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Artt. 1292-1306 e Artt. 2047-2051
estratto da
a cura di
Michele VIETTI è Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
CODICE CIVILE ANNOTATO
Il volume raccoglie l’intero corpus normativo dell’ordinamento giudiziario vigente,
composto da una notevole produzione non solo primaria, ma anche secondaria
con la quale il CSM ha fornito la disciplina di dettaglio alle previsioni di legge.
Gli operatori del diritto possono così beneficiare di un puntuale strumento
di consultazione e di studio che consente di trovare agevolmente il dato normativo
e di individuare, con rapida esattezza, la disciplina di interesse.
Un codice dell’ordinamento giudiziario aggiornato che, per il ricco e dettagliato indice
analitico, funge da guida per comprendere sul piano teorico la normativa di riferimento,
ma anche da indispensabile ausilio per la sua concreta applicazione.
STEFANO ERBANI, GABRIELE FIORENTINO e FULVIO TRONCONE
ALPA - IUDICA
sono magistrati addetti
all’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
G. ALPA - G. IUDICA
CODICE
CIVILE
ANNOTATO
CON LA GIURISPRUDENZA
978-88-238-3537-5
IN LIBRERIA DAL 28 AGOSTO 2014
ISBN 978-88-238-3540-5
ISBN 978-88-238-3536-8
Euro 210,00
Sinergie Grafiche srl
h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_
Art. 1292
TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
Vendita di genere. n Il contratto, con cui le parti
convengono di trasferire una determinata estensione immobiliare (nella specie, un posto macchina aperto), considerata come fungibile, da distaccarsi ad opera del venditore da una entità di maggiori dimensioni, non è affetto da nullità per indeterminatezza dell’oggetto bensı̀ costituisce vendita di genere limitato, configurabile anche per gli
immobili, avente natura obbligatoria, ove risulti a
carico del venditore l’obbligo di individuare suc-
cessivamente e consegnare il bene compravenduto, e che acquista effetti reali con la concreta individuazione del bene sulla base della scelta che deve operare il soggetto indicato. In tal caso la domanda giudiziale deve essere diretta ad ottenere
la condanna dell’obbligato ad effettuare la scelta,
secondo lo schema previsto dall’art. 1287 c.c., essendo immanente, nell’ipotesi di vendita di genere, l’alternativa tra prestazioni di più oggetti concreti (Cass. 29 luglio 1983, n. 5225).
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Impossibilità di una delle prestazioni – [1] L’obbligazione alternativa si considera semplice, se una delle due prestazioni non poteva formare oggetto di
obbligazione o se e` divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti.
1289
Impossibilità colposa di una delle prestazioni – [1] Quando la scelta spetta
al debitore, l’obbligazione alternativa diviene semplice, se una delle due prestazioni diventa impossibile anche per causa a lui imputabile. Se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, il debitore e` liberato dall’obbligazione, qualora non
preferisca eseguire l’altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni.
[2] Quando la scelta spetta al creditore, il debitore e` liberato dall’obbligazione, se una delle
due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi preferisca esigere
l’altra prestazione e risarcire il danno. Se dell’impossibilità deve rispondere il debitore, il creditore può scegliere l’altra prestazione o esigere il risarcimento del danno.
1290
Impossibilità sopravvenuta di entrambe le prestazioni – [1] Qualora entrambe le prestazioni siano divenute impossibili e il debitore debba rispondere riguardo a una di esse, egli deve pagare l’equivalente di quella che e` divenuta impossibile per
l’ultima, se la scelta spettava a lui. Se la scelta spettava al creditore, questi può domandare
l’equivalente dell’una o dell’altra.
1291
Obbligazione con alternativa multipla – [1] Le regole stabilite in questa sezione si osservano anche quando le prestazioni dedotte in obbligazione sono
più di due.
Sezione III
Delle obbligazioni in solido
1292
Nozione della solidarietà – [1] L’obbligazione e` in solido quando più debitori
sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri;
oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori.
SOMMARIO: 1. Aspetti generali – 2. Comunione ereditaria – 3. Condominio – 4. Preliminare di vendita di bene in
comunione – 5. Locazione – 6. Oneri di urbanizzazione – 7. Trasferimento di partecipazioni sociali e assunzione
della responsabilità per le sopravvenienze passive non risultanti dal bilancio – 8. Evento dannoso e pluralità di responsabili – 9. Responsabilità dei soci di società di persone – 10. Responsabilità nell’esecuzione di prestazioni
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Art. 1292
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale – 11. Reati commessi col mezzo della
stampa – 12. Azione revocatoria – 13. Conto corrente bancario – 14. Vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari e credito per il prezzo – 15. Deposito bancario – 16. Assicurazione – 17.
Contratto atipico di ‘‘skipass’’ – 18. Ablazione della proprietà privata indivisa da parte della P.A. – 19. Compenso al consulente d’ufficio – 20. Aspetti processuali
1. Aspetti generali. n L’art. 1292 c.c. non identifica l’obbligazione solidale con un’obbligazione
nascente da un unico atto o fatto giuridico che
dia luogo ad un medesimo ed unico obbligo di
prestazione da parte di più soggetti, bensı̀ nell’esistenza di più soggetti obbligati alla medesima
prestazione, ‘‘in guisa tale che l’adempimento
dell’uno libera gli altri’’, restando irrilevante la
unicità o pluralità dei fatti o dei mezzi giuridici
in conseguenza dei quali è nato l’obbligo ad
adempiere quella medesima prestazione ed essendo essenziale che tutti i debitori non siano obbligati a più prestazioni identiche, ma ad un’unica
prestazione (Cass. 14 marzo 1996, n. 2120).
2. Comunione ereditaria. n I crediti del de cuius,
a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i
coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo
per i debiti, mentre la diversa disciplina per i
crediti risulta dal precedente art. 727, il quale,
stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone
che gli stessi facciano parte della comunione,
nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al
momento dell’apertura della successione, rivela
che i crediti ricadono nella comunione, ed è,
inoltre, confermata dall’art. 760, che escludendo
la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente
presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 stesso codice, concernendo
il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra
il de cuius ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale; conseguentemente,
ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale
alla quota ereditaria, senza necessità di integrare
il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri
coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito
(Cass. S.U. 28 novembre 2007, n. 24657).
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3. Condominio. n I comproprietari di un’unità
immobiliare sita in condominio sono tenuti in
solido, nei confronti del condominio medesimo,
al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui
contitolari del piano o della porzione di piano
inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato
dall’art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di
pluralità di debitori, la solidarietà si presume),
alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell’unità immobiliare siano
pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi; trattandosi di un principio informatore
della materia, al rispetto di esso è tenuto il giudice di pace anche quando decida secondo equità
ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c. (nella specie, la suprema corte ha chiarito che il principio
espresso non si pone in contrasto con quello già
enunciato da S. U. n. 9148 del 2008, riguardando quest’ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o
meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale) (Cass. 21 ottobre 2011, n. 21907). n
In tema di condominio, la natura parziaria delle
obbligazioni contratte dall’amministratore nei
confronti dei terzi non esclude la validità dell’accordo transattivo stipulato con l’impresa esecutrice di opere di rifacimento dello stabile condominiale, in forza del quale quest’ultima si sia impegnata ad eseguire eventuali pignoramenti
esclusivamente nei confronti dei condomini morosi e ad agire nei confronti degli altri soltanto
in caso di accertata incapienza dei primi, avuto
riguardo alla derogabilità della disciplina legale,
rispetto alla quale la regolamentazione pattizia
in questione si pone come clausola limitativa
della parziarietà dell’obbligazione (nell’affermare
l’anzidetto principio, la suprema corte ha precisato che l’intervenuto mutamento del diritto vivente in ordine alla natura, solidale o parziaria,
di tali obbligazioni assumeva rilievo esclusivamente ai fini dell’interpretazione di tale accordo,
che nel precedente assetto interpretativo si prestava ad essere qualificato come limitativo della
solidarietà) (Cass. 21 luglio 2009, n. 16920). n In
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il
principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue
attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di
struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive
quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli
artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie
(Cass. S.U. 8 aprile 2008, n. 9148). n Il patto di
divisione della spesa per l’esecuzione di lavori in
appalto concluso tra più condomini, attenendo
al rapporto interno tra gli stessi, non è opponibile all’appaltatore, ancorché condomino, atteso
che l’obbligazione di pagamento del corrispettivo di lavori conferiti in appalto da più committenti ha natura di obbligazione solidale, ai sensi
dell’art. 1294 c.c. (Cass. 31 agosto 2005, n.
17563). n In riferimento ai debiti contratti dal
condominio per il godimento di beni e servizi comuni, concernenti prestazioni normalmente non
divisibili, rispetto alle quali ciascun condomino
ha interesse per l’intero, si applica il principio di
cui all’art. 1294 c.c., dal quale discende una presunzione di solidarietà a carico di tutti i condomini (Cass. 30 luglio 2004, n. 14593). n Il condomino può esser escusso per l’intero debito del
condominio da un terzo, nei cui confronti è un
condebitore solidale, indipendentemente dall’adempimento del suo obbligo nei confronti del
condominio, ed ha diritto di regresso nei confronti degli altri condomini limitatamente alla
quota millesimale dovuta da ciascuno di essi,
mentre la morosità di taluno di questi verso il
condominio può dar luogo alla domanda di risarcimento per i maggiori, conseguenti esborsi
(Cass. 23 febbraio 1999, n. 1510).
[V. anche art. 63 disp. att. c.c.]
4. Preliminare di vendita di bene in comunione. n
In tema di contratto preliminare di vendita di un
bene immobile considerato come un unicum inscindibile, sussistono i presupposti dell’obbligazione solidale passiva, ex artt. 1292 e 1294 c.c., e
cioè la pluralità dei soggetti, l’identità della prestazione cui essi sono tenuti (la prestazione del
consenso alla stipula di quello definitivo) e l’identità della fonte dell’obbligazione (il contratto
Art. 1292
preliminare stipulato), non rilevando la eventuale disparità delle singole quote, la quale concerne
solamente il rapporto interno tra i debitori, e
non anche quello esterno con i creditori; ne consegue che, se fallisce uno dei comproprietari promittenti venditori ed il curatore dichiara lo scioglimento del contratto preliminare ex art. 72,
comma 4, l.fall., ciascuno dei promittenti venditori in bonis è tenuto per intero alle restituzioni
dovute (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha cassato, sul punto, la sentenza
impugnata, che aveva diviso a metà la somma
da restituire al promittente acquirente – in quanto versata a titolo di cauzione – tra la parte dichiarata fallita e le parti non fallite, in proporzione alle quote dominicali sul bene) (Cass. 24
luglio 2009, n. 17405). n In caso di stipulazione
di un preliminare di vendita di bene in comunione pro indiviso sussistono i presupposti dell’obbligazione solidale passiva, e cioè la pluralità dei
soggetti, l’identità della prestazione cui sono tenuti i soggetti (la prestazione del consenso alla
stipula del contratto definitivo di vendita) e l’identità della fonte dell’obbligazione (il contratto
preliminare stipulato), non rimanendo essa
esclusa in ragione della eventuale disparità delle
quote ideali in titolarità dei medesimi, aspetto
questo concernente solamente il rapporto (interno) tra di essi intercorrente – valendo a segnare
la proporzione dei reciproci diritti in caso di
adempimento solamente da parte di uno a alcuni
– e non anche quello (esterno) con i creditori
(Cass. 11 marzo 2004, n. 4965). n Qualora sia
stato promesso in vendita un immobile indiviso
considerato nel contratto come un ‘‘unicum inscindibile’’, ciascuno dei promittenti si impegna
non soltanto a prestare il consenso relativo al
trasferimento della quota di comproprietà di cui
è rispettivamente titolare ma si obbliga anche a
promettere il fatto altrui, cioè la prestazione del
consenso da parte degli altri; peraltro, tale obbligazione, che ha natura collettiva, non è solidale,
non potendo operare il principio stabilito dall’art. 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido può adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri, atteso che i
promittenti sono in grado di manifestare il consenso relativo alla propria quota e non quello
concernente le quote spettanti agli altri; pertanto, il condebitore non inadempiente non può invocare la norma dettata in materia di obbligazioni solidali dall’art. 1307 c.c., alla stregua del
quale se l’adempimento dell’obbligazione è divenuto impossibile per causa imputabile a uno o
più condebitori, il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a
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ciascuno dei condebitori inadempienti, mentre
gli altri obbligati sono tenuti soltanto a corrispondere il valore della prestazione dovuta, tenuto conto che in tal caso la responsabilità è posta a carico esclusivamente del debitore colpevole che con la propria condotta ha reso impossibile l’adempimento della prestazione da parte dei
coobbligati che altrimenti avrebbero potuto eseguire liberandosi dell’obbligazione senza produrre il danno ulteriore (Cass. 20 marzo 2006, n.
6162). n Poiché, secondo l’art. 1292 c.c. l’obbligazione è in solido quando più debitori sono tutti obbligati per la medesima prestazione, in modo che ciascuno di essi può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da
parte di uno libera gli altri, nell’ipotesi del contratto preliminare di vendita di un bene in comunione l’obbligazione posta a carico dei promittenti venditori di stipulare il contratto definitivo non ha natura solidale, in quanto non è unica la prestazione del consenso che, dovendo essere adempiuta singolarmente da parte di ciascuno dei comproprietari per la rispettiva quota, ha
carattere infungibile; ne consegue che gli atti interruttivi della prescrizione posti nei confronti di
un solo dei promittenti non hanno efficacia contro gli altri (Cass. 19 maggio 2004, n. 9458).
5. Locazione. n Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo,
nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, cosı̀ come, dal lato attivo, ognuno degli
stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi
in proposito la disciplina della solidarietà di cui
all’art. 1292 c.c. che non determina, tuttavia, la
nascita di un rapporto unico ed inscindibile e
non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario
tra i diversi obbligati o creditori (fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità di un procedimento di sfratto per morosità azionato solo da
parte di alcuni coeredi dell’originaria locatrice)
(Cass. 22 giugno 2009, n. 14530).
6. Oneri di urbanizzazione. n Qualora nella convenzione di lottizzazione, con assunzione dei relativi oneri di urbanizzazione, stipulata tra un
comune ed un privato, sia espressamente previsto che il lottizzante si impegna a non trasferire
separatamente a terzi, senza il previo consenso
del comune, gli oneri per l’attuazione delle opere
di urbanizzazione primaria, in caso di vendita
dei vari lotti edificabili senza il consenso del comune al trasferimento degli oneri, non si crea
una obbligazione solidale quanto agli oneri di
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
urbanizzazione tra l’originario stipulante e gli
acquirenti, restando, di converso, unico obbligato per l’intero all’esecuzione delle opere solo l’originario stipulante, laddove gli acquirenti dei
lotti assumono con l’acquisto distinti obblighi
frazionati, ciascuno proporzionale al lotto compravenduto, che dà all’alienante il diritto di rivalsa nei loro confronti pro-quota (Cass. 11 gennaio 2006, n. 261).
7. Trasferimento di partecipazioni sociali e assunzione della responsabilità per le sopravvenienze
passive non risultanti dal bilancio. n La clausola
contrattuale con cui i soci di una società di capitali, nel trasferire ad un terzo le proprie partecipazioni, abbiano assunto una responsabilità solidale per le sopravvenienze passive non risultanti
dal bilancio, obbligandosi a riacquistare, al loro
valore nominale, i crediti della società, qualora
gli stessi si rivelino inesigibili entro un termine
prefissato, e prestando fideiussione a garanzia di
tale impegno, prefigura una forma di rimborso
di parte del prezzo, in dipendenza di una sopravvenienza passiva eccedente il fondo di svalutazione dei crediti, che risulta incompatibile con
l’esclusione dell’ammissibilità dell’esecuzione in
forma specifica nei confronti di alcuni soltanto
dei promittenti, instaurandosi tra questi ultimi
un vincolo di solidarietà passiva, che impedisce
di configurarli come parte complessa di un contratto avente ad oggetto un bene indivisibile
(Cass. 13 giugno 2008, n. 16010).
8. Evento dannoso e pluralità di responsabili. n
Tra i corresponsabili di un danno sussiste sempre responsabilità solidale e paritaria, a nulla rilevando che ciascuno di essi abbia contribuito al
verificarsi dell’evento dannoso finale rendendosi
inadempiente ad obblighi scaturiti da fonti diverse; ne consegue che il creditore non ha alcun
onere di escutere l’uno, piuttosto (o prima) che
l’altro dei condebitori (in applicazione di tale
principio, la suprema corte ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto indipendenti ed autonome, nei confronti del promissario acquirente, le responsabilità del promittente venditore, che nelle more tra preliminare e definitivo
aveva concesso ipoteca sul bene promesso in
vendita, e del notaio chiamato a rogare il contratto definitivo, che l’aveva trascritto dopo ben
sei mesi dalla stipula, posteriormente all’iscrizione delle suddette ipoteche) (Cass. 11 maggio
2012, n. 7404). n In tema di responsabilità solidale relativa ad obbligazione risarcitoria che si
fondi sul medesimo titolo ed abbia il medesimo
oggetto, il pagamento, da parte di uno dei coob-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
bligati, determina l’estinzione ipso iure dell’obbligazione, entro i limiti dell’importo corrisposto, nei confronti di tutti gli altri coobbligati (ai
sensi dell’art. 1292 c.c.), giacché la responsabilità
plurisoggettiva, riferendosi al medesimo fatto
dannoso, non incide sull’entità complessiva del
risarcimento conseguibile, che rimane limitato al
danno effettivamente subı̀to (nella specie, la suprema corte ha cassato la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, ha detratto dalla complessiva somma liquidata nel giudizio di merito, a titolo di risarcimento del danno extracontrattuale,
l’importo corrisposto al danneggiato da un
coobbligato solidale; importo che la sentenza
impugnata non aveva provveduto a sottrarre,
adducendo l’estraneità del coobbligato medesimo all’instaurato giudizio risarcitorio) (Cass. 16
febbraio 2010, n. 3672). n La persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile
a più persone legate dal vincolo della solidarietà
(quali, nella specie, i responsabili di un sinistro
stradale nei confronti del terzo trasportato in
uno dei veicoli coinvolti) può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una
sola delle persone coobbligate, mentre la diversa
gravità delle rispettive colpe e l’eventuale diseguale efficienza causale può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione passiva di risarcimento tra i corresponsabili; conseguentemente, il giudice del merito
adı̀to dal danneggiato deve pronunciarsi sulla
graduazione delle colpe e sull’efficienza causale
delle rispettive condotte solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento ai fini
della ripartizione interna, ovvero se il danneggiato abbia rinunciato alla parte del credito corrispondente al grado di responsabilità del coautore dell’illecito da lui non convenuto nel giudizio
– rinuncia, peraltro, non ravvisabile nella sola
circostanza di non avere agito anche contro quest’ultimo – o, infine, abbia rinunciato ad avvalersi della solidarietà nei confronti del corresponsabile convenuto (Cass. 21 settembre 2007,
n. 19492). n Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di
contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra
ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti
debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell’art.
2055 c.c., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è im-
Art. 1292
putabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è
sufficiente, in base ai principi che regolano il
nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali,
del resto, l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo
(fattispecie relativa a danno alla salute subı̀to da
una paziente per trattamenti medici inidonei,
ascrivibili in parte alla casa di cura presso cui
era stata ricoverata e in parte al medico curante
dopo la dimissione) (Cass. 19 novembre 2006, n.
23918). n In tema di contratto di appalto, qualora il danno subı̀to dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori (ovvero del
progettista), entrambi rispondono solidalmente
dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza
della solidarietà, che le azioni e le omissioni di
ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a
produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse
costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o
violazioni di norme giuridiche diverse (Cass. 14
ottobre 2004, n. 20294). n L’esito positivo del
collaudo di un’opera non esclude la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. –
norma di garanzia dell’opera nel tempo, mentre
il collaudo costituisce prova di tenuta in un unico contesto – e pertanto egli è tenuto a rispondere in caso di gravi difetti nell’esecuzione; qualora
poi essi dipendano altresı̀ da errori del progettista, anche costui è responsabile, in concorso e in
solido con l’appaltatore, ai sensi del medesimo
art. 1669 c.c., per i danni derivatine, con la conseguenza che il rapporto processuale tra i predetti condebitori è scindibile e che la notifica
della sentenza, da parte del danneggiato, nei
confronti dell’uno, non determina la decorrenza
del termine breve per impugnare nei confronti
dell’altro (Cass. 5 febbraio 2000, n. 1290). n È
ravvisabile la responsabilità solidale se l’unico
evento dannoso è imputabile a più persone che
abbiano concorso in modo efficiente a produrre
l’evento, a nulla rilevando che le azioni o le
omissioni di ciascuna persona costituiscano distinti ed autonomi fatti illeciti o violazione di
norme giuridiche diverse; può pertanto essere
pronunciata la condanna in via solidale quando
più debitori siano tenuti per la medesima prestazione, a nulla rilevando in contrario la diversità
della fonte dalla quale le obbligazioni derivano e
la diversa natura delle rispettive azioni ed omissioni (Cass. 19 febbraio 1999, n. 1415). n La responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt. 1292 e 2055, comma 1 c.c.), sussi1313
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Art. 1292
ste anche se l’evento dannoso è imputabile a fatti illeciti succedutisi nel tempo e commessi da
più persone, purché ciascuno di essi abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa; è
perciò irrilevante nel rapporto tra danneggiato e
danneggiante la diseguale efficacia causale delle
singole condotte o la diversa gravità delle colpe
dei corresponsabili, rilevante invece nei rapporti
interni per la ripartizione dell’onere risarcitorio
tra loro (artt. 1299, comma 1 c.c. e 2055, comma
2 c.c.) (Cass. 10 dicembre 1996, n. 10987). n La
responsabilità degli amministratori e dei sindaci
di società ha natura solidale, ai sensi dell’art.
1292 c.c., e tale vincolo sussiste – tanto quando
la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale – anche se l’evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo, restando irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale; pertanto, in caso di transazione tra uno dei
coobbligati ed il danneggiato, l’art. 1304, primo
comma, c.c. si applica soltanto se la transazione
abbia riguardato l’intero debito solidale, mentre,
laddove l’oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, cosı̀ che,
per effetto della transazione, il debito solidale
viene ridotto dell’importo corrispondente alla
quota transatta, producendosi lo scioglimento
del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri
condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono
obbligati nei limiti della loro quota (Cass. 8 luglio 2009, n. 16050).
[V. anche art. 2055 c.c.]
9. Responsabilità dei soci di società di persone. n
Il rapporto di sussidiarietà che collega la responsabilità dei soci di società di persone rispetto alla
responsabilità della società non esclude la natura
solidale della relativa obbligazione, con la conseguenza, sul piano processuale, dell’esclusione del
litisconsorzio necessario e della relativa inscindibilità delle cause; ne consegue che, ove la sentenza di primo grado sia stata notificata ai soci e
questi l’abbiano impugnata tardivamente, il giudice di appello è tenuto a dichiarare l’inammissibilità di tale impugnazione, dovendosi applicare
l’art. 332 e non l’art. 331 c.p.c. (Cass. 31 luglio
2008, n. 20891).
10. Responsabilità nell’esecuzione di prestazioni
per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale. n La responsabilità nell’esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è
necessario il titolo di abilitazione professionale è
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
rigorosamente personale perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato
dell’intuitus personae, e perciò anche se il professionista è associato ad uno studio, ai sensi dell’art. 1 l. 23 novembre 1939 n. 1815, non sussiste
alcun vincolo di solidarietà con i professionisti
dello stesso studio né per l’adempimento della
prestazione, né per la responsabilità nell’esecuzione della medesima (Cass. 29 novembre 2004,
n. 22404).
11. Reati commessi col mezzo della stampa. n Il
proprietario e l’editore, essendo responsabili civilmente per i danni conseguenti ai reati commessi col mezzo della stampa in solido con il direttore e l’autore dell’articolo, sono obbligati per
l’intero nei confronti del danneggiato, ai sensi
dell’art. 1292 c.c., ma con diritto di regresso nei
rapporti interni con gli altri coobbligati secondo
la gravità delle rispettive colpe e le conseguenze
che ne sono derivate (art. 2059 c.c.) (Cass. 19
settembre 1995, n. 9892).
12. Azione revocatoria. n Qualora uno solo tra
più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore
promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. – ricorrendone i presupposti – nei
suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni
degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento (Cass. 22 marzo
2011, n. 6486).
13. Conto corrente bancario. n La cointestazione
di un conto corrente, attribuendo agli intestatari
la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi
di conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salva la prova
contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante
dalla cointestazione stessa (Cass. 8 settembre
2006, n. 19305).
14. Vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari e credito per il
prezzo. n La vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari dà luogo a solidarietà attiva dei venditori nel credito
per il prezzo, sicché, ai sensi dell’art. 1292 c.c.,
ciascuno di essi ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione, con la conseguente liberazione del debitore che ha effettuato
il pagamento nei confronti di tutti gli altri creditori, e salva la ripartizione, nei rapporti interni,
della somma pagata; ne consegue che, in caso di
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accoglimento soltanto parziale della domanda di
adempimento proposta congiuntamente dai venditori, l’appello incidentale proposto da uno soltanto di essi a seguito dell’impugnazione in via
principale della sentenza da parte del compratore non si traduce nella proposizione di una domanda nuova, né impone l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri venditori,
non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario, e potendo gli altri venditori giovarsi della
sentenza più favorevole eventualmente pronunciata in accoglimento dell’appello incidentale, ai
sensi dell’art. 1306 c.c. (Cass. 3 maggio 2010, n.
10648).
15. Deposito bancario. n Nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla
estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché
il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo
la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero
saldo del libretto di deposito a risparmio e l’adempimento cosı̀ conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare (Cass. 29 ottobre 2002, n. 15231).
16. Assicurazione. | La solidarietà che, in forza
dell’art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, vincola il
responsabile-assicurato ed il suo assicuratore nei
confronti del danneggiato dipende esclusivamente dall’attribuzione ex lege allo stesso danneggiato, in deroga ai principi che regolano l’assicurazione per la responsabilità civile, dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore e si caratterizza come un’ipotesi di solidarietà atipica ‘‘ad
interesse unisoggettivo’’, stante la diversità dei titoli per cui sono tenuti verso il danneggiato il responsabile e l’assicuratore, il primo obbligato ex
delicto, il secondo obbligato ex lege; ne discende
che detta solidarietà, non essendo configurabile
oltre i limiti della espressa previsione legislativa,
deve ritenersi operante soltanto in favore del
danneggiato, del quale rafforza la tutela, e non
anche nei rapporti tra l’assicurato responsabile e
gli altri soggetti con il medesimo coobbligati in
quanto anch’essi responsabili del danno, con la
conseguenza che, qualora uno di tali coobbligati
risarcisca il danneggiato estinguendone il credito
risarcitorio, l’azione di regresso resta da lui proponibile nei confronti del coobbligato assicurato
e non anche nei confronti del suo assicuratore
(Cass. 7 luglio 1999, n. 7019).
Art. 1292
17. Contratto atipico di ‘‘skipass’’. n L’accesso a
un comprensorio sciistico, costituito da numerose piste da sci di proprietà di soggetti diversi, a
mezzo di un contratto atipico di ‘‘skipass’’, che
consente allo sciatore, dietro corrispettivo, di
utilizzare liberamente e illimitatamente, per il
tempo previsto dal contratto, tutti gli impianti
di risalita facenti parte del comprensorio, non
implica una responsabilità contrattuale solidale
di tutti i proprietari delle singole piste per gli incidenti verificatisi su una delle piste a causa dei
difetti di manutenzione della stessa (nel caso di
specie, mancanza di neve non adeguatamente segnalata), in quanto gli obblighi di manutenzione
e custodia ricadono esclusivamente sul proprietario di ciascun impianto facente parte del comprensorio (Cass. 19 luglio 2004, n. 13334).
18. Ablazione della proprietà privata indivisa da
parte della P.A. n In tema di ablazione della
proprietà privata indivisa da parte della P.A.,
mentre nel caso di espropriazione l’opposizione
di uno dei comproprietari estende i suoi effetti
anche agli altri ed implica che il giudizio debba
determinare l’indennità nel suo complesso, in
quanto l’obbligazione indennitaria dell’espropriante non può essere adempiuta in forma frazionata e la comunione permane avendo ad oggetto l’indennità fino a quando non ne sia disposto lo svincolo, al contrario, nell’occupazione
appropriativa, l’appartenenza del medesimo fondo a più comproprietari non implica solidarietà
attiva in unico credito risarcitorio, ma comporta
l’insorgenza dell’autonomo diritto di ciascuno di
essi al ristoro del pregiudizio verificatosi nel suo
patrimonio; pertanto, la pretesa risarcitoria non
può essere coltivata oltre i limiti del pregiudizio
sofferto in proprio dal comproprietario istante
(Cass. 18 marzo 2008, n. 7258).
19. Compenso al consulente d’ufficio. n In tema
di compenso al consulente d’ufficio, l’obbligo di
pagare la prestazione eseguita ha natura solidale
e, di conseguenza, l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di
ognuna delle parti, anche in via monitoria, non
solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto, in quanto non trova applicazione, per
essere l’attività svolta dal consulente finalizzata
all’interesse comune di tutte le parti, il principio
della soccombenza, operante solo nei rapporti
con le parti e non nei confronti dell’ausiliare
(Cass. 15 settembre 2008, n. 23586).
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Art. 1292
20. Aspetti processuali. n Mentre nell’ipotesi in
cui il terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall’attore, la domanda attrice si estende automaticamente ad esso, senza necessità di una istanza
espressa, analoga estensione non si verifica nel
caso di chiamata del terzo in garanzia, stante
l’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo; né la suddetta
estensione della domanda si verifica nel caso in
cui, ad istanza del condebitore solidale convenuto, venga chiamato in causa quello non compulsato dal creditore agente, essendo il chiamante
privo di qualsiasi legittimazione in tal senso, attesa la sua estraneità al diverso rapporto intercorrente fra l’attore ed il chiamato (Cass. 24 gennaio 1997, n. 722). n Nella controversia promossa contro due convenuti, per ottenerne condanna
in solido al pagamento di un debito, sulla base
di un titolo che assertivamente li ponga nella veste di coobbligati, sono configurabili distinte domande, ancorché connesse, ciascuna assistita da
un proprio autonomo interesse; ne consegue che
il giudice del merito, ove assolva uno di detti
convenuti, ritenendolo estraneo al titolo dedotto, non resta privo del potere-dovere di pronunciare sulla domanda di condanna dell’altro, senza che sia all’uopo necessaria un’istanza subordinata dell’attore (nella specie, avente ad oggetto
una causa di lavoro promossa per il pagamento
di differenze retributive nei confronti di due soggetti ritenuti responsabili in concorso nella gestione dell’azienda, la suprema corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano configurato la responsabilità esclusiva di
uno dei due convenuti, in ragione della titolarità
di fatto dell’azienda, escludendo la sussistenza di
un’interposizione fittizia di persona, ipotizzata
dal ricorrente, che avrebbe richiesto una intesa
simulatoria fra il titolare formale del rapporto, il
titolare effettivo ed il lavoratore) (Cass. 24 maggio 2010, n. 12605). n La responsabilità solidale
nei confronti del danneggiato tra gli autori del
fatto illecito – anche nel caso in cui questo costituisca reato – ed il responsabile civile non dà
luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario e,
quindi, il creditore può agire nei confronti di
uno qualsiasi dei debitori tenuti in solido, non
rilevando, in contrario, che l’obbligazione del responsabile civile presuppone l’accertamento della commissione del fatto reato da parte dell’autore materiale, poiché, essendo effettuato detto
accertamento soltanto incidentalmente da parte
del giudice civile, non si rende necessaria la presenza in giudizio dell’autore materiale (Cass. 16
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
agosto 2005, n. 16957). n Poiché l’obbligazione
di risarcimento del danno derivato dalla cosa comune a più proprietari comporta la responsabilità solidale degli stessi, nel giudizio instaurato
dal danneggiato nei confronti di uno soltanto o
di alcuni, ma non di tutti i responsabili dell’evento dannoso, non ricorre il litisconsorzio necessario e non risulta violato il principio del contraddittorio, potendo il creditore esigere da ciascuno dei condebitori l’intero credito, fermo restando il diritto di regresso del convenuto, nel
caso di sua condanna, nei confronti degli altri
obbligati (Cass. 15 luglio 2005, n. 15021). n In
tema di litisconsorzio facoltativo, ove all’interruzione del processo per morte di uno dei creditori
o condebitori non segua l’atto di riassunzione effettuato nel termine previsto nei confronti dei
suoi eredi, il processo prosegue solo quanto ai
rapporti processuali relativi alle parti regolarmente citate, e si estingue, invece, limitatamente
alla parte deceduta, in applicazione del principio
di cui all’art. 1306 c.c., per cui, anche in caso di
rapporto plurisoggettivo solidale, sono possibili
le azioni di un solo contitolare o verso un solo
contitolare, dirette a perseguire l’adempimento
dell’obbligazione (Cass. 7 luglio 2010, n. 16018).
n Nel caso di condebitori solidali il litisconsorzio
è facoltativo e le cause sono scindibili, sı̀ che in
caso di interruzione del processo per morte di
uno di essi, ove l’atto di riassunzione sia notificato impersonalmente e collettivamente agli eredi presso il domicilio eletto dal de cuius, anziché
presso il suo ultimo domicilio effettivo (art. 303,
comma 2, c.p.c.), e validamente invece alle altre
parti, tale irregolarità comporta che il rapporto
processuale prosegua con queste, e si estingua limitatamente alla parte deceduta, in applicazione
del principio secondo il quale spetta al creditore
scegliere nei confronti di quale coobbligato agire
o proseguire il giudizio (art. 1292 c.c.) (Cass. 4
marzo 1998, n. 2406). n La mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, in quanto soccombenti in giudizio relativamente ad un
rapporto obbligatorio scindibile qual è quello
derivante dalla solidarietà (che non incide sull’autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun obbligato), determina il passaggio in giudicato della sentenza nei
suoi confronti, ancorché altri condebitori solidali
l’abbiano impugnata (Cass. 14 luglio 2009, n.
