Anno XXXVI Numero 2

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Anno XXXVI Numero 2
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
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ANNO XXXVI N. 2
FEBBRAIO 1988
M
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
cultura,
Europa,
Federalismo
Questo numero di «Comuni d'Europa» è dedicato, in parte, ad approfondire alcuni temi dell'attuale dibattito culturale2 con l'intento di ofiire motivi di riflessione su quei problemi che possono
iappresentare alcune delle coordinate dell'impegno meditato di amministratori e politici europei. I
a
2 saggi e gli articoli vengono illustrati con riproduzioni di opere di Henry Moore, artista del quale è
o
;stato scritto che pone al centro della sua attività «il problema della storia e del rapporto tra passato
8
a e presente» mentre «la sua moifologia plastica riflette un'angosciosa incertezza circa il senso dell'uma.nità». Esattamente le domande dell'uomo europeo di oggi, nel suo difficile equilibrio tra i valori del
% passato, la crisi dei modelli attuali, l'esigenza di dare una risposta alle questioni relative al proprio
destino e alla propria identità. (Nella foto: Forma interna/esterna, 1983,bronzo)
Se parlare di cultura europea (o addirittura, come nel libro di George L. Mosse, di «cuitura dell'Europa occidentale» - «The culture of western Europe» -) significa polemizzare contro culture nazionali chiuse in se stesse o contro il nazionalismo culturale, passi. Se
parlare di cultura europea significa ricostruire a livello sovranazionale - come fece Rosselli per il fascismo - l'origine di certi peccati europei, passi ancora: anzi è utilissimo verificare i legami col nazionalismo «europeo» e poi col fascismo e col nazismo non solo italiani o tedeschi (Vichy e non Vichy, Franco,
Salazar, la «camicia nera» che Churchiil avrebbe indossato «se fosse stato italiano», la cotta
di Bernard Shaw per il corporativismo ...) di Gentile o di Heidegger (certo, certo, miei
giovani professorini di filosofia, non solo di
Heidegger di «Essere e tempo» ma di quello
di dopo la Kehre - la svolta -, per carità!),
così come sarà altrettanto utile verificare il rapporto fra gli «scrittori reazionari dell' Action
francaise» e Rocco (cfr. il classico «Alfredo Rocco e l'ideologia giuridica del fascismo» di Paolo
Ungari). Ma stiamo attenti che non si cada nell'idoleggiamento di una cultura europea da rintracciare come le care cose di famiglia, di solito custodite in soffitta, per poi chiedere una
copertura «politica» europea alla autarchia culturale comunitaria, come si fa col protezionismo economico. Anzi stiamo attenti che non
si arrivi addirittura alla richiesta di una politica culturale europea che magari dovrebbe essere professata e diffusa dalle università «europee».
Qui converrà fare una precisazione terminologica e concettuale. Parlare di «politica culturale» ci ricorda - non vogliamo scherzare
col Minculpop - il compagno Zdanov, ormai
messo in cantina da tutti i miei amici comunisti. Altra cosa - del tutto diversa - è chiedere, secondo la classica distinzione fatta discutendo negli anni cinquanta (dico bene?) con
la rivista «Società» dal buon Bobbio, una «po-
litica della cultura»: cioè una politica - e anche, se volete, una programmazione - dei
mezzi pratici, degli strumenti operativi che servono alla cultura; e, oseremmo aggiungere, più
vistosamente a una cultura di ricerca scientifica che non a quella filosofica oppure umanistica. Un ulteriore discorso sarebbe quello dei
mezzi che servono alla diffusione della cultura o addirittura alla creazione di un assetto istituzionale e sociale che permetta a tutti di far
cultura: forse ci arriveremo in qualche modo
- sempre parlando di Europa - alla fine di
questo articolo.
Torniamo ai nostri montoni, come diceva
l'avvocato Pathelin. Certamente, c'è qualche
dato comune, «tradizionale», che ci fa sentire
europei. Per esempio - spesso ma non sempre - il carattere e la misura delle nostre città (la loro «cultura», per parafrasare Mumford?): anche se, mentre lo scrivo, mi viene in
mente l'impressione (che allora non sapevo essere stata, prima che mia, di Emilio Cecchi)
che provai tanti anni fa - nel 1953 - arrivando con un po' di nebbia, sulla Queen Maq ,a New York, ossia l'impressione di avvicinarmi via mare a San Gimignano. Tutto è, in
qualche 'modo, relativo all'angolo visuale, fisico e spirituale, che si assume. Ma immagino
che molto spesso il viennese Schrodinger, il
creatore della meccanica ondulatoria ma anche appassionato studioso di Schopenhauer, si
sentiva più vicino alla cultura indiana che a
quella europea - a parte gli screzii «professionali» coi colleghi europei fautori della meccanica quantistica - : in questo senso, l'India era più casa sua dell'Europa. E cosi tanti
grandi cervelli della Western Europe di assai
diversa formazione si saranno sicuramente sentiti più americani o più cinesi che europei; o
forse più vicini a Tolstoi e Gandhi che a Leopold von Ranke o a Carlo Cattaneo. Insomma mi pare che il problema della cultura europea - o il problema europeo della cultura si debba affrontare come, con la consueta felicità didattica, fa Mario Albertini nella prefazione a quel libretto «Divagazioni su la Federazione europea e la crisi della civiltà», scritto da Gianni Ruta e pubblicato quando questo indimenticabile militante federalista e amico ci ha lasciato (come faccio a dimenticare
quando conobbi Gianni? studente a me sconosciuto, percorreva una strada di Roma con
un gruppo di giovani e un cartello antigoliista:
som
ma
rio
COMUNI D'EUROPA
scesi dall'autobus e - un pò vecchiotto per
questa generazione emergente - mi unii al
gruppo e passai una mattina con Gianni e i suoi
amici appena conosciuti davanti a Palazzo Farnese - cioè ali'ambasciata di Francia - a contestare l'Europa delle Patrie....). Sentiamo Albertini.
«Non si può capire il libro di Ruta se non
lo si legge sullo sfondo di una scelta di vita di
esemplare coerenza, nella quale il suo impegno
politico, tenace e totalmente disinteressato, si
è sempre manifestato nella forma del'iidentità della teoria e dell'azione. Si tratta per altro
di un'identità senza la quale lo stesso progetto federalista non potrebbe essere portato
avanti e non sarebbe nemmeno stato formulato da Spinelli e Rossi negli scritti di Ventotene. La verità è che tutte le grandi trasformazioni storiche sono anche trasformazioni di
quello che, riferendoci alla terminologia ormai
consacrata di Kant, potremmo chiamare il paradigma della cultura politica di un'epoca. La
lotta politica normale, condotta all'intemo di
un quadro istituzionale e di valore che non viene messo in discussione, consente, o megiio impone, di separare la teoria dalla pratica, la cultura dai potere, e di occuparsi soltanto di quest'ultimo. È questa la situazione nella quale si
trovano oggi i partiti politici nazionali, che gestiscono la decadenza di un quadro politico del
quale essi percepiscono la disgregazione senza percepirne le alternative. Per i federaiisti
in quanto movimento «rivoluzionario»,cioè radicalmente innovatore, la prospettiva è del tutto diversa, poichè la necessità nella quale essi
si trovano di trasformare il quadro politico cioè l'ambito nel quale prendono forma le risorse di potere che utilizza la politica normale
e si cristallizzano gli interessi che costituiscono la base elettorale dei partiti - fa della loro capacità di pensare ilfuturo la loro principale risorsa di potere e il loro più importante
strumento di mobilitazione ...» Aggiunge tuttavia subito Albertini: «Ma la capacità di pensare il futuro non può essere dissociata da quella di pensare - o di ripensare - il passato.
I1 modo di affrontare la realtà del rivoluzionario - e in ciò si esprime il suo superiore realismo
è caratterizzato dall'assunzione del
mutamento come struttura essenziale della
realtà storico-sociale e quindi come categoria
fondamentale della sua comprensione. La politica normale si crede realista in quanto nega
-
la possibilità stessa di ogni mutamento che non
sia funzionale alla conservazione del quadro
politico nel quale agisce e del quale assume come reale l'apparente immobilità, rimanendo
cosi cieca e inerte di fronte alle forze sotterranee che ne preparano la trasformazione.. .»
Non basta: Albertini avverte la matrice di
quello che io chiamerei un nuovo, possibile e
più pericoloso neofascismo. «Oggi le ideologie tradizionali - nate per interpretare la realtà storico sociale del diciannovesimo secolo sono state superate dalla storia, e quindi non
forniscono più strumenti per pensare il futuro.. .I1 pensiero debole e il nichilismo filosofico post-moderno hanno tratto da questo stato
di fatto e dalla propria soggettiva incapacità
di superarlo la conseguenza arbitraria che pensare il futuro sia oggi un'obiettiva impossibilità. Parlare in termini di fine delle ideologie
è diventato oggi un vero e proprio obbligo imposto da una ferrea moda culturale. I1 tentativo di dare un'interpretazione globale del senso della storia, e quindi del senso della propria vita, viene visto come regno di ingenuità
e di dilettantismo. Non vi sarebbero che verità «parziali» - non certo nel senso, del tutto
ovvio, che nessuno pub pretendere di apossedere» la conoscenza della totalità, ma in quello insidioso che ogni universo di discorso
avrebbe in sè il criterio di verifica deUa propria verità. Cib equivale alla pura e semplice
nagazione dell'idea stessa di verità e alla degradazione della cultura a virtuosismo verbale e a snobistico mezzo di intrattenimento ...».
E qui Albertini è ancora troppo ottimista.
Tiriamo le somme. L'Europa non è e non
deve essere considerata un reperto archeologico. Chi parla di Europa-nazione guarda con
la testa rivolta indietro. Noi vogliamo una Europa federata, perchè siamo - come deve essere ogni uomo dell'era atomica (ma avrebbe
dovuto già esserlo prima) - dei cosmopolitici
concreti: uomini concreti che costruiscono l'unita europea guardando d ' u n i t a del mondo,
senza la quale - per guerra o per pace gestita
maie, con rottura definitiva dell'ecosistema la storia umana è finita.
Comunque per la cultura «costruttiva» di un
federalista l'idea splengleriana di una nazione
monade senza finestre, di una nazione - piccola, grande o grandissima - organismo chiuso ecc. ecc. (non scomoderò, con malaccortez-
1 - Cultura, Europa, federalismo, di U. S.
3 - La proposta federalista, di Mario Albertini
7 La questione dell'identità, di Alberto Cabella
9 - Attualità dell'antifascismo, di Sergio Pistone
11 - La dimensione scuola, di Maria Grazia Pighetti Carbone
12 - Scuola e politica, di ARGO
13 - La ragian di stato, Carlo Meriano
14 - Autonomie locali e intercultura di Everardo Minardi
15 - Comitato ummltivo degli Enti locali e regionali della Comunità, di Gianfraneo Martini
17 - I n t e r v h a Sir Fred Catherwood
19 - Il Parlamento Europeo e le minoranze etniche
20 - La mozione del Comitato centrale del MFE
21 - La risoluzione del CIME
22 - I1 Congresso nazionale deUYAEDE
23 - I libri
INSERTO: Rilancio deli'azione culturale nella Comunità europea
(continua a pag. 23)
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.
:
temi per un dibattito culturale: la proposta federalista
Occorrono nuovi principi nell'azione politica
per affrontare i nuovi problemi del genere umano
di Mario Albertini*
Non c'è crisi quando gli uomini si trovano di fronte a gravi difficoltà, ma qicancbo conoscenza del mondo (cultura)
e controllo del mondo (politica) divergono. Col federalismo si può passare dal governo democratico di una sola nazione al governo democratico di una libera società di nazioni indipendenti. La nuova via del federalismo verso il traguardo mondiale può cominciare dall'Europa. Il rapporto non alternativo con le ideologie storiche
I1 mondo si trova di fronte a problemi nuovi e alla necessità di soluzioni nuove. La nostra analisi quindi deve essere più ampia di
quella abituale e deve necessariamente allargarsi alla prospettiva mondiale. Problemi nuovi
e necessità d i soluzioni nuove può voler dire
un nuovo ciclo del processo storico e dell'azione p l i t i c a . Se siamo di fronte ad una svolta storica, e si tratta di capire il nuovo quand o esso comincia solo a profilarsi ma non è ancora in mezzo a noi come una cosa già cresciuta
che condiziona il comportamento quotidiano
dei poteri, la normale analisi politica di carattere pragmatico non basta più. Solo la cultura
può riconoscere le svolte della storia. Va detto tuttavia che i n questi casi non è solo la politica ad aver bisogno della cultura, ma è anche la cultura ad aver bisogno della politica.
A questo punto, solo con i grandi scopi politici che riguardano direttamente il progresso della condizione umana si può animare la cultura
- che altrimenti si adagia nel pessimismo e
neli'irrazionalismo - e solo con le grandi idee
storiche che si formano nel contesto della cultura si può animare la politica - che altrimenti
riconosce il nuovo troppo tardi, quando esso
ha già preso le forme di una catastrofe.
Durante la seconda guerra mondiale, quand o tutto era in gioco e il mondo doveva prendere forme nuove, tutti si chiedevano che cosa sarebbe stato giusto fare, e che cosa sarebbe stato possibile fare, dopo la fine delle ostilità. I n generale, nonostante le diffuse convinzioni europee, gli uomini più legati alle ideologie tradizionali e alle visioni dei partiti (dal
liberalismo al marxismo) pensarono alla ripetizione del passato, cioè ad una ipotetica nuova fase di vita degli Stati nazionali e, per quanto riguarda l'unità europea, solo a forme di collaborazione internazionale, senza chiedersi per
un verso se la collaborazione sarebbe bastata
per garantire l'unità, e per l'altro se i disastri
del nostro secolo non dovessero essere imputati anche al carattere esclusivo degli Stati nazionali e al fatto che essi avevano diviso 1'Europa sin quasi a cancellarne la fondamentale
unità storica e culturale.
E vero che, per fare questo esame, occorre
la bussola del federalismo. Ma è anche vero
che per battersi sin da aliora per l'unificazione federale dell'Europa e per la trasformazione degli Stati nazionali esclusivi in nazioni li* Presidente del Movimento federalista europeo Docente di filosofia della politica all'Università di Pavia
Re e regina, 1952-53, bronzo
beramente associate con un vincolo costituzionale (secondo la lezione imperitura di Kant),
e per non desistere anche a costo di restare isolati per molto tempo, era necessario sapere
qualcosa che non si trova già bello e fatto in
nessuna dottrina: bisognava sapere che una
storia nuova consente soluzioni nuove solo se
degli uomini sanno battersi per soluzioni nuove
e se la fortuna li assiste. Oggi, specialmente
dopo che, con il voto europeo, l'unificazione
ha raggiunto praticamente la soglia dell'irreversibilità e può avere solo una conclusione federale, è facile pensare all'Europa unita come
a un fatto quasi naturale, scelto spontaneamente da un gran numero di europei sin dall'inizio. Ma si tratta di una deformazione della
realtà. La verità è che «l'Europa non cade dal
cielo*, come ebbe a dire Altiero Spinelli. La
verità è che non ci sarebbe nemmeno un movimento di unificazione dell'Europa così avanzato (e la storia avrebbe preso altre vie), se non
ci fosse stata l'opera lucida, coraggiosa e tenace dei pionieri: l'opera dei federalisti e di
Jean Monnet.
Noi federalisti dovremmo tener sempre presente che questa è la nostra peculiarità. Pretendiamo di fare politica, ma non usiamo né
il mezzo del voto, né quello della rappresentanza di interessi settoriali, né, ovviamente,
quello della violenza. Usiamo un solo mezzo,
le idee. Ne segue che o riusciamo a distinguerci
per le idee - come il federalismo ci consente
di fare - o non esistiamo. In pratica, per svolgere il nostro lavoro, e condurre la nostra lotta, noi dobbiamo occuparci delle nuove necessità, che si manifestano nel dibattito politico
nazionale solo in modo parziale e confuso sia
per ragioni derivanti direttamente dalla natura della politica e dalle sue esigenze pragmatiche, sia per la contraddizione in cui si trova
ancora l'Europa: problemi di dimensione europea e mondiale, mezzi di azione completamente sviluppati solo a livello nazionale (bilancio, moneta, esercito, governo). I1 nostro
compito è quello di dare la forma netta della
verità scientifica e culturale a queste nuove necessità ancora confuse, senza aver paura di parlarne anche quando sono ancora verità difficili; e anche se, per questo, siamo ogni volta
tacciati di utopismo, o di teologismo, o di misticismo (come ama fare, ad esempio, un grande giornale, Le Monde; ma chi è più utopista:
chi pensava sin dalla guerra all'unificazione
dell'Europa, o chi pensa, ancora oggi, ad un
avvenire esclusivamente nazionale?).
Solo in questo modo, e a patto di insistere
anche durante l'isolamento iniziale (che si accompagna sempre a ciò che è veramente nuovo, in ogni campo), le nostre idee riescono a
influenzare il dibattito politico, a diventare le
idee degli altri, ed a preparare, alla fine, le situazioni che permettono alla politica pragmatica di perseguire obiettivi altrimenti impossibili.
COMUNI D'EUROPA
Non è un frutto del caso se nella sfera della
politica si stanno formando movimenti nuovi
- come quello ecologico - e nel contempo
nuove motivazioni e nuove aspettative, provocate dai diversi aspetti della situazione dei
giovani, delle donne, degli anziani, e soprattutto dalle condizioni in cui si trova la popolazione dei paesi più poveri del mondo. Si tratta delle conseguenze - non ancora giunte al
livello della efficacia e della responsabilità della sempre più ampia conoscenza del mond o che ci proviene direttamente dalle scienze,
sia dalle scienze della natura (dalla fisica alla
biologia) sia dalle scienze sociali (anche se in
un modo più incerto). È evidente che c'è una
precisa relazione tra i movimenti ecologici e
il rischio di degradazione già molto avanzata
del tessuto urbano e dell'ambiente umano, in
questa separazione che la politica non sa ancora fare ciò che le scienze dicono che bisogna fare, e non si rinnova anche se le scienze
sono già in grado di mostrare che l'umanità ha
acquisito un potere inaudito, quello della propria autodistruzione, e che si trova in ogni caso di fronte ad un bivio: o il controllo mondiale delle risorse nel contesto di una solidarietà nuova e fraterna fra le nazioni, o il caos.
È in questo quadro, quello della separazione della politica dalla cultura, che va esaminata la crisi che si manifesta ovunque, sia pure in modi diversi. Va detto, a questo riguardo, che non c'è mai crisi quando gli uomini
si trovano di fronte a gravi difficoltà, ma solo
quando essi non sanno come affrontarle e superarle; cioè quando la conoscenza del mond o (cultura) e il controllo del mondo (politica)
Rifugio nella sotterranea, 194 1, penna e acquerello
un mondo nel quale tra gli elementi della bilancia mondiale del potere ci sono anche le armi nucleari. Allo stesso modo, è evidente che
c'è una relazione precisa tra le grandi inchieste sullo stato mondiale delle risorse, della popolazione, della salute, ecc., effettuate dalle organizzazioni internazionali e d a lungimiranti
organizzazioni private, e le nuove motivazioni morali che cercano di prendere la forma di
nuovi comportamenti politici.
I1 nostro compito, come federalisti, non è
quello di aggiungere qualche dettaglio al quadro fornito dalle scienze. A questo riguardo
noi dobbiamo semplicemente imparare da ciascuna di queste scienze ciò che esse sono in
grado di insegnarci. I1 nostro compito è un altro. Noi dobbiamo, con la nostra scienza, o
quasi scienza - il pensiero politico e sociale
reso fecondo e attuale dai criteri del federalismo - studiare gli aspetti di potere di questa
situazione, e in primo luogo l'aspetto più grave, che sta nella separazione della politica dalla
scienza, e perciò dalla cultura. E a causa di
COMUNI D'EUROPA
divergono. Ciò che si può e si deve constatare
a questo riguardo è che ormai la scienza ha un
progetto mondiale, mentre la politica ha ailcora una somma di progetti nazionali. Si dovrebbe inoltre constatare che ciò non mette
in evidenza una ipotetica superiorità della comunità scientifica sulla classe politica, ma un
limite delle istituzioni come mezzi di formazione della volontà generale. Un programma
mondiale ha bisogno di un soggetto politico
mediale; ma le istituzioni sono ancora ferme
ai soggetti politici nazionali, che impediscono
la formazione di una volontà generale dell'umanità. Per questo i1 messaggio della scienza,
anche quando viene ascoltato, va perduto. I1
fatto è che nello stato presente del mondo questo messaggio non può tradursi in una volontà pubblica, ma soltanto in un auspicio.
Per colmare il fossato tra la cultura e la politica bisogna colmare il fossato tra le nazioni
e la comunità internazionale, applicando progi-essivamente le regok della democrazia anche ai rapporti internazionali. Per questo, an-
che se non solo per questo, il federalismo ha
qualcosa da dire e da fare. Devo ricordare due
cose. La prima è che il federalismo ha reso possibile una critica scientifica dell'idea di nazione esclusiva (Stato nazionaie). La seconda è
che il federalismo, come tecnica istituzionale,
consente di realizzare un insieme costituzionale di governi indipendenti e coordinati (K.C.
Wheare). I n sostanza col federalismo si può
passare dal governo democratico di una sola
nazione al governo democratico di una libera
società dinazioni indipendenti. Per questo il
federalismo giunge sino alla radice della crisi;
cioè sino al punto dal quale bisogna ricominciare sia con il pensiero - per costruire la nostra visione del mondo sulle difficoltà di oggi
e non su quelle che abbiamo superato nel passato - sia con l'azione - per sostituire ai rapporti di forza tra le nazioni una situazione «nella quale ogni Stato, anche il più piccolo, possa
sperare la propria sicurezza e la tutela dei propri diritti non dalla propria forza o dalle proprie valutazioni giuridiche, ma solo da questa
grande federazione di popoli, da una una forza
collettiva e dalla deliberazione secondo leggi
della volontà comune» (sono parole scritte da
Kant nel 1784, ma praticamente non ancora
prese in considerazione dalla cultura, che lascia ancora il mondo, e in primo luogo i giovani, all'oscuro d i questo aspetto del pensiero
di Kant).
La nuova vita del federalismo verso il suo
traguardo mondiale può cominciare in Europa.
Questa è l'opinione di Sacharov. Io credo
che quanto h o detto sinora potrebbe essere
considerato come una introduzione ai passi di
Sacharov che sto per citare, ricordando che egli
pubblicò l'articolo da cui li ho tratti in occasione dell'elezione europea. Vorrei ancora 0sservare che quanto dirò dopo potrebbe essere
considerato come i1 tentativo di formulare in
modo schematico le prime ipotesi per far avanzare, sul piano politico, la grande visione di
Sacharov. Questo, del resto, è il nostro debito nei suoi confronti.
«È mia opinione che la creazione del Parlamento Europeo, e soprattutto l'intenzione di
riorganizzarlo in base alle indicazioni che
emergeranno dalle elezioni dirette, sia un passo
importante nella giusta e necessaria direzione
dell'integrazione europea e anzi trampolino, in
una più ampia prospettiva, per la convergenza e l'integrazione di tutti i paesi del mondo.
Sono convinto che solo il progresso in questa
direzione potrà eliminare i complessi pericoli
che minacciano da vicino l'umanità ... È risaputo che un numero sempre crescente di problemi della vita moderna a livello mondiale esigerà gli sforzi di tutti. Tali sforzi dovranno essere coordinati tenendo presente le sempre più
ampie prospettive poste per gli interessi dell'umanità. Uno di questi problemi globali è la
protezione dell'ambiente collegato con quelli
relativi alle risorse, alla tecnologia e alla demografia. Come problema centrale sociopolitico abbiamo la battaglia nei confronti del
totalitarismo dilagante e contro la minaccia di
una guerra termonuclear~a livello mondiale ...
L'integrazione europea, che nel prossimo futuro è destinata a diventare sempre più reale
e immediata, dovrà - lo ripeto - diventare
passaggio obbligato e modello per un processo evolutivo che si estenderà a tutto il mondo».
La situazione dell'umanità non diventa chiara nel pensiero, e trasparente nel linguaggio,
fino a che non si constata quanto segue. Una
nuova epoca ha avuto inizio, un nuovo pensiero deve prendere forma. I1 corso della storia generato dalla formazione del mercato mondiale e sostenuto daile rivoluzioni scientifica,
Fungo atomico, 1964-65, bronzo
politica, economica e sociale è ormai giunto al
suo culmine con la fine dell'egemonia del sistema europeo degli Stati, l'avvento del sistema mondiale degli Stati, il risveglio di tutti i
popoli della terra, la crescente partecipazione
dello spirito religioso alla vita moderna e lo sviluppo enorme della capacità tecnologica, non
ancora controllata, tuttavia, dalla volontà generale. Per questa ragione è ormai necessario
- ed anche possibile a patto di rivolgere il
pensiero e la volontà a questo compito supremo - pianificare a livello mondiale la soluzione di alcuni problemi ,fondamentali per la
sopravvivenza e il futuro del genere umano.
Nesseno disconosce questa necessità. Ma è
ora di rendersi conto che non è possibile risolvere i problemi comuni del genere umano
- divenuto ormai una comunità di destino interamente responsabile della sua sorte - solo
con le istituzioni ed i criteri di conoscenza e
di azione politica del passato, che sono serviti
per conoscere e costruire il mondo che sta ormai alle nostre spalle anche se costituisce, con
i primi rudimenti della libertà e della uguaglianza di tutti gli uomini, il terreno sul quale
si tratta di avanzare per costruire un mondo
nuovo.
La prima barriera che deve cadere è quella
che divide ancora la politica interna dalla politica estera. La politica estera non può più essere considerata come il contesto d'azione ne1
quale si tratta soltanto di conseguire l'indipendenza, sulla base della premessa secondo la
quale alla politica interna spetterebbe il compito dell'emancipazione sociale e alla politica
estera quello della sicurezza; e sulla base della
convinzione errata secondo la quale l'indipen-
denza delle nazioni coinciderebbe con I'eguagliama fra le nazioni. L'indipendenza nazionale è una fase necessaria dello sviluppo storico, e realizza lo scopo di affidare gli Stati ai
popoli; ma una volta acquisita essa riflette, e
non corregge, la diseguagliama fra le nazioni
che può essere superata solo affidando alla democrazia anche i rapporti fra le nazioni. Bisogna dunque tener presente che la diseguaglianza fra le nazioni è molto più grande, e più inumana, della diseguagliama fra le classi che ancora persistono nell'ambito delle nazioni più
industrializzate. E bisogna dunque anche ammettere che ormai il mondo intero è il teatro
del conflitto dei valori ed il quadro nel quale
si manifestano e possono essere superate - a
patto di far coincidere sempre di più la politica internazionale con la mobilitazione diretta
delle forze politiche e sociali di carattere progressivo - le contraddizioni fondamentali del
nostro tempo.
I1 primo fatto da riconoscere è che allo stato attuale del processo storico tutti gli uomini
sono ormai liberi e vogliono perciò diventare
eguali, come sono ormai liberi e vogliono anch'essi diventare eguali tutti i popoli. È questa volontà d'eguaglianza la nuova forza rivoluzionaria da mobilitare per sprigionare a livello mondiale, a livello di ciascun paese, e di
ciascuna comunità locale, la volontà generale
nella quale soltanto la libertà dei singoli può
diventare la libera eguaglianza di tutti. I1 traguardo è lontano e siamo solo ai primi passi.
Ma solo dirigendosi sin da ora verso questo traguardo si può acquistare la capacità sia di controllare i fattori della crisi che si manifestano
ovunque, sia di trasformare progressivamente la libertà di tutti in gradi crescenti di autocontrollo del genere umano.
do ad un numero crescente di popoli e di uomini e, al limite, a tutti gli uomini. I1 governo
del mondo è la bilancia mondiale del potere,
alla quale è collegata la possibilità di stabilire
le regole - scritte, e soprattutto non scritte
- con le quali si esercita il controllo sul 'mercato mondiale. Per cambiare il governo del
mondo si tratta pertanto di cambiare la bilancia mondiale del potere, in modo tale da diminuire, sino ad eliminare del tutto, la prevalenza delle grandi potenze; e sino ad assicurare, con la federazione mondiale, il governo democratico del mondo e la sostituzione dei rapporti di forza tra le nazioni con la loro eguaglianza sancita e protetta dal diritto.
