il colloquio d`aiuto con l`adolescente o

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il colloquio d`aiuto con l`adolescente o
IL COLLOQUIO D'AIUTO CON L'ADOLESCENTE O
IL PREADOLESCENTE IN SITUAZIONE DI DISAGIO
SCOLASTICO ED ESISTENZIALE
1) DEFINIZIONE DEL PROBLEMA CHE SI VUOLE RISOLVERE
Quando un adolescente in difficoltà si rivolge all'esperto per chiedere aiuto sul modo di affrontare un
qualsiasi problema per lui fonte di disagio, il primo obiettivo consiste nel rendere il soggetto
committente attivo di un proprio progetto di cambiamento.
Inizialmente di solito l'adolescente che chiede aiuto, tende ad attribuire ogni causa “del suo star
male” alla realtà esterna; ritiene che ogni situazione di difficoltà personale e/o relazionale dipenda dai
comportamenti sbagliati dell’altro o da circostanze non troppo favorevoli. Tutto ciò è fuorviante; per
tale ragione durante i primi colloqui si deve procedere attraverso un tentativo di sensibilizzare il
paziente a riconoscere quanto - non il “mondo”- ma il suo modo di agire e pensare, risulta essere
causa, seppur inintenzionale, del proprio disagio.
Il colloquio d'aiuto quindi ha inizio allorchè si porta l'adolescente alla consapevolezza di essere lui
stesso, in collusione con altri, “artefice” della propria sofferenza.
E’ necessario far capire al cliente che l’unica e duratura strada per risolvere un problema, non sta
nel “rimettere in sesto il mondo” (M.Buber, 1958), ma nel liberarsi del proprio sguardo paranoico
che lo costringe ad accusare rabbiosamente gli altri, per cogliere definitivamente in un percorso di
consapevolezza dei propri conflitti interni la vera origine della sofferenza.
Il cambiamento è di necessità un “cominciare da se stessi”
Scrive Martin Buber (1858): “Bisogna che l’uomo si renda conto che le situazioni conflittuali che
l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che
quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili
da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.”
Quindi il primo obiettivo all’interno di una relazione d’aiuto, è quello d’ identificare il problema
che si intende risolvere, al fine di motivare il paziente affichè egli, senza alcuna delega, si renda
artefice di un proprio cambiamento.
In tal senso ritengo che vadano evitati interventi che, tramite “una ricerca archeologica del conflitto”,
portano il soggetto a “giustificare il proprio comportamento”, e a rifiutare la responsabilità di essere
committente attivo di un proprio cambiamento (“Ho avuto dei genitori che...quindi non..”).
Ognuno, nonostante i condizionamenti passati o presenti, può in qualsiasi momento della vita
decidere di cambiare.
Primo compito del consulente sarà, quindi, quello di rendere il cliente consapevole e responsabile
del conflitto sottostante il problema che presenta, sarà quello di fargli capire che il proprio sentirsi
bene o male non dipende dagli accadimenti esterni, dalla sorte più o meno favorevole, ma dal modo
in cui ha risposto a questi avvenimenti, ossia dal modo in cui li ha interpretati e vi ha reagito.
Procediamo ad una descrizione dei passaggi che guidano il colloquio d'aiuto di un consulente
scolastico con un allievo o un genitore in difficoltà.
Prima di concordare con l'adolescente un progetto di cambiamento è necessario costruirsi una prima
idea del problema che presenta, cercando di capire il livello di consapevolezza e le aspettative.
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Non è possibile giungere ad un contratto di cambiamento fintanto il cliente ritiene che la fonte del suo
disagio siano gli altri o le situazioni e non il suo modo di comportarsi.
Per tale ragione è necessario innanzitutto avviare il primo colloquio chiedendo all'adolescente in
difficoltà le motivazioni che l'hanno portato alla richiesta d'aiuto.
“Vuole parlarmi del problema che intende affrontare con me?”
" ... e che cosa di tale problema La preoccupa di più?"
1) Focalizzazione del problema
Se il soggetto accenna sbrigativamente a molteplici problemi da risolvere senza soffermarsi su
nessuno in particolare, si procede con la seguente domanda:
" Di tutte le cose di cui ha parlato qual'è quella che le crea più disagio?"
2) Comprensione del problema
Il primo momento del colloquio si concentra sulla necessità di identificare il problema, non in
modo generico ma in relazione a "come" il soggetto lo "vive" e se lo "rappresenta".
Dopo la fase di "focalizzazione" si procede, quindi, verso una maggiore comprensione di come il
soggetto percepisce il problema a livello emotivo e somatico, e come lo descrive sul piano
cognitivo; in altri termini si indagano i suoi stati d'animo connessi al problema che presenta e le
modalità attraverso le quali cerca di rappresentarselo (dialogo interno).
“Come si sente quando....?”
“Quali sono i suoi stati d'animo?”
“Che tipo di emozioni e sentimenti sperimenta quando ciò accade?”
“Cosa avverte a livello fisico nel momento di disagio?”
“Descriva cosa concretamente accade e come di solito reagisce”
“Vuole descrivere l’ultima volta che le è capitato?”
"In quali contesti si trova quando si sente ... insicuro, o ... e con chi?, e ..."cosa si dice?",
ossia "ci sono pensieri od immagini particolari che accompagnano il suo problema?”
(esempio di risposta: "di fronte a quella persona sento di non farcela e mi dico di essere un
incapace").
