte.
L’equilibrio fra ragione ed emozioni fa parte della preparazione specifica e del bagaglio personale dell’operatore di Cure
Palliative.
A. Lamberto
Centro di Algologia e Cure Palliative
A.S.O. Ospedale Santa Croce e Carle - CUNEO
Premessa. Lo stress e le Cure Palliative sono in correlazione
diretta a causa delle caratteristiche specifiche del lavoro stesso. Molto spesso lo stress rimane nella dimensione di eustress,
cioè di stress con caratteristiche positive. In casi più limitati lo
stress diventa distress con tutte le inevitabili sequele negative
sul piano psicosomatico, comportamentale e relazionale.
Sono state identificate una serie di cause dello stress del curante. Nelle Cure Palliative il ruolo principale è giocato dalla
gestione delle emozioni.
Gli stadi del percorso emozionale nelle cure palliative.
Cinque scalini caratterizzano la risposta emozionale degli
operatori e la loro conoscenza è la base per affrontare la
gestione delle emozioni.
Il primo scalino è molto razionale. Le difficoltà e i problemi
vengono tradotti in procedure e inseriti in una cornice intellettuale in grado di dare risposte precise e tecniche. La formazione ricevuta sembra essere in grado di fornire risposte adeguate nella maggior parte delle situazioni lavorative. Il secondo è caratterizzato da senso di colpa e frustrazione per non
riuscire a dare risposte complete ai bisogni del paziente e della
famiglia. Le emozioni dell’assistenza pesano profondamente
sull’operatore che spesso si rispecchia nelle persone coinvolte
nell’assistenza. Assorbe i loro problemi e li vive in prima persona con tutto il senso di impotenza sia professionale che personale. Seguendo un numero di casi sempre maggiore, la probabilità dell’insuccesso aumenta considerevolmente e ci si
accorge che i fallimenti sono molto maggiori di quanto si
potesse preventivare. Aumenta soprattutto la propria capacità
professionale di osservare le situazioni difficili e di viverle, ma
le emozioni riescono a trovare una breccia sempre più larga.
Il terzo scalino subisce il peso di quello precedente e si esprime con problemi depressivi, di chiusura e notevolissima difficoltà a gestire il lutto della persona assistita. In questa fase il
comportamento si estremizza fra un ulteriore coinvolgimento
e prendere molta distanza dalle emozioni. Il percorso emozionale ha raggiunto la punta più alta e conseguentemente più
problematica. In questa fase non si riescono a mobilitare risorse per fronteggiare l’intrusione di emozioni attuali ed emozioni accumulate nel corso degli anni di lavoro. Il quarto rappresenta il passaggio ad una fase più razionale, nella quale si
riesce a distinguere fra se stessi e il paziente e i parenti. Le loro
Bibliografia
L. Ferrato, A. Lamberto. Razionalizzare emotivamente. La
gestione delle emozioni nelle Cure Palliative. Edizioni CVS
Roma 2006.
PER MORIRE VIVENDO: VIATICO PER UNA MORTE CON
DIGNITÀ E SENZA SOFFERENZA
causale attiva deve essere abbandonato e lo sforzo medico
deve concentrarsi prevalentemente sul controllo dei sintomi
(dolore compreso) e sul trattamento dei problemi emozionali
e socioambientali del paziente, fino al suo exitus, necessariamente coinvolgendo anche il nucleo familiare. È questa la
cosiddetta cura terminale, contrapposta alla terapia attiva,
finalizzata a consentire al paziente di vivere fino alla sua
morte una qualità di vita dignitosa .
Obiettivo primario deve dunque essere quello di garantire «
una morte appropriata», riconoscibile come l’assenza della
sofferenza, la preservazione delle più importanti relazioni
interpersonali, il sollievo delle angosce e delle paure e un
livello di performance compatibile con le limitazioni fisiche
imposte dalla malattia, il tutto nell’ambito degli ideali e dei
sistemi di convinzione dell’Io del soggetto.
Verranno illustrate delle linee guida che si configurano come
un vero e proprio approccio integrato e negoziato col paziente, viatico per una morte con dignità e col minor carico di sofferenza. Per morire vivendo
G. De Benedittis
Centro per lo Studio e la Terapia del Dolore (CSTD),
Università di Milano
U.O. Neurochirurgia, Ospedale Policlinico, Regina Elena e
Mangigalli, IRCCS, Milano
Le metodiche psicologiche e psichiatriche, unitamente agli
interventi di carattere psicosociale, possono dare un contributo di primo piano nell’offrire empaticamente un valido aiuto al
paziente che soffre e che muore e, soprattutto, nel rifondare
una cultura della morte, che non sia soltanto quella «ad alto
contenuto tecnologico», ma che cerchi di recuperare un sistema di significati che riportino l’idea della morte nel cuore
della vita.
Il ruolo di queste metodiche, significativo durante tutte le fasi
della malattia neoplastica, diventa essenziale nella fase terminale. A questo punto, l’ accanimento terapeutico della terapia
78
POSTER 8 GIUGNO
EPIDURALE ANTALGICA IN PRONTO SOCCORSO
della coagulazione, allergia ai farmaci utilizzati, pregressi
interventi sulla colonna. I pazienti sono stati trattati con iniezione peridurale in single-shot con metilprednisolone acetato
e ropivacaina 0.25%.
Risultati: sono stati trattati 25 pz, 10 donne, di età media di 45
anni (SD10.5). In 18 la ED era nel tratto lombare. Il VAS medio
era 8.5 (SD 2.3). 24 pazienti sono stati in regime di day-hospital, con un buon controllo della sintomatologia (VAS medio
1.5, SD 1.2) solo1 pz ha necessitato di ricovero e successivo
intervento chirurgico. Non ci sono stati effetti avversi.
Discussione: La nostra esperienza ha indicato nella peridurale
precocissima eseguita in PS per ED una terapia efficace per il
controllo del dolore, con una riduzione di ricoveri specialistici, quindi una riduzione dei costi.
A. Brunelli*, G. Verde*, A. Nava *, M. Allegri °
C. Della Ferrera °, G. Arachi °, A. Braschi °, A. Pasqualucci §
*Reparto di Anestesia e Rianimazione Ospedale Civile
Alessandria.
°Istituto di Anestesia e Rianimazione Ospedale San Matteo,
Università degli Studi di Pavia
§ Istituto di Anestesia e Rianimazione Ospedale Santa Maria
della Misericordia, Università degli Studi di Perugia
L’analgesia peridurale, nelle sindromi dolorose da ernia discale (ED), è una tecnica efficace1.
Anche nel dolore da ED la precocità del trattamento è una
determinante nell’evoluzione del dolore2. Abbiamo portato la
tecnica peridurale in pronto soccorso (PS), per trattare i
pazienti (pz) più precocemente possibile.
Materiali e metodi: nei pazienti arruolati in PS è stata fatta diagnosi di lombosciatalgia o cervicobrachialgia da ED dal neurochirurgo/neurologo e dall’anestesista, con il supporto di
immagini RX e/o TC della colonna eseguite in urgenza. I pz
trattai avevano VAS>6. Sono stati esclusi i pz con alterazioni
Bibliografia
1. Price C, Arden N, Coglan L, Rogers P. Cost-effectiveness
and safety of epidural steroids in the management of sciatica. Health Technol Assess. 2005 Aug;9(33):1-58.
2. Benzon HT: Epidural steroid injections for low back pain
and lumbosacral radiculopathy. Pain, 24, 1986, 277-295.
NEUROSTIMOLAZIONE MIDOLLARE SUBLIMINARE
NELL’ANGINA PECTORIS: UN CASO CLINICO
re a livello C7-T1 iniziando una stimolazione parestesica. Si è
valutato a 1 e 3 mesi l’efficacia intesa come limitazione funzionale (tramite un questionario di valutazione dell’attività
quotidiana) del soggetto e eventuale variazione del test da
sforzo (negativo anche prima dell’intervento) e dell’ecocardiogramma (FE 45%).
Risultati: il paziente nei 3 mesi successivi ha avuto solo 2 episodi anginosi dopo esposizione al freddo. Nella valutazione di
limitazione funzionale si è registrato un netto miglioramento
(aumento dell’attività del paziente in quasi tutti gli item esaminati) della capacità a svolgere sia l’attività quotidiana sia a
svolgere sforzi moderati. Non si è invece registrata alcuna
variazione significativa al’ECG da sforwo e all’ecocardiogramma dopo 3 mesi.
Conclusioni: la neurostimolazione midollare si è rilevata efficace nel controllo dell’angina refrattaria anche a intensità subliminare.
V. Carboniæ, B. Rossiniæ, C. Pedroniæ, A. Serioø,
A. Brunelli∂, M. Allegriµ, A. Pasqualucciπ, A. Braschiœ
æ Specializzando in Anestesia e Rianimazione Università
Pavia – IRCCS Policlinico S Matteo Pavia
∂ Dirigente Medico I Livello Anestesia e Rianimazione
Ospedale Civile Alessandria
µ Dirigente Medico I Livello Anestesia e Rianimazione I IRCCS Policlinico S Matteo Pavia
ø Contrattista Dipartmento Cardiologia IRCCS Policlinico S
Matteo Pavia
π Professore in Anestesia e Rianimazione Università Perugia
œ Professore e Direttore Scuola Specialità Anestesia e
Rianimazione Università Pavia
Bibliografia
1. Di Pede F et al. Investigators of the Prospective Italian
Registry of SCS for Angina Pectoris. Immediate and longterm clinical outcome after spinal cord stimulation for
refractory stable angina pectoris. Am J Cardiol. 2003 Apr
15;91(8):951-5.
2. Aronow WS, Frishman WH. Spinal Cord Stimulation for the
Treatment of Angina Pectoris. Curr Treat Options
Cardiovasc Med. 2004 Feb;6(1):79-83.
Introduzione: la neurostimolazione spinale rappresenta una
importante scelta terapeutica per il trattamento dell’angina
refrattaria1,2. In questo case report si è valutata l’efficacia
della neurostimolazione anche a intensità subliminare (intensità pari al 80% della minima intensità percepita dal paziente.
Caso Clinico: paziente uomo 50 anni, classe Canadian III, in
anamnesi due infarti documentati. Il paziente aveva lamentato
42 attacchi anginosi dopo sforzi anche lievi nonostante i 3
bypass già effettuati. È stato, quindi, posizionato elettrocatete-
79
POSTER 8 GIUGNO
IL KETOROLAC PUÒ RISOLVERE LO SPASMO VESCICALE
NEL PICCOLO PAZIENTE UROLOGICO SOTTOPOSTO AD
INTERVENTO CHIRURGICO DI CORREZIONE DI
MEGAURETERE E DI REFLUSSO VESCICO-URETERALE?
tare il livello di analgesia.
RISULTATI: in 5 pazienti del gruppo A (FLACC≥1) è stata
necessaria una nuova somministrazione di Ketorolac, a 6 ore
da quella intraoperatoria, con il ritorno ad uno stato di benessere (FLACC = 0).
In 4 pazienti del gruppo B (FLACC=2) con due somministrazioni di paracetamolo a distanza di sei ore ciascuna abbiamo
ottenuto un parziale miglioramento (FLACC≥1). In 7 pazienti
del gruppo B (FLACC≥1) nonostante la somministrazione di
Paracetamolo non abbiamo registrato alcun miglioramento.
CONCLUSIONI: malgrado il piccolo campione considerato
evidenziamo l’incapacità del Paracetamolo nel prevenire e nel
trattare il dolore da spasmo vescicale contro i buoni risultati
ottenuti con il Ketorolac1.
F. Corradetti, M. Cascelli, M. Di Virgilio, F. Gori
A. Pasqualucci, S. Tesoro
Università degli Studi di Perugia
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Sezione di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore.
Direttore V. A. Peduto.
MATERIALI E METODI: 20 pazienti (ASA I-II) suddivisi in due
gruppi (A-B) non randomizzati per l’analgesia post-operatoria.
Indotta l’anestesia generale è stata eseguita un’analgesia caudale con levobupivacaina.
Nel gruppo A è stato somministrato Ketorolac mentre nel
gruppo B Paracetamolo.
Nel post-operatorio è stata utilizzata la Scala FLACC per valu-
Bibliografia
1. Park JM, et al: Ketorolac Suppresses Postoperative Bladder
Spasm After Pediatric Ureteral Reimplantation.
Anest.Analg. 2000; 91: 11-15.
UTILIZZO DELLA BUPRENORFINA TDS NEI PZ CON
HERPES ZOSTER: STUDIO PRELIMINARE
si presentava intenso, urente e trafittivo non controllabile con
FANS e oppioidi deboli. Per entrambi la VAS iniziale era 8 –
9. E’ stata aggiunta alla loro terapia buprenorfina TDS 35
mcg/h e amitriptilina 10 gtt la sera.
RISULTATI
Nel primo pz la VAS a 4 giorni si è ridotta a punteggio uguale a 5 per poi continuare a migliorare fino a punteggio di 2 –
3 a 1 settimana dall’inizio del trattamento, nella seconda la
VAS a 48 ore si è ridotta a 4 ed è diminuita fino a 2 a 72 h.
Entrambi hanno riferito prurito, nausea e stipsi ed in entrambi
i casi il prurito è scomparso senza alcuna terapia in 24 – 48 h,
la nausea presente senza episodi di vomito è scomparsa
anch’essa senza terapia in 48 – 72 h mentre per la stipsi sono
stati somministrati blandi lassativi.
CONCLUSIONI
Non è possibile trarre conclusioni dal momento che l’esperienza è in fase iniziale. La BTDS nei nostri due pz si è dimostrata efficace con scarsi effetti collaterali e ciò ci spinge a continuare questa esperienza clinica.
D. Della Porta, D. Lo Sapio, R. Cocchia, A. Pironti,
S. Ambrosio, S. Notaro, B. Lo Sapio, M. Chiefari
Dipartimento di scienze Anestesiologiche, Chirurgiche e
dell’Emergenza
Seconda Università degli Studi di Napoli
U.O. Complessa di Anestesia Rianimazione e Terapia
Antalgica
P.O. “Cardinale Ascalesi” – ASL Na 1 - Napoli
INTRODUZIONE
La buprenorfina transdermica (BTDS) si è dimostrata un utile
presidio farmacologico nel controllo del dolore oncologico e
oggi viene utilizzata anche per il dolore neuropatico non
oncologico quale la nevralgia posterpetica. L’Herpes Zoster,
anche in fase acuta, presenta una sintomatologia estremamente dolorosa caratterizzata da intenso bruciore e prurito.
Abbiamo pensato quindi di utilizzare la BTDS nel dolore da
Herpes Zoster in fase acuta e valutarne l’efficacia.
CASI CLINICI
Sono stati trattati 2 pz un uomo di 47 aa e una donna di 62 aa,
il primo affetto da Herpes Zoster con interessamento del territorio di innervazione dello sciatico, con lesioni cutanee visibili, la seconda affetta da Herpes Zoster della branca oftalmica del trigemino. Entrambi sono giunti alla nostra osservazione già in trattamento con carbamazepina 150 mg/die,
Vitamina B12, Alinerv e pomate a base di lidocaina. Il dolore
BIBLIOGRAFIA
1. Espana A, Redondo P. “Update in the treatment of herpes
zoster.” Actas Dermosifiliogr. 2006 Mar;97(2):103-14.
2. Johnson RW. “Pain following herpes zoster: implications for
management.” Herpes. 2004 Dec;11(3):63-5.
3. Likar R, Sittl R. “Transdermal buprenorphine for treating
nociceptive and neuropathic pain: four case studies.”
Anesth Analg. 2005 Mar;100(3):781-5.
80
POSTER 8 GIUGNO
BURNOUT E CURE PALLIATIVE. IL RUOLO DELLA
SUPERVISIONE
out: esaurimento emozionale, depersonalizzazione e bassa
autostima. L’esistenza di problemi psichiatrici fu rilevata nel
28% dei medici. In confrontro con analoghi studi USA i UK
hanno un ugual livello di esaurimento emozionale e bassa
autostima.
Burnout dei family caregivers. Il supporto familiare implica
aspetti fisici emozionali ed anche finanziari. La predisposizione al burnout dei family caregivers è la conseguenza del fallimento, della stanchezza fisica e mentale data dal prolungarsi
della malattia e dalla sempre maggiore richiesta di attenzioni.
Il coinvolgimento è totale e non lascia più spazio per sé stessi
e per le altre attività che non siano l’assistenza.
Proposte di intervento: la supervisione. Un piano operativo di
intervento sul burnout e sulle cause scatenanti prevede tre elementi essenziali sui quali si può intervenire:
L’organizzazione del lavoro
La personalità dell’operatore
La coesione del gruppo.
Nelle Cure Palliative risulta fondamentale il ruolo dell’èquipe
e soprattutto degli incontri periodi di supervisione. La supervisione è un contenitore che affronta le difficoltà a livello personale, nella vita del gruppo, nella relazione col paziente e
nella comprensione dei conflitti della famiglia in assistenza. Si
esaminano le emozioni e gli stress del periodo che raggiunge
la riunione precedente ponendo un percorso comune di
gestione.
In questo contesto i membri del gruppo progressivamente
familiarizzano con le cause dello stress e con i sintomi che
segnalano il superamento della soglia personale. La rabbia,
l’angoscia, il senso di irritazione, l’aumento della conflittualità possono provocare conflitti nel gruppo o decisioni e assunti personali di inadeguatezza che possono influenzare negativamente l’intera attività di cura al paziente. Anche la vita privata dell’operatore ne viene condizionata dando forza e velocità ad un circolo vizioso che dal lavoro si estende all’intera
rete sociale e relazionale. La conflittualità si esprime sia con il
paziente e la famiglia sia all’interno dell’équipe ed è di quest’ultima che in supervisione vengono analizzate i contenuti
ed i processi che tratteggiano lo storico della vita del gruppo,
a partire dalla sua costituzione, fino ad arrivare ai più recenti
innesti.
Per le caratteristiche sopra elencate la supervisione si pone
come uno dei pilastri fondamentali delle prevenzione del burnout nelle cure palliative.
A. Fogliardi, R. Filipponi*
Responsabile U.O. Terapia del Dolore e Cure Palliative ASUR Marche Zona Territoriale 3 - Fano
*Psicologa U.O. Terapia del Dolore e Cure Palliative - ASUR
Marche Zona Territoriale 3 - Fano
Premessa
Il termine burnout è stato introdotto in letteratura dallo psicoanalista H. J. Freudenberger che nel 1974, (1) in un articolo
pubblicato sul “Journal of social Issues” ha descritto “uomini e
donne dinamici, carismatici e risoluti... che si impegnano fino
in fondo in tutto quello che fanno, lasciandosi coinvolgere
anche intimamente”. In particolare Freudenberger (2) descriveva l’esaurimento fisico ed emotivo vissuto dagli operatori
psichiatrici e sosteneva che il burnout tendeva ad apparire
circa un anno dopo l’inizio di un lavoro in una realtà istituzionale tra gli operatori più impegnati e motivati. Fra le caratteristiche predittive descriveva la noia e la routinizzazione del
lavoro quotidiano. Successivamente, Christina Maslach, (3)
scrive che «l’individuo a rischio di burnout manca di fiducia in
se stesso, ha scarsa ambizione... non ha né obiettivi chiaramente definiti, né la dose di decisione e sicurezza necessaria
a raggiungerli». In particolare la Maslach definisce il burnout
come “una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale”
Il burnout nelle Cure Palliative. Una delle caratteristiche peculiari delle Cure Palliative è di coinvolgere non solo le classiche figure professionali quali medici ed infermieri, ma impegna pesantemente la famiglia del paziente. Perciò affrontare il
burnout nelle Cure Palliative richiede anche un’ampia considerazione delle problematiche relative ai cosiddetti “Family
Caregiver” cioè di quelle persone della famiglia che si occupano maggiormente della cura del paziente.
Burnout degli infermieri. Data la complessità nell’assistenza
del paziente oncologico, sono state riportate diverse problematiche per gli infermieri che se ne occupano. L’impegno
lavorativo richiede spesso un maggior controllo mentale ed
emozionale rispetto ad altre aree poiché si è esposti alle manipolazioni del paziente che ha una prognosi nefasta, dei parenti che cercano di avere maggiori informazioni e nello stesso
tempo le vogliono tacere al proprio familiare. In qualche
modo una ulteriore frustrazione è costituita dalla consapevolezza di non operare per la guarigione, ma “solo” per la qualità della vita. Negli infermieri di Cure Palliative è stato rilevato un aumento nelle reazioni emozionali negative come ansia,
depressione e a volte anche ira. Di conseguenza possono svilupparsi difficoltà nelle relazioni con i colleghi di lavoro, con
il paziente e anche con i family caregivers.
Burnout dei medici. Alcune ricerche (4) (5) (6) hanno evidenziato come i medici rappresentino una categoria professionale
che gode maggior salute fisica , ma minore salute mentale
rispetto alla popolazione in generale. Questo primo dato
implica una maggiore possibilità di burnout in questa specifica categoria professionale, poiché vengono a mancare quelle
difese personali che possono preservare dagli stress lavorativi.
A tutti gli oncologi non chirurghi dell’UK fu chiesto di partecipare allo studio con il General Health Questionnaire mentre
furono misurate con un altro test le tre componenti del burn
Bibliografia
1. Freudenberger HJ. Staff burn-out. Journal of Social Issues
1974; 30 : 159-165
2. Freudenberger HJ. Burnout: The high cost of high acchivement. Nueva York: Coubleday, 1980.
3. Maslach C, Jackson SE. The measurement of experienced
burnout. J Occup Behav 1981;2:99-113.
4. Whippen D & Canellos, G. 1991. Burnout syndrome in the
practice of oncology: results of a random survey of 1,000
oncologists. J. Clin. Oncol., 9, 1916-1920
5. A J Ramirez, J Graham, M A Richards, A Cull, W M
Gregory. Mental health of hospital consultants: The effect of
stress and satisfaction at work. Lancet 1996:724-728
6. Lederberg M. Psychological problems of staff and their
management. In : Holland JC Rowland JC (Eds.) Handbook
of psychooncology New York Oxford University Press
1989.
81
POSTER 8 GIUGNO
EFFICACIA DELL’ANALGESIA PERIDURALE NEL
CONTROLLO DEL DOLORE POSTOPERATORIO
IN CHIRURGIA MAGGIORE
48 ore. Il dolore è stato valutato tramite Numeric Rate Scale
(se NRS>4 Paracetamolo 1gr.)
Risultati: I valori medi di dolore a riposo (NRS) e al movimento (NRSm) sono stati:
Inoltre, solo nel 39% dei casi è stata necessaria una dose
rescue (nel 46% di questi pazienti è stato sufficiente un unico
intervento).
Come complicanze abbiamo registrato solo 5 casi di ipotensione significativa, regredita dopo riempimento polemico e
che non hanno richiesto il cambio della terapia analgesica in
atto né un intervento farmacologico. Due casi di sedazione
importante e alterazione della sensibilità con comparsa di
parestesie regredite con la sospensione dell’infusione.
Conclusioni: anche questo studio conferma l’efficacia e la
sicurezza1 dell’analgesia peridurale nel controllo del dolore
postoperatorio.
A. Lillaæ, E. Pelusoæ, M. Pariseæ, S. Bettinelliµ, A. Brunelli∂
M. Allegriµ, A. Pasqualucciπ, A. Braschiœ
æ Specializzando in Anestesia e Rianimazione Università
Pavia – IRCCS Policlinico S Matteo Pavia
∂ Dirigente Medico I Livello Anestesia e Rianimazione
Ospedale Civile Alessandria
µ Dirigente Medico I Livello Anestesia e Rianimazione I IRCCS Policlinico S Matteo Pavia
π Professore in Anestesia e Rianimazione Università Perugia
œ Professore e Direttore Scuola Specialità Anestesia e
Rianimazione Università Pavia
Introduzione: In questo studio retrospettivo abbiamo voluto
analizzare l’efficacia del nostro protocollo di analgesia peridurale nel controllo del dolore postoperatorio.
Materiali e metodi: sono stati studiati 341 pazienti sottoposti a
interventi di chirurgia maggiore urologica, toracica, addominale, in cui si è effettuata analgesia peridurale postoperatoria
con Ropivacaina 0.2% e Sufentanil (100mcg/die) a 5ml/h per
Bibliografia
1. Wheatley RG, Schug SA and Watson D. Safety and efficacy of
postoperative epidural analgesia. Br J Anaesth. 87: 47-61,
2001
Tempo di rilevazione
NRS
Tempo di rilevazione
6
12
0.72
0.85
6
12
1.22
1.43
48
0.8
48
1.77
0
24
0.83
0
0.88
24
UTILIZZO DELLA BUPRENORFINA TDS NEL CONTROLLO
DEL DOLORE ONCOLOGICO
NRSm
1.32
1.75
Nella prima settimana la VAS media è stata 6±2 per poi diminuire fino a 2±1 alla 12^ settimana ed è rimasta costante fino
al termine. Il KPS è salito a 80 in 8 settimane e l’ECOG-PS è
passato a 1 in 4.
Il breakthrough pain presente nel 19% dei pz solo nel 1°
mese è stato trattato con morfina orale fialoidi 10 mg.
Il 43% dei pz ha avuto EA, stipsi (3 pz), vertigini (6 ), cefalea (1), sedazione e sonnolenza (2), prurito (1), dermatiti da
contatto ed eritema (2).
CONCLUSIONI
La buprenorfina TDS è stata efficace e maneggevole nel controllo del dolore oncologico moderato – severo, ha ridotto il
disconfort del pz, ha migliorato la sua qualità di vita. In presenza di EA scarsi e controllabili possiamo concludere che la
BTDS si è dimostrata un presidio farmacologico utile per il trattamento del dolore oncologico.
D. Lo Sapio, D. Della Porta, R. Cocchia, A.Pironti,
S. Ambrosio., S. Notaro, B. Lo Sapio, M. Chiefari
Dipartimento di Scienze Anestesiologiche, Chirurgiche e
dell’Emergenza
Seconda Università degli Studi di Napoli
U.O. Complessa di Anestesia Rianimazione e Terapia
Antalgica
P.O. “Cardinale Ascalesi” – ASL Na 1 - Napoli
INTRODUZIONE
Scopo del nostro studio è stato valutare l’efficacia, la tollerabilità e la compliance della buprenorfina transdermica (BTDS)
nei pazienti oncologici e registrare gli eventuali effetti avversi
(EA).
MATERIALI E METODI
67 pz ( 42 maschi e 25 femmine), età 65 ± 13 anni con dolore da moderato a severo ai quali era stato somministrato precedentemente con ketorolac 90 mg/die tramadolo 300 mg/die,
sono stati trattati con BTDS da 35 mcg/h a 70 mcg/h. Lo studio è durato 8 mesi. I pz sono stati controllati ogni 3 gg per il
primo mese e ogni 7 gg fino alla fine. Abbiamo valutato l’intensità del dolore con VAS, la qualità di vita con ECOG-PS e
con Karnofsky (KPS), il gradimento del paziente e EA.
RISULTATI
Tutti i pz hanno completato lo studio. 47 pz con il dosaggio
iniziale, 13 pz con BTDS 52,5 mcg/h, i restanti 7 pz con 70
mcg/h. La VAS iniziale era 8 ±1 e i punteggi KPS e ECOG-PS
tra 30 e 60 il primo e tra 2 e 3 il secondo.
Bibliografia
1. Griessinger N, Sittl R, Likar R. “Transdermal buprenorphine
in clinical practice—a post-marketing surveillance study in
13,179 patients.” Curr Med Res Opin. 2005
Aug;21(8):1147-56.
2. Sittl R. “Transdermal buprenorphine in the treatment of
chronic pain.” Expert Rev Neurother. 2005 May;5(3):31523.
3.Muriel C, Failde I, Mico JA, Neira M, Sanchez-Magro I.
“Effectiveness and tolerability of the buprenorphine transdermal system in patients with moderate to severe chronic
pain: a multicenter, open-label, uncontrolled, prospective,
observational clinical study.” Clin Ther. 2005
82
POSTER 8 GIUGNO
ANALGESIA NEL TRAVAGLIO DI PARTO: INSUFFICIENTE
IL SUPPORTO NORMATIVO
dente.
Il decreto ministeriale 03.07.1996 del Ministero
dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (S.O.
n. 148 alla Gazzetta Ufficiale 11 settembre 1996, n. 213),
riguardante “Modificazioni all’ordinamento didattico universitario relativamente alle scuole di specializzazione del settore
medico”, in riferimento alla Scuola di Specializzazione di
Anestesia e Rianimazione, nella tabella B - Standard complessivo di addestramento professionalizzante – area dell’anestesia loco-regionale, sancisce la necessità, per lo
Specializzando, di aver acquisito autonomia nell’attuazione
delle principali tecniche di anestesia loco-regionale e nell’
analgesia del parto.
La direttiva della Comunità Europea del 7.09.2005, n.
36/2005 (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 30 settembre 2005, n. 255), relativa al riconoscimento delle qualifiche
professionali, nell’allegato 5/4 – dal titolo “Riconoscimento in
base al coordinamento delle condizioni minime di formazione” – ribadisce che il programma di studi per le ostetriche (tipi
di formazione I e II), deve comprendere la preparazione al
parto e allo stato di genitore, compresi gli aspetti psicologici,
la preparazione del parto (compresi la conoscenza e l’uso dell’attrezzatura ostetrica), l’analgesia, anestesia e rianimazione.
Nulla è detto, in riferimento all’analgesia del parto, dal
Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, nel Decreto ministeriale 11.05.1995, (Gazzetta Ufficiale
19 luglio 1995, n. 167), recante “Modificazioni all’ordinamento didattico universitario relativamente alle scuole di specializzazione del settore medico”, nel punto riguardante la
Scuola di Specializzazione di ginecologia ed ostetricia.
E’ evidente come la normativa attuale, costituita dai soli documenti sopra riportati, risulta fortemente carente per quanto
attiene l’analgesia del parto. Da una parte impone all’ostetrica
di conoscerla, dall’altra impone allo Specializzando di
Anestesia e Rianimazione di essere padrone della tecnica, ma
non da alcuno strumento ed indirizzo di formazione allo specializzando di Ginecologia e Ostetricia, futuro specialista e
punto di riferimento della donna in gravidanza. Una siffatta
situazione, associata alla assoluta mancanza di riferimenti normativi riguardanti l’assistenza ospedaliera e i LEA, rappresenta
indubbiamente il motivo dei risultati, assolutamente scadenti,
che l’Italia è riuscita a raggiungere per l’analgesia del parto.
F. Marinangeli, L. Di Stefano*, A. Piroli, A. Ciccozzi,
A. Paladini, I. Marsili, G. Varrassi
Università di L’Aquila, Cattedra di Anestesia e Rianimazione,
P.le S. Tommasi, 1, 67100 L’Aquila
*Università di L’Aquila, Cattedra di Ginecologia e Ostetricia,
P.le S. Tommasi, 1, 67100 L’Aquila
Nonostante se ne parli molto, l’analgesia per il travaglio di
parto rimane un sogno per la maggior parte delle donne italiane. L’unico studio effettuato in Italia sulla situazione reale
dell’anestesia e analgesia in ostetricia risale al 1999, ed evidenziava una forte carenza organizzativa in tal senso1. A fron-
te di un forte interesse degli Anestesisti Rianimatori, dimostrato dai numerosissimi corsi di formazione organizzati sull’argomento, la situazione non sembra migliorata negli ultimi
anni. È stata effettuata una ricerca per valutare se vi siano i presupposti di legge che permettano alle Aziende sanitarie di supportare progetti di sviluppo dell’analgesia del travaglio di
parto. E’ stata presa in considerazione, a tal fine, tutta la normativa italiana, al fine di cercare documenti riguardanti l’analgesia del parto.
Nella legislazione si cita per la prima volta l’analgesia nel travaglio di parto nel decreto ministeriale 19.04.1978 (Gazzetta
Ufficiale 20 maggio 1978, n. 139), in riferimento al “Nuovo
modello di certificato di assistenza al parto”, abrogato dall’art.
5, D.M. 16.07.2001, N. 349.
Con legge 22.05.1978, n. 217 (Gazzetta Ufficiale 29 maggio
1978, n. 146), veniva definito, nell’allegato F, il “programma
di formazione delle ostetriche”, che prevedeva, tra le materie
specifiche dell’attività di ostetrica, la “preparazione al parto e
allo stato di genitore, compresi gli aspetti psicologici, la preparazione del parto (compresi la conoscenza e l’uso dell’attrezzatura ostetrica), quindi la conoscenza dell’analgesia, anestesia e rianimazione”.
La direttiva del Consiglio della Comunità Economica Europea
del 21.01.1980, n. 155/80 (Gazzetta Ufficiale Comunità
Europee 11 febbraio 1980, n. 33), concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’accesso alle attività dell’ostetrica e al loro
esercizio - Abrogata dall’art. 62, Dir CE 07.09.2005, n. 36
(G.U.U.E. 30.09.2005, n. L 255) con decorrenza dal
20.10.2007, definiva il programma di formazione delle ostetriche sottolineando la necessità di conoscenza, da parte dell’ostetrica, delle stesse problematiche di cui al punto prece-
Bibliografia
1. S Antonucci, F Marinangeli, G Facchetti, G Varrassi.
Indagine conoscitiva sulla situazione italiana dell’analgesia
L’OSSICODONE NELLA TERAPIA DEL DOLORE DEI
PAZIENTI ONCOLOGICI E NON ONCOLOGICI:
VALUTAZIONE DEI NOSTRI RISULTATI
Quando trascurato o sottovalutato, rende più complicata e difficilmente gestibile l’evoluzione d’ogni malattia. Da qui l’importanza della sua risoluzione per poter rendere ogni cura efficace per quanto si possa prevedere.
Scopo del lavoro: valutare l’efficacia di ossicodone in diverse
situazioni patologiche, anche non oncologiche, a breve,
medio e lungo termine. Valutare gli eventuali effetti collaterali riscontrati rispetto alla qualità di vita dei pazienti sottoposti
a terapia.
Pazienti e metodo: 54 pazienti (di cui 16 con problematiche
respiratorie), con dolore non controllato con altri analgesici
sono stati trattati con ossicodone: 9 avevano come patologia
primaria un Ca dell’app. urogenitale (prostata-vescica-uretere..), 6 un Ca polmonare, 13 un Ca del digerente (colon-pancreas-fegato), 6 un Ca della tiroide, 4 erano stati sottoposti ad
A. Marra, R. Capozzolo, V. Pagnozzi, C. Moccaldi
G. Valletta , C. Maiorano, A. Campanile, V. Conforti
C. Arena A. De Martino
U.O. di Terapia del Dolore e Cure Palliative – Centro NAD –
ASL SA2 – Distretto B – Eboli (SA)
Background: Il dolore è un sintomo ad enorme valenza negativistica nell’evoluzione della patologia. Lo stress psichico e
organico indotto e le complicanze correlate, gli fanno guadagnare a pieno titolo la qualifica di “malattia” e non solo di sintomo.
83
POSTER 8 GIUGNO
amputazione di un arto, 8 avevano un Ca della mammella, 2
un melanoma multifocale e 6 un Ca osseo. L’età media dei
pazienti è di 54+17aa. Tutti sono stati rivalutati con un intervallo variabile fra 48h e 72-96h per la valutazione del dolore
e la titolazione della dose. La scala di valutazione più utilizzata è stata la VAS. L’ossicodone è stato somministrato b.i.d..
Risultati: Tutti i pazienti hanno presentato una marcata riduzione della VAS. Da un valore di circa 7-8 (dolore grave) (alcuni anche 9-10: dolore intollerabile), ad un valore medio di 2
(dolore molto lieve) ma con elevata frequenza anche di 0
(assenza del dolore) già a dosi molto basse di ossicodone
(10mg x 2 x die). L’evoluzione naturale delle patologie oncologiche ha portato alla necessità di adeguamento terapeutico
progressivo.
Anche la componente neuropatica (presente in 18 casi) è stata
ben controllata con l’uso di ossicodone. In pochi casi (7) la
dose di ossicodone utilizzata è stata maggiore di 40-50mg/die,
ma non si è mai giunti oltre i 70mg/die per i pz. neoplastici ed
oltre gli 80-90mg/die per gli altri pz.
In tutti i casi osservati e trattati con dosi più elevate, comunque, si è avuta la necessità, circa 7-8 gg dopo il raggiungimento della dose massima, di una riduzione della stessa, in
media di circa 20mg.
Non si sono riscontrati effetti collaterali, tranne che isolati (2
casi) episodi di emesi (lievi e facilmente controllabili dal pz.
stesso), risolti spontaneamente in media dopo circa 2-3gg. e
probabilmente non imputabili al trattamento e 3 di stipsi risolta con l’uso di glicerina.
Si è riscontrato miglioramento molto più sensibile della qualità di vita in quei pz. (6) con problematiche respiratorie in cui
l’uso di morfina provocava depressione respiratoria o eccessivo rallentamento della frequenza respiratoria.
Molto evidente il miglioramento del dolore (VAS 0 - 1) sia nei
pz con dolore viscerale che nei pz in cui il dolore era di ori-
gine ossea.
Solo in un caso si è avuto un episodio di rallentamento della
frequenza respiratoria, ma non influente sulla qualità di vita
del pz..
In 5 casi si è aggiunto pregabalin (da 75mg x 3/die a
150mgx3/die) dopo circa 3/4 settimane di terapia col solo
ossicodone ottenendo buoni risultati (VAS = 0-1). La stessa
molecola è stata aggiunta anche nei pazienti con diabete mellito tipo II, sempre con risultati molto soddisfacenti (VAS 1-2).
In nessuno dei pazienti in terapia combinata (ossicodone +
tramadolo e/o fentanyl/buprenorfina tts) si è avuta la necessità
di aumentare i dosaggi dell’ossicodone (quando richiesto dal
momento patologico) o degli altri analgesici.In nessuno dei
casi esaminati si sono riscontrati effetti collaterali da sovradosaggio o accumulo.
Conclusioni: Nei pazienti con dolore neoplastico o non l’uso
dell’ossicodone sembra permettere migliori risultati sul sintomo/malattia dolore, con un guadagno in termini di qualità di
vita e la pressocchè completa assenza dei fenomeni di sovradosaggio o accumulo.
L’efficacia di ossicodone nel dolore neuropatico ne fa uno
strumento molto utile in particolare in quei pz affetti da DM
tipo II.
Inoltre, da solo ma ancor di più insieme al pregabalin, è risultato molto efficace sia sul dolore misto sia sul dolore neuropatico puro, anche di intensità molto elevata (VAS 8).
La grande maneggevolezza e l’assenza di effetti collaterali
(anche a carico dell’apparato respiratorio) sembrano indirizzare verso un più ampio utilizzo di questo prodotto, non solo nei
pz. con patologia neoplastica.
Dalla valutazione dei nostri risultati al momento si potrebbe
affermare che l’ossicodone sia la molecola di prima scelta in
quei pazienti con dolore che risultano in grado abili e capaci
di utilizzare la via orale.
CEFALALGIA E RIFLESSO-TERAPIA: NOSTRA ESPERIENZA
(VAS<4) in 98 pazienti (78,5% del totale). La correlazione
con il profilo psicologico indica che i soggetti classificati come
tendenzialmente depressi e con correlati fobici non rispondon
al trattamento in mainera significativa.
Conclusioni: la riflesso-terapia agopuntura rappresenta senza
dubbio un valido approccio terapeutico nei pazienti affetti da
cefalea muscolo-tensiva in cui siano evidenziabili punti trigger
ma questo non può prescindere da una valutazione anche personologica del paziente per poter eventualmente integrare
l’approccio terapeutico.
S. Meloncelli***, R. Rinaldi*, Castellani**, M. Casiraghi***
* Prof. Università degli Studi la Sapienza di Roma
** Ia Divisione Ortopedia Az.Osp. San Camillo Forlanini,
Roma
*** Divisione Anestesia Casa di Cura “Città di Roma”, Roma
Introduzione: La cefalea muscolo-tensiva è una cefalea tipica
nella quale è determinante la presenza di punti trigger nella
muscolatura della base del cranio e del collo.
Materiali e metodi: sono stati presi in esame 125 pazienti (età
media 42 aa, 76 donne e 49 uomini) che presentavano un
dolore cefalico di tipo sub-continuo. In tutti i pazienti sono
stati rilevati punti trigger sul muscolo trapezio, sul muscolo
splenio del capo e sternocleido-mastoideo. E’ stato praticato
un trattamento bisettimanale con aghi bimetallici posti in corrispondenza dei trigger points rilevati. E’ stato rilevato 3 volte
l’indice VAS: all’inizio, dopo 15 giorni e a 30 giorni dal primo
trattamento. E’ stato inoltre somministrato il questionario
MHQ per poter valutare la correlazione tra risposta al trattamento e profilo del paziente.
Risultati: l’indice VAS è diminuito in maniera significativa
Bibliografia
1. Headache 2006 Mar;46(3):454-60 Trigger points in the suboccipital muscles and forward head posture in tension-type
headache. Fernandez de-las-penas C.
2. Encephale 2003 Sep-Oct;29(5):377-90 Appraisal of treatment of the trigger points associated with relaxation to treat
chronic headache in the adult. Relationship with anxiety
and stress adaptation strategies. Goffaux-Dogniez C.
3. Curr Pain Headache Rep 2001 Aug;5(4):376-81. Regional
myofascial pain syndrome and headache: principles of diagnosis and management. Graff-Radford SB.
84
POSTER 8 GIUGNO
LA VIA PERIDURALE CONFRONTO TRA METODICHE DI
SOMMINISTRAZIONE
strando:VAS,SVS, parametri oggettivi ed effetti collaterali.
Risultati. Con entrambe le metodiche di somministrazione il
dolore era ben controllato. Complessivamente l’analgesia era
migliore nel gruppo con la somministrazione a boli. Il bolo
con anestetico locale si è dimostrato più efficace dell’associazione di anestetico locale ed oppiaceo in continuo e con
minor incidenza di effetti collaterali e di episodi di dolore incidente
Note conclusive. I nostri risultati sono in accordo con la letteratura.1 2 L’efficacia della tecnica a boli però, impone una
C. Moretti, BG. Samolsky-Dekel, F. Sangiorgi,
E. Piraccini*, C. Rotondo*, I. Turriziani*,
M. Villa*, GF. Di Nino.
Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Anestesiologiche,
*Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione
Università di Bologna
Introduzione. Il controllo del dolore peri-operatorio in pazienti con Arteriopatia Ostruttiva Cronica Periferica (AOCP),
migliora la qualità di vita, riduce le complicanze e permette
un veloce recupero post-operatorio. La via peridurale è spesso
utilizzata a tal fine.
Scopo. Confronto tra la somministrazione continua e quella
intermittente a boli per l’analgesia peri-operatoria nel pz. con
AOCP.
Metodi. Sono stati studiati 188 pz. con AOCP (Fontane III-IV
stadio) e dolore moderato-severo, ai quali è stato posizionato
un catetere peridurale per la terapia antalgica. L’efficacia dell’analgesia è stata valutata dall’APS (Acute Pain Service) regi-
rigorosa aderenza allo schema temporale delle somministrazioni. Per ottenere questo si propone l’utilizzo di dispositivi
automatici (PCEA Patient- Controlled Epidural Analgesia)
monitorati dall’APS.
Bibliografia
1. Kaynar AM, Shankar KB. Epidural infusion: continuous or
bolus? Anesth.Analg. 1999;89:534.
2. Lim Y, Sia AT, Ocampo C. Automated regular boluses for
epidural analgesia: a comparison with continuous infusion.
Int.J.Obstet.Anesth. 2005;14:305-9.
IL DOLORE ACUTO NELL’EMERGENZA SUL TERRITORIO
severo, lancinante) è risultata la seguente: dolore assente nel
25% dei pazienti, lieve nel 40,21%, moderato nel 22,8%,
severo nel 5,4 % mentre risultava non valutabile nel 7,6% dei
casi (scarsa collaborazione e/o stato di coscienza).
La valutazione del dolore effettuata dal paziente, secondo la
medesima scala, è risultata la seguente: dolore assente nel
21,7% dei casi, lieve nel 23,9%, moderato nel 23,9%, severo
15,2%, lancinante 8,6%, non valutabile nel 5,4% .
Per quanto riguarda la localizzazione del dolore questa è risultata come di seguito riportato: testa e rachide cervicale 23%,
torace 10%, addome e rachide lombare 16%, arti superiori
5%, arti inferiori 15%, diffuso nel 4% dei casi, non valutabile
nel 26%.
La probabile diagnosi è risultata la seguente: frattura di femore 5 casi; trauma capo e rachide 6 casi; trauma generico 20
casi; trauma toracico 2 casi; trauma rachide dorso-lombare 2
casi; vertigini 2 casi; ematuria 1 caso; crisi respiratoria 7 casi;
epigastralgia 2 casi; sincope 3 casi; IMA 5 casi; shock anafilattico 1 caso; dolore addominale 6 casi; ictus cerebrale 7 casi;
TVP 1 caso; disturbi psichiatrici 4 casi; intossicazioni 3 casi;
ustione 1 caso; IPA 4 casi; meningite 1 caso; diabete 1 caso;
neoplasia 1 caso; non valutabili 7 casi.
L’incidenza di traumi, pertanto, è risultata del 38%, giustificando soltanto per metà l’incidenza totale di dolore acuto.
In conclusione, considerando l’entità dell’incidenza del dolore acuto in emergenza, sarebbe opportuna la definizione di
linee guida appositamente concepite per tali situazioni, nelle
quali, spesso, si evita di trattare il dolore in quanto considerato sintomo “utile alla diagnosi”, senza considerarne gli effetti
negativi da un punto di vista metabolico e psicologico.
C. Narducci, F. Marinangeli, M.L. Ursini, P. Tasciotti*
M. Tomei, A. Piroli, A. Ciccozzi, A. Paladini, I. Marsili
M. Evangelista*, G. Varrassi
Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università degli Studi di
L’Aquila
* Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università Cattolica
del Sacro Cuore, Roma
L’obiettivo del presente studio è stato quello di valutare l’incidenza del dolore acuto nell’emergenza sul territorio. A tal
fine, al personale volontario della Croce Bianca O.N.L.U.S.
della provincia di Teramo che presta servizio su 8 ambulanze
è stato fornita una scheda da compilare al rientro in centrale
dopo ogni intervento. Gli indicatori considerati erano i
seguenti:
• presenza di dolore
• entità del dolore avvertito dai pazienti
• rilevazione dello stesso da parte del personale paramedico
e/o medico
• valutazione dello stato di coscienza dei pazienti al momento del soccorso
• localizzazione del dolore
• probabile diagnosi
In un periodo di 10 giorni sono stati eseguiti 92 interventi.
I pazienti erano vigili nel 96% dei soccorsi effettuati. La sintomatologia dolorosa è risultata presente nel 69,6% della casistica in esame. La valutazione del dolore, secondo il soccorritore, in base ad una scala a 5 livelli (assente, lieve, moderato,
85
POSTER 8 GIUGNO
E.S.P. E TENS NELLE SINDROMI DOLOROSE MIOFASCIALI
di 2 elettrodi di superficie (TENS) in sede paravertebrale omolaterale a livello della prima e quinta vertebra dorsale (Fr 4070 Hz) per 30 min.
Risultati: il trattamento effettuato con E.S.P. e T.E.N.S. si è
dimostrato efficace nel trattamento della sindrome dolorosa
presa in considerazione. Nonostante l’esiguo numero di
pazienti la percentuale di risoluzione della sintomatologia
(VAS <4) è stata statisticamente significativa dopo 3 trattamenti in 7 pazienti appartenenti al gruppo 1 (87,5%) e in 6
pazienti appartenenti al gruppo 2 (85,7%).
