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Artt. 1292-1306 e Artt. 2047-2051 estratto da a cura di Michele VIETTI è Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. CODICE CIVILE ANNOTATO Il volume raccoglie l’intero corpus normativo dell’ordinamento giudiziario vigente, composto da una notevole produzione non solo primaria, ma anche secondaria con la quale il CSM ha fornito la disciplina di dettaglio alle previsioni di legge. Gli operatori del diritto possono così beneficiare di un puntuale strumento di consultazione e di studio che consente di trovare agevolmente il dato normativo e di individuare, con rapida esattezza, la disciplina di interesse. Un codice dell’ordinamento giudiziario aggiornato che, per il ricco e dettagliato indice analitico, funge da guida per comprendere sul piano teorico la normativa di riferimento, ma anche da indispensabile ausilio per la sua concreta applicazione. STEFANO ERBANI, GABRIELE FIORENTINO e FULVIO TRONCONE ALPA - IUDICA sono magistrati addetti all’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio Superiore della Magistratura. G. ALPA - G. IUDICA CODICE CIVILE ANNOTATO CON LA GIURISPRUDENZA 978-88-238-3537-5 IN LIBRERIA DAL 28 AGOSTO 2014 ISBN 978-88-238-3540-5 ISBN 978-88-238-3536-8 Euro 210,00 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE Vendita di genere. n Il contratto, con cui le parti convengono di trasferire una determinata estensione immobiliare (nella specie, un posto macchina aperto), considerata come fungibile, da distaccarsi ad opera del venditore da una entità di maggiori dimensioni, non è affetto da nullità per indeterminatezza dell’oggetto bensı̀ costituisce vendita di genere limitato, configurabile anche per gli immobili, avente natura obbligatoria, ove risulti a carico del venditore l’obbligo di individuare suc- cessivamente e consegnare il bene compravenduto, e che acquista effetti reali con la concreta individuazione del bene sulla base della scelta che deve operare il soggetto indicato. In tal caso la domanda giudiziale deve essere diretta ad ottenere la condanna dell’obbligato ad effettuare la scelta, secondo lo schema previsto dall’art. 1287 c.c., essendo immanente, nell’ipotesi di vendita di genere, l’alternativa tra prestazioni di più oggetti concreti (Cass. 29 luglio 1983, n. 5225). 1288 Impossibilità di una delle prestazioni – [1] L’obbligazione alternativa si considera semplice, se una delle due prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o se e` divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti. 1289 Impossibilità colposa di una delle prestazioni – [1] Quando la scelta spetta al debitore, l’obbligazione alternativa diviene semplice, se una delle due prestazioni diventa impossibile anche per causa a lui imputabile. Se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, il debitore e` liberato dall’obbligazione, qualora non preferisca eseguire l’altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni. [2] Quando la scelta spetta al creditore, il debitore e` liberato dall’obbligazione, se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi preferisca esigere l’altra prestazione e risarcire il danno. Se dell’impossibilità deve rispondere il debitore, il creditore può scegliere l’altra prestazione o esigere il risarcimento del danno. 1290 Impossibilità sopravvenuta di entrambe le prestazioni – [1] Qualora entrambe le prestazioni siano divenute impossibili e il debitore debba rispondere riguardo a una di esse, egli deve pagare l’equivalente di quella che e` divenuta impossibile per l’ultima, se la scelta spettava a lui. Se la scelta spettava al creditore, questi può domandare l’equivalente dell’una o dell’altra. 1291 Obbligazione con alternativa multipla – [1] Le regole stabilite in questa sezione si osservano anche quando le prestazioni dedotte in obbligazione sono più di due. Sezione III Delle obbligazioni in solido 1292 Nozione della solidarietà – [1] L’obbligazione e` in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori. SOMMARIO: 1. Aspetti generali – 2. Comunione ereditaria – 3. Condominio – 4. Preliminare di vendita di bene in comunione – 5. Locazione – 6. Oneri di urbanizzazione – 7. Trasferimento di partecipazioni sociali e assunzione della responsabilità per le sopravvenienze passive non risultanti dal bilancio – 8. Evento dannoso e pluralità di responsabili – 9. Responsabilità dei soci di società di persone – 10. Responsabilità nell’esecuzione di prestazioni 1309 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale – 11. Reati commessi col mezzo della stampa – 12. Azione revocatoria – 13. Conto corrente bancario – 14. Vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari e credito per il prezzo – 15. Deposito bancario – 16. Assicurazione – 17. Contratto atipico di ‘‘skipass’’ – 18. Ablazione della proprietà privata indivisa da parte della P.A. – 19. Compenso al consulente d’ufficio – 20. Aspetti processuali 1. Aspetti generali. n L’art. 1292 c.c. non identifica l’obbligazione solidale con un’obbligazione nascente da un unico atto o fatto giuridico che dia luogo ad un medesimo ed unico obbligo di prestazione da parte di più soggetti, bensı̀ nell’esistenza di più soggetti obbligati alla medesima prestazione, ‘‘in guisa tale che l’adempimento dell’uno libera gli altri’’, restando irrilevante la unicità o pluralità dei fatti o dei mezzi giuridici in conseguenza dei quali è nato l’obbligo ad adempiere quella medesima prestazione ed essendo essenziale che tutti i debitori non siano obbligati a più prestazioni identiche, ma ad un’unica prestazione (Cass. 14 marzo 1996, n. 2120). 2. Comunione ereditaria. n I crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall’art. 760, che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 stesso codice, concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale; conseguentemente, ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito (Cass. S.U. 28 novembre 2007, n. 24657). 1310 3. Condominio. n I comproprietari di un’unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall’art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell’unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi; trattandosi di un principio informatore della materia, al rispetto di esso è tenuto il giudice di pace anche quando decida secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c. (nella specie, la suprema corte ha chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato da S. U. n. 9148 del 2008, riguardando quest’ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale) (Cass. 21 ottobre 2011, n. 21907). n In tema di condominio, la natura parziaria delle obbligazioni contratte dall’amministratore nei confronti dei terzi non esclude la validità dell’accordo transattivo stipulato con l’impresa esecutrice di opere di rifacimento dello stabile condominiale, in forza del quale quest’ultima si sia impegnata ad eseguire eventuali pignoramenti esclusivamente nei confronti dei condomini morosi e ad agire nei confronti degli altri soltanto in caso di accertata incapienza dei primi, avuto riguardo alla derogabilità della disciplina legale, rispetto alla quale la regolamentazione pattizia in questione si pone come clausola limitativa della parziarietà dell’obbligazione (nell’affermare l’anzidetto principio, la suprema corte ha precisato che l’intervenuto mutamento del diritto vivente in ordine alla natura, solidale o parziaria, di tali obbligazioni assumeva rilievo esclusivamente ai fini dell’interpretazione di tale accordo, che nel precedente assetto interpretativo si prestava ad essere qualificato come limitativo della solidarietà) (Cass. 21 luglio 2009, n. 16920). n In Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie (Cass. S.U. 8 aprile 2008, n. 9148). n Il patto di divisione della spesa per l’esecuzione di lavori in appalto concluso tra più condomini, attenendo al rapporto interno tra gli stessi, non è opponibile all’appaltatore, ancorché condomino, atteso che l’obbligazione di pagamento del corrispettivo di lavori conferiti in appalto da più committenti ha natura di obbligazione solidale, ai sensi dell’art. 1294 c.c. (Cass. 31 agosto 2005, n. 17563). n In riferimento ai debiti contratti dal condominio per il godimento di beni e servizi comuni, concernenti prestazioni normalmente non divisibili, rispetto alle quali ciascun condomino ha interesse per l’intero, si applica il principio di cui all’art. 1294 c.c., dal quale discende una presunzione di solidarietà a carico di tutti i condomini (Cass. 30 luglio 2004, n. 14593). n Il condomino può esser escusso per l’intero debito del condominio da un terzo, nei cui confronti è un condebitore solidale, indipendentemente dall’adempimento del suo obbligo nei confronti del condominio, ed ha diritto di regresso nei confronti degli altri condomini limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, mentre la morosità di taluno di questi verso il condominio può dar luogo alla domanda di risarcimento per i maggiori, conseguenti esborsi (Cass. 23 febbraio 1999, n. 1510). [V. anche art. 63 disp. att. c.c.] 4. Preliminare di vendita di bene in comunione. n In tema di contratto preliminare di vendita di un bene immobile considerato come un unicum inscindibile, sussistono i presupposti dell’obbligazione solidale passiva, ex artt. 1292 e 1294 c.c., e cioè la pluralità dei soggetti, l’identità della prestazione cui essi sono tenuti (la prestazione del consenso alla stipula di quello definitivo) e l’identità della fonte dell’obbligazione (il contratto Art. 1292 preliminare stipulato), non rilevando la eventuale disparità delle singole quote, la quale concerne solamente il rapporto interno tra i debitori, e non anche quello esterno con i creditori; ne consegue che, se fallisce uno dei comproprietari promittenti venditori ed il curatore dichiara lo scioglimento del contratto preliminare ex art. 72, comma 4, l.fall., ciascuno dei promittenti venditori in bonis è tenuto per intero alle restituzioni dovute (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha cassato, sul punto, la sentenza impugnata, che aveva diviso a metà la somma da restituire al promittente acquirente – in quanto versata a titolo di cauzione – tra la parte dichiarata fallita e le parti non fallite, in proporzione alle quote dominicali sul bene) (Cass. 24 luglio 2009, n. 17405). n In caso di stipulazione di un preliminare di vendita di bene in comunione pro indiviso sussistono i presupposti dell’obbligazione solidale passiva, e cioè la pluralità dei soggetti, l’identità della prestazione cui sono tenuti i soggetti (la prestazione del consenso alla stipula del contratto definitivo di vendita) e l’identità della fonte dell’obbligazione (il contratto preliminare stipulato), non rimanendo essa esclusa in ragione della eventuale disparità delle quote ideali in titolarità dei medesimi, aspetto questo concernente solamente il rapporto (interno) tra di essi intercorrente – valendo a segnare la proporzione dei reciproci diritti in caso di adempimento solamente da parte di uno a alcuni – e non anche quello (esterno) con i creditori (Cass. 11 marzo 2004, n. 4965). n Qualora sia stato promesso in vendita un immobile indiviso considerato nel contratto come un ‘‘unicum inscindibile’’, ciascuno dei promittenti si impegna non soltanto a prestare il consenso relativo al trasferimento della quota di comproprietà di cui è rispettivamente titolare ma si obbliga anche a promettere il fatto altrui, cioè la prestazione del consenso da parte degli altri; peraltro, tale obbligazione, che ha natura collettiva, non è solidale, non potendo operare il principio stabilito dall’art. 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido può adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri, atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso relativo alla propria quota e non quello concernente le quote spettanti agli altri; pertanto, il condebitore non inadempiente non può invocare la norma dettata in materia di obbligazioni solidali dall’art. 1307 c.c., alla stregua del quale se l’adempimento dell’obbligazione è divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebitori, il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a 1311 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 ciascuno dei condebitori inadempienti, mentre gli altri obbligati sono tenuti soltanto a corrispondere il valore della prestazione dovuta, tenuto conto che in tal caso la responsabilità è posta a carico esclusivamente del debitore colpevole che con la propria condotta ha reso impossibile l’adempimento della prestazione da parte dei coobbligati che altrimenti avrebbero potuto eseguire liberandosi dell’obbligazione senza produrre il danno ulteriore (Cass. 20 marzo 2006, n. 6162). n Poiché, secondo l’art. 1292 c.c. l’obbligazione è in solido quando più debitori sono tutti obbligati per la medesima prestazione, in modo che ciascuno di essi può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri, nell’ipotesi del contratto preliminare di vendita di un bene in comunione l’obbligazione posta a carico dei promittenti venditori di stipulare il contratto definitivo non ha natura solidale, in quanto non è unica la prestazione del consenso che, dovendo essere adempiuta singolarmente da parte di ciascuno dei comproprietari per la rispettiva quota, ha carattere infungibile; ne consegue che gli atti interruttivi della prescrizione posti nei confronti di un solo dei promittenti non hanno efficacia contro gli altri (Cass. 19 maggio 2004, n. 9458). 5. Locazione. n Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, cosı̀ come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all’art. 1292 c.c. che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori (fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità di un procedimento di sfratto per morosità azionato solo da parte di alcuni coeredi dell’originaria locatrice) (Cass. 22 giugno 2009, n. 14530). 6. Oneri di urbanizzazione. n Qualora nella convenzione di lottizzazione, con assunzione dei relativi oneri di urbanizzazione, stipulata tra un comune ed un privato, sia espressamente previsto che il lottizzante si impegna a non trasferire separatamente a terzi, senza il previo consenso del comune, gli oneri per l’attuazione delle opere di urbanizzazione primaria, in caso di vendita dei vari lotti edificabili senza il consenso del comune al trasferimento degli oneri, non si crea una obbligazione solidale quanto agli oneri di 1312 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI urbanizzazione tra l’originario stipulante e gli acquirenti, restando, di converso, unico obbligato per l’intero all’esecuzione delle opere solo l’originario stipulante, laddove gli acquirenti dei lotti assumono con l’acquisto distinti obblighi frazionati, ciascuno proporzionale al lotto compravenduto, che dà all’alienante il diritto di rivalsa nei loro confronti pro-quota (Cass. 11 gennaio 2006, n. 261). 7. Trasferimento di partecipazioni sociali e assunzione della responsabilità per le sopravvenienze passive non risultanti dal bilancio. n La clausola contrattuale con cui i soci di una società di capitali, nel trasferire ad un terzo le proprie partecipazioni, abbiano assunto una responsabilità solidale per le sopravvenienze passive non risultanti dal bilancio, obbligandosi a riacquistare, al loro valore nominale, i crediti della società, qualora gli stessi si rivelino inesigibili entro un termine prefissato, e prestando fideiussione a garanzia di tale impegno, prefigura una forma di rimborso di parte del prezzo, in dipendenza di una sopravvenienza passiva eccedente il fondo di svalutazione dei crediti, che risulta incompatibile con l’esclusione dell’ammissibilità dell’esecuzione in forma specifica nei confronti di alcuni soltanto dei promittenti, instaurandosi tra questi ultimi un vincolo di solidarietà passiva, che impedisce di configurarli come parte complessa di un contratto avente ad oggetto un bene indivisibile (Cass. 13 giugno 2008, n. 16010). 8. Evento dannoso e pluralità di responsabili. n Tra i corresponsabili di un danno sussiste sempre responsabilità solidale e paritaria, a nulla rilevando che ciascuno di essi abbia contribuito al verificarsi dell’evento dannoso finale rendendosi inadempiente ad obblighi scaturiti da fonti diverse; ne consegue che il creditore non ha alcun onere di escutere l’uno, piuttosto (o prima) che l’altro dei condebitori (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto indipendenti ed autonome, nei confronti del promissario acquirente, le responsabilità del promittente venditore, che nelle more tra preliminare e definitivo aveva concesso ipoteca sul bene promesso in vendita, e del notaio chiamato a rogare il contratto definitivo, che l’aveva trascritto dopo ben sei mesi dalla stipula, posteriormente all’iscrizione delle suddette ipoteche) (Cass. 11 maggio 2012, n. 7404). n In tema di responsabilità solidale relativa ad obbligazione risarcitoria che si fondi sul medesimo titolo ed abbia il medesimo oggetto, il pagamento, da parte di uno dei coob- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE bligati, determina l’estinzione ipso iure dell’obbligazione, entro i limiti dell’importo corrisposto, nei confronti di tutti gli altri coobbligati (ai sensi dell’art. 1292 c.c.), giacché la responsabilità plurisoggettiva, riferendosi al medesimo fatto dannoso, non incide sull’entità complessiva del risarcimento conseguibile, che rimane limitato al danno effettivamente subı̀to (nella specie, la suprema corte ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha detratto dalla complessiva somma liquidata nel giudizio di merito, a titolo di risarcimento del danno extracontrattuale, l’importo corrisposto al danneggiato da un coobbligato solidale; importo che la sentenza impugnata non aveva provveduto a sottrarre, adducendo l’estraneità del coobbligato medesimo all’instaurato giudizio risarcitorio) (Cass. 16 febbraio 2010, n. 3672). n La persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà (quali, nella specie, i responsabili di un sinistro stradale nei confronti del terzo trasportato in uno dei veicoli coinvolti) può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe e l’eventuale diseguale efficienza causale può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione passiva di risarcimento tra i corresponsabili; conseguentemente, il giudice del merito adı̀to dal danneggiato deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe e sull’efficienza causale delle rispettive condotte solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento ai fini della ripartizione interna, ovvero se il danneggiato abbia rinunciato alla parte del credito corrispondente al grado di responsabilità del coautore dell’illecito da lui non convenuto nel giudizio – rinuncia, peraltro, non ravvisabile nella sola circostanza di non avere agito anche contro quest’ultimo – o, infine, abbia rinunciato ad avvalersi della solidarietà nei confronti del corresponsabile convenuto (Cass. 21 settembre 2007, n. 19492). n Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell’art. 2055 c.c., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è im- Art. 1292 putabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali, del resto, l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (fattispecie relativa a danno alla salute subı̀to da una paziente per trattamenti medici inidonei, ascrivibili in parte alla casa di cura presso cui era stata ricoverata e in parte al medico curante dopo la dimissione) (Cass. 19 novembre 2006, n. 23918). n In tema di contratto di appalto, qualora il danno subı̀to dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori (ovvero del progettista), entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse (Cass. 14 ottobre 2004, n. 20294). n L’esito positivo del collaudo di un’opera non esclude la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. – norma di garanzia dell’opera nel tempo, mentre il collaudo costituisce prova di tenuta in un unico contesto – e pertanto egli è tenuto a rispondere in caso di gravi difetti nell’esecuzione; qualora poi essi dipendano altresı̀ da errori del progettista, anche costui è responsabile, in concorso e in solido con l’appaltatore, ai sensi del medesimo art. 1669 c.c., per i danni derivatine, con la conseguenza che il rapporto processuale tra i predetti condebitori è scindibile e che la notifica della sentenza, da parte del danneggiato, nei confronti dell’uno, non determina la decorrenza del termine breve per impugnare nei confronti dell’altro (Cass. 5 febbraio 2000, n. 1290). n È ravvisabile la responsabilità solidale se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone che abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le azioni o le omissioni di ciascuna persona costituiscano distinti ed autonomi fatti illeciti o violazione di norme giuridiche diverse; può pertanto essere pronunciata la condanna in via solidale quando più debitori siano tenuti per la medesima prestazione, a nulla rilevando in contrario la diversità della fonte dalla quale le obbligazioni derivano e la diversa natura delle rispettive azioni ed omissioni (Cass. 19 febbraio 1999, n. 1415). n La responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt. 1292 e 2055, comma 1 c.c.), sussi1313 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 ste anche se l’evento dannoso è imputabile a fatti illeciti succedutisi nel tempo e commessi da più persone, purché ciascuno di essi abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa; è perciò irrilevante nel rapporto tra danneggiato e danneggiante la diseguale efficacia causale delle singole condotte o la diversa gravità delle colpe dei corresponsabili, rilevante invece nei rapporti interni per la ripartizione dell’onere risarcitorio tra loro (artt. 1299, comma 1 c.c. e 2055, comma 2 c.c.) (Cass. 10 dicembre 1996, n. 10987). n La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, ai sensi dell’art. 1292 c.c., e tale vincolo sussiste – tanto quando la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale – anche se l’evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo, restando irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale; pertanto, in caso di transazione tra uno dei coobbligati ed il danneggiato, l’art. 1304, primo comma, c.c. si applica soltanto se la transazione abbia riguardato l’intero debito solidale, mentre, laddove l’oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, cosı̀ che, per effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono obbligati nei limiti della loro quota (Cass. 8 luglio 2009, n. 16050). [V. anche art. 2055 c.c.] 9. Responsabilità dei soci di società di persone. n Il rapporto di sussidiarietà che collega la responsabilità dei soci di società di persone rispetto alla responsabilità della società non esclude la natura solidale della relativa obbligazione, con la conseguenza, sul piano processuale, dell’esclusione del litisconsorzio necessario e della relativa inscindibilità delle cause; ne consegue che, ove la sentenza di primo grado sia stata notificata ai soci e questi l’abbiano impugnata tardivamente, il giudice di appello è tenuto a dichiarare l’inammissibilità di tale impugnazione, dovendosi applicare l’art. 332 e non l’art. 331 c.p.c. (Cass. 31 luglio 2008, n. 20891). 10. Responsabilità nell’esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale. n La responsabilità nell’esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale è 1314 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI rigorosamente personale perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato dell’intuitus personae, e perciò anche se il professionista è associato ad uno studio, ai sensi dell’art. 1 l. 23 novembre 1939 n. 1815, non sussiste alcun vincolo di solidarietà con i professionisti dello stesso studio né per l’adempimento della prestazione, né per la responsabilità nell’esecuzione della medesima (Cass. 29 novembre 2004, n. 22404). 11. Reati commessi col mezzo della stampa. n Il proprietario e l’editore, essendo responsabili civilmente per i danni conseguenti ai reati commessi col mezzo della stampa in solido con il direttore e l’autore dell’articolo, sono obbligati per l’intero nei confronti del danneggiato, ai sensi dell’art. 1292 c.c., ma con diritto di regresso nei rapporti interni con gli altri coobbligati secondo la gravità delle rispettive colpe e le conseguenze che ne sono derivate (art. 2059 c.c.) (Cass. 19 settembre 1995, n. 9892). 12. Azione revocatoria. n Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. – ricorrendone i presupposti – nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento (Cass. 22 marzo 2011, n. 6486). 13. Conto corrente bancario. n La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi di conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. 8 settembre 2006, n. 19305). 14. Vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari e credito per il prezzo. n La vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari dà luogo a solidarietà attiva dei venditori nel credito per il prezzo, sicché, ai sensi dell’art. 1292 c.c., ciascuno di essi ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione, con la conseguente liberazione del debitore che ha effettuato il pagamento nei confronti di tutti gli altri creditori, e salva la ripartizione, nei rapporti interni, della somma pagata; ne consegue che, in caso di Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE accoglimento soltanto parziale della domanda di adempimento proposta congiuntamente dai venditori, l’appello incidentale proposto da uno soltanto di essi a seguito dell’impugnazione in via principale della sentenza da parte del compratore non si traduce nella proposizione di una domanda nuova, né impone l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri venditori, non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario, e potendo gli altri venditori giovarsi della sentenza più favorevole eventualmente pronunciata in accoglimento dell’appello incidentale, ai sensi dell’art. 1306 c.c. (Cass. 3 maggio 2010, n. 10648). 15. Deposito bancario. n Nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l’adempimento cosı̀ conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare (Cass. 29 ottobre 2002, n. 15231). 16. Assicurazione. | La solidarietà che, in forza dell’art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, vincola il responsabile-assicurato ed il suo assicuratore nei confronti del danneggiato dipende esclusivamente dall’attribuzione ex lege allo stesso danneggiato, in deroga ai principi che regolano l’assicurazione per la responsabilità civile, dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore e si caratterizza come un’ipotesi di solidarietà atipica ‘‘ad interesse unisoggettivo’’, stante la diversità dei titoli per cui sono tenuti verso il danneggiato il responsabile e l’assicuratore, il primo obbligato ex delicto, il secondo obbligato ex lege; ne discende che detta solidarietà, non essendo configurabile oltre i limiti della espressa previsione legislativa, deve ritenersi operante soltanto in favore del danneggiato, del quale rafforza la tutela, e non anche nei rapporti tra l’assicurato responsabile e gli altri soggetti con il medesimo coobbligati in quanto anch’essi responsabili del danno, con la conseguenza che, qualora uno di tali coobbligati risarcisca il danneggiato estinguendone il credito risarcitorio, l’azione di regresso resta da lui proponibile nei confronti del coobbligato assicurato e non anche nei confronti del suo assicuratore (Cass. 7 luglio 1999, n. 7019). Art. 1292 17. Contratto atipico di ‘‘skipass’’. n L’accesso a un comprensorio sciistico, costituito da numerose piste da sci di proprietà di soggetti diversi, a mezzo di un contratto atipico di ‘‘skipass’’, che consente allo sciatore, dietro corrispettivo, di utilizzare liberamente e illimitatamente, per il tempo previsto dal contratto, tutti gli impianti di risalita facenti parte del comprensorio, non implica una responsabilità contrattuale solidale di tutti i proprietari delle singole piste per gli incidenti verificatisi su una delle piste a causa dei difetti di manutenzione della stessa (nel caso di specie, mancanza di neve non adeguatamente segnalata), in quanto gli obblighi di manutenzione e custodia ricadono esclusivamente sul proprietario di ciascun impianto facente parte del comprensorio (Cass. 19 luglio 2004, n. 13334). 18. Ablazione della proprietà privata indivisa da parte della P.A. n In tema di ablazione della proprietà privata indivisa da parte della P.A., mentre nel caso di espropriazione l’opposizione di uno dei comproprietari estende i suoi effetti anche agli altri ed implica che il giudizio debba determinare l’indennità nel suo complesso, in quanto l’obbligazione indennitaria dell’espropriante non può essere adempiuta in forma frazionata e la comunione permane avendo ad oggetto l’indennità fino a quando non ne sia disposto lo svincolo, al contrario, nell’occupazione appropriativa, l’appartenenza del medesimo fondo a più comproprietari non implica solidarietà attiva in unico credito risarcitorio, ma comporta l’insorgenza dell’autonomo diritto di ciascuno di essi al ristoro del pregiudizio verificatosi nel suo patrimonio; pertanto, la pretesa risarcitoria non può essere coltivata oltre i limiti del pregiudizio sofferto in proprio dal comproprietario istante (Cass. 18 marzo 2008, n. 7258). 19. Compenso al consulente d’ufficio. n In tema di compenso al consulente d’ufficio, l’obbligo di pagare la prestazione eseguita ha natura solidale e, di conseguenza, l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti, anche in via monitoria, non solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto, in quanto non trova applicazione, per essere l’attività svolta dal consulente finalizzata all’interesse comune di tutte le parti, il principio della soccombenza, operante solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliare (Cass. 15 settembre 2008, n. 23586). 