La Ludoteca INTRODUZIONE

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La Ludoteca INTRODUZIONE
La Ludoteca
INTRODUZIONE
Carta dei principi delle Ludoteche. La Ludoteca è:
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La Ludoteca è un servizio centrato sul gioco, inteso come attività libera, regolata, impegnativa,
autogratificante, di immaginazione fantastica, di arricchimento continuo, fine a se stessa
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La Ludoteca è un centro della cultura ludica che studia, valorizza e propone i giochi e giocattoli di
una volta, di oggi e di domani
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La Ludoteca è un centro ricreativo, educativo, sociale e culturale che opera per realizzare una
migliore qualità della vita infantile
·
La Ludoteca è un servizio con sede fissa che proietta le sue attività su tutto il territorio
·
La Ludoteca è un servizio rivolto, di norma, a bambini da 3 a 14 anni, ma può essere organizzato per
ospitare sia i piccolissimi, sia gli adolescenti, sia gli adulti
·
La Ludoteca è un luogo dove il bambino trova degli adulti, compagni di gioco, che aiutano quando
e' richiesto ed insegnano a progettare e costruire
·
La Ludoteca è un luogo dove il bambino può scegliere il gioco, il giocattolo, i compagni di gioco ed il
tempo da dedicare al gioco
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La Ludoteca è un luogo dove il bambino può scegliere i materiali per la costruzione dei giocattoli
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La Ludoteca è un luogo di studio, raccolta e prestito giochi
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La Ludoteca è un luogo di progettazione. di costruzione giocattoli e prototipi ludici
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La Ludoteca è un centro di controinformazione sui giocattoli
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La Ludoteca è un luogo dove si favorisce la libera espressività creativa
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La Ludoteca è un luogo di incontro tra bambini di età, capacità e condizioni sociali differenti
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La Ludoteca è un luogo di incontro motivato tra generazioni
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La Ludoteca è un luogo dove il genitore può giocare con i propri figli
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“Ludoteca” va inteso come termine che designa un luogo dove vi sia attenzione particolare alla dimensione
ludica, luogo da declinare secondo età, tempo di frequenza, spazi disponibili. E' un luogo dove sono raccolti
giocattoli destinati ad un uso in loco o al prestito.
Anche se le funzioni prioritarie sono quelle di offrire un luogo protetto e stimolante per esperienze di
aggregazione e amicizia e la possibilità di conoscere e utilizzare una grande quantità di giocattoli,
difficilmente a disposizione di un singolo, la ludoteca può essere investita di altri compiti, a seconda del
luogo in cui è inserita, del tipo di utenza a cui è destinata, del servizio a cui fa riferimento.
A partire dalle sue finalità infatti una ludoteca può avere un funzionamento autonomo oppure può essere
inserita in contesti complessi, collegata con altri servizi culturali, ricreativi, scolastici, sociali.
Una “Ludoteca” intesa come tipologia di servizio con funzioni culturali oltre che ricreative, può
rappresentare il circuito di gioco, di stimolo, di coinvolgimento e apprendimento del bambino.
La ludoteca è senz'altro un luogo ove creare e dar spazio alla fantasia, componente fondamentale nella vita
di ogni individuo. Il bisogno di sicurezza dei genitori rispetto ai figli, inteso nel senso di un luogo in cui i
bambini possano ritrovarsi e sperimentare dei percorsi formativi creativi e stimolanti la loro personalità,
che non siano esclusivamente gli oratori delle parrocchie del quartiere di residenza, è uno dei motivi
portanti per cui si sente l'esigenza di rispondere a una tale richiesta. La ludoteca può soddisfare il bisogno
di sicurezza del genitore, ed anche e soprattutto il bisogno di espressività del bambino, che rischia di
rimanere compromesso dalla monotonia e dalla ripetitività delle alternative che sono disponibili:
televisione e videogiochi. Il tempo libero acquista nella nostra società un peso sempre crescente: il
problema risiede nel fatto che il tempo libero del bambino non coincide molto spesso con quello
dell'adulto. Quest'ultimo ritaglia quello che siamo soliti definire come "tempo liberato", nel senso di tempo
liberato dal tempo libero, che sta perdendo sempre più questa aggettivazione, dal momento che il tempo
libero dell'adulto viene spesso impiegato per sopperire agli innumerevoli impegni trascurati nel tempo
trascorso al lavoro. La ludoteca vuole quindi rispondere ai bisogni e alle attese dei genitori che non riescono
a dedicare molto del loro tempo liberato ai figli.
Il fatto che un bambino frequenti sistematicamente una ludoteca può essere un ulteriore elemento di
socializzazione e formazione culturale da affiancare alle tradizionali agenzie, la famiglia o la scuola, poiché si
tratta di strutture attrezzate al cui interno operano figure professionali “altamente” specializzate, che sono
in possesso degli strumenti teorici e pratici per organizzare una giornata piacevole al bambino, per gestire
un gruppo di bambini e per coordinarli in attività da fare insieme.
La ludoteca con funzionamento autonomo è utile nelle situazioni ove scarseggino gli asili nido, per far
svolgere ai bambini tra i 18 mesi ed i 4 anni le prime esperienze di incontro con altri bambini, con ambienti
più grandi, con giochi insoliti e con materiali manipolabili.
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CAPITOLO I
TIPOLOGIE DI LUDOTECA
Centro giochi
E' destinato ad un'unica fascia di utenza, definita e circoscritta.
Può essere organizzato anche per gli anziani di un quartiere, per favorire l'aggregazione e l'attivazione di
interessi. In altre situazioni può essere destinato ai preadoloscenti, un'età delicata, per la quale la famiglia
richiede protezione ed il ragazzo anela all'autonomia.
E' generalmente organizzato nei periodi invernali e autunnali; il centro giochi offre un luogo accogliente e
attrezzato, occasioni di incontro (feste, laboratori a tema), una presenza adulta competente e rassicurante,
ma non prevaricante. Se dotato di giardino strutturato il centro può funzionare a pieno ritmo tutto l'anno
con l'accentuazione dell'aspetto avventuroso e sperimentale o "turistico" durante le vacanze.
Ludoteca semplice
Oltre ad offrire uno spazio ove giocare, così come il centro giochi, la ludoteca mette a disposizione degli
utenti una ricca dotazione di giocattoli per il prestito a casa.
E' un modello molto utile in piccoli centri, ancor meglio all'interno di grandi caseggiati ove la gestione veda
coinvolti anche i genitori oppure in centri ricreativi aziendali, in circoli e club per il tempo libero.
L'organizzazione è quella del centro giochi.
Ludoteca con laboratori
La ludoteca che ha dei laboratori è anche luogo ed occasione per costruire ed inventare direttamente i
propri giocattoli, oppure per "giocare a fare i grandi", sperimentando i loro strumenti più accessibili.
Disporre di laboratori consente di offrire attività e corsi anche a insegnanti, operatori sociali, genitori,
raggiungendo così un ottimale e intensivo utilizzo degli impianti.
Per costruire giochi e giocattoli è fondamentale disporre di un laboratorio/atelier dove si possa lavorare il
legno, la stoffa, la creta, la plastica: materiali base, grezzi o semilavorati che costituiscono la risorsa
fondamentale del giocattolo povero o che hanno caratterizzato i giocattoli nella loro evoluzione
tecnologica.
E' utile offrire più di un laboratorio, ma non è necessario avere attrezzature complesse per la lavorazione
dei materiali; fondamentale è poter realizzare tagli, scomposizioni, assemblaggi a partire da modelli
presenti nel laboratorio.
Per questo è necessario disporre di uno o più locali, attrezzabili con le dotazioni prescelte (per esempio la
fotografia, la grafica, la ceramica, la tessitura, il teatro, la meccanica ecc.), anche per periodi limitati (alcuni
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mesi o un anno), secondo la disponibilità di animatori esperti e/o tecnici esterni e gli interessi temporanei,
esplicitati o indotti, di gruppi di utenti.
Le offerte di luoghi e l'aggregazione devono essere molteplici, per rispondere alle diverse richieste, tenendo
conto di altri servizi e opportunità esistenti, delle loro carenze, delle fasce di utenza scoperte, delle
dimensioni e caratteristiche dei locali a disposizione.
Ludoteca in contesti complessi
Allestire una ludoteca in contesti complessi, annessa ad un altro servizio, risponde ad esigenze di
completamento e arricchimento del servizio stesso. Talvolta può rappresentare lo strumento di attrazione
“chiave” per rendere fruibile un servizio poco frequentato talaltro può rendere più accogliente un servizio
“difficile”.
Le dotazioni possono in qualche caso divenire “tematiche” oppure essere molto caratterizzate per il tipo di
utenza cui verranno rivolte.
Può essere attivato un servizio prestito di giocattoli, per lo più da destinarsi solo all'interno della struttura.
I locali laboratorio possono essere quelli del servizio in cui si inserisce la ludoteca, ma verranno utilizzati
secondo un metodo ed un obiettivo ludico. Riportiamo come esempi le ludoteche annesse a: biblioteche
ragazzi, centri giovanili, scuole dell'obbligo, ospedali, parchi naturali, carceri minorili.
Ludoteca inserita nella biblioteca ragazzi
Si tratta di destinare almeno uno spazio a giochi da tavolo e di potenziare la dotazione, per i più piccoli, di
libri gioco, libri animati, nonché, inserire un teatrino per burattini e un angolo per le narrazioni.
Un settore a parte, a cavallo tra biblioteca e ludoteca, è quello informatico, dove nelle “stazioni
informatiche” si possono preparare raccolte di dischetti e CD con programmi di giochi, grafica e testi da
consultare su tematiche varie. In questo caso si può cominciare a parlare di “mediateche del gioco”.
La raccolta di videocassette, dischetti per computer, CD con testi, musiche, immagini, trasforma la
biblioteca in una mediateca. Un insieme di risorse per realizzare percorsi programmati per sottogruppi, per
esercitazioni e ricerche individuali, da affidare, nella gestione, a insegnanti di area oppure a personale
esterno.
Ludoteche inserite in centro giovanile
La ludoteca in questo caso rappresenta un'offerta aggiuntiva, che rende esplicita la funzione di
divertimento e di animazione del servizio, in chiave moderna, temperando così l'aspetto assistenziale, che
anche involontariamente assumono questi centri.
Ludoteche inserite in una scuola elementare
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La scuola è sempre più un luogo di socializzazione; per molti alunni pendolari o figli unici rappresenta
un'occasione unica di amicizia. Negli ultimi anni essa utilizza metodiche ludiche per numerosi
apprendimenti e per determinare comportamenti socialmente utili. Talvolta è anche l'unico spazio sociale
disponibile per i ragazzi sul territorio. Inoltre i tempi della scuola sono spesso lunghi e pesanti.
La ludoteca inserita nella programmazione scolastica può assumere una funzione importante, come
"laboratorio" e come sintesi ed estensione di alcuni strumenti oggi "sparsi" negli edifici scolastici. Dunque
non solo dove andare a giocare, ma anche deposito per il prestito di giocattoli, giochi didattici, attrezzature
per i giochi di cortile. Può fungere anche da magazzino per attrezzi di laboratori da utilizzare
periodicamente nelle classi.
Ludoteca inserita in un ospedale
I reparti pediatrici nella maggioranza delle cliniche o degli ospedali hanno innalzato l'età dell'utenza, sino ai
14 o 16 anni; i tempi di cura si sono accorciati, fino al sistema di “day hospital”, e le degenze lunghe sono
legate a condizioni di malattia delicate e complesse.
In tutti i casi le forme di assistenza psicologica si sono dimostrate necessarie e utili per i tempi e le qualità
delle guarigioni.
La forma di intervento più adeguata sembra essere quella ludica attraverso giochi, brevi laboratori,
animazioni teatrali, musicali, organizzando vere e proprie ludoteche, stanze di gioco in cui si prestano
giochi, da cui si distribuiscono nelle camere, da cui partono azioni di intrattenimento ad opera di personale
educativo.
Ludoteca inserita in carcere minorile
Il livello di aggressività e le condizioni di solitudine possono venire contrastate e contenute attraverso
interventi ludici, giocando, costruendo, facendo incontrare per un obiettivo non troppo impegnativo e
comunque divertente soggetti diversi.
Mode, aspirazioni, esperienze veicolate dalla televisione possono essere recepite dal gioco e
dall'animazione per costruire speranze, atteggiamenti positivi, presupposti di reinserimento sociale rapido.
Concentrazione, motricità, affettività possono venire attivate e sviluppate utilizzando dotazioni, strumenti,
metodi di una ludoteca.
Ludoteca inserita in un parco naturale
L'approccio ludico e avventuroso per realizzare la sensibilizzazione ambientale, si rivela essere molto
produttivo sul piano degli apprendimenti e sul piano dei comportamenti corretti da acquisire. I bambini di
città non possono sapere come comportarsi in spazi all'aperto senza che glielo si insegni.
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I centri di educazione ambientale possono utilizzare giochi e giocattoli sino a organizzare vere e proprie
“ludoteche verdi”, dotate dell'intera produzione tematica e degli strumenti semplici (industriali o
tradizionali), reperibili sul mercato o ricavabili dalla cultura popolare.
Non esiste quindi un modello unico di ludoteca. Stabilita la tipologia dell'utenza in base ai bisogni
evidenziati sul territorio, si individuerà la qualità dell'intervento.
CAPITOLO II
La figura professionale e il ruolo del ludotecario
I temi che il ludotecario affronta nel corso del suo lavoro sono estremamente ampi, così come i destinatari
delle sue azioni sono tutti i cittadini, sia adulti che bambini. Il ludotecario, però, è l'esperto del gioco, in
quanto il suo specifico è "divertirsi divertendo". Occuparsi di gioco può, senza dubbio, essere interpretato
come occuparsi di effimero, se si tiene conto di una società che ha posto al centro dei propri interessi il
soggetto in grado di produrre, che diviene "oggetto" di addestramento: "spesso, quindi, si tende a
specializzare prima ancora di avere educato".
In una società di questo tipo il bambino è prigioniero di desideri e aspettative che lo prescindono, di
un'ottica custodialistica che gli impedisce di imparare secondo tempi "naturali" e fisiologici, sperimentando
autonomamente se stesso e l'ambiente fisico in cui cresce, che perciò gli resta sconosciuto e gli appare
angosciante. Il gioco allora, in quest'ottica, è un'attività seria, di cui gli studi psicologici hanno chiarito gli
aspetti importanti: "modificazioni della struttura dei rapporti coi coetanei..., funzione socializzatrice,
funzione di trasmissione culturale".
Nella professione del ludotecario rientrano competenze che solo in parte possono coincidere con un
percorso educativo preciso, ma che d'altra parte non possono consistere in un insieme di saperi di tipo
esclusivamente pragmatico - esperienziale. Le più disparate sono le strade attraverso le quali operatori
provenienti dal campo dell'educazione o dell'assistenza sociale hanno iniziato sul campo il proprio tirocinio
come ludotecari. Di modo che risulta difficile formulare o sistematizzare qualunque proposta educativa in
grado di garantire "patenti" di qualità e legittimità valide contro la professionalità che molti si sono costruiti
sul campo: "Le ludoteche sono essenzialmente gestite da una figura professionale polivalente, il
ludotecario, che in mancanza di precisi curricula, non ha uniformità di formazione."
Il ludotecario deve:
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SAPERE
-
competenze culturali sui giochi e sui giocattoli
(caratteristiche e regole);
competenze psicopedagogiche e sociologiche - conoscenza del mercato dei
prodotti.
SAPERE FARE
-
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gestire gruppi di bambini - inventare e costruire giocattoli - proporre i giochi
ed i giocattoli con il giusto approccio (selezionare e proporre giochi per
diversi tipi di utenti, spiegare le regole e dirigere i giochi);
manipolare materiali artistici e costruire giocattoli;
SAPERE ESSERE
-
-
condurre ed indirizzare il gruppo (entrare in empatia), senza togliere al gioco
libertà e spontaneità essere socievoli , di sostegno allo sviluppo educativo del
bambino;
condurre attività di animazione.
