1) Ada Bianchi, da Milano alla Cina per un anno 2

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1) Ada Bianchi, da Milano alla Cina per un anno 2
1) Ada Bianchi, da Milano alla Cina per un anno
Quando ti prepari a partire per un anno in Cina di aspettative ne hai tante, e altrettante paure.
Paura principalmente della distanza, che però sembra quasi di poter alleviare mettendo il
portatile in valigia, ma purtroppo o per fortuna non è così semplice. Sono partita con la voglia di
scoprire e di immergermi, ma certe volte il pensiero che le persone più importanti per me
sarebbero rimaste a novemila chilometri di distanza mi balenava nella mente, ma mi
tranquillizzavo pensando che ormai attraverso i Social Network tutto è possibile e la distanza è una
cosa relativa e gestibile. Quando sono arrivata ho capito presto che non poteva funzionare così, e
che non era possibile tenere il piede in due scarpe, pretendere di conoscere e di andare avanti
con la testa girata indietro. Allora pian piano ho iniziato a ridurre i contatti, a guardare quello che
avevo davanti, senza continuare ad avere la testa da un’altra parte. Certamente la possibilità di
contatti immediati e veloci cambia molto il ruolo della distanza in un’esperienza del genere, di
“sradicamento”, e forse è proprio questa apparente mancanza di barriere che ad un certo punto
mi ha fatto realizzare che quelli potevano essere solo contatti superficiali, non reali abbastanza per
viverne. E allora capisci che intorno a te c’è un mondo con cui comunicare che va ben oltre uno
schermo e delle cuffie, e che avere davanti delle persone e dei sorrisi vale molto di più che sentire
delle voci al telefono, e che tu sei lì proprio per quello. È bello sapere che in qualunque momento
sia necessario la tua famiglia e le persone più vicine sono lì alla distanza di un clic e che puoi
sentire la loro voce in qualunque momento, ma alla lunga non è sufficiente a colmare il vuoto, e
capisci che la solitudine del nuovo arrivato può essere combattuta solo creando dei rapporti
concreti e reali con le persone che hai di fianco tutti i giorni e che anche se non sono quelle che ti
hanno sempre accompagnato, anche se non sono quelle che volevi, in quel momento della tua vita
sono loro a essere lì per te. Devi solo avere la forza di girare la testa in avanti, anche se ci sono
degli istanti in cui ti sembrerà di non vedere niente, in cui non riuscirai più a vedere cosa avevi
dietro e ti sembrerà che non ci sia nulla davanti, finché un saluto o un invito non ti cambiano la
giornata, e ti fanno capire che anche se a casa c’è qualcuno che ti aspetta, la vita vera è lì, e sei
tu a farla diventare casa.
2) Massimo Cauli, da Oristano al Messico per un anno
Avevo sempre nutrito un profondo interesse per il Messico e credevo anche di sapere abbastanza
sui suoi stili di viti e sulle sue peculiarità invece mi è servito un anno a Puebla, a un'ora da Città
del Messico per capire quanto invece conoscevo poco del Messico e in generale dell'America
Latina. La questione è che i vari documentari e i vari servizi televisivi tendono a mettere in mostra
la parte migliore di tutte le realtà però nel caso dell'America Latina i problemi sociali sono troppi e
troppo profondi e io sono uno di quelli che credeva di non amare tanto il proprio paese finché non
ho vissuto fuori e al rientro non ho visto il forte contrasto.
Ho passato cinque mesi in una grande città di 3 milioni di abitanti (e il cambio è stato drastico dato
che in Italia vivo in un paesino di 400 abitanti e faccio capo a una città di 30 mila abitanti) e ho
imparato a sapermi muovere con i bus urbani, a conoscere la città e soprattutto a evitare i luoghi
pericolosi, e questa è stata senza dubbio un'esperienza importante e inoltre la mia città Puebla era
considerata una delle città più culturali, con i suoi numerosi musei, siti archeologici, concerti jazz
etc.
I primi cinque mesi l'uso dei social network è stato importantissimo anche per i contatti con le
persone del luogo, e al contrario non ho avuto molti contatti con l'Italia; gli ultimi cinque mesi li ho
passati in una cittadina a cinque ore dalla prima città e lì ho avuto grandi difficoltà sia per la
chiusura mentale dei suoi abitanti sia per i problemi dati dall'utilizzo dei social network. In un
paesino tutti vengono a sapere tutto e le mie pubblicazioni su facebook mi hanno dato alcuni
problemi, anche in famiglia ho avuto problemi dati dal fatto che dalle conversazioni in italiano
molte parole venissero capite e soprattutto fraintese. In generale i social network sono un
ottimo modo per rinforzare gli stessi rapporti con le persone del posto ma allo stesso tempo
distolgono l'interesse verso attività sportive, sociali etc.