Conclusioni: il trattamento della sindrome miofasciale con
T.E.N.S. ed E.S.P. rappresenta una metodica valida sicuramente efficace.
R. Occhioni**, R. Rinaldi*, S. Meloncelli***, M.
Casiraghi***
* Prof. Università degli Studi la Sapienza di Roma
** Resp. Terapia del Dolore Az. Osp. S.Camillo Forlanini,
Roma
*** Divisione Anestesia Casa di Cura “Città di Roma”
Introduzione: Le Sindromi Miofasciali rappresentano una condizione morbosa frequente e spesso sottovalutata. Le possibili
terapie a nostra disposizione sono rappresentate dalla infiltrazione locale con anestetici locali, dal trattamento con agopuntura oppure dal trattamento con E.S.P. oppure TENS.
Metodi: Abbiamo trattato con E.S.P. e T.E.N.S. 15 pazienti
affetti da mialgia a livello del muscolo grande romboide (VAS
> 6). La terapia effettuata consiste: gruppo 1 (8 pazienti) nell’applicazione nel punto trigger di un ago collegato ad un
apparecchio elettrostimolatore per ESP (Fr 1-10 Hz) per un
periodo di 30 minuti; gruppo 2 (7 pazienti) nell’applicazione
Bibliografia
1. V.Rovani: “L’Elettroagopuntura”; in Dispensa di AV, I volume, S.I.A.V., Torino 1999
2. Farina S, Casarotto M, Benelle M Eura Medicophys. 2004
Dec;40(4):293-301
EFFICACIA ANALGESICA DEL
PROPACETAMOLO VS KETOPROFENE IN PAZIENTI
SOTTOPOSTE AD INTERVENTI DI CHIRURGIA
GINECOLOGICA MINI-INVASIVA
matori non steroidei (FANS) da soli o in associazione agli
oppioidi. L’analgesia multimodale risulta particolarmente utile
poiché permette di aumentare l’efficacia degli oppioidi diminuendone al contempo le dosi di utilizzo, con maggiore sicurezza d’uso e riduzione degli effetti collaterali [2].
I FANS sono potenzialmente gravati da effetti collaterali significativi, quali l’aumento del tempo di sanguinamento e l’azione lesiva sulla mucosa gastrica, dovuti in gran parte all’inibizione dell’isoforma-1 dell’enzima ciclo-ossigenasi (COX-1).
Per tale motivo si tende attualmente ad utilizzare gli inibitori
selettivi dell’isoforma-2 dell’enzima (COX-2) quali il ketoprofene e il propacetamolo. Recenti evidenze attribuiscono a quest’ultimo l’inibizione di una terza forma di ciclo-ossigenasi, la
COX-3, vista la mancata azione lesiva sulla mucosa gastrica e
sull’aggregazione piastrinica [3,4]. FANS dotati di un gruppo
carbossilico facilmente ionizzabile, quali indometacina e
diclofenac, si accumulano prevalentemente nei tessuti infiammati inibendo la sintesi di prostaglandine (PG), mentre antinfiammatori che non possiedono tale gruppo, quali il paracetamolo, hanno un più facile accesso al sistema nervoso centrale
(SNC), pertanto una minore efficacia antinfiammatoria, ma
maggiore efficacia analgesica [5,6]. Il ketoprofene sembra possedere una duplice azione antinfiammatoria ed analgesica in
virtù della capacità dei due enantiomeri di agire sui due diversi siti di azione [7,8].
In seguito a somministrazione endovenosa il propacetamolo
viene idrolizzato da un’esterasi plasmatica non specifica in
paracetamolo (50%) e acido dietilglicolico.
Scopo dello studio è valutare l’efficacia analgesica e l’impatto
sul tempo di sanguinamento del propacetamolo vs ketoprofene nel trattamento del DPO ostetrico-ginecologico da lieve a
moderato (VAS < 4) in regime di day-surgery.
G. Pedini, A. Tarquini, F. Gori, A. Pasqualucci
S. Tesoro
Universita’ degli Studi di Perugia
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Sezione di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore.
Direttore V. A. Peduto.
ABSTRACT
Scopo dello studio è valutare l’efficacia analgesica del propacetamolo, profarmaco iniettabile del paracetamolo con attività analgesica e antipiretica, vs ketoprofene, antinfiammatorio
non steroideo derivato dall’acido propionico, nel trattamento
del dolore postoperatorio di media entità. Lo studio, randomizzato in doppio cieco, prende in considerazione 100
pazienti sottoposte ad interventi ginecologici mini-invasivi. 15
minuti prima dell’intervento sono stati somministrati 2 gr di
propacetamolo (gruppo P) o 100 mg di ketoprofene (gruppo K)
in 100 ml di soluzione fisiologica. L’efficacia analgesica è stata
valutata tramite VAS e VRS a 5 minuti dal risveglio e ogni 30
minuti per le 4 ore successive, la sicurezza e la tollerabilità è
stata valutata riportando le reazioni avverse e le variazioni dei
segni vitali.
Risultati: si è notata una significativa riduzione del dolore
dopo la prima ora e l’efficacia globale del trattamento è risultata simile per entrambi i gruppi. L’incidenza dei sintomi
gastrointestinali è risultata sovrapponibile, mentre si è notato
prolungamento non significativo del tempo di emorragia nel
gruppo K. Conclusioni: entrambi i trattamenti sono risultati
efficaci nella riduzione del dolore postoperatorio. Il propacetamolo ha minori effetti collaterali (9% vs 15%) e minore incidenza sul tempo di sanguinamento, pertanto rappresenta
un’alternativa all’uso di FANS negli interventi mini-invasivi.
INTRODUZIONE
Il dolore acuto postoperatorio (DPO) contribuisce in maniera
rilevante alla morbilità perioperatoria. Un adeguato controllo
del DPO garantisce quindi una riduzione delle complicanze
postoperatorie, dei giorni di degenza e dei costi ospedalieri
[1].
Gold-standard nel trattamento del DPO da lieve a moderato è
rappresentato dalla somministrazione dei farmaci antinfiam-
MATERIALI E METODI
Previo consenso informato sono state arruolate 100 pazienti
sottoposte ad interventi di chirurgia ginecologica in regime
ambulatoriale (laparoscopie diagnostiche, isteroscopie, polipectomie, raschiamenti diagnostici e conizzazioni) con dimissione entro la decima ora dall’intervento. Lo studio condotto
in doppio cieco ha assegnato a random le pazienti in due
gruppi, gruppo K (ketoprofene) e gruppo P (propacetamolo).
Sono state incluse nello studio pazienti di età compresa tra 2470 anni, ASA I-II, sottoposte ad interventi di durata compresa
tra 30-60 minuti. Sono state escluse pazienti con controindicazioni all’uso dei FANS quali patologie gastrointestinali, dis-
86
POSTER 8 GIUGNO
funzione epatica e renale, discrasie ematiche e diatesi emorragica o pazienti che hanno assunto morfina, antipiretici o
antinfiammatori durante la fase dello studio.
Nel periodo preoperatorio alle pazienti sono state spiegate le
scale di misurazione del dolore, quali la “visual analogue
scale” (VAS) di 100 mm (0=assenza di dolore, 100=massimo
dolore immaginabile) e la “verbal rating scale” (VRS) a 5 punti
(1=assenza di dolore, 5=il dolore peggiore), l’efficacia totale
del trattamento è stata valutata tramite la VRS a 5 punti
(1=non efficace e 5=efficacia eccellente).
Un’ora prima dell’intervento (T0) sono stati somministrati in
valutazione globale dell’efficacia del trattamento è stata comparata usando il Mantel-Haenzel c2 test. La pressione sistolica
e diastolica, la frequenza cardiaca, respiratoria e le variabili
del quadro emostatico sono state valutate usando l’analisi
della varianza per misurazioni ripetute. La frequenza dei sintomi gastrointestinali è stata analizzata tramite il MantelHaenzel c2 test. Viene considerata significativa nella comparazione dei due trattamenti una p < 0.05.
RISULTATI
Sono state arruolate 100 pazienti di cui 50 gruppo P e 50 gruppo K. Le caratteristiche demografiche dei due gruppi di trattamento sono risultate simili e non ci sono state differenze significative rispetto la durata dell’intervento o l’intensità iniziale
del dolore (Tabella 1).
Quattro pazienti sono state escluse dallo studio per inefficacia
del trattamento e 2 per sanguinamento eccessivo dalla sede
chirurgica. L’analisi intra-gruppo e inter-gruppo dell’evoluzione dell’intensità del dolore è risultata sovrapponibile nei due
gruppi di trattamento; si è notata una significativa (p < 0.001)
diminuzione del dolore dopo la prima ora e si è registrata una
buona correlazione tra i punteggi della VAS e della VRS.
L’efficacia globale del trattamento è stata simile per entrambi i
gruppi: 70.2% gruppo P, 68.2% gruppo K. Sebbene non siano
state osservate differenze significative nei parametri della
coagulazione tra i due gruppi, c’è stata una tendenza al prolungamento del tempo di emorragia nel gruppo K.
L’incidenza dei sintomi gastrointestinali è risultata sovrapponibile nei due gruppi (Tabella 2).
15 minuti propacetamolo 2 gr in 100 ml di soluzione fisiologica per via endovenosa (gruppo P) o ketoprofene 100 mg in
100 ml di soluzione fisiologica per via endovenosa (gruppo K).
L’anestesia è stata indotta con propofol 2 mg/kg e mantenuta
con una miscela di protossido d’azoto 60% e ossigeno 40% ed
una end-tidal di sevoflurano pari a 2 MAC. Il periodo di osservazione è iniziato con la somministrazione dei farmaci (T0) e
proseguito a 5 minuti dal risveglio (T1) e ogni 30 minuti per 4
ore nel postoperatorio (T9). Ad ogni controllo sono state misurate pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, inoltre a T0 a 30 ed a 60 minuti dalla somministrazione dei due
farmaci sono stati misurati il tempo di protrombina (PT), il
tempo di tromboplastina parziale (PTT) e il tempo di sanguinamento.
La sicurezza e la tollerabilità dei farmaci è stata valutata riportando le reazioni avverse (AEs).
L’analisi dei dati è stata condotta utilizzando per il punteggio
VAS e VRS l’analisi della varianza per misurazioni ripetute. La
Tabella 1. Caratteristiche demografiche
Età (anni)
Intensità del dolore (T0)
Punteggio VAS
VRS (%)
Nessuno
Medio
Moderato
Severo
Molto severo
Propacetamolo (n=49)
48.4±6.7 (24-69)
Ketoprofene (n=45)
48.8±9.0 (24-70)
45.0±35.9 (0-100)
47.7±37.3 (0-100)
20.0
12.9
29.4
20.0
17.6
19.3
13.6
23.9
20.5
Tabella 2. Incidenza dei sintomi gastrointestinali
Nausea
Nessuna
Media
Moderata/severa
Vomito
Nessuno
Medio
Moderato/severo
Dolore epigastrico
Nessuno
Medio
Moderato/severo
22.7
Propacetamolo
Ketoprofene
38
49
13
49
39
12
75
15
75
17
10
8
91
85
8
1
11
4
87
P
0.177
0.746
0.128
POSTER 8 GIUGNO
CONCLUSIONI
In questi ultimi anni si è andata sempre più affermando la
necessità della day-surgery. Questa tecnica, oltre a ridurre i
costi ospedalieri e i giorni di degenza, limita le complicazioni
postoperatorie garantendo una rapida mobilizzazione delle
pazienti sottoposte ad interventi chirurgici mini-invasivi. Per
quanto sopra esposto, risulta controindicato l’uso degli oppioidi, preferendo qullo dei FANS, cha risultano più sicuri e presentano meno effetti collaterali rispetto ai primi.
I FANS agiscono tramite l’inibizione della ciclo-ossigenasi
operando a livelli diversi in relazione al proprio gruppo di
appartenenza. Ciò trova riscontro nel fatto che il ketoprofene
ha soprattutto un’azione periferica. Il propacetamolo agisce
tramite l’inibizione centrale e per questo è considerato un ottimo analgesico, antipiretico e un blando antinfiammatorio.
Questo studio mette in risalto come la somministrazione dei
FANS un’ora prima dell’intervento chirurgico riduce il DPO.
Si è inoltre messo in evidenza come la pre-emptive analgesia
permetta sia una migliore mobilizzazione delle pazienti nel
postoperatorio, sia la prevenzione delle reazioni emodinamiche intraoperatorie che la riduzione delle complicanze respiratorie.
Poiché gli interventi oggetto dello studio sono procedure miniinvasive e di breve durata, e tenuto conto che i FANS hanno
un picco di azione dopo circa un’ora dalla loro somministrazione, è facile intuire come il massimo effetto dei farmaci suddetti coincida con il risveglio delle pazienti permettendo così
di prevenire il DPO.
Dai risultati osservati si è anche avuta conferma dell’ottimo
rapporto rischio-beneficio mediante l’impiego del propacetamolo. Si è riscontrato un basso numero di reazioni avverse per
entrambi i gruppi di trattamento, rilevando una percentuale di
sintomi gastrointestinali inferiore nel gruppo P rispetto al gruppo K. Tale differenza, pur sensibile, non appare significativa
(9% con propacetamolo contro il 15% con ketoprofene). Il
tempo di sanguinamento risulta inoltre maggiore nel gruppo
del ketoprofene rispetto a quello del propacetamolo. Anche
per tale fattore, gli scostamenti registrati nei due trattamenti
risultano essere di entità poco significativa.
Sulla scorta di quanto messo in evidenza il propacetamolo
può essere considerato un FANS anomalo, sia a causa della
sua azione prevalentemente centrale, sia in relazione all’assenza degli effetti collaterali caratteristici dei FANS [9]. Si può
quindi concludere che il propacetamolo è un ottimo analgesico e rappresenta una valida alternativa all’uso di altri FANS
negli interventi chirurgici mini-invasivi. Il suo impiego può
pertanto essere considerato complementare agli oppiacei nel
trattamento del DPO nel range da lieve a moderato.
DOLORE EPISODICO INTENSO: 2 CASI CLINICI
smatici di oppiaceo tale da ingenerare l’insorgenza di effetti
collaterali. E’ necessario, invece, ricorrere alla somministrazione di un oppiaceo potente a immediato rilascio. In Italia, al
momento, i farmaci oppiacei che meglio rispecchiano tali
caratteristiche sono la morfina cloridrato iniettabile; la morfina
solfato orale a immediato rilascio e, da poco tempo, la formulazione ad assorbimento orale transmucosale di fentanyl citrato. Laddove possibile, l’oppiaceo da utilizzare al bisogno può
essere lo stesso, nella formulazione a rilascio immediato, che
viene utilizzato per la terapia di base.
Caso clinico 1: paziente di 78 anni affetto da K prostatico con
metastasi polmonari e scheletriche e frattura vertebrale dorsale. Tale paziente, già in terapia da diversi anni per lombosciatalgia (protrusioni discali L4-L5 e L5-S1) presenta nel 2005
importante riacutizzazione della sintomatologia dolorosa
(VAS a riposo=8; VAS al movimento=10). Il trattamento del
dolore incidente è stato effettuato con con oppiacei forti a
breve emivita e rilascio immediato (Fentanyl transmucosale,
dapprima 200 mcg e successivamente 400 mcg), somministrati al bisogno, mentre il dolore di base è stato trattato con
Fentanyl transdermico 25 mcg/h + paracetamolo 500 mg 3
volte/die. Tale terapia ha consentito di raggiungere un buon
livello dell’ analgesia di base (VAS=1-2) e del DEI (VAS =3 al
movimento), permettendo anche di ridurre il dosaggio dell’oppiaceo di base, limitando così gli effetti collaterali.
Caso clinico 2: paziente di 52 anni, di sesso femminile, con
marito e due figli. Diagnosi di carcinoma uroteliale del baci-
Bibliografia
1. Mc Quay H, Moore A, Justins. Treating acute pain in hospital. BMJ. 1997 (314): 1531-1535.
2. Raccomandazioni SIAARTI per il trattamento del DPO
2001-2002.
3. Botting RM. Mechanism of action of acetaminophen: is
there a ciclooxygenase-3?. Clin Infect Dis. 2000 (31): 202210.
4. Chandrasekharan NV, Dai H, Roos KL, Evanson NK, Tomsic
J, Elton TS, Simmons DL. COX-3, a ciclooxygenase-1
variant inhibited by acetaminophen and other
analgesic/antipyretic drugs: cloning, structure and expression. Proc Natl Acad Sci USA. 2002 (95): 13926-31.
5. Flower RJ, Vane JR. Inhibition of prostaglandin synthetase in
brain explains the anti-pyretic activity of paracetamol (4acetamidophenol). Nature. 1972 (240): 410-411.
6. Brune K, Lanz R. Pharmacokinetics of non-steroidal antiinflammatory drugs. Handbook of inflammation. 1985 (5):
413-450.
7. Lagrange F, Phourcq F, Leng JJ. Passage of S- (+) and R- ()ketoprofen across the human isolated perfused placenta.
Fundan Cl Pharm. 1998 (12): 286-291.
8. Priya V, Divatia JV, Sareen R, Upadhye S. Efficacy of intravenous ketoprofen for pre-emptive analgesia. J Postgrad
Med. 2002 (48): 109-112.
9. Hynes D, McCarroll M, Hiesse-Provost O. Analgesic efficacy of parenteral paracetamol (propacetamol) and diclofenac in post-operative orthopedic pain. Acta Anaesth Scand.
2006 (50): 374-381.
A. Piroli, F. Marinangeli, A. Ciccozzi, F. Cantagalli
I. Marsili, A. Paladini, C. Angelucci, C. Guetti, G. Varrassi
Università degli Studi di L’Aquila, Dipartimento di Scienze
Chirurgiche, Cattedra di Anestesia e Rianimazione
Per dolore episodico intenso (D.E.I), o Breakthrough Pain, si
intende una transitoria esacerbazione del dolore che si inserisce in una situazione algica persistente altrimenti stabile1.
Tale sintomatologia si riferisce, quindi, alla comparsa di transitori ed acuti incrementi dell’intensità del dolore nell’ambito
di una sintomatologia dolorosa cronica, anche quando ben
controllata dalla terapia antalgica di base somministrata in
modo continuativo. Due recenti studi multicentrici italiani
hanno riportato una prevalenza di dolore episodico intenso, in
malati oncologici avanzati, rispettivamente del 29,6% e del
32,4%2-3, evidenziando come tale sintomatologia si traduca
in una sindrome dolorosa severa, profonda angoscia e scarsa
qualità di vita.
Per quanto attiene i farmaci da prescrivere al bisogno in caso
di episodi dolorosi, in pazienti già in trattamento con una terapia fissa con farmaci del terzo scalino della scala OMS, è da
bandire l’impiego di oppiacei a lento rilascio, sia per la farmacocinetica troppo lenta, sia per il rischio di determinare, a
distanza di tempo, l’eccessivo innalzamento deI livelli pla-
88
POSTER 8 GIUGNO
netto renale sinistro in agosto 2005. Sottoposta a nefrectomia
sinistra a settembre 2005. Negativi gli esami per patologia
metastatica. Nell’ottobre 2005 si presentano dolori scheletrici
diffusi di entità lieve-moderata. Una scintigrafia evidenzia
metastasi scheletriche diffuse, con prevalente localizzazione
del tracciante a livello dell’omero sinistro e del femore sinistro. Successivamente il dolore si localizza alla fascia lombare
sinistra e al femore sinistro. La paziente inizia a utilizzare il
dembulatore e il busto ortopedico. Il dolore continuo è valutabile in un VAS=4, con eacerbazioni spontanee a livello lombare (VAS= 9) ed esacerbazioni sotto carico al femore sinistro
(VAS=9). Viene impostata una terapia con FANS ad alti dosaggi, con scarsi effetti. Quindi una terapia con buprenorfina
cerotto, che riduce il dolore di base, ma senza un farmaco per
il DEI. La buprenorfina s.l., successivamente prescritta, è mal
tollerata (allucinazioni). Viene quindi sostituito il patch di
buprenorfina con quello di fentanyl a 50 mcg/h, e viene prescritta una pastiglia di fentanyl da 400 mcg al bisogno per il
dolore episodico. La paziente, in 5 giorni, arriva ad assumere
dalle 3 alle 6 pastiglie al giorno, con un dolore mantenuto
costantemente al di sotto di 3 di VAS, con normale ripristino
del ritmo sonno-veglia. Tale terapia è stata necessaria fino al
completo allettamento della paziente, quando, venendo a
mancare il DEI (derivato maggiormente dal dolore sotto carico), non è stato più necessario somministrare pastiglie di fentanyl, ed il dolore diffuso, continuo, è risultato ben trattato con
il solo cerotto di fentanyl.
TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DEL DOLORE
CERVICALE
ciana 0,5% 1 ml e desametasone 2 mg per ciascuna vertebra
cervicale che si intende infiltrare. Il blocco deve essere sempre
monolaterale.
Bibliografia
1. Mercadante S, Radbruch L, Saraceni A et all. Episodic
(Breakthrough) pain. American Cancer Society 2002; 94 (3):
832-9
2. Corli O, Pizzuto M. Il trattamento del dolore dei malati
oncologici in carico alle cure palliative. Centro Studi e
Ricerche-Osservatorio Italiano Cure Palliative. Milano:
Gpanet Editore, 2002
3. Corli O, Pizzuto M. Il trattamento del dolore dei malati
oncologici seguiti in setting di cure non specificatamente
palliative. Centro Studi e Ricerche-Osservatorio Italiano
Cure Palliative. Milano: Gpanet Editore, 2003
E. Pusceddu , F.C. Caria, F. Masillo, D. Sanna, D. Ghirra
M. Musu
Università degli Studi di Cagliari-Cattedra di AnestesiaPoliclinico Monserrato-Sezione di Anestesiologia-Centro
Terapia del Dolore – Direttore Prof. G. Finco.
MATERIALI E METODI
Sono stati considerati 120 pazienti trattati con il blocco cervicale. Le sindromi dolorose cervicali trattate erano: artrite (20
paz.), distorsione e colpo di frusta (31 paz.), ernia discale cervicale (8 paz.), sindrome dell’osso ioide (2 paz), spondilite
anchilosante (14 paz.), spondilosi (45 paz).
L’età media di questi pazienti era di 51anni (range: 33-75). Il
tempo intercorso tra l’inizio del dolore e il blocco cervicale
era di 15,4 mesi (range: 7-35 mesi). E’ stato attuato il trattamento farmacologico preblocco in 105 pazienti (87,5), mentre
il trattamento non farmacologico preblocco è stato somministrato a 84 pazienti (70,0%). Di questi pazienti 56 sono stati
trattati con la massochinesiterapia, 42 con terapie con ultrasuoni, 33 con l’agopuntura, 64 con la fisiocinesiterapia, 8 con
terapie comportamentali, 14 con presidi odontoiatrici, 18 con
tecniche chiropratiche.
I segmenti cervicali trattati sono stati il segmento C2 per 63
pazienti, il C3 per 109, il C4 per 101, il C5 per 36 pazienti.
Per quanto riguarda il pain relief a riposo preblocco,nessun
paziente ha avuto un VAS uguale a 0 o inferiore a 3. 45 paz.
(37,5%) avevano un VAS compreso tra 3 e 5, 58 paz. (48,3 %)
avevano un VAS compreso tra 5 e 7, 17 paz. (14,2%) avevano
un VAS superiore a sette. Al movimento preblocco si è osservato nessun paz. con VAS compreso tra 0 e 3. 28 paz. (23,3%)
con VAS compreso tra 3 e 5. 61 paz. (50,8%) con VAS compreso tra 5 e 7. 31 paz. (25,9%) con VAS superiore a 7. Dopo
7 giorni dall’esecuzione del blocco a riposo, 24 paz.( 20,0%)
avevano VAS uguale a 0, 68 paz. (56,6) VAS<3, 18 paz.(15,0)
Vas compreso tra 3 e 5, 8 paz.(6,7%) VAS compreso tra 5 e 7,
2 paz. (1,7%) VAS>7. Al movimento dopo 7 giorni si registra
24 paz.(20,0) VAS=0, 65 paz.(54,2%) VAS<3, 21
paz.(17,5%) VAS compreso tra 3 e 5, 7 paz.(5,8%) VAS compreso tra 5 e 7, 3 paz. (2,5%) VAS>7. Il 72,5% dei pazienti
non ha richiesto l’uso di farmaci dopo il blocco, mentre il
27,5% ha richiesto farmaci. Tra i pazienti che non sono stati
trattati farmacologicamente il 65,0% non ha utilizzato altro
trattamento, il 35,0% ha richiesto altri trattamenti non farmacologici postblocco.
INTRODUZIONE
Il dolore cervicale rappresenta un disturbo frequente nella
popolazione generale (13-14%).
Il dolore cervicale trae origine da molteplici processi patogenetici che possono coinvolgere tutte le strutture contenute nel
collo (colonna cervicale, legamenti, muscolatura, organi, vasi
e nervi), nonché le strutture circostanti che potrebbero interagire come sorgenti di dolore riferito.
La diagnosi è difficile e i costi diagnostici sono alti.
Il trattamento di prima scelta è costituito dalla terapia farmacologia per via sistemica. Il trattamento farmacologico presenta una relativa efficacia ed è di difficile impiego nelle sindromi croniche.
Altri tipi di trattamento sono rappresentati dalla massochinesiterapia, terapie con ultrasuoni, agopuntura, fisiochinesiterapia,
terapie comportamentali, presidi odontoiatrici (correzione di
malocclusioni dentali), tecniche chiropratiche, blocchi nervosi periferici o centrali, interventi chirurgici.
Tutte queste metodiche se applicate nel giusto contesto e da
mani esperte possono portare alla risoluzione temporanea, e
talora anche permanente, delle diverse sindromi dolorose cervicali senza esporre il paziente ad importanti effetti collaterali.
Il dolore cervicale cronico non da cancro, con una durata
superiore ai sei mesi, può essere trattato con il blocco cervicale profondo con anestetico locale e desametasone.
La tecnica del blocco eseguita è quella classica, con l’unica
attenzione di evocare sempre le parestesie nel territorio innervato del plesso cervicale e delle sue branche. Talora questo
risulta difficile, allora è necessario introdurre l’ago più profondamente e posteriormente all’apofisi traversa. Complicanze
possibili nell’esecuzione di questa tecnica sono l’accidentale
puntura dell’arteria vertebrale e/o iniezione della soluzione
impiegata nello spazio subaracnoideo. Vengono iniettate mar-
89
POSTER 8 GIUGNO
Il tempo di ricomparsa del dolore della medesima intensità
dopo il blocco è stato di 15,7 mesi (range 2-26 mesi).
Riguardo le complicazioni, in 18 pazienti (15,0%) si è riscontrata la presenza di un ematoma nella sede di introduzione
dell’ago, in 12 pazienti (10,0%) si è avuta la puntura dell’arteria verterale senza iniezione della soluzione terapeutica, in 45
pazienti (37,5%) si è osservata la comparsa di dolore, di durata superiore ad 1 giorno e inferiore a 3 giorni, nella sede di
introduzione dell’ago, mentre in 4 pazienti (3,3%) si è avuto
dolore, di durata superiore a 4 giorni e inferiore a 5 giorni, in
sede di introduzione dell’ago.
CONCLUSIONI
Il dolore cervicale rappresenta una grande sfida per l’algologo.
Il trattamento deve essere polimodale. Il blocco cervicale profondo rappresenta un valido trattamento con un buon rapporto costo-beneficio.
CONFIGURAZIONE DIFFORME DEL CATETERE
PERIDURALE IN SITU. UNO STUDIO SULLA PREVALENZA
E SULLE VARIABILI CAUSALI DEL FENOMENO
del catetere dal punto di inserimento (dP-PC), tempo di permanenza. La correlazione è stata definita col test c2.
Bibliografia
Bovim G et al, Spine 1994; 19: 1307-09
Peh WC, Am J Orthop 2001; 30: 435-6
Phero JC et al. Otolaryngol Clin North Am 2003; 36: 1171-85
Risultati preliminari. Il 44% (n=47) dei CP presentava una
configurazione distorta. La distorsione risulta significativamente correlata alla dP-PC ed al livello di inserimento.
Note conclusive. 1.La distorsione del CP è reale, frequente e
dipende dalla sede dell’inserimento e dalla dP-PC 2. E’ stata
avvalorata indirettamente la compartimentalizzazione dello
spazio peridurale lombare.3 3. E’ svantaggioso l’avanzamento
G. Rinaldelli, BG. Samolsky-Dekel, E. Caporossi*, A. Cecchi*
R. D’Andrea*, E. Gasperoni*, C. Zanzani*, GF. Di Nino
Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Anestesiologiche,
*Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione
Università di Bologna.
del CP per lunghi tratti all’interno dello spazio peridurale lombare. 4.Fattori predittivi per la distorsione del CP sono: sesso
femminile, età avanzata bassa statura.
Introduzione. E’ impossibile verificare direttamente il destino
del catetere peridurale (CP) inserito. Un’eventuale sua distorsione può incidere su analgesia ed eventi avversi.1-2 Il CP, sot-
toposto a forze esterne, subisce distorsioni riscontrabili alla
rimozione.
Obiettivi: verificare la prevalenza del fenomeno della distorsione ed indagare le variabili che concorrono a determinarlo.
Metodi. Sono stati analizzati 108 CP inseriti per ALR a vari
livelli rachidei . La distorsione svelata alla rimozione è stata
indicizzata utilizzando il rapporto: distanza lineare (punta del
catetere-riferimento) / lunghezza effettiva tra i due punti
(5,5cm). Variabili indipendenti indagate: sesso, età, altezza,
peso, BMI, livello di inserimento del CP, distanza della punta
Bibliografia
1. Beilin Y, et al. The optimal distance that a multiorifice epidural catheter should be threaded into the epidural space.
Anesth Analg 1995: 81: 301-4
2. Hogan QH. Epidural anatomy examined by cryomicrotome
section. Influence of age, vertebral level, and disease. Reg
Anesth. 1996;21:395-406.
3. Lim YJ, et al. Coiling of lumbar epidural catheters. Acta
Anaesthesiol Scand. 2002 May;46(5):603-6
90
POSTER 8 GIUGNO
TRATTAMENTO DEL DOLORE POST-OPERATORIO
NELLA DAY SURGERY PEDIATRICA
do perioperatorio che a quello iniziale postoperatorio sembra
essere la più appropriata. Alla base della percezione sensoriale dolorifica vi sono quattro distinti processi (trasduzione, trasmissione, percezione e modulazione) ciascuno dei quali rappresenta un possibile target della terapia analgesica1.
M. Cascelli, A. Tarquini, G. Pedini, F. Gori, A. Pasqualucci,
S. Tesoro
Università degli Studi di Perugia
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Sezione di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore.
Direttore V. A. Peduto.
MATERIALI E METODI
Abbiamo esaminato un campione di bambini sottoposti ad
interventi di chirurgia pediatrica in regime di Day Surgery, in
buone condizioni di salute (stato ASA I e II).La popolazione
pediatrica oggetto dello studio è stata suddivisa in due gruppi
sulla base delle diverse procedure chirurgiche che hanno di
volta in volta imposto due differenti approcci anestesiologici:
anestesia combinata ed anestesia generale.
Tutti i piccoli pazienti sono stati premedicati con midazolam
0,5 mg/kg somministrato per via orale trenta minuti prima dell’intervento chirurgico.
Giunti in sala operatoria l’anestesia generale è stata indotta utilizzando una maschera facciale di dimensioni variabili in base
all’età e al peso del piccolo paziente, con sevofluorano (Fi:
8vol%) in una miscela di protossido d’azoto al 60% in ossigeno, erogando un flusso di gas freschi pari a 6L/min. Raggiunta
l’ipnosi è stata posizionata un ago-cannula (22G o 20G) in una
vena periferica. Per gli interventi chirurgici di durata inferiore
ad una ora è stata posizionata una maschera laringea (LMA), di
dimensioni variabili in base all’età e al peso, una volta raggiunto il MAC-LMA. Per gli interventi chirurgici di durata
superiore ad una ora o nei casi in cui il piccolo paziente doveva assumere una posizione prona è stato applicato un tubo
endotracheale, di dimensioni variabili in base al peso e all’età, una volta raggiunto il MAC-IOT. La ventilazione è stata poi
mantenuta in respiro spontaneo assicurando un end-tidal CO2
pari a 35-40 mmHg.
Dopo il posizionamento della maschera laringea o l’intubazione endotracheale è stata somministrata clonidina, alla dose
di 2 ?g/kg in età pre-scolare e di 1 ?g/kg in età scolare per via
endovenosa diluita in 9ml di NaCl 0.9%, infusa lentamente
nell’arco di cinque minuti. Nei casi in cui la procedura chirurgica lo consentiva è stata eseguita una anestesia combinata,
è stata cioè effettuata un’ anestesia loco-regionale con tecniche di volta in volta diverse a seconda del tipo di intervento
chirurgico (tab.1). L’ anestetico locale utilizzato è stato la levobupivacaina 0,25% (2,5 mg/kg). L’anestesia loco-regionale ha
permesso di ridurre la profondità dell’anestesia che è stata
mantenuta con sevofluorano ad 1,5 MAC con una frazione
inspirata di ossigeno (FIO2) pari al 35% in aria. Al termine dell’intervento chirurgico è stato somministrato paracetamolo 30
mg/kg per via rettale. Nei casi in cui la procedura chirurgica
non ha permesso di effettuare un’anestesia combinata (tab.2),
il piccolo paziente è stato premedicato oltre che con midazolam anche con paracetamolo, alla dose di 30 mg/kg somministrato per via rettale. Intraoperatoriamente oltre alla clonidina
è stato somministrato desametasone alla dose di 0,5 mg/kg per
via endovenosa. In entrambi i gruppi durante l’intervento chirurgico l’idratazione del paziente è stata garantita mediante
l’infusione endovenosa continua di soluzione Ringer Lattato.
Intraoperatoriamente sono stati monitorizzati i seguenti parametri: ECG, NIBP, la saturazione di ossigeno (SaO2), end-tidal
CO2 (EtCO2), la frazione inspirata (Fi) ed espirata (Fet) dei
vapori anestetici, la temperatura corporea e il tempo di ischemia nelle procedure chirurgiche in cui veniva utilizzato il torniquet. Al termine dell’intervento chirurgico, raggiunto il
MAC-AWAKE, è stata rimossa la maschera laringea oppure si
è proceduto all’estubazione. Il piccolo paziente è stato poi
riscaldato al fine di evitare l’ipotermia. Il trasferimento in corsia è avvenuto quando il bambino ha raggiunto un punteggio
dello Steward Recovery Score pari almeno a 4. Nel postoperatorio sono stati controllati i seguenti parametri:
Pain Discomfort Scale eseguito al risveglio ed ogni ora fino
MATERIALI E METODI: 767 bambini (ASAI-II) suddivisi in due
gruppi in base alle diverse procedure chirurgiche che hanno
imposto due differenti approcci anestesiologici:
anestesia combinata 550 bambini (gruppo A)
- anestesia generale 217 bambini (gruppo B)
Nel postoperatorio sono stati eseguiti:
Pain Discomfort Scale
Steward Recovery Score
RISULTATI: al risveglio il punteggio di 4 steward scores è stato
raggiunto in un tempo di 4+/- 1,5 minuti in tutti i pazienti che
sono stati dimessi a quattro ore dall’intervento chirurgico con
un punteggio di 6 steward scores. Abbiamo registrato nel
gruppo A un PDS <2 nell’89,6%, fra 2-4 nell’8,5% e >4
nell’ 1’9%, mentre nel gruppo B un PDS <2 nell’76,7%, fra
2-4 nel 17,4% e >4 nel 5,9%.
CONCLUSIONI: con l’anestesia combinata abbiamo modulato, tramite anestetici locali e clonidina, la trasmissione e la percezione dell’informazione nocicettiva. Quando la procedura
chirurgica non ha consentito di eseguire un’anestesia combinata l’utilizzo degli adiuvanti, clonidina e desametasone, ha
permesso di modulare con buoni risultati la percezione e la
trasduzione dell’informazione nocicettiva, rappresentando
una valida alternativai.
INTRODUZIONE
Il regime di “Day Surgery” ha trovato un vasto campo di applicazione nell’attività chirurgica pediatrica, soprattutto per quegli interventi definiti di “chirurgia minore”. Condizioni indispensabili per la dimissione del piccolo paziente sono: l’assenza di nausea e vomito, l’assenza di iperpiressia, l’idratazione orale precoce, l’assenza di limitazioni all’attività motoria a distanza di 4 ore dall’intervento chirurgico, l’assenza di
ritenzione urinaria e l’assenza di dolore. La presenza di dolore nel periodo postoperatorio oltre ad impedire la dimissione
del paziente pediatrico determina, nella maggior parte dei
casi, l’insorgenza di una condizione di agitazione psicomotoria definita Delirium. Con il seguente studio si vuole dimostrare che facendo una Preemptive Analgesia, con tecniche
anestesiologiche diverse per le varie discipline chirurgiche, è
possibile ridurre l’intensità e la durata del dolore nel periodo
postoperatorio consentendo così una rapida dimissione per il
piccolo paziente. All’inizio del secolo scorso Crile introdusse
il concetto di Preemptive Analgesia intesa come trattamento
del dolore prima del suo onset. Negli ultimi 20 anni grazie
all’acquisizione di nuove conoscenze circa i meccanismi che
sono alla base della fisiologia, fisiopatologia e farmacologia
del dolore, c’è stata una rivalutazione del concetto di
Preemptive Analgesiaii. Affinché un trattamento preemptive
risulti adeguato occorre estendere il trattamento antidolorifico
fino all’iniziale periodo postoperatorio, quando gli stimoli
nocicettivi dovuti al processo infiammatorio che si instaura in
seguito all’atto chirurgico raggiungono un picco di intensità
(tra le 12 e le 48 ore dall’intervento chirurgico). Perciò
“preemptive” non vuol dire semplicemente prima dell’incisione, ma prevenireiii. Una recente definizione di Preemptive
Analgesia come trattamento antidolorifico che, prevenendo il
fenomeno della sensibilizzazione a livello centrale conseguente sia all’insulto chirurgico che a quello infiammatorio,
inizia prima della incisione chirurgica e si estende sia al perio-
91
POSTER 8 GIUGNO
alla dimissione;
Steward Recovery Score eseguito al risveglio e alla dimissione.
Al momento della dimissione sono stati valutati i seguenti
parametri: l’assenza di nausea e vomito, l’assenza di iperpiressia, l’assenza di ritenzione urinaria, l’assenza di limitazione
motoria a distanza di quattro ore dall’intervento chirurgico,
l’assenza di dolore e l’idratazione orale precoce. Al momento
della dimissione è stata consegnata ai genitori la prima somministrazione domiciliare di paracetamolo che il bambino
doveva assumere a distanza di 8 ore dalla precedente
(30mgr/kg per via rettale oppure 20mgr/kg per via orale), suggerendo di dimezzare il dosaggio in seconda giornata, essendo questo un farmaco a loro conosciuto, di facile somministrazione e con scarsi effetti collaterali.
Tabella 1
Chirurgia generale: ernie, patologie del dotto peritoneovaginale e del pene
Blocco ileo-inguinale, ileo-ipogastrico, del pene, caudale
Chirurgia ortopedica: piede torto congenito, piede valgo,
malformazioni congenite, cisti sinoviali, neoformazioni
Caudale, tronculare, blocco del plesso brachiale, del nervo
sciatico e femorale, blocco del piede
Chirurgia dermatologica: Cisti, nevi, molluschi contagiosi
Anestesia locale
Tabella 2
Chirurgia otoiatria
Adenotonsillectomia, miringoplastica
Chirurgia oculistica
Cataratta, glaucoma, sondaggio vie lacrimali
RISULTATI
I bambini studiati sono stati 767, di età compresa tra un mese
e 14 anni, suddivisi in due gruppi in base alla procedura anestesiologica utilizzata:
anestesia combinata per 550 bambini
anestesia generale per 217 bambini.
Tra i due gruppi non c’è stata alcuna differenza per quanto
riguarda i tempi di wash-in e wash-out dall’anestesia e l’arrivo
in sala di risveglio. Al risveglio il minimo punteggio dello
Steward Recovery Score, necessario per il trasferimento dalla
sala risveglio al reparto di degenza, è stato uguale a 4 steward
scores ed è stato raggiunto in un tempo pari a 4+/- 1,5 minuti in tutti i piccoli pazienti. A distanza di 4 ore dall’intervento
chirurgico (tranne che per gli interventi di adenotonsillectomia) tutti i piccoli pazienti sono stati rivalutati secondo i criteri dello Steward Recovery Score e dimessi con il massimo
punteggio dello Steward Recovery Score che è pari a 6 steward scores.
Tutti i piccoli pazienti sono stati poi valutati secondo i criteri
del Pain Discomfort Scale, che è una scala elaborata al fine di
rilevare la severità del “discomfort” e del dolore nei bambini
nel periodo postoperatorio. Dalla nostra osservazione è emerso che i punteggi del Pain Discomfort Scale sono stati differenti nei due gruppi. Nei pazienti sottoposti ad anestesia combinata abbiamo registrato un punteggio del Pain Discomfort
Scale <2 nell’89,6% dei bambini sottoposti a questa procedura anestesiologica. Nell’8,5% dei piccoli pazienti appartenenti a questo gruppo abbiamo registrato un punteggio del
Pain Discomfort Scale compreso fra 2-4. In questi casi si
riscontrava un pianto inconsolabile, che si è risolto tramite l’alimentazione precoce, oppure uno stato di agitazione legato
ad una insufficiente analgesia postoperatoria, che si è risolto
mediante la somministrazione di paracetamolo. Soltanto
nell’1,9% dei pazienti sottoposti ad anestesia combinata è
stato riportato un punteggio del Pain Discomfort Scale >4. In
alcuni casi questo è stato conseguenza delle difficoltà tecniche
riscontrate nell’eseguire il blocco regionale (regional block fai-
lure) ed ha reso necessario la somministrazione anticipata di
paracetamolo. In altri casi abbiamo invece registrato una condizione di agitazione psico-motoria importante definita “delirium” della durata inferiore ad un ora, non imputabile al dolore, che si è risolta spontaneamente. Nei piccoli pazienti sottoposti ad anestesia generale abbiamo registrato un punteggio
del Pain Discomfort Test <2 nell’76,7% dei casi.
Nel 17,4% dei piccoli pazienti appartenenti a questo gruppo
abbiamo registrato un punteggio del Pain Discomfort Scale
compreso fra 2-4, mentre nel rimanente 5,9% dei bambini
abbiamo evidenziato un punteggio >4. La maggiore incidenza dei casi di agitazione psico-motoria e di dolore postoperatorio, riscontrata nei bambini sottoposti ad anestesia generale
rispetto a quelli trattati con anestesia combinata, è da attribuire al fatto che senza l’ausilio dell’anestesia loco-regionale più
facilmente è possibile non avere una sufficiente copertura
analgesica nel periodo postoperatorio per interventi altamente
algogeni come le adenotonsillectomie. L’idratazione orale sia
nei lattanti, con lattazione materna e/o artificiale, sia in tutti gli
altri piccoli pazienti, con liquidi chiari e zuccherati, è stata
ripresa precocemente dopo 1,5-2 ore dall’intervento chirurgico (tranne che per gli interventi di adenotonsillectomia).
Sempre nel periodo postoperatorio non sono stati registrati
casi di PONV (nausea e vomito) e di iperpiressia che hanno
in qualche modo ritardato la dimissione prevista per le ore 17
dello stesso giorno.
Nei casi in cui è stata praticata un’anestesia combinata non è
stata riscontrata nessuna limitazione all’attività motoria a
distanza di 4 ore dall’intervento chirurgico a livello del segmento corporeo sottoposto ad anestesia loco-regionale.
Inoltre non si sono avuti casi di ritenzione urinaria nel periodo postoperatorio.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Dalla nostra esperienza è emerso che grazie alle tecniche anestesiologiche scelte per le diverse discipline chirurgiche pediatriche prese in considerazione c’è stato un buon controllo del
92
POSTER 8 GIUGNO
dolore postoperatorio. L’utilizzo della clonidina in entrambe
le procedure anestesiologiche effettuate è giustificato dalle
proprietà sedative ed analgesiche del farmaco. L’effetto sedativo della clonidina è dovuto principalmente all’azione di questo farmaco a livello dei recettori post-sinaptici del locus
coeruleusiv.
rio, superiore a quello di tutti gli altri glucocorticoidi di sintesi, il desametasone risulta essere efficace in quelle condizioni
in cui lo stimolo algogeno è determinato principalmente da
una reattività edemigena, come nell’adenotonsillectomia e
nella circoncisionexi. Inoltre l’attività del desametasone, che è
un glucocorticoide dissociato, prevede sia un effetto non
genomico specifico che aspecifico, dal quale scaturisce il suo
impiego come anti-emeticoxii. Tale proprietà risulta essere
L’attivazione di questi recettori sopprime la spontanea frequenza di scarica dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus, questo porta ad un’attività prevalente degli interneuroni
inibitori, che producono depressione del sistema nervoso centralev.
utile nella profilassi della PONV in quei tipi di interventi dove
lo stimolo emetigeno deriva dall’attivazione di vie centrali
serotoninergiche, acetilcolinergiche e dopaminergichexiii.
La clonidina determina una blanda sedazione al risveglio di
fondamentale importanza nel paziente pediatrico dove l’immaturità psicologica e il rapido recupero della coscienza in un
ambiente estraneo, conseguenza dell’utilizzo di alogenati a
rapido wash-out, sono responsabili dell’insorgenza di delirium
nell’immediato periodo postoperatoriovi.
Nei casi in cui è stata effettuata un anestesia generale l’utilizzo del desametasone consente inoltre di potenziare l’attività
anti-infiammatoria del paracetamolo somministrato in premeditazione (onset 30-60 minuti), che avrebbe lo stesso effetto
soltanto a dosi tossiche. In conclusione dal nostro studio è
emerso che con l’anestesia combinata abbiamo modulato la
trasmissione e la percezione dell’informazione nocicettiva,
grazie all’impiego rispettivamente degli anestetici locali e
della clonidina, con ottimi risultati.
Tuttavia quando la procedura chirurgica pediatrica non ha
consentito di eseguire un’anestesia combinata, l’utilizzo della
clonidina e del desametasone hanno permesso di modulare
con buoni risultati rispettivamente la percezione e la trasduzione dell’informazione nocicettiva, rappresentando una valida alternativa all’anestesia combinata.
Per questa ragione nei piccoli pazienti al risveglio registriamo
un punteggio dello Steward Recovery Score lievemente ridotto che non ha comunque impedito una rapida dimissione con
massimo punteggio dello Steward Recovery Score.
L’utilizzo della clonidina non ha inoltre determinato alterazioni emodinamiche significative, infatti non ci sono stati casi di
ipotensione e bradicardia.
Tali effetti sono dovuti all’azione del farmaco sia sul del locus
coeruleus, dove provoca un ottundimento del tono simpatico
con conseguente prevalenza di quello parasimpatico4, sia sui
recettori alfa-2 adrenergici presinaptici periferici con riduzione del rilascio di noradrenalina da parte delle terminazioni
nervosevii.
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Le proprietà analgesiche della clonidina sono dovute essenzialmente all’azione sui neuroni delle corna posteriori del
midollo spinale stimolati dalle fibre nervose afferenti A-delta e
C. Il farmaco inibisce a livello spinale la scarica di questi neuroni e diminuisce il rilascio della sostanza P dalle afferenze
nocicettive primarie3. Nei casi in cui è stata effettuata un’ane-
stesia combinata l’anestetico locale utilizzato è stato la levobupivacaina che, negli interventi di chirurgia pediatrica effettuati sia con blocco periferico che con anestesia epidurale,
provoca una durata del blocco motorio inferiore alla bupivacaina ed è gravata da un minor rischio di cardio-tossicità e di
neuro-tossicitàviii. Negli interventi in cui non è possibile ese-
guire un’anestesia combinata non va sottovalutato il potere
anti-infiammatorio dei glucocorticoidiix. La nostra attenzione
è stata rivolta verso i nuovi glucocorticoidi di sintesi, detti “dissociati”, in cui prevale l’attività di trans-repressione e quindi
l’effetto anti-infiammatorio, mentre sono ridotti i processi di
trans-attivazione che mediano gli effetti endocrini e metabolici.
