sentenza tar lazio su professioni
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sentenza tar lazio su professioni
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Roma - Prima Sezione nelle persone dei Magistrati: Dott. Giorgio Giovannini Presidente Dott. Antonino Savo Amodio Componente Dott. Roberto Caponigro Componente, relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 7753 del 2008, proposto da Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. Claudio Siciliotti, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Maria Azzaro, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Valadier n. 44 contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia, Ministero per le Politiche Europee, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui ope legis domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; Associazione Nazionale Tributaristi LAPET, in persona del legale rappresentante pro tempore Rag. Roberto Falcone, rappresentata e difesa dall’Avv. Santina Bernardi presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Via Garigliano n. 65; Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, in persona del legale rappresentante pro tempore Ing. Raffaele Sirica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Massimo Luciani e Antonio Maria Leozappa ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Via Bocca di Leone n. 78 con intervento ad adiuvandum del Consiglio Nazionale dei Geologi, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore Dott. Geol. Pietro Antonio De Paola rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Lagonegro presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Boezio n. 92 con intervento ad opponendum del Co.L.A.P., Coordinamento Libere Associazioni Professionali, in persona del coordinatore nazionale e rappresentante legale pro tempore, Giuseppe Lupoi, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe Montanini e Simona Censi ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Piazza San Cosimato n. 30; di UNAI – Unione Nazionale Amministratori d’Immobili, in persona del legale rapresentante pro tempore, Dott. Rosario Calabrese, rappresentata e difesa dall’Avv. Donato D’Angelo ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via Nizza n. 53; della Federazione Italiana Shiatsu, in persona del presidente nazionale e legale rappresentante pro tempore Giuseppe Montanini, rappresentata e difesa dall’Avv. Simona Censi presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n. 8; 2 di ANCOT, Associazione Nazionale Consulenti Tributari, in persona del presidente nazionale pro tempore, Dott. Arvedo Marinelli, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Antonio Tigani Sava e Luca Bontempi ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Dardanelli n. 46 (c/o studio Tigani Sava Bontempi Vaccaro) per l’annullamento del decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per le politiche europee del 28.4.2008 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 122 del 26.5.2008), avente ad oggetto i “requisiti per l’individuazione e l’annotazione degli enti di cui all’art. 26 del Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate. Procedimento per la valutazione delle istanze e per l’annotazione nell’elenco. Procedimento per la revisione e gestione dell’elenco”; di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi. Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato; Viste le costituzioni in giudizio di Associazione Nazionale Tributaristi LAPET, Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, Federazione Italiana Shiatsu, Unione Nazionale Amministratori d’Immobili UNAI, Consiglio Nazionale dei Geologi, Associazione Nazionale Consulenti Tributari ANCOT e Coordinamento Libere Associazioni Professionali Co.L.A.P.; 3 Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla udienza pubblica dell’11 febbraio 2009, relatore il dott. Roberto Caponigro, gli avvocati di cui al relativo verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO E DIRITTO 1. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili espone di rappresentare istituzionalmente tutti gli iscritti agli Ordini dei dottori commercialisti ed esperti contabili svolgendo, ai sensi dell’art. 29 D.Lgs. 139/2005, numerose attività tra cui, la promozione di rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti, la formulazione di pareri sui progetti di legge e di regolamento che interessano la professione etc. Il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206, ha dettato norme per l’attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. L’impugnato decreto interministeriale del 28 aprile 2008 ha ad oggetto i requisiti per l’individuazione e l’annotazione degli enti di cui all’art. 26 D.Lgs. 206/2007 nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi intellettuali e delle professioni non regolamentate e l’art. 1 dello stesso individua i requisiti di rappresentatività a livello nazionale, il possesso dei quali consente l’inserimento, a domanda, degli enti di cui all’art. 26 D.Lgs. 206/2007 nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia. 4 Il ricorrente, ritenendo il D.M. 28 aprile 2008 lesivo per i Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi: • Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 D.Lgs. 206/2007. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti e per manifesta illogicità. Il decreto conterrebbe previsioni che integrano, in assenza di qualsivoglia base normativa, il disposto del D.Lgs. 206/2007 stravolgendone il sistema ovvero dettando disposizioni in contrasto con le disposizioni che derivano dal combinato disposto del D.Lgs. 206/2007 e di norme costituzionali immediatamente precettive. In particolare, avrebbe esteso arbitrariamente anche alle professioni regolamentate per cui non esistono ordini, albi o collegi i criteri per la valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale, laddove la norma di legge ha individuato i criteri per le sole professioni regolamentate. • Violazione dell’art. 17 L. 400/1988. Il decreto, che avrebbe natura normativo regolamentare, sarebbe stato emesso senza il parere del Consiglio di Stato e senza la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. • Violazione e falsa applicazione della direttiva 2005/36/CE sotto molteplici profili. Illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale del D.Lgs. 206/2007 per violazione degli artt. 3, 33, 41, 76, 77 e 117 Cost. Mancata o erronea applicazione dei principi normativi di cui alla normativa comunitaria e dello stesso D.Lgs. 206/2007 in ordine all’art. 1 D.M. 28 aprile 2008. Eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche. 5 La direttiva 2005/36/CE si riferirebbe alle sole professioni regolamentate, sicché le disposizioni del D.Lgs. 206/2007, e del decreto, che equiparano le professioni non regolamentate a quelle regolamentate dovrebbero essere disapplicate per contrasto con il diritto comunitario. La scelta del legislatore nazionale di consentire anche ai rappresentanti delle professioni non regolamentate di partecipare alla elaborazione di proposte in materia di piattaforme comuni da sottoporre alla Commissione Europea sarebbe illegittima. L’art. 4, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 206/2007 determinerebbe una situazione di disparità e disuguaglianza sostanziale tra coloro che svolgono un’attività professionale in forza di un titolo acquisito a seguito di un esame di Stato e coloro che svolgono la stessa “professione regolamentata” in assenza di alcun titolo ma solo per adesione ad un’associazione di diritto privato. La norma determinerebbe anche una situazione di disuguaglianza formale nell’ambito delle professioni “ordinistiche” tra coloro che appartengono ad Ordini professionali che non abbiano attività riservate in esclusiva (come i dottori commercialisti e gli esperti contabili), cui andrebbe riferita la definizione di cui all’art. 4, co, 1, lett. a), n. 3 del D.Lgs. 206/2007 e coloro che appartengono ad Ordini professionali che abbiano attività riservate in esclusiva, cui andrebbe riferita la definizione di cui all’art. 4, co. 1, lett. a), n. 1. Non vi potrebbero essere, per le professioni regolamentate, associazioni o organismi rappresentativi, ancorché in mancanza di ordini, albi o elenchi, in quanto le associazioni previste dalla direttiva sarebbero solo quelle di cui all’Allegato I. Nel nostro ordinamento, inoltre, non 6 esisterebbero professioni regolamentate per le quali manchino ordini, albi o collegi. Attraverso la norma in materia di piattaforme comuni, il D.Lgs. 206/2007 avrebbe voluto produrre il superamento di fatto del sistema di accesso mediante esame di Stato alle professioni regolamentate, introducendo surrettiziamente un sistema “duale”, pubblico – privato di accesso alle professioni, in violazione dell’art. 33 Cost. Il ricorrente ha altresì prospettato, per l’ipotesi in cui fossero respinte le doglianze relative al contrasto del decreto con le norme comunitarie ed interne, profili di illegittimità costituzionale delle norme di cui all’art. 26 del D.Lgs. 206/2007 con gli artt. 76, 77, 33, 3, 41 e 117 Cost. La LAPET, l’ANCOT, il Co.L.A.P. e la Federazione Italiana Shiatsu hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse. Nel merito, l’Avvocatura dello Stato, al pari delle altre parti costituite ad opponendum, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dal ricorrente, mentre il Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali ed il Consiglio Nazionale dei Geologi, intervenuto ad adiuvandum, hanno sviluppato argomentazioni a sostegno della tesi del ricorrente. Le parti hanno prodotto ulteriori memorie a sostegno delle rispettive ragioni. All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2009, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. Il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse. 7 La direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione europea 7.9.2005 n. 2005/36/CE è relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Il primo “considerando” della direttiva prevede che, ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. c), del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Inoltre, l’art. 47, par. 1, del trattato prevede l’approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli. Il terzo “considerando” stabilisce peraltro che la garanzia, conferita dalla presente direttiva a coloro che hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro, di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di quest’ultimo non esonera il professionista migrante dal rispetto di eventuali condizioni di esercizio non discriminatorie che potrebbero essere imposte dallo Stato membro in