In termini di esperienza, la vita in un paese straniero mi ha permesso di aprire gli occhi anche sulla
realtà del mio Paese, di capire cosa è eticamente giusto, cosa possiamo fare come singoli
individui per il benessere generale. Quello che ho sempre impresso dell'esperienza messicana è
senz'altro la meraviglia paesaggistica che il Paese offre, le sue mille culture indigene, il suo cibo
frutto della componente europea e indigena ma anche l'originalità dei messicani! A questo punto i
social network giocano un ruolo fondamentale nel permettermi di tenere i contatti con il Messico
anche se preferisco decisamente una lettera a una pubblicazione su facebook!
3) Silvia Durastante, da Roma alla Thailandia per un anno
Ho sempre pensato che a partire non sono le persone migliori, ma tutti coloro che hanno la
possibilità di essere migliori, ma devono ancora "aggiustare" qualcosa dentro di loro, tutti coloro
che devono fare quel piccolo passo in più. Un anno in Thailandia: una prova di coraggio? Una
follia? Voglia di scappare? No, una scelta di vita. Parti italiana, torni Cittadina del mondo. E'
questo quello che la mia esperienza mi ha dato, il sentirmi a Casa anche dall'altra esatta parte
del mondo, imparare a chiamare Mamma e Papà persone che non hanno i tuoi stessi occhi, il tuo
stesso colore della pelle, la tua stessa cultura ma che ami così tanto da non farci neanche caso.
Non pensavo la Thailandia potesse insegnarmi così tanto, conoscevo a malapena la sua posizione
geografica e qualche racconto sul suo mare cristallino e sulla vita notturna di Bangkok; non
pensavo di trovare, o forse non pensavo neanche esistesse, un mondo così particolare, una realtà
completamente diversa da quella in cui vivo ogni giorno. Mi sento in dovere di dirlo, la Thailandia
è stata la mia maestra di vita: insegna a tener duro di fronte alle difficoltà più grandi, a mostrare la
parte più forte di noi stessi ma anche quella più debole, insegna che la diversità è un valore e che
l'affetto si può dimostrare in tanti altri modi; la Thailandia è una terra ribelle, ma sempre pronta
ad accoglierti: chi va in Thailandia, alla fine, torna sempre un po' thailandese. Sarebbe banale
scrivere tutto ciò che questo tipo di esperienza può darti: ci sono cose di cui non ci accorgiamo, ma
inconsapevolmente noi cambiamo e insieme a noi cambia anche il nostro modo di pensare, il
modo di vedere le cose. E il bello (o meglio, il brutto) è che, prima o poi, si torna a casa a rivedere
una realtà ormai 'vecchia' ma con occhi nuovi, con occhi diversi. Social network, internet, cellulari
oggi ti permettono di rimanere ancora con un piede qui e un piede lì: basta poco per attivare una
conversazione Skype e ritrovarsi in Thailandia. Immergersi in quei luoghi che ti hanno ospitato per
un anno, riconoscere ogni angolo della tua casa, rivedere la tua famiglia, le loro voci e il loro modo
buffo e cantilenante di parlare: tornare così velocemente indietro nel tempo che sembra quasi che
lo schermo del computer non ci sia più; ma allo stesso tempo basta poco a “svegliarti” e
catapultarti di nuovo nella vita di sempre. Ma tutta questa “tecnologia”, in una esperienza
all'estero e specialmente nella prima parte del programma, può giocare un ruolo diverso e più
negativo: può trattenerti ancora troppo nel tuo paese naturale, non permettendoti di calarti
totalmente nel tuo nuovo mondo. Una volontaria di Intercultura del mio Centro Locale mi disse:
“Ho capito che stavi bene in Thailandia, quando non eri più sempre connessa su Facebook”.
All'inizio è così difficile separarsi dalla propria patria e per indole si è portati ad utilizzare tutti i
modi possibili che possano farci credere di stare ancora in Italia, almeno con la mente: è normale
che ci aggrappiamo ad ogni piccola cosa specialmente quando abbiamo paura di perdere il
controllo della nostra vita di sempre e quando sembra che questa ci stia sfuggendo di mano. Ma il
“salto di qualità”, quando capisci che Casa -sì è l'Italia-, ma Casa è anche la Thailandia, è molto
breve e spesso non ce ne accorgiamo neanche.
Oggi? Probabilmente ripartirei senza cellulare e senza computer. Un anno è troppo breve e a Casa,
alla fine, si ritorna sempre.
4) Carla Spanu, da Nuoro alla Thailandia per un anno
La prima cosa che ho pensato appena mi hanno detto che sarei dovuta partire per un anno in
Thailandia è stata: "devo assolutamente informarmi su questo paese, per sapere un po’ di più e
farmi un'idea di cosa mi aspetta". Internet in questo senso è stato discretamente utile, se si sa
come cercare, si possono trovare tante cose interessanti, l'unico problema è che spesso si rischia
di farsi anche un'impressione sbagliata! Un paese, non lo si può conoscere solo da internet,
soprattutto se si tratta di cose scritte da bloggers che magari ci son stati in viaggio solo per un
paio di settimane! Di fatto, è utile per togliersi i dubbi principali che possono arrivare quando il
tempo stringe e manca poco alla partenza.