3) Il dialogo interno
L’analisi dei processi cognitivi che precedono, accompagnano e seguono il comportamento
problematico è indispensabile al fine di rendere consapevole il soggetto dell’incidenza dei propri
pensieri sul determinarsi degli stati d’animo da cui è afflitto.
“Che cosa dice a se stesso prima di sentirsi a disagio?”
“Potrebbe descrivere che tipo di pensieri o immagini attraversano la sua mente quando
questo accade?”
"Immagini una scena che ripropone il problema che vuole affrontare e mi riferisca cosa
dice a se medesimo, sia durante che dopo lo svolgimento della scena stessa".
“Che cosa dice a se stesso dopo che ciò è accaduto?”
“Ci sono pensieri o immagini che sopraggiungono dopo e che intensificano o diminuiscono
lo stato di disagio?”
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Tale dialogo interno può essere facilitato anche dalla rappresentazione psicodrammatica
dell’evento raccontato e delle dinamiche interpersonali fonte di disagio.
4) Quali soluzioni al problema? E perchè?
Dal dialogo interno è possibile condurre il soggetto alla definizione di che cosa intende realmente
cambiare, procedendo preliminarmente con la richiesta di specificare quali tentativi ha messo finora
in atto per risolvere il problema e con quali risultati:
"Come finora ha cercato di far fronte al problema e in quale modo?"
“Quali sono stati gli esiti?...Cosa è stato efficace e cosa non lo è stato?”
“Quali abilità sta mettendo in atto per aiutare se stesso a risolvere questo problema?
“Cosa dice a se stesso per fronteggiare una situazione difficile?”
“Cosa potrebbe fare di diverso in futuro?
“Perchè desidera cambiare?”
“Potrebbe accettare se stesso anche se non riusciamo a raggiungere lo scopo?”
“Come mai questo problema per lei è così importante?”
5) L’intensità del problema
Nei primi colloqui è tra l’altro necessario verificare con quale intensità, frequenza e durata il
problema si manifesta.
“Da quanto tempo è presente questo problema?”
“Quante volte accade nell’ambito di una giornata?”
“Con quale intensità e durata?”
“In che modo questo problema interferisce con le sue abituali attività?”
(spesso l’intensità dichiarata è sintomo d’intolleranza alla sofferenza).
Compito del terapeuta è di aiutare il paziente a responsabilizzarsi rispetto al proprio problema senza
dare inutili consigli ed imporre una propria visione delle cose.
L'epistemologia del cambiamento non si affida a verità assolute ma a verità possibili. Esso si realizza
in "contesti a razionalità debole" dove non vi é dominio di saperi oggettivi, ma il costante confrontoincontro-scontro di saperi soggettivi, che di volta in volta vengono re-interpretati dal soggetto-checambia.
La logica del cambiamento non si basa su un dominio di saperi che denegano l'altro in quanto essere
sapiente, ma sull'innesto di saperi ad altri saperi i quali vengono riconosciuti e, qualora sia possibile,
valorizzati. Altrimenti ogni ipotesi di cambiamento viene legittimamente rifiutata. Ciascuno può
invocare un nostro cambiamento a patto che colui che ci desidera diversi non ci espropri della nostra
"sapienza" e a patto che il potere di influenzamento venga a giocarsi nella reciprocità. "Io posso
imparare da te - ossia posso accettare che tu mi influenzi- soltanto se anche io posso insegnarti
qualcosa - ossia posso influenzarti".
Ognuno decide di cambiare per una una propria decisione, e non per deferenza ad “un padrone”,
che in tutti i modi c’impone di essere diversi.
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2) LA DISSUASIONE COGNITIVA
Le procedure di dissuasione cognitiva possono venire facilitate da una pratica di crescente
consapevolezza di quei processi di deformazione, cancellazione, generalizzazione , che sono
causa di un modo distorto d’interpretare l'esperienza che è fonte di disagio.
Tale pratica di consapevolezza si può realizzare mediante un’analisi delle nostre abituali
espressioni linguistiche, e consiste, attraverso opportune "domande di confrontazione", nel
processo di svelamento di quei filtri inconsci che determinano la permanenza dei pensieri che
distorcono la realtà e la comprensione dei nostri problemi.
Evidenziare i nostri filtri inconsci attraverso le procedure di confrontazione “linguistica”, ci
pone nelle condizioni di osservare come i fatti che noi poniamo alla base delle nostre convinzioni non
sono prove incontestabili, ma solo "descrizioni" che sono costantemente influenzate dal nostro
modo, spesso distorto, d'interpretare la realtà.
Spesso tendiamo a riferire i fatti facendoli assurgere a verità. Ma ogni fatto descritto è una nostra
rappresentazione del fatto.
"La mappa non è il territorio".
Ogni fatto è paradossalmente in una certa misura sempre falsificato, in quanto noi non vediamo
ciò che esiste nella realtà ma ciò che "selezioniamo della realtà" attraverso i nostri filtri inconsci e
attraverso ciò che ci attendiamo di vedere.
Tale processo di falsificazione , come si accennava, avviene attraverso procedure di
generalizzazione, deformazione, cancellazione, procedure che sono insite nelle nostre
espressioni linguistiche (violazioni linguistiche).