La crisi del bipolarismo è la crisi del governo del mondo che ha caratterizzato la prima
fase della vita del sistema mondiale degli Stati. La stessa crisi di governabilità a livello nazionale, che si manifesta in modo grave negli
Stati nei quali maggiori sono le difficoltà, non
è che una delle conseguenze della crisi generale del governo del mondo che, essendo ancora affidato alle due grandi potenze in declino, non riesce più a controllare in modo evolutivo il mercato mondiale e il sistema monetario internazionale, ed è sempre più costretto a ricorrere alle prove di forza, alla guerra
psicologica e all'aumento dei mezzi militari. Va
dunque ribadito che l'ossessione militare, e I'idea secondo la quale la bilancia mondiale del
potere si riduce praticamente alla bilancia delle
forze militari, sono di danno gravissimo e possono portare alla perdizione come al tempo del
fascismo.
I1 compito di ristabilire un governo evolutivo del mondo è politico. La bilancia del potere si modifica solo sulla base della crescente
liberazione sociale e del successo politico: le
Due forme, 1934, legno di quercia
I1 primo criterio strategico che occorre acquisire riguarda il fatto che esiste un governo
del mondo, e che si tratta perciò di battersi
con le forze che possono già entrare in campo
per affidare gradualmente il governo del mon-
stesse guerre, nella misura in cui hanno successo, sono i successi di una politica. In pratica si tratta di gestire in modo graduale la transizione, di per sé stessa inevitabile, da un mondo bipolare ad un mondo multipolare, nel quaCOMUNI D'EUROPA
le i protaganisti non devono più essere solo gli
Stati, ma anche le nuove entità internazionali
come il gruppo dei paesi non allineati, come
la Comunità europea in via di costruzione e,
naturalmente, la Cina. L'iniziativa spetta dunque a questi nuovi protagonisti del processo
politico; e va detto con chiarezza, specialmente
per quanto riguarda l'Europa occidentale che dovrebbe in un leale confronto con gli Stati Uniti studiare i tempi e modi del passaggio
dalla kadersbtp alla equa1 partnersbip -,che la
mancanza di iniziativa e il suo corollario, l'allineamento cieco ed imbelle sulle posizioni della potenza-guida, non potrebbe che perpetuare ed aggravare la crisi del governo del mondo sino al rischio di catastrofi.
I1 processo della transizione dal mondo bipolare a quello multipolare può svolgersi in modo pacifico e ordinato solo ristabilendo la distensione, in modo tale da garantire in tutti
i paesi del mondo la maggiore sicurezza possibile con il minore armamento possibile, per
aprire ovunque la strada al successo delle forze politiche che si propongono g l ~obiettivi della pace e del progresso civile e sociale dei loro
popoli. Ma bisogna tener presente che la distensione è un metodo, non una politica. Una
politica si manifesta solo dove si manifestano
la volontà e la capacità di modificare i rapporti di forza. Per controllare la transizione verso un mondo multipolare bisogna pertanto cercare di spostare una parte almeno dei rapporti di forza internazionali d d a linea bipolare
a quella multipolare.
A questo riguardo i problemi-chiave, per
quanto riguarda la situazione e le possibilità
dell'Europa occidentale, sono due. Uno riguarda lo Sme. Nel quadro dello Sme la Comunith
deve creare il Fondo monetario europeo. Se
ne farà una cosa seria, potremo pagare il petrolio in scudi, In questo modo potremmo so-
Ovale aperto, farfalla, 1967, marmo bianco
COMUNI D'EUROPA
stituire il rapporto egemonico dollaro-restodel
mondo (che impedisce l'avvento di un nuovo
ordine economico) con il rapporto multipolare, equilibrato ed evolutivo dollaro-scudo-altre
valute. L'altro problema riguarda i palestinesi, e la necessità sempre più urgente di dar vita ad uno Stato palestinese. È impossibile incanalare il risveglio arabo e musulmano in forme positive, utili tanto agli arabi e ai musulmani quanto a tutto il mondo, senza risolvere
iI problema palestinese. Fino a che non sarà
costituito uno Stato palestinese la democrazia
israeliana, invece di valere come modello positivo, funzionerà come modello negativo danneggiando lo stesso modello democratico; d'altra parte l'estremismo avrà troppo peso nei
mondo arabo e musulmano, impedendone lo
sviluppo economico e civile e la liberazione dalla tutela diretta o indiretta delle grandi potenze.
Allo stato dei fatti l'evoluzione storicosociale riproduce automaticamente gli orientamenti liberale, democratico e socialista (nelle
loro diverse espressioni storiche, anche di carattere religioso), cioè la cultura che separa la
politica interna da quella internazionale ed impedisce pertanto la mobilitazione democratica diretta delle forze politiche e sociali a livePlo internazionale. Va tuttavia osservato che
questa cultura, pur essendosi piegata per ragioni storiche al concetto di nazione esclusiva
tipica dello Stato nazionale tradizionale, contiene tuttavia il germe del federalismo, e quindi la possibilità del superamento di questo limite.
I1 passaggio da una situazione nella quale il
federalismo organizzato è solo il frutto della
pura e semplice buona volonta - e deve pertanto essere creato e ricreato da ciascun militante - ad una situazione nella quale esso avrh
il carattere di una idea socialmente riconosciu-
ta è legato alla completa trasformazione democratica della Comunità europea. Realizzando
un governo democratico di una societh di nazioni indipendenti ed eguali (nell'ambito di
una legge costituzionale), e superando cosi sul
piano istituzionale la divisione tra politica interna e politica internazionale, l'Europa costituirà non solo un modello, ma anche un punto di appoggio e un solido d e a t o per tutte le
forze che vogliono affrontare insieme i problemi della pace, della collaborazione e della giustizia internazionale, anche con la creazione
di grandi federazioni regionali come premessa della trasformazione dell'Onu in una federazione mondiale.
fl federalismo non è legato alla liberazione
di una classe. Per questo non si presenta come una ideologia alternativa rispetto al Iiberalismo, alla democrazia e al socialismo che,
avendo espresso ed organizzato la liberazione
della borghesia, della piccola borghesia e del
proletariato, hanno assunto storicamente forme antagoniste e reciprocamente esclusive, limieando così la realizzazione stessa dei loro valori di libertà e di eguaglianza - che in quanto tali sono complementari e non alternativi.
Ne segue che il dederalismo non ha bisogno,
per diffondersi, di diminuire la presenzà del
Iiberalismo, della democrazia e del socialismo.
Al contrario esso può svf upparsi solo collaborando ad una affermazione sempre più completa dei valori di liberth e di eguaglianza mediante quello della pace, che solo nel federalismo trova Pa sua sistemazione morale, istituzionale e storica. Sono queste le ragioni di fondo per le quali il federalismo organizzato non
usa nessuna arma del potere - il voto, la r a p
presentanza di interessi settoriali, la violenza
- salvo quella indiretta della cultura.
È del tutto naturale che ci siano resistenze
di fronte a questo impegno politico-culturale.
Ma quando si giunge a credere che bisogna separare la teoria dalla pratica bisogna sia chiedersi se ciò è possibile quando si tratta di costruire un mondo nuovo, sia tener presente che
in passato tutte le forme nuove di pensiero politico - dal liberalismo al marxismo - riuscirono a rinnovare la politica solo rinnovando la cultura. È solo con l'unità di teoria e pratica che si possono risolvere problemi nuovi.
Per questa ragione bisogna allargare lo sguardo, e chiedersi anche se questa unita non è proprio ciò che tutti gli uomini devono cercare di
acquisire visto che la situazione impone al genere umano di sviluppare la capacità di decidere della sua sopravvivenza e del suo destino. È vero che un gran numero di uomini è
ancora molto lontano da questa possibilith culturale. Ma si tratta di stabilire se non sia necessario proporsi sin da ora questo obiettivo,
per difficile e lontano che sia. In ogni altro caso
non si unirebbe la teoria d a pratica. Non potremmo certo dire di trovarci già dalla parte
della morale e della ragione - noi, gli europei - se non facessimo sin da ora tutto il possibile per cambiare un mondo che fa di qualunque europeo un uomo colto, e di una grande quantità di uomini in altre parti del mondo degli esseri che molto spesso non hanno
nemmeno i mezzi per garantire la sopravvivenza fisica dei loro figli.
W
temi per un dibattito culturale: la questione dell'identità
Non dobbiamo tanto chiederci chi siamo
ma qual è il nostro destino di europei
di Alberto Cabella*
I alo ori nati in Europa sono oggi
universali. Il futuro va costruito
partendo non dal passato ma
dal presente. Evitando il
neo-nazionalismo europeo, che
rischia di essere razzista, il
problema diventa politico ed
esistenziale, però vero e concreto
La rituale innografia ai «valori europei» che
punteggia la pubblicistica europeistica è retorica ed ambigua in quanto tali valori si rilevano storicamente contradditori, nella misura in
cui l'Europa è stata culla di libertà come di oppressioni (dall'assolutismo tirannico feudale e
monarchico fino ai fascismi del nostro secolo), di democrazia certo ma anche di vessatori
colonialismi, di umanesimo si ma anche di razzismi fino ai nostri giorni. I cosiddetti valori
cristiani umanistici e razionalistici sono valori «universali», transnazionali e transeuropei,
ed i primati di volta in volta conclamati non
costituiscono un'etica, nella misura in cui la
«Cultura», non può non essere se non «universale».
E non dimentichiamo che la nuova generazione non ha vissuto la tragedia dell'Europa,
l'immane tragedia della seconda guerra mondiale, da cui, sulle rovine delle idolatrie nazionaliste e naziste, parve potesse nascere una coscienza europea nuova, liberata dalle putride
scorie nazionalistiche. I giovani oggi vivono in
una dimensione mondiale bipolare, sono forse meno nazionalisti dei loro padri e dei loro
nonni, nel migliore dei casi sono più cosmopoliti, a livello psicologico più che politico grazie alla mondializzazione degli eventi, grazie
alle immagini, alla musica, al consumismo di
massa (di cui Pasolini è stato il più acuto interprete). Dall'Europa la maggioranza dei giovani non si attende nulla ci ben poco, identificandosi più facilmente nel cantante rock, piuttosto che nelie condizioni di vita dei giovani
dei paesi a lui più vicini.
L 'identità culturale
Permane comunque un problema anch'esso
liturgico nella saggistica europea, ed è quello
di una presunta «identità culturale europea»,
un discorso che in realtà concerne non 1'Europa continentale ma quasi sempre soltanto
quelia occidentale. Un problema che rimbalza
dalle aree della decolonizzazione, da parte di
nuovi stati alla ricerca di identità culturali specifiche che possano contrapporsi all'egemonia
*Addetto dell'Istituto italiano di cultura di Parigi
Tre punte, 1939-40, fusione in ferro
culturale del vecchio colonialismo europeo,
identità vuoi locali vuoi transnazionali, quale
ad esempio l'islamismo.
Un intellettuale francese emergente Alain
Finkielktaut, nel suo recente saggio «La défaite
de la pensée», esamina puntigliosamente i guasti delle ideologie culturali nazionali europee,
ricuperati e riciclati daiia cultura terzomondista contro l'Europa, grazie anche alla saggistica
antropologica della scuola di Levy Strauss. Un
problema scottante negli ambienti delle più recenti immigrazioni (gli arabi in Francia, i turchi in Germania, ecc.), laddove si tende ad
emarginare tali minoranze, favorendo una autoghettizzazione culturale (e religiosa come accade per i mussulmani).
Ritornando al problema europeo possiamo
domandarci che cosa resti della tradizione «europea». D'un lato certamente la ricchezza di
tradizioni «nazionali», con i patrimoni linguistici; un fattore contradditorio in quanto oggettivamente separa anzichè unire. D'altro lato
una varietà di «microculture» e di tessuti microetnici che possono legittimamente temere
l'unificazione centralizzatrice (forse sterminatrice!), salvo siano rassicurati da una politica
culturale europea rispettosa delle minoranze:
politica che stenta ad emergere e deve rassicurare non a parole ma con dei fatti (per esempio con il plurilinguismo alla televisione, nelle scuole, negli uffici, ecc.). Io sono d'accordo
con il commissario alla cultura della CE Ripa
di Meana, allorché afferma che l'identità europea deve essere definita «per difetto», muovendo dalla constatazione dell'impotenza degli stati nazionali a risolvere i problemi di fondo; il che implica la consapevolezza di una perdita di fondamenti europei, in quanto definitivamente universalizzati. Ne consegue che il
discorso europeo deve partire dal presente e
non dal passato; un presente che rivela la mancanza di una autonomia europea tra i due blocchi, in una fase storica in cui le decisioni nel
bene e nel male vengono prese dai leaders degli Usa e dell'urss (si pensi in particolare, ai
missili), con l'Europa oggetto e non soggetto
di tali accordi.
L'Europa come ccdecisione~
Una presa di coscienza di cui è oggi consapevole il maggior sociologo francese Edgar Morin, convertitosi all' Europa come testimonia
il suo recente saggio «Penser l'Europe». Se
questo è vero, è necessario rovesciare il modo
di porre il problema, e non chiedersi chi siamo, che cosa siamo e in che cosa ci sentiamo
diversi noi europei, perchè le risposte sono
controverse e dubbie; i giovani francesi mi pare si sentano più vicini ai giovani americani che
agli inglesi o agli italiani, e comunque sia l'estraneità tra europei è ancora forte. Ma se ci
COMUNI D'EUROPA
domandiamo quale destino attenda i nostri
paesi in Europa, d o r a il problema diviene politico ed esistenziale, più vero e concreto, in
quanto contiene in sé la questione di come padroneggiare un destino comune. Evitando un
neo-nazionalismo europeo, che rischia di essere razzista, mentre l'Europa deve divenire
una grande comunità di «métissage» (e questo
è un modo diverso di porre il problema culturale europeo, del tutto ignorato dai nostri agenti culturali europei!).
Posto in questi termini il problema diviene
quello di concepire l'Europa come «una decisione*, così come venne posto nel 1945, come decisione di superare i nazionalismi funesti e anacronistici per fondare una comunità
di cittadini europei, una comunità di destini
comuni (40 anni or sono a Montreaux - un ricordo personale - ero allora il più giovane federalista presente al congresso di fondazione
dell'unione europea dei federalisti).
Progetto fallito per due risposte oggettivamente antieuropee: d'un lato il servilismo nei
confronti degli Usa, di cui il campione assolu-
ropee: più la disoccupazione dilaga e più sospinge i Paesi a ripiegarsi su stessi, con le loro
deboli risorse, e a chiedere sacrifici coltivand o la solidarietà «nazionale», con il sottoprodotto di nuove ondate razziste (in Francia una
frangia del movimento operaio vota Le Pen per
buttare fuori gli arabi dalle industrie in crisi).
Manca del tutto un progetto d i statuto europeo per i lavoratori (difesa d i diritti comuni
a tutti i lavoratori, di possibilità di trasferirsi
e di iscriversi in liste occupazionali nei paesi
della CE, possibilità di votare dopo alcuni anni di residenza, ecc.), unitamente ad un grand e progetto di investimenti e di rilancio dell'economia europea.
Alla base manca la coscienza di voler costruire una società plurirazziale, pluriculturale, nel rispetto delle minoranze restie ad una
integrazione. Oggi in Francia si tende a contrapporre il modello italiano, di una integrazione riuscita, a quello arabo, non integrabile
per le diversità di cultura razza religione. In
un recente colloquio d'Istituto italiano di cultura di Parigi su l'immigrazione italiana in
La meta del 1992?
No, del 1989
La campagna del CCRE per far
conferire dalle prossime elezioni europee
del 1989 il mandato costituente al
Parlamento Europeo è già cominciata.
Tu, amministratore comunale,
provinciale, regionale, che stai facendo?
come esplichi il tuo impegno? prepari
il tuo Ente alla Convenzione
del popolo europeo?
to f u l'Italia, d'altro lato la risposta gollista
francese, di indipendenza nazionale anziché di
autonomia europea. Sconfitta di tutta una classe politica, non solo di quella conservatrice al
governo, ma anche di una sinistra per la quale, come ben disse il socialista francese André
Philip in un famoso libello, «la nazionalizzazione più riuscita fu la nazionalizzazione dei
partiti socialisti e comunisti». Rimase la paura dell'urss, che consenti un coagulo iniziale,
ma le paure si dissolvono con l'evolversi delle
situazioni storiche. Cosi è nata una pallida confederazione di stati in luogo di una federazione di popoli, senz'anima e senza un vero progetto culturale, questa è la realtà attuale, con
un mercato comune che si fissa appuntamenti
di rinvio ogni tre o quattro anni.
I problemi fondamentali
L'Europa per esistere dovrebbe costruirsi a
partire dai suoi problemi fondamentali, e tra
questi, almeno due si impongono. Innanzi tutto quello occupazionale che produce delle gravi
fratture all'interno delle società nazionali eu-
Francia negli anni venti, organizzato dal Centro studi e documentazione su l'emigrazione
italiana in Francia (Cedei), è stato ricordato
come all'inizio per gli italiani (i «macaronì»)
l'integrazione sia stata un'ardua conquista, che
si è realizzata lentamente nel corso di alcuni
decenni. Le tendenze razziste d i molti francesi adulti (i giovani al contrario sono in grande maggioranza antirazzisti) spingono la seconda generazione degli arabi, integrabile se il paese li accogliesse come dei pari, a ricercare nel1'Islam uno scudo protettore che li riscatti dalle
umiliazioni e dai complessi di inferiorità. Ora
è su queste questioni che si decide il destino
dell'Europa, perchè l'Europa esisterà solo se
saprà offrire una risposta costruttiva a queste
lacerazioni.
Un secondo problema fondamentale è quello
della formazione dei giovani e investe tutti i
settori culturali, dall'equivalenza dei diplomi
o , possibilie delle lauree, al p l ~ r i l i n ~ u i s malle
tà di studiare uno o più semestri in Università
di altri paesi europei, alle scelte culturali dei
futuri satelliti televisivi, ai diritti professionali,
che devono trovare una legittimazione in una
giurisprudenza europea che consenta il configurarsi nelle realtà sociali di una reale cittadinanza europea.
«L'Europa non fa notizia», ha scritto recentemente Baget Bozzo, e infatti è così. Un telegiornale europeo rischierebbe d i essere o un
cocktail di telegiornali nazionali o un rninestrone anodino e asettico. E non ci si illuda su la
prospettiva berlusconiana o di altri di europeizzare la comunicazione, perchè la dura realtà
della televisione privata dimostra l'ovvietà, ovvero che il dio profitto favorisce sempre meno la creatività, e sempre più sceneggiati americani e giapponesi, con una preoccupante e
progressiva perdita di identità culturale a livello nazionale ed europeo.
L 'Europa per difetto
Dicevamo di partire dall'Europa «per difetto»; si certo ma chi ci fornisce le immagini choc
dell'impotenza europea?
Oggi i riflessi dominanti sono nazionali. Si
badi a quanto succede nel Golfo: ogni Paese
precisa quotidianamente che la propria flotta
è li per salvaguardare gli interessi nazionali,
non certo quelli della CE e di un'Europa che
non esiste; ogni nazione si specchia illusoriamente nella ritrovata fierezza nazionale e cerca di convincersi che sta svolgendo un ruolo
significativo in questo intricato conflitto (mentre si continua a fornire armi, spesso contemporaneamente, ai due contendenti Iran e Iraq).
Si pensi agli accordi di vertice che Reagan
e Gorbaciov si apprestano a stipulare: coinvolgono la difesa europea, la sicurezza europea,
gli investimenti europei, e condizionano nel
bene e nel male l'avvenire del continente, senza che l'Europa sia in grado di intervenire.
D'altra parte nella stessa C E si stenta sempre più ad accordarsi sul bilancio, su gli investimenti da operare, e lo spettacolo costante
non è quello della elaborazione di una politica
economica europea programmata, ma quello
della più o meno abile difesa degli interessi nazionali per l'agricoltura.
Chi parla del dramma di una impotenza europea? Non certo le radio televisioni nazionali le quali tendono a gloriarsi delle piccole vittorie nazionali all'interno della CE, sdegnandosi per gli eventuali danni apportati dalle decisioni comunitarie a gruppi economici del paese; non certo la C E che non può parlare autonomamente in quanto esecutivo di una debole Confederazione di stati.
Affermava Ernest Renan che «l'existence
d'une nation est un plebiscite de tous les
jours». Ricordo che noi federalisti ridicolizzavamo sovente questa affermazione, questa definizione retorica del concetto di nazione, di
nazioni coacervo di microculture diversissime,
come ancora lo illustra l'attuale spaccatura tra
valloni e fiamminghi in Belgio. Forse però, se
pensiamo ai ben più gravi misfatti ideologici
del Volksgeist del romanticismo nazionalista
e razzista, possiamo riconciliarci in parte con
questa celebre definizione, applicandola d ' o r a
attuale. La sfida del 1992 non è un mercato
comune, è un destino comune, questo il vero
problema culturale europeo, una sfida quasi
impossibile d a vincere, ma ineludibile.
I
temi per un dibattito cdturale: attualità dell'antifascismo
Gli effetti perversi deila politica nazionalista
un pericolo che nessuno può ritenere superato
di Sergio PistoneQ
Esiste un legame organico e non
accidentale tra il fascismo e
l'ideologia della sovranità
assoluta: essa tende a perpetuare
l'anarchia internazionale e a
subordinare le esigenze di libertà e
giustizia a quelle di potenza. La
scelta costituzionale italiana ha
prodotto effetti positivi per la
nostra democrazia che si sono
manifestati nel tempo
La proposta dello storico Renzo De Felice,
contenuta in una intervista al «Corriere della
Sera» del 27 dicembre 1987 e che ha suscitat o un ampio dibattito, di abrogare il paragrafo XII delle disposizioni transitorie e findi della Costituzione repubblicana, relativo all'incostituzionalità del fascismo, richiede un sia
pur rapido commento da parte dei federalisti,
se non altro per il fatto che i1 fascismo costituisce sul piano storico e politico l'antitesi ideale e pratica del federalismo. Tre sono le considerazioni principali che, a mio avviso, debbono essere fatte in proposito.
1. La tesi di De Felice e di altri, secondo cui
le tendenze totalitarie, e quindi ostili alla costituzione democratica, esistono, oltre che nel
settore dell'estrema destra, anche in quello dell'estrema sinistra, e che perciò più che l'antifascismo dovrebbe essere l'antitotalitarismo il
Serpente, 1924, marmo bianco
" Ordinario di storia clell'iiitegrazloni:
Torino
europea all'Uni\rersirE di
Rilievo con corde, 1937, legno di faggio e corde
paradigma generale su cui fondare la difesa della democrazia, è certamente indiscutibile. Va
d'altra parte osservato che la scelta di valore
antitotalitaria è chiaramente presente nelia costituzione del 1948. Basti pensare d ' a r t . 18
che proibisce «le associazioni segrete e quelle
che perseguono, anche indirettamente, scopi
politici mediante organizzazioni di carattere
militare», all'art. 49 che prescrive ai partiti di
*concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», e all'art. 54 che
stabilisce per tutti i cittadini «il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi» e prevede il giuramento
di fedeltà per i funzionari pubblici.
Certo, questi articoli sono caratterizzati da
una certa genericità se vengono confrontati
con quelli ben più precisi contenuti nella Costituzione delia Repubblica federale di Germania, i quali hanno portato allo scioglimento nel
1952 di un partito neonazista e nel 1956 del
Partito comunista di Germania (l'attuale Partito comunista tedesco, costituito nel 1969, ha
eliminato da suo statuto i principi interpretabili come contrari ai fondamentali principi liberaldemocratici della costituzione del 1949).
E questa genericità è chiaramente collegata al
fatto che una delle più importanti forze antifasciste che hanno dato vita alla costituziotie
del 1948, il Pci, aveva allora un orientamento
ambiguo rispetto al sistema liberaldemocratico. Poichè d'altro canto oggi viviamo in una
situazione storica in cui quella ambiguità è stata completamente superata, non ci sono più
ostacoli politici a una definizione più chiara
(nel contesto della revisione della costituzione oggi all'ordine del giorno) della scelta di valore antitotalitaria c della dichiarazione di incostituzionalità delle tendenze che predicano
la violenza come strumento di lotta politica.
Si tratta cioè, con tale revisione, di porre le
basi costituzionali di una democrazia non solo più efficiente, più trasparente e più parte-
cipativa, ma anche più «militante» ( l ) , vale a
dire fornita d i più forti strumenti costituzionali Bi difesa dell'ordinamento liberddemocratic0 contro tutti i suoi nemici. A chi sostiene
che le tendenze anti-liberaldemocratiche sono
oggi debolissime e, quindi, non pericolose e
che vadano combattute essenzialmente facend o una buona politica va replicato che nei momenti di gravi crisi queste tendenze riemergono molto rapidamente e che perciò occorre disporre anche di strumenti giuridici per combatterle efficacemente.
2. La scelta di valore antitotalitaria e l'esigenza di renderla ancora più pregnante non attenuano minimamente la necessità di mantenere nella nostra costituzione il divieto di ricostituzione del partito fascista. E ciò per due
ragioni fondamentali.
La prima ragione è quella da molti ricordata che questa Costituzione è nata storicamente dalla lotta antifascista, e che perciò il tipo
di totalitarismo contro cui si è concretamente
affermata è quello fascista. Questa lotta è stata condotta da un grande schieramento di unità popolare di cui certo facevano parte anche
tendenze non incondizionatamente leali verso il sistema liberaldemocratico. Ma l'incontro storico fra forze politiche molto diverse che
allora si è realizzato è stato di enorme importanza non solo per la lotta antifascista, ma anche, a più lungo termine, per l'integrazione
senza riserve dei comunisti nello Stato democratico. Come ha detto Giorgio Ruffolo nella
«Repubblica» del 12 gennaio 1987 ~ a n z i c h è
egemonizzare, attraverso l'antifascismo, le altre forze politiche, il partito comunista, proprio attraverso l'antifascismo ... (è) stato ege(1) Si11 concetto di democrazia militante si veda S. PISTONE,
L n Gemznriiu e l'unità europea, Guida, Napoli, 1978, ove si ana-
lizza l'esperienza tedesca a questo riguardo, mettendone in luce
gli aspetti positivi, ma sottolineandone anche alcuni aspetti negativi. che dovrebbero essere tenuti presenti se ci si orienterà - coi.<
a mio avviso auspicabile - verso una pib rigorosa applicazione dei
principi della democrazia militante in Italia.
COMUNI D'EUROPA
Elmetto, 1939-40, bronzo
monizzato dalla democrazia». Di qui I'esigenza di mantenere, accanto alla scelta di valore
generalmente antitolitaria, anche quella specificamente antifascista che costituisce un fondamento basilare della leggittimità popolare
della Costituzione. E, se è vero che il paragrafo
XII non è finora stato applicato al Msi (a mio
avviso è stato un errore e un segno di debolezza della democrazia italiana), la possibilità
di scioglimento del partito fascista è comunque un'eventualità che al momento opportuno potrà essere usata e costituisce perciò un
freno ad una radicalizzazione del Msi o alla
nascita di altri movimenti neofascisti più radicali.