1315 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 20. Aspetti processuali. n Mentre nell’ipotesi in cui il terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall’attore, la domanda attrice si estende automaticamente ad esso, senza necessità di una istanza espressa, analoga estensione non si verifica nel caso di chiamata del terzo in garanzia, stante l’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo; né la suddetta estensione della domanda si verifica nel caso in cui, ad istanza del condebitore solidale convenuto, venga chiamato in causa quello non compulsato dal creditore agente, essendo il chiamante privo di qualsiasi legittimazione in tal senso, attesa la sua estraneità al diverso rapporto intercorrente fra l’attore ed il chiamato (Cass. 24 gennaio 1997, n. 722). n Nella controversia promossa contro due convenuti, per ottenerne condanna in solido al pagamento di un debito, sulla base di un titolo che assertivamente li ponga nella veste di coobbligati, sono configurabili distinte domande, ancorché connesse, ciascuna assistita da un proprio autonomo interesse; ne consegue che il giudice del merito, ove assolva uno di detti convenuti, ritenendolo estraneo al titolo dedotto, non resta privo del potere-dovere di pronunciare sulla domanda di condanna dell’altro, senza che sia all’uopo necessaria un’istanza subordinata dell’attore (nella specie, avente ad oggetto una causa di lavoro promossa per il pagamento di differenze retributive nei confronti di due soggetti ritenuti responsabili in concorso nella gestione dell’azienda, la suprema corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano configurato la responsabilità esclusiva di uno dei due convenuti, in ragione della titolarità di fatto dell’azienda, escludendo la sussistenza di un’interposizione fittizia di persona, ipotizzata dal ricorrente, che avrebbe richiesto una intesa simulatoria fra il titolare formale del rapporto, il titolare effettivo ed il lavoratore) (Cass. 24 maggio 2010, n. 12605). n La responsabilità solidale nei confronti del danneggiato tra gli autori del fatto illecito – anche nel caso in cui questo costituisca reato – ed il responsabile civile non dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario e, quindi, il creditore può agire nei confronti di uno qualsiasi dei debitori tenuti in solido, non rilevando, in contrario, che l’obbligazione del responsabile civile presuppone l’accertamento della commissione del fatto reato da parte dell’autore materiale, poiché, essendo effettuato detto accertamento soltanto incidentalmente da parte del giudice civile, non si rende necessaria la presenza in giudizio dell’autore materiale (Cass. 16 1316 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI agosto 2005, n. 16957). n Poiché l’obbligazione di risarcimento del danno derivato dalla cosa comune a più proprietari comporta la responsabilità solidale degli stessi, nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti di uno soltanto o di alcuni, ma non di tutti i responsabili dell’evento dannoso, non ricorre il litisconsorzio necessario e non risulta violato il principio del contraddittorio, potendo il creditore esigere da ciascuno dei condebitori l’intero credito, fermo restando il diritto di regresso del convenuto, nel caso di sua condanna, nei confronti degli altri obbligati (Cass. 15 luglio 2005, n. 15021). n In tema di litisconsorzio facoltativo, ove all’interruzione del processo per morte di uno dei creditori o condebitori non segua l’atto di riassunzione effettuato nel termine previsto nei confronti dei suoi eredi, il processo prosegue solo quanto ai rapporti processuali relativi alle parti regolarmente citate, e si estingue, invece, limitatamente alla parte deceduta, in applicazione del principio di cui all’art. 1306 c.c., per cui, anche in caso di rapporto plurisoggettivo solidale, sono possibili le azioni di un solo contitolare o verso un solo contitolare, dirette a perseguire l’adempimento dell’obbligazione (Cass. 7 luglio 2010, n. 16018). n Nel caso di condebitori solidali il litisconsorzio è facoltativo e le cause sono scindibili, sı̀ che in caso di interruzione del processo per morte di uno di essi, ove l’atto di riassunzione sia notificato impersonalmente e collettivamente agli eredi presso il domicilio eletto dal de cuius, anziché presso il suo ultimo domicilio effettivo (art. 303, comma 2, c.p.c.), e validamente invece alle altre parti, tale irregolarità comporta che il rapporto processuale prosegua con queste, e si estingua limitatamente alla parte deceduta, in applicazione del principio secondo il quale spetta al creditore scegliere nei confronti di quale coobbligato agire o proseguire il giudizio (art. 1292 c.c.) (Cass. 4 marzo 1998, n. 2406). n La mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, in quanto soccombenti in giudizio relativamente ad un rapporto obbligatorio scindibile qual è quello derivante dalla solidarietà (che non incide sull’autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun obbligato), determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata (Cass. 14 luglio 2009, n. 16390). n Qualora l’impugnazione sia stata proposta da uno soltanto dei coobbligati soccombenti a tutela di propri interessi, l’esercizio del potere di impugnazione non può essere riferito anche agli altri suoi litisconsorti in primo grado, che, notificati del gravame, siano rimasti contu- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE maci nel giudizio d’appello senza che possa rilevare che il comune difensore fosse munito di procura anche per il grado di appello e che lo stesso, in sede di conclusioni definitive per tale grado, abbia richiesto la riforma della sentenza impugnata anche in nome degli altri coobbligati (Cass. 23 novembre 1985, n. 5836). n La circostanza per cui una domanda di condanna all’adempimento di un’obbligazione venga accolta nei confronti di più soggetti in via solidale non giustifica di per sé che il processo, che ha avuto in primo grado natura di litisconsorzio facoltativo, si configuri in sede di impugnazione come processo su causa inscindibile, sia che impugni il soggetto che ha ottenuto la condanna solidale sia che impugni alcuno dei condannati in solido; ne consegue che, di regola, in appello si applica in tali casi il disposto dell’art. 332 c.p.c. e non quello dell’art. 331 c.p.c. (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338). n Poiché l’obbligazione solidale determina la costituzione non già di un unico rapporto obbligatorio con pluralità di soggetti dal lato attivo e/o dal lato passivo, bensı̀ di tanti rapporti obbligatori, fra loro distinti, quanti sono i condebitori in solido, qualora il creditore comune convenga in giudizio tutti i condebitori in solido non si verifica un litisconsorzio necessario e, in sede di impugnazione, una situazione di inscindibilità delle cause, in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati; ne consegue che, nel caso di giudizio di impugnazione promosso da uno solo dei debitori solidali, la sentenza passa in giudicato nei confronti dei condebitori riguardo ai quali l’impugnazione non è stata svolta e che, qualora l’esercizio del diritto di impugnazione sia avvenuto da parte di tutti i condebitori, con la deduzione, però, da parte di ciascuno, di specifici motivi diversi da quelli dedotti dagli altri, i motivi dedotti dal condebitore non si comunicano agli altri (Cass. 11 gennaio 2005, n. 379). n L’obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l’inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nel confronti di uno solo dei coobbligati, con la conseguenza che se sia uno solo di essi a proporre appello (o questo sia formulato nei confronti di uno solo di essi), il giudizio può legittimamente proseguire senza dover estendere necessariamente il contraddittorio Art. 1292 nei confronti degli altri, non rientrandosi in una delle ipotesi previste dall’art. 331 c.p.c. (nella specie la suprema corte ha, perciò confermato sul punto l’impugnata sentenza, con la quale era stato escluso che il rapporto di solidarietà tra debitore principale e fideiussore realizzasse un caso di litisconsorzio necessario, comportante, come tale, qualora l’impugnazione fosse stata proposta contro uno solo di questi due soggetti, la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro) (Cass. 21 novembre 2006, n. 24680). n Il principio secondo cui la domanda di risarcimento dei danni cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili di un fatto illecito dà luogo, in sede di impugnazione, a cause scindibili, per effetto del vincolo di solidarietà passiva configurabile tra gli autori dell’illecito, soffre una parziale eccezione nell’ipotesi in cui l’accertamento della responsabilità di uno di essi presupponga necessariamente quello della responsabilità degli altri; in tal caso, infatti, dovendosi valutare il rapporto di subordinazione logica o di pregiudizialità tra le cause in relazione al contenuto delle censure proposte ed all’esito della lite, l’impugnazione della sentenza di condanna proposta dal responsabile originario per negare la propria responsabilità dà luogo ad una causa inscindibile rispetto a quella promossa nei confronti del responsabile ‘‘di riflesso’’, che in caso di accoglimento del gravame si troverebbe altrimenti a rispondere da solo del fatto commesso da un altro soggetto, mandato invece assolto, mentre la decadenza del danneggiato dall’impugnazione nei confronti del responsabile ‘‘di riflesso’’ non preclude l’impugnazione della sentenza nei confronti del responsabile originario (principio enunciato dalla suprema corte in riferimento all’impugnazione di una sentenza di condanna al risarcimento dei danni cagionati da un pubblico dipendente, pronunciata, ai sensi dell’art. 2049 c.c., anche nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro) (Cass. 14 luglio 2009, n. 16391). n Le cause proposte nei confronti di più debitori in solido sono inscindibili, e danno pertanto luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale, solo quando le stesse siano in rapporto di dipendenza, ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro; non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale in fase di impugnazione nel caso dell’azione proposta dal creditore nei confronti del debitore principale e del fideiussore coobbligato 1317 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1292 solidale, giacché il creditore ha titolo per richiedere l’intero nei confronti di ciascun debitore, di tal che è sempre possibile la scissione del rapporto processuale; ne consegue che, in caso di appello promosso da parte del fideiussore – il quale, senza porre in questione profili relativi alla c.d. solidarietà dipendente, lamenti, come nella specie, il presunto inadempimento da parte della banca creditrice agli obblighi derivanti dal rapporto di fideiussione, tale da inficiare in ipotesi la validità o l’efficacia dell’obbligazione fideiussoria, ma non dell’obbligazione principale – la mancata impugnazione della sentenza anche nei confronti del debitore principale, che abbia partecipato al giudizio di primo grado, non rende necessaria l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. riguardo a quest’ultimo (Cass. 15 febbraio 2005, n. 3028). n Le cause proposte nei confronti di più condebitori in solido sono inscindibili e danno luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale solo quando le stesse siano in rapporto di dipendenza ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro; non ricorrendo tali ipotesi, è inammissibile l’appello incidentale tardivo proposto dall’attore avverso la sentenza di primo grado, che non abbia accolto una delle domande scindibili originariamente proposte (nella specie, di condanna per risarcimento dei danni nei confronti dell’appaltatore e dei committenti) e sia stata impugnata in via principale solo dalla parte soccombente (Cass. 6 luglio 2001, n. 9210). n Nel processo con pluralità di parti, ove una domanda di risarcimento danni sia proposta nei confronti di due soggetti in modo tale che il fatto determinante la responsabilità di uno dei due è solamente quello posto in essere dall’altro, insorge un vincolo di solidarietà passiva, in conseguenza del rapporto di dipendenza, tale da determinare l’inscindibilità della causa; pertanto, la notificazione della sentenza effettuata a cura di uno dei coobbligati è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, ad opera del soccombente, nei confronti di tutte le sue controparti e, perciò, anche del coobbligato solidale che non ha proceduto alla predetta notificazione (fattispecie in tema di responsabilità di dipendente pubblico ai sensi dell’art. 2049 c.c.) (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1771). n Qualora si controverta della sussistenza di obbligazioni solidali derivanti da unica fonte, le cause cumulativamente proposte da o contro più soggetti devono qualificarsi inscindibili ai 1318 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI sensi e per gli effetti dell’art. 331 c.p.c. (nella specie, un lavoratore domandava nei confronti di una SRL, di una SNC e di una persona fisica, alle cui dipendenze aveva lavorato, l’accertamento della unicità del rapporto di lavoro) (Cass. 20 novembre 2000, n. 14975). n Sussiste litisconsorzio necessario tra condebitori, solidalmente condannati in primo grado per il pagamento dell’onorario ad un professionista, se alcuni di essi appellano la relativa sentenza anche per chiedere la riforma dell’accertamento della loro corresponsabilità, e l’affermazione invece di quella esclusiva di colui che aveva conferito l’incarico, configurandosi la dipendenza delle cause e pertanto – oltre che per l’impugnazione incidentale del creditore della medesima sentenza sul quantum, ottenuta nei confronti di tutti – il contraddittorio tra costoro deve esser integro, a pena di nullità del procedimento di secondo grado (Cass. 19 marzo 1999, n. 2527). n La solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali; ne consegue che, se il creditore conviene in giudizio più debitori sostenendo la loro responsabilità solidale, e venga pronunciata condanna di uno solo di essi con esclusione del rapporto di solidarietà, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2227). n Il corresponsabile di un fatto illecito, se nel giudizio di risarcimento proposto dal danneggiato non abbia formulato domanda di regresso nei confronti degli altri coobbligati solidali, è privo di interesse (ex art. 100 c.p.c.) ad impugnare la sentenza che lo abbia condannato al risarcimento del danno senza accertare la misura della colpa ascrivibile a ciascuno dei corresponsabili (Cass. 26 giugno 2007, n. 14753). n Nel caso di azione proposta contro due obbligati solidali in cui si ritenga che la responsabilità dell’uno dipende da quella dell’altro, l’impugnazione principale del convenuto, che sia stato condannato per un titolo autonomo, fa risorgere l’interesse nell’attore originario a rimettere in questione nei confronti dell’appellante gli altri prospettati titoli in virtù dei quali Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE avrebbe potuto essere dichiarata la responsabilità del condannato se la stessa fosse stata preventivamente riconosciuta a carico dell’altro convenuto non condannato, con la conseguenza che il medesimo attore può estendere, in via incidentale, l’impugnazione nei confronti del suddetto convenuto, qualora intenda sostenere che dall’accertamento della sua responsabilità dipendeva quella del convenuto impugnante (Cass. 14 dicembre 2006, n. 26852). n La responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt. 1292 e 2055, comma 1, c.c.), sussiste anche se l’evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, ciascuno dei quali abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa, restando irrilevante, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, la diseguale efficienza causale delle singole condotte, poiché il danneggiato può pretendere l’intera prestazione anche da uno solo degli obbligati; pertanto il debitore condannato, ove non abbia proposto domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, non ha alcun interesse ad impugnare la sentenza nella parte in cui si esclude la responsabilità di uno o più condebitori, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa (Cass. 22 luglio 2005, n. 15431). n Il principio secondo cui, nel processo con pluralità di parti, la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, non è applicabile nel caso in cui si verta in tema di obbligazione solidale passiva, perché questa non comporta sul piano processuale l’inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario, in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale; infatti, nell’ipotesi di cause scindibili o comunque indipendenti, poiché all’interesse sostanziale di ciascuna parte corrisponde un interesse autonomo alla impugnazione, il termine per proporla non può Art. 1294 essere unitario, ma decorre dalla data delle singole notificazioni a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza (Cass. 10 gennaio 2008, n. 239). n Nell’ipotesi di pronunzia di assoluzione di più soggetti chiamati a rispondere come condebitori in solido, la notificazione della sentenza, ancorché eseguita all’unico soccombente su richiesta di uno solo dei soggetti vittoriosi, vale a far decorrere il termine per proporre l’impugnazione anche contro tutte le altre parti; infatti il vincolo di solidarietà comporta che, decorso inutilmente il termine per proporre l’impugnazione contro il notificante, la pronunzia assolutoria acquista efficacia di giudicato nei confronti del medesimo; e tale giudicato fa stato – a norma dell’art. 1306 c.c. – anche a favore dei litisconsorti vittoriosi, qualora la decisione sia basata sulla radicale negazione del rapporto obbligatorio e non su ragioni personali al litisconsorte notificante (Cass. 8 maggio 1995, n. 5022). n La tempestività della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere determinata esclusivamente assumendo come dies a quo, la data della notifica del provvedimento monitorio al debitore opponente, e nulla rilevando, ai fini del computo del termine perentorio, la solidarietà passiva con altri condebitori; ne consegue che, atteso il carattere di autonomia che caratterizza l’obbligazione solidale, il debitore solidale non può avvalersi, ai fini della tempestività dell’opposizione, del diverso termine relativo al debitore principale al quale il decreto sia stato notificato in data successiva (Cass. 13 maggio 2008, n. 11867). n Il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dal creditore contro più debitori solidali acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato; pertanto, nel giudizio di opposizione instaurato da uno degli intimati non può essere pronunciata condanna alle spese processuali del giudizio di opposizione, nei confronti del condebitore solidale che non abbia proposto opposizione (Cass. 20 maggio 2003, n. 7881). 1293 Modalità varie dei singoli rapporti – [1] La solidarietà non e` esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, o il debitore comune sia tenuto con modalità diverse di fronte ai singoli creditori. 1294 Solidarietà tra condebitori – [1] I condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente. 1319 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1294 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI SOMMARIO: 1. Coeredi – 2. Cessione del contratto di locazione – 3. Dipendente che presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro – 4. Diversi titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) – 5. Assicurazione – 6. Pluralità di creditori 1. Coeredi. n In tema di ripartizione dei debiti ereditari, l’art. 752 c.c. concerne solamente i rapporti tra coeredi, e non è pertanto invocabile dai creditori del de cuius, per i quali trova viceversa applicazione l’art. 754 c.c., in base al quale essi possono pretendere nei confronti di ciascun coerede l’adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria, norma che, nel fare eccezione alla regola della solidarietà passiva di cui all’art. 1294 c.c., è peraltro, ai sensi degli artt. 1295 e 1394 c.c., anche tacitamente derogabile dagli eredi, e in ogni caso non impedisce l’adempimento del terzo con efficacia estintiva dell’obbligazione (Cass. 30 giugno 2005, n. 13953). n Le obbligazioni nascenti dall’amministrazione dei beni nella comunione incidentale ereditaria, in quanto assunte nell’interesse comune di tutti gli eredi partecipanti alla comunione, danno luogo ad una presunzione di solidarietà del vincolo tra i coeredi a norma dell’art. 1294 c.c.; solidarietà che comporta che ogni questione relativa alla cattiva amministrazione dei beni oggetto della comunione, alla ripartizione degli utili da essi derivanti e dei debiti della gestione riguardano esclusivamente i rapporti interni tra partecipanti alla comunione; né trova applicazione il beneficium excussionis, che è previsto solo in ipotesi eccezionali e che comunque è operante in sede esecutiva, non essendo precluso al creditore di agire, in sede di cognizione, nei confronti del debitore solidale ai fini dell’accertamento del credito e della relativa condanna (Cass. 29 maggio 1998, n. 5348). 2. Cessione del contratto di locazione. n In materia di locazioni, in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell’azienda) effettuata ai sensi dell’art. 36 l. n. 392 del 1978 senza il consenso del locatore, mentre tra (l’unico) cedente e (l’unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario), nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti ‘‘intermedi’’ del contratto stesso (compre1320 so il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore (Cass. 20 aprile 2007, n. 9486). 3. Dipendente che presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro. n È configurabile l’unicità del rapporto di lavoro qualora lo stesso dipendente presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro, titolari di distinte imprese, e l’attività sia svolta in modo indifferenziato, cosı̀ che in essa non possa distinguersi quale parte sia stata svolta nell’interesse di un datore e quale nell’interesse degli altri; dall’unicità del rapporto consegue che tutti i fruitori dell’attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le obbligazioni relative, ai sensi dell’art. 1294 c.c. (Cass. 20 ottobre 2000, n. 13904). 4. Diversi titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale). n Nell’ambito di un’obbligazione il principio, previsto dall’art. 1294 c.c., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido, ove dalla legge non risulti altrimenti, non è escluso per il fatto che i titoli della responsabilità facenti capo ai coobbligati siano diversi, l’uno di natura contrattuale e l’altro di natura extracontrattuale (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che – in una causa promossa da una società cooperativa nei confronti dei propri amministratori per inosservanza dei doveri inerenti alla carica – aveva riconosciuto, nella determinazione del danno, il concorso della responsabilità degli amministratori per fatto illecito con quella contrattuale di terzi in relazione ad un contratto di appalto) (Cass. 10 settembre 2007, n. 18939). n La solidarietà nelle obbligazioni può aversi anche quando i titoli della responsabilità facente capo ai coobbligati siano diversi, l’uno di natura contrattuale e l’altro di natura extracontrattuale, sicché la domanda con la quale si aziona la responsabilità contrattuale di uno degli obbligati vale ad interrompere la prescrizione dell’azione di responsa- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE bilità extracontrattuale nei confronti dell’altro (Cass. 21 dicembre 1995, n. 13022). 5. Assicurazione. n In tema di assicurazione della RCA l’obbligazione risarcitoria dell’assicuratore, salva la responsabilità per mala gestio, sussiste nei limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione ed è entro tali limiti solidale con l’obbligazione dell’assicurato pur trattandosi di solidarietà atipica (Cass. 29 agosto 1995, n. 9101). n In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni derivati dalla circolazione dei veicoli a motore, il debito da fatto illecito che fa capo al danneggiante e quello di pagamento dell’indennizzo al danneggiato, posto dalla legge a carico dell’assicuratore, sono legati, per l’intero ammontare, da vincolo di solidarietà, ancorché atipico, con la conseguenza che è ammissibile la proposizione cumulativa da parte del danneggiato delle relative azioni e cosı̀ la condanna in solido del danneggiante e dell’assicuratore (Cass. 1o giugno 1995, n. 6128). 6. Pluralità di creditori. n La solidarietà attiva fra più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa delle prestazioni (eadem res debita) e delle obbligazioni (eadem causa debendi); l’interesse a negare detta solidarietà non è attribuibile esclusivamente a ciascuno dei creditori, ma appartiene anche al debitore ai fini di un corretto e non pregiudizievole assetto dei rapporti obbligatori (come si evince dall’art. 1297, comma 2, c.c. limitativo della proponibilità delle eccezioni personali), giacché nelle ipotesi di solidarietà attiva il comune debitore non potrebbe opporre al creditore che gli abbia chiesto l’intera prestazione le eccezioni personali ad altro creditore e che a questo il debitore medesimo avrebbe potuto, invece, opporre, nel caso di obbligazione parziale, il cui adempimento egli per la sua parte avrebbe richiesto (Cass. 11 giugno 2008, n. 15484). n Il versamento del prezzo del fondo riscattato nel termine perentorio stabilito dall’art. 8 l. 26 mag- Art. 1295 gio 1965 n. 590, autenticamente interpretato dalla l. 8 gennaio 1979 n. 2, costituisce condicio iuris del trasferimento della proprietà al retraente e deve esser effettuato, con le modalità previste dagli art. 1209 ss. c.c. in caso di rifiuto, a favore di ciascun retrattato, se questi sono più di uno, in misura corrispondente alla rispettiva quota, perché la predetta obbligazione non è indivisibile, né oggettivamente (art. 1316 c.c.), né soggettivamente – a meno che risulti diversamente dall’atto di acquisto del fondo retrattato – e la solidarietà tra creditori, a differenza di quella passiva, non si presume; pertanto, scaduto il predetto termine perentorio, il retraente che abbia offerto l’intera somma costituente il prezzo del fondo riscattato ad uno soltanto dei retrattati, decade dal diritto di riscatto vittoriosamente esercitato (Cass. 29 ottobre 2001, n. 13416). n In tema di obbligazioni solidali, nel rapporto con pluralità di debitori sussiste una presunzione di solidarietà passiva, ai sensi dell’art. 1294 c.c. – la cui ratio è quella di tutelare l’interesse del creditore a disporre, ai sensi dell’art. 1292 c.c., della facoltà di una sola esecuzione nei confronti del patrimonio prescelto – mentre tale presunzione di solidarietà è del tutto esclusa nel caso di rapporto obbligatorio con pluralità di creditori (anche se essi invochino la medesima fonte del loro diritto nei confronti del debitore), salva la sola ipotesi di una espressa pattuizione di solidarietà da parte dei creditori stessi (Cass. 18 giugno 2001, n. 8235). n La solidarietà attiva nelle obbligazioni non si presume, nemmeno in caso di identità della res debita, ma deve risultare espressamente dalla legge o dal titolo (Cass. 11 agosto 2000, n. 10725). n Al fine della ricorrenza della solidarietà attiva, in forza di titolo negoziale, in un rapporto obbligatorio con identità di oggetto e di causa e con pluralità di creditori, non sono necessarie clausole espresse o formule sacramentali, ma è sufficiente che, attraverso l’interpretazione di quel titolo, possa accertarsi univocamente la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei creditori il diritto di pretendere l’adempimento dell’intera obbligazione, con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri creditori (Cass. 6 agosto 2010, n. 18362). 1295 Divisibilità tra gli eredi – [1] Salvo patto contrario, l’obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote. SOMMARIO: 1. Morte di un debitore in solido – 2. Obbligazione assunta con previsione della solidarietà fra gli eredi del debitore 1321 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1296 1. Morte di un debitore in solido. n Con la morte di un debitore in solido, il vincolo della solidarietà non cessa tra gli eredi e gli altri condebitori, ma riceve una limitazione nei confronti dei singoli eredi, nel senso che ciascuno di essi rimane obbligato solidalmente con gli altri condebitori originari soltanto fino a concorrenza della propria quota ereditaria (Cass. 27 novembre 1999, n. 13291). 2. Obbligazione assunta con previsione della soli- LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI darietà fra gli eredi del debitore. n Colui che contrae un’obbligazione può convenire che i suoi eredi siano solidalmente obbligati per il debito contratto, in quanto ogni debitore può apporre ai suoi beni i carichi che più gli aggradano, salvo agli eredi la facoltà di sottrarsi a quei vincoli rinunciando all’eredità o accettandola con il beneficio dell’inventario (Cass. 25 novembre 1988, n. 6345). [V. anche artt. 1292 e 1294 c.c.] 1296 Scelta del creditore per il pagamento – [1] Il debitore ha la scelta di pagare all’uno o all’altro dei creditori in solido, quando non e` stato prevenuto da uno di essi con domanda giudiziale. 1297 Eccezioni personali – [1] Uno dei debitori in solido non può opporre al creditore le eccezioni personali agli altri debitori. [2] A uno dei creditori in solido il debitore non può opporre le eccezioni personali agli altri creditori. SOMMARIO: 1. Assegno – 2. Solidarietà attiva 1. Assegno. n Nel caso in cui l’obbligazione solidale sia adempiuta per intero da uno dei condebitori mediante rilascio di un assegno, rimasto insoluto, ed il creditore esperisca azione causale, anche gli altri condebitori possono opporre a quest’ultimo l’eccezione di inammissibilità dell’azione causale prevista dall’art. 58 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 (per la mancanza dell’offerta in restituzione dell’assegno, del deposito dello stesso in cancelleria e delle formalità necessarie per conservare al debitore le azioni di regresso), poiché tale eccezione non può essere considerata personale ai sensi dell’art. 1297 c.c. (Cass. 28 maggio 1996, n. 4944). 2. Solidarietà attiva. n La solidarietà attiva fra più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richie- sta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa delle prestazioni (eadem res debita) e delle obbligazioni (eadem causa debendi); l’interesse a negare detta solidarietà non è attribuibile esclusivamente a ciascuno dei creditori, ma appartiene anche al debitore ai fini di un corretto e non pregiudizievole assetto dei rapporti obbligatori (come si evince dall’art. 1297, 2o comma, c.c. limitativo della proponibilità delle eccezioni personali), giacché nelle ipotesi di solidarietà attiva il comune debitore non potrebbe opporre al creditore che gli abbia chiesto l’intera prestazione le eccezioni personali ad altro creditore e che a questo il debitore medesimo avrebbe potuto, invece, opporre, nel caso di obbligazione parziale, il cui adempimento egli per la sua parte avrebbe richiesto (Cass. 11 giugno 2008, n. 15484). 1298 Rapporti interni tra debitori o creditori solidali – [1] Nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi. [2] Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente. SOMMARIO: 1. Quota di obbligazione gravante a carico del condebitore nei rapporti interni – 2. Surrogazione – 3. Concorso di colpa del creditore – 4. Mantenimento del figlio diventato maggiorenne – 5. Conto corrente bancario – 6. Deposito di titoli in amministrazione – 7. Assicurazione – 8. Confideiussione 1322 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE 1. Quota di obbligazione gravante a carico del condebitore nei rapporti interni. n In tema di solidarietà passiva nelle obbligazioni, ai sensi dell’art. 1292 c.c., la questione relativa alla quota di obbligazione gravante a carico del condebitore nei rapporti interni si pone soltanto qualora, abbia pagato l’intero debito giacché, solo in tale ipotesi, quest’ultimo potrà agire in via di regresso verso gli altri debitori solidali per ottenere le parti dell’intero debito di loro rispettiva spettanza, le quali, se non risulta diversamente, si presumono uguali (Cass. 12 ottobre 2007, n. 21482). 2. Surrogazione. n Il proprietario di una parte del bene sul quale, prima della divisione, è stata iscritta ipoteca per garanzia del debito di un terzo, si surroga, con il pagamento del credito (al quale è tenuto [per il debitore] perché esposto alla azione esecutiva del creditore sul bene ipotecato) nei diritti del creditore verso i proprietari delle altre quote o parti del bene (originariamente unico) assoggettato al vincolo solo nella misura e nei limiti in cui avrebbe avuto diritto di regresso o di surroga nei confronti dei condebitori solidali e, perciò, esclusivamente per la parte di debito eccedente la quota di valore della sua proprietà rispetto all’intero e nei limiti della quota di valore della proprietà altrui; sia il regresso che la surrogazione, nei rapporti tra i condebitori solidali, operano, infatti, solo nei limiti della suddivisione del debito nei rapporti interni tra i condebitori (art. 1298 c.c.) perché solo entro questi limiti il pagamento è eseguito anche nell’interesse specifico altrui (in quanto riduce o estingue l’obbligazione di altro o di altri condebitori nella misura derivante dalla suddivisione del debito nei rapporti interni ed indipendentemente dalla loro posizione verso il creditore) ed a questo principio non può sottrarsi la surrogazione ex lege di colui che è tenuto per altri al pagamento del debito, nei confronti degli altri responsabili del medesimo debito altrui, dato che anche questa (surrogazione) ha il suo fondamento nel medesimo presupposto (Cass. 4 aprile 1995, n. 3937). 3. Concorso di colpa del creditore. n In tema di concorso di colpa del creditore, l’art. 1227 c.c. ha riguardo al comportamento del creditore di un’obbligazione inadempiuta (o non ritualmente adempiuta), ma non concerne i rapporti tra coobbligati in solido né le rispettive responsabilità nell’inadempimento della comune obbligazione (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2469). 4. Mantenimento del figlio diventato maggiorenne. Al fine di stabilire se l’azione diretta ad otte- n Art. 1298 nere il mantenimento del figlio diventato maggiorenne spetti direttamente a quest’ultimo oppure al genitore separato o divorziato con cui continua a coabitare, occorre distinguere l’ipotesi del figlio che faccia valere direttamente la sua pretesa sulla base di una sua autonoma posizione, per cui la legittimazione spetta esclusivamente allo stesso figlio, da quella in cui il figlio ometta di esercitare i suoi diritti nei confronti del genitore con cui non convive, lasciando che al suo mantenimento provveda direttamente e totalmente il genitore con cui convive, atteso che in tale ipotesi quest’ultimo genitore è legittimato ad agire iure proprio per il rimborso di quanto da lui costantemente anticipato per conto dell’altro coniuge, tenuto al mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., trattandosi di obbligazione solidale alla quale sono applicabili gli artt. 1298 e 1299 c.c. (Cass. 29 marzo 1994, n. 3049). 5. Conto corrente bancario. n Nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensı̀ dal comma 2 dell’art. 1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto superata la presunzione di comproprietà in relazione ad un conto corrente contestato a zio e nipote, ritenendo provato che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto al primo) (Cass. 19 febbraio 2009, n. 4066). n La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (art. 1298, comma 2, c.c.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto detta presunzione di contitolarità superata dalla prova documentale dell’esclusiva provenienza del denaro da uno solo dei contestatari del con1323 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1298 to) (Cass. 5 dicembre 2008, n. 28839). n Il saldo di conto corrente bancario cointestato, con facoltà di disposizione disgiunta di ciascuno dei contitolari, non può costituire credito ‘‘contratto nell’interesse esclusivo’’ di alcuno dei contitolari del credito stesso, ai sensi del primo comma dell’art. 1298 c.c., perché ciò contrasterebbe con la funzione del contratto di conto corrente bancario, il quale è finalizzato all’espletamento del servizio di cassa in favore – dunque nell’interesse – di tutti i contitolari, i quali, infatti, possono liberamente disporre del saldo attivo (nell’affermare il principio di diritto di cui in massima, la suprema corte ha conseguentemente negato la rilevanza in giudizio della dedotta prova della causale del versamento alla base del saldo attivo del conto – causale ritenuta dal ricorrente tale da dimostrare la esclusiva spettanza a lui del versamento stesso – perché la censura proposta con il ricorso consisteva nella violazione del 1o comma dell’art. 1298 c.c., agli effetti del quale rilevava il credito del saldo – costituente il credito solidale in discussione – e non il diverso credito, verso terzi, la cui avvenuta riscossione aveva dato luogo alla provvista) (Cass. 21 gennaio 2004, n. 886). n Una presunzione legale iuris tantum (quale quella di cui all’art. 1298, comma 2, c.c.), poiché dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto provata l’esclusiva appartenenza al marito delle somme depositate su un conto corrente cointestato al medesimo e alla moglie sulla base dei seguenti fatti secondari: precedente intestazione al marito di un conto con depositi di importo superiore, brevissima durata del matrimonio, impossibilità di risparmi familiari apprezzabili) (Cass. 1o febbraio 2000, n. 1087). n Il principio secondo cui l’apertura di un conto corrente bancario intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, rende gli intestatari ‘‘creditori o debitori in solido dei saldi del conto’’ (art. 1854 c.c.), mentre nei rapporti interni, se non risulta diversamente, ‘‘le parti di ciascuno si presumono uguali’’ (art. 1298, comma 2, c.c.) si applica anche al c.d. conto provvisorio, caratterizzato dalla immissione nello stesso di danaro cui viene conferita la specifica destinazione dell’acquisto di titoli, ancorché il danaro sia stato versato da uno solo dei contestatari o da un terzo a favore di uno solo di essi, salvo che si dimostri che il titolo di acquisizione di quel denaro rendeva destinatario dello stesso in via esclusiva il solo cointestatario 1324 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI che poi lo ha versato sul conto (Cass. 22 ottobre 1994, n. 8718). n Nel conto corrente bancario cointestato a più persone, i rapporti interni tra i correntisti sono regolati non dall’art. 1854 c.c., che riguarda i rapporti tra i medesimi e la banca, ma dall’art. 1298, comma 2, c.c., in base al quale le parti di ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali se non risulta diversamente, con la conseguenza che nel giudizio instaurato nei confronti di uno soltanto dei contitolari del conto, da parte di chi vanti una pretesa sulle somme depositate, non è necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri, poiché la sentenza resa in detto giudizio non è opponibile a questi ultimi (Cass. 18 agosto 1993, n. 8758). 