Berardi Intervento - Pensare il Diritto

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Berardi Intervento - Pensare il Diritto
ROTARY INTERNATIONAL Distretto 2120 - Puglia e Basilicata- CLUB POTENZA –
tavola rotonda sul tema:
“Unioni civili, teoria gender, omofobia,
il mondo che cambia?”
Sabato 13 Febbraio 2016 – ore 17.30
Museo Archeologico Nazionale della Basilicata Dinu Adamesteanu
Sala del Campanile – Palazzo Loffredo
Via A. Serrao, 11 – Potenza
Intervento del socio Antonio Maria Berardi
Prendo la parola per primo in questa tavola rotonda anche perché, a differenza del Dottor
Maffione, ho preso parte a quella organizzata dall'associazione degli ex lievi del liceo classico di
Potenza che si è svolta poco più in un mese nell'aula magna del Liceo, nella quale uno dei relatori
è stato appunto l'Onorevole Speranza, e siccome quindi conosco già il suo punto di vista, non
vorrei approfittare di questa oggettiva condizione di vantaggio, ed in considerazione del fatto che
ciò che dirò sarà già in un certo senso una replica al suo pensiero, vorrei fargli conoscere il mio
punto di vista, in modo da consentirgli di calibrare il suo intervento di conseguenza, anche per
confutare le cose che dirò, se lo riterrà opportuno.
Grosso modo, per quello che ho capito, la tesi sostenuta dall'Onorevole, che è uno dei sostenitori
del disegno di legge che in queste ore è in discussione al Senato della Repubblica, è che i cattolici
che sono contrari all'approvazione di una legge a tutela dei diritti delle persone omosessuali,
oppongono alla Cirannà delle obiezioni di carattere etico, ma il principio di laicità dello Stato
impone che le questioni etiche a sfondo religioso restino relegate alla coscienza di ciascun
cittadino, e quindi legittimamente il Parlamento della Repubblica può introdurre norme di legge in
contrasto con l'opinione dei cattolici, anzi sarebbero essi che per il fatto di rappresentare
solamente una porzione della popolazione non sarebbero legittimati a proporre norme destinate
ad incidere sull'assetto della società civile in modo uniforme per tutti.
Preciso che io non sono l'interprete autentico del pensiero dell'onorevole Speranza, questo è
grosso modo quanto io capito non è detto che sia proprio così.
Ma se quello che io ho riferito riassume in una certa misura, sia pure approssimativa, il pensiero
dell'onorevole e di tanti altri laici devo dire che siamo in presenza di una visione dell'idea della
laicità dello Stato di stampo ancora ottocentesco, Che si fonda evidentemente su numerosi
pregiudizi: la radicale contrapposizione fra religione che sarebbe favola, mito, superstizione e la
ragione che troverebbe invece nella scienza sperimentale la sua esplicazione e il suo trionfo, la
contrapposizione tra dogma, cioè formulazione indiscutibile e immodificabile, e verità scientifiche,
caratterizzate dalla loro discutibilità e provvisorietà e infine la contrapposizione tra il
1
tradizionalismo, per sua natura connotato da fissità, è la modernità invece aperta al mutamento e
all'innovazione.
Beh in un'epoca nella quale gli autori più avvertiti scrivono della morte dell'ateismo moderno 1, che
sarebbe morto di morte naturale, per non aver saputo offrire al mondo una visione filosofica
capace di dare risposte di senso alla umanità, ed in un'epoca nella quale assistiamo ad un nuovo
prorompente apparire del fenomeno religioso sul palcoscenico della storia, così poco compreso da
generare inenarrabili tragedie nelle grandi capitali europee, spiace scoprire che uomini di indubbie
qualità mantengano posizioni così fortemente ideologizzate.
