Numero I - Diwali Rivista Contaminata
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Numero I - Diwali Rivista Contaminata
NUMERO 1 Aprile 2013 Frammenti e Figure della Contemporaneità IL VOLTO Sommario www.rivistadiwali.it Contatti: facebook.it/diwalirivistacontaminata [email protected] Direttore Editoriale : Maria Carla Trapani Direttore Responsabile: Flavio Scaloni Redazione: Pietro Bomba, Alessandra Carnovale, Laura Di Marco, Valerio Francola, Fabiana Frascà, Giulio Gonella, Letizia Leone, Silvia Lombardo Ufficio Stampa: Federica Venni Technical Consulting: Pierluigi Stifanelli Diwali - Rivista Contaminata Trimestrale di Arte - Poesia - Letteratura 2 L’Editorial 3 InSistenze 4 La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming 5 La faccia come provocazione Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan 9 L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton 13 Incarnare la maschera: sul volto l’alterità 16 InVerso 20 Annalisa Miceli 21 Andrea Borrelli 22 Pietro Pisano 24 Ladimorascarlatta 26 Adriana Gloria Marigo 28 Valeriano Forte 29 Michelina Linsalata 30 Eleonora Pozzuoli 32 Vincenzo Signoretta 34 Celeste Vaglio 35 InStante 36 Barbara Ghidini 37 Francesca Di Vaio 38 Pietro Bomba 40 Fausto Favetta 42 Andrès Leon Baldelli 44 Gloria Gabrielli 46 Leopoldo A. García Castellanos 48 InMobile 50 Il libro delle facce 51 InChina 55 L’Editorial Che porta su idiosincrasie, geneticità. Di epoche, i residui, e le emozioni. E maschera. Che svela, sfonda, ricopre. Anime corpi? In ogni caso, in frammenti la personalità. Oppure, volto persona, volto che impersona. Teatro che espone intime tragedie, nascoste dietro gli occhi, e la fronte. Le bocche chiuse ti possono proteggere. La ferinica memoria disumanizza e spalanca su bocche urlanti: scompone. Volti viso volti come scheggia, voltati rivoltati rivolti sul passato, distesi sul futuro. Trucchi, che mimano il sapore, perduto, della maschera. Che siano allora anche figure, che hanno smesso di essere sotto agli occhi di guarda – ah, i volti ora si defilano, e riappaiono nel doppio dell’interpretazione, dello specchio, dello sguardo dell’altro. Osserva dunque il volto. Le direzioni impazzite si accavallano. Un ovale, il sopracciglio e il suo arco. Il guizzo di un sorriso, o un piede. E il collo, che sorregge miracolosamente e senza sforzo la testa? E non si sfugge al tutto. Anche se osservi il singolo dettaglio, il volto torna a galla nella totalità della significanza estrema, seppur del particolare irripetibile. L’impensato nel volto di un altro, balena. Mille gli occhi, mille le fronti, a non ripetersi se non nel pensiero, non mille le bocche quindi, ma masticano ironiche la disputa scolastica. E i vertici frantumano la direzione in mille, ora sì, e ancora mille. E lo specchio? E il sempre nudo, il sempre esposto e tutti i sempre che ci danno un volto? L’importante è ricambiare lo sguardo. La maschera è infine nient’altro che il volto consapevole di sé, un artificio che mostra il suo farsi-ad-arte, un uomo e suo altro che assumono la finitezza della loro relazione e leggeri entrano in scena. Accettiamo il teatro e esibiamo le quinte! Che la costruzione dell’abito sia già la nostra arte e la sua comprensione! E ora. In maschera, danziamo. Ovunque, abbia luogo, una rappresentazione. Diwali - Rivista Contaminata 3 Volto come. Volto come maschera. Volto e maschera. Volto come ritratto. Volto come moderna icona e raffigurazione della contemporaneità. Volto come trasformazione e documentazione del tempo che passa. Volto come materiale grezzo da lavorare e su cui imprimere il proprio progetto artistico. Volto come il percorso artistico e filosofico che si snoda davanti al lettore in questo numero della rivista Diwali. Dalla dialettica reciproca di volto e maschera e l’alterità di Eva Matilde Brentano, alla New York anni ‘90 con l’arte neo-romantica del ritratto di Elizabeth Peyton, con i suoi tratti di individualità e universalità dei soggetti raccontata da Geremia Doria, alla raffigurazione iconica della contemporaneità attraverso la pittura materica e dalle pennellate vigorose dell’artista sino-francese Yan Pei Ming descritta da Valerio Francola fino agli opposti modi di incarnare e utilizzare a fini artistici la propria faccia in Opalka e Orlan nel saggio breve di Letizia Leone: documentazione quotidiana degli impercettibili mutamenti arrecati dal tempo nel primo e manipolazione chirurgica e progettazione del proprio viso per farlo aderire ad un progetto artistico per la seconda, il volto ci si rivela nella sua natura di strumento fecondo di molteplici ispirazioni e interpretazioni culturali. Alessandra Carnovale InSistenze La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming di Valerio Francola La giovinezza di Yan Pei-Ming ha avuto luogo durante il difficile clima della rivoluzione culturale cinese, successivamente accompagnato da un periodo di apertura e di riforme civili e politiche. Nel 1981 si trasferisce a Digione, in Francia, dove ha costruito la sua carriera artistica nel corso dei due decenni successivi. La sua biografia è segnata quindi da cambiamenti radicali e drastici che pochi possono immaginare. Naturalmente non era il solo a passare attraverso questa esperienza complessa, ma indubbiamente Ming ha saputo distinguersi su tutta una generazione che ha vissuto e, soprattutto è sopravvissuta, ai drammatici cambiamenti geopolitici globali del post Guerra Fredda. Una generazione che ha contribuito in modo significativo alla ridefinizione del processo di globalizzazione. Oggi Ming può essere considerato uno dei più grandi artisti dell’Occidente, con quotazioni delle sue opere che ormai raggiungono milioni di dollari grazie anche alla collaborazione con gallerie private di valore internazionale e alla partecipazione a due Biennali di Venezia. Una carriera in continua ascesa che ha convinto il direttore della GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) di Bergamo, Giacinto Di Pietrantonio, a dedicare all’artista cinese una prima “personale” in un museo italiano nel 2008. Venti opere esposte in un itinerario creato d’intesa tra il curatore (Giacinto di Pietrantonio) e l’artista stesso che si articola in quattro sezioni che ruotano intorno al tema dell’autoritratto. È proprio l’autoritratto il campo pittorico in cui Yan Pei-Ming mostra i maggiori spunti di riflessione, grazie alla sua visione della contemporaneità ripercorsa attraverso le icone di oggi, dal Papa a Bruce Lee, da Mao a Buddha, il tutto utilizzando indifferentemente tecniche molto diverse, dall’acquerello cinese alla pittura a olio europea. La sua pittura infatti, materica e realizzata con pennellate violente, è un ponte tra Oriente, terra di origine, e Occidente, terra di appartenenza culturale. Una lotta sia fisica che spirituale è sempre al centro delle sue attività creative, i suoi dipinti sono il risultato di azioni intense, dinamiche in forte contrasto con le strutture “congelate” di colori e forme. Sono rappresentazioni in agitazione costante, con pennellate lunghe e veloci che conquistano il terreno in movimento, spesso sviluppandosi su dimensioni molto grandi. Tuttavia le sue opere non sono affatto riducibili a semplice “espressionismo” stravagante: la sua pittura può essere definita molto “economica” e minimalista, spesso in bianco e nero, a volte rosso e bianco, gli unici colori con cui costruisce la sua realtà pittorica, con cui esprime e descrive la navigazione tra la sua memoria e le sue preoccupazioni “umanistiche”. Le grandi tele a olio con cui Pei-Ming si è distinto sulla scena internazionale, sono realizzate con una tecnica propria della tradizione occidentale che l’artista dipinge unicamente nel suo studio a Digione. Al contrario gli acquarelli, creati soltanto