6. Deposito di titoli in amministrazione. n In caso di deposito bancario di titoli in amministrazione cointestato ai coniugi, i rapporti interni tra i depositanti sono regolati dall’art. 1298, 2o comma, c.c., sicché le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente; per vincere la predetta presunzione, non è sufficiente la prova di aver avuto la proprietà e la disponibilità esclusiva del denaro utilizzato per l’acquisto dei titoli, valendo la cointestazione a rendere solidale il credito anche se il denaro sia immesso sul conto da uno dei cointestatari o da un terzo a favore di uno solo o di entrambi i coniugi, ed essendo, invece, dirimente la prova della pertinenza esclusiva, in base al titolo di acquisto, del denaro versato in capo a uno dei contestatari (Cass. 24 febbraio 2010, n. 4496). n Nel caso in cui dei titoli al portatore (bot) siano depositati su un ‘‘deposito titoli’’ cointestato a due coniugi in regime di separazione di beni, i rapporti interni fra i depositanti sono regolati dall’art. 1298, comma 2, c.c., onde il credito corrispondente si divide in quote eguali fra i coniugi solo ove non risulti diversamente (Cass. 29 aprile 1999, n. 4327). 7. Assicurazione. n Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gl’infortuni, compreso l’evento morte, la prestazione dell’assicuratore, quale obbligazione pecuniaria (avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art. 1882, seconda proposizione, c.c.), costituisce debito di valuta (art. 1277 c.c.); nel caso in cui uno dei beneficiari riscuota per intero il capitale assicurato, il debito nei confronti degli altri beneficiari non diviene di valore, mutando solo il soggetto obbligato alla prestazione, non già l’oggetto di essa, costituito pur sempre da una somma di denaro, dovuta, o a titolo di regresso fra cre- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE ditori in solido (combinato disposto degli artt. 1298 e 1299 c.c.), ovvero a titolo di restituzione di quote indebitamente percepite (art. 1314 c.c.), ovvero a titolo di ripetizione dell’indebito soggettivo ex latere accipientis (combinato disposto degli artt. 1189, comma 2, e 2033 c.c.) (Cass. 10 novembre 1994, n. 9388). 8. Confideiussione. n In tema di confideiussione, e con riguardo al diritto del solvens di regresso verso gli altri fideiussori, la ripartizione del debito all’interno del gruppo va fatta applicando il Art. 1299 criterio stabilito dall’art. 1298 c.c. per i rapporti interni tra condebitori solidali con la conseguenza che in mancanza di un criterio particolare di riparto interno (per il quale bisogna fare riferimento non al contratto con il quale ciascuno dei confideiussori ha prestato la garanzia al creditore, bensı̀ alla ragione del collegamento tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori, ossia all’interesse comune) si può fare applicazione della presunzione di uguaglianza delle quote (Cass. 22 maggio 1990, n. 4594). 1299 Regresso tra condebitori – [1] Il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi. [2] Se uno di questi e` insolvente, la perdita si ripartisce per contributo tra gli altri condebitori, compreso quello che ha fatto il pagamento. [3] La stessa norma si applica qualora sia insolvente il condebitore nel cui esclusivo interesse l’obbligazione era stata assunta. SOMMARIO: 1. Esercizio dell’azione di regresso – 2. Pagamento parziale – 3. Datio in solutum – 4. Surrogazione – 5. Assicurazione per conto di chi spetta – 6. Eccezioni opponibili contro la pretesa di regresso – 7. Mantenimento dei figli – 8. Comunione di diritti reali – 9. Assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli – 10. Assicurazione contro gli infortuni – 11. Azione di rivalsa e azione di regresso – 12. Aspetti processuali – 13. Fallimento 1. Esercizio dell’azione di regresso. n In materia di obbligazione solidale, ciascun debitore può agire in regresso nei confronti dell’altro a condizione che l’importo azionato non ecceda la parte di pertinenza del condebitore nei confronti del quale l’azione viene esercitata; ne consegue che, ove tale limite venga rispettato, l’azione di regresso può essere esercitata anche congiuntamente da più debitori che abbiano pagato l’intero debito, senza che il convenuto possa opporre che uno di costoro ha pagato meno di quanto dovuto, poiché la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori (Cass. 19 agosto 2009, n. 18406). n Il condebitore solidale, convenuto in giudizio dall’unico creditore, può promuovere l’azione di regresso di cui all’art. 1299 c.c. nei confronti degli altri coobbligati anche prima di aver pagato la propria obbligazione, fermo restando che l’eventuale sentenza di accoglimento non potrà essere messa in esecuzione se chi l’ha promossa non abbia a sua volta adempiuto nei confronti del creditore principale (Cass. 19 maggio 2008, n. 12691). n Il giudice investito da una domanda di condanna del creditore verso un obbligato solidale e da una domanda di regresso proposta da quest’ultimo verso altro coobbligato ben può emettere due distinte pronunce di con- danna, l’una subordinata all’altra, nel senso che la pronuncia in via di regresso può essere posta in esecuzione soltanto ove venga dimostrato, da parte del primo condebitore, l’adempimento nei confronti del creditore, atteso che l’ordinamento ammette la sentenza condizionata quando l’avvenimento futuro ed incerto cui viene subordinata l’efficacia della condanna si configuri come elemento accidentale della decisione cosı̀ formulata in omaggio al principio di economia processuale (Cass. 21 agosto 2003, n. 12300). n Sebbene la condanna alla rivalsa presupponga il già avvenuto pagamento, ad opera di colui in favore del quale la condanna è emessa, di quanto della rivalsa medesima debba formare oggetto, tuttavia non può negarsi l’interesse della parte a richiedere tale condanna, in via condizionata, contestualmente all’accertamento del proprio diritto, fermo restando che tale diritto non sorge se non a seguito dell’avvenuto pagamento della somma di cui il solvens pretende di ottenere rivalsa da altri; su una tale domanda di condanna il giudice è dunque tenuto a provvedere, non potendo limitarsi a considerarla assorbita in quella di mero accertamento del diritto di rivalsa, essendo quest’ultima inidonea alla formazione di un titolo esecutivo (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2469). n Alla parte evocata in giudizio per il ri1325 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1299 sarcimento del danno, non è vietato di chiamare in causa altro corresponsabile al fine di esercitare il regresso contro di questi, per il caso di esito positivo dell’azione intrapresa dal danneggiato; in tale ipotesi peraltro il coobbligato solidale condannato a pagare l’intero al danneggiato potrà recuperare la quota riconosciutagli in sede di regresso contro l’altro obbligato solo dopo il pagamento da parte sua dell’intero debito, operando in tale caso l’estinzione dell’obbligazione come condizione non dell’azione cognitiva di regresso bensı̀ dell’azione esecutiva contro l’altro obbligato (Cass. 11 marzo 1998, n. 2680). 2. Pagamento parziale. n In tema di obbligazioni, la presunzione di solidarietà dettata con riferimento ai rapporti esterni tra creditore e pluralità di debitori non si estende ai rapporti interni tra i condebitori solidali, spiegando, per converso, efficacia, tra questi ultimi, l’opposto principio della parziarietà dell’obbligazione, con la conseguenza che, nella ipotesi di pagamento parziale del debito solidale, al condebitore adempiente spetta l’azione di regresso nei confronti degli altri condebitori soltanto se la somma da lui pagata ecceda la quota di sua spettanza, e soltanto nei limiti di tale eccedenza, previa concreta dimostrazione, in sede giudiziaria, che la prestazione da lui eseguita risulti effettivamente superiore alla sua quota (Cass. 7 dicembre 1998, n. 12366). n Il condebitore solidale, sia ex contractu, sia ex delicto, che paga al creditore una somma maggiore rispetto alla parte incombentegli (artt. 1299 e 2055 c.c.), ha diritto di regresso anche se non ha corrisposto l’intero, perché la ratio delle norme è il depauperamento del suo patrimonio oltre il dovuto e il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori (Cass. 29 gennaio 1998, n. 884). 3. Datio in solutum. n Il debitore in solido ha diritto di regresso in confronto degli altri condebitori anche quando l’estinzione del diritto del creditore sia stata conseguita mediante datio in solutum ma, in questo caso, il diritto di ripetizione pro quota si rapporta al valore della prestazione effettuata sino concorrenza di quello della prestazione dovuta e cosı̀ alla minor somma tra questo ed il valore della prestazione eseguita in luogo dell’adempimento (Cass. 28 ottobre 1988, n. 5852). 4. Surrogazione. n In tema di obbligazioni solidali, il regresso trova fondamento nella corresponsabilità ed è volto ad evitare l’ingiustificato depauperamento del solvens che ha adempiuto a 1326 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI titolo di garanzia; a quest’ultimo spetta, altresı̀, la surrogazione nei confronti del debitore garantito, caratterizzata da presupposti e contenuto diversi, sicché esse sono complementari pur se non cumulabili, potendo essere esercitate entrambe le relative azioni nei limiti in cui il regresso sia diretto ad ottenere quanto spettante in eccedenza rispetto al credito oggetto della vicenda successoria della surrogazione (Cass. 30 ottobre 2007, n. 22860). n Nell’azione di regresso fra condebitori, prevista dall’art. 1299 c.c., il debitore che ha adempiuto il debito comune fa valere il suo diritto alla surrogazione legale a norma dell’art. 1203 n. 3 c.c., con la conseguenza che diventano a lui opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore in solido, relative a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione; in tale azione, inoltre, il termine d’inizio della prescrizione coincide con quello in cui il debitore in solido abbia adempiuto l’intera obbligazione (Cass. 28 marzo 2001, n. 4507). 5. Assicurazione per conto di chi spetta. n Nel caso di assicurazione per conto di chi spetta, correlata ad un contratto di trasporto, verificatasi la perdita delle merci trasportate ed assicurate ed il pagamento del valore delle merci al proprietario da parte del trasportatore, non può essere escluso a priori il diritto di surroga di quest’ultimo ex art. 1203 n. 3, c.c. per non avere il trasportatore pagato un debito altrui e per la diversità dei titoli in base ai quali assicuratore e trasportatore sono obbligati verso il proprietario delle merci, atteso che l’obbligazione solidale può nascere da una pluralità di fatti o mezzi giuridici (sempre che tutti i debitori siano obbligati ad un’unica prestazione) e che si deve invece accertare se, sulla base dei rispettivi contratti, l’assicuratore e il trasportatore fossero tenuti alla stessa prestazione, in guisa tale che l’adempimento dell’uno libera anche l’altro, cosı̀ da rendere operante in favore del trasportatore il regresso ex artt. 1298 e 1299 c.c. e la surroga, ad esso correlata, negli stessi limiti, tenendo conto dell’eventuale deroga contrattuale nei riguardi dei diritti dell’assicuratore derivanti dall’art. 1916 c.c. (Cass. 14 marzo 1996, n. 2120). 6. Eccezioni opponibili contro la pretesa di regresso. n È inammissibile per sopravvenuto difetto d’interesse il ricorso per cassazione proposto dai coobbligati solidali nel caso in cui il credito, oggetto della pretesa azionata, sia stato estinto da un condebitore, atteso il pieno effetto liberatorio Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE prodottosi nei loro confronti; con la conseguenza che è preclusa l’opponibilità al creditore delle eccezioni spettanti al debitore principale, ammissibili, semmai, nei soli confronti del condebitore pagante, laddove questi agisca in regresso, facendo valere il suo diritto alla surrogazione legale (Cass. 28 gennaio 2009, n. 2192). n In caso di obbligazione solidale dal lato passivo, l’accertamento del debito nei riguardi di uno solo dei condebitori non richiede la necessaria partecipazione al giudizio anche dell’altro e non fa stato nei suoi confronti; ciò non impedisce tuttavia al debitore escusso di agire in rivalsa verso il condebitore solidale, adducendo il fatto di aver dovuto soddisfare le ragioni del comune creditore, fermo restando che il convenuto in questo secondo giudizio è libero di proporre tutte le eccezioni idonee a paralizzare la pretesa dell’attore, anche in relazione a quanto già accertato nella precedente causa cui egli non ha partecipato (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2469). n I condebitori, nei cui confronti il debitore che ha adempiuto fa valere il suo diritto di regresso, possono opporre i fatti estintivi, impeditivi o limitativi del debito comune solo se questi fatti sono precedenti alla data dell’adempimento e concretamente opponibili al creditore nel momento dell’adempimento (nella specie, alcuni ex soci di una società estinta avevano pagato debiti tributari della medesima fatti valere mediante un ruolo esattoriale divenuto esecutivo; il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla suprema corte in applicazione del riportato principio, aveva rigettato la domanda di regresso nei confronti degli altri ex soci, pacificamente nel caso concreto analogamente tenuti in solido per ogni sopravvenienza societaria passiva, sulla base del rilievo astratto che si trattava di un’obbligazione tributaria già adempiuta sulla base di altro procedimento di riscossione e che quindi, da un lato, sarebbe stato possibile attivare una procedura di rimborso, e, dall’altro, il pagamento posto a base dell’azione di regresso non poteva tecnicamente qualificarsi come dovuto) (Cass. S.U. 5 febbraio 1999, n. 32). 7. Mantenimento dei figli. n Spetta al tribunale ordinario (e non al tribunale per i minorenni) giudicare sulla domanda di regresso proposta da uno dei genitori (nella specie a seguito della conclusione della convivenza tra genitori naturali) in nome proprio, nei confronti dell’altro, al fine di ottenere, ai sensi dell’art. 1299 c.c., il rimborso pro quota delle spese sostenute per sé, nel periodo anteriore alla nascita dei figli, e per la prole, trattandosi di lite tra due soggetti maggioren- Art. 1299 ni, che ha come causa petendi la comune qualità di genitori, e non essendo la domanda assimilabile a (né connessa con) quelle contemplate dall’art. 38 disp. att. c.c. riguardanti l’affidamento e il mantenimento dei figli minorenni (Cass. 13 gennaio 2011, n. 674). n L’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da entrambi i genitori, per effetto della sentenza dichiarativa della filiazione naturale, collegandosi allo status genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita del figlio, con la conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell’art. 1299 c.c.; pertanto, il quantum dovuto in restituzione nel periodo di mantenimento esclusivo non può essere determinato sulla base dell’importo stabilito per il futuro nella pronuncia relativa al riconoscimento del figlio naturale, via via devalutato, in quanto l’ammontare dovuto trova limite negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero sostenuto la spesa senza però prescindere né dalla considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti ed evidenziati, eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze processuali, né infine dalla correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei suoi genitori (Cass. 4 novembre 2010, n. 22506). n Posto che il genitore, una volta accertata la filiazione naturale ovvero riconosciuto il figlio naturale, deve contribuire al mantenimento dalla nascita, nonché, dalla stessa data, deve rimborsare pro quota – secondo il regime delle obbligazioni solidali – l’altro genitore che abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio medesimo, tale rimborso va quantificato tenendo conto di quanto l’obbligato avrebbe dovuto corrispondere qualora il riconoscimento avesse avuto luogo fin dalla nascita del figlio, fermo che egli non può essere tenuto a contribuire anche a spese irragionevoli, operando pur sempre il principio secondo cui i genitori devono adempiere l’obbligo di mantenimento verso i figli in proporzione delle loro sostanze, secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo, sicché deve escludersi che il genitore in parola abbia tacitamente accettato le spese sostenute dall’altro, conferen1327 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1299 dogli una sorta di delega in bianco che gli impedirebbe poi di contestarne le pretese (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che ha fatto corretta applicazione di tale principio, quantificando il rimborso a carico del padre motivando adeguatamente in relazione alle esigenze della figlia e alle condizioni economiche dei genitori, con conseguente incensurabilità in sede di legittimità dell’affermata eccessività delle spese di cui l’altro genitore aveva chiesto il rimborso) (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4588). n La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 c.c., e, quindi, a norma dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c.; la relativa obbligazione si collega allo status genitoriale e assume di conseguenza pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali; tuttavia, in considerazione dello stato di incertezza che precede la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna altresı̀ il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso (Cass. 11 luglio 2006, n. 15756). n La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 c.c., e, quindi, a norma dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c.; la relativa obbligazione si collega allo status, genitoriale e assume di conseguenza pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al cit. art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali; peraltro, la condanna al rimborso di detta quota per il periodo precedente la proposizione dell’azione non può prescindere da 1328 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI un’espressa domanda della parte, attenendo tale pronunzia alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali, ossia a diritti disponibili, e quindi non incidendo sull’interesse superiore del minore, che soltanto legittima l’esercizio dei poteri officiosi attribuiti al giudice dall’art. 277, comma 2, c.c.; la necessità di analoga domanda non ricorre riguardo ai provvedimenti da adottare in relazione al periodo successivo alla proposizione dell’azione, atteso che, durante la pendenza del giudizio, resta fermo il potere del giudice adı̀to, in forza della norma suindicata, di adottare di ufficio i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore (in applicazione di detti principi, la suprema corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva escluso, rigettando la contraria pretesa, che nell’esercizio dei poteri officiosi conferitigli dall’art. 277, comma 2, c.c., il giudice potesse disporre per il periodo antecedente la proposizione del giudizio, in assenza di domanda dell’altro genitore, peraltro nella specie non proponibile non avendo la ricorrente agito in proprio, ma solo in nome e per conto del figlio minorenne) (Cass. 16 luglio 2005, n. 15100). n Al fine di stabilire se l’azione diretta ad ottenere il mantenimento del figlio diventato maggiorenne spetti direttamente a quest’ultimo oppure al genitore separato o divorziato con cui continua a coabitare, occorre distinguere l’ipotesi del figlio che faccia valere direttamente la sua pretesa sulla base di una sua autonoma posizione, per cui la legittimazione spetta esclusivamente allo stesso figlio, da quella in cui il figlio ometta di esercitare i suoi diritti nei confronti del genitore con cui non convive, lasciando che al suo mantenimento provveda direttamente e totalmente il genitore con cui convive, atteso che in tale ipotesi quest’ultimo genitore è legittimato ad agire iure proprio per il rimborso di quanto da lui costantemente anticipato per conto dell’altro coniuge, tenuto al mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., trattandosi di obbligazione solidale alla quale sono applicabili gli artt. 1298 e 1299 c.c. (Cass. 29 marzo 1994, n. 3049). 8. Comunione di diritti reali. n In tema di comunione di diritti reali, la disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 1104 c.c. (secondo la quale il cessionario del partecipante è tenuto in solido col cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati) può essere invocata solo dal creditore, non da terzi estranei al rapporto obbligatorio; pertanto, qualora un condominio paghi debiti inerenti un periodo anteriore alla propria costituzione (e relativi ai precedenti comproprie- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE tari), non può invocare la suddetta norma nei confronti degli aventi causa degli originari comproprietari, assumendo di avere estinto un debito non proprio; in tale ipotesi, il condominio non può neppure invocare le norme in materia di obbligazioni solidali, in quanto, non essendo esso ancora costituito al momento in cui il debito sorgeva e non avendo perciò assunto la qualità di (con)debitore, ha estinto un debito di altri e non anche di altri, onde non può agire in regresso ex art. 1299 c.c. (Cass. 26 marzo 1997, n. 2657). 9. Assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. n In tema di assicurazioni obbligatorie per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, non ha giuridico fondamento l’ipotesi secondo cui la pretesa dell’assicurato di essere tenuto indenne dall’assicuratore per le somme che sia costretto a pagare al danneggiato per i danni a questi cagionati con la propria vettura a seguito di incidente stradale, debba ricomprendersi non nell’ambito dell’art. 2055 c.c., bensı̀, trattandosi di obbligazione solidale ex delicto, nella disciplina di cui all’art. 1299 c.c., (con la conseguenza che, non essendovi la prova del pregresso pagamento a favore del danneggiato da parte dell’assicurato, quest’ultimo non può esperire l’azione di regresso nei confronti dell’assicuratore); tale assunto, infatti, se può avere una qualche giustificazione a fronte di una domanda di condanna del solo assicuratore, certamente non può averla con riguardo alla domanda di mero accertamento del diritto di regresso dell’assicurato nei confronti della propria compagnia di assicurazioni (Cass. 8 marzo 2007, n. 5331). n Tra il proprietario, il conducente del veicolo, il loro assicuratore della responsabilità civile ed il trasportato corresponsabile del danno nei confronti di altro soggetto, si realizza, nei confronti del danneggiato, un’ipotesi di solidarietà nel debito risarcitorio, disciplinata nei rapporti interni non regolati dal rapporto assicurativo dai principi propri delle obbligazioni soggettivamente complesse; ne consegue che l’azione di regresso proposta dall’assicuratore della responsabilità civile di uno dei corresponsabili del sinistro stradale nei confronti del corresponsabile trasportato, è disciplinata dall’art. 1299, comma 1, c.c., non dall’art. 2055 c.c., che opera soltanto indirettamente al fine di determinare la parte di debito risarcitorio facente carico a ciascuno dei soggetti a cui è imputabile l’illecito, su cui poi va commisurato il quantum del debito da indennizzo dell’assicuratore, e neppure dall’art. 1916 c.c., Art. 1299 dettato per la diversa ipotesi della surroga dell’assicuratore al danneggiato-assicurato nei suoi diritti contro il danneggiante (Cass. 6 giugno 2002, n. 8216). n La solidarietà che, in forza dell’art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, vincola il responsabile-assicurato ed il suo assicuratore nei confronti del danneggiato dipende esclusivamente dall’attribuzione ex lege allo stesso danneggiato, in deroga ai principi che regolano l’assicurazione per la responsabilità civile, dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore e si caratterizza come un’ipotesi di solidarietà atipica ‘‘ad interesse unisoggettivo’’, stante la diversità dei titoli per cui sono tenuti verso il danneggiato il responsabile e l’assicuratore, il primo obbligato ex delicto, il secondo obbligato ex lege; ne discende che detta solidarietà, non essendo configurabile oltre i limiti della espressa previsione legislativa, deve ritenersi operante soltanto in favore del danneggiato, del quale rafforza la tutela, e non anche nei rapporti tra l’assicurato responsabile e gli altri soggetti con il medesimo coobbligati in quanto anch’essi responsabili del danno, con la conseguenza che, qualora uno di tali coobbligati risarcisca il danneggiato estinguendone il credito risarcitorio, l’azione di regresso resta da lui proponibile nei confronti del coobbligato assicurato e non anche nei confronti del suo assicuratore (Cass. 7 luglio 1999, n. 7019). 10. Assicurazione contro gli infortuni. n Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gl’infortuni, compreso l’evento morte, la prestazione dell’assicuratore, quale obbligazione pecuniaria (avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art. 1882, seconda proposizione, c.c.), costituisce debito di valuta (art. 1277 c.c.); nel caso in cui uno dei beneficiari riscuota per intero il capitale assicurato, il debito nei confronti degli altri beneficiari non diviene di valore, mutando solo il soggetto obbligato alla prestazione, non già l’oggetto di essa, costituito pur sempre da una somma di denaro, dovuta, o a titolo di regresso fra creditori in solido (combinato disposto degli artt. 1298 e 1299 c.c.), ovvero a titolo di restituzione di quote indebitamente percepite (art. 1314 c.c.), ovvero a titolo di ripetizione dell’indebito soggettivo ex latere accipientis (combinato disposto degli artt. 1189, comma 2, e 2033 c.c.) (Cass. 10 novembre 1994, n. 9388). 11. Azione di rivalsa e azione di regresso. n L’azione di rivalsa presuppone che l’obbligazione gravante su un soggetto possa essere trasferita ad un terzo tenuto, per legge o per contratto, a 1329 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1299 rivalere il soccombente di quanto egli sia tenuto a pagare al creditore; la medesima non è pertanto ipotizzabile nel caso di più debitori tenuti in solido a risarcire il danno derivante da un fatto ad essi imputabile, in quanto ciascuno è obbligato nei confronti del danneggiato per l’intero, salva l’azione di regresso di colui che abbia corrisposto l’intero credito nella misura determinata dalla gravità delle rispettive colpe e dalle conseguenze da esse derivanti (Cass. 20 giugno 2000, n. 8371). 12. Aspetti processuali. n In tema di obbligazioni solidali passive, il pagamento integrale da parte di uno dei coobbligati, ed il successivo esperimento da parte di quest’ultimo dell’azione di regresso nei confronti degli altri condebitori, determinano l’esaurimento del lato interno dell’obbligazione; ne consegue che quando sia stata pronunciata sentenza di condanna in solido nei confronti di più debitori ed uno di questi, dopo avere rifuso la propria quota di obbligazione solidale ad altro condebitore in via di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c., impugni vittoriosamente la sentenza di condanna, ove intenda ottenere la restituzione della somma pagata a titolo di regresso deve agire non nei confronti del condebitore che l’ha materialmente ricevuta, ma nei confronti del creditore, a nulla rilevando che la suddetta sentenza di condanna sia passata in giudicato nei confronti di altri coobbligati non impugnanti (Cass. 25 settembre 2009, n. 20657). n All’interno di un giudizio di risarcimento dei danni provocati da un incidente stradale, il conducente dell’autovettura è legittimato a spiegare intervento adesivo rispetto alla posizione del proprietario che sia stato convenuto in giudizio, essendo debitore solidale dello stesso, e come tale esposto, in caso di soccombenza del proprietario, all’esercizio nei propri confronti dell’azione di regresso ex art. 1299 c.c.; ne consegue che, una volta che egli sia divenuto parte del giudizio spiegando il relativo intervento, ha diritto alla liquidazione in proprio favore delle spese in caso di soccombenza dell’attore (Cass. 11 dicembre 2003, n. 18944). n Il principio secondo cui è ammissibile la condanna del condebitore solidale, chiamato in causa in via di regresso, condizionatamente all’adempimento dell’obbligazione solidale da parte dell’altro condebitore, opera soltanto quando vi sia un simultaneus processus sul credito principale che giustifichi, in termini di economia di giudizi, la contemporanea pronuncia sul credito di regresso e sia definitivamente accertata, a carico del condebitore che chiede la condanna condizionale, la pretesa del credito 1330 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI (nella specie dalla Suprema Corte è stata cassata la decisione del giudice del merito che aveva accolto la domanda di condanna condizionale avanzata dal venditore di un immobile a carico dell’acquirente in relazione all’obbligo di pagamento dell’imposta di registro, di cui era ignoto nei suoi esiti il processo pendente avanti alla commissione tributaria) (Cass. 13 gennaio 1994, n. 297). 13. Fallimento. n Esercitata l’azione risarcitoria, da parte del nuovo curatore fallimentare, nei confronti di una banca, per la sottrazione di somme depositate su libretto di deposito a risparmio nominativo intestato ad un fallimento, ma oggetto di indebiti prelievi da parte di persona non autorizzata e diversa dal cessato curatore e conclusa con il predetto terzo una transazione, con restituzione da parte della banca degli importi cosı̀ prelevati e cessione a suo favore dei diritti vantati dalla massa nei confronti del cessato curatore fallimentare, la successiva azione con cui la banca chieda affermarsi la responsabilità del cessato curatore non necessita dell’autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell’art. 38 l.fall.; con essa, infatti, detto terzo non agisce come organo della procedura o sostituto del curatore, bensı̀ a tutela di un interesse proprio, avendo provveduto al risarcimento, e perciò a titolo di surroga nei diritti vantati dal fallimento verso il curatore revocato, e dunque ex art. 1203 n. 3 c.c. ovvero in regresso ex art. 1299 c.c., ma in ogni caso con autonoma legittimazione, che ha il suo titolo proprio nell’adempimento della predetta transazione, ex art. 35 l.fall. (Cass. 13 gennaio 2011, n. 710). n Il credito di regresso del fideiussore che abbia pagato integralmente il creditore dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale fallito ha natura concorsuale in quanto, oltre a trarre origine da un atto giuridico anteriore all’apertura della procedura fallimentare, esclude dal concorso, con effetto surrogatorio, il credito estinto e può quindi essere esercitato dal solvens, nei limiti imposti dalle regole inderogabili del concorso, anche quando questi non abbia chiesto e ottenuto in precedenza la insinuazione al passivo con riserva, ex art. 55 l.fall., della propria pretesa di rivalsa (Cass. 17 gennaio 2008, n. 903). n Nell’ipotesi in cui, concessa ipoteca da due condebitori solidali su di un immobile di proprietà comune, sia intervenuto il fallimento di uno dei condebitori e il bene sia stato venduto all’incanto, il credito in via di regresso vantato nei confronti del fallimento dal condebitore solidale escusso non è assistito da prelazione ai sensi dell’art. 2808 c.c., non es- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE sendo contemporaneamente configurabile, nella medesima vicenda esecutiva, l’estinzione della garanzia (determinatasi col decreto di trasferimento del bene e l’ordine di cancellazione dell’i- Art. 1301 poteca) e l’attribuzione di una nuova titolarità soggettiva presupponente la sopravvivenza della garanzia stessa (Cass. 22 gennaio 1999, n. 555). 1300 Novazione – [1] La novazione tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori. Qualora però si sia voluto limitare la novazione a uno solo dei debitori, gli altri non sono liberati che per la parte di quest’ultimo. [2] Se convenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la novazione ha effetto verso gli altri creditori solo per la parte del primo. 