Se l'area del cosiddetto "sapere" si caratterizza in un modo relativamente chiaro ed univoco per la
ricorrenza delle discipline psicopedagogiche, già l'area del "saper fare", con il suo comprendere il mercato
dei giocattoli oltreché l'offerta dei giochi, proietta il ludotecario in una dimensione dove l'autoaggiornamento, la ricerca storico-scientifica, la presenza attiva nelle occasioni di dibattito e riflessione
diventano fondamentali.
L'area del "saper essere" infine, con la sua insistenza sulle abilità relazionali, sulla flessibilità e sulla
disponibilità a "saper divenire", proietta la formazione del ludotecario sul primato dell'esperienza e del
tirocinio pratici, cioè su di un tipo di formazione intrinsecamente basato sull'alternanza.
L'esplicitazione delle competenze, come noto, costituisce una delle problematiche più complesse delle
ricerche sulle professioni, tanto più quanto più, come nel nostro caso, le competenze si esercitano
all'interno di contesti organizzativi non rigidamente strutturati, non articolati in funzioni e gerarchie precise
ed in situazioni lavorative fortemente disomogenee ed imprevedibili.
Competenze su giochi e giocattoli
Il ludotecario deve essere un esperto di giochi e di tecniche di gioco, perché il suo utente non si abitui a
consumare in modo acritico il "barattolo-ludoteca", ma ne esca arricchito da nuove capacità di incontro e di
confronto, di ascolto e di comunicazione, con strumenti culturali e competenze che lo rendano
effettivamente capace di partecipare e lo mettano in grado di usare liberamente spontaneità e creatività.
Competenze psicopedagogiche
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Il ludotecario deve possedere specifiche competenze in ordine alle caratteristiche dello sviluppo affettivo e
intellettuale. Se è vero infatti che il bambino non va "ghettizzato" tra coetanei, è anche vero che ogni fase
del processo evolutivo ha specifiche modalità di comportamento ed è caratterizzato da specifiche capacità
di apprendimento.
Ignorarle provocherebbe rifiuti o frustrazioni, conoscerle significa essere a proprio agio nel momento in cui
si propone qualcosa, ed essere a proprio agio si traduce in: "mettere a proprio agio"; avere spazio nella
propria mente per un percorso (che prevede tappe intermedie personali) che non deve essere ottenuto in
tempi prestabiliti (come accade nel mondo della scuola e nelle agenzie educative pomeridiane).Questo
atteggiamento, se da un lato mette al riparo adulto e bambino dalla fretta del bel risultato (con l'angoscia
che ne consegue), proprio per questo evoca, d'altro canto, un'altra competenza necessaria per il
ludotecario: la capacità di osservare. "Il gioco di comunicazione per il bambino e per l'osservatore, il quale,
osservandolo nella fase ludica, può riuscire a capirne i vissuti interni (...). E' evidente... che il lavoro
sistematico di osservazione consente agli educatori di acquisire una capacità di relazione con i singoli
bambini... senza irrigidirsi dietro modelli educativi chiusi, ma a partire dalle concrete situazioni".
Garantendo un certo distacco emotivo, si possono mettere in evidenza aspetti della relazione che sfuggono
quando il coinvolgimento è totale; permettendo la discussione dei casi con gli altri operatori, non si impone
mai una unica linea di lettura; favorendo la verbalizzazione di stati d'animo confusi che il bambino "agisce",
permette a quest'ultimo di introiettare l'idea di un adulto che lo capisce, che non lo lascia solo alle prese
con il suo problema, ma prende i suoi sentimenti cattivi restituendoglieli "bonificati" e perciò più tollerabili;
funzionando per gli operatori, che si confrontano insieme sui singoli casi, da contenitore delle ansie e delle
preoccupazioni, permette che queste ultime siano condivise, rendendole più accettabili.
CAPITOLO III
La ludoteca: il significato sociale,
culturale e pedagogico
Le funzioni prioritarie sono quelle di offrire un luogo protetto e stimolante per esperienze di aggregazione e
amicizia e la possibilità di conoscere e utilizzare una grande quantità di giocattoli, difficilmente a
disposizione di un singolo.
La ludoteca può essere però investita di altri compiti, a seconda del luogo in cui è inserita, del tipo di utenza
a cui è destinata, del servizio a cui fa riferimento.
Non esiste quindi un modello unico di organizzazione.
Ogni ludoteca viene dotata di un regolamento di funzionamento che indica utenti, orari e periodi di
apertura, quali attività vi si svolgono, le modalità del prestito (eventuale) e quelle di iscrizione.
Nel regolamento vengono definiti anche gli obiettivi e i meccanismi di gestione.
Normalmente l'utente, dopo l'iscrizione, ha diritto a scegliere i tempi e i modi di giocare e i compagno di
gioco. Può usufruire del servizio di prestito e partecipare alle attività collaterali che la ludoteca organizza,
tipo laboratori, feste, gite.
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CAPITOLO IV
Creare una ludoteca:
tipologie e sistemi, progettazione e gestione
Normativa di settore
Chi può istituire una ludoteca?
Può essere aperta da un ente locale, gestita in proprio dallo stesso oppure data in appalto ad
un'associazione, o da una cooperativa. Anche imprenditori privati, enti assistenziali, scuole pubbliche
possono istituirla.
Criteri di individuazione dell'edificio
Dal punto di vista organizzativo l'edificio va individuato in base ai seguenti parametri:
·
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centralità rispetto al bacino di utenza che si intende servire;
presenza di spazi aperti di buona qualità
possibilità di facile ampliamento della struttura.
Dal punto di vista edilizio, la scelta va effettuata tenendo conto dei seguenti elementi:
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organizzazione degli spazi facilmente adattabili all'uso previsto
spazi completamente accessibili ai disabili
locali con buona aerazione e luminosità (almeno conformi ai regolamenti igienici sui rapporti
aeroilluminanti).
Dunque:
Le Ludoteche devono essere collocati in edifici a ciò esclusivamente destinati, in possesso della
agibilità/abitabilità, nel rispetto dei Regolamenti Edilizi, Urbanistici, e Igienico–Sanitari. Di norma devono
essere posti al piano terra con spazio scoperto utilizzabile per lo svolgimento di attività esterne. Si deve
prevedere uno spazio minimo di 4 metri per utente e di servizi igienici adeguate alle diverse età. Devono,
altresì, rispettare le norme di cui alla Legge n. 104/1992 relative all'assenza di barriere architettoniche.
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Devono, inoltre, essere inoltre rispettati i requisiti della legge 10/91 relativa al contenimento dei consumi
energetici, della legge 46/90 sulla sicurezza degli impianti e la legge 626/94 relativa alla sicurezza dei luoghi
di lavoro.
Gli altri requisiti strutturali variano di Regione in Regione
Requisiti Professionali:
Il personale che opera nella ludoteca (o nel baby parking) deve essere costituito da operatori in possesso
del diploma di scuola media superiore di maestra d'asilo, o di maturità magistrale, o di assistente o
dirigente di comunità infantili o diplomi equipollenti ovvero di un diploma di scuola media superiore e di un
attestato di formazione professionale per attività socio-educative in favore di minori, riconosciuto dallo
Stato o dalla Regione. Può operare nelle ludoteche anche di personale in possesso del diploma di laurea o
di diploma universitario in materie rientranti nelle scienze della formazione o dell'educazione o in discipline
afferenti la psicologia o i servizi sociali.
Data la competenza regionale in materia di strutture per l’infanzia è necessario fare riferimento alle Leggi
Regionali
Pulizia
E' da effettuarsi una volta al giorno.
Voci di spesa
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progettazione della struttura
programmazione del funzionamento
realizzazione o adeguamento dei locali
acquisto degli arredi
assicurazioni
acquisto dei giocattoli
acquisto di attrezzature e materiali di consumo
acquisto di libri
addestramento del personale
animazioni
pubblicità e informazione
compensi al personale
rinnovo periodico delle dotazioni
approvvigionamento materiali didattici e di consumo
manutenzioni periodiche.
A queste voci vanno aggiunti i costi ordinari di gestione quali riscaldamento, telefono, acqua, raccolta
rifiuti, energia elettrica. L'entità dei costi è legata alla dimensione dei locali, ai tempi di apertura, all'età
dell'utenza.
Voci di entrata:
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quote di iscrizione;
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quote di prestito;
quote per le animazioni e le attività fornite ad altri servizi;
sponsorizzazioni;
contributi di enti locali per progetti socio-educativi;
sottoscrizioni fra gli utenti ed i genitori.
Le seguenti note costituiscono uno strumento per facilitare la progettazione di spazi nuovi o l'adattamento
di locali preesistenti. Sono indicazioni utili scaturite dall'esperienza.
Funzione
Azioni
Denominazione
locale
mq
min./max
Accoglienza/soggiorno
Benvenuto ai bambini
Registrazione utenti e prestiti giochi
informazione agli adulti
atrio/segreteria
20
Accoglienza
conversazioni tra genitori e
informazioni
Saletta
20
Programmazione attività
riunioni del personale
gurdaroba
archivio documentazioni
Segreteria
30
Conservazione
custodia attrezzature di valore
riparazione giochi danneggiati
Magazzino
50
Prestito
esposizione dei giochi secondo
classificazione per età e per funzioni
sala giochi
40/60
Manualità e Ricerca
espressiva
costruzione giocattoli
sperimentazione materiali
utilizzo linguaggi e media per obiettivi
individuali o per la comunità
Laboratori
40/60
Igiene
igiene personale
deposito materiali di pulizia
Bagno
Antibagno
Sgabuzzino
20/30
15/20
6/10
Animazione in interno
svolgimento di grandi giochi, di feste,
di tornei
Salone (o sale
collegabili)
100/200
Gioco in esterno
utilizzo giochi e attrezzature
individuale o in gruppo autogestito
cortile o campo
giochi vicino
2000/4000
Animazione in esterno
Svolgimento di grandi giochi di feste,
di tornei
cortile o campo
giochi vicino
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Da quanto detto fin qui, ne deduciamo che non esiste quindi un modello unico di organizzazione di una
ludoteca.
Ogni ludoteca viene dotata, dunque, di un regolamento di funzionamento che indica utenti, orari e periodi
di apertura, quali attività vi si svolgono, le modalità del prestito (eventuale) e quelle di iscrizione.
Nel regolamento vengono definiti anche gli obiettivi e i meccanismi di gestione.
Normalmente l'utente, dopo l'iscrizione, ha diritto a scegliere i tempi e i modi di giocare e i compagno di
gioco. Può usufruire del servizio di prestito e partecipare alle attività collaterali che la ludoteca organizza,
tipo laboratori, feste, gite.
Il regolamento è utile per far comprendere agli utenti come funziona una ludoteca. E' necessario anche
perché definisce i modi e gli stili del funzionamento.
ESEMPIO DI REGOLAMENTO
Articolo 1
La ludoteca fornisce un servizio (gratuito o a pagamento, secondo le seguenti tariffe...) rivolto a bambini,
ragazzi, adulti provenienti da tutta la città (oppure dalla zona di...)
Articolo 2
Modalità di iscrizione.
I minori, all'atto dell'iscrizione, devono essere accompagnati da un genitore, o da chi ne fa le veci, munito di
documento di riconoscimento;
Articolo 3
La responsabilità dei ludotecari, nei confronti dei minori, è assunta solo all'interno della struttura
(compreso il giardino) e per le attività eventualmente organizzate all'esterno.
Tutti i servizi della ludoteca sono coperti da polizza assicurativa di "responsabilità civile".
Articolo 4
I minori fino ai dieci anni devono essere accompagnati, sia all'entrata che all'uscita, dai genitori; in caso
contrario i genitori devono rilasciare apposita autorizzazione.
Articolo 5
Il prestito e la restituzione dei giocattoli si effettuano soltanto nei giorni stabiliti.
Articolo 6
E' consentito il prestito di un solo giocattolo per volta.
Articolo 7
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La durata massima del prestito è di due settimane. Chi prende in prestito un giocattolo è responsabile della
sua conservazione. In caso di rottura è prevista una sanzione (salto di un turno di prestito, rimborso
parziale o totale, servizio per la ludoteca... o altro).
Articolo 8
Alla scadenza del prestito il giocattolo deve essere restituito. Il ritardo non comunicato comporta la
sospensione per quindici giorni del diritto di prestito.
Articolo 9
La ludoteca ha un comitato di gestione composto da... eletto..., che si riunisce oggi... Compito del comitato
è quello di valutare l'andamento delle attività, formulare proposte, aiutare nello svolgimento delle attività e
nel rapporto con i genitori e le istituzioni.
Articolo 10
La ludoteca convoca l'assemblea degli utenti, cui partecipano i ragazzi dagli otto anni in su, per verificare il
gradimento delle attività e raccogliere desideri e idee.
Questo regolamento, con qualche opportuna variazione, può essere utilizzato anche per il centro giochi.
ANCORA SULLA DOTAZIONE
La produzione di giocattoli è molto ampia ed in costante arricchimento e internazionalizzazione.
Negli ultimi anni sono stati elaborati numerosi sistemi di classificazione, miranti a facilitare l'uso
intenzionale dei giochi da parte degli educatori.
Per avviare una ludoteca, ovviamente, è necessario preparare una dotazione iniziale, cui apportare nel
prosieguo completamenti e ampliamenti, anche attraverso il confronto continuo con frequentanti.
Le dotazioni vanno rapportate all'età, alla quantità di utenza prevedibile, agli spazi disponibili, ma anche
alle finalità culturali che i gestori e gli animatori si propongono.
La dotazione deve essere anche agevolmente gestibile: gli utenti devono accedervi con facilità, potendo
conoscere, scegliere, riporre; gli adulti debbono poter verificare e valutare gusti e frequenze d'utilizzo.
Le sigle con cui sono definiti i raggruppamenti vanno riportate tendenzialmente sulle scatole dei giochi, per
facilitare l'immagazzinamento e l'inventariazione. Le stesse sigle vanno riportate sul supporto degli scaffali,
curando di utilizzare dimensioni ben evidenti.
I giocattoli possono essere suddivisi in semplici (al di sotto dei 7 anni) e complessi (al di sopra dei 7 anni),
segnandolo sulle etichette, oppure differenziandone la collocazione sugli scaffali, se l'ampiezza degli
ambienti lo consente.
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Giochi e giocattoli – Schema per la schedatura e la scelta
Giochi astratti
-A-
(di competizione a tavolino, basati su elementi privi di riferimenti reali)
Giochi astratti di (Esempi: Scacchi, Dama, Shogun)
percorso
ApeGiochi astratti di (Es.: Forza 4, Othello, Trabocchetto)
posizione
ApoGiochi
ambientazione
di
Giochi
costruzione
di
Giochi
costruzione
figure
di
di -CF- (Es.: Lo zoo, Tangram,Origami)
-B-
(basati sul… facciamo finta che… Es.:Bancarella, casetta di bambole con arredi)
-C-
(hanno in comune l’azione del comporre con numerosi pezzi)
Giochi
di
costruzione
-CT- (Es.: Costruzioni in legno, Lego, Meccano)
tridimensionali
Giochi logici
-L-
Giochi
semplici
logici
Giochi
complessi
logici
(predominanza cognitiva, di categorie linguistiche o logiche, con meccanismo
ludico di combinazione)
-LS- (Es.: Domino classico, Lotto delle figure, Lavagna delle relazioni)
-LC- (Es.: Master mind, Scarabeo, Paroliamo)
Giochi
movimento
di
Giochi
movimento
di (Il giocatore è il centro del movimento, l’elemento ludico è l’abilità da
MV- sperimentare e la sensazione di rischio: Pattini, Fresbee, Trampoli)
-M-
Giochi di percorso -P-
(Mezzi di trasporto; il giocatore li muove, simula azioni e ambientazioni: Camion,
Ruspe..)
