Dispensa per i docenti

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Dispensa per i docenti
PROGETTO
Corso di formazione-aggiornamento per insegnanti
Scuola dell’Infanzia Statale “A. Giuffredi” di Montecchio Emilia
Scuola dell’Infanzia Statale “Papa Giovanni XXIII” di S. Polo d’Enza
Scuola dell’Infanzia Statale “Primavera” di Monchio delle Olle
Anno scolastico 2006-07
Claudia Vanzi
Psicologa
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INDICE
Introduzione
1. Lo sviluppo del linguaggio
1.1 Lo sviluppo del linguaggio, la sua evoluzione motoria e fonetica
1.2 Il linguaggio dall’azione al pensiero
2. Il gesto di indicare con intenzione dichiarativa nello sviluppo del linguaggio
2.1 Attenzione congiunta del bambino e dell’adulto su un oggetto.
3. Il linguaggio rivolto al bambino: il baby-talk
3.1 Il baby talk nel contesto educativo
4. Il gioco simbolico e l’acquisizione del linguaggio
4.1 Linguaggio e gioco simbolico
4.2 Giocare con il linguaggio
5. Lo schema corporeo e l’immagine di sé
5.1 Indagine dello schema corporeo
6. Integrazione scolastica e bambini stranieri
7. Rapporto sull’integrazione scolastica dei bambini in Europa
7.1 Sostegno alla lingua materna: un ponte tra due culture
Bibliografia
Claudia Vanzi
Psicologa
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Dott.ssa Claudia Vanzi
Psicologa
Via C. Pavese 3
42027 Montecchio Emilia (RE)
tel. 348.0401471
mail: [email protected]
Introduzione
Il corso di formazione è parte integrante di un progetto più ampio che prevede anche un laboratorio
linguistico per i bambini di 4 e 5 anni che presentino qualche difficoltà di espressione linguistica e
per i bambini di origine straniera. Vi è inoltre una parte dedicata ai genitori che prevede il loro
coinvolgimento nella lettura a casa di favole il cui racconto viene poi richiesto a scuola dalle
insegnanti.
Gli obiettivi di tutto il progetto riguardano:
- potenziamento del linguaggio per i bambini italiani e stranieri che mostrino carenza nel
vocabolario o nella produzione linguistica.
- Coinvolgimento dei genitori alla lettura di favole
- Fornire momenti di riflessione e strumenti alle insegnanti riguardo lo sviluppo del
linguaggio, il suo potenziamento.
Possiamo dire quindi che l’obiettivo principale del progetto, e che ne unisce tutte le parti, è
l’attenzione posta al linguaggio, al suo sviluppo e al potenziamento, sia per i bambini che mostrano
carenze, che per i bambini che hanno un sufficiente vocabolario e una espressione linguistica
adeguata.
In particolare il corso di formazione rivolto alle insegnanti ha come obiettivo di stimolare la
riflessione sul linguaggio, il suo apprendimento, la sua evoluzione al fine di aumentare le
competenze delle docenti e divenire strumento d’azione didattica.
Il corso si articola in 6 incontri di 2 ore ciascuna da svolgersi nell’arco dell’anno scolastico.
Gli stimoli che verranno forniti saranno sia teorici che pratici, e prevedono quindi anche l’utilizzo
di simulate o role-playing oltre a schede di rilevazione.
Durante il corso cercheremo anche di adattare la parte teorica ad una più pratica relativa a
specifiche situazioni di sezione. Le insegnanti sono invitate a fare riferimento ai propri vissuti
personali relativi al lavoro con i bambini. L’intento è quello di legare il più possibile gli aspetti
pratici a quelli teorici in un rimando continuo. Essenziale, infatti, è favorire la riflessione sulle
specifiche situazioni in gruppo in modo da fornire una più ampia condivisione delle soluzioni e
delle idee applicabili.
Naturalmente, tale trattazione pratica non è riportabile n questa trattazione teorica che prevede,
infatti, solo argomenti che fungono da traino alle discussioni.
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1. Lo sviluppo del linguaggio
Presentazione di tutti i partecipanti: conoscenza.
1.1 Lo sviluppo del linguaggio, la sua evoluzione motoria e fonetica
La comunicazione fa da cornice al linguaggio.