1301 Remissione – [1] La remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori, salvo che il creditore abbia riservato il suo diritto verso gli altri, nel qual caso il creditore non può esigere il credito da questi, se non detratta la parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione. [2] Se la remissione e` fatta da uno dei creditori in solido, essa libera il debitore verso gli altri creditori solo per la parte spettante al primo. Remissione tacita. n In tema di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale, l’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero risarcimento, proposta dal trasportato danneggiato nei confronti del conducente di uno solo dei veicoli coinvolti in uno scontro, non implica di per sé una remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno, né una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima un comportamento inequivoco che riveli la volontà del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest’ultimo (Cass. 2 luglio 2010, n. 15737). n In tema di solidarietà passiva, qualora il creditore agisca, ai sensi dell’art. 1292 c.c., contro uno qualsiasi dei condebitori solidali, esercita un suo preciso diritto che, però, non può comportare automatica rinuncia del credito nei confronti dell’altro o degli altri condebitori solidali, poiché, diversamente, si contraddirebbe la stessa facoltà di scelta che la citata norma riconosce al creditore ed il diritto del debitore solidale escusso di rivalersi nei riguardi dei suoi condebitori solidali per le quote di rispettiva responsabilità; tale conclusione si impone anche se l’azione sia stata esercitata nei confronti di uno soltanto dei condebitori solidali a causa della convinzione che questo, e non altri, sia il debitore, dato che la volontà di remissione presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza, nel creditore, dell’esistenza del debito, non potendo certo configurarsi la remissione di un debito che lo stesso remittente reputasse, a torto o a ragione, inesistente (nella specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza, con la cui motivazione, in violazione delle norme che governano la solidarietà passiva nei rapporti obbligatori, era stato erroneamente ravvisato che la convinzione dell’esclusiva responsabilità del conducente di un veicolo, la quale aveva indotto il danneggiato ad orientare la sua azione solo contro la società assicuratrice dello stesso veicolo, oltre che del suo proprietario, aveva comportato l’abbandono della possibilità di azione contro il proprietario dell’automezzo nel quale egli aveva preso posto, cosı̀ desumendone la rinuncia a quest’ultima azione) (Cass. 14 luglio 2006, n. 16125). n Nel caso di scontro tra veicoli, la proposizione dell’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero risarcimento da parte del danneggiato unitamente ad uno dei conducenti coinvolti nel sinistro, con unico difensore, contro il conducente dell’altro veicolo, non implica una remissione tacita del debito nei riguardi del corresponsabile del danno (con derivante impossibilità di esigere dal secondo conducente obbligato l’intero credito, dovendosi da questo detrarre la quota corrispondente al debito rimesso all’altro condebitore ai sensi dell’art. 1301 c.c.), poiché la volontà di rimettere il debito non può presumersi, ma deve emergere da un comportamento concludente che riveli in modo univoco l’intenzione del creditore di non avvalersi del credito (nella specie, la suprema corte, rigettando il relativo motivo di ricorso e confermando la sentenza di merito impugnata enun1331 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1302 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI ciando il riportato principio, ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di appello che aveva ravvisato l’insussistenza della remissione del debito, rilevante agli effetti di cui all’art. 1301 c.c., 1302 nella intervenuta rinuncia agli atti del giudizio – o, comunque, ad una domanda – nei confronti di uno dei possibili corresponsabili del sinistro) (Cass. 12 settembre 2005, n. 18090). Compensazione – [1] Ciascuno dei debitori in solido può opporre in compensazione il credito di un condebitore solo fino alla concorrenza della parte di quest’ultimo. [2] A uno dei creditori in solido il debitore può opporre in compensazione ciò che gli e` dovuto da un altro dei creditori, ma solo per la parte di questo. Accollo. n In forza del coordinato disposto degli artt. 1302 e 1273 c.c., l’accollante, nella sua qualità di condebitore in solido dell’accollato, è le- gittimato ad opporre in compensazione all’accollatario i crediti dell’accollato medesimo (Cass. 2 dicembre 1993, n. 11956). 1303 Confusione – [1] Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di creditore e di debitore in solido, l’obbligazione degli altri debitori si estingue per la parte di quel condebitore. [2] Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di debitore e di creditore in solido, l’obbligazione si estingue per la parte di questo. 1304 Transazione – [1] La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare. [2] Parimenti, se e` intervenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la transazione non ha effetto nei confronti degli altri creditori, se questi non dichiarano di volerne profittare. SOMMARIO: 1. Dichiarazione di voler profittare della transazione – 2. Oggetto della transazione – 3. Transazione novativa – 4. Fideiussione – 5. Assicurazione – 6. Società – 7. Aspetti processuali 1. Dichiarazione di voler profittare della transazione. n La norma di cui all’art. 1304, 1o comma, c.c. si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata (spettando al giudice del merito verificare quale sia l’effettiva portata contenutistica del contratto), giacché è la comunanza dell’oggetto della transazione stessa a far sı̀ che possa avvalersene il condebitore solidale pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e, quindi, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti; la conseguente riduzione dell’ammontare dell’intero debito, pattuita in via transattiva con un solo dei debitori, che opera anche nei confronti del condebitore il quale dichiari di voler profittare della transazione, non può essere impedita dall’inserimento nel medesimo contratto di una clausola di contrario tenore, essendo 1332 inibito alle parti contraenti disporre dell’anzidetto diritto potestativo che la legge attribuisce ad un terzo estraneo al vincolo negoziale (Cass. S.U. 30 dicembre 2011, n. 30174). n Qualora intervenga una transazione tra uno dei condebitori solidali e il creditore, il condebitore rimasto estraneo ad essa può dichiarare, a norma dell’art. 1304, 1o comma, c.c., di volerne profittare; in questo caso, l’accordo transattivo spiega una efficacia diretta anche nei suoi confronti, senza che il creditore possa precludergli questa possibilità, in quanto non è applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 1411, 2o comma, c.c., che consente allo stipulante di revocare o modificare la stipulazione finché il terzo non dichiari di volerne profittare, in quanto il condebitore solidale non è terzo rispetto al rapporto oggetto di transazione (Cass. 15 maggio 2003, n. 7548). n Il principio che deriva dalla disposizione di cui al- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE l’art. 1304, 1o comma, c.c., secondo il quale la transazione, fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, giova agli altri che dichiarano di volerne profittare, opera solo in mancanza di diversa e contraria manifestazione di volontà del creditore, contenuta nella transazione stessa ovvero in una clausola aggiunta ad essa, atteso che come i condebitori possono, omettendo la dichiarazione suddetta, escludere l’efficacia della transazione per se stessi, cosı̀ il creditore può, in virtù del principio della autonomia negoziale, impedire che l’efficacia stessa sia a loro estesa; pertanto nella transazione tra il creditore ed uno o più dei condebitori solidali è perfettamente legittimo che sia inserita una clausola che escluda la possibilità per gli altri condebitori, che non hanno partecipato alla transazione, di profittare della stessa; in tal caso, l’unico effetto di tale transazione è ridurre l’importo globale del debito solidale in misura pari alla somma pagata dal transigente (Cass. 3 marzo 2011, n. 5108). n La dichiarazione del condebitore di voler profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c. non costituisce un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad essa pertinenti, bensı̀ un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo, senza requisiti di forma né limiti di decadenza (Cass. 23 febbraio 2005, n. 3747). n La dichiarazione del condebitore solidale di voler profittare della transazione già conclusa tra altro condebitore e terzo costituisce esercizio di un diritto potestativo, e non manifestazione della volontà di concludere un contratto, e come tale può essere effettuata con libertà di forme anche dal procuratore del condebitore rimasto estraneo alla transazione, senza che occorra un mandato speciale, e può esser resa anche al procuratore alle liti del creditore (in applicazione di tale principio di diritto, la suprema corte ha ritenuto che, avendo il controricorrente dichiarato di voler profittare della transazione intervenuta tra la condebitrice compagnia di assicurazioni per la rca e il terzo creditore, il creditore non potesse poi agire in giudizio nei suoi confronti per ottenere la differenza tra la somma liquidatagli dal giudice di merito e la minor somma transatta) (Cass. 15 maggio 2003, n. 7548). n La dichiarazione di un condebitore di voler profittare della transazione intervenuta tra altro condebitore solidale e il creditore (art. 1304 c.c.), è un diritto potestativo che non ammette equipollenti – e perciò non può essere sostituita dalla rinuncia del creditore ad eccepirne la mancanza – ma può esser manifestata, senza termini di decadenza e requisiti di forma, anche Art. 1304 in corso di giudizio (Cass. 29 gennaio 1998, n. 884). n La dichiarazione del debitore solidale di volere profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c. non è soggetta ad alcuna forma particolare e può essere fatta anche in corso di giudizio dal procuratore ad litem (Cass. 29 agosto 1995, n. 9101). n La transazione è atto negoziale con il quale le parti pongono fine ad una vicenda giudiziaria facendosi concessioni reciproche (e, dunque, prescindendo dall’affermazione o dalla negazione di qualunque reciproca responsabilità), e non ha, pertanto, alcuna natura di confessione stragiudiziale, dannosa per gli eventuali condebitori; da tale natura ‘‘neutra’’ dell’atto di transazione rispetto al punto della questione controverso la legge fa discendere, in via ordinaria, la mancanza di effetti nei confronti dei soggetti che ad essa non abbiano partecipato, salvo che, avendone titolo in qualità di condebitori, essi non chiedano di profittarne (Cass. 29 settembre 2004, n. 19549). 2. Oggetto della transazione. n Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto (Cass. S.U. 30 dicembre 2011, n. 30174). n In tema di transazione, la disposizione di cui all’art. 1304, comma 1, c.c., secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori solidali giova agli altri che dichiarino di volerne profittare, si riferisce soltanto alla transazione avente ad oggetto l’intera obbligazione solidale, mentre quando essa è limitata alla sola quota interna del debitore che la stipula, la transazione non interferisce sulla quota interna degli altri condebitori; in questo caso, infatti, si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, con il conseguente automatico scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati nei limiti della loro quota (fattispecie in tema di sinistro stradale a seguito del quale il danneggiato aveva transatto il risarcimento con alcuni condebitori, dichiarando espressamente di voler 1333 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1304 liberare soltanto costoro dalla relativa obbligazione) (Cass. 24 gennaio 2012, n. 947). n La transazione fatta dal creditore con alcuni dei debitori in solido, avente ad oggetto la sola quota dei coobbligati stipulanti, con espressa riserva di conservazione del credito verso il debitore non stipulante, nei limiti della rispettiva quota, è estranea all’ambito di applicazione dell’art. 1304, comma 1, c.c., e produce l’effetto dello scioglimento del vincolo solidale; tale effetto, pur determinato dalla volontà manifestata dai soli soggetti contraenti, rispetto alla quale il debitore coobbligato è terzo, si produce indirettamente nei confronti di quest’ultimo, incidendo sulla prestazione che forma oggetto dell’obbligazione solidale e operando, dal punto di vista soggettivo, in senso favorevole al terzo stesso, il quale resta, infatti, obbligato, ai sensi dell’art. 1292 c.c., soltanto nei limiti della propria quota, se ed in quanto dovuta, essendo libero di opporre al creditore eccezioni sia personali, sia relative all’obbligazione originaria (Cass. 30 novembre 2011, n. 25553). n La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, ai sensi dell’art. 1292 c.c., e tale vincolo sussiste – tanto quando la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale – anche se l’evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo, restando irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale; pertanto, in caso di transazione tra uno dei coobbligati ed il danneggiato, l’art. 1304, comma 1, c.c. si applica soltanto se la transazione abbia riguardato l’intero debito solidale, mentre, laddove l’oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, cosı̀ che, per effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono obbligati nei limiti della loro quota (Cass. 8 luglio 2009, n. 16050). n Se uno dei condebitori solidali transige la lite con l’unico creditore, pagando una somma astrattamente corrispondente alla propria quota di debito, l’unico effetto di tale transazione nei confronti degli altri condebitori è lo scioglimento della solidarietà rispetto al transigente, e la riduzione del debito complessivo in misura pari all’importo pagato da questi, mentre non trova applicazione l’art. 1304, comma 1, c.c., dettato unicamente per le ipotesi in cui la transazione abbia riguardato l’intero debito (Cass. 22 giugno 2009, n. 14550). 1334 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI n In tema di transazione, la disposizione di cui all’art. 1304, comma 1, c.c., secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori solidali giova agli altri che dichiarino di volerne profittare, si riferisce soltanto alla transazione stipulata per l’intero debito solidale e non è quindi applicabile quando la transazione è limitata al solo rapporto interno del debitore che la stipula; in questo caso, infatti, si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, con il conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati nei limiti della loro quota (nella specie la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito perché aveva ritenuto che il ricorrente – chiamato a rispondere insieme ai rispettivi concessionari della simulazione di due diversi contratti di affitto agrario – non avendo dichiarato di volerne profittare, non poteva avvalersi della transazione, intervenuta tra gli attori ed alcuni degli altri convenuti, secondo cui i primi avrebbero proseguito il giudizio per la liquidazione dei danni ma rinunziavano a chiedere ai secondi – per la quota di debito degli stessi – il pagamento di quanto sarebbe stato loro liquidato dal giudice) (Cass. 27 marzo 2007, n. 7485). n Il debitore solidale rimasto estraneo alla transazione non può profittare a norma dell’art. 1304 c.c. della stessa, ove, conclusa dal creditore non riguardi l’intero debito solidale bensı̀ sia limitata alla quota interna del debitore che l’abbia stipulata, con la conseguenza di restare destinata a produrre solo la riduzione dell’intero debito per l’importo corrispondente alla quota transatta, senza interferenza di sorta sulla quota interna degli altri condebitori solidali (Cass. 5 luglio 1991, n. 7413). 3. Transazione novativa. n In ipotesi di transazione novativa, la transazione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare sia in ordine ai i rapporti esterni, sia a quelli interni (enunciando tale principio la suprema corte ha ritenuto che, essendo transazione e novazione fattispecie non assimilabili, la disciplina dell’una non si comunica a quella dell’altra, con la conseguente applicabilità, in tema di transazione novativa, dell’art. 1304 c.c.) (Cass. 18 aprile 2006, n. 8946). 4. Fideiussione. n In caso di fideiussione prestata da una pluralità di garanti, l’azione di regresso ai sensi dell’art. 1304 c.c. può essere esercitata solo quando possa riconoscersi un vincolo di so- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE lidarietà tra più fideiussori ed un unico debitore e, a tal fine, è necessario che la garanzia sia prestata per il medesimo debito, anche se non contestualmente, nella reciproca consapevolezza dell’esistenza dell’altrui garanzia e con l’intento di garantire congiuntamente il medesimo debito, ossia che ricorra la fattispecie giuridica della confideiussione; quando invece non vi sia solidarietà tra i fideiussori perché risultano prestate distinte fideiussioni da diversi soggetti in tempi successivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra essi o, al contrario, con espressa convenzione con il creditore volta a tenere differenziata la propria obbligazione con quella degli altri e, in ogni caso se manchi un collegamento correlato ad un interesse comune da fideiussori, la fideiussione deve qualificarsi ‘‘plurima’’ e non trova applicazione l’art. 1304 c.c. (Cass. 14 luglio 2010, n. 16561). n Non è invocabile il principio di inopponibilità della transazione, fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, all’altro condebitore che non voglia profittarne, sancito dall’art. 1304 c.c., allorché la banca creditrice, garantita da fideiussione omnibus, faccia valere la transazione, intervenuta con la curatela fallimentare a tacitazione delle pretese da essa azionate nel giudizio di revocatoria delle rimesse eseguite dal debitore principale sul conto corrente nel periodo sospetto anteriore al fallimento, non come fonte diretta dei diritti vantati nei confronti del fideiussore, condebitore solidale, bensı̀ soltanto come fatto storico rilevante ai fini del permanere della garanzia, stante la presenza, nella specie, nel contratto di fideiussione omnibus stipulato dalle parti, di una clausola prevedente la reviviscenza dell’obbligazione fideiussoria in caso di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore principale (Cass. 23 marzo 2004, n. 5720). 5. Assicurazione. n Tra l’assicuratore della rca e l’assicurato sussiste, nei confronti del terzo danneggiato, un vincolo di solidarietà passiva solo entro i limiti del massimale; da ciò consegue che la transazione stipulata tra l’assicuratore ed il terzo danneggiato giova all’assicurato soltanto nei limiti del massimale di polizza e che, se nella transazione non si afferma nulla in merito al danno eccedente tale limite, il danneggiante resta tenuto al risarcimento di quest’ultimo (Cass. 30 ottobre 2009, n. 23057). n La transazione produce i suoi effetti estintivi dell’obbligazione solidale nei limiti dell’obbligazione stessa e nei confronti di tutti i debitori solidali che dichiarano di volerne profittare, ma non si estende a quella parte dell’obbligazione non solidale perché dovuta Art. 1304 esclusivamente da uno dei debitori per un diverso titolo; pertanto la transazione stipulata dal locatore con l’assicuratore della cosa locata non si estende all’obbligazione risarcitoria del conduttore, ai sensi dell’art. 1589 c.c., per la parte eccedente l’indennizzo assicurativo per la perdita o il deterioramento della cosa derivante da incendio (Cass. 19 luglio 2002, n. 10564). n Nel sistema dell’assicurazione della responsabilità civile automobilistica introdotto dalla l. n. 990 del 1969, in cui, in considerazione dell’azione diretta attribuita al danneggiato nei confronti dell’assicuratore, entrambi i debitori – assicuratore e danneggiante – sono obbligati in solido tra loro nei confronti del danneggiato, la transazione conclusa dall’assicuratore con lo stesso danneggiato non è automaticamente efficace nei riguardi dell’assicurato-danneggiante, giacché, in tema di obbligazioni solidali, l’art. 1304 c.c. stabilisce che la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori produce effetto nei confronti degli altri solo se costoro dichiarano di volersene valere (Cass. 20 marzo 2001, n. 4005). n La transazione stipulata tra l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e il terzo danneggiato giova all’assicurato soltanto nei limiti del massimale di polizza; ne consegue che, se nella transazione nulla si dice in merito al danno eccedente tale limite, il danneggiante resta tenuto al risarcimento di quest’ultimo (Cass. 17 gennaio 2001, n. 573). n In materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, tra l’assicuratore, destinatario dell’azione diretta ex art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, e il danneggiante assicurato, destinatario dell’ordinaria azione risarcitoria prevista dall’art. 2054 c.c., sussiste un vincolo, ancorché atipico, di solidarietà passiva, entro il limite in cui le prestazioni sono identiche, quello cioè del massimale assicurato; consegue, che qualora intervenga una transazione sul danno tra il terzo danneggiato e l’assicuratore del danneggiante, l’effetto favorevole nei confronti del condebitore (assicurato) che dichiari di volerne profittare non potrà che manifestarsi negli stessi, identici limiti in cui opera la solidarietà, segnati dall’importo del massimale, ma non potrà mai estendersi alla quota di danno eccedente il massimale, in relazione alla quale esiste un unico e solo debito (illimitato), quello del danneggiante assicurato, che pertanto è il solo soggetto facultato a transigere con effetti che investano l’intero danno (nel caso di specie la corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che la transazione stipulata dall’assicuratore con i danneggiati nei limiti del massimale 1335 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1305 fosse efficace anche rispetto all’assicurato) (Cass. 2 agosto 2000, n. 10115). n In materia di sinistri stradali, il danneggiato che abbia transatto con l’assicuratore del danneggiante circa la misura del risarcimento, non può chiedere al responsabile del danno, se questi dichiari di volersi avvalere della transazione ai sensi dell’art. 1304 c.c., il pagamento, nei limiti del massimale, della differenza fra la misura del pregiudizio effettivamente subito e la minore somma transattivamente determinata, dal momento che il danneggiante con la dichiarazione di approfittamento, rende efficace nei propri confronti l’accordo transattivo al quale è rimasto estraneo, restando quindi obbligato verso il danneggiato solo per la parte eccedente il rischio assicurato, senza che al fine di affermare la sua responsabilità anche per la parte non eccedente tale rischio possa aver rilievo la clausola dell’accordo transattivo nella quale il danneggiato si riservi il diritto di agire per il recupero integrale del danno, non potendo tale clausola essere interpretata in modo da avere effetti contrastanti con il diritto del danneggiante, che abbia reso la dichiarazione di approfittamento, all’integrale garanzia assicurativa, entro i limiti del massimale (Cass. 3 marzo 1997, n. 1873). 6. Società. n In tema di società, l’amministratore convenuto in giudizio, unitamente ad altri soggetti, con l’azione sociale di responsabilità, non può giovarsi, ai sensi dell’art. 1304 c.c., della transazione intervenuta tra la società ed i coobbligati solidali, qualora la transazione non sia stata autorizzata dall’assemblea con deliberazione adottata senza il voto contrario della minoranza qualificata prevista dall’art. 2393 c.c.: tale delibera costituisce infatti una forma tipica ed inderogabile di espressione della volontà sociale, il cui difetto è causa di nullità assoluta ed insanabile della transazione stipulata con l’amministratore, trattandosi di un requisito prescritto a garanzia dei soci di minoranza, la cui tutela risulterebbe pertanto svuotata di ogni contenuto qualora, essendo convenuti anche soggetti che non rivestono la predetta qualità, l’atto in questione potesse perfezionarsi senza l’espressa autorizzazione richiesta da tale disposizione (Cass. 24 aprile 2007, n. 9901). 1305 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI 7. Aspetti processuali. n Nel giudizio instaurato nei confronti di più debitori solidali, la sopravvenuta transazione della lite tra il creditore ed uno dei debitori, comporta che il giudice del merito, in sede di dichiarazione della cessazione della materia del contendere, debba valutare se la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e, quindi, se sia intenzione di questi profittarne ex art. 1304 c.c. (fattispecie relativa a controversia sulla domanda di risarcimento del danno da occupazione appropriativa nei confronti del comune e dell’Iacp, in cui la suprema corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere limitatamente al rapporto tra l’attore ed il comune sulla base di una transazione tra essi intervenuta, non contenendo l’atto alcun riferimento all’Iacp, né risultando che quest’ultimo avesse inteso profittarne) (Cass. 10 novembre 2008, n. 26909). n Chi, dopo aver citato in giudizio per il risarcimento del danno i due responsabili solidali dell’evento lesivo, abbia ottenuto in via transattiva da uno dei convenuti il risarcimento parziale, non può più chiedere all’altro il risarcimento nella misura intera, ma solo nella misura ridotta della percentuale corrispondente alla quota transatta; conseguentemente, la relativa domanda, originariamente formulata in termini di richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento pro quota, dopo l’intervenuta transazione, deve essere interpretata, in conformità con il suddetto principio, come rinuncia alla solidarietà tra i due debitori per l’intero e limitazione della pretesa alla condanna del soggetto rimasto in giudizio al pagamento della sola parte dell’obbligazione che a lui avrebbe fatto carico nei rapporti interni con l’altro condebitore (nella specie, relativa ad una domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad un infortunio sul lavoro, la suprema corte ha considerato viziata da ultrapetizione la sentenza che, dopo l’intervenuta transazione tra il danneggiato e l’imprenditore committente, aveva condannato l’appaltatore al risarcimento dell’intero danno originariamente richiesto) (Cass. 17 maggio 2002, n. 7212). Giuramento – [1] Il giuramento sul debito e non sul vincolo solidale, deferito da uno dei debitori in solido al creditore o da uno dei creditori in solido al debitore, ovvero dal creditore a uno dei debitori in solido o dal debitore a uno dei creditori in solido, produce gli effetti seguenti: il giuramento ricusato dal creditore o dal debitore, ovvero 1336 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE Art. 1306 prestato dal condebitore o dal concreditore in solido, giova agli altri condebitori o concreditori; il giuramento prestato dal creditore o dal debitore, ovvero ricusato dal condebitore o dal concreditore in solido, nuoce solo a chi lo ha deferito o a colui al quale e` stato deferito. Giuramento decisorio deferito dal creditore al fideiussore di soggetto fallito. n Il creditore ha titolo per richiedere l’adempimento di un obbligazione solidale per l’intero ad ogni singolo debitore, né sussiste litisconsorzio necessario fra i condebitori solidali, inoltre, l’art. 1305 c.c. disciplina le conseguenze, nei confronti degli altri condebitori, del giuramento prestato da uno dei condebitori in solido, ma non postula, per il creditore, alcun onere di convenire in giudizio tutti i debitori solidali e di deferire a tutti il giuramento decisorio; è, pertanto, ammissibile il giuramento decisorio, deferito dal creditore al fideiussore di soggetto fallito, pur non essendo il giuramento deferibile, invece, né al fallito, che perde la capacità processuale, né al curatore fallimentare, terzo rispetto ai rapporti fra il fallito ed il creditore (Cass. 14 febbraio 2011, n. 3573). 1306 Sentenza – [1] La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. [2] Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi. SOMMARIO: 1. Ambito di applicazione – 2. Efficacia del giudicato – 3. Pagamento – 4. Concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo – 5. Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi – 6. Poteri officiosi del giudice – 7. Svalutazione monetaria – 8. Sentenza penale di assoluzione – 9. Condominio – 10. Assicurazione – 11. Fideiussione – 12. Società di fatto – 13. Società in nome collettivo – 14. Società in accomandita semplice – 15. Decreto ingiuntivo – 16. Equa riparazione per la non ragionevole durata del processo 1. Ambito di applicazione. n Nel giudizio promosso nei confronti di più condebitori in solido, la sentenza loro favorevole, passata in giudicato soltanto riguardo a taluno di essi per difetto di impugnazione, non può essere opposta dagli altri per impedire l’esame dell’impugnazione proposta nei loro confronti, né può essere rilevata dal giudice ai fini della declaratoria di preclusione dell’impugnazione medesima, non trovando applicazione l’art. 1306 c.c., che riguarda la diversa ipotesi in cui la sentenza sia stata resa in un giudizio, cui non abbiano partecipato i condebitori (Cass. 19 luglio 2012, n. 12515). n La regola di cui all’art. 1306, comma 2, c.c., secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza favorevole alla comunione pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla; se, invece, questi abbiano partecipato al medesimo giudizio, operano le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma (Cass. 29 gennaio 2007, n. 1779). n Il principio del giudicato riflesso, ovvero il principio per cui un coobbligato può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da altro coobbligato, anche se non vi ha partecipato, può essere invocato solamente da un soggetto che non sia diretto destinatario di un diverso e contrario giudicato formatosi nel frattempo (nella specie, la suprema corte ha riformato la sentenza di appello che aveva rigettato tutte le domande proposte dal ricorrente in primo grado, senza rilevare che esistevano due resistenti, per quanto solidalmente obbligati, uno dei quali non aveva impugnato la sentenza di primo grado mentre l’altro l’aveva impugnata solo in relazione ad uno dei due profili di condanna) (Cass. 6 aprile 2004, n. 6694). n La facoltà del debitore solidale di avvalersi della sentenza favorevole intervenuta fra il creditore ed altro coobbligato, concerne l’ipotesi in cui sul rapporto obbligatorio solidale sia stata pronunciata una sola sentenza i cui effetti possono co1337 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1306 municarsi al condebitore non in causa, mentre trova limiti alla sua applicazione nell’eventuale esistenza nei confronti del medesimo condebitore del giudicato contrario sul medesimo punto; pertanto, qualora i debitori solidali abbiano partecipato al giudizio, sia pure in un solo grado, essi sono soggetti alle preclusioni derivanti dal giudicato formatosi nei loro confronti nonché all’efficacia del giudicato medesimo qualora non abbiano proposto valida impugnazione (Cass. 6 novembre 1996, n. 9647). 2. Efficacia del giudicato. n Dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi; il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile né che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, né che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa, salvo che tale facoltà sia espressamente prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c. (fattispecie in materia tributaria) (Cass. 13 gennaio 2011, n. 691). n In tema di limiti soggettivi del giudicato, il disposto degli artt. 1306 e 1310 c.c. – i quali prevedono con riferimento alle obbligazioni solidali, e quindi ad un rapporto con pluralità di parti, ma scindibile, che i condebitori i quali non abbiano partecipato al giudizio tra il creditore ed altro condebitore possano opporre al primo la sentenza favorevole al secondo (ove non basata su ragioni personali) – costituiscono espressione di un più generale principio, operante a fortiori con riguardo a rapporti caratterizzati da inscindibilità, secondo cui alla parte non impugnante si estendono gli effetti derivanti dall’accoglimento dell’impugnazione proposta da altre parti contro una sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambi (nella specie, la suprema corte ha affermato l’enunciato principio di diritto ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., come novellato dall’art. 12 d.lgs. n. 40 del 2006, ritenendo l’immediata applicabilità di tale norma nella controversia esaminata, malgrado il ricorso fosse stato proposto avverso sentenza pubblicata anteriormente al 2 marzo 2006, sul presupposto che essa riguardava l’attività del giudice, senza alcun effetto per le parti) 1338 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI (Cass. 27 maggio 2009, n. 12260). n Nell’ipotesi di pronunzia di assoluzione di più soggetti chiamati a rispondere come condebitori in solido, la notificazione della sentenza, ancorché eseguita all’unico soccombente su richiesta di uno solo dei soggetti vittoriosi, vale a far decorrere il termine per proporre l’impugnazione anche contro tutte le altre parti; infatti il vincolo di solidarietà comporta che, decorso inutilmente il termine per proporre l’impugnazione contro il notificante, la pronunzia assolutoria acquista efficacia di giudicato nei confronti del medesimo; e tale giudicato fa stato – a norma dell’art. 1306 c.c. – anche a favore dei litisconsorti vittoriosi, qualora la decisione sia basata sulla radicale negazione del rapporto obbligatorio e non su ragioni personali al litisconsorte notificante (Cass. 8 maggio 1995, n. 5022). 