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temi di management
intermediazione finanziaria e assicurazioni
Temi di Management
intermediazione finanziaria e assicurazioni
evoluzione degli strumenti e
delle competenze di rating
Giacomo De Laurentis
Occorre rendere i modelli meno miopi e pro-
ciclici, nonché creare competenze di analisi d’impresa centrate su
metodologie più strutturate e poggiate su strumenti di previsione
finanziaria in grado di identificare i key driver delle performance.
l’analisi finanziaria nella
ristrutturazione dei
portafogli corporate
delle banche
Claudio Zara
Nell’ambito della valutazione del merito creditizio la strada maestra è “vecchia” e si
chiama analisi finanziaria: capire il momen-
to dell’impresa cliente e le sue prospettive future.
Nell’ambito della gestione commerciale del portafoglio la strada
da seguire è nuova per le banche e si chiama “segmentazione del-
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la clientela e diversificazione dei modelli di servizio”.
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temi di management
intermediazione finanziaria e assicurazioni
evoluzione degli strumenti
e delle competenze di rating
Occorre rendere i modelli meno miopi e prociclici, nonché creare competenze di analisi d’impresa centrate su metodologie più strutturate e poggiate su strumenti di pre-
Giacomo De Laurentis
Direttore della Divisione Executive
Education Open Programs della
SDA Bocconi e professore ordinario
del Dipartimento di Finanza
dell’Univeristà Bocconi
[email protected]
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L
a crisi economica ha riportato al
centro dell’attenzione la funzione
di allocatrici delle risorse finanziarie del paese svolto dalle banche commerciali e dalle altre istituzioni creditizie.
Le modalità operative di questa funzione
sono profondamente mutate nello scorso decennio a causa soprattutto di due
elementi concomitanti: da un lato, la crescita dimensionale delle banche, che ha
aumentato la distanza geografica tra i
clienti e i vertici della banca; dall’altro, la
progressiva sostituzione di analisi di affidamento basate su valutazioni judgmental degli addetti con analisi basate
sull’uso di sistemi automatici di rating.
Il Governatore della Banca d’Italia ha ritenuto necessario intervenire in merito,
auspicando di riconsiderare alcune
scelte (Draghi M., Intervento del Governatore della Banca d’Italia, ABI Assemblea Ordinaria, 8 luglio 2009, p. 4): “è
altrettanto importante che le banche,
nel decidere sul credito da dare, usino
tutta l’informazione loro disponibile;
integrino i risultati dei metodi statistici
di scoring – che perdono parte della loro capacità predittiva in momenti eccezionali – con la conoscenza diretta del
cliente, delle sue effettive potenzialità
di crescita e di redditività nel lungo periodo. Il radicamento territoriale del si-
stema bancario è prezioso; va utilizzato, dove è stato perso va ricostruito.
Occorre valorizzare quanto più possibile le conoscenze sul campo, evitando
un eccesso di automatismi. Esistono
ampi margini di miglioramento. Alcune
banche, anche grandi, stanno cominciando a muoversi in questa direzione,
rivedendo modelli organizzativi e procedure decisionali”.
La Banca d’Italia si è così riallineata in
pieno alla reale posizione di Basilea 2 in
merito alla natura dei processi di assegnazione dei rating, espressa chiaramente al §417 (International Convergence of
Capital Measurement and Capital Standards. A Revised Framework, Basel
Committee on Banking Supervision,
June 2004): “I modelli di ‘credit scoring’
e gli altri procedimenti automatici di rating utilizzano generalmente solo un
sottoinsieme di informazioni disponibili. Benché essi possano talvolta evitare
alcuni degli errori tipici dei sistemi in
cui svolge un ruolo importante il giudizio soggettivo, l’impiego meccanico di
informazioni limitate è parimenti fonte
di errori … è necessaria un’adeguata valutazione e verifica da parte degli addetti per far sì che vengano prese in considerazione tutte le informazioni pertinenti e rilevanti, comprese quelle che
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visione finanziaria in grado di identificare i key driver delle performance.
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esulano dall’ambito del modello, e che
questo sia utilizzato in modo corretto”.
Dunque, i modelli di rating a base statistica presentano:
a. da un lato, importanti vantaggi in
termini di oggettività, standardizzazione, economicità e velocità delle
analisi di rischio creditizio, e anche
buone performance rispetto ad analisi condotte da personale poco
esperto e professionalizzato (De
Laurentis G., Maino R., I rating a base statistica, Bancaria Editrice, 2009);
b. dall’altro, rilevanti “rischi di modello” e limiti intrinseci in termini di
comprensione delle opportunità
strategiche delle imprese, dei loro
fattori di rischio originari e della natura del loro fabbisogno finanziario,
nonché in termini di limitatezza dell’orizzonte temporale di previsione.