(plancia con un itinerario da seguire per raggiungere una meta)
Giochi di percorso
-PS- (Es.: Gioco dell’oca, Non ti arrabbiare)
semplici
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Giochi di percorso
-PC- (Es.: Backgammon, Labirinto magico)
complessi
Giochi di riflessi e
-Rabilità
(basati su memoria visiva, rapidità di movimento, coordinazione occhio-mano)
Giochi di riflessi e
-RS- (Es.: Junior memory, Suspense)
abilità semplici
Giochi di riflessi e
-RC- (Es.: Traveller’s memory, Ludus)
abilità complessi
Giochi
simulazione
di
Simulazione
economica
-S-
(da tavolo, che simulano ruoli e ambienti; con regole)
-SE- (Es.: Monopoli, Manager)
Simulazione di di
-SG- (Es.: Risico)
guerra
Simulazione
indagini
di
Simulazione
sportiva
Simulazione
viaggi
-SI-
(Es.: Indovina chi?, Cluedo)
-SS- (Es.: Giro d’Italia)
di
-SV- (ES.: Il giro del mondo, Alaska)
(veri o miniaturizzati, per esempio: ricetrasmittenti, piccolo falegname, macchina
del caffè espresso, macchina fotocgrafica, registratore)
Strumenti
-T-
Giochi affettivi
(giochi di ruolo, di simulazione, di affabulazione, con grande coinvolgimento
affettivo, fondamentalmente bambole e peluche). Si tratta di una categoria che
-AF- la maggior parte dei ludotecari tende ad escludere, per evitare appropriazioni
affettive e tensioni tra bambini, ma che in contesti maturi, o terapeutici, può
rivelarsi necessaria.
Libri e assimilabili
Per questi materiali, sempre più presenti e utilizzati nelle ludoteche, va segnalato che si stanno imponendo
sistemi semplici, tendenzialmente con classificazioni relative agli interessi di quattro fasce d’utenti: i
giovanissimi che ancora non leggono, i bambini delle prime tre classi elementari, i preadolescenti, gli adulti.
15
Tali sistemi riguardano anche i dischi, cd, dischetti, videonastri.
RESPONSABILITA’
La prima responsabilità sull’utilizzo delle attrezzature gioco riguarda il fabbricante (quindi l’importatore e il
distributore) che non ha applicato tutte le cautele per rendere un gioco o un attrezzo sicuro, cioè ha
costruito il pezzo in base a criteri di estetica o di prezzo, senza seguire i canoni della prudenza, diligenza e
conoscenza specifica della normativa vigente.
La seconda responsabilità riguarda coloro che sono incaricati della scelta dei giochi e delle attrezzature.
Questa categoria è formata da persone eterogenee, che con il loro intervento concorrono all’acquisto e
posa in opera dei singoli pezzi.
Le decisioni di ciascuno devono essere esenti da colpa di negligenza, imprudenza e imperizia; per non
incorrere in addebiti di colpa, in casi di infortunio, si dovrà dimostrare di aver tenuto presenti le norme
specifiche e tutti i criteri e le regole di buona tecnica conosciute.
L’organismo installatore ha anche l’onere della conservazione in perfetta efficienza dell’attrezzatura, o
delegare con chiarezza tale onere ad un altro organismo, perché non vi siano incertezze circa le modalità di
intervento per l’ordinaria e la straordinaria manutenzione.
La terza responsabilità riguarda gli educatori nei casi di installazioni in strutture scolastiche, sia per non aver
vigilato sull’uso dell’attrezzo, sia per aver consentito un uso difforme delle regole dell’attrezzo stesso.
Ma a queste responsabilità penali seguono due responsabilità altrettanto significative per il buon esito e
funzionamento di un’area giochi.
Si ritorna a sottolineare che attrezzare un campo giochi vuole dire anche saper scegliere le strutture,
tenendo conto del contesto in cui vengono collocate, sia esso urbano o naturale; vanno rispettati canoni
estetici, per armonizzare il parco giochi con altri arredi urbani, edifici, monumenti; vanno osservati criteri
funzionali per evitare di collocare attrezzature in spazi di pericoloso accesso o vicini ad ambienti inquinati.
E ancora vanno garantite la giocabilità e le funzioni educative, elementi fondamentali per soddisfare
correttamente bisogni e aspettative e per determinare il successo dell’investimento.
La normativa esistente
Attualmente in Italia per la sicurezza dei parchi gioco si fa riferimento alla Direttiva CE 92/59, relativa alla
sicurezza generale dei prodotti.
"In mancanza di norme specifiche si valuta la conformità di un prodotto al requisito generale di sicurezza,
tenendo conto… dei codici di buona condotta in materia di salute e di sicurezza vigenti… ovvero degli ultimi
ritrovati della tecnica, nonché della sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente attendere"
(Direttiva CE 92/59, art.4).
16
E’ in fase di avanzata elaborazione un testo che normalizzerà il settore delle attrezzature dei parchi giochi,
valido per tutti gli stati della Comunità.
Gli incidenti più frequenti
E’ ovvio a tutti che i ragazzi ed i bambini che giocano debbano essere tutelati contro i rischi per la loro
salute e incolumità fisica; la loro imprevedibilità è nota, ma certi rischi, una progettazione attenta ed una
collocazione e manutenzione accurate possono evitarli.
Sappiamo che sono frequenti tagli, ferite, fratture causate da cadute, urti, mancanza di presa, utilizzo dello
stesso attrezzo da parte di bambini di età diversa: scivoli, altalene, castelli, giostre e quanto altro popola le
aree gioco debbono garantire, nei loro particolari costruttivi, distanze, porte, protezioni, pavimentazioni
appropriate.
Misure di prevenzione
Impedire a bambini e ragazzi di giocare e di sperimentare non è un buon sistema di prevenzione.
Il bambino che vive in città non può rinunciare ad imparare l’uso del proprio corpo e non può fare a meno
di scoprire il piacere di correre, saltare, nascondersi, lanciare ecc.
Tutte aspirazioni perfettamente naturali, spontanee, che fanno parte della natura umana.
La convivenza in comunità richiede doti fisiche, psichiche e sociali fra loro integrate ed equilibrate,
acquisibili solo con esperienze qualificate.
Per garantirsi un adeguato livello dei prevenzione bisogna:
·
acquistare e scegliere con attenzione le attrezzature gioco;
·
verificare le attrezzature nelle loro parti e nel loro uso;
·
documentare e analizzare la casistica degli incidenti, evidenziando le dinamiche;
·
monitorare periodicamente l’utilizzo delle strutture per capire se mutano le abilità dei ragazzi e se
l’età dell’utenza varia nel tempo;
·
segnalare, riattare, o rimuovere ciò che si dimostra eccessivamente pericoloso o inutilmente
rischioso.
La sicurezza si garantisce consentendo e sviluppando esperienze adatte alle varie età ed abilità, dove il
tasso di rischio sia previsto, graduato, calcolato e sotto controllo.
Su ogni attrezzo dovrà esserci un cartello indicante data di collocazione, classi di età cui è consentito l’uso,
data dell’ultima verifica.
17
Scheda di accompagnamento di ogni attrezzo, da conservarsi a cura del gestore:
Parte A (compilata dal produttore e dalla ditta fornitrice);
1. denominazione dell’attrezzo;
2. ditta fornitrice;
3. ditta produttrice;
4. funzione educativa e psicomotoria;
5. età d’uso;
6. descrizione dell’attrezzo: materiali di cui le varie parti sono composte e per ciascuna la citazione dei
marchi di sicurezza e delle norme di sicurezza ottemperate;
7. disegno;
8. incompatibilità;
9. orientamento rispetto al sole ed al movimento dei fruitori;
10. pavimentazione;
11. monitoraggio;
12. manutenzioni.
Parte B (compilata dal gestore):
13. luogo di collocazione dell’attrezzo;
14. data di collocazione;
15. date di effettuazione delle verifiche;
16. date delle effettuazioni delle manutenzioni ordinarie e straordinarie;
17. segnalazioni di incidenti: date, descrizioni dinamica, diagnosi;
18. sul fascicolo degli attrezzi va annodata la data della polizza assicurativa.
18
CAPITOLO I
MODELLI TEORICI DI APPRENDIMENTO
Le dimensioni dell'apprendimento.
Le definizioni d'apprendimento elaborate finora sono diverse, complesse e articolate, ma quasi tutte
tendono a mantenere in evidenza la natura processuale e continuativa dell'apprendimento "perché
ha inizio dal livello percettivo e si sviluppa sino al pensiero complesso, ma non è sommatorio: il
soggetto apprende quando intuisce come ristrutturare la situazione problematica, quando ne coglie
le relazioni esssenziali implicite e organizza il proprio campo di esperienza".
In altre parole, l'apprendimento è un progresso che coinvolge la cognitività, la dimensione affettiva,
relazionale, mentale, modivazionale di un soggetto e si snoda per tutto il corso della vita, oltre a ciò,
l'apprendimento produce cambiamenti relativamente permanenti nel soggetto.
Secondo il modello elaborato da J.H.Flavell è stata effettuata una distinzione fra due differenti
generi di conoscenza: la conoscenza dichiarativa e la conoscenza procedurale. Il primo genere
di conoscenza riguarda i dati depositati nella memoria a lungo termine; il secondo genere di
conoscenza riguarda i processi consolidati di un sistema cognitivo.
La conoscenza dichiarativa comprende dati riferibili a un preciso campo del sapere, la
conoscenza procedurale fa riferimento, per esempio, alle procedure seguite per risolvere un
problema.
Al concetto di apprendimento sono anche strettamente correlati quelli di metaconoscenza e di
metapprendimento; la metaconoscenza consiste nella conoscenza dell'azione del conoscere; il
metapprendimento consiste invece nell'apprendere ad apprendere. Metapprendimento e
metaconoscenza sono diverse fra loro, ma sono interconnessi ed entrambi aiutano "gli studenti a
capire come esse apprendono; la conoscenza dell'apprendimento li aiuta a capire come gli uomini
costruiscono via via nuove conoscenze".
Alcune correnti di pensiero
Diverse sono le correnti di pensiero, in campo psicologico, che ha partire dai primi anni del secolo
scorso hanno studiato i processi d'apprendimento.
·
Il comportamentismo;
1
·
Il cognitivismo;
·
Il post- cognitivismo: costruttivismo, contestualismo, culturalismo.
La scienza comportamentista, guidata da Watson e Thorndike, assume come proprio oggetto
d'indagine il comportamento osservabile.
Per gli studiosi del comportamentismo, l'apprendimento appare come una questione di
modificazione nel comportamento osservabile e non come qualcosa che accade all'interno della
mente. L'apprendimento appare, quindi, attuarsi a seguito delle interazioni tra individuo e ambiente
che producono delle modificazioni nel
comportamento del soggetto stesso.
In tale prospettiva, l'apprendimento risulta essere legato al condizionamento stimolo - risposta. E' lo
stimolo ambientale che induce il soggetto a reagire, a modificare il proprio comportamento è quindi
ad acquistare nuovi dati e informazioni.
La scienza cognitiva, a differenza del comportamentismo, sceglie come proprio oggetto di studio e
d'indagine il funzionamento dei processi mentali, considerati non più come qualcosa di non
conoscibile, ma come qualcosa ancora da esplorare.
I processi mentali sono in stretto rapporto con l'apprendimento, lo determinano e lo influenzano. In
altri termini, gli studiosi cognitivisti ritengono che la comprensione del funzionamento dei processi
d'apprendimento dipenda molto dallo studio delle attività cognitive, le quali consentono di ricevere
le informazioni, di trasmetterle e di operare su di esse.
La scienza post - cognitiva, a differenza del cognitivismo che studia la mente "dall'interno"
basandosi sulle rappresentazioni mentali del singolo individuo, studia la mente "dall' esterno",
tenendo conto innanzitutto della forte influenza che i contesti culturali, spaziali, e sociali esercitano
sul funzionamento della mente stessa. Alla corrente di ricerca post - cognitiva appartengono le linee
di pensiero del costruttivismo, del contestualismo e del culturalismo.
Il costruttivismo trova i suoi maggiori riferimenti teorici dell'idea di J. Piaget e nel suo principio di
"costruttivismo genetico" per il quale "il luogo della conoscenza non si situa nè nel soggetto nè
nell'oggetto ma nell'iterazione tra il soggetto e l'oggetto. Nessuno dei due precede l'altro, ma l'uno è
l'altro, incontrandosi, rendono possibili l'emergere della conoscenza."
In tale prospettiva, il soggetto svolge un ruolo attivo di adattamento ai contesti ambientali in cui
apprende egli stessi processi apprenditivi risultano essere processi impegnati nella costruzione del
mondo e delle esperienze. Per J. Piaget è, infatti, la mente del soggetto che organizza il mondo è
l'attività dei processi mentali consiste, principalmente, nel cercare di creare le condizioni ottimali per
intrattenere relazioni adattive con il mondo.
Il contestualismo annovera tra i propri rappresentanti studiosi come J. Lave ed E. Wenger, i quali
ritengono che l'apprendimento si collochi "nel contesto di specifiche forme di copartecipazione
sociale" e "invece di chiedersi quali processi cognitivi e struttture concettuali siano coinvolte, si
2
interrogano sulle forme di partecpipazione sociale che forniscono il contesto approppriato per il
compiersi dell'apprendimento".
In altre parole, l'apprendimento risulta essere un processo che si verifica all'interno di un preciso
contesto storico - culturale e non in una mente individuale come ritenefano i cognitivisti.
Il culturalismo secondo Bruner, i processi di apprendimento si verificano, attraverso l'utilizzazione
di precisi strumenti culturali, chiamati dallo stusìdioso "applificatori culturali" (come la ruota, il
cannocchiale, il linguaggio), che consentono al soggetto di sviluppare e potenziare le proprie
capacità.
La metacognizione
Secondo Flavell, la metacognizione è la conoscenza che un soggetto ha del suo funzionamento
cognitivo e di quello degli altri ed è il modo in cui ne prende conoscenza.
Per A. Brown la metacognizione non consiste soltanto nella conoscenza del funzionamento del
proprio processo cognitivo, ma anche in quell'insieme di meccanismi di regolazione e di controllo
del funzionamento cognitivo stesso.
La metacognizione comprende, pertanto, due componenti fondamentali:
1. La conoscenza metacognitiva.
2. Il processo di controllo.
Il processo di controllo è stato definito da C. Cornoldi come "le operazioni che sovrintendono
all'effettuazione del compito cognitivo", mentre la conoscenza come le "impressioni, intuizioni,
nozioni, sentimenti, autopercezioni ecc., ovvero anche elementi di contenuto.
La conoscenza metacognitiva risulta, quindi, essere una metaconoscenza, in quanto pone il
soggetto nelle condizioni di poter scegliere, predisporre, dirigere ed è stabilmente a disposizione
del soggetto stesso; i processi di controllo sovraintendono, in qualche modo, alle conoscenze
poichè le pianificano ma, dipendono da alcune variabili come il livello motivazionale e il livello di
difficoltà del compito.
Nello svolgimento di attività metacognitive, il soggetto ricorre all'utilizzazione e allo svolgimento di
determinate funzioni che variano a seconda delle fasi dell'apprendimento: prima, durante, e dopo.
Prima dell'azione apprenditiva, il soggetto ricorre alla funzione di pianificazione, che consiste
nell'immaginare come procedere per risolvere un problema, e alla funzione di previsione che, a
sua volta, consiste nello stimare il risultato di una strategia.
Durante l'azione di apprenditiva, il soggetto si dedica alla funzione del ragionamento, cioè riflette
3
sulla modificazione delle strategie, cerca di effettuare una gerarchizzazione delle informazioni, e
tenta di astrarre le informazioni dall'oggetto.