Fin dai primi giorni di vita il bambino e la madre si mettono in comunicazione, ma non possiamo
dire che le vocalizzazioni del neonato siano linguaggio. Con i vagiti e altri suoni il bambino fa
pratica dell’apparato fonatorio.
Così come vi è uno sviluppo motorio che coinvolge il corpo e ne implementa le capacità portando il
bambino dalla posizione supina alla deambulazione, anche la bocca, la lingua, l’udito e il sistema
nervoso si sviluppano per premettere al bambino di utilizzare il linguaggio.
In particolare vediamo che dalla nascita ai 9 mesi il neonato migliora ogni giorno il controllo della
bocca, l’emissione dell’aria, la deglutizione, il controllo della lingua, l’ingestione dei liquidi e del
cibo. Parallelamente a ciò fa pratica delle emissione vocali, produce suoni, ne testa l’intensità e
comincia a percepire che essi hanno una rilevanza nella relazione con la madre. Infatti, l’adulto fin
da subito parla al bambino, ne stimola l’interazione linguistica, risponde ai suoni del bambino,
esalta ogni produzione dando significato alle semplici articolazioni infantili. Nonostante ciò non
possiamo ancora dire che vi sia linguaggio nel neonato poiché al suono non viene associato ancora
alcun significato. Solo successivamente le articolazioni sonore acquisiscono intenzione
comunicativa, divengono quindi strumento per esprimere bisogni, emozioni e concetti ecc.
Dai 9 mesi in poi possiamo dire che le articolazioni infantili hanno un significato che da più
elementare diviene via via più complesso.
La comprensione è normalmente maggiore della produzione e, infatti, vediamo che mentre un
bambino tra i 12 e i 18 mesi si esprime con circa 15 parole, ne comprende molte di più tra le quali
vi sono anche azioni motorie complesse ( come ad esempio: “Dammi la palla”).
Intorno ai 2 anni il bambino possiede circa 300 parole vi è l’introduzione dell’olofrase, ovvero
l’utilizzo di una parola per indicare diversi concetti ( ad esempio “acqua” significherà voglio
l’acqua o sta piovendo a seconda dei contesti.
A 3 anni il bagaglio linguistico è di circa 1000 parole e le frasi divengono molto articolate
arricchendosi nella sintassi e nei contenuti. Vi possono ancora essere molti errori nella semantica e
nella sintassi.
A 4 anni il vocabolario è di 1500 parole e l’uso che ne fa è concreto senza arrivare all’analisi dei
contenuti delle risposte che ottiene alle sue domande.
A 5 anni sono ormai 2500 parole quelle che possiede e l’utilizzo che ne fa è maggiormente
speculativo. Riesce quindi a fare le prime astrazioni e l’articolazione diviene quasi priva di difetti.
Questo breve excursus vuole evidenziare come durante lo sviluppo del linguaggio vi sia uno scatto
maturativo tra i 4 e 5 anni che vede un arricchimento nel vocabolario maggiore rispetto a tutte le
fasi precedenti e possiamo dire che ciò avvenga perché un bambino di 5 anni ha la necessità di
esprimere concetti più complessi, concreti e astratti, mentre precedentemente le necessità
linguistiche erano legate maggiormente alla realtà presente e all’acquisizione della morfologia delle
parole e della sintassi.
Tornando al bambino piccolo possiamo seguire lo sviluppo linguistico. L’apprendimento della
pronuncia dei suoni avviene seguendo un percorso che parte dalle labbra, prosegue verso i denti e
termina con la gola.
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Con le labbra si pronunciano i suoni M, P e B.
Con i denti i suoni T, D, L ed N. con la gola i suoni G dura e K.
Poi vi sono suoni più complessi che prevedono suoni e vibrazioni come S, CI, GI, SCI, Z, F, V, R.
1.2 Il linguaggio dall’azione al pensiero
La produzione del linguaggio è quindi anche un’azione, nasce dal corpo, ha bisogno di tempo per
essere acquisito come ogni altro gesto motorio.