La seconda ragione - e questa non è finora
emersa con chiarezza nel dibattito sulle tesi di
De Felice - per cui occorre mantenere ferma
la scelta antifascista della Costituzione è che
questa scelta, se la si analizza in modo completo, significa il rifiuto non soltanto di un cert o tipo di totalitarismo, ina anche del nazionalismo. Per i federalisti è ben chiaro in effetti che esiste un legame organico e non accidentale fra il fascismo e il nazionalismo, cioè
l'ideologia che afferma l'intangibilità della sovranità nazionale assoluta, che tende perciò a
perpetuare l'anarchia internazionale e a suborCOMUNI D'EUROPA
dinare le esigenze di libertà e di giustizia all'esigenza della potenza nazionale, e che infine conduce al totalitarismo come strumento
per dare una risposta in termini di imperialismo esasperato, invece che d i pacifica unificazione sopranazionale, al problema della decadenza storica degli Stati nazionali. C'è pertanto un rapporto logico, individuato con
estrema chiarezza da Luigi Einaudi proprio in
un famoso discorso alla Costituente (2), fra
l'opzione antifascista della Costituzione repubblicana e l'opzione a favore dell'unificazione
sopranazionale contenuta neii'art. 11: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Per questo l'opzione antifascista va mantenuta anche per il suo significato di rifiuto
del nazionalismo, il quale, se oggi non può più
alimentare sogni imperialistico-egemonici, costituisce pur sempre un ostacolo all'avanzamento dell'unificazione europea. Una proposta come quella di De Felice rappresenta a ben
vedere un segnale allarmante di un ritorno di
tendenze nazionalistiche.
3. Una delle considerazioni con cui De Felice
ha giustificato la sua proposta è che «il fascismo italiano è al riparo dall'accusa di genocidio, e fuori dal cono d'ombra dell'Olocausto».
Di fronte a questa tendenza alla riabilitazione del fascismo (e del nazionalismo), che è del
resto chiaramente presente nella complessiva
opera storiografica di De Felice, occorre reagire con estrema fermezza.
Anzitutto il fascismo è stato complice dei
crimini del nazismo, sia perchè gli ha aperto
la strada e poi n e è stato alleato, sia per I'approvazione delle leggi razziali e la collaborazione concreta al genocidio degli ebrei nel periodo della Rsi. E, se è vero che i fascisti italiani non hanno organizzato i campi di sterminio degli ebrei, ci si deve chiedere se sia moralmente più spregevole chi commette con le
proprie mani determinati crimini o chi da il
suo appoggio agli esecutori senza però sporcarsi
le mani.
Al di là della corresponsabilità con i crimini nazisti, vanno d'altra parte ricordati i crimini di cui il fascismo italiano si è reso direttamente responsabile. Le dimensioni di que-
sti crimini (in Libia, Etiopia, Albania, Grecia
e Jugoslavia), finora conoscibili almeno in parte
solo attraverso le ricerche degli storici Del Boca, Rochat e pochi altri, cominciano da qualche tempo a trapelare anche sui mezzi di informazione di massa. Proprio in queste settimane lo storico americano Michael Palumbe
ha rivelato al settimanale «Epoca» (17 gennaio
1988) i risultati raccapriccianti delle sue ricerche presso gli archivi della Commissione per
i crimini di guerra delle Nazioni Unite. In particolare egli ha messo in luce che su venticinquemila criminali di guerra di varie nazionalità, soprattutto tedeschi e giapponesi, 1200 sono italiani, il primo dei quali in ordine di importanza è Pietro Badoglio e nessuno dei quali è mai stato condannato da un tribunale italiano. Tanto per dare un'idea, si viene a sapere, sulla base dei documenti analizzati da Palumbo, che in Jugoslavia le truppe di occupazione italiane fucilavano tre ostaggi per ogni
palo telegrafico abbattuto a Sebenico e nel
Montenegro cinquanta ostaggi per ogni ufficiale ucciso o ferito dai partigiani.
Di fronte a simili fatti, al di là del disgusto
che non può non suscitare l'affermazione di
De Felice, secondo cui «il fascismo italiano è
stato «migliore» di quello francese o di quello
olandese», emerge un problema molto serio per
I'antifascismo italiano che, se non vuole perdere la propria credibilità, deve essere più coraggioso nella denuncia dei crimini dell'Italia
fascista (e anche di quella prefascista). Non deve concentrarsi quasi esclusivamente nel ricordare all'opinione pubblica la lotta antifascista
e antinazista del periodo della resistenza armata, ma deve altresi combattere più apertamente l'opera di rimozione dalla coscienza storica degli aspetti più vergognosi della politica
imperialistica italiana fino ai 1943. Non si tratta di aprire un processo di colpevolizzazione
collettiva degli italiani, che sarebbe altrettanto assurdo e ingiusto quanto lo è la tendenza
ancora oggi consistente alla colpevolizzazione
collettiva dei tedeschi. Ma occorre che I'opinione pubblica italiana conosca in modo più
completo il passato del paese e diventi, quindi, più consapevole delle conseguenze barbariche prodotte dal nazionalismo. Questa è anche una premessa di grande importanza di un
impegno più coerente e più generalizzato nella lotta per l'unificazione sopranazionale.
(2) Cfr. L. EINAUDI, La gucna e ['unità europea, Il Mulino, Bologna, 1986.
m
Ai nostri lettori che ricevono in omaggio «Comuni d'Europa»
I1 31 gennaio si è conclusa l'indagine sulla destinazione di «Comuni d'Europa»,
gratuitamente (in omaggio), a circoli culturali e a singoli studiosi e attivisti federalisti ed
europeisti.
Conoscendo il pessimo andamento delle poste nazionali, proroghiamo per due mesi
ancora i termini della nostra indagine.
Sollecitiamo, pertanto, a rispedirci improrogabilmente entro il 31 marzo 1988 la scheda
inviata il 30 novembre scorso, per continuare a ricevere «Comuni d'Europa» in omaggio.
Preghiamo di inviarci gli eventuali consigli, sempre apprezzabili, o le critiche del caso,
oltre eventuali correzioni o specificazioni dell'indirizzo.
Tutto ciò perché vogliamo essere sicuri che tutte le copie che inviamo in omaggio
arrivino regolarmente, siano gradite e servano a una reale, maggiore espansione delle
nostre idee e della nostra azione per gli Stati Uniti d'Europa.
temi per un dibattito culturale: la dimensione scuola
Si insegni aprendo porte e finestre al'Europa
in attesa che M possa entrare tutto il mondo
di Maria Grazia Pighetti Carbone"
Chiusi ciascuno nel proprio
territorio, impediti dall'ignoranza
di allargare lo sguardo attorno, si
è stati indotti a credere che la
cultura per eccellenza fosse quella
del proprio paese. Dobbiamo
procedere diversamente e togliere
armi a chi sostiene che la
televisione è infinitamente migliore
della scuola perchè più aggiornata
e non vittima di ridicoli
nazionalismi
Forse non era giusto che i piccoli Lugudunensi, i piccoli Saguntini dovessero apprendere, in secoli lontani, prima, o in pari tempo,
il latino e la lingua che la loro mamma melodiosamente, almeno per loro, parlava. Questo
però permetteva ai cittadini dell'immenso, per
allora, impero romano di circolare con una
qualche sicurezza attraverso regioni lontane,
scambiando merci ed informazioni, facendosi
tramite di una cultura che h a lasciato tracce
indelebili dalle coste del mare del Nord a quelle del mar Nero e rendendo un po' parenti popoli tra loro diversissimi. La nascita dei volgari iii Europa non ha per secoli impedito che
!ingua ufficiale, base indiscussa per documenti, rimanesse quella lingua latina che, pur diventata assai meno armoniosa di quella che a
scuola si studia sui testi di Cesare e di Cicerone, sui versi di Virgilio o di Lucrezio, permetteva a Petrarca, uomo europeo, di trovare ospitalità e intrattenere dotte discussioni nei conventi e nei palazzi di Francia, di Svizzera, di
Germania, dove l'ignoranza del latino sarebbe stata considerata, da cavalieri e dame,
~ n ' i m ~ e r d o n a b i inciviltà.
le
E gli autori del
tempo, in ciascuna provincia dell'ormai remoto
impero romano, non venivano confrontati solo con altri autori del luogo, ma con quelli tutti
che facevano parte di questa koiné di origine
greco-romana ed il giudizio, di conseguenza,
risultava assai più severo.
Vennero poi gli Stati nazionali. E in Francia si uccise con ostinato disegno l'armoniosa
lingua d'oc, perchè l'unico francese fosse, come il re Francesco I voleva, quello di Parigi.
E d in Spagna si combatterono, senza definitivo successo, il catalano ed il basco, ed in Germania il luteranesimo promosse, per ragioni di
ordine religioso, l'unità della lingua, ed in Italia le tre corone, Dante, Petrarca, Boccaccio,
imposero il toscano come lingua nazionale, una
lingua peraltro elitaria, da salotti, perchè i dotti
continuavano a parlare, storpiandolo con neo*Presidente della sezione di Genova dell'unione italiana
laureate
logismi, il latino, mentre gli ignoranti si beavano dei loro dialetti, il linguaggio dell'intimità familiare anche per quelli che, fuori casa, lo disdegnavano.
Chiusi ciascuno nel proprio territorio, impediti dall'ignoranza, oltre che dalle difficili
comunicazioni, di allargare lo sguardo sul mondo ciascuno venne indotto a pensare che la cultura per eccellenza fosse quella del suo paese.
Forse solo gli scienziati, forti del fatto che i
triangoli e i quadrati si disegnano allo stesso
modo in tutto il mondo, e che il sistema circolatorio non conosce frontiere, continuarono a cercare di informarsi di quello che scienziati di altri paesi andavano studiando e Galilei potè, basandosi sugli studi del polacco Copernico, elaborare nelle sue teorie. Neppure
la forza del più autoritario dei principi poteva
mettere frontiere alla scienza. I n un mondo in
cui si proclamava con sicumera il «cuius regio
eius religio», in cui si poteva uccidere Tom-
maso Moro perchè voleva rimanere fedele alla religione dei padri e non accettare quella del
suo re che pure aveva servito fedelmente fino
ad allora, solo la scienza riusciva a superare le
frontiere in quanto la cultura cosiddetta umanistica l'aveva affidata agli «addetti ai lavori»
che comunicavano più con segni che con parole. E se parole occorrevano era ancora l'antico latino che veniva richiamato in servizio.
Ma la letteratura rimaneva un bene nazionale, per cui Voltaire poteva con disinvoltura
definire Shakespeare un «barbaro di enio»,
in pieno accordo coi critici e letterati i Francia che fuori dalla Francia vedevano solo barbari, alla maniera dei greci antichi.
Napoleone e il Romanticismo, che sconvolsero in maniera diversa l'intera Europa, contribuirono certamente a sprovincializzarla. Lo
studio delle lingue si diffuse. Gli autori vennero tradotti e le case editrici, grazie anche ad
un'alfabetizzazione sempre più diffusa, porta-
B
Gruppo di famiglia, 1946, terracotta
COMUNI D'EURUPA
rono autori di tutto il mondo in tutto i1 mondo, permettendo ai curiosi, termine che può
essere in alcuni casi sinomimo di colti, di ampliare quasi a dismisura il loro panorama sulla
letteratura del mondo.
M a la scuola, ed in particolare l'italiana, ri-'
masero fuori da questo grande fenomeno di
crescita. Da noi l'insegnamento dell'italiano,
come quello delle lingue, ha sempre compreso
sia la parte linguistica vera e propria sia la letteratura, cosicché molte volte il corso di lingua francese od inglese non portava alla conoscenza parlata e scritta della lingua stessa, ma
alla conoscenza, per lo più storica, della letteratura. Per quel che riguarda poi l'italiano solo raramente insegnanti sensibili e preparati si
sono in passato preoccupati di mettere a confronto i vari tipi di umanesimo che in Europa
si andavano sviluppando invitando, ad esempio, gli allievi a meditare su qualche pagina di
Erasmo da Rotterdam; raramente si è tentato
di provocare nei giovani la curiosità di confrontare il mondo di Tasso con quello di Cervantes, il teatro dell'arte italiano con Molière. Certo, a scuola vi è poco tempo per questi «capricci culturali», ma i giovani possono leggere
tante cose anche per conto loro, se l'insegnante
sa incuriosirli, ma tempo se ne perde anche
tanto a spiegare cose che sul libro sono dette
all'incirca con le stesse parole. Certo un metodo come questo costringe gli insegnanti a
buttar giù dalla torre molti autori italiani per
sostituirli con altri «che non sono in programma». Ma l'insegnante sa anche che il programma lo può stendere lui e che la commissione,
salvo rari casi, giudica me&o un ragazzo che
sa alcune cose che «non sono in programma»
di quello che, al di fuori del programma interpretato nella maniera più gretta e meschina,
affoga.
Se noi vogliamo, e credo che quasi tutti lo
vogliano, dimostrare che esiste una cultura europea, figlia e nipote dell'antica cultura latina, che ha permeato non solo l'Europa, ma il
mondo intero, tanto che tracce se ne trovano
nella letteratura giapponese del Novecento come in quella africana postcolonialista, dobbiamo avere il coraggio che hanno avuto con
estrema naturalezza i nostri colleghi di materie scientifiche, che non fanno studiare solo
le leggi di fisica che sono state scoperte da
scienziati italiani. O quelli di filosofia che mai
si sognerebbero d i escludere, per ragioni di cittadinanza, Cartesio o Leibniz o , Dio ne guardi, Immanuel Kant.
Eppure questo vizio si estende, incredibile
a dirsi, anche all'arte. I n liceo si studia, dopo
l'arte greca, etrusca e romana, quella italiana.
E ' vero che noi siamo stati meravigliosi produttori d'arte, ma non siamo stati gli unici.
Ignorare Franz Hals, o Cranach, o i Fiamminghi, conoscere i macchiaioli e ignorare .gli impressionisti significa semplicemente dare armi
meravigliose nelle mani di chi dice che, come
agenzia di cultura, la televisione è infinitamente migliore della scuola, in quanto è costantemente aggiornata e non soffre d i questi ridicoli nazionalismi.
Che l'Europa almeno entri a porte e finistre aperte nella scuola in attesa che vi possa
entrare, felicemente accolto, tutto il mondo.
m
COMUNI D'EUROPA
temi per un dibattito culturale: scuola e politica
Come nel nostro Risorgimento
studenti f ornati per l'<<idea»
di Arga
La nostra scuola di oggi si vorrà
tenere, con molta ipocrisia e tanta
viltà, ai bordi della politica, alla
politica sussurata, a un
qualunquismo tanto più grave
perché accuratamente
mimetizzato? I giovani rivendichino
la loro «sovranità» di cittadini
«Una generazione di uomini ha dishtto la vostra giovinezza e la vostra patria; vi ha gettato
tra cumuli di rovine; voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l'impeto dell'azione e ricomporre la giovinezza e la patria. ..Studenti, mi allontano da voi con la speranza di tornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta insieme combattuta...». Credo
non si possa non sentire un brivido sotto pelle
- io almeno, Io confesso, lo sento - ogni volta che
si riascoltano queste parole che il Rettore delI'Università di Padova, Cotlcetto Marchesi, rivolse
nel novembre 1943 agli studenti, invitandoli a
passare dai banchi di scuola alla guerra partigiana.
Per molti di noi, vecchi ora ma studenti liceali negli anni trenta, Marchesi era l'inimitabile autore della «Storia della letteratura latina» ove tanti - che poi non hanno seguito studi letterari o
filologici e sono diventati medici e ingegneri, grossi dirigenti e piccoli impiegati - hanno imparato
ad amare Seneca e Tacito e la loro lezione di libertà.
Ma Marchesi era anche il Rettore che, prima
di rivolgere I'appello per la guerra partigiana, aveva tentato di far vivere per alcune settimane una
Università autonoma, inviolabile a tedeschi e fascisti, attraverso un «accordo)>col Ministro dell'educazione nazionale della Repubblica di Salò: senonché si rese presto conto che, proprio come educatore, era costretto a respingere la neutralità della scuola e a incitare all'azione. Azione politica? azione patriottica?
Marchesi era comunista: ma Paolo Spriano, nel
quinto volume della sua Storia del P.C.I., richiama opportunamente che «Il popolo», giornale democristiano uscito clandestino a Roma, commentava I'appello di Marchesi «in temzini entusiastici, sottolineando proprio h fraternità fra uomini di scienza e operai e contadini» - di cui nell'appello si faceva parola -. Dunque azione patriottica? Direi di no: almeno se non si chiarisce
in quale contesto di cultura e di valori etici si
colloca il concetto di patria. Quel concetto di patria che avevo gwrcktto con estrema perplessità
al tempo dei miei diciotto anni, quando il fascismo scatenava ta guerra coloniale per l'Abissinia e una parte dell'establishment prefascista si
calava le brache. Right or wrong, my country:
ecco un concetto di patria per cui certamente la
scuola non poteva incitare all'azione. 0 mi ave-
va ingannato il professore di storia e filosofia,
quando mi aveva fatto rìfittere sulla preparazione intellettuale del Risorgimento italiano? o mi
aveva spiegato la «Pace perpetuau di Kant e il
federalismo che ne era ilfilo conduttore? Owiamente a questo punto la domanda che ci si deve
rivolgere è: cos'è o cosa deue essere la scuola?
Così cominciava la relazione «Presa di coscienza culturale e politica nella scuola del rnomento costituente europeo» di Serafini (v.
«Comuni d'Europa» luglio-agosto '82) al Convegno «Europa, Scuola, Enti locali», svoltosi
a Teramo nel maggio '82 (si badi alla data in
relazione d a iniziativa del Club del Coccodrillo e d'iter del Progetto Spinelli nel Parlamento
Europeo), promosso da AICCRE e AEDE e
organizzato dalla Provincia abruzzese. Poi il
relatore sviluppava problematica e riflessioni
sulla liceità o meno della politica nella scuola:
torna opportuno riandare a quella relazione e
a quel convegno, ora soprattutto che il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa - e
la sua sezione italiana (AICCRE) e l'intera
«forza federalista» - hanno iniziato la campagna di «quaderni di protesta e di proposta» cahiers de doléances), che dovrà condurre a una
Convenzione del popolo europeo (o congresso dell'Europa dei cittadini: quindi anche dei
giovani e dei loro insegnanti) e a chiedere, attraverso le prossime elezioni europee (primavera '89), poteri costituenti per il Parlamento
Europeo. Come dibattere il Manifesto di Bordeaux nella scuola? come redigere partendo
dalla scuola «quaderni», che vedano dialogo e
collaborazione fra giovani, insegnanti, democrazia di quartiere, di villaggio, di bottega artigiana o di azienda agricola o industriale, assessori alla cultura e all'istruzione di Comuni,
Province e Regioni?
Nel nostro Risorgimento le università fornirono combattenti per l'«idea» (vedi Curtatone e Montanara). Marchesi esortava gli studenti alla montagna. La nostra scuola di oggi
si vorrà tenere, con molta ipocrisia e tanta vi]tà, ai bordi della politica, alla politica sussurrata, a un qualunquismo tanto più grave perché accuratamente mimetizzato? Naturalmente la nostra severità nasce da due considerazioni: 1 - la diagnosi, che dovrebbe essere ovvia, di un grave pericolo della democrazia nella
cosiddetta «Europa intergovernativa», scoraggiata, mercantile, in crisi di valori; 2 - la necessaria rivendicazione dei e per i giovani, già
elettori o sulla via di diventarlo, di esercitare
siil serio - anche nelle elezioni europee - la loro «sovranità» di cittadini (che significa - si deve domandare la scuola - fare l'elettore di un
Parlamento senza poteri?).
'Rilancio dell'azione culturale nella Comunità europea
Comarnicclzione della Commissione - COM (87) 603 def/2 - 17 dicembre 1987
Riassunto
La Commissione e' convinta della necessita' politica e socio-economica di rilanciare l'azione culturale nella Comunita' nella doppia
prospettiva di realizzare il Mercato interno nel
1992 e di progredire dall'Europa del Cittadini all' Unione europea.
Presentando $i orientamenti generali e un
programma quadro per il perioda 1988-1992,
la Commissione desidera suscitare In seno alla Comunita' un dibattito di fondo sggli obiettivi e i mezzi di un'azione comunftwia nel settore culturale. Uno sforzo comune di chiarificazione e' effettivamente indispensablie per
sviluppare le fondamenta stesse di ~ ' a z i o n e
culturale concertata e coardinatn nella Comunita' europea, in Europa e nel mondo.
Gli orientamenti generali che vengono proposti tendono essenzialmente a permettere una
azione complementare della Commissione e
degli Stati membri sia nell'interno del sistema comunitario sia a titolo di coordinamento
e cooperazione, nel rispetta del Trattato.
I1 pr~~rarnma-quadrs
proposto p
y i1 periopunti prindo 1988-1992 si impernia su ~ h q w
cipali:
1 . La creazione di uno uspaeio culturale europeou
2. La promozione dell'industrla auclfovisiva europea
3. L'accesso alle risorse culrurall
4. La formazione culturale
5. 11 dialogo interculturale con il resto del
mondo.
Ognuno di questi ambiti comporta piu'
aspetti che sono l'oggetto di propogte concrete di azioni prioritarie.
Sommario
A. Orientamenti generali
1. Introduzione
2. Principi di azione
. sistema comunitari
. coordinamento
. cooperazione
B. Programma-quadro per il periodo
1988-1992
1. La creazione di uno spazio culturale europeo
Schede:
1.1. La creazione del mercato interno cieiia cultura
1.2. La conoscenza dell'Europa culturale
1.3. Le imprese come mecenati
1.4. La politica dell'editoria
2.La promozione deil'industria audiovisiva europea
Schede:
2.1. TJna accademia europea del cinema e delle arti audiovisive
2.2. Una «Carta dell'audiovisivo»
2.3. Produzione di un'opera televisiva ad alta
definizione (norme europee).
3. 1,'accesso alle risorse culturali
Schede:
3.1. I1 miglioramento delIe conoscenze linguistiche
3.2. La promozione culturale nelle regioni europee
3.3. La conservazione del patrimonio culturale
3.4. La carta «giovani»
4. La formazione culturale
4.1. La formazione degli amministratori culturali
4.2. La formazione dei mestieri dell'immagine e del suono
4.3. La formazione dei giornalisti e dei programmatori
4.4. La formazione dei traduttori ed interpreti
4.3. La formazione ai mestieri d'arte del restauro
5 . I1 dialogo interculturale con il resto del
mondo
A. Orientamenti generali
1. Introduzione
La Commissione e' convinta che il rilancio
dell'azione comunitaria nel settore culturale sia
una necessita' politica e un dovere socioeconomico sia nella prospettiva della realizzazione del mercato interno nel 1992 sia per la
progressione dell'Europa dei cittadini verso
l'Unione europea.
La presente comunicazione comporta. due
parti: la definizione di orientamenti generali
e un programma prioritario d i azioni per il periodo 1988-1992.
I1 rilancio dell'azione culturale nella Comunita' e' una necessita' politica.
Oggi c'e' inquietudine nella Comunita' per
quel che concerne il futuro della cooperazione culturale in Europa. Questo sentimento che
va generalizzandosi esprime una presa di coscienza crescente delle sfide poste dall'interazione dell'economia, della tecnologia e della
cultura. I1 dibattito relativo alla concorrenza
culturale della Comunita' non puo' mascherare la domanda crescente di participazione dei
cittadini europei alla vita culturale e l'esigenza di vedere la creazione in questo ambito di
nuove condizioni di scambio e di cooperazione. I governi e le istituzioni della Comunita'
devono dare risposte positive alle legittime attese degli europei.
Come testimonia il successo d i alcune iniziative culturali di portata simbolica, la dimensione culturale dell'Europa si iscrive nella coscienza collettiva dei popoli europei, i cui valori costituiscono un fondo culturale comune
caratterizzato dal dialogo e dallo scambio fra
popoli e uomini di cultura nel corso dei secoli. Questa specificita' non e' altro che il retaggio comune dell'umanesimo pluralistico fondato sulla democrazia, la giustizia e la liberta', che si esprime nella diversita' delle nostre
culture locali, regionali e nazionali. E' il fondamento dell'unione europea la cui finalita'
non puo' solo limitarsi agli obbiettivi di integrazione economica e sociale, quale che sia la
loro importanza.
Il senso dell'appartenenza ad una cultura eu-
ropea e' una delle condizioni di questa solidarieta', senza la quale la messa in atto del grande mercato, che modifichera' profondamente
le condizioni di vita degli europei, non sarebbe fondata sul sostegno indispensabile del cittadino europeo.
I1 rilancio dell'azione comunitaria nel settore culturale e' anche un obbiettivo socioeconomico.
L'esplodere delle nuove tecnologie che trasformano gia' oggi la nostra societa' industriale
in una civilta' dell'informazione e delle comunicazioni crea una triplice sfida: preservando
comunque le loro specificita' culturali, gli europei dovranno addattarsi ai nuovi mezzi di
espressione - particolarmente nell'ambito audiovisivo - e essere competitivi nelle nuove forme di scambio. La posta in gioco e' quindi molto alta, perche' le attivita' culturali occupano
una grandissima parte nell'insieme delle attivita' economiche, anche tenendo conto dei legami e interazioni fra economia, tecnologia e
cultura.
Le mutazioni tecnologiche e l'avvento del
grande mercato modificheranno sensibilmente le attuali strutture della Comunita': nell'ambito culturale e per quelli che vi operano, questa evoluzione comportera' nuove opportunita', ma anche rischi. E ' necessario carpire le
nuove opportunita' e ridurre i rischi. Questa
responsabilita' incombe ai cittadini, alle imprese, agli Stati membri e alle istanze europee.
Quest'ultime hanno la vocazione di evitare la
dispersione eccessiva degli sforzi e di fare da
catalizzatore per la cooperazione indispensabile per la riuscita dei progetti prioritari per
la Comunita'.
Gli orientamenti generali hanno come obbiettivo di suscitare nella Comunita' un dibattito di fondo sugli obbiettivi e i mezzi di una
azione comunitaria nel settore culturale. Un
tale dibattito di fondo e' effettivamente indispensabile per preparare - con uno sforzo comune di chiarificazione - le basi stesse di una
azione culturale concertata e coordinata nella
Comunita' europea, in Europa e nel mondo.
I1 programma prioritario di azioni per il periodo 1988-1992 tende a formulare e a proporre un numero limitato di azioni significative
che si inseriscano in cinque ambiti essenziali
e che costituiscano un «programma-quadro»di
rilancio dell'azione culturale comunitaria e europea. Questa azione si compone di diversi
contenuti, alcuni fra i quali iscritti nel quadro
degli sforzi intrapresi dalla Commissione negli ambiti del mercato interno, dell'industria,
della ricerca e della innovazione. A questo riguardo, bisogna prestare particolare attenzione affinche' vengano evitati dei doppi usi in
rapporto ad altri programmi comunitari.
2. Principi d'azione
La Commissione intende naturalmente perseguire e intensificare la sua azione culturale
nel quadro del sistema comunitario. Nell'esercizio delle sue responsabilita' economiche, soCOMUNI D'EUROPA
ciali e giuridiche, vegliera' particolarmente sulla libera circolazione dei beni e dei servizi CUIturali, sul miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli artisti, sulla creazione di
nuovi impieghi nel settore culturale in rapporto
con lo sviluppo regionale, turistico e tecnologico, sulla creazione di una industria culturale competitiva a livello comunitario e mondiale.
La Commissione proseguira' d'altronde le
azioni culturali iniziate dal '77 nei settori della formazione, dell'attribuzione di borse di studio per la formazione per esempio a diversi mestieri d'arte e di restauro, per la promozione
dei settori piu' rappresentativi dell'attivita'
culturale, quali la musica, le arti plastiche, il
teatro e la danza, la promozione di avvenimenti culturali a carattere europeo, festivais, premi, «Citta' europee della cultura),, la preservazione del patrimonio, particolarmente architettonico, e le ricerche suscettibili di inquadrare meglio le problematiche del settore. Continuando ad agire in questo senso, la Commissione intensifichera' lo sforzo intrapreso negli ultimi due anni per precisare obbiettivi e
modalita' dei suoi interventi e per definire, con
l'aiuto di professionisti del settore e con i responsabili nazionali dell'azione culturale, le linee direttrici della sua politica di sostegno.
Nel condurre la politica di informazione e
di comunicazione, la Commissione sara' particolarmente attenta ad integrare la dimensione culturale strettamente legata, per il cittadino europeo, alla percezione della sua identita' e del suo sentimento di appartenenza alla
Comunita'. Informazione, comunicazione e
cultura sono in effetti inscindibili nella misura stessa in cui l'avvento del grande mercato
crea uno spazio europeo che, al di la' delle realta' socio-economiche, si basa su radici culturali comuni.