3. Pagamento. n In tema di obbligazioni solidali passive, per le quali costituisce regola fondamentale che tutti i debitori siano tenuti ad un medesima prestazione in modo che l’adempimento di uno libera tutti i coobbligati (art. 1292 c.c.), l’avvenuto pagamento determina l’estinzione ipso iure del debito anche nei confronti di tutti gli altri coobbligati, e tale effetto estintivo, rilevabile e deducibile anche in sede di legittimità – atteso che l’eccezione di pagamento integra una mera difesa della quale il giudice deve tenere conto ove essa risulti comunque provata, anche in mancanza di un’espressa richiesta in tal senso – opera anche nei confronti di coobbligato che non si sia avvalso della facoltà di invocare, in altro giudizio di merito, l’estensione ex art. 1306 c.c. del giudicato già conseguito da un diverso debitore solidale (Cass. [ord.] 2 luglio 2012, n. 11051). n In tema di responsabilità solidale relativa ad obbligazione risarcitoria derivante da un fatto dannoso unico imputabile a più persone, il giudicato – che si formi nel processo dinanzi al giudice dichiarato competente – non può essere invocato nello stesso processo, nemmeno sotto forma di ‘‘efficacia riflessa’’ (in relazione al disposto dell’art. 1306 c.c.), che continua a svolgersi, sia pure in parte, dinanzi al giudice originariamente adı̀to; tuttavia, il giudicato ottenuto da uno dei coobbligati solidali – che si fondi sul medesimo titolo ed abbia il medesimo oggetto – non può risultare del tutto improduttivo di effetti nei confronti di altro coobbligato; infatti, la suddetta responsabilità solidale – plurisoggettiva ma riferibile al medesimo fatto dannoso – non incide sull’entità complessiva del risarcimento conseguibile (limitato, comunque, al danno effettivamente subı̀to), con la conseguenza che il pagamento, da parte di uno dei coobbligati, deter- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE mina l’estinzione ipso iure, dell’obbligazione, entro i limiti del pagamento effettuato, nei confronti di tutti gli altri coobbligati (ai sensi dell’art. 1292 c.c.) – ancorché questi non si siano avvalsi (ai sensi dell’art. 1306 c.c.) del giudicato, nei riguardi del coobbligato che abbia eseguito il pagamento – e tale effetto estintivo è rilevabile, a prescindere dall’eccezione di parte, nel giudizio di cognizione, perfino in sede di legittimità, mentre l’opponibilità del pagamento di altro condebitore – come il giudicato di condanna nei suoi confronti – non può ritenersi limitata alla contestazione dell’azione esecutiva, senza che ne risulti la preclusione del giudicato – quantomeno implicito – ove quel pagamento o quel giudicato fosse deducibile nel giudizio di cognizione; rimane fermo, in ogni caso, che il giudicato nei confronti di altro condebitore – quando non operi nemmeno la mera efficacia riflessa – non è idoneo a paralizzare l’azione esercitata nello stesso giudizio finalizzata all’ottenimento della liquidazione dei danni subı̀ti da parte del danneggiato (nella specie, un lavoratore infortunato), sia pure in dipendenza del medesimo fatto, ma può incidere, esclusivamente, sulla determinazione dell’importo che – a seguito dell’esecuzione dello stesso giudicato – risulti ancora dovuto (Cass. 12 maggio 2006, n. 11039). n Il condebitore solidale, rimasto estraneo al giudizio, può, in base all’art. 1306, comma 2, c.c., ‘‘opporre’’ al creditore la sentenza favorevole ad uno dei condebitori in solido, salvo che non sia fondata su ragioni personali al condebitore, parte del giudizio; se opporre una tale sentenza costituisce una facoltà che egli è libero di esercitare oppure no, il pagamento che egli abbia effettuato, prima o dopo il formarsi del giudicato favorevole nei confronti del condebitore, costituisce esercizio negativo e consumazione di quella facoltà, impedendo che possa successivamente ripetersi quanto sia stato in tal modo pagato; il pagamento, infatti, comportando l’estinzione del vincolo obbligatorio rientrante nel ‘‘fascio’’ di rapporti facenti capo a soggetti distinti, preclude ogni possibilità di dedurre a fondamento dell’azione di ripetizione una circostanza idonea a paralizzare la pretesa del creditore solo in via di eccezione (e ciò in maniera tassativa, come si evince dalla relazione col precedente primo comma dello stesso art. 1306 c.c., espressione della regola generale sulla cosa giudicata sostanziale, formulata nell’art. 2909 c.c.) (Cass. 24 gennaio 2001, n. 998). 4. Concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo. n In tema di risarcimento del danno, non può considerarsi fa- Art. 1306 vorevole al debitore solidale – per gli effetti di cui all’art. 1306, 2o comma, c.c. – il capo della sentenza che abbia affermato la sussistenza del concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo, a norma dell’art. 1227, 1o comma, c.c., qualora il creditore, in un secondo giudizio, intenda imputare al terzo, non convenuto in un precedente giudizio, proprio la responsabilità di quell’apporto causale che il primo giudice abbia ritenuto scriminante della responsabilità del primo convenuto (nella specie, conclusosi un primo giudizio con una sentenza, passata in giudicato, con cui era stata ascritta la responsabilità dell’investimento di un minore per il cinquanta per cento al proprietario conducente del veicolo investitore con pari concorso della vittima ed erano stati condannati il predetto proprietario e la compagnia di assicurazione al risarcimento della metà dei danni, l’investito, in un secondo giudizio, aveva chiesto, tra l’altro, la condanna del ministero della pubblica istruzione al risarcimento dei danni nella misura della metà non risarcita dai convenuti nel primo giudizio, previo accertamento della responsabilità del ministero per colpa in vigilando; la suprema corte, in applicazione del riportato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto sussistente la facoltà del predetto ministero, rimasto estraneo al primo giudizio, di opporre, ai sensi del 2o comma dell’art. 1306 c.c., all’investito la sentenza passata in giudicato, cosı̀ giovandosi dell’accertamento fatto nei rapporti con gli altri condebitori solidali) (Cass. S.U. 15 luglio 2009, n. 16503). 5. Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi. n Il generico riferimento dell’art. 2953 c.c. al ‘‘diritto’’ per il quale sia stabilito un termine di prescrizione breve, come oggetto della conversione di tale termine in quello ordinario decennale, da detta norma disposto a seguito dell’intervento di sentenza di condanna passata in giudicato, consente di ritenere che la conversione scaturente da un giudicato di condanna formatosi nei confronti di un coobbligato solidale operi anche nei riguardi degli altri coobbligati solidali rimasti estranei al giudizio (Cass. 11 giugno 1999, n. 5762). 6. Poteri officiosi del giudice. n La sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati in solido, se passata in giudicato, può acquistare efficacia nei confronti degli altri condebitori solo se questi sollevino tempestivamente la relativa eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre è escluso che 1339 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 1306 tale efficacia extrasoggettiva del giudicato possa essere rilevata d’ufficio (Cass. 21 dicembre 2011, n. 27906). n Viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che estende d’ufficio gli effetti favorevoli della sentenza, pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido, agli altri coobbligati, atteso che l’art. 1306, 2o comma, c.c. non ammette una efficacia immediata, nei confronti dei coobbligati rimasti estranei al giudizio, della sentenza a loro favorevole, ma attribuisce semplicemente ad essi il potere di avvalersene (Cass. 5 aprile 1996, n. 3201). 7. Svalutazione monetaria. n La misura del risarcimento del danno, determinata, con sentenza passata in giudicato, nei confronti di uno dei corresponsabili in solido, non può essere aumentata, per effetto di sopravvenuta svalutazione monetaria, nei confronti di altro coobbligato, successivamente convenuto in separato giudizio, ove questi, ai sensi e nei limiti consentiti dall’art. 1306, 2o comma, c.c., opponga al creditore detto giudicato (Cass. 11 giugno 2008, n. 15462). 8. Sentenza penale di assoluzione. n Nell’ambito del giudizio civile per il risarcimento del danno, il condebitore solidale può opporre al creditore la sentenza penale di assoluzione pronunciata nei confronti di altro condebitore, a meno che essa non sia fondata su ragioni personali concernenti esclusivamente l’altro condebitore (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto rilevante anche nei confronti della società convenuta la sentenza penale di assoluzione emessa nei confronti dell’amministratore della società con la quale si era accertato che il decesso di dipendente non poteva essere attribuito alle specifiche condizioni lavorative alle quali era sottoposto presso l’azienda in questione) (Cass. 9 marzo 2004, n. 4775). 9. Condominio. n In tema di condominio degli edifici, l’azione di accertamento della proprietà comune, in quanto ha ad oggetto la contitolarità del diritto di proprietà in capo a tutti i condomini, è relativa a un rapporto sostanziale plurisoggettivo unitario, dando luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario fra tutti i condomini; infatti, il giudicato si forma ed è opponibile nei confronti dei soli soggetti che hanno partecipato al giudizio; d’altra parte, poiché non è applicabile ai rapporti assoluti la disciplina specifica dei rapporti obbligatori, non è estensibile alla specie il criterio dettato in materia di obbligazioni indi1340 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI visibili dall’art. 1306 c.c., in virtù del richiamo di cui all’art. 1317 c.c., secondo cui gli effetti favorevoli di una sentenza pronunciata nei confronti di uno o di alcuni dei diversi componenti dell’obbligazione solidale o indivisibile si comunicano agli altri (Cass. 17 marzo 2006, n. 6056). 10. Assicurazione. n La responsabilità solidale – sia pure atipica – che sussiste tra il responsabile di un sinistro stradale ed il suo assicuratore della rca comporta che ove il giudice d’appello, accogliendo il gravame del primo, riduca l’ammontare del danno liquidato dal giudice di primo grado, tale decisione produce i suoi effetti anche nei confronti dell’assicuratore (Cass. 10 novembre 2009, n. 23735). n In tema di responsabilità aquiliana per risarcimento dei danni prodotti da circolazione dei veicoli, l’introduzione, ai sensi dell’art. 18 l. n. 990 del 1969, dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore non ha escluso l’azione per responsabilità nei confronti dei danneggianti ex art. 2054 c.c., situazione questa diversa dall’ipotesi in cui il danneggiato agisca cumulativamente nei confronti del danneggiante e del suo assicuratore, entrambi responsabili solidalmente; tuttavia, sia che l’azione risulti proposta nei confronti di tutti gli obbligati solidali o solamente contro alcuni di essi, il debito aquiliano del responsabile del sinistro resterà pur sempre solidale con quello dell’assicuratore; ne deriva che se l’assicuratore resta estraneo al giudizio contro il danneggiante, potrà, comunque, avvalersi degli effetti favorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del danneggiante medesimo, ai sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c. (in applicazione dell’enunciato principio, la suprema corte ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva respinto l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, esercitata dopo che, in sede penale, il danneggiante era già stato condannato al risarcimento integrale del danno) (Cass. 11 giugno 2008, n. 15462). 11. Fideiussione. n Poiché l’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto all’obbligazione principale, l’estinzione di quest’ultima determina l’estinzione anche di quella fideiussoria; tuttavia ove l’obbligazione principale sia estinta per prescrizione, non è ammissibile – in forza del vincolo di solidarietà tra obbligato principale e fideiussore – la declaratoria di estinzione d’ufficio della obbligazione del fideiussore, ma è onere di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1306, 2o comma, c.c., di eccepire la prescrizione (Cass. 15 marzo 2000, n. 2975). Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO I – DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE 12. Società di fatto. n Non è configurabile un litisconsorzio necessario fra i soci di una società di fatto e la società stessa, atteso il carattere solidale delle obbligazioni assunte da tali soggetti, e pertanto, qualora siano stati convenuti in giudizio, assieme alla società, solo alcuni dei soci, non sussiste la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri; questi ultimi, peraltro, non possono essere danneggiati dall’eventuale sentenza di condanna emessa nei confronti dei soci che hanno preso parte al giudizio, potendo, se a loro volta convenuti in altro giudizio dai creditori o dai suddetti soci in via di regresso, contrastare la domanda (art. 1306, comma 1, c.c.) dimostrando l’inesistenza della loro qualità di soci, ovvero giovarsi della sentenza se favorevole nei loro confronti (art. 1306, comma 2, c.c.) (Cass. 2 dicembre 1994, n. 10333). 13. Società in nome collettivo. n La società in nome collettivo, ancorché non munita di personalità giuridica, è soggetto di diritto distinto dalla personalità dei soci, in quanto costituisce centro autonomo di situazioni giuridiche ad esso immediatamente riconducibili anche in virtù della capacità negoziale e processuale che l’art. 2266 c.c. – applicabile in virtù del richiamo che l’art. 2293 effettua ad esso – attribuisce alla società; in questa prospettiva si rende – pertanto – ben configurabile il riconoscimento, a favore del singolo socio il quale non sia stato parte del relativo giudizio, della facoltà di proporre opposizione di terzo avverso una sentenza emessa in un giudizio del quale sia stata parte la società; tuttavia, giacché la qualità di ‘‘terzo’’ rispetto al giudizio nel quale sia stata emessa la sentenza costituisce presupposto necessario ma non sufficiente per l’esperibilità del rimedio rendendosi altresı̀ necessario che il socio faccia valere un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza emessa inter alios, non esaurisce idonea condizione per Art. 1307 l’esperibilità dell’opposizione del socio l’invocazione, da parte dello stesso, della sua qualità di condebitore solidale, atteso che, ai sensi dell’art. 1306 c.c., la sentenza pronunciata fra il creditore ed uno dei debitori solidali non produce alcun effetto nei confronti degli altri coobbligati (Cass. 15 febbraio 1999, n. 1231). 14. Società in accomandita semplice. n La sentenza pronunciata nei confronti della società in accomandita semplice non dà forza di giudicato nei confronti del socio, per il disposto dell’art. 1306 c.c., a norma del quale la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri creditori (Cass. 13 luglio 1995, n. 7650). 15. Decreto ingiuntivo. n Il decreto ingiuntivo, richiesto ed ottenuto dal creditore contro più debitori solidali, acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione, e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato, posto che il principio dell’opponibilità della sentenza favorevole ottenuta dal condebitore, previsto dall’art. 1306 comma 2, c.c., non opera a vantaggio di chi sia vincolato da giudicato direttamente formatosi nei suoi riguardi (Cass. 21 novembre 1990, n. 11251). 16. Equa riparazione per la non ragionevole durata del processo. n Gli eredi che abbiano proposto distinte domande di equa riparazione, ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, per la non ragionevole durata del processo presupposto promosso dal loro dante causa e da essi riassunto dopo il suo decesso, non sono creditori in solido del ministero, con la conseguenza che il singolo erede non può giovarsi dei giudicati favorevoli agli altri, ai sensi dell’art. 1306, 2o comma, c.c. (Cass. 15 marzo 2010, n. 6185). 1307 Inadempimento – [1] Se l’adempimento dell’obbligazione e` divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebitori, gli altri condebitori non sono liberati dall’obbligo solidale di corrispondere il valore della prestazione dovuta. Il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a ciascuno dei condebitori inadempienti. Preliminare di vendita di bene in comunione. n Qualora sia stato promesso in vendita un immobile indiviso considerato nel contratto come un unicum inscindibile, ciascuno dei promittenti si impegna non soltanto a prestare il consenso relativo al trasferimento della quota di comproprietà di cui è rispettivamente titolare ma si obbliga anche a promettere il fatto altrui, cioè la 1341 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2047 buto causale del comportamento, del conducente incapace (art. 1226 c.c.), dovuto dall’altro conducente che risponde solo nei limiti dell’incidenza causale della sua condotta, sia nel caso in cui la colpa di questo sia stata in concreto accertata, sia in quello in cui la colpa debba essere, invece, presunta perché è mancata la prova liberatoria richiesta dall’art. 2054 c.c. (Cass. 29 aprile 1993, n. 5024). 2. Rapporto con la nozione penalistica. n In tema LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI di imputabilità del fatto dannoso opera, nel campo civile, un sistema diverso ed autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l’imputabilità in campo penale, nel quale è la legge stessa che fissa le cause che la escludono, mentre, a norma dell’art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso se, in relazione all’età, allo sviluppo psico-fisico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere (Cass. 19 novembre 1990, n. 11163). 2047 Danno cagionato dall’incapace – [1] In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento e` dovuto da chi e` tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. [2] Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno a un’equa indennità. SOMMARIO: 1. Profili generali – 2. Obbligo di sorveglianza: natura e soggetti destinatari. – 3. Prova liberatoria – 4. Incapace autolesionista – 5. Equa indennità 1. Profili generali. n La responsabilità civile del soggetto tenuto alla sorveglianza di una persona incapace, la quale abbia cagionato danni a terzi, deriva dall’art. 2047 c.c., che dà luogo ad una responsabilità diretta e propria di coloro che sono tenuti alla sorveglianza, per inosservanza dell’obbligo di custodia, ponendo a carico di essi una presunzione di responsabilità, che può essere vinta solo dalla prova di non aver potuto impedire il fatto malgrado il diligente esercizio della sorveglianza impiegata (Cass. 19 ottobre 2007, n. 2197). n Ai fini di cui all’art. 2047 c.c., per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore d’età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere una indagine tecnica di tipo psicologico quando le modalità del fatto e l’età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell’altro (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente motivata la decisione di merito con la quale era stato ritenuto incapace di intendere e di volere un bambino di dieci anni che, colpendo alla schiena con la cartella altro minore, gli aveva provocato la frattura di quattro vertebre) (Cass. 19 novembre 2010, n. 23464). n Ai fini della responsabilità civile ex art. 2047 c.c. per danni cagionati da persone incapaci di intendere e di volere, il giudice non può limitarsi a tener presente l’età dell’autore del fatto ma deve anche considerarne lo sviluppo intellettivo, quello fisico, l’assenza di eventuali malattie ritardanti, la forza del caratte2560 re, la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione e la capacità del volere con riferimento all’attitudine di autodeterminarsi (Cass. 26 giugno 2001, n. 8740). 2. Obbligo di sorveglianza: natura e soggetti destinatari. n L’ampiezza dell’obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere (art. 2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresı̀ la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo (Cass. 24 maggio 1997, n. 4633). n Ai fini del riconoscimento della responsabilità del sorvegliante, a norma dell’art. 2047 c.c., è necessario che il fatto commesso dall’incapace presenti tutte le caratteristiche oggettive dell’antigiuridicità e cioè che sia tale che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito; ne consegue che, nell’ipotesi di lesione personale inferta da un minore ad un altro nel corso di una competizione sportiva, occorre verificare, al fine di escludere l’antigiuridicità del comportamento dell’incapace e la conseguente responsabilità del sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno da una condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gioco, che non sia compiuto con lo scopo di ledere e che non sia caratterizzato da un grado di violenza od irruenza incompatibile con lo sport praticato (Cass. 30 marzo 2011, n. 7247). n Il dovere di sorveglianza di un incapa- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI ce, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dall’incapace medesimo, ai sensi dell’art. 2047, comma 1, c.c., può essere l’effetto non soltanto di un vincolo giuridico, ma anche di una scelta liberamente compiuta da un soggetto, il quale, accogliendo l’incapace nella sua sfera personale e familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od impedire che il comportamento di questo possa arrecare ad altri nocumento (nella specie, enunciando il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma nei confronti dei genitori di un soggetto maggiorenne riconosciuto, in sede penale, totalmente incapace di intendere e di volere) (Cass. 1o giugno 1994, n. 5306). n Il dovere di sorveglianza di un incapace, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dall’incapace medesimo, ai sensi dell’art. 2047, comma 1, c.c., può essere l’effetto non soltanto di un vincolo giuridico, ma anche di una scelta liberamente compiuta da un soggetto, il quale, accogliendo l’incapace nella sua sfera personale o familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od impedire che il suo comportamento possa arrecare nocumento ad altri (nella specie: enunciando il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma, con riguardo al danno cagionato da un bambino di 4 anni, a carico del marito della madre del minore, il quale, pur non avendolo riconosciuto, conviveva con lui e con la moglie, formando un unico nucleo familiare) (Cass. 12 maggio 1981, n. 3142). n Nei confronti di persona ospite di reparto psichiatrico o di altra struttura equipollente, ancorché non interdetta né sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della l. 13 maggio 1978 n. 180, la configurabilità di un dovere di sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo (nella fattispecie la corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado che aveva ravvisato il difetto di sorveglianza del personale della struttura nei confronti di persona adulta affetta da oligofrenia di grado elevato rimasta vittima di violenza sessuale all’interno della struttura psichiatrica presso la quale si trovava ricoverata) (Cass. 10 novembre 2010, n. 22818). n La presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2047 c.c. nei confronti di chi sia tenuto alla sorveglianza dell’incapace è configurabile a carico della struttura sanitaria soltanto in caso di ricovero ospedaliero del ma- Art. 2047 lato mentale, dovendosi, peraltro, considerare priva di tutela a carico del servizio sanitario l’esigenza di assicurare la pubblica incolumità che possa essere messa in pericolo dal malato mentale, rientrando tale compito tra quelli demandati in via generale agli organi che si occupano di pubblica sicurezza (nella specie, la Suprema Corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto dai parenti di un congiunto ucciso da un soggetto affetto da vizio totale di mente all’interno di un bar nei confronti dell’azienda sanitaria, non potendosi configurare nei riguardi di quest’ultima uno stretto obbligo di sorveglianza a carico dell’omicida risultato malato di mente nell’ipotesi esaminata, considerandosi, altresı̀, che il TSO può essere disposto solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere e, senza trascurare che, nel caso in questione, l’aggressore omicida, fino a pochi giorni prima del compimento del fatto delittuoso, non aveva dato segni di squilibrio e premonitori di una possibile manifestazione di follia) (Cass. 20 giugno 2008, n. 16803). 3. Prova liberatoria. n Ai fini della responsabilità di cui all’art. 2047 c.c., per il danneggiato è sufficiente dimostrare che l’incapace di intendere o volere ha cagionato il fatto dannoso al di fuori della sfera di sorveglianza del soggetto ad essa obbligato, mentre incombe su questi dimostrare che tale fatto si sarebbe comunque verificato anche se la sorveglianza fosse stata esercitata, e quindi che non vi è nesso di causalità tra l’omissione di essa e il fatto dannoso (Cass. 19 giugno 1997, n. 5485). n L’accertamento in sede penale della mancanza di prova della colpa dei soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa su di essi gravante ai sensi dell’art. 2047 c.c., né costituisce prova del caso fortuito (Cass. 12 dicembre 2003, n. 19060). n Qualora la responsabilità del genitore per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore trovi fondamento, essendo il minore incapace di intendere e volere al momento del fatto, nella fattispecie autonoma di cui all’art. 2047 c.c. e non in quella di cui all’art. 2048 c.c., incombe sul genitore del danneggiante la prova dell’affidamento ad altro soggetto della sorveglianza dell’incapace; detta prova è particolarmente rigorosa, dovendo egli provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un fatto impeditivo assoluto (nella specie, relati2561 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2048 va all’infortunio occorso ad un minore colpito con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette anni che giocava con lui, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dei genitori del danneggiante, essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all’altro adulto rimasto la sorveglianza del proprio figlio minore) (Cass. 20 gennaio 2005, n. 1148). 4. Incapace autolesionista. n La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2047 c.c., posta a carico di chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, non è applicabile al caso di danni che l’incapace abbia causato a sé stesso. Infatti nel caso di danno arrecato dall’incapace (nella specie, una bambina di tre anni) a sé stesso, la responsabilità del sorvegliante e della struttura nella quale l’incapace è ammesso (nella specie, un asilo nido comunale) va ricondotta non già nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi del- LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI l’art. 2043 c.c., bensı̀ nell’ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (Cass. 18 luglio 2003, n. 11245). 5. Equa indennità. n L’equa indennità ex art. 2047, comma 2, c.c. consiste in un mero indennizzo, che, pur potendo in astratto corrispondere anche all’integrale ristoro, dipende sia nell’an che nel quantum da una valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti; può pertanto subire decurtazioni, rispetto all’entità del risarcimento integrale del danno, secondo equi temperamenti dettati dalle condizioni economiche del soggetto cui essa dovrebbe far carico, fino a considerarsi del tutto non dovuta quando, dalla valutazione comparativa richiesta dalla norma, emerga eventualmente una manifesta sperequazione tra le floride condizioni economiche del danneggiato e quelle deteriori del danneggiante (Trib. Macerata 20 maggio 1986, in Foro it., 1986, II, 2594). 2048 Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte – [1] Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante. [2] I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. [3] Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. SOMMARIO: 1. Responsabilità dei genitori – 2. Responsabilità dei precettori e degli insegnanti – 3. Concorso di responsabilità 1. Responsabilità dei genitori. n La responsabilità dei genitori a norma dell’art. 2048 c.c. (unitamente agli altri soggetti nella stessa disposizione normativa indicati), configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla loro colpa, peraltro presunta (Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322). n La responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione, ovvero nell’art. 2047 c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e di vigilanza; le indi2562 cate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell’accertamento, in concreto, dell’esistenza di quella capacità (Cass. 25 marzo 1997, n. 2606). n In tema di responsabilità civile, l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. postula l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la culpa in educando e la culpa in vigilando; ne consegue che, ove il minore incapace, con il proprio comportamento illecito, cagioni un danno a se stesso, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 o 2043 c.c., a seconda che ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza; peraltro, a causa del richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. all’art. 1227 c.c., Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a sé stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e l’eventuale riduzione proporzionale del danno da risarcire (nella specie, si trattava del comportamento tenuto da un bambino di tre anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai fini dell’art. 1227 c.c.) (Cass. 2 marzo 2012, n. 3242). 1.1. Coabitazione. n La responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore (nella specie incidente stradale) ai sensi dell’art. 2048 c.c. postula la coabitazione, e, pertanto viene meno qualora il minore abbia stabilmente lasciato la casa familiare, per fatto non imputabile al genitore, sottraendosi ad ogni possibilità di controllo o vigilanza (Cass. 11 luglio 1978, n. 3491). n Ai sensi dell’art. 2048 c.c., i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente sorveglianza sia con riguardo agli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare (nella specie la Suprema Corte, accogliendo il proposto ricorso e cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha ritenuto che il temporaneo allontanamento del minore dalla casa dei genitori, per motivi di lavoro, non esima costoro da responsabilità, essendo ascrivibile a oggettive carenze educative l’illecito comportamento manifestatosi nella inosservanza delle norme sulla circolazione stradale) (Cass. 14 marzo 2008, n. 7050). 1.2. Prova liberatoria. n I genitori, per superare la presunzione di colpa prevista dall’art. 2048 c.c., debbono fornire non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore; l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e educazione del minore, conseguenti al Art. 2048 mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che, in assenza di alcuna motivazione in ordine alla sussistenza della prova liberatoria, da apprezzarsi nei termini di cui all’enunciato principio di diritto, aveva escluso la responsabilità dei genitori per le lesioni cagionate dal proprio figlio ad altro minore, colpito alla bocca con una violenta testata nel corso di una partita di calcio, mentre il gioco era fermo e senza aver subı̀to alcuna precedente aggressione da parte del danneggiato) (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26200). n La responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 c.c., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 c.c. ed alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito; per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della culpa in educando (Cass. 22 aprile 2009, n. 9556). n L’inefficacia dell’educazione impartita dai genitori, ai fini dell’affermazione della loro responsabilità per il risarcimento del danno provocato dal loro figlio, è desumibile anche dalla condotta di questi, in violazione di leggi e regolamenti (nella specie, il minore si era allontanato dalla scuola durante l’orario didattico alla guida di un motorino altrui senza avere il patentino, con a bordo una compagna di scuola, di cui aveva provocato la morte in uno scontro contro un’auto) (Cass. 26 novembre 1998, n. 11984). 2. Responsabilità dei precettori e degli insegnanti. n Ai sensi dell’art. 2048, comma 2, c.c., va qualificato precettore il soggetto al quale l’allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione, sia nell’ambito di una struttura scolastica (come 2563 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2048 avviene per i maestri), sia in virtù di un autonomo rapporto privato (quale è quello che intercorre con un institore), sempre che l’affidamento, se pur limitato ad alcune ore del giorno o della settimana, assuma carattere continuativo e non sia, quindi, meramente saltuario (enunciando il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, la quale aveva escluso che potesse essere qualificato tale il soggetto, non dipendente dell’istituto scolastico, occasionalmente intervenuto, in rappresentanza del CONI, alla premiazione delle gare ginniche di fine anno degli alunni di una scuola elementare, nel corso delle quali uno degli scolari era stato ferito da un sasso scagliato da un compagno) (Cass. 18 luglio 2003, n. 11241). n Gli insegnanti delle scuole elementari rispondono dei danni cagionati dall’atto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza, se non provano ex art. 2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto e, quindi, dimostrando di avere esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che nonostante l’adempimento di tale dovere il fatto dannoso per la sua repentinità ed imprevedibilità abbia impedito loro un tempestivo efficace intervento (Cass. 24 febbraio 1997, n. 1683). n In tema di responsabilità degli insegnanti di scuole statali, l’art. 61, comma 2, l. 11 luglio 1980 n. 312 – nel prevedere la sostituzione dell’amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando, quale che sia il titolo – contrattuale o extracontrattuale – dell’azione; ne deriva, pertanto, che l’insegnante è privo di legittimazione passiva non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata, nell’ambito di un’azione di responsabilità extracontrattuale, la presunzione di cui all’art. 2048, comma 2, c.c.), ma anche nell’ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso (ipotesi da far valere secondo i principi della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.), fermo restando che in entrambi i casi, qualora l’amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all’alunno autodanneggiatosi, l’insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite, quest’ultimo, operante verso l’amministrazione ma non verso i terzi (Cass. S.U. 27 giugno 2002, n. 9346; v. anche Cass. 3 marzo 2010, n. 5067). n Il personale docente degli istituti statali 2564 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI di istruzione superiore si trova in rapporto organico con l’amministrazione statale e non con il singolo istituto, con la conseguenza che, per effetto dell’art. 61 l. 11 luglio 1980 n. 312, sono riferibili direttamente al Ministero della P.I. i comportamenti, anche illeciti, posti in essere dagli insegnanti del suddetto personale docente, sicché sussiste la legittimazione passiva di detto ministero nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a culpa in vigilando degli stessi docenti; in particolare, in tema di responsabilità civile degli insegnanti per omessa vigilanza (e, quindi, anche nell’eventualità in cui questa omissione sia consistita nella circostanza di aver delegato la funzione stessa ad un terzo), la sottrazione degli insegnanti statali alle conseguenze dell’applicabilità nei loro confronti della presunzione stabilita dall’art. 2048, comma 2, c.c., nei giudizi di danno per culpa in vigilando è attuata dall’indicato art. 61 l. n. 312 del 1980, non sul piano sostanziale, ovvero incidendo sull’operatività dello stesso art. 2048, comma 2, c.c. nei menzionati giudizi, ma esclusivamente sul piano processuale, mediante l’esonero dell’insegnante statale dal processo, nel quale l’unico legittimato passivo è il ministero della p.i. (nella specie, sulla scorta dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, con la quale era stata affermata, oltre a quella del Ministero della P.I., anche la responsabilità di un insegnante preposto alla vigilanza di un allievo di un istituto professionale di Stato infortunatosi ad un occhio in quanto colpito da una scheggia metallica durante un’esercitazione senza che gli venissero fatti usare gli occhiali protettivi, con la conseguente relativa decisione nel merito dell’appello, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto) (Cass. 29 aprile 2006, n. 10042). 