Quando valutiamo le capacità linguistiche del bambino dobbiamo quindi tenere in considerazione la
qualità della produzione da identificarsi sia nella capacità motoria dell’articolazione del suono e
della parola, sia nella conoscenza semantica (dei significati) e pure nella ricchezza sintattica
(costruzione corretta della frase).
Ma tornando al bambino piccolo vediamo chiaramente che prima della parola vi è il gesto. Quando
il bambino comincia ad indicare un oggetto (pointing) comincia a dare un significato alle cose. Dal
punto di vista psicologico si tratta di una tappa fondamentale dello sviluppo. Quel gesto, l’indicare,
implica una comunicazione che precede il linguaggio, spesso lo sostituisce a lungo. Infatti, se
osserviamo i bambini piccoli notiamo che attraverso l’azione esprimono la comunicazione, mentre
l’adulto arricchisce di parole ogni gesto infantile, lo connota, lo interpreta.
In questo modo il bambino associa al gesto la parola corrispettiva, la apprende e la fa propria. Tale
processo, identificato come interiorizzazione permette di creare, nella mente del bambino quel
bagaglio di conoscenza linguistica che gli servirà poi per esimersi attraverso il linguaggio.
Il gesto del bambino diventa parola sulla bocca del genitore, viene appresa, interiorizzata e diviene
strumento per il pensiero del bambino.
Il linguaggio si sostituisce all’azione, diventa pensiero, crea pensiero, serve per pensare.
Quindi: potenziare il linguaggio, arricchirlo, stimolarlo significa arricchire il pensiero.
Riprendendo le presentazioni: per presentarsi si devono cercare dentro di sé le parole che ci
rappresentano, parole che esprimono ciò che pensiamo.
2. Il gesto di indicare con intenzione dichiarativa nello
sviluppo del linguaggio
Nell’incontro precedente abbiamo sottolineato l’importanza del gesto di indicare (pointing) come
precursore fondamentale nello sviluppo del linguaggio.
Tale gesto viene utilizzato dai bambini con due diversi intenti comunicativi: per richiedere un
oggetto o una azione desiderati (INTENZIONE RICHIESTIVA) e per condividere con
l’interlocutore l’interesse/attenzione su un evento esterno (INTENZIONE DICHIARATIVA).
Come ha evidenziato la Camaioni entrambe queste intenzioni comunicative sottendono diverse
capacità socio-cognitive. Nel produrre il gesto di indicare con intenzione richiestivi, il bambino
intende influenzare il comportamento dell’interlocutore per raggiungere il proprio scopo (es.
ottenere un oggetto); tale intenzione riflette una aspettativa sul comportamento dell’altro, la
capacità di usare strumenti sociali e una rappresentazione dell’altro come attore di una azione.
Nel secondo caso, quando l’intenzione è dichiarativa, il bambino cerca di influenzare l’attenzione e
l’interesse dell’altro verso il mondo esterno. In questo caso è necessaria la capacità di usare uno
strumento comunicativo (un gesto comunicativo) per condividere l’attenzione dell’interlocutore.
Dunque è necessaria una rappresentazione dell’altro con una propria soggettività, capace quindi di
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intrattenere relazioni psicologiche con l’ambiente esterno (es. provare interesse, condividere una
esperienza).
Possiamo sostenere, alla luce di questa spiegazione, che solo l’intenzione comunicativa dichiarativa
può essere considerata una vera e propria intenzione comunicativa, in quanto implica una
comunicazione “ come scopo in sé” piuttosto che “come strumento per altri scopi”. Dobbiamo,
infatti, sottolineare come alla base della intenzione comunicativa vi siano non solo competenze
sociali, ma anche la conoscenza degli altri come persone.
Il gesto di indicare è anche significativo nell’acquisizione del linguaggio poiché si ipotizza una
continuità tra la comunicazione gestuale e quella verbale. Diversi studi hanno evidenziato una
correlazione positiva tra la produzione del gesto di indicare a 12 e 16 mesi di età sia con la
comprensione linguistica, sia con l’ampiezza del vocabolario a 20 mesi di età.
I bambini che fanno un maggior uso del gesto di indicare sono quelli che alcuni mesi più tardi
risultano più avanzati nello sviluppo del linguaggio.