Dopo l'azione apprenditiva, il soggetto svolge le funzioni di controllo (valutazione del risultato
ottenuto in funzione dello scopo, valutazione della strategia, astrazione dell'informazione sul
risultato delle proprie azioni e condotte di risoluzione), di transfer (trasferisce una strategia di
soluzione di problemi da altri problemi della stessa complessità), di generalizzazione (generalizza
una strategia a problemi di complessità differente) di mantenimento: stabilizza la strategia al
momento della ripresa dello stesso problema.
Le ricadute pedagogiche delle attività matacognitive
In ambito pedagogico, il tipo di didattica più congeniale allo sviluppo delle competenze
metacognitive è quella costruttivista, in quanto basata su processi di costruzione attiva di significati,
da parte del soggetto in apprendimento.
La didattica costruttivista tende, inoltre a promuovere percorsi di costruzione di consapevolezza
metacognitiva e di conoscenza di sè.
Tutto questo, però, "comporta un lavoro mentale che coinvolge ed è influenzato dalle caratteristiche
del soggetto in apprendimento, quali personalità, motivazioni, stili di apprendimento, stili di
attribuzione, stili cognitivi.
Tutto ciò significa prestare maggiore attenzione al come e non solo sul cosa, nel processo e non
solo sul prodotto.
In questo modo, i soggetti impegnati nei processi apprenditivi avrebbero la possibilità di riflettere
maggiormente sul "cosa funziona o non ha funzionato", sulla validità delle strategie adottate e
sull'impegno realmente profuso durante l'apprendimento.
Ciò contribuirebbe, certamente, a far acquisire maggiore consapevolezza e fiducia nelle proprie
capacità e a migliorare l'idea che ognuno si costruisce di sé.
Il soggetto, in grado di apprendere, è pertanto colui che sa utilizzare le strategie efficaci
nell'acquisizione e nella memorizzazione delle conoscenze, oltre a conoscere dove e come sarebbe
utile impiegarle.
In altre parole, il soggetto abile nell'apprendimento non solo conosce tutti i metodi e gli strumenti
utili a cui ricorrere, ma è anche in grado di pianificare il proprio tempo di studio, al fine di ottenere
un elevato rendimento.
Le attività metacognitive, favorendo la costruzione di conoscenze sul pensiero, consentono, inoltre,
al soggetto che apprende di individuare il proprio "stile di apprendimento" e di proporsi come
"agente epistemico", impegnato a svolgere un ruolo attivo e consapevole nella costruzione critica
4
delle proprie conoscenze.
In tal modo, i processi apprenditivi non si presentano più come ripetitivi e passivi, ma come processi
pianificati, monitorati e basati sulla comprensione del significato di quanto si apprende.
Il soggetto che apprende diventa, così, autonomo è responsabile nella gestione del proprio
percorso apprenditivo e la salvaguardia di tale autonomia richiede l'uso di percorsi formativi in cui
non si lavori secondo modelli istruttivi, ma si utilizzino procedure che diano luogo a una progressiva
acquisizione autoregolata di competenze.
La riflessione pedagogica viene a indirizzarsi: (a) sul soggetto e sul suo mondo interno; (b) sui
processi dell'apprendere, del conoscere, del pensare, anziché sui prodotti dell'apprendimento della
conoscenza e del pensiero.
In conclusione, la rifflesione pedagogica e didattica, attraverso le attività metacognitive, prende atto
della necessità di favorire nel soggetto un apprendimento attivo, consapevole, significativo e auto regolato.
Apprendimento significativo e auto - regolato
Apprendimento significativo / apprendimento meccanico
Le differenze fra apprendimento significativo e apprendimento meccanico sono state delineate da J.
Novak: il primo favorisce la comprensione, l'organizzazione logica e l'integrazione delle nuove
conoscenze con quelle già presenti nel patrimonio conoscitivo di ogni soggetto; il secondo si basa,
invece, su una semplice memorizzazione delle informazioni senza collegarle alle conoscenze
precedentemente acquisite.
Secondo tale visione, l'apprendimento significativo richiederebbe quindi:
1.
Conoscenze precedenti: colui che apprende deve possedere già delle informazioni a cui
agganciare quelle nuove, perché queste possano essere apprese in modo approfondito;
2. Materiale significativo: le conoscenze da acquisire devono essere rilevanti in rapporto ad altre;
3. Che il soggetto in apprendimento scelga di acquisire le nuove conoscenze in modo significativo,
ovvero devono decidere di mettere in relazione le nuove informazioni con quelle già in possesso.
L'acquisizione e l'organizzazione logica delle conoscenze implica che i concetti di ordine superiore,
cioè i concetti più generali, includano quelli di ordine inferiore, cioè i concetti più specifici e
particolari.
5
In questo modo, il soggetto riesce a dare una struttura reticolare, complessa e articolata al primo
sapere, una struttura alla cui costruzione contribuiscono, in maniera determinante, anche i pensieri,
i sentimenti e le azioni.
L'interazione tra questi ultimi tre elementi viene definita da Novak come "costruttivismo umano" e si
presenta come prerigativa esclusiva degli esseri umani.
Ausbel sottolinea, l'essenziale funzione svolta dalle emozioni nei processi di costruzione della
conoscenza.
La teoria dell'apprendimento significativo di Ausbel si basa sull'associazione dei concetti più
specifici e particolari a concetti più generali già presenti nel patrimonio cognitivo del soggetto e per
sottolineare tale associazione introduce il concetto di assimilatore.
Il concetto di assimilatore svolge la funzione determinante di collegamento tra le nuove
informazioni e quelle acquisite in precedenza.
La teoria di Ausbel prende il nome di teoria dell'apprendimento per assimilazione.
Ausbel attraverso questa teoria sostiene che le informazioni acquisite in modo significativo possono
essere più facilmente ricordate anche perché vengono collocate a quelle già presenti nel proprio
conoscitivo; in caso contrario le funzioni apprese in maniera meccanica e mnemonica possono
essere agevolmente dimenticate e anche il metodo del sovrapprendimento "ripetizione effettuate in
modo ripetitivo e continuativo" non garantisce la conservazione o il richiamo delle conoscenze a
distanza di tempo.
Secondo Ausbel, un livello elevato di apprendimento significativo favorisce anche lo sviluppo della
creatività, perché se l'informazione viene appresa nella propria significatività potrebbe essere
applicata a una varietà di problemi e in contesti differenti.
La teoria di apprendimento significativo Ausbel comprende quattro differenti principi che concorrono
a metterne in luce le difficoltà di acquisizione: la differenziazione progressiva, l'apprendimento
sovraordinato, la conciliazione integrativa, gli organizzatori anticipati.
La differenziazione progressiva consiste nelle modalità d'apprendimento di nuovi contenuti di
conoscenza, i quali oltre a integrarsi e a collegarsi alle conoscenze pregresse di un soggetto,
vengono appresi attraverso esperienze apprenditive accuratamente ordinate in sequenza partendo
da quelli più generali e inclusivi, per poi giungere via via a quelli più specifici e particolareggiati.
Il principio di apprendimento sovraordinato si basa sull'acquisizione di concetti nuovi e inclusivi,
che comprendono due o più concetti già noti.
I principi di differenziazione progressiva e di apprendimento sovraordinato si sottendono e
favoriscono il principio di conciliazione integrativa secondo il quale i concetti che, in un primo
momento appaiono essere contrastanti e contradditori fra loro, a un certo punto divengono collegati
e vengono, facilmente, messi in relazione in modo significativo e creativo.
Gli organizzatori anticipati sono, infine, dei piccoli segmenti didattici di carattere generale che
fungono da ponte di collegamento fra le conoscenze già presenti nel patrimonio conoscitivo di un
6
soggetto e le nuove conoscenze da apprendere.
Apprendimento auto - regolato
Il concetto di apprendimento auto - regolato è strettamente collegato a quello di "senso di efficacia"
espresso da A. Bandura, secondo il quale un soggetto avverte di essere autoefficace in relazione
"alla convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a
gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in modo da raggiungere i risultati
prefissati".
In altre parole, il pensiero di Bandura sottolinea come le convinzioni di efficacia influenzino il modo
in cui il soggetto pensa e trova delle fonti di motivazione personali e conseguentemente agisce.
Il senso di efficacia influenza e in qualche modo determina, quindi, i processi cognitivi, quelli
motivazionali e affettivi di ogni individuo.
Il soggetto in grado di autoregolarsi è, pertanto, capace di "organizzare autonomamente la propria
attività di studio, elaborare personalmente il materiale e sapersi autovalutare, cioè regolare il
proprio livello di preparazione".
A tale proposito, M. Pellerey ha effettuato una distinzione tra il concetto di autoregolazione e
quello di autodeterminazione, intendendo per autoregolazione di capacità del soggetto di
controllare le proprie azioni attraverso la coerenza, la tenuta e l'orientamento dell'azione;
l'autodeterminazione intesa, invece, come la dimensione della scelta, del controllo, di senso e di
valore e dell'intenzionalità dell'azione.
In altri termini l'autoregolazione fa riferimento più alle abilità tattiche e gestionali dell'individuo,
l'autodeterminazione mente, al contrario. in evidenza la componente motivazionale e volitiva.
Le abilità di autoregolazione e di autodeterminazione contribuiscono a sottolineare l'importanza del
ruolo attivo dell'individuo nel processo di apprendimento, un ruolo centrale che è stato più volte
evocato sia in campo pedagogico sia in quello psicologico.
J. Dewey, ha sempre ritenuto essenziale intrecciare il momento teorico con quello pratico, in modo
tale che il "fare" diventasse fondamentale nei processi di apprendimento.
Oltre a ciò, Dewey, nei suoi svariati testi, ha sempre ribadito l'importanza di porre al centro delle
attività di apprendimento il soggetto, con i propri bisogni, le proprie iniziative e aspirazioni, un
soggetto impegnato in attività laboratoriali di vario tipo finalizzate allo sviluppo dell'intelligenza e
della creatività.
Per Freinet, come per Dewey, l'esperienza e il lavoro in comune rappresentano i fondamenti della
pedagogia.
7
Il soggetto è chiamato, quindi, ad apprendere attraverso l'esperienza e attraverso il lavoro con gli
altri.
A tale proposito, Freinet propone come attività scolastica il lavoro di "stamperia", che consente la
creazione di un giornalino di classe, la cooperazione tra gli studenti e la comunicazione verso
l'esterno con le famiglie e con le altre scuole.
Ausbel, ritiene che un apprendimento perché possa essere significativo necessita della disponibilità
e della volontà del soggetto di apprendere i continui di conoscenza non in maniera meccanica e
ripetitiva ma, al contrario, significativa, cioè comprendendo i significati dei concetti interrelandoli e
intrecciandoli fra loro.
Piaget ha ipotizzato un ruolo sempre più forte del soggetto, il quale tende a costruirsi una personale
e peculiare visione e interpretazione della realtà con la interagisce e si confronta.
Alla luce delle ricerche e degli studi effettuati in passato, la psicologia contemporanea tende, quindi,
a considerare il soggetto un individuo attivo, promotore e realizzatore del proprio apprendimento,
impegnato a raggiungere obiettivi desiderabili, e allo stesso tempo si ritiene capace di conseguirli
attraverso l'utilizzazione di appropriate strategie d'apprendimento.
Zimmerman ha cercato di semplificare l'argomento, mettendo in evidenza le tre fasi più importanti
attraverso le quali si manifesta e si sviluppa l'abilità auto - regolativa nei contesti di apprendimento
come anche in quelli professionali: la prima fase consiste nell'elaborazione di un progetto d' azione
che prevede l'integrazione fra le diverse dimensioni del sè e la percezione della situazione da
affrontare;
la
seconda
fase
riguarda,
invece,
la
realizzazione
del
progetto
d'azione
precedentemente elaborato, la quale necessita di particolari processi regolativi e volitivi; la terza
fase si basa, infine, sui procedimenti di riflessione al termine dell'azione, in modo da poter effettuare
valutazioni e rilevare la componente emozionale implicata nell'azione stessa.
In conclusione, il senso di efficacia sempra essere in stretta correlazione, di tipo causale, con le
abilità auto - regolative e in particolare con alcune sottofunzioni dell'aiuto - regolazione come lo
stabilire gli obiettivi; l'autovalutazione; l'automonitoraggio; la pianificazione; e la gestione
del tempo; l'uso di strategie.
Le convinzioni di efficacia influenzano la scelta degli obiettivi che i soggetti si pongono e
sull'impegno che profondono per raggiungerli.
Infatti tanto più elevato è il concetto che i soggetti hanno di se stessi, tanto più gli obiettivi che
individuano diventano delle sfide.
Il senso di efficacia influenza anche le reazioni che i soggetti hanno a seguito delle valutazione
delle proprie prestazioni.
L'automonitoraggio viene, a sua volta, inteso non come una verifica meccanica del proprio
apprendimento, ma piuttosto come un processo in cui le convinzioni sul proprio sè influenzano la
prestazione e il modo in cui l'informazione sulla prestazione viene organizzata.
La pianificazione e la gestione del tempo sono componenti del pensiero anticipatorio, possono
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aiutare i soggetti a predire gli eventi, quindi, a trovare modi per cercare di controllare quelli che li
riguardano.
Il senso di efficacia influenza, infine, anche la capacità di utilizzazione di determinare strategie di
studio da parte degli studenti.
Tanto più elevato infatti, il senso di efficacia di un soggetto, tanto maggiore sarà la sua capacità di
apprendere determinate strategie e di saperle utilizzare nei contesti appropriati.
La capacità di auto - gestire il processo di apprendimento dipende, pertanto, non solo dai livelli e
dalle sensazioni di autostima del soggetto, ma anche dal livello conoscitivo che ogni soggetto ha
riguardo alle proprie caratteristiche nell'apprendimento.
In altri termini, la capacità di auto - regolazione apprenditiva dipende anche molto dalle competenze
metacognitive del soggetto, il quale dovrebbe conoscere non solo il funzionamento del proprio
processo cognitivo, ma anche le variabili del compito da affrontare.
CAPITOLO II
Infanzia e creatività
L'apprendimento in età infantile
Le teorie elaborate nel Novecento fino agli anni Cinquanta hanno, certamente, messo in
discussione un vecchio modo di considerare l'istruzione come passiva e basata sopratutto sulla
memorizzazione meccanica di contenuti di conoscenza.
In questo periodo sorgono "le scuole nuove" e un nuovo modo di considerare l'educazione, non più
passiva ma attiva, un'educazione volta a considerare l'infanzia "un'età pre - intellettuale e pre morale, nella quale i processi cognitivi si intrecciano strettamente all'operare e al dinamismo, anche
motorio oltre che psichico, del fanciullo.
In altre parole, con l'attivismo il fanciullo diviene il protagonista principale del proprio processo
d'apprendimento, all'interno del quale vengono valorizzati "il fare", le attività manuali, il gioco e il
lavoro.
L'autoritarismo e l'intellettualismo vengono messi da parte per far posto alla creatività.
Tra i maggiori teorici dell'attivismo in Italia ricordiamo Maria Montessori fondatrice a Roma nel 1907
della prima "Casa dei bambini", che con il suo "metodo Montessori" cerca, per la prima volta, di
studiare in maniera più sperimentale la natura del fanciullo, ponendo attenzione, soprattutto, alle
attività senso motorie del bambino.
