sentenza tar lazio su professioni

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sentenza tar lazio su professioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma - Prima Sezione
nelle persone dei Magistrati:
Dott. Giorgio Giovannini
Presidente
Dott. Antonino Savo Amodio
Componente
Dott. Roberto Caponigro
Componente, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 7753 del 2008, proposto da
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. Claudio
Siciliotti, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Maria Azzaro, presso il
cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Valadier n. 44
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia, Ministero
per le Politiche Europee, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui ope
legis domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
Associazione Nazionale Tributaristi LAPET, in persona del legale
rappresentante pro tempore Rag. Roberto Falcone, rappresentata e difesa
dall’Avv. Santina Bernardi presso il cui studio è elettivamente domiciliata in
Roma, Via Garigliano n. 65;
Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, in
persona del legale rappresentante pro tempore Ing. Raffaele Sirica,
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Massimo Luciani e Antonio Maria
Leozappa ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Via
Bocca di Leone n. 78
con intervento ad adiuvandum
del Consiglio Nazionale dei Geologi, in persona del presidente legale
rappresentante pro tempore Dott. Geol. Pietro Antonio De Paola
rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Lagonegro presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Roma, Via Boezio n. 92
con intervento ad opponendum
del Co.L.A.P., Coordinamento Libere Associazioni Professionali, in persona
del coordinatore nazionale e rappresentante legale pro tempore, Giuseppe
Lupoi, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe Montanini e Simona
Censi ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma,
Piazza San Cosimato n. 30;
di UNAI – Unione Nazionale Amministratori d’Immobili, in persona del
legale rapresentante pro tempore, Dott. Rosario Calabrese, rappresentata e
difesa dall’Avv. Donato D’Angelo ed elettivamente domiciliata presso il suo
studio in Roma, Via Nizza n. 53;
della Federazione Italiana Shiatsu, in persona del presidente nazionale e
legale rappresentante pro tempore Giuseppe Montanini, rappresentata e
difesa dall’Avv. Simona Censi presso il cui studio è elettivamente
domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n. 8;
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di ANCOT, Associazione Nazionale Consulenti Tributari, in persona del
presidente nazionale pro tempore, Dott. Arvedo Marinelli, rappresentata e
difesa dagli Avv.ti Antonio Tigani Sava e Luca Bontempi ed elettivamente
domiciliata in Roma, Via Dardanelli n. 46 (c/o studio Tigani Sava Bontempi
Vaccaro)
per l’annullamento
del decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per
le politiche europee del 28.4.2008 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
122 del 26.5.2008), avente ad oggetto i “requisiti per l’individuazione e
l’annotazione degli enti di cui all’art. 26 del Decreto Legislativo 9 novembre
2007, n. 206, nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello
nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini,
albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non
regolamentate. Procedimento per la valutazione delle istanze e per
l’annotazione nell’elenco. Procedimento per la revisione e gestione
dell’elenco”;
di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato;
Viste le costituzioni in giudizio di Associazione Nazionale Tributaristi
LAPET, Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali,
Federazione Italiana Shiatsu, Unione Nazionale Amministratori d’Immobili
UNAI,
Consiglio
Nazionale dei
Geologi,
Associazione Nazionale
Consulenti Tributari ANCOT e Coordinamento Libere Associazioni
Professionali Co.L.A.P.;
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Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla udienza pubblica dell’11 febbraio 2009, relatore il dott. Roberto
Caponigro, gli avvocati di cui al relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili espone di rappresentare istituzionalmente tutti gli iscritti agli
Ordini dei dottori commercialisti ed esperti contabili svolgendo, ai sensi
dell’art. 29 D.Lgs. 139/2005, numerose attività tra cui, la promozione di
rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti, la
formulazione di pareri sui progetti di legge e di regolamento che interessano
la professione etc.
Il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206, ha dettato norme per l’attuazione
della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche
professionali.