E invece le religioni hanno un ruolo importante nella costruzione della casa comune degli italiani e
della casa comune degli europei. Voglio dirlo con le parole che RUTH DUREGHELLO, la presidente
della comunità ebraica di Roma, ha usato in occasione della visita di Papa Francesco alla sinagoga
di Roma: "Le religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per contribuire alla
crescita morale e civile della società".2
Non è evidentemente questo il tema della nostra conversazione, ma vorrei dire che nessuno
meglio di un cattolico o di un ebreo può comprendere il senso autentico della idea di laicità dello
Stato perché la laicità dello Stato, che nasce dalla tradizione giudaica, Mosè era il capo degli ebrei
ma suo fratello Aronne ere il sacerdote, viene posta con urgenza nella storia dal Vangelo, con la
separazione che Gesù indica tra Cesare e Dio.
L'imperatore dei romani era un dio, il faraone degli egiziani era un dio, l'imperatore del Giappone
ancora oggi è un dio, almeno secondo il rituale che si segue per il suo insediamento, solo nel
gennaio del 1946 l'imperatore Hiroito ha pronunziato alla radio la dichiarazione con la quale ha
riconosciuto ufficialmente di fronte alla nazione di non essere di natura divina, il problema
dell'Islam, che non ha compreso la tradizione della laicità giudaico cristiana, è proprio quella di
offrire un modello di stato clericale nel quale si fa confusione tra politica e morale e, non esistendo
una gerarchia ecclesiastica, i preti finiscono col diventare espressione delle istituzioni statali, e non
vi è nulla di peggio di uno Stato in cui comandano i preti.
Ma una sana visione della laicità dello Stato implica non solo che la religione non debba occuparsi
di politica ma anche che la politica non debba essere sacralizzata, non debba occupare posti che
non le sono propri.
Ed invece è proprio ciò a cui assistiamo: relegata il fenomeno religioso a questione di coscienza
intima delle persone, alla ricerca di dare risposte alle domande di senso che l'umanità continua a
proporre, la politica si lascia tentare dal occupare spazi che non le sono propri e così assistiamo
alla sacralizzazione della politica e alla nascita di riti neopagani.
La sala del Comune addobbata con le poltroncine di velluto rosso, con i due sposi in abito bianco
con i fiori d'arancio che si baciano e si scambiano le fedi, la sala per i funerali laici nella quale dopo
1
Philippe Nemo, La bella morte dell’ateismo contemporaneo, Rubettino 2015.
Discorso di Ruth Dureghello Presidente Della Comunità Ebraica di Roma in occasione della visita di papa Francesco
al tempio maggiore.
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2
la cremazione, dinanzi all'urna il ministrante di turno racconta che l'estinto ora è nel vento, mi
dispiace ma non è nel vento, nella prospettiva laica semplicemente non c’è più e non c'è nulla di
peggio di questo rito neopagano che serve a rassicurare le persone proponendo una nuova etica
pubblica come nuovo oppio dei popoli.
Vogliamo anche mettere una statua di Osiride nella sala dei funerali laici, ed edificatane una di
Iside nelle piazze davanti alla statua di Garibaldi?
Discutendo con qualche amico rotariano, qualche sera fa dicevo che aspettiamo soltanto di vedere
edificare le prime sale per i battesimi laici, il neonato assieme ai genitori viene accompagnato dal
padrino in una grande sala nella quale il sindaco dopo aver iscritto il suo nome nel registro
dell'anagrafe gli regala una copia della costituzione mentre i parenti giurano per il neonato fedeltà
alla costituzione e alle leggi della Repubblica, e poi tutti al ristorante per aprire i regali.
Con questo, per entrare nel merito della nostra discussione, voglio dire non è compito dello Stato
di celebrare matrimoni, né eterosessuali né omosessuali.
Lo Stato ha solo il compito, semmai, di registrare unioni civili.
E gli italiani hanno dovuto attendere 68 anni dopo l'unità d'Italia per ottenere che con il
concordato del 1929 che al sacramento del matrimonio celebrato davanti al ministro del culto
cattolico potessero essere dati gli effetti civili, attraverso la semplice lettura degli articoli 143 147 e
148 del codice civile, senza bisogno di ripetere l'inutile cerimonia davanti al sindaco. Perché il fatto
è che già il matrimonio disciplinato nel titolo quarto del libro primo del codice civile è proprio
semplicemente un'unione civile tra due persone di sesso diverso e nulla più.