Attività queste ultime che secondo la studiosa potrebbero essere sviluppate sia attraverso esercizi
9
pratici, come vestirsi, lavarsi o mangiare, sia attraverso un materiale didattico organizzato
scientificamente. Per la Montessori era, pertanto, essenziale porre il fanciullo nelle condizioni di
poter lavorare e muoversi liberamente all’interno, però, di un ambiente didattico scientificamente
organizzato, dove si tengono da conto le esigenze fisiche e psichiche del bambino. In altri termini,
la scuola doveva essere progettata a misura del fanciullo, l’arredamento doveva poter essere
maneggiato e spostato autonomamente dal bambino senza l’aiuto dell’adulto, il quale, però, doveva
essere sempre presente sorvegliandolo attentamente. Importante è, inoltre, il concetto della
Montessori sulla “mente assorbente” del fanciullo, una mente dallo straordinario potere di
assimilazione, di comunicazione e partecipazione, ma allo stesso tempo una mente che assorbiva
tutto, il più delle volte, in modo inconscio. La mente del fanciullo, per la studiosa, era estremamente
creativa e questa creatività veniva, spesso, manifestata attraverso il gioco, nel piacere dei racconti
e nella creazione dei materiali.
Rosa Agazzi elaborò, nelle vicinanze di Brescia, un metodo innovatore per la scuola dell’infanzia,
basato, fondamentalmente, sul principio della continuità tra il clima familiare e l’asilo. In questo
modo, l’educatrice finiva per assumere un ruolo molto simile a quello svolto dalla madre.
Inoltre, le attività didattiche dovevano essere libere, non preordinate, attive e dovevano svolgersi in
un ambiente ordinato al cui mantenimento ne erano responsabili in parte gli stessi fanciulli.
La novità del metodo della Agazzi consiste, però, principalmente nel materiale didattico che non
doveva essere preordinato scientificamente, ma al contrario si basava su un insieme di
"cianfrusaglie" che i fanciulli raccoglievano e portavano a scuola e con il quale si finiva con
l'organizzazione e allestire un "museo".
Sempre nel Novecento si afferma il pensiero di un altro eminente rappresentante del mondo
pedagogico: John Dewey che ispirandosi alla corrente di pensiero del pragmatismo ritiene
essenziale collegare i momenti di didattica teorica al quella pratica, alla didattica del "fare",
considerata quale pilastro fondamentale dell'apprendimento; secondo Dewey, la vita del fanciullo
con i propri bisogni e i suoi reali interessi, doveva essere posta al centro dell'interesse scolastico e
dell'attività didattica. In altre parole Dewey riteneva che era compito della scuola porre adeguata
attenzione a quattro interessi fondamentali, quello "per la conservazione o comunicazione", "per
l'indagine o la scoperta delle cose", "per la fabbricazione o la costruzione delle cose" e "per
l'espressione artistica".
Porre l'attenzione su questi quattro interessi significava per la scuola allestire laboratori, spazi per la
creazione artistica e considerare il gioco quale strumento di apprendimento e di didattica.
Dewey, nel considerare il fanciullo un "individuo sociale" in cui interessi erano strettamente collegati
alla vita sociale, riteneva che il compito della scuola doveva essere principalmente quello di aprirsi
alla società.
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Psicologia e processi cognitivi
Un notevole contributo alla conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi è stato offerto
dalla psicologia e in particolare dagli studi condotti da alcuni psicologi come J. Piaget, L.S.
Vygotskij e J.S. Bruner.
Jean Piaget (1971,1972,1973) considera il fanciullo un "organismo" attivo, un soggetto in grado di
adattarsi all'ambiente circostante e capace di apprendere mettendo in atto il processo di
assimilazione e di accomodamento.
Nel momento dell'assimilazione la mente assorbe gli elementi dell'ambiente esterno; in quello
dell'accomodamento, la mente trasforma le proprie strutture a seguito dell'assorbimento di nuovi
contenuti di conoscenza e in questo modo, l'intelligenza procede con il mettere ordine nel bagaglio
di informazioni.
La teoria degli stadi evolutivi di Piaget evidenzia come la maturazione del sistema nervoso sia
determinante per lo sviluppo dell'intelligenza; in altri termini, Piaget riteneva che lo sviluppo
intellettivo del fanciullo dipendesse principalmente dal sistema nervoso, trascurando così l'influenza
esercitata da altri variabili fondamentali come quelle sociali e culturali.
Gli stadi o periodi di sviluppo previsti dallo studioso sono essenzialmente quattro:
·periodo senso - motorio ( dalla nascita a due anni circa ).
·periodo preoperatorio ( dai due ai sette anni circa ).
·periodo operatorio concreto ( dai sette agli undici anni circa ).
·periodo delle operazioni formali ( da undici a quindici anni circa ).
A differenza di Piaget, L.S. Vygotskij pone maggiore attenzione all'ambiente.
Per Vygotskij, lo sviluppo del fanciullo è influenzato dalla cultura di appartenenza e dalla trama dei
rapporti sociali, le funzioni mentali superiori.
Ciò significa che l'apprendimento va dal sociale all'individuale e che il fanciullo cresce attraverso la
vita intellettuale che lo circonda.
La finalità dei processi di insegnamento/apprendimento dovrebbe consistere nell'individuare il livello
attuale e il livello potenziale d'apprendimento del fanciullo, quella che Vygotskij definisce area di
sviluppo prossimale, in modo da svolgere in queel'area intermedia la funzione di scaffolding,cioè di
impalcatura di sostegno finalizzata a favorire e rafforzare l'apprendimento.
Per Bruner, l'apprendimento consiste fondamentalmente nella trasmissione di contenuti di
conoscenza che vengono trasmessi al fanciullo in specifici contesti sociali, come per esempio la
scuola; i "saperi" a cui si riferisce Bruner sono socialmente e culturalmente definiti, "saperi" che il
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bambino acquisisce attraverso le proprie esperienze compiute all'interno del contesto sociale e
culturale di appartenenza.
Secondo lo studioso, i contenuti di ogni disciplina possono essere facilmente trasmessi ai fanciulli, i
quali possono imparare tutto solo se adeguatamente istruiti dagli adulti.
In altre parole, i bambini necessitano di essere adeguatamente motivati all'apprendere, quindi
spetta all'adulto creare le condizioni e le situazioni adatte, al fine di stimolare l'attenzione e la voglia
di imparare del fanciullo.
Nei processi formativi svolgono, pertanto, un ruolo essenziale e non solo la motivazione, ma anche
la conoscenza e il rispetto, da parte dell'insegnante, dei ritmi di apprendimento e degli stili cognitivi
di ciascun bambino, che variano a seconda della fase di sviluppo.
A una prima fase di rappresentazione operativa, in cui il fanciullo impara a conoscere un oggetto in
funzione del suo utilizzo, segue la fase di rappresentazione iconica, basata sulla rappresentazione
concreta degli oggetti, e in fine quella della rappresentazione simbolica in cui un ruolo essenziale
viene svolto dal linguaggio orale e scritto.
Quando il bambino si è adeguatamente sviluppato, le tre fasi della rappresentazione coincidono e a
quel punto, secondo Bruner diventa possibile trasmettere al fanciullo qualsiasi sapere disciplinare,
facendo ricorso ai tre diversi tipi di rappresentazione.
Riguardo all'apprendimento, Bruner lo definisce collaborativo e considera l'intelligenza distribuita,
l'apprendimento è collaborativo poiché si realizza in un spazio "interspichico", cioè in uno spazio
ricco di rapporti interpersonali, all'intermo del quale si elaborano le prime competenze che, in un
secondo momento, vengono trasformate sotto forma di pensiero secondo un percorso logico.
Ogni soggetto, per Bruner, possiede due diverse forme di pensiero: uno paradigmatico, l'altro
narrativo.
Il pensiero paradigmatico consente all'individuo di spiegare, facendo ricorso alle regole della
scienza, gli eventi e le situazioni; il pensiero narrativo consente, invece, di interpretare gli eventi alla
luce delle proprie esperienze e dei propri punti di vista.
Per quanto riguarda, infine l'intelligenza, questa, sembra essere distribuita non nella "testa" del
soggetto, ma è situata in un contesto storico e culturale ed è distribuita negli strumenti culturali e
nelle risorse umane presenti all'interno dello stesso contesto storico.
L'apprendimento, per Bruner, è soprattutto un'attività comunitaria ed è proprio all'interno di
comunità di individui che il bambino vive situazioni cognitive conflittuali che lo inducono a
revisionare le proprie conoscenze, in modo da poter così progredire nei propri livelli
d'apprendimento.
A H. Gardner (1988, 1999) si deve, invece, la teoria delle intelligenze multiple, seconda la quale
esistono diverse tipologie di intelligenza, linguistica, musicale, spaziale, logico - matematica e altre,
ognuna delle quali si potrebbe più o meno sviluppare rispetto alle altre, a seconda del contesto
sociale e culturale del bambino e della sua cultura di appartenenza.
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Gli elevati livelli di competenza in una specifica forma mentis non escludono, però lo sviluppo
anche in altri campi e settori.
Ognuna di queste intelligenze è autonoma delle altre ma, allo stesso tempo, cooperano tutte
insieme, per cui la specificità di ognuna ci sfugge.
A ogni modo, attraverso il gioco o altre attività diventa possibile individuare le abilità deboli e quelle
forti dei fanciulli.
Per questo motivo, Gardner ritiene che l'apprendistato e, in particolare, "i laboratori per le molteplici
intelligenze" siano i luoghi privilegiati dove poter far emergere le propensioni nelle diverse
intelligenze somministrando i contenuti, i metodi e i linguaggi delle molteplici discipline.
La teoria delle intelligenze multiple ha indotto la pedagogia a prendere, maggiormente, atto della
necessità di rafforzare quella che M. Baldacci (1993) chiama istruzione individualizzata, perché ogni
fanciullo possiede non solo i propri ritmi e stili d'apprendimento, ma anche perché ogni fanciullo
possiede potenzialità e abilità differenti.
La creatività nei bambini
Creatività: possibili definizioni
Alcune definizioni sono in parte contrastanti tra di loro, come per esempio quella formulata dai
fattorialisti, secondo il quale la creatività è l'espressione di un insieme di funzioni mentali, e quella
formulata dalla teoria della Gestalt, secondo la quale la creatività non può essere considerata per i
suoi prodotti, ma per i suoi processi che conducono alla realizzazione dei prodotti.
Alla luce dei risultati di alcune ricerche è stato dimostrato che non vi è alcuna correlazione fra
intelligenza e creatività anche se un "certo grado minimale d'intelligenza al di sopra della media è
necessario per l'attuazione delle potenzialità creative.
Ma al di sopra di questo livello critico, il rapporto tra intelligenza e autentica creatività è
approssimativamente zero".
Ciò dimostra che lo sviluppo della creatività dipende molto dall'ambiente sociale e culturale di un
soggetto, dalla motivazione, dai livelli di interesse e dalla capacità del soggetto stesso di conciliare
il pensiero comune con quello originale, in modo da non far apparire il pensiero creativo come
qualcosa di strano e bizzarro.
G. Calvi sostiene che la creatività viene estrinsecata solo dopo l'attraversamento di tre diverse fasi:
la prima è quella della propulsione, in cui sorgono i bisogni e le spinte motivazionali che danno vita
al processo creativo; la seconda fase,definita concezionale, risiede nell'attività del pensiero svolta
non solo nella dimensione del conscio ma anche in quella dell'inconscio; la terza fase quella della
realizzazione, consiste, infine, nel tradurre il pensiero creativo in un prodotto reale e visibile e che
pertanto può essere osservato e considerato come creativo.
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Il potenziale creativo può, quindi svilupparsi solo se il soggetto è spinto da forti leve motivazionali e
se è in grado di conciliare la razionalità con l'emotività e la dimensione dell'incoscio.
Il tentativo di definire il concetto di creatività diventa pertanto, molto difficile, poichè rappresenta un
"processo a cui concorrono molti aspetti dello sviluppo mentale e operativo del soggetto: fra questi
gli aspetti simbolici e rappresentativi, immaginativi, ipotetici, propri della conoscenza e della
dinamica del pensiero".
Gli studi condotti nell'ambito delle conoscenze neurologiche hanno dimostrato che il cervello umano
è formato da due emisferi: quello sinistro in cui risiede la memoria, la logica, l'analisi e tutte le altre
funzioni razionali; quello destro in cui risiedono, invece, le funzioni legate all'estetica, alle immagini,
alle metafore e all'istantaneità.
Il prevalere della razionalità consiste, quindi nell'eccessivo funzionamento dell'emisfero sinistro del
cervello umano, per fare invece, in modo che funzioni anche l'emisfero destro è necessario
sprigionare l'immaginazione, far prevalere l'inconscio, al fine di dare libero sfogo alle potenzialità
creative del soggetto, spesso soggiogate da un eccessivo rigore e razionalità.
Gli ostacoli che impediscono alla creatività di emergere possono dipendere sia dal soggetto stesso,
come per esempio: la paura dell'insuccesso, il timore del cambiamento, l'intolleranza verso il
comportamento giocoso, sia dall'esterno come per esempio: il timore del giudizio degli altri, le
pressioni nel seguire norme ben precise oppure l'omologarsi agli atteggiamenti altrui.
Per quanto concerne, nello specifico, lo sviluppo della creatività in età infantile, una notevole
influenza l'esercitano sia la famiglia sia la scuola.
La famiglia potrebbe, per esempio, favorire lo sviluppo delle potenzialità creative non imponendo
modelli o schemi comportamentali, dando cioè libertà di espressione al fanciullo, in modo tale che
quest'ultimo possa liberamente far maturare la propria personalità e processi cognitivi.
La scuola potrebbe, a sua volta, organizzare attività didattiche basate sulla libera esplorazione,
sull'osservazione e sulla manipolazione degli oggetti, in modo da soddisfare la curiosità cognitiva
del bambino.
Oltre alla selezione dei materiali didattici, la creatività potrebbe essere stimolata attraverso la
creazione di un "ambiente" adeguato "in cui al bambino è consentito di parlare e di formulare
domande, di esprimere anche idee bizzarre, di veder rispettato il suo modo di pensare, anche se
apparentemente contorto e improduttivo".
Creatività e apprendimento
Apprendimento e creatività sono strettamente in relazione, poiché lo sforzo creativo produce
apprendimento.
Alcuni studiosi come Irving Taylor hanno individuato diversi livelli di creatività, i livelli più bassi
possono essere facilmente raggiunti da tutti i soggetti, quelli superiori da pochi di loro: il primo livello
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è quello della creatività espressiva; il secondo della creatività produttiva; il terzo della creatività
inventiva; il quarto della creatività innovativa; il quinto e ultimo livello è quello della creatività di
emersione:
·la creatività espressiva rappresenta il livello più basso, consiste in quella capacità che viene
espressa in modo spontaneo e originale e non necessita di alcuna dote in particolare;
·la creatività produttiva consiste, in particolare nell'età dell'infanzia, nell'esercitare un controllo sul
gioco affinandone le tecniche;
·la creatività inventiva comprende abilità inventive e particolari nel modo di porsi dinanzi a problemi
e situazioni inconsuete;
·la creatività innovativa è presente in pochi soggetti e si manifesta in campo artistico o scientifico.
Il livello di creatività di emersione, raggiunto solo da pochissimi soggetti, consiste infine nella
trasformazione del pensiero creativo in un prodotto scientifico, reale e originale.
A tale proposito, Gardner ricorda che la creatività "è tale in un campo di attività" e non un tratto
generalizzato appartenente a tutte le "intelligenze " di cui il soggetto dispone.
Educare significa, quindi, aiutare il bambino sin dai primi anni di vita, ad acquisire conoscenza della
propria creatività ponendo nelle condizioni di svolgere attività sperimentale, basate sulla
manipolazione degli oggetti.
Solo in un secondo momento, cioè dal secondo anno di vita, il bambino comincia a sviluppare la
sua fantasia e originalità, non accontentandosi più della semplice manipolazione degli oggetti, ma
cominciando così a costruire e a mettere assieme gli oggetti o i blocchi di giochi.
Nei primi anni di vita, il bambino tende, quindi, a osservare e a imitare, solo successivamente cerca
di conciliare l'imitazione con l'originalità e la fantasia.
J. Piaget ( 1973), riguardo agli stadi evolutivi del pensiero, sostiene che il gioco precede la
costruzione logica.