2.1 Attenzione congiunta del bambino e dell’adulto su un oggetto.
Il gesto di indicare porta il bambino e l’adulto a condividere l’attenzione allo stesso oggetto. In tal
modo si verifica uno scambio linguistico sulle caratteristiche dell’oggetto stesso. Attraverso azioni
di questo genere il bambino apprende il diverso punto di vista dell’altro.
3. Il linguaggio rivolto al bambino: il baby-talk
Imparare a palare non significa solo apprendere la grammatica di una lingua specifica, ma anche, e
soprattutto, diventare capaci di relazionarsi con gli altri, impadronendosi delle conoscenze
necessarie per fare del linguaggio uno strumento di appartenenza culturale.
L’adulto, nell’acquisizione del linguaggio gioca un ruolo fondamentale, non solo come modello da
imitare, ma anche come partner desideroso di entrare in relazione con il bambino, di farsi capire e di
comprenderne le comunicazioni che il bambino fa.
Il linguaggio che gli adulti rivolgono al bambino piccolo è definito baby talk ed ha alcune
caratteristiche fondamentali:
1. Modo di produzione: il linguaggio è più lento, più scandito e pronunciato chiaramente.
2. Semplicità formale: enunciati più brevi e semplici dal punto di vista sintattico.
3. Aspetti prosodici: si fa uso di tutta la gamma di toni della voce. Uso esagerato
dell’intonazione.
4. Semplicità semantica e ridondanza: il lessico è più ristretto, più ricco di ripetizioni di parole
e frasi. L’argomento è in genere limitato all’attività in corso o ad elementi del contesto.
5. Funzione: la funzione principale è quella di controllare il comportamento del bambino,
dirigere e sostenere l’interazione.
Generalmente le persone che si prendono cura direttamente del bambino utilizzano il baby talk, ma
si è notato che anche i bambini, quando si rivolgono a bacini più piccoli utilizzano queste specifiche
modalità di interazione. Addirittura si è notato che fin dai 4 anni di età si è in grado di usare il baby
talk per parlare con bacini più piccoli.
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3.1 Il baby talk nel contesto educativo
Anche nei contesti educativi, come nidi e scuole d’infanzia, viene utilizzato il baby talk dalle
educatrici e dalle insegnanti. Ciò che muta rispetto ad altri contesti è la quantità di interlocutori a
cui ci si deve rivolgere. Indubbiamente nella situazione di gruppo l’adulto fornisce più informazioni
rispetto alla situazione diadica, questo perché si trova di fronte ad una molteplicità di comunicazioni
a cui deve dare risposta. Si può notare che generalmente l’adulto, in questi contesti, tende a
rivolgersi al “bambino medio” senza adattare il proprio linguaggio alle competenze dei singoli.
Si può supporre quindi che il lavoro in piccolo gruppo permetta un miglior adattamento linguistico
dell’adulto al livello dei bambini che ha di fronte.
Per quanto riguarda poi i bambini stranieri è evidente che se il loro livello di acquisizione della
nostra lingua non è ancora completo, o addirittura minimo, sarà necessario ricorrere al baby talk.
Organizzare piccoli gruppi di livello linguistico omogeneo può migliorare il livello di comprensione
e di produzione dell’educatrice, adattandosi al meglio la livello dei bambini.
4. Il gioco simbolico e l’acquisizione del linguaggio
L’acquisizione del linguaggio da parte dei bambini ha da sempre colpito l’attenzione poiché sembra
essere un fatto “miracoloso”: entro i primi due anni, infatti, tutti i bambini imparano, senza alcun
insegnamento specifico, la lingua a cui sono esposti. Acquisire una lingua è, inoltre, una capacità
che solo i piccoli della specie umana sembrano possedere: una delle facoltà che differenzia gli
esseri umani da tutte le altre specie.
Il bambino porta come suo contributo all’apprendimento del linguaggio una serie di potenzialità e
di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici, ma ha bisogno degli stimoli
ambientali per realizzare tali potenzialità. Grazie a questa particolare interazione si sviluppa nel
bambino una serie di regole e conoscenze linguistiche che egli userà tutta la vita per parlare e
capire gli altri quando parlano.