16390). n Qualora l’impugnazione sia stata proposta da uno soltanto dei coobbligati soccombenti a tutela di propri interessi, l’esercizio del
potere di impugnazione non può essere riferito
anche agli altri suoi litisconsorti in primo grado,
che, notificati del gravame, siano rimasti contu-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
maci nel giudizio d’appello senza che possa rilevare che il comune difensore fosse munito di
procura anche per il grado di appello e che lo
stesso, in sede di conclusioni definitive per tale
grado, abbia richiesto la riforma della sentenza
impugnata anche in nome degli altri coobbligati
(Cass. 23 novembre 1985, n. 5836). n La circostanza per cui una domanda di condanna all’adempimento di un’obbligazione venga accolta
nei confronti di più soggetti in via solidale non
giustifica di per sé che il processo, che ha avuto
in primo grado natura di litisconsorzio facoltativo, si configuri in sede di impugnazione come
processo su causa inscindibile, sia che impugni il
soggetto che ha ottenuto la condanna solidale
sia che impugni alcuno dei condannati in solido;
ne consegue che, di regola, in appello si applica
in tali casi il disposto dell’art. 332 c.p.c. e non
quello dell’art. 331 c.p.c. (Cass. 11 febbraio
2009, n. 3338). n Poiché l’obbligazione solidale
determina la costituzione non già di un unico
rapporto obbligatorio con pluralità di soggetti
dal lato attivo e/o dal lato passivo, bensı̀ di tanti
rapporti obbligatori, fra loro distinti, quanti sono i condebitori in solido, qualora il creditore
comune convenga in giudizio tutti i condebitori
in solido non si verifica un litisconsorzio necessario e, in sede di impugnazione, una situazione
di inscindibilità delle cause, in quanto, avendo il
creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei
coobbligati; ne consegue che, nel caso di giudizio
di impugnazione promosso da uno solo dei debitori solidali, la sentenza passa in giudicato nei
confronti dei condebitori riguardo ai quali l’impugnazione non è stata svolta e che, qualora l’esercizio del diritto di impugnazione sia avvenuto
da parte di tutti i condebitori, con la deduzione,
però, da parte di ciascuno, di specifici motivi diversi da quelli dedotti dagli altri, i motivi dedotti
dal condebitore non si comunicano agli altri
(Cass. 11 gennaio 2005, n. 379). n L’obbligazione
solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l’inscindibilità delle cause e non dà luogo
a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il
creditore titolo per rivalersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nel confronti di uno solo
dei coobbligati, con la conseguenza che se sia
uno solo di essi a proporre appello (o questo sia
formulato nei confronti di uno solo di essi), il
giudizio può legittimamente proseguire senza dover estendere necessariamente il contraddittorio
Art. 1292
nei confronti degli altri, non rientrandosi in una
delle ipotesi previste dall’art. 331 c.p.c. (nella
specie la suprema corte ha, perciò confermato
sul punto l’impugnata sentenza, con la quale era
stato escluso che il rapporto di solidarietà tra
debitore principale e fideiussore realizzasse un
caso di litisconsorzio necessario, comportante,
come tale, qualora l’impugnazione fosse stata
proposta contro uno solo di questi due soggetti,
la necessità di integrare il contraddittorio nei
confronti dell’altro) (Cass. 21 novembre 2006, n.
24680). n Il principio secondo cui la domanda di
risarcimento dei danni cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili
di un fatto illecito dà luogo, in sede di impugnazione, a cause scindibili, per effetto del vincolo
di solidarietà passiva configurabile tra gli autori
dell’illecito, soffre una parziale eccezione nell’ipotesi in cui l’accertamento della responsabilità
di uno di essi presupponga necessariamente
quello della responsabilità degli altri; in tal caso,
infatti, dovendosi valutare il rapporto di subordinazione logica o di pregiudizialità tra le cause
in relazione al contenuto delle censure proposte
ed all’esito della lite, l’impugnazione della sentenza di condanna proposta dal responsabile originario per negare la propria responsabilità dà
luogo ad una causa inscindibile rispetto a quella
promossa nei confronti del responsabile ‘‘di riflesso’’, che in caso di accoglimento del gravame
si troverebbe altrimenti a rispondere da solo del
fatto commesso da un altro soggetto, mandato
invece assolto, mentre la decadenza del danneggiato dall’impugnazione nei confronti del responsabile ‘‘di riflesso’’ non preclude l’impugnazione della sentenza nei confronti del responsabile originario (principio enunciato dalla suprema corte in riferimento all’impugnazione di una
sentenza di condanna al risarcimento dei danni
cagionati da un pubblico dipendente, pronunciata, ai sensi dell’art. 2049 c.c., anche nei confronti
dell’amministrazione datrice di lavoro) (Cass. 14
luglio 2009, n. 16391). n Le cause proposte nei
confronti di più debitori in solido sono inscindibili, e danno pertanto luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale, solo quando le stesse siano in rapporto di dipendenza, ovvero quando le
distinte posizioni dei coobbligati presentino
obiettiva interrelazione, alla stregua della loro
strutturale subordinazione anche sul piano del
diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro; non
ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario
processuale in fase di impugnazione nel caso dell’azione proposta dal creditore nei confronti del
debitore principale e del fideiussore coobbligato
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Art. 1292
solidale, giacché il creditore ha titolo per richiedere l’intero nei confronti di ciascun debitore, di
tal che è sempre possibile la scissione del rapporto processuale; ne consegue che, in caso di appello promosso da parte del fideiussore – il quale, senza porre in questione profili relativi alla
c.d. solidarietà dipendente, lamenti, come nella
specie, il presunto inadempimento da parte della
banca creditrice agli obblighi derivanti dal rapporto di fideiussione, tale da inficiare in ipotesi
la validità o l’efficacia dell’obbligazione fideiussoria, ma non dell’obbligazione principale – la
mancata impugnazione della sentenza anche nei
confronti del debitore principale, che abbia partecipato al giudizio di primo grado, non rende
necessaria l’integrazione del contraddittorio ex
art. 331 c.p.c. riguardo a quest’ultimo (Cass. 15
febbraio 2005, n. 3028). n Le cause proposte nei
confronti di più condebitori in solido sono inscindibili e danno luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale solo quando le stesse siano in
rapporto di dipendenza ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva
interrelazione, alla stregua della loro strutturale
subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro; non ricorrendo tali ipotesi, è inammissibile l’appello incidentale tardivo proposto dall’attore avverso la
sentenza di primo grado, che non abbia accolto
una delle domande scindibili originariamente
proposte (nella specie, di condanna per risarcimento dei danni nei confronti dell’appaltatore e
dei committenti) e sia stata impugnata in via
principale solo dalla parte soccombente (Cass. 6
luglio 2001, n. 9210). n Nel processo con pluralità di parti, ove una domanda di risarcimento
danni sia proposta nei confronti di due soggetti
in modo tale che il fatto determinante la responsabilità di uno dei due è solamente quello posto
in essere dall’altro, insorge un vincolo di solidarietà passiva, in conseguenza del rapporto di dipendenza, tale da determinare l’inscindibilità
della causa; pertanto, la notificazione della sentenza effettuata a cura di uno dei coobbligati è
idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, ad opera del soccombente, nei confronti di tutte le sue controparti e, perciò, anche
del coobbligato solidale che non ha proceduto
alla predetta notificazione (fattispecie in tema di
responsabilità di dipendente pubblico ai sensi
dell’art. 2049 c.c.) (Cass. 8 febbraio 2012, n.
1771). n Qualora si controverta della sussistenza
di obbligazioni solidali derivanti da unica fonte,
le cause cumulativamente proposte da o contro
più soggetti devono qualificarsi inscindibili ai
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
sensi e per gli effetti dell’art. 331 c.p.c. (nella
specie, un lavoratore domandava nei confronti
di una SRL, di una SNC e di una persona fisica,
alle cui dipendenze aveva lavorato, l’accertamento della unicità del rapporto di lavoro) (Cass. 20
novembre 2000, n. 14975). n Sussiste litisconsorzio necessario tra condebitori, solidalmente condannati in primo grado per il pagamento dell’onorario ad un professionista, se alcuni di essi appellano la relativa sentenza anche per chiedere la
riforma dell’accertamento della loro corresponsabilità, e l’affermazione invece di quella esclusiva di colui che aveva conferito l’incarico, configurandosi la dipendenza delle cause e pertanto –
oltre che per l’impugnazione incidentale del creditore della medesima sentenza sul quantum, ottenuta nei confronti di tutti – il contraddittorio
tra costoro deve esser integro, a pena di nullità
del procedimento di secondo grado (Cass. 19
marzo 1999, n. 2527). n La solidarietà passiva
nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo consentendogli di
ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione
da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha
alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza,
in parti uguali; ne consegue che, se il creditore
conviene in giudizio più debitori sostenendo la
loro responsabilità solidale, e venga pronunciata
condanna di uno solo di essi con esclusione del
rapporto di solidarietà, il debitore condannato,
ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza, perché essa non aggrava la sua posizione
di debitore dell’intero, né pregiudica in alcun
modo il suo eventuale diritto di rivalsa (Cass. 16
febbraio 2012, n. 2227). n Il corresponsabile di
un fatto illecito, se nel giudizio di risarcimento
proposto dal danneggiato non abbia formulato
domanda di regresso nei confronti degli altri
coobbligati solidali, è privo di interesse (ex art.
100 c.p.c.) ad impugnare la sentenza che lo abbia condannato al risarcimento del danno senza
accertare la misura della colpa ascrivibile a ciascuno dei corresponsabili (Cass. 26 giugno 2007,
n. 14753). n Nel caso di azione proposta contro
due obbligati solidali in cui si ritenga che la responsabilità dell’uno dipende da quella dell’altro, l’impugnazione principale del convenuto,
che sia stato condannato per un titolo autonomo, fa risorgere l’interesse nell’attore originario
a rimettere in questione nei confronti dell’appellante gli altri prospettati titoli in virtù dei quali
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
avrebbe potuto essere dichiarata la responsabilità del condannato se la stessa fosse stata preventivamente riconosciuta a carico dell’altro convenuto non condannato, con la conseguenza che il
medesimo attore può estendere, in via incidentale, l’impugnazione nei confronti del suddetto
convenuto, qualora intenda sostenere che dall’accertamento della sua responsabilità dipendeva quella del convenuto impugnante (Cass. 14
dicembre 2006, n. 26852). n La responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt.
1292 e 2055, comma 1, c.c.), sussiste anche se l’evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, ciascuno dei quali abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa,
restando irrilevante, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, la diseguale efficienza causale
delle singole condotte, poiché il danneggiato può
pretendere l’intera prestazione anche da uno solo degli obbligati; pertanto il debitore condannato, ove non abbia proposto domanda di rivalsa
nei confronti del preteso condebitore solidale,
non ha alcun interesse ad impugnare la sentenza
nella parte in cui si esclude la responsabilità di
uno o più condebitori, perché essa non aggrava
la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa (Cass.
22 luglio 2005, n. 15431). n Il principio secondo
cui, nel processo con pluralità di parti, la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola
delle parti segna, nei confronti della stessa e della destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, non è applicabile nel caso
in cui si verta in tema di obbligazione solidale
passiva, perché questa non comporta sul piano
processuale l’inscindibilità delle cause e non dà
luogo a litisconsorzio necessario, in quanto,
avendo il creditore titolo per rivalersi per intero
nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile
la scissione del rapporto processuale; infatti, nell’ipotesi di cause scindibili o comunque indipendenti, poiché all’interesse sostanziale di ciascuna
parte corrisponde un interesse autonomo alla
impugnazione, il termine per proporla non può
Art. 1294
essere unitario, ma decorre dalla data delle singole notificazioni a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza (Cass.
10 gennaio 2008, n. 239). n Nell’ipotesi di pronunzia di assoluzione di più soggetti chiamati a
rispondere come condebitori in solido, la notificazione della sentenza, ancorché eseguita all’unico soccombente su richiesta di uno solo dei soggetti vittoriosi, vale a far decorrere il termine per
proporre l’impugnazione anche contro tutte le
altre parti; infatti il vincolo di solidarietà comporta che, decorso inutilmente il termine per
proporre l’impugnazione contro il notificante, la
pronunzia assolutoria acquista efficacia di giudicato nei confronti del medesimo; e tale giudicato
fa stato – a norma dell’art. 1306 c.c. – anche a
favore dei litisconsorti vittoriosi, qualora la decisione sia basata sulla radicale negazione del rapporto obbligatorio e non su ragioni personali al
litisconsorte notificante (Cass. 8 maggio 1995, n.
5022). n La tempestività della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere
determinata esclusivamente assumendo come
dies a quo, la data della notifica del provvedimento monitorio al debitore opponente, e nulla
rilevando, ai fini del computo del termine perentorio, la solidarietà passiva con altri condebitori;
ne consegue che, atteso il carattere di autonomia
che caratterizza l’obbligazione solidale, il debitore solidale non può avvalersi, ai fini della tempestività dell’opposizione, del diverso termine relativo al debitore principale al quale il decreto sia
stato notificato in data successiva (Cass. 13 maggio 2008, n. 11867). n Il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dal creditore contro più debitori solidali acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato; pertanto, nel
giudizio di opposizione instaurato da uno degli
intimati non può essere pronunciata condanna
alle spese processuali del giudizio di opposizione,
nei confronti del condebitore solidale che non
abbia proposto opposizione (Cass. 20 maggio
2003, n. 7881).
1293
Modalità varie dei singoli rapporti – [1] La solidarietà non e` esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, o il debitore comune sia tenuto con modalità diverse di fronte ai singoli creditori.
1294
Solidarietà tra condebitori – [1] I condebitori sono tenuti in solido, se dalla
legge o dal titolo non risulta diversamente.
1319
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Art. 1294
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
SOMMARIO: 1. Coeredi – 2. Cessione del contratto di locazione – 3. Dipendente che presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro – 4. Diversi titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale)
– 5. Assicurazione – 6. Pluralità di creditori
1. Coeredi. n In tema di ripartizione dei debiti
ereditari, l’art. 752 c.c. concerne solamente i rapporti tra coeredi, e non è pertanto invocabile dai
creditori del de cuius, per i quali trova viceversa
applicazione l’art. 754 c.c., in base al quale essi
possono pretendere nei confronti di ciascun coerede l’adempimento della prestazione divisibile
in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria, norma che, nel fare eccezione alla regola
della solidarietà passiva di cui all’art. 1294 c.c., è
peraltro, ai sensi degli artt. 1295 e 1394 c.c., anche tacitamente derogabile dagli eredi, e in ogni
caso non impedisce l’adempimento del terzo con
efficacia estintiva dell’obbligazione (Cass. 30 giugno 2005, n. 13953). n Le obbligazioni nascenti
dall’amministrazione dei beni nella comunione
incidentale ereditaria, in quanto assunte nell’interesse comune di tutti gli eredi partecipanti alla
comunione, danno luogo ad una presunzione di
solidarietà del vincolo tra i coeredi a norma dell’art. 1294 c.c.; solidarietà che comporta che
ogni questione relativa alla cattiva amministrazione dei beni oggetto della comunione, alla ripartizione degli utili da essi derivanti e dei debiti
della gestione riguardano esclusivamente i rapporti interni tra partecipanti alla comunione; né
trova applicazione il beneficium excussionis, che
è previsto solo in ipotesi eccezionali e che comunque è operante in sede esecutiva, non essendo precluso al creditore di agire, in sede di cognizione, nei confronti del debitore solidale ai fini dell’accertamento del credito e della relativa
condanna (Cass. 29 maggio 1998, n. 5348).
2. Cessione del contratto di locazione. n In materia
di locazioni, in caso di cessione del contratto di
locazione (contestualmente a quella dell’azienda)
effettuata ai sensi dell’art. 36 l. n. 392 del 1978
senza il consenso del locatore, mentre tra (l’unico) cedente e (l’unico) cessionario intercorre un
vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò,
al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto
contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario), nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione
dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i
cedenti ‘‘intermedi’’ del contratto stesso (compre1320
so il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 c.c.), in virtù della
quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non
liberati dal locatore risponderanno, in solido tra
loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale
conduttore (Cass. 20 aprile 2007, n. 9486).
3. Dipendente che presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro. n È configurabile l’unicità del rapporto di lavoro qualora
lo stesso dipendente presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro, titolari di distinte imprese, e l’attività sia svolta in
modo indifferenziato, cosı̀ che in essa non possa
distinguersi quale parte sia stata svolta nell’interesse di un datore e quale nell’interesse degli altri;
dall’unicità del rapporto consegue che tutti i fruitori dell’attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le obbligazioni relative, ai sensi dell’art.
1294 c.c. (Cass. 20 ottobre 2000, n. 13904).
4. Diversi titoli di responsabilità (contrattuale ed
extracontrattuale). n Nell’ambito di un’obbligazione il principio, previsto dall’art. 1294 c.c., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido,
ove dalla legge non risulti altrimenti, non è
escluso per il fatto che i titoli della responsabilità facenti capo ai coobbligati siano diversi, l’uno
di natura contrattuale e l’altro di natura extracontrattuale (nella specie, la suprema corte ha
confermato la sentenza di merito che – in una
causa promossa da una società cooperativa nei
confronti dei propri amministratori per inosservanza dei doveri inerenti alla carica – aveva riconosciuto, nella determinazione del danno, il concorso della responsabilità degli amministratori
per fatto illecito con quella contrattuale di terzi
in relazione ad un contratto di appalto) (Cass.
10 settembre 2007, n. 18939). n La solidarietà
nelle obbligazioni può aversi anche quando i titoli della responsabilità facente capo ai coobbligati siano diversi, l’uno di natura contrattuale e
l’altro di natura extracontrattuale, sicché la domanda con la quale si aziona la responsabilità
contrattuale di uno degli obbligati vale ad interrompere la prescrizione dell’azione di responsa-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
bilità extracontrattuale nei confronti dell’altro
(Cass. 21 dicembre 1995, n. 13022).
5. Assicurazione. n In tema di assicurazione della
RCA l’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore,
salva la responsabilità per mala gestio, sussiste
nei limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione ed è entro tali limiti solidale
con l’obbligazione dell’assicurato pur trattandosi
di solidarietà atipica (Cass. 29 agosto 1995, n.
9101). n In tema di assicurazione obbligatoria
della responsabilità civile per i danni derivati
dalla circolazione dei veicoli a motore, il debito
da fatto illecito che fa capo al danneggiante e
quello di pagamento dell’indennizzo al danneggiato, posto dalla legge a carico dell’assicuratore, sono legati, per l’intero ammontare, da vincolo di solidarietà, ancorché atipico, con la conseguenza che è ammissibile la proposizione cumulativa da parte del danneggiato delle relative
azioni e cosı̀ la condanna in solido del danneggiante e dell’assicuratore (Cass. 1o giugno 1995,
n. 6128).
6. Pluralità di creditori. n La solidarietà attiva
fra più creditori sussiste solo se espressamente
prevista in un titolo negoziale preesistente alla
richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa
delle prestazioni (eadem res debita) e delle obbligazioni (eadem causa debendi); l’interesse a negare detta solidarietà non è attribuibile esclusivamente a ciascuno dei creditori, ma appartiene
anche al debitore ai fini di un corretto e non
pregiudizievole assetto dei rapporti obbligatori
(come si evince dall’art. 1297, comma 2, c.c. limitativo della proponibilità delle eccezioni personali), giacché nelle ipotesi di solidarietà attiva
il comune debitore non potrebbe opporre al creditore che gli abbia chiesto l’intera prestazione le
eccezioni personali ad altro creditore e che a
questo il debitore medesimo avrebbe potuto, invece, opporre, nel caso di obbligazione parziale,
il cui adempimento egli per la sua parte avrebbe
richiesto (Cass. 11 giugno 2008, n. 15484). n Il
versamento del prezzo del fondo riscattato nel
termine perentorio stabilito dall’art. 8 l. 26 mag-
Art. 1295
gio 1965 n. 590, autenticamente interpretato dalla l. 8 gennaio 1979 n. 2, costituisce condicio iuris del trasferimento della proprietà al retraente
e deve esser effettuato, con le modalità previste
dagli art. 1209 ss. c.c. in caso di rifiuto, a favore
di ciascun retrattato, se questi sono più di uno,
in misura corrispondente alla rispettiva quota,
perché la predetta obbligazione non è indivisibile, né oggettivamente (art. 1316 c.c.), né soggettivamente – a meno che risulti diversamente dall’atto di acquisto del fondo retrattato – e la solidarietà tra creditori, a differenza di quella passiva, non si presume; pertanto, scaduto il predetto
termine perentorio, il retraente che abbia offerto
l’intera somma costituente il prezzo del fondo riscattato ad uno soltanto dei retrattati, decade
dal diritto di riscatto vittoriosamente esercitato
(Cass. 29 ottobre 2001, n. 13416). n In tema di
obbligazioni solidali, nel rapporto con pluralità
di debitori sussiste una presunzione di solidarietà passiva, ai sensi dell’art. 1294 c.c. – la cui ratio è quella di tutelare l’interesse del creditore a
disporre, ai sensi dell’art. 1292 c.c., della facoltà
di una sola esecuzione nei confronti del patrimonio prescelto – mentre tale presunzione di solidarietà è del tutto esclusa nel caso di rapporto obbligatorio con pluralità di creditori (anche se essi
invochino la medesima fonte del loro diritto nei
confronti del debitore), salva la sola ipotesi di
una espressa pattuizione di solidarietà da parte
dei creditori stessi (Cass. 18 giugno 2001, n.
8235). n La solidarietà attiva nelle obbligazioni
non si presume, nemmeno in caso di identità
della res debita, ma deve risultare espressamente
dalla legge o dal titolo (Cass. 11 agosto 2000, n.
10725). n Al fine della ricorrenza della solidarietà attiva, in forza di titolo negoziale, in un rapporto obbligatorio con identità di oggetto e di
causa e con pluralità di creditori, non sono necessarie clausole espresse o formule sacramentali, ma è sufficiente che, attraverso l’interpretazione di quel titolo, possa accertarsi univocamente
la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei
creditori il diritto di pretendere l’adempimento
dell’intera obbligazione, con effetto liberatorio
anche nei confronti degli altri creditori (Cass. 6
agosto 2010, n. 18362).
1295
Divisibilità tra gli eredi – [1] Salvo patto contrario, l’obbligazione si divide
tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote.
SOMMARIO: 1. Morte di un debitore in solido – 2. Obbligazione assunta con previsione della solidarietà fra gli eredi del debitore
1321
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Art. 1296
1. Morte di un debitore in solido. n Con la morte
di un debitore in solido, il vincolo della solidarietà non cessa tra gli eredi e gli altri condebitori, ma riceve una limitazione nei confronti dei
singoli eredi, nel senso che ciascuno di essi rimane obbligato solidalmente con gli altri condebitori originari soltanto fino a concorrenza della
propria quota ereditaria (Cass. 27 novembre
1999, n. 13291).
2. Obbligazione assunta con previsione della soli-
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
darietà fra gli eredi del debitore. n Colui che contrae un’obbligazione può convenire che i suoi
eredi siano solidalmente obbligati per il debito
contratto, in quanto ogni debitore può apporre
ai suoi beni i carichi che più gli aggradano, salvo
agli eredi la facoltà di sottrarsi a quei vincoli rinunciando all’eredità o accettandola con il beneficio dell’inventario (Cass. 25 novembre 1988, n.
6345).
[V. anche artt. 1292 e 1294 c.c.]
1296
Scelta del creditore per il pagamento – [1] Il debitore ha la scelta di pagare
all’uno o all’altro dei creditori in solido, quando non e` stato prevenuto da uno
di essi con domanda giudiziale.
1297
Eccezioni personali – [1] Uno dei debitori in solido non può opporre al creditore le eccezioni personali agli altri debitori.
[2] A uno dei creditori in solido il debitore non può opporre le eccezioni personali agli altri
creditori.
SOMMARIO: 1. Assegno – 2. Solidarietà attiva
1. Assegno. n Nel caso in cui l’obbligazione solidale sia adempiuta per intero da uno dei condebitori mediante rilascio di un assegno, rimasto
insoluto, ed il creditore esperisca azione causale,
anche gli altri condebitori possono opporre a
quest’ultimo l’eccezione di inammissibilità dell’azione causale prevista dall’art. 58 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 (per la mancanza dell’offerta in
restituzione dell’assegno, del deposito dello stesso in cancelleria e delle formalità necessarie per
conservare al debitore le azioni di regresso), poiché tale eccezione non può essere considerata
personale ai sensi dell’art. 1297 c.c. (Cass. 28
maggio 1996, n. 4944).
2. Solidarietà attiva. n La solidarietà attiva fra
più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richie-
sta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa delle
prestazioni (eadem res debita) e delle obbligazioni (eadem causa debendi); l’interesse a negare
detta solidarietà non è attribuibile esclusivamente a ciascuno dei creditori, ma appartiene anche
al debitore ai fini di un corretto e non pregiudizievole assetto dei rapporti obbligatori (come si
evince dall’art. 1297, 2o comma, c.c. limitativo
della proponibilità delle eccezioni personali),
giacché nelle ipotesi di solidarietà attiva il comune debitore non potrebbe opporre al creditore
che gli abbia chiesto l’intera prestazione le eccezioni personali ad altro creditore e che a questo
il debitore medesimo avrebbe potuto, invece, opporre, nel caso di obbligazione parziale, il cui
adempimento egli per la sua parte avrebbe richiesto (Cass. 11 giugno 2008, n. 15484).
1298
Rapporti interni tra debitori o creditori solidali – [1] Nei rapporti interni
l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori,
salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi.
[2] Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.
SOMMARIO: 1. Quota di obbligazione gravante a carico del condebitore nei rapporti interni – 2. Surrogazione – 3.
Concorso di colpa del creditore – 4. Mantenimento del figlio diventato maggiorenne – 5. Conto corrente bancario – 6. Deposito di titoli in amministrazione – 7. Assicurazione – 8. Confideiussione
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
1. Quota di obbligazione gravante a carico del
condebitore nei rapporti interni. n In tema di solidarietà passiva nelle obbligazioni, ai sensi dell’art. 1292 c.c., la questione relativa alla quota di
obbligazione gravante a carico del condebitore
nei rapporti interni si pone soltanto qualora, abbia pagato l’intero debito giacché, solo in tale
ipotesi, quest’ultimo potrà agire in via di regresso verso gli altri debitori solidali per ottenere le
parti dell’intero debito di loro rispettiva spettanza, le quali, se non risulta diversamente, si presumono uguali (Cass. 12 ottobre 2007, n. 21482).
2. Surrogazione. n Il proprietario di una parte del
bene sul quale, prima della divisione, è stata
iscritta ipoteca per garanzia del debito di un terzo, si surroga, con il pagamento del credito (al
quale è tenuto [per il debitore] perché esposto alla
azione esecutiva del creditore sul bene ipotecato)
nei diritti del creditore verso i proprietari delle altre quote o parti del bene (originariamente unico)
assoggettato al vincolo solo nella misura e nei limiti in cui avrebbe avuto diritto di regresso o di
surroga nei confronti dei condebitori solidali e,
perciò, esclusivamente per la parte di debito eccedente la quota di valore della sua proprietà rispetto all’intero e nei limiti della quota di valore
della proprietà altrui; sia il regresso che la surrogazione, nei rapporti tra i condebitori solidali,
operano, infatti, solo nei limiti della suddivisione
del debito nei rapporti interni tra i condebitori
(art. 1298 c.c.) perché solo entro questi limiti il
pagamento è eseguito anche nell’interesse specifico altrui (in quanto riduce o estingue l’obbligazione di altro o di altri condebitori nella misura
derivante dalla suddivisione del debito nei rapporti interni ed indipendentemente dalla loro posizione verso il creditore) ed a questo principio
non può sottrarsi la surrogazione ex lege di colui
che è tenuto per altri al pagamento del debito,
nei confronti degli altri responsabili del medesimo
debito altrui, dato che anche questa (surrogazione) ha il suo fondamento nel medesimo presupposto (Cass. 4 aprile 1995, n. 3937).
3. Concorso di colpa del creditore. n In tema di
concorso di colpa del creditore, l’art. 1227 c.c.
ha riguardo al comportamento del creditore di
un’obbligazione inadempiuta (o non ritualmente
adempiuta), ma non concerne i rapporti tra
coobbligati in solido né le rispettive responsabilità nell’inadempimento della comune obbligazione (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2469).
4. Mantenimento del figlio diventato maggiorenne.
Al fine di stabilire se l’azione diretta ad otte-
n
Art. 1298
nere il mantenimento del figlio diventato maggiorenne spetti direttamente a quest’ultimo oppure al genitore separato o divorziato con cui
continua a coabitare, occorre distinguere l’ipotesi del figlio che faccia valere direttamente la sua
pretesa sulla base di una sua autonoma posizione, per cui la legittimazione spetta esclusivamente allo stesso figlio, da quella in cui il figlio
ometta di esercitare i suoi diritti nei confronti
del genitore con cui non convive, lasciando che
al suo mantenimento provveda direttamente e
totalmente il genitore con cui convive, atteso che
in tale ipotesi quest’ultimo genitore è legittimato
ad agire iure proprio per il rimborso di quanto
da lui costantemente anticipato per conto dell’altro coniuge, tenuto al mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., trattandosi di obbligazione solidale alla quale sono applicabili gli artt. 1298 e
1299 c.c. (Cass. 29 marzo 1994, n. 3049).
5. Conto corrente bancario. n Nel conto corrente
bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati
non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti
con la banca, bensı̀ dal comma 2 dell’art. 1298
c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si
dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo
risulti discendere dal versamento di somme di
pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve
escludere che l’altro possa, nel rapporto interno,
avanzare diritti sul saldo medesimo (nella specie,
la suprema corte ha confermato la sentenza di
merito che aveva ritenuto superata la presunzione di comproprietà in relazione ad un conto corrente contestato a zio e nipote, ritenendo provato che i versamenti fossero stati compiuti con
denaro appartenente soltanto al primo) (Cass.
19 febbraio 2009, n. 4066). n La cointestazione
di un conto corrente, attribuendo agli intestatari
la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi
del conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei
terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la
contitolarità dell’oggetto del contratto (art.
1298, comma 2, c.c.), ma tale presunzione dà
luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni
semplici – purché gravi, precise e concordanti –
dalla parte che deduca una situazione giuridica
diversa da quella risultante dalla cointestazione
stessa (nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto
detta presunzione di contitolarità superata dalla
prova documentale dell’esclusiva provenienza
del denaro da uno solo dei contestatari del con1323
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Art. 1298
to) (Cass. 5 dicembre 2008, n. 28839). n Il saldo
di conto corrente bancario cointestato, con facoltà di disposizione disgiunta di ciascuno dei
contitolari, non può costituire credito ‘‘contratto
nell’interesse esclusivo’’ di alcuno dei contitolari
del credito stesso, ai sensi del primo comma dell’art. 1298 c.c., perché ciò contrasterebbe con la
funzione del contratto di conto corrente bancario, il quale è finalizzato all’espletamento del servizio di cassa in favore – dunque nell’interesse –
di tutti i contitolari, i quali, infatti, possono liberamente disporre del saldo attivo (nell’affermare
il principio di diritto di cui in massima, la suprema corte ha conseguentemente negato la rilevanza in giudizio della dedotta prova della causale
del versamento alla base del saldo attivo del
conto – causale ritenuta dal ricorrente tale da dimostrare la esclusiva spettanza a lui del versamento stesso – perché la censura proposta con il
ricorso consisteva nella violazione del 1o comma
dell’art. 1298 c.c., agli effetti del quale rilevava il
credito del saldo – costituente il credito solidale
in discussione – e non il diverso credito, verso
terzi, la cui avvenuta riscossione aveva dato luogo alla provvista) (Cass. 21 gennaio 2004, n.
886). n Una presunzione legale iuris tantum
(quale quella di cui all’art. 1298, comma 2, c.c.),
poiché dà luogo soltanto all’inversione dell’onere
probatorio, può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto provata l’esclusiva appartenenza al marito delle
somme depositate su un conto corrente cointestato al medesimo e alla moglie sulla base dei seguenti fatti secondari: precedente intestazione al
marito di un conto con depositi di importo superiore, brevissima durata del matrimonio, impossibilità di risparmi familiari apprezzabili) (Cass.
1o febbraio 2000, n. 1087). n Il principio secondo
cui l’apertura di un conto corrente bancario intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente,
rende gli intestatari ‘‘creditori o debitori in solido dei saldi del conto’’ (art. 1854 c.c.), mentre
nei rapporti interni, se non risulta diversamente,
‘‘le parti di ciascuno si presumono uguali’’ (art.