durante i suoi soggiorni a Shangai, rimandano alla tradizione pittorica orientale. Una distinzione che non ha InSistenze 5 La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming mai come obiettivo quello di identificare un luogo geografico di appartenenza ben preciso ma diviene sinonimo di atemporalità e non luogo: Est e Ovest uniti in una mescolanza di stili, elementi, soggetti. L’uso dell’acquerello ad esempio rappresenta per l’artista un momento importante: si tratta infatti della tecnica che utilizza per rappresentare la fase iniziale della vita (i bambini), ma anche e soprattutto teschi e autoritratti di “morte”. Vita e morte intrecciate in cui l’autoritratto diventa un simbolo, la messa in scena della morte o meglio del suicidio, quindi la fine programmata, lascia intendere che l’artista è in grado di decidere su tutto e non solo sulle sue opere ma, forse proprio attraverso di esse, sulla vita e sulla morte. Come accennato in precedenza questo percorso avviene attraverso l’uso di icone celebri e figure storiche che hanno esercitato influenze profonde su di lui e sui suoi contemporanei e che si trovano regolarmente rappresentati nei suoi dipinti. Non sono solo le immagini che hanno segnato la sua memoria degli spazi pubblici dominati dalla propaganda del maoismo e da altre ideologie, ma sono anche elementi chiave che costituiscono la sua memoria intima e personale e la sua ricca immaginazione. Solitamente il ritratto è la trasposizione su tela di un uomo in un momento preciso, invece, Ming riesce a dipingere un uomo senza fargli un ritratto, sfruttando la sua icona pop per creare qualcosa di “larger-than-life” (più grande della vita), una immagine comunicativa che vale ovunque nel mondo e in ogni tempo. L’artista cinese riesce a riflettere, infatti, sulla mortalità nel mondo delle icone: Mao sembra non essere mai stato così vivo, così intenso. Se da lontano la tela ci ispira una certa sacralità, ci parla di un mito, da vicino, al contrario, ci sembra di poter toccare qualcosa di così lontano da noi, di avere con lui un’intima confidenza, creando un mix di sacralità e confidenza proprio delle icone pop. Ming reinterpreta un’icona, un’immagine che tutti noi abbiamo fissa in mente sviluppando un’operazione come quella che, anche inconsciamente, facciamo tutti noi ogni 6 InSistenze La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming giorno: una ricerca di mediazione tra la libertà di immaginazione e le strutture psicologiche e le immagini che ci vengono imposte da TV, pubblicità, cinema. Ed è chiaro che, reinterpretandole, dà una nuova urgenza ad immagini ormai stereotipate: ci mette dentro, con la violenza della sua pennellata, la lotta, la provocazione, l’azione, la coscienza. I ritratti di Ming sono lontani da qualsiasi tipo di celebrazione o culto di quelle personalità, al contrario, essi sono provocatori, critici, e anche sovversivi. I personaggi sono sempre presentati in una sorta di ambiente incerto con i titoli che spesso pongono problematiche morali, come ad esempio, in riferimento a suo padre, “l’uomo più rispettoso”, “l’uomo più odioso”, ecc. Inoltre, sono spesso immagini definite “politicamente scorrette”: nel 1990, ha prodotto grandi serie di ritratti di persone ai margini della società, come detenuti, prostitute, e bambini senza casa, dipinti in modo particolarmente celebrativo. Una scelta artistica molto discussa in Francia, dove qualche anno fa, si sono svolti una serie di dibattiti pubblici sull’opportunità morale di rappresentare i ritratti di alcuni criminali e politici, in occasione della presentazione dei dipinti di Yan Pei-Ming nella mostra La Force de l’art, un evento organizzato dal governo. Indubbiamente l’atto più provocatorio e spettacolare dell’artista cinese è il suo recente progetto Les Funérailles de Mona Lisa esposto al Louvre nel 2009. Nella sala a destra dietro la Monna Lisa, esempio straordinario di pittura iconica e simbolo indiscusso del museo più visitato al mondo, Ming ha installato una serie di tele di grandi dimensioni che rappresentano repliche della Monna Lisa al centro e ritratti del padre Ming e dell’artista stesso in uno stato di morte. La pittura intensa, inquietante e misteriosa provoca un’esperienza assolutamente sublime per il pubblico, che rimane impressionato e anche scioccato dalla visione di queste tele dopo aver apprezzare l’originale Mona Lisa. Duplice la possibile interpretazione: è l’artista che cerca di elevarsi al rango dei più grandi della storia? O è semplicemente un suggerimento di sepoltura definitiva dell’ideale di bellezza stessa? L’ideale di bellezza per Ming è profondamente legato alla questione del destino dell’umanità: “il come” rappresentiamo le immagini può profondamente influenzare il modo in cui percepiamo e comprendiamo la vita e la morte, la realtà e il dramma, la gioia e il dolore. Nel corso degli ultimi anni, ha infatti esteso la sua ricerca e la sua sperimentazione artistica in una nuova direzione che lo coinvolge e lo impegna direttamente nei confronti dei conflitti sociali mondiali e le loro conseguenze. Intorno a questa riflessione nascono ritratti di bambini del terzo mondo dove si percepiscono drammaticamente gli effetti della guerra, la fame, la povertà, e altre tragiche situazioni: un esempio tra tutti è il suo lavoro Sudanese Child (2006) proveniente dalla Collezione Deutsche Bank, dove i bambini sono mostrati fianco a fianco con quelli dei segretari generali delle Nazioni Unite, così come i soldati coinvolti nella guerra in Iraq. Di fronte alla crisi attuale e al cambiamento politico, Ming ha messo a punto nel maggio/giugno del 2009 un progetto ideato per la sua mostra al San Francisco Art Institute: figure eroiche come Barack Obama e soldati americani sono allineati fianco a fianco con le banconote in dollari USA e l’immagine di Bernard Madoff, ormai diventato il simbolo di questa crisi economica, dei mali della finanza, degli eccessi e delle speculazioni. Yan Pei-Ming ci fa capire, insomma, che noi siamo un prodotto culturale che affonda le sue radici nei secoli passati, ma che oggi ciascuno di noi, uomini della società delle immagini, non è che la somma dei suoi miti, svuotato di una propria qualsiasi interiorità. Il lavoro artistico Ming, pur affidandosi principalmente alla pittura, non esclude assolutamente la continua ricerca di sperimentazione e cambiamento. Nel corso degli ultimi anni, ha sperimentato nuove strategie per integrare nello spazio pubblico le sue creazioni in InSistenze 7 La contemporaneità iconica di Yan Pei-Ming studio: un continuo avventurarsi oltre lo spazio del museo tradizionale, invadendo spazi pubblici utilizzando forme espressive diverse dalla tela tradizionale, bandiere, poster, e così via, al fine di mobilitare l’opinione pubblica e la consapevolezza sociale. Questa provocazione non solo cerca di sovvertire la consuetudine della rappresentazione artistica tradizionale, ancora più importante, sfida il senso comune dei valori del linguaggio diffuso e delle strutture socio-psicologiche, il rapporto tra la libertà di immaginazione, di rappresentazione, e le convenzioni sociali che sono sistematicamente conservatrici. L’opera di Ming, oltre a essere politicamente coinvolgente, può essere considerata uno specchio drammaticamente preciso dei grandi stravolgimenti economici e sociali in atto nella nostra vita contemporanea. [VF]* *[Valerio Francola è uno storico dell’arte romano formatosi all’Università ‘La Sapienza’ specializzandosi negli studi dell’arte contemporanea. Collabora con diverse riviste come critico ed opinionista e negli ultimi anni ha avuto modo di approfondire il complesso tema dei beni culturali nell’ambito del lavoro di ricerca portato avanti dalla Fondazione Astrid e culminato con la sua collaborazione alla recente pubblicazione I beni culturali tra tutela mercato e territorio, a cura di Luigi Covatta, edita da Passigli Editore.] 