Come abbiamo visto l’acquisizione del linguaggio si presenta come lo snodarsi di una serie di fasi
che si succedono in un determinato ordine, allo stesso tempo, questo processo è caratterizzato da
grandissime variabili individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le strategie di
apprendimento.
Accanto a fattori comuni a tutti gli esseri umani, nell’acquisizione del linguaggio entrano in gioco
variabili importanti come le capacità cognitive, l’ambiente sociale e culturale, l’input materno e gli
stili di interazione tra l’adulto che si occupa prevalentemente del bambino e il bambino stesso.
Lo sviluppo della competenza linguistico-comunicaiva è collegata a numerose acquisizioni
complesse e tra loro integrate sul piano biologico, psicologico e sociale.
Per parlare un bambino deve:
- Avere sviluppato competenze motorie oro-faringee adeguate e saper programmare una
sequenza motoria complessa
- Avere discriminazione uditiva sviluppata.
- Saper organizzare i suoni in un ordine temporale lineare.
- Accettare regole implicite condivise.
- Saper ordinare gli oggetti in categorie.
- Essere stato esposto a stimoli adeguati
- Avere intenzione comunicativa.
- Essere in grado di passare dal reale al simbolico
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4.1Linguaggio e gioco simbolico
Tra lo sviluppo cognitivo e linguistico e la funzione ludica, in particolare l’attività simbolica, vi è
una stretta correlazione.
Il gioco di “far finta”, come il linguaggio, si sviluppa attraverso l’uso di simboli; è un punto critico
per lo sviluppo cognitivo del bambino in quanto stimola e allena il pensiero astratto, la creatività,
l’abilità di soluzione dei problemi, l’autocontrollo.
Nel gioco simbolico c’è la rappresentazione di realtà non reali, come nel linguaggio c’è un uso
simbolico convenzionale delle parole: linguaggio e gioco dunque sono fenomeni paralleli.
I bambini cominciano a produrre le prime sequenze linguistiche quando cominciano ad usare
simboli non verbali anche nel gioco.
Lo sviluppo del gioco simbolico segue una precisa evoluzione. Dai 12 ai 36 mesi il gioco diviene
più flessibile, sempre più complesso e con aspetti generalizzati. Via via i bambini acquisiscono la
possibilità di avere diversi ruoli nel gioco e sostenere un tema preciso, anche in assenza di materiali
reali e concreti.
Il gioco simbolico nasce dallo schema d’azione con gli oggetti; dapprima il bambino usa lui stesso
come soggetto del gioco simbolico (es: fa finta di dormire anche se non ha sonno) oppure utilizza
oggetti reali o giocattoli (es: beve da una tazza anche se non c’è nulla dentro).
In seguito, dai 18 mesi il bambino compie azioni di far finta su altri (es: spazzola i capelli di una
bambola) e può anche sostituire un oggetto con un altro che non richiama essenzialmente l’oggetto
sostituito (es: usa una matita come un pettine).
Dai 24 mesi si sviluppa la capacità di usare una sequenza di più azioni (es: prepara e mangia per
finta un cibo); via via le sequenze possono essere combinate tra loro e il bambino è in grado di
interpretare il ruolo di un’altra persona (es: gioca a fare la mamma)
Dopo i 36 mesi il gioco simbolico assomiglia sempre di più ad una drammatizzazione: un gruppo di
bambini collabora allo svolgimento di un tema nel quale ogni bambino assume un ruolo, seguendo
le regole di comportamento.
La drammatizzazione è incentrata sulle persone e non sugli oggetti, ed è una forma molto avanzata
di gioco simbolico.
Il gioco simbolico prevede la capacità di osservare le azioni degli altri, memorizzarle e in seguito
ripeterle anche in una contesto diverso, in modo differito. Il bambino deve quindi aver appreso la
capacità di rappresentare con precisione cose ed eventi agiti da altri ed aver compreso l’esistenza di
una relazione psicologica tra se stesso e il modello che ha eseguito originariamente l’atto.
In qualche modo il bambino deve rappresentare se stesso in una forma simile a quella del modello.
Ciò richiede una rappresentazione di sé come entità oggettiva che può essere vista dall’esterno, oltre
ad essere sentita soggettivamente dall’interno.