Le violazioni contenute nelle nostre espressioni linguitiche dovute ai nostri filtri inconsci possono
quindi essere svelate con opportune domande di confrontazione allo scopo sia di diventare più
consapevoli dell'autenticità o falsità delle nostre affermazioni, ossia del modo spesso distorto con cui
noi descriviamo ed interpretiamo i fatti, sia di aiutarci a trovare mappe di rappresentazione della
realtà più flessibili al raggiungimento dei nostri scopi, sia a rendere più funzionali le procedure di
ristrutturazione cognitiva.
Tanto per fare un esempio se io uso una violazione linguistica del tipo: "Nessuno mi ascolta", la
domanda di confrontazione: "Non c'è proprio nessuno che ti ascolta?", mi consente da un lato di
appurare come la mia tendenza a generalizzare sia un modo di distorcere la realtà e dall'altro di
affrancarmi da quell'atteggiamento vittimistico che m'impedisce di cambiare.
E' pertanto con le procedure di confrontazione delle nostre abituali violazioni linguistiche che
noi possiamo diventare consapevoli dell'incompiutezza delle nostre affermazioni, di quegli
errori di ragionamento, di quelle disfunzioni logiche, di quelle inferenze e riduttive esposizioni
dei fatti, che sono di ostacolo alle procedure di ristrutturazione cognitiva e di cambiamento.
Il cambiamento è sempre connesso alla possibilità di ampliare la mappa con la quale interpretiamo il
mondo che viviamo per trovare soluzioni ulteriori e più funzionali ai nostri problemi.
Procediamo ora ad una descrizione delle abituali violazioni linguistiche che tendono a fornirci una
rappresentazione limitata e rigida della realtà che affrontiamo, e delle domande di confrontazione utili
per destituire tali violazioni.
Possiamo raggruppare le nostre abituali violazioni linguistiche in procedure di generalizzazione,
deformazione e cancellazione .
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Le generalizzazioni sono espressioni linguistiche che deformano la realtà in modo univoco,
raggruppando le esperienze in categorie, come se non esistessero sfumature e differenze
fra soggetti, oggetti e contesti.
Le più comuni procedure di generalizzazione sono:
1) I quantificatori universali: sono asserzioni assolutizzanti, del tipo "mai", "sempre", "nessuno",
"tutti”, utilizzate per giudicare in modo improprio eventi e persone.
Esempi:
" Tutte le donne sono calcolatrici"
" Nessuno mi dà ascolto"
" Arriva sempre in ritardo"
Le domande di confrontazione che hanno lo scopo di evidenziare la non veridicità delle
precedenti asserzioni sono :
" Tutte le donne sono delle calcolatrici?"
" Non ho mai incontrato qualcuna che non lo fosse?"
" Nessuno mi dà ascolto?... proprio nessuno...oppure qualche volta..."
" Non è proprio mai successo che qualche volta sia arrivato puntuale"
2) Gli operatori modali di necessità o di possibilità: sono espressioni linguistiche che indicano
uno stato di obbligo, necessità, urgenza ("devo", "occorre", "c'è bisogno", "non posso"), quando
nella realtà non si giustifica alcun stato di obbligo, necessità, urgenza.
Esempi:
" Devo tenere conto dei sentimenti altrui"
" Lui non può mancarmi di rispetto"
" Io devo fare sempre bella figura"
" Io non posso fare diversamento da come ho fatto"
Tali affermazioni comportano reazioni d'intransigenza, rabbia o depressione.
Le domande di confrontazione sono:
" Chi mi obbliga a fare sempre bella figura?...Che cosa accadrebbe di grave se ciò si verificasse?"
" Non posso fare diversamente rispetto al passato...ma chi o che cosa mi impediche di agire
diversamente?"
Tra le generalizzazioni abbiamo anche gli operatori modali di volontà; con questi il soggetto
esprime in modo debole la volontà di fare qualcosa
Esempio:
" Vorrei fare un bel viaggio ma ho troppo da fare"
La domanda di confrontazione mette in evidenza l'incongruenza del "vorrei":
" Una parte di me vuole, un'altra nò...allora il viaggio lo voglio fare o non lo voglio fare?"
Tutti gli operatori di modalità sopradescritti sono una limitazione delle nostre possibilità di scelta.
Le cancellazioni sono modalità di esprimerci attraverso le quali prestiamo attenzione ad
alcune dimensioni della nostra esperienza, escludendone altre.
Le più comuni procedure di cancellazione sono:
1) Le cancellazioni semplici
Esempi:
" Non so che cosa fare"
" Non ne posso più"
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" Non credo di farcela"
" Sono confuso"
Le domande di confrontazione sono:
" Non so che cosa fare a proposito di che cosa e di chi?"
" Non ne posso più...Che cosa me lo fa dire?"
" Non credo di farcela...A fare che cosa?"
" Sono confuso...ma che cosa mi confonde?"
2) La mancanza di comparativo
Esempi:
" E' il migliore"
" Questo lavoro è la cosa peggiore che esiste"
Le domande di confrontazione sono:
" Migliore rispetto chi...e rispetto che cosa?"
" Peggiore rispetto quale altro lavoro o altra attività?"
3) Falsi avverbi
Esempi:
" Chiaramente"
" Ovviamente"
Le domande di confrontazione sono:
" E' chiaro per chi?"
" E' ovvio per chi?"
4) Mancanza di indice referenziale
Esempi:
" Si dice che le cose non possono andare avanti così?"
" Di quelli non ci si può fidare"
Le domande di confrontazione sono:
" Si dice...ma chi lo dice?"
" Di chi specificatamente non ci si può fidare?"