8 InSistenze La faccia come provocazione Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan di Letizia Leone “Onora la faccia del vecchio” recita il Levitico. Forse, a prima vista, potrebbe sembrare sviante avviare queste considerazioni sul genere artistico del Ritratto (e della sua evoluzione nella contemporaneità) con una citazione di carattere etico come quella del Levitico. Perchè quando si parla di ritrattistica si pensa sempre al dibattito teorico, ancora aperto, sui modi della rappresentazione, in bilico tra realismo ed astrazione, dato che la percezione di un volto coinvolge elementi che superano l’apparenza e la fisicità e implica la rivelazione di emozioni o sentimenti in tracce minime quali espressioni inpercettibili, sguardi, accennate mobilità muscolari, oppure e soprattutto, la mappa di segni del tempo, questo “grande scultore” della faccia. Inoltre bisogna ricordare che se i grandi ritrattisti non poterono eludere le esigenze della ricca committenza nelle richieste di somiglianza, ad un certo punto, si diffuse un certo modo di idealizzare, tanto che Leonardo da Vinci nel suo “Trattato sulla Pittura” arrivò a definire “più tristo componitore d’istorie che nessun altro pittore” colui che ritraeva in modo del tutto naturalistico, sacrificando “l’universale pel particolare”. E già Platone aveva considerato le arti figurative più limitate rispetto alle altre “arti liberali” nel rivelare quelle Idee profonde che plasmano la materia, proprio perchè troppo legate alla fisicità. Finchè Isabella D’Este in una lettera di InSistenze 9 La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan ringraziamento indirizzata al pittore Francesco Francia nel 1511 consacra la pratica di “imbellettare”: “havendovi vui cum l’arte vostra facta assai più bella che non mi ha fatto natura”. Come non rintracciare in questa dama cinquecentesca un’antesignana del modellamento facciale e dell’ “artefatto” contemporanei? Non solo, venticinque anni dopo Tiziano ritrae la D’Este ultrasessantenne con le fattezze di una ventenne e sembra già di essere in una recente fenomenologia della cosmesi e della mistificazione della vecchiaia. Una immagine “Arcidishonestamente imbelletata” inveiì con foga allora l’Aretino. Una falsificazione ante litteram che ci riporta alle ragioni più attuali di James Hillman contro le modificazioni della chirurgia estetica su una faccia che invecchia, perchè “la faccia del vecchio è un bene per il gruppo” e perchè sulla faccia è plasmato il mio carattere dato che sono io che la “faccio” con quello che ho costruito, inseguito, creduto tutta la vita. Annullare la faccia del vecchio con la chirurgia è “un crimine contro l’umanità”, significa privare una società di valori fondanti, sincerità e pietas per esempio, un togliere valore etico alla vecchiaia (il cui fine è quello “di svelare il nostro carattere”), per sostituirlo con un mito idiota di giovinezza Questa la premessa necessaria per inquadrare il lavoro decennale, o per meglio dire l’opera unica che si sviluppa in decenni di attività, di un artista come Roman Opalka che ha lavorato sul tempo con il tempo stesso, fino a renderne l’ astrattezza come un materiale solido che agisce sulla tela. Una strategia artistica che prevede oltre ai numeri, ai colori, e alla voce l’utilizzo del proprio volto per catturare il tempo: ogni giorno dal 1972. Operazione matematica: dipingere ogni giorno su una tela di 196 x 135 un numero in serie progressiva iniziando dall’uno verso l’infinito.. Quasi una pratica mistica la cui meta è irraggiungibile e lo scacco già implicito in partenza. Eppure precisione maniacale e serietà assoluta nel portare avanti il lavoro: stessa ora, stessa millimetrica posizione e posa, stessa camicia, stessa espressione. Con studiata disciplina ogni quadro della serie numerale viene accompagnato da un ritratto fotografico a fine lavoro, tutte le sere, nell’ “imperiosa necessità di non perdere nulla per carpire il tempo”. Nel guardare le foto in modo distanziato nella loro sequenza cronologica, l’effetto è impressionante. Quanti anni occorrono per studiare le incisioni del tempo (categoria invisibile) su una faccia? Dettagli infinitesimali che si accumulano in migliaia di istanti quotidiani. Dettagli impietosamente documentati, grazie al lavoro affascinante e cerebrale di Opalka. E soprattutto esemplarità del Work in progress quale processo artistico. Al fondo nero iniziale delle tele viene aggiunto ogni giorno un centesimo di colore bianco in modo che pian, piano, con il trascorrere del tempo le tele vadano sbiadendo insieme all’immagine di accompgnamento del suo ritratto fotografico che documenta il logoramento dell’invecchiamento. Opalka stesso è consapevole dell’eccezionalità di testimoniare e catturare l’ istante: “Tremando per la tensione davanti alla follia di una simile impresa, immergevo il pennello in un vasetto e, sollevando leggermente il braccio, lasciavo il primo segno, 1, in alto a sinistra, all’estremità della tela, perchè non rimanesse nessuno spazio fuori dall’unica struttura logica che mi ero dato.” Urgenza di specchiare la metamorfosi biologica in atto. Il cambiamento. Ma nell’arte contemporanea la ritrattistica va oltre e diventa organica, suoi strumenti la carne, il sangue, la sofferenza. Un esempio: Orlan e la sua faccia post-umana e mutante. L’artista francese fa del proprio corpo un “teatro operatorio” e documenta gli interventi chirurgici svoltesi in anestesia locale e tutti finalizzati alla realizzazione di un progetto artistico. L’impianto di protesi di zigomo per ricreare la InSistenze 11 La faccia come provocazione. Dal ritratto alla carne: Opalka e Orlan fronte della Gioconda di Leonardo, creandosi così due corna, è solo uno degli innumerevoli esempi del suo “manifesto carnale”. Per Orlan la finalità dell’arte non è quella di decorare i nostri appartamenti ma quella di superare ogni volta i limiti, non solo tabù ma ciò che è codificato nelle convenzioni, in una rilettura estrema del messaggio di Artaud. Ibridazione, metamorfosi identitaria, manipolazione organica, deliberata progettazione del viso perchè per Orlan “ la personalità è connessa in particolar modo al viso, e l’aspetto del volto viene manipolato per trasmettere informazioni sulla persona.” È già abbastanza per iniziare a riflettere... *[Letizia Leone ha pubblicato i seguenti libri: Pochi centimetri di luce (2000); L’ora minerale (2003), (seconda edizione 2004); Carte sanitarie (2008); La disgrazia elementare (2011). Numerose le antologie e i premi letterari: “Serenissima”, (a c. di Silvio Ramat) Università Ca’ Foscari, Venezia, 1995; Antologia “Grande Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia”, UTET, Torino, 1995; Geografie Poetiche, ac. di W. Mauro, Giulio Perrone Editore, Roma, 2005; Sorridimi Ancora, (dodici storie di femminlità violate) pref. di Lidia Ravera, Giulio Perrone Editore, Roma, 2007. Da quest’ultima raccolta è stato messo in scena “Le Invisibili” (regia Emanuela Giordano) Teatro Valle, Roma, 2009. Letizia Leone è stata segnalata al Premio Internazionale Eugenio Montale nel 1997. Nel 1998 è stata premiata al premio del Grande Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia, UTET, To; e Premio Nuove Scrittrici, edizioni Tracce, Pescara (1998 e 2002). E’ stata premiata e segnalata in altri premi letterari, ultimo dei quali “I miosotìs” edizioni d’if, Napoli, segnalazione 2009 e 2010. Menzione d’onore per la Poesia inedita- Premio Lorenzo Montano 2011- Edizioni Anterem- Verona. Tiene un “Liceo di poesia” presso l’editore Giulio Perrone.] 