L’aspetto più importante di questa capacità di riconoscersi come Sé è la capacità di coordinare gli
schemi esistenti nella mente con operazioni che esistono all’esterno sotto forma di azioni o parole.
Ne risultano tre conseguenze notevoli: la possibilità di mettersi in relazione con il mondo, la
capacità di riflettere su di sé, la capacità di impegnarsi in atti simbolici come il gioco simbolico e il
linguaggio.
La capacità di simbolizzare permette ai bambini di trascendere l’esperienza immediata dà loro la
possibilità di lavorare su di essa nell’immaginazione o nella realtà.
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4.2 Giocare con il linguaggio
Ben presto il bambino intuisce che il linguaggio, con i suoi suoni, può essere trattato come
materiale di gioco, sia per la plasticità dei suoi elementi che per a distorsione dei significati.
Vi è da dire che il divertimento principale del bambino non è dato tanto dal significato quanto dalla
possibilità di elaborare nuovi suoni.
5. Lo schema corporeo e l’immagine di sé
Il linguaggio è strettamente correlato allo schema corporeo perché, come abbiamo detto in
precedenza, il linguaggio nasce dal corpo, ed è espressione di schemi di coordinazione motori.
Inoltre è attraverso il movimento nello spazio che il bambino acquisisce la necessità di nominare gli
oggetti, interagisce con essi e raggiunge la capacità simbolica necessaria al linguaggio.
A livello neurologico alcune funzioni del linguaggio sono in relazione con la coordinazione spaziale
e le capacità visuo-spaziali. Notiamo quindi che le competenze motorie necessarie a muoversi in
modo coordinato nello spazio, le capacità visive e motorie sono correlate alle capacità cerebrali del
linguaggio. Si tratta proprio di aree del cervello specifiche utili per entrambe le attività: il
linguaggio e il movimento.
Possiamo, inoltre ritenere che i disturbi della lettura e della scrittura (che possono emergere
successivamente) siano legati a difficoltà di percezione visiva e di coordinazione mano-occhio, oltre
che dalla corretta abilità di coordinazione motoria generalizzata.
Con questo non si vuole sostenere che un bambino scoordinato avrà certamente un disturbo del
linguaggio o della scrittura, o addirittura nella lettura, ma semplicemente che vi è una probabile
correlazione tra queste funzioni e le capacità di coordinazione motoria.
Se però analizziamo positivamente tale relazione possiamo dedurre che sostenere e incentivare la
coordinazione spaziale dei bambini, accrescerne le competenze motorie e potenziare potenzia
l’acquisizione del linguaggio e successivamente l’apprendimento della lettura e della scrittura.
Tutte le funzioni motorie e di coordinazione vengono individuate come SCHEMA CORPOREO
che è, in sintesi, la capacità del bambino di percepirsi nello spazio, percepire gli oggetti attorno a sé.
Vi sono esercizi semplici, e ormai facenti parte degli strumenti operativi degli insegnanti, che
possono essere effettuati per indagare la coordinazione spaziale e lo schema corporeo
5.1 Indagine dello schema corporeo
Riconoscimento delle diverse parti del corpo in se stesso e nell’altro
Ad esempio nominare le parti del corpo:
- su di sé
- nell’altro
- su una bambola
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Relazione spazio-corpo:
- ripetizione dei movimenti dell’esaminatore
- imitazione di posizioni simmetriche
- test di Borel Maisony (davanti all’esaminatore ripetere le posizioni richieste: mano destra su
orecchio sinistro, mano sinistra con orecchio destro, mano destra sull’occhio sinistro ecc.)
- imitazione dei movimenti rappresentati su una bambola.
Relazione tempo-corpo:
- si propongono al bambino ritmi diversi (ad esempio battendo le mani sul tavolo) e si chiede di
ripeter gli stessi ritmi sottolineando tempi più lunghi e tempi più brevi.