2.1. Prova liberatoria. n In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 c.c. grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente per detto insegnante la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale (nella specie, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto corretta l’attribuzione di responsabilità ad un insegnante di educazione musicale, e, quindi, all’amministrazione Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI scolastica in relazione ai danni patiti da un allievo che, mentre teneva tra le labbra un flauto, era stato colpito da altro allievo con una gomitata, riportando la rottura dei denti incisivi) (Cass. 22 aprile 2009, n. 9542). n In tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., il dovere di vigilanza dell’insegnante va commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto (Cass. 10 dicembre 1998, n. 12424). n In tema di responsabilità civile degli insegnanti per i danni cagionati da fatti illeciti di loro allievi, il dovere di vigilanza imposto ai docenti dall’art. 2048, comma 2, c.c. non ha carattere assoluto, bensı̀ relativo, occorrendo correlarne il contenuto e l’esercizio in modo inversamente proporzionale all’età ed al normale grado di maturazione degli alunni, di modo che, con l’avvicinamento di costoro all’età del pieno discernimento, l’espletamento di tale dovere non richiede la continua presenza degli insegnanti, purché non manchino le più elementari misure organizzative dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi (nella specie in base al principio cosı̀ formulato la Corte Suprema ha confermato la decisione del merito che aveva respinto la richiesta di risarcimento di un allievo quindicenne di un istituto tecnico che, nel corso dell’intervallo ed in assenza di sorveglianza da parte degli insegnanti, aveva riportato lesioni personali dalla rottura di una vetrata causata da altri coetanei) (Cass. 23 giugno 1993, n. 6937). 2.2. Allievo autolesionista. n Nel caso di danno cagionato dall’alunno a sé stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensı̀ contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico – l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che – quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico – tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei Art. 2048 confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (Cass. 3 marzo 2010, n. 5067; v. anche Cass. S.U. 27 giugno 2002 n. 9346). 2.3. Responsabilità dell’istituto e del ministero. n In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subı̀to da uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, essendo altresı̀ necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara e che, inoltre, la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità della scuola rispetto all’infortunio patito da un allievo nel corso di una partita di calcio, durante la quale si era ferito al volto a causa di uno scontro di gioco) (Cass. 28 settembre 2009, n. 20743; v. anche Cass. 25 settembre 2012, n. 16261). n In tema di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., gli obblighi di sorveglianza e di tutela dell’istituto scolastico scattano solo allorché l’allievo si trovi all’interno della struttura, mentre tutto quanto accade prima può, ricorrendone le condizioni, trovare ristoro attraverso l’attivazione della responsabilità del custode, ex art. 2051 c.c. (fattispecie in cui una alunna della terza elementare era caduta, all’entrata di scuola, sui gradini esterni sdrucciolevoli e instabili dell’istituto scolastico, riportando gravi lesioni) (Cass. 6 novembre 2012, n. 19160). n Allorché, in relazione al danno ad un terzo cagionato dal fatto illecito dell’allievo, sia stata affermata la responsabilità dell’insegnante di scuola privata ex art. 2048 c.c. per mancata dimostrazione dell’inevitabilità dell’evento dannoso, sussiste la responsabilità indiretta dell’istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa (Cass. 18 luglio 2003, n. 2565 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2049 11241). n Il titolo della responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione o dell’ente gestore di una scuola privata nel caso di alunni che subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero esser sorvegliati dal personale della scuola può essere duplice e può esser fatto valere contemporaneamente: contrattuale se la domanda è fondata sull’inadempimento all’obbligo specificatamente assunto dall’autore del danno di vigilare ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri (Cass. 11 novembre 2003, n. 16947). n In tema di responsabilità del precettore per i danni subiti dall’allievo nel tempo in cui è a lui affidato, il direttore didattico, per la sua attività meramente amministrativa di organizzazione e di controllo dei maestri, deve considerarsi non un precettore, bensı̀ un organo interno dell’amministrazione della scuola pubblica primaria; conseguentemente, deve essere esclusa la responsabilità ex art. 2048 c.c. per l’infortunio occorso ad un allievo, del direttore di una colonia, non essendo questi tenuto per i suoi LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI compiti meramente amministrativi alla vigilanza sugli alunni, affidata a maestri assistenti (Cass. 26 aprile 1996, n. 3888). 3. Concorso di responsabilità. n La responsabilità del genitore (ex art. 2048, comma 1, c.c.) e quella del precettore (ex art. 2048, comma 2, c.c.) – per il fatto commesso da un minore capace di intendere e volere mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo – non sono tra loro alternative, giacché l’affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di colpa in vigilando (dal momento che dell’adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato), ma non anche da quella di colpa in educando, rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti (Cass. 21 settembre 2000, n. 12501). 2049 Responsabilità dei padroni e dei committenti – [1] I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. SOMMARIO: 1. Natura e presupposti – 2. Responsabilità solidale – 3. Ausiliario altrui e ausiliario minore – 4. Casistica 1. Natura e presupposti. n In tema di responsabilità civile derivante da fatto illecito, la norma dell’art. 2049 c.c. – che pone a carico dei padroni e committenti la responsabilità per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti – trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito del domestico o commesso, ma non è invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno che quest’ultimo abbia procurato al committente oppure a sé stesso (Cass. 22 marzo 2011, n. 6528). n La responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2049 c.c., essendo fondata sul presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito e il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro ed è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa, con la conseguenza che l’accertamento della non colpe2566 volezza del datore di lavoro compiuto dal giudice penale non vale ad escluderla (Cass. 20 giugno 2001, n. 8381). n Per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 c.c. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (nella specie, la Suprema Corte, enunciando il riportato principio, ha rigettato il motivo di ricorso proposto da una società di gestione di un impianto di risalita di una pista da sci, affermando, anche sulla scorta dell’interpretazione della specifica legislazione della provincia autonoma di Trento, la correttezza della motivazione dell’impugnata sentenza di appello, con la quale era stata affermata la responsabilità della predetta società in ordine ai danni conseguenti ad un infortunio occorso ad Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI una sciatrice che, nel mentre trovavasi ferma sulla pista, era stata urtata dal toboga condotto da un addetto volontario al soccorso, sul presupposto che quest’ultimo svolgesse un servizio di assistenza per conto della medesima società, sulla quale incombeva l’obbligo di organizzare l’impresa in modo da assicurare il servizio stesso nel rispetto delle specifiche disposizioni regolamentari contemplate in materia e ricadeva, pertanto, il derivante obbligo di vigilanza e la responsabilità per l’operato dell’addetto, ancorché espletato a titolo di volontariato) (Cass. 9 novembre 2005, n. 21685). n Poiché presupposto per l’applicazione della norma dell’art. 2049 c.c. è l’esistenza di un rapporto di preposizione fra il soggetto responsabile e quello che commette l’illecito, la cessazione di tale rapporto – come ad esempio del rapporto di lavoro dipendente – ne esclude l’applicabilità ai fatti illeciti commessi dal preposto successivamente ad essa e, pertanto, in relazione ad essi non si può ipotizzare una responsabilità del padrone o committente ai sensi della suddetta norma (Cass. 14 giugno 1999, n. 5880). n La responsabilità indiretta del committente di cui all’art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l’esistenza di un nesso di ‘‘occasionalità necessaria’’ tra l’illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo (nella specie, la Suprema Corte, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha ravvisato la responsabilità indiretta della banca per la condotta illecita del suo funzionario, consistita nel prelevare indebitamente somme di denaro da conti correnti di terzi estranei e accreditandole sul conto corrente di clienti per i quali lo stesso funzionario aveva gestito una fruttuosa operazione finanziaria rientrante nelle attività proprie di quell’istituto di credito e nell’ambito delle mansioni affidategli) (Cass. 12 marzo 2008, n. 6632). n La responsabilità indiretta del datore di lavoro (nel caso di specie un istituto bancario) per il fatto dannoso commesso dal suo dipendente postula l’esistenza del rapporto di lavoro ed un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e le mansioni da questi espletate, senza che sia richiesta la prova di un vero e proprio nesso di causalità, risultando sufficiente l’esistenza di un rapporto di ‘‘occasionalità necessaria’’, nel senso che l’incombenza svolta deve aver determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo Art. 2049 agli ordini ricevuti, purché sempre nell’ambito delle proprie mansioni (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità della banca in un caso in cui il direttore della filiale, all’interno dell’istituto bancario, aveva assunto l’iniziativa personale di far versare una somma ai risparmiatori assicurando alla scadenza dell’operazione la restituzione della stessa con un interesse netto del dieci per cento, mentre la banca ne aveva rifiutato la corresponsione) (Cass. 29 settembre 2005, n. 19167). n Per l’affermazione della responsabilità indiretta del committente per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso ai sensi dell’art. 2049 c.c. è sufficiente che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito stesso ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso che le mansioni o le incombenze affidate al secondo abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno; non può, pertanto, farsi carico al committente delle conseguenze di un fatto posto in essere dal preposto non durante l’espletamento delle incombenze demandategli e non a fine di adempiere ad esse ma al di fuori di esse e per soddisfare un bisogno estraneo alle stesse, venendo meno in tal caso il vincolo di occasionalità tra le incombenze e il fatto generatore del danno (sulla base di tale principio la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito di esclusione della responsabilità del committente in un caso in cui il preposto, incaricato di impiantare cavi elettrici presso un privato, aveva acceduto alla richiesta di questi di fissare al soffitto di una stanza una plafoniera, dalla cui caduta erano derivati danni) (Cass. 13 novembre 2001, n. 14096). 2. Responsabilità solidale. n La responsabilità per fatto altrui di cui all’art. 2049 c.c. espone il padrone od il committente, oltre che all’obbligo risarcitorio verso il danneggiato, anche all’azione di regresso di cui all’art. 2055, comma 2, c.c. proposta dai corresponsabili solidali del commesso, a nulla rilevando che tale responsabilità scaturisca direttamente dalla legge e non dal fatto illecito, trattandosi di regresso nella misura determinata dalla gravità della colpa del domestico o commesso (Cass. 27 luglio 2011, n. 16417). n Anche se il titolo della responsabilità è diverso per i commessi e i domestici e per i padroni e i committenti, trattandosi di colpa diretta per i primi e di culpa in eligendo o c.d. rischio d’impresa per secondi, l’unicità del fatto illecito, dannoso per i terzi, da cui tale responsabilità scaturisce, determina la solidarietà tra i vari sog2567 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2049 getti obbligati verso il danneggiato. Pertanto, allorquando il danneggiato proponga domanda di risarcimento nei confronti del solo committente o padrone, non è necessaria l’integrazione nel contradditorio del commesso o domestico (Cass. 28 aprile 1972, n. 1343). 3. Ausiliario altrui e ausiliario minore. n Ove taluno si avvalga, per compiere un determinato lavoro, di persona normalmente alle dipendenze di altri, assumendone in proprio la direzione e la vigilanza, committente, ai fini della responsabilità ex art. 2049 c.c., deve essere considerato soltanto colui che ha fatto eseguire il lavoro (Cass. 19 dicembre 2003, n. 19553). n La responsabilità del committente per fatto proprio dell’ausiliario di cui all’art. 2049 c.c. sussiste non solo in presenza di un rapporto contrattuale, ma anche in presenza di un rapporto effettuale che leghi due soggetti, dei quali l’uno esplichi, in posizione di subordinazione, una attività per conto dell’altro, il quale conservi un potere di direzione e di sorveglianza sulla condotta del primo; pertanto va considerato committente ai fini previsti dall’art. 2049 c.c. anche chi si avvalga, nella esecuzione di un determinato lavoro, dell’attività lavorativa di persona che, seppure nominalmente figurante alle dipendenze di altri, debba peraltro rispondere verso di lui (o verso entrambi) del proprio operato, senza che sia necessario accertare (e qualificare) la natura del rapporto intercorrente tra l’effettivo committente ed il datore di lavoro solo nominale dell’ausiliario (Cass. 9 agosto 1991, n. 8668). n In caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è responsabile, ai sensi dell’art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all’esecuzione della prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa (Cass. 11 gennaio 2010, n. 215). n La responsabilità (diretta) dei genitori, ai sensi dell’art. 2048 c.c., per il fatto illecito dei figli minori imputabili può concorrere con quella dei precettori, essendo esse rispettivamente fondate sulla colpa in educando e su quella in vigilando; la presenza di questi astratti titoli di responsabilità, fra loro concorrenti, non impedisce che – trattandosi di illecito commesso da minore nell’esercizio della sua attività di apprendista – possa essere accertata la responsabilità esclusiva, ex art. 2049 c.c., 2568 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI del datore di lavoro; tale responsabilità, essendo fondata sul presupposto dell’esistenza di un rapporto di subordinazione fra autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro, e sul collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto dalla colpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro, è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa dello stesso, e può ricorrere anche in caso di dolo del commesso (Cass. 10 maggio 2000, n. 5957). 4. Casistica. n In tema di appalto, solo l’appaltatore deve ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera, potendosi eccezionalmente configurare una corresponsabilità del committente nel caso di specifica violazione da parte sua di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c. ovvero quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo, per avere affidato l’opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative (Cass. 26 marzo 2009, n. 7356). n L’appaltatore, poiché nella esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’opera, salva (a parte l’ipotesi di una culpa in eligendo) l’esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister, ovvero la sua corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l’autonomia dell’appaltatore; ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (principio applicato a fattispecie di appalto di opere pubbliche, sul presupposto che anche in tale ipotesi l’appaltatore, sebbene in limiti più ristretti rispetto all’appalto di opera privata – in ragione dell’obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e della continua ingerenza dell’amministrazione appaltante – conservi margini di autonomia) (Cass. 20 settembre 2011, n. 19132). n La clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall’esecuzione delle opere siano a totale ed Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI esclusivo carico dell’appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest’ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art. 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anziché verso l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall’esecuzione del contratto (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363). n Nel contratto di noleggio di cose mobili, una parte, senza attribuire all’altra il godimento della cosa, si obbliga a compiere con questa, mediante l’opera sua o di propri dipendenti, determinate attività in favore della controparte sicché i rischi connessi alle stesse ricadono sul noleggiante nella cui sfera di disponibilità rimane il bene oggetto del contratto, senza alcuna ingerenza del noleggiatore; invece nel rapporto di locazione il conduttore acquista la detenzione della cosa che entra nell’ambito della sua disponibilità e comporta l’assunzione, da parte sua, dei rischi inerenti all’utilizzazione della medesima, anche se eventualmente alla locazione si accompagni il distacco di personale del locatore che temporaneamente venga inserito nell’organizzazione aziendale del conduttore; consegue che, ove l’attività del dipendente del noleggiante sia causa di danno risarcibile per responsabilità extracontrattuale, risponde ex art. 2049 c.c. il noleggiante e non invece il noleggiatore; viceversa dell’attività del dipendente del locatore distaccato presso il conduttore risponde solo quest’ultimo (Cass.19 luglio 1985, n. 4294). n L’attività del mandatario costituisce fonte di responsabilità indiretta del mandante, a norma dell’art. 2049 c.c., quando il primo si sia avvalso della sua qualità di rappresentante per consumare l’illecito e la detta attività apparisca verosimilmente, al terzo di buona fede, come rientrante nei limiti del mandato (Cass. 27 giugno 1984, n. 3776). n Nell’esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sportive sono tenute a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psicofisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie, potendo essere chiamate a rispondere in base all’art. 2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale (nella specie la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato da un’associazione sportiva, condannata in relazione al decesso di un atleta per malattia cardiaca già preesistente al momento dell’inizio del- Art. 2049 la competizione, per non aver inserito nel regolamento di un torneo calcistico dilettantistico l’obbligo preventivo di visita medica) (Cass. 13 luglio 2011, n. 15394). n Sussiste la responsabilità ex art. 2049 c.c. della società assicuratrice per l’attività illecita posta in essere dall’agente, munito del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui detta società aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza dei giudici di merito che avevano affermato la responsabilità della società assicuratrice per i danni subiti dall’attore per il furto della sua auto in Moldavia, nonostante tale rischio fosse escluso dalla polizza, sull’assunto che l’assicurato era stato in buona fede indotto dall’agente assicurativo a credere ricompreso nella copertura assicurativa il suddetto rischio) (Cass. 11 febbraio 2010, n. 3095). n Sussiste la responsabilità ex art. 2049 c.c. della compagnia assicuratrice per l’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (principio affermato con riferimento a polizze di assicurazione sulla vita stipulate da agente – con rilascio di attestazione di copertura provvisoria, incasso del premio, successiva consegna di ricevuta e della polizza definitiva – di cui la compagnia assicuratrice preponente si era successivamente dichiarata all’oscuro, negando la sussistenza del rapporto contrattuale) (Cass. 22 giugno 2007, n. 14578). n La P.A. risponde del fatto illecito dei propri dipendenti tutte le volte che tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente esista un nesso di occasionalità necessaria, e quest’ultimo sussiste tutte le volte che il pubblico dipendente non abbia agito come semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all’amministrazione, ma abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell’agente (in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso il suddetto nesso di occasionalità necessaria in un caso in cui un agente della polizia penitenziaria, mostrando ai colleghi il funzionamento di una pistola d’ordinanza all’interno dell’alloggio di servizio, aveva fatto inavvertitamente partire un colpo ferendo uno dei colleghi) (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29727). n Del danno patito da un paziente operato in una clinica universitaria risponde quest’ultima, a nul2569 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2049 la rilevando che la stessa sia convenzionata con la regione, a meno che per effetto di tale convenzione l’amministrazione regionale non abbia assunto la gestione diretta della clinica (nella specie la Suprema Corte ha escluso che il ricorso al c.d. ‘‘avvalimento’’, adottato dalla regione attraverso il convenzionamento con l’università relativamente alle cliniche, abbia comportato la gestione diretta, da parte dell’ente avvalente, della struttura organizzativa di cui lo stesso si sia avvalso) (Cass. 26 maggio 2011, n. 11621). n Il ricovero in una struttura deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente ed il soggetto che gestisce la struttura, e l’adempimento di un tale contratto, per quanto riguarda le prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale; il soggetto gestore della struttura sanitaria (pubblico o privato) risponde perciò per i danni che siano derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme dettate dagli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c.; in queste ipotesi la responsabilità può comportare un’obbligazione di risarcimento estesa non al solo danno patrimoniale (art. 1223 c.c.), ma anche al danno biologico, e cioè al danno non patrimoniale costituito dalle conseguenze pregiudizievoli per la salute derivanti dalle menomazioni fisiopsichiche prodotte dal comportamento inadempiente; ed inoltre, stante la configurabilità oggettiva anche degli estremi di un reato ove la menomazione dell’integrità psicofisica si renda riconducibile ad un comportamento colposo, la conseguente estensione della responsabilità anche al danno morale (art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.) si configurerà anche a carico del soggetto (pubblico o privato) gestore della struttura sanitaria, costituendosi a criterio di imputazione (rispettivamente sulla base degli artt. 28 Cost. e 2049 c.c.) la circostanza che l’attività sanitaria rivolta all’adempimento del contratto sia stata svolta dalle persone, inserite nella propria organizzazione, di cui il gestore si sia avvalso per renderla; più in particolare, allorché il ricovero sia avvenuto presso una struttura sanitaria gestita da un ente pubblico, perché a quest’ultimo si renda imputabile la responsabilità civile conseguente al fatto-reato, si rende sufficiente che il fatto si atteggi oggettivamente come reato e che la condotta che ne contribuisca a costituire l’elemento oggettivo rappresenti una manifestazione del servizio di cui il paziente è stato ammesso a fruire, giacché, per imputare la responsabilità all’ente pubblico, basta che l’azione od 2570 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI omissione sia riconducibile ad un’attività di un organo dell’ente (Cass. 1o settembre 1999, n. 9198). n Ai fini della responsabilità di una USL per lesioni riportate per omissione di vigilanza da un paziente durante il ricovero ospedaliero è irrilevante il carattere volontario ed obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto, non potendo quest’ultimo condizionare l’obbligo di sorveglianza da parte del medico e del personale sanitario, basato sulla stessa diagnosi dei sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico e sulla loro mancata osservanza (fattispecie: invalidità riportata in conseguenza di un tentativo di suicidio, in assenza di personale ospedaliero, da una paziente ricoverata per malattia mentale con la consegna di continua sorveglianza) (Cass. 10 novembre 1997, n. 11038). n La ASL di appartenenza non è responsabile per i danni (nella specie derivanti dall’accertamento dell’omicidio colposo) cagionati al paziente da un medico convenzionato, poiché tra quest’ultimo e la asl non ricorre né un rapporto di immedesimazione organica, né di ausiliarietà e la ASL non assume il rischio dell’attività del sanitario, pur sempre libera sia nella predisposizione dell’organizzazione, che mette a disposizione del paziente, sia nella scelta delle cure da praticare; il medico non è dipendente della ASL, e tra quest’ultima ed il paziente (diversamente da quanto accade tra il paziente e la casa di cura) non intercorre il c.d. contratto di spedalità: per tali ragioni, non è configurabile alcuna responsabilità dell’ente ex artt. 1228 e 2049 c.c. né ex artt. 1218 e 2043 c.c., in difetto di relazioni dirette tra il paziente e l’ente (che non fornisce direttamente la prestazione sanitaria), in quanto l’unico ‘‘debitore’’ della prestazione sanitaria è il medico (Cass. pen. 11 aprile 2008, n. 36502, in Ragiusan, 2008, 362). n Sussiste la responsabilità indiretta della banca, ex art. 2049 c.c., nei confronti dei terzi in relazione all’attività illecita posta in essere da un promotore finanziario, allorché, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e dal carattere di continuità dell’incarico affidato all’agente, detta attività sia stata agevolata o resa possibile dal suo inserimento nell’attività d’impresa (nella specie emersa dalla sua presenza nei locali della banca, dall’utilizzo della modulistica di pertinenza e dalla spendita del nome), e sia stata realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere per la consumazione dell’illecito rientrasse nell’incarico affidato dalla banca mandante (Cass. 24 luglio 2009, n. Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI 17393). n La società di intermediazione mobiliare risponde a titolo oggettivo dei danni causati ai risparmiatori dai propri preposti, sulla base dell’esistenza del solo nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e l’illecito, a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato soggettivo di dolo o colpa della preponente, ed a nulla rilevando che la condotta truffaldina del promotore abbia avuto inizio prima ancora del sorgere del rapporto di preposizione tra lo stesso e la SIM (Cass. 19 luglio 2012, n. 12448). n La responsabilità solidale della società di intermediazione mobiliare per i danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari va esclusa allorquando la condotta del danneggiato presenti connotati di ‘‘anomalia’’, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (nel caso di specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che ha escluso la corresponsabilità della banca nell’attività illecita svolta da un consulente finanziario, il quale operava in borsa per conto dei propri clienti sen- Art. 2050 za alcun vincolo di mandato, utilizzando un conto corrente cointestato ovvero servendosi dei codici di accesso ai servizi di banca online consegnatigli dagli stessi clienti, a fronte del riconoscimento di un compenso determinato al di fuori del sistema delle commissioni bancarie d’uso per operazioni similari) (Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925).n L’affidamento, da parte di un’emittente televisiva, della conduzione di una trasmissione di commento all’attualità politica e sociale a una persona ben nota per la mancanza di remore nella manifestazione del pensiero, al fine di capitalizzarne l’innegabile attrattiva in termini di audience, traducendosi nella messa in onda di una trasmissione-spettacolo, centrata sui dati caratteriali di un personaggio politico capace di ‘‘bucare lo schermo’’, pur se a rischio dell’onore e della reputazione altrui, comporta a carico dell’emittente la responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. per i danni arrecati ai terzi, non richiedendosi, ai fini della configurabilità del rapporto di preposizione, un vincolo di dipendenza, ma essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarietà del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa gestita dal preponente, e prescindendosi dalla colpa del preponente, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale (Cass. 16 marzo 2010, n. 6325). 2050 Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – [1] Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, e` tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. SOMMARIO: 1. Nozione di attività pericolosa e applicabilità – 2. Nesso di causalità – 3. Prova liberatoria – 4. Casistica 1. Nozione di attività pericolosa e applicabilità. n In materia di responsabilità per esercizio di attività pericolose, considerato che tutte le attività umane contengono in sé un grado più o meno elevato di pericolosità per coloro che le esercitano, occorre sempre distinguere tra pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività in quanto tale: la prima riguarda un’attività normalmente innocua, che assume i caratteri della pericolosità a causa della condotta imprudente o negligente dell’operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c.; la seconda concerne un’attività che, invece, è po- tenzialmente dannosa di per sé per l’alta percentuale di danni che può provocare in ragione della sua natura o della tipologia dei mezzi adoperati e rappresenta una componente della responsabilità disciplinata dall’art. 2050 c.c.; la distinzione tra pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività comporta un accertamento di fatto, perché, nel primo caso, si tratta di verificare il grado di diligenza o di perizia dell’operatore e, nel secondo caso, la natura dell’attività o il grado di efficienza dei mezzi utilizzati; la valutazione relativa a tale accertamento è rimessa al giudice del merito che, pertanto, risulta insindacabi2571 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2050 le in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata (nella fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza di merito impugnata che, in relazione ad un incendio propagatosi in un immobile condotto in locazione, aveva ritenuto, con motivazione congrua, che la saldatrice elettrica, utilizzata per lavori di carpenteria all’interno dei locali del predetto immobile, non era idonea a sviluppare l’incendio dedotto in giudizio) (Cass. 21 ottobre 2005, n. 20357). n Costituiscono attività pericolose, ai sensi dell’art. 2050 c.c., non solo le attività che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche quelle che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati, sia nel caso di danno che sia conseguenza di un’azione, sia nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza; ne consegue che l’attività di scavo propedeutica all’impianto di un vigneto, che comporti la realizzazione di solchi di circa 60 centimetri e la costruzione di un muro di recinzione che necessita di uno scavo profondo circa un metro, non possono essere considerate pericolose ai fini di detta norma (Cass. 16 gennaio 2013, n. 919). n Ai fini dell’accertamento della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., il giudizio sulla pericolosità dell’attività – ossia su quell’attività che, per sua natura o per i mezzi impiegati, renda probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso, distinguendosi, cosı̀, dall’attività normalmente innocua, che diventi pericolosa per la condotta di chi la eserciti, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 c.c. – va espresso non sulla base dell’evento dannoso effettivamente verificatosi, bensı̀, attraverso una prognosi postuma, sulla base delle circostanze di fatto che si presentavano al momento stesso dell’esercizio dell’attività ed erano conoscibili dall’uomo medio, o, comunque, dovevano essere conosciute dall’agente in considerazione del tipo di attività esercitata; tale valutazione, nel caso in cui non sia stata compiuta direttamente dal legislatore, è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivata (nella specie, la Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato per carenza di motivazione la sentenza del merito, la quale, in relazione all’esercizio di una pista di autoscontro, aveva escluso la natura pericolosa del2572 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI l’attività, limitandosi a rilevare che essa non era cosı̀ classificata dalla legge e che il mezzo posto a disposizione del danneggiato non aveva una sua intrinseca pericolosità) (Cass. 30 agosto 1995, n. 9205). 