Guardate la vera ragione del ritardo dell'Italia nel dotarsi di una disciplina a tutela delle persone
dello stesso sesso che decidono di convivere stabilmente non è data dalla opposizione dei cattolici,
ma è data dalla circostanza che in 14 anni di discussione prima con poi con i PACS (Patti civili di
solidarietà) del 2002 proposti dal deputato DS Franco Grillini, poi con i Dico del 2007 (diritti e
doveri delle persone stabilmente conviventi) proposti dal ministro per le politiche della famiglia
Rosy Bindi, poi con i CUS (contratti di unione solidale) proposti sempre nel 2007 dal senatore DS
Cesare Salvi, poi con i DiDoRé (diritti e doveri di reciprocità del convivente) proposti nel 2008 dal
ministro Brunetta, in una visione asfittica della politica che rasenta la demagogie si è cercato di
trovare una sintesi verbale per rassicurare i cattolici e dire che non stavamo facendo il matrimonio
omosessuale e per dire agli omosessuali ecco il matrimonio che attendevate, dando così vita
all'ennesima estenuante liturgia nella quale si affida al decorso del tempo la soluzione di tutti gli
ossimori irrisolti della politica italiana, quante volte abbiamo sentito dire anche da autorevoli
esponenti della maggioranza di governo i no TAV hanno ragione ma la TAv si deve fare, siamo alla
vigilia di un referendum che vuole porre limitazioni alla possibilità di procedere a estrazioni
petrolifere in mare, e ci sentiremo dire i Lucani hanno ragione ma l'estrazione del petrolio si deve
fare.
E allora, per tornare al tema, i cattolici non si oppongono affatto ad una legge che dia tutela alle
coppie di persone dello stesso sesso stabilmente conviventi. Lo ha detto con chiarezza
3
monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, è sufficiente leggere l’intervista di
Luigi Accatoli pubblicata sulla edizione on-line del Corriere della Sera del 13 gennaio 2016.
Monsignor Galantino ha detto tra l’altro:
«È vero, tra i cattolici ci sono posizioni diverse, ma nessuno di noi auspica una legge che, per
garantire i diritti dei singoli e per rispondere a situazioni reali, rischia di stravolgere la realtà. E la
realtà è quella di una società italiana che può e vuole contare sul bene inestimabile della famiglia
composta da un padre, una madre e dei figli. Certo, la stessa società registra al suo interno anche
la presenza crescente di unioni di segno diverso. Lo Stato ha il dovere di dare risposte a tutti, nel
rispetto del bene comune prima e più che del bene dei singoli individui. Un po’ tutti stiamo
imparando che quando, a fronte di una realtà complessa come questa, prevale la radicalizzazione
delle posizioni, nonostante la buona volontà si finisce col fare i conti solo con soluzioni
frammentate e scomposte, non di rado frutto del prevalere di una lobby sull’altra».
Papa Francesco che il 22 gennaio 2016 nel discorso tenuto in occasione dell'inaugurazione
dell'anno giudiziario del tribunale della rota romana ha utilizzato la definizione di famiglia
espressa da Pio XI nella enciclica “Casti Connubi” del 1930 secondo cui: “La famiglia, fondata sul
matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa
per la salvezza dell’umanità”3, per spiegare che “la Chiesa, dunque, con rinnovato senso di
responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei
coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni
modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può
essere vissuta da tutti i fedeli battezzati” 4 ha poi indetto due sinodi nel giro di un anno per
spiegare, anche ai Cattolici, tra l’altro che la Chiesa Cattolica è pronta all’accettazione di una
disciplina delle unioni tra persone dello stesso sesso.
Ma questo non perché Papa Francesco abbia cambiato la dottrina della Chiesa, ma perché questo
fenomeno oggi è diventato socialmente rilevante.