L'unicita' della cultura europea, che si profila attraverso la storia della diversita' delle culture regionali e nazionali, costituisce la base
indispensabile della ambiziosa costruzione dell'Unione europea.
Queste tre linee d'azione comunque non
esauriscono tutti gli aspetti della sfida culturale posta alla Comunita'. La complessita' e
l'ampiezza di questa sfida, uniti all'esiguita'
dei mezzi finanziari - pubblici e privati disponibili sia a livello regionale e nazionale
che comunitario, implicano uno sforzo accresciuto di sinergia dell'insieme degli operatori
culturali presenti.
La Commissione si prefigge di continuare
negli sforzi di coordinamento iniziati secondo le formule adottate nel quadro dei programmi ESPRIT e MEDIA, selezionando una o
due azioni che siano significative sul piano europeo e capaci di mobilitare l'appoggio dell'opinione pubblica e degli ambienti interessati.
I n effetti, per alcune azioni specifiche - per
le quali uno sforzo comune di tutti gli Stati
europei non risulterebbe possibile nel quadro
della Comunita' - la Commissione, nel rispetto del Trattato, provera', facendo uno sforzo
di cooperazione, ad associare la Comunita' attraverso di essa (la Commissione n.d.t.) alle
azioni che verrebbero fatte da una parte degli
Stati membri, in modo da includerle in una dimensione europea e a salvaguardare ulteriori
COMUNI D'EUROPA
possibilita' di ampliamento dell'azione stessa.
A questo riguardo, la Commissione e' pronta,
da parte sua, a rispondere alle attese che si manifestano nella Comunita' nell'ambito della coproduzione di opere audiovisive.
Agendo nello stesso tempo in queste tre direzioni e considerando che il momento e' favorevole all'intensificaziorie - rispettando il
principio della sussidiarieta' - dell'azione culturale della Comunita', la Commissione propone un programma concreto di rilancio che
comporta una serie di azioni significative e
prioritarie che avranno come base gli insegnamenti della recente Conferenza di Firenze sul
tema delle relazioni tra «cultura, economia e
nuove tecnologie».
Al fine di assicurare nella Comunita' europea la messa in opera articolata e efficace di
questi principi d'azione -azione culturale d ' i n terno del sistema comunitario, coordinamento e cooperazione anche negli ambiti o progetti
specifici che non riuniscono necessariamente
tutti gli Stati membri - la Commissione intende creare un Comitato permanente della CUItura presenziato dalla Commissione che permetterebbe lo studio delle proposte appropriate tenendo conto di tutte le specificita' del settore.
E' auspicabile che il Consiglio si doti ugualmente di strutture appropriate per preparare
nel modo piu' efficace possibile le discussioni
nel suo seno.
La Commissione vorrebbe instaurare con le
istanze politiche responsabili della Comunita'
un dialogo costruttivo sulle linee di forza di
questo orientamento generale, allo scopo di
permettere alla Comunita' di varare nei tempi p i ~ brevi
'
possibili un programma-quadro
di azioni prioritarie per il periodo 1988-1992.
B. Programma-quadro per il
periodo 1988-1992
I1 progetto di programma-quadro che propone la Commissione per il periodo 1988-1992
si impernia su cinque punti:
1. La creazione di uno spazio culturale europeo
2. La promozione dell'industria audiovisiva europea
3. L'accesso alle risorse culturali
4. La formazione culturale
5 . I1 dialogo interculturale con il resto del
mondo.
Ognuno di questi ambiti comporta piu' settori che formano l'oggetto di proposte concrete
di azioni prioritarie.
A seconda dei casi, le azioni significative
prioritarie devono esser messe in opera sia nel
quadro comunitaria, sia a titolo di coordinamento fra gli Stati membri della Comunita',
sia nel contesto della cooperazione culturale
europea.
Ognuna di queste proposte concrete e' oggetto di una scheda tecnica descrittiva che
comporta anche l'indicazione dei tipi di sinergie da attuare.
1 . La creazione di uno spazio
culturale europeo
Questo settore e' direttamente legato all'azione della Commissione nell'esercizio delle
sue responsabilita' economiche, sociali e giuridiche.
Nella prospettiva della attuazione del grande mercato interno, la creazione di uno spazio culturale europeo consiste nell'assicurare
prioritariamente la libera circolazione dei beni e dei servizi culturali,il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli artisti,
la creazione di nuovi impieghi nel settore CUIturale in rapporto con lo sviluppo regionale,
turistico e tecnologico da una parte e dall'altra la creazione di una industria culturale competitiva a livello comunitario e mondiale.
Tenendo conto di questi obbiettivi e di questa prospettiva, la Commissione intende naturalmente proseguire e intensificare la sua
azione culturale nel quadro del sistema comunitario. Sara' particolarmente attenta all'integrazione della dimensione culturale nella definizione e nella gestione delle varie politiche
comunitarie. A questo scopo rafforzera' il
coordinamento fra i propri servizi.
In questa ottica, la Commissione propone
di concentrare l'azione comunitaria per la creazione di uno spazio culturale europeo in quattro direzioni prioritarie:
- permettere l'adattamento delle attivita' CUIturali e degli operatori del settore alle esigenze della creazione di un mercato interno, tenendo conto dei mutamenti tecnologici;
- migliorare la conoscenza dell'Europa culturale, sviluppando, con il concorso del Consiglio d'Europa, uno strumento statistico affidabile e elaborando un programma di studi e
di inchieste;
- favorire lo sviluppo di un sistema mecenatico europeo accessibile alle piccole e. medie imprese e industrie, sostenendo la creazione,lo
sviluppo e il coordinamento nella Comunita'
di «Fondazioni per la promozione delle arti»;
- promuovere attivamente una politica editoriale assicurando l'equilibrio fra gli interessi
legittimi degli autori, degli editori, dei distributori e dei lettori.
Le azioni concrete proposte nel quadro di
queste quattro direzioni prioritarie sono l'oggetto delle schede descrittive seguenti:
1. I . I1 perfezionamento del mercato interno:
aspetti culturali
1.2. La conoscenza dell'Europa culturale
1.3. Le imprese come mecenati
1.4. La politica dell'editoria
1.1. Il perfezionamento del mercato interno:
aspetti culturali
I1 perfezionamento del mercato interno implica - sul piano culturale - la messa in opera
di quattro obbiettivi prioritari, e cioe':
-la libera circolazione dei beni e dei servizi CUIturali,
-il miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro degli artisti,
-la creazione di nuovi impieghi nel settore culturale in rapporto con lo sviluppo regionale,
turistico e tecnologico,
-la creazione di una industria culturale competitiva a livello comunitario e mondiale.
Questo processo di adattamento, a cui bisogna aumentare le opportunita' diminuendone i rischi, comporta una azione strettamente
coordinata delle politiche comunitarie sociali,
regionali, industriali e tecnologiche, integranFEBBRAIO 1988
done la dimensione culturale nella definizione e gestione delle loro azioni a favore dell'industria culturale e dei suoi operatori.
Sia dal punto di vista industriale che da
quello culturale, la competitivita' del settore
«audiovisivo» costituisce la priorita' assoluta,
e questo tenendo conto dell'impatto sociale,
industriale, tecnologico, culturale e politico
della sfida audiovisiva. I n effetti, il contenuto culturale non e' indifferente alle nuove tecniche di produzione, di distribuzione e di finanziamento che, grazie ai progressi tecnologici e all'apertura del mercato interno, si sviluppano in questo settore sia su scala europea
che mondiale. Inversamente, l'industria europea dell'audiovisivo non puo' trascurare la specificita' culturale europea, le cui diversita' nazionali e regionali costituiscono una delle basi
stesse della Unione europea. (cfr. il capitolo
e le schede relative alla promozione dell'industria audiovisiva europea).
Per quel che concerne la libera circolazione
delle opere d'arte nella Comunita', la Commissione considera che bisogna accelerare l'adozione o il concretizzarsi delle proposte esistenti. A questo riguardo la Commissione presentera' entro breve una serie di proposte concrete
relitive:
- alla definizione di criteri sui quali si baserebbero gli Stati membri per definire il patrimonio nazionale a valore artistico, storico o archeologico (art. 32 CEE);
- alla messa in opera delle procedure che permettono la protezione di questi patrimoni nazionali;
- alla lotta contro i furti di opere d'arte nella
Comunita', creando accordi che permettano di
stabilire e di utilizzare delle schede segnaletiche delle opere d'arte, di creare un Centro europeo di informazione sui furti, di redigere dei
codici deontologici applicabili al commercio
delle opere d'arte tra paesi membri;
- d a armonizzazione delle disposizioni esistenti all'interno dei regimi fiscali applicabili alle
diverse categorie di beni culturali ( l ) , concretizzando le soluzioni anticipate nel Libro Bianco, soprattutto per quel che concerne la messa in opera di un meccanismo di compensazione per 1'IVA ; (2) (3)
- alla esigenza della cauzione nel caso di importazione temporanea, in vista della sua abolizione.
Quanto al miglioramento delle condizioni
di vita e di lavoro, la Commissione considera
che sarebbe il caso di mettere in opera uno studio relativo alla legislazione sociale della Comunita' che permetterebbe di dar risposta a
due preoccupazioni essenziali, e cioe': la specificita' del mestiere artistico e la necessita' di
una reale protezione sociale. Molto spesso, l'artista - non essendo protetto ne' come lavoratore salariato ne' come indipendente - si trova impreparato davanti alle incognite dell'esistenza.
(1) A titolo d'esempio, la Commissione, per
quel che concerne gli oggetti d'arte, da collezione o d'antichita', ha ritirato la proposta della 7ma Direttiva che prevedeva un regime armonizzato applicabile a questi beni, ma che
non ha potuto raggiungere un accordo soddisfacente all'interno del Consiglio. La CommisFEBBRAIO 1988
sione presentera' una nuova proposta su questo tema entro breve.
(2) Documento di lavoro della Commissione
relativo alla messa in opera di un meccanismo
di compensazione (COM 87-321def del
4.8.1987).
(3) Per quel che concerne il sistema comune
delllIVA, la Commissione ha gia' da ora proposto (COM 87-321def) che i libri, giornali e
periodici usufruiscano di un tasso ridotto di
IVA (fra il 4 e il 9%).
1.2. La conoscenza del19Europa culturale
I1 bisogno crescente di conoscenza approfondita del settore culturale e' evidente non
soltanto per i governi, ma anche per le istituzioni europee (la C E e il Consiglio d'Europa),
le autorita' regionali e locali, le organizzazioni culturali e gli altri operatori del settore.
Le lacune nel settore delle statistiche culturali, oggi poco affidabili e difficilmente paragonabili, devono essere colmate urgentemente per permettere agii operatori e amministratori culturali e alle autorita' politiche della C E
di orientare le loro decisioni secondo dati precisi concernenti la vita culturale nella CE e presentati nel suo contesto socio-economico generale.
Lo stesso vale per le inchieste sociologiche
relative alle attivita' e alle abitudini culturali
dei popoli d'Europa.
Infine, lo scambio di informazioni sulle attivita' culturali nella C E e' ancora allo stato
embrionale, anche se esiste una reale volonta'
di moltiplicare i contatti fra professionisti e
anche se il grande pubblico e' sempre piu' sensibile verso le attivita' culturali europee.
La Commissione propone quindi di impegnarsi, cooperando con il Consiglio d'Europa,
in una triplice azione prioritaria con questi obbiettivi:
- rendere partecipe 1'OCSE alla creazione di
un centro di elaborazione per le statistiche culturali europee;
- meglio circoscrivere le attivita' e le abitudini culturali dei popoli europei;
- suscitare e sostenere gli sforzi dei professionisti dell'informazione in vista del lancio di
una «Agenda culturale europea)), accessibile ai
professionisti e al grande pubblico, e cio' con
il contributo di un circuito informatizzato sulle
attivita' culturali in Europa.
1.3 Le imprese come mecenati
Nello spirito della risoluzione adottata il 13
novembre 1986 dai ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in seno al Consiglio
( l ) , la Commissione condivide la preoccupazione espressa dal governo francese e trascritta nel «Livre Bleu» (2) «di andare avanti concretamente nel senso definito da questa risoluzione
- favorendo la messa in opera, negli Stati membri, di organismi incaricati d i consigliare e di
mettere in contatto imprese e creatori;
- sviluppando i legami tra questi organismi;
- incitando sistematicamente le imprese nazionali o europee a sostenere i progetti culturali,
sia di promuovere la propria immagine di marca, sia di contribuire allo sviluppo di attivita'
culturali e alla valorizzazione del patrimonio
in Europa».
Ispirandosi alle principali affermazioni e
suggestioni formulate da M. Jacques d e Chalendar nel suo recente libro «I Mecenati in Europa» (3), la Commissione propone di concentrare l'azione prioritaria della CE in questo
ambito ponendo l'accento sulle piccole e medie imprese e industrie come mecenati.
I n effetti, la Commissione constata che lo
sviluppo delle imprese mecenati in Europa richiede migliore informazione e gestione del
«parrainage» culturale, segnatamente per le
piccole e medie industrie e imprese relativamente inesperte in questo settore, e non tanto per quelle multinazionali abituate ed equipaggiate per questo tipo particolare di finanziamento privato della cultura.
I n generale, la Commissione propone di approvare a livello comunitario, prima della fine del 1992, delle misure legislative, segnatamente nel settore fiscale, per facilitare queste
azioni nelle piccole e medie industrie e imprese.
I n questo quadro, la Commissione propone
di sostenere particolarmente le «Fondazioni
per la Promozione dell'Arte» che hanno come
scopo essenziale di sviluppare il mercato della
cultura, assicurando il legame tra le offerte delle imprese e le domande del settore culturale.
La Commissione considera che una delle azioni
prioritarie e' quella di aiutare queste Fondazioni, a livello comunitario, a mettere in opera una banca europea di dati come strumento
strategico per lo sviluppo del mercato europeo
della cultura.
Questa banca-dati europea permetterebbe
all'insieme delle Fondazioni della C E di guidare le loro azioni sulla base di uno schedario
di progetti culturali presentati '<<sulmercato
unico della CE», di domande di finanziamento classificate secondo criteri di calendario, di
bilancio, di ubicazione geografica, di disciplina artistica, di eta' del pubblico, ecc.
Il lancio di una tale iniziativa specifica nella C E dovrebbe, secondo la Commissione, essere allargato progressivamente all'insieme dei
paesi membri del Consiglio d'Europa, tenend o conto in particolar modo dell'integrazione
del mercato europeo e internazionale delle arti.
La fase di decollo all'interno della C E di
questo progetto concreto dovrebbe comportare
per il periodo 1988-1992 un contributo di bilancio simbolico di 1 MECU, alla cui gestione dovrebbero essere associati gia' da ora degli osservatori del segretariato generale del
Consiglio d'Europa.
(1) Gazzetta Ufficiale C E E n.C320/2 del
13.12.1986
(2) Livre Bleu, scheda n.8 «Le imprese come
mecenati))
(3) Pubblicato dalla «Documentation francaise» (1987) sotto gli auspici del Ministero francese della cultura e della comunicazione e del
Consiglio d'Europa
1.4. La politica dell'editoria
Gli obiettivi di una politica editoriale - specificamente dell'editoria tradizionale - a livello della C E non possono non essere complessi
nella misura stessa che si tratta di conciliare
gli interessi legittimi degli autori, degli editori, dei distributori e dei lettori su un mercato
frammentato in piu' zone linguistiche.
COMUNI D'EUROPA
Tuttavia, e malgrado questa complessita', la
posta in gioco culturale e industriale rappresentata dal libro, in contrapposizione alla sfida dominante dell'audiovisivo, implica una
riattivazione pragmatica ed efficace dell'azione comunitaria, in stretto contatto con i professionisti rappresentati particolarmente nel
Comitato consultivo del libro creato presso la
Commissione.
Fino ad oggi, il problema del prezzo del libro ha dominato in gran parte le preoccupazioni degli ambienti comunitari (1) e del mondo dell'editoria e della distribuzione. Converrebbe in tal quadro che la situazione del libro
e le eventuali azioni da sviluppare fossero l'oggetto di un esame periodico nel Comitato consultivo del libro (in particolare il promuovere
la traduzione di opere di gutori viventi che richiede un sistema di selezione atto a equiiibrare gli interessi della cultura e commerciali).
Quindi, la Commissione propone di portare avanti le azioni prioritare nella Comunita',
che hanno come scopo:
- l'esame della necessita' di regole comunitarie per quel che concerne la riproduzione;
- l'esame della possibilita' di armonizzazione
delle procedure concernenti la repressione della pirateria, tenendo conto dei negoziati all'interno del GATT;
- la promozione della cooperazione tra le biblioteche europee tramite l'applicazione appropriata delle nuove tecnologie (ivi comprese
quelle che permettono I'interconnessione dei
sistemi bibliotecari automatizzati).
Per quel che concerne piu' specificamente
le biblioteche in Europa e al fine di dare seguito alla risoluzione del Consiglio del 27 settembre 1985 (2), tenendo conto degli orientamenti ivi fissati, la Commissione ha gia' condotto numerosi studi e consultazioni allo scopo di meglio circoscrivere la problematica e di
permettere percio' la preparazione ed il lancio, in un prossimo futuro, di una proposta d'azione speciale in questo ambito. E' evidente
che la complessita' del problema premette numerose azioni preparatorie a livello della Comunita', ma anche dell'Europa: armonizzazione delle norme (per esempio norme di catalogo, di indicizzazione in vigore nei paesi della
CE e promozione presso gli industriali europei di norme di interconnessione dei sistemi.
( l ) La comunicazione della Commissione
(COM 85-681), i lavori del Consiglio, la decisione della Corte di Giustizia del 10.1.1985
(n.229/83), il recente rapporto Barra1 Agesta
del Parlamento Europeo.
(2) Risoluzione del Consiglio concernente la
collaborazione tra biblioteche nell'ambito dell'informatica, G.U. n.C271/1 del 23 ottobre
1985.
2. La promozione dell'industris
audiovisiva europea
La societa' europea diventa una societa' della comunicazione. Di fronte a questa evoluzione, la politica audiovisiva della Comunita' deve
promuovere l'integrazione a medio termine
dell'industria europea.
Senza una azione concertata a livello europeo, una integrazione spontanea non produrrebbe effetti in tempo utile. Ogni ritardo puo'
COMUNI D'EUROPA
far invadere il mercato europeo, il piu' ricco
del mondo, dalle industrie extra-europee. Queste soddisferanno la domanda di centinaia di
canali di satelliti e di circuiti via cavo, mentre
l'industria europea sara' marginalizzata. I1 rischio di un declino probabilmente irreversibile
diventerebbe ineluttabile.
Dal 1983 la Commissione ha posto, su domanda del Parlamento Europeo, questa problematica dell'audiovisivo a livello dell'era dei
satelliti e dei cavi (1).
Da allora, gli ambienti professionali e politici europei sono coscienti del fatto che le frontiere non hanno piu' gran senso e che esiste
un grave pericolo per l'indipendenza culturale europea, che e' dovuto all'invasione dei programmi audiovisivi americani e giapponesi.
Dal 1985, la Commissione ha intrapreso una
azione nel settore audiovisivo in tre direzioni:
- l'unificazioine delle norme tecniche di radiodiffusione tramite satellite (2);
- la libera circolazione delle trasmissioni radiodiffuse sonore e televisive e la promozione della produzione di programmi televisivi: proposta di Direttiva concernente l'attivita' di radiodiffusione (3);
- la «promozione dell'industria audiovisiva europea» attraverso altre misure e' l'oggetto di
proposte concrete di azioni significative (schede n.2.1.,2.2.,2.3.).
(1) Rapporto interinale «Realta' e tendenze
della televisione in Europa: prospettive e opzioni» - Doc. COM 831299 def del 25 maggio
1983.
(2) Direttiva MAC (COM 8611 def) del 3 novembre 1986 - G.U. CEE L311 del 6 novembre 1986.
(3) COM 861146def del 30 aprile 1986
(G.U.CEE C179 del 17 luglio 1986) attualmente all'esame del C o n s d o e del Parlamento
Europeo.
Attualmente, l'azione di promeizione d brasa su tre iniziative:
1) la proposta di direttiva concernente la radiodiffusione prevede nel capitolo I1 che le
emittenti televisive riservino una percentuale
dei loro programmi alla diffusione di opere comunitarie (1);
2) I1 progamma MEDIA («Misure per incoraggiare lo sviluppo dell'industria audiovisiva>>),
programma p h i e n n d e articolato in tre settori:
la produzione, la distribuzione ed il finanziamento delle opere audiovisive;
3) L'anno europeo del Cinema e della Televisione (1988) si propone di sensibilizzare sulla
natura e l'importanza del settore gli ambienti
professionali e politici, cosi come l'opinione
pubblica, in stretta collaborazione con il Consiglio d'Europa.
(1) Il capitolo 11 si iscrive nella logica della risoluzione dei rappresentanti dei governi degli
Stati membri del 24 luglio 1984 concernente
le misure atte ad assicurare un posto adeguato ai programmi audiovisivi di origine europea
(G.U. CEE C204 del 3 agosto 1984). Inoltre,
nelle sue risoluzioni sul Libro Verde «televisione senza frontiere)), (COM 841300 def del
14 giugno 1984), il PE ha invitato la Comrnissione a prevedere, nella proposta di direttiva
concernente la radiodiffusione, misure di promozisne della produzione di programmi tele-
-
visivi (G.U. CEE C288 del 11 novembre
1985, pagg. 113-122).
I. La proposta di direttiva concernente la radiodiffusione
Questa proposta ha come obbiettivo di favorire direttamente lo sviluppo delle industrie
culturali comunitarie, nel quadro dell'obbligo
che ogni Stato membro ha di riservare una percentuale del tempo totale di trasmissione per
la diffusione di opere comunitarie.
Nel quadro di questa percentuale, e' previsto ugualmente l'obbligo - a carico degli organi di televisione - di includere nelle loro trasmissioni un certo numero di opere comunitarie che non sono state ancora diffuse nella
Comunita'. L'obbiettivo specifico di tale principio e' di garantire alle nuove produzioni audiovisive un posto nella programmazione delle televisioni.
Gli organismi televisivi devono, infine, riservare prima il 5 % poi il 10% del loro bilancio di programmazione a opere comunitarie di
produttori indipendenti. Questo principio tende a stimolare la produzione audiovisiva grazie allo sviluppo di nuove sorgenti produttive, favorendo quindi nuove possibilita' di lavoro e di sbocco alla creativita' delle professioni e dei lavoratori culturali.
2. I1 programma MEDIA
Questo programma si iscrive nella prospettiva della realizzazione del grande mercato.
Parallelamente ai grandi progetti tecnologici
(ESPRIT, RACE, ...) tende a valorizzare su
scala comunitaria la diversita' delle industrie
audiovisive nazionali, per poterle rendere partecipi della dimensione del mercato allargato.
A questo scopo, vuole essere un cataiizzatore
delle sinergie transnazionali necessarie aila
competitivita' dell'audiovisivo europeo sul
mercato mondiale. Si tratta di rinforzare la
produzione e la distribuzione dei programmi
per rispondere alla domanda creata dall'innovazione tecnologica.
Il programma e' aperto alla partecipazione
di paesi terzi.
MEDIA comprende due tappe: una fase di
preparazione che definisce i progetti tramite
ricerche e esperienze-guida e una fase di realizzazione destinata a mettere in opera i progetti. Definiti in collaborazione con gruppi
professionisti, i primi progetti sui quali si sta
lavorando rispettano i seguenti orientamenti:
- il progetto prioritario consiste nel creare un
sistema di distribuzione europea di films, che
permette alle produzioni nazionali di circolare meglio sul mercato comunitario. Lo sviluppo del multiiinguismo e' in questo quadro molto importante. I1 programma MEDIA tiene
conto specificamente dei bisogni delle zone linguistiche poco estese,
- l'introduzione di nuove tecnologie nella produzione e' uno dei fattori-chiave per la competitivita' del settore europeo. MEDIA prevede esperienze-guida (ricerca-sviluppo della
infografia, produzione da computer) e la produzione di lunghe serie televisive di finzione,
- la creazione di un sistema europeo di finanziamento deve accompagnare ogni sistema integrato di produzione e di distribuzione. Un
«Gruppo di finanziatori del cinema e dell'au-
diovisivw e ' stato creato, sotto l'impulso di
MEDIA, da quattro istituti di credito (Banca
Nazionale del Lavoro di Roma, Institut pour
le Financiement du Cinema et des Industries
Culturelles de Paris, Union Financiere pour le
Cinema et 1'Audiovisuel de Paris, e 1'Instituto de Credito Industria1 di Madrid).
Cinque grandi progetti stanno per essere elaborati (2 nel settore distribuzione, 2 in quello
produzione e 1 per il settore finanziamento).
Due di questi, relativi alla distribuzione, sono pronti ad essere attuati appena i finanziamenti relativi saranno disponibili:
.
- la «cooperativa europea» per la distribuzione
di films «low budget»
Si tratta della prima iniziativa di creazione
di un sistema organico di distribuzione transnazionale di films in Europa.
I films ulow budget», il cui costo si aggira
su meno di 2.500.000 ECU, costituiscono la
maggior parte - e spesso la piu' originale - della produzione europea.
Le grandi linee sono definite in collaborazione con i professionisti ed i rappresentanti
delle istituzioni dei dodici paesi, e prevedono
la creazione di una «cooperativa europea» aperta a tutti i distributori di origine comunitaria
che deve gestire un «budget» di anticipi (recuperabili) sulle entrate, finanziato all'inizio
da fondi annuali della Commissione (nel 1988
2 MECU, cioe' quasi il 50% dei costi) e, in
seguito, dai contributi di istituti nazionali, cosi
come dalle restituzioni degli anticipi. I films
di origine comunitaria (almeno tre distributori di paesi diversi nella CE, ivi compreso il pae.
se di origine del film) hanno diritto al sistema
degli anticipi, ma sono obbligati a presentare
un piano coerente di diffusione (prima nei cinema, poi in video e in TV). I distributori si
impegnano ad investire almeno il 50% delle
spese di distribuzione, il restante 50% essendo anticipato dalla «cooperativa europeab.
- Il multiling~ismo:altra prioritu' del rettom distribuzione~
Si tratta di tin aspetto essenziale, soprattutto
per la TV tramite satellite, capace di diffondere lo stesso programma in piu' lingue.
In questo campo, una collaborazione e' stata instaurata con l'Unione Europea di Radiodiffusione (UER). Si pensa di far partecipare
la Commissione alla ~FondaziofieUER ger la
prodmbe», centrata soprattutto s d a prozicvne di tutte le tecniche del mulrilinguismo:
doppi&,
sotto-titoli, riprese cinematografiche in piu' lingue. Tenendo conto della sua
esperienza in questo campo, il Servizio comune di interpeti e conferenze sara' associato a
questi lavori e continuera' a contribuire alle
ricerche sulle diverse tecniche della conversione linguistica.
3. L'Anno Europeo del Cinema e della Televisione (AECTV)
L'AECTV e' stato approvato dal Consiglio
europeo di Milano (giugno 1985) e dalla risoluzione del ConsigIio «Cultura» nel dicembre
1986.
I1 Comitato direttivo delllAnno, sotto la
presidenza di Simone Veil, e' stato creato all'inizio del 1987. Diviso in 6 gruppi di lavoro, ha esaminato e selezionato i progetti presentati dai Comitati nazionali dei 24 paesi parFEBBRAIO 1988
tecipanti (tutti quelli del Consiglio d'Europa,
piu' quei tre che si aggiungono nel Comitato
di cooperazione culturale) e dagli organismi europei professionisti.
250 progetti sono stati esaminati dal Comitato Direttivo. Essi concernono molti aspetti:
dalle coproduzioni agli studi, alle esperienze
di nuove tecnologie, alla valorizzazione degli
archivi, alla creazione di banche-dati, al raccoglimento di legislazione, alla creazione di
premi e di festivals europei ecc.
Due di questi progetti sono particolarmente importanti per la Commissione:
- la proposta di creazione di una Accademia
europea del cinema e delle arti audiovisive;
- la proposta di una «Carta dell'audiovisivo»
sui diritti dei creatori dell'audiovisivo e sui
problemi politici e democratici legati alla loro
salvaguardia.