5) Verbi non specificati
Esempi:
" Lui mi ha ferito"
" Lei non mi apprezza"
Le domande di confrontazione sono:
" Come mi ha ferito?...offendendomi? picchiandomi?..."
" Lei non mi apprezza...in che modo specificatamente?...come fa a non apprezzarmi?"
6) Nominalizzazioni: sono espressioni linguistiche che sostantivizzano un processo, ponendo la
persona al di fuori del controllo di ciò che dichiara
Esempi:
" Dobbiamo migliorare la comunicazione"
" Ho bisogno di comprensione...sono depresso"
Le domande di confrontazione sono:
" Che cosa vuole dire per me migliorare la comunicazione? In che modo e con chi?"
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" Come sono depresso?... e in che modo e da chi voglio comprensione?
Le deformazioni sono modalità di espressione che collegano in modo arbitrario eventi e
situazioni, misconoscendo il fatto che in contesti diversi tali modalità di espressione non
sono plausibili o veritiere.
Le procedure più comuni di deformazione sono:
1) Causa-effetto: si presuppone in modo rigido che un evento A sia causa esclusiva di B
Esempi:
" Quando lui urla mi rende nervoso"
" Dal momento che hai mentito una volta non potrai mai più essere sincero"
" Se mi lascio andare farò una brutta figura"
Le domande di confrontazione sono:
" Si è sempre verificato che quando uno urla mi innervosisce?... è sempre vero che un fatto A causa
B?"
"Non è l'altro che causa la mia rabbia, sono io che mi arrabbio quando l'altro urla"
"Quali prove ho per affermare che quella persona mentirà sempre?...o che se mi lascierò andare farò
una brutta figura?"
2) Equivalenze complesse: si presuppone in modo rigido che una affermazione X significhi
Y
Esempi:
" Se ti arrabbi vuole dire che non mi vuoi bene o che mi vuoi nascondere qualcosa"
" Dici così ma in passato affermavi cose diverse. Quindi vuole dire che stai mentendo..."
Con tali frasi il soggetto crede di avere, tramite il reiterarsi di alcuni fatti, la certezza della verità. Ciò
è un inganno. Ogni evento osservato esige un'osservazione del soggetto che osserva. Ogni fatto
implica una credenza.
Le domande di confrontazione sono:
" Come faccio a sapere che X significa Y?... è mai capitato che X significasse qualcosa di diverso da
Y?...è accaduto che mi sia arrabbiato non perchè ero distaccato affettivamente o perchè ero
insincero, ma perchè mi sentivo umiliato?"
" Come faccio a sapere che la mia affermazione è vera?...che cosa mi fa pensare che?...il fatto che in
passato diceva cose diverse non significa che stia mentendo. Ha semplicemente cambiato il suo
modo di pensare"
3) Lettura del pensiero: il soggetto si arroga il diritto di conoscere i pensieri, i desideri, le intenzioni
dell'altro;
Esempi:
" Tu sei così perchè non hai superato la rivalità edipica con..."
" So che cosa stai per dirmi"
" Sei nervoso perchè hai fame"
Le domande di confrontazione sono:
" Come faccio a saperlo?
" Da che cosa lo so?"
La lettura del pensiero è un potente mezzo per svalutare l'altro ed indurre forme di profezia
autoavverantesi.
Esempio:
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" Anche questa volta ti sei arrabbiato perchè ti ho fatto osservare che sei impulsivo. Ho quindi
ragione io quando dico che non ti sai controllare.
4) Presupposti
Esempi:
"Se lui sapesse quanto sto male non si comporterebbe così"
" Tu che mi conosci bene..."
Le domande di confrontazione sono:
" Come faccio a sapere che lui sta male e che si comporterebbe così?"
" Quali prove ho per arrivare a questa conclusione?"
5) Performativo mancante
Esempi:
" E' sbagliato essere disordinato"
" E'disdicevole parlare ad alta voce"
Le domande di confrontazione sono:
" Per chi è sbagliato...o disdicevole?"
" Chi lo dice?"
" Come faccio a sapere che è sbagliato...o disdicevole?"
Le procedure di generalizzazione, cancellazione, deformazione usate in modo eccessivo per asserire
qualcosa ci conducono verso false verità, logiche ed argomentazioni fittizie (es."Lo dicono tutti",
"Le donne sono masochiste", " Se lo dice la televisione è vero", "Sono brutta perchè mi vedo
brutta").
Pertanto non possiamo affrontare un adeguato lavoro di dissuasione cognitiva senza una riflessione
sulle violazioni insite nelle nostre espressioni linguistiche.
3) LA NEGOZIAZIONE DEL CAMBIAMENTO
METTERE IN PRATICA IL CAMBIAMENTO è l'obiettivo fondamentale che si deve raggiungere
allorchè in base ad un problema correttamente definito si negozia la possibilità di individuare
comportamenti nuovi e funzionali alla sua risoluzione:
"Che cosa vuole cambiare di se stesso?"
"Decida un cambiamento personale che vuole intraprendere”
Al soggetto viene chiesto di specificare in termini di convinzioni, emozioni, comportamenti che cosa
vuole cambiare di se stesso in relazione agli obiettivi che vuole raggiungere.
Tale richiesta consente al soggetto di ampliare la comprensione del problema stesso, dal momento
che ogni ipotesi di cambiamento deve collegarsi a fatti concreti e reali.
“Può riferirmi in quali situazioni e in che modo vorrebbe comportarsi diversamente?"