Nella Somma Teologica, a proposito delle leggi umane San Tommaso, richiamando Aristotele,
afferma che “le leggi devono essere imposte agli uomini secondo le condizioni di essi. Poiché a
detta di Sant’Isidoro, la legge deve essere possibile sia secondo la natura sia secondo le
consuetudini del paese”5 per spiegare che la legge umana intende portare gli uomini alla virtù
gradatamente, e perciò non impone una disciplina che potrebbe essere riservata esclusivamente
alle persone virtuose, San Tommaso utilizza una metafora stupenda tratta dal Vangelo, egli dice
che "se il vino nuovo, cioè i precetti della vita perfetta, si mette negli otri vecchi, ossia
nell'uomini imperfetti, gli otri si rompono e il vino si versa, vale a dire i precetti vengono
trasgrediti e gli uomini cadono così in mali peggiori".
3
Cfr Pio XI, Litt. enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930.
discorso del Santo Padre Francesco in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario del tribunale della rota
romana, Sala Clementina - Venerdì, 22 gennaio 2016.
5
Nella prospettiva tomista, la legge come regola degli atti umani se vuole essere efficacie non deve mai perdere di
vista le condizioni concrete di coloro cui si applica, la legge non può quindi proibire ogni vizio, come se tutti fossero
virtuosi, senza tradursi in prescrizioni astratte e nocive.
4
4
D'altra parte mentre è certo che la legge naturale costituisce una partecipazione in noi della legge
eterna, al contrario la legge umana non raggiunge la perfezione della legge eterna. "Infatti
Sant'Agostino afferma: "La legge emanata per governare gli Stati concede e lascia impunite
molte cose che saranno colpite dalla divina provvidenza. Ma per il fatto che è incapace di far
tutto, non si può rimproverare di quello che fa". Perciò (conclude San Tommaso) la legge umana
non può proibire tutto ciò che proibisce la legge naturale".6
Quello che allora i cattolici vogliono semplicemente affermare e che non si può dare alle unioni
civili tra persone dello stesso sesso la stessa disciplina del matrimonio contenuta nel titolo VI del
libro I del codici civile non perché questo non piace e me o non piace al Papa o ai vescovi o ai
cattolici, ma perché ciò e contrario al dettato costituzionale.
E che si tratti di violazione del dettato costituzionale non è frutto della mia personale
interpretazione, bensì della interpretazione della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 148
del 14 aprile 2010, pubblicata il 21 aprile 2010, Presidente Amirante, relatore Criscuolo, dopo aver
chiarito che l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si
riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna, e che ciò emerge dalla disciplina
codicistica, ma anche dalla legislazione speciale in tema di scioglimento del matrimonio e di
disciplina dell’ordinamento dello stato civile ha inequivocabilmente spiegato:
“La questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. non è
fondata.
Occorre prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest’ultima disposizione. Essa
stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato
sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità
familiare».
La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio
a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si
desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia
contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva
riconoscere).
Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati”
con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità
propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle
trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta
interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma,
modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in
alcun modo quando fu emanata.
6
San Tommaso: Somma Teologica, I-II, Q. 96, a. 2.
5
Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del
tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non
fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che
aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in
assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di
matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto,
stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal
senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio
dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna
cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.
Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica,
perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera
prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.
Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì
intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto.
Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia
ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento
anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia
legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale
attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a
differenziarlo dall’unione omosessuale.”7
Eppure la stessa Corte Costituzionale nella stessa sentenza aveva indicato la via maestra per
dare tutela alle coppie di fatto costituite da persone dello stesso sesso senza perciò assimilare la
disciplina di tali unioni a quella del matrimonio.
La Corte con riferimento all’art. 2 Cost. che dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale, ha precisato infatti che:
“… per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea
a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una
valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione
omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il
diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi,
nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente
postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti
7
Corte Costituzionale, sentenza n. 148/2010 in G.U. n. 16 del 21.4.2010.
6
della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni
omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei
Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte
operate.
Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento,
nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento
per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a
tutela di specifiche situazioni.”8
Se questa strada maestra non si è voluta seguire è proprio perché questo Parlamento intende dare
alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la stessa disciplina del matrimonio, aggirando il
dettato costituzionale.