È stato possibile sintetizzare glucocorticoidi in grado di transreprimere selettivamente, riducendo così gli effetti collaterali
sistemici, perchè la via non genomica specifica di trans-repressione coinvolge soltanto recettori in forma monomerica, mentre quella genomica di trans-attivazione coinvolge gli omerodimeri . A partire dal cortisolo operando delle sostituzioni
adiacenti alle posizioni critiche del nucleo steroideo si ottengono i glucocorticoidi di sintesi, con il potenziamento di alcune attività, come quella anti-infiammatoria e la riduzione di
altre, come quella mineralcorticoidex. Nel nostro studio
abbiamo utilizzato il desametasone, che ha un gruppo metilico legato in posizione 16 ed un fluoro in posizione 9. Per il
suo potente effetto non genomico specifico anti-infiammato-
93
POSTER 8 GIUGNO
EFFICACIA ANALGESICA DEL PARECOXIB VERSUS
KETOROLAC IN PAZIENTI SOTTOPOSTE AD
ISTEROSCOPIA OPERATIVA
le, senza intubazione, dopo aver premedicato le pazienti con
2 mg di Midazolam IV. L’anestesia generale è stata indotta con
Propofol 2 mg/kg IV e mantenuta con Sevofluorano a 1,3
MAC.
Nel corso dell’intervento sono stati registrati pressione arteriosa non cruenta, frequenza cardiaca, saturazione d’ossigeno.
Durante il periodo di trattamento è stata valutata l’intensità del
dolore di partenza (immediatamente prima di somministrare il
farmaco in studio) e l’intensità del dolore e il sollievo dallo
stesso a 15, 30, 45 minuti e successivamente ogni ora fino alla
dodicesima ora dopo l’assunzione del farmaco.
L’intensità del dolore è stata valutata usando il VAS (0-100mm)
e VRS (Verbal Rating Scale: scala ordinale a quattro punti,
0=nessun dolore, 1=lieve, 2=moderato, 3=severo).
L’analgesico di supporto (Paracetamolo 1 g IV), è stato somministrato a discrezione della paziente, qualora trovasse inadeguata l’efficacia analgesica raggiunta.
Le pazienti sono state monitorizzate nel periodo di trattamento per l’eventuale comparsa di eventi avversi attraverso la
raccolta dei parametri vitali e la valutazione degli esami di
laboratorio prima della dimissione.
La prima variabile di efficacia, il sollievo dal dolore, è stata
valutata con una scala ordinale (0=nessuno, 1=poco,
2=abbastanza, 3=molto, 4=completo) ad ogni periodo di
valutazione da T15min a T 12h. Il sollievo dal dolore è stato
M. Di Virgilio, F. Corradetti, S. Tesoro, A. Pasqualucci,
F. Gori
Universita’ degli Studi di Perugia
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Sezione di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore.
Direttore V. A. Peduto.
ABSTRACT
Oggetto:il Parecoxib è un inibitore specifico delle COX-2, profarmaco del Valdecoxib, somministrabile per via endovenosa
e creato per il trattamento del dolore acuto.
Obiettivi:valutare l’efficacia analgesica del Parecoxib rispetto
al Ketorolac in donne sane sottoposte ad isteroscopia operativa.
Metodi: con criterio randomizzato sono state arruolate centoquattro donne ASA I-II da sottoporre ad isteroscopia operativa,
ed in doppio cieco ai due gruppi è stato somministrato
Parecoxib 40 mg IV o Ketorolac 30 mg IV. Sono stati valutati
l’intensità del dolore e il sollievo dal dolore ad intervalli fissi
per le 12 ore successive alla somministrazione del farmaco in
studio o fino alla somministrazione della rescue medication.
L’efficacia analgesica è stata valutata in termini di intensità del
dolore, sollievo dal dolore, onset dell’analgesia e ricorso alla
rescue medication.
Risultati: non ci sono state differenze tra i due farmaci circa
l’onset, l’intensità del dolore e l’entità del sollievo dal dolore
nelle prime 6 ore. Il Parecoxib ha mostrato una più lunga durata dell’analgesia ed un minor utilizzo della rescue medication.
Entrambi i farmaci sono stati ben tollerati.
Conclusioni: il parecoxib 40 mg IV è comparabile al
Ketorolac 30 mg IV in termini di efficacia analgesica ma ha
durata d’azione maggiore.
espresso dai seguenti punteggi derivati: massimo PR (Max PR),
il tempo per il massimo PR (TMax PR) e somma ponderale del
PR (TOTPART 15 min-T12 h). L’intensità del dolore è stata
valutata con una scala analogico-visiva da T15min a T12h. i
risultati sono stati espressi dai seguenti punteggi derivati: la
differenza di intensità del dolore dal livello di partenza, il massimo PAID (Max PAID), il tempo del massimo PAID
(TMaxPAID) e la somma ponderale del PAID (SPAIDT15min-
T12h).
La seconda variabile di efficacia è stato il tempo di onset dell’analgesia misurato attraverso il metodo del “doppio stop”
ideato da Siegel et al. Questo metodo è stato usato per registrare in maniera obiettiva l’inizio dell’analgesia. Distingue tra
una sensazione di percepire sollievo dal dolore (PPR) e la
remissione dal dolore (MPR), registrando l’inizio di ognuno su
cronometri diversi. Subito dopo la somministrazione del farmaco, due cronometri venivano fatti partire contemporaneamente e posizionati a fianco alla paziente. Le pazienti fermavano un orologio al tempo del PPR (quando sentivano “che il
farmaco iniziava a fare effetto”). L’onset dell’analgesia è stato
definito come il tempo del primo click.
Le variabili demografiche sono state analizzate dall’analisi
della varianza ad una via (ANOVA). L’analisi primaria dell’onset dell’analgesia sin è basata sul test di Van Elteren. Il
tempo del massimo PAID e PR sono stati comparati usando il
test di Gehan-Wilcoxon. Il test ANOVA a due vie considerando il trattamento e l’intensità del dolore è stato usato per comparare gli effetti del trattamento sul sollievo dal dolore e sulle
differenze di intensità del dolore.
INTRODUZIONE
Appurato che COX-2 è l’isoenzima maggiormente coinvolto
nella infiammazione e nel dolore(1), e ipotizzato che l’utilizzo di inibitori selettivi per tale isoenzima si associ ad una
minore incidenza di effetti collaterali dovuti soprattutto alla
inibizione di COX-1 a livello gastroenterico, renale, piastrinico(2-3), con questo studio abbiamo voluto valutare l’efficacia
clinica del Parecoxib rispetto al Ketorolac, FANS largamente
utilizzato nel controllo del dolore postoperatorio. Il Parecoxib
è un inibitore selettivo della COX-2, profarmaco del
Valdecoxib, somministrabile per via endovenosa e quindi
adatto alle esigenze della gestione del dolore nel periodo
perioperatorio.
MATERIALI E METODI
Sono state arruolate centoquattro donne, ASA I-II, di età compresa tra i 35 ed i 65 anni, da sottoporre ad isteroscopia operativa. Per essere arruolate le pazienti dovevano avere dolore
da lieve a moderato (intensità maggiore di 40mm su un VAS
di 100mm) entro le sei ore successive al termine dell’intervento.
Criteri di esclusione sono stati: anamnesi positiva per ulcera
peptica o sanguinamento gastroenterico nei sei mesi precedenti; gravidanza; insufficienza renale; cardiopatia; assunzione di analgesici o altri farmaci, nelle sei ore precedenti alla
procedura chirurgica, che avrebbero potuto interferire con la
risposta analgesica (antidepressivi triciclici, oppioidi, antistaminici, FANS, cortisonici).
Le pazienti sono state divise, in maniera randomizzata, in due
gruppi e in doppio cieco sono stati somministrati, in singola
dose, 40mg di Parecoxib IV o 30 mg di Ketorolac IV.
La procedura chirurgica è stata effettuata in anestesia genera-
RISULTATI
Tutte le pazienti hanno completato lo studio. I gruppi trattati
sono simili per età media, caratteristiche antropometriche,
durata dell’intervento chirurgico e intensità del dolore di partenza (tabella1).
I punteggi del PR e del PAID non hanno mostrato differenze
significative da T15min a T6h.
Il tempo medio per l’onset dell’analgesia (PPR) è stato quindici minuti in entrambi i gruppi, allo stesso modo non si sono
registrate differenze per l’ MPR. L’ analisi dei dati ha mostrato
che oltre T6 l’analgesia con il Parecoxib è stata migliore per
quanto riguarda i valori di PR e PAID. Inoltre si è osservato un
94
POSTER 8 GIUGNO
minor ricorso alla rescue medication (9 Ketorolac, 2
Parecoxib).
Non si sono verificati eventi avversi in nessun gruppo. Si sono
registrate variazioni sporadiche nei parametri di laboratorio
con entrambi i trattamenti, ma nessuna aveva una rilevanza
clinica tale da poter esser riportato come evento avverso.
Anche in questo studio, una singola dose di Parecoxib 40 mg
IV ha mostrato una efficacia analgesica sovrapponibile a quella del Ketorolac 30 mg IV per quanto riguarda il controllo del
dolore postoperatorio in pazienti sottoposte a isteroscopia
operativa.
I valori più bassi di PR e PAID insieme al minor ricorso alla
rescue medication, osservati nel gruppo del parecoxib nel
periodo che va dalla sesta alla dodicesima ora, sono indicativi
della maggior durata analgesica di questo farmaco rispetto al
Ketorolac. Nonostante gli inibitori della COX-2 siano stati sviluppati per ridurre l’incidenza di effetti collaterali legati all’uso dei FANS nel trattamento delle sindromi dolorose croniche,
possono trovare utilizzo razionale anche nel trattamento del
dolore acuto postoperatorio di entità lieve o moderata, come
nel nostro modello. La maggiore durata dell’analgesia in interventi chirurgici poco invasivi, come la polipectomia isteroscopica, ci consente di utilizzare una singola somministrazione
facilitando la gestione dei pazienti e rendendo possibile il
ricovero in regime di day surgery, riducendo i costi sanitari ed
il disagio per il paziente.
DISCUSSIONE
La scoperta del ruolo fondamentale delle COX-2 nei processi
infiammatori e nella patogenesi del dolore ha aperto le porte
ad una nuova classe di farmaci, che a parità di efficacia rispetto ai FANS, potrebbe ridurre la comparsa degli effetti collaterali che ne limitano l’impiego clinico. Tale ipotesi ha guidato
l’esecuzione di numerosi studi, molti dei quali hanno dimostrato una reale maggiore sicurezza degli inibitori specifici
delle COX-2 rispetto ai FANS per quanto riguarda gli effetti
collaterali di tipo gastrointestinali ed emorragici. In diversi
studi è stata dimostrata una efficacia sovrapponibile a quella
dei FANS e una riduzione del consumo di oppioidi, quando
utilizzati in combinazione con quest ’ultimi (4,5,6,7,8).
Tabella 1. Caratteristiche demografiche, caratteristiche chirurgiche e intensità del dolore
Età media
ASA I
ASA II
BMI
Parecoxib
40 mg IV
(n=52)
Ketorolac
30 mg IV
(n=52)
50,35±8,45
P
48,82±8,27
40(77%)
12(23%)
28,30
0.32
25’±7’
28’±9’
0.85
Intensità del dolore di partenza
Lieve
29(56%)
Moderato
23(44%)
28(54%)
24(46%)
Durata intervento
Intensità del dolore di partenza
(VAS)
Tabella 2. Risultati
T max PR
T max PAID
MaxPR
MaxPAID
TOTPART15min-T12h
SPAIDT15min-T12h
Rescue medication
38(74%)
14(26%)
26,3
0.4
58,2
59,9
0.89
Parecoxib
40 mg IV
(n=52)
Ketorolac
30 mg IV
(n=52)
P
0.25 (0.25, 0.27)
0.25 (0.25, 0.48)
0.63
2.70 (0.86)
2.64 (1.17)
0.78
8.78 (4.88)
0.05
9
0.05
0.75 (0.50, 0.75)
0.50 (0.48, 0.75)
39.55 (18.25)
39.70 (24.18)
125.32 (140.69)
110.17 (104.14)
9.70 (5.73)
2
95
0.75
0.77
0.05
POSTER 8 GIUGNO
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SOMMINISTRAZIONE COMBINATA DI MORFINA
PERIDURALE E BUPRENORFINA TRANSDERMICA NEL
TRATTAMENTO DEL DOLORE ONCOLOGICO
le, sarà ridotta.
Diversi studi hanno dimostrato che, nell’animale, sia la somministrazione combinata, intratecale ed intraperitoneale, di
basse dosi di morfina, che quella combinata di morfina intratecale e buprenorfina intraperitoneale, producono un effetto
analgesico additivo, rispetto a quello ottenuto da ciascun regime applicato separatamente (effetto sinergico).E un risultato
altrettanto importante si è ottenuto nell’uomo, quando sono
stati somministrati, i due farmaci, attraverso due vie differenti, ovvero associando buprenorfina endovenosa con morfina
intratecale, per il trattamento del dolore postoperatorio4.
M. Ferrara, M.L. Malafronte, P. Bonaccia, D. Pinto, A.
Granata, D. Tammaro, R. Palomba.
Università di Napoli “Federico II” - Dipartimento Universitario
Scare
AF di Anestesia Generale, Speciale, di Terapia Antalgica e
Cure Palliative (Resp. Prof.ssa Rosa Palomba).
Introduzione
Nei pazienti con patologia neoplastica il dolore è spesso il sintomo più frequente e, nell’intento di migliorarne la qualità di
vita residua, riuscire a sopprimere o quantomeno a controllare il dolore diviene l’obiettivo primario.
È quindi importante studiare strategie terapeutiche sempre più
efficaci sotto il profilo dell’analgesia e meglio tollerabili per
ciò che riguarda la comparsa di effetti indesiderati legati ai farmaci utilizzati e alla durata della terapia.
A tutt’oggi il ricorso agli oppioidi ,di cui è nota la potente azione antinocicettiva, è insostituibile per controllare il dolore, ma
il loro utilizzo è gravato dalla comparsa di effetti avversi e dal
fenomeno della tolleranza.
Inoltre è stato dimostrato che i circuiti antinocicettivi, sui quali
agiscono gli oppioidi, esistono sia a livello spinale che sovraspinale1 e che gli effetti avversi sono dovuti prevalentemente
Ciò indicherebbe che nella somministrazione combinata di
morfina per via epidurale e buprenorfina per via sistemica, il
sinergismo dell’azione spinale e sopraspinale supera l’antagonismo competitivo tra l’agonista puro e quello parziale, risultandone un effetto analgesico migliore rispetto all’utilizzo
degli stessi farmaci dati singolarmente5.
Scopo del nostro studio è stato verificare la migliore efficacia
analgesica e la maggiore tollerabilità dell’associazione di morfina per via epidurale e buprenorfina per via transdermica. La
via transdermica, grazie all’innovativo cerotto a matrice garantisce un rilascio continuo per 72 ore di quantità note di farmaco, con conseguenti livelli ematici di buprenorfina costanti
e un’adeguata, anzi migliore copertura analgesica6.
Materiali e Metodi.
Per il nostro studio, prospettico, sono stati selezionati 20
pazienti con dolore oncologico di intensità elevate (VAS
7~9), afferenti presso il nostro ambulatorio di terapia antalgica, randomizzati in due gruppi:
il gruppo dei casi (GB) , 12 pazienti
il gruppo dei controlli (GM) , 8 pazienti
Sono stati esclusi dal nostro studio:
• pazienti già in trattamento con altri oppioidi.
• pazienti con aspettativa di vita < 40 giorni
all’azione sovraspinale.
La morfina, considerata il gold standard di tutti gli oppioidi,
agonista puro dei recettori-?, è una molecola idrofilica, e con
una lunga durata d’azione2.La buprenorfina è un agonista par-
ziale dei recettori-?, semisintetico e ad elevata lipofilia, che
produce effetti analgesici qualitativamente simili a quelli prodotti dalla morfina. Approssimativamente 400?g di buprenorfina equivalgono a 10,000?g di morfina somministrati per via
intramuscolare3.
Quando la morfina viene somministrata per via sistemica, agisce indifferentemente su entrambi i circuiti, spinale e sovraspinale, e l’aumento del dosaggio produrrà aumento dell’analgesia, ma anche, inevitabilmente, aumento degli effetti collaterali.
Se, invece, la morfina viene somministrata per via perimidollare la concentrazione ematica sarà ridotta, l’effetto analgesico
sarà mediato prevalentemente a livello spinale, mentre la
comparsa di effetti avversi, dipendenti dall’azione sovraspina-
Nei pazienti del gruppo dei casi GB, inizialmente la terapia
antalgica prevedeva:
• Buprenorfina transdermica 35µg/h (da sostituire ogni 72 ore)
• Catetre peridurale con NAROPINA 2mg/ml
MORFINA dosaggio medio 4.5mg/24h
(range 3-5mg/24h)
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Nei pazienti del gruppo dei controlli GM era previsto:
• Catetre peridurale con NAROPINA 2mg/m
MORFINA dosaggio medio 5.3mg/24h
(range 3-6.5mg/24h).
Gruppo GB
Nausea 4pz
Sonnolenza 7pz
Prurito 3pz
Strumenti di valutazione:
• Brief Pain Inventory (valutato in tutti i tempi, tranne t1):
4 items relativi all’intensità del dolore (punteggio 0-40)
- dolore peggiore
- dolore minore
- dolore medio
- dolore nel dato momento
1 item relativo al pain relief (0-100%).
7 items relativi alla qualità della vita (punteggio 0-70).
• VAS (valutato solo al tempo t1).
Discussione
Il nostro studio ha dimostrato che, nel trattamento del paziente con dolore di origine neoplastica, la somministrazione combinata di morfina per via intratecale e di buprenorfina per via
sistemica produce una migliore e sicura copertura analgesica,
rispetto a quella prodotta dalla somministrazione della sola
morfina intratecale. L’aumentata analgesia, inoltre, è risultata
accompagnata da piu’ bassi livelli di sedazione e di effetti
avversi.
I risultati ottenuti sono in accordo con studi precedenti condotti da D. Niv et al e da A. Nemirovsky et al7, nei quali si evi-
denzia come la combinazione di morfina intratecale e di un
agonista parziale a basse dosi per via sistemica non solo produca un effetto antinocicettivo più che additivo, ma riduce la
dose sistemica di oppioidi minimizzando anche il rischio di
depressione respiratoria, il più grave degli effetti avversi.
Analoghe conclusioni sono state raggiunte da Niv e D.
Beltrutti et al8, nel lavoro svolto sul controllo del dolore post-
Tempi di valutazione:
• t0 prima del posizionamento del catetere
• t1 dopo un’ora dal posizionamento del catetere
• t7 dopo 7 giorni
• t14 dopo 14 giorni
• t21 dopo 21 giorni
• t45 dopo 45 giorni
operatorio e dal quale è emerso che la somministrazione concomitante di morfina per via epidurale e di basse dosi di
buprenorfina per via sistemica ,anche in questo caso, agisce
piu’ efficacemente dell’uso dei due singoli farmaci.Allo stesso
tempo riduce il livello di sedazione e la frequenza di comparsa degli effetti collaterali rispetto all’uso della sola morfina.
Infine un recente studio italiano, condotto da C. Aurilio et al9,
Inoltre sono stati valutati:
• aumento nel tempo del consumo di morfina (in mg/24h)
• effetti collaterali (nausea- sonnolenza- prurito).
Risultati
I due gruppi sono risultati omogenei per età, sesso, patologia.(vedi tabella 1)
conferma la validità e la sicurezza della combinazione di
morfina intratecale e buprenorfina cerotto anche nel trattamento di un altro tipo di dolore, quello ischemico da vasculopatia periferica. Anche in tal caso ,infatti, il gruppo che ha ricevuto la combinazione suddetta ha mostrato un netto miglioramento dei sintomi con riduzione del dolore, aumento delle
ore di sonno e minore incidenza degli effetti collaterali; in più
per nessun paziente del gruppo è stato necessario ricorrere ad
un trattamento analgesico addizionale.
Conclusioni
Pur considerando il numero ridotto di pazienti arruolati per lo
studio,l’associazione morfina per via spinale e buprenorfina
per via sistemica si dimostra efficace, vantaggiosa e sicura
anche nel trattamento a lungo termine del dolore oncologico.
- i risultati relativi ai 4 items dell’intensità del dolore, sono
espressi nel grafico n.1
- i risultati relativi all’items del pain relief, sono espressi nel
grafico n.2
- i risultati relativi ai 7 items sulla qualità della vita, sono
espressi nel grafico n.3.
- i risultati relativi all’aumento nel tempo del consumo di morfina, sono espressi nel grafico n.4.
- gli effetti collaterali valutati dopo 7gg dal posizionamento del
catetere sono risultati i seguenti:
Tabella 1
età media
sesso
patologia
K pancreas/vie biliari
K gastrico
K prostata +metastasi
K ovaio-peritoneo
sarcoma uterino
Gruppo GM
Nausea 5pz
Sonnolenza 8pz
Prurito 2pz
GRUPPO GB= 12 pz
GRUPPO GM= 8 pz
4p
3p
3p
2p
0p
2p
1p
2p
1p
2p
58 aa
4f 8m
56 aa
3f 5m
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6. Sittl R, Griessinger N, Likar R. Analgesic efficacy and tolerability of transdermal buprenorphine in patients with inadequately controlled chronic pain related to cancer and other
disorders: A multicenter, randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Clin Ther 2003; 25(1): 150-168
7. Niv D,Nemirovsky A, Metzner J, Rudick V, Jurna I, Urca G:
Antinociceptive effect induced by the combined administration of spinal morphine and systemic buprenorphine.
Anesth Analg,1998;87:583-586.
8. Beltrutti D, Niv D, Ben-Abraham R, Di Santo S, Weinbroum
Avi A:Late antinociception and lower untoward effects of
concomitant intrathecal morphine and intravenous buprenorphine in humans. Journal of Clinical Anesthesia 14;441446, 2002.
9. Aurilio C, Pace M, Passivanti M.B: transdermal buprenorphine combined with spinal morphine and naropine for pain
relief in chronic peripheral vasculopathy. Minerva
Anestesiol 2005;71:445-449.
Bibliografia
1. L. Chen, A. Nemirovsky, Q. Gong. Interaction of Combined
Administration of Intrathecal Morphine with Subcutaneous
Morphine or Buprenorphine. Acta Pharmacol Sin 2000
Aug; 21(8): 688-689.
2. Reisine T, Pasternak G:Opioids analgesics and antagonists:
In:Goodman and Gilman’s: The Pharmacological Basis of
Therapeutics, New York: Pergamon Press, 1996: 521-26,
9th ed.
3. Wallenstein SL, Kaiko RF, Rogers AG, Houde RW:
Crossover trials in clinical analgesic assays: studies of buprenorphine and morphine. Pharmacotherapy 1986;6:228-235.
4. Niv D, Nemirovsky A, Rudick V, Geller E, Urca G:
Antinociception induced by simultaneous intrathecal and
intraperitoneal administration of low doses of morphine.
Anest analg 1995;80:886-889.
5. L. Chen, A. Nemirovsky, Q. Gong. Interaction of Combined
Administration of Intrathecal Morphine with subcutaneous
Morphine or Buprenorphine. Acta Pharmacol Sin 2000 Aug;
21(8): 688-689.
99
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IL DOLORE NEL PAZIENTE ANZIANO CON DEFICIT
COGNITIVO - REVISIONE CRITICA DELLA LETTERATURA
Molte altre variabili alterano la sensibilità ed attenzione del
personale sanitario nei confronti del dolore, così se da un lato
c’è generalmente maggiore attenzione nei confronti del dolore nel paziente giovane rispetto all’anziano, dall’altra un’esperienza personale di dolore porterebbe comunque ad una maggiore generosità nel prescrivere antalgici.
Di certo i curanti spesso osservano segni diretti od indiretti del
dolore (fisici o funzionali) che tuttavia male interpretando,
impropriamente trattano.
Desolatamente scarso l’interesse anche da parte dei ricercatori a livello internazionale, come si può constatare tramite una
semplice ricerca di pubblicazioni in Pub Med (la presente
effettuata nel dicembre 2005)
Tramite la parola “pain” 323858 articoli segnalati;
Aggiungendo la parola “elderly” 79967 articoli trovati;
Aggiungendo la parola “dementia” 430 articoli trovati;
Aggiungendo invece le parole “cognitively impaired”: 96 articoli
L. Ottolini
Servizio Cure Palliative Azienda Servizi Sanitari Trento
INTRODUZIONE
La Joint Commission on Accreditation of Healthcare
Organizations standards manuals nel 2002 ha dichiarato che il
dolore è il “quinto segno vitale”, da rilevare come gli altri per
un’adeguato assessment del paziente. Su questa linea si stanno
muovendo i comitati locali per “l’ospedale senza dolore” istituiti dalle singole aziende sanitarie italiane.
Tuttavia, se ancora molto c’è da fare per una puntuale valutazione e trattamento del dolore in generale, il problema è anche
maggiore se si tratta di valutare e trattare il dolore in un soggetto anziano e con deficit cognitivo.
La presente revisione critica della letteratura internazionale
riguarda il tema del dolore nel paziente anziano con difficoltà
di espressione, è stata svolta nel dicembre 2005 ricercando in
medline e da database presenti in siti internet di cure palliative
o terapia antalgica, utilizzando parole chiave singole-associate
“dolore, deficit cognitivo, valutazione, anziano, demenza”
FISIOPATOLOGIA DEL DOLORE NELL’ANZIANO
Come in molte altre occasioni, anche nella gestione del dolore, gli anziani sono oggetto di pregiudizi.
Molto semplicemente alcuni clinici trasferiscono alla sensibilità nocicettiva quanto accade alla sensibilità uditiva e visiva,
che subirebbe quindi un declino parafisiologico (presbialgia?)
e nella pratica considerano che l’anziano proverebbe meno
dolore rispetto ad un giovane.
In realtà i ricercatori che si sono dedicati scientificamente alla
questione si sono espressi in modo diverso, anche se purtroppo non univoco.
Da un lato Ferrel e Canto rafforzano questo pregiudizio segnalando come la soglia per il dolore sarebbe generalmente più
elevata nell’anziano, portando a conforto di ciò anche la bassa
incidenza di dolore nell’infarto miocardico.
Tale considerazione è ancora più accreditata se il paziente
oltre che anziano è demente, considerando che in quanto non
in grado di integrare le informazioni non sarebbe in grado di
sperimentare il dolore.
Per contro Edwards nel 2003 ha presentato uno studio sul
dolore sperimentale in soggetti di diversa età che evidenzia
come nell’anziano siano meno rappresentati e validi i meccanismi inibitori della nocicezione e quindi dovrebbe provare il
dolore con maggiore intensità.
Pickering in aggiunta stima che nell’anziano vi sia una minore sensibilità a stimoli algogeni lievi e maggiore, (con minore
tolleranza) per stimoli forti..
Un atteggiamento “intermedio” si ricava dagli studi di Harkins
che segnalano un’uguale sensibilità termo-dolorifica tra soggetti sani adulti ed anziani.
Sulla stessa linea, ma aggiungendo un tassello importante, gli
studi di Gibson sulla valutazione dei potenziali evocati al
dolore sperimentale, che mostrano non esservi differenza tra
anziani, anche in presenza di deterioramento cognitivo.
Ipotesi confermata dalla recente review di Kunz, ove si afferma come non vi siano differenze tra livello soglia al dolore e
potenziali evocati dallo stesso in soggetti affetti da demenza di
Alzheimer rispetto ai non affetti.
Sull’elaborazione centrale del dolore non vi sono studi che
dimostrino differenze tra giovani ed anziani nè tra anziani
mentalmente sani e deteriorati.
Nella review del 2003 Scherder ha rimarcato come gli studi al
riguardo ipotizzino differenti sensibilità al dolore nelle diverse
tipologie anatomiche delle demenze: nella demenza frontotemporale sarebbe minore la componente affettiva del dolore,
mentre nella forma vascolare tale componente sarebbe
aumentata.
In sostanza non vi sono dati scientifici concordanti che dimostrino una minore sensibilità dell’anziano al dolore, ancorché
affetto da deterioramento cognitivo. Ciò che può invece essere diverso è la modalità di espressione dello stesso.
L’ENTITA’ DEL PROBLEMA
Numerosi studi epidemiologici sul dolore nell’anziano evidenziano una prevalenza tra 45 e 80% nella popolazione
geriatrica, mentre l’AGS differenzia tra una prevalenza del 2550% nei soggetti fuori da istituzioni, rispetto al 45-80% in istituzione.
E’ dimostrato che la prevalenza del dolore aumenti con il peggioramento del livello di dipendenza funzionale ed in situazioni di solitudine e vedovanza.
Una ricerca specifica rivolta ad anziani affetti da neoplasie
metastatiche, mostra una uguale prevalenza di dolore rispetto
ad anziani non affetti da neoplasie (77%) e segnala come il
42% di questi non avrebbe ricevuto terapia appropriata.
Sull’espressione del dolore, uno studio olandese mostra come
normalmente soggetti anziani comunichino meno il loro dolore ai curanti rispetto ai più giovani. A complicare il quadro,
problemi sociali, psicologici ed affettivi (lutti, depressione,
handicap, povertà) possono condizionare il vissuto e l’espressione del dolore.
Se si aggiunge che nelle residenze per anziani, la maggior
parte degli ospiti è affetta da disturbi cognitivi, ciò comporta
una alterazione dell’espressione e quindi la possibilità di diagnosticare lo stesso dolore.
Sengstaken nel 1993, ha rilevato come in contesti assistenziali domiciliari il dolore cronico sia evidenziato nel 43% dei
pazienti comunicanti, rispetto al solo 17% dei pazienti con
deficit di comunicazione., pur non essendovi alcuna differenza tra i due gruppi in termini di età, sesso e diagnosi mediche.
Diversi studi confermano questi dati, segnalando un sottouso
di antalgici nei dementi rispetto ai non dementi.
Morrison nel 2000 segnala che pazienti con frattura del femore e dolore pre-post operatorio riceverebbero un terzo del
dosaggio di oppioidi se affetti da demenza rispetto a pazienti
cognitivamente adeguati.
Ciò comporta che nell’anziano, il dolore da semplice sintomo,
nella cronicità si trasformi in autentica malattia sociale, data la
prevalenza nella popolazione ed in dramma nel demente.
L’ INTERESSE DEI SANITARI
Studi osservazionali svolti in RSA francesi ed inglesi ed in contesti domiciliari hanno chiaramente evidenziato come vi sia
una sotto prescrizione di antalgici nei dementi rispetto ai non
dementi della stessa età affetti per altro da simili patologie
potenzialmente algogene, con proporzionalmente un’ eccessiva prescrizione di neurolettici e sedativi.
Studi dedicati alla valutazione della capacita’ dello staff di
cura di riconoscere il dolore in pazienti dementi evidenziano
che l’ospedale generale e le geriatrie sono i luoghi dove quest’aspetto e’ piu’ trascurato, meno trascurato sarebbe in RSA
ed hospice, dove il contatto prolungato tra staff e paziente
aumenta l’attenzione e l’abilita’ diagnostica.
OSTACOLI ALLA PRESA IN CARICO DEL DOLORE NELL’ANZIANO
Numerosi possono essere gli ostacoli alla diagnosi di dolore
nell’anziano:
100
POSTER 8 GIUGNO
Fattori legati al paziente:
Turbe sensoriali (visive-acustiche) turbe della parola (dis-afasia) con limitazione della comunicazione.
Disturbi della coscienza (acuti: delirium, cronici: demenza).
Se il demente lieve-moderato riesce normalmente a segnalare
e descrivere il dolore, ciò è molto più improbabile nel demente grave. Per una diagnosi è pertanto necessaria una ricerca
approfondita con tempi adeguati.
Cattiva interpretazione per confusione tra dolore e “sofferenza” o con “limitazione funzionale”. Nella pratica clinica si
osserva spesso come le conseguenze funzionali preoccupino
di piu’ famiglia e paziente rispetto al sintomo stesso e pertanto vengano più facilmente lamentate e descritte rispetto al sintomo che ne è causa.
Deficit specifici della memoria a breve termine-recente, limitano la diagnosi di dolore in quanto se questi pazienti vengono intervistati sul dolore in posizione di riposo o confort possono negare di aver provato dolore anche se al movimento ne
hanno provato di atroce
Età e sesso del paziente: soggetti di età superiore a 70 anni
hanno maggiore probabilità di non vedersi diagnosticato e
trattato il dolore. Robinson nel 2003 conferma che in genere
il dolore è sottostimato nel maschio, rispetto alle femmine.
Differenze sociali - culturali. Powell Larton nel 1991 ha
descritto che spesso il dolore non viene segnalato o espresso
dal paziente anziano semplicemente per “rassegnazione” da
parte dello stesso, quindi non diagnosticato e trattato dai sanitari
Fattori legati alla famiglia od assistenti:
Timore di “suggerire” al malato il dolore, considerando
comunque la lamentosità “normalmente” correlata al deterioramento cognitivo o alla vecchiaia stessa
Fatalismo di considerare “inevitabile” il dolore nell’anziano
Pregiudizio sull’uso degli oppioidi
Fattori legati ai sanitari:
La frammentazione delle cure. Una ricerca svolta nel 2000 in
istituto oncologico olandese ha mostrato come solo il 70% dei
pazienti ricoverati sofferenti di dolore avevano un antalgico
prescritto. Di questi solo il 74% lo ricevevano dall’infermiere.
Di quanti ricevevano il farmaco solo nel 60% la somministrazione era corretta se in trattamento cronico e nell’85% se per
trattamento al bisogno.
La formazione e sensibilità degli operatori.Cook conferma che
l’ospedale generale e le geriatrie sono i luoghi dove il dolore
e’ piu’ trascurato, meno lo sarebbe in RSA ed hospice, dove il
contatto prolungato tra staff e paziente aumenta l’attenzione e
l’abilita’ diagnostica
Il ruolo professionale: l’accordo nella valutazione del carattere del dolore tra medici ed infermieri è del 32% in reparti di
medicina e del 44,5% in centri geriatrici
L’età e sesso del sanitario: secondo una ricerca statunitense
curanti più anziani avrebbero meno attenzione al dolore
rispetto a curanti giovani. Allo stesso modo i sanitari maschi
tenderebbero a sottostimare il dolore rispetto alle colleghe
femmine
Un’esperienza personale di dolore da parte del sanitario porterebbe comunque ad una maggiore generosità nel prescrivere antalgici.
La mancanza di interesse specifico nel riconoscimento del
dolore da parte della struttura ospitante e dei curanti operanti
nella stessa o la semplice “mancanza di tempo” è un’ importante barriera al trattamento corretto del dolore in questi
pazienti
Generali: limitazioni alla deambulazione sino all’allettamento
ed alla perdita dell’autonomia
Dispnea: per dolori toracici specifici o sottodiaframmatici ma
anche conseguenza dell’ansia correlata al dolore
Diminuzione della sensibilità all’insulina per aumento della
cortisolemia, glucagonemia, acidi grassi liberi
Trattamenti incongrui sino alla sedazione pesante
Sociali: isolamento, incremento dei costi sanitari
Disturbi del sonno: sino al 51% dei pazienti
Psicologici: depressione, ansia, sino al 60% dei pazienti
SEGNI DEL DOLORE
Secondo la definizione OMS “Il dolore può essere definito
come una sensazione spiacevole e un’esperienza emotiva
dotata di un tono affettivo negativo…”. Ne consegue che, in
assenza di turbe cognitive, la presa in carico del dolore di un
anziano non differisca da quella di un soggetto adulto.
Se il paziente è affetto da demenza lieve-moderata è in genere comunque in grado di segnalare e descrivere il dolore; ciò
al contrario diventa impossibile se la demenza è grave.
In questi casi diventa necessaria una valutazione da parte di
terzi (eterovalutazione) di segni diretti ed indiretti del dolore.
La eterovalutazione del dolore nel paziente demente più grave
ha un’ulteriore difficoltà nelle progressive limitazioni funzionali con il peggiorare dell’autonomia e quindi anche delle
espressioni non verbali del dolore.
In presenza di dolore, ma in assenza di vocalizzazioni finalizzate e comprensibili, è il corpo a parlare tramite segni motori,
funzionali o comportamentali sino ad allora non presenti.
Negli stadi più avanzati del decadimento cognitivo in cui le
capacità espressive e di movimento sono di per se limitate,
acquistano più importanza altri segni, a riposo od in concomitanza con atti potenzialmente dolorosi:
espressione del viso: mimica e sguardo corrucciati, oppure
vuoti, volto distorto, chiusura ferma delle labbra, oppure labbra assottigliate, come anche bocca spalancata...
emissione di suoni (non verbali) durante il movimento o le
cure, come anche la modifica di grida o lamenti già presenti,
in tono, intensità o frequenza
tensione muscolare localizzata o generale
cambio comportamento (agitazione, prostrazione, opposizione alle cure)
modifiche del sonno od appetito
sintomi respiratori (polipnea, apnee, sospiri)
sintomi cardiovascolari (simatici o parasimpatici)
sintomi cutanei (pallore, freddo, sudorazione)
Nell’uomo le reazioni facciali e comportamentali di difesa
(movimenti rigidi o interrotti) sarebbero più sensibile indice di
dolore nei pazienti affetti da deterioramento cognitivo rispetto
ai non deteriorati; osservazione confermata anche da Craig e
Manfredi che tuttavia considerano utili tali segni ai fini dell’individuazione, non della quantificazione del dolore.
Hadjistavroupoulos aggiunge che le reazioni facciali sarebbero indice di dolore in atto, mentre le reazioni di difesa sarebbero indice di ansia anticipatoria
Studi su scimmie confermano che, anche nell’animale, nessun
segno può essere considerato patognomonico di dolore: segni
simili possono manifestarsi anche in occasioni dove il dolore
è improbabile, questo a maggior ragione in caso di pazienti
dementi. Per questo i segni di dolore debbono essere valutati
insieme.
Utile in questi casi l’uso di scale che valutano indicatori di disconfort come la Dis-DAT o la checklist of non verbal pain indicator, tenendo presente che anche questi non sono specifici
per dolore, ma molti autori li considerano utili per sospettarlo
e quindi per trattare empiricamente il paziente.
Importante guida per l’osservazione è inoltre conoscere le
modalità espressive del singolo paziente in passate certe esperienze dolorose. Infatti tali atteggiamenti se sufficientemente
stereotipati si ripresenteranno e quindi potranno essere adeguatamente interpretati in occasioni algiche.
CONSEGUENZE DEL DOLORE NON DIAGNOSTICATO
La Federazione europea sezione della IASP nel 2001 ha
dichiarato che “Anche se il dolore acuto può essere ragionevolmente considerato un sintomo di malattia o di lesione, il
dolore cronico e ricorrente è un problema sanitario specifico,
una malattia in sé e per sé”.
Non diagnosticare e quindi non trattare il dolore cronico comporta, come per ogni altra malattia mis-diagnosticata e non
trattata, conseguenze particolarmente gravi se rapportate
all’anziano :
101
POSTER 8 GIUGNO
SCALE DI VALUTAZIONE
Le scale di valutazione sono un’ utile guida alla valutazione
del dolore.
Tali possono essere di auto od eterovalutazione, in quanto
rispettivamente somministrate e compilate dallo stesso paziente o da terzi (curanti, familiari).
l’autovalutazione, anche assistita, non è più possibile od affidabile. Si intuisce la difficoltà di oggettivare un sentimento
non direttamente espresso: deve essere una terza persona a
valutare il dolore del soggetto in esame.
L’eterovalutazione si basa sull’uso di strumenti (scale) che
sono standardizzati e validati solo in singoli paesi e per determinate tipologie di soggetti.
Generalmente queste scale considerano ed assegnano un punteggio a diverse componenti comportamentali e fisiche del
soggetto in esame, potenzialmente indicative per dolore. Tali
sono vocalizzazioni, espressioni del volto o corporee, atteggiamenti di difesa od anomali, modifiche comportamentali o
psichiche. Viene quindi calcolato un punteggio complessivo
dei vari item, oltrepassato un punteggio minimo stabilito, lo
strumento sarebbe indicativo per espressione di dolore.
Cio’ nonostante, si raccomanda, in caso di dubbio pur con
punteggio inferiore alla soglia, di non esitare a fare test empirico antalgico: per Doujian se il comportamento cambia con
tale trattamento va interpretato come espressione di dolore.
Le scale di eterovalutazione hanno importanza nel rilievo del
dolore, non nel quantificarlo, pertanto se non ha senso comparare punteggi di pazienti diversi, può essere importante
comparare l’andamento del punteggio nello stesso paziente: si
consiglierebbe rivalutazione inizialmente almeno ogni 2 giorni sino al trattamento antalgico pieno, quindi da monitorare
come polso o pressione nel diario.
1) Scale di Autovalutazione: sono le più semplici ed affidabili,
in quanto è il paziente stesso che giudica il sintomo. Sono quindi di prioritario uso, sinchè il paziente è in grado di usarle.
L’autovalutazione può essere attuata semplicemente proponendo domande dirette, positive, semplici e non equivocabili
al paziente stesso.
Tali domande riguardano la presenza, la durata, l’entità e la
localizzazione del dolore (anche mediante indicazione diretta
sul corpo stesso).
In alternativa esistono veri strumenti di autovalutazione: scale
generiche unidimensionali (delle facce, visuale analogica VAS-, numerica, verbale semplice, termometro del dolore) e
scale più complesse (multidimensionali). Tra le unidimensionali, la Scala di valutazione verbale (VRS) è la più semplice ed
ha la maggiore probabilità di completamento, in quanto molti
pazienti preferiscono le scale verbali a quelle analogiche visive o numeriche. Questo strumento definisce l’intensità del
dolore con aggettivi: assente, lieve, moderato, grave; oppure:
assente, lieve, fastidioso, penoso, orribile e atroce.
Tra le scale multidimensionali, il Questionario Mcgill Pain
proposto nel 1975, è stato uno dei primi. Pur se di autovalutazione, risulterebbe proponibile anche in 2/3 dei pazienti con
disturbi cognitivi lievi. Tuttavia, essendo piuttosto indaginoso
ed utilizzando parole complesse (disconfort, distress…) può
essere difficoltoso per anziani con bassa scolarità, quindi è
poco usato.
La Verbal Descriptor Scale risulterebbe invece di più facile
applicazione, in quanto usa sinonimi e parole di semplice
comprensione per indagare il dolore (peso, disturbo, crampo…) ma di limitato uso nel demente.
Per valutare la applicabilità delle scale di autovalutazione in
presenza di alterazioni del linguaggio nel demente, Scherder
ha comparato l’uso di tre scale visive a pazienti con diverso
grado di deterioramento cognitivo: scala analogica colorata,
delle facce, delle facce con dimensione affettiva. La scala visiva analogica colorata è risultata la più comprensibile ed utilizzabile qualsiasi fosse lo stato cognitivo del paziente, mentre
quella delle facce è risultata comprensibile solo dal 20-30%
dei pazienti con demenza moderata. La scala con componente affettiva non ha trovato alcuna applicazione invece nel
demente anche moderato.
Diversi sono i pareri in merito a quale sia lo strumento migliore da usare in condizioni di deterioramento cognitivo.
Secondo Michel la scala visiva analogica (VAS), è lo strumento di riferimento per la valutazione del dolore nell’adulto, ma
non essendo validato in geriatria e richiedendo capacità intellettive di astrazione, non sarebbe utile nel demente.
Pradines e numerosi altri autori confermano che le scale
numeriche sarebbero utilizzabili nell’anziano anche demente,
a patto non vi sia deterioramento severo, mentre le scale verbali semplici (VRS) sarebbero gli ultimi strumenti di autovalutazione utilizzabili nella demenza, prima di ricorrere all’eterovalutazione.
Così anche Ferrel e Wynne consiglierebbero di usare una
scala composta da aggettivi qualificativi (nessun dolore, leggero, medio, forte, molto forte), anche in soggetti con deterioramento cognitivo medio-grave, mentrela semplice indicazione
diretta della zona algica sul corpo sarebbe il metodo preferibile per localizzarlo.
Di fatto, le scale verbali semplici hanno dei limiti:
richiedono un minimo di verbalizzazione (si/no)
la valutazione è contestuale ossia non valuta la possibilità di
amnesia per dolori intermittenti nel caso di demenza
una risposta può essere suggerita od automatica (positiva per
domanda positiva e viceversa)
2) Scale di Eterovalutazione: diventano necessarie quando
Due scale francesi sono la Scala Comportamentale
Semplificata (ECS) e la scala comportamentale di valutazione
del dolore nell’anziano (ECPA): quest’ultima (validata in
Francia) trova uso per i familiari e curanti e pare piuttosto
apprezzato in quanto semplice e comprensibile a tutti (62).
La anglosassone Checklist of Non-Verbal Pain Indicators
(CNPI) è stata descritta ed introdotta nel 2000 da Feldt osservando l’espressione non verbale di dolore in soggetti operati
per frattura di un arto, confrontando soggetti dementi con soggetti cognitivamente adeguati. L’utilità di tale lista è notevole,
ma più dal punto di vista formativo-culturale che pratico in
quanto non è ancora stata validata.
Un’altra scala di questa categoria, interessante e di rapido uso
è la Abbey Pain Scale australiana.
Vi sono poi scale composte da items generici, senza distinzione tra soggetto a riposo o meno: tra tutte la scala Doloplus
francese, la Dis-DAT inglese e la PAINAD americana.
Schematizzando, l’uso di scale di eterovalutazione ha degli
aspetti positivi e negativi:
VANTAGGI
abituano ad un uso di items meno soggettivi e più specifici
rispetto ad una osservazione non guidata;
permettono una comparazione in equipe delle osservazioni su
uno stesso pazienti;
facilitano la sensibilizzazione e formazione dei curanti;
stimolano la ricerca e l’interesse scientifico in questo campo;
permettono il confronto tra valutazioni di uno stesso paziente
nel corso del tempo e dopo eventuale trattamento.
SVANTAGGI
sono generiche ed i loro items non ponderati alle diverse situazioni/persone;
sono standardizzate e valide solo all’interno di un paese;
il punteggio può essere influenzato dall’esperienza personale,
professionale e di dolore, nonchè dal sesso di chi valuta:
Robinson in uno studio di validazione di strumenti di eterovalutazione ha constatato come generalmente il dolore sia sottostimato, in particolare se effettuato da un maschio o verso un
maschio;
possono dare l’impressione che la eterovalutazione sia semplice;
possono ritardare uso di strumenti diagnostici;
possono portare ad un loro sovrautilizzo anche in condizioni
dove andrebbero usate quelle di autovalutazione;
non si possono confrontare punteggi tra malati diversi;
si aggiungono a tante altre scale in uso.
102
POSTER 8 GIUGNO
IN PRATICA
Se il paziente affetto da demenza lieve-moderata è in genere
in grado di segnalare e descrivere il dolore, ciò diventa impossibile se la demenza diventa grave.
Il dolore del paziente demente grave necessita di una ricerca
specifica.
In sostanza ecco alcuni consigli pratici su come indagare il
dolore:
zione negativi o dubbi), l’American Gerontology Association
comunque raccomanda un test empirico con antalgici.