Io una volta arrivata in Thailandia, ho cercato di limitare i contatti ad uno alla settimana, in
modo da inserirmi più facilmente nel nuovo ambiente e lasciare l'Italia da una parte per un po’.
Certo, non sempre è stato facile, e non tutte le settimane sono riuscita a limitare così i contatti...
internet è sicuramente stato molto utile perché nei momenti del bisogno, non dovevo aspettare
una risposta via lettera che avrebbe impiegato due settimane ad arrivare, ma in pochi minuti,
potevo avere a mia disposizione famiglia e amici. La cosa più "magica" secondo me, è il fatto di
poter comunicare faccia a faccia in tempo reale, a volte basta solo vedere il volto dei propri
genitori o dei propri parenti per dimenticare i problemi e darci una spinta in più ad affrontare
l'anno all'estero col sorriso sulle labbra! In questo senso quindi, internet è stato molto utile, sia per
me, sia per la mia famiglia che sapeva di poter comunicare con me quando volevamo e gratis,
senza contare la possibilità di tenermi aggiornata sui fatti quotidiani italiani, principalmente
attraverso i siti online dei giornali.
Ora però, vorrei però portare l'attenzione, anche sul nato non del tutto positivo di internet:
Tutta questa immediatezza, tutte queste immagini istantanee son davvero vantaggiose, ma si
possono mettere a paragone con le lettere scritte a mano, che riescono a comunicare molto più
emozioni di una mail scritta con un anonimo Times New Roman? Queste distanze che si
accorciano sempre più inesorabilmente, perdono forse un pò di valore, mentre prima "andare"
implicava anche affrontare un "viaggio", affrontare confini segnati da storia e natura, adesso
invece in poche ore d'aereo queste distanze immense perdono la loro vastità, e i confini son
segnati solo da cartelli di "benvenuto" e "arrivederci"! Viaggiare ormai non è più questione di
giorni, ma di ore, e il mondo sta pian piano perdendo la sua vastità. In quest'era di
"globalizzazione" tutte le culture sono alla portata di tutti, e tutte le culture si assomigliano
sempre più; mio fratello thailandese mi ha parlato spesso di quanto la Thailandia sia cambiata
negli ultimi anni, sotto l'influenza della logica di un modello di sviluppo che nessuno aveva chiesto
in Asia, eppure è stato lentamente insegnato.
Io sono stata per una settimana, ospite novizia di un monastero buddista: niente
cellulare, né internet, né libri, né foglio e penna per scrivere, "devi portare solo te stessa e un
offerta per il tempio" mi dissero. All'inizio pensavo che non ce l'avrei fatta, ma è stato come
disintossicarmi! A fine settimana mi son sentita leggera, ho avuto più tempo per pensare, per
riflettere prima di parlare, e anziché scrivere di getto una mail a mia madre sui miei problemi, da
quel giorno ho provato a soffermarmi più a lungo, ad analizzare meglio le cose, esaminarle ed
"esporle" a sangue freddo.
L'immediatezza di internet spesso porta, o meglio, mi ha portato a questo, a non riflettere bene
sulle difficoltà prima di esporle ai miei genitori.
Internet ha tantissimi vantaggi, è bello, utile e soprattutto comodo. Forse è proprio questa
comodità a renderlo così pericoloso: ormai se si vuole avere qualunque informazione, non si deve
più andare in biblioteca a "sprecare" il proprio tempo, non serve chiedere ai propri conoscenti per
informarsi, andare in un posto per vedere con i propri occhi... è tutto a portata di un clic! E senza
neanche alzarsi dal divano! Bello vero?
Si, secondo me è davvero bello, internet è uno strumento di grandiosa portata, tutto e bene, se
usato con moderazione...