Le debolezze nelle logiche costruttive
dei modelli stanno emergendo in modo
chiaro (De Laurentis G., Gabbi G., “The
Model Risk in Credit Risk Management
Processes”, in Gregoriu G.N., Hoppe
C., Wehn C.S., a cura di, Model Risk Evaluation Handbook, McGraw Hill, 2010).
Tipicamente il modello finale si compone di più moduli, riferiti al bilancio, ai
dati di centrale dei rischi, ai dati andamentali interni alla banca, e prevede un
limitato apporto judgmental finale (definito override). Accade che il modello finale sostanzialmente ricalchi il contributo dei dati andamentali interni. Il
problema è che gli indicatori andamentali (similmente a quelli di centrale dei
rischi) diventano tanto peggiori quanto
più la banca riduce i fidi (poiché si assottigliano i margini di credito inutilizzati, aumenta la frequenza degli sconfini ecc.): è, cioè, informazione che riflette il comportamento delle banche! Il
circolo vizioso è palese. Inoltre, queste
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informazioni perdono potere predittivo
quando si allunga l’orizzonte temporale di previsione richiesto. I modelli attualmente disponibili accentuano la
prociclicità del sistema di rating e riducono la lungimiranza delle decisioni di
affidamento.
Questo spiega perché, nelle principali
banche, è in fase di revisione il processo di sviluppo dei sistemi di rating a base statistica e si ricerchino maggiori
coerenze nell’uso gestionale e regolamentare degli stessi (De Laurentis G.,
Maino R., Molteni L., Developing, Validating and Using Internal Ratings. Methodologies and Case Studies, Wiley,
2010, in particolare cap. 7).
Tuttavia, anche migliorando la profondità temporale delle previsioni dei modelli, l’uso di sistemi di rating automatici tende a impoverire il rapporto banca-impresa perché, da un lato, le informazioni acquisite nell’interazione con il
cliente possono essere inutili per i modelli e, dall’altro, questi non producono
una visione articolata dei problemi e
delle prospettive dell’impresa, ma semplicemente un indicatore di sintesi del
rischio creditizio. Ecco perché, nei segmenti di mercato in cui la banca desidera servire le imprese con un reale
orientamento relazionale, si richiede di
saper sviluppare analisi centrate sul
contributo degli analisti d’impresa, capaci di innescare un proficuo scambio
informativo tra funzione crediti e funzione commerciale.
Ciò richiede alcuni accorgimenti organizzativi, più ampie professionalità degli addetti e “sistemi informativi di ruolo” pensati nativamente per essi. Tra i
primi, vanno menzionati il recupero di
un certo grado di specializzazione settoriale degli addetti e la predisposizione di sistemi di Knowledge Management che, per esempio, consentano
agli addetti di incontrarsi virtualmente
in modo sistematico e organizzato per
scambiare e consolidare opinioni e
analisi sui settori.
Professionalità e sistemi vanno di conserva: la tecnologia è sempre più un indispensabile enhancer delle professionalità (De Laurentis G., Gandolfi G., a
cura di, Il gestore imprese. Creare valore
per la banca e il cliente con i sistemi informativi di ruolo, Bancaria Editrice, 2008).
Con riguardo alle competenze di analisi d’impresa, la crescente domanda di
tali competenze è confermata dal successo di programmi di formazione quali “Analisi strategico-finanziaria d’impresa” della SDA Bocconi, in cui da anni si
utilizza un software integrato di analisi
storica e prospettica d’impresa che, già
operativamente utilizzato in diverse
banche, consente anche di conseguire
la massima efficacia di apprendimento
delle interazioni tra il piano strategico,
quello delle politiche di gestione, quello
reddituale, quello patrimoniale e quello
dei flussi finanziari di un’impresa.
La possibilità di condurre con semplicità analisi di sensitività sulle singole variabili di previsione consente l’individuazione dei key driver delle perfomance
prospettiche e della resilienza dell’impresa ad andamenti avversi; l’analisi di
scenario consente di simulare le risposte in termini di strategie e politiche gestionali, dotate di diversi gradi di libertà, che il management può porre in essere di fronte a evoluzioni dello scenario esterno, percependo così la reale capacità di risposta dell’impresa e il livello dei rischi dei finanziatori.