L’impugnato decreto interministeriale del 28 aprile 2008 ha ad
oggetto i requisiti per l’individuazione e l’annotazione degli enti di cui
all’art. 26 D.Lgs. 206/2007 nell’elenco delle associazioni rappresentative a
livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono
ordini, albi o collegi, nonché dei servizi intellettuali e delle professioni non
regolamentate e l’art. 1 dello stesso individua i requisiti di rappresentatività
a livello nazionale, il possesso dei quali consente l’inserimento, a domanda,
degli enti di cui all’art. 26 D.Lgs. 206/2007 nell’elenco tenuto dal Ministero
della Giustizia.
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Il ricorrente, ritenendo il D.M. 28 aprile 2008 lesivo per i Dottori
Commercialisti e gli Esperti Contabili, ha proposto il presente ricorso,
articolato nei seguenti motivi:
•
Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 D.Lgs. 206/2007. Eccesso di
potere per errata valutazione dei presupposti e per manifesta illogicità.
Il decreto conterrebbe previsioni che integrano, in assenza di
qualsivoglia base normativa, il disposto del D.Lgs. 206/2007
stravolgendone il sistema ovvero dettando disposizioni in contrasto con
le disposizioni che derivano dal combinato disposto del D.Lgs. 206/2007
e di norme costituzionali immediatamente precettive. In particolare,
avrebbe esteso arbitrariamente anche alle professioni regolamentate per
cui non esistono ordini, albi o collegi i criteri per la valutazione in ordine
alla rappresentatività a livello nazionale, laddove la norma di legge ha
individuato i criteri per le sole professioni regolamentate.
•
Violazione dell’art. 17 L. 400/1988.
Il decreto, che avrebbe natura normativo regolamentare, sarebbe stato
emesso senza il parere del Consiglio di Stato e senza la preventiva
comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri.
•
Violazione e falsa applicazione della direttiva 2005/36/CE sotto
molteplici profili. Illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale
del D.Lgs. 206/2007 per violazione degli artt. 3, 33, 41, 76, 77 e 117
Cost. Mancata o erronea applicazione dei principi normativi di cui alla
normativa comunitaria e dello stesso D.Lgs. 206/2007 in ordine all’art. 1
D.M. 28 aprile 2008. Eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche.
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La
direttiva
2005/36/CE
si
riferirebbe
alle
sole
professioni
regolamentate, sicché le disposizioni del D.Lgs. 206/2007, e del decreto,
che equiparano le professioni non regolamentate a quelle regolamentate
dovrebbero essere disapplicate per contrasto con il diritto comunitario.
La scelta del legislatore nazionale di consentire anche ai rappresentanti
delle professioni non regolamentate di partecipare alla elaborazione di
proposte in materia di piattaforme comuni da sottoporre alla
Commissione Europea sarebbe illegittima.
L’art. 4, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 206/2007 determinerebbe una
situazione di disparità e disuguaglianza sostanziale tra coloro che
svolgono un’attività professionale in forza di un titolo acquisito a
seguito di un esame di Stato e coloro che svolgono la stessa “professione
regolamentata” in assenza di alcun titolo ma solo per adesione ad
un’associazione di diritto privato. La norma determinerebbe anche una
situazione di disuguaglianza formale nell’ambito delle professioni
“ordinistiche” tra coloro che appartengono ad Ordini professionali che
non abbiano attività riservate in esclusiva (come i dottori commercialisti
e gli esperti contabili), cui andrebbe riferita la definizione di cui all’art.
4, co, 1, lett. a), n. 3 del D.Lgs. 206/2007 e coloro che appartengono ad
Ordini professionali che abbiano attività riservate in esclusiva, cui
andrebbe riferita la definizione di cui all’art. 4, co. 1, lett. a), n. 1.
Non vi potrebbero essere, per le professioni regolamentate, associazioni
o organismi rappresentativi, ancorché in mancanza di ordini, albi o
elenchi, in quanto le associazioni previste dalla direttiva sarebbero solo
quelle di cui all’Allegato I. Nel nostro ordinamento, inoltre, non
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esisterebbero professioni regolamentate per le quali manchino ordini,
albi o collegi.
Attraverso la norma in materia di piattaforme comuni, il D.Lgs.
206/2007 avrebbe voluto produrre il superamento di fatto del sistema di
accesso mediante esame di Stato alle professioni regolamentate,
introducendo surrettiziamente un sistema “duale”, pubblico – privato di
accesso alle professioni, in violazione dell’art. 33 Cost.