Identificare che cosa realmente si desidera cambiare non è sempre facile. Un genitore potrebbe
chiedere di non volere più inveire con il figlio che ritiene "viziato ed immaturo", ma in realtà la sua
rabbia è soltanto la conseguenza del suo sentirsi in colpa nei confronti del figlio stesso dal momento
che di fatto continua a percepirlo ancora bisognoso delle sue cure.
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Esempio:
T."Il tuo problema non sta nel non arrabbiarti più con tuo figlio, ma dal momento che ha
già una certa età, nel far sì che egli provveda a se stesso in modo autonomo, senza che sia
più tu ad occupartene".
In altri casi il cambiamento richiesto risulta impossibile a realizzarsi, in quanto è illusorio (es."Vorrei
essere simpatico a tutti" o " Vorrei capire cosa gli altri pensano di me"), o vago ed incerto, dal
momento che dal paziente viene espresso con un ipotetico "desidererei" (es."desidererei affrontare la
situazione..., forse tra una settimana...”) che di fatto lo disimpegna da una decisione ferma ed
inequivocabile di volere nel “qui ed ora” un proprio cambiamento.
ESPRIMERE IL CAMBIAMENTO IN TERMINI AFFERMATIVI
Se per cambiare occorre uscire da certi schemi comportamentali per abbracciare in modo flessibile
nuove possibilità di azione, per il raggiungimento di tale fine non basta indurre l'altro a "cercarsi
spontaneamente dentro se stesso", ma occorre orientarlo verso nuove rappresentazioni della realtà,
affinchè attraverso queste, possa direzionare uno sguardo “concreto” ed intenzionale verso il futuro.
Non vi é cambiamento senza la speranza del futuro di “trovarsi e ritrovarsi”.
Il futuro ci attesta la nostra incompiutezza e ci proietta verso nuovi modi di pensare e di essere.
Per tale ragione un obiettivo di cambiamento va sempre enunciato in termini affermativi.
Non serve dire: "Non debbo più fumare"o "Non debbo più bere alcolici", serve invece dire "Voglio
amare il mio corpo".
Non serve dire "Non voglio più subire gli altri", mentre è opportuno decidere di "essere più
assertivo, anche se talvolta mi potrà succedere di subire ancora".
Sovente il dichiarare :"Non debbo più fare quella determinata cosa" risponde ad una ingiunzione
genitoriale che nulla a che fare con una reale scelta di cambiamento.
La scelta autentica è un sì per qualcosa, è una profonda decisione del soggetto di vivere, di essere
sano, di rispettarsi e di amarsi.
Dal momento che è difficile "visualizzare" il non fare qualcosa, occorre invitare il soggetto a
riformulare l'espressione da negativa in positiva:
"Ciò che non vuole, lo trasformi in una richiesta di ciò che vuole, volta a realizzare il
medesimo obiettivo".
Anzichè affermare:"Non voglio più arrabbiarmi", potrebbe dire "Voglio imparare ad
entrare in intimità con gli altri senza dovermi arrabbiare" (spesso la rabbia è una difesa
dalla paura di un coinvolgimento affettivo troppo intenso), oppure anzichè affermare "Non
debbo più sentirmi insicuro", potrebbe dire "In presenza degli altri voglio gestire i miei
stati d'animo".
IL CAMBIAMENTO RICHIESTO DEV’ESSERE CONCRETO, OSSERVABILE,
REALIZZABILE
Occorre che il cambiamento desiderato sia espresso in modo chiaro e sia visibile a chiunque venga
dichiarato.
P."Vorrei essere una persona libera"
T."Cosa significa per lei essere una persona libera e in che modo pensa di realizzarsi in
tale direzione?"
P."Mi piacerebbe essere caldo ed affettuoso"
T."Che comportamenti ha una persona calda ed affettuosa?"
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T." Descriva l'obiettivo del suo cambiamento in modo dettagliato, così anche gli altri
potranno vedere che lei agisce diversamente."
Quando il cambiamento non è CONCRETO, OSSERVABILE , REALIZZABILE, vuol dire che il
soggetto vuole rimanere all'interno della sua gabbia narcisistica, vuole continuare a soffrire piuttosto
che rinunciare alle sue illusioni e all'idea di dovere affrancarsi dagli aspetti grandiosi ed onnipotenti di
se stesso.
"Quando scoprirò tutto di me...”, “quando avrò una persona che mi comprenderà in ogni
momento...”, “quando avrò un lavoro stabile...”, “quando sarò ricco...”, “quando il mio partner mi
amerà, allora sarò FELICE ". Chi affida la propria felicità a cambiamenti illusori, nella convinzione
magica che ogni problema si risolverà cambiando pagina, sta di fatto alimentando la propria
sofferenza. La felicità non risiede in un unico aspetto della realtà su cui depositare la nostra
grandiosità infantile, poiché “essa è nel "luogo dove ci troviamo" (M. Buber, 1944), ossia risiede
nella nostra capacità di interpretare gli eventi in modo diverso.
Un primo momento della terapia consiste nel GUARIRE DAI DESIDERI IMPOSSIBILI, cercando
di desiderare solo ciò che riusciamo a rendere realizzabile.
Sono i nostri DESIDERI IMPOSSIBILI che ci rendono intolleranti verso gli altri o noi stessi, che ci
rendono incapaci di accettare i nostri limiti, che ci rendono inquieti ed arroganti; finchè perdiamo la
calma di fronte ai nostri errori o alla mancata risposta dell’altro, vuol dire che siamo ancora in una
situazione dove nulla può cambiare, vuole dire che non abbiamo lasciato alle spalle la nostra
superbia.