1298, comma 2, c.c.) si applica anche al c.d. conto provvisorio, caratterizzato dalla immissione
nello stesso di danaro cui viene conferita la specifica destinazione dell’acquisto di titoli, ancorché il danaro sia stato versato da uno solo dei
contestatari o da un terzo a favore di uno solo
di essi, salvo che si dimostri che il titolo di acquisizione di quel denaro rendeva destinatario
dello stesso in via esclusiva il solo cointestatario
1324
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
che poi lo ha versato sul conto (Cass. 22 ottobre
1994, n. 8718). n Nel conto corrente bancario
cointestato a più persone, i rapporti interni tra i
correntisti sono regolati non dall’art. 1854 c.c.,
che riguarda i rapporti tra i medesimi e la banca,
ma dall’art. 1298, comma 2, c.c., in base al quale
le parti di ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali se non risulta diversamente, con la conseguenza che nel giudizio instaurato nei confronti di uno soltanto dei contitolari del conto, da parte di chi vanti una pretesa sulle somme depositate, non è necessaria la
integrazione del contraddittorio nei confronti
degli altri, poiché la sentenza resa in detto giudizio non è opponibile a questi ultimi (Cass. 18
agosto 1993, n. 8758).
6. Deposito di titoli in amministrazione. n In caso
di deposito bancario di titoli in amministrazione
cointestato ai coniugi, i rapporti interni tra i depositanti sono regolati dall’art. 1298, 2o comma,
c.c., sicché le parti di ciascuno si presumono
uguali, se non risulta diversamente; per vincere
la predetta presunzione, non è sufficiente la prova di aver avuto la proprietà e la disponibilità
esclusiva del denaro utilizzato per l’acquisto dei
titoli, valendo la cointestazione a rendere solidale il credito anche se il denaro sia immesso sul
conto da uno dei cointestatari o da un terzo a
favore di uno solo o di entrambi i coniugi, ed essendo, invece, dirimente la prova della pertinenza esclusiva, in base al titolo di acquisto, del denaro versato in capo a uno dei contestatari
(Cass. 24 febbraio 2010, n. 4496). n Nel caso in
cui dei titoli al portatore (bot) siano depositati
su un ‘‘deposito titoli’’ cointestato a due coniugi
in regime di separazione di beni, i rapporti interni fra i depositanti sono regolati dall’art. 1298,
comma 2, c.c., onde il credito corrispondente si
divide in quote eguali fra i coniugi solo ove non
risulti diversamente (Cass. 29 aprile 1999, n.
4327).
7. Assicurazione. n Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gl’infortuni, compreso
l’evento morte, la prestazione dell’assicuratore,
quale obbligazione pecuniaria (avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art.
1882, seconda proposizione, c.c.), costituisce debito di valuta (art. 1277 c.c.); nel caso in cui uno
dei beneficiari riscuota per intero il capitale assicurato, il debito nei confronti degli altri beneficiari non diviene di valore, mutando solo il soggetto obbligato alla prestazione, non già l’oggetto di essa, costituito pur sempre da una somma
di denaro, dovuta, o a titolo di regresso fra cre-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
ditori in solido (combinato disposto degli artt.
1298 e 1299 c.c.), ovvero a titolo di restituzione
di quote indebitamente percepite (art. 1314 c.c.),
ovvero a titolo di ripetizione dell’indebito soggettivo ex latere accipientis (combinato disposto
degli artt. 1189, comma 2, e 2033 c.c.) (Cass. 10
novembre 1994, n. 9388).
8. Confideiussione. n In tema di confideiussione,
e con riguardo al diritto del solvens di regresso
verso gli altri fideiussori, la ripartizione del debito all’interno del gruppo va fatta applicando il
Art. 1299
criterio stabilito dall’art. 1298 c.c. per i rapporti
interni tra condebitori solidali con la conseguenza che in mancanza di un criterio particolare di
riparto interno (per il quale bisogna fare riferimento non al contratto con il quale ciascuno dei
confideiussori ha prestato la garanzia al creditore, bensı̀ alla ragione del collegamento tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori, ossia
all’interesse comune) si può fare applicazione
della presunzione di uguaglianza delle quote
(Cass. 22 maggio 1990, n. 4594).
1299
Regresso tra condebitori – [1] Il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi.
[2] Se uno di questi e` insolvente, la perdita si ripartisce per contributo tra gli altri condebitori, compreso quello che ha fatto il pagamento.
[3] La stessa norma si applica qualora sia insolvente il condebitore nel cui esclusivo interesse l’obbligazione era stata assunta.
SOMMARIO: 1. Esercizio dell’azione di regresso – 2. Pagamento parziale – 3. Datio in solutum – 4. Surrogazione
– 5. Assicurazione per conto di chi spetta – 6. Eccezioni opponibili contro la pretesa di regresso – 7. Mantenimento dei figli – 8. Comunione di diritti reali – 9. Assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli – 10. Assicurazione contro gli infortuni – 11. Azione di rivalsa e azione di regresso – 12. Aspetti
processuali – 13. Fallimento
1. Esercizio dell’azione di regresso. n In materia
di obbligazione solidale, ciascun debitore può
agire in regresso nei confronti dell’altro a condizione che l’importo azionato non ecceda la parte
di pertinenza del condebitore nei confronti del
quale l’azione viene esercitata; ne consegue che,
ove tale limite venga rispettato, l’azione di regresso può essere esercitata anche congiuntamente da più debitori che abbiano pagato l’intero debito, senza che il convenuto possa opporre
che uno di costoro ha pagato meno di quanto
dovuto, poiché la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori (Cass. 19 agosto 2009, n.
18406). n Il condebitore solidale, convenuto in
giudizio dall’unico creditore, può promuovere
l’azione di regresso di cui all’art. 1299 c.c. nei
confronti degli altri coobbligati anche prima di
aver pagato la propria obbligazione, fermo restando che l’eventuale sentenza di accoglimento
non potrà essere messa in esecuzione se chi l’ha
promossa non abbia a sua volta adempiuto nei
confronti del creditore principale (Cass. 19 maggio 2008, n. 12691). n Il giudice investito da una
domanda di condanna del creditore verso un obbligato solidale e da una domanda di regresso
proposta da quest’ultimo verso altro coobbligato
ben può emettere due distinte pronunce di con-
danna, l’una subordinata all’altra, nel senso che
la pronuncia in via di regresso può essere posta
in esecuzione soltanto ove venga dimostrato, da
parte del primo condebitore, l’adempimento nei
confronti del creditore, atteso che l’ordinamento
ammette la sentenza condizionata quando l’avvenimento futuro ed incerto cui viene subordinata l’efficacia della condanna si configuri come
elemento accidentale della decisione cosı̀ formulata in omaggio al principio di economia processuale (Cass. 21 agosto 2003, n. 12300). n Sebbene la condanna alla rivalsa presupponga il già
avvenuto pagamento, ad opera di colui in favore
del quale la condanna è emessa, di quanto della
rivalsa medesima debba formare oggetto, tuttavia non può negarsi l’interesse della parte a richiedere tale condanna, in via condizionata, contestualmente all’accertamento del proprio diritto, fermo restando che tale diritto non sorge se
non a seguito dell’avvenuto pagamento della
somma di cui il solvens pretende di ottenere rivalsa da altri; su una tale domanda di condanna
il giudice è dunque tenuto a provvedere, non potendo limitarsi a considerarla assorbita in quella
di mero accertamento del diritto di rivalsa, essendo quest’ultima inidonea alla formazione di
un titolo esecutivo (Cass. 19 febbraio 2003, n.
2469). n Alla parte evocata in giudizio per il ri1325
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sarcimento del danno, non è vietato di chiamare
in causa altro corresponsabile al fine di esercitare il regresso contro di questi, per il caso di esito
positivo dell’azione intrapresa dal danneggiato;
in tale ipotesi peraltro il coobbligato solidale
condannato a pagare l’intero al danneggiato potrà recuperare la quota riconosciutagli in sede di
regresso contro l’altro obbligato solo dopo il pagamento da parte sua dell’intero debito, operando in tale caso l’estinzione dell’obbligazione come condizione non dell’azione cognitiva di regresso bensı̀ dell’azione esecutiva contro l’altro
obbligato (Cass. 11 marzo 1998, n. 2680).
2. Pagamento parziale. n In tema di obbligazioni, la presunzione di solidarietà dettata con riferimento ai rapporti esterni tra creditore e pluralità di debitori non si estende ai rapporti interni
tra i condebitori solidali, spiegando, per converso, efficacia, tra questi ultimi, l’opposto principio della parziarietà dell’obbligazione, con la
conseguenza che, nella ipotesi di pagamento parziale del debito solidale, al condebitore adempiente spetta l’azione di regresso nei confronti
degli altri condebitori soltanto se la somma da
lui pagata ecceda la quota di sua spettanza, e
soltanto nei limiti di tale eccedenza, previa concreta dimostrazione, in sede giudiziaria, che la
prestazione da lui eseguita risulti effettivamente
superiore alla sua quota (Cass. 7 dicembre 1998,
n. 12366). n Il condebitore solidale, sia ex contractu, sia ex delicto, che paga al creditore una
somma maggiore rispetto alla parte incombentegli (artt. 1299 e 2055 c.c.), ha diritto di regresso
anche se non ha corrisposto l’intero, perché la
ratio delle norme è il depauperamento del suo
patrimonio oltre il dovuto e il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori (Cass. 29
gennaio 1998, n. 884).
3. Datio in solutum. n Il debitore in solido ha diritto di regresso in confronto degli altri condebitori anche quando l’estinzione del diritto del creditore sia stata conseguita mediante datio in solutum ma, in questo caso, il diritto di ripetizione
pro quota si rapporta al valore della prestazione
effettuata sino concorrenza di quello della prestazione dovuta e cosı̀ alla minor somma tra
questo ed il valore della prestazione eseguita in
luogo dell’adempimento (Cass. 28 ottobre 1988,
n. 5852).
4. Surrogazione. n In tema di obbligazioni solidali, il regresso trova fondamento nella corresponsabilità ed è volto ad evitare l’ingiustificato
depauperamento del solvens che ha adempiuto a
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titolo di garanzia; a quest’ultimo spetta, altresı̀,
la surrogazione nei confronti del debitore garantito, caratterizzata da presupposti e contenuto
diversi, sicché esse sono complementari pur se
non cumulabili, potendo essere esercitate entrambe le relative azioni nei limiti in cui il regresso sia diretto ad ottenere quanto spettante in
eccedenza rispetto al credito oggetto della vicenda successoria della surrogazione (Cass. 30 ottobre 2007, n. 22860). n Nell’azione di regresso fra
condebitori, prevista dall’art. 1299 c.c., il debitore che ha adempiuto il debito comune fa valere
il suo diritto alla surrogazione legale a norma
dell’art. 1203 n. 3 c.c., con la conseguenza che
diventano a lui opponibili non solo le eccezioni
relative al rapporto interno di solidarietà, ma
anche quelle opponibili al creditore in solido, relative a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione; in tale azione, inoltre, il termine d’inizio
della prescrizione coincide con quello in cui il
debitore in solido abbia adempiuto l’intera obbligazione (Cass. 28 marzo 2001, n. 4507).
5. Assicurazione per conto di chi spetta. n Nel caso di assicurazione per conto di chi spetta, correlata ad un contratto di trasporto, verificatasi la
perdita delle merci trasportate ed assicurate ed il
pagamento del valore delle merci al proprietario
da parte del trasportatore, non può essere escluso a priori il diritto di surroga di quest’ultimo ex
art. 1203 n. 3, c.c. per non avere il trasportatore
pagato un debito altrui e per la diversità dei titoli in base ai quali assicuratore e trasportatore sono obbligati verso il proprietario delle merci, atteso che l’obbligazione solidale può nascere da
una pluralità di fatti o mezzi giuridici (sempre
che tutti i debitori siano obbligati ad un’unica
prestazione) e che si deve invece accertare se,
sulla base dei rispettivi contratti, l’assicuratore e
il trasportatore fossero tenuti alla stessa prestazione, in guisa tale che l’adempimento dell’uno
libera anche l’altro, cosı̀ da rendere operante in
favore del trasportatore il regresso ex artt. 1298
e 1299 c.c. e la surroga, ad esso correlata, negli
stessi limiti, tenendo conto dell’eventuale deroga
contrattuale nei riguardi dei diritti dell’assicuratore derivanti dall’art. 1916 c.c. (Cass. 14 marzo
1996, n. 2120).
6. Eccezioni opponibili contro la pretesa di regresso. n È inammissibile per sopravvenuto difetto
d’interesse il ricorso per cassazione proposto dai
coobbligati solidali nel caso in cui il credito, oggetto della pretesa azionata, sia stato estinto da
un condebitore, atteso il pieno effetto liberatorio
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prodottosi nei loro confronti; con la conseguenza che è preclusa l’opponibilità al creditore delle
eccezioni spettanti al debitore principale, ammissibili, semmai, nei soli confronti del condebitore
pagante, laddove questi agisca in regresso, facendo valere il suo diritto alla surrogazione legale
(Cass. 28 gennaio 2009, n. 2192). n In caso di
obbligazione solidale dal lato passivo, l’accertamento del debito nei riguardi di uno solo dei
condebitori non richiede la necessaria partecipazione al giudizio anche dell’altro e non fa stato
nei suoi confronti; ciò non impedisce tuttavia al
debitore escusso di agire in rivalsa verso il condebitore solidale, adducendo il fatto di aver dovuto soddisfare le ragioni del comune creditore,
fermo restando che il convenuto in questo secondo giudizio è libero di proporre tutte le eccezioni idonee a paralizzare la pretesa dell’attore,
anche in relazione a quanto già accertato nella
precedente causa cui egli non ha partecipato
(Cass. 19 febbraio 2003, n. 2469). n I condebitori, nei cui confronti il debitore che ha adempiuto
fa valere il suo diritto di regresso, possono opporre i fatti estintivi, impeditivi o limitativi del
debito comune solo se questi fatti sono precedenti alla data dell’adempimento e concretamente opponibili al creditore nel momento dell’adempimento (nella specie, alcuni ex soci di una
società estinta avevano pagato debiti tributari
della medesima fatti valere mediante un ruolo
esattoriale divenuto esecutivo; il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla suprema corte in applicazione del riportato principio, aveva
rigettato la domanda di regresso nei confronti
degli altri ex soci, pacificamente nel caso concreto analogamente tenuti in solido per ogni sopravvenienza societaria passiva, sulla base del rilievo astratto che si trattava di un’obbligazione
tributaria già adempiuta sulla base di altro procedimento di riscossione e che quindi, da un lato, sarebbe stato possibile attivare una procedura di rimborso, e, dall’altro, il pagamento posto
a base dell’azione di regresso non poteva tecnicamente qualificarsi come dovuto) (Cass. S.U. 5
febbraio 1999, n. 32).
7. Mantenimento dei figli. n Spetta al tribunale
ordinario (e non al tribunale per i minorenni)
giudicare sulla domanda di regresso proposta da
uno dei genitori (nella specie a seguito della conclusione della convivenza tra genitori naturali)
in nome proprio, nei confronti dell’altro, al fine
di ottenere, ai sensi dell’art. 1299 c.c., il rimborso pro quota delle spese sostenute per sé, nel periodo anteriore alla nascita dei figli, e per la prole, trattandosi di lite tra due soggetti maggioren-
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ni, che ha come causa petendi la comune qualità
di genitori, e non essendo la domanda assimilabile a (né connessa con) quelle contemplate dall’art. 38 disp. att. c.c. riguardanti l’affidamento e
il mantenimento dei figli minorenni (Cass. 13
gennaio 2011, n. 674). n L’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da entrambi i
genitori, per effetto della sentenza dichiarativa
della filiazione naturale, collegandosi allo status
genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita
del figlio, con la conseguenza che il genitore, il
quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento del minore anche per la
porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di regresso per la corrispondente quota,
sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e
261 c.c. da interpretarsi però alla luce del regime
delle obbligazioni solidali stabilito nell’art. 1299
c.c.; pertanto, il quantum dovuto in restituzione
nel periodo di mantenimento esclusivo non può
essere determinato sulla base dell’importo stabilito per il futuro nella pronuncia relativa al riconoscimento del figlio naturale, via via devalutato, in quanto l’ammontare dovuto trova limite
negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero sostenuto la
spesa senza però prescindere né dalla considerazione del complesso delle specifiche e molteplici
esigenze effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla valorizzazione delle sostanze e dei
redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti
ed evidenziati, eventualmente in via presuntiva,
dalle risultanze processuali, né infine dalla correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei suoi
genitori (Cass. 4 novembre 2010, n. 22506). n Posto che il genitore, una volta accertata la filiazione naturale ovvero riconosciuto il figlio naturale,
deve contribuire al mantenimento dalla nascita,
nonché, dalla stessa data, deve rimborsare pro
quota – secondo il regime delle obbligazioni solidali – l’altro genitore che abbia integralmente
provveduto al mantenimento del figlio medesimo, tale rimborso va quantificato tenendo conto
di quanto l’obbligato avrebbe dovuto corrispondere qualora il riconoscimento avesse avuto luogo fin dalla nascita del figlio, fermo che egli non
può essere tenuto a contribuire anche a spese irragionevoli, operando pur sempre il principio secondo cui i genitori devono adempiere l’obbligo
di mantenimento verso i figli in proporzione delle loro sostanze, secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo, sicché deve escludersi che il genitore in parola abbia tacitamente
accettato le spese sostenute dall’altro, conferen1327
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dogli una sorta di delega in bianco che gli impedirebbe poi di contestarne le pretese (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza
di merito che ha fatto corretta applicazione di
tale principio, quantificando il rimborso a carico
del padre motivando adeguatamente in relazione
alle esigenze della figlia e alle condizioni economiche dei genitori, con conseguente incensurabilità in sede di legittimità dell’affermata eccessività delle spese di cui l’altro genitore aveva chiesto
il rimborso) (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4588). n
La sentenza dichiarativa della filiazione naturale
produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi
dell’art. 277 c.c., e, quindi, a norma dell’art. 261
c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri
della procreazione legittima, incluso quello del
mantenimento ex art. 148 c.c.; la relativa obbligazione si collega allo status genitoriale e assume
di conseguenza pari decorrenza, dalla nascita del
figlio, con il corollario che l’altro genitore, il
quale nel frattempo abbia assunto l’onere del
mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148
c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente
quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art.
1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali;
tuttavia, in considerazione dello stato di incertezza che precede la dichiarazione giudiziale di
paternità naturale, il diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio,
spettante al genitore che lo ha allevato, non è
utilmente esercitabile se non dal momento della
sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna
altresı̀ il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso (Cass. 11 luglio 2006, n.
15756). n La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 c.c., e, quindi, a norma
dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i
doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c.; la
relativa obbligazione si collega allo status, genitoriale e assume di conseguenza pari decorrenza,
dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui
al cit. art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la
corrispondente quota, sulla scorta delle regole
dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali; peraltro, la condanna al rimborso
di detta quota per il periodo precedente la proposizione dell’azione non può prescindere da
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un’espressa domanda della parte, attenendo tale
pronunzia alla definizione dei rapporti pregressi
tra debitori solidali, ossia a diritti disponibili, e
quindi non incidendo sull’interesse superiore del
minore, che soltanto legittima l’esercizio dei poteri officiosi attribuiti al giudice dall’art. 277,
comma 2, c.c.; la necessità di analoga domanda
non ricorre riguardo ai provvedimenti da adottare in relazione al periodo successivo alla proposizione dell’azione, atteso che, durante la pendenza del giudizio, resta fermo il potere del giudice adı̀to, in forza della norma suindicata, di
adottare di ufficio i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore (in applicazione di detti principi, la suprema corte ha
confermato la decisione di merito la quale aveva
escluso, rigettando la contraria pretesa, che nell’esercizio dei poteri officiosi conferitigli dall’art.
277, comma 2, c.c., il giudice potesse disporre
per il periodo antecedente la proposizione del
giudizio, in assenza di domanda dell’altro genitore, peraltro nella specie non proponibile non
avendo la ricorrente agito in proprio, ma solo in
nome e per conto del figlio minorenne) (Cass. 16
luglio 2005, n. 15100). n Al fine di stabilire se
l’azione diretta ad ottenere il mantenimento del
figlio diventato maggiorenne spetti direttamente
a quest’ultimo oppure al genitore separato o divorziato con cui continua a coabitare, occorre
distinguere l’ipotesi del figlio che faccia valere
direttamente la sua pretesa sulla base di una sua
autonoma posizione, per cui la legittimazione
spetta esclusivamente allo stesso figlio, da quella
in cui il figlio ometta di esercitare i suoi diritti
nei confronti del genitore con cui non convive,
lasciando che al suo mantenimento provveda direttamente e totalmente il genitore con cui convive, atteso che in tale ipotesi quest’ultimo genitore è legittimato ad agire iure proprio per il rimborso di quanto da lui costantemente anticipato
per conto dell’altro coniuge, tenuto al mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., trattandosi di
obbligazione solidale alla quale sono applicabili
gli artt. 1298 e 1299 c.c. (Cass. 29 marzo 1994, n.
3049).
8. Comunione di diritti reali. n In tema di comunione di diritti reali, la disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 1104 c.c. (secondo la quale
il cessionario del partecipante è tenuto in solido
col cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati) può essere invocata solo dal creditore, non da terzi estranei al rapporto obbligatorio; pertanto, qualora un condominio paghi
debiti inerenti un periodo anteriore alla propria
costituzione (e relativi ai precedenti comproprie-
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tari), non può invocare la suddetta norma nei
confronti degli aventi causa degli originari comproprietari, assumendo di avere estinto un debito non proprio; in tale ipotesi, il condominio
non può neppure invocare le norme in materia
di obbligazioni solidali, in quanto, non essendo
esso ancora costituito al momento in cui il debito sorgeva e non avendo perciò assunto la qualità di (con)debitore, ha estinto un debito di altri
e non anche di altri, onde non può agire in regresso ex art. 1299 c.c. (Cass. 26 marzo 1997, n.
2657).
9. Assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. n In tema di
assicurazioni obbligatorie per la responsabilità
civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore, non ha giuridico fondamento l’ipotesi
secondo cui la pretesa dell’assicurato di essere
tenuto indenne dall’assicuratore per le somme
che sia costretto a pagare al danneggiato per i
danni a questi cagionati con la propria vettura a
seguito di incidente stradale, debba ricomprendersi non nell’ambito dell’art. 2055 c.c., bensı̀,
trattandosi di obbligazione solidale ex delicto,
nella disciplina di cui all’art. 1299 c.c., (con la
conseguenza che, non essendovi la prova del
pregresso pagamento a favore del danneggiato
da parte dell’assicurato, quest’ultimo non può
esperire l’azione di regresso nei confronti dell’assicuratore); tale assunto, infatti, se può avere
una qualche giustificazione a fronte di una domanda di condanna del solo assicuratore, certamente non può averla con riguardo alla domanda di mero accertamento del diritto di regresso
dell’assicurato nei confronti della propria compagnia di assicurazioni (Cass. 8 marzo 2007, n.
5331). n Tra il proprietario, il conducente del
veicolo, il loro assicuratore della responsabilità
civile ed il trasportato corresponsabile del danno
nei confronti di altro soggetto, si realizza, nei
confronti del danneggiato, un’ipotesi di solidarietà nel debito risarcitorio, disciplinata nei rapporti interni non regolati dal rapporto assicurativo dai principi propri delle obbligazioni soggettivamente complesse; ne consegue che l’azione di
regresso proposta dall’assicuratore della responsabilità civile di uno dei corresponsabili del sinistro stradale nei confronti del corresponsabile
trasportato, è disciplinata dall’art. 1299, comma
1, c.c., non dall’art. 2055 c.c., che opera soltanto
indirettamente al fine di determinare la parte di
debito risarcitorio facente carico a ciascuno dei
soggetti a cui è imputabile l’illecito, su cui poi va
commisurato il quantum del debito da indennizzo dell’assicuratore, e neppure dall’art. 1916 c.c.,
Art. 1299
dettato per la diversa ipotesi della surroga dell’assicuratore al danneggiato-assicurato nei suoi
diritti contro il danneggiante (Cass. 6 giugno
2002, n. 8216). n La solidarietà che, in forza dell’art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, vincola il responsabile-assicurato ed il suo assicuratore nei
confronti del danneggiato dipende esclusivamente dall’attribuzione ex lege allo stesso danneggiato, in deroga ai principi che regolano l’assicurazione per la responsabilità civile, dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore e si caratterizza come un’ipotesi di solidarietà atipica ‘‘ad
interesse unisoggettivo’’, stante la diversità dei
titoli per cui sono tenuti verso il danneggiato il
responsabile e l’assicuratore, il primo obbligato
ex delicto, il secondo obbligato ex lege; ne discende che detta solidarietà, non essendo configurabile oltre i limiti della espressa previsione legislativa, deve ritenersi operante soltanto in favore del danneggiato, del quale rafforza la tutela, e non anche nei rapporti tra l’assicurato responsabile e gli altri soggetti con il medesimo
coobbligati in quanto anch’essi responsabili del
danno, con la conseguenza che, qualora uno di
tali coobbligati risarcisca il danneggiato estinguendone il credito risarcitorio, l’azione di regresso resta da lui proponibile nei confronti del
coobbligato assicurato e non anche nei confronti
del suo assicuratore (Cass. 7 luglio 1999, n.
7019).
10. Assicurazione contro gli infortuni. n Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro
gl’infortuni, compreso l’evento morte, la prestazione dell’assicuratore, quale obbligazione pecuniaria (avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art. 1882, seconda proposizione, c.c.), costituisce debito di valuta (art. 1277
c.c.); nel caso in cui uno dei beneficiari riscuota
per intero il capitale assicurato, il debito nei
confronti degli altri beneficiari non diviene di
valore, mutando solo il soggetto obbligato alla
prestazione, non già l’oggetto di essa, costituito
pur sempre da una somma di denaro, dovuta, o
a titolo di regresso fra creditori in solido (combinato disposto degli artt. 1298 e 1299 c.c.), ovvero a titolo di restituzione di quote indebitamente
percepite (art. 1314 c.c.), ovvero a titolo di ripetizione dell’indebito soggettivo ex latere accipientis (combinato disposto degli artt. 1189, comma
2, e 2033 c.c.) (Cass. 10 novembre 1994, n. 9388).
11. Azione di rivalsa e azione di regresso. n L’azione di rivalsa presuppone che l’obbligazione
gravante su un soggetto possa essere trasferita
ad un terzo tenuto, per legge o per contratto, a
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rivalere il soccombente di quanto egli sia tenuto
a pagare al creditore; la medesima non è pertanto ipotizzabile nel caso di più debitori tenuti in
solido a risarcire il danno derivante da un fatto
ad essi imputabile, in quanto ciascuno è obbligato nei confronti del danneggiato per l’intero, salva l’azione di regresso di colui che abbia corrisposto l’intero credito nella misura determinata
dalla gravità delle rispettive colpe e dalle conseguenze da esse derivanti (Cass. 20 giugno 2000,
n. 8371).
12. Aspetti processuali. n In tema di obbligazioni
solidali passive, il pagamento integrale da parte
di uno dei coobbligati, ed il successivo esperimento da parte di quest’ultimo dell’azione di regresso nei confronti degli altri condebitori, determinano l’esaurimento del lato interno dell’obbligazione; ne consegue che quando sia stata
pronunciata sentenza di condanna in solido nei
confronti di più debitori ed uno di questi, dopo
avere rifuso la propria quota di obbligazione solidale ad altro condebitore in via di regresso ai
sensi dell’art. 1299 c.c., impugni vittoriosamente
la sentenza di condanna, ove intenda ottenere la
restituzione della somma pagata a titolo di regresso deve agire non nei confronti del condebitore che l’ha materialmente ricevuta, ma nei confronti del creditore, a nulla rilevando che la suddetta sentenza di condanna sia passata in giudicato nei confronti di altri coobbligati non impugnanti (Cass. 25 settembre 2009, n. 20657). n All’interno di un giudizio di risarcimento dei danni
provocati da un incidente stradale, il conducente
dell’autovettura è legittimato a spiegare intervento adesivo rispetto alla posizione del proprietario che sia stato convenuto in giudizio, essendo debitore solidale dello stesso, e come tale
esposto, in caso di soccombenza del proprietario, all’esercizio nei propri confronti dell’azione
di regresso ex art. 1299 c.c.; ne consegue che,
una volta che egli sia divenuto parte del giudizio
spiegando il relativo intervento, ha diritto alla liquidazione in proprio favore delle spese in caso
di soccombenza dell’attore (Cass. 11 dicembre
2003, n. 18944). n Il principio secondo cui è ammissibile la condanna del condebitore solidale,
chiamato in causa in via di regresso, condizionatamente all’adempimento dell’obbligazione solidale da parte dell’altro condebitore, opera soltanto quando vi sia un simultaneus processus sul
credito principale che giustifichi, in termini di
economia di giudizi, la contemporanea pronuncia sul credito di regresso e sia definitivamente
accertata, a carico del condebitore che chiede la
condanna condizionale, la pretesa del credito
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
(nella specie dalla Suprema Corte è stata cassata
la decisione del giudice del merito che aveva accolto la domanda di condanna condizionale
avanzata dal venditore di un immobile a carico
dell’acquirente in relazione all’obbligo di pagamento dell’imposta di registro, di cui era ignoto
nei suoi esiti il processo pendente avanti alla
commissione tributaria) (Cass. 13 gennaio 1994,
n. 297).
13. Fallimento. n Esercitata l’azione risarcitoria,
da parte del nuovo curatore fallimentare, nei
confronti di una banca, per la sottrazione di
somme depositate su libretto di deposito a risparmio nominativo intestato ad un fallimento,
ma oggetto di indebiti prelievi da parte di persona non autorizzata e diversa dal cessato curatore
e conclusa con il predetto terzo una transazione,
con restituzione da parte della banca degli importi cosı̀ prelevati e cessione a suo favore dei
diritti vantati dalla massa nei confronti del cessato curatore fallimentare, la successiva azione
con cui la banca chieda affermarsi la responsabilità del cessato curatore non necessita dell’autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell’art.
38 l.fall.; con essa, infatti, detto terzo non agisce
come organo della procedura o sostituto del curatore, bensı̀ a tutela di un interesse proprio,
avendo provveduto al risarcimento, e perciò a titolo di surroga nei diritti vantati dal fallimento
verso il curatore revocato, e dunque ex art. 1203
n. 3 c.c. ovvero in regresso ex art. 1299 c.c., ma
in ogni caso con autonoma legittimazione, che
ha il suo titolo proprio nell’adempimento della
predetta transazione, ex art. 35 l.fall. (Cass. 13
gennaio 2011, n. 710). n Il credito di regresso del
fideiussore che abbia pagato integralmente il creditore dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale fallito ha natura concorsuale in
quanto, oltre a trarre origine da un atto giuridico anteriore all’apertura della procedura fallimentare, esclude dal concorso, con effetto surrogatorio, il credito estinto e può quindi essere
esercitato dal solvens, nei limiti imposti dalle regole inderogabili del concorso, anche quando
questi non abbia chiesto e ottenuto in precedenza la insinuazione al passivo con riserva, ex art.
55 l.fall., della propria pretesa di rivalsa (Cass.
17 gennaio 2008, n. 903). n Nell’ipotesi in cui,
concessa ipoteca da due condebitori solidali su
di un immobile di proprietà comune, sia intervenuto il fallimento di uno dei condebitori e il bene sia stato venduto all’incanto, il credito in via
di regresso vantato nei confronti del fallimento
dal condebitore solidale escusso non è assistito
da prelazione ai sensi dell’art. 2808 c.c., non es-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
sendo contemporaneamente configurabile, nella
medesima vicenda esecutiva, l’estinzione della
garanzia (determinatasi col decreto di trasferimento del bene e l’ordine di cancellazione dell’i-
Art. 1301
poteca) e l’attribuzione di una nuova titolarità
soggettiva presupponente la sopravvivenza della
garanzia stessa (Cass. 22 gennaio 1999, n. 555).
1300
Novazione – [1] La novazione tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori. Qualora però si sia voluto limitare la novazione a uno
solo dei debitori, gli altri non sono liberati che per la parte di quest’ultimo.
[2] Se convenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la novazione ha effetto verso
gli altri creditori solo per la parte del primo.
1301
Remissione – [1] La remissione a favore di uno dei debitori in solido libera
anche gli altri debitori, salvo che il creditore abbia riservato il suo diritto verso gli altri, nel qual caso il creditore non può esigere il credito da questi, se non detratta la
parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione.
[2] Se la remissione e` fatta da uno dei creditori in solido, essa libera il debitore verso gli altri creditori solo per la parte spettante al primo.
Remissione tacita. n In tema di risarcimento dei
danni derivanti dalla circolazione stradale, l’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero
risarcimento, proposta dal trasportato danneggiato nei confronti del conducente di uno solo
dei veicoli coinvolti in uno scontro, non implica
di per sé una remissione tacita del debito nei
confronti del corresponsabile del danno, né una
rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima un comportamento inequivoco che riveli la
volontà del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la
parte del debito gravante su quest’ultimo (Cass.