Intanto per me, la Thailandia più stupefacente, che mi è rimasta nel cuore, è quella che ho vissuto
senza internet, e soprattutto, la Thailandia che su internet non si trova :)
5) Leonardo Aleotti, da Milano alla Turchia per un anno
Ciao, mi chiamo Leonardo e sono stato un anno a Istanbul. Sono capitato in Turchia quasi per
caso, la mia prima scelta era la Danimarca, ma le sorprese della sorte non finiscono mai e così
invece che nel paese di Amleto sono finito tra narghilè e kebab. Tuttavia, la mia reazione è stata
più che positiva, la voglia di partire era tanta e il cambio di destinazione non ha fatto altro che
aumentare il mio desiderio di andare in un paese che ritenevo per certi aspetti, tra cui collocazione
geografica e religione, molto diverso dall'Italia. Partivo dunque carico di pregiudizi, non per forza
negativi, ma stereotipi riduttivi per descrivere quel paese fantastico che è la Turchia e che sono
stati puntualmente smentiti nel corso della mia esperienza. Nonostante ci fossi già stato e per un
periodo non indifferente (due settimane), non avevo veramente realizzato cosa volesse vivere in
una realtà come quella turca e in un primo momento nutrivo ancora un certo timore nei confronti
dei turchi, degli uomini in particolare, che sebbene fisicamente siano esattamente come vengono
descritti (omoni grassi, barbuti e baffuti), nei modi non rispecchiano minimamente il loro
aspetto a tratti inquietante e sanno anzi essere molto accoglienti ed estroversi. Una delle
principali incognite della Turchia alla mia partenza era legata all'aspetto religioso: sapevo, per
esperienza diretta e non, che la Turchia non era una copia dell'Iran o dell'Arabia Saudita, un
paese fondamentalista in cui vige la legge della sharia, e che l'opera di Mustafa Kemal Ataturk nei
primi anni del Novecento aveva contribuito in maniera significativa a laicizzare e modernizzare lo
stato turco, ma mai mi sarei aspettato una situazione quale quella in cui mi sono trovato.
Probabilmente sono stato condizionato dall'aver vissuto a Istanbul, dove la situazione è
decisamente differente rispetto ai paesini più tradizionalisti dell'Anatolia orientale o alla stessa
Ankara, ma posso affermare con certezza di aver visto veramente pochissime donne che
indossavano il velo e anzi sembrava che queste fossero viste quasi con sdegno dagli altri turchi.
Inoltre, vivendo ad Istanbul avevo la possibilità più unica che rara di vivere in una città divisa su
due continenti e proprio legato a questo fatto ho potuto fare una curiosa constatazione durante
la mia esperienza, ovvero che la parte asiatica (dove tra l'altro vivevo) è assolutamente più
moderna e occidentalizzata (ci sono McDonald's e Burger King a ogni angolo della strada, i miei
amici si stupivano che in Italia non ci fosse Starbucks quando per loro è praticamente impossibile
fare 100 metri senza trovarne uno e la maggior parte della gente vive in grandi complessi di
grattacieli) di quella europea, più turistica ma sicuramente più arretrata e fatiscente. Questa
differenza ha una spiegazione logica: la parte europea è quella più antica, quella dei primi
insediamenti, la cosiddetta "città vecchia", mentre la parte asiatica è relativamente più recente;
ciononostante, sono rimasto impressionato da questa apparente contraddizione, il fatto che la
parte asiatica fosse più "europeizzata" di quella europea mi ha in un certo senso choccato. Per
quanto riguarda i turchi poi, ho scoperto con piacere che non c'è una grande differenza tra loro e
gli italiani, in quanto entrambi popoli mediterranei, sono tutti e due passionali, espansivi e molto
calorosi: in particolare il primo giorno di scuola mi sono sentito letteralmente assediato dai miei
compagni, smaniosi di far conoscenza con me (devo dire che questo mi ha alzato di molto il livello
di autostima) e di accogliermi nel migliore dei modi. Internet infine è stato fondamentale perché
mi ha agevolato la comunicazione con i miei nuovi amici (quando si è alle prese con una nuova
lingua scrivere è sicuramente più facile che parlare) ed è ancora adesso utile per mantenere i
contatti con gli stessi e la famiglia ospitante, però può rivelarsi un'arma a doppio taglio: è molto
facile farsi prendere dalla tentazione e abbandonarsi alla nostalgia guardando cosa fanno gli amici
lasciati in patria, perdendo così le gioie della vita nel paese in cui si è. Nel complesso, credo che
questa esperienza per me sia stata estremamente formativa e mi abbia aperto gli occhi (e la
mente) sul mondo, aiutandomi ad abbattere pregiudizi e stereotipi e ad accogliere nuove culture
diverse dalla mia; inoltre penso che il fatto che sia partito alla giovane età di 16 anni, un anno
prima della maggior parte degli altri ragazzi, abbia contribuito maggiormente alla mia crescita
sotto tutti i punti di vista, forse perché quando si è giovani si impara meglio. In ogni caso, non mi
resta quindi che dire GRAZIE INTERCULTURA!
6) Gabriele Tealdo, da Monza agli USA per un anno
Nell'Orlando Furioso, il sommo Ludovico Ariosto spingeva l'immaginazione del lettore ad
immaginare che tutto ciò che veniva smarrito dagli uomini andava a finire sulla Luna, un luogo
estremamente lontano e diverso dalla Terra. Certamente il mio viaggio in America non può essere
paragonato a quello di un uomo che raggiunge la Luna, tuttavia vi è un affinità che collega la
fantasia del celebre scrittore al viaggio che mi ha portato a vivere negli Stati Uniti d'America.