E quando il Parlamento deliberatamente decide di legiferare ignorando la costituzione pone i suoi
cittadini in una condizione di profondo disagio, perché questo modo si agire costituisce un vulnus
oggettivo alla democrazia.
Ora mi pare che questa sia la posizione anche dell’onorevole Speranza, infatti nel sito internet
dell’onorevole è pubblicato l’articolo comparso nell’edizione del 29 luglio 2015, pag. 3 foglio 1,
del quotidiano il Manifesto, a firma di Carlo Lania, nel quale sotto il titolo Speranza: “Tempi
maturi per i matrimoni gay” vi è un bel virgolettato che recita: “I tempi sono maturi perché si
arrivi alla equiparazione tra matrimoni eterosessuali e omosessuali. La mia è un’opinione
personale, ma sono convinto che nel PD, e soprattutto tra i nostri iscritti ed elettori, la
maggioranza la pensi come me”.
Mi pare anche certo che il testo della Cirinnà equipara le unioni civili tra persone dello stesso sesso
al matrimonio civile.
Io ho esaminato il testo del disegno di legge presentato in Commissione, e quello uscito dalla
Commissione e ho lavorato soprattutto su quello uscito dalla Commissione, per il testo definitivo
dovremo attendere non solo l’approvazione da parte del Senato, ma anche il passaggio alla
Camera.
Per comprendere pienamente ciò che sto dicendo bisogna tenere presente che la famiglia
descritta dall’art. 29 della Costituzione è una società naturale che preesiste allo Stato, ma che,
come aveva giustamente rilevato l’On. Grassi nel dibattito alla costituente, essa “… non è una
persona giuridica, quindi essa non ha suoi diritti, vi sono coloro che la compongono che hanno
delle posizioni giuridiche per le quali v’è uno status familiae, non di più”9.
Ed in questa prospettiva Massimo Bianca ci ha spiegato che: “la famiglia non è un ente giuridico, e
cioè un autonomo centro di imputazione di diritti e di doveri. Nessuna posizione giuridica e infatti
8
9
Corte Costituzionale, sentenza n. 148/2010 in G.U. n. 16 del 21.4.2010.
A.C. pagg. 3266-9
7
attribuito alla famiglia come tale né vi sono competenze riservate alla decisione e alla gestione del
gruppo familiare.
La mancanza di posizioni giuridiche della famiglia risponde alla mancanza di interessi familiari
collettivi. La famiglia non è portatrice di propri interessi essi perché gli interessi realizzati nella
famiglia sono fondamentali esigenze della persona. Anzi, i tipici interessi individuali sono proprio
quelli che si esprimono nei rapporti familiari.
Interesse alla convivenza, alla libertà matrimoniale, all'assistenza coniugale, alla cura da parte dei
genitori sono insopprimibili esigenze di vita dell'individuo in quanto tale e non di una collettività.
I riferimenti normativi alle esigenze della famiglia devono semplicemente intendersi con
riferimenti alle esigenze dei componenti della famiglia nella loro globale valutazione. Le esigenze
dell'unità e della vita della famiglia, ancora, sono le esigenze dei singoli compartecipi, globalmente
valutate, a realizzare il rapporto comunitario.”10
Ciò vuol dire che se per tutelare il diritto alla riservatezza della vita privata e famigliare sancito
all’art. 8 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e per dare una disciplina positiva al
rispetto della vita privata e famigliare delle persone omosessuali si estende a queste la disciplina
del rapporto tra i coniugi si sta proprio disciplinando il matrimonio omosessuale, in contrasto con il
dettato costituzionale.
Allora, per entrare nel merito delle singole questioni possiamo dire:
i primi due commi dell’art. 1. del disegno di legge sono molto rassicuranti, essi infatti sotto la
rubrica (Costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso) recitano:
1. Due persone dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte
all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.
2. Presso gli uffici dello stato civile di ogni comune italiano è istituito il registro delle unioni civili
tra persone dello stesso sesso.