2 luglio 2010, n. 15737). n In tema di solidarietà
passiva, qualora il creditore agisca, ai sensi dell’art. 1292 c.c., contro uno qualsiasi dei condebitori solidali, esercita un suo preciso diritto che,
però, non può comportare automatica rinuncia
del credito nei confronti dell’altro o degli altri
condebitori solidali, poiché, diversamente, si
contraddirebbe la stessa facoltà di scelta che la
citata norma riconosce al creditore ed il diritto
del debitore solidale escusso di rivalersi nei riguardi dei suoi condebitori solidali per le quote
di rispettiva responsabilità; tale conclusione si
impone anche se l’azione sia stata esercitata nei
confronti di uno soltanto dei condebitori solidali
a causa della convinzione che questo, e non altri,
sia il debitore, dato che la volontà di remissione
presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza, nel creditore, dell’esistenza del debito,
non potendo certo configurarsi la remissione di
un debito che lo stesso remittente reputasse, a
torto o a ragione, inesistente (nella specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza,
con la cui motivazione, in violazione delle norme
che governano la solidarietà passiva nei rapporti
obbligatori, era stato erroneamente ravvisato
che la convinzione dell’esclusiva responsabilità
del conducente di un veicolo, la quale aveva indotto il danneggiato ad orientare la sua azione
solo contro la società assicuratrice dello stesso
veicolo, oltre che del suo proprietario, aveva
comportato l’abbandono della possibilità di
azione contro il proprietario dell’automezzo nel
quale egli aveva preso posto, cosı̀ desumendone
la rinuncia a quest’ultima azione) (Cass. 14 luglio 2006, n. 16125). n Nel caso di scontro tra
veicoli, la proposizione dell’azione giudiziaria
per il conseguimento dell’intero risarcimento da
parte del danneggiato unitamente ad uno dei
conducenti coinvolti nel sinistro, con unico difensore, contro il conducente dell’altro veicolo,
non implica una remissione tacita del debito nei
riguardi del corresponsabile del danno (con derivante impossibilità di esigere dal secondo conducente obbligato l’intero credito, dovendosi da
questo detrarre la quota corrispondente al debito rimesso all’altro condebitore ai sensi dell’art.
1301 c.c.), poiché la volontà di rimettere il debito non può presumersi, ma deve emergere da un
comportamento concludente che riveli in modo
univoco l’intenzione del creditore di non avvalersi del credito (nella specie, la suprema corte,
rigettando il relativo motivo di ricorso e confermando la sentenza di merito impugnata enun1331
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Art. 1302
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
ciando il riportato principio, ha ritenuto corretta
la motivazione del giudice di appello che aveva
ravvisato l’insussistenza della remissione del debito, rilevante agli effetti di cui all’art. 1301 c.c.,
1302
nella intervenuta rinuncia agli atti del giudizio –
o, comunque, ad una domanda – nei confronti
di uno dei possibili corresponsabili del sinistro)
(Cass. 12 settembre 2005, n. 18090).
Compensazione – [1] Ciascuno dei debitori in solido può opporre in compensazione il credito di un condebitore solo fino alla concorrenza della parte di
quest’ultimo.
[2] A uno dei creditori in solido il debitore può opporre in compensazione ciò che gli e` dovuto da un altro dei creditori, ma solo per la parte di questo.
Accollo. n In forza del coordinato disposto degli
artt. 1302 e 1273 c.c., l’accollante, nella sua qualità di condebitore in solido dell’accollato, è le-
gittimato ad opporre in compensazione all’accollatario i crediti dell’accollato medesimo (Cass. 2
dicembre 1993, n. 11956).
1303
Confusione – [1] Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di creditore e di debitore in solido, l’obbligazione degli altri debitori si estingue per
la parte di quel condebitore.
[2] Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di debitore e di creditore in solido,
l’obbligazione si estingue per la parte di questo.
1304
Transazione – [1] La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in
solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano
di volerne profittare.
[2] Parimenti, se e` intervenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la transazione
non ha effetto nei confronti degli altri creditori, se questi non dichiarano di volerne profittare.
SOMMARIO: 1. Dichiarazione di voler profittare della transazione – 2. Oggetto della transazione – 3. Transazione
novativa – 4. Fideiussione – 5. Assicurazione – 6. Società – 7. Aspetti processuali
1. Dichiarazione di voler profittare della transazione. n La norma di cui all’art. 1304, 1o comma, c.c. si riferisce unicamente alla transazione
che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata (spettando al giudice del merito verificare quale sia
l’effettiva portata contenutistica del contratto),
giacché è la comunanza dell’oggetto della transazione stessa a far sı̀ che possa avvalersene il condebitore solidale pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e, quindi, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto
tra le parti; la conseguente riduzione dell’ammontare dell’intero debito, pattuita in via transattiva con un solo dei debitori, che opera anche
nei confronti del condebitore il quale dichiari di
voler profittare della transazione, non può essere
impedita dall’inserimento nel medesimo contratto di una clausola di contrario tenore, essendo
1332
inibito alle parti contraenti disporre dell’anzidetto diritto potestativo che la legge attribuisce ad
un terzo estraneo al vincolo negoziale (Cass.
S.U. 30 dicembre 2011, n. 30174). n Qualora intervenga una transazione tra uno dei condebitori
solidali e il creditore, il condebitore rimasto
estraneo ad essa può dichiarare, a norma dell’art. 1304, 1o comma, c.c., di volerne profittare;
in questo caso, l’accordo transattivo spiega una
efficacia diretta anche nei suoi confronti, senza
che il creditore possa precludergli questa possibilità, in quanto non è applicabile alla fattispecie il
disposto dell’art. 1411, 2o comma, c.c., che consente allo stipulante di revocare o modificare la
stipulazione finché il terzo non dichiari di volerne profittare, in quanto il condebitore solidale
non è terzo rispetto al rapporto oggetto di transazione (Cass. 15 maggio 2003, n. 7548). n Il
principio che deriva dalla disposizione di cui al-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
l’art. 1304, 1o comma, c.c., secondo il quale la
transazione, fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, giova agli altri che dichiarano di
volerne profittare, opera solo in mancanza di diversa e contraria manifestazione di volontà del
creditore, contenuta nella transazione stessa ovvero in una clausola aggiunta ad essa, atteso che
come i condebitori possono, omettendo la dichiarazione suddetta, escludere l’efficacia della
transazione per se stessi, cosı̀ il creditore può, in
virtù del principio della autonomia negoziale,
impedire che l’efficacia stessa sia a loro estesa;
pertanto nella transazione tra il creditore ed uno
o più dei condebitori solidali è perfettamente legittimo che sia inserita una clausola che escluda
la possibilità per gli altri condebitori, che non
hanno partecipato alla transazione, di profittare
della stessa; in tal caso, l’unico effetto di tale
transazione è ridurre l’importo globale del debito solidale in misura pari alla somma pagata dal
transigente (Cass. 3 marzo 2011, n. 5108). n La
dichiarazione del condebitore di voler profittare
della transazione stipulata con il creditore dal
condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c. non costituisce un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad essa pertinenti, bensı̀ un diritto potestativo esercitabile
anche nel corso del processo, senza requisiti di
forma né limiti di decadenza (Cass. 23 febbraio
2005, n. 3747). n La dichiarazione del condebitore solidale di voler profittare della transazione
già conclusa tra altro condebitore e terzo costituisce esercizio di un diritto potestativo, e non
manifestazione della volontà di concludere un
contratto, e come tale può essere effettuata con
libertà di forme anche dal procuratore del condebitore rimasto estraneo alla transazione, senza
che occorra un mandato speciale, e può esser resa anche al procuratore alle liti del creditore (in
applicazione di tale principio di diritto, la suprema corte ha ritenuto che, avendo il controricorrente dichiarato di voler profittare della transazione intervenuta tra la condebitrice compagnia
di assicurazioni per la rca e il terzo creditore, il
creditore non potesse poi agire in giudizio nei
suoi confronti per ottenere la differenza tra la
somma liquidatagli dal giudice di merito e la minor somma transatta) (Cass. 15 maggio 2003, n.
7548). n La dichiarazione di un condebitore di
voler profittare della transazione intervenuta tra
altro condebitore solidale e il creditore (art.
1304 c.c.), è un diritto potestativo che non ammette equipollenti – e perciò non può essere sostituita dalla rinuncia del creditore ad eccepirne
la mancanza – ma può esser manifestata, senza
termini di decadenza e requisiti di forma, anche
Art. 1304
in corso di giudizio (Cass. 29 gennaio 1998, n.
884). n La dichiarazione del debitore solidale di
volere profittare della transazione stipulata con
il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c. non è soggetta ad alcuna forma particolare e può essere fatta anche
in corso di giudizio dal procuratore ad litem
(Cass. 29 agosto 1995, n. 9101). n La transazione
è atto negoziale con il quale le parti pongono fine ad una vicenda giudiziaria facendosi concessioni reciproche (e, dunque, prescindendo dall’affermazione o dalla negazione di qualunque
reciproca responsabilità), e non ha, pertanto, alcuna natura di confessione stragiudiziale, dannosa per gli eventuali condebitori; da tale natura
‘‘neutra’’ dell’atto di transazione rispetto al punto della questione controverso la legge fa discendere, in via ordinaria, la mancanza di effetti nei
confronti dei soggetti che ad essa non abbiano
partecipato, salvo che, avendone titolo in qualità
di condebitori, essi non chiedano di profittarne
(Cass. 29 settembre 2004, n. 19549).
2. Oggetto della transazione. n Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo
debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla
sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva
idealmente capo al condebitore che ha raggiunto
l’accordo transattivo, il debito residuo gravante
sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto (Cass.
S.U. 30 dicembre 2011, n. 30174). n In tema di
transazione, la disposizione di cui all’art. 1304,
comma 1, c.c., secondo cui la transazione fatta
dal creditore con uno dei debitori solidali giova
agli altri che dichiarino di volerne profittare, si
riferisce soltanto alla transazione avente ad oggetto l’intera obbligazione solidale, mentre quando essa è limitata alla sola quota interna del debitore che la stipula, la transazione non interferisce sulla quota interna degli altri condebitori; in
questo caso, infatti, si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta,
con il conseguente automatico scioglimento del
vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati
nei limiti della loro quota (fattispecie in tema di
sinistro stradale a seguito del quale il danneggiato aveva transatto il risarcimento con alcuni
condebitori, dichiarando espressamente di voler
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Art. 1304
liberare soltanto costoro dalla relativa obbligazione) (Cass. 24 gennaio 2012, n. 947). n La transazione fatta dal creditore con alcuni dei debitori
in solido, avente ad oggetto la sola quota dei
coobbligati stipulanti, con espressa riserva di
conservazione del credito verso il debitore non
stipulante, nei limiti della rispettiva quota, è
estranea all’ambito di applicazione dell’art.
1304, comma 1, c.c., e produce l’effetto dello
scioglimento del vincolo solidale; tale effetto,
pur determinato dalla volontà manifestata dai
soli soggetti contraenti, rispetto alla quale il debitore coobbligato è terzo, si produce indirettamente nei confronti di quest’ultimo, incidendo
sulla prestazione che forma oggetto dell’obbligazione solidale e operando, dal punto di vista
soggettivo, in senso favorevole al terzo stesso, il
quale resta, infatti, obbligato, ai sensi dell’art.
1292 c.c., soltanto nei limiti della propria quota,
se ed in quanto dovuta, essendo libero di opporre al creditore eccezioni sia personali, sia relative
all’obbligazione originaria (Cass. 30 novembre
2011, n. 25553). n La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, ai sensi dell’art. 1292 c.c., e tale vincolo
sussiste – tanto quando la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale –
anche se l’evento dannoso sia collegato da nesso
eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle
quali abbia concorso a determinarlo, restando
irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale; pertanto, in caso di transazione tra uno dei coobbligati ed il danneggiato, l’art. 1304, comma 1, c.c. si applica soltanto
se la transazione abbia riguardato l’intero debito
solidale, mentre, laddove l’oggetto del negozio
transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, cosı̀ che, per effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo
scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante
e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono obbligati nei limiti della loro quota
(Cass. 8 luglio 2009, n. 16050). n Se uno dei condebitori solidali transige la lite con l’unico creditore, pagando una somma astrattamente corrispondente alla propria quota di debito, l’unico
effetto di tale transazione nei confronti degli altri condebitori è lo scioglimento della solidarietà
rispetto al transigente, e la riduzione del debito
complessivo in misura pari all’importo pagato
da questi, mentre non trova applicazione l’art.
1304, comma 1, c.c., dettato unicamente per le
ipotesi in cui la transazione abbia riguardato
l’intero debito (Cass. 22 giugno 2009, n. 14550).
1334
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
n In tema di transazione, la disposizione di cui
all’art. 1304, comma 1, c.c., secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori
solidali giova agli altri che dichiarino di volerne
profittare, si riferisce soltanto alla transazione
stipulata per l’intero debito solidale e non è
quindi applicabile quando la transazione è limitata al solo rapporto interno del debitore che la
stipula; in questo caso, infatti, si riduce l’intero
debito dell’importo corrispondente alla quota
transatta, con il conseguente scioglimento del
vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati
nei limiti della loro quota (nella specie la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza della
corte di merito perché aveva ritenuto che il ricorrente – chiamato a rispondere insieme ai rispettivi concessionari della simulazione di due
diversi contratti di affitto agrario – non avendo
dichiarato di volerne profittare, non poteva avvalersi della transazione, intervenuta tra gli attori ed alcuni degli altri convenuti, secondo cui i
primi avrebbero proseguito il giudizio per la liquidazione dei danni ma rinunziavano a chiedere ai secondi – per la quota di debito degli stessi
– il pagamento di quanto sarebbe stato loro liquidato dal giudice) (Cass. 27 marzo 2007, n.
7485). n Il debitore solidale rimasto estraneo alla
transazione non può profittare a norma dell’art.
1304 c.c. della stessa, ove, conclusa dal creditore
non riguardi l’intero debito solidale bensı̀ sia limitata alla quota interna del debitore che l’abbia
stipulata, con la conseguenza di restare destinata
a produrre solo la riduzione dell’intero debito
per l’importo corrispondente alla quota transatta, senza interferenza di sorta sulla quota interna
degli altri condebitori solidali (Cass. 5 luglio
1991, n. 7413).
3. Transazione novativa. n In ipotesi di transazione novativa, la transazione è inefficace nei
confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare
sia in ordine ai i rapporti esterni, sia a quelli interni (enunciando tale principio la suprema corte
ha ritenuto che, essendo transazione e novazione
fattispecie non assimilabili, la disciplina dell’una
non si comunica a quella dell’altra, con la conseguente applicabilità, in tema di transazione novativa, dell’art. 1304 c.c.) (Cass. 18 aprile 2006,
n. 8946).
4. Fideiussione. n In caso di fideiussione prestata
da una pluralità di garanti, l’azione di regresso
ai sensi dell’art. 1304 c.c. può essere esercitata
solo quando possa riconoscersi un vincolo di so-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
lidarietà tra più fideiussori ed un unico debitore
e, a tal fine, è necessario che la garanzia sia prestata per il medesimo debito, anche se non contestualmente, nella reciproca consapevolezza dell’esistenza dell’altrui garanzia e con l’intento di
garantire congiuntamente il medesimo debito,
ossia che ricorra la fattispecie giuridica della
confideiussione; quando invece non vi sia solidarietà tra i fideiussori perché risultano prestate distinte fideiussioni da diversi soggetti in tempi
successivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra essi o,
al contrario, con espressa convenzione con il creditore volta a tenere differenziata la propria obbligazione con quella degli altri e, in ogni caso
se manchi un collegamento correlato ad un interesse comune da fideiussori, la fideiussione deve
qualificarsi ‘‘plurima’’ e non trova applicazione
l’art. 1304 c.c. (Cass. 14 luglio 2010, n. 16561). n
Non è invocabile il principio di inopponibilità
della transazione, fatta dal creditore con uno dei
debitori in solido, all’altro condebitore che non
voglia profittarne, sancito dall’art. 1304 c.c., allorché la banca creditrice, garantita da fideiussione omnibus, faccia valere la transazione, intervenuta con la curatela fallimentare a tacitazione
delle pretese da essa azionate nel giudizio di revocatoria delle rimesse eseguite dal debitore
principale sul conto corrente nel periodo sospetto anteriore al fallimento, non come fonte diretta dei diritti vantati nei confronti del fideiussore,
condebitore solidale, bensı̀ soltanto come fatto
storico rilevante ai fini del permanere della garanzia, stante la presenza, nella specie, nel contratto di fideiussione omnibus stipulato dalle parti, di una clausola prevedente la reviviscenza dell’obbligazione fideiussoria in caso di revoca dei
pagamenti effettuati dal debitore principale
(Cass. 23 marzo 2004, n. 5720).
5. Assicurazione. n Tra l’assicuratore della rca e
l’assicurato sussiste, nei confronti del terzo danneggiato, un vincolo di solidarietà passiva solo
entro i limiti del massimale; da ciò consegue che
la transazione stipulata tra l’assicuratore ed il
terzo danneggiato giova all’assicurato soltanto
nei limiti del massimale di polizza e che, se nella
transazione non si afferma nulla in merito al
danno eccedente tale limite, il danneggiante resta
tenuto al risarcimento di quest’ultimo (Cass. 30
ottobre 2009, n. 23057). n La transazione produce i suoi effetti estintivi dell’obbligazione solidale
nei limiti dell’obbligazione stessa e nei confronti
di tutti i debitori solidali che dichiarano di volerne profittare, ma non si estende a quella parte
dell’obbligazione non solidale perché dovuta
Art. 1304
esclusivamente da uno dei debitori per un diverso titolo; pertanto la transazione stipulata dal
locatore con l’assicuratore della cosa locata non
si estende all’obbligazione risarcitoria del conduttore, ai sensi dell’art. 1589 c.c., per la parte
eccedente l’indennizzo assicurativo per la perdita
o il deterioramento della cosa derivante da incendio (Cass. 19 luglio 2002, n. 10564). n Nel sistema dell’assicurazione della responsabilità civile automobilistica introdotto dalla l. n. 990 del
1969, in cui, in considerazione dell’azione diretta
attribuita al danneggiato nei confronti dell’assicuratore, entrambi i debitori – assicuratore e
danneggiante – sono obbligati in solido tra loro
nei confronti del danneggiato, la transazione
conclusa dall’assicuratore con lo stesso danneggiato non è automaticamente efficace nei riguardi dell’assicurato-danneggiante, giacché, in tema
di obbligazioni solidali, l’art. 1304 c.c. stabilisce
che la transazione tra il creditore ed uno dei
condebitori produce effetto nei confronti degli
altri solo se costoro dichiarano di volersene valere (Cass. 20 marzo 2001, n. 4005). n La transazione stipulata tra l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e il terzo danneggiato giova all’assicurato soltanto nei limiti del massimale di polizza; ne consegue che, se nella transazione nulla
si dice in merito al danno eccedente tale limite, il
danneggiante resta tenuto al risarcimento di quest’ultimo (Cass. 17 gennaio 2001, n. 573). n In
materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, tra
l’assicuratore, destinatario dell’azione diretta ex
art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, e il danneggiante assicurato, destinatario dell’ordinaria
azione risarcitoria prevista dall’art. 2054 c.c.,
sussiste un vincolo, ancorché atipico, di solidarietà passiva, entro il limite in cui le prestazioni
sono identiche, quello cioè del massimale assicurato; consegue, che qualora intervenga una transazione sul danno tra il terzo danneggiato e l’assicuratore del danneggiante, l’effetto favorevole
nei confronti del condebitore (assicurato) che dichiari di volerne profittare non potrà che manifestarsi negli stessi, identici limiti in cui opera la
solidarietà, segnati dall’importo del massimale,
ma non potrà mai estendersi alla quota di danno
eccedente il massimale, in relazione alla quale
esiste un unico e solo debito (illimitato), quello
del danneggiante assicurato, che pertanto è il solo soggetto facultato a transigere con effetti che
investano l’intero danno (nel caso di specie la
corte ha cassato la sentenza di merito che aveva
ritenuto che la transazione stipulata dall’assicuratore con i danneggiati nei limiti del massimale
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Art. 1305
fosse efficace anche rispetto all’assicurato) (Cass.
2 agosto 2000, n. 10115). n In materia di sinistri
stradali, il danneggiato che abbia transatto con
l’assicuratore del danneggiante circa la misura
del risarcimento, non può chiedere al responsabile del danno, se questi dichiari di volersi avvalere della transazione ai sensi dell’art. 1304 c.c.,
il pagamento, nei limiti del massimale, della differenza fra la misura del pregiudizio effettivamente subito e la minore somma transattivamente determinata, dal momento che il danneggiante
con la dichiarazione di approfittamento, rende
efficace nei propri confronti l’accordo transattivo al quale è rimasto estraneo, restando quindi
obbligato verso il danneggiato solo per la parte
eccedente il rischio assicurato, senza che al fine
di affermare la sua responsabilità anche per la
parte non eccedente tale rischio possa aver rilievo la clausola dell’accordo transattivo nella quale il danneggiato si riservi il diritto di agire per il
recupero integrale del danno, non potendo tale
clausola essere interpretata in modo da avere effetti contrastanti con il diritto del danneggiante,
che abbia reso la dichiarazione di approfittamento, all’integrale garanzia assicurativa, entro i
limiti del massimale (Cass. 3 marzo 1997, n.
1873).
6. Società. n In tema di società, l’amministratore
convenuto in giudizio, unitamente ad altri soggetti, con l’azione sociale di responsabilità, non
può giovarsi, ai sensi dell’art. 1304 c.c., della
transazione intervenuta tra la società ed i coobbligati solidali, qualora la transazione non sia
stata autorizzata dall’assemblea con deliberazione adottata senza il voto contrario della minoranza qualificata prevista dall’art. 2393 c.c.: tale
delibera costituisce infatti una forma tipica ed
inderogabile di espressione della volontà sociale,
il cui difetto è causa di nullità assoluta ed insanabile della transazione stipulata con l’amministratore, trattandosi di un requisito prescritto a
garanzia dei soci di minoranza, la cui tutela risulterebbe pertanto svuotata di ogni contenuto
qualora, essendo convenuti anche soggetti che
non rivestono la predetta qualità, l’atto in questione potesse perfezionarsi senza l’espressa
autorizzazione richiesta da tale disposizione
(Cass. 24 aprile 2007, n. 9901).
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
7. Aspetti processuali. n Nel giudizio instaurato
nei confronti di più debitori solidali, la sopravvenuta transazione della lite tra il creditore ed
uno dei debitori, comporta che il giudice del merito, in sede di dichiarazione della cessazione
della materia del contendere, debba valutare se
la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite,
anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e, quindi, se sia
intenzione di questi profittarne ex art. 1304 c.c.
(fattispecie relativa a controversia sulla domanda di risarcimento del danno da occupazione appropriativa nei confronti del comune e dell’Iacp,
in cui la suprema corte ha ritenuto corretta la
valutazione del giudice di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere limitatamente al rapporto tra l’attore ed il comune
sulla base di una transazione tra essi intervenuta, non contenendo l’atto alcun riferimento all’Iacp, né risultando che quest’ultimo avesse inteso profittarne) (Cass. 10 novembre 2008, n.
26909). n Chi, dopo aver citato in giudizio per il
risarcimento del danno i due responsabili solidali dell’evento lesivo, abbia ottenuto in via transattiva da uno dei convenuti il risarcimento parziale, non può più chiedere all’altro il risarcimento nella misura intera, ma solo nella misura
ridotta della percentuale corrispondente alla
quota transatta; conseguentemente, la relativa
domanda, originariamente formulata in termini
di richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento pro quota, dopo l’intervenuta transazione,
deve essere interpretata, in conformità con il
suddetto principio, come rinuncia alla solidarietà
tra i due debitori per l’intero e limitazione della
pretesa alla condanna del soggetto rimasto in
giudizio al pagamento della sola parte dell’obbligazione che a lui avrebbe fatto carico nei rapporti interni con l’altro condebitore (nella specie,
relativa ad una domanda di risarcimento dei
danni conseguenti ad un infortunio sul lavoro,
la suprema corte ha considerato viziata da ultrapetizione la sentenza che, dopo l’intervenuta
transazione tra il danneggiato e l’imprenditore
committente, aveva condannato l’appaltatore al
risarcimento dell’intero danno originariamente
richiesto) (Cass. 17 maggio 2002, n. 7212).
Giuramento – [1] Il giuramento sul debito e non sul vincolo solidale, deferito
da uno dei debitori in solido al creditore o da uno dei creditori in solido al debitore, ovvero dal creditore a uno dei debitori in solido o dal debitore a uno dei creditori in
solido, produce gli effetti seguenti: il giuramento ricusato dal creditore o dal debitore, ovvero
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
Art. 1306
prestato dal condebitore o dal concreditore in solido, giova agli altri condebitori o concreditori; il giuramento prestato dal creditore o dal debitore, ovvero ricusato dal condebitore o
dal concreditore in solido, nuoce solo a chi lo ha deferito o a colui al quale e` stato deferito.
Giuramento decisorio deferito dal creditore al fideiussore di soggetto fallito. n Il creditore ha titolo per richiedere l’adempimento di un obbligazione solidale per l’intero ad ogni singolo debitore, né sussiste litisconsorzio necessario fra i condebitori solidali, inoltre, l’art. 1305 c.c. disciplina
le conseguenze, nei confronti degli altri condebitori, del giuramento prestato da uno dei condebitori in solido, ma non postula, per il creditore,
alcun onere di convenire in giudizio tutti i debitori solidali e di deferire a tutti il giuramento decisorio; è, pertanto, ammissibile il giuramento
decisorio, deferito dal creditore al fideiussore di
soggetto fallito, pur non essendo il giuramento
deferibile, invece, né al fallito, che perde la capacità processuale, né al curatore fallimentare, terzo rispetto ai rapporti fra il fallito ed il creditore
(Cass. 14 febbraio 2011, n. 3573).
1306
Sentenza – [1] La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in
solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli
altri debitori o contro gli altri creditori.
[2] Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.
SOMMARIO: 1. Ambito di applicazione – 2. Efficacia del giudicato – 3. Pagamento – 4. Concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo – 5. Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi – 6. Poteri officiosi del giudice – 7. Svalutazione monetaria – 8. Sentenza penale di assoluzione – 9. Condominio – 10.
Assicurazione – 11. Fideiussione – 12. Società di fatto – 13. Società in nome collettivo – 14. Società in accomandita semplice – 15. Decreto ingiuntivo – 16. Equa riparazione per la non ragionevole durata del processo
1. Ambito di applicazione. n Nel giudizio promosso nei confronti di più condebitori in solido,
la sentenza loro favorevole, passata in giudicato
soltanto riguardo a taluno di essi per difetto di
impugnazione, non può essere opposta dagli altri per impedire l’esame dell’impugnazione proposta nei loro confronti, né può essere rilevata
dal giudice ai fini della declaratoria di preclusione dell’impugnazione medesima, non trovando
applicazione l’art. 1306 c.c., che riguarda la diversa ipotesi in cui la sentenza sia stata resa in
un giudizio, cui non abbiano partecipato i condebitori (Cass. 19 luglio 2012, n. 12515). n La regola di cui all’art. 1306, comma 2, c.c., secondo
cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza favorevole alla comunione pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel
caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in
un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla; se, invece, questi
abbiano partecipato al medesimo giudizio, operano le preclusioni proprie del giudicato, con la
conseguenza che la mancata impugnazione da
parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile,
qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei
loro confronti, ancorché altri condebitori solidali
l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma (Cass. 29 gennaio 2007,
n. 1779). n Il principio del giudicato riflesso, ovvero il principio per cui un coobbligato può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un
giudizio promosso da altro coobbligato, anche
se non vi ha partecipato, può essere invocato solamente da un soggetto che non sia diretto destinatario di un diverso e contrario giudicato formatosi nel frattempo (nella specie, la suprema
corte ha riformato la sentenza di appello che
aveva rigettato tutte le domande proposte dal ricorrente in primo grado, senza rilevare che esistevano due resistenti, per quanto solidalmente
obbligati, uno dei quali non aveva impugnato la
sentenza di primo grado mentre l’altro l’aveva
impugnata solo in relazione ad uno dei due profili di condanna) (Cass. 6 aprile 2004, n. 6694). n
La facoltà del debitore solidale di avvalersi della
sentenza favorevole intervenuta fra il creditore
ed altro coobbligato, concerne l’ipotesi in cui sul
rapporto obbligatorio solidale sia stata pronunciata una sola sentenza i cui effetti possono co1337
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Art. 1306
municarsi al condebitore non in causa, mentre
trova limiti alla sua applicazione nell’eventuale
esistenza nei confronti del medesimo condebitore
del giudicato contrario sul medesimo punto; pertanto, qualora i debitori solidali abbiano partecipato al giudizio, sia pure in un solo grado, essi
sono soggetti alle preclusioni derivanti dal giudicato formatosi nei loro confronti nonché all’efficacia del giudicato medesimo qualora non abbiano proposto valida impugnazione (Cass. 6
novembre 1996, n. 9647).
2. Efficacia del giudicato. n Dal principio stabilito
dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento
contenuto nella sentenza passata in giudicato fa
stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o
aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi
effetti e non è vincolante rispetto ai terzi; il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva
di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale,
ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il
giudicato interviene, non essendo ammissibile né
che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, né
che se ne possa avvalere a fondamento della sua
pretesa, salvo che tale facoltà sia espressamente
prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c. (fattispecie
in materia tributaria) (Cass. 13 gennaio 2011, n.
691). n In tema di limiti soggettivi del giudicato,
il disposto degli artt. 1306 e 1310 c.c. – i quali
prevedono con riferimento alle obbligazioni solidali, e quindi ad un rapporto con pluralità di parti, ma scindibile, che i condebitori i quali non abbiano partecipato al giudizio tra il creditore ed altro condebitore possano opporre al primo la sentenza favorevole al secondo (ove non basata su
ragioni personali) – costituiscono espressione di
un più generale principio, operante a fortiori con
riguardo a rapporti caratterizzati da inscindibilità,
secondo cui alla parte non impugnante si estendono gli effetti derivanti dall’accoglimento dell’impugnazione proposta da altre parti contro una
sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambi (nella specie, la suprema corte ha affermato l’enunciato principio di diritto ai sensi dell’art.
384, comma 1, c.p.c., come novellato dall’art. 12
d.lgs. n. 40 del 2006, ritenendo l’immediata applicabilità di tale norma nella controversia esaminata, malgrado il ricorso fosse stato proposto avverso sentenza pubblicata anteriormente al 2 marzo
2006, sul presupposto che essa riguardava l’attività del giudice, senza alcun effetto per le parti)
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
(Cass. 27 maggio 2009, n. 12260). n Nell’ipotesi di
pronunzia di assoluzione di più soggetti chiamati
a rispondere come condebitori in solido, la notificazione della sentenza, ancorché eseguita all’unico
soccombente su richiesta di uno solo dei soggetti
vittoriosi, vale a far decorrere il termine per proporre l’impugnazione anche contro tutte le altre
parti; infatti il vincolo di solidarietà comporta
che, decorso inutilmente il termine per proporre
l’impugnazione contro il notificante, la pronunzia
assolutoria acquista efficacia di giudicato nei confronti del medesimo; e tale giudicato fa stato – a
norma dell’art. 1306 c.c. – anche a favore dei litisconsorti vittoriosi, qualora la decisione sia basata sulla radicale negazione del rapporto obbligatorio e non su ragioni personali al litisconsorte
notificante (Cass. 8 maggio 1995, n. 5022).
3. Pagamento. n In tema di obbligazioni solidali
passive, per le quali costituisce regola fondamentale che tutti i debitori siano tenuti ad un medesima prestazione in modo che l’adempimento di
uno libera tutti i coobbligati (art. 1292 c.c.), l’avvenuto pagamento determina l’estinzione ipso iure del debito anche nei confronti di tutti gli altri
coobbligati, e tale effetto estintivo, rilevabile e
deducibile anche in sede di legittimità – atteso
che l’eccezione di pagamento integra una mera
difesa della quale il giudice deve tenere conto
ove essa risulti comunque provata, anche in
mancanza di un’espressa richiesta in tal senso –
opera anche nei confronti di coobbligato che
non si sia avvalso della facoltà di invocare, in altro giudizio di merito, l’estensione ex art. 1306
c.c. del giudicato già conseguito da un diverso
debitore solidale (Cass. [ord.] 2 luglio 2012, n.
11051). n In tema di responsabilità solidale relativa ad obbligazione risarcitoria derivante da un
fatto dannoso unico imputabile a più persone, il
giudicato – che si formi nel processo dinanzi al
giudice dichiarato competente – non può essere
invocato nello stesso processo, nemmeno sotto
forma di ‘‘efficacia riflessa’’ (in relazione al disposto dell’art. 1306 c.c.), che continua a svolgersi, sia pure in parte, dinanzi al giudice originariamente adı̀to; tuttavia, il giudicato ottenuto
da uno dei coobbligati solidali – che si fondi sul
medesimo titolo ed abbia il medesimo oggetto –
non può risultare del tutto improduttivo di effetti nei confronti di altro coobbligato; infatti, la
suddetta responsabilità solidale – plurisoggettiva
ma riferibile al medesimo fatto dannoso – non
incide sull’entità complessiva del risarcimento
conseguibile (limitato, comunque, al danno effettivamente subı̀to), con la conseguenza che il pagamento, da parte di uno dei coobbligati, deter-
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
mina l’estinzione ipso iure, dell’obbligazione, entro i limiti del pagamento effettuato, nei confronti di tutti gli altri coobbligati (ai sensi dell’art. 1292 c.c.) – ancorché questi non si siano
avvalsi (ai sensi dell’art. 1306 c.c.) del giudicato,
nei riguardi del coobbligato che abbia eseguito il
pagamento – e tale effetto estintivo è rilevabile,
a prescindere dall’eccezione di parte, nel giudizio
di cognizione, perfino in sede di legittimità, mentre l’opponibilità del pagamento di altro condebitore – come il giudicato di condanna nei suoi
confronti – non può ritenersi limitata alla contestazione dell’azione esecutiva, senza che ne risulti la preclusione del giudicato – quantomeno implicito – ove quel pagamento o quel giudicato
fosse deducibile nel giudizio di cognizione; rimane fermo, in ogni caso, che il giudicato nei confronti di altro condebitore – quando non operi
nemmeno la mera efficacia riflessa – non è idoneo a paralizzare l’azione esercitata nello stesso
giudizio finalizzata all’ottenimento della liquidazione dei danni subı̀ti da parte del danneggiato
(nella specie, un lavoratore infortunato), sia pure
in dipendenza del medesimo fatto, ma può incidere, esclusivamente, sulla determinazione dell’importo che – a seguito dell’esecuzione dello
stesso giudicato – risulti ancora dovuto (Cass.