12 InSistenze L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton di Geremia Doria Guardare ed essere guardati. Fotografia/Specchio/Immagine/Ritratto Elizabeth Peyton dipinge tra Londra e New York, si afferma a metà degli anni 90. Le sue opere sono esposte nelle gallerie più prestigiose del mondo, quotate centinaia di migliaia di dollari. I soggetti sono uomini, tra i 20 e i 30 anni, efebici, androgini, angelici, eterei. Il loro carisma sembra mettersi a fuoco rimanendo sbiadito. Sono terribilmente magnetici. Sono belli e dannati. Sono sexy nel loro look metropolitano. Sono solidi e fluidi. Diventano icone. Diventano perchè ancora non sono. Sono testimoni di se stessi nel percorso della propria affermazione come musicisti, attori, artisti. Kurt Cobain. Sid Vicious. Richard Ashcroft. Pete Doherty. Liam Gallagher. Prince. Siamo nel post Warhol. Warhol ha democratizzato il ritratto contemporaneo, ha sovvertito le gerarchie culturali dell’America del dopoguerra. Al contempo crea e disfa il personaggio, lo tipizza per poi riprodurlo in serie. Warhol usa il soggetto. Il soggetto ultimo è Warhol. POP Elizabeth Peyton rappresenta persone cui è InSistenze 13 L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton sentimentalmente ed emotivamente vicina. Non c’è distanza dal personaggio famoso, così come non ce n’è dal vicino di casa, l’amico, il boyfriend. Peyton cerca nel soggetto una qualità superiore da astrarre in un ideale. Fa dell’uomo oggetto di amore. Ne emerge un ritratto delicato, pervaso di grazia, attraversato dal sentimento. Intimità. Malinconia. Ricerca. I dipinti rimandano alla miniatura rinascimentale, all’espressionismo astratto, al romanticismo preraffaellita. Gli uomini sono neo-romantici. Romance. Peyton usa un tratto breve, deciso, carico, descrittivo, efficace. Ogni tratto è mosso da un’intensità emozionale che trasfigura la natura finita del soggetto. Il modello ha un’espressione tangibile ma idee inafferrabili. E’ il potere espressivo della pittrice, affidato al colore. Rosso. Verde. Blu. Luce. Il colore eleva l’uomo: lo rende icona. Assistiamo all’evoluzione del personaggio. E’ l’uomo che sa guardare e guardarsi. Cercarsi. Oggettivarsi. Coltivarsi. Walt Whitman ha insegnato la sua lezione. Osservare l’essere umano che diventa Uomo, nella crociata contemporanea per l’individualità. E come in un film di François Truffaut vediamo l’uomo nella sua intimità ma ne percepiamo l’afflato universale. Sguardo. [GD]* *[Geremia Doria nasce a Trieste nel settembre di 40 anni fa. Interior designer di professione, si interessa di antiquariato e collezionismo d’arte. Frequenta con regolarità gallerie e case d’asta e negli anni acquisisce e affina le proprie competenze nell’arte contemporanea, con una forte predilezione per gli autori figurativi. Scrive note critiche e monografie per diverse riviste di settore. Vive con uno Scottish terrier e non è presente in nessun social network.] 14 InSistenze L’uomo neo-romantico di Elizabeth Peyton Incarnare la maschera: sul volto l’alterità di Eva Matilde Brentano L’interrogazione nasce sin dal nome, che porta l’ambiguità come fardello etimologico: i greci dicevano pròsopon, pròs-ôpon, per indicare tanto la maschera quanto il volto. Viso dunque, maschera, o ancora e più genericamente e semplicemente “ciò che sta dinnanzi agli occhi”. Problematizzazione iniziale, eziologica persino. Se, sin dalla sua emergenza al significato, il volto è luogo di attraversamento, luogo di un dire che ha sempre un sopravanzo di senso. Maschera e/o volto. Maschera che non dissimula, bensì sostituisce il volto che ricopre. Volto che ha la facoltà dissimulare, cosa che la maschera non consente. «La maschera è l’uomo senza la garanzia del volto»1. E ci imbattiamo in un possibile rovesciamento di senso, se abbiamo sempre pensato alla maschera come qualcosa che permette, appunto, il mascheramento delle emozioni. Ma lo scambio tra la maschera e il volto è continuo, vede coinvolti entrambi i termini della comunicazione, fino a sfiorare la possibilità estrema di una coincidenza, o persino di una sostituzione. Maschera che tanto si innesta sul volto da divenire il vero volto, in quanto rivelazione incapace di simulazione, rivelazione strutturalmente foriera 1 L. M. Lombardi Satriani, D. Scafoglio, Pulcinella. Il mito e la storia, Milano, Leonardo, 1990, p. 322. 16 di manifestazione. Ma, come dicevamo, nella terminologia greca la parola pròsopon significa viso e anche maschera. Non esiste differenziazione linguistica che lasci lo spazio per adombrare anche solo un’idea di dissimulazione. E la maschera, dunque, non dissimula, ma va a sostituire il viso che ricopre, diventa altro attraverso lo sguardo dell’altro, così come il viso manifesta la propria individualità venendo riconosciuto e riconoscendosi negli occhi e nella faccia dell’altro che guarda. Viso e maschera si inverano in questa relazione reciproca, che si gioca nella continuità dialettica tra alterità e identità, nel darsi della quale lo spazio dell’ambiguus è sempre e comunque sotto gli occhi di chi guarda, come sotto gli occhi di chi viene guardato. La maschera greca ci dà la possibilità di pensare ad una alterità che si annida nell’uomo costitutivamente, e lo fa senza delega alcuna all’allusività. La maschera è il volto dell’uomo, che via via indossandone incarna l’altro2. E potremmo connotare tutto questo come un esercizio alla convivenza con l’altro e con l’altrove, che va perduto nel momento in cui le distanze tra la maschera e il volto si accrescono e si sciolgono i legami reciproci esistenti tra questi due termini. Tematica problematica e problematizzante quella dell’incarnare la maschera, laddove 2 cfr. sull’argomento B. Callieri, L. Faranda, Medusa allo specchio. Maschere fra antropologia e psicopatologia, Roma, Edizioni Universitarie Romane, 2001, p. 66 e sgg. InSistenze Incarnare la maschera: sul volto l’alterità Incarnare la maschera: sul volto l’alterità Incarnare la maschera: sul volto l’alterità quest’ultima palesa la possibilità di essere gettati nei luoghi dell’alterità. Un’alterità da vivere sperimentandone i confini, che potrebbero persino condurre in luoghi lontani dall’umano e sconfinanti nei mondi del divino, del daimon che possiede l’uomo mostrandogli come la sua ambizione possa essere il trascendimento della sua stessa condizione, umana per l’appunto. Ma la maschera diviene anche un modo di dare forma a questo altro e a questo altrove, assume la speranza di una parlabilità, di una assunzione nelle singole vite e di una accettazione di una condizione di ineliminabile ambiguità. maschera appunto. «Tutto ciò che è profondo ama la maschera…Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera; e, più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera. Talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo»3. [EMB]* 3 F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, Milano, Adelphi, 1977. La maschera che diviene volto. Prolungamento del volto. Possibilizzazione a che ciò che ci travalica come singoli volti possa albergare in questa terra nullius che consente il contatto con un sapere che resti pur sempre riconoscibile, per il tramite della *[Eva Matilde Brentano, napoletana di nascita, siciliana d’adozione. Sin da piccola mostra una insolita curiosità verso le calligrafie altrui, che la porteranno in età adulta a diventare grafologa di professione. Ha due grandi inesauribili passioni, il giardinaggio e la scrittura. Dorme con due pietre accanto al letto, una proveniente dal Vesuvio l’altra dall’Etna.] InSistenze 19 Questa sorta di laboratorio espressivo nasce, di volta in volta, dalla contingenza di una sollecitazione che riguarda il nostro vissuto. Ne esce fuori un dialogo a distanza fra voci “contaminate” da esperienze plurime e diverse per questa esplorazione