Dopodiché il diluvio:
3. Sono cause impeditive per la costituzione della unione civile tra persone dello stesso sesso:
a) la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
b) la minore età salvo apposita autorizzazione del tribunale, per cui si procede conformemente a
quanto previsto dall'articolo 84 del codice civile;
l’art. 84 del codice civile consente al Tribunale di ammettere al matrimonio il minore degli anni
sedici quando sussistano gravi motivi, ora per giurisprudenza consolidata i gravi sono costituiti
dallo stato di gravidanza di uno dei due nubendi.
10
Massimo Bianca, Diritto Civile, 2 la famiglia le successioni, cap. 1 § 7 pag. 10, Giuffrè , Milano, 1985.
8
Quali potranno essere i gravi motivi che autorizzino il minore all’unione civile tra persone dello
stesso sesso è per me un mistero più grande di quelli della Trinità e della Incarnazione, si tratta di
non avere il senso del ridicolo.
d) la sussistenza delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo dell'articolo 87 del codice
civile; si applicano le disposizioni dell'articolo 87 codice civile;
Si tratta dei cosi detti impedimenti matrimoniali:
Non possono contrarre matrimonio fra loro:
1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta;
2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini;
3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote;
4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio
dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili;
5) gli affini in linea collaterale in secondo grado;
6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;
7) i figli adottivi della stessa persona;
8) l'adottato e i figli dell'adottante;
9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.
Si tratta in tutta evidenza della estensione della disciplina del matrimonio alle unioni civili.
Ed ancora il comma 6 dell’art.1 prevede: Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti
possono stabilire il cognome dell'unione civile scegliendolo tra i loro cognomi. Lo stesso è
conservato durante lo stato vedovile, fino a nuove nozze o al perfezionamento di nuova unione
civile tra persone dello stesso sesso. La parte può anteporre o posporre allo stesso il proprio
cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.
Quindi è addirittura codificato che la morte di uno dei due contraenti fa insorgere lo stato
vedovile.
L’art. 2. Sotto la rubrica Modifiche al codice civile prevede che all'articolo 86 del codice civile,
dopo le parole «da un matrimonio» sono inserite le parole «o da un'unione civile tra persone
dello stesso sesso». Ora siccome l’art. 86 del codice civile sotto la rubrica libertà di stato prescrive
che non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente, resta da chiarire
se si debba intendere che chi contrae unione civile, essendo vincolato da precedente matrimonio,
abbia consumato il delitto di bigamia?
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L’art. 3. Al comma 1. Prescrive che all'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli
articoli 143, 144, 145, 146, 147, 148, 342-bis, 342-ter, 417, 426 e 429 del codice civile.
La disciplina del matrimonio concordatario prescrive che perché dal matrimonio religioso
contratto davanti ad un ministro di culto cattolico possano derivare gli effetti civili occorre che il
ministro di culto dia lettura degli artt. 143, 144 e 147 del codice civile.
Tra l’altro l’art. 143 c.c. impone l’obbligo di fedeltà ai coniugi. Ma se è vero che da oltre 30 anni la
Corte di Cassazione afferma che l’infedeltà coniugale non è causa di addebito di colpa nelle
separazioni e nei divorzi, anche quando viene ostentata pubblicamente, non si comprende perché
si vogli onerare i contraenti dell’unione civile dell’obbligo di fedeltà se non per consacrare che
stiamo proprio parlando di matrimonio.
Ma infine la previsione dell’art. 7 che sotto la rubrica Delega al Governo per la regolamentazione
dell'unione civile prevede che il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi nel rispetto dei seguenti princìpi
e criteri direttivi:
a) modificazione delle disposizioni in materia di ordinamento dello stato civile, prevedendo che
gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso siano registrati dall'ufficiale di stato civile con
le disposizioni conseguenti in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché la previsione
della annotazione, nel caso di rettificazione anagrafica di sesso, della conversione automatica del
matrimonio in unione civile tra persone dello stesso sesso ove i coniugi abbiano manifestato la
volontà di non scioglierlo o cessarne gli effetti civili;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo
l'applicazione della disciplina della unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi
italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero
matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) inserimento dopo la parola «matrimonio», ovunque ricorra nelle leggi, nei decreti e nei
regolamenti e fatte salve le disposizioni del codice civile e la disposizione di cui all'articolo 6
della Legge 4 maggio 1983, n. 184, delle seguenti parole «o unione civile tra persone dello stesso
sesso»;
d) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge
delle disposizioni contenute nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti;
Non credo che possano esistere ulteriori resistenze ad ammettere che si tratta di estensione della
disciplina del matrimonio.