12 maggio 2006, n. 11039). n Il condebitore solidale, rimasto estraneo al giudizio, può, in base
all’art. 1306, comma 2, c.c., ‘‘opporre’’ al creditore la sentenza favorevole ad uno dei condebitori in solido, salvo che non sia fondata su ragioni personali al condebitore, parte del giudizio; se opporre una tale sentenza costituisce una
facoltà che egli è libero di esercitare oppure no,
il pagamento che egli abbia effettuato, prima o
dopo il formarsi del giudicato favorevole nei
confronti del condebitore, costituisce esercizio
negativo e consumazione di quella facoltà, impedendo che possa successivamente ripetersi quanto sia stato in tal modo pagato; il pagamento,
infatti, comportando l’estinzione del vincolo obbligatorio rientrante nel ‘‘fascio’’ di rapporti facenti capo a soggetti distinti, preclude ogni possibilità di dedurre a fondamento dell’azione di
ripetizione una circostanza idonea a paralizzare
la pretesa del creditore solo in via di eccezione (e
ciò in maniera tassativa, come si evince dalla relazione col precedente primo comma dello stesso
art. 1306 c.c., espressione della regola generale
sulla cosa giudicata sostanziale, formulata nell’art. 2909 c.c.) (Cass. 24 gennaio 2001, n. 998).
4. Concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo. n In tema di
risarcimento del danno, non può considerarsi fa-
Art. 1306
vorevole al debitore solidale – per gli effetti di
cui all’art. 1306, 2o comma, c.c. – il capo della
sentenza che abbia affermato la sussistenza del
concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo, a norma dell’art. 1227, 1o comma, c.c., qualora il creditore,
in un secondo giudizio, intenda imputare al terzo, non convenuto in un precedente giudizio,
proprio la responsabilità di quell’apporto causale che il primo giudice abbia ritenuto scriminante della responsabilità del primo convenuto (nella specie, conclusosi un primo giudizio con una
sentenza, passata in giudicato, con cui era stata
ascritta la responsabilità dell’investimento di un
minore per il cinquanta per cento al proprietario
conducente del veicolo investitore con pari concorso della vittima ed erano stati condannati il
predetto proprietario e la compagnia di assicurazione al risarcimento della metà dei danni, l’investito, in un secondo giudizio, aveva chiesto,
tra l’altro, la condanna del ministero della pubblica istruzione al risarcimento dei danni nella
misura della metà non risarcita dai convenuti
nel primo giudizio, previo accertamento della responsabilità del ministero per colpa in vigilando;
la suprema corte, in applicazione del riportato
principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto sussistente la facoltà
del predetto ministero, rimasto estraneo al primo giudizio, di opporre, ai sensi del 2o comma
dell’art. 1306 c.c., all’investito la sentenza passata in giudicato, cosı̀ giovandosi dell’accertamento fatto nei rapporti con gli altri condebitori solidali) (Cass. S.U. 15 luglio 2009, n. 16503).
5. Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi. n
Il generico riferimento dell’art. 2953 c.c. al ‘‘diritto’’ per il quale sia stabilito un termine di prescrizione breve, come oggetto della conversione
di tale termine in quello ordinario decennale, da
detta norma disposto a seguito dell’intervento di
sentenza di condanna passata in giudicato, consente di ritenere che la conversione scaturente da
un giudicato di condanna formatosi nei confronti di un coobbligato solidale operi anche nei riguardi degli altri coobbligati solidali rimasti
estranei al giudizio (Cass. 11 giugno 1999, n.
5762).
6. Poteri officiosi del giudice. n La sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati
in solido, se passata in giudicato, può acquistare
efficacia nei confronti degli altri condebitori solo
se questi sollevino tempestivamente la relativa
eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre è escluso che
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tale efficacia extrasoggettiva del giudicato possa
essere rilevata d’ufficio (Cass. 21 dicembre 2011,
n. 27906). n Viola il principio di corrispondenza
tra il chiesto e il pronunciato il giudice che
estende d’ufficio gli effetti favorevoli della sentenza, pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido, agli altri coobbligati, atteso che
l’art. 1306, 2o comma, c.c. non ammette una efficacia immediata, nei confronti dei coobbligati rimasti estranei al giudizio, della sentenza a loro
favorevole, ma attribuisce semplicemente ad essi
il potere di avvalersene (Cass. 5 aprile 1996, n.
3201).
7. Svalutazione monetaria. n La misura del risarcimento del danno, determinata, con sentenza
passata in giudicato, nei confronti di uno dei
corresponsabili in solido, non può essere aumentata, per effetto di sopravvenuta svalutazione
monetaria, nei confronti di altro coobbligato,
successivamente convenuto in separato giudizio,
ove questi, ai sensi e nei limiti consentiti dall’art.
1306, 2o comma, c.c., opponga al creditore detto
giudicato (Cass. 11 giugno 2008, n. 15462).
8. Sentenza penale di assoluzione. n Nell’ambito
del giudizio civile per il risarcimento del danno,
il condebitore solidale può opporre al creditore
la sentenza penale di assoluzione pronunciata
nei confronti di altro condebitore, a meno che
essa non sia fondata su ragioni personali concernenti esclusivamente l’altro condebitore (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto rilevante anche nei confronti della società
convenuta la sentenza penale di assoluzione
emessa nei confronti dell’amministratore della
società con la quale si era accertato che il decesso di dipendente non poteva essere attribuito alle specifiche condizioni lavorative alle quali era
sottoposto presso l’azienda in questione) (Cass.
9 marzo 2004, n. 4775).
9. Condominio. n In tema di condominio degli
edifici, l’azione di accertamento della proprietà
comune, in quanto ha ad oggetto la contitolarità
del diritto di proprietà in capo a tutti i condomini, è relativa a un rapporto sostanziale plurisoggettivo unitario, dando luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario fra tutti i condomini; infatti, il giudicato si forma ed è opponibile nei
confronti dei soli soggetti che hanno partecipato
al giudizio; d’altra parte, poiché non è applicabile ai rapporti assoluti la disciplina specifica dei
rapporti obbligatori, non è estensibile alla specie
il criterio dettato in materia di obbligazioni indi1340
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
visibili dall’art. 1306 c.c., in virtù del richiamo di
cui all’art. 1317 c.c., secondo cui gli effetti favorevoli di una sentenza pronunciata nei confronti
di uno o di alcuni dei diversi componenti dell’obbligazione solidale o indivisibile si comunicano agli altri (Cass. 17 marzo 2006, n. 6056).
10. Assicurazione. n La responsabilità solidale –
sia pure atipica – che sussiste tra il responsabile
di un sinistro stradale ed il suo assicuratore della
rca comporta che ove il giudice d’appello, accogliendo il gravame del primo, riduca l’ammontare del danno liquidato dal giudice di primo grado, tale decisione produce i suoi effetti anche nei
confronti dell’assicuratore (Cass. 10 novembre
2009, n. 23735). n In tema di responsabilità
aquiliana per risarcimento dei danni prodotti da
circolazione dei veicoli, l’introduzione, ai sensi
dell’art. 18 l. n. 990 del 1969, dell’azione diretta
nei confronti dell’assicuratore non ha escluso l’azione per responsabilità nei confronti dei danneggianti ex art. 2054 c.c., situazione questa diversa dall’ipotesi in cui il danneggiato agisca cumulativamente nei confronti del danneggiante e
del suo assicuratore, entrambi responsabili solidalmente; tuttavia, sia che l’azione risulti proposta nei confronti di tutti gli obbligati solidali o
solamente contro alcuni di essi, il debito aquiliano del responsabile del sinistro resterà pur sempre solidale con quello dell’assicuratore; ne deriva che se l’assicuratore resta estraneo al giudizio
contro il danneggiante, potrà, comunque, avvalersi degli effetti favorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del danneggiante medesimo, ai sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c. (in applicazione dell’enunciato principio, la suprema
corte ha confermato la decisione del giudice di
merito che aveva respinto l’azione diretta nei
confronti dell’assicuratore, esercitata dopo che,
in sede penale, il danneggiante era già stato condannato al risarcimento integrale del danno)
(Cass. 11 giugno 2008, n. 15462).
11. Fideiussione. n Poiché l’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto all’obbligazione principale, l’estinzione di quest’ultima determina l’estinzione anche di quella fideiussoria; tuttavia
ove l’obbligazione principale sia estinta per prescrizione, non è ammissibile – in forza del vincolo di solidarietà tra obbligato principale e fideiussore – la declaratoria di estinzione d’ufficio
della obbligazione del fideiussore, ma è onere di
quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1306, 2o comma,
c.c., di eccepire la prescrizione (Cass. 15 marzo
2000, n. 2975).
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TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE
12. Società di fatto. n Non è configurabile un litisconsorzio necessario fra i soci di una società
di fatto e la società stessa, atteso il carattere solidale delle obbligazioni assunte da tali soggetti, e
pertanto, qualora siano stati convenuti in giudizio, assieme alla società, solo alcuni dei soci,
non sussiste la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri; questi ultimi, peraltro, non possono essere danneggiati
dall’eventuale sentenza di condanna emessa nei
confronti dei soci che hanno preso parte al giudizio, potendo, se a loro volta convenuti in altro
giudizio dai creditori o dai suddetti soci in via di
regresso, contrastare la domanda (art. 1306,
comma 1, c.c.) dimostrando l’inesistenza della
loro qualità di soci, ovvero giovarsi della sentenza se favorevole nei loro confronti (art. 1306,
comma 2, c.c.) (Cass. 2 dicembre 1994, n.
10333).
13. Società in nome collettivo. n La società in nome collettivo, ancorché non munita di personalità giuridica, è soggetto di diritto distinto dalla
personalità dei soci, in quanto costituisce centro
autonomo di situazioni giuridiche ad esso immediatamente riconducibili anche in virtù della capacità negoziale e processuale che l’art. 2266 c.c.
– applicabile in virtù del richiamo che l’art. 2293
effettua ad esso – attribuisce alla società; in questa prospettiva si rende – pertanto – ben configurabile il riconoscimento, a favore del singolo
socio il quale non sia stato parte del relativo giudizio, della facoltà di proporre opposizione di
terzo avverso una sentenza emessa in un giudizio
del quale sia stata parte la società; tuttavia, giacché la qualità di ‘‘terzo’’ rispetto al giudizio nel
quale sia stata emessa la sentenza costituisce
presupposto necessario ma non sufficiente per
l’esperibilità del rimedio rendendosi altresı̀ necessario che il socio faccia valere un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza emessa
inter alios, non esaurisce idonea condizione per
Art. 1307
l’esperibilità dell’opposizione del socio l’invocazione, da parte dello stesso, della sua qualità di
condebitore solidale, atteso che, ai sensi dell’art.
1306 c.c., la sentenza pronunciata fra il creditore
ed uno dei debitori solidali non produce alcun
effetto nei confronti degli altri coobbligati (Cass.
15 febbraio 1999, n. 1231).
14. Società in accomandita semplice. n La sentenza pronunciata nei confronti della società in accomandita semplice non dà forza di giudicato
nei confronti del socio, per il disposto dell’art.
1306 c.c., a norma del quale la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido
non ha effetto contro gli altri creditori (Cass. 13
luglio 1995, n. 7650).
15. Decreto ingiuntivo. n Il decreto ingiuntivo, richiesto ed ottenuto dal creditore contro più debitori solidali, acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione, e la relativa efficacia resta
insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato, posto che il
principio dell’opponibilità della sentenza favorevole ottenuta dal condebitore, previsto dall’art.
1306 comma 2, c.c., non opera a vantaggio di
chi sia vincolato da giudicato direttamente formatosi nei suoi riguardi (Cass. 21 novembre
1990, n. 11251).
16. Equa riparazione per la non ragionevole durata del processo. n Gli eredi che abbiano proposto
distinte domande di equa riparazione, ai sensi
della l. 24 marzo 2001 n. 89, per la non ragionevole durata del processo presupposto promosso
dal loro dante causa e da essi riassunto dopo il
suo decesso, non sono creditori in solido del ministero, con la conseguenza che il singolo erede
non può giovarsi dei giudicati favorevoli agli altri, ai sensi dell’art. 1306, 2o comma, c.c. (Cass.
15 marzo 2010, n. 6185).
1307
Inadempimento – [1] Se l’adempimento dell’obbligazione e` divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebitori, gli altri condebitori non sono liberati dall’obbligo solidale di corrispondere il valore della prestazione dovuta. Il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a ciascuno dei condebitori
inadempienti.
Preliminare di vendita di bene in comunione. n
Qualora sia stato promesso in vendita un immobile indiviso considerato nel contratto come un
unicum inscindibile, ciascuno dei promittenti si
impegna non soltanto a prestare il consenso relativo al trasferimento della quota di comproprietà di cui è rispettivamente titolare ma si obbliga anche a promettere il fatto altrui, cioè la
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Art. 2047
buto causale del comportamento, del conducente
incapace (art. 1226 c.c.), dovuto dall’altro conducente che risponde solo nei limiti dell’incidenza causale della sua condotta, sia nel caso in cui
la colpa di questo sia stata in concreto accertata,
sia in quello in cui la colpa debba essere, invece,
presunta perché è mancata la prova liberatoria
richiesta dall’art. 2054 c.c. (Cass. 29 aprile 1993,
n. 5024).
2. Rapporto con la nozione penalistica. n In tema
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
di imputabilità del fatto dannoso opera, nel
campo civile, un sistema diverso ed autonomo
rispetto a quello previsto dal legislatore per l’imputabilità in campo penale, nel quale è la legge
stessa che fissa le cause che la escludono, mentre, a norma dell’art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso se, in relazione
all’età, allo sviluppo psico-fisico, alle modalità
del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o
meno la capacità di intendere o di volere (Cass.
19 novembre 1990, n. 11163).
2047
Danno cagionato dall’incapace – [1] In caso di danno cagionato da persona
incapace di intendere o di volere, il risarcimento e` dovuto da chi e` tenuto alla
sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
[2] Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto
alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può
condannare l’autore del danno a un’equa indennità.
SOMMARIO: 1. Profili generali – 2. Obbligo di sorveglianza: natura e soggetti destinatari. – 3. Prova liberatoria –
4. Incapace autolesionista – 5. Equa indennità
1. Profili generali. n La responsabilità civile del
soggetto tenuto alla sorveglianza di una persona
incapace, la quale abbia cagionato danni a terzi,
deriva dall’art. 2047 c.c., che dà luogo ad una
responsabilità diretta e propria di coloro che sono tenuti alla sorveglianza, per inosservanza dell’obbligo di custodia, ponendo a carico di essi
una presunzione di responsabilità, che può essere vinta solo dalla prova di non aver potuto impedire il fatto malgrado il diligente esercizio della sorveglianza impiegata (Cass. 19 ottobre 2007,
n. 2197). n Ai fini di cui all’art. 2047 c.c., per affermare o escludere la capacità di intendere e di
volere di un minore d’età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere
una indagine tecnica di tipo psicologico quando
le modalità del fatto e l’età del minore siano tali
da autorizzare una conclusione in un senso o
nell’altro (in applicazione di tale principio, la
Suprema Corte ha ritenuto correttamente motivata la decisione di merito con la quale era stato
ritenuto incapace di intendere e di volere un
bambino di dieci anni che, colpendo alla schiena
con la cartella altro minore, gli aveva provocato
la frattura di quattro vertebre) (Cass. 19 novembre 2010, n. 23464). n Ai fini della responsabilità
civile ex art. 2047 c.c. per danni cagionati da
persone incapaci di intendere e di volere, il giudice non può limitarsi a tener presente l’età dell’autore del fatto ma deve anche considerarne lo
sviluppo intellettivo, quello fisico, l’assenza di
eventuali malattie ritardanti, la forza del caratte2560
re, la capacità del minore di rendersi conto della
illiceità della sua azione e la capacità del volere
con riferimento all’attitudine di autodeterminarsi
(Cass. 26 giugno 2001, n. 8740).
2. Obbligo di sorveglianza: natura e soggetti destinatari. n L’ampiezza dell’obbligo di sorveglianza
dei soggetti incapaci di intendere o volere (art.
2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di
tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresı̀ la natura e il grado di incapacità
del soggetto sorvegliato, possono consentire o
facilitare il compimento di atti lesivi da parte del
medesimo (Cass. 24 maggio 1997, n. 4633). n Ai
fini del riconoscimento della responsabilità del
sorvegliante, a norma dell’art. 2047 c.c., è necessario che il fatto commesso dall’incapace presenti tutte le caratteristiche oggettive dell’antigiuridicità e cioè che sia tale che, se fosse assistito da
dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito; ne
consegue che, nell’ipotesi di lesione personale inferta da un minore ad un altro nel corso di una
competizione sportiva, occorre verificare, al fine
di escludere l’antigiuridicità del comportamento
dell’incapace e la conseguente responsabilità del
sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno da
una condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gioco, che non sia compiuto con lo
scopo di ledere e che non sia caratterizzato da
un grado di violenza od irruenza incompatibile
con lo sport praticato (Cass. 30 marzo 2011, n.
7247). n Il dovere di sorveglianza di un incapa-
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
ce, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dall’incapace medesimo, ai sensi dell’art.
2047, comma 1, c.c., può essere l’effetto non soltanto di un vincolo giuridico, ma anche di una
scelta liberamente compiuta da un soggetto, il
quale, accogliendo l’incapace nella sua sfera personale e familiare, assuma spontaneamente il
compito di prevenire od impedire che il comportamento di questo possa arrecare ad altri nocumento (nella specie, enunciando il principio di
cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma nei confronti
dei genitori di un soggetto maggiorenne riconosciuto, in sede penale, totalmente incapace di intendere e di volere) (Cass. 1o giugno 1994, n.
5306). n Il dovere di sorveglianza di un incapace, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dall’incapace medesimo, ai sensi dell’art.
2047, comma 1, c.c., può essere l’effetto non soltanto di un vincolo giuridico, ma anche di una
scelta liberamente compiuta da un soggetto, il
quale, accogliendo l’incapace nella sua sfera personale o familiare, assuma spontaneamente il
compito di prevenire od impedire che il suo
comportamento possa arrecare nocumento ad
altri (nella specie: enunciando il principio di cui
sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma, con riguardo al
danno cagionato da un bambino di 4 anni, a carico del marito della madre del minore, il quale,
pur non avendolo riconosciuto, conviveva con
lui e con la moglie, formando un unico nucleo
familiare) (Cass. 12 maggio 1981, n. 3142). n Nei
confronti di persona ospite di reparto psichiatrico o di altra struttura equipollente, ancorché
non interdetta né sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della l. 13 maggio
1978 n. 180, la configurabilità di un dovere di
sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, presuppone soltanto la prova concreta
della incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo (nella fattispecie la corte ha
confermato la pronuncia del giudice di secondo
grado che aveva ravvisato il difetto di sorveglianza del personale della struttura nei confronti di persona adulta affetta da oligofrenia di grado elevato rimasta vittima di violenza sessuale
all’interno della struttura psichiatrica presso la
quale si trovava ricoverata) (Cass. 10 novembre
2010, n. 22818). n La presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2047 c.c. nei confronti di
chi sia tenuto alla sorveglianza dell’incapace è
configurabile a carico della struttura sanitaria
soltanto in caso di ricovero ospedaliero del ma-
Art. 2047
lato mentale, dovendosi, peraltro, considerare
priva di tutela a carico del servizio sanitario l’esigenza di assicurare la pubblica incolumità che
possa essere messa in pericolo dal malato mentale, rientrando tale compito tra quelli demandati
in via generale agli organi che si occupano di
pubblica sicurezza (nella specie, la Suprema Corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto dai parenti di un congiunto ucciso da un soggetto affetto da vizio totale di mente all’interno di un bar nei confronti
dell’azienda sanitaria, non potendosi configurare
nei riguardi di quest’ultima uno stretto obbligo
di sorveglianza a carico dell’omicida risultato
malato di mente nell’ipotesi esaminata, considerandosi, altresı̀, che il TSO può essere disposto
solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi
siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere e, senza trascurare che, nel caso
in questione, l’aggressore omicida, fino a pochi
giorni prima del compimento del fatto delittuoso, non aveva dato segni di squilibrio e premonitori di una possibile manifestazione di follia)
(Cass. 20 giugno 2008, n. 16803).
3. Prova liberatoria. n Ai fini della responsabilità
di cui all’art. 2047 c.c., per il danneggiato è sufficiente dimostrare che l’incapace di intendere o
volere ha cagionato il fatto dannoso al di fuori
della sfera di sorveglianza del soggetto ad essa
obbligato, mentre incombe su questi dimostrare
che tale fatto si sarebbe comunque verificato anche se la sorveglianza fosse stata esercitata, e
quindi che non vi è nesso di causalità tra l’omissione di essa e il fatto dannoso (Cass. 19 giugno
1997, n. 5485). n L’accertamento in sede penale
della mancanza di prova della colpa dei soggetti
tenuti alla sorveglianza dell’incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa
su di essi gravante ai sensi dell’art. 2047 c.c., né
costituisce prova del caso fortuito (Cass. 12 dicembre 2003, n. 19060). n Qualora la responsabilità del genitore per il danno cagionato da fatto
illecito del figlio minore trovi fondamento, essendo il minore incapace di intendere e volere al
momento del fatto, nella fattispecie autonoma di
cui all’art. 2047 c.c. e non in quella di cui all’art.
2048 c.c., incombe sul genitore del danneggiante
la prova dell’affidamento ad altro soggetto della
sorveglianza dell’incapace; detta prova è particolarmente rigorosa, dovendo egli provare di non
aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare
un fatto impeditivo assoluto (nella specie, relati2561
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Art. 2048
va all’infortunio occorso ad un minore colpito
con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette
anni che giocava con lui, la Suprema Corte ha
cassato la sentenza di merito che aveva escluso
la responsabilità dei genitori del danneggiante,
essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all’altro adulto rimasto la sorveglianza del proprio figlio minore) (Cass. 20 gennaio 2005, n. 1148).
4. Incapace autolesionista. n La presunzione di
responsabilità di cui all’art. 2047 c.c., posta a carico di chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, non è applicabile al caso di danni che l’incapace abbia causato a sé stesso. Infatti nel caso di
danno arrecato dall’incapace (nella specie, una
bambina di tre anni) a sé stesso, la responsabilità del sorvegliante e della struttura nella quale
l’incapace è ammesso (nella specie, un asilo nido
comunale) va ricondotta non già nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi del-
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
l’art. 2043 c.c., bensı̀ nell’ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.
(Cass. 18 luglio 2003, n. 11245).
5. Equa indennità. n L’equa indennità ex art.
2047, comma 2, c.c. consiste in un mero indennizzo, che, pur potendo in astratto corrispondere
anche all’integrale ristoro, dipende sia nell’an
che nel quantum da una valutazione comparativa
delle condizioni economiche delle parti; può pertanto subire decurtazioni, rispetto all’entità del
risarcimento integrale del danno, secondo equi
temperamenti dettati dalle condizioni economiche del soggetto cui essa dovrebbe far carico, fino a considerarsi del tutto non dovuta quando,
dalla valutazione comparativa richiesta dalla
norma, emerga eventualmente una manifesta
sperequazione tra le floride condizioni economiche del danneggiato e quelle deteriori del danneggiante (Trib. Macerata 20 maggio 1986, in
Foro it., 1986, II, 2594).
2048
Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte –
[1] Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato
dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela, che abitano
con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.
[2] I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
[3] Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se
provano di non aver potuto impedire il fatto.
SOMMARIO: 1. Responsabilità dei genitori – 2. Responsabilità dei precettori e degli insegnanti – 3. Concorso di responsabilità
1. Responsabilità dei genitori. n La responsabilità
dei genitori a norma dell’art. 2048 c.c. (unitamente agli altri soggetti nella stessa disposizione
normativa indicati), configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per
non avere, con idoneo comportamento, impedito
il fatto dannoso, ed è fondata sulla loro colpa,
peraltro presunta (Cass. 20 ottobre 2005, n.
20322). n La responsabilità del genitore, per il
danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore
sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048
c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum
di difetto di educazione, ovvero nell’art. 2047
c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum
di difetto di sorveglianza e di vigilanza; le indi2562
cate ipotesi di responsabilità presunta pertanto,
sono alternative – e non concorrenti – tra loro,
in dipendenza dell’accertamento, in concreto,
dell’esistenza di quella capacità (Cass. 25 marzo
1997, n. 2606). n In tema di responsabilità civile,
l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. postula l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la culpa in educando e la culpa in vigilando; ne consegue che, ove il
minore incapace, con il proprio comportamento
illecito, cagioni un danno a se stesso, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 o 2043
c.c., a seconda che ricorra una responsabilità
contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza; peraltro, a causa del richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. all’art. 1227 c.c.,
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a sé stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso
delle colpe e l’eventuale riduzione proporzionale
del danno da risarcire (nella specie, si trattava
del comportamento tenuto da un bambino di tre
anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai
fini dell’art. 1227 c.c.) (Cass. 2 marzo 2012, n.
3242).
1.1. Coabitazione. n La responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore (nella specie incidente stradale) ai sensi dell’art. 2048 c.c. postula la coabitazione, e, pertanto viene meno qualora il minore abbia stabilmente lasciato la casa
familiare, per fatto non imputabile al genitore,
sottraendosi ad ogni possibilità di controllo o vigilanza (Cass. 11 luglio 1978, n. 3491). n Ai sensi
dell’art. 2048 c.c., i genitori sono responsabili
dei danni cagionati dai figli minori che abitano
con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente
sorveglianza sia con riguardo agli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa che si manifestino nel mancato rispetto delle
regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi
ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si
trovi ad operare (nella specie la Suprema Corte,
accogliendo il proposto ricorso e cassando con
rinvio la sentenza impugnata, ha ritenuto che il
temporaneo allontanamento del minore dalla casa dei genitori, per motivi di lavoro, non esima
costoro da responsabilità, essendo ascrivibile a
oggettive carenze educative l’illecito comportamento manifestatosi nella inosservanza delle
norme sulla circolazione stradale) (Cass. 14 marzo 2008, n. 7050).
1.2. Prova liberatoria. n I genitori, per superare
la presunzione di colpa prevista dall’art. 2048
c.c., debbono fornire non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio
una buona educazione e di aver esercitato su di
lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità
alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore; l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata
su un minore, fondamento della responsabilità
dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e educazione del minore, conseguenti al
Art. 2048
mancato adempimento dei doveri incombenti sui
genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. (nella specie, la
Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che, in assenza di alcuna motivazione in ordine alla sussistenza della prova liberatoria, da apprezzarsi nei termini di cui all’enunciato principio di diritto, aveva escluso la responsabilità dei
genitori per le lesioni cagionate dal proprio figlio
ad altro minore, colpito alla bocca con una violenta testata nel corso di una partita di calcio,
mentre il gioco era fermo e senza aver subı̀to alcuna precedente aggressione da parte del danneggiato) (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26200). n
La responsabilità dei genitori per i fatti illeciti
commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 c.c., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 c.c. ed alla conseguente necessità di una costante opera
educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità
della propria esistenza e della protezione della
propria ed altrui persona da ogni accadimento
consapevolmente illecito; per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di
aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita
di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue
abitudini ed alla sua personalità, non assumendo
alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze
(quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute)
idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non
sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto
una volta che sia stata ritenuta, sulla base del
fatto illecito determinatosi, la sussistenza della
culpa in educando (Cass. 22 aprile 2009, n. 9556).
n L’inefficacia dell’educazione impartita dai genitori, ai fini dell’affermazione della loro responsabilità per il risarcimento del danno provocato
dal loro figlio, è desumibile anche dalla condotta
di questi, in violazione di leggi e regolamenti
(nella specie, il minore si era allontanato dalla
scuola durante l’orario didattico alla guida di un
motorino altrui senza avere il patentino, con a
bordo una compagna di scuola, di cui aveva
provocato la morte in uno scontro contro un’auto) (Cass. 26 novembre 1998, n. 11984).
2. Responsabilità dei precettori e degli insegnanti.
n Ai sensi dell’art. 2048, comma 2, c.c., va qualificato precettore il soggetto al quale l’allievo è
affidato per ragioni di educazione ed istruzione,
sia nell’ambito di una struttura scolastica (come
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Art. 2048
avviene per i maestri), sia in virtù di un autonomo rapporto privato (quale è quello che intercorre con un institore), sempre che l’affidamento, se pur limitato ad alcune ore del giorno o
della settimana, assuma carattere continuativo e
non sia, quindi, meramente saltuario (enunciando il principio di cui in massima, la Suprema
Corte ha confermato la sentenza di appello, la
quale aveva escluso che potesse essere qualificato tale il soggetto, non dipendente dell’istituto
scolastico, occasionalmente intervenuto, in rappresentanza del CONI, alla premiazione delle
gare ginniche di fine anno degli alunni di una
scuola elementare, nel corso delle quali uno degli
scolari era stato ferito da un sasso scagliato da
un compagno) (Cass. 18 luglio 2003, n. 11241). n
Gli insegnanti delle scuole elementari rispondono dei danni cagionati dall’atto illecito dei loro
allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro
vigilanza, se non provano ex art. 2048 c.c. di
non aver potuto impedire il fatto e, quindi, dimostrando di avere esercitato la vigilanza sugli
alunni nella misura dovuta e che nonostante l’adempimento di tale dovere il fatto dannoso per
la sua repentinità ed imprevedibilità abbia impedito loro un tempestivo efficace intervento
(Cass. 24 febbraio 1997, n. 1683). n In tema di
responsabilità degli insegnanti di scuole statali,
l’art. 61, comma 2, l. 11 luglio 1980 n. 312 – nel
prevedere la sostituzione dell’amministrazione,
salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle
responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente
convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento
danni da culpa in vigilando, quale che sia il titolo
– contrattuale o extracontrattuale – dell’azione;
ne deriva, pertanto, che l’insegnante è privo di
legittimazione passiva non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro
alunno (nella quale sia invocata, nell’ambito di
un’azione di responsabilità extracontrattuale, la
presunzione di cui all’art. 2048, comma 2, c.c.),
ma anche nell’ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso (ipotesi da far valere secondo i
principi della responsabilità contrattuale ex art.
1218 c.c.), fermo restando che in entrambi i casi,
qualora l’amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all’alunno autodanneggiatosi, l’insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata
la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite, quest’ultimo, operante verso l’amministrazione ma non verso i terzi (Cass. S.U. 27 giugno
2002, n. 9346; v. anche Cass. 3 marzo 2010, n.
5067). n Il personale docente degli istituti statali
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
di istruzione superiore si trova in rapporto organico con l’amministrazione statale e non con il
singolo istituto, con la conseguenza che, per effetto dell’art. 61 l. 11 luglio 1980 n. 312, sono riferibili direttamente al Ministero della P.I. i
comportamenti, anche illeciti, posti in essere dagli insegnanti del suddetto personale docente,
sicché sussiste la legittimazione passiva di detto
ministero nelle controversie relative agli illeciti
ascrivibili a culpa in vigilando degli stessi docenti;
in particolare, in tema di responsabilità civile degli insegnanti per omessa vigilanza (e, quindi,
anche nell’eventualità in cui questa omissione sia
consistita nella circostanza di aver delegato la
funzione stessa ad un terzo), la sottrazione degli
insegnanti statali alle conseguenze dell’applicabilità nei loro confronti della presunzione stabilita
dall’art. 2048, comma 2, c.c., nei giudizi di danno per culpa in vigilando è attuata dall’indicato
art. 61 l. n. 312 del 1980, non sul piano sostanziale, ovvero incidendo sull’operatività dello
stesso art. 2048, comma 2, c.c. nei menzionati
giudizi, ma esclusivamente sul piano processuale,
mediante l’esonero dell’insegnante statale dal
processo, nel quale l’unico legittimato passivo è
il ministero della p.i. (nella specie, sulla scorta
dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha
cassato la sentenza impugnata, con la quale era
stata affermata, oltre a quella del Ministero della P.I., anche la responsabilità di un insegnante
preposto alla vigilanza di un allievo di un istituto professionale di Stato infortunatosi ad un occhio in quanto colpito da una scheggia metallica
durante un’esercitazione senza che gli venissero
fatti usare gli occhiali protettivi, con la conseguente relativa decisione nel merito dell’appello,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto) (Cass. 29 aprile 2006, n. 10042).