Indagine della lateralità
Riconoscimento destra-sinistra
Predominio delle mani
- incrociare le braccia
- incrociare le mani
- prendere una mano con l’altra
-mescolare un mazzo di carte
- distribuire le carte
Prova di Perazzo e Limansky
- stappare una bottiglia
- tagliare con la forbice
- lanciare una palla
- pulirsi le scarpe
- cancellare la lavagna
- bere da un bicchiere
- sfogliare un libro
-descrivere indicando
Predominio dell’occhio
si chiede al bambino di guardare attraverso un “cannocchiale” di cartone (l’occhio che sceglie per
guardare è quello dominante)
Predominio del piede
- calcio alla palla
- calcio al muro
- salire su una sedia
- salire un gradino
Naturalmente bisogna tener conto che in un bambino prima dei 6 anni la lateralità non è ancora
definitiva che bisogna quindi attendere fino ai sette anni prima di definirne la scelta e quindi se vi
siano difficoltà.
Indagine della nozione spaziale
Si indaga sulla capacità del bambino di riconoscere:
su, giù, davanti, dietro, di fianco, dentro, fuori, largo, sottile, alto, basso, salire, scendere…..
palla e sedia di Decroly ( si utilizza una pallina mettendola a richiesta sopra, sotto, dietro, davanti, a
un lato, all’altro…)
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Questi sono solo alcuni, i più comuni test per l’indagine delle capacità senso-motorie. Come già
detto bisogna tenere conto dell’età anagrafica del bambino. Per un insegnante queste indicazioni
possono essere utili per costruire un progetto didattico che sostenga lo sviluppo di queste capacità.
6. Integrazione scolastica e bambini stranieri
Ogni anno scolastico il numero di bambini stranieri presenti nelle nostre scuole aumenta. Ciò porta
con sé grosse opportunità di scambio interculturale e di arricchimento personale, ma anche nuovi
interrogativi e difficoltà, in particolar modo per le insegnanti che si trovano a doversi confrontare
con un mondo sconosciuto e tanto variegato.
La difficoltà maggiore è, a mio avviso, rappresentata dall’incomprensione linguistica con bambini
che non parlano l’italiano e la necessità di fornire loro gli strumenti necessari perché si ambientino
al meglio nel nostro paese.
Superate però le prime difficoltà, all’aumentare dell’inserimento dei bambini nella vita della classe,
si può giungere ad avere bambini stranieri che conoscono ormai due lingue: quella di origine dei
loro genitori e l’italiano.
Abbiamo così sempre più bambini bilingui, che padroneggiano due lingue. Notiamo però che
spesso l’uso di una lingua è esclusivamente legata al contesto. I bambini preferiscono parlare
italiano a scuola e la lingua di origine (o lingua madre) con i genitori facendo bene attenzione
perché i due registi non si mescolino. Se viene richiesto loro di pronunciare qualche parola nella
loro lingua madre, spesso o meglio sempre, si rifiutano e tendono a riproporre le parole italiane
richieste.
Ciò avviene perché adottano la strategia “una lingua-una persona” ovvero si sceglie di parlare la
lingua di riferimento del contesto in cui ci si trova.
Studi approfonditi hanno dimostrato che dall’età di 3 anni vi è la capacità di separare
l’apprendimento dei due lessici, separando quindi le lingue. Vengono creati così due sistemi
linguistici separati. Il bambino è consapevole di possedere questi due registri, ma sceglie per motivi
culturali e/o psicologici di non introdurre un sistema nell’altro.
Possiamo supporre che uno dei motivi sia dovuto al fatto che essi sentano la richiesta dei genitori
di rivolgersi in italiano alle insegnanti italiane per meglio acquisirne la lingua. Forse la questione è
più intima: si parla a casa la lingua materna, di famiglia e incomprensibile agli italiani, e si sceglie
l’italiano per le situazione esterne, scolastiche. Si creano così due mondi separati, separati anche dal
sistema linguistico.
Possiamo però anche pensare che il bambino straniero si rifiuti di farci partecipi anche solo di
alcune parole nella propria lingua poiché si sente di non essere compreso da noi, come se non
intendendo ciò che dice lo facessimo sentire maggiormente diverso e ne sottolineassimo
l’estraneità, il suo essere straniero.
Credo pertanto che ancora una volta sia un problema di ordine psicologico. Il bambino non
comprende il nostro interesse di venire in contatto con la sua lingua d’origine, ma sente che ne
sottolineiamo, anche se con amicizia e simpatia, e quindi con le migliori intenzioni, la sua diversità,
la sua peculiarità.