Ma vi è di più con il titolo II del disegno di legge viene introdotta una disciplina delle convivenze di
fatto e dei contratti di convivenza e siccome anche a queste viene estesa la disciplina del
matrimonio dobbiamo registrare che con editto bulgaro si estende la disciplina del matrimonio
anche a quelle coppie eterosessuali che hanno scelto la convivenza proprio perché non intendono
10
sposarsi e si svela l’ipocrisia di chi voleva far credere che i contratti di convivenza potessero servire
anche per quelle vecchiette con la pensione sociale che decidessero di convivere.
Ma il fatto è che uniformando tutte le convivenze al matrimonio il legislatore della XVII
legislatura da prova di ritenere che l’art. 29 della Costituzione sia scritto sull’acqua e soprattutto
inverte la prospettiva dell’art. 2 della Costituzione (non la tutela alle organizzazione sociali nelle
quali il cittadino esprime la propria personalità e che preesistono allo stato, ma lo stato che decide
quali siano e come si disciplinino tali organizzazione).
E non vi era alcun bisogno di tale confusione.
La Corte Costituzionale nella stessa sentenza n. 138 del 2010 dopo aver ricordato che se gli artt. 7
e 21 della Carta di Nizza contengono disposizioni a carattere generale in ordine al diritto al
rispetto della vita privata e familiare e al divieto di discriminazione, che sono le disposizioni sulla
base delle quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emanato le sentenze che hanno
obbligato gli stati della UE ha introdurre discipline a tutela delle convivenze omosessuali, Invece gli
articoli 12 della CEDU e 9 della Carta di Nizza che prevedono specificamente il diritto di sposarsi e
di costituire una famiglia sono le uniche norme cui far riferimento in materia di matrimonio.
“Orbene, (OSSERVA LA Corte) l’art. 12 dispone che «Uomini e donne in età maritale hanno diritto
di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale
diritto».
A sua volta l’art. 9 stabilisce che «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono
garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».
In ordine a quest’ultima disposizione va premesso che la Carta di Nizza è stata recepita dal
Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la
Comunità europea, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Infatti, il nuovo testo dell’art. 6, comma
1, del Trattato sull’Unione europea, introdotto dal Trattato di Lisbona, prevede che «1. L’Unione
riconosce i diritti, le libertà e i princìpi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore
giuridico dei trattati».
Non occorre, ai fini del presente giudizio, affrontare i problemi che l’entrata in vigore del Trattato
pone nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione e degli ordinamenti nazionali, specialmente con
riguardo all’art. 51 della Carta, che ne disciplina l’ambito di applicazione. Ai fini della presente
pronuncia si deve rilevare che l’art. 9 della Carta (come, del resto, l’art. 12 della CEDU),
nell’affermare il diritto di sposarsi rinvia alle leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. Si deve
aggiungere che le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, elaborate sotto
l’autorità del praesidium della Convenzione che l’aveva redatta (e che, pur non avendo status di
legge, rappresentano un indubbio strumento di interpretazione), con riferimento al detto art. 9
chiariscono (tra l’altro) che «L’articolo non vieta né impone la concessione dello status
matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso».
11
Pertanto, a parte il riferimento esplicito agli uomini ed alle donne, è comunque decisivo il rilievo
che anche la citata normativa non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle
regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna.
Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia è affidata alla
discrezionalità del Parlamento.