CONCLUSIONI
Il dolore cronico nell’anziano, più che un semplice sintomo è
una vera malattia.
La valutazione ed il trattamento del dolore nel soggetto con
deficit cognitivo è un problema, non solo clinico, ma etico,
deontologico, sociale.
Sono stati svolti diversi studi per approntare strumenti o scale
capaci di evidenziare segni ed espressioni dirette ed indirette
del dolore, ma nessuno di questi sin’ora si è dimostrato sempre e comunque valido.
Tali strumenti restano tuttavia un’importante segno di sensibilità ed interesse da parte dei ricercatori per questo argomento
e fondamentalmente uno stimolo per i clinici a porre maggiore attenzione verso lo stesso.
Le scale, in particolare quelle di eterovalutazione, dovrebbero
pertanto far parte del bagaglio culturale di ogni curante che
abbia contatti con soggetti affetti da deficit cognitivo: si tratti
di medici, infermieri o semplici assistenti, non meno che i
familiari dei pazienti stessi.
Qui, come sempre in ambito geriatrico e palliativo, l’ascolto
tra “curanti”e la pluridisciplinarietà nella valutazione non
sono solo auspicabili, ma indispensabili.
Obiettivo di questa conoscenza non è certo l’utilizzo preciso
e puntuale di uno o l’altro strumento, ma l’attenzione, la sensibilità per l’osservazione e la capacità di “tradurre” segni che
altrimenti resterebbero, come più spesso accade sin’ora, indecifrati o peggio male interpretati.
Solo così si potrà dare la giusta risposta ad una richiesta che
viene da chi non ha voce.
1) Condizioni ambientali della visita (setting):
Silenzio; Buona illuminazione del proprio volto; Sedersi allo
stesso livello del paziente; Usare la gestualita’ per indicare la
zona dolente ed una virtuale scala visivo-verbale del dolore.
2) Nell’ intervista fare domande:
Brevi; Semplici; Positive; Le parole debbono essere articolate
e distinte tra loro.
3) cambiare l’intervistatore (certi volti o voci passano meglio
di altre).
4) l’interrogatorio deve essere accurato e ripetitivo, come
accurata l’osservazione della comunicazione non verbale.
5) esame obiettivo deve essere accurato come se si trattasse di
un paziente politraumatizzato, con particolare interesse per
l’apparato osteoarticolare e la pelle (decubiti).
6) ogni cambiamento del comportamento (stress, malessere),
di una persona anziana deve far sospettare la possibile presenza di dolore.
7) osservare segni:
Verbali: semplici frasi (“non sto bene”) o versi (grida, urla,
gemiti, borbottii, grugniti);
Facciali: semplici (corrugamenti, digrignare i denti, serrare o
spalancare gli occhi, sguardo accigliato, mordersi le labbra) o
complessi (sguardi cattivi, arrabbiati, sofferenti);
Adattativi: grattare, stringere o fissare una precisa area, cercare un sostegno, evitare stimoli, riduzione dei movimenti giacendo o restando seduti;
Distrattivi: dondolio (od altro movimento ritmico), mordere le
mani o le labbra, affaccendamento, stringere i pugni;
Posturali (posizione antalgica): posizione corporea inabituale,
atta a evitare o sollevare dal dolore; aumento tensione muscolare (estensione o flessione), alterazioni posturali, rannicchiamento, testa tra le mani, andatura zoppicante, coprirsi la testa
con lenzuola o coperte, ginocchia accavallate;
Protezione zone dolenti: il malato protegge una o più zone del
corpo tramite gesti od atteggiamenti di difesa;
Reazioni a sollecitazioni: qualsiasi stimolo, come il semplice
avvicinarsi del curante, mobilizzazione;
Reazioni alla toilette, vestizione, fatta da solo o con aiuto;
Alterazioni della vita sociale: pasti, animazione, partecipazione ad attivita’ terapeutiche o ludiche ricreative di gruppo,
accoglimento di visite
Turbe del comportamento: aggressivita’, agitazione, confusione, indifferenza, fuga, regressione, domanda di eutanasia
Autonomici: principalmente simpatici (reazione di paura o
fuga con aumento pressione arteriosa, frequenza cardiaca,
midriasi, sudorazione alle mani), o parasimpatiche se associati a nausea o dolore viscerale (calo pressione arteriosa e frequenza cardiaca)
8) Comparare tali segni con precedenti episodi noti di distress.
9) Documentare le osservazioni di ogni nuovo segno interpretabile come sofferenza.
10) In caso di dubbio sulla possibile presenza di dolore non
altrimenti espresso, (anche in presenza di test di eterovaluta-
Bibliografia
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JAGS. 50/S205-S224, 2002
2. Murdoch J,Larsen D Assessing pain in cognitively impaired
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10. Wynne Carol F et al. Comparison of Pain Assessment
Instruments in Cognitively Intact and Cognitively Impaired
Nursing Home Residents Geriatric Nursing 2000 Volume
21 Number 1
103
POSTER 8 GIUGNO
OSSICODONE A RILASCIO CONTROLLATOPARAGONATO A MORFINA CR IN PAZIENTI AFFETTI DA DOLORE
CRONICO ONCOLOGICO
no due mesi e ad ognuno era stata diagnosticata una patologia
oncologica da almeno 4 mesi. Tutti avevano praticato terapia
con FANS (ketorolac 45-60 mg/die o paracetamolo 500-2000
mg/die) ma da almeno un mese non riferivano risultati soddisfacenti in termini di controllo del dolore.
Sono stati esclusi dallo studio pz che avevano storia di intolleranza a morfina o ossicodone, pz con controindicazioni
all’uso di oppioidi forti ( pz con ileo paralitico, con patologia
polmonare grave ecc.) e pz con storia di abuso di sostanze stupefacenti.
I 63 pz sono stati suddivisi in maniera randomizzata in due
gruppi.
Al momento del reclutamento, ai pz è stata richiesta l’intensità del dolore su scala VAS ed è stata valutata la qualità di vita
somministrando il Karnofski Performance Status (KPS). Tali
parametri sono stati successivamente valutati dopo 7 giorni
(T1), dopo 20 giorni (T2) e dopo 45 giorni (T3) dall’inizio della
terapia. Sono stati altresì annotati gli effetti collaterali, il fabbisogno di farmaci rescue, l’eventuale incremento del dosaggio
di ossicodone o morfina. In tutti i pazienti, al reclutamento, il
valore del Karnofski Performance Status era 54.6 ± 8. La VAS
media era 7.16 ± 1.5
Al baseline ( T0), il dosaggio di ossicodone a rilascio controllato (gruppo A) è stato di 20 mg/die in due somministrazioni.
Per la morfina CR (gruppo B) si è optato per un dosaggio pari
a 40 mg/die in due somministrazioni.
Per ambedue i gruppi è stato previsto, come farmaco rescue,
il fentanyl in pastiglia trans-mucosa ( dosaggio di 400-600
mcg).
R. Palomba, A. Granata, M. Ciaravola, R. Melillo,
P. Bonaccia, G. Conte, D. Tammaro
Dipartimento Universitario di Scienze AnestesiologicheRianimatorie e dell’Emergenza “Federico II” di Napoli. Area
funzionale di Anestesia Generale e Speciale, di Terapia
Antalgica e Cure Palliative. Resp. Prof.ssa R.Palomba.
Introduzione
L’ossicodone è un oppioide semisintetico derivato dalla tebaina. Ha un rapido onset d’azione ( 41 minuti ) ed una buona
disponibilità orale ( 60-87% ), doppia rispetto alla morfina.
Viene metabolizzato a norossicodone e ossimorfone a livello
epatico ma tali metaboliti contribuiscono in maniera trascurabile ai suoi effetti analgesici 1. Al contrario la morfina 6 glicu-
ronide, metabolita della morfina, ha un ruolo notevole nell’analgesia indotta da tale oppioide.
Numerosi studi, in letteratura, hanno confrontato i due farmaci nel trattamento del dolore cronico oncologico, cercando
eventuali differenze di efficacia e ponendo l’accento sugli
effetti collaterali2,3,4,5,6.
Il nostro studio, prospettico in doppio cieco, valuta l’efficacia
dell’ossicodone a rilascio controllato rispetto alla morfina CR
in pz affetti da dolore neoplastico moderato-severo, molti dei
quali caratterizzati dalla presenza di dolore prevalentemente
viscerale.
Risultati
I due gruppi di pazienti sono risultati omogenei per sesso, età,
patologia, tipo di dolore (prevalentemente viscerale o prevalentemente somatico) per valori di KPS e di VAS (Tab.1).
Materiali e metodi
Abbiamo reclutato, previo consenso informato, 63 pz, di età
media 62 anni ( range 20-86), afferenti presso l’ambulatorio di
terapia del dolore della AOU Policlinico Federico II di Napoli.
Tali pz risultavano affetti da dolore moderato-severo da alme-
Tabella 1
I risultati ai successivi follow-up per il gruppo A (ossicodone)
sono mostrati in tabella 2.
Gruppo A ( ossicodone )
(30 pz)
Gruppo B ( morfina )
(33 pz)
Età media
61 anni (23-82)
62 anni (20-86)
VAS al reclutamento
7.13 ± 1.4
7.25 ± 1.1
Sesso
KPS al reclutamento
Patologia
14 M; 16 F
15 M; 18 F
53.9 ± 7.5
K polmone + metastasi: 2 pz
*K rene + metastasi: 4 pz
*Linfoma gastrico: 4 pz
K mammella + metastasi: 2 pz
*K pancreas: 4 pz
*K colon + metastasi: 5 pz
K prostata + metastasi: 2 pz
K vescica/pelvi: 1 pz
*K gastrico: 3 pz
K endometrio + metastasi: 1 pz
*K ovaio/peritoneo: 1 pz
*K fegato/vie biliari/peritoneo: 1 pz
* Pazienti con dolore prevalentemente di tipo viscerale
104
55 ± 7
K polmone + metastasi: 3 pz
*K rene + metastasi: 3 pz
K mammella + metastasi: 3 pz
*K surrene + metastasi: 1 pz
K testicolare: 1 pz
K prostata + metastasi: 4 pz
K cervice + metastasi: 1 pz
*K fegato/vie biliari: 2 pz
*K pancreas: 5 pz
K endometrio: 3 pz
*K ovaio: 2 pz
*K colon + metastasi: 5 pz
POSTER 8 GIUGNO
Tabella 2
Tempo
T0
T1
T2
T3
VAS
7.13
3.15
3.23
3.62
±
±
±
±
letteratura i quali hanno riposto attenzione sull’efficacia dell’ossicodone rispetto alla morfina (Galer et al, 1992; Lawlor et
al, 1997; Derby et al., 1998) e sugli effetti collaterali dei due
farmaci (Kalso, 1990; Maddocks et al 1996; Mucci-Lo russo,
1998, ecc.). Tuttavia nel nostro studio emergono alcuni aspetti interessanti sia relativamente al confronto morfina CR vs
ossicodone CR che riguardo al tipo di dolore trattato.
Infatti è opportuno notare che le differenze riguardo al controllo del dolore, risultate statisticamente significative al T2 e
al T3, mostrano una superiorità per l’ossicodone; in ogni
modo è ben evidente il miglioramento della qualità di vita e la
buona analgesia in ambedue i gruppi.
Come già evidenziato nel testo, la maggior parte dei pz reclutati sono affetti da neoplasie caratterizzate da dolore prevalentemente viscerale. E’ possibile che il miglior controllo con l’ossicodone sia proprio legato a tale aspetto. Del resto vi sono
alcune evidenze in letteratura 8 secondo le quali l’ossicodo-
1.4
1.1
1.2
1.3
Il KPS al T3 è risulatato pari a 65.85 ± 7 nel gruppo A
In tale gruppo 22 pz hanno richiesto un progressivo aumento
del dosaggio fino a 60 mg/die in due somministrazioni; 4 pz
hanno richiesto un dosaggio di 80 mg/die e 4 pz hanno risposto a dosi di 40 mg/die, sempre in due somministrazioni. La
dose media utilizzata, a fine osservazione, è dunque risultata
pari a 60 mg/die (range 40-80 mg). Durante tutto lo studio,
per 6 pz è stata necessaria la somministrazione di fentanyl in
pastiglia trans-mucosa
Gli effetti collaterali sono stati i seguenti:
lieve prurito
lieve stipsi:
lieve nausea:
lieve sonnolenza:
forte stipsi:
1
1
1
2
1
ne sarebbe più efficace della morfina nel trattamento del dolore viscerale. Tale dolore è caratterizzato da una overespressione9 dei recettori k oppiodi a livello spinale. In studi su ani-
pz
pz
pz
pz
pz.
mali10 l’ossicodone risulta molto attivo sui recettori k. Pur
non essendo ancora dimostrato tale effetto sull’uomo, è probabile che l’affinità per i recettori k iperespressi giustifichi i
buoni risultati analgesici di questo farmaco nel dolore da distensione dei visceri. Questo aspetto apre la strada alla possibilità di utilizzare oppioidi specifici per un determinato tipo di
dolore.
Altro aspetto interessante è quello degli effetti collaterali. Essi
sono sostanzialmente sovrapponibili nei due gruppi dello studio. Tuttavia notiamo una tollerabilità maggiore al trattamento
nel gruppo cui è stato somministrato ossicodone . In particolare, in quest’ultimo, non sono presenti allucinazioni e vertigini. Ciò è in accordo con il lavoro di Kalso et al del 1990.
Alla luce dei risultati, il nostro lavoro è in linea con i precedenti lavori pubblicati nel mostrare una sovrapposizione di
morfina e ossicodone nell’efficacia analgesica nel dolore cronico da cancro con notevole miglioramento della qualità di
vita.
Analogamente esso conferma una minore presenza di effetti
collaterali mediante l’utilizzo di ossicodone e apre le porte per
una maggiore valutazione dell’utilizzo di questo farmaco nel
trattamento del dolore oncologico con maggior componente
viscerale
In 24 pz non sono stati rilevati effetti collaterali significativi.
I risultati relativi al gruppo B (morfina) sono mostrati in tabella 3.
Tabella 3
Tempo
T0
T1
T2
T3
VAS
7.25
3.17
3.96
4.18
±
±
±
±
1.1
1
1.3
0.9
Il KPS al T3 è risultato pari a 64.8 ± 6. nel gruppo B.
In questo gruppo, durante tutto lo studio, 9 pz hanno richiesto fentanyl in pastiglia trans-mucosa.
5 pz sono estati esclusi dallo studio; di essi, 2 pz perché non
presentatisi ai follow-up, 3 pz per effetti collaterali non tollerati ( 1 per sonnolenza, 2 per stipsi).
In 19 pz è risultato necessario aumentare il dosaggio di morfina CR fino a 120 mg/ die in due somministrazioni. Negli altri
9 pz il dosaggio finale è stato di 160 mg/die in due somministrazioni. Dunque il dosaggio medio finale è stato 133 mg/die
(range 120-160).
Gli effetti collaterali osservati sono stati i seguenti:
lieve prurito:
lieve stipsi:
lieve nausea:
lieve sonnolenza:
forte stipsi:
vertigini:
allucinazioni:
2
2
1
1
1
1
1
Bibliografia
1. Coluzzi F., Mattia C. Oxycodone, Pharmacological profile and clinical in chronic pain management Minerva
Anestes. 2005; 71: 451-460.
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8. Staal et al, 2005
9. Sengupta et al 1999
pz
pz
pz
pz
pz
pz
pz
In 19 pz non sono stati riportati effetti collaterali.0
Sui valori di VAS l’analisi statistica effettuata con test ANOVA
ha mostrato differenze significative
(p< 0.05) tra i due gruppi relativamente ai follow up a 20 e
45 giorni dall’inizio dello studio. Relativamente ai valori di
KPS non è emersa nessuna differenza statisticamente significativa Evidente, comunque, il buon controllo del dolore e il
significativo miglioramento della qualità di vita con entrambi
i farmaci.
Discussione e conclusioni
Il nostro studio ha dimostrato, per entrambi gli oppioidi considerati, una buona efficacia analgesica e una buona tollerabilità. Ciò è in accordo con i dati presentati in diversi lavori in
105
POSTER 8 GIUGNO
TERAPIA A SEGNALI PULSANTI NELLA PATOLOGIA
DEGENERATIVA ARTROSICA: NOSTRA ESPERIENZA
Terapia, ciascuna della durata di 1 ora, nell’arco di 5 giorni
consecutivi. L’apparecchiatura utilizzata è progettata per generare una corrente continua pulsante attraverso un apposito
solenoide che lavora con modulazione e durata di impulsi
variabili entro un’intensità di campo fino a 12,5 Gauss e una
frequenza da 1 a 30 Hertz.
Il nostro protocollo prevedeva che i pazienti fossero intervistati utilizzando il Questionario WOMAC (Western Ontario
and McMaster Universities Osteoarthritis Index) prima dell’inizio del trattamento, al termine del trattamento, dopo sei settimane, dopo sei mesi e dopo un anno dal trattamento con
PST.
Il Western Ontario and McMaster Universities Osteoarthritis
Index (WOMAC) rappresenta un valido strumento di valutazione nei pazienti con osteoartrosi di anca e ginocchio 6. Uno
studio effettuato nel 2000 ha infatti dimostrato come le scale
WOMAC possano evidenziare cambiamenti anche minimi,
all’interno della valutazione del paziente7, per quanto riguarda le più comuni domande incentrate sulla percezione del
dolore, la sua frequenza di presentazione e circa l’incidenza
della limitazione motoria 6. Grazie a ciò, la rilevazione di tali
minime, ma percettibili, differenze permette una valutazione
clinica più approfondita e quindi una migliore gestione terapeutica dei pazienti affetti da osteoartrosi 7.
La partecipazione dei pazienti allo studio è stata decisa secondo criteri di idoneità ed esclusione; in particolare come criteri
di esclusione sono stati considerati:
Presenza di patologie caratterizzate da proliferazioni cellulari
di natura benigna e/o maligna presenti o pregresse sviluppatesi in qualsiasi distretto corporeo;
Pazienti in stato di gravidanza;
Portatori di pace-maker cardiaco;
Portatori di protesi di materiale diverso dal Titanio;
Pazienti con patologie articolari di natura infettiva.
Durante le visite di controllo previste dal protocollo abbiamo
analizzato la V.A.S. (Visual Analogic Scale) per la valutazione
dell’intensità del dolore ed il parametro Limitazione Motoria,
stimata mediante l’utilizzo dell’indice di WOMAC, al fine di
analizzare la risposta terapeutica a PST da parte di entrambi i
gruppi di pazienti.
D. Rizzitano, A. Gatti, C. Croce, M. Lazzari, M.C. Guarino
C. Martucci, F. Limongi, D. Caruso, M. Proietti, M. Lazzari
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
SUMMARY
Objective. This study evaluates the perceptible clinical improvement of pain and physical limitation in Italian patients with
osteoarthritis (OA) of the hip and the knee, undergone a
Pulsed Signal Therapy (PST).
Methods. 80 patients with OA of the hip and of the knee
undergone to PST for nine hours in a period of five consecutives days. The WOMAC and pain relief were completed at
baselines, at the end, after 6 weeks, after 6 month and after 12
months.
Results. We observed an important clinical improvement, defined as the difference in mean change from baseline to months
12 in WOMAC evaluation. Clinical improvement was evaluated as variation in physical limitation with scores between 0
(= “absent”) and 4 (= “always”) and as variation in pain relief
with VAS score between VAS 0-2 (absent-light pain) and VAS
9-10 (atrocious pain).
Conclusions. Electrical impulses, as mechanic stimuli, influence connective tissues cells and can control the substrate
expression. PST guarantees the physiological signals to substain the physiological synthesis skills and is thus helpful for all
the connective tissues without any known side effects.
Introduzione
La Terapia a Segnali Pulsanti (PST) rappresenta una metodica
non invasiva idonea a ripristinare quei segnali fisiologici che il
microambiente della matrice extracellulare cartilaginea perde
quando va incontro a situazioni di squilibrio 4,5.
E’ stato infatti dimostrato come l’esposizione a campi magnetici pulsanti a bassa frequenza (PEMF) promuova la differenziazione condrogenica e la sintesi di proteine della matrice
extracellulare cartilaginea1,2. I PEMF hanno un gran numero
di effetti ben documentati, che includono in particolar modo
la sovraespressione genica, che ha come scopo finale la sintesi di aggrecano e di collagene tipo II 1,2.
La Terapia a Segnali Pulsanti rappresenta una evoluzione dei
campi elettromagnetici pulsanti (PEMF): entrambi i metodi
impiegano segnali rettangolari, ma a differenza della PEMF,
dove i segnali sono uguali, gli stimoli di PST sono di intensità
e durata diversi. In tal modo il segnale pulsante, supportato dal
campo magnetico viene trasmesso ai condrociti del tessuto
leso e riconosciuto come un segnale simil biologico, in grado
così di riattivare il processo di rigenerazione della matrice
extracellulare 3.
Risultati
I 52 pazienti trattati per la gonartrosi hanno presentato una
manifestazione della Limitazione Motoria con un andamento
distribuito come segue:
Tabella 1. Andamento della Limitazione Motoria dopo PST in gonartrosi
Limitazione
Motoria
Assente
Raramente
A volte
Spesso
Sempre
Pre-PST
9,6%
5,7%
19,2%
38,5%
26,35%
Dopo 1 anno
da PST
25%
36,5%
26,3%
9,6%
1,9%
Si può quindi notare che a distanza di un anno dallo svolgimento del ciclo terapeutico con PST si è avuto un miglioramento generale di tale parametro, così distribuito nei 5 gradi
di intensità:
Assente: aumento pari al 160,4% (15,4 punti percentuale), passando dall’9,6% al 25% di interessamento della popolazione;
Raramente: aumento di 5,4 volte (30,8 punti percentuale), passando dal 5,7% al 36,5% di interessamento della popolazione;
A volte: aumento del 37% (7,1 punti percentuale), passando
dal 19,2% al 26,3% di interessamento della popolazione;
Materiali e Metodi
Presso il Centro di Fisiopatologia e Terapia del Dolore del
Policlinico Tor Vergata in Roma sono stati trattati con Terapia
a Segnali Pulsanti, in un periodo di tempo compreso tra
Gennaio 2004 e Febbraio 2005, 80 pazienti divisi in due gruppi di diagnosi: 52 pazienti affetti da gonartrosi (equivalenti al
40% di tutte le terapie effettuate in tale arco di tempo) e 28
pazienti affetti da coxartrosi (equivalenti al 23% del totale
delle terapie effettuate in tale arco di tempo).
Ciascun paziente è stato sottoposto ad un ciclo di 9 sedute di
106
POSTER 8 GIUGNO
Spesso: diminuzione del 70%, passando dal 38,5% al 9,6% di
interessamento della popolazione;
Sempre: diminuzione del 93%, passando dal 26,35% all’1,9%
di interessamento della popolazione;
Tabella 4. Andamento della V.A.S. dopo PST in coxartrosi
Per quanto riguarda il parametro V.A.S., si può notare questo
tipo di distribuzione:
Pre-PST
3,8%
13,5%
36,5%
42,3%
3,8%
Dopo 1 anno da PST
57,7%
25%
15,4%
1,9%
0
35,7%
35,7%
21,5%
5-6
53, 6%
9-10
0
14,3%
17,9%
53,6%
28,6%
17,9%
0
0
Discussione
L’invecchiamento cartilagineo legato alla senescenza delle
cellule condrocitiche gioca un ruolo primario nella patogenesi delle condizioni degenerative osteoarticolari 9,10. Diversi
studi infatti sottolineano che l’invecchiamento cellulare favorisce il processo degenerativo artrosico diminuendo la capacità dei condrociti di sostenere e riparare il tessuto cartilagineo
articolare 9. Infatti cambiamenti nella matrice extracellulare
portano ad alterazioni dei fenomeni elettrici, che sono di fondamentale importanza per il mantenimento della cartilagine,
per la sua rigenerazione e per la sua crescita. L’effetto della
PST è quello di determinare un ripristino di quei segnali fisiologici che il microambiente della matrice extracellulare non
riceve più quando va incontro ad una situazione di squilibrio,
situazione che causa la perdita dei segnali fisiologici della
matrice e, di conseguenza, della cellula condrocitica 8. Questi
segnali sono necessari per esercitare una capacità di sintesi
fisiologica, sintetizzando e riducendo i proteoglicani e il collagene in modo coordinato. Il segnale di PST non fa altro che
mimare un segnale biologico, favorendo in tal modo la ricostituzione di forze elettriche perdute dalla matrice.
Si può quindi notare come i potenziali elettrici, così come gli
stimoli meccanici, influenzino le cellule dei tessuti connettivi
e possano quindi controllare l’espressione del substrato a livello qualitativo e quantitativo.
Tabella 3. Andamento della Limitazione Motoria dopo
PST in coxartrosi
7%
0
14,3%
Dopo 1 anno
da PST
Si può quindi notare come si sia ottenuto, dopo un anno:
• Un aumento di 2,74 volte (39,3 punti percentuale) della frequenza di presentazione di una VAS 0-2 (dolore assentelieve);
• Un raddoppio (14,3 punti percentuale) di una VAS 3-4 (dolore lieve-moderato);
• Una diminuzione del 66,6% (35,7 punti percentuale) della
presenza di una VAS 5-6 (dolore moderato-forte);
• La totale scomparsa della presenza di una VAS 7-8 (dolore
molto forte).
I 28 pazienti trattati per la coxartrosi hanno presentato una
manifestazione della Limitazione Motoria con un andamento
distribuito come segue:
Pre-PST
0-2
7-8
Si può quindi notare evidenza di:
• Un aumento di 15 volte (53,9 punti percentuale) del parametro VAS 0-2 (dolore assente-lieve);
• Un aumento del 92,6% (12,5 punti percentuale) nella frequenza di presentazione di una VAS 3-4 (dolore lieve-moderato);
• Una diminuzione del 57,8% (21,1 punti percentuale) di presenza di una VAS 5-6 (dolore moderato-forte);
• Una diminuzione del 98% (41,4 punti percentuale) del valore VAS 7-8 (dolore molto forte);
• La totale scomparsa della modalità VAS 9-10 (dolore atroce).
Limitazione
Motoria
Assente
Raramente
A volte
Spesso
Sempre
Pre-PST
3-4
Tabella 2. Andamento della V.A.S. dopo PST in gonartrosi
VAS
0-2
3-4
5-6
7-8
9-10
VAS
Dopo 1 anno
da PST
17,9%
35,7%
28,5%
10,7%
7%
Conclusioni
La terapia a Segnali Pulsanti rappresenta una metodica non
invasiva che permette il recupero di segnali fisiologici necessari per il mantenimento o il ripristino delle capacità di sintesi
fisiologiche. Per tale motivo è applicabile a tutti i tessuti connettivi dell’apparato locomotore senza effetti collaterali conosciuti.
Nella nostra esperienza la P.S.T. si è mostrata una metodica
fisiologica e non aggressiva capace di alleviare il dolore e
migliorare la limitazione motoria: a seconda del tipo di patologia abbiamo potuto riscontrare un interessante incremento
della mobilità ed una notevole riduzione del dolore, fino a
raggiungere l’eliminazione totale di una V.A.S. 9-10 nei
pazienti con gonartrosi e di una V.A.S. 7-8 nell’ambito della
coxartrosi.
Si può quindi notare che a distanza di un anno dallo svolgimento del ciclo terapeutico con PST si è avuto un miglioramento generale di tale parametro, come si può osservare dalla
distribuzione sopra riportata; in particolare:
• Assente: si nota un aumento del 155,7% (10,9 punti percentuale), passando dal 7 al 17,9% di interessamento della
popolazione;
• Raramente: è passata da assente ad una prevalenza del
35,7% della popolazione presa in esame;
• A volte: si nota una diminuzione del 20,1% (7,2 punti percentuale), passando dal 35,7 al 28,5% di interessamento dei
pazienti presi in esame;
• Spesso: si nota una diminuzione del 70% (25 punti percentuale), passando da un 35,7 ad un 10,7% di interessamento
della popolazione; Sempre: si nota una diminuzione del
67,5% (14,5 punti percentuale), passando dal 21,5% al 7%
di interessamento del campione.
Bibliografia
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endochondral ossification by biophysical stimulation of the
Per quanto riguarda il parametro VAS, si può notare:
107
POSTER 8 GIUGNO
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osteoarthritis. Iowa Orthop J 2001; 21: 1-7.
10 Aigner T, Kurz B, Fukui N, Sandell L. Roles of chondrocy-
108
POSTER 8 GIUGNO
DISTORSIONE DEL CATETERE PERIDURALE IN SITU. UNO
STUDIO PILOTA
torsione non appena rimossi; pertanto sono stati esclusi i cateteri accidentalmente sfilati e quelli rimossi dal personale diverso da quello dell’APS. Cateteri rimossi da pazienti con elevato rischio infettivo sono stati eliminati prima di poter essere
esaminati per evitare la contaminazione del personale.
Le analisi qualitativa e quantitativa della deformità dei cateteri peridurali in situ sono state effettuate immediatamente dopo
la rimozione degli stessi. Infatti, una volta rimossi, i cateteri
venivano fotografati assieme ad un riferimento metrico, in tre
piani ortogonali in modo da avere una visione stereoscopica
del catetere anche a distanza di tempo.
Per poter effettuare un confronto oggettivo tra i cateteri sono
stati scelti dei punti di riferimento comuni a tutti i cateteri.
Questi erano: la punta del catetere e le tracce segnate a distanze prestabilite sull’estremità distale dello stesso. Si è scelto di
misurare la distanza tra la punta del catetere e l’ultima traccia
distale (5,5 cm dalla punta), nell’atteggiamento assunto a
seguito della permanenza nello spazio peridurale. Il rapporto
tra la misura ottenuta e la lunghezza effettiva del catetere tra i
due punti rappresenta un indice del grado di distorsione del
catetere.
Sono state scelte le seguenti categorie di indice:
Catetere rettilineo (Index 1, Fig. 2.1) rapporto ≥ 0,9,
Catetere distorto (Index 2, Fig. 2.2) rapporto ≥ 0,7 e < 0,9,
Catetere fortemente distorto (Index 3, Fig. 2.3) rapporto <0,7.
Data l’ambiguità dell’indicizzazione per cateteri con deformazione ad angolo >90° si è scelto di includere questi ultimi
nella categoria Index 3.
La determinazione di questo rapporto (variabile dipendente)
consente di analizzare l’influenza di alcune variabili indipendenti, legate al paziente e/o alla tecnica, sull’eventuale deformazione del catetere peridurale in situ.
BG. Samolsky-Dekel, G. Rinaldelli, RM Melotti, GF. Di Nino
Dipartmento di Scienze Chirurgiche e Anestesiologiche,
Università di Bologna
Introduzione: Un corretto posizionamento del catetere peridurale in situ è considerato un elemento imprescindibile per
l’applicazione ed il mantenimento di un adeguato trattamento antalgico mirato. L’anestesia e l’analgesia loco-regionale
applicabili con questa tecnica sono gravate dall’impossibilità
dell’operatore di verificare, se non indirettamente, il reale
destino del catetere una volta inserito. Obiettivo dello studio
era di verificare e quantificare la presenza di difformità dei
cateteri peridurali utilizzati per anestesia loco-regionale ed
analgesia peri-operatoria, ed analizzare le variabili relative al
paziente e le variabili legate alla tecnica che possono determinarle. In seguito è stata analizzata la rilevanza che assume
la distorsione del catetere nel determinare la qualità dell’analgesia.
Materiali e metodi: Lo studio è stato condotto, dal Marzo al
Dicembre 2005, nell’ambito dell’attività del servizio di medicina perioperatoria e terapia antalgica (APS) della U.O.
Anestesiologia (Direttore Prof. GF. Di Nino) presso i reparti di
Chirurgia Vascolare (Direttore Prof. A. Stella), Chirurgia
Toracica (Direttore Prof. P. Aurea Bazzocchi), Chirurgia
Generale (Direttore Prof. F. Minni) dell’Azienda Ospedaliero –
Universitaria di Bologna – Policlinico S.Orsola – Malpighi.
Sono stati inclusi nello studio 108 pazienti delle suddette
sezioni, tutti trattati con tecnica peridurale per il controllo del
dolore nel periodo peri-operatorio.
Sono stati inclusi nello studio cateteri peridurali multi-orifizio
in polietilene del diametro di 20 Gauge.
I cateteri dovevano essere rimossi secondo tecnica appropriata e misurati per la determinazione del proprio indice di dis-
Sono state indagate le relazioni tra il grado di distorsione dei
CP e le seguenti variabili indipendenti.
Variabili relative al paziente: sesso, età, altezza, peso, BMI,
reparto di degenza.
Variabili legate alla tecnica: livello di inserimento del catetere,
distanza della punta del catetere dal punto di inserimento (dPPC), durata della permanenza del catetere nello spazio peridurale.
Qualità dell’analgesia: è stata valutata nell’ambito dell’attività
dell’APS tre volte al giorno (ore 8,00; ore 14,00; ore 20,00).
Sono stati presi in considerazione i valori medi della Scala
Visuale Analogica (VAS) per il dolore statico VAS(s) e dinamico VAS(d) relativi alle 48 ore post-operatorie.
Successivamente, i valori sono stati raggruppati secondo il
seguente schema: VAS = 0, nessun dolore; VAS = 1-3, dolore lieve; VAS = 4-6, moderato; VAS>7, dolore severo.
Fig. 1. Esempi di applicazione dell’indicizzazione.
Le variabili categoriali sono state espresse in percentuali mentre quelle continue con la media e ± deviazione standard.
L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il programma
StatView per Windows (SAS Institute Inc. Cary, NC). Sono stati
impiegati il test ÷2 per il confronto dei dati categoriali. Infine,
P < 0,05 è stata definita come differenza statisticamente significativa. Laddove riscontrati, sono stati indicati valori di P <
0,01 e P < 0,001.
Risultati preliminari:
Il 72% (n=78) dei pazienti era ricoverato presso il reparto di
Chirurgia Vascolare, il 18% (n=19) presso la Chirurgia
Toracica mentre il 10% (n=11) presso la Chirurgia Generale.
I pazienti erano per il 77% maschi e per il restante 23% di
sesso femminile, l’età media era di 70,9 ± 10,8 aa, l’altezza
era di 168,5 ± 9,3 cm, il peso era di 71,4 ± 13,5 kg il BMI
25,1 ± 4,8 kg/m2. I cateteri sono rimasti in sede per 7,0 ±
4,3gg.
Fig. 2. Proporzioni delle tre categorie dell’indice di distorsione nel campione.
109
POSTER 8 GIUGNO
Alla rimozione, la maggioranza dei cateteri 56,5% (n = 61)
presentava un indice di distorsione tra 0,9 ed 1,0 (Index 1).
Circa un quarto del campione 25,9% (n = 28), presentava un
indice di distorsione ≥ 0,7 e < 0,9 (Index 2) mentre il restante 17,6% presentava un indice di distorsione < 0,7 (Index 3).
Per il sesso maschile la maggioranza dei cateteri (61%) presentavano una conformazione rettilinea mentre nel sesso femminile il 60% era a configurazione difforme.
Come è riportato nella Tabella I, non si sono rilevate differenze statisticamente significative tra i due sessi nonostante le
suddette osservazioni qualitative.
Tra le sei sottoclassi d’età individuate, quella a maggior numero di pazienti era quella tra 71-80 anni (41,7%), seguita da
quella di 61-70 (25,9%) e da quella di 81-90 anni (17,6%).
Nei pazienti con età ≤ 50 anni la totalità dei cateteri (100%)
aveva una configurazione rettilinea. La categoria Index 2 era
presente a partire dalla classe d’età di 51-60 anni con un range
di prevalenza cha va da 18 a 33%. La categoria Index 3 era
presente a partire dalla classe di 61-70 anni con un range di
prevalenza cha va da 14 a 24%. Qualitativamente, questi dati
denotano un trend di aumento del grado di distorsione con
l’aumentare dell’età. Infatti, sommando la prevalenza di Index
2 e 3, questa si incrementa da ≈30% a ≈50%. Nonostante
queste osservazioni, non si sono rilevate differenze statisticamente significative tra le categorie di età.
In termini qualitativi la prevalenza della categoria Index 1
aumenta col crescere dell’altezza. Infatti, mentre nei pazienti
con altezza ≤150 cm la configurazione rettilinea è totalmente assente, nei pazienti con altezza >180 cm essa aumenta di
proporzioni fino a raggiungere il 100%. Parallelamente si nota
un trend di diminuzione delle proporzioni della categoria
Index 3 col crescere dell’altezza. Infatti tali proporzioni scendono da 50% nei pazienti d’altezza ≤150 cm a 0% nei
pazienti con altezza >180 cm, non si sono rilevate differenze
statisticamente significative tra le classi di altezza.
L’analisi statistica delle variabili indipendenti peso e BMI, non
ha rilevato differenze significative tra queste classi.
Qualitativamente però si evidenzia un aumento progressivo
della prevalenza della categoria con configurazione rettilinea
con l’aumentare del BMI da 20 a 35 Kg/m2. Per BMI > 35,
non si sono trovati cateteri con configurazione rettilinea.
Per i pazienti della Chir. Toracica la maggioranza dei cateteri
(84%) presentavano una conformazione rettilinea mentre nei
reparti di Chir. Generale e Chir. Vascolare la quota di tale configurazione era rispettivamente del 64% e 49%. Nel reparto di
Chir Vascolare si è registrata la maggiore prevalenza della configurazione difforme Index 3 pari al 23%. La differenza tra le
= 29) dei pazienti ed a livello lombare nel 73% (n = 79) dei
pazienti.
La Fig. 3 descrive le proporzioni delle categorie dell’Indice di
distorsione in funzione della sede d’inserzione. I cateteri inseriti a livello dorsale erano in prevalenza a configurazione rettilinea (76%), la restante quota rientrava quasi totalmente nella
categoria Index 2, mentre solo il 3% presentava distorsioni tali
da rientrare nella classe Index 3.
Per quanto concerne quelli inseriti a livello lombare, le differenze percentuali tra le tre categorie di indice di distorsione
erano meno marcate.
Come riportato nella Tabella I, la differenza tra le due sedi
d’inserzione è statisticamente significativa (P<0,05).
La lunghezza media del tratto dP-PC era di 12,6 ± 2,5 cm.
Dalla Fig. 4 si evince che la configurazione rettilinea (Index 1)
era inversamente proporzionale alla distanza dP-PC e viceversa, la distorsione del catetere era direttamente proporzionale a
tale distanza.
Infatti, le proporzioni della categoria Index 1 scendono progressivamente da circa 80% per dP-PC <11 cm fino a circa
30% per dP-PC >16 cm. La categoria Index 3 compare oltre
11-13 cm di dP-PC (17%) e la sua proporzione cresce progressivamente fino a 67% a 17-20 cm di dP-PC.
Come riportato nella Tabella I, le differenze tra le classi di dPPC sono statisticamente significative (P<0,001). Infatti, la
fonte di tali differenze (analisi post hoc) era dovuta da una
parte all’associazione della conformazione rettilinea con
breve dP-PC e dall’altra all’associazione della conformazione
fortemente distorta con lungo dPPC.
La permanenza media dei cateteri peridurali in situ è stata di
7 ± 4,3 giorni.
La Tabella I mostra la distribuzione dei pazienti suddivisi in sei
classi per la durata di permanenza del C.P. e la prevalenza
delle configurazioni (Index 1, 2, 3).
L’analisi dei dati non ha rilevato differenze statisticamente
significative tra le classi, in termini qualitativi, si nota una distribuzione delle categorie di distorsione, nelle classi di permanenza, costante ed analoga alle proporzioni del campione
totale. Fanno eccezione le due classi di permanenza >16gg
dove sono presenti solo le configurazioni difformi (Index 2 e
Index 3).
Il dolore (statico e dinamico) rilevato nel nostro campione era
mediamente lieve (VAS(s) 1 ± 1, VAS(d) 2 ± 1,4).
L’analisi della correlazione tra questa variabile e l’indice di
distorsione non ha rilevato differenze statisticamente significative tra le classi di dolore. In termini qualitativi si evidenzia
una netta riduzione della configurazione rettilinea (Index 1) ed
un aumento della configurazione (Index 2) nella classe di
dolore statico moderato.
Discussione e Conclusioni:
Nonostante la tecnica dell’inserimento del C.P. sia codificata
al minimo dettaglio, gli outcome ottenuti sono pesantemente
influenzati da variabili non legate alla tecnica stessa. La conoscenza di queste variabili e la loro influenza sugli outcome è
un elemento chiave per garantire al paziente una buona qualità di trattamento.
In quest’ottica si è voluto, con il presente studio, definire qualitativamente e quantitativamente la prevalenza delle anomalie fisiche dei C.P. adoperati ed individuare le variabili che
possono indurre queste anomalie.
In generale, il 44% dei C.P. analizzati presentava delle anomalie fisiche di forma e di questi quasi la metà presentava
gravi distorsioni (Index 3).
Per quanto riguarda le variabili indagate come possibile causa
del fenomeno possono essere fatte diverse considerazioni.
Si è riscontrata una stretta correlazione tra le variabili dipendenti dall’applicazione della tecnica ed il grado di distorsione
del C.P. In particolare, dP-PC minori di 10 centimetri sembra-
Fig. 3. Proporzioni delle tre categorie dell’indice di distorsione in funzione della sede d’inserzione.
categorie d’Index in funzione del reparto di degenza è risultata statisticamente significativa (P<0,05).
Indice di Distorsione e le Variabili legate alla Tecnica
Il catetere peridurale era inserito a livello dorsale nel 27% (n
110
POSTER 8 GIUGNO
no garantire una ridotta probabilità di distorsione. Questo dato
è concorde con la letteratura. Infatti, in uno studio sull’inserimento di C.P. sotto guida fluoroscopica si è dimostrato che
solo il 13% degli stessi riesce ad avanzare per più di 4 cm
all’interno dello S.P. senza acquisire distorsioni. La mediana
della lunghezza alla quale si riscontrava il primo avvolgimento era di 2,8 cm (range 1-8 cm)8. Ridurre la lunghezza del C.P.
trovato che le variazioni dell’anatomia dello S.P. sono dovute
tra le altre all’età, e possono alterare la facilità d’accesso allo
S.P., l’avanzamento di un catetere e l’iniezione di soluzioni in
questo spazio. È ipotizzabile, quindi, che le alterazioni anatomiche presenti nei pazienti di età avanzata del nostro campione abbiano contribuito al verificarsi delle distorsioni rilevate, e ciò soprattutto nei casi in cui l’inserimento fosse a livello
lombare e di dP-PC >13 cm.
Nonostante l’elevata proporzione di C.P. distorti, non siamo
riusciti a correlare statisticamente tale fenomeno con la compromissione dell’efficacia dell’analgesia. In letteratura è
descritta una qualità dell’analgesia ottimale per cateteri inseriti nello S.P. per 5 cm rispetto a distanze superiori o inferiori1.
all’interno dello S.P. previene la comparsa di temibili complicanze come avvolgimenti e nodi4.
In linea generale quindi, è consigliabile eseguire la puntura
per l’inserimento del C.P. vicino al livello midollare da cui
dipende il metamero obiettivo della terapia. Sembra non raccomandabile il raggiungimento dei livelli midollari desiderati
con relativamente lunghi tratti di catetere nello S.P. Ciò è particolarmente vero per le sedi di puntura lombare (vedi sotto).
Il relativo ampio S.P. lombare non giustifica tale atteggiamento.
Inoltre, sia dal nostro studio che dalla letteratura, è stato appurato che è più semplice far avanzare un C.P. a livello toracico
rispetto a quello lombare9 anche se quest’ultimo è più ristret-
Questa discordanza può dipendere da almeno due fattori: l’indice di distorsione ha un significato strettamente geometrico
grazie al quale non è possibile risalire ai rapporti tra C.P. e
strutture anatomiche. Inoltre, nei pazienti in cui il dolore non
era ben controllato con la terapia peridurale, venivano al più
presto impostate terapie integrative. In questo modo, la compromissione dell’analgesia poteva sfuggire dalla nostra osservazione.
Infine, non è stata trovata nessuna correlazione tra la durata
della permanenza dei cateteri in situ ed il grado di distorsione.
Questo dato conferisce alla nostra ipotesi che la forma del C.P.
osservata alla rimozione sia un affidabile stampo della forma
del C.P. assunta al momento dell’inserimento nello S.P., dato
che il catetere non subisce distorsioni tempo-dipendenti.
Lo spazio peridurale non è un compartimento scevro di impedimenti all’inserimento di un catetere peridurale. Infatti, esso
è interessato dalla presenza di sepimenti e bande connettivali
particolarmente abbondanti a livello lombare e che aumentano con l’età.
La presenza di conformazioni distorte dei C.P. è un fenomeno
reale e cospicuo. A causare questo fenomeno concorrono
principalmente la lunghezza del catetere inserito nello S.P. e
l’inserimento in sede lombare. Altri fattori di elevato valore
predittivo per la comparsa della distorsione sono: il sesso femminile, età avanzata, bassa statura e basso valore di BMI. La
conoscenza di queste variabili deve essere presa in considerazione sia al momento dell’inserimento del catetere che al
momento della sua rimozione onde prevenire eventi avversi e
garantire un’ottimale qualità della prestazione erogata.
to. Questo potrebbe essere dovuto, come descritto da studi
anatomici dello S.P., alla presenza di compartimenti peridurali non comunicanti5;7 ed alle bande connettivali longitudina-
li e trasversali, più frequenti nei livelli lombari2;3;6;10, che
possono impedire l’avanzamento del C.P. e facilitare la comparsa di distorsioni. Infatti, il nostro studio ha dimostrato che i
C.P. inseriti a livello lombare subiscono distorsioni importanti
in circa la metà dei casi mentre quelli inseriti a livello dorsale
solo in un quarto.
Qualitativamente, nei pazienti maschi è stata riscontrata una
maggiore prevalenza di configurazione rettilinea, mentre nei
soggetti di sesso femminile erano prevalenti le configurazioni
difformi (Index 2 = 36%, Index 3 = 24%). Questo dato va
associato al fatto che nel nostro campione la media del BMI
nei maschi era maggiore di quello delle femmine, infatti nel
nostro campione le femmine presentavano altezza e peso
minore che i maschi. Consensualmente, nell’analisi delle classi di BMI è risultata una maggiore prevalenza di configurazioni distorte per valori di BMI inferiori.
I nostri dati suggeriscono che le anomalie fisiche dei C.P. s’incrementano con l’avanzare dell’età. Infatti, Hogan (1996)6 ha
Fig. 4 Proporzioni delle tre categorie dell’indice di distorsione in funzione della Distanza Punta del Catetere - Punto Cute (dP-PC).
111
POSTER 8 GIUGNO
Tabella 1
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112
POSTER 8 GIUGNO
LA VIA PERIDURALE CONFRONTO TRA METODICHE DI
SOMMINISTRAZIONE
Gli anestetici locali vengono spesso usati in associazione agli
oppiacei sfruttando la loro sinergia in senso antalgico2;6 Gli
anestetici locali sensibilizzano i recettori specifici per gli
oppiacei (m, d, k) I recettori sono localizzati a livello sia pre
che post-sinaptico; a livello pre si ha una modificazione della
conduttanza del calcio e del potassio con una iperpolarizzazione della membrana. Questo determina una inibizione della
progressione del potenziale evocato dalla stimolazione delle
fibre A-delta, C, con ridotto rilascio di neurotrasmettitori algogeni. Anche a livello post-sinapico si ritiene che il loro effetto
si esplichi in una iperpolarizzazione della membrana.