del “volto” liquido del contemporaneo. Zigmut Bauman ha coniato con successo la difinizione di “vita liquida” per catturare la fisionomia dei tempi in cui viviamo dove velocità del cambiamento, consumismo teconolgico, mescolamento e fusione di culture e civiltà diverse, ci mostrano il volto di una realtà mutante e sfuggente. Dunque è interessante leggere le “interpretazioni” poetiche di questi autori che si misurano con una parola densa e memoriale come quella della poesia per fissare in testi “non deteriorabili” non solo la vita, ma la vitalità della parola. Letizia Leone InVerso Annalisa Miceli L’autrice propone un testo alla ricerca. Alla ricerca di un volto, il suo, che sfugge alla domanda cogente dell’identità. L’uomo moderno, di fronte alla sfida dello specchio, troverà se stesso? Doppio Rimango sola. Guardo, ma non vedo figure. Affogo nella saturazione di oggi incontro in uno specchio il mio volto appaio, ma l’essenza è celata. M’inoltro nello spazio di un quadro in cornice confronto la forma di un vetro scarlatto col capriccio pacato d’ignota fanciulla. Nebulosa espande nell’aria un profilo. In prospettiva una voce riflessa mi chiama: travestita di eco, l’altra io sono. Cristallo, brama in vetrina geloso. *[Annalisa Miceli è nata a Salerno nel luglio 1972. Scrive poesie da quando era adolescente. Parla fluentemente inglese e francese. Ha pubblicato nel 2002 il primo libro di poesie “Azzurro mare”, stampato privatamente. Nel 2005 è stata coautrice del saggio “Donne sorde: nove storie di emarginazione e di riscatto” editore Cantagalli, Siena e, sempre nello stesso anno, coautrice dell’antologia poetica “Samotraki”, editore Ripostes, Salerno. Nel 2011 è autrice del libro di poesie “Lampi di seta”, editore Occhi di Argo, Agropoli, Salerno. Premiata in diversi concorsi poetici, attualmente scrive articoli culturali per la rivista “Il segnalibro” di Occhi di Argo.] InVerso 21 Andrea Borrelli Gioca con il foglio bianco Andrea Borrelli, la percezione dello spazio come una tela vergine. In linea con la sperimentazione modernista dei calligrammi di Guillaume Apollinaire e le provocazioni ludiche di Tristan Tzara, il volto si delinea tra le righe. H&C Ho l' per poi non deciso di Dovunque chiunque per Ancora tra e la vede crescere lasciata ho ho ce dovuto facevo la allo che non lasciare deciso pensato e che tagliar tenermi con mi tutti volevo di i il hanno rischio detto era lo ho un' altra un’ gente solo assai tutta la Estraneoalmondo che ha il suo sistema negli occhi del ricordo solo lo spiacevole di una marcata colpa ombra di Salvezza. 22 la qualche Guardandomi ho deciso ma qualcosa così ho Alla ho alla quello farmi InVerso barba lunga tempo tagliarla proprio. specchio tutto ancora baffi. Charlot anche Hitler spesso. andavo incontravo stesso pensato immagine diversa quanta seconda. Andrea Borrelli *[Andrea Borrelli nasce in un piccolo paesino della Puglia al centro della Pianura del Tavoliere. Affascinato dal mondo della poesia fin da bambino si decide a pubblicare i propri scritti solo una volta superata la soglia dei trentanni. Dopo una lunga permanenza romana dedicata agli studi all’Università La Sapienza, nel 2009 rientra in terra natìa dove tuttora vive. E scrive.] InVerso 23 Pietro Pisano In questi testi di Pietro Pisano esplode una tensione estrema di resistenza dell’io alle sollecitazioni di dissoluzione e dematerializzazione dell’identità. L’ assalto di protesi non umane, artificiali e virtuali in un infospazio dilagante, impone un confronto e un ripensamento. Premesa necessaria per seguire “l’uomo inesistente” nel “paesaggio intorpidito” di questi versi. Il nuovo risveglio in una realtà di ibridazioni e contaminazioni e il “Turn on”, l’accensione, il clic di un tasto che avvia un processo con il minimo dispendio di energie. Un rosicchiamento invisibile della propria faccia interiore, “la sua forma assegnata al mondo”, è il rischio o l’obolo da pagare al nuovo, a quest’ ultima e nostra estrema “Svolta del respiro”, direbbe Celan. Da Turn on I Ed era un uomo inesistente quando la luce viaggiava nelle stanze del mattino e poteva sentire come un paesaggio intorpidito lo spigolo appuntito dei secondi sulle guance che non aveva, le labbra contratte in una smorfia di disgusto, sull’intero volto che solo per metà ricordava e domandava ai rumori della strada in quale posto si trovasse, dove cercare la sua forma assegnata nel mondo. Ma non c’era che un pallido fantasma dietro l’impulso di muoversi e capire, solo passanti 24 che poteva vedere trapassare la trasparenza dei suoi nervi e poi lo scisma, la città costruita per metà occhi, metà orecchie, da un lato frusciavano i passi, dall’altro le forme di quegli ospiti che muovevano in silenzio fino a quando il rumore e l’immagine si riunirono nel legno del teatro e la pelle del ricordo iniziò a ticchettare ma da quel momento era già qualcuno cui hanno sostituito il volto con la parvenza di un volto qualunque, si trovava senza saperlo nel corpo di un altro. InVerso Pietro Pisano Da Turn off II Se sente un rumore in cui esiste a tratti è l’autostrada delle menti che percorre i chilometri della sua possibilità. Questa bocca che ripete il protocollo della disattenzione non attende lampo o grido, vicinanza o vendetta ma lampione e semaforo, buongiorno, buonasera: così rispondere è stabilire il luogo abitabile mentre parlano i vestiti come demoni. Questa pagina conquistata nei dettagli e nelle veglie sgangherate è il testimone muto di quell’accendersi nonostante. II Disinnesca il respiro del congegno impazzito del giorno quando ti dicono è tardi, la tua ombra si stacca per balzare alle tue spalle e divorarti, un pezzo di realtà dopo l’altro avevi già perso ieri la misura del volto alla cornice dello specchio. *[Pietro Pisano è nato ad Ascoli Piceno nel 1979. Si è laureato in lettere moderne nell’anno 2011/2012 con una tesi su Rilke. Collabora con la webzine Oubliette magazine. Si è classificato finalista in diversi concorsi letterari e alcune sue poesie sono presenti nelle seguenti antologie: Navigando nelle Parole Vol. 27 ( edizioni Il Filo); Florilegio - Concorso di Poesia OcchiettiNeri 2009 - III^ Edizione (Cosenza, Maggio 2009); Habere artem vol. 13 (Aletti Editore), dicembre 2010; In questo margine di valigie estranee (Perrone Editore), 2011; Fragmenta - II volume, Edizioni Smasher 2012. E’ vincitore del Premio Laurentum per la Poesia 2012, XXVI edizione, sezione social network.] InVerso 25 Ladimorascarlatta Il volto si fa triplice, nel figlio, nella madre e infine nella propria identità, che tuttavia a sua volta si sdoppia allo specchio, come scomposta dal peso dei baci e delle rughe attraversate. Trilogia che biforca e solletica il marmo. Dove scuote la dea, la poesia de Ladimorascarlatta. Il volto del figlio Il volto della madre Baci di vetro Intorno agli occhi Scappiamo via da questo gioco feroce siamo rimasti soli io e te a tratteggiare senza alcuno congegno i nostri volti incredibili Non comprendesti il rifiuto del viso duro dell’indifferenza lo sguardo bianco e gelido di ghiaccio l’ ipocrisia della sceneggiatura fuggiamo dal bisogno dai perimetri noti con ciglia piene di notte che si aprono su iridi d’altri mondi cantavi melodie partenopee con voce forte e chiara e mai dicesti privi di senso la velocità orbitale dei nostri corpi spargerà fragranze sconosciute sul talamo le bambole spagnole sull’anima il broncio da bambina ci scambieremo baci di vetro fragili e delicati su bocche rimaste immobili 26 non esci, non ritorni, non rimani, non ti portano indietro le tue rughe intorno agli occhi la mia malinconia InVerso Ladimorascarlatta Il mio volto Allo specchio Mi osservo mi analizzo e mi conforto mi vaglio mi verifico mi dolgo vorrei che la mia faccia fosse bella con guance