Questo vuol dire che lo sviluppo del pensiero maturo necessita in ogni modo, di un periodo di gioco
e di fantasia collegata agli schemi di pensiero infantile.
Lo sviluppo del pensiero creativo necessita, pertanto, di alcune condizioni dell'autosufficienza,
intesa come autonomia e capacità di indipendenza di giudizio dagli altri;
di un'instancabile attività, intesa come attività di scoperta di studi; dell'interesse, perchè solo se il
soggetto è fortemente interessato a un problema riesce a trovare le giuste soluzioni; del disordine,
che per i soggetti creativi rappresenta il proprio ordine mentale; e infine della specializzazione in un
specifico campo, nel senso che i soggetti dotati di straordinaria creatività tenendo, solitamente, a
concentrare i loro sforzi in una sola direzione.
Secondo il punto di vista pedagogico, la creatività non può, essere appresa, ma può comunque
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essere incoraggiata e stimolata attraverso per esempio adeguate letture è discussioni.
Un modo di incoraggiare e stimolare alla creatività giunge, per esempio, dall'Emilio di
J.J.Rousseau, in particolare dal terzo libro dell'Emilio, opera composta complessivamente da
cinque testi, secondo lo schema genetico della psicologia del tempo.
Nel terzo libro, Rousseau racconta della necessità di preparare Emilio al lavoro di falegname, inteso
come lavoro basato sull'arte e sulle abilità manuali e creative, un'arte la "più dipendente dalla
fortuna e dagli uomini" un'arte che garantisce libertà e dipendenza personale all'interno della
società.
La libertà e in particolare la libertà di pensiero, di fantasia e di immaginazione diventano, quindi,
condizione imprescindibile per garantire lo sviluppo dei livelli più elevati di creatività.
Rousseau ritiene che sia solo attraverso l'esperienza che i fanciulli possono sviluppare il pensiero
critico e creativo, liberandosi dall'autorità del pensiero altrui.
In tal senso, gli elementi predominanti nei processi d'acquisizione delle conoscenze sono, per
Rousseau, lo sforzo e l'errore: lo sforzo consiste nell'impegno che il fanciullo mette nel cercare di
trovare una soluzione immediata e un problema; l'errore, a sua volta, rappresenta un valore
didattico attraverso cui acquisire conoscenza.
A proposito dell'errore Rousseau scrive: "Se sbaglia, lasciatelo fare, non correggete i suoi errori;
aspettate in silenzio che sia in grado di vederli e di correggerli da se, o tutt'al più, in una occasione
favorevole, introducete qualche operazione che glieli faccia sentire".
Un'ulteriore incentivazione alla creatività in ambito educativo proviene dal metodo educativo
proposta dalle sorelle Agazzi.
L'osservazione, l'esplorazione, attraverso il gioco e altre attività di animazione, consentono al
bambino di sviluppare non solo il proprio pensiero e la propria percezione, ma anche di stimolare la
motivazione, l'emozione e la creatività.
Il processo creativo si realizza, quindi, attraverso la mediazione tra le istanze naturali, quelle che
Rosa Agazzi definisce come bisogno di spontaneità, e le convenzioni dettate dal mondo sociale.
A tale proposito, anche Bruner (1976) ricorda che l'operosità delle due mani, quella destra e
sinistra, non si può esplicitare separatamente e singolarmente, poiché la conoscenza significativa è
quella che accetta i contributi della mano sinistra, la quale tiene presente tutto ciò che è impulso,
irrazionalità, tutto ciò che la mano destra non riesce a esprimere.
Le potenzialità creative in età infantile possono essere agevolmente estrinsecate in determinati
ambiti disciplinari come, per esempio quello della musica o del linguaggio. La musica, in quanto
luogo in cui il soggetto può esprimere liberamente la propria indennità e personalità, rappresenta lo
strumento adatto per favorire lo sviluppo di personalità creative.
Attraverso la musica il soggetto genera quella che Bruner definisce "sorpresa produttiva", intesa
come "l'inatteso che colpisce l'osservatore con stupore e meraviglia.
Ma con tale definizione non si intende affatto considerare la sorpresa produttiva come un fatto
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eccezionale o bizzarro; spesso, anzi, è sua caratteristica proprio l'ovvietà.
Attraverso l'ascolto della musica, il fanciullo impara ad assemblare e a trovare un'armonia tra i
diversi elementi contradditori che distinguono la realtà che lo circonda.
In altre prole, la musica consente al bambino di prendere conoscenza di tutte le ambivalenze
tipiche di ogni forma artistica come il razionale e l'irrazionale, in particolare e il globale che
appartengono al pensiero creativo.
Dal punto di vista pedagogico, l'ascolto della musica consente di sviluppare il pensiero creativo,
basato sulla contraddittorietà dell'esistenza, un pensiero che è cosciente delle proprie antinomie,
ma anche allo stesso tempo tende a superarle sul piano operativo e razionale, accettando, al
contempo, di convivere con esse, in quanto facenti parte della vita dell'uomo.
La lingua, a sua volta, "porta i segni della creatività umana, perché è forma, conquistata attraverso
millenni di relazioni tra creatività spontanee codici elaborati per mezzo della quale l'uomo organizza
la comprensione della realtà interiore ed esteriore, ed è strumento idoneo a promuovere l'originalità
umana".
La lingua rappresenta, quindi, lo strumento che consente all'uomo di migliorare se stesso e
all'adulto di costruire un rapporto con il bambino.
In conclusione, la musica, la lingua e il gioco consentono ai fanciulli di esprimere le loro doti di
fantasia e la loro immaginazione, la quale, quest'ultima, non dovrebbe rappresentare il mezzo
attraverso il quale scoprire nuove cose quanto la capacità di individuare nuovi aspetti in ciò che già
esiste ed è già conosciuto.
Come stimolare la creatività
Nel processo d'apprendimento in età infantile, un ruolo determinante lo svolge l'immaginazione,
poiché offre ai fanciulli, sopratutto attraverso il gioco e il movimento la possibilità di sviluppare doti
di destrezza e di controllo muscolare, nonché abilità di concentrazione.
La creatività è ciò che rende, quindi, ogni bambino diverso dagli altri, in quanto diversi e singolari
sono i suoi bisogni, i suoi interessi e le sue abitudini, ma non per questo il bambino deve sentirsi in
difficoltà, anzi spetta, in questi casi, agli insegnanti il compito di supportare il bambino nella sua
diversità, apprezzandone e valorizzando gli aspetti originali.
I metodi per sviluppare la creatività sono, in particolare, rappresentati dal problem solving e dal
brain - storming, metodi questi ultimi che consentono al soggetto di estrinsecare le idee più originali
e più strane, al fine di individuare la soluzione di una situazione problematica.
Un soggetto riesce a risolvere un problema quando è in grado di individuare diverse vie per
raggiungere lo stesso fine e quando è inoltre in grado di adattare le conoscenze già acquisite a
nuove e diverse situazioni.
Il problem solving favorisce lo sviluppo della creatività, poiché coinvolge l'apprendimento mediante
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la scoperta e in questo modo viene a essere stimolata la fantasia e l'immaginazione del soggetto.
esistono due diverse tipologie di approccio al problem solving l'approccio per prova ed errore e
l'approccio in termini di insight.
Il primo tipo di approccio si basa sulla ricerca casuale della soluzione del problema; il secondo
genere di approccio, basato sulla relazione mezzi-fini, prevede, invece, l'utilizzazione e la
trasformazione di un principio precedentemente appreso a una situazione nuova e analoga.
Gli studi sull'insight sono stati, approfonditi e sono stati individuati tre processi diversi:
·codifica selettiva, basata sulla ricerca di informazioni solo utili che possono essere elaborate;
·combinazione selettiva, che consiste nel combinare in modo nuovo gli elementi della soluzione;
·confronto selettivo, che conduce a soluzioni impreviste.
La soluzione di alcuni problemi può, comunque, essere raggiunta sia attraverso il ragionamento che
il soggetto compie individualmente, sia attraverso attività di gruppo.
Il problema affrontato in gruppo consente a ogni soggetto di esprimere liberamente le proprie idee,
arricchendosi in questo modo del confronto e della relazione con gli altri.
Affinchè il problem solving possa consentire il miglior utilizzo della creatività è necessario che
preveda l'attraversamento di alcune fasi:
·capire il problema, chiarificazione del problema;
·generare delle idee, produzione di idee differenti provenienti dal pensiero "flessibili", di idee
innovative provenienti dal pensiero "originale" e di idee dettagliate derivanti dal pensiero
"elaborativo;
·valutare le idee, dopo aver generato diverse opzioni segue la fase dell'analisi e della valutazione
del stesse;
·pianificare l'azione, implementazione e realizzazione dell'idea individuata valida per la soluzione
del problema.
A ogni modo, secondo Popper si può diventare esperti di un problema solo quando si è veramente
interessati al problema stesso e si profonde impegno alla ricerca della soluzione.
A tale proposito, Popper sostiene che vi sono alcuni che avvertono l'urgenza di risolvere un
problema, e per loro diventa qualcosa di reale, come un elemento di disordine che debbono
eliminare.
Il brain - storming, elaborato da Alex Osborn nel 1955, si fonda sull'accantonamento dei giudizi
critici, al fine di generare idee originali e singolari.
Solitamente questa tecnica viene svolta in gruppo, dove ognuno esprime liberamente le proprie
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idee ad alta voce e in modo confuso, senza timore di essere giudicato.
In questo modo, ogni soggetto esprime il proprio pensiero e il confronto fra i diversi pensieri induce
il gruppo a pensare in modo maggiormente divergente.
Il brain - storming rappresenta, quindi, una tecnica utilizzata all'interno del problem solving,
considerata valida per la ricerca di una soluzione valida e originale al problema.
Prima di acquisire le capacità di soluzione di un problema, il fanciullo sviluppo le competenze
linguistiche e comunicative attraverso il gioco.
Gioco e linguaggio
Si ritiene che la competenza linguistica sia una componente fondamentale della competenza
comunicativa.
In altre parole, la competenza comunicativa e quella linguistica sono in relazione fra loro, ma la
prima prevale sulla seconda, poiché sin dai primi mesi di vita il bambino apprende le forme di
comunicazione prelinguistiche, che in seguito si tramutano in forme di comunicazione linguistiche,
all'interno dei propri contesti familiari.
Un notevole riconoscimento per la comprensione dello sviluppo linguistico del bambino si deve alla
teoria semantico - generativa di Parisi e Antinucci, i quali hanno individuato due fasi fondamentali
dello sviluppo, la prima in cui il bambino mostra intenzioni comunicative nella descrizione di una
situazione; la seconda, in cui il fanciullo dimostra di aver sviluppato le proprie capacità cognitive e
linguistiche.
Piaget mette in stretta relazione il linguaggio con lo sviluppo del pensiero, sostenendo che il
pensiero si estrinseca attraverso il linguaggio.
Secondo Piaget, la comparsa del linguaggio si verifica dopo il superamento dell'intelligenza
sensomotoria.
In questo modo, il linguaggio rappresenta uno dei fattori mentali che, insieme al gioco e
all'imitazione, favorisce lo sviluppo dell'attività rappresentativa o di simbolizzazione (Flavell, 1971).
Dagli studi di Piaget è emerso che esistono due diverse forme di linguaggio utilizzate dai bambini: il
linguaggio egocentrico e il linguaggio socializzato.
Il linguaggio egocentrico non è finalizzato alla comunicazione, in quanto il fanciullo nell'usarlo non si
preoccupa che l'interlocutore possa non comprenderlo.
Il linguaggio socializzato è, invece, finalizzato alla comunicazione, poiché il bambino mostra
interesse nei confronti dell'interlocutore e ricerca con lui uno scambio.
Le due forme di linguaggio riflettono due diverse tipologie di pensiero che si sviluppano in età e
periodi differenti.
Il linguaggio egocentrico corrisponde, secondo Piaget, al pensiero infantile, a quando nel bambino
prevale un forte egocentrismo intellettuale.
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Un assorbimento dell'Io nelle cose e nel gruppo sociale attribuisce loro, oltre i loro caratteri
oggettivi, qualità che provengono dal suo proprio Io.
Quando il bambino super il periodo dell'egocentrismo inizia a prendere conoscenza di sé come
soggetto distinto da ciò che lo circonda e da questo momento comincia ad affiorare il linguaggio
socializzato.
Per Vygotskij lo sviluppo del linguaggio segue, invece, un percorso inverso, affondando le sue
origini nel contesto sociale.
Il linguaggio egocentrico rappresenta, quindi, per lo studioso sovietico uno studio di transizione nel
passaggio dal linguaggio sociale a quello interiore.
Fino a sei anni di vita, il bambino esprime le proprie operazioni mentali attraverso il linguaggio
egocentrico, giunto in età scolare sostituisce, invece, il linguaggio egocentrico con quello interiore,
cioè tende a risolvere i problemi ma non comunica agli altri gli ostacoli incontrati.
Per Vygotskij il pensiero e il linguaggio svolgono sue funzioni differenti.
Secondo lo studioso sovietico, nei primi mesi di vita del bambino sono presenti due differenti e
autonome forme di pensiero quello preverbale e il pensiero prelogico.
Tra i 18 - 24 mesi, questi ultimi due pensieri convengono formando, così, da un lato il pensiero
verbale e dall'altro il pensiero razionale, supportandosi a vicenda.
Secondo Bruner, il fanciullo tende, ad acquisire gli altri linguaggi significativi alll'interno della propria
cultura e ogni apprendimento sia quello del linguaggio sia quello degli schemi sensomotori si
realizzano in un contesto strutturato e organizzato dall'adulto (Bruner, 1978).
Il rapporto madre - bambino riveste, per lo studioso, un ruolo determinante, perché è proprio
attraverso la madre e l'attività il gioco che il fanciullo apprende il linguaggio.
L'adulto, a sua volta, tenta di interpretare le espressioni spontanee del bambino, cercando di
attribuire a queste un significato.
A tale proposito, lo studioso individua due forme di interpretazione del comportamento del bambino:
la prima vede la madre intenta a cogliere un'intenzione del fanciullo nel cercare di compiere
un'azione, cercando di aiutarlo e sostenerlo; la seconda consiste nell'attenzione che la madre
rivolge verso il bambino, seguendo il suo sguardo, cercando così di capire il suo centro
d'attenzione.
In altre parole, la madre e il fanciullo svolgono un gioco di scambio che si basa sul "dare e avere";
in un primo momento, la madre svolge il ruolo di agente dell'azione e il bambino il ruolo di
recipiente, in quanto è la madre che agisce porgendo, per esempio, al bambino degli oggetti e il
bambino subisce l'azione; in un secondo momento, i ruoli si invertono e il bambino da essere
recipiente diventa agente dell'azione, cioè colui che dirige l'azione stessa.
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Gioco e narrazione
La competenza narrativa
Le esperienze precoci di lettura stimolano nel fanciullo la motivazione a leggere in questo modo il
bambino acquisisce, pian piano, le competenze necessarie per diventare un buon lettore, abilità già
in parte utilizzate per leggere libri di figure.
La narrazione di esperienze di vita, di libri letti o di racconti ascoltati favorisce nel bambino dei
cambiamenti sia interni relativi all'acquisizione di abilità nella costruzione delle conoscenze, sia
esterni basati sull'acquisizione delle capacità di interazione sociale.
L'acquisizione di tali abilità sono stati ampiamente sottolineate da J. Bruner, secondo il quale la
lettura effettuata da un adulto al bambino contribuisce a sviluppare l'acquisizione del linguaggio e
delle regole di interazione, poiché prevede l'alternanza dei turni e la reciprocità.
In tal senso, la lettura acquisisce maggiore utilità non solo quando viene effettuata da un adulto al
fanciullo, ma anche quando avviene tra pari, cioè tra bambini e coetanei.