Il confronto tra le due metodiche di somministrazione viene
fatto in base a due diversi outcome: l’efficacia nel controllo
del dolore e la comparsa di effetti collaterali rilevanti. In letteratura vi sono diversi lavori che descrivono quelle che sono le
caratteristiche peculiari di queste due tecniche: nello studio di
Ueda K. et al (2005), viene messo in evidenza come la somministrazione in boli riesca a dare una miglior analgesia in termini di un maggior numero di segmenti spinali coinvolti 9.
F. Sangiorgi, BG. Samolsky-Dekel, C. Moretti, R.M. Melotti
G.F. Di Nino
Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Anestesiologiche,
Università di Bologna
INTRODUZIONE
Nel periodo peri-operatorio il controllo del dolore permette di
migliorare la qualità di vita dei pazienti, riduce le complicanze e permette un più veloce recupero post-operatorio. Un elemento imprescindibile per l’impostazione ed il mantenimento
di un adeguato trattamento antalgico è la corretta modalità di
somministrazione degli analgesici. Essa rappresenta inoltre il
perno dell’intervento medico volto a limitare l’esperienza del
dolore nei pazienti.
Argomento della presente trattazione è il confronto delle
metodiche di somministrazione di soluzioni analgesiche per
via peridurale in pazienti ospedalizzati nel periodo peri-operatorio e in particolare la comparazione tra l’utilizzo della
somministrazione continua e quella intermittente a boli.
Scopo dello studio era anche quello di esplorare potenziali
caratteristiche del paziente e del setting clinico che possono
influenzare la strategia terapeutica. Oltre all’inquadramento
della situazione attuale, i risultati di questa indagine possono
rappresentare la base di interventi migliorativi in tema.
Il campione da noi studiato era costituito da pazienti affetti da
Arteriopatia Ostruttiva Cronica Periferica (AOCP). L’AOCP è
una patologia causata dalla progressiva occlusione delle arterie con conseguenti danni di natura ischemica. Secondo la
classificazione di Fontane, la clinica evolve in quattro stadi: da
quello asintomatico a quello delle lesioni trofiche con ulcere
o gangrena. La progressione attraverso gli stadi comporta un
aumento della sintomatologia algica che compromette gravemente la qualità di vita di questi pazienti.
Con la somministrazione peridurale è possibile ottenere un
blocco differenziale sensitivo motorio. Infatti, in base alle proprietà fisico-chimiche degli anestetici locali, le fibre nervose
con funzione, diametro e costituzione diversi, mostrano una
diversa sensibilità al farmaco usato. Questa caratteristica consente di raggiungere un’adeguata analgesia non accompagnata da blocco motorio, ideale per una mobilizzazione precoce.
La progressione del blocco nervoso per i diversi tipi di fibre è
nell’ordine: fibre B (pregangliari simpatiche), C, A-delta (dolorifiche, termiche), A-gamma ( tono muscolare posturale), Abeta (tatto-pressorie), A-alfa ( motorie). Quando il blocco
regredisce, l’ordine di interessamento delle fibre è l’opposto,
quindi il recupero del movimento può precedere il recupero
della sensibilità e della funzione simpatica.
Le proprietà fisico-chimiche che influenzano l’attività degli
anestetici locali sono principalmente: la solubilità nei lipidi, la
capacità di legarsi alle proteine e il pKa.
La solubilità nei lipidi sembra essere il determinante principale della potenza dell’anestetico. All’aumentare della lipofilia,
aumenta la potenza, fino a un coefficiente massimo oltre il
quale questa correlazione non è più esistente.
Il pKa è il valore di pH al quale la quota ionizzata e quella
non-ionizzata di un composto sono in equilibrio. Questo
influenza l’onset in quanto la forma non carica dell’anestetico
locale è quella primariamente coinvolta nella diffusione lungo
i nervi e attraverso le membrane. La presenza di tale forma è
inversamente proporzionale al pKa dell’anestetico locale, una
volta che questo viene iniettato nei tessuti il cui pH è 7.4.
La capacità di legarsi alle proteine determina la durata d’azione dell’anestetico locale. Se sulla proteina del canale del sodio
è presente il sito recettoriale per l’anestetico locale, le sostanze che possiedono una maggiore affinità per tale proteina
rimarranno legate a tale sito per un tempo più lungo.
Anche dallo studio di Bromage P.R. et al (1970) si evince che
la soluzione somministrata a bolo si diffonde nello spazio peridurale in senso verticale coinvolgendo un maggior numero di
segmenti spinali prima di essere sottratta dal tessuto peri-neurale e dal flusso sanguigno. Ciò garantisce una miglior estensione del blocco sensoriale rispetto alla somministrazione
continua
I cateteri peridurali più utilizzati sono del tipo multi-orifizio 3.
Come è noto dalla letteratura, Kaynar A.M. et al (1999), quando la somministrazione continua avviene attraverso un catetere di questo tipo la bassa pressione di infusione consente alla
soluzione di fuoriuscire soprattutto dall’orifizio prossimale,
mentre da quello distale tale flusso è praticamente nullo.
Quando invece la somministrazione avviene in boli, secondo
Hogan et al (2002), la maggior pressione di infusione genera
un flusso più uniforme attraverso tutti gli orifizi garantendo
così un’analgesia più completa e diffusa.
Secondo Bromage P.R. et al (1970) uno schema temporale
appropriato è la chiave per il mantenimento dell’analgesia
mediante boli. La scelta e l’aderenza allo schema temporale
sono delle condizioni essenziali per ottenere e mantenere nel
tempo un controllo efficace del dolore. Infatti, se l’intervallo
tra i boli risulta essere prolungato, vi è un reale rischio di esaurimento dell’effetto analgesico prima che venga somministrato
il bolo successivo.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto presso il reparto di Chirurgia
Vascolare dove è attivo un servizio di Terapia del dolore PeriOperatorio (APS). Tra gli obiettivi di questo servizio figurano
l’applicazione ed il monitoraggio della terapia antalgica.
Infatti, il controllo del dolore viene valutato dai medici del servizio tre volte al giorno utilizzando scale soggettive quali la
Scala Verbale Semplice (SVS) e quella Analogica Visiva (VAS)
in condizioni statiche e dinamiche e parametri oggettivi quali
la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e quella respiratoria.
Nello studio, che è durato da Gennaio a Dicembre 2005, sono
stati inclusi i pazienti ricoverati che hanno soddisfatto i
seguenti criteri d’inclusione: pazienti affetti da AOCP di grado
avanzato che lamentavano dolore moderato-severo,ai quali è
stato posizionato un catetere peridurale per la terapia antalgica peri-operatoria ed in grado di valutare il proprio dolore con
le scale soggettive.
La terapia antalgica peri-operatoria era data dalla somministrazione per via peridurale di anestetici locali associati o meno
ad oppiacei. In particolare gli anestetici locali usati erano la LBupivacaina e la Ropivacaina mentre l’oppiaceo era il
Fentanyl.
Per stimare l’efficacia della terapia antalgica sono stati distinti
113
POSTER 8 GIUGNO
due periodi di osservazioni: il periodo Pre-Operatorio e quello post-operatorio. Come rappresentative del periodo pre-operatorio sono state considerate le valutazioni nelle 24 ore che
precedevano l’intervento mentre per il periodo post-operatorio le valutazioni della prima giornata post-operatoria.
RISULTATI
Complessivamente sono stati arruolati nello studio 188
pazienti. La terapia antalgica peri-operatoria di questi era data
dalla somministrazione per via peridurale di anestetici locali
associati o meno ad oppiacei. Tale somministrazione poteva
essere con modalità continua (elastomeri) od a boli.
Dei 188 pazienti arruolati, il 4,2% (n=8) sono stati esclusi
dallo studio per dati insufficienti. In base al periodo d’applicazione della terapia antalgica peri-operatoria (pre- e/o post-operatorio), il campione era suddiviso in tre gruppi principali:
pazienti con terapia antalgica post-operatoria ma senza terapia
antalgica pre-operatoria: 49% (n=92)
pazienti con terapia antalgica sia pre- che post-operatoria:
37,2% (n=70)
pazienti con una terapia pre-operatoria ma non valutati nel
post-operatorio: 9,6% (n=18) perchè in seguito all’intervento
sono stati ricoverati in un reparto di terapia intensiva
In relazione alla modalità di somministrazione (boli oppure
elastomeri), sono state identificate nel campione quattro cate-
gorie.
Pazienti con terapia antalgica pre-operatoria, n=94 (50%) di
cui:
il 80,9% (n=76) con terapia a boli,
il 19,1% (n=18) con terapia a somministrazione continua.
Pazienti con terapia antalgica post-operatoria: n=162 (86.2%)
di cui:
il 17,3% (n=28) con terapia a boli,
il 82,7% (n=134) con terapia a somministrazione continua.
Nel periodo Pre-Operatorio (Fig.1) abbiamo riscontrato che
entrambe le modalità di somministrazione erano efficaci nel
controllo del dolore. Infatti, nella quasi totalità dei casi, il
dolore era assente o lieve e nessun paziente ha riferito dolore
severo. Inoltre, la media dei valori della VAS è bassa per
entrambe le modalità di somministrazione. Qualitativamente
però, nel gruppo di pazienti con la somministrazione a boli vi
è una tendenza ad un migliore controllo del dolore.
Anche nel post-operatorio, l’efficacia antalgica delle due
modalità di somministrazione era sovrapponibile. Anche qui
nella quasi totalità dei casi, il dolore era assente o lieve, nessun paziente ha riferito dolore severo e la media dei valori
della VAS era bassa per entrambe le modalità di somministrazione. Il controllo del dolore risultava essere sempre migliore
Fig.1 Distribuzione delle medie della VAS nel periodo pre-operatorio, in funzione della metodica di somministrazione. A, Dolore
Statico; B, Dolore Dinamico.
114
POSTER 8 GIUGNO
nel gruppo dei boli, nonostante la differenza non fosse statisticamente significativa.
Abbiamo voluto poi valutare l’influenza del tipo di somministrazione nel periodo pre-operatorio sull’efficacia antalgica nel
post-operatorio. L’analgesia nel periodo post-operatorio è efficace indipendentemente dalla modalità di somministrazione
applicata nel pre-operatorio. Infatti, la quasi totalità dei
pazienti ha riferito un dolore assente o lieve; la categoria del
dolore moderato è scarsamente rappresentata e manca totalmente la categoria del dolore severo.
Abbiamo valutato inoltre l’influenza di un’eventuale terapia
antalgica pre-operatoria sull’efficacia dell’analgesia nel periodo post-operatorio. A tal proposito è emerso che nel post-operatorio il dolore è stato controllato adeguatamente in presenza
o meno di una terapia pre-operatoria. L’applicazione o meno
di questa terapia dipendeva però dalla severità del dolore.
Infatti, il trattamento antalgico era riservato ai pazienti con
dolore moderato-severo al ricovero. L’efficacia antalgica nel
post-operatorio in questi pazienti denota comunque l’eliminazione della memoria del dolore.
Confrontando l’efficacia dell’analgesia nei pazienti con terapia
con boli di solo anestetico locale rispetto a quelli con terapia
continua con anestetico locale in associazione o meno ad
un’oppiaceo, non si è riscontrata una differenza significativa
nel controllo del dolore. Qualitativamente però, la somministrazione a boli, dava risultati migliori.(Tabella I)
Uno degli obiettivi del nostro studio era di valutare la presenza e la distribuzione degli eventi avversi e degli episodi di
dolore incidente stimato in termini di richiesta di dosi rescue.
Nel periodo pre-operatorio non ci sono stati né eventi avversi
né richieste di dose rescue in entrambi le modalità di somministrazione. Nel periodo post-operatorio, la somministrazione
somministrazione erano efficaci nel controllo del dolore (statico e dinamico) e tale efficacia si è dimostrata sia nel periodo
pre- che in quello post-operatorio. In accordo con la letteratura
1;9, i nostri dati dimostrano la via peridurale rappresenta un
efficace strumento per il controllo del dolore in questi pazienti.
La somministrazione peridurale di anestetico locale determina
sia un’azione antalgica diretta che una indiretta, indotta dalla
vasodilatazione periferica. Ciò risulta particolarmente vantaggioso in questi pazienti in cui la costrizione arteriosa è tra le
cause della sintomatologia dolorosa.
Nonostante la differenza tra le due metodiche, in termini di
efficacia analgesica, non sia stata statisticamente significativa,
si è riscontrata, in accordo con la letteratura, una tendenza ad
un miglior controllo del dolore, nel gruppo di pazienti con la
somministrazione a boli.
Una caratteristica di questo gruppo era l’oscillazione dei valori della VAS(s) tra le varie valutazioni. Una ipotesi per la giustificazione di tali oscillazioni può essere che nell’applicazione della terapia a boli non vi è una totale aderenza allo schema temporale delle somministrazioni.
Secondo Cousins et al (1984), nella terapia a boli, la scelta e
l’aderenza allo schema temporale delle somministrazioni sono
delle condizioni imprescindibili per ottenere e mantenere nel
tempo un controllo efficace del dolore. Se, infatti, l’intervallo
tra i boli non viene rispettato e risulta essere prolungato, la
somministrazione del bolo successivo avverrà quando ormai
l’azione analgesica di quello precedente si sarà esaurita. La
somministrazione dei boli secondo uno schema temporale
adeguato garantisce la continuità della copertura antalgica. A
tal proposito va ricordato che lo schema a somministrazione a
boli richiede un impegno organizzativo notevole che non
sempre si riesce a soddisfare.
Tabella I Proporzioni delle quattro categorie del dolore (statico e dinamico) nel periodo posto-peratorio in funzione
della modalità di somministrazione applicata. DF, Degree of freedom (gradi di libertà).
continua era correlata con una maggiore incidenza di effetti
collaterali, tra cui si annoverano il blocco motorio, la ritenzione urinaria, le parestesie ed il prurito. La somministrazione a
boli, invece non ha dato alcun effetto avverso.
I pazienti con somministrazione continua, inoltre, hanno
richiesto un maggior numero di dose rescue rispetto ai pazienti con i boli.
DISCUSSIONE
Dall’analisi dei risultati è emerso che, entrambe le modalità di
Per ovviare a questa limitazione la letteratura propone l’utilizzo di dispositivi automatici capaci di erogare i boli prescritti in
totale aderenza allo schema temporale richiesto. A tal proposito si può considerare, come intervento migliorativo, nella
nostra realtà, l’introduzione della PCEA ( Patient- Controlled
Epidural Analgesia) 7;8.
Uno degli obiettivi del nostro studio era di valutare la presenza e la distribuzione degli eventi avversi e degli episodi di
dolore incidente. Nel periodo pre-operatorio non ci sono stati
115
POSTER 8 GIUGNO
né eventi avversi né richieste di dose rescue in entrambi i
gruppi. Non è stato possibile confrontare questo dato con altri
studi poiché, a differenza del nostro, la letteratura si occupa
solamente del periodo post-operatorio.
Nel periodo post-operatorio, la somministrazione continua era
correlata con una maggiore incidenza di effetti collaterali. Tra
questi ultimi si annoverano: il blocco motorio, la ritenzione
urinaria, le parestesie ed il prurito. Questo dato è in disaccordo con Cullen et al (1985), secondo i quali la somministrazione in continuo riduce la presenza di eventi avversi ed in particolare l’ipotensione e il blocco motorio. Al contrario, la somministrazione a boli, in accordo con Duncan et al (1998), non
era correlata con alcun evento avverso.
In accordo con la letteratura i pazienti la somministrazione
continua hanno richiesto un maggior numero di dose rescue.
La minore richiesta di dose rescue nella modalità a boli può
essere spiegata in vari modi. Infatti, la soluzione somministrata a bolo, si diffonde nello spazio peridurale in senso verticale coinvolgendo un maggior numero di segmenti spinali prima
di essere sottratta dal tessuto peri-neurale e dal flusso sanguigno 4;5. Ciò garantisce una miglior estensione del blocco sen-
più veloce recupero post-operatorio.
Si può affermare che entrambe le modalità di somministrazione considerate sono efficaci nel controllo del dolore sia nel
periodo peri-operatorio. Si può quindi considerare la via peridurale un efficace strumento per il controllo del dolore in questi pazienti.
La somministrazione peridurale di anestetico locale determina
sia un’azione antalgica diretta che una indiretta, indotta dalla
vasodilatazione periferica. Ciò risulta particolarmente vantaggioso in questi pazienti in cui la costrizione arteriosa è tra le
cause della sintomatologia dolorosa.
Nonostante entrambe le metodiche di somministrazione
riescano a dare un discreto controllo del dolore, tale controllo
sembra essere migliore con la tecnica a boli. Inoltre, i boli di
solo anestetico locale possiedono un’efficacia maggiore anche
all’associazione di anestetico locale ed oppiaceo.
I boli sono correlati inoltre, una minor incidenza di effetti collaterali e di episodi di dolore incidente.
Una condizione imprescindibile per un’ottimale efficacia
della somministrazione a boli impone una rigorosa aderenza
allo schema temporale delle somministrazioni. Questa tecnica
richiede, quindi, un impegno organizzativo notevole che non
sempre si riesce a soddisfare. Per ovviare a questa limitazione, si propone l’utilizzo di dispositivi automatici, come la
PCEA ( Patient- Controlled Epidural Analgesia), capaci di erogare i boli prescritti in totale aderenza allo schema temporale
richiesto. Tale dispositivo si può considerare, come intervento
migliorativo
soriale rispetto alla somministrazione continua 9.
Un’ulteriore conferma della superiorità della somministrazione a boli è data dal fatto che nel nostro campione tutti i cateteri peridurali utilizzati erano del tipo multi-orifizio 3. Come è
noto dalla letteratura, Kaynar A.M. et al (1999), quando la
somministrazione continua avviene attraverso un catetere di
questo tipo la bassa pressione di infusione consente alla soluzione di fuoriuscire soprattutto dall’orifizio prossimale, mentre
da quello distale tale flusso è praticamente nullo. Quando
invece la somministrazione avviene in boli, secondo Hogan et
al (2002), la maggior pressione di infusione genera un flusso
più uniforme attraverso tutti gli orifizi garantendo così un’analgesia più completa e diffusa.
In base alla letteratura, la somministrazione di un’associazione di anestetico locale ed oppiaceo, è particolarmente vantaggiosa in quanto che i due farmaci si potenziano a vicenda.
Dall’analisi dei nostri risultati non possiamo affermare che la
somministrazione di anestetico locale ed oppiaceo in associazione diano, in termini di efficacia analgesica, un risultato
migliore rispetto ai boli e alla somministrazione continua di
solo anestetico locale.
Gli effetti avversi attesi da questa associazione sono principalmente: la ritenzione urinaria e il prurito. Paradossalmente,
questi effetti erano presenti solo nei pazienti con anestetico
locale in somministrazione continua e non in associazione
con oppiacei.
CONCLUSIONI
Un’adeguata modalità di somministrazione è considerata un
elemento imprescindibile per l’impostazione ed il mantenimento di un idoneo trattamento antalgico e rappresenta il
perno dell’intervento medico volto a limitare l’esperienza del
dolore nei pazienti.
I pazienti affetti da AOCP presentano una sintomatologia algica importante che altera la loro qualità di vita. Il controllo del
dolore permette di migliorare qualitativamente la condizione
dei pazienti in attesa dell’intervento chirurgico, rendendoli
meno vulnerabili a complicanze peri-operatorie e permette un
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116
POSTER 8 GIUGNO
BUPRENORFINA TDS NEL PAZIENTE CRITICO
mento dei costi sanitari3.
Le linee guida del 2002 stabiliscono che tutti i pazienti in terapia intensiva hanno diritto ad un adeguata analgesia e una corretta gestione del dolore.
La buprenorfina4 è un derivato della tebaina simile nella strut-
R. Sorrentino, R. Vestini, M. Iannotti, M.B. Passavanti
P. Sansone, L. Mazzariello, M. Maisto, C. Aurilio
Dipartimento di Scienze Anestesiologiche Chirurgiche e
dell’Emergenza
Seconda Università degli Studi di Napoli
tura, ma circa 30 volte più potente della morfina; è un agonista parziale dei recettori m, si lega anche ai recettori ? e k
senza però determinare effetti significativi sull’apparato
gastroenterico5. E’ stato riportato inoltre, che la buprenorfina,
ABSTRACT
ll dolore nel paziente critico si genera per una serie di fattori
quali l’immobilizzazione le procedure diagnostiche i sistemi
di monitoraggio.Tale condizione non solo genera discomfort
del paziente ma aumenta il rischio della risposta allo stress. Le
linee guida sull’analgo-sedazione in terapia intensiva del 2002
stabiliscono che tutti i pazienti in terapia intensiva hanno diritto ad un adeguata analgesia e una corretta gestione del dolore.
Nel nostro lavoro abbiamo voluto testare l’ulitlizzo di oppiacei a rilascio mediante dispositivi transdernmici somministrando buprenorfina TDS 35mcg nel paziente critico per valutare l’efficacia analgesica come obiettivo primario e l’incidenza degli effetti collaterali.
Abbiamo valutato 12 pazienti ricoverati in terapia intensiva
per patologie mediche, divisi in due gruppi. Un gruppo definito “standard”, nel quale l’analgesia era ottenuta mediante
morfina 2,5mg i.m. X2. Il secondo gruppo definito “buprenorfina” nel quale l’analgesia era ottenuta mediante l’applicazione di cerotto transdermico di brupenorfina 35mcg in regione
toracica.
Il dolore è stato valutato mediante una scala del dolore PS
(pain scale)a sei punti. Il dolore clinicamente significativo
veniva considerato per un valore >3.
I due regimi terapeutici hanno simili effetti in termini di efficacia analgesica. Per quello che concerne gli effetti collaterali, è probabile il rilascio continuo e controllato del principio
attivo, per diffusione passiva dalla matrice, permette di ottenere, dopo lo steady state, una concentrazione plasmatica
costante, determinando minori effetti collaterali quali ipotensione e una minore incidenza di prurito. Tuttavia sono necessari studi più ampi.
a differenza della morfina, non attiva l’asse ipotalamo-ipofisisurrene e la liberazione di catecolamine5. Sebbene la bupre-
norfina sia altamente lipofila, l’associazione e la dissociazione
dal recettore sono lente (t1/2 166 min); pertanto i livelli plasmatici non seguono di pari passo gli effetti sul sistema nervoso centrale. L’inizio di azione della buprenorfina è lento ed il
massimo effetto non si verifica prima di 3 ore, ma la durata è
prolungata (fino a 10 ore). Viene metabolizzata a livello epatico con escrezione biliare della maggior parte dei metaboliti
(buprenorfone, buprenorfone 3-glucuronide e nor-buprenorfina), che sono significativamente meno potenti ed hanno affinità inferiore per il recettore m5-6. Il volume di distribuzione
è pari a 2,8 l/Kg e la clearance a 20ml/Kg/min. Sebbene la
buprenorfina possa provocare lo stesso tipo di effetti collaterali della morfina, ha come vantaggi un più prolungato effetto
analgesico ed una ridotta incidenza di effetti collaterali.
Nel nostro lavoro abbiamo voluto testare l’ulitlizzo di oppiacei a rilascio controllato mediante dispositivi transdernmici
somministrando buprenirfina TDS 35mcg nel paziente critico
per valutare l’efficacia analgesica come obbiettivo primario, e
l’incidenza degli effetti collaterali quali,nausea, prurito stipsi. I
cerotti di buprenorfina sono attualmente disponibili in dosaggi da 35, 52.5 e 70 mg/h. 7
MATERIALE E METODI
Abbiamo valutato presso il nostro dipartimento di Scienze
Anestesiologiche Chirurgiche e dell’Emergenza da ottobre
2005 a marzo 2006, 12 pazienti ricoverati in terapia intensiva
per patologie mediche, con età superiore a 18 anni (tab 1
caratteristiche demografiche), che richiedevano ventilazione
meccanica minimo di 72 ore. I pazienti sono stati suddivisi
secondo lo score Acute physiology and Chronic Health
Evaluation (APACHE II) 9, escludendo quelli con APACHE II
INTRODUZIONE
Le lineeguida sulla gestione del dolore e la sedazione in terapia intensiva sono state pubblicate e aggiornate nel 2002 grazie ad una task force costituita dall’American College of
Critical Care Medicine (ACCM) e dalla dal Society of Critical
Care Medicine (SCCM) 1. Tali linee guida, costruite sull’opi-
< 21. II valore del punteggio era calcolato con i dati ottenuti
entro 24 ore dall’ ingresso in terapia intensiva e l’arruolamento veniva fatto tra le 48 e le 72 ore successive all’ingresso i
terapia intensiva nei pazienti avevano un punteggio alla
Richmond Agitation Sedation Scale compreso tra -2 e +2.
Sono stati esclusi pazienti che, richiedevano blocco neuromuscolare per facilitare la ventilazione. Inoltre sono stati esclusi i
pazienti con condizioni neurologiche che impedivano l’effettuazione della Sedation-Agitation Scale (RSAS) fig.1, pazienti
nione di esperti e su review di 1994 raccomandazioni sull’ uso
di sedativi e analgesici in terapia intensiva, non sono supportate da un elevato livello (strong level ) di evidenza per il fatto
che ancora mancano studi randomizzati controllati che mettono a confronto le differenti strategie terapeutiche.
E’ accettato dall’evidenza clinica che il dolore non solo genera discomfort del paziente ma aumenta il rischio della risposta allo stress. Pertanto il dolore causa attivazione simpatica
che determina tachicardia, vasocostrizione, e incremento del
consumo miocardio di ossigeno, ma anche immunosoppresione, ipercoagulabilità, aumento del catabolismo. Altri effetti del
dolore sono la riduzione della ventilazione spontanea, riduzione della tosse che causa mancata mobilizzazione di secrezioni con aumento del rischio di sviluppare atelettasie e incremento di conseguenza dell’incidenza di infezioni
respiratorie2. L’adeguata somministrazione di sedativi e anal-
con clearance della creatinina <50ml/min9 (sec. Cockcroft),
pazienti emodinamicamente instabili che richiedevano l’uso
di amine simpaticomimetiche, schok cardiogeno, diabetici,
utilizzo di beta-bloccanti, pazienti affetti da lesioni traumatiche acute.
I pazienti sono stati divisi in modo alternato in base all’ordine
progressivo di ricovero in due gruppi Un gruppo definito “standard”, nel quale l’analgesia era ottenuta mediante morfina 5mg
s.c. per tre somministrazioni giornaliere ( 0,2 mg/Kg), nel
paziente con età compresa tra 60-69 anni la dose veniva ridotta a 2,5mg s.c. per tre somministrazioni. Il secondo gruppo definito “buprenorfina” nel quale l’analgesia era ottenuta mediante
l’applicazione di cerotto transdermico di brupenorfina 35mcg
(dose equianalgesica vs morfina10)in regione toracica.
gesici ha dimostrato di ridurre il tasso di complicanze indotte
dal dolore e dal discomfort del paziente. La riduzione delle
complicanze polmonari è influenzata dalla qualità dell’analgesia riflettendosi sull’allungamento della degenza e l’incre-
117
POSTER 8 GIUGNO
La valutazione algologia, successiva all’arruolamento, veniva
iniziata 72 ore dopo l’applicazione del cerotto buprenorfina e
dopo dodici ore dopo l’inizio della terapia nel gruppo standard ed aveva una durata di cinque giorni.
Il dolore è stato valutato dall’investigatore medico/infermiere,
mediante una scala del dolore PS (pain scale)a sei punti dove
per 1 = assenza di dolore; 2 = dolore lieve; 3 = dolore
moderato; 4 = dolore severo; 5 = dolore molto severo; 6 =
dolore peggiore immaginabile, per un numero di misurazione
pari a sei nelle 24 ore. Il dolore clinicamente significativo
veniva considerato per un valore >3.
In aggiunta alla Pain Scale, veniva registrata la pressione arteriosa media (MAP) la frequenza cardiaca (FC), prima di ogni
valutazione algologica, e poi ogni 4 ore per i cinque giorni del
periodo di valutazione in concomitanza delle misurazioni del
dolore alla Pain Scale. Inoltre veniva segnalata la richiesta di
analgesia supplementare ( tramadolo 50mg i.m.). Infine sono
stati valutati gli effetti collaterali quali l’incidenza di stipsi, e
prurito quest’ultimo mediante una scala numerica a 4 punti,
da zero a tre dove per zero corrisponde nessun prurito
1=lieve, 2= moderato 3=insopportabile.
L’utilizzo di sedativi è rimasto immodificato nelle due gruppi
utilizzando midazolam 0.03-0.06mg/Kg/ora con finestre della
durata di 45 minuti prima della valutazione.
Le misurazioni nel corso di episodi febbrili non sono state ritenute valide per valori di temperatura corporea superiore a
38,5°C tale condizione prolungava il periodo di valutazione
fino a raggiungimento di normotermia intesa come T <
37,6°C.
I due regimi terapeutici hanno simili effetti in termini di efficacia analgesica. Il valore del pain scale medio ottenuto nei pz
trattati con bupenorfina 35mcg tds, per sei misurazioni giornaliere per 5 giorni è stato di 2.0± 0,81 DS ,mentre nel gruppo standard è stato di 2,25.0 ± 0.73 DS. (graf. 1). I valori medi
di frequenza cardiaca rilevati al momento delle valutazioni
algologiche sono stati : gruppo standard 72±13 bpm rispetto
al gruppo buprenorfina 76 ± 9 bpm. (tab.2)
Entrambi i regimi terapeutici si sono dimostrati sicuri. Gli effetti avversi quali ipotensione (definita per valori di MAP invasiva < 60mmHg) hanno maggiore incidenza nel gruppo standard (23%) vs gruppo buprenorfina (7%), probabilmente per
l’effetto di picco della morfina, sebbene il campione non sia
significativo. La stipsi ha una incidenza superiore nel gruppo
standard dove 4 su 6 pazienti (graf.2) hanno necessitato di
adiuvanti la peristalsi ed emollienti intestinali.
Il valore medio di prurito mediante la scala 0-3 è risultato 0.6
± 0.5 nel gruppo buprenorfina rispetto 2.0 ± 0.3 nel gruppo
standard (graf. 3).
Nessun paziente ha necessitato di terapie analgesiche aggiuntive nel periodo di osservazione.
CONCLUSIONI
Lo studio dimostra che nel paziente degente in terapia intensiva, senza disfunzioni multiorgano, emodinamicamente stabile il trattamento del dolore, causato da immobilizzazione,
cateteri e procedure diagnostiche, prodotta con buprenorfina
35mcg tds è parimodo efficace versus l’utilizzo di morfina 5
mg x 3. Per quello che concerne gli effetti collaterali, sebbene
il campione non sia significativo è probabile il rilascio continuo e controllato del principio attivo, per diffusione passiva
dalla matrice, permette di ottenere, dopo lo steady state, una
concentrazione plasmatica costante, determinando minori
effetti collaterali quali ipotensione e una minore incidenza di
prurito. Tuttavia sono necessari studi con campioni più ampi e
statisticamente significativi.
RISULTATI
L’obiettivo principale dello studio, a carattere osservazionale,
è stata quello di valutare l’efficacia analgesica di buprenorfina
tds in pazienti degenti in terapia intensiva vs il gruppo standard. Le caratteristiche demografiche e cliniche sono riportate
in tab.1.
Tabella 1
STANDARD
N° pazienti
Uomini
donne
Età media [anni] (SD)
Altezza [cm] (SD)
Peso [kg] (SD)
Funzione renale
Clcr >80 ml/min
Funzione renale
Clcr >50 -<80ml/min
APACHE II medio
6
5(83,4%)
1(16,6%)
59 ;(8,3)
BUPRENORFINA
6
4(66,8%)
2(33,2%)
61; (7,2)
169; (9,5)
168; (8,7)
3(49,8)
2(33,2%)
76,9; (8,9)
3(49,8)
29,5±3,75
74,9; (11)
4(66,8%)
28,25 ±4,86
Tabella 2
MAP medio mmHg (range)
% misurazioni MAP< 60mmHg
FC media b/min (range)
% misurazioni FC>100 b/min
STANDARD
BUPRENORFINA
23%
7%
79,6 (54-104)
81(49-117)
3,9%
118
80,9 (38-128)
71(52-97)
2,7%
POSTER 8 GIUGNO
119
POSTER 8 GIUGNO
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6. Budd K. Buprenorphine and the transdermal system: the
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7. Evans HC, Easthope SE. Transdermal buprenorphine.
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10. Levy MH. Advancement of opioid analgesia with controlled-release oxycodone.EUR J Pain 2001.
120
POSTER 8 GIUGNO
BUPRENORFINA TRANSDERMICA NEL TRATTAMENTO
DEL DOLORE CRONICO SEVERO NON ONCOLOGICO :
NOSTRA ESPERIENZA
non. [8,9,10]
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra Febbraio 2005 e Agosto 2005, presso il servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore del
Policlinico di Tor Vergata in Roma, sono stati arruolati per
questo studio un totale di 34 pazienti (18 donne e 16 uomini), di età compresa tra 37 e 86 anni, tutti con diagnosi di
dolore cronico benigno di intensità severa, resistenti al trattamento farmacologico con FANS e con oppiodi minori.
I criteri di inclusione sono stati:
• età maggiore di 18 anni;
• dolore cronico benigno di intensità severa (con valori della
scala VAS compresi tra 7 e 10) comparso da almeno sei mesi
prima dell’arruolamento;
• non responsività a FANS e farmaci oppioidi minori;
• controindicazioni alla terapia chirurgia (condizioni generali
scadute ASA 3-4).
• rifiuto dell’intervento chirurgico
I criteri di esclusione sono stati:
• ipersensibilità accertata ai farmaci oppioidi;
• storia di abuso di oppioidi e/o alcolici;
• insufficienza epatica e/o renale;
• insufficienza respiratoria;
• assunzione di inibitori delle monoaminossidasi (IMAO).
I pazienti riportavano le seguenti diagnosi: coxartrosi (6),
gonartrosi (5), artrosi diffusa (4), artrite reumatoide (3), crollo
vertebrale (4), low back pain (3), vasculopatia (3), lesione del
plesso brachiale (2), lombosciatalgia (2), dolore toracico posttraumatico (1), nevralgia trigeminale (1).
I pazienti sono stati trattati con Buprenorfina transdermica, in
titrazione, fino ad un dosaggio massimo di 52,5 ?g/h. Il dosaggio iniziale è stato per tutti i pazienti di 35 mg/h, ad esclusione di alcuni pazienti in età avanzata ( >80 anni), per i quali si
è reso necessario graduare il dosaggio con l’applicazione iniziale di 1/3 cerotto, fino ad arrivare all’applicazione di un
cerotto intero, per attenuare gli eventuali effetti collaterali. Il
dosaggio della buprenorfina è stato progressivamente incrementato al fine di mantenere l’intensità del dolore a valori
lievi: il dosaggio è stato aumentato da 35mg/h a 52,5 mg/h in
quei pazienti che al primo controllo non riferivano miglioramento della sintomatologia algica con la somministrazione di
iniziale. Il trattamento è stato interrotto nei pazienti in cui
anche al secondo controllo la terapia è risultata essere inefficace (non responder), per un totale di 5 pazienti.
Durante l’applicazione del cerotto ai pazienti è stata data la
possibilità di assumere una “dose di salvataggio” in caso di
dolore acuto. Tale terapia (rescue medication) era composta
da: Tramadolo gocce e/o Paracetamolo compresse effervescenti.
L’intensità del dolore è stata valutata con l’uso della Visual
Analogic Scale (VAS: 0———10), sia durante la prima visita,
sia durante le visite di controllo.
Ciascun paziente è stato sottoposto a controllo ogni 3 settimane circa, al fine di valutare l’efficacia del trattamento farmacologico e l’eventuale comparsa di effetti avversi.
F. Strudel, A. Gatti, M.E. Aliotta, C. Croce, M. Lazzari
M. G. Celeste*, A. Carucci, M.C. Guarino, F. Riva, M. Proietti
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
INTRODUZIONE
Il dolore cronico è uno dei maggiori problemi socio-sanitari
che sta assumendo dimensioni epidemiche; è la causa più frequente di sofferenza e invalidità capace di danneggiare seriamente la qualità della vita.
Il dolore cronico non da cancro rappresenta un’emergenza
sanitaria, essendo la sua incidenza in continuo aumento nelle
popolazioni industrializzate in relazione all’invecchiamento e
all’aumentata incidenza di patologie degenerative.
Secondo l’European Federation of IASP Chapters (EFIC) il
dolore è oggi il più importante problema sanitario in Europa.
Le principali tipologie di dolore cronico benigno sono: dolore
articolare, dolore lombare cronico, dolore neuropatico, dolore vascolare, cefalea.
L’attuale standard farmacologico nel trattamento del dolore
cronico non oncologico include l’utilizzo degli oppioidi[1,2].
La terapia con oppioidi può dare sollievo dal dolore, ridurre la
limitazione funzionale e restituire al paziente una qualità di
vita accettabile, migliorando il tono dell’umore. Ciò ha spinto
gli esperti in terapia del dolore a raccomandarne l’utilizzo in
quei pazienti che ne avessero bisogno.[3]
Le linee-guida oggi accettate da tutta la comunità scientifica
sono quelle emanate dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità (inizialmente proposte per il dolore da cancro), che
hanno classificato gli analgesici in base alla gravità del dolore,
prevedendo l’impiego di molecole via via più potenti, secondo una scala sequenziale caratterizzata da tre gradini.[4]
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia
di Buprenorfina in formulazione transdermica (TDS
Transdermal System), in pazienti affetti da dolore cronico non
oncologico di intensità severa, nei quali non si era ottenuto un
miglioramento della sintomatologia algica a seguito di pregressi trattamenti farmacologici con FANS (1° gradino), farmaci oppioidi minori (2° gradino) e adiuvanti.
Buprenorfina è un agonista parziale dei recettori m, per i quali
possiede un’elevata affinità; per quanto riguarda l’effetto analgesico, a dosi terapeutiche buprenorfina si comporta come un
agonista puro dei recettori m; ha un’efficacia analgesica 25-50
volte superiore a quella di morfina.[5] Dopo l’applicazione di
Buprenorfina TDS, l’assorbimento transdermico avviene grazie al rilascio continuo e costante di principio attivo dal nuovo
sistema a matrice, che ne impedisce la fuoriuscita accidentale
anche in caso di rottura del cerotto, evitando il “dose dumping”.[6] In particolare, dopo la prima applicazione la con-
RISULTATI
Durante un periodo di studio di 6 mesi, su un totale di 34
pazienti:
• 64% (pari a 22 pazienti) sono risultati responder alla terapia
con buprenorfina transdermica, ovvero hanno avuto una
riduzione del valore VAS del 50% rispetto al valore riferito
durante la prima visita effettuata;
• 21% (pari a 7 pazienti) sono risultati parzialmente responder, ovvero hanno avuto una riduzione del valore VAS tra il
25 e il 50% rispetto alla prima visita;
• 15% (pari a 5 pazienti) sono risultati non responder alla tera-
centrazione minima efficace viene raggiunta dopo 12-24 ore,
mentre lo steady state è raggiunto con l’applicazione del terzo
cerotto (7-9 giorni).[7] L’efficacia e la tollerabilità sono state
valutate in studi condotti in doppio ceco versus placebo e di
postmarketing surveillance su pazienti con dolore da cancro e
121
POSTER 8 GIUGNO
pia, ovvero hanno avuto una riduzione del valore VAS <
25% rispetto alla prima visita.
L’efficacia è stata valutata confrontando il valore di VAS alla
prima visita e alle successive visite di controllo: si è osservato
un sensibile decremento del dolore, con una riduzione del
VAS da un valore medio di 7,8 ad uno di 4,2 (Fig. 1)
Gli effetti avversi riscontrati sono stati : nausea e/o vomito
(35%, pari a12 pazienti), vertigini (17%, pari a 8 pazienti),
stipsi (13%, pari a 4 pazienti). Nel 6% (pari a due pazienti) si
è manifestato un lieve eritema localizzato alla zona di applicazione del cerotto. Solo in un caso si sono presentati nausea
e vomito di intensità tali da spingere il paziente all’interruzione della terapia. I pazienti che non avevano mai assunto
oppiodi prima dell’applicazione del buprenorfina transdermica sono risultati essere meno tolleranti a tali effetti avversi,
rispetto ai pazienti che avevano precedentemente assunto altri
oppiodi (per esempio morfina orale o codeina). Nei casi in cui
si è verificata comparsa di vertigini, questa è risultata attenuarsi dopo i primi giorni dall’inizio della terapia. La nausea e
il vomito sono stati ben controllati con somministrazione di
antiemetici (metoclopramide cloridrato) e si sono attenuati
dopo 4-5 giorni dall’inizio della terapia. In nessun caso si è
riscontrato abuso.
La terapia con Buprenorfina TDS è risultata essere maggiormente efficace (efficacia che è stata valutata con la riduzione
dei valori della VAS ad ogni successivo controllo) nei pazienti affetti dalle seguenti patologie (Tabella 1):
• coxartrosi: 5 responder, 1 parzialmente responder;
• gonartrosi: 4 responder, 1 parzialmente responder;
• artrosi diffusa: 4 responder;
• artrite reumatoide: 2 responder, 1 parzialmente responder;
• low back pain: 2 responder, 1 parzialmente responder;
• crollo vertebrale: 3 responder, 1 parzialmente responder;
• arteriopatia obliterante: 2 responder, 1 parzialmente responder;
• dolore toracico post-traumatico: 1 parzialmente responder.
Si è invece riscontrata una minore efficacia nei pazienti affetti
dalle seguenti patologie:
• lesione del plesso brachiale: 2 non responder;
• lombosciatalgia: 2 non responder;
• nevralgia trigeminale: 1 non responder.
CONCLUSIONI
Dai risultati ottenuti, seppur con un numero esiguo di pazienti, possiamo dire che il trattamento con Buprenorfina transder-
Figura 1
Variazione media dei valori VAS nel tempo
Tabella 1
Suddivisione dei pazienti trattati in Responder,
Parzialmente Responder e non Responder.
122
122
POSTER 8 GIUGNO
Figura 2
Risposta in base alla patologia
management. Lancet, 1999
4. Finco G. Il trattamento farmacologico del dolore cronico.
Minerva Anestesiologica, Marzo 2004; vol.70(suppl 1), 3:
11-13
5. Panerai A.E. Buprenorfina. Una rivisitazione alla luce di
nuove evidenze e formulazioni. Trends in Medicine, 4:110, PPG Edizioni Scientifiche, 2004
6. Geisslinger G. Buprenorfina TDS: proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche. Minerva Anestesiologica
69(suppl. 1 al n.5):7-8, 2003
7. Transdermal buprenorphine: a new therapeutic option in
chronic pain control. Proceedings of symposium at the 10th
mica è stato efficace nel controllo del dolore soprattutto nei
pazienti che avevano riportato le seguenti diagnosi (Figura 2):
coxartrosi, gonartrosi, artrosi diffusa, crollo vertebrale, artrite
reumatoide, vasculopatia, dolore post-traumatico. Tra i
pazienti con dolore neuropatico, invece, non siamo riusciti ad
ottenere una riduzione del livello di dolore.
Inoltre, nella nostra esperienza, rispetto ad altri farmaci
oppioidi utilizzati nel trattamento del dolore cronico benigno,
la Buprenorfina transdermica si è dimostrata vantaggiosa per la
facile somministrazione, la minor incidenza di costipazione e
l’intervallo di 3 giorni tra l’applicazione di un cerotto e il successivo.
Il fatto di non aver riscontrato alcun caso di abuso, tolleranza
né di depressione respiratoria clinicamente significativa, e gli
scarsi effetti avversi riportati dai pazienti, ci fanno concludere
che la buprenorfina transdermica è un sistema sicuro per il
trattamento del dolore cronico benigno.
Dai dati acquisiti, possiamo affermare che gli oppiacei possono migliorare il livello di analgesia nei pazienti con dolore
cronico benigno e possono migliorare la qualità di vita di tali
pazienti, in termini di un recupero dei deficit fisici, permettendo un nuovo reinserimento nella vita sociale e lavorativa.
Word Congress on Pain, San Diego, California, USA, 19
August 2002. International J of Clin Practica Suppl. 133124, 2003.
8. Böhme K, Likar R. Efficacy and tolerability of a new opiod
analgesic formulation, buprenorphine transdermal therapeutic system (TDS), in the treatment of patients with chronic pain. A randomised, double-blind, placebo-controlled
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9. Stittl R, Griessinger N, Likar R. Analgesic efficacy and tolerability of transdermal buprenorphine in patients with inadequately controlled chronic pain related to cancer and
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3. Portenoy et al. Chronic use of opioid analgesics in nonmalignant pain. Pain, 1986; McQuay et al. Opioids in pain
123
POSTER 9 GIUGNO
LAWRENCE THERAPY VS TENS NEL TRATTAMENTO DELLA
LOMBOSCIATALGIA
media=2,46; t=7,281), rilevando un migliore controllo del
dolore nel Gruppo PB rispetto al Gruppo T, in ragione del trattamento utilizzato (PhyBack® versus TENS).
Trend in crescita della concentrazione sierica del VEGF, veniva evidenziato, nei dosaggi dell’inizio e alla fine dell’ultima
applicazione (T2finale) con la registrazione delle medie e loro
confronto nei due gruppi di studio (892,900±183,200
SEM=47,302 Gruppo PB; 225,300±62,200 SEM=16,060
Gruppo T; t = 13,364 P = <0,001 con una differenza media
di 667,6 pg/ml).
L’aumento medio totale nel Gruppo PB era stato pari a
660,840 pg/ml (t = 13,245 P = <0,001).
La analisi delle medie di concentrazione sierica finali del
VEGF (T02f) dei due gruppi di trattamento indicava il significativo aumento nel Gruppo PB dipendente dal tipo di trattamento utilizzato (F=175,423 P<0,001; t=13,245 differenza
media di 660,84 pg/ml).
Nel follow up dei pazienti, eseguito a 30 giorni ed a 90 giorni, dopo il trattamento, , i risultati mostrano, in tutti gli items
presi in considerazione, migliori percentuali di successo antalgico e terapeutico nei termini di VAS score e di utilizzo degli
analgesici nel Gruppo PB rispetto al Gruppo T. Migliora anche
l’attività fisica e lavorativa come riflesso delle migliori condizioni generali che si registravano nel follow up del Gruppo PB
rispetto al Gruppo T. Non sono stati riportati effetti indesiderati attribuibili alle metodiche in esame od al trattamento farmacologico in nessuno dei due gruppi di studio.
Conclusioni L’esperienza clinica riportata mostra il profilo ottimale di efficacia e sicurezza della nuova metodica in esame,
nei termini dei risultati positivi, analgesia e recupero funzionale, che essa permette di raggiungere nei pazienti con discopatia sintomatica. Ciò è ancor più avvalorato dai migliori parametri mostrati nel confronto con una metodica ampiamente
applicata, validata e diffusa quale la TENS, nel dolore muscoloscheletrico
C. Guetti, C. Angeletti, A. Paladini, A. Piroli, F. Marinangeli,
A. Ciccozzi, I. Marsili, G. Varrassi
Università degli Studi di L’Aquila, Cattedra di Anestesia e
Rianimazione
L’obiettivo dello studio è di confrontare la Lawrence Therapy
(PhyBack Biomedical System®) con la TENS, in termini di sicurezza ed efficacia clinica, valutata a breve (un mese) e a medio
termine (tre mesi) in una popolazione di pazienti con ernia del
disco sintomatica.
Metodi Sono stati arruolati nello studio 30 pazienti, di età
compresa tra 35 e 67 anni (10 femmine e 20 maschi), affetti da
dolore lombosciatalgico, di recente insorgenza (≤30 giorni),
che afferivano al Centro di Terapia del Dolore, Ospedale
Civile S. Salvatore, di L’Aquila, nel periodo compreso tra
Maggio 2005 e Febbraio 2006.