La scelta di trascorrere un periodo di studi all'estero così lontano da casa, è stata infatti motivata
dal bisogno interiore che avevo di ritrovare qualcosa a me molto caro, ovvero quel gusto di vivere
che nell'anno prima di partire avevo smesso di sentire, durante un momento difficile della mia
vita.
Il mio anno all'estero è stato così un vero e proprio viaggio alla ricerca di me stesso, un anno nel
quale ho compiuto scoperte grandiose, scoperte che hanno riacceso in me il fuoco dell'amore per
la vita e hanno cancellato dalla mia mente la stereotipata immagine degli States che, per causa
dei media, molti giovani italiani hanno nella loro mente.
Difatti è proprio per colpa di mezzi divulgativi come la televisione, che tanti adolescenti pensano
che l'America non sia null'altro che l'emblema della mondanità occidentale, quel luogo in cui
bellissimi 'teenagers' dal sorriso smagliante che vestono 'blue jeans', camminano per i corridoi
scolastici addobbati dai tipici e ben noti armadietti.
Avendo vissuto negli USA, posso oggi dire che l'America è molto di più rispetto al perfetto 'paese
dei balocchi' che la TV e il Web tendono a mostrarci. La cultura americana è unica a questo
mondo. Essa si è generata dall'intreccio di popoli estremamente diversi tra loro e che convivono
nella stessa nazione dando vita al cosiddetto 'melting pot', che tuttavia persiste nel contenere in
se' una grande imperfezione, ovvero quella del razzismo, sentimento ancora molto presente in
questa terra ricca di contraddizioni, dove molta gente critica aspramente l'aborto in nome
dell'etica e della religione, ma al tempo stesso favorisce la pena di morte e la legalità del
possesso di armi da fuoco.
L'America è complessa, strana, ma affascinante al tempo stesso. Essa è stata in grado di farmi
provare quell'entusiasmo e quella gioia di vivere che mi mancava da tempo. In lei ho trovato una
famiglia ospitante che mi ha accolto come fossi un loro figlio e ho conosciuto amici che non
dimenticherò mai.
Il dono più grande che però mi è stato fatto dagli Stati Uniti, sono le stesse prove e le difficoltà che
ho vissuto in questa nazione, la provocazione di vivere da solo in un paese che ritenevo di
conoscere, ma non conoscevo per nulla. Il luogo in cui ho sofferto e sono caduto, ma sono anche
riuscito a rialzarmi per fare delle mie ferite un punto di forza. Quel posto in cui ho risentito il mio
cuore battere e gridare di felicità, quel paese dove mi sono sentito rinascere nel corpo e nell'anima
e al quale sarò per sempre grato.
Calarmi con il corpo in questa nazione, è stata quindi per me una cosa necessaria per conoscere
più in profondità me stesso ed il mondo. Con questo non mi pongo affatto in un atteggiamento
negativamente critico verso le nuove tecnologie. Per esempio internet, durante il mio soggiorno
all'estero è stato per me indispensabile per risolvere molti problemi e per mantenermi in contatto
con la mia famiglia italiana.
Sono però certo del fatto che sperimentare qualcosa con il proprio corpo ed il proprio cuore, sia in
grado di regalare all'uomo un senso di soddisfazione infinitamente più grande rispetto
all'informazione a distanza.
7) Chiara Terrasi, da Palermo alla Cina per un anno
Alle selezioni di settembre del 2011 scelsi di affrontare il mio quarto anno di liceo all’estero, scelsi
di farlo in Cina. In pochi appoggiavano la mia scelta, ma avevo la fortuna di avere i miei genitori
dalla mia parte. La Cina, secondo il 90% delle persone che frequentavo, era solo un paese “di
musoni gialli” e di “menti chiuse”. Io invece ero convinta che dietro quei pregiudizi, quei luoghi
comuni, ci fosse molto di più, e volevo assolutamente scoprire quel “molto di più”. Iniziai a
comprare ogni guida turistica che mi capitava sotto mano e ogni libro per imparare il cinese.
Sfogliando le guide turistiche mi innamoravo sempre di più di quelle provincie piene di splendore e
magia. A differenza di tutti coloro che si dicevano preoccupati per me perché avevo scelto un
paese così diverso, il mio unico problema prima di partire era la possibilità di trovare un clima a cui
non mi sarei adattata facilmente, per il resto, ero pronta a tutto.
Arrivata lì effettivamente il clima fu un vero e problema, tutta quell’umidità e quel caldo mi fecero
stare parecchio male i primi giorni, ma poi iniziai a calarmi realmente in quella realtà e in quella
cultura, che tutto divenne più facile.
I primi tempi per combattere la nostalgia di casa vivevo costantemente su Skype e mi disperavo
per la censura che non mi permetteva di usare Facebook. Chiesi aiuto ad una ragazza cinese che
era stata in Italia l’anno prima e che sapeva come superare la censura. Così grazie ad un
programma a pagamento riuscivo ad usare facebook e a scrivere sul mio blog quando volevo. Il
mio blog è stato fondamentale, sono riuscita a raccontare passo per passo i 10 mesi che hanno
cambiato la mia vita, e ancora oggi le persone mi fanno i complimenti ed io mi commuovo
rileggendolo.