Prima di cambiare ciò che non ci piace, dobbiamo imparare ad accettarci, anche con quelle parti di
noi che vorremmo rifiutare.
Finchè una persona è intollerante verso la propria vergogna, non potrà mai superare la vergogna
della vergogna; soltanto l'accettazione della propria vergogna potrà fargli dimenticare l'antico
sentimento d'inferiorità all'origine del suo vergognarsi.
Si cambia allorchè si smette di lottare contro se stessi e paraddossalmente ci si accetta per quello
che si è.
L'accettazione di sè, tuttavia, non significa rassegnazione, disimpegno, rinuncia ... e neppure
consenso; bensì significa che di fronte alla sofferenza, all'ingiustizia, all'errore, non mi lascio sedurre
da comportamenti di intolleranza, per potere “serenamente” SCEGLIERE E DECIDERE, non in
modo reattivo, ma deliberato, nuove strategie e soluzioni.
Sembrerà incongruente, ma ogni volta che decido di sottrarre i fatti alla loro drammmaticità, sto di
fatto “superando il problema” e sto prendendo decisioni significative ed utili per il mio futuro.
NEGOZIARE UN CAMBIAMENTO COSTRUTTIVO
Occorre verificare che il cambiamento desiderato non sia dannoso nè per se stessi nè per gli altri.
P."Voglio non sentirmi più in colpa quando tradisco mia moglie"
P."Voglio imparare ad esprimere con mio figlio nel modo più libero possibile la mia rabbia"
P."Voglio trovare il coraggio di suicidarmi"
P."Anche se ho il diabete non voglio più ossessionarmi con la dieta" (richieta di suicidio
mascherato).
Il soggetto che formula tali frasi non chiede di cambiare, ma semplicemente di essere autorizzato da
qualcuno a fare qualcosa che non dovrebbe fare.
Vi sono persone che si lamentano di tutto, ma non definiscono mai una direzione di cambiamento. A
loro va chiesto di concentrarsi sulle loro possibilità e virtualità, interrompendo la spirale di un
autocompiacersi distruttivo:
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P."Non c'è nulla che mi soddisfi"
T."Può per un attimo abbandonare la sua tristezza e chiedersi cosa vuole realizzare di
positivo nella sua vita?".
P."Gli altri mi fanno sentire inferiore".
T."Nessuno può farci sentire inferiore se non lo vogliamo cosa intende per essere
inferiore agli altri...e quali comportamenti può intraprendere per riuscire a farsi
rispettare?"
LA RESPONSABILITA' DEL PROPRIO CAMBIAMENTO
L'unico vero cambiamento è quello che risponde ai propri desideri e alle proprie intenzioni.
Se il cambiamento è voluto solo per compiacere a qualcuno, ciò significa che il soggetto è rimasto
esattamente quello che era.
Il cambiamento della propria vita è un ri-cominciare da se stessi, una radicale ristrutturazione del
proprio modo di “sentire, pensare ed agire”. Se a cambiare fossero solo i nostri comportamenti, ma
non le nostre convinzioni profonde, non potremmo parlare di un cambiamento vero e proprio, ma di
un cambiamento superficiale, di un cambiamento come semplice adattamento al mondo esterno. Il
cambiamento profondo esige un diverso modo di pensare e di credere, di esser-ci e di relazionarsi.
Con il cambiamento profondo qualcosa di ciò che ci era abituale del nostro modo d’interpretare il
mondo e noi stessi viene lasciato alle spalle (lutto per l’oggetto e lutto per il sè) per incamminarci
verso qualcosa di atteso e nello stesso tempo di ignoto. Tutto ciò esige un atto di coerenza verso se
stessi e non un compiacere od un opporsi agli altri.
Il cambiamento profondo è un atto deliberato, intenzionale che non si attua per effetto
dell'imposizione di qualcuno che ci vuole diversi, ma sul presupposto dell'accettazione e dell'offerta
di alternative e possibilità trovate nell’ambito di una nuova cornice di convinzioni e valori.
T."Cambia per lei, per l'altro o per far dispetto all'altro?"
"Per chi cambia?" oppure " Per chi vuole il cambiamento?"
Alcuni desiderano cambiare per soddisfare richieste di altri (un partner, un genitore, ecc.) o per
cercare a sua volta di ottenere il loro cambiamento.
P"Dovrei riuscire a finire l'Università, così mio padre smetterebbe di preoccuparsi".
P"Dovrei essere più comprensivo con chi mi accusa".
P"Mi sono rivolto a Lei per aiutare mio figlio a cambiare".
Tali affermazioni non sono delle scelte autonome di cambiamento, ma delle richieste infantili di
adattamento agli altri o di fuga dalle proprie responsabilità. Non vanno stipulati contratti di
cambiamento quando questi sono richiesti o per volere l'approvazione di qualcuno o per volere
cambiare un altro o , come accade a certi adolescenti, per ribellarsi a qualcuno.
Nel caso che il cambiamento richiesto sia “sottilmente coartato da altri”, è bene informare il paziente
che si potrà cominciare “a lavorare insieme” quando sarà lui ad avere assunto in prima persona la
decisione di cambiare.