Il ricorrente ha altresì prospettato, per l’ipotesi in cui fossero respinte
le doglianze relative al contrasto del decreto con le norme comunitarie ed
interne, profili di illegittimità costituzionale delle norme di cui all’art. 26 del
D.Lgs. 206/2007 con gli artt. 76, 77, 33, 3, 41 e 117 Cost.
La LAPET, l’ANCOT, il Co.L.A.P. e la Federazione Italiana Shiatsu
hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse.
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato, al pari delle altre parti
costituite ad opponendum, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte
dal ricorrente, mentre il Comitato Unitario Permanente degli Ordini e
Collegi Professionali ed il Consiglio Nazionale dei Geologi, intervenuto ad
adiuvandum, hanno sviluppato argomentazioni a sostegno della tesi del
ricorrente.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie a sostegno delle rispettive
ragioni.
All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2009, la causa è stata
trattenuta per la decisione.
2.
Il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse.
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La direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione
europea 7.9.2005 n. 2005/36/CE è relativa al riconoscimento delle
qualifiche professionali.
Il primo “considerando” della direttiva prevede che, ai sensi dell’art.
3, par. 1, lett. c), del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera
circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della
Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l’altro, la
facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una
professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la
relativa qualifica professionale. Inoltre, l’art. 47, par. 1, del trattato prevede
l’approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi,
certificati e altri titoli.
Il terzo “considerando” stabilisce peraltro che la garanzia, conferita
dalla presente direttiva a coloro che hanno acquisito una qualifica
professionale in uno Stato membro, di accedere alla stessa professione e di
esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di
quest’ultimo non esonera il professionista migrante dal rispetto di eventuali
condizioni di esercizio non discriminatorie che potrebbero essere imposte
dallo Stato membro in questione, purché obiettivamente giustificate e
proporzionate.
Il sedicesimo “considerando” prevede ancora che, per favorire la
libera circolazione dei professionisti, garantendo al tempo stesso adeguati
livelli di qualifica, varie associazioni e organismi professionali o Stati
membri dovrebbero poter proporre, a livello europeo, piattaforme comuni.
Le associazioni professionali in grado di proporre piattaforme comuni
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dovrebbero essere rappresentative a livello nazionale ed europeo; una
piattaforma comune è una serie di criteri che permettono di colmare la più
ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i
requisiti di formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti
gli Stati membri che regolamentano la professione in questione, e tali criteri
potrebbero
ad
esempio
includere
requisiti
quali
una
formazione
complementare, un tirocinio di adattamento, una prova attitudinale o un
livello minimo prescritto di pratica professionale, o una combinazione degli
stessi.
Di talché, l’art. 15 della direttiva, indicato che per “piattaforme
comuni” si intende l’insieme dei criteri delle qualifiche professionali in
grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in
materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata
professione, ha stabilito che le “piattaforme comuni” possono essere
sottoposte alla Commissione dagli Stati membri o da associazioni o
organismi professionali rappresentativi a livello nazionale ed europeo.
L’art. 26 D.Lgs. 206/2007 ha di conseguenza previsto che la
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento
delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di
piattaforme comuni di cui all’art. 4, co. 1, lett. n), da sottoporre alla
Commissione europea, convoca apposite conferenze di servizi cui
partecipano le autorità competenti di cui all’art. 5. Sulla ipotesi di
piattaforma elaborata dall’autorità competente di cui all’art. 5 o, in
mancanza, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, vengono sentiti, se si
tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove
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esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio
nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le
associazioni rappresentative sul territorio nazionale; all’elaborazione di
piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri, partecipano le autorità
competenti di cui all’art. 5, sentiti, se si tratta di professioni regolamentate,
gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni
rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non
regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio
nazionale.
L’art. 26, co. 3, D.Lgs. 206/2007 ha ancora stabilito che, al fine della
valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle
professioni non regolamentate si tiene conto di una serie di requisiti
predeterminati.
L’impugnato decreto interministeriale del 28 aprile 2008 ha infine
individuato i requisiti di rappresentatività che gli enti di cui all’art. 26
D.Lgs. 206/2007 devono possedere per essere inseriti, a domanda,
nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia.