La lettura tra pari rappresenta, infatti, una via importante di scoperta nel rapporto con gli oggetti, in
quanto il bambino compie processi al punto di vista cognitivo, nonché osservando e imitando le
azioni di un compagno.
Oltre a ciò, l'attività di lettura induce il fanciullo in un coinvolgimento nella realtà fantastica,
consentendogli, inoltre, di confrontare le proprie conoscenze con gli altri punti di vista e di provare
emozioni suscitate dalle vicende raccontate "Lavorato, 2000).
La lettura tra pari consente anche al fanciullo di confrontarsi con gli altri e di prendere, così, atto
dell'esistenza di bisogni e interessi differenti dai propri punti.
In altre parole, attraverso la lettura tra pari il bimbo riesce a cogliere il pensiero dell'altro che è
diverso dal proprio, allo stesso tempo, impara a rispettarlo.
I bambini imparano l'arte del racconto sin da quando sono molto piccoli, si pensi, per esempio al
modo in cui sono capaci di raccontare storie per discolparsi, adulare o ingannare.
Sembra quasi che le storie facciano parte della vita dell'uomo, visto che lo stesso Bruner sostiene
che vi sia una predisposizione innata negli esseri umani a organizzare il pensiero in forma di
narrazione.
Il pensiero narrativo esprimendo i valori, le credenze e le finalità degli esseri umani risulta, essere
fortemente radicato al contesto culturale.
Il bambino, attraverso le narrazioni costruisce le sue conoscenze sulla realtà sociale e la propria
identità individuale.
Il racconto degli eventi personali finiscono, così, con il costituire l'autobiografia del bambino, il modo
in cui si presenta agli altri, e le diverse interpretazioni di ciascun avvenimento elaborate da persone
diverse contribuiscono a riflettere le immagini di sé viste dagli altri in e a confrontare se stesso con il
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resto del mondo (Smorti, 1997). Inoltre, è proprio attraverso le narrazioni che il bambino acquisisce
il linguaggio di cui impara a servirsi per comunicare.
Secondo del tipo di episodio che si racconta esistono diversi generi narrativi (Baumgartner e
Devescovi, 2001): gli script, le narrazioni di esperienze personali, il racconto di storie di fantasia.
·Gli script consistono in narrazioni di azioni di routine e sono resoconti di esperienze personali, in
cui gli avvenimenti vengono raccontati secondo un corretto ordine cronologico.
·Le narrazioni di esperienze personali si basano, a loro volta, sul ricordo di esperienze singolari
riguardanti persone specifiche e che si sono realizzate in un preciso modo.
Il genere di conoscenze presenti nei due diversi generi narrativi sono differenti, poiché negli script
le conoscenze sono di tipo generale, mentre nelle narrazioni di esperienze personali sono
episodiche e specifiche.
Queste due diverse conoscenze sono, però, tra loro collegate, in quanto nelle narrazioni personali
sono anche presenti informazioni di carattere generale.
·Il racconto di storie di fantasia rappresenta, infine, un'abilità più complessa che il bambino
acquisisce nel corso del suo sviluppo.
La complessità di tale abilità consiste nel possedere diverse conoscenze e capacità come quella di
fare riferimento ai luoghi, durante la narrazione, oppure quella di riferirsi a personaggi e tempi che
non hanno alcuna relazione con la realtà.
Alcuni studiosi hanno individuato cinque elementi fondamentali che sono alla base di una storia.
1. L'inizio formale e l'introduzione nel contesto e dei personaggi;
2. L'evento iniziale che spinge il protagonista a prefiggersi il raggiungimento di uno scopo;
3. I tentativi dei personaggi di raggiungere uno scopo;
4. La risoluzione del problema o il raggiungimento dello scopo;
5. Le conseguenze e la conclusione, che spesso anch'essa è formale.
Il linguaggio utilizzato nel racconto di storie di fantasie è di solito decontestualizzato, poiché non si
appoggia ad alcun oggetto o azione concreta.
Qualsiasi tipologia di narrazione si basa, comunque, sulla rievocazione degli eventi: "il bambino
percepisce e partecipa agli eventi e costruisce delle rappresentazioni mentali relative alle azioni,
agli agenti e agli oggetti qualificanti, oltre che alle relazioni spaziali e temporali tra essi".
Il bambino acquisisce la capacità di rappresentazione sin dai primi anni di vita, riuscendo infatti a
imitare durante un gioco simbolico le sequenze di azioni familiari secondo un ordine cronologico.
In conclusione le abilità narrative dei bambini variano a seconda del genere di narrazione in cui si
imbattono, dei contenuti della storia e delle situazioni in cui la storia viene narrata.
22
Diversi testi e generi di lettura
E' essenziale che i ragazzi acquisiscano, in breve tempo le abilità necessarie richieste nella lettura
competente come, per esempio, l'attivazione di processi di comprensione, di memoria, di analisi e
di sintesi.
L'acquisizione di tali abilità porrà il lettore nelle condizioni di saper individuare i motivi e gli scopi
della propria lettura e a seconda degli scopi saprà utilizzare le strategie adeguate.
Gli scopi di lettura possono essere diversi, si può leggere per acquisire conoscenze specifiche su
un particolare argomento, per svago o, anche per avere precise informazioni.
A ogni modo solo quando il bambino assiste e partecipa a differenti modi di usare un testo riesce a
costruirsi una propria idea e visione della lettura. Le letture più utilizzate con i bambini sono quelli
fatte ad alta voce e quelle fatte su testi illustrati, di figure.
La lettura ad alta voce fatta, solitamente, dall'adulto al bambino si basa su una socialità condivisa,
cioè due o più persone condividono il significato di quanto viene letto.
Attraverso questo genere di lettura vengono sfogliate le pagine del libro e "la mano, l'occhio e la
parola agiscono insieme per cogliere gli elementi di senso che permettono al giovanissimo lettore di
costruire un suo percorso conoscitivo".
La voce svolge un ruolo importante nella lettura, poiché l'accompagna sempre sia nella
comprensione dei testi illustrati, sia in quelli in cui ci sono storie scritte, intrecci di personaggi.
E' sempre la voce che consente di cogliere la sintassi del racconto, il ritmo della scrittura del testo e
l'articolazione della storia.
Non "esiste (quindi), nessun'altra procedura efficace quanto la lettura a viva voce.
La lettura ad alta voce consente, pertanto, al fanciullo di sviluppare abilità cognitive sopratutto se a
una prima lettura ne segue una seconda, che aiuta il bambino a vocalizzare maggiormente le
conoscenze acquisite, a integrarle, verificarle e completarle.
Per poter cogliere i significati di quanto gli viene letto, il bambino ha bisogno di un tempo lento,
necessita, in altri termini, di avere tutto il tempo a disposizione per poter appagare la propria
curiosità e le proprie emozioni.
Nel momento in cui il bambino permane nel mondo narrato e fantastico, l'adulto risponde alle sue
domande, lo aiuta a capire e rilegge alcune parti e frammenti quando il bimbo lo richiede.
Le strategie di cui l'adulto può servirsi per rendere comprensibile al bambino quanto viene letto si
possono sintetizzare in alcune tappe:
·illustrazione sintetica dei contenuti del libro, l'anticipazione degli argomenti di cui tratta il libro che
ci si accinge a leggere consente agli ascoltatori di attivare le proprie preconoscenze;
·lettura ad alta voce, è il momento in cui il libro prende corpo e il lettore, attraverso la propria voce,
comunica le intenzioni dell'autore;
23
·dopo - lettura, è il momento della rilettura al testo che viene richiesta dal bambino per soddisfare le
proprie curiosità e per vedere se un tono diverso di voce possa generare una diversa
interpretazione di quanto letto.
Compito della pedagogia sarebbe quello di proporre ai bambini l'attività di lettura come qualcosa
che produce e procura piacere.
La lettura ad alta voce riguarda, quindi, sia i testi scritti, sia quelli raffigurati, ma in particolare la
lettura di un libro illustrato rappresenta per il bambino un gioco (Bruner) e una situazione
comunicativa al l'interno della quale vengono condivisi alcune conoscenze.
Bambino e adulto osservano insieme un libro illustrato e il gioco consiste nel girare assieme le
pagine, dando dei nomi alle figure e ai personaggi rappresentati.
Secondo Lucia Lumbelli, il bambino per essere adeguatamente stimolato alla lettura e per acquisire
le capacità linguistiche e semiotico - cognitive dovrebbe essere lui stesso artefice della sua lettura e
non solo ascoltatore.
Innanzitutto, l'insegnante dovrebbe lasciare che il bambino legga da solo il testo di figure,
limitandosi ad assecondarlo e a supportarlo soltanto nei suoi tentativi interpretativi.
Affinché il bambino possa, acquisire le abilità argomentative dovrebbe eseguire alcune fasi e
procedure ben precise durante la lettura del testo illustrato: la fase del riconoscimento di oggetti e
personaggi, quella in cui il bambino è chiamato a far ricorso alle proprie preconoscenze e alla sua
"memoria di lavoro" costituita dalle immagini viste in precedenza; la fase del riconoscimento del
movimento che il disegno suggerisce e successivamente del riconoscimento dell'azione che quel
movimento segnala; la fase del riconoscimento della relazione spaziale, in cui si cercano le
relazioni, per esempio, fra gli oggetti e i luoghi; la fase del riconoscimento della successione
temporale degli eventi raffigurati; e infine la fase della consequenzialità, in cui il bambino riesce a
cogliere non solo i legami successivi, ma anche quelli causali.
Con i bambini piccoli, e in particolare con quelli delle prime classi elementari, sarebbe, però,
opportuno non limitarsi soltanto alla lettura del testo, ma anche svolgere attività di laboratorio, in cui
all'attività teorica si associa quella pratica, facendo lavorare i bambini sulle storie.
24
“Il Dado Magico” A.S.D.
Associazione Nazionale di Promozione Sociale
e Solidarietà Familiare
Ente di Formazione Professionale
via Piave n. 24 – 98071 Capo d’Orlando (ME)
La “Forma…Azione” Ludica
Il gioco è un'attività che può possedere una funzione ricreativa, una educativa, una biologica ed una
sociale. Giocare è una delle attività che accomuna tutto il genere umano: pur con forme e modalità
diversissime la componente ludica è presente in tutte le culture.
Il gioco è da sempre stato oggetto di studio di tantissime discipline (filosofia, scienze
etnoantropologiche, psicologia, sociologia, etc.) che spesso arrivano a conclusioni anche molto
distanti, probabilmente a causa della sua intrinseca polisemicità, ma tutte riconoscono al gioco la
"gratuità", il fatto cioè di esulare da necessità puramente pratiche, senza per questo voler sminuire la
funzione dell'atteggiamento ludico nel processo di formazione. Ma è la psicologia che più di ogni
altra disciplina ha visto nel gioco il protagonista dello sviluppo psico-cognitivo, psico-motorio e
soprattutto della personalità del bambino. Per molto tempo si sono contrapposte sull'argomento due
teorie praticamente opposte: quella del "post-esercizio", per cui l'attività ludica servirebbe a
ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e quella del "pre-esercizio", che vede il gioco
come momento propedeutico alla vita adulta.
Il Gioco è anche affrontato, in maniera puntuale, anche da Jean Piaget, il quale riconosce ad esso
una funzione centrale nello sviluppo tanto della sfera cognitiva quanto della personalità. L’attività
ludica, infatti, sostiene la funzione simbolica: giocando, il bambino si confronta con una realtà
immaginaria che conserva una relazione con la realtà effettiva ma allo stesso tempo se ne distacca;
tramite il gioco, inoltre, i bambini fanno pratica di un’attività mentale che consiste nel creare simboli
per evocare eventi o situazioni non presenti nella realtà.
Tutto ciò è possibile in quanto il gioco è governato dal processo detto assimilazione, attraverso il
quale il bambino adatta e trasforma la realtà esterna in funzione delle proprie motivazioni e del
proprio mondo interno.
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Un ulteriore affinamento dell'interpretazione dell'attività ludica viene dallo psicologo russo Lev
Vygotskij, che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del
ragazzo,
non
solo
cognitiva
come
in
Piaget,
rivolgendo
pertanto
la
propria
attenzione anche agli affetti, alle motivazioni e alle circostanze interpersonali. Vygotskji critica
anche le visioni del gioco come attività non finalistica e non produttiva, in quanto, seppur atto
totalmente gratuito, costituisce un eccezionale elemento di crescita e di definizione della struttura di
personalità in tutti i suoi aspetti. Il gioco, per l’autore, si colloca nell’ambito del possibile, quindi
apre una Zona di sviluppo prossimale. Giocando, ogni bambino “si comporta sempre al di sopra
del suo comportamento quotidiano” perché “il gioco contiene tutte le tendenze evolutive in forma
condensata ed è esso stesso una fonte principale di sviluppo”. Il gioco, pertanto, rappresenta
un’importante fase di transizione nel processo di separazione del significato dall’oggetto reale.
Si creano infatti nuovi rapporti tra le situazioni nel pensiero e le situazioni della realtà1. Parlando di
gioco, è doveroso un rimando al pensiero di Winnicott, il quale vede nell’attività ludica la situazione
in cui massimamente può esprimersi creatività e, di conseguenza, un momento fondamentale per
l’affermazione del proprio essere. Si possono osservare bambini “perduti” nel gioco: lo spaziotempo del giocare può essere infatti definita come “un’area che non può essere facilmente lasciata
e che non ammette intrusioni”; esso rappresenta infatti, come la creatività e la cultura, il momento
e lo spazio nei quali poter cercare le risposte ai propri interrogativi. Ci si muove in un particolare
campo di esperienza, quello dell’illusione, né completamente reale (esterno), né completamente
immaginario (interno). Proprio per questo motivo, il gioco costituisce un esercizio di controllo sul
reale, e un importante fattore di sviluppo, perché strettamente connesso all’esperienza culturale e
alla creatività nel senso più esteso del termine2. Questa breve introduzione si rende necessaria per
evidenziare come sapere di gioco e saper giocare non sempre si equivalgono e, quindi, riuscire a
giocare, intendendo il gioco nell’accezione di attività libera e afinalistica, altamente creativa e
indispensabile nella vita di ognuno, come affermava anche Winnicott, significa ritrovare il contatto
con la parte bambina di noi, con quell’area che nessuno dovrebbe mai perdere, ma significa al
contempo, riuscire a cogliere, con la maturità e l’esperienza derivanti dall’età adulta, le peculiarità
dell’attività ludica, le sue regole, i suoi ambiti di applicazione, la specificità del gioco, attuabile in
maniera diversa nei vari contesti e situazioni, riuscendo, quindi, a coglierne la valenza di strumento
di crescita, di stimolazione e, a volte, di “guarigione”.
Pensare al gioco stimola in maniera quasi automatica un rimando alle strutture più tipicamente
centrate sull’attività Ludica: le Ludoteche. Occuparsi di Ludoteca richiede riflessioni e conoscenze a
grandi livelli. Chi lavora in ludoteca deve possedere indubbiamente capacità individuali sulle
1
2
L. Camaioni, P. Di Blasio, Psicologia dello Sviluppo, Ed. Il Mulino, 2002
D. W. Winnicott, “Gioco e realtà”, Armando Editore
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tecniche di progettazione e di realizzazione di diversa natura: giochi, attività, laboratori artistici, ed
in particolare sulle tecniche di costruzione di giocattoli. La ludoteca è anche il posto delle creazioni,
delle invenzioni, ed è per questo che nel suo interno esiste il “laboratorio”. Quest’ultimo, con le sue
molteplici attività, richiede al Ludotecario specifiche competenze: artistiche, artigianali, costruttive,
ecc. Occorre quindi, un impegno educativo legato concretamente al “fare”, una prassi didattica che
traduca in termini operativi l’intervento pur senza perdere di vista gli obiettivi e le finalità.