OGNI CAMBIAMENTO ESIGE UN PREZZO DA PAGARE
Non si può aiutare il paziente a superare il proprio stato di disagio, se gli prospettiamo soltanto gli
aspetti positivi e non quelli negativi del suo percorso di cambiamento.
Ogni cambiamento è rinuncia a qualcosa che non sarà più. Come si può diventare più autonomi nella
indisponibilità a riunciare ai vantaggi della dipendenza?
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Essere se stessi significa conquistarsi spazi sempre più ampi di libertà, ben sapendo che ogni forma
di libertà praticata impone sacrifici e restrizioni. Essere se stessi significa differenziarsi, uscire dal
branco, attraverso la scelta di far corrispondere di volta in volta le nostre azioni alle nostre più
profonde intenzioni. La libertà non sta nel fare tutto ciò che si desidera, ma nel ricercare principi e
valori che diano un senso al nostro agire e vivere.
Se la persona infelice si chiede: “Che cosa posso fare che mi piace per stare bene", la persona libera
si chiede "Che cosa voglio dalla mia vita".
In tal senso la conquista della libertà è un percorso faticoso che vincola il soggetto umano alla
responsabilità di un agire che non sempre trova il consenso degli altri.
Ogni reale cambiamento comporta un prezzo da pagare.
T."Per lei quanto costerà questo cambiamento in termini di denaro, tempo, impegno,
agitazione, paura o altro....e ora che ha valutato il prezzo da pagare, vuole ancora
cambiare?"
Nella nevrosi abbiamo vantaggi secondari ai quali occorre saper rinunciare. Se si decide di diventare
una persona autonoma è bene aver chiaro le difficoltà che tale scelta comporta, al fine di evitare in
un secondo momento di recriminare su ciò che si è dovuto rinunciare .
Di solito i soggetti che colgono il cambiamento come uno sforzo eccessivo, diventano evasivi nelle
risposte: " Proverò...spero di farcela... forse... può darsi". Tali affermazioni sono il segno evidente di
una non ancora chiara intenzione di cambiare. Sono pochissime le cose che non siamo in grado di
fare, e pertanto ogni espressione dubbiosa circa le proprie capacità di riuscirci o il rimandare il
cambiamento al determinarsi di circostanze favorevoli e non ad preciso atto di volontà, rappresenta
un modo per "sabotarsi e restare ciò che si è."
"Sono una persona debole e non ho le risorse per far fronte a situazioni così difficili."
"In certi momenti la paura prende il sopravvento e non riesco a decidere nulla".
" Di solito ciò che faccio non conta niente per gli altri ... gli altri non ti capiscono mai".
Tali affermazioni fatalistiche, espresse in modo impersonale con il “ciò” e con il “tu” anzichè con
l'“io”, indicano un tentativo del soggetto di sfuggire la responsabilità del proprio stato e di ciò che gli
accade. In tal caso è opportuno far presente che il soggetto è in parte vittima ed è in parte artefice
della propria sofferenza, e che il superare una situazione di stallo dipende da lui e da nessun altro.
Ogni persona subisce e nello stesso tempo agisce la propria nevrosi.
In questa fase del colloquio è opportuno anche mettere a fuoco tutti i vantaggi connessi con la
situazione di disagio, vantaggi che possono soddisfare bisogni di protezione oppure l’evitamento di
responsabilità.
Un soggetto obeso, ad esmpio, grazie al proprio sovrappeso, si può sentire legittimato ad evitare
qualsiasi incontro con persone del sesso opposto.
“Questo problema ha mai prodotto per lei speciali vantaggi?”
“C’è qualcosa che evita di fare a causa di questo problema?”
“Se questo problema non ci fosse, cosa cambierebbe della sua vita?”
AGIRE IL CAMBIAMENTO
Ogni decisone di cambiamento è un inizio.
Il cambiamento ovviamente non si limita a sognare il futuro. Occorre che al momento opportuno
sappiamo dare plasmata realtà ai nostri sogni, ossia sappiamo prendere decisioni che ci consentono
di agire le nostre intenzioni e i nostri desideri, nonostante l'avversione degli altri. E' indispensabile
pensare prima di agire, ma è altrettanto indispensabile agire dopo che si è ampiamente riflettuto,
impegnandosi soprattutto ad agire con grande senso di responsabilità e fermezza.
12
Il cambiamento ci vuole dubbiosi nei pensieri ma sicuri nell'azione. Finché si pensa e non si agisce é
bene coltivare dubbi, ma quando al momento opportuno si prende la decisione di agire, si deve
procedere senza troppe esitazioni.
Ciò soprattutto poiché nel momento in cui decidiamo di cambiare troviamo una ferrea opposizione
di coloro che abitualmente colludevano con i nostri giochi nevrotici.
Negli studi sui sistemi familiari si è notato che spesso allorchè un partner guarisce un’altro si ammala.
Questa è la ragione per cui non sempre il cambiamento deciso è accettato dalle persone (familiari,
amici, colleghi) con le quali abitualmente siamo in relazione.
T."Vorrei che lei mi dicesse quando metterà in pratica il cambiamento deciso, in quale
contesto e con quali azioni ... e soprattutto quali difficoltà dovrà affrontare e quali persone
tenteranno di boicottarla".
E' difficilissimo in un rapporto di coppia cambiare da soli. O ciascun partner si prende la
responsabilità di un proprio cambiamento, oppure la “coppia scoppia” e non c'è più nulla da fare.