2.1. Prova liberatoria. n In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare
la presunzione di responsabilità che ex art. 2048
c.c. grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente per detto insegnante
la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante
nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative
idonee ad evitare il sorgere di una situazione di
pericolo favorevole al determinarsi di detta serie
causale (nella specie, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto corretta l’attribuzione di responsabilità ad un insegnante di educazione musicale, e, quindi, all’amministrazione
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
scolastica in relazione ai danni patiti da un allievo che, mentre teneva tra le labbra un flauto,
era stato colpito da altro allievo con una gomitata, riportando la rottura dei denti incisivi)
(Cass. 22 aprile 2009, n. 9542). n In tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., il dovere di
vigilanza dell’insegnante va commisurato all’età
ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto
(Cass. 10 dicembre 1998, n. 12424). n In tema di
responsabilità civile degli insegnanti per i danni
cagionati da fatti illeciti di loro allievi, il dovere
di vigilanza imposto ai docenti dall’art. 2048,
comma 2, c.c. non ha carattere assoluto, bensı̀
relativo, occorrendo correlarne il contenuto e
l’esercizio in modo inversamente proporzionale
all’età ed al normale grado di maturazione degli
alunni, di modo che, con l’avvicinamento di costoro all’età del pieno discernimento, l’espletamento di tale dovere non richiede la continua
presenza degli insegnanti, purché non manchino
le più elementari misure organizzative dirette a
mantenere la disciplina tra gli allievi (nella specie
in base al principio cosı̀ formulato la Corte Suprema ha confermato la decisione del merito che
aveva respinto la richiesta di risarcimento di un
allievo quindicenne di un istituto tecnico che, nel
corso dell’intervallo ed in assenza di sorveglianza da parte degli insegnanti, aveva riportato lesioni personali dalla rottura di una vetrata causata da altri coetanei) (Cass. 23 giugno 1993, n.
6937).
2.2. Allievo autolesionista. n Nel caso di danno
cagionato dall’alunno a sé stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non
ha natura extracontrattuale, bensı̀ contrattuale,
atteso che – quanto all’istituto scolastico – l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la
conseguente ammissione dell’allievo alla scuola,
determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità
dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della
prestazione scolastica in tutte le sue espressioni,
anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che – quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico – tra insegnante
e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo
di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che
l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; ne deriva che, nelle controversie instaurate
per il risarcimento del danno da autolesione nei
Art. 2048
confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile
dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve
provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile
né alla scuola né all’insegnante (Cass. 3 marzo
2010, n. 5067; v. anche Cass. S.U. 27 giugno
2002 n. 9346).
2.3. Responsabilità dell’istituto e del ministero. n
In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo
subı̀to da uno studente all’interno della struttura
scolastica durante le ore di educazione fisica, ai
fini della configurabilità di una responsabilità a
carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra
gli studenti una gara sportiva, essendo altresı̀ necessario che il danno sia conseguenza del fatto
illecito di un altro studente impegnato nella gara
e che, inoltre, la scuola non abbia predisposto
tutte le misure idonee a evitare il fatto (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha
confermato la sentenza di merito, la quale aveva
escluso la responsabilità della scuola rispetto all’infortunio patito da un allievo nel corso di una
partita di calcio, durante la quale si era ferito al
volto a causa di uno scontro di gioco) (Cass. 28
settembre 2009, n. 20743; v. anche Cass. 25 settembre 2012, n. 16261). n In tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., gli obblighi di sorveglianza e di tutela dell’istituto scolastico scattano
solo allorché l’allievo si trovi all’interno della
struttura, mentre tutto quanto accade prima
può, ricorrendone le condizioni, trovare ristoro
attraverso l’attivazione della responsabilità del
custode, ex art. 2051 c.c. (fattispecie in cui una
alunna della terza elementare era caduta, all’entrata di scuola, sui gradini esterni sdrucciolevoli
e instabili dell’istituto scolastico, riportando gravi lesioni) (Cass. 6 novembre 2012, n. 19160). n
Allorché, in relazione al danno ad un terzo cagionato dal fatto illecito dell’allievo, sia stata affermata la responsabilità dell’insegnante di scuola privata ex art. 2048 c.c. per mancata dimostrazione dell’inevitabilità dell’evento dannoso,
sussiste la responsabilità indiretta dell’istituto
scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che,
traendo fondamento dalla rigorosa previsione
dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria
da parte del datore di lavoro, sul quale grava il
rischio di impresa (Cass. 18 luglio 2003, n.
2565
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Art. 2049
11241). n Il titolo della responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione o dell’ente gestore di una scuola privata nel caso di alunni che
subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero esser sorvegliati dal personale della scuola
può essere duplice e può esser fatto valere contemporaneamente: contrattuale se la domanda è
fondata sull’inadempimento all’obbligo specificatamente assunto dall’autore del danno di vigilare ovvero di tenere una determinata condotta
o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere
di non recare danno ad altri (Cass. 11 novembre
2003, n. 16947). n In tema di responsabilità del
precettore per i danni subiti dall’allievo nel tempo in cui è a lui affidato, il direttore didattico,
per la sua attività meramente amministrativa di
organizzazione e di controllo dei maestri, deve
considerarsi non un precettore, bensı̀ un organo
interno dell’amministrazione della scuola pubblica primaria; conseguentemente, deve essere
esclusa la responsabilità ex art. 2048 c.c. per l’infortunio occorso ad un allievo, del direttore di
una colonia, non essendo questi tenuto per i suoi
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
compiti meramente amministrativi alla vigilanza
sugli alunni, affidata a maestri assistenti (Cass.
26 aprile 1996, n. 3888).
3. Concorso di responsabilità. n La responsabilità
del genitore (ex art. 2048, comma 1, c.c.) e quella del precettore (ex art. 2048, comma 2, c.c.) –
per il fatto commesso da un minore capace di intendere e volere mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo – non sono tra loro
alternative, giacché l’affidamento del minore alla
custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di colpa in vigilando (dal momento che dell’adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato),
ma non anche da quella di colpa in educando, rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto
compiuto dal minore in un momento in cui lo
stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi,
di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti
(Cass. 21 settembre 2000, n. 12501).
2049
Responsabilità dei padroni e dei committenti – [1] I padroni e i committenti
sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e
commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
SOMMARIO: 1. Natura e presupposti – 2. Responsabilità solidale – 3. Ausiliario altrui e ausiliario minore – 4. Casistica
1. Natura e presupposti. n In tema di responsabilità civile derivante da fatto illecito, la norma
dell’art. 2049 c.c. – che pone a carico dei padroni e committenti la responsabilità per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell’esercizio delle incombenze cui sono
adibiti – trova applicazione limitatamente al
danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito
del domestico o commesso, ma non è invocabile
al fine di ottenere il risarcimento del danno che
quest’ultimo abbia procurato al committente oppure a sé stesso (Cass. 22 marzo 2011, n. 6528).
n La responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2049 c.c., essendo fondata sul presupposto
della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito e il proprio datore di
lavoro e sul collegamento dell’illecito stesso con
le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del
tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del
datore di lavoro ed è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa, con la
conseguenza che l’accertamento della non colpe2566
volezza del datore di lavoro compiuto dal giudice penale non vale ad escluderla (Cass. 20 giugno
2001, n. 8381). n Per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049
c.c. non è necessario che le persone che si sono
rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano
agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (nella specie, la Suprema Corte, enunciando il riportato principio, ha
rigettato il motivo di ricorso proposto da una
società di gestione di un impianto di risalita di
una pista da sci, affermando, anche sulla scorta
dell’interpretazione della specifica legislazione
della provincia autonoma di Trento, la correttezza della motivazione dell’impugnata sentenza di
appello, con la quale era stata affermata la responsabilità della predetta società in ordine ai
danni conseguenti ad un infortunio occorso ad
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
una sciatrice che, nel mentre trovavasi ferma sulla pista, era stata urtata dal toboga condotto da
un addetto volontario al soccorso, sul presupposto che quest’ultimo svolgesse un servizio di assistenza per conto della medesima società, sulla
quale incombeva l’obbligo di organizzare l’impresa in modo da assicurare il servizio stesso nel
rispetto delle specifiche disposizioni regolamentari contemplate in materia e ricadeva, pertanto,
il derivante obbligo di vigilanza e la responsabilità per l’operato dell’addetto, ancorché espletato
a titolo di volontariato) (Cass. 9 novembre 2005,
n. 21685). n Poiché presupposto per l’applicazione della norma dell’art. 2049 c.c. è l’esistenza di
un rapporto di preposizione fra il soggetto responsabile e quello che commette l’illecito, la
cessazione di tale rapporto – come ad esempio
del rapporto di lavoro dipendente – ne esclude
l’applicabilità ai fatti illeciti commessi dal preposto successivamente ad essa e, pertanto, in relazione ad essi non si può ipotizzare una responsabilità del padrone o committente ai sensi della
suddetta norma (Cass. 14 giugno 1999, n. 5880).
n La responsabilità indiretta del committente di
cui all’art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l’esistenza di un
nesso di ‘‘occasionalità necessaria’’ tra l’illecito e
il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti,
nel senso che le mansioni affidate al dipendente
abbiano reso possibile o comunque agevolato il
comportamento produttivo del danno al terzo
(nella specie, la Suprema Corte, cassando con
rinvio la sentenza impugnata, ha ravvisato la responsabilità indiretta della banca per la condotta
illecita del suo funzionario, consistita nel prelevare indebitamente somme di denaro da conti
correnti di terzi estranei e accreditandole sul
conto corrente di clienti per i quali lo stesso funzionario aveva gestito una fruttuosa operazione
finanziaria rientrante nelle attività proprie di
quell’istituto di credito e nell’ambito delle mansioni affidategli) (Cass. 12 marzo 2008, n. 6632).
n La responsabilità indiretta del datore di lavoro
(nel caso di specie un istituto bancario) per il
fatto dannoso commesso dal suo dipendente postula l’esistenza del rapporto di lavoro ed un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e
le mansioni da questi espletate, senza che sia richiesta la prova di un vero e proprio nesso di
causalità, risultando sufficiente l’esistenza di un
rapporto di ‘‘occasionalità necessaria’’, nel senso
che l’incombenza svolta deve aver determinato
una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti
delle sue incombenze, o persino trasgredendo
Art. 2049
agli ordini ricevuti, purché sempre nell’ambito
delle proprie mansioni (nella specie, la Suprema
Corte ha confermato la sentenza di merito che
aveva ritenuto sussistente la responsabilità della
banca in un caso in cui il direttore della filiale,
all’interno dell’istituto bancario, aveva assunto
l’iniziativa personale di far versare una somma
ai risparmiatori assicurando alla scadenza dell’operazione la restituzione della stessa con un interesse netto del dieci per cento, mentre la banca
ne aveva rifiutato la corresponsione) (Cass. 29
settembre 2005, n. 19167). n Per l’affermazione
della responsabilità indiretta del committente
per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso ai sensi dell’art. 2049 c.c. è sufficiente che
sussista un nesso di occasionalità necessaria tra
l’illecito stesso ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso che le mansioni o le incombenze
affidate al secondo abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo
del danno; non può, pertanto, farsi carico al
committente delle conseguenze di un fatto posto
in essere dal preposto non durante l’espletamento delle incombenze demandategli e non a fine
di adempiere ad esse ma al di fuori di esse e per
soddisfare un bisogno estraneo alle stesse, venendo meno in tal caso il vincolo di occasionalità tra le incombenze e il fatto generatore del
danno (sulla base di tale principio la Suprema
Corte ha confermato la sentenza di merito di
esclusione della responsabilità del committente
in un caso in cui il preposto, incaricato di impiantare cavi elettrici presso un privato, aveva
acceduto alla richiesta di questi di fissare al soffitto di una stanza una plafoniera, dalla cui caduta erano derivati danni) (Cass. 13 novembre
2001, n. 14096).
2. Responsabilità solidale. n La responsabilità
per fatto altrui di cui all’art. 2049 c.c. espone il
padrone od il committente, oltre che all’obbligo
risarcitorio verso il danneggiato, anche all’azione
di regresso di cui all’art. 2055, comma 2, c.c.
proposta dai corresponsabili solidali del commesso, a nulla rilevando che tale responsabilità
scaturisca direttamente dalla legge e non dal fatto illecito, trattandosi di regresso nella misura
determinata dalla gravità della colpa del domestico o commesso (Cass. 27 luglio 2011, n.
16417). n Anche se il titolo della responsabilità è
diverso per i commessi e i domestici e per i padroni e i committenti, trattandosi di colpa diretta per i primi e di culpa in eligendo o c.d. rischio
d’impresa per secondi, l’unicità del fatto illecito,
dannoso per i terzi, da cui tale responsabilità
scaturisce, determina la solidarietà tra i vari sog2567
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Art. 2049
getti obbligati verso il danneggiato. Pertanto, allorquando il danneggiato proponga domanda di
risarcimento nei confronti del solo committente
o padrone, non è necessaria l’integrazione nel
contradditorio del commesso o domestico (Cass.
28 aprile 1972, n. 1343).
3. Ausiliario altrui e ausiliario minore. n Ove taluno si avvalga, per compiere un determinato lavoro, di persona normalmente alle dipendenze di
altri, assumendone in proprio la direzione e la
vigilanza, committente, ai fini della responsabilità ex art. 2049 c.c., deve essere considerato soltanto colui che ha fatto eseguire il lavoro (Cass.
19 dicembre 2003, n. 19553). n La responsabilità
del committente per fatto proprio dell’ausiliario
di cui all’art. 2049 c.c. sussiste non solo in presenza di un rapporto contrattuale, ma anche in
presenza di un rapporto effettuale che leghi due
soggetti, dei quali l’uno esplichi, in posizione di
subordinazione, una attività per conto dell’altro,
il quale conservi un potere di direzione e di sorveglianza sulla condotta del primo; pertanto va
considerato committente ai fini previsti dall’art.
2049 c.c. anche chi si avvalga, nella esecuzione
di un determinato lavoro, dell’attività lavorativa
di persona che, seppure nominalmente figurante
alle dipendenze di altri, debba peraltro rispondere verso di lui (o verso entrambi) del proprio
operato, senza che sia necessario accertare (e
qualificare) la natura del rapporto intercorrente
tra l’effettivo committente ed il datore di lavoro
solo nominale dell’ausiliario (Cass. 9 agosto
1991, n. 8668). n In caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il
datore di lavoro distaccante, in capo al quale
permane la titolarità del rapporto di lavoro, è
responsabile, ai sensi dell’art. 2049 c.c., dei fatti
illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all’esecuzione della
prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa
(Cass. 11 gennaio 2010, n. 215). n La responsabilità (diretta) dei genitori, ai sensi dell’art. 2048
c.c., per il fatto illecito dei figli minori imputabili
può concorrere con quella dei precettori, essendo esse rispettivamente fondate sulla colpa in
educando e su quella in vigilando; la presenza di
questi astratti titoli di responsabilità, fra loro
concorrenti, non impedisce che – trattandosi di
illecito commesso da minore nell’esercizio della
sua attività di apprendista – possa essere accertata la responsabilità esclusiva, ex art. 2049 c.c.,
2568
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
del datore di lavoro; tale responsabilità, essendo
fondata sul presupposto dell’esistenza di un rapporto di subordinazione fra autore dell’illecito
ed il proprio datore di lavoro, e sul collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal
dipendente, prescinde del tutto dalla colpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro, è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa dello stesso, e può ricorrere anche
in caso di dolo del commesso (Cass. 10 maggio
2000, n. 5957).
4. Casistica. n In tema di appalto, solo l’appaltatore deve ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera, potendosi
eccezionalmente configurare una corresponsabilità del committente nel caso di specifica violazione da parte sua di regole di cautela nascenti
ex art. 2043 c.c. ovvero quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo, per avere affidato l’opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative (Cass. 26 marzo 2009, n.
7356). n L’appaltatore, poiché nella esecuzione
dei lavori appaltati opera in autonomia, con
propria organizzazione ed apprestando i mezzi a
ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile
dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’opera, salva (a parte l’ipotesi di una culpa in
eligendo) l’esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister, ovvero la sua
corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l’autonomia dell’appaltatore; ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di
appalto la possibilità di impartire prescrizioni
nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per
chiedere il rispetto della normativa di sicurezza,
se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (principio applicato
a fattispecie di appalto di opere pubbliche, sul
presupposto che anche in tale ipotesi l’appaltatore, sebbene in limiti più ristretti rispetto all’appalto di opera privata – in ragione dell’obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e
della continua ingerenza dell’amministrazione
appaltante – conservi margini di autonomia)
(Cass. 20 settembre 2011, n. 19132). n La clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire
dall’esecuzione delle opere siano a totale ed
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
esclusivo carico dell’appaltatore, rimanendone
indenne il committente, non può essere da quest’ultimo invocata quale ragione di esenzione
dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei
lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art. 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anziché verso
l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito
occasionato dall’esecuzione del contratto (Cass.
17 febbraio 2012, n. 2363). n Nel contratto di
noleggio di cose mobili, una parte, senza attribuire all’altra il godimento della cosa, si obbliga
a compiere con questa, mediante l’opera sua o
di propri dipendenti, determinate attività in favore della controparte sicché i rischi connessi alle stesse ricadono sul noleggiante nella cui sfera
di disponibilità rimane il bene oggetto del contratto, senza alcuna ingerenza del noleggiatore;
invece nel rapporto di locazione il conduttore
acquista la detenzione della cosa che entra nell’ambito della sua disponibilità e comporta l’assunzione, da parte sua, dei rischi inerenti all’utilizzazione della medesima, anche se eventualmente alla locazione si accompagni il distacco di
personale del locatore che temporaneamente
venga inserito nell’organizzazione aziendale del
conduttore; consegue che, ove l’attività del dipendente del noleggiante sia causa di danno risarcibile per responsabilità extracontrattuale, risponde ex art. 2049 c.c. il noleggiante e non invece il noleggiatore; viceversa dell’attività del dipendente del locatore distaccato presso il conduttore risponde solo quest’ultimo (Cass.19 luglio 1985, n. 4294). n L’attività del mandatario
costituisce fonte di responsabilità indiretta del
mandante, a norma dell’art. 2049 c.c., quando il
primo si sia avvalso della sua qualità di rappresentante per consumare l’illecito e la detta attività apparisca verosimilmente, al terzo di buona
fede, come rientrante nei limiti del mandato
(Cass. 27 giugno 1984, n. 3776). n Nell’esercizio
di attività sportiva a livello professionistico, le
società sportive sono tenute a tutelare la salute
degli atleti sia attraverso la prevenzione degli
eventi pregiudizievoli della loro integrità psicofisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie, potendo essere chiamate a rispondere in base all’art. 2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale (nella specie
la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato da un’associazione sportiva, condannata in
relazione al decesso di un atleta per malattia cardiaca già preesistente al momento dell’inizio del-
Art. 2049
la competizione, per non aver inserito nel regolamento di un torneo calcistico dilettantistico l’obbligo preventivo di visita medica) (Cass. 13 luglio 2011, n. 15394). n Sussiste la responsabilità
ex art. 2049 c.c. della società assicuratrice per
l’attività illecita posta in essere dall’agente, munito del potere di rappresentanza, che sia stata
agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui detta società aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (in applicazione di tale principio, la Suprema
Corte ha confermato la sentenza dei giudici di
merito che avevano affermato la responsabilità
della società assicuratrice per i danni subiti dall’attore per il furto della sua auto in Moldavia,
nonostante tale rischio fosse escluso dalla polizza, sull’assunto che l’assicurato era stato in buona fede indotto dall’agente assicurativo a credere
ricompreso nella copertura assicurativa il suddetto rischio) (Cass. 11 febbraio 2010, n. 3095).
n Sussiste la responsabilità ex art. 2049 c.c. della
compagnia assicuratrice per l’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o
resa possibile dalle incombenze demandategli e
su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (principio
affermato con riferimento a polizze di assicurazione sulla vita stipulate da agente – con rilascio
di attestazione di copertura provvisoria, incasso
del premio, successiva consegna di ricevuta e
della polizza definitiva – di cui la compagnia assicuratrice preponente si era successivamente dichiarata all’oscuro, negando la sussistenza del
rapporto contrattuale) (Cass. 22 giugno 2007, n.
14578). n La P.A. risponde del fatto illecito dei
propri dipendenti tutte le volte che tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate
dal dipendente esista un nesso di occasionalità
necessaria, e quest’ultimo sussiste tutte le volte
che il pubblico dipendente non abbia agito come
semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all’amministrazione, ma
abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell’agente (in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito la
quale aveva escluso il suddetto nesso di occasionalità necessaria in un caso in cui un agente della polizia penitenziaria, mostrando ai colleghi il
funzionamento di una pistola d’ordinanza all’interno dell’alloggio di servizio, aveva fatto inavvertitamente partire un colpo ferendo uno dei
colleghi) (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29727). n
Del danno patito da un paziente operato in una
clinica universitaria risponde quest’ultima, a nul2569
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Art. 2049
la rilevando che la stessa sia convenzionata con
la regione, a meno che per effetto di tale convenzione l’amministrazione regionale non abbia assunto la gestione diretta della clinica (nella specie la Suprema Corte ha escluso che il ricorso al
c.d. ‘‘avvalimento’’, adottato dalla regione attraverso il convenzionamento con l’università relativamente alle cliniche, abbia comportato la gestione diretta, da parte dell’ente avvalente, della
struttura organizzativa di cui lo stesso si sia avvalso) (Cass. 26 maggio 2011, n. 11621). n Il ricovero in una struttura deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente ed il soggetto che gestisce la
struttura, e l’adempimento di un tale contratto,
per quanto riguarda le prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano
la corrispondente attività del medico nell’ambito
del contratto di prestazione d’opera professionale; il soggetto gestore della struttura sanitaria
(pubblico o privato) risponde perciò per i danni
che siano derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle
norme dettate dagli artt. 1176, comma 2, e 2236
c.c.; in queste ipotesi la responsabilità può comportare un’obbligazione di risarcimento estesa
non al solo danno patrimoniale (art. 1223 c.c.),
ma anche al danno biologico, e cioè al danno
non patrimoniale costituito dalle conseguenze
pregiudizievoli per la salute derivanti dalle menomazioni fisiopsichiche prodotte dal comportamento inadempiente; ed inoltre, stante la configurabilità oggettiva anche degli estremi di un
reato ove la menomazione dell’integrità psicofisica si renda riconducibile ad un comportamento
colposo, la conseguente estensione della responsabilità anche al danno morale (art. 2059 c.c. e
art. 185 c.p.) si configurerà anche a carico del
soggetto (pubblico o privato) gestore della struttura sanitaria, costituendosi a criterio di imputazione (rispettivamente sulla base degli artt. 28
Cost. e 2049 c.c.) la circostanza che l’attività sanitaria rivolta all’adempimento del contratto sia
stata svolta dalle persone, inserite nella propria
organizzazione, di cui il gestore si sia avvalso
per renderla; più in particolare, allorché il ricovero sia avvenuto presso una struttura sanitaria
gestita da un ente pubblico, perché a quest’ultimo si renda imputabile la responsabilità civile
conseguente al fatto-reato, si rende sufficiente
che il fatto si atteggi oggettivamente come reato
e che la condotta che ne contribuisca a costituire
l’elemento oggettivo rappresenti una manifestazione del servizio di cui il paziente è stato ammesso a fruire, giacché, per imputare la responsabilità all’ente pubblico, basta che l’azione od
2570
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
omissione sia riconducibile ad un’attività di un
organo dell’ente (Cass. 1o settembre 1999, n.
9198). n Ai fini della responsabilità di una USL
per lesioni riportate per omissione di vigilanza
da un paziente durante il ricovero ospedaliero è
irrilevante il carattere volontario ed obbligatorio
del trattamento sanitario praticato in concreto,
non potendo quest’ultimo condizionare l’obbligo
di sorveglianza da parte del medico e del personale sanitario, basato sulla stessa diagnosi dei
sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico e sulla loro mancata osservanza (fattispecie: invalidità riportata in conseguenza di un tentativo di suicidio, in assenza di
personale ospedaliero, da una paziente ricoverata per malattia mentale con la consegna di continua sorveglianza) (Cass. 10 novembre 1997, n.
11038). n La ASL di appartenenza non è responsabile per i danni (nella specie derivanti dall’accertamento dell’omicidio colposo) cagionati
al paziente da un medico convenzionato, poiché
tra quest’ultimo e la asl non ricorre né un rapporto di immedesimazione organica, né di ausiliarietà e la ASL non assume il rischio dell’attività del sanitario, pur sempre libera sia nella predisposizione dell’organizzazione, che mette a disposizione del paziente, sia nella scelta delle cure
da praticare; il medico non è dipendente della
ASL, e tra quest’ultima ed il paziente (diversamente da quanto accade tra il paziente e la casa
di cura) non intercorre il c.d. contratto di spedalità: per tali ragioni, non è configurabile alcuna
responsabilità dell’ente ex artt. 1228 e 2049 c.c.
né ex artt. 1218 e 2043 c.c., in difetto di relazioni
dirette tra il paziente e l’ente (che non fornisce
direttamente la prestazione sanitaria), in quanto
l’unico ‘‘debitore’’ della prestazione sanitaria è il
medico (Cass. pen. 11 aprile 2008, n. 36502, in
Ragiusan, 2008, 362). n Sussiste la responsabilità
indiretta della banca, ex art. 2049 c.c., nei confronti dei terzi in relazione all’attività illecita posta in essere da un promotore finanziario, allorché, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e dal carattere di
continuità dell’incarico affidato all’agente, detta
attività sia stata agevolata o resa possibile dal
suo inserimento nell’attività d’impresa (nella specie emersa dalla sua presenza nei locali della
banca, dall’utilizzo della modulistica di pertinenza e dalla spendita del nome), e sia stata realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in
vista delle quali l’incarico è stato conferito, in
maniera tale da far apparire al terzo in buona
fede che l’attività posta in essere per la consumazione dell’illecito rientrasse nell’incarico affidato
dalla banca mandante (Cass. 24 luglio 2009, n.
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
17393). n La società di intermediazione mobiliare risponde a titolo oggettivo dei danni causati
ai risparmiatori dai propri preposti, sulla base
dell’esistenza del solo nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e
l’illecito, a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato soggettivo di dolo o colpa della preponente, ed a nulla rilevando che la condotta truffaldina del promotore abbia avuto inizio prima
ancora del sorgere del rapporto di preposizione
tra lo stesso e la SIM (Cass. 19 luglio 2012, n.
12448). n La responsabilità solidale della società
di intermediazione mobiliare per i danni arrecati
a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari va esclusa allorquando la condotta del danneggiato presenti
connotati di ‘‘anomalia’’, vale a dire, se non di
collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul
promotore, palesata da elementi presuntivi, quali
ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il
valore complessivo delle operazioni, l’esperienza
acquisita nell’investimento di prodotti finanziari,
la conoscenza del complesso iter funzionale alla
sottoscrizione di programmi di investimento e le
sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (nel caso di specie, la suprema corte ha
confermato la sentenza di merito che ha escluso
la corresponsabilità della banca nell’attività illecita svolta da un consulente finanziario, il quale
operava in borsa per conto dei propri clienti sen-
Art. 2050
za alcun vincolo di mandato, utilizzando un
conto corrente cointestato ovvero servendosi dei
codici di accesso ai servizi di banca online consegnatigli dagli stessi clienti, a fronte del riconoscimento di un compenso determinato al di fuori
del sistema delle commissioni bancarie d’uso per
operazioni similari) (Cass. 13 dicembre 2013, n.
27925).n L’affidamento, da parte di un’emittente
televisiva, della conduzione di una trasmissione
di commento all’attualità politica e sociale a una
persona ben nota per la mancanza di remore
nella manifestazione del pensiero, al fine di capitalizzarne l’innegabile attrattiva in termini di audience, traducendosi nella messa in onda di una
trasmissione-spettacolo, centrata sui dati caratteriali di un personaggio politico capace di ‘‘bucare lo schermo’’, pur se a rischio dell’onore e della reputazione altrui, comporta a carico dell’emittente la responsabilità di cui all’art. 2049 c.c.
per i danni arrecati ai terzi, non richiedendosi, ai
fini della configurabilità del rapporto di preposizione, un vincolo di dipendenza, ma essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarietà del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa gestita dal preponente, e prescindendosi dalla colpa del preponente, in quanto la responsabilità è imputata a
titolo oggettivo, avendo come suo presupposto
la consapevole accettazione dei rischi insiti in
quella particolare scelta imprenditoriale (Cass.
16 marzo 2010, n. 6325).
2050
Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – [1] Chiunque cagiona
danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o
per la natura dei mezzi adoperati, e` tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
SOMMARIO: 1. Nozione di attività pericolosa e applicabilità – 2. Nesso di causalità – 3. Prova liberatoria – 4. Casistica
1. Nozione di attività pericolosa e applicabilità. n
In materia di responsabilità per esercizio di attività pericolose, considerato che tutte le attività
umane contengono in sé un grado più o meno
elevato di pericolosità per coloro che le esercitano, occorre sempre distinguere tra pericolosità
della condotta e pericolosità dell’attività in
quanto tale: la prima riguarda un’attività normalmente innocua, che assume i caratteri della
pericolosità a causa della condotta imprudente o
negligente dell’operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c.;
la seconda concerne un’attività che, invece, è po-
tenzialmente dannosa di per sé per l’alta percentuale di danni che può provocare in ragione della sua natura o della tipologia dei mezzi adoperati e rappresenta una componente della responsabilità disciplinata dall’art. 2050 c.c.; la distinzione tra pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività comporta un accertamento di fatto, perché, nel primo caso, si tratta di verificare
il grado di diligenza o di perizia dell’operatore e,
nel secondo caso, la natura dell’attività o il grado di efficienza dei mezzi utilizzati; la valutazione relativa a tale accertamento è rimessa al giudice del merito che, pertanto, risulta insindacabi2571
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Art. 2050
le in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata (nella fattispecie, la Suprema
Corte ha rigettato il ricorso, confermando la
sentenza di merito impugnata che, in relazione
ad un incendio propagatosi in un immobile condotto in locazione, aveva ritenuto, con motivazione congrua, che la saldatrice elettrica, utilizzata per lavori di carpenteria all’interno dei locali del predetto immobile, non era idonea a sviluppare l’incendio dedotto in giudizio) (Cass. 21
ottobre 2005, n. 20357). n Costituiscono attività
pericolose, ai sensi dell’art. 2050 c.c., non solo le
attività che tali sono qualificate dalla legge di
pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma
anche quelle che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa
natura e per le caratteristiche dei mezzi usati, sia
nel caso di danno che sia conseguenza di un’azione, sia nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza; ne consegue che l’attività di scavo propedeutica all’impianto di un
vigneto, che comporti la realizzazione di solchi
di circa 60 centimetri e la costruzione di un muro di recinzione che necessita di uno scavo profondo circa un metro, non possono essere considerate pericolose ai fini di detta norma (Cass. 16
gennaio 2013, n. 919). n Ai fini dell’accertamento
della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., il
giudizio sulla pericolosità dell’attività – ossia su
quell’attività che, per sua natura o per i mezzi
impiegati, renda probabile, e non semplicemente
possibile, il verificarsi dell’evento dannoso, distinguendosi, cosı̀, dall’attività normalmente innocua, che diventi pericolosa per la condotta di
chi la eserciti, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 c.c.
– va espresso non sulla base dell’evento dannoso
effettivamente verificatosi, bensı̀, attraverso una
prognosi postuma, sulla base delle circostanze di
fatto che si presentavano al momento stesso dell’esercizio dell’attività ed erano conoscibili dall’uomo medio, o, comunque, dovevano essere
conosciute dall’agente in considerazione del tipo
di attività esercitata; tale valutazione, nel caso in
cui non sia stata compiuta direttamente dal legislatore, è rimessa all’apprezzamento del giudice
del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivata
(nella specie, la Suprema Corte, in applicazione
dell’enunciato principio, ha cassato per carenza
di motivazione la sentenza del merito, la quale,
in relazione all’esercizio di una pista di autoscontro, aveva escluso la natura pericolosa del2572
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
l’attività, limitandosi a rilevare che essa non era
cosı̀ classificata dalla legge e che il mezzo posto
a disposizione del danneggiato non aveva una
sua intrinseca pericolosità) (Cass. 30 agosto
1995, n. 9205).
2. Nesso di causalità. n In tema di responsabilità
per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico, la cui prova incombe al danneggiato, tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso; resta, poi, a carico del
danneggiante l’onere di provare di aver adottato
tutte le misure idonee ad evitare il danno (nella
specie la Suprema Corte ha rigettato il ricorso
proposto ritenendo irrilevante, ai fini della decisione, che la caduta dell’allieva fosse avvenuta a
causa dell’andamento del cavallo o della rottura
di uno staffile, che la danneggiata conducesse
l’animale al passo o al galoppo e che la stessa
fosse o meno preparata a farlo, in quanto era
stato accertato che l’evento dannoso si era verificato in conseguenza dello svolgimento di un’attività pericolosa – l’esercizio ippico – e che il danneggiante non aveva offerto la prova liberatoria)
(Cass. 15 luglio 2008, n. 19449). n Sia con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, sia in
tema di danno cagionato da cose in custodia, è
indispensabile, per l’affermazione di responsabilità, rispettivamente, dell’esercente l’attività pericolosa e del custode, che si accerti un nesso di
causalità tra l’attività o la cosa e il danno patito
dal terzo: a tal fine, deve ricorrere la duplice
condizione che il fatto costituisca un antecedente
necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo
rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie
del fatto, e che l’antecedente medesimo non sia
poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento; pertanto, anche nell’ipotesi
in cui l’esercente dell’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il
danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i
requisiti del caso fortuito – cioè la eccezionalità
e l’oggettiva imprevedibilità – e sia idonea, da
sola, a causare l’evento, recide il nesso eziologico
tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un
terzo (Cass. 10 marzo 2006, n. 5254). n In tema
di responsabilità per esercizio di attività pericolosa (nella specie, produzione e distribuzione di
gas in bombole), la presunzione di colpa a carico
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del
nesso eziologico – la prova del quale incombe al
danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità
rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo; in particolare, nella ipotesi
in cui sia ignota la causa dell’evento dannoso, la
responsabilità ex art. 2050 c.c. va affermata ove
risulti non interrotto il nesso di causalità con l’esercizio dell’attività pericolosa, mentre va esclusa
ove sussista incertezza sul fattore causale e sulla
riconducibilità del fatto all’esercente; il relativo
accertamento rientra tra i poteri del giudice di
merito ed è incensurabile in cassazione ove sufficientemente e logicamente motivato (Cass. 17 luglio 2002, n. 10382). n In tema di responsabilità
per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone la sussistenza del
nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, con onere della prova incombente al danneggiato; pertanto, qualora un evento
dannoso sia imputabile astrattamente a più soggetti e, essendo certo che il responsabile del sinistro sia uno solo, non si riesca ad individuare, in
concreto, che abbia posto in essere il comportamento produttivo di danno, non trova applicazione la norma dell’art. 2055 c.c., la quale presuppone che il fatto lesivo sia imputabile a più
persone (fattispecie in tema di incendio a causa
di spettacolo pirotecnico) (Cass., ord., 5 marzo
2012, n. 3424).