tonde lisce e imbarazzate occhi cigliati e labbra da bambina denti di perla e fronte sbarazzina il naso, devo dire, non è male ho sopracciglia, poi, che s’alzan lievi sotto la chioma rossa dei pensieri come gabbiani stanchi e forestieri pronti a partire e mai più tornare la voce è forte, anzi, dominante e obbliga all’ascolto col suo dire affabula confabula parlotta cerca la chiosa cerca la cadenza trova paletti muri spranghe sbarre morde consuma logora e traspira sputa l’eterno sputa la fatica ondeggia sul dirupo scorre la vita scorre la vita linea sul mio palmo tela di ragno sotto gli occhi fieri scivola via si slaccia e si scompone scuote la dea nascosta dentro al marmo. *[Ladimorascarlatta nasce, come scrittrice, nel 2004, anno in cui pubblica il suo primo libro, Sulle palme delle mie mani poesie ed altro, per l’editore Bonanno. Alla raccolta di poesie segue nel 2006, Il fruscio della penna, opera autobiografica. Nel 2009 pubblica Ritorno a Waki, fiaba galattica destinata ai lettori più piccini. A distanza di due anni pubblica Come larva del bombice del gelso, una raccolta di poesie dallo stile più maturo, che include tutte le poesie premiate nei vari concorsi, oltre a composizioni in endecasillabi, filastrocche, haiku e timidi esperimenti di tmesi.] InVerso 27 Adriana Gloria Marigo Occhi, luogo privilegiato attraverso il quale s’affaccia lo scambio con l’Altro. Occhi, spazio dell’ambiguità di una relazione in cui lo sguardo non è mai il dato scontato della relazione. Ma il volto approda alla terra, e passando dall’occhio, forse, tenta la via della ricomposizione. 3-4 Gennaio 2011 Nel sottobosco dei tuoi occhi s’adagiarono ombre vaghe inclusioni di tempesta l’astuzia della volpe sulle rovine un fumo acre a ottundere il sole d’inverno. spore d’amore giacquero in calma di vento sul fondale di menzogna del tuo volto. Fuggii alle radici fin dentro la terra a ricompormi di linfe Non seppi dirti novella neppure accennare a un’aria di adagio o l’ovvia domanda, sillabare echi sul tuo sguardo franto. trapassata io a stalattite. Nei tuoi occhi vidi nascondigli mute di cani a insidiare *[Adriana Gloria Marigo è nata e vive a Padova . Per lungo tempo è vissuta in Lombardia, compiendo studi umanistici e dedicandosi all’insegnamento. Nel 1978 si trasferisce in Veneto e dal 2008 a Padova dove si occupa di eventi letterari – in particolare di poesia presentazione di autori e recensioni. Nel 2009 è uscita per LietoColle Editore la prima silloge Un biancore lontano. Suoi testi e interventi sulla poesia compaiono in rete su diversi blog di settore, in antologie - Corale per opera prima (LietoColle, 2010), La voce dei sogni (Onirica Edizioni, 2012), Sfrutta il segno (La Vita Felice, 2012), Poesie del Nuovo Millennio, Vol. IX (Aletti Editore, 2012) e nella rivista Orizzonti, (Aletti Editore, 2012). Nel settembre 2012 è venuta in luce la seconda raccolta di versi L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice. Ha partecipato nel giugno del 2012 alla quinta edizione del festival internazionale di Caorle “Flussidiversi. Poesia e poeti di Alpe Adria”, che riunisce i poeti dell’area culturale mitteleuropea.] 28 InVerso Valeriano Forte Per il numero su ‘Il Volto’ Valeriano Forte torna a far visita a Diwali con due testi brevi che con poche pennellate delineano efficacemente il profilo della sua Musa. Minimalismo Somatico Se al tuo viso mancassero occhi troverei serrate porte su l’infinito Se perdesse labbra ben delineate carnose cadrebbe il gusto della Primavera Se scomparissero i tratti lasciando solo i nei saprei io riconoscere gustare…………………… la mappa della tua essenza Caratteri d’oriente Mi sazierei d’instancabile gusto accarezzandoti pelle d’ebano e capelli fitti intrisi di notte Baciando tuoi occhi litchi nel caffè *[Valeriano Forte è nato a Siena ma vive a Salerno. Ha alle spalle una formazione al conservatorio in pianoforte e in architettura. Dal 2004 al 2007 è tra i fondatori del collettivo artisti “Macunaìma”, diretto dall’artista brasiliano Marcos Pacoli. Dal 2011 cura per il Free Press on-line “Kayenna.net” la rubrica poetica “la Biro Labirinto” raggiungendo in meno di un anno 50.000 lettori. È vice-presidente dell’Associazione “Felix cultura onlus”, che promuove la piccola e media editoria campana. Pubblica nel 2012 con Aletti editore, per la collana “Orizzonti”, nell’antologia poetica ”Poesie per ricordare vol.10”. Invitato dal grande poeta statunitense Jack Hirschman nel 2011, entra a far parte del (WPM) “World Poetry Movement”, per cercare con una cooperazione poetico - globale la promozione dei valori di fratellanza e cooperazione tra popoli.] InVerso 29 Michelina Linsalata L’autrice accoglie l’invito di Diwali ad esprimersi attraverso le molteplici vie dell’arte e ad esplorare ogni versante della propria ispirazione. I volti delle amiche, compagne di una vita, trovano qui una forma verbale e pittorica. Amiche ho raccolto le vostre essenze lungo il mio cammino perle rare della mia galleria siete le mie stelle la mia luce profonda molte sono lontane ma nutrono ancora la mia anima come l’odore fresco di pane o di neve mi rende felice l’avervi incontrate. *[Michelina Linsalata nasce in Basilicata e trascorre i primi 17 anni della sua vita in Germania. Completa gli studi superiori in Italia e si laurea a Roma in germanstica con una tesi di laurea in traduzione dal titolo: “Marieluise Fleisser: dodici racconti 1923-1933” . Insegna lingua e letteratura tedesca, traduce da e verso il tedesco e e da molti anni si dedica alla pittura, sua grande passione. Ha partecipato nel 2009 alla mostra collettiva presso il “Mitreo” di Roma dal titolo “ComunicAzione: tra confine e unità”.] 30 InVerso Michelina Linsalata La galleria delle amiche: Karine dimensioni: 24 X 30 olio e acrilico su tela 1998 Eleonora Pozzuoli Non solo volto, non solo corpo. La poesia di Eleonora Pozzuoli è collage, campi semantici altri, accostati alla corrosa routine della quotidianità. Volto corpo e corpo volto. Poesia è qui il luogo dell’inatteso. Ante zigomi Apro le ante zigomi annodata di dubbi. Forse avrò sete, sonno o quella solita malsana voglia di una crèpe al sangue. Apro questo armadio interrotto e ci trovo il tuo cuore in ricarica. Me lo hai lasciato in prestito quando febbraio aveva deciso di diventare un sogno misterioso. Proteggo il tuo sapore nel mio e quel mobile diventa finalmente il mio volto. 32 InVerso Eleonora Pozzuoli Fredda Fredda fretta di amarti, portarti via, maledetta io tra rovi. Freddo accorato appello, asportarti il cuore, che la passione mia sia benedetta. Ho cancellato i bordi del mio viso. *[Eleonora Pozzuoli è una poetessa. Ama il vento,sua figlia Greta, il suo uomo, l’heavy metal e la danza orientale. In ordine fuso e confuso. Scrive poesie solo quando ne sente il viscerale bisogno perchè, attraverso le parole, ritrova i suoi spazi e definisce i suoi contorni. Ama cucinare per i suoi cari. Ama le peonie e le etimologie. I suoi riferimenti maggiori sono Frida Kahlo, Billie Holiday, gli Iron Maiden, la poesia della Plath e di Montale. Ha pubblicato una silloge di poesie, ‘’Ovale’’, nell’antologia ‘’Ladri di emozioni’’ per la Bel Ami edizioni. Attualmente legge con cura le poesie di Antonio Veneziani e quelle di Helle Busacca. Vive nel suo mondo.] InVerso 33 Vincenzo Signoretta Ordina, enumera e assegna ruoli, Vincenzo Signoretta. Dalla memoria allo specchio ricomposto, istruisce all’Espressione. Palesare l’anima è forse anche attraversare, poeticamente, gerarchie. Memoria E’ figura agli occhi di chi guarda al naso di chi respira alle orecchie di chi sente alla bocca di chi mangia Quattro su cinque son suoi sudditi E solo uno è distaccato. Per questo tutto è conosciuto. Il Re dei quattro gli è pari, infine. E’ studiata agli occhi di chi osserva al naso di chi odora alle orecchie di chi ascolta alla bocca di chi gusta Solo in una cosa gli è seppur di poco secondo Espressione si chiama la sua arte unica Frammenti di specchio riuniti che palesano l’anima. *[Vincenzo Signoretta nasce a Messina nel 75. Da sempre appassionato per la Biologia, a cui si aggiunge la passione per Matematica e Informatica in adolescenza. La poesia indirettamente è da sempre presente nella mia vita grazie a mia madre. Da quanto scrivo? Molto poco. Solo 3 anni, e solo se penso che sia giunto il momento giusto per farlo..] 