Il decreto del 28 aprile 2008, quindi, è finalizzato esclusivamente ad
individuare, sulla base della loro rappresentatività a livello nazionale, gli
enti - ulteriori rispetto agli ordini, collegi o albi delle professioni
regolamentate - che, ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. 206/2007, devono essere
sentiti sull’ipotesi di piattaforma comune elaborate dallo Stato italiano o da
altri Stati membri.
In altri termini, il decreto individua - in relazione alle professioni
regolamentate per le quali non siano stati istituiti ordini, albi o collegi
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nonché per le professioni non regolamentate - gli enti che, in possesso dei
requisiti di rappresentatività, hanno titolo a partecipare al procedimento di
elaborazione della piattaforma comune proposta da uno degli Stati membri.
Ne consegue che, essendo questa e solo questa la finalità cui è
preordinato il DM 28 aprile 2008, risulta del tutto esclusa la preoccupazione
paventata nel ricorso, secondo cui, mediante la norma in materia di
piattaforme comuni, il D.Lgs. 206/2007 avrebbe voluto produrre il
superamento di fatto del sistema di accesso mediante esame di stato alle
“professioni regolamentate”, introducendo surrettiziamente un sistema
“duale”, pubblico – privato, di accesso alle professioni, in violazione
dell’art. 33 Cost.
Il D.Lgs. 206/2007, ed il conseguente DM 28 aprile 2008, in
sostanza, non hanno introdotto alcun nuovo sistema di accesso alle
professioni, limitandosi a prevedere l’annotazione in un elenco tenuto dal
Ministero della Giustizia degli enti in possesso di requisiti tali da renderli
rappresentativi di una determinata attività professionale al fine di consentire
agli stessi la partecipazione procedimentale in ipotesi di elaborazione di
piattaforme comuni.
Al procedimento di elaborazione di piattaforme comuni, in
definitiva, hanno titolo a partecipare gli ordini, collegi o albi delle
professioni regolamentate nonché gli enti – per le professioni regolamentate
per le quali non siano stati istituiti ordini, albi o collegi e per le professioni
non regolamentate – iscritti nell’elenco tenuto a tal fine dal Ministero della
Giustizia.
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Per professione regolamentata, l’art. 3 della direttiva n. 2005/36/CE
intende l’attività o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il
cui esercizio, o una delle modalità di esercizio, sono subordinati
direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o
amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali.
L’art. 4 del D.Lgs. 206/2007 definisce professione regolamentata sia
l’attività o insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito
di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da
amministrazioni o enti pubblici, se l’iscrizione è subordinata al possesso di
qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità,
sia l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è
riservato a chi possiede una qualifica professionale.
Sulla base di tale ricostruzione normativa, emerge la carenza di
interesse all’azione del Consiglio ricorrente e la conseguente inammissibilità
del gravame.
Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza
della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende ad un provvedimento
giurisdizionale idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione.
Condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione ad
agire (detta anche legittimazione processuale) e l’interesse a ricorrere: la
prima spetta a colui che affermi di essere titolare della situazione giuridica
sostanziale in ipotesi ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo,
mentre l’interesse al ricorso consiste in un vantaggio diretto, pratico e
concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente
dall’accoglimento dell’impugnativa.
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Nel caso di specie, l’interesse al ricorso è insussistente in quanto, da
un lato, non è riscontrabile una lesione diretta, attuale e concreta derivante al
ricorrente dall’emanazione dell’atto impugnato, dall’altro, non è possibile
comprendere in che modo l’eventuale accoglimento del ricorso ed il
conseguente annullamento del D.M. 28 aprile 2008 possano direttamente
determinare un’utilità sostanziale in favore del soggetto che ha proposto
l’azione.
La peculiarità della fattispecie è data dal fatto che le attività tipiche
svolte dai dottori commercialisti e dagli esperti contabili non sono
espressamente riservate loro dalla legge, il che rende possibile la presenza di
associazioni i cui iscritti svolgono una o più di quelle attività.