2. Nesso di causalità. n In tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico, la cui prova incombe al danneggiato, tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso; resta, poi, a carico del danneggiante l’onere di provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (nella specie la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto ritenendo irrilevante, ai fini della decisione, che la caduta dell’allieva fosse avvenuta a causa dell’andamento del cavallo o della rottura di uno staffile, che la danneggiata conducesse l’animale al passo o al galoppo e che la stessa fosse o meno preparata a farlo, in quanto era stato accertato che l’evento dannoso si era verificato in conseguenza dello svolgimento di un’attività pericolosa – l’esercizio ippico – e che il danneggiante non aveva offerto la prova liberatoria) (Cass. 15 luglio 2008, n. 19449). n Sia con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, sia in tema di danno cagionato da cose in custodia, è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità, rispettivamente, dell’esercente l’attività pericolosa e del custode, che si accerti un nesso di causalità tra l’attività o la cosa e il danno patito dal terzo: a tal fine, deve ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento; pertanto, anche nell’ipotesi in cui l’esercente dell’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito – cioè la eccezionalità e l’oggettiva imprevedibilità – e sia idonea, da sola, a causare l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo (Cass. 10 marzo 2006, n. 5254). n In tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa (nella specie, produzione e distribuzione di gas in bombole), la presunzione di colpa a carico Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico – la prova del quale incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo; in particolare, nella ipotesi in cui sia ignota la causa dell’evento dannoso, la responsabilità ex art. 2050 c.c. va affermata ove risulti non interrotto il nesso di causalità con l’esercizio dell’attività pericolosa, mentre va esclusa ove sussista incertezza sul fattore causale e sulla riconducibilità del fatto all’esercente; il relativo accertamento rientra tra i poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione ove sufficientemente e logicamente motivato (Cass. 17 luglio 2002, n. 10382). n In tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, con onere della prova incombente al danneggiato; pertanto, qualora un evento dannoso sia imputabile astrattamente a più soggetti e, essendo certo che il responsabile del sinistro sia uno solo, non si riesca ad individuare, in concreto, che abbia posto in essere il comportamento produttivo di danno, non trova applicazione la norma dell’art. 2055 c.c., la quale presuppone che il fatto lesivo sia imputabile a più persone (fattispecie in tema di incendio a causa di spettacolo pirotecnico) (Cass., ord., 5 marzo 2012, n. 3424). 3. Prova liberatoria. n Ai fini della responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo, costituito dalla condotta del danneggiato, a recidere il nesso eziologico tra l’evento e l’attività pericolosa, deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità dell’esercente l’attività (nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dal- Art. 2050 l’attrice in relazione al danno subito per la caduta in una voragine aperta nel manto viario in un cantiere stradale, risultando che detta parte si era consapevolmente introdotta nel cantiere, delimitato da una recinzione e segnalato come pericoloso da cartelli che avvertivano della presenza di scavi aperti, cosı̀ interrompendo il nesso di causalità) (Cass. 22 dicembre 2011, n. 28299). n In materia di responsabilità extracontrattuale, in ordine alla presunzione di responsabilità per chi esercita attività pericolose, il fatto del terzo o dello stesso danneggiato può avere effetto liberatorio solo quando abbia reso, per la sua sufficienza, giuridicamente irrilevante il fatto di chi esercita detta attività, ma non quando abbia semplicemente concorso nella produzione del danno per essersi inserito in una situazione già di per sé pericolosa, senza la quale l’evento non si sarebbe verificato, a causa dell’inidoneità delle misure preventive adottate (nella specie, la Suprema Corte ha giudicato non adeguatamente motivata la sentenza di merito che, in relazione ad un caso di morte per folgorazione da scarica elettrica di un lavoratore intento a riparare un impianto elettrico, aveva ritenuto ‘‘straordinario, anomalo ed imprevedibile’’ il comportamento del deceduto) (Cass. 18 luglio 2011, n. 15733). n Anche nell’ipotesi in cui l’esercente l’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure atte ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito (cioè, l’eccezionalità e l’oggettiva imprevedibilità) e sia idonea, da sola, a causare l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, anche quando tale causa sia attribuibile al fatto del danneggiato o di un terzo (Cass. 6 marzo 2008, n. 6036). n In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non già ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità; peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione 2573 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2050 del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della colpa del danneggiato (Cass. 8 maggio 2003, n. 6988). 4. Casistica. n La produzione e la vendita di tabacchi lavorati costituiscono attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo come unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé una potenziale carica di nocività per la salute umana; ne consegue che, ove il danneggiato abbia proposto una domanda risarcitoria – ai sensi dell’art. 2043 c.c. – nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola l’art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a tale domanda quella, nuova e diversa, di cui all’art. 2050 c.c., la quale integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva (nella specie, l’originaria domanda risarcitoria era fondata sul carattere ingannevole delle diciture Light e Extra Light apposte sulla confezione di una marca di sigarette) (Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516). n Le imprese farmaceutiche che intervengono nel ciclo produttivo di gammaglobuline umane sono responsabili, ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni conseguenti al contagio prodotto dall’uso del farmaco se, pur avendo ottemperato alle disposizioni normative vigenti, non dimostrino di avere adottato ogni cautela idonea ad impedire l’evento; infatti, poiché la presunzione di responsabilità prevista dal citato art. 2050 per le attività pericolose, tra le quali rientra anche quella di produzione di farmaci contenenti gammaglobuline, può essere vinta solo dalla prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, non basta, per escludere la responsabilità dell’esercente l’attività pericolosa, la prova negativa di non avere commesso alcuna violazione di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso; l’accertamento della idoneità delle cautele previste dalla norma (al pari di quella concernente il rapporto eziologico e la natura dell’attività) integra un’indagine di fatto riservata al giudice di merito ed è, perciò, sottratto al sindacato di legittimità, se fondato su argomentazioni immuni da vizi ed errori giuridici (Cass. 1o febbraio 1995, n. 1138). n L’organizzazione di una gara sportiva non può essere considerata ‘‘attività pericolosa’’, ai sensi dell’art. 2050 c.c., con riferimento ai danni subı̀ti dagli atleti e dei quali è prevedibile la verificazione, in quanto provocati dagli inevitabili errori del gesto sportivo degli atleti impegnati nella gara; la medesima attività, invece, deve essere considerata ‘‘pericolosa’’ se in conseguenza di essa gli 2574 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI atleti sono stati esposti a conseguenze più gravi di quelle che possono essere determinate dai predetti errori (nella specie, il giudice di merito aveva rigettato la domanda proposta da un atleta che, durante una gara di bob, aveva perso il casco a causa di una scheggia di legno distaccatasi da uno dei tavoloni di sostegno della pista contro cui aveva cozzato con la testa rivestita dal casco, riportando gravi danni alla persona; la Suprema Corte, in applicazione del principio che precede, ha cassato la decisione, per non avere il giudice di merito adeguatamente accertato se le modalità di predisposizione delle paratie di sostegno avessero o meno aumentato la pericolosità del campo di gara) (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3528). n Deve escludersi che all’attività sportiva riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di particolare pericolosità, trattandosi di disciplina che privilegia l’aspetto ludico, pur consentendo, con la pratica, l’esercizio atletico, tanto che è normalmente praticata nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, sicché la stessa non può configurarsi come attività pericolosa a norma dell’art. 2050 c.c., cosı̀ rimanendo irrilevante, ai fini della possibile responsabilità dell’insegnante di educazione fisica e dell’istituto scolastico, ogni indagine volta a verificare se la medesima attività faccia, o meno, parte dei programmi scolastici ministeriali (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, sulla scorta dell’enunciato principio, aveva escluso la sussistenza dei presupposti per la configurazione della forma di responsabilità riconducibile al richiamato art. 2050 c.c., considerando, altresı̀, adeguatamente motivata tale decisione nella parte in cui era rimasto accertato, in positivo, che l’infortunio occorso all’allievo scolastico durante la lezione di educazione fisica era stato determinato da un fatto accidentale ascrivibile ad un errore del medesimo minore, il quale, nel controllare il possesso del pallone in un frangente del gioco in cui non vi era stato alcun contrasto con altri giocatori, era inciampato sul pallone stesso e nel cadere aveva appoggiato a terra la mano sinistra, procurandosi la frattura del relativo avambraccio) (Cass. 19 gennaio 2007, n. 1197). n Il gestore del maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora gli allievi siano principianti, del tutto ignari di ogni regola di equitazione, ovvero giovanissimi; nel caso di allievi più esperti, l’attività equestre è soggetta, invece, alla presunzione di responsabi- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI lità di cui all’art. 2052 c.c., con la conseguenza che spetta al proprietario od all’utilizzatore dell’animale che ha causato il danno di fornire non soltanto la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato causato da un evento fortuito (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto il gestore responsabile, ex art. 2050 c.c., dei danni subı̀ti da un’allieva principiante, che era stata colpita alla caviglia dallo zoccolo di un cavallo che, nella fila, seguiva immediatamente quello da lei cavalcato, ed avevano dichiarato la nullità, ai sensi dell’art. 1229, comma 1, c.c., della clausola di esonero da responsabilità sottoscritta) (Cass., 19 giugno 2008, n. 16637). n La gestione di un ippodromo non costituisce necessariamente un’attività pericolosa, ma può diventarlo solo in determinati casi, come nell’ipotesi in cui sia funzionale all’esercizio di scuole di equitazione od all’organizzazione di gare ippiche; ne consegue che il gestore di un ippodromo non può essere ritenuto responsabile ipso facto per i danni conseguenti ai rischi insiti nell’attività del cavalcare, e che per tale genere di rischi la sua responsabilità va esclusa in tutti i casi in cui risulti che abbia adottato i mezzi idonei per far sı̀ che la suddetta attività si svolga senza rischio (nella specie, era accaduto che un cavallo il quale percorreva l’ippodromo al galoppo, incrociando un altro animale che percorreva l’adiacente pista riservata al trotto, aveva avuto una brusca ed imprevista reazione, che lo aveva portato a cozzare violentemente contro lo steccato che separava le due piste, perdendo la vita; la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità dei gestore dell’impianto per la morte dell’animale) (Cass. 30 gennaio 2009, n. 2482). n L’attività edilizia può essere considerata ‘‘pericolosa’’, ai sensi dell’art. 2050 c.c., solo quando comporti l’esecuzione di rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o di spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree; pertanto, non può invocarsi la presunzione di cui alla predetta disposizione nell’ipotesi del tranciamento di una linea telefonica occorso durante lavori di scavo estesi su una modesta superficie (nella specie, un metro quadrato), in zona agricola, lontano da altre costruzioni (Cass. 9 aprile 2009, n. 8688). n La navigazione aerea non è considerata dal legislatore come un’attività pericolosa, né può ritenersi che essa possa oggettivamente definirsi tale per la sua natura, per le caratteristiche dei mezzi adoperati o per la sua potenzialità offensiva, tenuto conto che con essa si esercita un trasporto Art. 2050 ampiamente diffuso, considerato, rispetto agli altri, a basso indice di rischio, in astratto e in generale; tuttavia la pericolosità dell’attività in esame può sussistere in concreto tutte le volte in cui essa non rientri nella normalità delle condizioni previste, in osservanza dei piani di volo, di condizioni di sicurezza, di ordinarie condizioni atmosferiche, con conseguente applicabilità in tal caso della disposizione di cui all’art. 2050 c.c. (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito con cui, senza accertare se il trasporto aereo in questione fosse stato svolto in condizioni ordinarie o anomale era stata esclusa l’applicabilità dell’art. 2050 c.c. al vettore in un caso in cui un elicottero, cui era sospesa una rete contenente merci, nel decollare aveva agganciato e sollevato in aria una persona intervenuta ad aiutare il personale di bordo nell’operazione di carico) (Cass. 10 novembre 2010, n. 22822). n Con riguardo allo svolgimento del servizio ferroviario da parte della P.A., l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., sulla presunzione di responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa, va riconosciuta quando il danno che ne derivi si ricolleghi ad uno specifico aspetto o momento del servizio stesso, il quale presenti connotati di pericolosità eccedenti il livello normale del rischio, cosı̀ da richiedere particolari cautele preventive; ciò non esclude che, pur non sussistendo un’ipotesi di pericolosità presunta ex art. 2050 c.c., la responsabilità della P.A. per lo svolgimento dell’indicato servizio può essere affermata, qualora si sia determinata una situazione anomala rispetto a quella ordinariamente richiesta per la sicurezza generale (nella specie, il venir meno, ad opera di terzi, dell’integrità delle recinzioni dell’area ferroviaria, con rischio che specialmente i minorenni potessero introdurvisi per svolgere pericolosissimi giochi), situazione nota all’amministrazione, la quale avrebbe dovuto attivarsi per prevenire detto rischio (Cass. 1o aprile 1995, n. 3829). n In tema di trattamento dei dati personali, l’onere della prova per la mancata custodia degli stessi incombe al danneggiante, come disposto dall’art. 2050 c.c., richiamato dall’art. 15 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, salvo che le notizie siano note già prima della loro diffusione da parte di questo, poiché, in tal caso, il danneggiato non è esentato dall’onere di dimostrare o, quanto meno, di indicare elementi presuntivi idonei a motivare la convinzione che la divulgazione sia riconducibile a chi possiede tali dati e non a chi abbia in precedenza pubblicato le medesime informazioni; né può configurarsi un diritto al risarcimento quando il custode abbia divulgato i dati a salvaguardia della corret2575 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI tezza del proprio comportamento, perché i principi in tema di riservatezza vanno coordinati, oltre che con quelli che attengono all’interesse pubblico e al diritto della collettività all’informazione, con le esigenze di salvaguardia di interes- 2051 si, pubblici e privati, all’onorabilità delle proprie frequentazioni nonché alla correttezza ed al rigore dei propri comportamenti (Cass. 26 giugno 2012, n. 10646). Danno cagionato da cosa in custodia – [1] Ciascuno e` responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. SOMMARIO: 1. Responsabilità civile. Cose in custodia. Nesso causale – 2. Caso fortuito – 3. Responsabilità dell’appaltatore – 4. Responsabilità della P.A. – 5. Responsabilità oggettiva – 6. Locazione di beni immobili – 7. Comunione e condominio di edifici 1. Responsabilità civile. Cose in custodia. Nesso causale. n La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade aperte al pubblico transito in riferimento a situazioni di pericolo derivanti da una non prevedibile alterazione dello stato della cosa; detta norma non dispensa tuttavia il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (respinta, nella specie, la domanda avanzata da un automobilista avente ad oggetto i danni subiti dalla sua automobile mentre transitava su un pozzetto dell’illuminazione pubblica privo di coperchio, posto al centro della carreggiata di una via cittadina, atteso che non era stata fornita la prova del nesso causale tra il passaggio nella buca ed i danni subiti dall’automobile) (Cass. 20 febbraio 2013, n. 4244). n La responsabilità da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva, nel senso che presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il danno. Essa, dunque, viene a configurarsi in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, con ciò evidenziandosi, però, che la natura della cosa e le modalità che ne connotano in concreto e normalmente la fruizione sono da tener presenti nell’eziologia dell’evento come scaturente da quella ‘‘determinata’’ cosa. Al fine di verificare il nesso causale si deve avere riguardo alla prevedibilità della situazione 2576 di pericolo e la superabilità attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato. Il comportamento imprudente del soggetto leso può interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno fino a escludere la responsabilità del custode. (nella specie, relativa alla caduta da una scalinata, la Corte ha escluso la responsabilità del custode) (Cass. 14 febbraio 2013, n. 3662). n In tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno che egli ha subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia), e solo dopo che egli abbia offerto una tale prova il convenuto deve dimostrare il caso fortuito. La prova del nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sé statica e inerte (esclusa, nella specie, la responsabilità dell’Ente per i danni sofferti da un passante, che era inciampato in un cordolo lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro un mucchio di pietre; per la Corte, in questa vicenda mancava la dimostrazione che la situazione della strada fosse tale da configurare oggettivamente un pericolo, anche a fronte del normale livello di attenzione esigibile dai passanti, per la semplice ragione che il cittadino, abitando sul posto, ben poteva conoscere la situazione dei luoghi da lei quotidianamente frequentati, compreso il cordolo che ne aveva provocato la caduta) (Cass. 5 febbraio 2013, n. 2660). n In tema di responsabilità per cose in custodia, deve essere censurata la motivazione della Corte di appello che, nell’escludere la responsabilità del gestore per un sinistro causato dalla presenza di un pneumatico sulla sede stradale, si Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI sia fondata sulla sola generica deposizione di un teste, dipendente dell’ente gestore stesso, peraltro non recatosi personalmente in luogo, che attesti la messa in sicurezza della strada senza specificare quali misure concrete siano state adottate allo scopo, atteso che tale deposizione è insufficiente a giustificare la convinzione che l’ente gestore, a cui ne incombeva l’onere, abbia effettivamente offerto la prova liberatoria di cui all’art. 2051 c.c., cioè la prova certa e inequivocabile di avere compiuto, dopo la segnalazione della presenza del pneumatico e prima del verificarsi dell’incidente, tutte le attività necessarie a rimettere la strada in condizioni di sicurezza, a fronte del fatto che l’incidente si è verificato, che un pneumatico è stato effettivamente trovato in luogo e che la sua presenza è stata effettivamente segnalata con notevole anticipo, e che il verbale della polizia stradale conteneva anche riscontri oggettivi del fatto (Cass. 15 gennaio 2013, n. 783). n In caso di danni verificatisi all’interno di una struttura ospedaliera, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., il comportamento colposo del danneggiato esclude la responsabilità dell’azienda sanitaria qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso (nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità di una USSL per i danni subiti da un medico da essa dipendente caduto mentre in orario notturno si trovava ad attraversare un corridoio di una corsia scarsamente illuminato e dove erano ubicati dei letti per degenti; a causa di una coperta che sporgeva da un letto, parzialmente riversa per terra, il medico era scivolato a terra riportando gravissime lesioni. La Corte ha ritenuto che il comportamento anomalo del medico, il quale, pur essendo a conoscenza della collocazione dei letti nel corridoio dell’ospedale e della conseguente insicurezza dei luoghi attraversati, aveva trascurato di prestare la dovuta attenzione, dovesse qualificarsi come causa esclusiva dell’evento) (Cass. 13 dicembre 2012, n. 22898). n Il gestore di uno stabilimento risponde della affidabilità e funzionalità delle attrezzature poste a disposizione dei frequentatori. Da ciò consegue che, nel caso di infortunio dovuto a rottura o malfunzionamento dell’attrezzatura di proprietà dell’impresa esercente l’attività di svago, questa debba rispondere dei danni eventualmente subiti dal cliente, a meno che il titolare dello stabilimento non provi che l’evento dannoso è stato provocato da un fattore impre- Art. 2051 vedibile e fortuito. Infatti, la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa, e, perciò, anche per le cose inerti, e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. La responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l’evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell’evento e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Trib. Bari 5 novembre 2012, n. 3441, in giurisprudenzabarese.it). n In merito alla responsabilità per i danni provocati ad un’immobile dal proprietario dell’immobile sovrastante, affinché possa configurarsi la responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato senza che rilevi la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, mentre tale nesso di causalità deve essere escluso solo quando il danno sia ascrivibile al caso fortuito (Trib. Roma, 16 ottobre 2012, n. 19420). n L’azione di responsabilità ex art. 2051 c.c. è esperibile solo nei confronti del custode del bene e tale non è il titolare della servitù di passaggio, atteso che l’esistenza di quest’ultima non sottrae al proprietario del fondo servente, né attribuisce al proprietario del fondo dominante, la disponibilità e custodia della parte di fondo (strada e accessori) sulla quale la servitù è esercitata (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17492). n È da escludere la violazione dell’art. 2051 per l’infortunio occorso ad un giocatore di calcetto che urta contro un palo di una porta posta ai lati del campo di gioco atteso che, essendo ben visibile tale porta e non avendone chiesto la rimozione, viene meno il nesso causale, posto che il fattore determinante della causalità, che rompe il nesso, è riferito alla scelta dei giocatori di utilizzare il campo senza rimuovere le porte, dove era possibile, che nel corso del gioco, i giocatori finissero con l’urtare. La responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c. è esclusa in presenza di una 2577 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 scelta consapevole del danneggiato (c.d. rischio elettivo), il quale, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza della pericolosità della cosa, accetti di utilizzarla ugualmente (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità del custode di un campo di calcetto, per l’infortunio occorso ad un giocatore in seguito all’impatto contro alcuni tubi metallici accantonati ai margini del campo e ben visibili) (Cass. 31 luglio 2012, n. 13681). n In tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale (Cass. 23 luglio 2012, n. 12811). n In caso di sinistro dovuto all’urto di un veicolo contro un cassonetto dei rifiuti posizionato in modo pericoloso lungo la sede stradale, l’ente custode non va esente da responsabilità se si limita a eccepire l’impossibilità di intervenire tempestivamente per la rimozione dell’ostacolo in ragione del numero e della dislocazione dei cassonetti. La responsabilità può essere esclusa quando l’ente custode dimostri di non aver potuto esercitare un continuo ed efficace controllo sul bene, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti, come nel caso in cui dimostri che l’alterazione dello stato dei luoghi – idonea ad integrare il fortuito – era imprevista ed imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile agli utenti (Cass. 14 giugno 2012, n. 9722). n In mancanza di prova di omessa manutenzione della recinzione stradale, il probabile abbandono di cani da parte di un terzo, desunto nella specie dalla presenza nelle adiacenze del luogo del sinistro di un’area di servizio e dalla mancanza di una via di fuga per gli animali, costituisce fatto imprevedibile ed inevitabile nel suo accadimento repentino, idoneo ad integrare il caso fortuito, non potendosi pretendere un continuo controllo della sede autostradale onde impedirlo (confer2578 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI mata la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità dell’ente gestore dell’autostrada per il sinistro occorso ad un automobilista che, per evitare due cani che gli si erano improvvisamente parati davanti, aveva bruscamente sterzato andando ad impattare contro il guard-rail) (Cass. 9 maggio 2012, n. 7037). n In tema di danni da cattiva manutenzione del manto stradale, la possibilità per il danneggiato di percepire agevolmente l’esistenza della situazione di pericolo incide sulla concreta configurabilità di un nesso eziologico tra la cosa e il danno, ponendo correlativamente in risalto il rilievo causale attribuibile al comportamento colposo del danneggiato che avrebbe verosimilmente dovuto prestare maggiore attenzione alle condizioni della strada che stava percorrendo (nella specie, relativa ad un sinistro causato dalla presenza sul manto stradale di una buca, peraltro segnalata, la Corte ha rilevato che non emergesse alcun elemento dal quale si poteva evincere che l’utente non fosse stato in grado di percepire l’esistenza della buca, qualora avesse mantenuto un’andatura coerente con le caratteristiche del veicolo da lui stesso condotto ed avesse prestato una adeguata attenzione alle condizioni del terreno. Pertanto, si poteva ragionevolmente ritenere che l’evento de quo non si sarebbe verificato se, in ottemperanza della apposita segnaletica e nel rispetto del limite di velocità, l’utente non fosse transitato nella fascia della strada ove era presente la buca) (Cass. 18 aprile 2012, n. 6065). n L’uso anomalo o improprio della cosa esclude qualsiasi responsabilità del custode, a tal punto che ove sia evidente tale uso improprio non sussiste più nemmeno il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso a tale uso (esclusa, nella specie, la responsabilità del condominio per la morte di alcuni condomini a causa dell’occlusione della condotta fumaria e la conseguente dispersione di monossido di carbonio. Vi era stato un uso anomalo da parte del proprietario dell’appartamento locato ai condomini deceduti, avendo lo stesso collegato lo scarico dei gas dello scaldabagno alla condotta di raccolta ed allontanamento dei vapori e dei gas, provenienti dagli apparecchi di cottura dei cibi) (Cass. 29 marzo 2012, n. 5072). n La responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2051 c.c. è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni (nella specie una strada pubblica); tale responsabilità resta esclusa solo dalla prova, gravante sulla P.A., che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, cosı̀ integrando il caso fortuito previsto dalla predetta norma quale scriminante della responsabilità del custode (Cass. 2 marzo 2012, n. 3253). n In relazione ai danni verificatisi nell’uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell’art. 2051 c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’esistenza di un comportamento colposo dell’utente danneggiato esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento stesso (nella specie, la Corte ha escluso ogni responsabilità dell’ente, in quanto l’insidioso avvallamento che secondo il danneggiato era privo di idonea segnalazione e costituiva un pericolo per gli utenti della strada non era altro che un’ordinaria griglia per lo scarico delle acque piovane; non era quindi ipotizzabile la lesione dell’aspettativa alla regolarità del manto stradale. All’uomo sarebbe bastata l’ordinaria diligenza nel percorrere la strada per evitare la caduta) (Cass. 30 gennaio 2012, n. 1310). n Ai fini della configurabilità della responsabilità contemplata nell’art. 2051 c.c., non rileva il comportamento del responsabile e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, ma è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Infatti, poiché funzione della norma che disciplina la responsabilità del custode è quella di imputare la responsabilità a chi si trova in condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa, essa non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario. La responsabilità per danni da cose in custodia, si fonda, quindi, sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente tra la cosa dannosa e colui il quale ha l’effettivo potere su di essa (proprietario, possessore o detentore che sia). Pertanto, affinché sorga la responsabilità del custode, occorre che il danno si sia prodotto nell’ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l’insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e che la cosa, pur combinandosi con l’elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno (nella fattispecie, risulta accertato dalle prove raccolte che sul sedime stra- Art. 2051 dale dove si verificò lo sbandamento dell’autovettura dell’attore era presente una sostanza oleosa che rendeva il suolo molto scivoloso. Sussisteva pertanto un’anomalia del fondo stradale, di per sé idonea a far sorgere la responsabilità dell’ente proprietario e custode della strada a mente della richiamata disposizione. La responsabilità dell’amministrazione per l’occorso, ravvisato nel nesso causale tra la presenza di sostanza viscida sulla strada e l’incidente, non esclude peraltro nella specie una corresponsabilità del danneggiato per non aver questi tenuto adeguata condotta di guida e, specificamente, per non aver calibrato la propria velocità) (Trib. Trento 13 gennaio 2012, n. 52, in Guida al dir., 2012, 13, 67). n In tema di responsabilità dell’ente pubblico proprietario delle strade per danni subiti dagli utenti, la circostanza che l’ente si sia difeso in primo grado anche in ordine alla propria responsabilità per danni da cose in custodia e che il giudice del medesimo grado abbia esplicitamente deciso sulla questione affermandone l’infondatezza (nella specie, per inapplicabilità di siffatta responsabilità alla P.A.), comporta che la domanda formulata in appello dal danneggiato, a norma dell’art. 2051 c.c., non può essere considerata nuova dal giudice del gravame e, come tale, dichiarata inammissibile (Cass. 14 novembre 2011, n. 23741). n L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (nella specie la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva statuito la responsabilità dell’ente per i danni derivati dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione, dalla sede stradale, del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali, la presenza dei quali, dopo tali precipitazioni, rappresentava fattore di rischio conosciuto o conoscibile) (Cass. 18 ottobre 2011, n. 21508). n Ai fini della responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., è necessaria una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso; qualora, pertanto, la cattiva coibentazione delle parti comuni si riverbera sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, il condominio non è responsabile allorquando tale difetto non sia dovuto alle caratteristiche intrinseche dell’edificio, ma ad altri fattori che causano effettivamente il danno. L’umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edifi2579 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 cio, può integrare, ove sia compromessa l’abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell’edificio ai fini della responsabilità del costruttore, ex art. 1669 c.c. Tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 c.c., il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa (Cass. 12 luglio 2011, n. 15291). n La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Per le autostrade, destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo all’effettiva possibilità del controllo induce a ravvisare la configurabilità, in genere, di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c.; ove non sia applicabile la responsabilità di cui alla norma citata, per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene, l’ente proprietario risponde dei danni subiti dall’utente ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo in questo caso a carico del danneggiato l’onere di provare l’anomalia del bene, mentre spetta al gestore provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità, in cui l’utente si sia trovato, di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la predetta anomalia (nella specie, applicando il riportato principio, in relazione ad un sinistro occorso a seguito della manovra necessitata dall’attraversamento di un animale in autostrada, la S.C. ha affermato che, dimostrata la presenza di un animale idoneo all’intralcio alla circolazione, non spetta all’attore in responsabilità, tanto nella tutela offerta dall’art. 2051 c.c. che in quella di cui all’art. 2043 c.c., provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, nel caso la società di gestione dell’autostrada, quale indice di ricorrenza di un caso fortuito) (Cass. 