34 InVerso Celeste Vaglio L’autrice mescola parole e tratti geometrici in un’armonia che si fa semplice all’apparenza ma che deriva da un’elaborazione concettuale e tecnica tutt’altro che immediata. Le lingue moderne si incontrano con quelle del passato: è il volto della contemporaneità. je vis a l l u s de no e d r o us n i elle v , a d a r it t s l u de no s i s u f n us co e d e i p a i c forza r a m e l o i c i r b e fatevi com a volti i r o t s guard i d are i t n e p i s t a z z i g o l o tecn VIs Visi i s s i i v V di S I R O B O s i R v M U T FA vis Vis i t l o v i t l o m di i m r e h c s i d vis-à-vis piatti i l a i d e m i t l u carrozze m i l a i c c a f i t l mu o n o u s a z n e volti s o t l o v a z n e s forze vis vis vi aujourd’hui pas d ’yeux pour voir plus plus Aujourd’hui je te c herche dans la foule so vi o tu il re a rd a gu o ss po la so Guardami negli occhi, io *[Celeste Vaglio è laureata in Letteratura e Lingua. Studi italiani ed europei presso la Sapienza di Roma; curriculum in critica letteraria con la tesi “Cento volte Manganelli” discussa con il Prof. Francesco Muzzioli. Viva passione letteraria per i temi dell’avanguardia e della neo-avanguardia con particolare attenzione al Gruppo 63. Amore per la scrittura come rappresentazione del possibile. Attualmente impegnata nell’organizzazione di eventi culturali e la vendita di libri rari, scrittrice] InVerso 35 Cosa spinge un fotografo a cercare? Cosa spinge un uomo a fotografare un volto? Cosa cerca? Forse aspira a raccontare qualcosa di se stesso, spera di trovarsi o forse fugge addirittura da ciò in cui potrebbe riconoscersi. Gioca come davanti ad uno specchio scrutando i propri difetti per esaltarli in iperboli espressive muscolo-facciali o per tentare di correggerli o nasconderli al visibile o almeno alla propria attenzione. Oppure cerca, come in uno specchio, le capacità dei volti altrui di esprimere le sue emozioni, quelle che allo specchio non sono mai affiorate, pur ribollendo sotto un impassibile coperchio di un volto capace “solo”, a questo punto, di osservare. Scava, fa il minatore di emozioni e sentimenti, l’investigatore della psiche espressiva. Scava talmente tanto da riuscire talvolta ad annullare ogni sintomo di vitalità, come potrebbe fare un chirurgo che, ritenendo incurabile quel male, decida di recidere i centri nervosi in un effetto anestetico definitivo. È un piccolo dio onnipotente il fotografo, in grado di dare la vita ad un immobile manichino e di trasformare, invece, un uomo in una statua di plastica, sempre bramando qualcosa che non c’è. Fa il regista delle proprie paure e dei turbamenti altrui. Tanti piccoli film, immobili ma indomiti e ribelli. Fermi e irrimediabilmente vivi. Pietro Bomba InStante Barbara Ghidini “Sogni o BiSogni” nascono come serie di racconti fotografici. Nella prima serie intitolata “Sogni o BiSogni, Le Origini” il protagonista, nelle vesti di un pagliaccio, si sveglia in una realtá/sogno e inizia la sua discesa verso la scoperta. Da questo viaggio intimo nascono i racconti “Sogni o BiSogni I,II, III” che esplorano la tensione tra esterno (spazi pubblici di Barcellona) ed interno (la mia casa) creando un gioco di parallelismi. I due cammini operno assieme nei racconti, a volte si oppongono e a volte si uniscono. L’importante é que ognuno possa percepire la relazione tra dentro e fuori, tra buio e luce nella vita in generale e possa trovare un punto di uscita. Le luci naturali e artificiali sono elementi chiave di queste storie. *[Barbara Ghidini è nata a Brescia nel 1978. Inizia a dedicarsi alla fotografia nel 1997 come autodidatta, frequenta corsi di tecniche di stampa e sviluppo a colori e successivamente in bianco e nero. Nel 2007, a Barcellona, frequenta un corso di fotomontaggio e poi di cianotipia ed entra in contatto con il suo maestro e futuro collaboratore Francisco Gómez, importante artista plastico argentino. Partecipa a mostre collettive e nel giugno 2009 presenta il suo primo lavoro intitolato “Sogni o BiSogni” e nel marzo 2011 presenta un lavoro realizzato con le antiche tecniche di sviluppo intitolato “Mostri e Ballerine”. Attualmente vive a Barcellona ed assieme al suo maestro e ad altri artisti ha creato un progetto collettivo, montando una camera oscura all’interno del Taller Milans dove lavora, studia e investiga nel campo delle arti visuali. Dal gennaio 2012 é impegnata nella divulgazione delle antiche tecniche di sviluppo attraverso corsi e progetti, www.laschicasdetalbot. blogspot.com] InStante 37 Francesca Di Vaio Ho scelto delle foto che mi rappresentano, in tema con “il Volto - frammenti e figure della contemporaneità”. L’ultima foto è forse quella che mi rappresenta di più. Il limite che ognuno di noi ha, quella sottilissima linea che ci divide dalla pazzia, in un bianco/nero che molto mi rispecchia. La seconda, “Eurydice”, fa parte di un piccolo progetto dedicato alle Murder Ballads di Nick Cave. Amo il mito delle Driadi, metà donne metà albero, ninfe delle querce. Con questi occhiali invece, noi di Diwali vogliamo interrogarci su ciò che è il Volto quando il Volto manca... *[Francesca. 1990. Toro ascendente Toro. Da sempre affascinata da tutti i tipi di arte, ho cominciato a suonare il pianoforte a quattro anni. Dopo aver ottenuto il Diploma in Teoria e Solfeggio al Conservatorio di Piacenza ho cominciato a suonare il basso elettrico. Quando ero piccola, mio padre mi raccontava i suoi viaggi mostrandomi fotografie attraverso diapositive proiettate sul muro. Nel 2009 mi iscrito all’Università Statale di milano, facoltà di Lettere Moderne; anno nel quale ho ottenuto la mia prima Reflex. Non sono molto brava a parlare di me, perciò lascio che le mie foto parlino da sole.] 38 InStante Francesca Di Vaio Pietro Bomba Questa serie si esaurisce con questi due esemplari, anche se nella mia mente ho continuato ad immaginare e a progettare verosimilmente di realizzarne degli altri. Continua ad essere una mia visione. Ciò che riesce a catturare la mia soddisfazione è la “casualità controllata” del risultato e l’unicità irripetibile delle imperfezioni. Non parlo solo del soggetto, ma anche del mezzo e del modo. Non a caso spesso mi affido a macchine traballanti, otturatori incerti, obiettivi sporchi, a pellicole scadute. Mi piacciono le cose vissute, gli occhi che hanno visto tanto, i cuori che hanno atteso per troppo tempo e mi piace pensare che non lo abbiano fatto invano. Ciò che guida filosoficamente la mia esistenza è una perenne ricerca dell’”essenza” in ogni aspetto della vita, nelle persone, nei sentimenti, negli oggetti, nei luoghi, nelle idee.. e mi interessa l’intreccio con l’assonante e opposta “assenza”. Un intreccio multiplo e ridondante, un riverbero di rimandi in cui l’assente risulta a volte più presente del presente e il presente anela all’essenza dell’assente. La verità è che sono un fotografo poco produttivo: fotografo con la mente e poi mi pento del mio integralismo che considera l’immagine o la parola una inevitabile riduzione, in perdita, del pensiero, per poi rendermi conto che proprio fotografie e parole stanno lì a ricordarmi ciò che il pensiero ha mille e mille volte perduto in nuvole di fumo. La fotografia