3. Prova liberatoria. n Ai fini della responsabilità
per l’esercizio di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., il giudizio sull’autonoma idoneità
causale del fattore esterno ed estraneo, costituito
dalla condotta del danneggiato, a recidere il nesso eziologico tra l’evento e l’attività pericolosa,
deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere
prevista e superata attraverso l’adozione delle
normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad
interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno
e ad escludere, pertanto, la responsabilità dell’esercente l’attività (nella specie, in applicazione
dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha
confermato la sentenza di merito, la quale aveva
rigettato la domanda risarcitoria proposta dal-
Art. 2050
l’attrice in relazione al danno subito per la caduta in una voragine aperta nel manto viario in un
cantiere stradale, risultando che detta parte si
era consapevolmente introdotta nel cantiere, delimitato da una recinzione e segnalato come pericoloso da cartelli che avvertivano della presenza di scavi aperti, cosı̀ interrompendo il nesso di
causalità) (Cass. 22 dicembre 2011, n. 28299). n
In materia di responsabilità extracontrattuale, in
ordine alla presunzione di responsabilità per chi
esercita attività pericolose, il fatto del terzo o
dello stesso danneggiato può avere effetto liberatorio solo quando abbia reso, per la sua sufficienza, giuridicamente irrilevante il fatto di chi
esercita detta attività, ma non quando abbia
semplicemente concorso nella produzione del
danno per essersi inserito in una situazione già
di per sé pericolosa, senza la quale l’evento non
si sarebbe verificato, a causa dell’inidoneità delle
misure preventive adottate (nella specie, la Suprema Corte ha giudicato non adeguatamente
motivata la sentenza di merito che, in relazione
ad un caso di morte per folgorazione da scarica
elettrica di un lavoratore intento a riparare un
impianto elettrico, aveva ritenuto ‘‘straordinario,
anomalo ed imprevedibile’’ il comportamento
del deceduto) (Cass. 18 luglio 2011, n. 15733). n
Anche nell’ipotesi in cui l’esercente l’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure atte
ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua
responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta
che abbia i requisiti del caso fortuito (cioè, l’eccezionalità e l’oggettiva imprevedibilità) e sia
idonea, da sola, a causare l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, anche quando
tale causa sia attribuibile al fatto del danneggiato o di un terzo (Cass. 6 marzo 2008, n. 6036). n
In materia di responsabilità civile, il limite della
responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. risiede nell’intervento di un
fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene
non già ad un comportamento del responsabile
ma alle modalità di causazione del danno, che
può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell’imprevedibilità e
dell’eccezionalità; peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da
solo ad interrompere il nesso eziologico tra la
condotta del danneggiante ed il danno, esso
può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai
sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – espressione
del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione
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Art. 2050
del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della colpa del danneggiato
(Cass. 8 maggio 2003, n. 6988).
4. Casistica. n La produzione e la vendita di tabacchi lavorati costituiscono attività pericolose
ai sensi dell’art. 2050 c.c., poiché i tabacchi,
avendo come unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé una potenziale
carica di nocività per la salute umana; ne consegue che, ove il danneggiato abbia proposto una
domanda risarcitoria – ai sensi dell’art. 2043 c.c.
– nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola l’art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio
di ultrapetizione il giudice che sostituisca a tale
domanda quella, nuova e diversa, di cui all’art.
2050 c.c., la quale integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva (nella specie, l’originaria domanda risarcitoria era fondata sul carattere ingannevole delle diciture Light e Extra Light apposte
sulla confezione di una marca di sigarette) (Cass.
17 dicembre 2009, n. 26516). n Le imprese farmaceutiche che intervengono nel ciclo produttivo di gammaglobuline umane sono responsabili,
ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni conseguenti
al contagio prodotto dall’uso del farmaco se,
pur avendo ottemperato alle disposizioni normative vigenti, non dimostrino di avere adottato
ogni cautela idonea ad impedire l’evento; infatti,
poiché la presunzione di responsabilità prevista
dal citato art. 2050 per le attività pericolose, tra
le quali rientra anche quella di produzione di
farmaci contenenti gammaglobuline, può essere
vinta solo dalla prova di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno, non basta,
per escludere la responsabilità dell’esercente l’attività pericolosa, la prova negativa di non avere
commesso alcuna violazione di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere
impiegato ogni cura o misura atta ad impedire
l’evento dannoso; l’accertamento della idoneità
delle cautele previste dalla norma (al pari di
quella concernente il rapporto eziologico e la natura dell’attività) integra un’indagine di fatto riservata al giudice di merito ed è, perciò, sottratto al sindacato di legittimità, se fondato su argomentazioni immuni da vizi ed errori giuridici
(Cass. 1o febbraio 1995, n. 1138). n L’organizzazione di una gara sportiva non può essere considerata ‘‘attività pericolosa’’, ai sensi dell’art.
2050 c.c., con riferimento ai danni subı̀ti dagli
atleti e dei quali è prevedibile la verificazione, in
quanto provocati dagli inevitabili errori del gesto sportivo degli atleti impegnati nella gara; la
medesima attività, invece, deve essere considerata ‘‘pericolosa’’ se in conseguenza di essa gli
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
atleti sono stati esposti a conseguenze più gravi
di quelle che possono essere determinate dai predetti errori (nella specie, il giudice di merito aveva rigettato la domanda proposta da un atleta
che, durante una gara di bob, aveva perso il casco a causa di una scheggia di legno distaccatasi
da uno dei tavoloni di sostegno della pista contro cui aveva cozzato con la testa rivestita dal
casco, riportando gravi danni alla persona; la
Suprema Corte, in applicazione del principio che
precede, ha cassato la decisione, per non avere il
giudice di merito adeguatamente accertato se le
modalità di predisposizione delle paratie di sostegno avessero o meno aumentato la pericolosità del campo di gara) (Cass. 13 febbraio 2009, n.
3528). n Deve escludersi che all’attività sportiva
riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di particolare pericolosità,
trattandosi di disciplina che privilegia l’aspetto
ludico, pur consentendo, con la pratica, l’esercizio atletico, tanto che è normalmente praticata
nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, sicché
la stessa non può configurarsi come attività pericolosa a norma dell’art. 2050 c.c., cosı̀ rimanendo irrilevante, ai fini della possibile responsabilità dell’insegnante di educazione fisica e dell’istituto scolastico, ogni indagine volta a verificare
se la medesima attività faccia, o meno, parte dei
programmi scolastici ministeriali (nella specie, la
Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, sulla scorta dell’enunciato principio,
aveva escluso la sussistenza dei presupposti per
la configurazione della forma di responsabilità
riconducibile al richiamato art. 2050 c.c., considerando, altresı̀, adeguatamente motivata tale
decisione nella parte in cui era rimasto accertato,
in positivo, che l’infortunio occorso all’allievo
scolastico durante la lezione di educazione fisica
era stato determinato da un fatto accidentale
ascrivibile ad un errore del medesimo minore, il
quale, nel controllare il possesso del pallone in
un frangente del gioco in cui non vi era stato alcun contrasto con altri giocatori, era inciampato
sul pallone stesso e nel cadere aveva appoggiato
a terra la mano sinistra, procurandosi la frattura
del relativo avambraccio) (Cass. 19 gennaio
2007, n. 1197). n Il gestore del maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi
dell’art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti
partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora
gli allievi siano principianti, del tutto ignari di
ogni regola di equitazione, ovvero giovanissimi;
nel caso di allievi più esperti, l’attività equestre è
soggetta, invece, alla presunzione di responsabi-
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
lità di cui all’art. 2052 c.c., con la conseguenza
che spetta al proprietario od all’utilizzatore dell’animale che ha causato il danno di fornire non
soltanto la prova della propria assenza di colpa,
ma anche quella che il danno è stato causato da
un evento fortuito (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto il gestore responsabile,
ex art. 2050 c.c., dei danni subı̀ti da un’allieva
principiante, che era stata colpita alla caviglia
dallo zoccolo di un cavallo che, nella fila, seguiva immediatamente quello da lei cavalcato, ed
avevano dichiarato la nullità, ai sensi dell’art.
1229, comma 1, c.c., della clausola di esonero da
responsabilità sottoscritta) (Cass., 19 giugno
2008, n. 16637). n La gestione di un ippodromo
non costituisce necessariamente un’attività pericolosa, ma può diventarlo solo in determinati
casi, come nell’ipotesi in cui sia funzionale all’esercizio di scuole di equitazione od all’organizzazione di gare ippiche; ne consegue che il gestore
di un ippodromo non può essere ritenuto responsabile ipso facto per i danni conseguenti ai
rischi insiti nell’attività del cavalcare, e che per
tale genere di rischi la sua responsabilità va
esclusa in tutti i casi in cui risulti che abbia
adottato i mezzi idonei per far sı̀ che la suddetta
attività si svolga senza rischio (nella specie, era
accaduto che un cavallo il quale percorreva l’ippodromo al galoppo, incrociando un altro animale che percorreva l’adiacente pista riservata al
trotto, aveva avuto una brusca ed imprevista
reazione, che lo aveva portato a cozzare violentemente contro lo steccato che separava le due
piste, perdendo la vita; la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva
escluso la responsabilità dei gestore dell’impianto per la morte dell’animale) (Cass. 30 gennaio
2009, n. 2482). n L’attività edilizia può essere
considerata ‘‘pericolosa’’, ai sensi dell’art. 2050
c.c., solo quando comporti l’esecuzione di rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento
o di spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree; pertanto, non
può invocarsi la presunzione di cui alla predetta
disposizione nell’ipotesi del tranciamento di una
linea telefonica occorso durante lavori di scavo
estesi su una modesta superficie (nella specie, un
metro quadrato), in zona agricola, lontano da
altre costruzioni (Cass. 9 aprile 2009, n. 8688). n
La navigazione aerea non è considerata dal legislatore come un’attività pericolosa, né può ritenersi che essa possa oggettivamente definirsi tale
per la sua natura, per le caratteristiche dei mezzi
adoperati o per la sua potenzialità offensiva, tenuto conto che con essa si esercita un trasporto
Art. 2050
ampiamente diffuso, considerato, rispetto agli
altri, a basso indice di rischio, in astratto e in generale; tuttavia la pericolosità dell’attività in esame può sussistere in concreto tutte le volte in cui
essa non rientri nella normalità delle condizioni
previste, in osservanza dei piani di volo, di condizioni di sicurezza, di ordinarie condizioni atmosferiche, con conseguente applicabilità in tal
caso della disposizione di cui all’art. 2050 c.c. (in
applicazione di tale principio, la Suprema Corte
ha cassato la sentenza di merito con cui, senza
accertare se il trasporto aereo in questione fosse
stato svolto in condizioni ordinarie o anomale
era stata esclusa l’applicabilità dell’art. 2050 c.c.
al vettore in un caso in cui un elicottero, cui era
sospesa una rete contenente merci, nel decollare
aveva agganciato e sollevato in aria una persona
intervenuta ad aiutare il personale di bordo nell’operazione di carico) (Cass. 10 novembre 2010,
n. 22822). n Con riguardo allo svolgimento del
servizio ferroviario da parte della P.A., l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., sulla presunzione di responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa,
va riconosciuta quando il danno che ne derivi si
ricolleghi ad uno specifico aspetto o momento
del servizio stesso, il quale presenti connotati di
pericolosità eccedenti il livello normale del rischio, cosı̀ da richiedere particolari cautele preventive; ciò non esclude che, pur non sussistendo
un’ipotesi di pericolosità presunta ex art. 2050
c.c., la responsabilità della P.A. per lo svolgimento dell’indicato servizio può essere affermata, qualora si sia determinata una situazione
anomala rispetto a quella ordinariamente richiesta per la sicurezza generale (nella specie, il venir
meno, ad opera di terzi, dell’integrità delle recinzioni dell’area ferroviaria, con rischio che specialmente i minorenni potessero introdurvisi per
svolgere pericolosissimi giochi), situazione nota
all’amministrazione, la quale avrebbe dovuto attivarsi per prevenire detto rischio (Cass. 1o aprile
1995, n. 3829). n In tema di trattamento dei dati
personali, l’onere della prova per la mancata custodia degli stessi incombe al danneggiante, come disposto dall’art. 2050 c.c., richiamato dall’art. 15 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, salvo che
le notizie siano note già prima della loro diffusione da parte di questo, poiché, in tal caso, il
danneggiato non è esentato dall’onere di dimostrare o, quanto meno, di indicare elementi presuntivi idonei a motivare la convinzione che la
divulgazione sia riconducibile a chi possiede tali
dati e non a chi abbia in precedenza pubblicato
le medesime informazioni; né può configurarsi
un diritto al risarcimento quando il custode abbia divulgato i dati a salvaguardia della corret2575
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Art. 2051
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
tezza del proprio comportamento, perché i principi in tema di riservatezza vanno coordinati, oltre che con quelli che attengono all’interesse
pubblico e al diritto della collettività all’informazione, con le esigenze di salvaguardia di interes-
2051
si, pubblici e privati, all’onorabilità delle proprie
frequentazioni nonché alla correttezza ed al rigore dei propri comportamenti (Cass. 26 giugno
2012, n. 10646).
Danno cagionato da cosa in custodia – [1] Ciascuno e` responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
SOMMARIO: 1. Responsabilità civile. Cose in custodia. Nesso causale – 2. Caso fortuito – 3. Responsabilità dell’appaltatore – 4. Responsabilità della P.A. – 5. Responsabilità oggettiva – 6. Locazione di beni immobili – 7. Comunione e condominio di edifici
1. Responsabilità civile. Cose in custodia. Nesso
causale. n La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è
applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade aperte al pubblico transito in riferimento a situazioni di pericolo derivanti da
una non prevedibile alterazione dello stato della
cosa; detta norma non dispensa tuttavia il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale
tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare
che l’evento si è prodotto come conseguenza
normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta
a carico del custode, offrire la prova contraria
alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera
di custodia, avente impulso causale autonomo e
carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (respinta, nella specie, la domanda avanzata da un automobilista avente ad oggetto i
danni subiti dalla sua automobile mentre transitava su un pozzetto dell’illuminazione pubblica
privo di coperchio, posto al centro della carreggiata di una via cittadina, atteso che non era stata fornita la prova del nesso causale tra il passaggio nella buca ed i danni subiti dall’automobile) (Cass. 20 febbraio 2013, n. 4244). n La responsabilità da cose in custodia, di cui all’art.
2051 c.c., ha natura oggettiva, nel senso che presuppone non la colpa del custode, ma la mera
esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il
danno. Essa, dunque, viene a configurarsi in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia
per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza
in essa di agenti dannosi, con ciò evidenziandosi,
però, che la natura della cosa e le modalità che
ne connotano in concreto e normalmente la fruizione sono da tener presenti nell’eziologia dell’evento come scaturente da quella ‘‘determinata’’
cosa. Al fine di verificare il nesso causale si deve
avere riguardo alla prevedibilità della situazione
2576
di pericolo e la superabilità attraverso l’adozione
delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato. Il comportamento imprudente del soggetto leso può interrompere il nesso eziologico
tra cosa e danno fino a escludere la responsabilità del custode. (nella specie, relativa alla caduta
da una scalinata, la Corte ha escluso la responsabilità del custode) (Cass. 14 febbraio 2013, n.
3662). n In tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., il danneggiato è tenuto a fornire
la prova del nesso causale tra la cosa in custodia
e il danno che egli ha subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia), e solo dopo che
egli abbia offerto una tale prova il convenuto
deve dimostrare il caso fortuito. La prova del
nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di
un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla
sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca
l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sé statica e inerte
(esclusa, nella specie, la responsabilità dell’Ente
per i danni sofferti da un passante, che era inciampato in un cordolo lasciato dagli operai che
stavano eseguendo lavori stradali, andando a
sbattere contro un mucchio di pietre; per la Corte, in questa vicenda mancava la dimostrazione
che la situazione della strada fosse tale da configurare oggettivamente un pericolo, anche a fronte del normale livello di attenzione esigibile dai
passanti, per la semplice ragione che il cittadino,
abitando sul posto, ben poteva conoscere la situazione dei luoghi da lei quotidianamente frequentati, compreso il cordolo che ne aveva provocato la caduta) (Cass. 5 febbraio 2013, n.
2660). n In tema di responsabilità per cose in custodia, deve essere censurata la motivazione della Corte di appello che, nell’escludere la responsabilità del gestore per un sinistro causato dalla
presenza di un pneumatico sulla sede stradale, si
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
sia fondata sulla sola generica deposizione di un
teste, dipendente dell’ente gestore stesso, peraltro non recatosi personalmente in luogo, che attesti la messa in sicurezza della strada senza specificare quali misure concrete siano state adottate allo scopo, atteso che tale deposizione è insufficiente a giustificare la convinzione che l’ente
gestore, a cui ne incombeva l’onere, abbia effettivamente offerto la prova liberatoria di cui all’art. 2051 c.c., cioè la prova certa e inequivocabile di avere compiuto, dopo la segnalazione della presenza del pneumatico e prima del verificarsi dell’incidente, tutte le attività necessarie a rimettere la strada in condizioni di sicurezza, a
fronte del fatto che l’incidente si è verificato, che
un pneumatico è stato effettivamente trovato in
luogo e che la sua presenza è stata effettivamente segnalata con notevole anticipo, e che il verbale della polizia stradale conteneva anche riscontri oggettivi del fatto (Cass. 15 gennaio
2013, n. 783). n In caso di danni verificatisi all’interno di una struttura ospedaliera, tanto nel
caso in cui risulti in concreto configurabile una
responsabilità da cose in custodia ex art. 2051
c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2043
c.c., il comportamento colposo del danneggiato
esclude la responsabilità dell’azienda sanitaria
qualora si tratti di un comportamento idoneo ad
interrompere il nesso eziologico tra la causa del
danno e il danno stesso (nella specie, la Corte ha
escluso la responsabilità di una USSL per i danni subiti da un medico da essa dipendente caduto mentre in orario notturno si trovava ad attraversare un corridoio di una corsia scarsamente
illuminato e dove erano ubicati dei letti per degenti; a causa di una coperta che sporgeva da un
letto, parzialmente riversa per terra, il medico
era scivolato a terra riportando gravissime lesioni. La Corte ha ritenuto che il comportamento
anomalo del medico, il quale, pur essendo a conoscenza della collocazione dei letti nel corridoio
dell’ospedale e della conseguente insicurezza dei
luoghi attraversati, aveva trascurato di prestare
la dovuta attenzione, dovesse qualificarsi come
causa esclusiva dell’evento) (Cass. 13 dicembre
2012, n. 22898). n Il gestore di uno stabilimento
risponde della affidabilità e funzionalità delle attrezzature poste a disposizione dei frequentatori.
Da ciò consegue che, nel caso di infortunio dovuto a rottura o malfunzionamento dell’attrezzatura di proprietà dell’impresa esercente l’attività
di svago, questa debba rispondere dei danni
eventualmente subiti dal cliente, a meno che il titolare dello stabilimento non provi che l’evento
dannoso è stato provocato da un fattore impre-
Art. 2051
vedibile e fortuito. Infatti, la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da
cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai fini
della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa, e,
perciò, anche per le cose inerti, e senza che rilevi
al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. La responsabilità del custode, in base alla suddetta norma,
è esclusa in tutti i casi in cui l’evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo
causale dell’evento e, perciò, quando si sia in
presenza di un fattore esterno che, interferendo
nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto
l’evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito
autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui
la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del
tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per
ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente
dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Trib. Bari 5 novembre 2012, n. 3441,
in giurisprudenzabarese.it). n In merito alla responsabilità per i danni provocati ad un’immobile dal proprietario dell’immobile sovrastante,
affinché possa configurarsi la responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. è sufficiente che
sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e
il danno arrecato senza che rilevi la condotta del
custode e l’osservanza o meno di un obbligo di
vigilanza, mentre tale nesso di causalità deve essere escluso solo quando il danno sia ascrivibile
al caso fortuito (Trib. Roma, 16 ottobre 2012, n.
19420). n L’azione di responsabilità ex art. 2051
c.c. è esperibile solo nei confronti del custode del
bene e tale non è il titolare della servitù di passaggio, atteso che l’esistenza di quest’ultima non
sottrae al proprietario del fondo servente, né attribuisce al proprietario del fondo dominante, la
disponibilità e custodia della parte di fondo
(strada e accessori) sulla quale la servitù è esercitata (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17492). n È da
escludere la violazione dell’art. 2051 per l’infortunio occorso ad un giocatore di calcetto che urta contro un palo di una porta posta ai lati del
campo di gioco atteso che, essendo ben visibile
tale porta e non avendone chiesto la rimozione,
viene meno il nesso causale, posto che il fattore
determinante della causalità, che rompe il nesso,
è riferito alla scelta dei giocatori di utilizzare il
campo senza rimuovere le porte, dove era possibile, che nel corso del gioco, i giocatori finissero
con l’urtare. La responsabilità del custode, di
cui all’art. 2051 c.c. è esclusa in presenza di una
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Art. 2051
scelta consapevole del danneggiato (c.d. rischio
elettivo), il quale, pur potendo avvedersi con
l’ordinaria diligenza della pericolosità della cosa,
accetti di utilizzarla ugualmente (nella specie, la
S.C. ha confermato la sentenza di merito, la
quale aveva escluso la responsabilità del custode
di un campo di calcetto, per l’infortunio occorso
ad un giocatore in seguito all’impatto contro alcuni tubi metallici accantonati ai margini del
campo e ben visibili) (Cass. 31 luglio 2012, n.
13681). n In tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di
cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti
i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita
al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare
della strada, sia pure insieme all’appaltatore,
consegue che la responsabilità ai sensi dell’art.
2051 c.c. sussiste sia a carico dell’appaltatore
che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso
di quest’ultimo nei confronti del primo a norma
dei comuni principi sulla responsabilità solidale
(Cass. 23 luglio 2012, n. 12811). n In caso di sinistro dovuto all’urto di un veicolo contro un cassonetto dei rifiuti posizionato in modo pericoloso lungo la sede stradale, l’ente custode non va
esente da responsabilità se si limita a eccepire
l’impossibilità di intervenire tempestivamente
per la rimozione dell’ostacolo in ragione del numero e della dislocazione dei cassonetti. La responsabilità può essere esclusa quando l’ente custode dimostri di non aver potuto esercitare un
continuo ed efficace controllo sul bene, idoneo
ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per
gli utenti, come nel caso in cui dimostri che l’alterazione dello stato dei luoghi – idonea ad integrare il fortuito – era imprevista ed imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile agli utenti (Cass. 14 giugno 2012, n. 9722). n
In mancanza di prova di omessa manutenzione
della recinzione stradale, il probabile abbandono
di cani da parte di un terzo, desunto nella specie
dalla presenza nelle adiacenze del luogo del sinistro di un’area di servizio e dalla mancanza di
una via di fuga per gli animali, costituisce fatto
imprevedibile ed inevitabile nel suo accadimento
repentino, idoneo ad integrare il caso fortuito,
non potendosi pretendere un continuo controllo
della sede autostradale onde impedirlo (confer2578
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
mata la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità dell’ente gestore
dell’autostrada per il sinistro occorso ad un
automobilista che, per evitare due cani che gli si
erano improvvisamente parati davanti, aveva
bruscamente sterzato andando ad impattare contro il guard-rail) (Cass. 9 maggio 2012, n. 7037).
n In tema di danni da cattiva manutenzione del
manto stradale, la possibilità per il danneggiato
di percepire agevolmente l’esistenza della situazione di pericolo incide sulla concreta configurabilità di un nesso eziologico tra la cosa e il danno, ponendo correlativamente in risalto il rilievo
causale attribuibile al comportamento colposo
del danneggiato che avrebbe verosimilmente dovuto prestare maggiore attenzione alle condizioni della strada che stava percorrendo (nella specie, relativa ad un sinistro causato dalla presenza
sul manto stradale di una buca, peraltro segnalata, la Corte ha rilevato che non emergesse alcun
elemento dal quale si poteva evincere che l’utente non fosse stato in grado di percepire l’esistenza della buca, qualora avesse mantenuto un’andatura coerente con le caratteristiche del veicolo
da lui stesso condotto ed avesse prestato una
adeguata attenzione alle condizioni del terreno.
Pertanto, si poteva ragionevolmente ritenere che
l’evento de quo non si sarebbe verificato se, in
ottemperanza della apposita segnaletica e nel rispetto del limite di velocità, l’utente non fosse
transitato nella fascia della strada ove era presente la buca) (Cass. 18 aprile 2012, n. 6065). n
L’uso anomalo o improprio della cosa esclude
qualsiasi responsabilità del custode, a tal punto
che ove sia evidente tale uso improprio non sussiste più nemmeno il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso a tale uso (esclusa,
nella specie, la responsabilità del condominio
per la morte di alcuni condomini a causa dell’occlusione della condotta fumaria e la conseguente
dispersione di monossido di carbonio. Vi era stato un uso anomalo da parte del proprietario dell’appartamento locato ai condomini deceduti,
avendo lo stesso collegato lo scarico dei gas dello scaldabagno alla condotta di raccolta ed allontanamento dei vapori e dei gas, provenienti
dagli apparecchi di cottura dei cibi) (Cass. 29
marzo 2012, n. 5072). n La responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2051 c.c. è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati
dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni (nella specie
una strada pubblica); tale responsabilità resta
esclusa solo dalla prova, gravante sulla P.A., che
il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, cosı̀ integrando il caso fortuito previsto dalla predetta
norma quale scriminante della responsabilità del
custode (Cass. 2 marzo 2012, n. 3253). n In relazione ai danni verificatisi nell’uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto
configurabile una responsabilità oggettiva della
P.A. ai sensi dell’art. 2051 c.c., quanto in quello
in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’esistenza di un
comportamento colposo dell’utente danneggiato
esclude la responsabilità della P.A., qualora si
tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed
il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227
c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento stesso (nella specie, la Corte ha escluso ogni responsabilità dell’ente, in quanto l’insidioso avvallamento che secondo il danneggiato era privo di
idonea segnalazione e costituiva un pericolo per
gli utenti della strada non era altro che un’ordinaria griglia per lo scarico delle acque piovane;
non era quindi ipotizzabile la lesione dell’aspettativa alla regolarità del manto stradale. All’uomo sarebbe bastata l’ordinaria diligenza nel percorrere la strada per evitare la caduta) (Cass. 30
gennaio 2012, n. 1310). n Ai fini della configurabilità della responsabilità contemplata nell’art.
2051 c.c., non rileva il comportamento del responsabile e l’osservanza o meno di un obbligo
di vigilanza, ma è sufficiente che sussista il nesso
causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Infatti, poiché funzione della norma che disciplina la responsabilità del custode è quella di
imputare la responsabilità a chi si trova in condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa,
essa non presuppone né implica uno specifico
obbligo di custodire analogo a quello previsto
per il depositario. La responsabilità per danni
da cose in custodia, si fonda, quindi, sul mero
rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente tra la cosa dannosa e colui il quale ha
l’effettivo potere su di essa (proprietario, possessore o detentore che sia). Pertanto, affinché sorga la responsabilità del custode, occorre che il
danno si sia prodotto nell’ambito del dinamismo
connaturale del bene, o per l’insorgenza in esso
di un processo dannoso, ancorché provocato da
elementi esterni, e che la cosa, pur combinandosi
con l’elemento esterno, costituisca la causa o la
concausa del danno (nella fattispecie, risulta accertato dalle prove raccolte che sul sedime stra-
Art. 2051
dale dove si verificò lo sbandamento dell’autovettura dell’attore era presente una sostanza
oleosa che rendeva il suolo molto scivoloso. Sussisteva pertanto un’anomalia del fondo stradale,
di per sé idonea a far sorgere la responsabilità
dell’ente proprietario e custode della strada a
mente della richiamata disposizione. La responsabilità dell’amministrazione per l’occorso, ravvisato nel nesso causale tra la presenza di sostanza viscida sulla strada e l’incidente, non
esclude peraltro nella specie una corresponsabilità del danneggiato per non aver questi tenuto
adeguata condotta di guida e, specificamente,
per non aver calibrato la propria velocità) (Trib.
Trento 13 gennaio 2012, n. 52, in Guida al dir.,
2012, 13, 67). n In tema di responsabilità dell’ente pubblico proprietario delle strade per danni
subiti dagli utenti, la circostanza che l’ente si sia
difeso in primo grado anche in ordine alla propria responsabilità per danni da cose in custodia
e che il giudice del medesimo grado abbia esplicitamente deciso sulla questione affermandone
l’infondatezza (nella specie, per inapplicabilità di
siffatta responsabilità alla P.A.), comporta che
la domanda formulata in appello dal danneggiato, a norma dell’art. 2051 c.c., non può essere
considerata nuova dal giudice del gravame e, come tale, dichiarata inammissibile (Cass. 14 novembre 2011, n. 23741). n L’ente proprietario di
una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei
sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo
connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non
tempestivamente evitabile o segnalabile (nella
specie la S.C. ha confermato la decisione con cui
il giudice di merito aveva statuito la responsabilità dell’ente per i danni derivati dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione, dalla sede stradale, del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali, la presenza dei quali,
dopo tali precipitazioni, rappresentava fattore di
rischio conosciuto o conoscibile) (Cass. 18 ottobre 2011, n. 21508). n Ai fini della responsabilità
prevista dall’art. 2051 c.c., è necessaria una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso;
qualora, pertanto, la cattiva coibentazione delle
parti comuni si riverbera sulle unità immobiliari
di proprietà esclusiva, il condominio non è responsabile allorquando tale difetto non sia dovuto alle caratteristiche intrinseche dell’edificio,
ma ad altri fattori che causano effettivamente il
danno. L’umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edifi2579
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Art. 2051
cio, può integrare, ove sia compromessa l’abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell’edificio ai fini della responsabilità del costruttore, ex art. 1669 c.c. Tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei
confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 c.c., il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche
lesive insite nella cosa (Cass. 12 luglio 2011, n.
15291). n La responsabilità per i danni cagionati
da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c.,
ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la
sua configurazione, la dimostrazione da parte
dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e
del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta
del custode, posto che funzione della norma è
quella di imputare la responsabilità a chi si trova
nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e
non necessariamente il proprietario o chi si trova
con essa in relazione diretta, salva la prova, che
incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Per le autostrade, destinate alla percorrenza
veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo all’effettiva possibilità del controllo
induce a ravvisare la configurabilità, in genere,
di un rapporto di custodia per gli effetti di cui
all’art. 2051 c.c.; ove non sia applicabile la responsabilità di cui alla norma citata, per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del
bene, l’ente proprietario risponde dei danni subiti dall’utente ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo
in questo caso a carico del danneggiato l’onere
di provare l’anomalia del bene, mentre spetta al
gestore provare i fatti impeditivi della propria
responsabilità, quali la possibilità, in cui l’utente
si sia trovato, di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la predetta anomalia (nella specie, applicando il riportato principio, in relazione ad un sinistro occorso a seguito della manovra necessitata dall’attraversamento di un animale in autostrada, la S.C. ha affermato che, dimostrata la presenza di un animale idoneo all’intralcio alla circolazione, non spetta all’attore in
responsabilità, tanto nella tutela offerta dall’art.
2051 c.c. che in quella di cui all’art. 2043 c.c.,
provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, nel caso la società di gestione dell’autostrada, quale indice di
ricorrenza di un caso fortuito) (Cass. 19 maggio
2011, n. 11016). n A carico dei proprietari o
2580
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
concessionari delle autostrade, per loro natura
destinate alla percorrenza veloce in condizioni di
sicurezza, è configurabile la responsabilità per
cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 c.c.,
essendo possibile ravvisare un’effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione
e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto
di custodia. Ne consegue, ai fini della prova liberatoria, che il custode è tenuto a fornire per sottrarsi alla responsabilità civile, la necessità di distinguere tra le situazioni di pericolo connesse
alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada da
quelle provocate dagli utenti o da una repentina
ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa in quanto, solo nella ricorrenza di queste ultime, potrà configurarsi il caso fortuito tutte le
volte che l’evento dannoso si sia verificato prima
che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo e la
diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell’intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi
(Cass. 24 febbraio 2011, n. 4495). n In tema di
danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del
custode, che sia accertata la sussistenza di un
nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito
dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed
ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo
non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a
determinare l’evento (Cass. 6 ottobre 2010, n.