questione, purché obiettivamente giustificate e proporzionate. Il sedicesimo “considerando” prevede ancora che, per favorire la libera circolazione dei professionisti, garantendo al tempo stesso adeguati livelli di qualifica, varie associazioni e organismi professionali o Stati membri dovrebbero poter proporre, a livello europeo, piattaforme comuni. Le associazioni professionali in grado di proporre piattaforme comuni 8 dovrebbero essere rappresentative a livello nazionale ed europeo; una piattaforma comune è una serie di criteri che permettono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione, e tali criteri potrebbero ad esempio includere requisiti quali una formazione complementare, un tirocinio di adattamento, una prova attitudinale o un livello minimo prescritto di pratica professionale, o una combinazione degli stessi. Di talché, l’art. 15 della direttiva, indicato che per “piattaforme comuni” si intende l’insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione, ha stabilito che le “piattaforme comuni” possono essere sottoposte alla Commissione dagli Stati membri o da associazioni o organismi professionali rappresentativi a livello nazionale ed europeo. L’art. 26 D.Lgs. 206/2007 ha di conseguenza previsto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni di cui all’art. 4, co. 1, lett. n), da sottoporre alla Commissione europea, convoca apposite conferenze di servizi cui partecipano le autorità competenti di cui all’art. 5. Sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall’autorità competente di cui all’art. 5 o, in mancanza, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove 9 esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale; all’elaborazione di piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri, partecipano le autorità competenti di cui all’art. 5, sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale. L’art. 26, co. 3, D.Lgs. 206/2007 ha ancora stabilito che, al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle professioni non regolamentate si tiene conto di una serie di requisiti predeterminati. L’impugnato decreto interministeriale del 28 aprile 2008 ha infine individuato i requisiti di rappresentatività che gli enti di cui all’art. 26 D.Lgs. 206/2007 devono possedere per essere inseriti, a domanda, nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia. Il decreto del 28 aprile 2008, quindi, è finalizzato esclusivamente ad individuare, sulla base della loro rappresentatività a livello nazionale, gli enti - ulteriori rispetto agli ordini, collegi o albi delle professioni regolamentate - che, ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. 206/2007, devono essere sentiti sull’ipotesi di piattaforma comune elaborate dallo Stato italiano o da altri Stati membri. In altri termini, il decreto individua - in relazione alle professioni regolamentate per le quali non siano stati istituiti ordini, albi o collegi 10 nonché per le professioni non regolamentate - gli enti che, in possesso dei requisiti di rappresentatività, hanno titolo a partecipare al procedimento di elaborazione della piattaforma comune proposta da uno degli Stati membri. Ne consegue che, essendo questa e solo questa la finalità cui è preordinato il DM 28 aprile 2008, risulta del tutto esclusa la preoccupazione paventata nel ricorso, secondo cui, mediante la norma in materia di piattaforme comuni, il D.Lgs. 206/2007 avrebbe voluto produrre il superamento di fatto del sistema di accesso mediante esame di stato alle “professioni regolamentate”, introducendo surrettiziamente un sistema “duale”, pubblico – privato, di accesso alle professioni, in violazione dell’art. 33 Cost. Il D.Lgs. 206/2007, ed il conseguente DM 28 aprile 2008, in sostanza, non hanno introdotto alcun nuovo sistema di accesso alle professioni, limitandosi a prevedere l’annotazione in un elenco tenuto dal Ministero della Giustizia degli enti in possesso di requisiti tali da renderli rappresentativi di una determinata attività professionale al fine di consentire agli stessi la partecipazione procedimentale in ipotesi di elaborazione di piattaforme comuni. Al procedimento di elaborazione di piattaforme comuni, in definitiva, hanno titolo a partecipare gli ordini, collegi o albi delle professioni regolamentate nonché gli enti – per le professioni regolamentate per le quali non siano stati istituiti ordini, albi o collegi e per le professioni non regolamentate – iscritti nell’elenco tenuto a tal fine dal Ministero della Giustizia. 11 Per professione regolamentata, l’art. 3 della direttiva n. 2005/36/CE intende l’attività o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali. L’art. 4 del D.Lgs. 206/2007 definisce professione regolamentata sia l’attività o insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se l’iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità, sia l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale. Sulla base di tale ricostruzione normativa, emerge la carenza di interesse all’azione del Consiglio ricorrente e la conseguente inammissibilità del gravame. Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende ad un provvedimento giurisdizionale idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione. Condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione ad agire (detta anche legittimazione processuale) e l’interesse a ricorrere: la prima spetta a colui che affermi di essere titolare della situazione giuridica sostanziale in ipotesi ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo, mentre l’interesse al ricorso consiste in un vantaggio diretto, pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa. 12 Nel caso di specie, l’interesse al ricorso è insussistente in quanto, da un lato, non è riscontrabile una lesione diretta, attuale e concreta derivante al ricorrente dall’emanazione dell’atto impugnato, dall’altro, non è possibile comprendere in che modo l’eventuale accoglimento del ricorso ed il conseguente annullamento del D.M. 28 aprile 2008 possano direttamente determinare un’utilità sostanziale in favore del soggetto che ha proposto l’azione. La peculiarità della fattispecie è data dal fatto che le attività tipiche svolte dai dottori commercialisti e dagli esperti contabili non sono espressamente riservate loro dalla legge, il che rende possibile la presenza di associazioni i cui iscritti svolgono una o più di quelle attività. In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di chiarire che, al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in un’attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (cfr. Corte Cost. 27 dicembre 1996, n. 418). Di talché, rilevato che la natura di “professione regolamentata” in Italia sembra configurarsi solo per le attività per le quali sussiste una riserva di attribuzione in favore degli iscritti in albi professionali, le attività non riservate in via esclusiva agli “iscritti” non possono ritenersi afferenti ad una 13 “professione regolamentata”, per cui il relativo Ordine, ove, come nel caso di specie, sussistente, non è per ciò solo legittimato ad intervenire nel procedimento sulle ipotesi di piattaforma regolamentata, ma è soggetto, come ogni altra associazione relativa a quella professione non regolamentata, alla disciplina prevista in linea generale per le professioni non regolamentate. In sostanza - considerato che l’interesse al ricorso è stato sintetizzato nello stesso atto introduttivo del giudizio e si concreta nel “partecipare, mediante pareri in via esclusiva con esclusione quindi di Associazioni di diritto privato non riconosciute a tal fine dal nostro ordinamento giuridico che riserva tali compiti istituzionali agli Ordini professionali, alla proposizione di Piattaforme comuni, in modo tale da consentire ai propri iscritti di stabilirsi presso altri paesi membri alle migliori condizioni possibili, e di poter determinare le condizioni di riconoscimento delle Qualifiche professionali degli altri paesi membri, a tutela dei propri iscritti – posto il regime di concorrenza professionale fra i professionisti che operano nello stesso mercato rilevante – ed anche degli utenti finali, che possono e debbono distinguere i Titoli e le Qualifiche professionali dei lavoratori autonomi che offrano loro una prestazione” e rilevato che altresì nella memoria depositata il 2 febbraio 2009 l’interesse all’annullamento è indicato “al fine di impedire che associazioni rappresentative di attività ricomprese nella professione di Dottore commercialista ed Esperto contabile possano essere inserite nell’elenco dei soggetti che devono essere sentiti per l’elaborazione di piattaforme comunitarie per l’esercizio delle professioni regolamentate nei paesi U.E.” - l’interesse prospettato non sussiste in 14 quanto, in assenza dell’impugnato decreto ministeriale, l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili non potrebbe comunque partecipare in via esclusiva alla proposizione di piattaforme comuni, ma, sebbene istituito per legge, rientrerebbe nella disciplina prevista in linea generale per le professioni non regolamentate. In definitiva, il decreto impugnato non si presenta immediatamente, direttamente e concretamente lesivo della sfera giuridica del ricorrente, né dal suo eventuale annullamento il ricorrente potrebbe trarre una effettiva utilità. D’altra parte, anche volendo accedere alla tesi che le attività de quibus afferiscono ad una “professione regolamentata” in quanto l’attività può essere esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualificazione professionale (art. 4, co. 1, lett. a, n. 3, D.Lgs. 206/2007, che, peraltro, sembra più propriamente riferibile alle ipotesi di professioni regolamentate per le quali non sono stati istituiti ordini, albi o collegi), non sussisterebbe comunque alcun interesse al ricorso, poiché, ove per la professione regolamentata sono stati istituiti ordini, albi o collegi, non vi è alcuna possibilità che nel procedimento siano coinvolte altre associazioni costituite da soggetti che svolgono attività analoghe, sicché il decreto impugnato sarebbe privo di qualsivoglia lesività. In definitiva, ove si versasse in ipotesi di “professione regolamentata”, non perché le attività sono riservate in via esclusiva agli iscritti all’Ordine ma perché l’attività può essere esercitata solo con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale, gli Ordini sarebbero gli unici interlocutori nella 15 elaborazione delle piattaforme comuni e, quindi, non avrebbero alcun interesse all’annullamento richiesto. 3. Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Prima Sezione di Roma, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009. Dott. Giorgio Giovannini Presidente Dott. Roberto Caponigro Estensore 16