Ulteriore riscontro di ciò si desume, come già si è accennato, dall’esame delle scelte e delle
soluzioni adottate da numerosi Paesi che hanno introdotto, in alcuni casi, una vera e propria
estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile oppure, più
frequentemente, forme di tutela molto differenziate e che vanno, dalla tendenziale
assimilabilità al matrimonio delle dette unioni, fino alla chiara distinzione, sul piano degli effetti,
rispetto allo stesso.”11
E per questo è veramente intollerabile la posizione di chi ci vuol far credere che solo noi in Europa
…, che l’Europa ci chiede…, mettendo i cittadini in condizione di formarsi una propria opinione su
questioni di coscienza sulla base di informazioni non corrette.
In questo quadro appare proprio fuori luogo il richiamo di Junkers.
Ma per concludere questo primo intervento veniamo al tema caldo del quale si dibatte proprio in
queste ore, l’adozione del figlio del convivente.
L’articolo 5 del DdL Cirinnà modifica l’articolo 44, comma 1 lettera b), della legge del 4 maggio
1983, n.184, inserendo dopo la parola “coniuge”, ”o dalla parte dell'unione civile tra persone
dello stesso sesso” e aggiungendo dopo le parole “e dell’altro coniuge", la seguente frase “o
dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”.
È evidente allora che la così detta stepchild adoption si inserisce in una disciplina già esistente.
La legge 4 maggio 1983, n. 184 sotto il titolo "Diritto del minore ad una famiglia" permette
l'adozione del figlio del coniuge, purché vi sia il consenso del genitore biologico ed a condizione
che l'adozione corrisponda all'interesse del figlio. E' previsto anche il consenso del figlio qualora
abbia già compiuto i 14 anni. Nel caso sia tra i 12 e i 14 anni d'età il Giudice è tenuto ad ascoltare
la sua opinione e tenerne conto.
Il procedimento di adozione non è automatico e si propone avanti il Tribunale per i minorenni che
effettua un'indagine sull'idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed
economica, la salute e l'ambiente familiare dell'adottante.
Con un velo di ipocrisia si nega che questa norma sia dettata per legittimare il fenomeno della
maternità eterologa surrogata e si sostiene che essa invece si innesta solo sulla disciplina già
esistente per le coppie eterosessuali che hanno contratto matrimoni.
11
Corte Costituzionale, sentenza n. 148/2010 in G.U. n. 16 del 21.4.2010.
12
Ma intanto mancano i numeri e questo fatto è sconcertante, perché non conoscendo le
dimensioni del fenomeno, non si riesce neanche a valutare se davvero esiste l’urgenza di
legiferare.
Si passa dalle stime del sociologo Raffaele Lelleri che con riferimento all’anno 2006 ci parla di
100.000 bambini in Italia con almeno un genitore gay a quelle dell’ISTAT che, con riferimento al
censimento del 2011, registra tra le 7.513 coppie dello stesso sesso che hanno dichiarato e
rivendicato questo stato, solamente 529 coppie con figli.
Ma il punto è questo perché il convivente della persona che, dopo un matrimonio fallito nel quale
sono nati dei figli, si scopre omosessuale, dovrebbe adottarli? Quei bambini non ce li hanno già dei
genitori naturali?
I divorzi rappresentano una realtà dolorosa ma statisticamente importante nella società italiana e
così le seconde nozze, ciascuno di noi né ha esperienza in questa sala, o personalmente o per
vicende dei propri familiari o dei propri amici.
Ma sapete citare un solo caso di una persona che sposando un divorziato o una divorziata con figli
li abbia adottati, ma la televisione di stato non ci sta forse forzatamente educando in questi anni
all’idea di questa famiglia allargata in cui tutti i bambini nati nelle differenti combinazioni di coppia
che si susseguono nel tempo vivono insieme ed a turno con il papà e la mamma e il compagno
della mamma e la compagna del papà.
Ma allora perché questo velo di ipocrisia.
La legge 4 maggio 1983, n. 184 sembrerebbe proprio avere lo scopo di dare ingresso alla
maternità surrogata eterologa, che non è consentita nel nostro ordinamento, e la Cirinnà serve
proprio ad estenderla anche alle coppie omosessuali.
Avv. Antonio Maria Berardi
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