In sintesi, modelli statistical-based
più evoluti e competenze e strumenti
più avanzati per le analisi judgmental
sono necessari per guidare con rinnovato slancio l’allocazione delle risorse
finanziarie. π
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prospettive di ricerca
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l’analisi finanziaria
nella ristrutturazione
dei portafogli corporate
delle banche
Nell’ambito della valutazione del merito creditizio la strada maestra è “vecchia” e si
chiama analisi finanziaria: capire il momento dell’impresa cliente e le sue prospettive
future. Nell’ambito della gestione commerciale del portafoglio la strada da seguire è
nuova per le banche e si chiama “segmentazione della clientela e diversificazione dei
Claudio Zara
SDA Professor di Intermediazione
Finanziaria e Assicurazioni
Professore aggregato e
ricercatore Department of Finance
Università Bocconi
[email protected]
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I
l mondo dell’analisi del merito creditizio è stato caratterizzato negli ultimi anni dall’adozione dei rating interni bancari come strumento principale di misura del rischio di default delle
controparti corporate cui la banca concede finanziamenti. Tale adozione rientra in un più ampio processo di regolamentazione dell’attività bancaria noto
sotto l’espressione di Basilea 2. Senza
entrare nel merito degli obiettivi e dei
contenuti di Basilea 2, mi preme in questa sede sottolineare che tale regolamentazione ha come obiettivo di fondo
quello di migliorare la capacità di individuazione, misurazione e gestione dei
rischi che caratterizzano l’attività bancaria intesa in senso ampio. In questa
cornice il rating è stato individuato come uno strumento di misura del rischio
di controparte sopportato dalla banca
finanziatrice in un’operazione di finan-
ziamento che contribuisce a determinare anche l’allocazione di capitale a rischio regolamentare (ossia la struttura
di leverage massima sopportabile dalla
banca e ammissibile per il finanziamento dell’operazione) al fine di garantire la capacità di fare fronte alla manifestazione del rischio stesso.
Per potere utilizzare i sistemi di rating
interni, che meglio misurano la rischiosità del portafoglio impieghi di una
banca, è necessario sottostare a un
processo di validazione dei modelli da
parte della Banca d’Italia, poiché l’applicazione dei vincoli di patrimonializzazione è uno degli strumenti a disposizione dell’attività di vigilanza. Nel suo
processo di validazione la Banca d’Italia ha dovuto dare assoluta priorità alle
caratteristiche di certezza dei dati e di
robustezza dei risultati; questo approccio si è tradotto nella validazione di
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modelli di servizio”.
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modelli che sono basati su dati storici,
di bilancio e di andamentale, quindi
certi, e che si articolano in una serie di
indici di natura contabile e finanziaria
che non tengono conto della dimensione competitiva e manageriale dell’azienda controparte oggetto della valutazione. Ebbene, il trasferimento dell’applicazione di tale approccio, assolutamente giustificato ai fini regolamentari, alla gestione aziendale della policy
creditizia porta a forti limitazioni di valutazione sia del potenziale sia del rischio delle controparti, limite riconosciuto recentemente anche dallo stesso
Governatore Draghi (2009).
Il dibattito che ha caratterizzato i media
a partire dal 2008 sull’iniquità per le
controparti della concessione del credito attraverso l’applicazione dei modelli
di rating poggia su alcune argomentazioni effettivamente condivisibili: visione miope e di breve periodo; eccessivo
automatismo che non lascia spazio, o
lascia poco spazio, al giudizio sia dell’analista crediti sia del gestore di relazione; instabilità del rating in periodi di
crisi economica, quando sale il rapporto tra fido utilizzato e fido deliberato;
prociclicità che determinerebbe un’accentuazione degli effetti di razionamento del credito nelle fasi negative del ciclo economico. A ciò va aggiunta la specificità del mondo corporate italiano
che è spesso formato da aziende a
struttura proprietaria chiusa e ristretta,
che trascurano la comunicazione economico-finanziaria, che vivono la redazione del bilancio esclusivamente come
l’ottemperanza di un obbligo civilistico,
che subordinano le scelte di struttura finanziaria al vincolo proprietario. Che ci
sia un contesto così caratterizzato dall’opacità informativa esterna non è certo colpa dei modelli di rating, ma la loro applicazione “rigida” in un contesto
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simile può portare a forti distorsioni
sull’azione della politica creditizia.