Venivano inoltre riportati in cartella gli esami radiologici di
risonanza magnetica nucleare (RMN) con risultato diagnostico
positivo. Si somministrava, inoltre ai pazienti il Minnesota
Multiphasic Personality Inventory, MMPI, sottoponendo poi
all’esame dei risultati le scale che si riferivano all’ipocondria
(Hs) ed al tratto isterico (Hy). I criteri d’inclusione comprendevano:1) insorgenza acuta della sintomatologia (≤ 30 giorni)
2) presenza di segni neurologici sensitivo-motori 2) presenza
di segni di sofferenza radicolare 3) positività della RMN per
ernia del disco 4) presenza di disturbo dell’umore secondo le
scale citate dell’MMPI.
Venivano, inoltre, effettuati due prelievi ematici per il dosaggio del VEGF sierico a T0, inizio e fine applicazione, altri due
prelievi a T2, inizio e fine applicazione.
Nelle due visite di follow up, rispettivamente a distanza di un
mese (T3) e tre mesi (T4), veniva valutato l’outcome in un colloquio che, prevedeva la disamina dei seguenti punti: 1) VAS
score 2) condizione lavorativa 3) impiego di farmaci analgesici 4) livello di attività fisica.
Risultati Confrontando i valori medi del VAS score iniziali
(8,230±1,000 SEM=0,258 del Gruppo PB; 8,130±0,600
SEM=0,155 t = 0,432 P = 0,669 del Gruppo T) e del VAS
score finali (0,860±0,900 SEM=0,232 del Gruppo PB;
3,200±0,400 SEM=0,103 del Gruppo T) si è evidenziata una
diminuzione statisticamente significativa (t = 9,202 ; P =
<0,001) in entrambi i gruppi in esame. Tuttavia, si è delineato un decremento sensibilmente maggiore nel Gruppo PB (pari
a 7,37 punti di VAS t = 21,217 P = <0,001) rispetto al
Gruppo T (pari a 4,8 punti di VAS t = 25,149; P = <0,001).
La comparazione delle medie delle VAS finali, confrontando i
gruppi in trattamento, indicava una differenza statisticamente
significativa tra i valori (P = <0,001 F=53,007; differenza
Bibliografia
Khadilkar A, Milne S, Brosseau L, Robinson V, Saginur M,
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Gajraj NM, Vakharia AS, Noe CE.The effect of stimulus frequency on the analgesic response to percutaneous electrical
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M. and Corvol, M.T. Phenotypic characteristics of rabbit intervertebral disc cell. Comparison with cartilage cells from the
same animal. Spine 1999;24:837-841
124
POSTER 9 GIUGNO
CASO DI DOLORE NEUROPATICO CRONICO TRATTATO
MEDIANTE INFILTRAZIONE AURICOLARE CON
ANESTETICO LOCALE (NEURAL-AURICOLOTERAPIA)
P. Barbagli
Centro per lo Studio e la Terapia del Dolore -Riva del Garda
(Trento) - A.I.R.A.S. (Associazione Italiana per la Ricerca e
l’Aggiornamento Scientifico) - Padova
Bibliografia
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2. Lange G. Akupunktur der Ohrmuschel. WBW BiologischMedizinische Verlagsges, MBH & Co, Schorndorf 1987.
3. Bindi N. Tecnica del “ponfo gigante” secondo Bindi. In:
Agopuntura Auricolare. Romoli M. UTET, Torino 2003: p.
100.
4. Romoli M. Agopuntura auricolare. Edizioni UTET, Torino
2003.
5. Nogier PFM. Traité d’auriculothérapie. Ed. Maisonneuve;
1969.
6. Dosch P. Lehrbuch der Neuraltherapie nach Huneke
(Therapie mit Lokalanästhetika). Haug Verlag, 14. Edizione,
Heidelberg 1995.
7. Barop H. Manuale e Atlante di Terapia Neurale secondo
Huneke. Edi. Ermes, Milano 2003.
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Textbook of Pain. Wall PD, Melzack R eds. Churchill
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Trattamento del dolore Bonica’s. Loeser JD, a cura di.
Antonio Delfino editore, Roma Milano 2003: pp. 1649-56.
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will please the Lord”: an updated history of the concept of
placebo. Minerva Med 2005; 96: 121-4.
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fiction ? J Clin Epidemiol 1997; 50: 1311-8.
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Minerva Med 2005; 96 (3 suppl. 2): 1-6.
Viene presentato e discusso il caso di una signora di 69 anni,
da circa 1 anno e mezzo sofferente di una nevralgia del nervo
safeno dx, resistente a tutti gli interventi terapeutici effettuati.
In particolare, in precedenza aveva effettuato tentativi con: 1)
gabapentin per 40 giorni con lieve miglioramento, poi sospeso per intolleranza al farmaco; 2) trattamenti locali con pomata anestetica (EMLA) e con pomata a base di peperoncino che
avevano peggiorato il dolore; 3) paracetamolo (l’unico sopportato, essendo allergica o intollerante a quasi tutti i farmaci
analgesici e antiinfiammatori), che però non aveva dato nessun miglioramento, nemmeno temporaneo, alla sintomatologia; 4) un blocco del nervo safeno e 3 blocchi Peridurali, presumibilmente con anestetico locale e cortisonici, che non
hanno avuto alcun risultato.Il caso è stato risolto mediante una
unica seduta di una tecnica poco usata e scarsamente documentata in letteratura (1-3), l’infiltrazione di alcuni punti auricolari con anestetici locali, una tecnica a metà strada tra l’auricoloterapia (4,5), una metodica terapeutica simile all’agopuntura che usa l’infissione di aghi nel padiglione auricolare,
e la neuralterapia sec. Huneke (6-8), che usa l’infiltrazione di
un anestetico locale nei punti dolenti e/o di agopuntura e in
numerose strutture anatomiche come p.es. vasi arteriosi o
venosi, articolazioni, nervi periferici ecc. La sparizione del
dolore è avvenuta dopo circa 1 mese di netto peggioramento,
e si è mantenuta per tutta la durata del follow-up, di 1 anno.
Viene proposta per questa tecnica una nuova denominazione,
neural-auricoloterapia, che sembra bene sintetizzare le branche terapeutiche dalla quale deriva. In quanto all’interpretazione di una simile inusuale guarigione, sembra potersi escludere, sia per le modalità del miglioramento che per la durata
dello stesso nel tempo, un effetto placebo, almeno sulla base
di quanto finora noto su tale complesso fenomeno (9-15),
mentre appare più plausibile invocare, almeno parzialmente,
un aumento generalizzato della soglia sul dolore, evidenziato
da recentissimi studi sulla stimolazione auricolare (16).
125
POSTER 9 GIUGNO
LESIONI ULCERATIVE VASCOLARI: IL DOLORE CRONICO
E IL CONTENIMENTO DEL DOLORE IN SEDE DI CAMBIO
DI MEDICAZIONE. UN CASO CLINICO
trattamento del dolore durante procedure associate alla medicazione quali la rimozione atraumatica della medicazione,
l’accurata valutazione della medicazione idonea, l’ idonea
preparazione del letto della ferita e la somministrazione di
analgesici.
T. Bianchi, M. Reggiani
Unità complessa di Dermatologia, Presidio Ospedaliero
Maggiore Bellaria, Azienda Sanitaria di Bologna
Bibliografia
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venous leg ulcers. Review. The Cochrane Collaboration
2006. Published by J Wiley & Sons Ltd 2006. pages 1 - 24.
Si presenta il caso di un soggetto affetto da ulcera arteriosa
dell’arto inferiore sinistro. Le ulcere arteriose nei pazienti con
arteriopatia cronica ostruttiva di grado moderato-severo possono essere associate a dolore cronico severo. A questo possono aggiungersi situazioni di dolore operatorio, procedurale
e accidentale.
Il dolore non trattato influenza negativamente la guarigione
delle ferite e ha un impatto negativo sulla qualità di vita. Si
prendono in rassegna le migliori evidenze scientifiche per il
STEROIDI EPIDURALI E GABAPENTIN A BASSO DOSAGGIO NEL LOW BACK PAIN
anni, in cui rappresenta la prima causa di invalidità.
MATERIALI E METODI: Sono stati arruolati 81 pazienti suddivisi in quattro gruppi (lombosciatalgia subacuta e cronica, esiti
di emilaminectomia e stenosi vertebrale). Il follow up prevedeva, dopo la prima visita ed il primo trattamento, visite di
controllo fino a e sei mesi. L’intensità del dolore è stata misurata mediante Visual Analogical Scale (VAS) alla prima visita e
ad ogni controllo e mediante una scala nominale (scomparsa,
notevole miglioramento, lieve miglioramento, situazione stazionaria e peggioramento).
RISULTATI: Il valore medio del VAS si è ridotto progressivamente (5,98-4,05-3,04-2,73-2,12) in modo significativo; il
miglioramento della sintomatologia dolorosa è stato confermato anche dai risultati della scala nominale.
CONCLUSIONI: La nostra esperienza ha dimostrato l’efficacia
clinica di questo protocollo di trattamento, grazie alla sinergia degli effetti dei diversi farmaci sulle diverse componenti
del dolore cronico.
C.Croce, A. Gatti, L. Bertini**, M.G. Celeste*, M. Lazzari,
C. Martucci, F. Limongi, T. Agostino, A. Carucci,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
**Dirigente Responsabile U.O. Dipartimentale di Anestesia
in Traumatologia e Terapia del Dolore
C.T.O./S.Eugenio A.S.L. RM/C
Bibliografia
1. Speed C. “Low back pain.” BMJ 2004;328:1119-1121
2. Rose M.A., Kam P.C.A. “Gabapentin: pharmacology and its
use in pain management.” Anaesthesia 2002;57:451-462
3. Carette S, Leclaire R, Marcoux S, Morin F, Blaise GA,
StPierre A, et al. “Epidural corticosteroid injections for sciatica due to herniated nucleus pulposus.” N Engl J Med
1997;336:1634-40
OBIETTIVO: Analizzare l’efficacia di un protocollo di trattamento del low back pain (LBP) che prevede: 3 infiltrazioni epidurali sacrali, ciascuna con 80 mg di Metilprednisolone e 1012 ml di Ropivacaina 0,2%, Gabapentin 900 mg/die in titrazione in 15 giorni ed Amitriptilina 5 mg/die.
INTRODUZIONE: Il LBP colpisce il 70% della popolazione
nei paesi industrializzati, soprattutto nella fascia di età 35-45
RADIOFREQUENZA PULSATA NEL TRATTAMENTO DI
DOLORE NEUROPATICO: STUDIO MORFOLOGICO SPERIMENTALE SUGLI EFFETTI SULLE CELLULE GANGLIARI
LOMBARI
a livello lombare. Le regolazioni dei parametri di PRF usati
nell’esperimento sono simili a quelle usate nella pratica clinica in vigore. I preparati sono stati analizzati sia con microscopia luce che con microscopia elettronica a trasmissione,
un’ora dopo la procedura di PRF. L’analisi a microscopia luce
non ha rivelato particolari differenze fra gli animali di controllo e quelli trattati. La microscopia elettronica a trasmissione,
invece, ha indicato che i neuroni gangliari trattati contengono
un reticolo plasmatico liscio abbondante con le cisterne
ingrandite e numerosi vacuoli; parte degli assoni mielinici ha
presentato alcune caratteristiche patologiche. La mielina di
tali assoni non era bene aderente agli assoni stessi e talora gli
assoni si presentavano collassati. Ulteriori valutazioni saranno
necessarie a distanza di tempo dalla lesione per quantificare
come ed in quanto tempo vi sia riparazione di tali alterazioni
morfologiche.
Poiché nell’uso clinico non si presentano deficit nervosi dopo
la procedura, questo trattamento potrebbe essere definito una
pratica di re-engineering neurale.
A. Dario*, C. Reverberi°, S. Sangiorgi*, M. Protasoni**, E.
Borsani***, M. Reguzzoni**, F. Pessina*, G. Tomei*.
* Clinica Neurochirurgica, ** Dipartmento di Morfologia
Umana, Università dell’Insubria – Varese
*** Dipartmento di Scienze Biomediche e Biotecnologie Università di Brescia – Brescia
° Centro Terapia del Dolore Ospedale Oglio-Po – Cremona
Le procedure di radiofrequenza pulsate sono state segnalate
recentemente come alternativa non-neurodistruttiva o come
minimamente neurodistruttiva rispetto alle lesioni di radiofrequenza. Nel nostro studio abbiamo utilizzato 30 ratti Wistar
analizzando gli effetti immediati della radiofrequenza pulsata
(PRF) sulla morfologia del ganglio della radice dorsale del ratto
126
POSTER 9 GIUGNO
SCRAMBLER THERAPY E GABAPENTIN NEL
TRATTAMENTO DELLA FAILED BACK SURGERY SYNDROME
E’ stata valutata l’efficacia della terapia utilizzando la VAS
(Visual Analogic Scale) e la SPID ( Sum Pain Intensity
Differences).
I risultati sono stati significativi sia nei pazienti trattati con
Gabapentin e Scrambler Therapy che in quelli trattati solo con
Gabapentin.
I risultati dimostrano come il Gabapentin costituisca un sicuro
ed efficace presidio farmacologico nel trattamento del dolore
neuropatico, il quale si può avvalere anche del rivoluzionario
approccio terapeutico di tipo bio-ingegneristico rappresentato
dalla Scrambler Therapy, che consente di ottenere risultati
ancora più consistenti.
Questi risultati sono molto incoraggianti, perchè si tratta di
terapia non invasiva in grado di migliorare sensibilmente la
qualità di vita dei pazienti.
G. De Marini, A. Gatti, M. Ceccobelli, A. D’Ercole
P. Gafforio, D. Caruso, M.C. Guarino, C. Monaco
G. De Rossi, M. Friso
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
La Failed Back Surgery Syndrome (FBSS) letteralmente significa “sindrome da fallimento della chirurgia del rachide”, ma
propriamente indica alcune complicanze che possono insorgere in seguito ad intervento chirurgico per patologie spinali.
Una percentuale importante dei pazienti con Low Back Pain è
affetta da FBSS, infatti dal 10 al 40% dei pazienti sottoposti a
chirurgia della colonna esita in questa sindrome.
In questo studio sono stati presi in considerazione 58 pazienti (35 F e 23 M): 29 sono stati trattati con Gabapentin e
Scrambler Therapy e 29 solo con Gabapentin.
Bibliografia
1. Zucherman J, Schofferman J. Pathology of failed back surgery syndrome. In: White AH, ed. Failed back surgery
syndrome. Philadelphia: Hanley & Belfus, 1986: 1-12.
2. Wheeler G. Gabapentin. Pfizer. Curr. Opin. Investg. Drugs
2002 Mar; 3(3): 470-7.
3. Serafini G, Marineo G, Sabato AF. “Scrambler Therapy”: a
new option in neurophatic pain treatment? The Pain Clinic
Volume 12, No. 4, pp. 271-340, 2000.
PARTOANALGESIA: POSIZIONE DELLA PAZIENTE
da una dilatazione cervicale di 3- cm.
Tutte le pazienti sono state sottoposte alla tecnica di anestesia
combinata Spinale- Epidurale ago nell’ago (1-2). Le donne
sono state divise in maniera randomizzata in due gruppi omogenei (A e B) di 15 donne . Le pazienti del gruppo A sono
state posizionate, per l’effettuazione del blocco, in posizione
laterale. Le pazienti del gruppo B, viceversa, sono state posizionate in posizione seduta. E’ stato valutato il grado di soddisfazione dell’anestesista e delle pazienti per la tecnica (confort) sottoponendo sia agli anestesisti sia alle pazienti una scala
di valutazione tra 0 (minimo confort) e 10 (massimo confort).
Risultati: nel gruppo A il confort, sia per la paziente (media
7,35) che per l’anestesista (media 8,25), è risultato migliore
rispetto al gruppo B. In quest’ultimo gruppo, infatti, il grado
di soddisfazione è risultato di 5,65 per le pazienti e 6,5 per
l’anestesista .
Una paziente del gruppo B ha chiesto, durante l’esecuzione
del blocco, di essere posizionata in posizione laterale.
In conclusione, sulla base del presente studio, la medesima
tecnica antalgica porta maggiori risultati, analizzati in termini
generici di confort per la paziente e per il medico anestesista, se eseguita in posizione laterale.
D. Di Cerbo, P. Iuorio, F. Marinangeli*, L. Di Stefano**
M.L. Ursini*, A. Piroli*, G. Varrassi*
U.O. di Anestesia e Rianimazione, Ospedale civile di Tivoli - RM
*Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università degli Studi
di L’Aquila
**Cattedra di Ginecologia e Ostetricia, Università degli Studi
di L’Aquila
L’analgesia epidurale (o peridurale) è ritenuta la tecnica
migliore e più sicura per abolire il dolore del travaglio e del
parto. Essa è in grado di determinare, in pochi minuti, la scomparsa delle doglie, lasciando inalterata la sensibilità cutanea,
la mobilità e, soprattutto, la sensazione della contrazione, che
continua ad essere percepita, ma non più come dolorosa.
Utilizzando la giusta tecnica, e gli anestetici locali alla giusta
concentrazione, la capacità di spinta non viene alterata e la
donna, liberata dal dolore, può partorire attivamente ed in
modo spontaneo.
Il presente studio ha quale obiettivo la valutazione del grado
di confort della paziente e dell’anestesista esecutore della tecnica antalgica di partoanalgesia nella posizione seduta e nella
posizione laterale.
Sono state inserite nello studio 30 donne multipare con un’età variabile tra 18 e 35 anni e con ASA 1-2. Esse sono state premedicate con atropina 0,5 mg, trattate con infusione di 500 ml
plasma expanders e monitorizzate per i seguenti parametri:
E.C.G., F.C., P.A., SaO2, diuresi, cardiotocografia.
Bibliografia
1. Coates MB. Combined subarachnoidand epidural techniques. A single space technique for surgeryof the hip and
lower limb. Anaesthesia 1982; 37: 89-90
2. Mumtaz MH, Daz M, Kuz M. Combined subarachnoid and
epidural techniques: Another single space technique for
orthopaedic surgery. Anaesthesia 1982; 37: 90
Il requisito essenziale per iniziare la partoanalgesia, in accordo con i ginecologi del plesso ospedaliero, era rappresentato
127
POSTER 9 GIUGNO
TRATTAMENTO ORTESICO CON BUSTO C35 ED
APPROCCIO FARMACOLOGICO AL BACK PAIN ACUTO
DOPO RECENTE FRATTURA VERTEBRALE
OSTEOPOROTICA. APPROCCIO 3-STEPS O SUBITO UN
OPPIOIDE FORTE?
ANALISI RETROSPETTIVA DELLA NOSTRA ESPERIENZA
CON FENTANYL TRANSDERMICO. DATI PRELIMINARI
considerati attendibili allo scopo ed arruolati 12 pazienti. Essi
furono trattati secondo il nostro protocollo con follow up a 15
ed a 30gg. Al primo controllo i pazienti riferivano limitato
beneficio nel 80%, con una effectiveness media sul dolore del
16,57 % e passaggio alla somministrazione di Fentanyl transdermico. Il restante 20% (3 casi) continuava la terapia farmacologica già in essere (effectiveness sul dolore a 30 gg =
22,67, con solo il 66% soddisfatto del trattamento ricevuto
rispetto al dolore) (Tab. 1-2).L’80% bisognevole del passaggio
all’oppioide transdermico riferì al 30gg una efficacia sul dolore (effectiveness) del 50,43 %. (Tab.2-3).Gli effetti collaterali
riferiti furono prevalentemente nausea stipsi ed ansia ( tab.4,
graf.1).
Conclusioni: E’ indiscusso che l’osteoporosi necessiti di un
corretto intervento nutrizionale e farmacologico, ma non
dimenticato che l’esercizio terapeutico e il trattamento ortesico, assumono un ruolo di comprimaria importanza sia nella
fase pre-clinica di progressivo impoverimento osseo (perimenopausale) che nella fase di osteoporosi manifesta.Di fronte al paziente con diagnosi clinica di osteoporosi si rende pertanto, necessario un progetto riabilitativo individuale, base di
uno schema terapeutico integrato (nutrizionale, farmacologico, ortesico e rieducativo), monitorando nel tempo l’andamento clinico, osteometabolico e strumentale, dove il trattamento antalgico gioca un ruolo cardine. In questi pazienti, l’evenienva di una frattura vertebrali amieliche è un evento
estremamente doloroso. Il dolore acuto, interamente nocicettivo, senza componente neuropatiche ed esacerbato dalla
mobilizzazione attiva del rachide, richiede una precoce stabilizzazione mediante una ortesi spinale su misura ed un
approccio farmacologico sufficientemente efficace.La OMS da
30 anni oramai ha introdotto l’approccio a gradini relegando
l’utilizzo degli oppioidi forti al riferito dolore severo, dopo
una prima utilizzazione “consequenziale” dei FANs e degli
oppioidi deboli. L’approccio 1°-2° step è difficilmente temporizzabile ed il passaggio allo step successivo è sempre suggerito dalla persistenza del dolore o dall’insoddisfazione del
paziente. Quest’ultima, piuttosto che la valutazione numericoanalogica, è la variabile su cui generalmente si basa la nostra
decisione di approccio al dolore. Il Fentanyl transdermico già
in diversi RCT ha mostrato evidenza di una buona efficacia sul
“pain relief” e soprattutto ottima e repentina soddisfazione dei
pazienti. La nostra conclusione è che il dolore vertebrale severo dovrebbe essere trattato sin dalle prime fasi con un oppioide “valido” ed all’uopo fentanyl transdermico ha già dato
prova in dversi RCT di efficacia e manegevolezza oltre che di
una buona tollerabiilità ed efficacia, anche nel successivo ineluttabile dolore cronico vertebrale.
L. Di Lorenzo, A. Landolfi, C. Di Maria*, A. Fort, I. Bello
V. Palmieri*, C. Trombetti
Azienda Ospedaliera “G.RUMMO” DEA II Livello, Benevento.
U.O.Complessa di Riabilitazione e * Servizio Terapia del
Dolore
Introduzione: L’osteoporosi è una malattia scheletrica caratterizzata da diminuzione della resistenza dell’osso, associata ad
un aumento del rischio di fratture, oltre che una malattia sociale di rilevante impatto numerico: in Italia più di tre milioni di
persone ne soffrono ed ogni anno vi sono centinaia di migliaia
di fratture e crolli vertebrali con costi sociali elevatissimi. Il
dolore acuto dopo frattura vertebrale prevalente da osteoporosi è la causa principale di visita medica nei soggetti affetti
da osteoporosi. Il dolore acuto è comunemente causato da
fratture occorse in assenza di trauma. Oltre la metà delle
donne ultra50enni sono soggette a tali fratture. Il dolore è causato principalmente dall’alterazione biomeccanica della
colonna che si cifotizza e va incontro ad alterazioni muscolari funzionali ed a notevoli contratture antalgiche regionali.
L’osteoporosi può e deve essere prevenuta mediante l’esercizio fisico.
Soggetti: Abbiamo retrospettivamente analizzato i pazienti
afferiti nell’ultimo anno presso il nostro ambulatorio a causa di
una algia vertebrale severa acuta e a cui fu posta diagnosi di
prima frattura vertebrale osteoporotica, con diagnosi confermata da valori della Mineralometria ad Ultrasuoni<-3,2SD.
Materiali e Metodo Il nostro approccio prevede per tutti i
pazienti la prescrizione di un busto ortopedico su misura tipo
C35 ed un approccio farmacologico del dolore. In ossequio
all’approccio a 3 gradini dell’OMS nel nostro ambulatorio
viene suggerito in primo approccio la somministrazione di un
FANS e tramadolo 200mg/die. Ove non si ottenga adeguato
“pain relief” suggeriamo il passaggio ad un oppioide forte (
ove non controindicato). L’oppioide forte prescelto, per facilità di gestione al domicilio, esperienza personale ed evidenza
in letteratura, è il Fentanyl transdermico. Il dolore è solitamente stato valutato mediante somministrazioni ripetute della
NRS (verbal Numeric Rating Scale 0-10). La soddisfazione del
paziente a 15 gg la valutiamo mediante un semplice self-made
questionnaire a risposta dicotomizzata SI-NO. In una scheda
a parte vengono solitamente registrati gli effetti collaterali (stipsi, nausea, vomito, cefalea). La diagnosi di osteoporosi è sempre confermata mediante esecuzione di una mineralometria
ossea ad ultrasuoni la quale pone quale limite patologico valori = < a -3.2 SD
Risultati: In questa prima revisione abbiamo considerato solo
i pazienti del 2005. Sono stati esclusi i pazienti con precedenti
fratture vertebrali. Sono stati inoltre esclusi i pazienti over 70
e quelli con concomitanti problemi neurologici. Sono stati
Bibliografia
1. Ringe et al., Transdermal fentanyl for the treatment of back
pain caused by vertebral osteoporosis. Rheumatol Int
(2002) 22: 199-203
2. Fogelman I, Ryan P (1991) Osteoporosis: a growing epidemic. Br J Clin Pract 45:189-196
3. GreenDale GA et al. Late Physical activity and functional
effects of osteoporotic fracture in women. J Amer Geriatr
Soc 43:855-861
128
POSTER 9 GIUGNO
PREGABALIN E NEVRALGIA TRIGEMINALE
Sono stati reclutati 14 pz di cui 5 pz maschi e 9 pz femmine
con età compresa tra 47 aa e 62 aa.
Il VAS medio iniziale era 4,3 che si è ridotto a 2,9 dopo un
mese e a 1,9 al terzo mese mantenutosi fino al quarto mese.
Riguardo agli effetti indesiderati c’è un progressivo aumento
dei pz che non riferiscono segni o sintomi collaterali.
In conclusione possiamo riconoscere l’efficacia del farmaco
ottenendo una riduzione dell’intensità del dolore di almeno
un terzo già dopo il primo mese di terapia con una bassa incidenza di effetti indesiderati.
A. Fasulo, A. Gatti, M.G. Celeste*, P. Gafforio,
M. Ceccobelli, M. Lazzari, L. Cococcia, G. De Rossi,
C. Martucci, D. Caruso.
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
Bibliografia
Grachev IuV., Reshetniak VK. :” The pathogenic mechanisms
of paroxysmal trigeminal prosopalgias”. Stomatology(Mosk).
1999.
Canavan D.:”Dental perspectives on neuropathic origin” J Ir
Dent Assoc.2005
Lopez –Trigo J, Sancho J. :”Pregabalin.A new treatment for
neuropathic pain”; Neurologia 2006 Mar.
Lo scopo dello studio è valutare l’efficacia del Pregabalin nella
nevralgia del trigemino in assenza d’assunzione di altri farmaci antiepilettici.
UTILIZZO DI FENTANYL TRANSDERMICO NEL
PERIOPERATORIO
l’87% e a dodici il 97%. Per 3 pazienti è stato necessario somministrare 30 mg di ketorolac.
In un caso (3.3%) trattamento è stato insufficiente a garantire
una buona analgesia.
In quattro pazienti (13.3%) si sono manifestati effetti indesiderati nella fase perioperatoria (nausea, vomito, cefalea, ipotensione).
Per un solo paziente (3.3%) è stato sospesa la somministrazione.
Conclusioni:
Il fentanyl trasdermico può essere considerato uno strumento
valido per il controllo del dolore postoperatorio
E. Foglia, F. Intelligente, M. G. Mezzetti, F. Rizzi
U. O. Anestesia e Rianimazione, Istituto Clinico “Mater
Domini”
Premessa:
Nell’ambito del progetto “Ospedale senza dolore” nel Nostro
Istituto sono stati creati protocolli per il controllo del dolore
postoperatorio . Per gli interventi ad alta algogenicità (chirurgia addominale ed urologica maggiore, chirurgia vascolare
sull’aorta addominale) un’opzione prevede l’utilizzo di
Fentanyl transdermico applicato 10-12 ore prima dell’operazione. Lo schema terapeutico prevede l’applicazione di 50 mg
di fentanyl transdermico per pz >50 kg e < 70 anni e di 25
mg per pz < 50 kg e > di 70 anni.
Discussione:
Abbiamo selezionato 30 pazienti in base a tipologia di intervento, sesso, età, peso.
Il dolore è stato valutato con scale numerica VAS (da 0 a 10)
a 2, 6, 12 ore dall’intervento.
A due ore l’80% dei pazienti riferiva un VAS ≤ a 4, a sei ore
Bibliografia
1. SIAARTI Study Group for Acute/Chronic Pain, Minerva
Anestesiolol 2002;68:735-50.
2 Ventafridda V. Linee guida dell’OMS per il controllo del
dolore. In Mercandante S., Ripamonti C. Masson 3239,2000.
3. Mezzetti M.G. Hospital without pain: utopia or feasible
project? Pathos 1-2, 2006.
129
POSTER 9 GIUGNO
GABAPENTIN E DOLORE NEUROPATICO
POST-TORACOTOMIA: NOSTRA ESPERIENZA
algica così importante e protratta nel tempo.
Nel presente studio sono stati esaminati 21 pazienti che
lamentavano un dolore cronico, insorto a seguito di un intervento chirurgico di toracotomia.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione obiettiva dell’allodinia e dell’iperalgesia; l’intensità del dolore è stata valutata mediante scala analogica visiva (VAS), sia durante la
prima visita sia durante i controlli successivi .
La terapia prescritta è stata Gabapentin in titrazione fino ad un
dosaggio di 3000 mg/die.
Si è osservata una sensibile e progressiva riduzione del dolore
con una riduzione del VAS da un valore medio di 7,1 ad uno
di 3,1.
F. Gabrielli, A. Gatti, M.G. Celeste*, M. Lazzari, D. Caruso
C. Monaco, C. Martucci, F. Limongi, M.C. Guarino
T. Agostino
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
Bibliografia
1. Kalso E, Perttunen K, Kaasinen S. “Pain after thoracic surgery”. Acta Anaesthesiol Scand 1992;36:96-100.
2. .Perttunen K., Tasmuth T, Kalso E. „Chronic pain after thoracic surgery: a follow-up study“. Acta Anaest. Scand
1999;43:563-567
3. Rogers ML, Henderson L, Mahajan RP, Duffy JP.
“Preliminary findings in the neurophysiological assessment
of intercostals nerve injury during thoracotomy”. Eur. J
Card.Surg. 2002febb. ;21(2):298-301.
La sindrome da dolore cronico post-toracotomia è definita
come un dolore che ricorre o persiste nella zona della cicatrice della ferita chirurgica dopo almeno sei mesi dall’intervento. Il decorso clinico ed i sintomi suggeriscono che all’origine
del dolore non vi sia semplicemente un evento nocicettivo,
ma che le manovre chirurgiche abbiano provocato un vero
proprio danno nervoso che è alla base della sintomatologia
QUANTITATIVE SENSORY TESTING (QST)
E DOLORE NEUROPATICO
Vergata”, è stato indagare l’entità del danno nervoso in soggetti con caratteristiche cliniche di dolore neuropatico.
Nel periodo compreso tra ottobre 2005 e febbraio 2006 sono
stati sottoposti a Quantitative Sensory Testing 338 pazienti con
sintomi e/o segni clinici di dolore neuropatico di età compresa tra 22 e 88 anni.
Sotto condizioni standardizzate questa metodologia di test è in
grado di riconoscere forme di neuropatia misconosciute e di
confermare la diagnosi clinica attraverso risultati riproducibili.
A. Gatti, G. Tufaro, M. Lazzari, S. De Benedictis, M. Proietti,
M. Friso, F. Riva, L. Cococcia, T. Agostino, A. Carucci
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
Bibliografia
1. Verdugo RJ,Ochoa JL. Quantitative sensory thermotest. A
key method for functional evaluation of small caliber afferent channels; Brain1992; 115:919-57
2. R.Rolke, W.Magerl, K.Andrews Campbell et al.
Quantitative Sensory Testing: a comprehensive protocol for
clinical trials; European Journal of Pain, 10(2006) 77-88;
3. G.Shukla, M.Bhatia, M.Behari. Quantitative thermal sensory testing- value of testing for both cold and warm sensation detection in evaluation of small fiber neuropathy. Clin
Neurol Neurosurg 107 (2005) 486-490
Il Quantitative Sensory Testing (Q.S.T.) rappresenta un approccio diagnostico strumentale di grande ausilio clinico, di facile
ed immediata applicabilità, utilizzato come misurazione pratica della sofferenza delle fibre nervose di piccolo calibro
Il Thermotest è in grado di valutare la sofferenza delle fibre A?
e delle fibre C nelle fibre periferiche mediante stimoli termici.
Lo scopo del nostro studio, effettuato presso il Servizio di
Fisiopatologia e Terapia del Dolore del Policlinico “Tor
130
POSTER 9 GIUGNO
SINDROME DELL’ARTO FANTASMA : CASE REPORT
Attualmente si ipotizza possano essere coinvolti nella genesi
di tale condizione clinica meccanismi periferici, meccanismi
spinali segmentari e meccanismi centrali.
Il dolore da arto fantasma è stato trattato con numerose terapie
farmacologiche, fisiche, chirurgiche, senza rilevanti successi
terapeutici.
In questo lavoro viene riportato il caso di un paziente che
aveva subito l’amputazione della gamba sinistra perché affetto
da vasculopatia diabetica, in seguito era insorto dolore da arto
fantasma trattato con Scrambler Therapy in associazione a
terapia farmacologica con Pregabalin. Con questa terapia si è
registrata una diminuzione significativa della sintomatologia
algica (>60%) ed un miglioramento consistente della qualità
di vita del paziente.
M. Gorini, A. Gatti, A. Fasulo, M. Proietti, F. Riva,
C. Martucci, F. Limongi, M.C. Guarino, D. Caruso,
D. Rizzitano
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
La sindrome dell’arto fantasma è la percezione di sensazioni,
di solito includenti dolore, in un arto amputato. I pazienti
affetti da tale sindrome percepiscono l’arto come se fosse
ancora parte del loro corpo. Quando la sensazione fantasma
diventa tanto intensa da essere definita dal paziente come
dolorosa, essa è definita “dolore da arto fantasma”. La precisa
causa della sindrome da arto fantasma è sconosciuta.
Bibliografia
1. Melzack R. Phantom limb pain: implications for treatment
of pathologic pain. Anesthesiology 1971; 35: 409-419.
2. Sherman RA. Published treatments of phantom limb pain.
Am J Phys Med 1980; 59: 232-244.
LAWRENCE THERAPY NELLA FAILED BACK SURGERY
SYNDROME (FBSS): CASE REPORT
nate “decontratturante”, “antiflogistica”, “microcircolo”.
Inoltre, venivano effettuati due prelievi ematici per il dosaggio
del VEGF plasmatico, inizio e fine del ciclo di applicazione (T
iniziale-T finale) del PhyBack Biomedical System®.
Tutti i livelli funzionali osservati risultavano significativamente migliorati, nell’arco di un mese; la VAS a riposo registrava
un decremento sensibile passando da 7 a 0 nell’arco del periodo di trattamento, così come significativa era la diminuzione
della VAS al movimento che passava da 10 a 2 con conseguente miglioramento del ROM (range of motion), dell’umore, delle ore di sonno, e del grado di soddisfazione della
paziente. Il dosaggio del VEGF mostrava un lento e continuo
aumento nei valori sierici testati. Nessun effetto collaterale
apprezzabile si evidenziava nella nostra paziente.
Il caso clinico riportato mostra il profilo ottimale di efficacia e
sicurezza della nuova metodica in esame, Phyback®, nei termini dei risultati positivi, analgesia e recupero funzionale, che
essa permette di raggiungere nel caso clinico in esame, che
presentava una evidente “failed back surgery syndrome”.
C. Angeletti, C. Guetti, L. Merola, A. Paladini, A. Piroli
F. Marinangeli, A. Ciccozzi, I. Marsili, G. Varrassi
Università degli Studi di L’Aquila, Cattedra di Anestesia e
Rianimazione
Il caso clinico riportato mostra l’efficacia del trattamento con
Lawrence Therapy (PhyBack Biomedical System®) nei confronti della FBSS. La tecnica si è sviluppata nel corso degli ultimi 25 anni e sfrutta impulsi elettrici a basso voltaggio, applicati attraverso elettrodi di superficie, allo scopo di ottenere
reazioni bio-umorali di natura fisiologica, in vari tessuti, in
vivo.
Una donna di 53 anni, giungeva alla nostra osservazione con
dolore lombo-sacrale ricorrente, di evidente origine radicolare, che dal rachide si irradiava agli arti inferiori, prevalentemente a quello di destra. La paziente riferiva di essere stata
sottoposta a discectomia, circa due anni prima della visita
algologica attuale.
Il dolore non sembrava rispondere ai trattamenti antalgici
“convenzionali” impiegati fino a quel momento. Il livello dell’intensità dolorifica veniva indicato pari ad un VAS score 7, a
riposo, nella scala analogica visiva, da 0=nessun dolore a
10=dolore insopportabile.
Si proponeva alla paziente, previo consenso informato, inoltre, di sottoporsi a due cicli completi di trattamento con
Lawrence Therapy, con PhyBack Biomedical System®, nel
corso del mese successivo, comprensivi di 20 sedute, di circa
20 minuti ciascuna, 5 giorni a settimana, eseguiti in regime
ambulatoriale. Il programma eseguito si componeva di tre
componenti di stimolazione, eseguite in sequenza e denomi-
Bibliografia
1. Bonica JJ: General considerations of chronic pain. The
Management of Pain. In: Bonica JJ, ed. 2nd ed.
Philadelphia: Lea & Febiger; 1990: 1540-9.
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posterior lumbar discectomy. A prospective study of outcomes in 152 cases with no postoperative restrictions. Spine
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3. Gambardella G, Gervasio O, Zaccone C, Puglisi E.
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2005;92:151-4.
131
POSTER 9 GIUGNO
PERCUTANEOUS ENDOSCOPIC LUMBAR
ANNULOPLASTY FOR DISCOGENIC LOWER BACK PAIN
Departments of Anesthesiology1 and Neurosurgery2
Wooridul Spine Hospital, Seoul, Korea
used to diagnose discogenic back pain in all patients. Under
fluoroscopic guidance and local anesthesia, PELA was performed using an automated nucleotome and Laser Assisted
Spinal Endoscopy (LASE; Clarus, USA). The targets of this procedure were the annular tear site and the annulus-nucleus
junction. The anterior and central portion of nucleus pulposus
was well preserved.
Methods: The authors retrospectively reviewed clinical and
radiological data of 49 patients who underwent PELA between
July 2002 and January 2005. Provocative discography was
Conclusion: PELA using an automated nucleotome and LASE
is a safe and effective minimally invasive procedure for discogenic low back pain with very low morbidity and a high success rate.
H.S. Park , MD, PhD1*; K.J. Kim , MD, PhD2; V. Lee , MD,
PhD2; S.W.Shin , PhD2
Results: The mean follow-up period was 17.6 months (range,
5- 35). There were 26 males and 23 females, with a mean age
of 33.6 years (range, 18-57). According to the Macnab criteria,
89.8% of the patients had satisfied (excellent or good) results.
There was no postoperative neurologic deficit and infection at
all.
Introduction: The treatment of chronic discogenic lower back
pain remains controversial. The posterior annulus fibrosus
appears to be a potential site of origin of the pain, which is
mediated by nociceptors in the inner layers of the annulus.
The goal of this study was to present the surgical technique of
percutaneous endoscopic lumbar annuloplasty (PELA) and to
evaluate the clinical results for discogenic low back pain.
NEVRALGIA POSTERPETICA:
PROPOSTA DI TRATTAMENTO
decorso delle branche anteriori e posteriori dei nervi spinali
(frequenza 50 Hz). A tutti i pazienti è stata inoltre somministrata CLORIMIPRAMINA 75 mg/die per os.
Risultati: il valore del VAS rilevato nei pazienti trattati è diminuito in maniera significativa (VAS all’inizio della terapia =
7,85; VAS alla fine del trattamento = 4,25). Il beneficio è stato
osservato in genere entro 48 ore dall’inizio della terapia.
Conclusioni: la NPH rappresenta una patologia difficile da
trattare; il protocollo da noi proposto combina una terapia farmacologia con una trattamento fisico e deve considerata come
una valida ed efficace alternativa ai protocolli terapeutici oggi
utilizzati.
R. Rinaldi*, S. Meloncelli**, M. Casiraghi** S. Stirparo**,
R. Occhioni***
* Prof. Università degli Studi la Sapienza di Roma
** Divisione Anestesia Casa di Cura “Città di Roma”, Roma
*** Resp. Terapia del Dolore Az.Osp. San Camillo Forlanini,
Roma
Introduzione: la nevralgia posterpetica (NPH) è una sindrome
dolorosa cronica la cui nota resistenza ad ogni forma di terapia impone un trattamento multimodale. Scopo dello studio è
di valutare l’efficacia di un trattamento combinato con ESP e
CLORIMIPRAMINA in pazienti affetti da NPH.
Materiali e Metodi: sono stati trattati 32 pazienti ( 18 donne;
14 uomini ) affetti da NPH toraco-addominale primitiva insorta circa 8 mesi prima. E’ stato valutato il valore del VAS all’inizio e dopo 1 mese dall’inizio della terapia. L’ESP è stato
effettuato su punti situati nelle zone cutanee sovrastanti il
Bibliografia
1. Feller R., SADJ 2005 Nov;60(10):432, 436-7, Herpes zoster
post-herpetic neuralgia
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3. Kuntzer T., Rev Med Suisse. 2005 Nov 30;1(43):2812-6.
Neuropathic pains: background, new tools, new drugs
LA TERAPIA CON IMMUNOGLOBULINE PER VIA
ENDOVENOSA NELLA PLESSOPATIA LOMBOSACRALE
DIABETICA
patico prossimale all’arto inferiore. La valutazione clinico-strumentale suggeriva una plessopatia lombosacrale, associata a
neuropatia assonale distale. La biopsia di nervo surale mostrava degenerazione e perdita assonale, con infiltrato infiammatorio perivascolare. Per tutti il sintomo più rilevante era il dolore. Vari protocolli farmacologici analgesici erano stati inefficaci. La terapia con cortisone non aveva determinato beneficio,
causando scompenso glicemico. I pazienti sono stati trattati
con IgEV (2 gr/Kg frazionati in 5 giorni).
Risultati. Dopo trattamento con IgEV, tre pazienti hanno riferito, dopo 7-15 giorni, netta riduzione della sintomatologia
dolorosa e iniziale recupero del deficit motorio. Un paziente
ha richiesto un secondo ciclo di IgEV dopo 6 mesi.
Conclusioni. Il trattamento con IgEV costituisce una promettente strategia terapeutica nella PLSD. I nostri dati rafforzano
l’ipotesi che tale patologia sia immuno-mediata.
S. Tamburin,1,2 A. Forgione,2 D. Idone,2 G. Zanette1,2
1 Dipartimento di Scienze Neurologiche e della Visione,
Università degli Studi di Verona;
2 U.O. di Neurologia, Ospedale Pederzoli, Peschiera del
Garda (VR).
Background. La plessopatia lombosacrale diabetica (PLSD)
costituisce una complicanza del diabete mellito insulinodipendente (DMID) (1). La PLSD è caratterizzata da severa sintomatologia dolorosa di tipo neuropatico, scarsamente responsiva alla terapia farmacologica. La PLSD sembra avere patogenesi immuno-mediata. Riportiamo la nostra esperienza con
immunoglobuline endovena (IgEV) nella PLSD.
Soggetti. Abbiamo raccolto quattro pazienti affetti da PLSD.
Essi hanno lamentato la comparsa subacuta di una sintomatologia
dolorosa
multi-tronculare
toraco-addominale.
Successivamente hanno sviluppato ipostenia e dolore neuro-
Bibliografia
1. Dyck PJB, Windebank AJ. Diabetic and non diabetic lumbosacral radiculoplexus neuropathy: new insights into
pathophysiology and treatment. Muscle Nerve
2002;25:477-491.
132
POSTER 9 GIUGNO
L’ESTENSIONE DEI SINTOMI SENSITIVI AL DI FUORI DEL
TERRITORIO DEL NERVO MEDIANO NELLA SINDROME
DEL TUNNEL CARPALE E’ CORRELATA A MECCANISMI
DEL DOLORE
del nervo mediano erano significativamente più severe nelle
mani con distribuzione mediana. I disturbi soggettivi erano
significativamente più marcati nelle mani con distribuzione a
guanto. Le altre misure non influenzavano la distribuzione dei
sintomi.
Conclusioni. La severità del coinvolgimento obiettivo-neurografico e l’intensità dei sintomi soggettivi appaiono essere
variabili indipendenti, che influenzano la distribuzione topografica dei sintomi nei pazienti con STC. Meccanismi centrali
di plasticità secondaria al dolore possono essere responsabili
della diffusione extra-mediana.
G. Zanette,1,2 S. Marani,1,2 A. Fiaschi,1 S. Tamburin1,2
1 Dipartimento di Scienze Neurologiche e della Visione,
Università degli Studi di Verona;
2 U.O. di Neurologia, Ospedale Pederzoli, Peschiera del
Garda (VR).
Background. La sindrome del tunnel carpale (STC) rappresenta una comune forma di dolore neuropatico. I pazienti con
STC possono lamentare sintomi al di fuori della distribuzione
anatomica del nervo mediano (1, 2).
Obiettivi. Definire quali parametri siano associati alla diffusione extra-mediana dei sintomi nella STC
Materiali e metodi. Abbiamo raccolto 241 pazienti con STC.
Dopo selezione dei pazienti senza altre patologie concomitanti, 103 pazienti (165 mani) sono stati inclusi nello studio.
La distribuzione dei sintomi è stata valutata con un diagramma
(1). I pazienti sono stati sottoposti a valutazione neurologica,
studio neurografico e questionario sulla gravità dei sintomi (3).
Risultati. Il 60.6 % delle mani presentava distribuzione mediana, il 35.2% la distribuzione a guanto (tutta la mano), il 4.2 %
quella ulnare. Le misure obiettive-neurografiche di sofferenza
Bibliografia
Katz JN, Stirrat CR, Larson MG, Fossel AH, Eaton HM, Liang
MH. A self-administered hand symptoms diagram for the diagnosis and epidemiologic study of carpal tunnel syndrome. J
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Wilkens JA. Symptoms of 100 patients with electromyographically verified carpal tunnel syndrome. Muscle Nerve
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Levine DW Simmons BP, Koris MJ, Daltroy LH, Hohl GG,
Fossel AH, Katz JN. A self-administered questionnaire for the
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carpal tunnel syndrome. J Bone Joint Surg Am 1993;75:15851592.
ASSOCIAZIONE DI OSSICODONE A RILASCIO
PROLUNGATO E GABAPENTINA NEL DOLORE
NEUROPATICO
centi.
Per la conferma diagnostica di dolore neuropatico è stata utilizzata la scala del dolore neuropatico di Galer validata da
Bonezzi 6. Essa è stata somministrata ad ogni paziente, in pre-
E. Apicella, D. Tammaro, A. Granata, A. Ebano, A. Vitiello.,
R. Melillo, M. Pennimpede, R. Palomba
Dipartimento Universitario di Scienze AnestesiologicheRianimatorie e dell’Emergenza “Federico II” di Napoli. Area
funzionale di Anestesia Generale e Speciale, di Terapia
Antalgica e Cure Palliative. Resp. Prof.ssa R.Palomba.
senza di personale dedicato capace di fornire spiegazioni per
l’autocompilazione.
Tale scala consta di 10 items che indagano le caratteristiche
ritenute specifiche per dolore neuropatico (dolore urente,
tagliente, ecc.). Ogni item prevede un punteggio compreso tra
0 e 10 (eccetto l’item 9 che indaga l’andamento temporale del
dolore). Una media superiore al punteggio di 5 nei vari items
consente di confermare, per singolo paziente, la diagnosi di
dolore neuropatico.