20757). n La responsabilità da cose in custodia
ex art. 2051 c.c. sussiste qualora ricorrano due
presupposti: un’alterazione della cosa che, per le
sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della c.d. insidia o
trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di
tale ‘‘alterazione’’ per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce
un danno (nella specie, la S.C. ha confermato la
decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da
un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto
lo stesso si era verificato in un condominio e
aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni
e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche
dell’immobile) (Cass. 13 maggio 2010, n. 11592).
n La responsabilità per i danni cagionati da cose
in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. prescinde
dall’accertamento del carattere colposo dell’atti-
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
vità o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed
evento; tale responsabilità prescinde, altresı̀, dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa
e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, essendo esclusa solo dal caso fortuito,
che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del
danneggiato, avente un’efficacia causale tale da
interrompere del tutto il nesso eziologico tra la
cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come
ulteriore contributo utile nella produzione del
danno (nella specie, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito la quale – avendo accertato
che il conducente aveva perso il controllo della
propria vettura a causa di un malore e che, dopo
aver urtato contro il muro di contenimento, si
era poi arrestato contro il guard rail, perdendo
la vita nell’impatto – aveva escluso ogni responsabilità dell’ANAS, sul rilievo che il guard rail
era posizionato correttamente, che la presenza di
barriere di contenimento era finalizzata proprio
ad evitare incidenti e che l’urto, perciò, non era
addebitabile all’ente proprietario della strada)
(Cass. 7 aprile 2010, n. 8229). n Qualora un strada adibita all’uso pubblico presenti alterazioni o
anomalie tali da creare una situazione di pericolo per gli utenti, il custode tenuto alla manutenzione incorre in responsabilità oggettiva per i
danni provocati dalle suddette anomalie, ai sensi
dell’art. 2051 c.c. In questi casi il nesso causale
fra la situazione di pericolo e il danno può essere
desunto dalla mera contestualità temporale e
spaziale, e dalla logica e normale consequenzialità, fra la situazione della strada e il tipo di evento che si è verificato. Il danneggiato non è tenuto a dimostrare la colpa del custode, e questi è
tenuto a fornire la prova del caso fortuito, per
esimersi da responsabilità (Cass. 29 dicembre
2009, n. 27635). n Chi proponga domanda di risarcimento dei danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c., in relazione alle condizioni
di una strada (nella specie, danni conseguenti alla caduta da una motocicletta), ha l’onere di dimostrare le anomale condizioni della sede stradale e la loro oggettiva idoneità a provocare incidenti del genere di quello che si è verificato
(nella specie, presenza di pietrisco sul fondo stradale). È onere del custode convenuto in risarcimento, invece, dimostrare in ipotesi l’inidoneità
in concreto della situazione a provocare l’incidente, o la colpa del danneggiato, od altri fatti
idonei ad interrompere il nesso causale fra le
condizioni del bene ed il danno (Cass. 18 dicembre 2009, n. 26751). n Può essere qualificato ‘‘cu-
Art. 2051
stode’’ della cosa, per i fini di cui all’art. 2051
c.c., colui che ha la disponibilità di fatto di una
cosa, non disgiunta però dalla disponibilità giuridica di essa. È da considerarsi, perciò, ‘‘custode’’, ai sensi della norma indicata, sia il proprietario che il conduttore del bene, in quanto detentore qualificato, ma non il loro dipendente
(nella specie, nel corso delle operazioni di taglio
d’un albero d’alto fusto all’interno del parco di
una villa, la caduta di un ramo aveva provocato
la morte di uno dei lavoranti. La S.C., in base
all’enunciato principio, ha ritenuto – cassando
con rinvio la sentenza impugnata – che erroneamente il giudice di merito aveva escluso la responsabilità del conduttore dell’immobile e del
relativo parco, mentre correttamente aveva negato la configurabilità di una responsabilità ex
art. 2051 c.c. in capo al dipendente del conduttore stesso) (Cass. 20 novembre 2009, n. 24530). n
In tema di danno cagionato da cose in custodia
è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza
di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno
patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la
duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che
quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali
ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale,
dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento. Alla stregua di tale
principio generale consegue che l’obbligo del custode di segnalare il pericolo connesso all’uso
della cosa si arresta di fronte ad un’ipotesi di
utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile
da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l’imprudenza del danneggiato che
abbia riportato un danno a seguito di siffatto
uso improprio integra il caso fortuito per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 8 ottobre
2008, n. 24804). n La responsabilità per i danni
cagionati da una cosa in custodia stabilita dall’art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione
di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa, e poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito,
che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del
danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell’onere della prova all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto per liberarsi dovrà provare l’esistenza di un fattore,
estraneo alla sfera soggettiva, idoneo ad inter2581
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Art. 2051
rompere quel nesso causale e, cioè, un fattore
esterno (che può essere anche il fatto di un terzo
o del danneggiato) che presenti i caratteri del
fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’assoluta eccezionalità (Cass. 20 maggio 1998, n.
5031).
2. Caso fortuito. n È configurabile il caso fortuito, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, in
presenza di quelle alterazioni repentine e non
specificamente prevedibili dello stato della cosa
che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o
segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (nella specie, la Corte ha
ritenuto sussistente il caso fortuito relativamente
ad un sinistro occorso ad un automobilista che,
per evitare un ramo caduto improvvisamente a
causa del vento eccezionalmente forte, aveva urtato violentemente contro un albero; era emerso,
infatti, che gli alberi posti ai margini della strada
in questione erano stati potati pochi mesi prima
del fatto, il che escludeva la possibilità di imputare all’ente gestore della strada una qualsivoglia
negligenza nella manutenzione) (Cass. 10 dicembre 2012, n. 22385). n Il nesso causale nella responsabilità da cose in custodia deve essere negato non solo in presenza di un fattore esterno
che abbia prodotto di per sé l’evento assumendo
il carattere del c.d. fortuito autonomo, ma anche
nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e per ciò stesso
imprevedibile (c.d. fortuito incidentale), ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un
terzo estraneo o della stessa vittima (esclusa, nella specie, la responsabilità dei proprietari di un
immobile allo stato grezzo per i danni occorsi ad
un ragazzo che, dopo essere salito sul lastrico
solare dell’edificio per giocare con un aquilone,
era precipitato al suolo, riportando gravi lesioni,
atteso che la Corte ha sottolineato il comportamento gravemente imprudente del giovane, tale
da interrompere il nesso di causalità tra la cosa
e l’evento lesivo) (Cass. 4 dicembre 2012, n.
21727). n Una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia del
manto stradale di una struttura viaria, strada o
piazza che sia, è comunque configurabile la responsabilità dell’ente pubblico che ne è custode,
salvo che quest’ultimo non dimostri di non avere
potuto far nulla per evitare il danno; il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può
essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a inter2582
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
rompere il nesso eziologico tra cosa ed evento
dannoso. Il giudizio sull’incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione del danno non può prescindere dalla considerazione della natura della cosa e deve tener conto delle modalità che in concreto ne hanno caratterizzano la
fruizione (Cass. 6 novembre 2012, n. 19154). n
L’ente proprietario di strada aperta al pubblico
transito si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse
alla struttura o alle pertinenze della strada medesima, salvo il fortuito. La responsabilità di custodia decade solo in presenza di cause estemporanee ed estrinseche al bene demaniale. Qualora
il danno sia stato determinato non da cause intrinseche al bene demaniale (quale il vizio costruttivo o manutentivo), bensı̀ da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, quali ad
esempio l’abbandono improvviso sulla strada di
oggetti pericolosi, è configurabile il caso fortuito
ai fini dell’esonero dalla responsabilità. In simili
casi, si è in presenza di quelle alterazioni repentine e non specificamente prevedibili dello stato
della cosa che, nonostante l’attività di controllo
e la diligenza impiegata allo scopo di garantire
un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. 28 settembre 2012, n. 16057). n In tema di danni da cosa
in custodia, non assume alcuna rilevanza il comportamento del custode essendo, il fondamento
della responsabilità, il rischio gravante sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito. Nel caso di specie
non risulta dedotto né provato, da parte del
convenuto, alcun caso fortuito idoneo a interrompere la serie causale che ha determinato il
verificarsi dell’evento lesivo, essendo provato per
testimoni e accertato con consulenza tecnica il
nesso di causalità tra il pavimento in custodia
del convenuto e le lesioni subite da parte attrice.
Ne deriva l’affermazione del diritto del danneggiato a veder risarcito il danno patrimoniale e
non, dovendosi ricomprendere quest’ultimo quale categoria generale e unitaria, non suddivisibile
in sottocategorie, comprensiva del danno all’integrità psicofisica e di tutti i pregiudizi non direttamente incidenti su fonti di reddito del soggetto leso o comunque non connotati da rilevanza economica ma comunque idonei ad alterare
capacità, abitudini e aspetti relazionali dello
stesso costringendolo a scelte di vita diverse
(Trib. Trento, 1o agosto 2012, n. 726, in Guida al
dir., 2012, 44, 76). n L’ente proprietario di una
strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
riconducibili alle situazioni di pericolo strettamente connesse alla struttura o alle pertinenze
della strada stessa, indipendentemente dalla sua
estensione. Tale responsabilità è esclusa solo dal
caso fortuito, che non può consistere sia in una
alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile a
segnalabile nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, ricollegabile all’omissione delle normali cautele
esigibili in situazioni analoghe (riconosciuto, nella specie, il risarcimento del danno patito da un
cittadino che era caduto nella piazza coperta da
sottile lastra di ghiaccio, atteso che il Comune,
che aveva la piena custodia dell’area pubblica sita nel centro della città, non aveva dimostrato
l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità,
poteva ritenersi idoneo ad interrompere il suddetto nesso eziologico fra la cosa in custodia e
l’evento lesivo) (Cass. 18 aprile 2012, n. 6062). n
Va esclusa la responsabilità del custode nel caso
in cui – come nella fattispecie – il fatto esterno,
a lui non imputabile e che può consistere anche
nel comportamento del danneggiato, sia stato da
solo sufficiente a causare il danno, essendosi in
questa ipotesi in presenza del caso fortuito, che,
ai sensi dell’art. 2051 c.c., esclude la responsabilità del custode (nella specie, la Corte ha escluso
la responsabilità del custode per il danno occorso ad un uomo, che aveva urtato contro il battente in bronzo del portone della Pretura) (Cass.
17 gennaio 2012, n. 537). n La responsabilità ex
art. 2051 c.c. sussiste in relazione a tutti i danni
cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, il quale
può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno
(fattispecie di infiltrazioni provenienti da parti
comuni dell’edificio da cui scaturiva umidità in
un locale di proprietà esclusiva. La Corte ha respinto la richiesta risarcitoria sul rilievo che la
c.t.u. aveva accertato che il fatto del danneggiato, costituito dal mutamento di destinazione d’uso – impedendo la normale aerazione del locale
seminterrato le cui caratteristiche costruttive erano compatibili con tale aerazione – aveva avuto
efficacia causale tale da interrompere il nesso tra
la cosa e l’evento dannoso, integrando il caso
fortuito richiesto dalla legge perché il custode
sia esente da responsabilità) (Cass. 29 novembre
Art. 2051
2011, n. 25239). n Per quanto attiene le strade
aperte al pubblico transito, la disciplina di cui
all’art. 2051 c.c. è applicabile in riferimento alle
situazioni di pericolo connesse alla struttura o
alle pertinenze della strada, essendo configurabile il caso fortuito in relazione a quelle situazioni
provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo
scopo di garantire un intervento tempestivo, non
possa essere rimossa o segnalata, per difetto del
tempo strettamente necessario a provvedere. Ai
fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della
repentina alterazione della cosa, occorre aver riguardo, per quanto concerne pericoli derivanti
da situazioni strutturali e dalle caratteristiche
della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno e che, ove si tratti di una
strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione
ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli
eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato (nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità dell’Anas per i danni occorsi
ad un utente di una strada che era stato investito
da una frana proveniente dal fondo di un soggetto terzo, atteso che l’evento non poteva ritenersi imprevedibile in quanto negli anni precedenti si erano verificate frane, proprio provenienti dai terreni a monte e che da una relazione
tecnica risultava che la stessa ANAS, negli anni
precedenti, aveva predisposto opere per far fronte allo stesso problema) (Cass. 18 luglio 2011, n.
15720). n La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l’utente danneggiato abbia tenuto un
comportamento colposo tale da interrompere il
nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai
sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, un concorso
di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso
sia stato dedotto e provato (Cass. 15 ottobre
2010, n. 21328). n Il custode della cosa, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità posta a
suo carico, ha l’onere di provare l’esistenza del
caso fortuito che consiste in un fattore estraneo
alla sua sfera soggettiva, dal carattere imprevedibile ed eccezionale, che può concretizzarsi anche
nel comportamento colposo del danneggiato,
idoneo ad interrompere il nesso causale tra la
cosa custodita e l’evento dannoso che si è verificato. Una volta accertata la sussistenza del caso
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Art. 2051
fortuito, e cioè una volta escluso il nesso causale
tra la cosa e l’evento dannoso, resta esclusa anche la responsabilità ex art. 2043 c.c. (Cass. 28
ottobre 2009, n. 22807).
3. Responsabilità dell’appaltatore. n L’appaltatore, poiché nell’esecuzione dei lavori appaltati
opera in autonomia, con propria organizzazione
e apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a
terzi nell’esecuzione dell’opera, salva l’esclusiva
responsabilità del committente, se questi si sia
ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che
abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus
minister, ovvero con la sua corresponsabilità,
qualora si sia ingerito con direttive che soltanto
riducano l’autonomia dell’appaltatore. Ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità
di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della
normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici
che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (Cass. 28 giugno 2012, n. 10859). n Nel caso
di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata (nella specie, lavori idraulici all’interno dell’immobile), non viene meno per il committente
e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità
ex art. 2051 c.c., che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del
rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa
che ha determinato l’evento lesivo (Cass. 18 luglio 2011, n. 15734). n In caso di perdurante
apertura al pubblico traffico di un’area interessata da lavori in corso, permane l’obbligo di custodia dell’ente pubblico proprietario del tratto
stradale, con la conseguenza che è tale ente ad
essere tenuto, in via esclusiva, ad apporre adeguata segnaletica stradale, trattandosi di adempimento non riconducibile agli obblighi dell’impresa appaltatrice, in assenza di prova che il comune abbia, nell’ambito del contratto di appalto, trasferito all’impresa l’obbligo di una corretta ed efficace installazione della segnaletica in
questione (nella specie, in un sinistro stradale
mortale, nel quale una delle auto aveva imboccato un tratto di strada con divieto d’accesso
non idoneamente segnalato, intercettando cosı̀
l’altro mezzo coinvolto nello scontro, la S.C. ha
riconosciuto la responsabilità ex art. 2051 c.c.
2584
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
del Comune per non aver provveduto alla segnalazione adeguata della non percorribilità del
tratto in questione (Cass. 20 settembre 2011, n.
19129). n In materia di appalto, l’appaltatore
esplica l’attività che conduce al compimento dell’opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione e a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato, per
cui è responsabile diretto e unico dei danni derivati a terzi nella (o dalla) esecuzione dell’opera,
salva la corresponsabilità del committente, sia
quando si ravvisino a carico di quest’ultimo specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all’art. 2043 c.c. sia quando
l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di
culpa in eligendo per essere stata l’opera affidata
a impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche e organizzative per eseguirla correttamente sia, ancora, quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito
come nudus minister di questo, sia, infine, quando il committente si sia, di fatto, ingerito con
singole e specifiche direttive nelle modalità di
esecuzione del contratto o abbia concordato con
l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive
dell’appalto (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363).
4. Responsabilità della P.A. n Agli enti pubblici
proprietari di strade aperte al pubblico transito
in linea generale è applicabile l’art. 2051 c.c., in
riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze
della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli
stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato
della cosa che, nonostante l’attività di controllo
e la diligenza impiegata allo scopo di garantire
un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. 14 febbraio
2013, n. 3640). n La disponibilità che l’ente proprietario ha di una strada, in vario modo regolamentandone le condizioni di fruizione e incidendo sulle stesse, integra lo status di custode, il
che, determinando, in via di principio, la soggezione dell’ente al regime di responsabilità di cui
all’art. 2051 c.c., comporta che, chi ne invoca
l’applicazione, ha l’onere soltanto di dimostrare
l’evento dannoso nonché il nesso di causalità tra
la cosa e la sua verificazione (nella specie, relativa ad un infortunio occorso ad una donna, rovi-
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
nata a terra a causa di una buca, la Corte ha
cassato la decisione dei giudici del merito, che
avevano escluso la responsabilità del Comune ex
art. 2051 c.c. con l’erronea motivazione che la
rete stradale, per estensione e modalità d’uso,
era oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte dei cittadini, con conseguente impossibilità, per l’ente proprietario, di esercitare un
effettivo potere di vigilanza e custodia sul bene)
(Cass. 29 gennaio 2013, n. 2094). n In riferimento al demanio stradale, la possibilità concreta di
esercitare la custodia va valutata alla luce di una
serie di criteri, quali l’estensione della strada, la
posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza
che la connotano, sı̀ che soltanto l’oggettiva impossibilità della custodia, intesa come potere di
fatto sulla cosa, esclude l’applicabilità dell’art.
2051 c.c., che peraltro non sussiste quando l’evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento era in concreto oggetto
di custodia – come nel caso del demanio stradale
comunale all’interno della perimetrazione del
centro abitato – o quando sia stata proprio l’attività compiuta dalla P.A. a rendere pericolosa
la strada medesima, con conseguente obbligo
della stessa di osservare le specifiche disposizioni
normative disciplinanti detta attività nonché le
comuni norme di diligenza e prudenza, ed il
principio generale del neminem laedere, essendo
altrimenti responsabile per i danni derivati a terzi (Cass. 8 maggio 2012, n. 6903). n Affinché
operi la responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico
dell’ente pubblico, quale titolare del demanio
stradale, è necessario verificare se sussista in
concreto la possibilità della ‘‘custodia’’, la quale
deve essere indagata non soltanto con riguardo
all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che la connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in
quanto tali caratteristiche acquistano rilievo
condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del
loro effettivo controllo, la circostanza che le
stesse si trovino all’interno della perimetrazione
del centro abitato. Occorre, invero, avvertire
che, se si tratta di strada comunale all’interno
della perimetrazione del centro abitato, la localizzazione della strada è indice della possibilità
di vigilanza e controllo costante da parte del Comune (Cass. 28 settembre 2012, n. 16540). n È
dovere primario dell’ente proprietario della strada (e dell’ANAS, in relazione alle strade e autostrade che le sono affidate e in relazione alle
quali esercita i diritti e i poteri attribuiti all’ente
Art. 2051
proprietario) garantirne la sicurezza mediante
l’adozione delle opere e dei provvedimenti necessari. Ne consegue che sussiste la responsabilità
di detto ente in relazione agli eventi lesivi occorsi
nel tratto stradale da controllare, anche nei casi
in cui l’evento lesivo trovi origine nella cattiva
ed omessa manutenzione dei terreni laterali alla
strada, ancorché appartenenti a privati, atteso
che è comunque obbligo dell’ente verificare che
lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei
veicoli e dei pedoni in totale sicurezza. (Cass. 26
ottobre 2012, n. 18483). n La discrezionalità, e la
conseguente insindacabilità da parte del giudice
ordinario, dei criteri e dei mezzi con cui la P.A.
realizzi e mantenga un’opera pubblica trova un
limite nell’obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonché le
comuni norme di diligenza e prudenza, con la
conseguenza che dall’inosservanza di queste disposizioni e di dette norme deriva la configurabilità della responsabilità della stessa P.A. per i
danni arrecati a terzi (fattispecie in cui la S.C.
ha confermato la decisione dei giudici di merito
che avevano affermato la corresponsabilità dell’ANAS in relazione alle lesioni occorse ad un
motociclista per effetto di caduta di massi su
percorso stradale per non aver detto ente provveduto alla realizzazione di opere protettive di
contenimento ed alla segnalazione del pericolo
mediante apposizione di idonei cartelli) (Cass.
11 novembre 2011, n. 23562). n La P.A., in base
al principio del neminem laedere, è responsabile
dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti, che costituiscono il limite esterno alla sua attività discrezionale. Ne consegue
che il Comune deve rispondere dei danni patiti
da un motociclista aggredito da un cane randagio durante la marcia del mezzo, atteso che l’ente territoriale – ai sensi della legge-quadro 14
agosto 1991 n. 281 e delle leggi regionali in tema
di animali di affezione e prevenzione del randagismo (nella specie l. reg. Campania 2 novembre
1993 n. 36, ratione temporis applicabile) – è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di
competenza (Cass. 23 agosto 2011, n. 17528). n
La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile, in relazione alle strade aperte al pubblico
transito, in riferimento alle situazioni di pericolo
connesse alla struttura o alle pertinenze della
strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi
utenti ovvero da una repentina e non specifica2585
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Art. 2051
mente prevedibile alterazione dello stato della
cosa che, nonostante l’attività di controllo e la
diligenza impiegata allo scopo di garantire un
intervento tempestivo, non possa essere rimossa
o segnalata, per difetto del tempo strettamente
necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla
prevedibilità o meno della repentina alterazione
della cosa occorre aver riguardo, per quanto
concerne in particolare i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della
cosa medesima, al tipo di pericolosità che ha
provocato l’evento di danno che, ove si tratti di
una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed
agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato (fattispecie relativa a frana proveniente da terreni di terzi e verificatasi a monte di
una strada statale, con coinvolgimento di una
vettura transitante, in cui la S.C. ha cassato con
rinvio la sentenza impugnata che aveva rigettato
la domanda della vittima, ritenendo che il giudice di merito non avesse vagliato la circostanza
che lo stato dei luoghi ed i precedenti incidenti
franosi rendevano ben prevedibile quanto accaduto) (Cass. 18 luglio 2011, n. 15720). n L’ente
proprietario di una strada aperta al pubblico
transito si presume responsabile, ai sensi dell’art.
2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare
conformazione della strada o delle sue pertinenze. Tale responsabilità è esclusa solo dal caso
fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa
vittima, consistita nell’omissione delle normali
cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l’impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l’interruzione del nesso
eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il
danno (Cass. 19 novembre 2009, n. 24419).
5. Responsabilità oggettiva. n Poiché la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia,
prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di
causalità con il bene in custodia, una tale responsabilità non è di per sé esclusa dal fatto volontario della vittima, salva la valutazione della
sua condotta ai sensi dell’art. 1227 c.c., consistente nella fruizione del bene custodito, benché
non conforme al suo uso ordinario, quando non
vi sia ragionevole modo di attendersi una peculiare oggettiva pericolosità dell’uso diverso, ma
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LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa
medesima (la Corte si è cosı̀ espressa nella vicenda che ha visto coinvolta una studentessa, caduta dalla terrazza di un albergo che non presentava alcuna protezione, a cui aveva fatto accesso
dopo aver scavalcato un parapetto in muratura)
(Cass. 8 febbraio 2012, n. 1769). n La responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza di un nesso causale
tra la cosa ed il danno. Essa è perciò esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma,
nella valutazione dell’apporto causale da quest’ultima fornito alla produzione dell’evento, il
giudice deve tenere conto della natura della cosa
e delle modalità che in concreto e normalmente
ne caratterizzano la fruizione (Cass. 24 febbraio
2011, n. 4476). n La responsabilità ex art. 2051
c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha
carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri
il verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del
fortuito, incombente sul custode (nella specie,
relativa alla richiesta di risarcimento danni avanzata da un condomino investito dal portone di
ingresso dello stabile, la Corte ha stabilito che
spettava al danneggiato dimostrare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, e cioè la dipendenza eziologica dei pregiudizi da lui riportati per effetto della chiusura del portone d’ingresso; mentre incombeva sulla controparte dare la
prova del fortuito, deducendo e dimostrando il
buon funzionamento del dispositivo di chiusura
e la correlativa addebitabilità dell’evento all’utente che, contro le più elementari regole di prudenza si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente)
(Cass. 28 giugno 2012, n. 10860). n In tema di
danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con
la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e
cioè la disponibilità giuridica e materiale della
stessa che comporti il potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore (Cass. 9 febbraio
2004, n. 2422).
6. Locazione di beni immobili. n Malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al
conduttore dell’uso e del godimento sia della singola unità immobiliare sia dei servizi accessori e
delle parti comuni dell’edificio, una siffatta de-
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TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI
tenzione non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo
potere fisico sull’entità immobiliare locata – ancorché in un ambito in parte diverso da quello
in cui si esplica il potere di custodia del conduttore – con conseguente obbligo di vigilanza sullo
stato di conservazione delle strutture edilizie e
sull’efficienza degli impianti. Grava, pertanto,
sul proprietario, quale custode dei beni e degli
impianti condominiali, la responsabilità per i
danni subiti da terzi (nel novero dei quali vanno
ricompresi anche i conduttori di appartamenti
siti nell’edificio) dai detti beni e impianti (nella
specie, la S.C., enunciando il riportato principio
ed accogliendo il ricorso sul punto, ha cassato la
sentenza di merito, con la quale era stata esclusa
la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente proprietario di un edificio, in relazione ai danni subiti da un soggetto, assegnatario di alloggio popolare, a seguito di caduta sulle scale della palazzina, buie per la mancanza dell’apposito interruttore dell’elettricità nei pressi del portone,
sul rilievo che i giudici di appello non avevano
accertato se esistesse o meno oggettivamente un
rapporto di custodia tra l’ente proprietario e
l’impianto di illuminazione delle scale e dell’androne del fabbricato) (Cass. 27 luglio 2011, n.
16422). n Il proprietario dell’immobile locato,
conservando la disponibilità giuridica, e quindi
la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (come cornicioni, tetti,
tubature idriche), su cui il conduttore non ha il
potere-dovere di intervenire, è responsabile, in
via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c.,
dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed
impianti (salvo eventuale rivalsa, nel rapporto
interno, contro il conduttore che abbia omesso
di avvertire della situazione di pericolo). Con riguardo invece alle altre parti ed accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà ed obbligo di
intervenire onde evitare pregiudizio ad altri (come i servizi dell’appartamento, ovvero, in riferimento alla specie, le piante di un giardino), la
responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni
del citato art. 2051 c.c. grava soltanto sul conduttore medesimo (Cass. S.U. 11 novembre 1991,
n. 12019).
7. Comunione e condominio di edifici. n In tema
di condominio, la disposizione dell’art. 1126 c.c.,
il quale regola la ripartizione fra i condomini
delle spese di riparazione del lastrico solare di
uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle ricondu-
Art. 2051
cibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal
singolo proprietario; pertanto, in tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare
danno a terzi, la responsabilità relativa, sia in
ordine alla mancata eliminazione delle cause del
danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art.
2051 c.c., e non anche – sia pure in via concorrenziale – al condominio (Cass. 6 febbraio 2013,
n. 2840). n In tema di infiltrazioni in condominio, e quindi di responsabilità per cose in custodia, il singolo condomino ha diritto ad ottenere
l’intervento del condominio, legittimato passivo,
a titolo di responsabilità oggettiva. Pertanto, deve ritenersi legittima la sentenza con cui, dedotto
il fatto che la parte pone a fondamento del proprio diritto ed accertati i fatti ed il nesso di causalità mediante c.t.u. disposta in sede di appello,
viene condannato il condominio che non abbia
fornito la prova liberatoria ad hoc ed abbia sostenuto, senza specificarne l’incidenza sui propri
diritti e sul processo, il mero vizio procedimentale (Cass. 10 ottobre 2012, n. 17268). n In materia
di condominio di edifici, la legittimazione passiva nel giudizio avente a oggetto il risarcimento
dei danni da infiltrazione causati alle proprietà
sottostanti spetta al proprietario del lastrico solare soltanto allorché detti danni derivino da difetto di conservazione o di manutenzione a lui
imputabili in via esclusiva, spettando altrimenti
al condominio. Qualora pertanto detto proprietario, nel giudizio instaurato nei suoi confronti,
intenda eccepire il proprio difetto di legittimazione, egli ha l’onere di precisare, con opportuni
riferimenti agli atti processuali, che l’azione introduttiva del giudizio era stata esercitata o comunque si era rivelata, all’esito dell’istruzione,
come avente a oggetto una situazione dannosa
non imputabile al medesimo in via esclusiva, ma
della quale doveva rispondere il condominio
(Cass. 6 marzo 2012, n. 3454). n In tema di condominio di edifici, il lastrico solare – anche se
attribuito in uso esclusivo, o di proprietà esclusiva di uno dei condomini – svolge funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l’obbligo di
provvedere alla sua riparazione o ricostruzione,
sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c. Deriva da quanto precede, pertanto, che il condominio, quale custode ex art.
2051 c.c. risponde dei danni che siano derivati al
singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare (Cass. 6 marzo 2012,
n. 3465). n Il solaio interpiano tra due apparta2587
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Art. 2052
menti, in quanto comune, è riparato dai comunisti in parti eguali a meno che detto solaio rimanga danneggiato per esclusiva responsabilità di
uno dei comunisti tenuto di conseguenza a rispondere in proprio ex art. 2051 c.c. (nella specie, la Corte ha escluso l’applicabilità dell’art.
2051 c.c., atteso che i danni alla proprietà di un
condomino non erano stati causati dal crollo del
‘‘suppenno’’ di proprietà esclusiva di altro condomino, ma del tetto di copertura dell’edificio
condominiale rientrante tra i beni comuni)
(Cass. 8 settembre 2011, n. 18420). n Il giudice è
libero di utilizzare, per la formazione del suo
convincimento, anche prove raccolte in un diverso processo – tra le stesse parti o tra altre parti
– le quali possono valere come semplici indizi,
atti a fornire elementi indiretti e concorrenti di
giudizio, ed essere complessivamente valutabili
nel procedimento logico induttivo e presuntivo
per l’accertamento del fatto controverso. In ragione di ciò la Cassazione ha confermato il giudizio di merito secondo il quale un condomino
aveva chiesto e ottenuto dal condominio il risarcimento dei danni da infiltrazioni d’acqua sulla
base degli accertamenti tecnici preventivi svolti
in occasione di una situazione simile posta in essere da un diverso condomino (Cass. 7 luglio
2010, n. 16010). n L’azione di risarcimento danni promossa nei confronti di un condomino, sul
presupposto erroneo della proprietà esclusiva di
una parte dell’edificio in condominio, non è idonea ad interrompere la prescrizione nei confronti
del condominio successivamente chiamato in
giudizio, a seguito dell’accertamento della proprietà comune del manufatto, in quanto l’originaria domanda giudiziale non prospettava una
responsabilità del condominio bensı̀ una responsabilità personale ed autonoma del convenuto e,
quindi, alternativa e non solidale. (Cass. 19 gennaio 2010, n. 697). n Se alle riparazioni ed alle
ricostruzioni del lastrico solare sono obbligati
solo i condomini, in quanto il lastrico adempie
soltanto alla funzione di copertura dell’edificio
(e perciò appartiene solamente ai partecipanti al
condominio), al risarcimento dei danni cagionati
all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni
LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI
d’acqua derivanti dal lastrico per difetto di manutenzione sono tenuti i condomini, in proporzione alle quote riportate dalle tabelle millesimali di proprietà. Se invece alla riparazione ed alle
ricostruzioni sono tenuti, oltre i condomini, anche il titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo perché il lastrico, oltre la funzione di copertura, al proprietario superficiario o al
titolare dell’uso esclusivo offre concretamente altre utilità, dei danni rispondono in concorso tra
loro, tutti gli obbligati inadempienti (condomini,
proprietario superficiario, usuario esclusivo), secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c.
Vale a dire: i condomini, ai quali il lastrico serve
da copertura in proporzione dei due terzi; il titolare della proprietà o dell’uso esclusivi, in ragione del terzo residuo. Il condominio, per andare
esente da responsabilità deve dimostrare di essersi positivamente adoperato per risolvere a livello condominiale il problema delle infiltrazioni
provenienti dai propri terrazzini senza alcun risultato utile. La condotta non collaborativa del
condominio non esime il condominio dalla responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c., in ragione della natura condominiale del bene ed in
assenza di prova della ricorrenza dell’esimente
dal caso fortuito (Trib. Milano, 3 dicembre 2009,
n. 14511 in Giust. a Milano, 2009, 12, 86). n Appurato il cattivo stato di coibentazione del sottotetto comune dello stabile condominiale, di tale
mancato isolamento della copertura risponde, in
quanto custode ex art. 2051 c.c., il condominio
al quale incombe l’obbligo di adottare tutte le
misure necessarie affinché le cose comuni non
rechino pregiudizio alcuno e di rimuovere le cause del danno arrecato alle porzioni di proprietà
esclusiva di uno dei condomini, salva la prova
del fortuito. (Fattispecie nella quale, a causa dell’insufficiente isolamento termico del sottotetto,
un condomino lamentava la presenza al proprio
appartamento di temperature elevatissime durante il periodo estivo e rilevanti abbassamenti
delle stesse durante il periodo invernale) (Trib.
Milano 11 maggio 2009, n. 6256, in Riv. giur.
edil. 2009, 4, 1523).
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Danno cagionato da animali – [1] Il proprietario di un animale o chi se ne
serve per il tempo in cui lo ha in uso, e` responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi
il caso fortuito.
SOMMARIO: 1. Natura e presupposti – 2. Prova liberatoria – 3. Casistica
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