Inoltre, la Commissione pensa che bisogna
approfittare dall'occasione AECTV per stimolare la realizzazione di programmi o opere di
TV ad alta definizione, utilizzando le risorse
(produzione e diffusione) del sistema europeo
TVHD. A questo riguardo, la Commissione
conferma la sua proposta presentata al Comitato Direttivo delllAECTV.
Questi tre progetti sono illustrati nelle schede 2.1., 2.2. e 2 . 3 . qui di seguito.
2.1. L'Accademia del cinema e delle arti audiovisive
Nato dalla combinazione di diverse proposte fatte al Comitato Direttivo dell'AECTV,
il progetto di creazione di questa «Accademia»
riveste un interesse particolare in quanto fattore di unificazione dei mestieri europei dell'audiovisivo intorno ad alcune iniziative culturali comuni.
Si potrebbe procedere a premi annuali, anche perche' questa azione simbolica potrebbe
sviluppare un sentimento di appartenenza comune dei professionisti, che ancor oggi hanno una fortissima connotazione nazionale. Organizzato con la partecipazione degli organismi professionali europei, il processo di selezione delle opere prime sarebbe effettuato su
larga scala, grazie ad un voto per corrispondenza. Una tale azione significativa implicherebbe la collaborazionee l'integrazione permanente dei professionisti europei del cinema e
della TV, con ripercussioni in tutti gli ambiti
dell'attivita' professionale. Questo obbiettivo
ambizioso esige una azione complessa e di lungo respiro.
L'importanza potenziale del progetto va evidentemente al di la' dei limiti di tempo del1'AECTV. Esso offre d a Commissione la possibilita' di promuovere deile manifestazioni
permanenti a carattere europeo.
Per quel che concerne la natura dell'organismo proposto, bisognerebbe ispirarsi al modello americano della ~NationalAcadernyo,
ben noto a tutti, trasponendolo, senza copiarlo, alle realta' europee.
I1 progetto viene attualmente studiato da un
gruppo di lavoro creato dal Comitato direttivo dell'AECTV. I1 Commissario Carlo Ripa
di Meana ha chiesto al Comitato, il 5 settembre a Venezia, di dare alla Commissione una
valutazione in materia.
Le implicazioni finanziarie del progetto nel
1988 dorrebbero, in principio, essere modeste:.organizzazione di alcune riunioni. La provenienza essenziale del finanziamento dovrebbe essere il bilancio dell'AECTV, senza pero'
escludere altre eventuali forme di finanziamento.
La Commissione invece potrebbe considerare opportuno sostenere il lancio dell'istituzione, soprattutto al fine di assicurarne la conformital agli obbiettivi stabiliti.
Cionondimeno e' essenziale che l'Accademia non debba funzionare tramite il bilancio
comunitario.
2.2. La «Carta dell'audiovisivo»
I1 progetto, presentato dalla Federazione europea dei realizzatori audiovisivi (FERA) presenta un interesse evidente per la Commissione.
Secondo la FERA, la crisi del cinema e della creazione audivisiva in Europa e' dovuta alla
minaccia.dei concorrenti extra-europei e alla
«serializzazione»delle opere all'interno dei palinsesti dei programmi e delle costrizioni di bilancio della TV, e implica problemi e !alori che
vanno ben al di la' dei limiti settoriali.
In altre parole, non si tratta qui di un problema corporativo, e neanche economico, dei
realizzatori: si tratta di un .problema'di liberta', di creativita' e di comunicazione: e' dunque un problema politico e democratico.
Il progetto prevede una riunione nelI'AECTV, non soltanto fra realizzatori, ma anche fra accademici, fra intellettuali, Premi Nobel in tutti i campi, ecc. per formulare chiaramente i termini del problema in una edichiarazione^ solenne, una aCarta europea dell'audiovisivon, per attrarre cosi' l'attenzione dell'opinione pubblica e della classe politica europea.
La riunione dovrebbe essere accompagnata
da un avvenimento «mediatico» (grande spettacolo) in eurovisione. Potrebbe svolgersi in
una localita' avente valore simbolico (per esempio Delfi).
In principio, il progetto dovrebbe esser finanziato daiilAEC'llr e da altri organismi interessati (governo greco, citta' di Berlino in
quanto capitale della cultura ecc.). La Commissione segue con grandissimo interesse questa iniziativa.
2.3. Introduzione di prog~ammitelevisivi ad
alia definizione (norme europee).
L'avvento deIl'alta definizione stigmatizzera'
la terza generazione della TV, dopo il bianco
e nero e il colore.
La TV ad alta definizione significa una TV
con qualita' di immagine e di suono che saranno le stesse del cinema a 35 mm.
Le conseguenze per il mercato mondiale saranno enormi, la posta in gioco economica
avra' gigantesche dimensioni.
Tutto cio' si decidera' agli inizi degli anni
'90.
L'industria giapponese ha un vantaggio marcato. I giapponesi hanno gia' cominciato a convincere gli utenti, specie negli Stati Uniti, dove si giochera' la partita piu' importante, che
e' venuto il momento di passare alla HDTV,
versione giapponese. Lo fanno con il sostegno
di grandiose azioni di lobbying e con la dispoCOMUNI D'EUROPA
nibilita' del software d'appoggio.
Ma il sistema giapponese pone un problema economico notevole: e' assolutamente incompatibile con tutti i sistemi esistenti. Per
questa ragione, il CCIR (Comitato consultivo
internazionale delle radiofrequenze che decid e la normativa tecnica a livello mondiale) lo
rifiuto' nel maggio 1986 a Dubrovnik.
Nella stessa seduta, gli europei hanno presentato al CCIR un sistema alternativo di
HDTV, compatibile con i sistemi esistenti e
che salvaguarda la liberta' dell'utente di scegliere il momento del passaggio al nuovo standard.
La Commissione ha promosso la formazione del «European HDTV Forum» (Stati membri, radiodiffusori, UER, EUREKA, altre industrie, industria cinematografica e Commissione). Lo sviluppo tecnologico del progetto
viene condotto, nel quadro EUREKA, da un
consorzio industriale associato a laboratori e
universita' europei e con il sostegno della Commissione.
I parametri tecnici europei per una normativa mondiale di produzione sono stati attuati
e sottomessi al CCIR nel giugno 1987, e una
prima dimostrazione del sistema e' stata presentata a Berlino nell'agosto 1987.
Affinche' gli sforzi intrapresi abbiano successo, e' necessario che:
- parallelamente allo sviluppo dei materiali di
produzione e di trasmissione di cui si incarica
il consorzio industriale nel quadro del progetto, programmi corrispondenti alle tecnologie
specifiche del sistema europeo siano disponibili entro limiti di tempo armonizzati con la
disponibilita' del materiale e con le date previste d i dimostrazione e d i introduzione sul
mercato dei servizi di HDTV.
La Commissione si e' impegnata, con le industrie interessate (costruzione e fabbricazione dei programmi diffusori), in un processo di
concertazione che permetta di assicurare la
produzione d i programmi TV ad alta definizione nei limiti di tempo previsti. Prendera'
le misure adeguate per contribuire alla riuscita di questo obiettivo.
3.L'accesso alle risorse culturali
Questo vasto campo d'azione e' altamente
prioritario, nella misura in cui deve permettere di valorizzare il potenziale culturale nella
sua diversita', ivi compresa la sua diversita' linguistica.
La Commissione propone di concentrare l'azione comunitaria in tre direzioni:
- migliorare le conoscenze linguistiche dei cittadini europei sviluppando il multilinguismo;
- sostenere la promozione culturale nelle regioni europee, incoraggiando gli avvenimenti CUIturali di carattere europeo nei settori piu' rappresentativi dell'attivita' culturale, particolarmente nel quadro dell'azione «Citta' europea
della cultura»;
- creare e attuare una «carta giovani» europea
in conformita' alla risoluzione del Consiglio
(G.U.CE C348 del 31 dicembre 1985).
Nel settore delle manifestazioni culturali europee, la Commissione intende definire progressivamente - in grandi settori - le linee di.rettive della sua politica di incentivazione, con
l'aiuto di professionisti e collegandosi con i reCOMUNI D'EUROPA
sponsabili nazionali dell'azione culturale. Continuera' a dare una priorita' alle iniziative europee piu' significative, particolarmente quelle
che permettono ai giovani artisti europei di
perfezionarsi e di esprimere il loro talento in
Europa e nel mondo (p.es. 1'European Youth
Orchestra).
Le modalita' d i questa azione sono evidentemente molto diverse tra settori culturali e
devono essere adattate alla liberta' creatrice
degli artisti. Gli interventi possono essere multiformi, per es. il sostegno finanziaro a festivals, formazioni musicali, compagnie di danza, troupes teatrali, assegnazione di borse di
perfezionamento e di premi ecc.
I1 gestire una tale politica comunitaria implica una grande adattabilita' e elasticita' decisionale nei limiti di un bilancio significatico
e secondo le linee direttrici definite precedentemente nell'interno della Comunita'.
Le azioni concrete sopra citate sono esaminate nelle schede seguenti:
3.1 I1 miglioramento delle conoscenze linguistiche
3.2. La promozione culturale nelle regioni europee
3.3. La conservazione del patrimonio culturale
3.4. La carta «giovani»
3.1. ii miglioramento deiie conoscenze iiiguistiche
La dimensione multilingue della Comunita'
e' una caratteristica della ricchezza culturale,
ma spesso costituisce anche un ostacolo alla migliore comprensione reciproca, che bisogna superare particolarmente per i giovani europei.
Ne discende che l'obbiettivo fondamentale
e' di contribuire, tramite la messa in opera progressiva di supporti di comunicazione (per es.
formazione linguistica in quanto tale, traduzione, doppiaggio, sotto-titoli ecc.), l'arricchimento degli scambi, delle conoscenze ed anche dei contenuti stessi della cultura.
Nel quadro della sua azione concernente l'istruzione, la Commissione h a preso un certo
numero di iniziative per sviluppare la formazione linguistica nell'istruzione. Questa azione dovrebbe essere allargata e intensificata. A
questo riguardo, la Commissione presentera'
nel corso del 1988 un programma d'azione specifico.
Lo stesso vale per gli aiuti alla traduzione
di opere letterarie, particolarmente delle opere significative pubblicate nelle lingue dette
«minoritarie». Raccogliendo la preoccupazione del P E in questo settore, la Commissione
propone di rafforzare l'azione che gia' da ora
esiste in collaborazione con il Gruppo degli
editori di libri della C E (GELC),
- migliorando la procedura d i selezione delle
opere da tradurre sulla base di criteri precedentemente stabiliti
- promuovendo la pubblicazione di queste opere nelle edizioni popolari
- assegnando, dopo la consultazione di un jury europeo, dei premi annuali alle migliori traduzioni di opere letterarie dalle cosidette lingue «minoritarie».
Inoltre, la Commissione propone che la Comunita' dia - in stretta collaborazione con le
autorita' regionali e nazionali o anche con il
Consiglio d'Europa - un sostegno finanziario
ai movimenti di giovani riconosciuti sul piano
nazionale ed europeo per l'organizzazione di
viaggi culturali in Europa per i giovani tra i
15 ed i 24 anni, per sviluppare la pratica del
multilinguismo e la conoscenza del patrimonio
culturale e turistico, specie delle regioni della
Comunita'. In una prima fase sperimentale, un
numero limitato di borse per viaggi di studio
potrebbe essere assegnato annualmente, a titolo di esperienza-guida (per esempio un migliaio di borse di 10 ECU al giorno e a persona per viaggi d i studio di una durata tra i 15
e i 30 giorni) che permetterebbero ai giovani
di accrescere le loro conoscenze reciproche tramite visite in gruppi multilinguistici e itinerari culturali transfrontalieri, nelle regioni toccanti almeno due Stati membri (un bilancio,
cioe', di 300.000 ECU annuali per un period o sperimentale di 3 anni).
Infine, ci si puo' riferire anche alle proposte concrete che la Commissione presenta e
concernenti lo sviluppo del multilinguismo nel
settore audiovisivo ed in quello della formazione di traduttori ed interpreti.
3.2, La promozione culturale nelle regioni europee
Tre preoccupazioni principali guidano la
Commissione in questo settore: l'aumento del
pubblico, il decentramento culturale e lo sviluppo degli scambi interculturali in seno alla
Comunita' .
La combinazione di queste tre preoccupazioni puo' tradursi in una politica di promozione il cui impatto culturale, sociale e regionale puo' contribuire allo sviluppo e alla rianimazione delle regioni europee, cosi come alla
piu' ampia diffusione geografica degli artisti.
Incoraggiando gli avvenimenti culturali a carattere europeo nei settori rappresentativi dell'attivita' culturale, la Comunita' europea permetterebbe sia l'incontro e il confronto del
pubblico con gli artisti, sia il riconoscersi attraverso lo spazio culturale europeo, sia il sostegno all'attivita' creativa degli autori, attori e interpreti.
Proseguendo la sua azione nell'ambito delle manifestazioni culturali europee e nel settore del turismo, la Commissione intende definire progressivamente - in grandi settori - le
linee direttrici della sua politica di incentivazione, con l'aiuto dei professionisti del settore e in collaborazione con i responsabili nazionali e regionali dell'azione culturale della promozione turistica. Continuera' a dare la priorita' alle iniziative europee le piu' significative, in particolar modo quelle che permettono
ai giovani artisti europei di perfezionarsi e di
esprimere il loro talento (per esempio la European Youth Orchestra) in Europa e nel
mondo.
I n questo contesto, la Commissione riconosce una particolare importanza allo sviluppo
dell'azione «Citta' europea della Cdtura». Auspica il rafforzamento, nel quadro della sua politica di sostegno a questa azione a carattere
intergovernativo, della azione a favore dei giovani artisti - autori, attori e interpreti - che
rappresentano i creatori della cultura contemporanea europea.
FEBBRAIO 1988
3.3. La conservazione del patrimonio culturale
europeo
La Commissione non potra' non sviluppare
- come lo richiede insistentemente il Parlamento Europeo - la sua azione a favore del patrimonio architettonico. Anche mantenendo la
procedura della giuria europea di selezione, la
Commissione cerchera' particolarmente di rendere piu' selettiva questa sua azione, concentrando annualmente la sua politica di sostegno
su uno o piu' temi prioritari e corrispondenti
ai diversi aspetti architettonici di monumenti
o siti da preservare o da valorizzare nel loro
ambiente regionale e turistico (per esempio i
monumenti e siti «industriali» del XVII secolo, lo stile romanico - civile e religioso - nel
mondo rurale, l'art nouveau nello spazio europeo ecc.).
Inoltre, la Commissione perseguira', nel programma di ricerca e sviluppo «Ambiente», i
progetti di ricerca sugli effetti dell'inquinamento atmosferico su monumenti storici che
gia' da ora sono l'oggetto di contratti di ricerca, i cui costi vengono spartiti.
Auspica tuttavia l'allargamento della sua politica a favore del patrimonio in forme diverse, sostenendo anche gli sforzi esistenti nella
Comunita' tendenti a conservare, valorizzare
e usufruire a fini turistici le ricchezze culturali di ieri ed oggi, come i musei, le pinacoteche, le gallerie d'arte, le discoteche, le videoteche, le biblioteche, le cinemateche.
Certamente, la Commissione e' cosciente
dell'ampiezza di una tale politica a favore del
patrimonio. Questa politica non puo' dunque
che essere selettiva e complementare rispetto
agli interventi pubblici e privati attuati su scala
regionale o nazionale. Si impongono cosi' delle
scelte sul piano europeo. La Commissione presentera' ulteriormente delle proposte concrete in questo settore, consigliandosi con i professionisti del settore e cooperando con le autorita' nazionali competenti e con il Consiglio
d'Europa.
3.4. La carta «giovani»
Cosi' come il governo francese (Livre Bleu,
scheda n. 9), la Commissione e' convinta dell'importanza simbolica della creazione e della
messa in opera urgente di una «carta giovani»,
in conformita' alla risoluzione dei Ministri responsabili della cultura riuniti in seno al Consiglio (G.U. CE C348 del 31 dicembre 1785).
Questa carta «giovani» sarebbe in effetti un
supporto prezioso per facilitare l'accesso alle
risorse culturali, particolarmente per i viaggi
culturali di cui alla scheda 3.1.
In generale, questa proposta si inserisce - sul
piano culturale - nella prospettiva del programma «Gioventu' per l'Europa» che e' attualmente d'esame del Consiglio (Doc 7217187 del 27
ottobre 1787).
Questa proposta rende d'altronde operativi gli sforzi dei servizi della Commissione allo
scopo di rafforzare i legami indispensabili fra
le autorita' e le agenzie specializzate nei diversi
Stati membri. Questi sforzi sono stati sanciti
dalla Convenzione di Lisbona del giugno 1787,
che prevede un inizio di standardizzazione e
di mutuo riconoscimento. Una riunione allargata che deve essere tenuta nella primavera del
1988 permette di sperare in nuovi sviluppi.
FEBBRAIO 1988
L'impegno politico rinnovato in seno alla Comunita' europea permetterebbe senza alcun
dubbio di fare progressi concreti e significativi nel senso della utilizzazione generalizzata
della «carta giovani».
4 . La formazione culturale
Le possibilita' di formazione culturale devono essere accessibili a tutti e in tutti i settori.
Questa formazione deve essere assicurata
non soltanto come garanzia del mantenimento delle tradizioni e di supporto alla creativita' artistica, ma anche come investimento umano essenziale, che permette ai giovani europei
l'adattamento alle nuove tecnologie, specificamente quelle dell'informazione e della comunicazione.
Riguardo a questo obbiettivo fondamentale, che costituisce una grande e urgente sfida
per la societa' europea in generale e per le giovani generazioni in particolare, la Commissione propone di creare, per la formazione culturale, uno strumento specifico tendente ad intensificare e a specializzare gli sforzi gia' sviluppati nel settore della formazione nel suo insieme.
Senza aspettare la creazione e la messa in
opera di un tale meccanismo, la Commissione
propone di svolgere una azione comunitaria a
favore delle seguenti formazioni prioritarie:
4.1. La formazione degli amministratori culturali
4.2. La formazione dei mestieri dell1immagine e del suono
4.3. La formazione dei giornalisti e dei programmatori
4.4. La formazione dei traduttori ed interpreti
4.5. La formazione ai mestieri d'arte del restauro.
4.1. La formazione degli amministratori culturali
Lo sviluppo della cultura d'interno della societa' europea richiede l'intensificazione e la
specializzazione della formazione degli amministratori culturali per poter permettere loro
di assumere un ruolo specifico e crescente nella
CE, allargando le loro conoscenze e le loro
esperienze all'Europa nel suo insieme.
Gia' da ora, alcune universita' europee impartiscono un insegnamento specializzato in tal
senso. Questa azione dovrebbe essere coordinata e allargata, in particolare per gli amministratori di servizi culturali nazionali, regionali e locali. Lo scopo di cio' sarebbe dare a questi operatori una visione della dimensione europea della cultura nella sua diversita' e ricchezza.
In un primo tempo, la Commissione propone di organizzare -in contatto con il Consiglio
d'Europa e in cooperazione con le universita'
- dei seminari di lavoro, degli incontri e dei
progetti per gli amministratori culturali pubblici dei paesi e delle regioni della CE.
Alla fine di questa prima fase di presa di coscienza e di ricerca, la Commissione esaminera' - alla luce delle esperienze acquisite - l a possibilita' di promuovere la creazione di un circuito universitario di formazione europea sulla base di un programma di studi comune.
4.2, La formazione ai mestieri dell'immagine
e del suono
La Commissione condivide la convinzione
del governo francese (Livre bleu, scheda n.2)
secondo il quale «la qualita' della formazione
iniziale e continua dei professionisti dell'audiovisivo e' una condizione essenziale per lo
sviluppo delle imprese europee del cinema e
della TV».
Cosi', la Commissione propone - in quanto
az,ione prioritaria per la CE - di promuovere,
partendo dalle esperienze esistenti nei paesi europei, la creazione di un circuito europeo di
cooperazione fra stabilimenti di formazione di
professionisti del settore, lo scopo essendo
quello di sviluppare principalmente I'insegnamento specializzato e di allargarlo alle dimensioni del mercato culturale dell'Europa.
Una tale azione, che potrebbe essere fatta
in cooperazione con il Consiglio d'Europa, potrebbe tendere in una prima fase ad assegnare
delle borse di studio e di ricerca per lo sviluppo degli scambi di professori e di studenti all'interno della Comunita'.
Questa azione, come quella per la formazione degli amministratori culturali (vedi scheda
4. I.), dovrebbe integrarsi nel meccanismo specificò di cui la Commissione propone la creazione e la messa in opera per la formazione culturale.
4.3. La formazione dei giornalisti e dei programmatori
In una prospettiva eutopea, la promozione
della formazione degli addetti aii'informazione, in particolar modo nel settore dell'audiovisivo, riveste un carattere altamente prioritario, e cio' tenendo conto dell'impatto politico e culturale di questi media sul processo
di presa di coscienza del cittadino europeo.
Cosi', la Commissione propone come azione concreta di incentivare gli scambi professionali di giornalisti e di programmatori di radio e televisione in collaborazione con le organizzazioni dei professionisti del settore e dei
mass-media.
Inoltre, la Commissione propone di creare
e sostenere iniziative volte alla formazione europea di giovani giornalisti e programmatori
della stampa scritta, della radio e della televisione, in collaborazione con le scuole superiori e gli istituti di giornalismo e degli ambienti
professionali.
Questa doppia azione comunitaria potrebbe assumere la forma di seminari specializzati
e portare all'assegnazione di borse di studio
per periodi formativi di uno o due anni di insegnamento a tempo parziale.
4.4. La formazione di traduttori ed interpreti
La formazione dei traduttori
Nella prospettiva dell'avvento del grande
mercato interno, I'intesificarsi della comunicazione creera' dei bisogni supplementari nel
mercato delle traduzioni.
Al di la' delle necessita' che si avranno nel
quadro del sistema di comunicazione delle istituzioni della Comunita' e della comunicazione di queste con l'esterno, la Commissione favorira' lo sviluppo del mercato della traduzione.
COMUNI D'EUROPA
sizione delle autorita! competenti degli Ste*i
membri;
b. di elaborare uno studio delle possibilita' di
creare un diploma o un titolo europeo di interprete per conferenze.
La Commissione e' d'avviso che si dovrebbe instaurare un dialogo per definire un modello di multilinguismo che permettera' il funzionamento della comunicazione al di la' delle barriere linguistiche.
La Commissione continuera' ad utilizzare
i sistemi di traduzione automatica esistenti (per
esempio SYSTRAN) e proseguira' negli sdorzi intrapresi nel quadro del progetto EUROTRA, sistema di traduzione automatica di concezione avanzdta.
Appoggera' gli sforzi in corso tendenti a
mettere a disposizione dLi traduttori altri strumenti permettendo la razionalizzazione e la facilitazione del lavoro di traduzione, come ad
esempio la banca di dati terminologici EURODICAUTOM.
La formazione dei traduttori dovrebbe essere organizzata in modo da preparare un numero sufficiente di traduttori nelle lingue e
speciaiizzazioni che il mercato richiede. Questo imperativo presuppone che I'insegnamento sia adattato alle nuove esigenze.
Infine, la Commissione pensa che lo statuto professionaie di traduttore, cosi come quelii
delle nuove
in questo settore (per
esempio i linguisti computazionali) vengano
chiarificati d'interno della Comunita'.
La jormazione di intropwti per c o n f i z e
Indipendentemente dalle necessita' prqprie
alle istituzioni deila Comunita', l'Europa deve disporre, n d e sue relazioni interne ed esterne, di interpreti di conferenza quaiificati. Una
conoscenza profonda dei paesi e delle lingue
costituisce, insieme al titolo universitario (in
qualunque campo, diritto, economia, scienze
ecc.) e aila facilita' linguistica, un presupposto all'apprendimento efficace delie tecniche
di interpretariato.
I1 Servizio comune interpreti per conferehze
- ha effettuato uno studio sui principi e sui metodi pedagogici dell'interpretazione consecutiva e simultanea, in cooperazione con l'Universita' di Parigi 111e con il concorso della Direzione Generale delle Telecomunicazioni, industrie dell'informazione e innovazione;
- partecipa alla formazione d i interpreti per
conferenze a livelli del terzo ciclo universitario (post-graduate), su richiesta di Stati membri o Stati terzi;
- collabora alla creazione di centri di conferenze e partecipa, in particolar modo, ai lavori dell'Associazione internazionale degli organizzatori professionisti di congressi (IACPO).
La Commissione vuole contribuire alla qualita' dell'interpretazione nelle riunioni multilingue ed e' convinta del carattere essenzialmente internazionale di questa professione e,
basandosi sull'esperienza del Servizio comune, propone:
a. di mettere le conoscenze acquisite a dispo-
COMUNI D'EUROPA
'
4.5. La formazione ai mestieri dell'arte del restauro
La conservazione del patrimonio costituisce
uno dei principali pilastri dell'azione comunitaria nel settore culturale. Questa azione non
e' volta soltanto alla conservazione di monumenti o siti. Riveste anche una dimensione importante sul piano della formazione professionale specializzata e su quello della politica occupazionale. Essendo necessario per questi mestieri un elevato grado di specializzazione, bisogna agire in profondita' e con urgenza su scala europea affinche' si mantenga in vita tutta
una serie di mestieri molto specifici e indispensabili sul piano culturale.
In generale, la Commissione propone di proseguire e di sviluppare la sua azione in questo
campo, ponendo l'accento s d a politica di
scambio di professori e studetiti tra i differenti
centri europei specializzati noil'insegnamehto
delle differenti discipline di restauro. L'assegnazione delie borse e dei premi europei sono
a questo riguardo gli strumenti piu' adattabili
e adeguati per una politica di sostegno e di incentivazione. E' necessario percio' una dotazione di bilancio significativa deii'ordine di
500.000 ECU ail'anno come minimo, in particolare se la Comunita' intende sostenere - nel
quadro della cooperazione culturale tra gli
ACP e la Comunita' europea - la formazione
al restauro degli studenti africani (per esempio gli stages organizzati a Roma da ICCROM).
Inoltre, la Commissione ha previsto nel quadro della sua azione «Borse settorisli* un finanziamento comunitario per la formaaione e
la mobilita' degli specialisti nella nuova disciplina «Scienza per le opere d'arte*.
5. I1 dialo o intercdturale con iI resto
B
del mon o
Questo dialogo e' una necessita' risultante
da una lunga tradizione culturale delllEuropa,
fondata sul fatto che le grandi culture nel mond o hanno profonde affinita' con le principali
culture europee. Questa necessita' corrisponde altresi' all'attesa dei paesi terzi che, in Europa - sia alllEst che all'Ovest - in Africa, nei
Caraibi e nel Pacifico (l),in Asia, in America
Latina, considerano che il progetto comunitario non puo' identificarsi con le sole realta' economiche e commerciali. Inoltre, questi paesi
vogliono essere meglio conosciuti nella Cornunita' in quanto partners culturali nella lo,ro globalita'.
Iina piu' grande coerenza degli scambi cul-
tutali comunitari afl'esterno della Comunita'
si impone, al fine di concertare - particolarmente durante una fase di austerita' sul piano
nazianele e comunitario - gli sforzi fatti nella
Comunita' dai diversi operatori culturali - pubblici e privati - per far conoscere nel mondo
le diverse sfaccettature della cultura europea(2)
e, inversamente, di propagare nella Comunita' una immagine culturale dei paesi terzi con
i quali esistono relazioni continuative.
Un tale dialogo culturale comporta dunque
un aspetto interno ed uno esterno alla Comunita' europea.
Sul piano esterno, llazi.one comunitaria potrebbe essere iniziata in modo coordinato con
l'appoggio dei «consiglieri culturali» delle rappresentanze diplomatiche dei Paesi membri e
della Commissione come dei centri culturali
nazionali nei paesi terzi. Grazie ad un coordinamento e ad una cooperazione comunitaria
sul posto, questa azione dovrebbe condurre all'organizzazione di azioni e manifestazioni culturali della Comunita', legandovi le iniziative
prese sinora separatamente dai diversi paesi europei.