Osservando però in sezione bambini che provengono dallo stesso paese, o che per lo meno ne
condividono la lingua, ho notato che raramente essi parlano tra loro la lingua comune. Ciò avviene
solo tra fratelli, abituati quindi a comunicare nella lingua di famiglia.
Come possiamo spiegare ciò? Cosa porta i bambini stranieri a non parlare con altri bambini stranieri
la lingua che li accomuna?
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7. Rapporto sull’integrazione scolastica dei bambini in Europa
Nel febbraio 2007, con il sostegno della Commissione europea, è stata pubblicata una relazione
sullo stato dell’integrazione dei bambini immigrati nell’istruzione preprimaria, primaria e
secondaria generale obbligatoria nel 2003-2004.
Nel sito internet della Regione Emilia Romagna, alla sezione Scuola, è possibile trovare una
versione sintetica sui punti principali di tale pubblicazione.
Si tratta di un documento interessante e penso valga la pena riportarne alcuni punti salienti, che
possono arricchire la nostra trattazione.
Dato che la competenza nella lingua d’insegnamento essenziale per esercitare a pieno il diritto
all’istruzione, le misure di sostegno linguistico sono di gran lunga quella più diffuse in tutta Europa.
Alcuni paesi nordici,oltre all’Estonia, Cipro e Lettonia, offrono l’insegnamento bilingue con corsi
sia nella lingua materna degli alunni, sia nella lingua del paese ospitante.
Sappiamo che in Italia si tengono corsi di lingua per alunni stranieri, ma spesso sono solo in italiano
e tenuti da insegnanti italiani. Potrebbe essere un’idea realizzare spazi e momenti bilingui per i
bambini anche nella Scuola d’infanzia. Certo è una ipotesi difficoltosa per le esigue risorse
scolastiche, ma vale la pena rifletterci.
7.1. Sostegno alla lingua materna: un ponte tra due culture.
Alcuni paesi offrono corsi di lingua materna agli alunni immigrati. Sono attività che dipendono da
molti fattori, non ultimo l’accordo bilaterale con i paesi d’origine che sostengono l’iniziativa.
Dobbiamo tener conto che conoscere le proprie origini è necessario mantenere vive le radici
culturali e linguistiche. Queste conoscenze rinforzano l’identità che è alla base dell’integrazione.
Promuovere corsi di lingua madre per alunni stranieri significa mantenere salde queste radici e
permettere una migliore integrazione nella cultura e nella lingua del paese ospitante.
Se pensiamo ai bambini di seconda generazione ciò è ancora più evidente. Per essi mantenere un
legame con la terra di provenienza della famiglia permette di non sentirsi estranei, diversi, poiché
ne crea una identità precisa. Spesso proprio le seconde generazioni sono le più fragili dal punto di
vista identitario e si sentono estranei ad entrambe le culture. Valorizzare le proprie origini culturali
e linguistiche permette di sentirsi quindi accolti in modo più completo, totalitario.
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Bibliografia
Linguaggio
Azzardo Claudia (2003); Parlare che fatica! Consigli semplici per aiutare i bambini a parlare bene.
Ed. Armando.
Caselli Cristina e Capirci Olga (2002); Indici di rischio nel primo sviluppo del linguaggio. Ricerca,
clinica, educazione. Franco Angeli editore.
Chade Josè Jorge (2004): Il linguaggio del bambino. Lo sviluppo, le difficoltà, gli interventi.
Edizioni Erickson.
Morra Pellegrino M. Luisa, Scopesi Alda (1989): Dal dialogo preverbale alla conversazione. Lo
sviluppo in età prescolare della comunicazione tra bambini e con l’adulto. Ed. Franco Angeli.
Campioni L., Petucchini P. (2001); Lo sviluppo della comunicazione prima del linguaggio. In L.
Campioni (a cura di) Psicologia dello sviluppo del linguaggio. Ed. Il mulino.
Bambini immigrati
Castelnuovo A. (1994); L’identità multicolore. I codici di comunicazione interculturale nella scuola
dell’infanzia. Ed Angeli
Camilletti E. (1994); L’identità multicolore. I codici di comunicazione interculturale nella scuola
dell’infanzia. Ed Angeli
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