Entrando nei particolari, per poter lavorare in laboratorio il Ludotecario deve:
-
Conoscere i materiali,
-
Conoscere le attrezzature,
-
Conoscere le tecniche,
-
Saper costruire i giocattoli,
-
Saper riparare i giocattoli,
-
Conoscere l’evoluzione del costruire infantile,
-
Usare un linguaggio appropriato,
-
Fare uso del proprio vissuto ludico,
-
Acquisire conoscenza psicopedagogica,
-
Saper osservare,
proprio in virtù della richiesta di qualificazione professionale del Ludotecario ed in generale
dell’educatore familiare, che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento”
che miri a promuoverne una nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale.
Moltissimi sono gli operatori Ludotecari incaricati di gestire le ludoteche italiane sorte in questi
ultimi anni. Questi operatori sono divenuti, di fatto, una categoria. Non possiamo ignorare la
condizione sociale dei centinaia di Ludotecari italiani che da anni si impegnano con sacrificio per
affermare il diritto al gioco di bambini e ragazzi prodigandosi per la tutela della qualità del gioco
infantile e delle risorse ludiche e culturali.
Relativamente alla Sicilia, grazie ad una ricerca svolta dall’Associazione “Il Dado Magico” A.S.D.
(www.ildadomagico.it) e correlata ad una cospicua raccolta di dati significativi sulla presenza di
ludoteche sul territorio regionale, emerge una grave carenza di strutture e personale qualificato.
In Sicilia ad oggi esiste una grave incongruenza relativamente alla formazione ed alla
professionalizzazione del Ludotecario, figura formata attraverso la frequenza ed il superamento di
un apposito esame, presso i Corsi Regionali finanziati dai FSE. Il percorso in termini teorici segue il
normale iter della “formazione professionale”, ma quello che risulta assolutamente irragionevole è
l’aspetto correlato all’attività di stage, ovvero l’applicazione pratica alla formazione. Infatti, come
emerge dalla ricerca svolta dall’Associazione “Il Dado Magico”A.S.D., la realtà Ludoteca risulta
assolutamente inadeguata, sia in termini quantitativi, che rispetto alla coincidenza con gli standard
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europei della categoria. Ciò porta alla conclusione che i tirocinanti Ludotecari, vengono
automaticamente dirottati verso strutture che non corrispondono assolutamente
a Ludoteche.
Pertanto, la loro formazione non può ritenersi completa al termine della frequentazione del corso e
nonostante il superamento dell’esame finale.
Ecco il motivo per il quale nasce ARLeT Sicilia.
ARLeT Sicilia (Associazione Regionale Ludotecari e Tate), visti i vigenti orientamenti in ambito
nazionale e comunitario relativi alle professioni non regolamentate, ed in assenza di azioni
normative nazionali o regionali di regolamentazione della materia, nasce come associazione di
Promozione Sociale con l’intento e la volontà di sostenere e promuovere interventi in favore della
qualificazione ed istituzionalizzazione delle figure operanti all’interno delle strutture per l’infanzia,
con particolare riguardo alla Ludoteca ed ai nidi familiari.
La scelta di costituirsi in associazione nasce dalla consapevolezza - acquisita sul campo attraverso
esperienze dirette, ricerche, raccolta ed elaborazione di dati - che alle esigenze ludico educative non
viene garantita una adeguata qualità professionale e professionalizzante.
In particolare, con la collaborazione dell’Associazione “Il Dado Magico”A.S.D - che ha voluto
fortemente la nascita di un Ente rivolto a specifiche professionalità ludico educative, quali, nello
specifico Ludotecari e tate - ARLeT si muove nel contesto Sicilia per:
-
rispondere alla richiesta di qualificazione professionale del Ludotecario e della tata -“madre di
giorno”-, che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento” che miri a
promuoverne una nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale,
-
favorire la costituzione di Ludoteche nel territorio,
-
sollecitare la regolamentazione normativa regionale
e provinciale per la costituzione,
l’organizzazione ed il finanziamento delle ludoteche,
-
definire la distribuzione territoriale in rapporto alla densità della popolazione,
-
definire gli scopi e le finalità ludico educative di ludoteche e nidi familiari,
-
promuovere
l’istituzione di Albi Regionali e/o comunali e/o provinciali per le figure
professionali coinvolte,
-
giungere alla identificazione della qualifica dei soggetti gestori, delle modalità di istituzione e
della corrispondenza a requisiti standard sia per quanto riguarda i locali sia per l'organigramma
del personale impegnato.
-
promuovere l’istituzione di apposite Commissioni, qualificate a ricevere i piani ludicoeducativi annuali in base ai quali poter verificare, alla fine di ogni anno, l'attività svolta e gli
obiettivi raggiunti.
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-
giungere ad un censimento relativo a tutte le strutture che svolgono servizi all’infanzia e alla
famiglia nell’ambito educativo, sportivo e ludico-ricreativo, al fine dell’adeguamento e
dell’ottimizzazione dei servizi e dei costi.
ARLeT infatti vuole rappresentare un punto di riferimento in ogni ambito culturale che coinvolga le
figure ludico educative, al fine di una ottimale qualificazione e programmazione dei servizi,
proponendosi ancora di:
•
contribuire agli orientamenti ed alle scelte regionali in ambito educativo, sportivo e ludicoricreativo;
•
sostenere la completa formazione professionale del Ludotecario e dell’educatore familiare ;
•
promuovere lo sviluppo ed il riconoscimento della figura del Ludotecario e dell’educatore
familiare, garantendone la specificità professionale;
•
incoraggiare l'organizzazione e lo sviluppo in Italia delle ludoteche e dei nidi familiari
attraverso la costituzioni di altre ARLeT regionali;
•
estendere le conoscenze professionali dei Ludotecari, degli insegnanti e degli educatori tutti;
•
dare l’opportunità di fare esperienza pratica e di aggiornarsi periodicamente
L’aspirazione più alta per quanto riguarda l’attività istituzionale di ARLeT è quella di giungere alla
istituzione di un Registro/Albo Nazionale dei Ludotecari e degli educatori familiari,
che ne regolamenti e qualifichi la professionalità, all’interno di standard conformi alle direttive
europee in relazione e specifiche competenze istituzionali. Risulta ormai come dato oggettivo,
almeno in Sicilia, la necessità di garantire a queste figure una specializzazione, una preparazione
adeguata al ruolo di responsabilità civile assunto ed una sicurezza normativa ed economica che ne
garantisca i diritti e ne stabilisca in definitiva i doveri. La causa principale è da attribuire all’assenza
di una legge specifica nazionale che riconosca giuridicamente i sevizi Ludoteca e Nido Famiglia, la
loro dignità sociale ed economica, in linea con le condizioni degli altri Paesi Europei.
ARLeT Sicilia, consapevole delle esigenze territoriali, opera per definire e tutelare la Ludoteca
come servizio pubblico centrato sul gioco e sul giocattolo; per lo sviluppo del gioco e della cultura
ludica. L’associazione, infatti, interviene nel campo dell’educazione, della formazione, anche
professionale e della didattica per favorire lo sviluppo di una coscienza sensibile ai problemi della
società moderna, dell’ambiente e di un equilibrato rapporto tra cittadini, istituzioni, rispetto delle
opportunità e conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi di vita.
Promuove attività legate ai principi solidaristici e mirate al coinvolgimento delle realtà sociali e
culturali. Lotta contro ogni forma di sfruttamento, di ignoranza, di ingiustizia, di discriminazione e
di emarginazione.
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Organizza la vita associativa come esperienza comunitaria, per favorire la maturazione della
personalità, la consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, il rispetto delle altre
persone, l’educazione all’impegno sociale ed alla partecipazione.
L’associazione partecipa attraverso proprie rappresentanze, nelle forme previste dagli atti di
programmazione regionale in materia di politiche sociali e socio-sanitaria, alla progettazione e alla
gestione dei servizi.
È nostro parere che, nell’ottica di un effettivo impegno per la realizzazione di servizi che possano
fornire un concreto riscontro ai bisogni della popolazione, diviene imprescindibile una efficace
comunicazione e collaborazione tra i diversi Enti motivati ad operare a favore dello sviluppo e del
benessere del contesto di riferimento.
L’esperienza accumulata in tanti anni ed un’ attenta analisi dei risultati raggiunti, insieme ai rapporti
di collaborazione istaurati con altri Enti dell’associazionismo Nazionale, Internazionale, Università,
etc.., ha portato all’Associazione Nazionale “Il Dado Magico” A.S.D. all’elaborazione del progetto
“ARCHITETTURA DI UNA RETE SOCIALE NAZIONALE”, che mira a fornire, attraverso
l’affiliazione all’Associazione, strumenti e competenze, per la realizzazione di interventi sia pubblici
che privati, di strutture socio-sanitarie, igienico-sanitarie e ricreative, per minori di età e le loro
famiglie, persone diversamente abili, immigrati, anziani, etc .
Il progetto “ARCHITETTURA DI UNA RETE SOCIALE NAZIONALE” lega con un filo di
solidarietà e partecipazione attiva organizzata, iniziative sia pubbliche che private, utilizzando tutti
gli strumenti legislativi di settore e le loro risorse finanziarie disponibili in Italia e in Europa,
fissando standards qualitativi laddove essi non esistono, consentendo così la tessitura su tutto il
territorio nazionale di una rete sociale, che attraverso il sostegno e la promozione
dell’associazionismo (L.R. 31/07/03 n. 10, L. 383/2000, L. 266/1991, etc…) sia capace di far
relazionare il Pubblico con il Privato, per costruire, come sancito dalla L. 328/00 interventi sociali e
sanitari che siano insieme efficaci ed efficienti nei risultati.
Architettura di una rete sociale nazionale opera per l’interesse generale della comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini; incrementa le capacità di rispondere ai
bisogni dei territori e di promuovere processi di inclusione sociale, creazione di capitale sociale,
distribuzione più equa delle opportunità.
Architettura di una rete sociale nazionale è luogo di condivisione, scambio e confronto tra soggetti
che hanno scelto di scommettere una parte significativa della propria azione di impresa in modo
integrato con altri soggetti di imprenditorialità sociale.
Architettura di una rete sociale nazionale si riconosce come parte dinamica del Terzo Settore ed
opera attivamente per definirne gli orientamenti etici, strategici ed organizzativi
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Architettura di una rete sociale nazionale individua tre funzioni istituzionali, fondanti e
irrinunciabili, che, in coerenza con l’identità condivisa, caratterizzano l’operatività della rete:
1. Trasferimento esperienze: messa a disposizione di tutti gli aderenti – con modalità e regole
condivise - del know how sviluppato localmente, disponibilità a scambi, messa a disposizione
di progetti in contesti di reciprocità e di valorizzazione delle capacità sviluppate dai singoli
soci.
2. Condivisione progetti: progettazione secondo criteri mutualistici: all’interno della rete ciascun
socio mette a disposizione i propri elaborati progettuali agli altri partner della rete, che possono
utilizzarli e svilupparli per le proprie attività sociali, rendendo disponibili gli ulteriori sviluppi
a tutti i membri della rete a condizione che i progetti sviluppati secondo questo sistema non
creino danni agli associati
3. Condivisione titoli: messa a disposizione di ciascun socio della rete dei titoli e delle
esperienze necessari per la partecipazione a gare in possesso degli altri soci, con l’obbligo della
reciprocità.
Le finalità del Progetto
il mutuo sostegno e la reciproca valorizzazione tra imprese sociali territoriali;
la trasmissione e lo scambio delle esperienze di successo e la circolazione delle eccellenze;
l’individuazione dei nuovi bisogni e lo sviluppo di nuovi servizi;
il sostegno e la diffusione di iniziative sociali;
il supporto a iniziative di sviluppo a livello territoriale mediante la mobilitazione di risorse
umane, economiche e di know how per sostenere le associazioni del territorio che lo richiedono
in sinergia con gli associati territorialmente più vicini;
l’offerta di servizi ai soggetti che partecipano alla rete.
La tessitura di una rete sociale, al fine di promuovere esperienze e servizi atti a fornire riscontri
mirati ed adeguati, non può prescindere da un’attenta analisi strutturale, sociale ed economica dei
contesti di riferimento, con lo scopo di dare impulso ad una offerta che sia realmente rispondente ai
bisogni, espressi più o meno esplicitamente, del territorio.
L’attenzione rivolta dall’Associazione in maniera peculiare alle nuove tipologie di servizi, ha
stimolato, come fin qui espresso, una profonda riflessione incentrata sulla specificità dell’attività
formativa adeguata per chi ha l’interesse, la volontà e la predisposizione a lavorare con i minori
d’età, rivolgendosi, al contempo, alla famiglia tutta. A partire da ciò, l’Ente ha scelto di impegnarsi
attivamente, fornendo sostegno, consulenza, formazione e informazione agli operatori che, non
trovando riscontro in regolamenti e normative di riferimento, si ritrovano ad operare in un ambito
ricco di confusione e, sovente, di ambiguità, il quale, anche sul fronte istituzionale, troppo spesso,
non trova una sua collocazione in aree di competenze specifiche (pubblica istruzione, servizi sociali,
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pari opportunità, famiglia), come ad esempio avviene per i servizi integrativi quali i nidi famiglia.
Inoltre, tale impegno è certamente conseguente all’attenta anali del contesto attuale. Una delle più
dirette conseguenze delle trasformazioni socio-culturali della famiglia, infatti, è il cambiamento
nella relazione educativa e la crisi del ruolo genitoriale a vantaggio di altri modelli. Per esempio,
l’ultima Relazione biennale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza sottolinea come oggi la
vita del bambino sia scandita da tutta una serie di attività dettate dagli adulti, che spesso saturano
completamente il suo tempo limitando se non addirittura annullando quei margini di libera
espressione e di creatività tipici dell’infanzia3. A ciò si aggiunge anche una progressiva tendenza da
parte dei genitori ad anticipare le tappe della crescita dei propri figli per far acquisire loro sempre
più precocemente le competenze ritenute utili per l’affermazione individuale in una società sempre
più orientata alla perfezione e al narcisismo. A fronte di questi dati, quindi, emerge il bisogno sia di
sostenere i genitori nel loro ruolo educativo offrendo per esempio occasioni di confronto e di
dialogo anche attraverso forme di associazionismo, sia di supportare/sostenere i ragazzi nel loro
percorso di crescita potenziando per esempio i loro livelli di autostima, di efficacia e di fiducia
anche attraverso iniziative ludiche, culturali, sportive e sociali.
Negli ultimi anni, tenendo conto che dalle ultime fasi dell’evoluzione normativa emerge la volontà
di raccordare la dinamica dei servizi per l’infanzia con le esigenze reali delle famiglie, parecchie
sono state le ricerche che mirano a delineare efficacemente il sistema dei servizi per l’infanzia;
purtroppo, anche nel migliore dei casi, si verificano delle incongruenze atte a vanificare i benefici
dei servizi, principalmente:
•
orari insufficienti, legati all’andamento delle festività comuni e delle interruzioni estive e che
per giunta variano generalmente secondo il regolamento interno dei nidi (presenza di dati a
livello regionale);
•
liste d’attesa molto lunghe, dovute all’asimmetria tra domanda e offerta, nonché alla procedura
di selezione ponderata secondo il luogo di residenza, grado di disagio familiare, sociale e
sanitario, quindi della condizione lavorativa (presenza di dati a livello regionale); ad esempio
in Sicilia nel 2000 più del 30% delle domande di iscrizione non trovavano riscontro. Le varie
fonti confermano, pertanto, un’accentuata dispersione territoriale della ricettività. Al Nord sono
stabilmente localizzate le prime cinque regioni per capacità ricettiva (quasi 24% in EmiliaRomagna), mentre al Sud e isole si trovano le ultime cinque, con valori inferiori al 5% pur nei
casi più favorevoli (Basilicata e Sardegna);
3
“Relazione sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia 2008-2009” in www.minori.it
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