Questi effetti distorsivi, che si sono manifestati soprattutto nel biennio 20082009, non portano solo difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese
controparti, ma producono anche effetti negativi sui bilanci e quindi sulle performance bancarie. È vero che, soprattutto nei periodi di crisi economica, la
parola d’ordine per l’attività corporate
delle banche deve essere: “primo non
prenderle”, ossia contenere le perdite
su crediti. Questo contenimento, che è
vitale per la sopravvivenza della redditività bancaria, passa anche attraverso
l’utilizzo della leva dei rientri e la concessione del credito applicando parametri più stringenti: è ciò che è successo a partire dal 2008. Però queste sono
manovre tattiche e non sono sostenibili a lungo, pena la scomparsa della redditività del business. Periodi di crisi come quelli che stiamo vivendo determinano chiari effetti sui conti dell’attività
corporate delle banche. I ricavi sono in
contrazione perché scende sia la componente da servizi a causa della minore
domanda sia la componente da interesse perché scendono le masse impiegate; questo trend negativo può essere in
parte compensato da maggiori chance
di riuscire a prezzare di più per il rischio, perché le controparti hanno, almeno temporaneamente, minore potere contrattuale, ma questo incremento
dei prezzi è spesso vanificato a livello di
redditività dal costo indotto da un maggiore assorbimento di capitale a rischio
causato da un generale scadimento del
merito creditizio delle controparti. Inoltre, in periodi di tassi bassi come quello che stiamo vivendo, la necessità di
utilizzare la leva volumi, ossia cercare
l’efficienza, è fondamentale per fare sì
che i ricavi possano adeguatamente co-
prire la struttura dei costi che è tendenzialmente fissa.
La sensazione è che già dal 2010, ma
soprattutto a partire da quest’anno, la
parola d’ordine per le banche sia diventata “rilancio dei portafogli corporate”,
che significa operare su due distinte linee d’azione. Da una parte, rilanciare
l’azione commerciale sui clienti esistenti e “sopravvissuti” alla crisi, assistendoli nel riqualificare la dimensione
ma soprattutto i contenuti della loro
domanda in modo coerente con i bisogni finanziari indotti dal loro contesto
competitivo di riferimento e dagli obiettivi perseguiti dalla proprietà e dal management. Dall’altra, ampliare la base
di clientela, però con clienti “sani” che
possono essere attratti ad aprire nuovi
rapporti, in un mercato del debito già
molto saturo, solo attraverso una proposta originale e per essi utile. Le due
linee d’azione sono sinergiche tra di loro per il perseguimento di efficienza ma
anche di efficacia; in questo mutato
contesto il management delle banche si
sta rendendo conto che il rating è un
utile punto di partenza in un processo
di valutazione della controparte ma che
non può essere il punto di arrivo. Bisogna quindi recuperare e acquisire informazioni a 360°, strumenti, in parte vecchi e in parte nuovi, professionalità e
competenze per dotarsi di nuova spinta “imprenditoriale” nella gestione a
tutto tondo della clientela.
Nell’ambito della valutazione del merito creditizio la strada maestra è “vecchia” e si chiama analisi finanziaria. La
necessità di capire il momento dell’impresa cliente e le sue prospettive future
richiede di ampliare le basi dei dati cui
fare riferimento e le tecniche di analisi.
Dati prospettici e tendenziali, informazioni sul posizionamento competitivo
dell’azienda e sulle qualità del suo ma-
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nagement sono dati, oltre a quelli economico-finanziari, su cui si basa l’analisi finanziaria. Gli strumenti sono più articolati e complessi rispetto a un modello “rigido” e variano anche in funzione dell’obiettivo conoscitivo: sicuramente si perde in oggettività rispetto al
rating, ma la soggettività dell’analista,
che inevitabilmente si introduce e che
non è detto che sia di per sé un male
(dipende dall’analista!), è più che compensata dalla possibilità di disporre di
un giudizio completo sulle prospettive
dell’impresa, sui rischi da essa sopportati e sulle sue capacità di servizio del
credito.
Nell’ambito della gestione commerciale del portafoglio la strada da seguire è
invece nuova per le banche e si chiama
“segmentazione della clientela e diversificazione dei modelli di servizio”. Se
le banche vogliono estrarre valore da
un mercato maturo, forse in contrazione, quale è il mercato corporate in Italia, devono superare il paradigma che si
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basa sull’assunto che le imprese sono
tutte uguali o che, al più, riconosce una
specificità alle sole imprese di maggiore dimensione. La realtà è che il mercato corporate è articolato in alcuni cluster di clientela che hanno caratteristiche ben distinte e che, se la banca vuole essere efficace ed efficiente, devono
essere approcciati con modelli di offerta e di servizio specifici e agiti da professionalità ad hoc. In quest’ottica, segmenti di clientela corporate diversi hanno anche esigenze finanziarie, qualitative e quantitative, diverse che devono
essere approcciate, dal punto di vista
del merito creditizio e della stima del rischio di credito, con analisi finanziarie
sufficientemente specifiche e mirate.
In questo senso, il corso “Analisi strategico-finanziaria d’impresa” della SDA
Bocconi mira a trasmettere le competenze e gli strumenti necessari a un’effettiva implementazione dell’attività di
analisi finanziaria all’interno della funzione di valutazione dei finanziatori. π
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