Sapevo che era sbagliato usare internet per tutto quel tempo (3 h al giorno), ma mi calmava e
parlare con tutti i miei amici mi dava la forza di continuare la mia esperienza. Poi più passavano i
mesi, più ero piena di impegni e le ore al pc diminuivano. Per tutta la mia esperienza però usavo
internet sul cellulare e con whatsapp (applicazione di messaggistica per iphone e android) riuscivo
a messaggiare con mia mamma e mio papà in tempo reale, così riuscivo a tenerli informati. Era
divertente andare a fare shopping con mia sorella e mandare la foto delle cose acquistate a mia
madre, era un modo per renderla ancora più partecipe della mia esperienza.
Allo stesso modo adesso che sono tornata in Italia, grazie a Weibo ( corrispettivo Facebook
cinese) riesco a informarmi sulla vita dei miei amici cinesi e a informare loro sulla mia, tramite
post e foto. Grazie a QQ (Msn cinese) riesco a chattare e a parlare con la famiglia. Mi emoziono
tantissimo quando la mia cuginetta di 3 anni inizia a baci allo schermo del pc e a chiamarmi per
nome salutandomi, mentre parliamo. Oppure mia nonna che mi fa i complimenti per i capelli corti
e mio nonno che mi dice che sono dimagrita. Riesco a comunicare con loro in tempo reale, riesco a
vedere come il mio cuginetto che io ho visto nascere, adesso cammini e parli. Grazie ad un
semplice computer, una webcam e QQ, riesco a continuare a sentirmi parte di quella famiglia che
mi ha tenuto tra le sue braccia per dieci mesi. E loro riescono a mostrarmi che le cose non sono
cambiate, nonostante siano passati sette mesi da quando ho lasciato la Cina. Ma io ho lasciato la
Cina, non i loro cuori.
8) Klarisa Elena Szilagyi, da Catanzaro al Venezuela per un anno
La pre-partenza è un’attesa che non finisce mai. Mi ricordo che avevo quasi sempre quel sorriso
sulla faccia, un sorriso che raccontava tutta la felicità che stavo provando per partire lontano; e
allo stesso momento, dentro ,avevo tanta ansia che facilmente si sarebbe potuta tramutare in
paura per tutto quello che i miei amici mi dicevano sul Venezuela: “ Ritornerai vendendo
droghe!”, “Ma che vai a fare là, sono tutti poveri!”, “Perché non hai scelto l’Inghilterra o la
Finlandia?”. Tutte domande e affermazioni che nella mente di una sedicenne, qual’ero, possono
davvero far paura. Ma credo che il sorriso era troppo grande e forte per soccombere alla paura.
Tre giorni prima di partire avevo scritto su un quaderno: “ Ho una voglia matta di iniziare questo
‘viaggio’ e non smettere più di viaggiare. Voglio girare il mondo e stringere mani arabe, americane,
giapponesi, sudafricane!”. Forse l’ho scritto inconsciamente o non davo a quelle parole lo stesso
valore che darei oggi. Vivendo in Venezuela ho capito quant’è importante viaggiare e conoscere
nuove culture, quant’è importante e facile vivere delle esperienze magnifiche, che fino a quel
momento avevo letto solo in un libro o visto in un film.
Ho imparato tantissimo e posso dire che ho conosciuto davvero il mondo venezuelano perché per
un anno sono riuscita a staccare la spina dall’Italia e attaccarla a questo nuovo paese: usavo
pochissimo il computer, tanto non mi importava di quello che stavano vivendo i miei compagni o
amici italiano; il mio mondo era più interessante e bello! Le chiamate dall’Italia al telefono quasi
inesistenti. Può sembrare strano che io abbia parlato al telefono con mia madre solo una volta in
tutto l’anno, ma è stato così. Non volevo che mi chiamasse perché avrebbe potuto farlo proprio
quando mi trovavo con amici o quando mangiavo in famiglia e mi avrebbe dato molto fastidio. E
poi parlare con qualcuno fuori dal mio “mondo”, avrebbe significato rompere quella spina o
comunque forzarla troppo.
Può sembrare strano ma gli stessi aggeggi elettronici che prima rifiutavo per dedicarmi alla mia
nuova vita, ora sono l’unica cosa che mi leghi ancora a quel mondo!
Parlare con le mie amiche solo tramite skype è difficile: “Quante cose non sai, quante dobbiamo
raccontarti!” mi dicono loro; ma è complicato descrivere questi momenti, perché è ovvio che
provi una grande gioia a vedere di nuovo le tue amiche e sentire le loro voci, ma quello che ti
dicono sono solo parole, racconti. Tu non fai più parte di quei racconti. E quando quella
videochiamata finisce, finisce anche quella realtà, ritorni alla tua vita normale e tutto quell’anno è
solo un ricordo.