per me è memoria. *[Pietro Bomba nasce a Roma e dal 2000 è docente di fotografia presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata..] 40 InStante Pietro Bomba Fausto Favetta Il ritratto è la forma espressiva che prediligo, in esso trovo il piacere della continua sfida alla rappresentazione dell’umano. Non ricerco necessariamente la narrazione del soggetto ripreso, ma trovo stimolante come le persone che fotografo (spesso modelli non professionisti) possano portare contributo alla mia idea. C’è un magico punto d’incontro tra quello che ho in mente quando pianifico un’immagine e la capacità di interpretazione di quell’idea da parte di un’altra persona. Ogni fotografia è il risultato i una serie di intese e incontri col soggetto, dove la comunicazione verbale cede il primato a quella mentale, empatica. La postproduzione è una fase molto importante che curo personalmente e a volte quasi maniacalmente. Pur avendo iniziato il mio percorso con la fotografia analogica, sono un pieno sostenitore della carica innovativa portata dalla tecnologia digitale. Uso prevalentemente una 35mm digitale e quasi sempre illuminazione flash. La mia ricerca è continua e la tecnica dietro ai miei scatti è di conseguenza molto varia, si adatta in base alle situazioni e al risultato che cerco. 42 InStante Fausto Favetta *[Fausto Favetta nasce nel 1980 a Roma, dove tuttora vive e lavora. Dagli studi universitari in Scienze della Comunicazione la paassione per la fotografia si approfondisce e muove verso la professione dopo aver conseguito nel 2009 un master triennale presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Si dedica prevalentemente a ritratto e still life e nel 2010 inizia a collaborare con agenzie pubblicitarie lavorando per clienti come Hag, Linkem, Telecom, BNL, ecc... Dal 2012 collabora con l’agenzia Getty Images.] InStante 43 Andrès Leon Baldelli È ispirato dai fotogiornalisti umanisti e affascinato dalla potenza grafica di punti, linee e superfici. È spesso eclettico e frammentario, trova linfa principalmente in strada, nelle strade, dove le genti si sfiorano, gli sguardi si incrociano, le contraddizioni si svelano e l’umano prende vita. Andrès Leon Baldelli *[Andrès Leon Baldelli dice di sé: il fascino, fin dai primi giorni, per l’osservazione e la teoresi lo porta a Parigi dove è attualmente studente di dottorato in meccanica teorica. Osservazione, comprensione e trasformazione: sia per risolvere gli integrali che con un occhio nel mirino.] Gloria Gabrielli Questi volti non hanno titolo. ‘Spero che le foto parlino da sole e non voglio distogliere l’attenzione di chi le guarda. Lavoro ancora in pellicola e frequento poco il bianco/nero visto che amo la realtà e i suoi colori.’ Gloria Gabrielli *[Gloria Gabrielli si è formata all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma. Terminati gli studi si è trasferita per due anni oltre la Manica per assorbire il groove metropolitano londinese. Attualmente frequenta un corso da tecnico di ripresa audio-visiva. La sua grande passione è per l’alta montagna e si sta spingendo sempre più verso la foto estrema del free climbing e dell’alpinismo.] 47 Leopoldo A. García Castellanos Queste foto fanno parte del progetto ‘Nelle vie dello sviluppo’: si tratta di molteplici ritratti sovrapposti di immigranti e indigeni convertiti alla cultura europea, nel tentativo di stimolare il riconoscimento dell’altro nonostante le circostanze contingenti. 48 InStante Leopoldo A. García Castellanos *[Leopoldo A. García Castellanos è un umanista messicano trasferitosi in Spagna, dove tuttora risiede e lavora presso l’Università di Salamanca. Si occupa prevalentemente di estetica e semeiotica, con un un forte interesse per la retorica dell’immagine. Negli anni si è confrontato anche con altre discipline, dalle scienze sociali alla psicologia, dalla letteratura alla cinematografia. E’ direttore artistico e membro del comitato editoriale per diverse riviste, spagnole e non. Il suo lavoro lo ha portato a viaggiare attraverso più di 15 paesi e oltre 200 città, occasioni che hanno arricchito il suo percorso fotografico, iniziato nel 1998. Ha all’attivo diverse mostre e pubblicazioni uscite per il pubblico latino-americano e attualmente sta preparando il libro ‘Rapire l’Europa’.] InStante 49 Il volto, la faccia, la maschera. Il simulacro attraverso il quale sfogliamo lo spazio, pensiero, vita degli altri. E raccontiamo la nostra. Il volto è l’ultima frontiera del contatto micromacro, dallo specchio al risveglio la mattina, al social, contenitore di vite, di facce. Il libro delle facce, Facebook, che diventa palinsesto per la fruizione degli altri. Il gioco delle parti. Il percorso video di Diwali di questo numero gioca con i volti, e inizia affacciandosi alla finestra e incontra il volto della città nella città, scoperto nei suoi residui corrosi. Silvia Lombardo InMobile Il libro delle facce di Silvia Lombardo Il volto della città che si fa liquido e scorre via attraverso i muri senza rispettare versi, direzioni, la gerarchia di pavimenti, pareti e soffitti. E poi cola giù dai tubi e si libera di pezzi di muro. Il volto della citta ci guarda. Non lo fermi e non si ferma, sembrano voler dire gli artisti: ogni foro è bocca, ogni finestra occhio, ogni muro nasconde un’apertura che diviene orecchio, sguardo, uomo, donna e mostro. InMobile 51 Il libro delle facce Il volto documenta. La propria crescita, quella di un figlio. Attraverso il volto. O la propria non crescita attraverso un’espressione che rimane immutabile, sempre identica a se stessa nel corso dei mesi. Trovare un centro nella propria espressione, nell’assetto bocca-naso-occhi sempre uguale, perfettamente in equilibrio col passare dei giorni come una certezza al di là dello specchio. Solo alcuni esempi delle centinaia di video che affascinano milioni di utenti. Di volti che si incollano allo schermo. Artisti a caso, fra milioni di utenti. 52 InMobile Il libro delle facce Il volto è testimonianza. Lo si sceglie per raccontare un lungo viaggio, prima dei piedi che conducono, delle gambe che sorregono, c’è il volto che assorbe quello che gli sta intorno, l’ambiente che cambia e ti avvolge. E restituisce la scoperta e la fatica. E il cambiamento. Il viaggio di Christoph Rehage attraverso la Cina e il suo volto. InMobile 53 Il libro delle facce Il volto è un gioco. È di tutti e di nessuno. Il risultato unico di un numero infinito di combinazioni. Estratto a caso dalla sorte. Di cui un computer presuntuoso veste i panni. Il volto è un’istallazione. Un’opera d’arte tridimensionale, tangibile, interagibile, attraversabile che porti in giro ogni giorno. Non resta che tentare, uscire in strada e offrirsi. Così, per divertirsi. *[Silvia Lombardo è nata nel 1978 a Roma dove, dopo una breve pausa in una città mostruosamente più a misura d’uomo come Torino, vive tutt’oggi in uno dei quartieri più popolosi e trafficati. Diplomatasi alla Scuola Holden in scrittura e storytelling, si è occupata di cultura e spettacolo per varie agenzie giornalistiche, ha scritto e realizzato un film a costo zero sul precariato dal titolo “La ballata dei precari” e pubblicato il saggio umoristico “La ballata dei precari – Guida di sopravvivenza per trentenni” (Miraggi Edizioni, 2011). Oggi è una web editor e una documentarista in cerca di produzione.] 54 InMobile InChina di Mario Lucio Falcone *[Mario Lucio “the Marius” Falcone nasce a Napoli ma cresce tra le migliaia di pagine dei fumetti che custodisce gelosamente e che hanno dato una direzione alla sua voglia di disegnare, manifestatasi all’età di tre anni. Probabilmente vi ricorderete di lui per Violet l’eroina anticamorrra, per la webstrip Advanced Nerds o per la fanzine telematica PippaMentis.] 55 www.rivistadiwali.it