Ad ogni paziente è stata chiesta la VAS al momento del reclutamento dello studio e sono state inoltre valutate l’intensità del
dolore e la qualità di vita mediante il Brief Pain Inventory
(BPI)7.
Introduzione
L’ossicodone è un oppiaceo semisintetico, derivato dalla
tebaina. Somministrato per via orale, viene ben assorbito. A
livello epatico l’ossicodone viene metabolizzato dal citocromo P450 a norossicodone e, in misura inferiore, a ossimorfone i quali non contribuiscono al suo effetto analgesico e vengono eliminati con le urine.
Da solo o in combinazione ad altri farmaci come il paracetamolo, l’ossicodone è stato usato per oltre 80 anni negli USA
nel trattamento di molte sindromi dolorose1.
Si tratta di una scala multidimensionale che consta di 9 items.
Di essi sono stati utilizzati, nello studio, 5 items che indagano
i seguenti parametri:
peggior dolore nelle ultime 24 ore (punteggio 0 – 10); minor
dolore nelle ultime 24 ore (0 – 10);
dolore medio nelle ultime 24 ore (0 – 10); percentuale di sollievo dovuta alla terapia; interferenza con le attività quotidiane (0 – 70). Quest’ultimo item prevede un punteggio tra 0 e
70 risultante dalla somma di 7 sotto-items (ognuno con punteggio tra 0 e 10): attività generale, umore, capacità di camminare,lavoro, relazioni sociali, sonno, gioia di vivere.
Tutti i suddetti parametri sono stati valutati al reclutamento, a
15, 30 e 60 giorni dall’inizio dello studio.
I pazienti sono stati divisi in due gruppi da 21, omogenei per
sesso ed età ( tab. 1).
Al gruppo A è stata somministrata gabapentina con dosaggio
iniziale di 300 mg per 5 giorni, 300 mg x 2 per 5 giorni e 300
mg x 3. Al gruppo B è stato sottoposto lo stesso schema terapeutico associato però a ossicodone a dosi iniziali di 20
mg/die in due somministrazioni. Il farmaco rescue, per ambedue i gruppi, è stato il paracetamolo a 1000 mg al bisogno.
Diversi lavori, in letteratura, hanno indagato il suo possibile
ruolo nel trattamento del dolore neuropatico2,3,4,5.
Il nostro studio intende valutare il ruolo dell’ossicodone a rilascio prolungato associato a gabapentina in pz affetti da dolore
neuropatico rispetto alla gabapentina.
Materiali e metodi:
Sono stati reclutati 42 pz ( 27 M, 15 F; età 37-65 aa) affetti da
dolore neuropatico, afferenti all’ambulatorio di terapia antalgica della AOU Policlinico Federico II. Di questi, 13 pz presentavano dolore radicolare, 3 erano affetti da sindrome regionale complessa di tipo I (CPRS), 8 erano affetti da nevralgia
post-herpetica (NPH) , 18 pz erano affetti da neuropatia diabetica. Tutti i pazienti presentavano dolore spontaneo, iperalgesia e allodinia.
In tutti, i sintomi erano presenti da almeno 3 mesi. In 27 pz
erano state praticate terapie con FANS senza risultati soddisfa-
133
POSTER 9 GIUGNO
Sui dati è stata effettuata una valutazione statistica con test
ANOVA (p < 0.05)
Nel gruppo A, 1 pz ha sospeso l’assunzione del farmaco per
lieve sonnolenza.
Nel gruppo B, 2 pz hanno sospeso per stipsi.
Il test ANOVA ha evidenziato una differenza statisticamente
significativa (p<0.05) tra i parametri considerati per il controllo dei due gruppi (VAS e BPI). Fa eccezione il risultato
relativo all’item “interferenza nelle attività quotidiane”.
Peraltro, tale parametro risultava poco alterato già al reclutamento.
Tabella 1
Discussione e conclusioni
Il nostro studio evidenzia l’efficacia della associazione ossicodone-gabapentina nel trattamento del dolore neuropatico.
Esso riprende un tema piuttosto dibattuto negli ultimi anni.
Quello, cioè, dell’utilizzo di farmaci oppioidi nel dolore cronico non oncologico. Diversi studi, in letteratura, come quelli
di Watson CP et al ( Pain, 2003), Gimbel JS et al (Neurology,
2003) hanno valutato l’efficacia di questo farmaco in pz affetti da neuropatia diabetica. Lo stesso Watson CP, in un lavoro
del 1998 pubblicato su Neurology, ha studiato la molecola in
pz affetti da nevralgia post-herpetica, dimostrandone la buona
efficacia.
Nozaki C et al (Eur J Pharmacol, 2006) hanno cercato di chiarire gli effetti antinocicettivi dell’ossicodone studiando topi
diabetici e individuando nei recettori K spinali il sito d’azione
del farmaco.
Lo studio presentato risulta interessante per due aspetti. Il
primo è la conferma dell’efficacia dell’ossicodone nel trattamento del dolore neuropatico. Il secondo aspetto, più interessante, è che l’associazione ossicodone-gabapentina dimostra
una sostanziale superiorità nel trattamento del dolore neuropatico rispetto all’anticonvulsivante da solo. Ciò a fronte di
una buona tollerabilità e scarsa presenza, ai dosaggi utilizzati,
di effetti collaterali.
Risultati
In tutti i pz, al momento del reclutamento, il punteggio medio
relativo agli items della scala del dolore neuropatico è stato
superiore a 5. Ciò ha confermato la diagnosi.
La VAS al momento del reclutamento è risultata pari a 7.2 ±
0.7 nei 42 pz.
Nel gruppo A, a 15 gg dall’inizio dello studio, il valore medio
di VAS è stato 6.1 ± 0.3, a 30 giorni è stato 5.0 ± 0.6 e a 60
gg è risultato pari a 3.7 ± 0.3.
Durante tutto lo studio in 12 pz è stata necessaria la somministrazione di farmaco rescue.
Nel gruppo B, a 15 gg la VAS media è stata 5.6 ± 0.1, a 30
giorni è risultata 4.7 ± 0.4, a 60 giorni è stata pari a 3.1 ±
0.2. 5 pz hanno richiesto paracetamolo durante tutto il periodo di osservazione. 4 pz hanno richiesto un aumento del
dosaggio di ossicodone fino a 40 mg/die.
I risultati relativi al BPI, a inizio studio e nei vari follow-up
sono mostrati in Tab. 2
Bibliografia
1. Coluzzi F., Mattia C. Oxycodone, Pharmacological profile and clinical in chronic pain management Minerva
Anestes. 2005; 71: 451-460.
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Neurology 2003. 60(6): 927-34.
4. Watson CP, Babul N. Efficacy of oxycodone in neuropathic pain: a randomized trial in postherpetic neuralgia.
Neurology 1998. 50(6): 1837-41.
5. Nozaki C. et al. Characterization of the antinociceptive
effects of oxycodone in diabetic mice. Eur J Pharmacol
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neuropatico e sue applicazioni terapeutiche.Minerva
Anestes. 2002. 68: 95-104.
7. Charles S. Cleeland. PhD Pain Research Group.
Tabella 2
To:
T1:
T2:
T3:
reclutamento
dopo 15 gg
dopo 30 gg
dopo 60 gg
134
POSTER 9 GIUGNO
PREGABALIN ED EFFETTI COLLATERALI:
LA NOSTRA ESPERIENZA
presentati rispettivamente nel 4% e nel 3% dei pz;
• altri effetti indesiderati (“disturbo della vista, nervosismo,
cefalea, xerostomia, disturbo dell’attenzione”) sono stati
accorpati in un unico gruppo quanto presenti in un numero
esiguo di pz, con incidenza globale del 3% .
• capogiri/sbandamenti/vertigini è presente con un incidenza
del 13%.
Nel gruppo di 211 pz osservati fino al controllo a 60 giorni
sono stati rilevati questi effetti “inattesi”:
1. “assenza di effetti indesiderati” è presente nel 53%,
2. decresce la “sonnolenza” all’11% così come il senso di
capogiri/sbandamenti/vertigini all’8%
3. “senso di distensione / aumento di peso” e “torpore” hanno
ambedue la stessa incidenza, il 6%;
4. aumenta l’incidenza del disturbo “xerostomia” fino all’8%
che comunque viene descritto lieve-moderato.
Nei pazienti valutati al terzo mese ( tot 166 pz) si evidenzia:
• aumento sostanziale dei pz con “assenza di effetti indesiderati” (61%);
• diminuzione di “sonnolenza” (8%), capogiri, sbandamenti,
vertigini (6%), “torpore” (5%),
• la distensione addominale/aumento di peso si stabilizza
costantemente intorno a valori del 3-5% presentandosi nei
2/3 di questi di grado 1.
• tutti gli altri effetti minori( nervosismo, disfunzione erettile,
cefalea e disturbo dell’attenzione si attestano intorno all’1-2 %.
Le evidenze più rilevanti al quarto mese (116 pz) di terapia
sono state :
1. il 62 % di questo gruppo di pazienti non riferisce alcun
effetto collaterale;
2. “sonnolenza” viene riferita dal 12% pz; l’intensità del disturbo è di grado lieve per i 2/3;
3. Si nota un 9% di pz con sensazione di capogiri, vertigini,
sbandamenti;
4. la sensazione di distensione addominale/aumento di peso è
pari al 3%,
5. gli effetti indesiderati meno rilevanti quali disturbi dell’eloquio, disturbo dell’attenzione, nervosismo, disfunzione
erettile si presentano con incidenza al 1-2% manifestandosi in modo variabile.
I risultati nel gruppo più lungo per asse temporale al quinto
mese (36 pz) sono stati:
1. Il gruppo di pz con “assenza di effetti indesiderati” si attesta
al 58 %
2. La percentuale dei pz con capogiri è 9%;
3. La presenza della sonnolenza si attesta al 12%;
4. L’ incidenza del torpore è del3-5%;
5; Il disturbo della ritenzione idrica/aumento di peso arriva a
valori di 9%;
6. Il sintomo della xerostomia raggiunge valori del 6%;
7. Tutti gli altri effetti indesiderati (quali disturbo della vista,
disturbo dell’attenzione,cefalea,nervosismo,disfunzione
erettile) sono quasi del tutto scomparsi.
A. D’Ercole, A. Gatti, M.G. Celeste*, M. Ceccobelli,
P. Gafforio, L. Cococcia , A. Francavilla, T. Agostino,
A. Carucci, M. Lazzari
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor
VergataUniversità degli Studi di Roma “Tor Vergata”
In questo studio ci proponiamo di riportare gli effetti collaterali legati all’utilizzo del Pregabalin, riscontrati in 502 pz,
affetti da dolore neuropatico di diversa eziologia trattati presso il Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore del
Policlinico di Tor Vergata.
I pz arruolati nello studio soddisfacevano i seguenti criteri di
inclusione:
1. età maggiore di 18 anni;
2. parametri della funzionalità renale nella norma;
3. non responsività ad altri trattamenti;
4. non assunzione di altri farmaci antiepilettici.
Per la valutazione dell’intensità degli effetti collaterali è stato
utilizzato il metodo proposto nell’Appendice IV del Grading
Criteria del National Cancer Institute, che propone 5 livelli:
• 0 assenza di effetti collaterali
• 1 effetti collaterali lievi (di rilevanza clinica marginale, che
non richiedono specifici interventi medici o possono presentarsi come alterazioni asintomatiche di parametri di laboratorio)
• 2 effetti collaterali moderati (con maggior rilevanza clinica e
necessità di ricorre ad interventi medici non invasivi)
• 3 effetti collaterali severi (sintomi significativi che possono
richiedere l’ospedalizzazione ed interventi invasivi)
• 4 effetti collaterali rischiosi per la vita o disabilitanti (richiedono terapie intensive o procedure d’urgenza invasive)
Il nostro protocollo prevedeva controlli ambulatoriali successivi a distanza di 7 giorni, 15 giorni, 30 giorni, 60 giorni, 90
giorni, 120 giorni e 150 giorni dall’inizio della terapia.
Durante queste visite si rivalutava il dosaggio del farmaco in
funzione dell’andamento dell’intensità del dolore e degli effetti collaterali registrati, aumentando, ove necessario, la dose,
agendo prima sulla somministrazione serale e successivamente su quella della mattina.
Per analizzare la presenza e l’intensità nel tempo degli effetti
collaterali abbiamo deciso di valutarne l’andamento ad uno,
due, tre, quattro e cinque mesi di terapia.
I pazienti che appartengono alla popolazione che stiamo esaminando sono stati arruolati nel corso di un arco temporale di
circa cinque mesi, per cui gli effetti collaterali sono stati valutati su gruppi numericamente disomogenei ed esattamente:
366 hanno tutti effettuato controlli a 30 giorni , 211 a 60 giorni, 166 a 90 giorni,116 a 120 giorni e 36 a 150 giorni.
I risultati ottenuti nei pz in terapia nei primi 30 giorni di terapia (366 pz) sono di seguito riassunti:
• il 60% dei pz ha presentato “assenza di effetti indesiderati”;
• l’incidenza della “sonnolenza” è stata del 12% ed in tutti
questi pz il sintomo era di lieve intensità (grado 1)
• il “torpore” si è manifestato nel 5% dei pz e di questi una
metà lo riferiva come un disturbo di lieve entità (grado 1) e
l’altra lo definiva moderato (grado 2);
• “distensione addominale/aumento di peso” e “stipsi” si sono
Conclusioni:
Alla luce dell’esiguità del numero degli effetti collaterali
riscontrati nel campione analizzato nel nostro studio e in considerazione della loro scarsa rilevanza dal punto di vista della
qualità di vita, riteniamo di poter affermare che il Pregabalin
sia un farmaco ben tollerato.
Quest’affermazione è confermata dal riscontro di effetti collaterali non tali da rendere impossibile il proseguimento della
terapia.
Si sottolinea che inizialmente il nostro protocollo prevedeva
una prima somministrazione di Pregabalin di 75 mg bidie, una
rivalutazione settimanale nel primo mese e controlli a distanza di 30 giorni successivamente.
Con tale protocollo si sono evidenziati i seguenti dati sul rapporto dosaggio-effetti collaterali:
135
POSTER 9 GIUGNO
1. abbiamo registrato un drop-out di 66 pz su 211 che avevano iniziato il trattamento secondo questa modalità di somministrazione; di questi il 26% al primo mese ;
2. gli effetti collaterali che hanno portato alla sospensione sono
stati: capogiri/sbandamenti/vertigini (50%), sonnolenza tale
da rendere difficile lo svolgimento delle attività lavorative e
la guida (40%), tremori, torpore, disturbi della vista (10%).
Alla luce delle nostre osservazioni si è deciso di trattare i
pazienti con un dosaggio iniziale di 75 mg/die per sette giorni.
Con questo diverso protocollo di trattamento è emerso che:
1. il drop-out era diminuito a 47 pz su un totale di 291 ; di cui
7 pz (12,11%) al primo mese;
2. il numero di voci di effetti indesiderati si è quasi dimezzato:
gli effetti indesiderati comparsi dopo la prima settimana
d’assunzione si sono ridotti ad 8, contro i 14 che erano
emersi con la precedente modalità di trattamento ;
3. gli effetti collaterali a distanza di 15 giorni dall’inizio della
terapia hanno mantenuto una percentuale d’incidenza
abbastanza sovrapponibile a quella presente nella prima
settimana di trattamento dei rispettivi gruppi.
Questo recupero in termini di diminuzione dell’incidenza e
dell’importanza degli effetti collaterali può essere spiegato, a
nostro avviso, dall’instaurarsi di un fenomeno di tolleranza
agli effetti collaterali.
Dalla nostra esperienza emergono anche altri risultati che ci
sembrano degni di nota:
• abbiamo notato che l’incremento graduale del dosaggio
(25mg anziché 75 mg ad ogni step) consente di raggiungere
dosi elevate del farmaco, in quanto sembra evitare la comparsa di effetti indesiderati tali da indurre il pz a sospendere
la terapia;
• abbiamo visto come la compliance del pz migliori se l’incremento del dosaggio avviene la sera anziché la mattina, in
quanto l’eventuale comparsa di effetti avversi, legata all’incremento, va in questo modo a ricadere nelle ore notturne,
con minore probabilità di essere avvertita dal pz.
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Epilepsia 2005
136
POSTER 9 GIUGNO
DOLORE NEUROPATICO DA LESIONE DEL PLESSO
BRACHIALE: CASE REPORT
scapolare.
Nei mesi successivi all’intervento è ricomparsa motilità attiva
a carico dei muscoli pettorali, dorsali e del muscolo tricipite
brachiale.
Nel contempo è comparsa la sintomatologia algica localizzata
soprattutto a livello dell’avambraccio e del palmo della mano
sinistro. Nei mesi successivi il paziente è stato sottoposto ad
una serie di terapie farmacologiche senza beneficio:
Paracetamolo+Codeina,
Amitriptilina,
Flufenazina,
Tramadolo SR, Fentanil, Buprenorfina cloridrato.
Il paziente giunto alla nostra osservazione riferiva la seguente
sintomatologia presente a livello dell’arto superiore sinistro:
dolore urente, dolore “a morsa”, “scosse elettriche”, parestesie
e disestesie. All’E.O. si riscontrava plegia e areflessia.
L’intensità del dolore era indicata dal paziente con un VAS
pari ad 8. Si prescriveva Gabapentin in titrazione fino ad un
dosaggio di 1500 mg/die, Celecoxib 200 mg 1 cpr/die per 6
settimane, Paracetamolo 500 mg cpr eff + Tramadolo X-XV gtt
al bisogno.
Al primo controllo, dopo circa due mesi, il pz riferiva un
modesto miglioramento della sintomatologia algica con riduzione della sensazione di scossa elettrica (VAS=7). Si aumentava Gabapentin, in titrazione, fino a 2100 mg/die e si confermava la terapia precedente.
Il mese seguente il paziente effettuava un ciclo di 10 sedute di
Scrambler Therapy riferendo, ad un successivo controllo,
riduzione del dolore a morsa e delle disestesie (VAS=4); si
prescriveva terapia con Gabapentin 2400 mg in titrazione e si
confermava la restante terapia. Ad un ulteriore controllo, dopo
due mesi, il paziente riferiva netto miglioramento della sintomatologia algica, con scomparsa del dolore urente e delle
parestesie; si prescriveva terapia con Gabapentin 2700 mg/die
in titrazione e si confermava la restante terapia.
CONCLUSIONE.
Le sindromi dolorose rappresentano un problema terapeutico
ricorrente nella patologia traumatica del plesso brachiale (incidenza variabile dal 30% al 90% dei casi) e sono un serio ostacolo ad un proficuo trattamento rieducativo; spesso il dolore è
così intenso ed angosciante da impedire al paziente una
buona partecipazione al processo di recupero e riabilitazione,
tale da condizionare la qualità della vita in senso negativo.
Non esistono chiare linee guida per il trattamento precoce
delle lesioni spinali che possano prevenire l’insorgenza del
dolore, né tantomeno protocolli che abbiano fruttato rilevanti
successi terapeutici. Pertanto riteniamo importante segnalare
casi clinici in cui abbiamo ottenuto significativi miglioramenti
della sintomatologia dolorosa, non solo con il supporto farmacologico, ma anche attraverso l’utilizzo della Scrambler
Therapy, un dispositivo che rivoluziona completamente il
concetto di elettrostimolazione, “mascherando” il segnale
dolore mediante un treno d’impulsi elettrici (scramblers),
inviati attraverso elettrodi di superficie posti sui dermatomeri
interessati. La Scrambler Therapy non blocca il passaggio dello
stimolo nervoso lungo le fibre, ma utilizza quest’ultime per
inviare al sistema nervoso centrale un segnale di non dolore.
Ciò permette di eliminare o ridurre in tempo reale la percezione del dolore e di rieducare i circuiti neuronali, stimolati
cronicamente dal segnale algico.
A. Gatti, M. Lazzari, G. De Marini, M.C. Guarino, F. Riva
M. Proietti, G. De Rossi, M. Friso. C. Monaco.
Universita’ degli Studi Roma “Tor Vergata” - Cattedra di
Anestesia e Rianimazione, Scuola di Specializzazione a/r Dipartimento Emergenze, Urgenze e Terapie Intensive Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore - Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
ABSTRACT
In questo studio è stata valutata l’efficacia della Scrambler
Therapy in associazione alla terapia farmacologica con
Gabapentin in un paziente che aveva riportato l’avulsione
completa del plesso brachiale in seguito ad un incidente motociclistico. Con questa terapia si è registrata una diminuzione
significativa della sintomatologia algica (>60%) nonchè un
miglioramento consistente della qualità della vita del paziente.
INTRODUZIONE.
Il dolore neuropatico viene definito come “dolore conseguente ad alterazioni di varia natura del Sistema Nervoso Periferico
e/o Centrale” (Mc Quay 1988). Il dolore è presente nelle lesioni spinali in una percentuale che va dal 6,4% al 94% dei casi,
a seconda degli studi esaminati. Le lesioni che provocano questa sintomatologia algica sono causate nel 65% dei casi da
traumi. Nel caso del plesso brachiale, il danno si verifica tipicamente per traumi cervicali da incidente motociclistico e
consiste nell’avulsione del plesso stesso, con strappamento
delle radici nervose midollari che vanno verso l’arto superiore. Le radici maggiormente compromesse sono quelle di C5 e
C6, con perdita completa o solo limitata della motilità del
braccio, avambraccio e mano, a seconda della quantità di
fibre compromessa. Il coinvolgimento delle radici C7 e C8
comporta inevitabilmente una paralisi della mano. Il paziente
si presenta spesso con l’arto pendulo, insensibile, ma paradossalmente dolente. Il dolore è uno dei più difficili da trattare, tanto che il paziente stesso chiede di amputargli l’arto, che
avverte come corpo estraneo, causa di sofferenza.
Il trattamento del dolore neuropatico, sia centrale che periferico, si avvale presso il nostro centro di un nuovo approccio
terapeutico di tipo bioingegneristico, integrato a quello farmacologico classico: la Scrambler Therapy. Quest’ultimo è un
dispositivo elettromedicale capace di controllare il dolore neuropatico, “mascherando” il segnale dolore attraverso un treno
d’impulsi elettrici scramblers, appositamente progettati, che
sono inviati alle fibre nervose periferiche, attraverso elettrodi
di superficie posti sulla cute.
CASO CLINICO.
In questo studio si è preso in esame un pz maschio di 40 anni,
il quale 2 anni prima aveva subito un incidente motociclistico,
riportando una lesione completa del plesso brachiale sinistro
e frattura del condilo mandibolare sinistro e dell’ulna sinistra,
entrambe trattate chirurgicamente. In seguito al trauma il
paziente ha presentato una plegia distale dell’arto superiore
sinistro, associata ad anestesia nei territori di C5-C6-C7-C8-T1.
In seguito si è verificata la comparsa progressiva di cervicobrachialgia, a carattere urente nei medesimi territori. Il paziente è stato sottoposto, alcuni mesi dopo l’incidente, ad intervento chirurgico che evidenziava grave danneggiamento della
radice C5, avulsione della radice C6 e compressione della
radice di C7, a livello della quale è stata effettuata epineuriotomia. Le radici C8 e T1 erano pressate contro la prima costa,
per cui si è effettuata neuralizzazione e decompressione di T1.
Inoltre si è proceduto alla connessione del nervo frenico al
nervo muscolo-cutaneo e del nervo accessorio al nervo sovra-
Bibliografia
1. Sabato AF, Marineo G, Gatti A. “Scrambler
Therapy”.Minerva Anestesiologica, 2005 Jul-Aug; 71 (7-8):
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Syndrome: Pathophysiology and Treatment”. Raven Press,
New York, 1991.
137
POSTER 9 GIUGNO
PREGABALIN NELLA FAILED BACK SURGERY SYNDROME
patico cronico con diagnosi di F.B.S.S., con età compresa tra
47 anni e 79 anni.
Il periodo di latenza tra il momento dell’operazione e l’insorgenza del dolore varia tra l’immediato post operatorio e 3
anni. Tuttavia sono stati reclutati solamente quei pazienti che
avevano manifestato un dolore continuo per un periodo superiore a sei mesi dopo l’intervento .
I dati raccolti alla prima visita evidenziano che tra le patologie
per cui i pazienti erano stati sottoposti ad intervento vi erano le
ernie del disco e/o stenosi del canale lombare.
Inoltre 6 pz si erano sottoposti a re-intervento per recidiva ad
un livello già trattato chirurgicamente.
2 pz erano stati sottoposti ad intervento di periduroscopia
10 pz
erano stati sottoposti ad un programma
riabilitativo/comportamentale senza sostanziale miglioramenti;
Su 43 pz 26 erano stati precedentemente trattati con
Gabapentin con dosaggi compresi tra 900mg e 2100 mg/die.
La quasi totalità dei pz riferiva di essere stati trattati con antinfiammatori e cortisonici per via i.m al bisogno con scarso
beneficio;
E. La Placa, A. Gatti, P. Gafforio, M. Ceccobelli,
M.G. Celeste*, M. Lazzari, F. Riva, T. Agostino, L. Cococcia
A. Carucci, C. Monaco
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Cattedra di Anestesiologia e Rianimazione, Scuola di
Specializzazione A/R
Servizio di Fisiopatologia e Terapia del Dolore
Dipartimento Emergenze, Urgenze, Terapie Intensive e
Terapia del Dolore
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
(Dir. Prof. A.F. Sabato)
*Direttore U.O.C. Farmacia clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Tor Vergata
L’espressione “failed back surgery sindrome” definisce specificatamente il dolore cronico persistente o ricorrente secondario a uno o più interventi chirurgici al rachide lombosacrale, e
implica spesso un’insufficienza funzionale del rachide oltre
che il fallimento di un trattamento chirurgico.
In questo lavoro riportiamo la nostra esperienza su 43 pz affetti da FBSS trattati con pregabalin. Durante il trattamento si è
osservata una progressiva riduzione del valore medio della
VAS che è passato da un iniziale 5,7 (visita 1) a un valore di
1,9 a quattro mesi di distanza. Inoltre non sono stati evidenziati effetti indesiderati di rilevante importanza. Di questi 43
pz ,26 erano stati precedentemente trattati con Gabapentin
senza benefici, si conferma anche per costoro una significativa riduzione del VAS.
In conclusione il Pregabalin si è rivelato essere un farmaco
efficace nel trattamento di questa patologia.
le caratteristiche del DN erano:
• intorpidimento e formicolio dei piedi, solamente 1/3 asseriva anche una sensazione urente in tale sede con andamento
persistente
• quelle maggiormente riferite erano la sensazione gravativa e
di tipo “a morsa” a livello lombare, costanti nell’arco della
giornata ;
• solamente 7 pz manifestavano in disturbo di “sensazione di
freddo” doloroso alle estremità .
Metodi
Il metodo valutativo usato alla prima visita e nei successivi
controlli è la Visual Analogic Scale (VAS).
Riguardo agli effetti collaterali il metodo di valutazione adottato è quello proposto nell’appendice IV del National Cancer
Institute Grading Criteria dove ad ogni effetto indesiderato
viene assegnato un punteggio su una scala di 5 livelli in base
all’entità e/o alla necessità di assumere farmaci per alleviare il
sintomo indesiderato insorto.
I pazienti sono stati sottoposti a terapia con Pregabalin in titrazione fino ad un dosaggio massimo di 600 mg/die con rivalutazione dei pz a distanza di 7 giorni, 30 giorni , 60 giorni ,
90 giorni, 120 giorni.
Durante questi controlli si effettuava un progressivo aumento
del dosaggio in base alla risposta al farmaco e alla comparsa
effetti collaterali, agendo prima sulla somministrazione serale
e poi su quella della mattina
Full text
L’espressione “failed back surgery sindrome” definisce specificatamente il dolore cronico persistente o ricorrente secondario a uno o più interventi chirurgici al rachide lombosacrale, e
implica spesso un’insufficienza funzionale del rachide oltre
che il fallimento di un trattamento chirurgico.
Come per altre malattie con una componente iatrogena, la
prevalenza di questa sindrome è direttamente proporzionale
al numero degli interventi chirurgici sulla colonna lombosacrale.
Sono stati identificati i fattori di rischio predisponenti a tale
situazione:
1. selezione del paziente : l’inappropriata o la prematura selezione dei pazienti da sottoporre all’intervento è tra le cause
più comuni, infatti analisi retrospettive condotte su pazienti affetti dalla sindrome evidenziano che meno della metà
dei soggetti soddisfacevano i criteri standard di indicazione
all’intervento chirurgico;
2. lesioni nervose preesistenti: è la seconda causa più comune
ed è legata alla persistenza del dolore imputabile a un
danno nervoso irreversibile riscontrabile nonostante l’appropriata selezione del paziente e l’esito positivo dell’intervento ;
3. successi tecnici della chirurgia : è una delle cause meno
comuni ed è dovuta all’operazione inadeguata ;
4. complicanze non chirurgiche: tra queste c’è da ricordare
l‘insorgenza di aracnoiditi
Risultati
L’efficacia del Pregabalin è stata valutata confrontando i valori medi della VAS rilevati alla prima visita con quelli registrati
nel corso dei controlli successivi.
Alla prima visita il VAS medio era 5,7 (ds=1,6), a distanza di
una settimana si ha un valore di 4,9 (ds=1,8), al terzo controllo dopo 30 giorni il valore scende a 4,0 (ds=1,8);
L’intensità della sintomatologia si attesta ad un VAS di 3,9
dopo 60 giorni (ds=1,9); dopo 90 giorni dall’inizio dell’assunzione il VAS era di 3,4 (ds=2,0) fino a che a distanza di
120 giorni si è attestato intorno al 1,9 (ds=0,9);
Con riferimento ai 26 pazienti che erano stati trattati in precedenza con Gabapentin ed ora in terapia con Pregabalin si evidenzia che 15 di questi hanno mostrato una riduzione del
VAS di almeno due punti sulla scala valutativa a distanza di 30
giorni di terapia: da un VAS medio di 5,6, si è passati a 4,7
dopo la prima settimana fino ad arrivare a valori di 2,6 al termine del primo mese ; inoltre questo stesso gruppo di pazienti valutati anche al termine del secondo mese hanno ottenuto
un VAS di 2,3.
Scopo dello studio
Valutare l’efficacia del Pregabalin nella F.B.S.S. nei pazienti
selezionati. Riportare la frequenza e l’intensità degli eventuali
effetti collaterali che potrebbero comparire in seguito a tale
terapia.
Materiali e Metodi
Abbiamo reclutato 43 pz (20 M; 23 F) affetti da dolore neuro-
138
POSTER 9 GIUGNO
La tabella 1 riporta gli effetti indesiderati rilevati nei pz trattati
con Pregabalin nel corso delle visite di controllo.
questo permette di non interferire sui presidi farmacologici per
altre patologie concomitanti.
Nel caso specifico delle caratteristiche del dolore riferite dai
pazienti si è evidenziato una riduzione della percezione di
tipo “a morsa” a livello lombare e del formicolio e della sensazione di intorpidimento ai piedi; per quanto concerne la
sensazione “gravativa”, questa rimane costante in frequenza
anche se diminuisce in intensità.
Per quel che riguarda la comparsa degli effetti collaterali:
• La frequenza del parametro “nessun effetto indesiderato” è
aumentata nel corso dei controlli a testimonianza che nel
tempo subentra un “adattamento” al farmaco sebbene s’incrementi la dose;
• Si nota un trend in discesa dell’incidenza (sia in intensità
che in frequenza) del disturbo di “sonnolenza” fino al
secondo mese, mentre tende ad aumentare dal terzo mese,
anche se è solamente di grado lieve;
• Anche la sensazione di “capogiri/sbandamenti” diminuisce
col progredire dei controlli e laddove è presente è di grado
lieve fino a che non viene più riscontrata quando si giunge
al quarto mese di terapia.
• La sensazione di “ritenzione idrica e/o aumento di peso” ha
una tendenza all’aumento nel corso della terapia, ciò potrebbe essere riconducibile all’aumento di dosaggio; si presenta in circa due terzi dei pazienti ma sempre di lieve intensità (grado1).
Nella nostra esperienza si è evidenziato come il Pregabalin
possa essere utile sia per la sua efficacia che tollerabilità nel
trattamento di questa patologia.
Conclusioni
L’insorgenza della failed back surgery sindrome è in larga
parte riconducibile a una diagnosi non accurata che a volte
porta a un intervento chirurgico inappropriato. L’esecuzione e
la corretta interpretazione di indagini supplementari è quindi
un imperativo irriducibile per un esatto inquadramento diagnostico.
Nei pazienti già sottoposti a un intervento al rachide, può
essere difficile distinguere tra effetti residui dopo un trattamento coronato da successo (per es: piede cadente che persiste dopo compressione della radice nervosa), anomalie che
rimangono non trattate (stenosi del canale lombare) e problemi iatrogeni.
Per un paziente in cui non vi era una chiara indicazione ad
effetuare un intervento chirurgico la possibilità di ottenere un
vantaggio da re-intervento per correggere i problemi iatrogeni
è assai bassa.
Il primo passo da compiere è effettuare una precisa diagnosi e
quindi instaurare una terapia medica conservativa che possa
recare giovamento alla sintomatologia algica di tali pazienti
limitando il più possibile la comparsa di eventuali effetti collaterali.
Nella nostra esperienza la terapia con Pregabalin si è dimostrata un trattamento efficace: già dopo il primo mese il VAS si
era ridotto di un terzo, nel corso dei successivi controlli si è
verificato un’ulteriore decremento del VAS fino a ridursi di
circa due terzi nei pazienti in terapia da quattro mesi .
Inoltre questo farmaco non ha interferenze con altri farmaci:
Tabella 1
Nessuno
Sonnolenza
Capogiri
Torpore
Ritenz.idrica/au
m.peso
Xerostomia
Stipsi
Altro:disf.erettile,
dist.attenzione
7 giorni
54% (23pz)
10% (4pz)
16% (7pz)
6% (3pz)
4% (2pz)
30 giorni
53%(23pz)
7% (3pz)
17% (7pz)
2% (2pz)
-
60 giorni
58% (25pz)
5% (2pz)
8% (3pz)
5% (2pz)
8% (3pz)
90 giorni
64% (28pz)
12% (5pz)
6% (3pz)
6% (3pz)
120 giorni
80% (34pz)
10% (4pz)
10% (4pz)
2% (1pz)
4% (2pz)
4% (2pz)
7% (3pz)
10% (4pz)
4% (1pz)
8% (3pz)
5% (2pz)
3% (1pz)
6% (3pz)
6% (3pz)
-
-
Bibliografia
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surgical approacies”. Clin Orthopedic Relates (2006);
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Syndrome”. Eur Spine J 2005.
5. Lopez –Trigo J, Sancho J. :” Pregabalin. A new treatment for
neuropathic pain” Neurologia 2006.
139
POSTER 9 GIUGNO
PREGABALIN E T.E.N.S. NEL TRATTAMENTO DELLA
NEVRALGIA POSTERPETICA
peralgesia bilaterale, prodotta da uno stimolo doloroso cronico, se applicata ipsilateralmente e controlateralmente al sito
flogistico.[8]
Walsh et al. hanno osservato gli effetti neurofisiologici della
TENS, quando applicata direttamente su tutta la lunghezza del
nervo, caratterizzati da un aumento della latenza di conduzione nel nervo periferico e della soglia del dolore alla stimolazione meccanica. Ciò determina una riduzione della trasmissione neuronale afferente e della velocità di conduzione,
nonché aumenta la soglia della risposta di flessione al dolore
e riduce i potenziali evocati somato-sensitivi. Fino ad oggi non
ci sono stati studi sulla possibile associazione tra un trattamento fisico e farmacologico nella terapia della PHN.
Lo scopo del nostro studio è stato valutare l’efficacia dell’associazione della terapia fisica (TENS) con la terapia farmacologia (Pregabalin) nel controllo del dolore e dell’alterazione
della qualità della vita e della qualità del sonno nella NPH.
L. Mazzariello, M. Maisto, V. Pota, M.C. Pace
M.B. Passavanti, R. Vestini, P. Sansone, C. Aurilio
Dipartimento di Scienza Anestesiologiche, Chirurgiche e
dell’Emergenza
Seconda Università degli Studi di Napoli
La nevralgia posterpetica (PHN) è una delle forme più comuni
di dolore neuropatico[1]. L’ Herpes Zoster (HZ) è una sindrome che segue la riattivazione del virus varicella Zoster
(VZV).[2]
Dati più precisi rendono noto che la neuropatia post-erpetica,
nonostante i continui progressi della terapia antivirale e la
recente introduzione della vaccinazione, continua a manifestarsi in più del 25% dei pazienti che hanno manifestato lo
Zoster.
Una review del 2005 ha suggerito come vi sia evidenza dell’efficacia analgesica nella nevralgia posterpetica per diversi
farmaci: antidepressivi triciclici, oppiodi, gabapentin, tramadolo e pregabalin ed in particolare per i gabapentinoidi; per
quest’ultimi l’evidenza è notevole in quanto supportata da
molti studi coinvolgenti un notevole numero di pazienti.[4,5,6]
Il Pregabalin è un amminoacido strutturalmente correlato al
neurotrasmettitore GABA in grado di attraversare la barriera
emato-encefalica. Sebbene sia una molecola che derivi dal
GABA, non sembra interagire con i recettori gabaergici, non
viene trasformato metabolicamente in GABA o in GABA agonista, ne è inibitore dell’uptake di GABA o della sua degradazione.
Questo farmaco circola ampiamente non legato (<3% è legato a proteine plasmatiche). Il volume apparente di distribuzione, calcolato dopo iniezione endovenosa di 150 mg di farmaco, è circa 58+/-6 litri (media +/- deviazione standard) e
60+/-5 litri rispettivamente.
Non sono state evidenziate condizioni allergiche nei confronti di questo composto, se non in rarissimi casi dovuti, probabilmente, alla sua struttura chimica che risulta piuttosto simile
alla L-leucina, un amminoacido essenziale.
Il nostro organismo possiede un meccanismo specifico di
assorbimento di questo composto, attraverso il trasporto della
leucina, che assicura in termini piuttosto rapidi il suo passaggio al torrente ematico e da questo, poi, al S.N.C. Questo farmaco non viene praticamente metabolizzato, se non in quantità minima, e questo aspetto fa si che non si determinino interazioni farmacologiche. L’emivita è di circa 5-7 ore e non cambia con la dose e con dosaggi multipli continui.
Il pregabalin viene eliminato dalla circolazione sistemica principalmente mediante escrezione renale, sotto forma di farmaco immodificato; poichè la clearence del pregabalin è direttamente proporzionale alla clearence della creatinina (ClCR),
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati pazienti, maschi e femmine, di età compresa tra i 50 e gli 80 anni, di razza caucasica. Questo studio
randomizzato placebo-controllato è stato condotto in accordo
i principi etici della versione emendata della Dichiarazione di
Helsinki. Tutti i pazienti hanno fornito il consenso informato
scritto prima della partecipazione allo studio ed è stata ottenuta l’approvazione del locale Comitato Etico. I criteri di
inclusione sono stati:
• Pazienti maschi e femmine di età compresa tra i 50 e gli 80
anni;
• Presenza di dolore spontaneo ed allodinia per più di tre mesi
dopo la scomparsa del rash cutaneo che segue l’episodio di
Herpes-Zoater;
• Primaria localizzazione dell’episodio acuto alle radici cervicali, toraciche, lombari o sacrali;
• Presenza di dolore spontaneo con un punteggio di almeno
50 mm su una Scala Analogica Visiva (VAS) e maggiore di
20 nel McGill Pain Questionnaire Short-Form(SF-MPQ total
score > 20).
• I criteri di esclusione alla visita di screening comprendevano:
• Provata ipersensibilità al Pregabalin o i suoi eccipienti;
• Neoplasie o patologie ematologiche;
• Gravidanza;
• pazienti immunocompromessi;
• insufficienza renale e\o epatica valutate rispettivamente per
la prima attraverso il calcolo della clearance della creatinina
sierica con un valore minimo di 60 ml/min, per la seconda,
invece, è stata valutato il calcolo della clearance della BSF
(bromosulftaleina) con un valore minimo di 6 ml/min/Kg;
• diabete;
• Herpes Zoster a livello occipitale e/o di innervazone trigeminale (escluse per la difficoltà di applicazione della TENS
in queste aree);
• Assunzione di altri farmaci sperimentali e/o altri farmaci da
meno di 15 giorni oppure assunzione di alcol da meno di
due anni;
• Condizioni mediche o psicologiche severe, che a giudizio
degli sperimentatori, potrebbero compromettere la partecipazione alla studio (es. grave depressione).
Inoltre venivano esclusi dallo studio i pazienti che assumevano da meno di due settimane i seguenti farmaci: steroidi, antidepressivi triciclici, antiepilettici, clonidina, oppioidi, tramadolo, antineoplastici, miorilassanti, antiaritmici, analgesici
locali oppure antivirali. Dopo aver ottenuto il consenso informato scritto, nella fase di screening, i pazienti eligibili allo studio sono stati sottoposti all’esame clinico-neurologico ed
instruiti sulla compilazione del SF-MPQ e del VAS, così come
sulla compilazione quotidiana dei diari sul dolore e sulla qua-
nei pazienti con compromissione della funzionalità renale il
dosaggio deve essere personalizzato in base ai valori di quest’ultimo parametro di funzionalità renale (ClCR).
La stimolazione elettrica transcutanea (TENS) ha mostrato una
certa efficacia in diversi stati patologici dolorosi; inoltre si è
dimostrato efficace in alcuni pazienti con PHN che non avevano risposto ad altri trattamenti [7]; pertanto il dolore cronico
neuropatico potrebbe ricevere beneficio anche da un approccio terapeutico non-farmacologico come la stimolazione elettrica transcutanea del nervo (TENS).
La stimolazione nervosa transcutanea è una semplice ed efficace tecnica analgesica comunemente usata nel sollievo del
dolore che produce analgesia attraverso diversi meccanismi
centrali; mediante l’attivazione dei recettori oppioidi endogeni a livello spinale e sovraspinale, probabilmente, riduce l’i-
140
POSTER 9 GIUGNO
tre giorni di titrazione con dosaggio di 150 mg/die, tutti i 30
pazienti in studio passavano ad un dosaggio pari a 300
mg/die, non avendo presentato una VAS ≤ 60mm. In occasione della IV visita ( sesto giorno di titrazione), 10 pazienti
che assumevano 300 mg/die riferivano ancora una VAS ≥ 60
mm e quindi incrementavano la dose di Pregabalin a 600
mg/die; 20 pazienti invece assumevano ancora 300 mg/die di
Pregabalin in quanto presentanti una VAS media settimanale
pari a 55 ± 0.64. Al termine della fase di titrazione (V visita)
3 pazienti che assumevano 300 mg/die, riferendo un valore
VAS medio settimanale pari a 60 ± 1.3, sono passati ad trattamento con 600mg/die. In V visita , pertanto, si sono ottenuti due gruppi di studio: un gruppo di 17 pazienti assumevano
300 mg/die, 13 pazienti assumevano 600 mg/die.
A questo punto i due gruppi di pazienti trattati a dosaggio differente di Pregabalin venivano divisi random in ulteriori due
sottogruppi: uno trattato con Pregabalin + TENS e l’altro
Pregabalin + TENS-placebo; pertanto per le successive quattro settimane sono stati esaminati i seguenti gruppi:
• P300 + TENS (Pregabalin 300mg/die + TENS)
• P300 + TENS-placebo(Pregabalin 300mg/die + TENS-placebo)
• P600 + TENS(Pregabalin 600mg/die + TENS)
• P600 + TENS-placebo(Pregabalin 600mg/die + TENS-placebo)
Alla V visita i valori medi del dolore (VAS medio) dei singoli
gruppi erano:
• gruppo P300 + TENS (9 pazienti) presentavano una VAS
media pari a 40 ± 0.93 mm;
• gruppo P300 + TENS-placebo (8 pazienti) presentavano una
VAS media pari a 41 ± 1.19 mm;
• gruppo P600 + TENS (7 pazienti) presentavano una VAS
media pari a 38 ± 0.95 mm;
• gruppo P600 + TENS-placebo (6 pazienti) presentavano una
VAS media pari a 38 ± 1.03.
Nelle successive tre settimane di trattamento i valori VAS medi
dei singoli gruppi di studio hanno subito ulteriore decremento fino ad arrivare a valori finali, in IX visita,di:
• gruppo P300 + TENS (9 pazienti) presentavano una VAS
media pari a 25 ± 0.97 mm;
• gruppo P300 + TENS-placebo (8 pazienti) presentavano una
VAS media pari a 37 ± 1.19 mm;
• gruppo P600 + TENS (7 pazienti) presentavano una VAS
media pari a 23 ± 0.78 mm;
• gruppo P600 + TENS-placebo (6 pazienti) presentavano
una VAS media pari a 32 ± 0.81.
Alla fine del trattamento tutti i gruppi in osservazione hanno
presentato una riduzione del VAS medio; di particolare interesse è stata la riduzione dei gruppi trattati con TENS in cui si
è registrata una riduzione pari al 33% per il gruppo P300 +
TENS e del 40% per il gruppo P600 + TENS. Il confronto dei
dati ha evidenziato una significativa differenza tra i differenti
gruppi di studio.
Al termine dello studio tutti i gruppi di studio hanno avuto una
significativa differenza in termini di interferenza sul sonno,
total score e PPI dello SF-MPQ. L’analisi dei singoli dati ha evidenziato che i pazienti trattati con Pregabalin e TENS dimostrano di avere un importante riduzione dell’interferenza del
dolore sul sonno acquisendo anche una qualità delle vita
migliore (P<0.05). Anche i risultati dello SF-MPQ total score
e PPI hanno evidenziato un miglioramento in tutti i gruppi di
studio con un significativo vantaggio per i pazienti trattati con
Pregabalin ai diversi dosaggi associata a TENS.
lità del sonno; campioni ematici sono stati prelevati per gli
esami ematochimici di routine e per l’insorgenza di eventuali
effetti collaterali.
La durata dello studio ha compreso un periodo di una settimana di screening, seguito da un periodo di titrazione del farmaco della durata di 8 giorni durante il quale è stata stabilita
la dose di Pregabalin per ogni paziente in modo da raggiungere un valore della scala VAS ≤ 60 mm. I pazienti rimasti
elegibili allo studio sono stati suddivisi in maniera random
(secondo un codice generato dal Computer) in modalità in
cieco a ricevere Pregabalin + TENS o trattamento con
Pregabalin + TENS placebo (30 minuti/die) per quattro settimane. Il tipo di TENS utilizzata è quella convenzionale. Per il
gruppo che pratica la TENS, la stimolazione è stata somministrata ad alta frequenza (100 Hz) usando impulsi di onde quadre di 125 µs, l’ampiezza dello stimolo a bassa intensità è stata
adeguata ad ogni paziente al fine di ottenere una chiara, ma
non dolorosa, parestesia. Nel gruppo trattato con Pregabalin
+ TENS placebo è stato utilizzato un apparato TENS in cui
non veniva trasmessa correte attraverso gli elettrodi.
I pazienti erano sottoposti a 9 visite ambulatoriali; visita I di
screening, visita II all’inizio del periodo degli otto giorni di
titrazione, visita III dopo due giorni di titrazione, visita IV al
sesto giorno di trattamento, visita V alla fine del periodo di
titrazione ed inizio della randomizzazione dei gruppi di trattamento con Pregabalin + TENS (PTT) e con Pregabalin +
TENS-placebo (PPT), visita VI una settimana dopo la randomizzazione, visita VII due settimane dopo l’inizio del trattamento differenziato, visita VIII dopo tre settimane dalla randomizzazione e visita IX alla fine del trattamento (VI settimana).