In risposta alla crescente domanda di tali iniziative da parte di numerose ambasciate di Stati membri della Comunita' in paesi terzi, si potrebbero attuare azioni-guida comunitarie prioritariamente nei settori della musica, della danza, della pittura e della scultura, del film, del
design e della promozione del libro, c cio' grazie alla partecipazione congiunta &gli Stati
membri della Comunita' alle grandi Fiere internazionali del libro. Un primo tentativo di
azione concertata sul piano comunitario potrebbe esser lanciato nei paesi deii'Europa dell'Est, partendo dall'esperienza delI'Orchestra
&i giovani della Comunita', di chiara fama internazionale.
Sul piano interno e su iniziativa di paesi terzi, l'organizzazione coordinata di festivals itineranti che presentano una o piu' sfaccettature della vita culturale di paesi terzi, dovrebbe
essere appoggiata nelle regioni della Comunita', non soltanto dalle autorita' nazionali e regionali dello Stato membro in causa, ma anche da una azione concertata delle Ambasciate e dei Consolati di altri Stati membri nel paese in questione, cosl come dagli Uffici stampa
e di informazione della Commissione e del Parlamento Europeo, il cui ruolo culturale dovrebbe essere sviluppato.
(1)Bisogna sottolineare che la Convenzione di Lome' 111
contempla una parte dedicata alla cooperazione culturale
tra la Comunica' europea e i paesi ACP.
(2) Questa preocciipazione non e' del tutto nuova. E' gia'
stata ripresa in una risoluzione dei.ministri degli affari ciilturali, riuniti nel Consiglio, sulle manifestazioni della produzione audiovisiva europea nei paesi terzi (cfr. G.U.CE
C133 del 22 giugno 1985).
FEBBRAIO 1988
temi per un dibattito culturale: la ragion di 9-
Anche i rapporti inten~azionalidevono fondarsi
su un ordine che rispetti i valori democratici
di Carlo Meriano*
Il problema principale del nostro
tempo - cioè il conflitto tra paesi
a diverso livello di sviluppo - non
può essere risolto finchè non
diamo alla democrazia una
dimensione che travalichi le
frontiere nazionali. Continuiamo a.
pagare le conseguenze dell'errafa
identficasione fra sovranifà
popolare e sovranifà nazionale
L'Europa non è parola che susciti di per sé
grandi entusiasmi, oggi.
Nelle persone della mia generazione suscita talvolta una impressione di déjà vu, fa pensare agli anni del miracolo economico postbellico e alle illusioni che vi si connettevano.
Fa pensare anche, vagamente, pateticamente,
ad incontri ormai lontani di ex-combattenti,
di vedove di guerra sulle sponde del Reno. Ai
più colti, questa parola richiama talvolta l'utopia conservatrice dell'Europa carolingia, le
nostalgie dell'ordine, in qualche modo sovranazionale, della monarchia austro-ungarica coltivate allora da alcuni uomini politici.
Ma per noi federalisti, per coloro che si rifanno alla lezione del Manifesto di Ventotene, i1 nome di Europa evoca qualche cosa di
ben diverso da queste immagini di generico europeismo. Evoca una scelta radicale in favore
di una nuova cultura politica. Parlando di cultura per l'Europa, vorrei appunto sforzarmi di
delineare molto brevemente il senso di questa
scelta.
Fin dal Manifesto di Ventotene il federalismo nacque, nella sua ispirazione più profonda, come un messaggio universalistico, mondialistico, che non mirava soltanto a recuperare all'Europa un ruolo mondiale attraverso
l'unificazione, avvertendo, nel corso stesso della guerra, come questo secondo conflitto fratricida, svoltosi a vent'anni di distanza dal primo, avrebbe segnato il definitivo declino del
ruolo egemonico dell'Europa nel mondo. Esso andava molto più in là di questa visione,
che potremmo dire restauratrice e in qualche
modo quantitativa, del federalismo europeo:
vedeva l'unità del19Europacome il primo anello di una serie di cerchi concentrici, se vogliamo usare questa immagine, destinati, almeno
potenzialmente, ad estendersi al mondo intero. La critica dell'involuzione nazionalistica ed
autoritaria che la maggior parte dei paesi d'Europa aveva conosciuto tra le due guerre non
vi era svolta nella chiave ricorrente che tende
a porre queste esperienze in qualche modo tra
parentesi e spesso, almeno nel caso italiano,
ad evocarle con colori addirittura farseschi. Al
' Segretario generale del Cime
contrario, essa riconosceva h gravità storica
patente di questa involuzione, generata dalla
matrice stessa dello Stato nazionale moderno.
Per i federalisti, questa involuzione discende
dalla stessa identificazione originaria fra sovranith popolare e sovranità nazionale. L'aspirazione ad instaurare nell'ordine internazionale
una società di liberi, estendendo a tale ordine
i valori asseriti dalla rivoluzione francese, si
è rovesciata di fatto in una involuzione autoritaria, perché lo Stato nazionale si è posto come orizzonte ultimo ed esclusivo della vita dei
propri cittadini, della civiltà intera, non riconoscendo, anzi distruggendo definitivamente,
anche quel poco che restava dell'idea di una
solidarietà più vasta, di una dimensione più
universale. Anche al proprio interno esso ha
progressivamente soffocato tutte le autonomie,
tutte le diversith che sopravvivevano, fino a
cercare di cancellarne le stesse tracce linguistiche. Nella visione dei federalisti - che qui
si distaccano dalle analisi tradizionali del totalitarismo statalista - la causa prima e determinante di questa involuzione, quella senza i1
cui superamento non si riuscirà a scongiurare
il pericolo che essa torni a riprodursi in futuro, è appunto lo Stato nazionale. Sono note
in proposito le parole del Manifesto di Ven-
totene, secondo cui l'obiettivo, fallendo il quale ogni altro progresso non è che apparenza,
è il superamento della divisione dell'Europa
in Stati nazionali sovrani.
Questa analisi era del resto confortata dalla constatazione che anche le grandi ideologie
del secolo scorso avevano progressivamente
perso la propria carica universalistica per questo abbraccio soffocante dello Stato nazionale. È stato cosi dell'idea, cara a Mazzini, che
il generalizzarsi di istituzioni liberaldemocratiche in tutto il mondo civile e la conseguente scomparsa dei regimi autoritari o addirittura tirannici provocasse di per sé il superamento del conflitto interstatuale. Analoga è stata la sorte dell'idea, propria del marxismo, che l'abolizione della proprietà privata
dei mezzi di produzione e di scambio comportasse - anche qui, con un certo automatismo
- il superamento dei conflitti interstatuali.
Queste grandi speranze utopiche del secolo
scorso sono state, come tutti sanno, drammaticamente contraddette dai fatti. Non solo, ma
in alcuni casi, perfino nell'ambito di religioni
storiche come il cristianesimo, si sono avuti cedimenti al dilagante nazionalismo, tanto lo Stato nazionale ha accentuato ovunque questa sua
(continua a pag. 16)
Forma squadrata, 1936, pietra verde di Hornton
COMUNI D'EUROPA
Temi per un dibattito culturale: autonomie locali e intercultura
Cultura locale non aintegratrice~della Comunità
ma spazio dove si riiormulano le relazioni sociali
di Everardo Minardi*
Rilevanza dell'iniziativa locale
come fattore e sede di
progettualità e come ambito di
organizzazione di funzioni
specifiche nel campo 'della
memoria storica,
dell'informazione, della
comunicazione e dell'esplicitazione
della domanda sociale. i l punto di
equilibrio è rappresentato non
tanto dalla dimensione nazionale
ma dal richiamo alla dimensione
interculturale europea
Dal dibattito in corso sulle politiche culturali a livello locale sono emerse, con particolare lucidità, alcune domande:
- l'apprestamento di strumenti ed iniziative per l'osservazione sistematica e permanente dei processi concernenti la produzione, la
distribuzione e la fruizione culturale, nonchè
dei processi decisionali concernenti la acquisizione e la allocazione delle risorse dell'organizzazione culturale;
la costruzione di processi coordinati di ricerca e di basi conoscitive meno episodiche al
fine di giungere ad una più netta evidenziazione del ruolo della ricerca sociale nel campo dei problemi di gesticrie e di svihppv delle politiche culturali;
- l'individuazione di sedi e d i spazi per lo
sviluppo di una comunicazione orizzo'ntale tra
centri e gruppi d i lavoro e ricercztori attivi
nel campo delle politiche culturali.
Le iniziative di nostro interesse in particolare hanno evidenziato i seguenti aspetti:
il nodo degli attori politici e dei processi decisionali nel campo della costruzione e della
gestione delle politiche culturali (il convegno
di Ferrara della Lega delle autonomie locali);
la prevalente chiave «economica» di lettura della funzione sociale della cultura e delle
sue politiche di conservazione e di fruizione
(il seminario di Genova del 1986 ed il recente convegno di Brescia su economia e memoria storica locale);
- la necessaria dimensione territoriale e regionale delle politiche culturali soprattutto in
un quadro sovranazionale, al cui interno assumono particolare rilievo le dimensioni delle
identità interetniche ed interculturali (il convegno del Consiglio d'Europa a Firenze sul
rapporto tra cultura e regioni);
- il ruolo dominante che nel processo di
integrazione europea, ormai alle porte, vengono ad assumere le politiche dell'informazione
e della comunicazione come aspetti e componenti di politiche di ricerca e sviluppo sia nel
* Professore associato al Dipartimento Sociologia Università di
Bologna
campo delle innovazioni tecnologiche che delle
politiche culturali.
Su tali motivi occorre avviare una specifica
riflessione, al fine di individuare alcune piste
significative di lettura e di riflessione che, accanto alla sperimentazione di metodologie e di
modelli di intervento nel settore, ci consentano d i uscire al più presto dalla indeterminazione concettuale in cui si trovano ancora molte manifestazioni che siamo ormai soliti ricondurre all'area delle politiche culturali.
Qualcuno potrebbe intravvedere, nella nostra proposta di una definizione del ruolo e del
contenuto delle politiche per la cultura a partire dalle comunità locali, il rischio di un localismo esasperato, ormai spiazzato nei confronti di processi di circolazione e di socializzazione culturale ormai decisamente universalistici.
I n realtà la proposta di una rilettura della
crescita delle politiche culturali a partire dal
livello 18cale non si muove più sulle immagini
ormai desuete di una cultura locale «integratrice» della comunità locale, ma piuttosto come ambito dove si coniugano linguaggi, rappresentazioni sociali e modalità comunicative
che riformulano e riprogettano costantemente la relazione tra i soggetti e le componenti
sistemiche dell'organizzazione sociale.
Da ciò la rilevanza della comunità locale come fattore e sede di progettualità culturale e
come ambito di organizzazione di funzioni specifiche nel campo della memoria storica, dell'informazione, della comunicazione e della
esplicitazione della domanda sociale di prestaz i ~ f iei servizi a carattere individuale e collettivo.
Tuttavia, proprio la forte caratterizzazione
locale dei processi culturali mette in evidenza
la connessione di questi con dinamiche di produzione e di organizzazione che solo apparentemente trovano il loro punto di equilibrio nella dimensione nazionale, e sempre più esplicitamente richiamano la dimensione intercztltu-
rale europea.
I modelli ed i linguaggi della comunicazione culturale, mediata localmente, sono infatti
non il frutto di processi di elaborazione localistici, ma di standardizzazioni e di normalizzazioni sempre più cogenti in una dimensione
sovranazionale; cosi come le forme ed i contenuti della produzione culturale non si richiamano più a componenti «locali» per il loro riconoscimento ed il loro consumo/fruizione, ma
piuttosto a valori ed a modelli interculturali.
Nondimeno la professionalità degli operatori culturali che storicamente non è riuscita
a validarsi ed a legittimarsi in una dimensione
locale dell'organizzazione della cultura, sembra trovare nuove potenzialità di sviluppo nella
dimensione più ampia di una gestione di processi e di strumenti di mediazione neila comunicazione culturale che si fondano sulle dina-
miche di uno scambio culturale di grandi proporzioni (l'acquisizione, il controllo, la gestione
di grandi quantità di informazioni, e lo sviluppo di circuiti di comunicazioni culturali teatro, cinema, ecc. che richiedono ormai decisamente una dimensione europea).
Per costruire una riflessione sistematica su
tale dimensione delle politiche culturali e sulle loro conseguenze, occorre tuttavia aver per
tanti aspetti se non concluso, per lo meno aver
condotto a buon punto il cammino all'interno
delle politiche culturali, così come si disegnano oggi di fronte alla nostra valutazione, alla
ricerca di elementi di riconoscimento e di giudizio non meramente legate alla contingenza.
La ricerca sulle politiche culturali, rispetto
agli avvenimenti dell'ultimo anno, non sembra aver modificato i suoi caratteri di fondo
mentre, occorre dirlo, sono rapidamente mutati i lineamenti di fondo della politica culturale di cui si sono modificati gli attori ed i protagonisti con un forte incremento di spazio e
d i ruolo per lo Stato e per le agenzie private
di mercato.
Le ricerche attuali di fatto si incentrano o
sulla domanda o sull'offerta di cultura, isoland o l'una componente dall'altra.
Occorre focalizzare la riflessione sulle aree
di incontro e di reciproca determinazione delle
due funzioni per interrogarsi con maggiore
prcprietà sulla genesi e sulla modificazione dei
comportamenti di consumo culturale, per evidenziare le modalità attraverso le quali si sviluppano le interazioni tra soggetti ed apparati
culturali, nonchè per «diagnosticare» come si
strutturano le pratiche culturali rispetto all'eccedenza dell'offerta culturale.
Le ricerche attuali, incentrandosi sull'input
(prima pubblico, ora anche privato le sponsorizzazioni) e sull'output di prodotto e di processo dell'organizzazione della cultura, trascurano il ruolo per alcuni aspetti decisivo che
hanno progressivamente assunto le organizzazioni di produzione e di distribuzione dei beni immateriali della cultura.
Appare sempre più evidente, infatti, che le
performances delle istituzioni influiscono sulle pratiche e sui trends di consumo culturale.
Non va peraltro dimenticato che a fronte
della pluralità dei contesti normativi, non è ancora acquisita l'identificazione dei modelli organizzativi dei processi di «policy making» nel
campo della cultura; cosi come ci sfugge in gran
parte l'identità sociale degli attori di tali processi: sia per gli attori politici (gli «assessori»
imprenditori o mecenati) che quelli professionali (si veda la prima ricerca in atto sui bibliotecari italiani).
L'attenzione agli indicatori della spesa culturale delle istituzioni pubbliche non può non
spingersi ad una valutazione delle funzioni delle spese culturali (e dei suoi trends anche di
(continua a pag 16)
COMUNI D'EUROPA
riunita a Bruxelles i1 Comitato consultivo degli Enti Iacali v regionali delIa Comunità
Programma Stride, siderurgia, ingegneria Fianziaria
argomenti centrali del confronto tra Autonomie e Comunità
d i G i ~ f r a n c oMartini
Altre questioni dibattute: il
programma Sprint, il piano di
ricerca-azione sullo sviluppo
economico, l'occupazione, gli
appalti pubblici, il coordinamento
di diversi soggetti (Università,
imprese, Enti locali e regionali)
che possano concorrere
all'introduzione nel territorio
dell'innovazione tecnologica
Un ordine del giorno particolarmente ricco
d i temi di diretto interesse - politico e operativo - per Comuni, Regioni ed Enti territoriali intermedi dei paesi membri della Comunità
europea ha caratterizzato la riunione del Comitato consultivo svoltasi a Bruxelles il 14 e
15 gennaio.
11Comitato consultivo, come è noto, opera
già da alcuni anni ed è dovuto ad una iniziativa presa dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (CCRE) al fine di creare un organismo rappresentativo dei vari livelli di governo territoriale in grado di dialogare con le
Istituzioni della Comunità europea, Commissione e Parlamento. l lavori di detto Comitato si sono snodati lungo diverse piste, tutte direttamente riguardanti i vari campi di azione
ove la legislazione regionale e l'amministrazione locale si intrecciano con il quadro politico
e normativo europeo.
I1 Comitato consultim parte dalla constatazione (che dovrebbe ormai essere ovvia ma
che stenta ancora a penetrare nella coscienza
e la loro insufficiente aderenza alle differenziate esigenze delle varie aree di cui si compo-
ne: di qui il ruolo essenziale che Comuni, Regioni ed Enti intermedi devono assolutamente svolgere, come componenti del complessivo sistema delle autonomie territoriali, nel quadro e nei confronti della Comunità europea.
Di questa esigenza è divenuta progressivamente consapevole la Commissione CE: ne è
risultata la decisione, presa recentemente ma
ancora in attesa di formalizzazione, di dar vita ad un organismo rappresentativo ufficialmente riconosciuto che prenderà il nome di
Consiglio consultivo e la cui entrata in funzione è prevista per la primavera dell'anno in corso. Ne faranno parte 42 membri effettivi e 42
supplenti, rappresentanti eletti di Comuni,
Province, Contee, Landkreise, Dipartimenti e
Regioni. La Commissione ha cosÌ finalmente
accolto una pressante indicazione del CCRE
e di altre organizzazioni di Enti territoriali; il
rodaggio del nuovo Consiglio richiederà attenzione ed impegno affinchè esso mantenga la
sua autonomia e la libertà di valutazione e larghi spazi di competenza nei confronti delle
Istituzioni comunitarie: ne sarebbe altrimenti compromessa la sua stessa funzione e ne risentirebbero negativamente gli Enti territoriali
da un lato e le Istituzioni comunitarie dall'altro.
La recente riunione del Comitato consuItivo sopra richiamata fornisce un'utile esemplificazione di questa strategia generale. Quand o si affrontano i problemi della partecipazio-
ne degli Enti locali e regionali al programma
comunitario Sprint (piano di sviluppo transnazionale dell'infrastruttura di assistenza all'innovazione e ai trasferimenti di tecnologia) o
quando il Comitato discute con rappresentanti
della Commissione C E il programma di
ricerca-azione sullo sviluppo economico e l'occupazione, oppure quando ci si interroga sulla importanza ma anche suli'inadeguatezza della riforma dei fondi strutturali proposta dalla
Commissione CE, o sulle conseguenze sociali
della ristrutturazione della siderurgia, o quand o il Comitato consultivo intende approfondire i rapporti tra enti territoriali e piccole e
medie imprese nel quadro della Comunità, per
un migliore e più articolato sviluppo endogeno regionale o le connessioni tra questo e innovazione tecnologica (programma Stride), si
scava al centro della complessa problematica
della capacità della Comunità di fornire risposte efficaci e tempestive ai grandi interrogativi della sua crescita e coesione economica e so'ciale, che non possono essere assicurate senza
la partecipazione delle comunità locali e regionali.
Alla delegazione italiana, alla quale è stato
già affidato l'incarico - tramite il Presidente
del Cinsedo e della Regione Trentino-Alto
Adige, Gianni Bazzanella - d i essere portavoce del Comitato consultivo sul programma
Stride, è stato anche chiesto di approfondire
i complessi problemi dd'«ingegneria finanzia-
Un comune impegno per l'unione europea
La firma dell'atto di gemellaggio tra i comuni di Bastia (F) e Viareggio avvenuto il 9 agosto a
Viareggio. Nella foto i due sindaci Jean Zuccarelli e Angelo Bonuccelli
COMUNI D'EUROPA
'
ria» nella Comunità.
È stato anche deciso a Bruxelles di effettuar e alcune indagini sui vantaggi e gli inconvenienti dell'accesso degli Enti locali e regionali
alle risorse comunitarie e di procedere alla redazione definitiva del «parere» sugli appalti
pubblici di forniture e di lavori nella Comunità europea, con particolare attenzione alla
possibilità di riconoscere una «preferenza regionale» in alcune particolarissime situazioni
di aree deboli.
Tra queste diverse tematiche, meritano
qualche cenno ulteriore - proprio perchè avranno un seguito particolare a livello italiano - i
problemi del programma Stride, quello dell'ingegneria finanziaria e quello della profonda crisi del settore siderurgico.
La Commissione della Comunità sta mettend o a punto un programma ad hoc (Stride: innovazione tecnologica al servizio dello sviluppo regionale) per favorire il coordinamento tra
i vari soggetti che possono concorrere all'apporto dell'innovazione tecnologica nelle sue
applicazioni allo sviluppo regionale: Universith, imprese, Enti locali e regionali, ciascuno
con un proprio ruolo specifico che va però inserito in una azione coerente e sinergica. La
funzione degli enti territoriali non si limita alla
tradizionale fornitura di infrastruttura ma, secondo le più valide esperienze già fatte in Italia, in Europa e nei paesi extra europei, riguarda la creazione d i un «ambiente» in cui possano incontrarsi le sedi di elaborazione dell'innovazione e gli operatori economici al servizio del migliore utilizzo del potenziale endogeno regionale.
Per la siderurgia, anche il nostro paese conosce aree fortemente investite dalla crisi in
atto: il processo di ristrutturazione, con le sue
pesanti ripercussioni in termini di occupazione, esige che le decisioni non passino sulla testa degli amministratori locali e regionali, costretti, di fronte al fatto compiuto del ridimensionamento degli impianti, a far fronte a problemi, spesso drammatici di riconversione sociale. Detti Enti territoriali - e il documento
che la delegazione italiana preparerà, sentiti
i loro rappresentanti, insisterà particolarmente su questa esigenza - devono partecipare nelle
varie fasi alle scelte e alla messa in opera di
misure, cosiddette di «accompagnamento», nel
campo della formazione professionale e dell'occupazione, sostenute finanziariamente dalla
Comunità, europea.
Infine, il Comitato consultivo, nella sua
prossima riunione, si occuperà dell'«ingegneria finanziaria» sulla base di un rapporto italiano: con ingegneria finanziaria si intende
un'azione tendente a favorire lo sviluppo di
strumenti finanziari che corrispondano meglio
ai bisogni delle imprese, specie piccole e medie, e che facilitino il finanziamento di progetti particolarmente interessanti dal punto di
vista comunitario o di progetti di alta tecnologia.
Bastano questi brevi cenni per comprendere a quali crescenti responsabilità è chiamata
la nostra Associazione nell'adempimento di
quel ruolo di «servizio europeo» che è iscritto
nei suoi statuti, a supporto del conseguiment o dei grandi obiettivi politici per cui è stata
creata. L'Ufficio di rappresentanza delle ReCOMUNI D'EUROPA
gioni e degli Enti locali aperto a Bruxelles dal
Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa sarà un supposto prezioso di questa azione.
Hanno partecipato'per l'Italia d a riunione del Comitato consultivo il vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio, Gabriele
Panizzi, il consigliere regionale della Lombardia, Vittorio Caldiroli, l'assessore provinciale di Padova, Francesco Rebellato, l'assessore al Comune di Genova, Micliele Denaro, il segreerio generale dell'AICCRE, Gianfranco Martini, il capo gabinetto del
presidente della Regione Trentino-Alto Adige, Lino Tomasi
La ragion di Stato
(continua da pag. 13)
presa. E se le grandi rivoluzioni del passato
hanno posto comunque le fondamenta di nuovi
valori - quello della democrazia, che nessun regime ha più potuto negare senza essere alla fine travolto, quello, se voghamo, del socialismo,
inteso come capacità di governo della società
civile sulle sue vicende economiche - questi valori sono rimasti oggetti di consumo interno,
paragonabili ad una moneta che valesse solo
negli scambi interni e non fosse fruibile agli
effetti degli scambi internazionali.
Che queste constatazioni non vadano soltanto riferite ad una storia ormai lontana, ma
siano ancora valide tra noi, che questo passato ancora sia ingombrante, ognuno lo può constatare. Vorrei raccontare qui un piccolo episodio, che mi sembra significativo, non in sé,
ma nelle sue implicazioni di principio. Un eminente parlamentare del nostro paese, di cui ovviamente non mi pare il caso di fare il nome,
noto tra l'altro per la sua diretta e valorosa partecipazione alla rifondazione dell'ordine democratico, alla Resistenza, in una conversazione
che ebbi l'onore d i avere con lui, rispose in
modo assai significativo ad una mia osservazione, che può valere quello che vale, ma cert o è condivisa d a molti. Tale osservazione si
riferiva al fatto che l'occidente, per motivi inerenti alla contrapposizione tra i blocchi, avesse finito col trovare, nel caso della Cambogia,
un rapporto, non dirò di solidarietà, ma quanto
meno di contiguità con quanto rimaneva del
regime dei Khmer rossi, regime noto per il suo
passato genocida. I1 parlamentare riconobbe
come in linea di fatto tale osservazione fosse
ineccepibile, ritenendola tuttavia errata in linea di principio, perchè fondata sull'errato presupposto che fosse possibile trasferire nell'ordine internazionale i valori, politici ed etici,
della democrazia, valori che vigono soltanto
nell'ordine nazionale. A suo giudizio, il richiamarsi a questi valori era del tutto utopico, essendo i rapporti internazionali destinati a ri-,
manere sotto l'imperi0 della pura ragion di
Stato.
Si tratta, conie si vede, di una posizione
squisitamente conservatrice, ancora largamente diffusa, seppure non sempre dichiarata, anche in ambito democratico: una posizione che
noi federalisti potremmo definire rassegnata,
secondo una felice espressione di Ernesto Balducci.
Secondo i federalisti, una cultura per 1'Europa si pone al di là di questa frontiera, tendendo a superare la nazionalizzazione della cultura politica, per infondere nuova linfa ad una
democrazia ormai asfittica nell'ambito nazionale.
I n fondo, se noi ci guardiamo intorno, vediamo che il problema principale del nostro
tempo - cioé il conflitto fondamentale che lo
domina, quello tra paesi a diverso livello di sviluppo - è di natura squisitamente internazionale e non può essere risolto finché noi non
diamo alla democrazia una dimensione che travalichi le frontiere nazionali. Anche per quanto
riguarda i paesi europei e in genere i paesi industrializzati, i condizionamenti inerenti alla
posizione egemone assunta dalle potenze guid a sono ormai tali che la stessa alternanza nel
Governo tra forze politiche diverse, da noi tanto spesso mitizzata, si riduce a un esercizio
analogo al rivoltarsi di un malato nel suo letto
di dolore, con il rischio manifesto di generare
una crescente disaffezione dei cittadini nei
confronti di istituzioni divenute sempre meno efficaci.
Ecco, l'Europa che, per un verso, ha creato
i presupposti tecnici ed economici dell'unificazione del genere umano, ma, dall'altro, ha
diffuso nel mondo il contagio del nazionalismo,
è chiamata a questo punto a dar vita ad un modello politico pluralistico che non solo salvaguardi l'identith nazionale, ma la arricchisca
dal di dentro, attraverso la tutela di tutte le
etnie e delle identità regionali. Per l'Europa,
l'alternativa a tale crescita civile è solo la decadenza e la progressiva emarginazione. La dipendenza strutturale dell'Europa dagli scamb i mondiali è il simbolo di una vocazione stotica aperta: l'Europa si salva solo se l'umanità
progredisce verso questa cultura federalista.
L'Europa deve unirsi per sottrarsi alla logica
distruttiva del bipolarismo che oggi domina i
rapporti internazionali, per promuovere l'avvento di un ordine alternativo a quella che potremmo definire la cultura della deterrenza.
Una d t u r a che è ancora la cultura della clava, in un mondo dotato di una capacità terribile di autodistruzione.
Autonomie locali e intercultura
(continua da pag. 14)
breve e medio periodo) nell'ambito delle politiche nazionali e regionali di Welfare.
Occorre chiarire se e come la politica culturale è una componente del Welfare system, come si comporta in relazione alle altre aree di
spesa sociale, quali sono le specificità che si
possono cogliere in proposito.
L'attenzione al sistema nazionale della cultura e delle sue politiche non può sottacere la
considerazione degli aspetti concernenti la circolazione, lo scambio di prodotti e servizi culturali tra i diversi paesi europei, sia attraverso le istituzioni pubbliche che attraverso le
agenzie del mercato.
I n realtà, questo settore risulta ancora in
gran parte privo di una'azione conoscitiva che
sia in grado di cogliere le interdipendenze effettive politiche, economiche e professionali
tra le politiche culturali dei diversi paesi europei.