In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di
chiarire che, al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono
essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica
abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di
esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le
altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in
un’attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva), vige il
principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di
servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa
organizzazione (cfr. Corte Cost. 27 dicembre 1996, n. 418).
Di talché, rilevato che la natura di “professione regolamentata” in
Italia sembra configurarsi solo per le attività per le quali sussiste una riserva
di attribuzione in favore degli iscritti in albi professionali, le attività non
riservate in via esclusiva agli “iscritti” non possono ritenersi afferenti ad una
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“professione regolamentata”, per cui il relativo Ordine, ove, come nel caso
di specie, sussistente, non è per ciò solo legittimato ad intervenire nel
procedimento sulle ipotesi di piattaforma regolamentata, ma è soggetto,
come ogni
altra associazione relativa a quella professione non
regolamentata, alla disciplina prevista in linea generale per le professioni
non regolamentate.
In sostanza - considerato che l’interesse al ricorso è stato sintetizzato
nello stesso atto introduttivo del giudizio e si concreta nel “partecipare,
mediante pareri in via esclusiva con esclusione quindi di Associazioni di
diritto privato non riconosciute a tal fine dal nostro ordinamento giuridico
che riserva tali compiti istituzionali agli Ordini professionali, alla
proposizione di Piattaforme comuni, in modo tale da consentire ai propri
iscritti di stabilirsi presso altri paesi membri alle migliori condizioni
possibili, e di poter determinare le condizioni di riconoscimento delle
Qualifiche professionali degli altri paesi membri, a tutela dei propri iscritti –
posto il regime di concorrenza professionale fra i professionisti che operano
nello stesso mercato rilevante – ed anche degli utenti finali, che possono e
debbono distinguere i Titoli e le Qualifiche professionali dei lavoratori
autonomi che offrano loro una prestazione” e rilevato che altresì nella
memoria depositata il 2 febbraio 2009 l’interesse all’annullamento è
indicato “al fine di impedire che associazioni rappresentative di attività
ricomprese nella professione di Dottore commercialista ed Esperto contabile
possano essere inserite nell’elenco dei soggetti che devono essere sentiti per
l’elaborazione di piattaforme comunitarie per l’esercizio delle professioni
regolamentate nei paesi U.E.” - l’interesse prospettato non sussiste in
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quanto, in assenza dell’impugnato decreto ministeriale, l’Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili non potrebbe comunque partecipare
in via esclusiva alla proposizione di piattaforme comuni, ma, sebbene
istituito per legge, rientrerebbe nella disciplina prevista in linea generale per
le professioni non regolamentate.
In definitiva, il decreto impugnato non si presenta immediatamente,
direttamente e concretamente lesivo della sfera giuridica del ricorrente, né
dal suo eventuale annullamento il ricorrente potrebbe trarre una effettiva
utilità.
D’altra parte, anche volendo accedere alla tesi che le attività de
quibus afferiscono ad una “professione regolamentata” in quanto l’attività
può essere esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è
riservato a chi possiede una qualificazione professionale (art. 4, co. 1, lett. a,
n. 3, D.Lgs. 206/2007, che, peraltro, sembra più propriamente riferibile alle
ipotesi di professioni regolamentate per le quali non sono stati istituiti
ordini, albi o collegi), non sussisterebbe comunque alcun interesse al
ricorso, poiché, ove per la professione regolamentata sono stati istituiti
ordini, albi o collegi, non vi è alcuna possibilità che nel procedimento siano
coinvolte altre associazioni costituite da soggetti che svolgono attività
analoghe, sicché il decreto impugnato sarebbe privo di qualsivoglia lesività.
In
definitiva,
ove
si
versasse
in
ipotesi
di
“professione
regolamentata”, non perché le attività sono riservate in via esclusiva agli
iscritti all’Ordine ma perché l’attività può essere esercitata solo con
l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una
qualifica professionale, gli Ordini sarebbero gli unici interlocutori nella
15
elaborazione delle piattaforme comuni e, quindi, non avrebbero alcun
interesse all’annullamento richiesto.
3.
Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese
del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Prima Sezione di Roma,
dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 febbraio
2009.
Dott. Giorgio Giovannini
Presidente
Dott. Roberto Caponigro
Estensore
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