Tutti i partecipanti allo studio hanno cominciato con una dose
iniziale di 150 mg/die in due somministrazioni giornaliere da
75 mg ( 75 mg ogni 12h); dopo due giorni di trattamento (visita III) i pazienti che presentavano una VAS ≥ 60 mm incrementavano il dosaggio a 300 mg/die (150 mg ogni 12h). Nel
corso della IV visita, allo stesso modo, i pazienti che presentavano una VAS ≥ 60 mm portavano il dosaggio del farmaco
in studio a 600 mg/die sempre suddivise in due somministrazioni giornaliere a distanza di 12 ore. All’ ottavo giorno di
titrazione del farmaco (visita V) si procedeva alla randomizzazione dei partecipanti allo studio in gruppi destinati a ricevere
i due trattamenti differenziati: Pregabalin + TENS e Pregabalin
+ TENS-placebo. Alla visita finale (visita IX) tutti i gruppi di
studio sono stati sottoposti ad un nuovo esame clinico-neurologico ed alle indagini ematochimiche di routine per la valutazione di eventuali effetti collaterali. Ad ogni visita sono stati
raccolti e valutati i risultati dei questionari VAS, McGill Pain
Questionnaire ed l’interferenza sul sonno.
I pazienti sono stati invitati quotidianamente presso il nostro
Ambulatorio di Terapia Antalgica per ricevere il trattamento
nelle quattro settimane di studio; il gruppo Pregabalin + TENS
(PTT) è stato stimolato con TENS ad alta frequenza per un
periodo di 30 minuti al giorno per quattro settimane.
Misure di efficacia
Il parametro primario di efficacia è stata la Scala Analogica
Visiva (VAS) (scala a 10 punti: 0 “nessun dolore” 10 “peggior
dolore possibile”) registrato dai pazienti ad ogni visita.
I parametri secondari di efficacia sono stati: SF-Mc Gill Pain
Questionnaire e la media settimanale dell’interferenza sul
sonno debitamente compilati dai pazienti quotidianamente.
RISULTATI
Un totale di 32 pazienti sono stati sottoposti a visita di screening, 2 pazienti sono stati esclusi dallo studio (un soggetto è
stato escluso per alterazione significative dei valori ematochimici ed un paziente per Morbo di Parkinson severo e disturbi
psichici). Alla II visita i 30 pazienti elegibili allo studio presentavano una media VAS di 83 ± 1.62 mm. Durante i primi
DISCUSSIONE
La nevralgia posterpetica è una condizione cronica debilitante caratterizzata da dolore neuropatico. Molti pazienti riferiscono di avere una varietà di sensazioni dolorose; il dolore
141
POSTER 9 GIUGNO
può essere spontaneo o esacerbato da stimoli cutanei, con picchi provocati dal freddo o dallo stress. Nelle aree dolenti viene
spesso ritrovata l’allodinia, così come le parestesie e disestesie
sono spesso presenti.La PHN spesso si risolve gradualmente,
ma molto più spesso persiste resistendo anche ai comuni
agenti terapeutici.
Molti trials clinici controllati e una metanalisi pubblicata da
Sindrup su Pain nel 1999 hanno mostrato come il dolore neuropatico possa essere trattato con diversi farmaci: antidepressivi, anticonvulsivanti, tramadolo, oppioidi ed applicazioni topiche di capsaicina.Sfortunatamente vi sono almeno due limiti
all’utilizzo di questi farmaci:
• sollievo dal dolore di breve durata;
• reazioni avverse.
L’approccio farmacologico include un’ampia varietà di farmaci utilizzati per via orale, agenti topici e antidepressivi[9]; quest’ultimi sono considerati come farmaci di prima linea per il
dolore neuropatico ma il loro uso è limitato dall’incidenza di
reazioni avverse e dal rischio di complicanze cardiovascolari.
Come in altri tipi di dolore cronico, il dolore neuropatico
richiede un approccio multimodale che può includere interventi di tipo psicoterapeutico e stimolazioni nervose transcutanee. Essendo una tecnica non invasiva , la TENS è ampiamente utilizzata in Europa per il trattamento a lungo termine
del dolore neuropatico. Differenti teorie sono state proposte
per il meccanismo d’azione della TENS. Il razionale del suo
utilizzo è basato sulla teoria del gate control nella modulazione del dolore; l’informazione nocicettiva trasmessa dalla fibre
di piccolo diametro è mascherata dalla stimolazione delle
fibre di grosso diametro e, in questo modo, lo stimolo doloroso non raggiunge i centri sovraspinali. Comunque, studi neurofarmacologici evidenziano un ruolo dei neurotrasmettitori
spinali e sovraspinali nel meccanismo analgesico della TENS
Secondo altri studi, gli oppiodi endogeni rilasciati nel sistema
nervoso centrale sono implicati nel meccanismo analgesico
della TENS [7].
I sistemi inibitori discendenti dal grigio periacqueduttale
(PAG) e dal midollo rostrale ventromediale (RVM) mediano
l’analgesia tramite gli oppiodi, sistemi adrenargici e serotoninergici [10]
I recettori serotoninergici e oppiodi spinali mediano l’effetto
antiiperalgesico della TENS [10] mentre i recettori spinali
muscarinici vengono attivati durante la stimolazione con
TENS a bassa o alta frequenza [7].
Nel nostro studio abbiamo utilizzato l’ associazione di
Pregabalin e TENS nel dolore neuropatico e abbiamo riscontrato un significativa analgesia in tutti i pazienti.
Un miglioramento della sintomatologia è stato già ottenuto
durante la fase di titrazione. Alla fine del periodo di titrazione,
infatti, tutti i pazienti hanno presentato una riduzione della
VAS pari a 40 +/- 0.39 (P300 + TENS) , 41 +/- 1.19 (P300 +
TENS-placebo), 38 +/- 0.95 (P600 + TENS), 38 +/-1.03 (P600
+ TENS-placebo).
I risultati del nostro studio evidenziano che l’associazione del
Pregabalin con la TENS riduce il dolore della nevralgia posterpetica rispetto all’associazione Pregabalin + TENS placebo,
come si evidenzia dai dati in tabella 2 e nei grafici 2-3-4.
L’analisi dei dati di ogni singola visita mette in evidenza che i
pazienti trattati con Pregabalin e TENS hanno un punteggio
medio dell’SF-MPQ total score, del PPI SF-MPQ significativamente più basso rispetto ai pazienti trattati con Pregabalin +
TENS-placebo.
L’ulteriore dato che abbiamo riscontrato è che non solo l’associazione del trattamento fisico e farmacologico
a
600mg/die riesce ad ottenere una notevole analgesia (VAS 23
+/- 0.75), ma anche l’associazione TENS più Pregabalin
300mg/die ottiene una significativa riduzione dei parametri
rispetto al gruppo con TENS placebo (VAS 25 +/- 0.67 vs VAS
39 +/- 1.19).
Allo stato dell’arte i dati emersi dal nostro studio sono in
accordo con lo studio pubblicato da Richter sul Journal of Pain
nel 2005. In questo trial randomizzato si è valutato il
Pregabalin 600mg/die vs Pregabalin 150mg/die vs placebo in
229 pazienti. Il Pregabalin 150mg/die non ha alcuna differenza statisticamente significativa rispetto al placebo per nessuno
dei parametri d’efficacia; diversamente è emerso che il
Pregabalin a dose piena (600mg/die) determina una riduzione
statisticamente significativa del punteggio VAS (Placebo: 5.55
+/- 0.23 vs Pregabalin: 4.29 +/- 0.26).
In questo studio si è valutata anche l’interferenza con il ritmo
sonno-veglia e si è evidenziato che i pazienti trattati con
Pregabalin 600m/die avevano un’interferenza con il ritmo
minore rispetto al gruppo trattato con placebo; non risultava,
però, alcuna differenza statisticamente significativa nel tono
dell’umore e nei risultati del SF-36 tra i due gruppi.
Nello studio pubblicato da Lesser su Neurology nel 2004 vengono illustrati dati più o meno concordanti. In questo studio in
doppio cieco è stato confrontato il Pregabalin 600mg/die vs
Pregabalin 300mg/die vs Pregabalin 75mg/die vs placebo. È
emerso che il Pregabalin ai dosaggi di 300 e 600 mg/die sono
efficaci nel trattamento della neuropatia diabetica dolorosa
evidenziando una netta riduzione dei valori della VAS, del
questionario McGill e del PPI al termine dello studio.
Vi sono miglioramenti statisticamente significativi anche nell’interferenza con il ritmo sonno veglia e nei test CGIC e PGIC.
Il dosaggio da 75mg non risultava avere alcuna efficacia rispetto al placebo. Un altro dato interessante è che, mentre la percentuale di pazienti che rispondono al trattamento è equivalente nei gruppi trattati con 600/die e 300mg/die, il dosaggio
maggiore risulta essere in grado di fornire una maggiore riduzione del punteggio della VAS e degli altri test. Per esempio,
mentre il 46% e il 48% dei pazienti trattati rispettivamente con
300mg/die e 600mg/die di Pregabalin raggiungevano una
riduzione superiore al 50% del valore della VAS rispetto all’inizio del trattamento, il 27% dei pazienti trattati con
600mg/die di Pregabalin raggiungeva una riduzione della VAS
del 70% a fronte del solo 16% nel gruppo con dosaggio di
300mg.
CONCLUSIONI
L’Associazione del Pregabalin a diverso dosaggio più la TENS
determina una significativa riduzione del dolore nei pazienti
arruolati, così come una significativa riduzione dell’interferenza con la qualità del sonno.
I dati emersi dalla nostra osservazione dimostrano, inoltre, che
qualora un paziente in trattamento con Pregabalin 600mg/die
dovesse presentare gli effetti collaterali dose-dipendenti del
farmaco, potrebbe passare al dosaggio di 300mg/die mantenendo comunque una buona analgesia se, alla terapia farmacologia, associa anche la terapia fisica ovvero la TENS.
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ARTO FANTASMA: CARATTERISTICHE CLINICHE IN UNA
POPOLAZIONE DI 33 AMPUTATI IN UNO STUDIO
RETROSPETTIVO NON RANDOMIZZATO
erano: deterioramento cognitivo diagnosticato, patologia locale diagnosticata del moncone quale ischemia, infezione, ferita
chirurgica aperta, ulcere diabetiche. Il questionario ideato dal
nostro gruppo di studio è una modifica di questionari precedentemente utilizzati dal gruppo di studi di Sherman nel
19845, Wartan nel 19977 e Koijman nel 20006. Nella prima
M. Meattelli, P. Ferranti, I. Anselmi, F. Gori, A. Pasqualucci,
S. Tesoro
Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale; sezione di
anestesia, analgesia e terapia intensiva, Università degli Studi
di Perugia
parte il questionario punta a raccogliere i dati anagrafici, specificando la data dell’amputazione, data dell’intervista, causa
e sede dell’amputazione, suddivisa in amputazione maggiore
o minore, rispettivamente coscia-gamba, e avampiede-digitale. Venivano richiesti anche il tipo di anestesia eseguita (generale o loco-regionale). Nella seconda parte, per lo scopo dello
studio, venivano indagati distintamente i tre seguenti fenomeni definiti all’intervistato come:
sensazione fantasma (qualsiasi sensazione proveniente dalla
parte amputata non dolorosa);
dolore fantasma (dolore proveniente dall’arto mancante);
dolore al moncone (dolore localizzato al moncone chirurgico);
Tali fenomeni venivano indagati mediante 17 domande esploranti la qualità delle sensazioni fantasma (esterocettive-cenestesiche-cinetiche), come prurito, scossa elettrica, sensazione
di essere toccato, accorciamento-allungamento illusorio dell’arto amputato, posture scomode o preter-naturali. Veniva
altresì registrata la presenza di dolore prima dell’avvenuta
amputazione e il suo esordio. Nel caso di presenza di dolore
all’arto fantasma si indagava il tempo d’insorgenza del dolore,
la frequenza degli attacchi e la sua intensità mediante una
scala di categoria costituita dagli aggettivi “poco”, “abbastanza”, “molto” o “moltissimo”. Infine si chiedeva all’operato se
avesse assunto medicamenti attraverso autoprescrizione o tramite un medico curante, chiedendo di specificare quali tra
FANS, oppiacei, antidepressivi, alcool, anticonvulsivanti o
sedativi-ipnotici, e se avesse avuto sollievo da questi. L’analisi
statistica consisteva nel calcolo della media, mediana dell’età,
tempo intercorso tra amputazione ed intervista, incidenza dei
principali fenomeni, correlazione con test di Fisher per le
variabili dicotomiche, con significatività per P inferiore o
uguale a 0,05, mediante taglio alla seconda coda.
INTRODUZIONE
La percezione illusoria di un arto mancante, meglio definita
come arto fantasma, fu coniata per la prima volta nel 1870 da
Silas Weir Mitchell1, nonostante le tracce di questo bizzarro
fenomeno fossero già presenti nel diario bellico del chirurgo
francese Ambrosie Pare, nel lontano 15512.
Le sensazioni fantasma vengono definite come un qualsiasi
sintomo proveniente dalla parte amputata, eccetto il dolore. La
totalità della popolazione amputata, a seguito di trauma civile, bellico o intervento chirurgico, può avere sperimentato tale
fenomeno3. L’incidenza delle sensazioni non dolorose asso-
ciate all’arto fantasma, del dolore al fantasma e dolore del
moncone sono, dopo otto giorni dall’evento di amputazione,
rispettivamente dell’84%, 72% e 57%. In un follow up a sei
mesi arrivano al 90%, 67% e 22%4. La prevalenza del feno-
meno individuata da Sherman nel 1984 mediante somministrazione di un questionario a 5000 amputati in azioni di guerra, era del 78% in 2694 (55%) soggetti che avevano accettato
di rispondere. Solo l’1% di essi trovava giovamento in uno dei
37 trattamenti proposti dai medici5. In uno studio condotto in
Olanda in 124 soggetti amputati all’arto superiore, la prevalenza del fantasma doloroso era del 51%, con l’80% di risposte al questionario inviato via posta6. Nel Regno Unito 590
veterani amputati venivano intervistati per mezzo di un questionario via posta, selezionati in modo randomizzato da una
popolazione di 2974 amputati da più di un anno. La prevalenza del fenomeno dolore all’arto mancante era del 55%, con
una quota di risposta al questionario dell’89%7.
Il nostro studio vuole tracciare una descrizione dei principali
segni e sintomi conseguenza di un’amputazione chirurgica,
individuare l’incidenza dei principali fenomeni tra cui, sensazioni non dolorose, dolore fantasma, dolore del moncone,
valutare l’ipotesi del dolore pre-amputazione come fattore di
rischio per l’insorgenza di un arto fantasma doloroso.
RISULTATI
Dall’archivio elettronico dei ricoverati, i pazienti sottoposti ad
intervento di amputazione risultavano essere stati 81 nel
periodo compreso tra settembre 2004 e settembre 2005. Al
momento delle interviste, avvenute tra il luglio 2005 e il settembre 2005, 11 pazienti erano deceduti, 19 non reclutabili
per criteri d’esclusione dallo studio, 13 non raggiungibili per
irreperibilità telefonica. Dei 38 pazienti arruolati, 5 non accettavano di sottoporsi al questionario. La popolazione di coloro
che accettavano la somministrazione del questionario era
quindi di 33 soggetti con una quota di accettabilità dell’ 86%.
Le principali caratteristiche cliniche della popolazione in studio appaiono nella tabella 1. L’età media della popolazione
era di 72,4 anni con una deviazione standard di 9,91 anni. I
maschi erano 24, le femmine 9. Il tempo intercorso tra amputazione ed intervista era in media di 210±166 giorni, mediana di 198 giorni. Ischemia critica in vasculopatia periferica e
gangrena umida erano le principali indicazioni all’intervento
chirurgico. 19 pazienti su 33 erano stati sottoposti ad amputazione maggiore di coscia o gamba (57% del totale), 14 ad
MATERIALI E METODI
Tale studio, retrospettivo non randomizzato, è stato condotto
in una popolazione non selezionata di 81 pazienti sottoposti
ad intervento di amputazione dell’arto inferiore, ricoverati
presso la sezione di Chirurgia vascolare dell’ospedale
Policlinico di Perugia, in un periodo compreso tra luglio 2004
e luglio 2005 (sono stati inseriti nel campione anche tre casi
di interventi risalenti a due, quattro e trentadue anni prima dall’ultimo ricovero, avvenuto per altro intervento). L’accesso
all’archivio elettronico avveniva previo consenso del comitato
etico-scientifico dell’azienda ospedaliera di Perugia. Le interviste dei pazienti per mezzo telefonico, avvenivano tra maggio 2005 e settembre 2005. I criteri d’esclusione dall’intervista
143
POSTER 9 GIUGNO
amputazione minore di avampiede o digitale (39%). Nel gruppo veniva inclusa anche un’amputazione traumatica di arto
superiore avvenuta trentadue anni prima dell’attuale ricovero,
che ha costituito il 4% del totale della popolazione. 19 soggetti su 33, (57%) soffrivano di dolore prima dell’amputazione, presente in 13 di essi da più di sei mesi, in 9 da più di un
anno. L’incidenza di sensazioni fantasma, dolore all’arto fantasma e dolore al moncone era rispettivamente del 71% (25 su
33 soggetti) , 51% (17 su 33 soggetti), 36% (12 su 33 soggetti). Le principali caratteristiche delle sensazioni non dolorose
localizzate all’arto mancante vengono riassunte nella tabella
2. Le sensazioni più frequentemente riferite erano prurito (12
soggetti), scossa elettrica (8 soggetti), sensazione di tatto (7
soggetti), accorciamento illusorio dell’arto fantasma, ovvero
fenomeno della telescopizzazione (9 soggetti), movimento
incontrollabile dell’arto amputato (12 soggetti). Il dolore all’arto mancante interessava 17 soggetti su 33, ovvero il 51% del
totale. La frequenza degli attacchi era settimanale in 7 su 17
soggetti, mensile in 5 su 17, giornaliera in 3 su 17. Un paziente riferiva dolore continuo senza sosta, ed infine un ultimo
paziente, amputato 32 anni prima all’arto superiore, asseriva
una frequenza annuale. 11 soggetti su 17 sceglievano gli
aggettivi “poco” o “moderatamente” per definire il grado di
sofferenza dato dall’arto dolorante, mentre 4 su 17 sceglievano “molto” e 2 su 17 addirittura “moltissimo”. L’esordio del
dolore all’arto fantasma avveniva in 12 soggetti su 17 (il 70%
degli affetti) nell’immediato post-operatorio, in 2 soggetti dopo
un mese, in 2 soggetti tra uno e sei mesi, e in un solo caso
dopo i sei mesi dall’intervento. Quando veniva chiesta una
sola qualità per descrivere il tipo di dolore, la risposta più frequente era “bruciore”. Nella tabella 3 vengono suddivisi i
pazienti che lamentano un arto fantasma doloroso in base alla
presenza o assenza di alcune variabili dicotomiche come
dolore pre-amputazione, sensazioni fantasma non dolorose,
amputazione maggiore o minore, dolore del moncone chirurgico, tipo di anestesia realizzata per l’intervento (generale,
loco-regionale), sesso del paziente, tempo intercorso tra intervento e intervista maggiore o minore di sei mesi. Dall’analisi
statistica realizzata con test di Fisher, la presenza di dolore
presente prima dell’amputazione, risulta essere un fattore di
rischio per lo sviluppo di un fantasma doloroso (P=0,0366),
come del resto lo sviluppo di sensazioni non dolorose all’arto
fantasma post-operatorie (P=0,0166). Tutti gli altri parametri,
compreso il dolore al moncone chirurgico, non raggiungono
un livello di significatività che possa esprimere una correlazione statistica con l’esordio di un fantasma doloroso.
zione di 28 soggetti sottoposti ad amputazione dell’arto inferiore. Anche Koijman6 individua una prevalenza del 51% in
una popolazione eterogenea di 99 amputati all’arto superiore
con un follow-up medio di circa 16 anni. Altri studi, tra cui
quello di Sherman 5del 1984 condotto su una popolazione di
2750 veterani amputati, la prevalenza dell’arto fantasma doloroso si attesta intorno al 78%, e in uno studio tra una popolazione di 55 civili (Steinbach 1982), intorno al 73%6. Una
delle spiegazioni di questa discrepanza tra studi, risiede nelle
differenti quote di risposte ai questionari somministrati: solo il
55% della popolazione di Sherman ha restituito il questionario compilato contro l’80% in quello di Koijman. Nel nostro
studio 33 pazienti su 38 accettavano di farsi intervistare
(l’86%). Tali dati fanno prevedere che il 45 % dei “non
responder” di Sherman fossero “pain free” e quindi non ritenevano importante rispondere al questionario. Nonostante la
misura dell’intensità del dolore riferito alla popolazione del
nostro campione non fosse su base numerica, la scelta più frequente di aggettivi collocati su una posizione di grado bassointermedio, ci fa dedurre che nel 64% del nostro campione il
dolore provato durante gli attacchi è di grado medio–basso, e
nel 36% dei casi moderato-grave, come concorda gran parte
della letteratura; anche nello studio di Sherman, l’intensità
media di dolore percepito, misurata con la Scala di valutazione numerica, è di 5,7 tra i veterani e di 5 tra i civili8 . Secondo
lo studioso statunitense, questa bassa intensità riferita del dolore, è il risultato della riluttanza degli stessi pazienti nel manifestare una sintomatologia dolorosa ad un arto ritenuto da
alcuni medici come inesistente. Il 69% degli intervistati da
Sherman dei 2750 esprimeva che a detta dei medici a cui si
erano rivolti “il dolore di cui soffrivano risiedeva solamente
all’interno delle loro menti”5 . Recenti studi indicano che il
54-85% della popolazione sofferente per un arto fantasma
doloroso di entità moderata-grave non richiede trattamento
esplicito per il proprio dolore. Uno studio di Kolb riporta che
soltanto lo 0,5% degli amputati ricoverati in residenze per
patologie a lunga degenza riferisce spontaneamente di essere
affetto da dolore alla parte mancante; ma se lo stesso campione viene sottoposto ad intervista, la percentuale diventa 10
volte più alta9. Il nostro studio ha inoltre messo in evidenza la
correlazione esistente tra le sensazioni fantasma non dolorose
avvertite dai pazienti, e il dolore all’arto fantasma. Tale associazione risulta statisticamente significativa con P2=0,0166 al
test di Fisher. Lo stesso non è avvenuto per il dolore al moncone, dove la probabilità di sviluppare un fantasma doloroso
è risultata essere del tutto indipendente dalla presenza di dolore al moncone al test di Fisher. Il substrato fisiopatologico
comune tra dolore e parestesie a livello dei centri sopraspinali corticali e sottocorticali, potrebbe giustificare questa correlazione; il motivo per cui un paziente avverte in certe circostanze “dolore” e in altre solo “fastidio” o “sensazione”, è
ancora oggetto di discussione e non rappresenta la finalità di
questa dissertazione. Il 57% dei soggetti della popolazione in
studio riferiva un dolore pre-amputazione, specificando che
esso era presente da più di un anno in 9 casi su 19, 17 casi di
dolore all’arto fantasma più 2 casi di dolore localizzato al
moncone chirurgico. Il dolore pre-amputazione rappresenta
un fattore di rischio per lo sviluppo di un fantasma doloroso4.
CONCLUSIONE
Lo scopo principale del nostro studio è quello di tracciare un
quadro clinico epidemiologico di tutti quei fenomeni che si
accompagnano all’amputazione, oltre a quello di individuare
possibili fattori di rischio per l’insorgenza di dolore alla parte
amputata. La nostra popolazione, per caratteristiche cliniche,
ovvero vasculopatici cronici e diabetici, e per età media, si
avvicina molto a quella decritta dallo studio di Jensen nel
19834 e da Shukla nel 19826. Nel follow-up a 6 mesi Jensen
e collaboratori osservano un’incidenza di dolore all’arto fantasma che scende da un primo controllo post- operatorio, dal
72% al 67%. Il tempo medio che intercorre tra amputazione
ed intervista nel nostro studio è di 210 giorni (circa 7 mesi)
con un’ampia oscillazione intorno alla media (dev. standard
166 giorni). Nonostante ciò, l’incidenza di dolore all’arto fantasma nella nostra popolazione in studio, non sembra influenzata dalla variabilità del tempo intercorso tra amputazione ed
intervista: difatti non vi è differenza statisticamente significativa tra pazienti intervistati entro sei mesi dall’evento chirurgico, e dopo sei mesi dall’evento chirurgico, nell’incidenza del
fantasma doloroso (P=0,08). Shukla6 in uno studio del 1982,
Il nostro studio rafforza le conoscenze in letteratura: 13
pazienti affetti da arto fantasma doloroso soffrivano di dolore
pre-amputazione contro 4 liberi dal dolore prima dell’intervento. Tale differenza risulta statisticamente significativa con
P=0,036. L’osservazione della correlazione tra dolore preamputazione e dolore fantasma ha dato origine ad una serie di
tentativi di abbattere l’incidenza e l’entità del dolore da amputazione mediante analgesia peridurale pre-operatoria. Tale tecnica non ha ancora mostrato un’evidenza clinica inequivocabile ed alimenta il dibattito tra i maggiori studiosi di questo
peculiare tipo di dolore10.
riporta un’incidenza di arto fantasma doloroso nell’immediato
post-operatorio pari al 54% degli intervistati, su una popola-
144
POSTER 9 GIUGNO
Tab. 1 Caratteristiche cliniche della popolazione in studio
Tab.2 Sensazioni non dolorose associate all’arto fantasma
Tab.3 Correlazione tra variabili e arto fantasma
145
POSTER 9 GIUGNO
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SWITCH DEI FARMACI ANTIEPILETTICI NEL DOLORE
NEUROPATICO CRONICO RESISTENTE.
RAZIONALE SECONDO “ EVIDENCE BASED MEDICINE”
ED ESPERIENZA CLINICA.
FARMACI ANTIEPILETTICI
Carbamazepina. L’ azione analgesica della Carbamazepina è
nota da anni. Approvata dalla Food and Drug Administration
(FDA) per il trattamento del dolore neuropatico associato alla
nevralgia del trigemino è ancora oggi considerata il farmaco di
scelta per questa indicazione clinica. Strutturalmente simile
agli antidepressivi triciclici , si ritiene agisca come stabilizzatore di membrana inibendo i canali del sodio voltaggio-dipendenti . Gli effetti collaterali sono frequenti, anche se lievi e
transitori e includono sonnolenza, vertigini, nausea, vomito,
incremento ponderale ed orticaria, oltre che aumento degli
enzimi epatici, alterazioni del profilo lipidico, iponatremia,
leucopenia e trombocitopenia .
P. Notaro, I. Zanotti, F. Ceresa, I. Montagna
Terapia del dolore
Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda Milano
INTRODUZIONE
Il dolore neuropatico cronico è una patologia ad altissimo
impatto epidemiologico e una della maggiori cause di ricorso
alla Medicina del Dolore. Si stima ne siano affetti circa il 1,5%
della popolazione degli Stati Uniti (1), ma la sua prevalenza è
certamente più elevata, essendo spesso la diagnosi misconosciuta, considerata la complessità e l’eterogeneità dei quadri
clinici presentati dai pazienti. Data la difficoltà di diagnosi, il
dolore neuropatico cronico è spesso inadeguatamente trattato;
in molti casi infatti la terapia non è nè mirata né tempestiva,
ma diventa una cascata di tentativi farmacologici. Lo scarso
controllo della sintomatologia dolorosa, inoltre, incide significativamente sia sulla qualità della vita dei pazienti sia sui costi
sociali diretti e indiretti della malattia.
Il dolore neuropatico cronico è da tempo riconosciuto come
uno dei più difficili tipi di dolore da trattare e rappresenta una
delle più grandi sfide per lo specialista terapeuta del dolore.
Ad oggi, inoltre, sono poche le opzioni terapeutiche approvate per il trattamento farmacologico del dolore neuropatico.
Molti dei farmaci utilizzati nei pazienti con dolore neuropatico cronico non hanno tale indicazione, cioè non sono nati per
il trattamento di questa condizione patologica, ma l ‘hanno
acquisita sulla base dell ’ esperienza clinica suffragata da trials
di efficacia. Per queste ragioni lo strumento dell’ “ Evidence
Based Medicine ” (EBM) assume un valore relativo nella scelta terapeutica.
Noi ci occuperemo dell’ uso di una classe di farmaci in particolare nel trattamento del dolore neuropatico cronico, i farmaci antiepilettici (AEDs), concentrando la nostra attenzione
su una nuova molecola di seconda generazione, l’ oxcarbazepina, riportando la nostra esperienza e ricerca clinica del suo
impiego nel trattamento del dolore neuropatico cronico periferico resistente.
Oxcarbazepina. L’ Oxcarbazepina è un cheto derivato della
carbamazepina. Strutturalmente simile alla precedente, ne differisce per caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche (4). Come la carbamazepina, l’ oxcarbazepina inibisce i
canali del sodio voltaggio-dipendenti; inibisce però anche i
canali del calcio e riduce il rilascio del glutammato. Ne consegue che l’ oxcarbazepina risulta essere un potente modulatore delle vie sia periferiche che centrali del dolore neuropatico. A differenza della carbamazepina, il metabolismo della
oxcarbazepina non dipende dal citocromo P-450; ne consegue un potenziale di induzione enzimatica minore rispetto
alla carbamazepina. Inoltre sono minime le interazioni farmacologiche. L ’ oxcarbazepina presenta perciò vantaggi in termini di sicurezza rispetto alla carbamazepina. Inoltre l’ oxcarbazepina non provoca alterazioni ematologiche, né della funzionalità epatica ed è generalmente meglio tollerata. Gli effetti collaterali più comuni includono vertigini, sonnolenza,
nistagmo, diplopia, nausea, vomito, astenia e iponatremia (7).
Un numero sempre maggiore di evidenze cliniche conferma l’
efficacia di questa nuova molecola nel trattamento del dolore
neuropatico cronico.
Gabapentin. Il Gabapentin è uno degli anticonvulsivanti più
utilizzati nel management del dolore neuropatico cronico (2),
approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il
trattamento del dolore neuropatico associato alla nevralgia
posterpetica (NPE). Analogo dell’ acido gamma-aminobutirrico, si lega alla subunità alfa 2 delta dei canali del calcio vol-
146
POSTER 9 GIUGNO
taggio-dipendenti, inibisce i canali del sodio voltaggio-dipendenti, incrementa le concentrazioni di serotonina, riduce il
rilascio di glutammato e previene la morte neuronale (3). Il
principale meccanismo responsabile dell’ effetto analgesico
del gabapentin rimane sconosciuto. Il farmaco è di solito ben
tollerato; gli effetti collaterali più comuni includono sonnolenza, vertigini, astenia, confusione, tremori, atassia, aumento
ponderale, edemi periferici e cefalea. Le controindicazioni e
le interazioni farmacologiche sono limitate. Viene eliminato
per via renale e la sua clearance è ridotta nei pazienti con
insufficienza renale, soprattutto in quelli con una creatinina
clearance inferiore a 60 ml/min (4).
mere che un agente con attività anticonvulsivante nota possegga effetto analgesico in pazienti con tale patologia .
SCOPO DELLO STUDIO
Scopo del nostro studio è valutare l’ efficacia clinica e la tollerabilità dell’ oxcarbazepina in 51 pazienti adulti affetti da
dolore neuropatico cronico periferico nonresponders al gabapentin.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 51 pazienti, 32 donne e 19 uomini, di età
media di 69 anni (range 60-78), affetti da dolore neuropatico
cronico, in trattamento con gabapentin a dosaggio massimale
in rapporto alla tolleranza individuale da almeno 45 giorni. 30
pazienti erano affetti da nevralgia posterpetica, 18 da nevralgia trigeminale e 3 da interessamento neoplastico del plesso
brachiale. Lo studio ha avuto una durata di 12 settimane (una
fase iniziale di 3 settimane per la titolazione ed una fase di
osservazione di 9 settimane), durante le quali sono state effettuate una visita basale, seguita da 2 visite di controllo,
eseguite rispettivamente al termine della fase di titolazione (a 3
settimane dalla visita basale) e alla fine della fase di osservazione (a 12 settimane dalla visita basale).
Al fine di valutare l’efficacia clinica e la tollerabilità del trattamento in studio, abbiamo rilevato i seguenti parametri:
• severità del dolore, attraverso la compilazione quotidiana e
ad ogni visita di un diario in cui il paziente ha indicato l’
intensità del dolore secondo la scala validata “Numeric
Rating Scale” (NRS) ad undici items
• quantità e qualità del sonno, attraverso la somministrazione
del questionario validato “Medical outcome study” -sottosezione relativa al sonno- alla visita basale, alla fine della fase
di titolazione e al termine della fase di osservazione
• misurazione della componente neuropatica del dolore del
paziente, mediante la somministrazione della “ LANSS Pain
Scale” alla visita basale, alla fine della fase di titolazione e al
termine della fase di osservazione
• eventi avversi alla visita basale e a tutte le successive visite
di controllo.
Sono stati considerati come endpoints primari di efficacia:
• riduzione della severità del dolore secondo la scala NRS alla
fine della fase di titolazione e di quella di osservazione
rispetto al basale
• variazione del punteggio della qualità del sonno secondo il
questionario MOS alla fine della fase di titolazione e di quella di osservazione rispetto al basale
e come endpoints di tollerabilità:
• incidenza di eventi avversi correlati al trattamento occorsi
durante le settimane di studio.
Pregabalin. Il Pregabalin, analogo strutturale dell’ acido
gamma-aminobutirrico, simile al gabapentin, è stato recentemente approvato dalla FDA per il trattamento del dolore neuropatico associato alla nevralgia posterpetica (NPE) e alla neuropatia diabetica periferica (NDP). L’ esatto meccanismo d’
azione non è noto; il farmaco si lega alla subunità alfa 2 delta
dei canali del calcio voltaggio-dipendenti e riduce il rilascio
del neurotrasmettitore eccitatorio glutammato. Il farmaco è
ben tollerato. I principali effetti collaterali del farmaco, dosecorrelati, sono capogiri, sonnolenza, secchezza delle fauci,
offuscamento visivo, edemi periferici, aumento ponderale e
disturbi dell’ ideazione. Poiché è stato segnalato che il pregabalin può causare euforia, il farmaco è stato classificato negli
Stati Uniti come sostanza controllata di classe V. Non sono
state rilevate interazioni tra pregabalin e altri farmaci. Tuttavia
poiché la durata degli studi condotti è stata relativamente
breve, l’ efficacia del pregabalin nel lungo termine non è ancora ben chiara. Inoltre non sono ancora disponibili studi di confronto con altri farmaci. La possibilità di una somministrazione bigiornaliera di pregabalin e il profilo farmacocinetico
lineare possono rappresentare un vantaggio rispetto al gabapentin; negli Stati Uniti, tuttavia, l’ inserimento del nuovo farmaco nell’ elenco delle sostanze controllate, anche se nella
classe V, può costituire un inconveniente (4-5).
Lamotrigina. La Lamotrigina è un anticonvulsivante di nuova
generazione utilizzato nel trattamento del dolore neuropatico
cronico. Agisce sui canali del sodio voltaggio-dipendenti
come stabilizzatore di membrana e inibisce il rilascio di neurotrasmettitori, principalmente del glutammato (8). Il farmaco
è ben tollerato; gli effetti collaterali più frequenti includono
rash cutaneo, di solito lieve, la cui comparsa richiede in ogni
caso la sospensione del trattamento, vertigini, sonnolenza,
nausea, diplopia e offuscamento della vista .
Fenitoina. La Fenitoina, come molti altri anticonvulsivanti,
esercita il suo effetto di stabilizzatore di membrana inibendo i
canali del sodio. Il suo utilizzo nel trattamento del dolore neuropatico cronico è ad oggi molto limitato dai frequenti effetti
collaterali.
I dati raccolti sono stati valutati tramite ANOVA per misure
ripetute per variabili parametriche. L’ analisi statistica dei dati
si è basata sul Test X2 per le variabili non parametriche.
Acido Valproico. Sebbene l’ Acido Valproico sia stato utilizzato nel trattamento del dolore neuropatico, gli studi che confermano la sua efficacia clinica sono davvero pochi. Il farmaco risulta essere ben tollerato e provoca scarsi effetti collaterali. Riguardo il meccanismo d’ azione si ritiene che aumenti la
sintesi e inibisca la degradazione dell’ acido gamma-aminobutirrico(8).
RISULTATI
Alla visita basale tutti i pazienti assumevano gabapentin ad un
dosaggio rispettivamente di 900 mg/die 20 pazienti, 1200
mg/die 24 pazienti, 1800 mg/die 5 pazienti e 2400 mg/die 3
pazienti da almeno 45 giorni, ma, nonostante la terapia in
corso, riferivano uno scarso controllo del dolore con un punteggio medio di 8 secondo la scala NRS.
La somministrazione della “LANSS Pain Scale” confermava la
natura neuropatica del dolore dei nostri pazienti (valore medio
18) e quella del questionario “MOS” una significativa compromissione della qualità del sonno (valore medio 40).
In tutti i pazienti, data la refrattarietà della sintomatologia
dolorosa alla somministrazione di gabapentin, veniva introdotta l’ oxcarbazepina ad un dosaggio iniziale di 300 mg/1
volta al giorno (150 mgX2) per tre giorni, aumentata a 300
Topiramate. Il Topiramate sembra possedere molti meccanismi d’ azione, incluso il blocco dei canali del sodio voltaggiodipendenti, il potenziamento dell’ azione inibitoria del GABA
e il blocco dell’ azione eccitatoria dell’ acido propionico sul
recettore del glutammato . Tuttavia le evidenze che supportano l’ azione analgesica del topiramate nel dolore neuropatico
cronico sono contradditorie, sebbene sia ragionevole presu-
147
POSTER 9 GIUGNO
mg/2 volte al giorno il quarto giorno, eventualmente a 300
mg/3 volte al giorno l’ottavo giorno, con un ulteriore incremento di 300 mg/die dopo una settimana, se tollerata. La titolazione del farmaco veniva effettuata in tre settimane e la sua
efficacia analgesica e la sua tollerabilità venivano monitorate
per altre nove settimane.
sciute completamente. Di conseguenza se un anticonvulsivante, somministrato alla dose adeguata e per un periodo di
tempo sufficiente per l’ ottenimento dell’ effetto analgesico,
fallisce in senso terapeutico o produce solo un parziale sollievo del dolore e l’aumento del dosaggio provoca la comparsa
di effetti collaterali, è razionale prevederne lo switch con un
altro farmaco della stessa classe ma con diverso meccanismo
d’ azione (6) o l’ aggiunta di un farmaco diverso (3).
- lo stesso farmaco non è necessariamente e ugualmente efficace in tutti i pazienti con la stessa patologia, oltre che per le
note differenze interindividuali, perché sono numerosi, diversi e ancora non del tutto noti i meccanismi fisiopatologici che
sottendono quadri clinici di dolore neuropatico cronico anche
simili, per cui il ricorso a più di un tentativo farmacologico è
spesso necessario per ottenere l’ effetto terapeutico desiderato.
La scelta di un farmaco per il trattamento di una specifica condizione patologica dovrebbe essere supportata in primis dalla
medicina dell’ evidenza. Molti dei dati pubblicati sull’ uso
degli AEDs di nuova generazione nel trattamento del dolore
neuropatico cronico suggeriscono l’ efficacia clinica di ciascuno di questi agenti farmacologici. Tuttavia, eccezion fatta per
la Carbamazepina per il trattamento del dolore neuropatico
associato alla nevralgia trigeminale, il Gabapentin per quello
associato alla neuropatia posterpetica e più recentemente il
Pregabalin per il dolore neuropatico associato alla nevralgia
posterpetica e alla neuropatia diabetica periferica, le evidenze
sono insufficienti a raccomandare l’ uso indiscriminato di
questi farmaci. Questa mancanza di evidenze si riflette nel
fatto che nessuno degli altri farmaci elencati, a parte quelli
sopra ricordati, ha ottenuto l’ approvazione della FDA per il
trattamento delle varie sindromi di dolore neuropatico cronico.
Lo strumento dell’ evidenza scientifica, date le innumerevoli
manifestazioni cliniche del dolore neuropatico cronico, legate
sia alle diverse eziopatogenesi che alla tempestiva e corretta
diagnosi e conseguente trattamento, non può essere il solo discriminante nella scelta del farmaco da somministrare e la decisione di prescrivere un AED per il trattamento di tale condizione patologica deve essere guidata da una accurata valutazione della semeiotica algologica e da un bilancio efficaciaeffetti collaterali in ogni singolo paziente. Uno scarso “pain
relief ” dopo un periodo di tempo adeguato per l’ ottenimento dell’ effetto analgesico a dosaggio appropriato, obbliga la
ricerca di un altro farmaco che, pur appartenendo alla stessa
classe ma agendo con meccanismo diverso, risulti più efficace del precedente.
Nella nostra esperienza clinica, la rotazione gabapentin-oxcarbazepina, nel trattamento del dolore neuropatico cronico
refrattario, si e’ dimostrata efficace e determinante nel migliorare significativamente la sintomatologia algica, peraltro con
scarsi effetti collaterali seppure con una rapida fase di titolazione del farmaco, confermando così non solo l’ efficacia, ma
anche la tollerabilità di questa nuovo AED.
Alla fine della fase di titolazione un adeguato controllo della
sintomatologia dolorosa si otteneva con un dosaggio di oxcarbazepina pari rispettivamente a 600 mg/die in 27 pazienti,
900 mg/die in 20 pazienti e di 1200 mg/die in 4 pazienti. La
somministrazione di gabapentin, indipendentemente dalla
posologia, veniva sospesa entro 48 ore dall’ inizio della terapia con oxcarbazepina.
La risposta analgesica all’ oxcarbazepina secondo le variazioni della NRS veniva valutata come di seguito:
• eccellente: riduzione di più del 70% rispetto al valore basale
• buona:
riduzione compresa tra il 50% e il 70%
• discreta:
riduzione compresa tra il 20% e il 50%
• scarsa:
riduzione inferiore al 20% (18)
I risultati ottenuti alla fine della fase di titolazione, cioè a 3 settimane dall’ inizio della terapia, rispetto al basale erano i
seguenti:
• eccellente: nel 20% dei casi
• buona:
nel 28% dei casi
• discreta:
nel 35% dei casi
• scarsa:
nel 17% dei casi
Lo score della “LANSS Pain Scale” risultava migliorato del
30% rispetto al valore basale e quello del questionario “MOS”
del 20% rispetto al valore basale.
Solo il 10% dei pazienti riferiva effetti collaterali di intensità
lieve-moderata quali vertigini, nausea e vomito. In un altro 5%
dei pazienti, invece, la comparsa di vertigini di entità severa
impediva l’ aumento del dosaggio del farmaco da 600 mg/die
a 900 mg/die, consentendo comunque un “pain relief” discreto rispetto al valore basale.
Alla fine della fase di titolazione in tutti i pazienti veniva eseguito un controllo plasmatico degli elettroliti, che non evidenziava variazioni significative della natremia.
Al termine della fase di osservazione, cioè a 12 settimane dall’
inizio della terapia, si confermava l’ efficacia analgesica dell’
oxcarbazepina con variazioni dello score della NRS rispetto al
basale sostanzialmente sovrapponibili a quelli rilevati alla fine
della fase di titolazione e precisamente:
• eccellente: nel 20% dei casi
• buona:
nel 28% dei casi
nel 37% dei casi
• discreta:
• scarsa:
nel 15% dei casi
Lo score della “LANSS Pain Scale” e quello del questionario
“MOS” risultavano essenzialmente invariati rispetto ai valori
rilevati alla fine della fase di titolazione.
Gli effetti collaterali riscontrati alla fine della fase di titolazione diminuivano di intensità fino a scomparire completamente
nelle successive settimane di osservazione. Solo in un paziente si doveva interrompere il trattamento per la comparsa di
edema periferico, regredito alla sospensione del farmaco.
Inoltre, alla fine della fase di osservazione, in tutti i pazienti
veniva ripetuto il dosaggio degli elettroliti plasmatici e in nessuno si evidenziava una diminuzione significativa della natremia.
CONCLUSIONI
I farmaci autorizzati e raccomandati secondo evidenza scientifica per il trattamento del dolore neuropatico cronico sono
limitati, ma un gran numero di molecole dimostrano nella pratica clinica di possedere attività analgesica a volte maggiore
rispetto al farmaco di prima scelta e vengono perciò utilizzate
a tale scopo.
Un maggiore conoscenza dei meccanismi fisiopatologici che
sottendono il dolore neuropatico nelle sue diverse manifestazioni cliniche, fornirà lo strumento per lo sviluppo di molecole finalizzate ad trattamento sempre più mirato e specifico.
I risultati del nostro studio evidenziano che l’ oxcarbazepina
rappresenta un’ opzione terapeutica efficace e ben tollerata
per il trattamento del dolore neuropatico cronico periferico
associato a diverse condizioni patologiche, quali la nevralgia
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio e ricerca clinica confermano il razionale dello switch dei farmaci antiepilettici nel trattamento del
dolore neuropatico cronico refrattario, i cui presupposti possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
- gli antiepilettici sono un gruppo di farmaci con effetti clinici
comuni ma con diverse modalità d’azione, per altro non cono-
148
POSTER 9 GIUGNO
posterpetica, la nevralgia trigeminale e l’ interessamento neoplastico del plesso brachiale e in pazienti nonresponders ad
un altro AED, quale il gabapentin. L’ effetto analgesico dell’
oxcarbazepina, la sua tollerabilità e sicurezza, confrontate con
quelle degli altri AEDs (10), suggeriscono che questo farmaco
potrà rappresentare un importante valido strumento aggiuntivo per il trattamento del dolore neuropatico cronico periferico, non solo in alternativa ad altri attualmente approvati con
tale indicazione clinica, ma come farmaco di prima scelta.
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VALUTAZIONE DI UNA METODOLOGIA PER LO STUDIO
DEGLI EFFETTI BIOLOGICI DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE
ANTALGICA (PHYBACK, PBK-2C) SULL’ATTIVAZIONE DEL
VEGF
Protocollo:
Su un volontario sano sottoposto ad una seduta di ES (protocollo 34, “Attivazione del microcircolo”, regione dorsale)
della durata di 30 minuti sono stati effettuati prelievi seriati di
sangue venoso prima del trattamento, a 15 minuti dall’inizio,
alla fine e dopo un’ora (t0, t15, t30, t90). I campioni sono stati
prelevati con e senza eparina/EDTA per la produzione di
PBMC (Peripheral Blood Mononuclear Cells) con e senza l’interferenza dell’attivazione della coagulazione. I livelli di
mRNA VEGF specifici sono stati evidenziati con RT-PCR e
Southern Blotting.
P. Properzi, A. Paladini, A. Piroli, F. Marinangeli,
M.G. Cifone*, G. Varrassi
Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università di L’Aquila
*Cattedra di Immunologia Clinica, Università di L’Aquila
Il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) è il più potente
e meglio studiato attivatore endogeno dell’angiogenesi e dell’omeostasi delle pareti vasali. E’ dimostrato in letteratura che
l’esposizione di colture di cellule endoteliali a campi elettrici
di piccola entità stimoli direttamente la produzione di VEGF.
Questo studio pilota è volto alla messa a punto di un approccio di indagine con metodiche di biologia molecolare che
consenta l’esplorazione degli effetti biologici dell’elettrostimolazione antalgica (PhyBack PBK-2C) sull’espressione del
VEGF.
Risultati:
Non è stata rilevata nessuna differenza nei livelli di espressione di VEGF mRNA tra i PBMC ottenuti da plasma e quelli ottenuti da siero. In entrambe le serie si è evidenziato un’aumento nel tempo dei livelli di VEGF mRNA che suggerisce approfondimenti con metodiche che consentano una più precisa
valutazione quantitativa.
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