Però poi ci sono quelle volte, dove tutte le emozioni, tutti i ricordi di quell’anno riaffiorano
all’improvviso. Mi riempiono la giornata di felicità, perché quello che ora ho dentro non l’avrei mai
acquisito se non fossi partita. Infatti i miei compagni non ce l’hanno quella scintilla negli occhi
quando si parla del mondo, di nuove lingue e di tradizioni. Non vogliono uscire dal loro guscio
protettivo, è troppo caldo e comodo per lasciarlo. Si accontentano di conoscere il mondo soltanto
tramite uno schermo. Vorrei dire loro: svegliatevi, vivete, viaggiate!
Ho cercato di farlo alcune volte, ma aprire la mentalità alle persone è difficile e poi non puoi
costringerle a pensare certe cose. Perché i paesi, le culture, le persone, le tradizioni, la bellezza
della diversità si comprendono da soli, vivendo!
9) Beatrice Rossi, da Bergamo alla Cina per un anno
Prima di partire non avevo grandi aspettative, speravo solo di non aver grandi problemi con la
lingua. sapevo che i cinesi sono molto ospitali, e durante l'anno in Cina questo è stato confermato.
inoltre ho scoperto (cosa che non mi sarei aspettata) che sono molto curiosi riguardo gli
occidentali, vogliono sapere le cose più disparate per esempio uno dei miei compagni mi aveva
chiesto se noi avevamo le macchine.. l'esperienza mi ha portato a vedere i cinesi non più solo
come coloro che grazie al ristorante mi fanno provare una cucina diversa (che poi rispetto alla
cucina cinese vera e propria, il cibo cinese non ha nulla a che vedere!) ma anche come persone
molto gentili e interessati agli altri.. non nutrivo pregiudizi per fortuna, e ora men che meno..
10)
Alice Dominici, da Roma al Costarica per un anno
Un’esperienza all’estero è sempre foriera di maturazione dai più svariati punti di vista:
sicuramente però la personalità di chi la affronta e il paese scelto influiscono notevolmente su
quali valori appresi abbiano maggior peso. Io ho vissuto per un anno in Costa Rica: il mio anno, più
di tutto, mi ha insegnato il vero significato del proverbio “Il troppo stroppia". Il Costa Rica è infatti
un paese che pur essendo il più sviluppato di tutta l’America Centrale, ai nostri occhi di europei
appare sottosviluppato. Inoltre, ho trascorso la mia esperienza presso una famiglia con gravi
difficoltà economiche (e posso assicurarvi che chi ha difficoltà economiche in Italia vivrebbe
molto più che dignitosamente in Costa Rica): questo significa che ho vissuto sotto un tetto di
lamiera, senza acqua calda, in condizioni igieniche gravi che mi hanno procurato diversi problemi
di salute e seguendo un’ alimentazione molto povera –riso e fagioli principalmente-, tanto che a
volte si saltavano i pasti. Ad esempio, è capitato che la mia mamma ospitante mettesse via il pane
prima del tempo, per non dovermi spiegare che bisognava conservarlo per il giorno dopo e quindi
risparmiare.
In questo contesto, a cui devo ammettere di aver fatto molta fatica ad adattarmi, il computer
rappresentava per me l’unico vero oggetto di valore, oltre che un contatto con il mondo di cui
avevo tantissima nostalgia. Confesso e mi pento di aver passato troppo tempo su Facebook ad
illudermi di vivere virtualmente la vita agiata che avevo lasciato in Italia, perdendo tempo prezioso
della mia esperienza- e per il quale,adesso, pagherei oro.
Nel frattempo però, senza accorgermene, mi abituavo lentamente alla mia vita in Costa Rica: dopo
qualche mese non solo ero abituata, ma avevo compreso che riuscivo a vivere benissimo anche lì.
In realtà la mia homesickness riguardava più gli agi e i beni materiali a cui ero abituata in Italia che
la mia vita quotidiana, e ho riscontrato la stessa difficoltà nei miei amici stranieri, sempre borsisti
di Intercultura (svizzeri, tedeschi, islandesi, austriaci, francesi). Non erano i miei amici o la mia
famiglia a mancarmi così ossessivamente, perché avevo accettato la loro assenza come parte
dell’esperienza che dovevo affrontare, ma ero vittima della dipendenza dal benessere che è ormai
parte di tutti noi: come si è poi argomentato anche con la mia insegnante di lettere, abbiamo così
tanto benessere materiale da aver rinunciato al benessere psicologico, in funzione del bisogno
spasmodico di avere sempre di più, come dei moderni Mazzarò.