19 maggio 2011, n. 11016). n A carico dei proprietari o 2580 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI concessionari delle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 c.c., essendo possibile ravvisare un’effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia. Ne consegue, ai fini della prova liberatoria, che il custode è tenuto a fornire per sottrarsi alla responsabilità civile, la necessità di distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada da quelle provocate dagli utenti o da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa in quanto, solo nella ricorrenza di queste ultime, potrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell’intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4495). n In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento (Cass. 6 ottobre 2010, n. 20757). n La responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. sussiste qualora ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della c.d. insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale ‘‘alterazione’’ per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile) (Cass. 13 maggio 2010, n. 11592). n La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’atti- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI vità o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresı̀, dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale – avendo accertato che il conducente aveva perso il controllo della propria vettura a causa di un malore e che, dopo aver urtato contro il muro di contenimento, si era poi arrestato contro il guard rail, perdendo la vita nell’impatto – aveva escluso ogni responsabilità dell’ANAS, sul rilievo che il guard rail era posizionato correttamente, che la presenza di barriere di contenimento era finalizzata proprio ad evitare incidenti e che l’urto, perciò, non era addebitabile all’ente proprietario della strada) (Cass. 7 aprile 2010, n. 8229). n Qualora un strada adibita all’uso pubblico presenti alterazioni o anomalie tali da creare una situazione di pericolo per gli utenti, il custode tenuto alla manutenzione incorre in responsabilità oggettiva per i danni provocati dalle suddette anomalie, ai sensi dell’art. 2051 c.c. In questi casi il nesso causale fra la situazione di pericolo e il danno può essere desunto dalla mera contestualità temporale e spaziale, e dalla logica e normale consequenzialità, fra la situazione della strada e il tipo di evento che si è verificato. Il danneggiato non è tenuto a dimostrare la colpa del custode, e questi è tenuto a fornire la prova del caso fortuito, per esimersi da responsabilità (Cass. 29 dicembre 2009, n. 27635). n Chi proponga domanda di risarcimento dei danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c., in relazione alle condizioni di una strada (nella specie, danni conseguenti alla caduta da una motocicletta), ha l’onere di dimostrare le anomale condizioni della sede stradale e la loro oggettiva idoneità a provocare incidenti del genere di quello che si è verificato (nella specie, presenza di pietrisco sul fondo stradale). È onere del custode convenuto in risarcimento, invece, dimostrare in ipotesi l’inidoneità in concreto della situazione a provocare l’incidente, o la colpa del danneggiato, od altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno (Cass. 18 dicembre 2009, n. 26751). n Può essere qualificato ‘‘cu- Art. 2051 stode’’ della cosa, per i fini di cui all’art. 2051 c.c., colui che ha la disponibilità di fatto di una cosa, non disgiunta però dalla disponibilità giuridica di essa. È da considerarsi, perciò, ‘‘custode’’, ai sensi della norma indicata, sia il proprietario che il conduttore del bene, in quanto detentore qualificato, ma non il loro dipendente (nella specie, nel corso delle operazioni di taglio d’un albero d’alto fusto all’interno del parco di una villa, la caduta di un ramo aveva provocato la morte di uno dei lavoranti. La S.C., in base all’enunciato principio, ha ritenuto – cassando con rinvio la sentenza impugnata – che erroneamente il giudice di merito aveva escluso la responsabilità del conduttore dell’immobile e del relativo parco, mentre correttamente aveva negato la configurabilità di una responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo al dipendente del conduttore stesso) (Cass. 20 novembre 2009, n. 24530). n In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento. Alla stregua di tale principio generale consegue che l’obbligo del custode di segnalare il pericolo connesso all’uso della cosa si arresta di fronte ad un’ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l’imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatto uso improprio integra il caso fortuito per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 8 ottobre 2008, n. 24804). n La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia stabilita dall’art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa, e poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell’onere della prova all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto per liberarsi dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sfera soggettiva, idoneo ad inter2581 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 rompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o del danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’assoluta eccezionalità (Cass. 20 maggio 1998, n. 5031). 2. Caso fortuito. n È configurabile il caso fortuito, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, in presenza di quelle alterazioni repentine e non specificamente prevedibili dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il caso fortuito relativamente ad un sinistro occorso ad un automobilista che, per evitare un ramo caduto improvvisamente a causa del vento eccezionalmente forte, aveva urtato violentemente contro un albero; era emerso, infatti, che gli alberi posti ai margini della strada in questione erano stati potati pochi mesi prima del fatto, il che escludeva la possibilità di imputare all’ente gestore della strada una qualsivoglia negligenza nella manutenzione) (Cass. 10 dicembre 2012, n. 22385). n Il nesso causale nella responsabilità da cose in custodia deve essere negato non solo in presenza di un fattore esterno che abbia prodotto di per sé l’evento assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ma anche nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e per ciò stesso imprevedibile (c.d. fortuito incidentale), ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo estraneo o della stessa vittima (esclusa, nella specie, la responsabilità dei proprietari di un immobile allo stato grezzo per i danni occorsi ad un ragazzo che, dopo essere salito sul lastrico solare dell’edificio per giocare con un aquilone, era precipitato al suolo, riportando gravi lesioni, atteso che la Corte ha sottolineato il comportamento gravemente imprudente del giovane, tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa e l’evento lesivo) (Cass. 4 dicembre 2012, n. 21727). n Una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia del manto stradale di una struttura viaria, strada o piazza che sia, è comunque configurabile la responsabilità dell’ente pubblico che ne è custode, salvo che quest’ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno; il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a inter2582 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI rompere il nesso eziologico tra cosa ed evento dannoso. Il giudizio sull’incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione del danno non può prescindere dalla considerazione della natura della cosa e deve tener conto delle modalità che in concreto ne hanno caratterizzano la fruizione (Cass. 6 novembre 2012, n. 19154). n L’ente proprietario di strada aperta al pubblico transito si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada medesima, salvo il fortuito. La responsabilità di custodia decade solo in presenza di cause estemporanee ed estrinseche al bene demaniale. Qualora il danno sia stato determinato non da cause intrinseche al bene demaniale (quale il vizio costruttivo o manutentivo), bensı̀ da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, quali ad esempio l’abbandono improvviso sulla strada di oggetti pericolosi, è configurabile il caso fortuito ai fini dell’esonero dalla responsabilità. In simili casi, si è in presenza di quelle alterazioni repentine e non specificamente prevedibili dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. 28 settembre 2012, n. 16057). n In tema di danni da cosa in custodia, non assume alcuna rilevanza il comportamento del custode essendo, il fondamento della responsabilità, il rischio gravante sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito. Nel caso di specie non risulta dedotto né provato, da parte del convenuto, alcun caso fortuito idoneo a interrompere la serie causale che ha determinato il verificarsi dell’evento lesivo, essendo provato per testimoni e accertato con consulenza tecnica il nesso di causalità tra il pavimento in custodia del convenuto e le lesioni subite da parte attrice. Ne deriva l’affermazione del diritto del danneggiato a veder risarcito il danno patrimoniale e non, dovendosi ricomprendere quest’ultimo quale categoria generale e unitaria, non suddivisibile in sottocategorie, comprensiva del danno all’integrità psicofisica e di tutti i pregiudizi non direttamente incidenti su fonti di reddito del soggetto leso o comunque non connotati da rilevanza economica ma comunque idonei ad alterare capacità, abitudini e aspetti relazionali dello stesso costringendolo a scelte di vita diverse (Trib. Trento, 1o agosto 2012, n. 726, in Guida al dir., 2012, 44, 76). n L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI riconducibili alle situazioni di pericolo strettamente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione. Tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che non può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile a segnalabile nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe (riconosciuto, nella specie, il risarcimento del danno patito da un cittadino che era caduto nella piazza coperta da sottile lastra di ghiaccio, atteso che il Comune, che aveva la piena custodia dell’area pubblica sita nel centro della città, non aveva dimostrato l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, poteva ritenersi idoneo ad interrompere il suddetto nesso eziologico fra la cosa in custodia e l’evento lesivo) (Cass. 18 aprile 2012, n. 6062). n Va esclusa la responsabilità del custode nel caso in cui – come nella fattispecie – il fatto esterno, a lui non imputabile e che può consistere anche nel comportamento del danneggiato, sia stato da solo sufficiente a causare il danno, essendosi in questa ipotesi in presenza del caso fortuito, che, ai sensi dell’art. 2051 c.c., esclude la responsabilità del custode (nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità del custode per il danno occorso ad un uomo, che aveva urtato contro il battente in bronzo del portone della Pretura) (Cass. 17 gennaio 2012, n. 537). n La responsabilità ex art. 2051 c.c. sussiste in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, il quale può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno (fattispecie di infiltrazioni provenienti da parti comuni dell’edificio da cui scaturiva umidità in un locale di proprietà esclusiva. La Corte ha respinto la richiesta risarcitoria sul rilievo che la c.t.u. aveva accertato che il fatto del danneggiato, costituito dal mutamento di destinazione d’uso – impedendo la normale aerazione del locale seminterrato le cui caratteristiche costruttive erano compatibili con tale aerazione – aveva avuto efficacia causale tale da interrompere il nesso tra la cosa e l’evento dannoso, integrando il caso fortuito richiesto dalla legge perché il custode sia esente da responsabilità) (Cass. 29 novembre Art. 2051 2011, n. 25239). n Per quanto attiene le strade aperte al pubblico transito, la disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile in riferimento alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo configurabile il caso fortuito in relazione a quelle situazioni provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa, occorre aver riguardo, per quanto concerne pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno e che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato (nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità dell’Anas per i danni occorsi ad un utente di una strada che era stato investito da una frana proveniente dal fondo di un soggetto terzo, atteso che l’evento non poteva ritenersi imprevedibile in quanto negli anni precedenti si erano verificate frane, proprio provenienti dai terreni a monte e che da una relazione tecnica risultava che la stessa ANAS, negli anni precedenti, aveva predisposto opere per far fronte allo stesso problema) (Cass. 18 luglio 2011, n. 15720). n La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso sia stato dedotto e provato (Cass. 15 ottobre 2010, n. 21328). n Il custode della cosa, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità posta a suo carico, ha l’onere di provare l’esistenza del caso fortuito che consiste in un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, dal carattere imprevedibile ed eccezionale, che può concretizzarsi anche nel comportamento colposo del danneggiato, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e l’evento dannoso che si è verificato. Una volta accertata la sussistenza del caso 2583 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 fortuito, e cioè una volta escluso il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso, resta esclusa anche la responsabilità ex art. 2043 c.c. (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22807). 3. Responsabilità dell’appaltatore. n L’appaltatore, poiché nell’esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salva l’esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister, ovvero con la sua corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l’autonomia dell’appaltatore. Ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (Cass. 28 giugno 2012, n. 10859). n Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata (nella specie, lavori idraulici all’interno dell’immobile), non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c., che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo (Cass. 18 luglio 2011, n. 15734). n In caso di perdurante apertura al pubblico traffico di un’area interessata da lavori in corso, permane l’obbligo di custodia dell’ente pubblico proprietario del tratto stradale, con la conseguenza che è tale ente ad essere tenuto, in via esclusiva, ad apporre adeguata segnaletica stradale, trattandosi di adempimento non riconducibile agli obblighi dell’impresa appaltatrice, in assenza di prova che il comune abbia, nell’ambito del contratto di appalto, trasferito all’impresa l’obbligo di una corretta ed efficace installazione della segnaletica in questione (nella specie, in un sinistro stradale mortale, nel quale una delle auto aveva imboccato un tratto di strada con divieto d’accesso non idoneamente segnalato, intercettando cosı̀ l’altro mezzo coinvolto nello scontro, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità ex art. 2051 c.c. 2584 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI del Comune per non aver provveduto alla segnalazione adeguata della non percorribilità del tratto in questione (Cass. 20 settembre 2011, n. 19129). n In materia di appalto, l’appaltatore esplica l’attività che conduce al compimento dell’opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione e a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato, per cui è responsabile diretto e unico dei danni derivati a terzi nella (o dalla) esecuzione dell’opera, salva la corresponsabilità del committente, sia quando si ravvisino a carico di quest’ultimo specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all’art. 2043 c.c. sia quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata l’opera affidata a impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche e organizzative per eseguirla correttamente sia, ancora, quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questo, sia, infine, quando il committente si sia, di fatto, ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363). 4. Responsabilità della P.A. n Agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito in linea generale è applicabile l’art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. 14 febbraio 2013, n. 3640). n La disponibilità che l’ente proprietario ha di una strada, in vario modo regolamentandone le condizioni di fruizione e incidendo sulle stesse, integra lo status di custode, il che, determinando, in via di principio, la soggezione dell’ente al regime di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., comporta che, chi ne invoca l’applicazione, ha l’onere soltanto di dimostrare l’evento dannoso nonché il nesso di causalità tra la cosa e la sua verificazione (nella specie, relativa ad un infortunio occorso ad una donna, rovi- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI nata a terra a causa di una buca, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito, che avevano escluso la responsabilità del Comune ex art. 2051 c.c. con l’erronea motivazione che la rete stradale, per estensione e modalità d’uso, era oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte dei cittadini, con conseguente impossibilità, per l’ente proprietario, di esercitare un effettivo potere di vigilanza e custodia sul bene) (Cass. 29 gennaio 2013, n. 2094). n In riferimento al demanio stradale, la possibilità concreta di esercitare la custodia va valutata alla luce di una serie di criteri, quali l’estensione della strada, la posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza che la connotano, sı̀ che soltanto l’oggettiva impossibilità della custodia, intesa come potere di fatto sulla cosa, esclude l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., che peraltro non sussiste quando l’evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento era in concreto oggetto di custodia – come nel caso del demanio stradale comunale all’interno della perimetrazione del centro abitato – o quando sia stata proprio l’attività compiuta dalla P.A. a rendere pericolosa la strada medesima, con conseguente obbligo della stessa di osservare le specifiche disposizioni normative disciplinanti detta attività nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, ed il principio generale del neminem laedere, essendo altrimenti responsabile per i danni derivati a terzi (Cass. 8 maggio 2012, n. 6903). n Affinché operi la responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico dell’ente pubblico, quale titolare del demanio stradale, è necessario verificare se sussista in concreto la possibilità della ‘‘custodia’’, la quale deve essere indagata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che la connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all’interno della perimetrazione del centro abitato. Occorre, invero, avvertire che, se si tratta di strada comunale all’interno della perimetrazione del centro abitato, la localizzazione della strada è indice della possibilità di vigilanza e controllo costante da parte del Comune (Cass. 28 settembre 2012, n. 16540). n È dovere primario dell’ente proprietario della strada (e dell’ANAS, in relazione alle strade e autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali esercita i diritti e i poteri attribuiti all’ente Art. 2051 proprietario) garantirne la sicurezza mediante l’adozione delle opere e dei provvedimenti necessari. Ne consegue che sussiste la responsabilità di detto ente in relazione agli eventi lesivi occorsi nel tratto stradale da controllare, anche nei casi in cui l’evento lesivo trovi origine nella cattiva ed omessa manutenzione dei terreni laterali alla strada, ancorché appartenenti a privati, atteso che è comunque obbligo dell’ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza. (Cass. 26 ottobre 2012, n. 18483). n La discrezionalità, e la conseguente insindacabilità da parte del giudice ordinario, dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un’opera pubblica trova un limite nell’obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che dall’inosservanza di queste disposizioni e di dette norme deriva la configurabilità della responsabilità della stessa P.A. per i danni arrecati a terzi (fattispecie in cui la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano affermato la corresponsabilità dell’ANAS in relazione alle lesioni occorse ad un motociclista per effetto di caduta di massi su percorso stradale per non aver detto ente provveduto alla realizzazione di opere protettive di contenimento ed alla segnalazione del pericolo mediante apposizione di idonei cartelli) (Cass. 11 novembre 2011, n. 23562). n La P.A., in base al principio del neminem laedere, è responsabile dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti, che costituiscono il limite esterno alla sua attività discrezionale. Ne consegue che il Comune deve rispondere dei danni patiti da un motociclista aggredito da un cane randagio durante la marcia del mezzo, atteso che l’ente territoriale – ai sensi della legge-quadro 14 agosto 1991 n. 281 e delle leggi regionali in tema di animali di affezione e prevenzione del randagismo (nella specie l. reg. Campania 2 novembre 1993 n. 36, ratione temporis applicabile) – è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza (Cass. 23 agosto 2011, n. 17528). n La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile, in relazione alle strade aperte al pubblico transito, in riferimento alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specifica2585 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2051 mente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa occorre aver riguardo, per quanto concerne in particolare i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa medesima, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato (fattispecie relativa a frana proveniente da terreni di terzi e verificatasi a monte di una strada statale, con coinvolgimento di una vettura transitante, in cui la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda della vittima, ritenendo che il giudice di merito non avesse vagliato la circostanza che lo stato dei luoghi ed i precedenti incidenti franosi rendevano ben prevedibile quanto accaduto) (Cass. 18 luglio 2011, n. 15720). n L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze. Tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, consistita nell’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l’impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l’interruzione del nesso eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il danno (Cass. 19 novembre 2009, n. 24419). 5. Responsabilità oggettiva. n Poiché la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, una tale responsabilità non è di per sé esclusa dal fatto volontario della vittima, salva la valutazione della sua condotta ai sensi dell’art. 1227 c.c., consistente nella fruizione del bene custodito, benché non conforme al suo uso ordinario, quando non vi sia ragionevole modo di attendersi una peculiare oggettiva pericolosità dell’uso diverso, ma 2586 LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa medesima (la Corte si è cosı̀ espressa nella vicenda che ha visto coinvolta una studentessa, caduta dalla terrazza di un albergo che non presentava alcuna protezione, a cui aveva fatto accesso dopo aver scavalcato un parapetto in muratura) (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1769). n La responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza di un nesso causale tra la cosa ed il danno. Essa è perciò esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma, nella valutazione dell’apporto causale da quest’ultima fornito alla produzione dell’evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4476). n La responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri il verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode (nella specie, relativa alla richiesta di risarcimento danni avanzata da un condomino investito dal portone di ingresso dello stabile, la Corte ha stabilito che spettava al danneggiato dimostrare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, e cioè la dipendenza eziologica dei pregiudizi da lui riportati per effetto della chiusura del portone d’ingresso; mentre incombeva sulla controparte dare la prova del fortuito, deducendo e dimostrando il buon funzionamento del dispositivo di chiusura e la correlativa addebitabilità dell’evento all’utente che, contro le più elementari regole di prudenza si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente) (Cass. 28 giugno 2012, n. 10860). n In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporti il potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore (Cass. 9 febbraio 2004, n. 2422). 6. Locazione di beni immobili. n Malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell’uso e del godimento sia della singola unità immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell’edificio, una siffatta de- Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ TITOLO IX – DEI FATTI ILLECITI tenzione non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo potere fisico sull’entità immobiliare locata – ancorché in un ambito in parte diverso da quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore – con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture edilizie e sull’efficienza degli impianti. Grava, pertanto, sul proprietario, quale custode dei beni e degli impianti condominiali, la responsabilità per i danni subiti da terzi (nel novero dei quali vanno ricompresi anche i conduttori di appartamenti siti nell’edificio) dai detti beni e impianti (nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio ed accogliendo il ricorso sul punto, ha cassato la sentenza di merito, con la quale era stata esclusa la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente proprietario di un edificio, in relazione ai danni subiti da un soggetto, assegnatario di alloggio popolare, a seguito di caduta sulle scale della palazzina, buie per la mancanza dell’apposito interruttore dell’elettricità nei pressi del portone, sul rilievo che i giudici di appello non avevano accertato se esistesse o meno oggettivamente un rapporto di custodia tra l’ente proprietario e l’impianto di illuminazione delle scale e dell’androne del fabbricato) (Cass. 27 luglio 2011, n. 16422). n Il proprietario dell’immobile locato, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (come cornicioni, tetti, tubature idriche), su cui il conduttore non ha il potere-dovere di intervenire, è responsabile, in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed impianti (salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della situazione di pericolo). Con riguardo invece alle altre parti ed accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri (come i servizi dell’appartamento, ovvero, in riferimento alla specie, le piante di un giardino), la responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni del citato art. 2051 c.c. grava soltanto sul conduttore medesimo (Cass. S.U. 11 novembre 1991, n. 12019). 7. Comunione e condominio di edifici. n In tema di condominio, la disposizione dell’art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle ricondu- Art. 2051 cibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario; pertanto, in tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche – sia pure in via concorrenziale – al condominio (Cass. 6 febbraio 2013, n. 2840). n In tema di infiltrazioni in condominio, e quindi di responsabilità per cose in custodia, il singolo condomino ha diritto ad ottenere l’intervento del condominio, legittimato passivo, a titolo di responsabilità oggettiva. Pertanto, deve ritenersi legittima la sentenza con cui, dedotto il fatto che la parte pone a fondamento del proprio diritto ed accertati i fatti ed il nesso di causalità mediante c.t.u. disposta in sede di appello, viene condannato il condominio che non abbia fornito la prova liberatoria ad hoc ed abbia sostenuto, senza specificarne l’incidenza sui propri diritti e sul processo, il mero vizio procedimentale (Cass. 10 ottobre 2012, n. 17268). n In materia di condominio di edifici, la legittimazione passiva nel giudizio avente a oggetto il risarcimento dei danni da infiltrazione causati alle proprietà sottostanti spetta al proprietario del lastrico solare soltanto allorché detti danni derivino da difetto di conservazione o di manutenzione a lui imputabili in via esclusiva, spettando altrimenti al condominio. Qualora pertanto detto proprietario, nel giudizio instaurato nei suoi confronti, intenda eccepire il proprio difetto di legittimazione, egli ha l’onere di precisare, con opportuni riferimenti agli atti processuali, che l’azione introduttiva del giudizio era stata esercitata o comunque si era rivelata, all’esito dell’istruzione, come avente a oggetto una situazione dannosa non imputabile al medesimo in via esclusiva, ma della quale doveva rispondere il condominio (Cass. 6 marzo 2012, n. 3454). n In tema di condominio di edifici, il lastrico solare – anche se attribuito in uso esclusivo, o di proprietà esclusiva di uno dei condomini – svolge funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l’obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c. Deriva da quanto precede, pertanto, che il condominio, quale custode ex art. 2051 c.c. risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare (Cass. 6 marzo 2012, n. 3465). n Il solaio interpiano tra due apparta2587 Sinergie Grafiche srl h:/EGEA_BOCCONI/0867_13_Alpa_Judica/terzo_impa/01_ Art. 2052 menti, in quanto comune, è riparato dai comunisti in parti eguali a meno che detto solaio rimanga danneggiato per esclusiva responsabilità di uno dei comunisti tenuto di conseguenza a rispondere in proprio ex art. 2051 c.c. (nella specie, la Corte ha escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., atteso che i danni alla proprietà di un condomino non erano stati causati dal crollo del ‘‘suppenno’’ di proprietà esclusiva di altro condomino, ma del tetto di copertura dell’edificio condominiale rientrante tra i beni comuni) (Cass. 8 settembre 2011, n. 18420). n Il giudice è libero di utilizzare, per la formazione del suo convincimento, anche prove raccolte in un diverso processo – tra le stesse parti o tra altre parti – le quali possono valere come semplici indizi, atti a fornire elementi indiretti e concorrenti di giudizio, ed essere complessivamente valutabili nel procedimento logico induttivo e presuntivo per l’accertamento del fatto controverso. In ragione di ciò la Cassazione ha confermato il giudizio di merito secondo il quale un condomino aveva chiesto e ottenuto dal condominio il risarcimento dei danni da infiltrazioni d’acqua sulla base degli accertamenti tecnici preventivi svolti in occasione di una situazione simile posta in essere da un diverso condomino (Cass. 7 luglio 2010, n. 16010). n L’azione di risarcimento danni promossa nei confronti di un condomino, sul presupposto erroneo della proprietà esclusiva di una parte dell’edificio in condominio, non è idonea ad interrompere la prescrizione nei confronti del condominio successivamente chiamato in giudizio, a seguito dell’accertamento della proprietà comune del manufatto, in quanto l’originaria domanda giudiziale non prospettava una responsabilità del condominio bensı̀ una responsabilità personale ed autonoma del convenuto e, quindi, alternativa e non solidale. (Cass. 19 gennaio 2010, n. 697). n Se alle riparazioni ed alle ricostruzioni del lastrico solare sono obbligati solo i condomini, in quanto il lastrico adempie soltanto alla funzione di copertura dell’edificio (e perciò appartiene solamente ai partecipanti al condominio), al risarcimento dei danni cagionati all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni LIBRO IV – DELLE OBBLIGAZIONI d’acqua derivanti dal lastrico per difetto di manutenzione sono tenuti i condomini, in proporzione alle quote riportate dalle tabelle millesimali di proprietà. Se invece alla riparazione ed alle ricostruzioni sono tenuti, oltre i condomini, anche il titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo perché il lastrico, oltre la funzione di copertura, al proprietario superficiario o al titolare dell’uso esclusivo offre concretamente altre utilità, dei danni rispondono in concorso tra loro, tutti gli obbligati inadempienti (condomini, proprietario superficiario, usuario esclusivo), secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c. Vale a dire: i condomini, ai quali il lastrico serve da copertura in proporzione dei due terzi; il titolare della proprietà o dell’uso esclusivi, in ragione del terzo residuo. Il condominio, per andare esente da responsabilità deve dimostrare di essersi positivamente adoperato per risolvere a livello condominiale il problema delle infiltrazioni provenienti dai propri terrazzini senza alcun risultato utile. La condotta non collaborativa del condominio non esime il condominio dalla responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c., in ragione della natura condominiale del bene ed in assenza di prova della ricorrenza dell’esimente dal caso fortuito (Trib. Milano, 3 dicembre 2009, n. 14511 in Giust. a Milano, 2009, 12, 86). n Appurato il cattivo stato di coibentazione del sottotetto comune dello stabile condominiale, di tale mancato isolamento della copertura risponde, in quanto custode ex art. 2051 c.c., il condominio al quale incombe l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio alcuno e di rimuovere le cause del danno arrecato alle porzioni di proprietà esclusiva di uno dei condomini, salva la prova del fortuito. (Fattispecie nella quale, a causa dell’insufficiente isolamento termico del sottotetto, un condomino lamentava la presenza al proprio appartamento di temperature elevatissime durante il periodo estivo e rilevanti abbassamenti delle stesse durante il periodo invernale) (Trib. Milano 11 maggio 2009, n. 6256, in Riv. giur. edil. 2009, 4, 1523). 2052 Danno cagionato da animali – [1] Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, e` responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. SOMMARIO: 1. Natura e presupposti – 2. Prova liberatoria – 3. Casistica 2588