W
Nel giugno 1987 il Centro europeo dell'educaiione del Ministero
della l'.I. (Villa Falconieri, Frascati), che è presieduto da Aldo
Visalberghi, organizzò un seminario sull'educazione intercultur~le
nella scuola italiana, a cui partecipò il nostro Direttore. In ¶ucll'occasione Serafini sottolineò alcune «cautele», di cui si discorrc
nell'editoriale del presente numero di «Comuni d'Europa». (ndri
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CRONACHE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE
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intervista con il relatore al Parlamento Europeo
180.000 miliardi il costo annuo della non-Europa
Nessun progresso con l'attuale sistema decisionale
Secondo Sir Fred Catherwood al
di là degli aspetti finanziari ciò
che è soprattutto grave è la
mancanza di volontà politica dei
governi degli Stati membri che
non riescono ad andare al di là
degli interessi nazionali immediati
e comprendere i vantaggi nuovi di
una reale unione economica e
monetaria
AlberlBall denominato «Per una ripresa dell'economia europea degli anni '80».
La Commissione esecutiva CE sta svolgendo
uno studio sul costo della mancata Europa in COL
laborazione con una rete di istituti di ricerca wziversituri. I risultati di questa inchiesta dovrebbero essere pronti per la metà del 1988. In attesa
dei risultati dell'indagine dell'esecutivo comunitario, la relazione Cathenuood attira l'attenzione su alcune stime e sviluppa un'analisi di tipo
politico sulle conseguenze istituzionali del costo
della non Europa.
Nel quadro delle attività concernenti la nuova strategia del Parlamento Europeo per realizzare l'Unione europea, la commissione istituzionale sta completando tre relazioni di iniziativa
su alcuni aspetti importanti dell'integrazione europea che dovrebberofar parte della versione definitiva del rapporto
Herman (la relazione inte-rinale sulla nuova strategia del P.E. è stata adottata quasi all'unanimità dall'Assemblea il 16 giugno 1987 n.d.r.). Le relazioni riguardano, in particolare, il deficit democratico delle Comunità
europee (rapporto Touissant), l'attuazione di un
referendum a livello comunitario sull'Unione europea (rapportoB m Puron) e il costo della mancata Europa (rapporto Cathenuood).
La presa di coscienza dell'esistenza di una alto costo della mancata Europa è stata stimolata,
in particolare, dalla pubblicazione del rapporto
Sir Catherwood, ci vuole spiegare il significato di <<costodella mancata Europa?»
I1 costo della mancata Europa è il costo che
la Comunità europea deve sopportare per il
mancato sviluppo dell'integrazione economica e per la mancata attuazione delle politiche
comuni previste dal Trattato di Roma. In particolare, si tratta del costo che gli operatori
economici e i consumatori europei devono sopportare per la mancata apertura dei mercati
pubblici, per la persistenza dei controlli doganali e fiscali ai confini intracomunitari, per la
mancata armonizzazione degli standard e delle norme, ed ancora, per la mancata attuazione di politiche macroeconomiche convergenti.
Questi sono solamente alcuni esempi, in pratica il costo della non Europa riguarda la persistente frammentazione dell'Europa comuni-
La disoccupazione nei Paesi della Comunità
(in % rispetto alla popolazione attiva)
1072-82
1983
1984
1985
1986
1987 'l'
1988"'
7,o
5,3
3,5
4,8
82
63
0,5
53
P
-
14,3
10,l
8,4
73
17,7
8,9
14,9
11,0
1,6
14,2
UK
5.2
11.6
14,4
9,9
8,4
8,l
20,6
10,O
16,6
12,O
13
14,5
8,5
11.8
13,7
8,7
8,4
73
21,9
10,8
17,9
12,9
1,6
13,l
8,7
12.0
12,6
7,6
8,l
7,4
21,5
11,l
18,4
13,O
1,4
12,l
8,6
12.1
12,4
7,7
8,l
7,4
20,7
11,3
18,5
14,2
1,5
11,4
7,2
11.0
12,l
8,6
8,3
7,5
20,3
11,7
18,2
14,3
1,4
10,9
68
10.4
EUR-12
EUR-9
-
-
5,1
10,4
11,7
10,9
12,l
11,2
11,9
11,l
11,8
11,l
11,7
11,l
USA
JAP
69
1,9
9,6
2,7
7,5
2,7
72
2,h
7,O
2,8
63
3 ,O
6,o
2,9
B
DK
D
GR
E
F
IRL
I
L
NL
-
-
(1) Previsioni.
Fontd: Servizi della Commissione
La moderata crescita del P.I.L. - dovuta, come dimostra nell'intewista Sir Fred Cathenuood,
anche ai costi della non Europa - determina un modesto impulso alla creazione di nuovi posti
di lavoro e, per via della dinamica demografica, nessun contributo positivo alla riduzione del tasso
di disoccupazione.
taria i cui Stati membri non sono ancora riusciti a realizzare un grande mercato unico e ad
avviarsi rapidamente verso l'unione economica e monetaria.
Sir Catherwood, il costo della mancata Europa è un problema soprattutto economico, ma
è anche legato alla situazione politica della CE.
Quale è il suo personale pensiero riguardo alla situazione politica ed economica della Comunità europea?
Rispondo brevemente dicendo che i due
aspetti non si possono scindere. L'insufficiente
sviluppo dell'integrazione economica, la persistenza degli ostacoli agli scambi intracomunitari e l'incapacità di attuare una politica economica e monetaria comune sono soprattutto
dei problemi politici ricollegabiii alla mancanza
di volontà politica dei governi degli Stati membri che non riescono ad andare al di là degli
interessi nazionali immediati e non riescono
a comprendere, in prospettiva, gli enormi vantaggi che porterebbe loro la realizzazione di
.una vera unione economica e monetaria.
Sir Catherwood, può essere quantificato
monetmtanamente
il costo che l'Europa sopporta
per fa mancata integrazione economica e politica?
Non sono in grado di quantificare precisamente l'ammontare del costo della mancata
Europa poichè lo scopo della mia relazione è
quello di sensibilizzare l'opinione pubblica e
i membri dei governi nazionali su un problema cosi grave ed attuale. Credo che il compito del Parlamento Europeo sia essenzialmente quello di trarre delle conclusioni politiche
ed istituzionali d a un fenomeno economico come quello in esame. Vorrei precisare che le cifre che compaiono nel mio rapporto si basano
su delle semplici stime. Ad ogni modo, la relazione-valuta in 120 miliardi d i ECU (circa
COMUNI D'EUROPA
180.000 miliardi di lire) il costo annuale della
mancata assunzione di decisioni necessarie per
un pieno sviluppo del potenzide della CE.
Per quanto riguarda la realizzadone del mercato unicd, ritengo che si può ipotizzare un aumento del 5% nelle vendite industriali allorchè le barriere intracomunitarie siano eliminate. Con un prodotto interno comunitario di
3600 miliardi di ECU nel 1987 e un 26% di
produzione industriale, l'apertura del mercato determinerebbe un aumento pari a 50 miliardi di ECU, senza contare che si registrerebbero dei forti effetti moltiplicativi sul resto dell'economia.
L'Europa comunitaria spende quasi il doppio del Giappone per la politica di ricerca e
sviluppo tecnologico, ricavandone risultati minori a causa delle duplicazioni e della mancanza di informazioni reciproche.
La presenza di 11 monete diverse causa danni economici notevoli, in quanto le costanti
fluttuazioni dei tassi di cambio costituiscono
un serio handicap per delle economie indipendenti come quelle europee. Le imprese europee debbono assumersi un rischio supplementare poichè sono obbligate a calcolare i profitti in unità di valore variabile. I1 costo di questo tipo di rischi può essere valutato in 6000
milioni di ECU. Un altro costo della mancata
Europa è imputabile al persistere del controllo dei cambi che impongono agli operatori economici un onere amministrativo molto sensibile. Inoltre, il dover mantenere riserve valutarie separate a un livello tale da permettere
di difendere undici monete individuali svia le
risorse da usi più produttivi. Sono stati utilizzati più di 10.000 milioni di ECU per difendere la parith delle monete europee nel corso
del 1987.
'
Oltre a tutti questi costi ve ne sono moltissimi altri che per mancanza di tempo vorrei
semplicemente elencare: i controili doganali e
fiscali, la mancata standardizzazione dei manufatti, la mancanza di politiche macroeconomiche convergenti, l'insufficienza del sistema
decisionale comunitario, la mancanza di una
politica comune in materia di politica estera
e della sicurezza causano altri incalcolabili costi per l'Europa. Complessivamente, una Comunita più integrata potrebbe vedere aumentare il proprio prodotto interno lordo del 5%.
Si tratta, però, di una cifra statica, poichè gli
effetti di una maggiore integrazione pmterebbero a ripercussioni dinamiche. Si produrrebbero, infatti, delle economie di scala, la libera
concorrenza verrebbe potenziata, si registrerebbe un notevole incremento dell'innovazione e del livello degli investimenti.
Questi effetti, moltiplicativi per un determinato numero di anni, fprniscono il costo effettivo della mancata integrazione europea.
Nell'anno 2000 la frammentazione del mercato
europeo e la mancanza di una reale convergenza delle economie costerebbe alla Comunità
circa il 25% del suo prodotto interno lordo.
Per il momento, come ho precisato in precedenza, il costo annuale della non Europa è
pari a 120 miliardi di ECU.
Sir Catherwood, lei afferma che il problema del costo della non Europa ha notevoli conseguenze istituzionali in una sorta di rapporto
di causa effetto.Lei, inoltre, affermanel suo
rapporto che è impossibile coordinare le politiche economiche dei dodici e realizzare il mercato interno senza un democratico sistema decisionale. Vuole sviluppare meglio questo concetto?
Credo che sia assai improbabile che l'attuale
Costruiamo un'Europa a misura della gente
Un momento della manifestazione presso il centro sociale CGIL-CISL-UIL di Ariano Irpino che
ha celebrato il 5 dicembre l'ingresso della città nell'Aiccre
COMUNI D'EUROPA
struttura decisionale abbia la capacità di prendere le misure necessarie per attuare le politiche comuni previste dal Trattato di Roma e
dall'Atto unico. No11 si vuole ipotizzare un'Europa federale, poichè la C E & priva dei poteri
necessari per occuparsi della difesa e della sicurezza interna, nonchè per imporre nyove imposte, vale a dire manca dei requisiti essenziali
di un sistema federale.
L'Atto unico europeo ha recentemente cercato di modificare gli equilibri istituzionali.
Nonostante ciò le sue procedure decisionali ricordano quelle della Dieta del vecchio Regno
di Polonia. In pratica, il potere decisionale è
nelle mani del Consiglio dei Ministri che si basa sulla vecchia e paralizzante cooperazione intergovernativa. Come organo decisionale il
Consiglio dei Ministri presenta molti limiti:
cambia presidente ogni sei mesi; è composto
da membri a metà tempo che svolgono altrove il lavoro più importante ed urgente; ha nuovi membri quasi ogni sessione a causa delle elezioni e dei mutamenti governativi; dispone
ogni anno di pochi mesi per poter prendere decisioni politicamente delicate a causa delle elezioni nazionali e regionali. Due secoli fa i tredici Stati fondatori degli Stati Uniti stabilirono che la loro unione non poteva continuare
con negoziati intergovernativi e decisero di
chiedere all'assemblea di ciascuno Stato di
eleggere due rappresentanti a tempo determinato che partecipassero ad un organismo collegiale (il Senato!).
Questa è una modifica che gli Stati membri della C E potrebbero apportare senza modificare i poteri del Consiglio dei Ministri.
Quest'ultimo si trasformerebbe in una sorta
di Senato permanente. La distribuzione dei voti tra gli Stati membri resterebbe immutata,
ma verrebbero rimossi i gravi problemi organizzativi del Consiglio, che sarebbe trasformato da organismo che si preoccupa in primo luogo di interessi nazionali in un organismo collegiale con la capacità e il tempo di provvedere agli interessi globali della CE.
E auspicabile un mutamento delle procedure
di voto. I1 diritto di veto tende a degenerare
in una dittatura delle minoranze. Se si riuscisse
a superare tale scoglio, gli Stati membri negozierebbero dei compromessi invece di rischiare di essere messi in minoranza. Ciò incoraggerebbe le trattative per giungere a conclusioni ed avrebbe un effetto dissuasivo su piccole
minoranze intenzionate a ricattare l'intera Comunità.
Vorrei concludere esaminando l'attualità internazionale: la drammatica caduta dei prezzi
delle azioni verificatasi il lunedì nero 19 ottobre 1987 dimostra quanto scarsa sia la fiducia
nell'attuale direzione del sistema economico
mondiale e quanto sia importante una guida
europea forte ed unita. In questo periodo si
possono conseguire profitti enormi solo se si
crea insieme un sistema politico efficiente a
livello europeo. Ma se ciò non accadesse 1'Europa potrebbe subire enormi perdite, compresa
la fine stessa della Comunità europea. Ai governi europei trarre le logiche conclusioni!
(Intervista a cura di Roberto Santaniello)
I1 Parlamento Europeo approva la proposta Kuijpers
I1 sostegno e la promozione delle minoranze etniche
fondameiito di crescita democratica nella Comunità
Già oggetto nelpassato di un costante interesse &parte degli organismi comunitari, le minoranze etniche e linguistiche d'Europa sono state
di recente ancora una volta al centro del dibattito del Parlamento Europeo, che ha approvato a
grande maggioranza nella seduta del 30 ottobre
'87 la proposta di risoluzione presentata dallon.
Willy Kuijpers, deputato fiammingo del Belgio,
per la tutela e la promozione delle lingue e culture minoritarie. La proposta Kuijpers fa seguito
alla «carta A&, approvata nell'ottobre '81, che
ha costituito una pietra miliaw per il riconoscimento dei diritti del& minoranze in Europa. In
applicazione della «cat.ta A@, difatti, per la prima volta si è aperto nel bilancio del Parlamento
Europeo un capitolo di spesa espressamente dedicato alle minoranze, che, pur nella sua modestia, ha però reso possibile I'inizio di una concreta attività per & lingue e culture minoritaie
da parte della commissione parlamentare per I'occupazione, gli af/at+ sociali e I'educazione.
Gran parte di queste iniziative sono passate atiraveno il Bureau Européen pour les langues
moins répandues, che ha un uffiio di segvet&a
a Dublino e comitati in tutti i Paesi della CE,
iranne finora La Grecia, il Lussemburgo ed il Portogallo. La sezione italiana del Bureau P costituita dal Comitato nazionalefederatiuo minoranze linguistiche d'Italia (CONFEMILI), in cui sono presenti rappresentanti di tutte & minomnze
linguistiche del nostro Paese.
La I-iroluzìone Kuijpen, di cui si pubblicano
di seguito ampi stralci, rappresenta una vm;fica
dell'attività finora svolta e segna alcontempo un
ulteriore ed importante passo in avanti.
P. A.
I1 Parlamento Europeo ricorda la necessita
che gii Stati membri riconoscano le loro minoranze linguistiche nei rispettivi ordinamenti
giuridici creando cosl la premessa per il mantenimento e lo sviluppo delle culture e lingue
regionali e minoritarie;
raccomanda agii Stati membri, in ordine all'istruzione,
- di organizzare ufficialmente l'istruzione nelle lingue regionali e minoritarie, equiparata con l'insegnamento nelle lingue nazionali, d d a formazione prescolare all'università e alla formazione permanente, nelle zone linguistiche interessate,
- di riconoscere ufficialmente i corsi, le
classi e le scuole che sono istituiti da associazioni abilitate all'insegnamento in base all'ordinamento vigente nello Stato e che utilizzano generalmente per l'insegnamento una lingua regionale o minoritaria,
- di incentivare l'informazione sulle possibilità di istruzione nelle lingue regionali minoritarie,
- di provvedere all'equipollenza di diplomi, certificati, altri titoli e competenze pro-
ne dei provvedimenti di cui sopra,
di porre al servizio delle lingue regionali e minoritarie le nuove conquiste nel settore
delle tecnologie deila comunicazione, tenendo conto dei costi supplementari inerenti all'adepamento a caratteri particolari, come per
esempio, il cirillico, l'ebraico, il greco, ecc.;
raccomanda agli Stati membri, in ordine all'infrastruttura culturale,
- di garantire la partecipazione diretta dei
rappresentanti di gruppi che utiiizzano lingue
regionali o minoritarie alla gestione della cultura e d e attivita coilaterali,
- di creare fondazioni o istituti per lo studio delle lingue regionali rninoritarie in grado,
tra l'altro, di elaborare gli strumenti didattici
necessari alla loro introduzione nella scuola
nonchè di redigere un «inventario generale),
delle lingue regionali o minoritarie interessate,
- di sviluppare tecniche di doppiaggio e
sottotitolazione per favorire le produzioni audiovisive nelle lingue regionali minoritarie,
- di provvedere il necessario sostegno materiale e finanziario per la realizzazione delle
misure di cui sopra;
raccomanda agIi Stati membri, in ordine alla
realtà socioeconomica,
- di prevedere l'impiego deile lingue regionali minoritarie nelle imprese pubbliche
(poste ecc.),
- di riconoscere l'impiego delle lingue regionali minoritarie nei sistemi di pagamento
(assegni postali e attivith bancarie),
- di provvedere d'informazione del consumatore e all'etichettatura dei prodotti nelle
lingue regionali e minoritarie,
- di provvedere d'impiego delle lingue regionali nefle iscrizioni dei cartelli stradali, nelle
indicazioni del traffico e nelle denominazioni
delle strade;
raccomanda agii Stati membri, nel contesto
delle lingue regionali e minoritarie utilizzate
in più Stati membri, e in particolare nelle zone di confine,
- di provvedere a meccanismi appropriati di cooperazione transfrontaliera nell'ambito delIa politica culturale e linguistica,
- di incentivare la cooperazione transfrontaliera conformemente all'accordo-quadro europeo sulla cooperazione transfrontaliera tra
le autorità locali;
chiede agli Stati membri di incoraggiare e sostenere l'ufficio europeo per le lingue minoritarie e i suoi comitati nazionali in ciascuno
degli Stati membri;
invita la Commissione,
- a contribuire, nel quadro delle sue competenze, alla realizzazione dei provvedimenti
di cui ai paragrafi precedenti,
- a tener conto delle lingue e delle culture delle minoranze regionali ed etniche della
-
fessionali, al fine di facilitare ai membri di
gruppi regionali o minoritari di uno Stato
membro l'accesso al mercato del lavoro in comunità di altri Stati membri culturalmente apparentate;
raccomanda agli Stati membri, in ordine ai
rapporti amministrativi e giuridici,
- di garantire direttamente a norma di legge l'impiego delle Iingue regionali e minoritarie, in primo luogo negii enti locali delle realta in cui una minoranza sia presente,
- di rivedere le norme di legge nazionali
e le pratiche discriminanti nei confronti delle
lingue delIe minoranze, come richiesto d d a risoluzione del Parlamento sulla recrudescenza
del fascismo e del razzismo in Europa,
- di esigere l'uso delle lingue nazionali, regionali e rninoritarie anche nei servizi decentsalizzati delI'autorith centrale neile aree interessate;
- di riconoscere ufficialmente i patronimici e i toponimi esistenti nelle lingue regionali
o minoritarie,
- di consentire che nelle liste elettorali figurino nomi di località e altre indicazioni nelle lingue regionali o minoritarie;
chiede agli Stati membri, in ordine ai mezzi di comunicazione di massa,
- di consentire l'accesso alle stazioni locali, regionali e centrali pubbliche e commerciali, in modo tale che sia garantita la continuità e l'efficacia delle trasmissioni nelle lingue regionali e minoritarie,
- di provvedere affinchè i gruppi minoritari ricevano per i loro programmi sostegni organizzativi e finanziari analoghi a quelli ottenuti dalla maggioranza,
- di sostenere la formazione del personale operante nei mezzi di comunicazione di massa e dei giornalisti necessari per la realizzazio-
COMUNI D'EUROPA
FORZA FEDERALISTA E FRONTE DEMOCRATICO EUROPEO
Comunità d ' a t t o dell'elaborazione delle diverse politiche comunitarie e, in particolare, di
azioni comunitarie nel settore della politica,
della cultura e dell'istruzione,
- ad accordare all'ufficio europeo per le
lingue minoritarie uno status consultivo ufficiale,
- a provvedere alla creazione di un sistema di borse di studio per consentire viaggistudio, onde incentivare la reciproca conoscenza delle minoranze,
- a riservare il necessario tempo di trasmissione alle culture minoritarie nel quadro
della televisione europea,
- a prestare l'attenzione necessaria all'informazione sulle minoranze linguistiche nelle
pubblicazioni informative della Comunità;
chiede al Consiglio e alla Commissione di
continuare ad accordare il suo sostegno e il suo
incoraggiamento d ' u f f i c i o europeo per le lingue minoritarie,
- garantendo adeguate risorse di bilancio
e il ripristino di una linea distinta di bilancio,
- proponendo l'erogazione dei finanziamenti necessari alla realizzazione dei provvedimenti di cui sopra,
- stanziando fondi del FESR e del FSE
a favore di programmi e progetti destinati alle culture regionali e popolari,
- riferendo annualmente al Parlamento
sulla situazione delle lingue regionali e minoritarie nella Comunità nonchè sui provvedimenti adottati alla luce di quanto sopra esposto dagli Stati membri della Comunità;
decide che l'intergruppo sulle lingue minoritarie ottenga a pieno diritto lo statuto di intergruppo ufficiale del Parlamento.
m
I prossimi impegni e le scadenze
di una comune azione politica
Il Comitato centrale del Movimento federalista europeo si è riunito a Roma il 21 novembre
scorso, sulh base delh rehzione politica di Man'o Albertini sulle prospettive dell'azione federalista, alh luce del quadro politico mondiak dominato dai mutati rapporti diplomatici tra USA
e URSS.
Nel dibattito è stato dato particohre spazio anche alle iniziative previste nei prossimi mesi sia
dal Movimento federalista - in particohre h
battaglia per i referendum - sia dalle altre organizzazioni della forza federalista, come h campagna souranazionale per i quaderni di protesta
e di proposta hnciata dal CCRE.
A l temine dei hvon' è stata approvata una risoluzione che, in vista delh elezione del nuovo
presidente del CIME, fissa alcuni impegni e scadenze politici da realizzare in stretta colhborazione tra le due organizzazioni.
I1 Comitato centrale del Movimento federalista europeo, riunito a Roma il 2 1 novembre 1987,
preso atto delle intervenute dimissioni di Mauro Ferri dalla residenza del Consiglio italiano del Movimento Europeo, gli rivolge un vivo ringraziamento per l'opera svolta nell'esercizio della carica, in piena coerenza con il suo
impegno federalista nel Parlamento Europeo
e nel Comitato Dooge,
in vista della prossima elezione di un nuovo
Presidente da parte del Consiglio nazionale,
È in formazione il fronte democratico europeo
ritiene in via pregiudiziale che l'elezione debba awenire sulla base di una precisa piattaforma programmatica, sulla scorta della prassi già consolidata in sede di Movimento Europeo internazionale,
subordina i1 proprio suffragio, e di conseguenza il proprio atteggiamento politico nei confronti del nuovo Presidente, all'assunzione da
parte del candidato di specifici impegni in ordine ai seguenti punti, da considerarsi singolarmente e nel loro complesso:
- denuncia del fatto che, a quasi due anni dalla conclusione della Conferenza intergovernativa di Lussemburgo, l'esperienza ha dimostrato come l'Atto unico rappresenti un pericoloso passo indietro sulla via dell1integrazione europea, in ragione delle stesse condizioni in cui si è svolto il negoziato tra i Governi;
- riconoscimento che la piena realizzazione del mercato interno entro il 1992 è di fatto impraticabile in assenza del simultaneo passaggio alla fase istituzionale dello SME e dell'assunzione di provvedimenti idonei a garantire il conseguimento della coesione economica e sociale e il riequilibrio interregionale;
- risoluta affermazione del principio secondo cui la realizzazione di una effettiva identità europea in materia di sicurezza e difesa
presuppone la simultanea creazione di un potere democratico e federale, senza di che ogni
progetto di integrazione militare, anche bilaterale, appare destinato a risolversi nella creazione di strutture inefficienti e tuttavia pericolose per la stessa democrazia;
- riaffermazione dell'urgenza di ovviare al
persistente deficit democratico della Comunità, attribuendo al Parlamento E u r o ~ e o~ o t e r i
legislativi e di controllo, come previsto dal progetto di Trattato sull'unione europea approvato dal Parlamento Europeo il 14 febbraio
L
-
1
1984;
Numerosi amministratori locali, docenti, giovani, responsabili di mass-media sono intervenuti
al convegno di Rovigo. Nella foto un momento della manifestazione
COMUNI D'EUROPA
- sostegno senza riserve al diritto del Parlamento Europeo di vedersi attribuire il mandato di redigere il progetto di costituzione dell'Unione europea da sottoporre direttamente
alle ratifiche nazionali, senza passare attraverso un nuovo negoziato intergovernativo;
- appoggio alle iniziative tendenti a coinvolgere direttamente i cittadini nel processo
di realizzazione dell'unione europea (referendum da abbinarsi alla prossima elezione europea - anche al fine di dare alla medesima un
più deciso significato di battaglia europeista
- quaderni di protesta e di proposta destinati
a confluire in una Convenzione democratica
europea);
- stretta cooperazione con il Movimento
federalista europeo, secondo una tradizione ormai pluridecennale, ancora più attuale nella
presente congiuntura politica, con particolare
riguardo alle manifestazioni che il MFE conta promuovere in concomitanza con il proprio
¤
XIV Congresso nazionale.
La risoluzione approvata dal CIME
Le iniziative e le alleanze indispensabili
in vista dell'obiettivo dell'elezione europea
Il Consiglio nazionale del Movimento europeo
ha eletto il 18 gennaio alla sua presidenza l'on.
Mario Zagari, in sostituzione di Mauro Ferri, dimessosi per incompatibilità in seguito alla sua nomina a membro della Corte Costituzionale, ed
ha approvato, a conclusione del dibattito, la seguente risoluzione.