Cerchiamo un impiego stabile come condizione necessaria per poter andare avanti, e siamo
terrorizzati all’idea di non vederci garantiti i beni materiali da cui siamo dipendenti, che si tratti
della macchina nuova a 18 anni, dell’ Iphone o del guardaroba sempre all’ultima moda: la
mancanza di queste certezze è alla base della scarsa fiducia nel futuro da parte della maggioranza
dei giovani italiani (e non solo). Questo in Costa Rica non esiste: si vive alla giornata e ci si
accontenta, assaporando ogni attimo, Carpe diem. Da questo punto di vista, il mio anno in Costa
Rica è servito come terapia di disintossicazione dalla droga del benessere necessario e
irrinunciabile, e i social network, impedendomi di immergermi totalmente nella realtà che mi ha
ospitata con tanta umiltà e buona volontà, hanno sicuramente ostacolato e rallentato la mia
crescita e la buona riuscita dell’esperienza.
Quando ho partecipato alle selezioni di Intercultura, nel novembre del 2010, avevo appena
compiuto 16 anni e volevo andare negli Stati Uniti, come quasi tutti i ragazzi che ,a novembre dello
scorso anno, ho selezionato con gli altri volontari.
Fortunatamente, la mia attitudine alla riflessione mi ha portato a comprendere che in realtà non
erano gli Stati Uniti ciò che desideravo; forse mio padre lo desiderava più di me. Il Costa Rica è
arrivato come un fulmine a ciel sereno: non sapevo nemmeno dove collocarlo nel continente
centro-sud americano il giorno che i volontari del mio centro locale mi parlarono di una ragazza,
Chiara, che in quel momento si trovava proprio in Costa Rica.
Chiara viveva sotto un tetto di lamiera, in una famiglia estremamente povera, ma era felicissima
dell’esperienza che stava vivendo. Parlava lo spagnolo, si trovava in mezzo ad una natura dalla
bellezza sconvolgente e non c’era motivo per cui sarebbe tornata indietro nella sua scelta.
E Costa Rica fu, perché ciò che cercavo era un’esperienza che fosse diversa da tutto ciò che avevo
vissuto fino ad allora, che riuscisse a rivoluzionare i confini della mia mentalità e della mia
concezione della vita.
Quando mi informarono che avevo effettivamente vinto una borsa di studio per il Costa Rica,
assieme all’entusiasmo smisurato che caratterizza il “prima” di qualsiasi esperienza di questo tipo,
cominciò ad emergere gradualmente la paura: la povertà a cui andavo incontro in Costa Rica, per
quanto poetica, mi spaventava.
Nei mesi precedenti alla partenza non è passato giorno senza che leggessi blog di qualche
americano sulla vita in Costa Rica e sui ticos (i costarricensi); soprattutto però, all’arrivo della
notizia ho cominciato a cercare spasmodicamente ragazzi costarricensi in rete, per poter ottenere
notizie direttamente e farmi un’idea della mentalità dei giovani con cui avrei vissuto. In questo
modo ho conosciuto Lola, mia sorella, che aveva 17 anni ed era (lo è tuttora) una grande
appassionata di lingua e cultura italiana, talmente appassionata da proporre alla sua famiglia di
ospitarmi per un anno. Io e Lola ci cercavamo quasi ossessivamente, calcolando il fuso orario: ci
raccontavamo delle nostre vite in uno spagnolo coadiuvato da google a dal dizionario, mi inviava
foto della casa e della cittadina in cui avrei vissuto (Pérez Zeledòn).
Ciononostante, è impossibile per una sedicenne in procinto di andare a vivere in Centro America
rimanere immune da pregiudizi e da false aspettative. Immaginavo un luogo paradisiaco, popolato
da persone gentili e disponibili, aperte al dialogo, come mi appariva Lola. L’entusiasmo offusca
sempre la razionalità: al mio arrivo e per le prime settimane mi sentivo imprigionata in una
situazione opprimente, circondata da persone mediamente ignoranti e subito pronte a giudicare, o
almeno così mi sembrava. Con il tempo però, comprendendo a fondo la cultura costarricense e gli
atteggiamenti dei ticos, ho cominciato ad entrare in sintonia con ciò che mi circondava, fino a
riconfermare quelle aspettative precedenti alla partenza.
Il mio adattamento alla cultura costarricense può essere inteso quasi hegelianamente: era tutto
esattamente come me lo aspettavo, ma da un punto di vista diverso, più profondo e consapevole
ma soprattutto interno al contesto.
Il Costa Rica mi ha lasciato la consapevolezza di poter vivere con semplicità, Pura Vida, senza
affannarsi e approfittando di ogni momento per vivere e non per sopravvivere, a vivere sotto un
tetto di lamiera e considerarsi fortunati, ad essere felice di poco: in Italia è difficile mettere tutto
questo in pratica, perché la nostalgia del Costa Rica e le difficoltà che il nostro paese crea
(soprattutto ai giovani) offuscano quella positività che però, con grande orgoglio, ho sempre
dentro di me.