Il Consiglio italiano del Movimento Europeo,
riunito a Roma il 18 gennaio 1988,
- rileva come la migliorata situazione internazionale conseguente d'accordo rnissilistico fra USA e URSS, mentre non giustifica le
preoccupazioni espresse da taluni ambienti europei particolarmente in termini di riequilibrio
delle forze, ponga l'Europa di fronte all'alternativa tra una reazione centrifuga, indirizzata verso iniziative frammentarie, e quindi inefficaci, dei singoli Paesi, e una reazione centripeta, nella direzione di una rafforzata coesione comunitaria;
- pone in evidenza come le circostanze internazionali richiedano più che mai una rinnovata iniziativa politica per l'Unione europea,
con particolare riguardo alla necessità di affrontare positivamente i problemi vitali dei
paesi del Terzo Mondo e le tensioni sempre
più coinvolgenti che ne derivano, con particolare riguardo all'area mediterranea;
- sipreoccupa peraltro dei sintomi di crisi che in altri Paesi della Comunità si manifestano nel funzionamento delle istituzioni democratiche, data anche la sempre più evidente debolezza degli stati nazionali, mentre le
condizioni di vita di larghi strati sociali non
cessano di aggravarsi e si inasprisce la piaga
della disoccupazione;
- sottofinea ancora una volta la manifesta
incapacità della gestione intergovernativa della
Comunità, della quale il fallito Vertice di Copenaghen ha costituito un'ulteriore clamorosa manifestazione;
- si rammarica che lo stesso Parlamento
Europeo manifesti una diminuita capacità di
iniziativa ed una riduzione del suo ruolo di rappresentanza politica: ciò a causa a) delle tendenze politiche divergenti che si manifestano
fra i gruppi politici, al loro interno e da parte
di partiti nazionali sempre meno interessati alle
tematiche europee; b) della mancanza di un sistema elettorale comune e di selezioni operate sul piano nazionale con criteri diversi da
quelli necessari per il rafforzamento di una effettiva rappresentanza politica europea; C) dell'accentuata burocratizzazione del ruolo dei
gruppi parlamentari. Tali difficoltà hanno provocato nell'attuale Parlamento la perdita di un
adeguato impegno sui temi di carattere istituzionale e sono accentuate dalla frammentazione dell'attività in funzione dei molteplici
adempimenti richiesti dall'applicazione dell'Atto unico;
- è d'avviso che in tale contesto si accentui il rischio di una rinazionalizzazione del sistema comunitario e stima che, senza pregiudizio della valutazione negativa più volte ribadita in ordine all'Atto unico, i concreti
aspetti di quest'ultimo - e del Sistema monetario europeo da esso inseparabile - debbano
essere oggetto di frequenti messe a punto, con
un'intensa opera di sollecitazione dell'indispensabile adeguamento delle politiche nazionali e comunitarie e con largo coinvolgimento
degli operatori economici e sociali;
- chiede comunque che si accelerino il recepimento e l'attuazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale;
- si pronuncia per quanto attiene alla cooperazione europea in materia di sicurezza a favore di un atteggiamento di disponibilità critica, ribadendo che la politica della sicurezza
non può essere comunque separata dal contesto generale della politica estera comune e dal
processo di cooperazione internazionale, che
essa deve anzi concorrere a consolidare, e che
il Movimento Europeo non deve desistere, anche a questo riguardo, dal riproporre, con I'esigenza del controllo democratico, l'obiettivo
della contestuale creazione dell'unione europea;
- ribadisce l'obiettivo strategico di un rilancio dell'unione europea, attraverso il riconoscimento di un ruolo costituente del Parlamento Europeo per la redazione di un progetto di costituzione dell'unione europea da sottoporre alla diretta approvazione dei parlamenti nazionali, ponendosi nella prospettiva di un
accordo che all'inizio possa essere non necessariamente esteso ai dodici paesi della Comunità, ma aperto a quanti potranno e vorranno
parteciparvi;
- considera quindi necessario finalizzare
l'intera azione del Movimento Europeo alla
preparazione dell'elezione europea dell'89, per
evitare che a un ulteriore calo del saggio di partecipazione popolare consegua un indebolimento ancora maggiore del Parlamento e della stessa Commissione e una definitiva conferma dell'attuale paralizzante gestione intergovernativa;
- richiama, nella perdurante e deplorevole mancanza di un sistema elettorale europeo,
l'urgenza di una modifica dell'attuale legge italiana per l'elezione europea, al fine di rendere
la procedura di elezione dei parlamentari più
consona al raggiungimento di tale obiettivo,
e in tal senso delibera sin d'ora la costituzione di una commissione ai sensi dell'art. 14 dello Statuto;
- sollecita le forze politiche aderenti ad accordare il più largo sostegno alla costituzione,
attualmente in corso, dell'Intergruppo federalista nel Parlamento italiano e invita il nuovo
Presidente a prendere a tal fine gli opportuni
contatti con i gruppi politici della Camera e
del Senato, esprimendo fin d'ora il proprio
consenso di principio alla partecipazione delI'Intergruppo al Consiglio italiano del Movimento Europeo; in pari tempo si impegna a
stimolare analoghe iniziative negli altri Consigli nazionali e a chiedere d'intero Movimento Europeo un più energico appoggio all'Intergruppo federalista del Parlamento Europeo;
- decide di partecipare direttamente alle
manifestazioni che il Movimento federalista
europeo conta promuovere alla vigilia dell'elezione europea de11'89, tra cui quella già indetta in concomitanza con il proprio XIV Congresso;
- impegna il Consiglio di Presidenza a sostenere attivamente le iniziative di analoga
ispirazione promosse dal Consiglio dei Comuni
e delle Regioni d'Europa, attraverso la compilazione di cahiers de doléances la cui preparazione deve essere stimolata in modo capillare in vista della convocazione di una Convenzione europea che si terrà alla vigilia delle elezioni de11'89 con la partecipazione di tutte le
forze vive della società e con finalità di mobilitazione dell'europeismo diffuso;
- invita, in particolare, lo stesso Consiglio
di Presidenza a contribuire a quest'ultima iniziativa con un proprio documento e con un'appropriata azione di stimolo presso tutte le forze
aderenti;
- impegna infine il nuovo Presidente e
l'intero Consiglio di Presidenza a partecipare
con ogni mezzo utile alle iniziative di mobilitazione popolare e di sensibilizzazione dell'elettorato promosse dalle varie componenti del
Consiglio italiano del Movimento Europeo,
comprese eventuali consultazioni popolari.
m
COMUNI D'EUROPA
unanimi conclusioni del Congresso nazionale
Aede: sei obiettivi prioritari da realizzare
con il programma educativo per l'Europa
Nuove metodologie e più consone
alle nuove esigenze
dell 'Associazione. L 'impegno per
una partecipazione effettiva alla
campagna per la democrazia
europea. Giglio rieletto presidente.
Il problema della dimensione
europea dell 'insegnamento
'
I1 delicato momento che attraversa 1'Europa e la conseguente caduta di tensione che si
avverte e che è possibile rapportare anche alle
delusioni scaturite dal mancato raggiuagimento di obiettivi precisi, nonchè alla emarginazione di fatto dell'Europa da problemi che direttamente la riguardano ma sui quali proprio
nei giorni del Congresso Reagan e Gorbaciov
hanno discusso, hanno condotto i docenti del1'AEDE a riflettere opportunamente sul ruolo e la funzione della Scuola nella prospettiva
dell'unione europea e ad approfondire il dibattito su tematiche politiche che non possono non incidere nella dimensione europea dell'insegnamento.
I1 tema del Congresso di Roma, svoltosi all'Hotel Princess dal 6 al1'8 dicembre 1987, è
stato molto significativo proprio per la coscientizzazione della scuola militante ed operante
di fronte a quanto succede in Europa. Scuola
ed Unione europea: ideali, fatti, prospettive: un
argomento suggestivo ed intorno al quale, dopo la relazione introduttiva del Presidente nazionale Francesco Giglio, che ha tratteggiato
con ricchezza di analisi il necessario raccordo
tra la scuola e la società in un processo continuo di interazione, che inevitabilmente conduce ad analisi socio-politiche dalle quali non
è possibile prescindere, si è sviluppato un denso ed articolato dibattito nel quale sono intervenuti numerosi delegati provenienti da tutta
Italia. Rilevante è apparso all'osservatore attento, soprattutto quando la scuola in quanto
tale è chiamata ad interrogarsi sulla sua funzione, l'interrogativo che ha costituito, si potrebbe dire, il tema di fondo di molti interrogativi: quale ruolo è possibile assegnare oggi
ad una Associazione come quella degli insegnanti europei che, nella sintesi tra cultura e
politica, debbono trarre ispirazione per la loro azione che è certamente determinante per
l'Europa, se è vero che compito primario della scuola rimane quello di contribuire aila formazione delle giovani coscienze e, quindi, nel
caso specifico, del futuro cittadino europeo?
In tale contesto assume una importanza notevole il problema della dimensione europea
dell' (e nell') insegnamento che, negli ultimi
tempi, ha incominciato ad ottenere l'attenzione convinta degli organi ministeriali ed in particolare della Direzione generale scambi culCOMUNI D'EUROPA
turali con l'estero che pare avere, nei suoi vertici, recepito lo spirito della Raccomandazione n. R(83)4, adottata il 18 aprile 1983 dal Comitato del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa.
Gli insegnanti dell2AEDE,confermando la
loro piena adesione al federalismo, hanno altresi sottolineato la necessità, anche di natura
strategica, di perseguire l'unità (nel perseguimento degli obiettivi comuni) nella diversità
(delle motivazioni specifiche di Movimenti ed
Associazioni che desiderano raggiungere il medesimo scopo).
I1 Presidente Giglio ha poi illustrato il Progetto educativo per I'Europa che ha sintetizzato in sei punti fondamentali: a) la dimensione
europea dell'insegnamento; b ) la formazione
dell'uomo; C) la società federale; d) i soggetti
sociali deboli; e) la scuola senza frontiere; f)
il rilancio della cultura federalista.
Gli interventi che si sono succeduti hanno
in gran parte ripreso le indicazioni del Presidente nazionale. Suila professionalità docente e suil'esigenza di un impegno a tutti i liveili
deila scuola militante, che non deve abdicare
alla sua funzione specifica, si sono espressi alcuni delegati i quali hanno anche sostenuto la
necessità di una partecipazione effettiva ed impegnata alla Campagna per la Democrazia Europea che costituisce un appuntamento decisivo al quale I'AEDE deve corrispondere con
tutte le sue forze nell'ambito della fona federalista. Gran parte del dibattito congressuale
ha riguardato la struttura organizzativa dell'Associazione che ha in sè potenzialità veramente notevoli che, per una serie di motivazioni, non si sono estrinsecate come avrebbero potuto e dovuto. Bisogna pertanto, è stato
osservato, studiare metodologie «nuove» e più
consone alle esigenze «nuove» per poter corrispondere al rilancio dell'AEDE. Tutto ciò è
emerso dalla mozione finale approvata all'unanimità e che costituirà la base politicoprogrammatica dell'azione dell'Associazione
nel triennio 198711990, durante i1 q d e si
svolgeranno, tra l'altro, le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo alie quali le Associazioni europeistiche dovranno apportare il
loro contributo di competenze, di esperienze
e di idealità.
Le votazioni per la elezione dei componenti il nuovo Comitato centrale hanno contribuito ad un parziale rinnovamento dei quadri:
Presidente nazionale è stato confermato Francesco Giglio, mentre alla Segreteria nazionale
è stato chiamato il preside Paolo Farnararo,
che ha ripetute esperienze a carattere europeo
nonchè in campo politico ed organizzativo;
confermati vicepresidenti i presidi Leonardo
Valastro e Silvano Marseglia, neo-eletti d a vicepresidenza la preside Luisa Ider e la prof .ssa
Clara Minichiello; vicesegretaria aggiunta e tesoriere riconfermati, rispettivamente, la
prof .ssa Amelia Calderara ed il prof. Paolo Mascherucci. Cooptato nell'esecutivo I'on. Paolo Barbi, vicepresidente internazionale delI'AEDE e del Movimento Europeo.
L'AEDE, rinnovata soprattutto nello spirito e piena d i entusiasmo, si propone, pertanto, come «forza trainante» del Movimento Europeo e della Forza federalista neila scuola, di
incidere nel processo che, si spera fortemente, dovrà condurre all'unione europea ed al
Governo sopranazionale, indipendentemente
dalle difficoltà legate a concezioni politiche
non sempre disponibili a superare gli schemi
angusti della difesa del «particolare» nazionale.
Lo ha detto, concludendo i lavori, il Presidente internazionale Pierre Vanbergen, il quale, nel sottolineare la forza e l'incidenza delI'AEDE italiana nel movimento internazionale, ha ricordato il ruolo e la funzione deila scuola nel processo di integrazione europea, nonchè l'esigenza di dare consistenza alla dimensione europea dell'in~e~namento
ed alla professionalità docente in tale prospettiva.
P.F.
Cultura, Europa, Federalimo
I LIBRI
Cent'anni
di Esperanto
La comunicazione internazionale tra politica e glottodidattica. L'Esperanto, cento anni
dopo, a cura di Andrea Chiti-Batelli, Milano,
Marzorati Editore 1987.
In occasione del primo centenario del lancio ufficiale dell'Esperanto, la Fondazione
esperantista italiana presenta una raccolta di
interventi sugli aspetti politici, filosofici, linguistici e pratici di questa «lingua pianificata
e neutra», come tengono a definirla gli autori.
I1 volume, curato da Andrea Chiti-Batelli,
intende fornire una analisi accurata dell'Esperanto, lingua - come troviamo scritto - ignorata, sottovalutata e ancora avversata senza però essere in realtà conosciuta.
Scorriamo l'indice: ad interventi di carattere politico, etico-filosofico e «psicoIogico»
(Chiti-Batelli, Broccatelli e Piron) si assommano saggi più tecnici di argomento pedagogico
e linguistico (Bausani, Pennacchietti e Migliorini) e a chiusura del volume troviamo un titolo eloquente: «LIEsperanto in pratica: istruzioni per l'uso», nel quale l'autore, Renato
Corsetti, disegna una specie di «mappa» del1'Esperanto nel mondo.
Tema costante è la netta contrapposizione
degL autori all'uso ormai di fatto mondiale della lingua inglese: emerge cosi il timore della
scomparsa degli idiomi regionali: d a perdita
della lingua significa perdita dell'anima nazionale di un popolo*, scrive Chiti-Batelli (p. 20)
nel bel capitolo che apre il libro. Viene quindi
evidenziata la necessità di «creare» una lingua
in grado di unire tutti i cittadini d'Europa,
strumento di un'integrazione sempre più necessaria. Ancora Chiti-Batelli scrive dell'Esperanto come deUa «lingua che pretende di essere l'idioma della comprensione universale e lo
strumento indispensabile per la salvezza del
pluralismo» (p. 2 1).
I capitoli dedicati d'aspetto pedagogicolinguistico sottolineano tecnicamente che l'Esperanto - proprio per la sua struttura grammaticale e sintattica - pub essere considerato
un valido strumento propedeutico d'insegnamento delle varie lingue europee. Proprio mentre da più parti si chiede di iniziare lo studio
della lingua inglese neUe scuole elementari, la
proposta degli esperantisti di sostituirla con
corsi della «nuova lingua* appare più che mai
provocatoria. Le argomentazioni tecniche forniscono comunque una base di discussione forse per la prima volta completa ed esauriente.
Carla Valentino
PS. La ref fazione del libro pfecedente e di Arrigo C a r t d d . Mernombiie è poi la riprodiizione di un fondamentale, vecchiisirno
articolo (del 1924) di Bruno M i o r i n i , critico dei progetti di la.
tino sine flexione o ainterlingusn (fra clil il famoso progetto di
Peano).
Approfittiamo per segnalare altri due libri degni di nota:
internationale et avenir
Andrea Chiti-Betelli, ~Cornunic~tion
des langues ed des parlers
Le fran~aisa-t-il encore une chance? La proposition de le cybern6tlque linguistique», Presses d'Europe, Nice 1987, 5OF.
Andrea Chiti-BeteUi, <Una lingua p& l'Europa - aspetti culturali e condizioni poiitichen, Cedam Padova, 1987, L. 12000.(ndr)
-
'
za, il concetto di autopoiesi di Maturana e Varela, che tanto è piaciuto a Luhmann, a Morin e ad altri) è da respingere. Ricordo che,
quando entrai nell'anno accademico '35-'36
nella Scuola Normale di Pisa, proposi, per il
colloquio prescritto annualmente a mezzo percorso, un argomento che stupl: «la cultura inglese del secolo VIID. Ero un federalista convinto e, tutto solo, militante con ardore da meno di un anno e volevo dimostrare che le nazioni nascono ed evolvono per una serie di fattori «storici», sui quali l'uomo libero può agire - dal di dentro e al di fuori - : il Regno
Unito sembrava rappresentare una nazione fatta su misura per awalorare le concezioni splengleriane e invece era (e lo mostrava assai bene
investigato alle origini) qualcosa di molto diverso da un organismo biologico.
Se volessimo fare una concessione a un po'
di egeopolitica culturale», potremmo dire che
l'Europa è un punto d'incontro ovvio tra il liberaIismo radicale e il socialismo reale, e in
questo senso è pour cause mediatrice di comprensione e di pace: ma in realtà è cambiato
il quadro in cui sono nati e cresciuti liberalismo e socialismo classici e postclassici. Altra
cosa - rispetto a quella di Clausevitz - è ora
la guerra, la guerra generalizzata. La qualità
di vita ha una importanza fondamentale, collegata con la sopravvivenza dell'ecosistema e
del genere umano che ci abita. La robotica sta
per mutare in modo rivoluzionario vecchi rape
porti di lavoro; il terziario, mentre continua
a sussistere il mondo della fame, sta tuttavia
prendendo il sopravvento, nei Paesi a economia fortemente industrializzata, sul lavoro
«operaio», e col terziario, non di rado, il lavoro autonomo prevale sul dipendente (ma la
strategia produttiva oscilia paurosamente, con
sempre pih scarso controllo istituzionale e democratico, tra un vertice che non conosce confini staguali e imprevedibili iniziative «dal basso)), di improvvisa fortuna). I1 mercato è collegato d'estendersi planetario di quel villaggio che è sempre più globale. Eccetera. I1 federalismo indubbiamente assume i valori deI
liberalismo e del socialismo, ma guarda oltre.
Piuttosto c'è un altro problema, di cui il federaiismo «sovranazionale» deve tener conto:
la probabile comparsa, al termine del viaggio,
del grande Controllore -dittatore mondiale
o, meglio, vertice di una tecnocrazia assolbta
- previsto nella geniale favola «I1 mondo nuovo» di Aldous Huxley (del 1932!); Controllore il quale dimostra (pretende di dimostrare)
che la libertà nuoce alle felicità, in un mondo
in cui l'ingegneria genetica - pare ispirandosi al motto acomunith, Identità, Stabilità»
(non è Henry Kissinger che suggerisce) - regna sovrana. In altri termini, una società umana che deve procedere in direzione di un governo mondiale - realizzarlo o scomparire come i dinosauri -; che assiste (ma ne ha creato gli strumenti) & diffusione di notizie e cultura - si fa per dire - al di là di ogni reale
controllo democratico (e anche al di là dei bisogni e dei freni inibitori delle menti che recepiscono), apptmtunell'ambito di uno squallido «viliaggio globale));una società che si adagia entro meccanismi di potere cod lontani dall'uomo comune (altri dir% dalia persona umana); una siffatta società richiede i contrappesi: altrimenti la liberth umana resta stritolata.
Qui ci sorge attualissimo il problema delle autonomie, qui si colloca il discorso sul «federalismo integrale» (che non è solo istituzionale
ma anche economico-sociale: ma a torto non
si è visto spesso un analogo hinterland per il
federalismo sovranazionale, salvo che un tempo - da parte di un marxismo dogmatico per negare l'opportunità o la possibilitd del federalismo planetario prima deila socializzazione totale dei mezzi di produzione), qui nasce
- perche no? - l'esigenza di una «controcultura» (che sarà contro il capitalismo oligopolistico ma anche contro il capitalismo di Stato
e contro ogni forma di burocratismo e di centralismo che tutto appiattisce). Qui dtresi si
colioca il discorso, a cui avevamo accennato
sopra, dell'assetto sociale che permetta a tutti
non solo di subirla -.
di far cultura
Non pretendo - da autentico sproweduto
- non dico di esaurire, ma neanche di affrontare questo secondo aspetto del discorso: mi
contenterò di buttar giù un provvisorio quadro di riferimento e di segnalare alcuni trabocchetti.
È di prammatica, a questo punto, citare tre
autori coinvolti neiia storia del CCRE e considerati, in questo dopoguerra, i tre fautori più
esaustivi del afederalismo integrale)}:Alexandre Marc, Henri Brugmans, Adriano Olivetti
(«L'ordine politiccr delle comunitàn è del
1945). Su di essi mi 6miterò a dire che ho tentato da tempo di rilevarne, attraverso un confronto cHtico, le notevoli differenze: il mio libro «Adriano Olivetti e il Movimento Comun i t b - che ormai è del 1982 - non è riuscito a promuovere alcun serio dibattito di approfondimento neanche tra i miei amici federalisti. Ma tutto il movimento europeo deiie
autonomie di questi ultimi quarant'anni rappresenta un complesso magmatico di singole
esperienze e di spunti teorici, che andrebbe
sceverato agli effetti deila nostra preoccupazione: specie per verificare le concrete sperimentazioni di federalismoorizzontale - la solidarieth fra autonomie locali -, di cui un campione si pub analizzare attraverso l'acuto libro
(che nacque da una borsa di studio dell'AICCRE) su «l1 federalismo fiscale della Germania occidentale))di Sigrid Esser (del 1981). Del
resto tutta la storia del CCRE - esperienze
singole, comparazioni fra diversi sistemi nazionali, ipotesi teoriche e pratiche «al di sopra delle frontiere» (per ripetere la dizione del
Preambolo della nostra «Carta europea delle
libertà locali», lanciata nel 1953 e sulla quale
-
COMUNI D'EUROPA
I
torneremo fra un istante) -, tutta questa storia di esperienze sul campo e di discussioni,
a cui ha largamente partecipato una parte rilevante e di punta dell'intellettualità europea,
rappresenta una «enciclopedia» sul nostro
tema.
Per quanto riguarda la «cultura di base» e
le sue strutture vorrei ricordare quattro edizioni dei nostri Stati generali: quella del '56
a Francoforte (in un dibattito specifico, che
fu decentrato a Bad Homburg e si interessò
di «centri sociali»), quella del '58 a Liegi (non
si può dimenticare la stimolante relazione di
Carlo Schrnid su «I poteri locali e le tecniche
del XX secolo»), quella del '62 a Vienna (scuola, autonomie, federalismo), quella del '77 a
Losanna (sulla partecipazione dei cittadini alla democrazia locale). L'edizione d i Losanna
f u preceduta da un convegno dell'AICCRE a
Bologna - sindaco Zangheri - sul decentramento urbano e gli strumenti della partecipazione: in quest'ultima sede sfiorammo la questione scottante di certa «falsa» spontaneità locale, dipendente talvolta addirittura da gruppi multinazionali (cantautori e industria discografica...).
Ad affrontare non genericamente il nostro
tema concorrono - e hanno concorso nella
storia culturale del CCRE - due discipline:
l'urbanistica (town and county phnning) e il
servizio sociale (nella branca della community
organisation). L'urbanistica che ci interessa è
quella che gli anglosassoni considerano un «social movementn e che in Italia (ma non solo)
si chiama spesso «urbanistica riformista»: cioè
la programmazione e la realizzazione - che
implicano una battaglia culturale e politica di una città e in genere di un insediamento
umano non solo predisposti per una società
tendenzialmente egualitaria, ma tali da permettere o favorire l'espressione democratica della «base» e la libera creazione culturale. L'organizzazione di comunità si collega al movimento, europeo e internazionale, dei community centues, settlements, centues sociazrx, centri
comunitari, DoutgemeinschafthalIseu:ora ci soffermeremo sulla sua importanza.
Su questo terreno dei contrappesi si finisce
non di rado per commettere errori strategici.
Mondiale o locale, il nostro impegno nell'organizzazione collettiva dell'homo sapiens sapiens non può dimenticare che esso deve considerare ogni uomo come fine e non come mezzo. rispettarne la dignità, non assecondare le
posizioni di privilegio di alcuni a discapito della giustizia per tutti: ebbene, talvolta il federalismo ir,tegrale si è aduggiato in posizioni
corporative; ha previsto la rappresentanza degli interessi, mentre la politica deve mirare a
rappresentare l'interesse generale, che non è
la somma degli interessi particolari - fra i quali in nome di una autentica civiltà giuridica i
più forti vanno osteggiati e non protetti (qui
mi piace ricordare la durissima critica di Silvio Trentin, fondatore del movimento antifascista libérer et fédérer, a Santi Romano) -. I n
altre parole: in ogni atto civile dobbiamo far
come fossimo uomini di governo - di governo per tutti -,sia pure di governo di un quartiere o di un villaggio o di un piccolo gruppo
d i case.
Creare dei contrappesi in un quadro generale federalista non significa coltivare un
micro-nazionalismo sottobanco. Guy Héraud,
amico di Marc (che, fra l'altro, ha scritto la
prefazione al suo volume ~ L ' E u r o p edes Ethnies»), respinge quest'accusa: ma io ritengo la
sua proposta di Regioni monoetniche molto
ambigua e continuo a sostenere quanto si può
ricavare dal volume collettivo dell'AICCRE
(del 1971) «La Regione italiana nella Comunità europea» - una Regione europea di una
dimensione dettata dalla misura ottimale di governo (che conterrà elementi etnico-linguistici,
ma anche economici e sociali, eccetera) -. Al
fondo di questa riserva su Guy Héraud c'è una
questione non secondaria '(pur chiarendo da
parte nostra che Héraud non parla di separatismo nè di autodeterminazione in senso separatistico: ma avanza, ahimè, u n autonomismo, che mi sembra l'anticamera del separatismo). Ora, a questo proposito ho ritrovato in
questi giorni - in una pagina, credo di fine
1944 o inizio '45, dei miei quaderni di prigionia di guerra in India - un lucido giudizio di
Walter Lippmann («U.S. War Aims»).
Wilson - afferma Lippmann - commise
l'errore di identificarsi col principio di autodeterminazione (self-detemination): egli non si
soffermò mai a definire la differenza tra il diritto di auto-determinazione e il diritto di secessione (dimenticando uno dei più grandi
punti fermi costituzionali nella storia degli Stati Uniti). Fare del principio di autodeterminazione la legge suprema della vita internazionale è invitare alla peggiore anarchia.
Soprattutto: il principio di autodeterminazione respinge l'ideale di uno stato entro il quale
diverse genti trovano giustizia e libertà e divengono una comunità (e questo - aggiungiamo noi - vale nel campo regionale non meno
che nel campo nazionale). E ancora Lippmann:
l'autodeterminazione, che non ha nulla a che
fare con l'autogoverno (self-goveunment) ma è
confusa con esso, è barbara e reazionaria:. . .essa invita maggioranze e minoranze a essere intransigenti e irreconciliabili. Lippmann nota
poi che, sulla base dell'autodeterminazione ini-
Questo numero è stato chiuso il 22/2/88
mensile dell'AICCRE
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tel. 6784556 (red.) h795712 (amm.)
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L. 40.000; per Enti L. 150.000. Sostenitore L. 500.000. Benemerito L. 1.000.000
COMUNI D'EUROPA
ziale (oltre a un separatismo giuridico, vorrei
sottolineare io, ci può essere un separatismo
morale, psicologico, ecc.), si apre una autodeterminazione senza fine della società: tra le rninoranze che hanno compiuto la secessione
compaiono altre e altre minoranze, che a loro
volta vorranno andarsene per co,nto loro.
Naturalmente, avendo ben capito cos'è l'autogoverno, sapremo che non solo si distingue
dall'autodeterminazione o dal separatismo, ma
anche dall'autarchia, economica, sociale, culturale, spirituale: è stato intelligentemente affermato in una scuola romana che il federalismo è il governo dell'interdipendenza (degli'
uomini - tutti - fra di loro). Come abbiamo detto all'inizio, diciamo anche nella conclusione: si tratta di articolazioni istituzionali, di strutture differenziate, ma a tutti i livelli ci interessa l'uomo cosmopolitico, cioè l'uomo civile (ricordate Montesquieu? chi antepone sè, la famiglia o la nazione d ' E u r o p a , o
l'Europa al mondo, ecc. ecc.. ..).
Prima di finire c'è tuttavia un punto - e
non secondario - che bisogna toccare: e ci ricolleghiamo ai centri comunitari. Come funziona il regime rappresentativo, anche a livelli minuscoli, in una società complessa? quale
è il rapporto con la società - anzi: con la piccola società locale - della base «organizzata»
di un partito? dopo quale esperienza comunitaria avviene l'adesione a un partito? Insomma, senza farla lunga, prima si chiedevano per
il cittadino i diritti civili e politici (in astratto); poi si cominciarono a esigere i diritti sociali o, se vogliamo dirla diversamente, si chiese per il cittadino che egli avesse una condizione economico-sociale tale da permettergli
di esercitare realmente i suoi diritti civili e politici: ma in realtà questo, specie oggi, non basta. Occorrono «i mezzi stabili» perchè i1 cittadino «prenda parte attiva alla vita locale»,
come recita la terza delle Premesse generali
della nostra «Carta europea delle libertà locali». È un discorso lungo e noi ci limitiamo a
prenderne nota: ma la funzione autentica della libertà implica una organizzazione ad hoc a
disposizione del cittadino, a tutti i livelli. Con
una battuta potremmo dire: prima di finanziare i partiti occorre finanziare gli elettori. Ma
il fatto elettorale non è che il terminale del
meccanismo: la partecipazione attiva alla vita
locale è presa di coscienza, è cultura, è possibilità di autoeducarsi. Certo, non solo localmente. Senza fruizione assicurata di libera formazione politica, di informazione non mistificata e di mezzi stabili per l'autoeducazione
il grande Controllore potrà sempre inquinare
il nostro disegno federalista.
U.S.
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