Un marito "salvatore" decide di prodigarsi meno per la moglie/vittima per imparare a prendersi più
tempo per sè, ma la moglie, per nulla intenzionata ad uscire dalla propria nevrosi, diventa sempre più
lamentosa ed irascibile. In tale situazione non serve "far lezioni di psicologia" sul suo atteggiamento
da “bambina viziata” per convincerla a cambiare, mentre è necessario ribadire la propria scelta,
anche se ciò può essere causa di un temporaneo (si spera!) allontanamento o di una definitiva
chiusura del rapporto.
Quando arrivati ad un certo punto ci rendiamo conto che non vogliamo più convivere con la nostra
nevrosi, è bene avere chiaro in mente che stiamo rischiando di perdere l'altro che in passato (e
spesso per lungo tempo) ha colluso emotivamente con noi. Ma a questo proposito ritengo che la
paura di perdere l'altro non deve bloccare la nostra guarigione e che in ogni caso è meglio perdere
l'altro restio ad ogni cambiamento che perdere definitivamente se stessi.
In questo senso dobbiamo trovare in noi stessi un surplus di forza per non farci “riprendere” in
antichi giochi psicologici.
Non diventiamo complici delle lamentazioni dell'altro.
Quando decidiamo di cambiare, spesso i nostri nemici sono proprio coloro che ci amano. Non
inveiamo contro di loro, nè diventiamo incalzanti nel mettere in evidenza i loro limiti. Diamo a loro la
più assoluta libertà di cambiare con noi o di rifiutarci.
Non dimentichiamo che spesso il cambiamento ci lascia soli.
"Chi rischia muore una volta, chi non rischia muore mille volte."
IL CAMBIAMENTO IMPOSSIBILE
Spesso nonostante i migliori propositi, sembra non ci sia proprio nulla da fare.
Si vuole che qualcosa cambi, che le cose siano diverse, ma poi al momento di fare il “salto”, si resta
al di qua del fossato e tutto continua come prima.
Marco, da molti anni, entra ed esce da una comunità di recupero per tossicodipendenti. I genitori,
dopo l’ennesimo fallimento, mi chiedono che cosa fare, dichiarando “che la loro vita è un inferno da
quando è subentrato il problema della droga.”.
Al primo colloquio con me, il figlio tace, mostrando un ascolto distratto.
I genitori parlano di lui, ma non accennano mai ad uno sguardo tra loro. Chiedo com’è la loro vita
di coppia. Mi rispondono che “la loro vita è tutta dedita a prendersi cura del figlio e che per questa
ragione fra di loro non c’è più un attimo d' intimità e pace.”.
13
Al mio invito "di non essere così solleciti a rispondere in termini di denaro alle richieste del figlio", la
madre risponde che “teme il peggio” e “che le cose non possono cambiare”.
I genitori hanno bisogno della tossicodipendenza di Marco, poiché, occupandosi incessantemente di
lui, evitano di guardarsi negli occhi e leggervi la paura di una passione del tutto svanita.
E’ il problema di Marco che consente ai genitori di trovarsi ancora uniti, nonostante che fra loro non
aliti più nessuna forma di amore.
Andrea non è certamente più un bambino, ma all’età di ventritré anni vive in casa accudito dalla
mamma come fosse un bebé; colazione, pranzo e cena a sua richiesta.
Se Andrea si sveglia alle undici, la madre gli fa trovare la colazione pronta.
Ogni sua sbadataggine è facilmente perdonata; un incidente in auto una sera che era un po’ alticcio
non causa nulla di grave, poiché il padre pochi giorni dopo, a proprie spese, ripara la macchina.
Andrea “parcheggia” all’Università; un esame all’anno, tanto per non fare il militare.
Gioca a lungo con il computer, perché, "non sentendosi felice, ha bisogno di distrarsi. "
Il padre di tanto in tanto accenna a riprendersi il proprio ruolo di genitore, entra bruscamente in
camera per distogliere il figlio dai suoi inutili diversivi e richiamarlo ai propri compiti, ma egli reagisce
con violenza ed afferma perentoriamente che “essendo maggiorenne ha il diritto di fare ciò che
vuole”.
Dichiarazione questa fatta con una certa frequenza da figli "mammoni" che in casa o fuori casa
continuano a farsi mantenere dai loro genitori con regali in denaro, camicie lavate, pranzi preparati a
qualsiasi ora.
Sono d’accordo con la neuropsichiatra Giuliana Ukmar, quando sostiene che l’affermazione di un
figlio mantenuto “io voglio sentirmi libero e faccio ciò che voglio” è del tutto fuori luogo.
Ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole, ma a patto che sappia provvedere al proprio
sostentamento senza nulla pretendere dagli altri.
Altrimenti un genitore che mantiene economicamente il proprio figlio ha il diritto di orientare, fare
richieste ed imporre proprie regole di convivenza sociale.
Chiedo ad Andrea di "riprendersi nella propria dignità, di andare a lavorare, di non pretendere più
che un padre, il quale viene ricoverato di tanto in tanto in ospedale per disturbi cardiaci, sia
obbligato ad occuparsi costantemente di lui."
La mia richiesta cade nel vuoto. “Perché dovrei andare a lavorare, afferma con aria d'insofferenza,
tra un po’ si avvicina l’estate e voglio andare in vacanza con i miei amici.”
Chiara, trent’anni, capelli lunghi e fluenti, curve perfette e sguardo fatale.
Di tanto in tanto suona alla sua porta qualche spasimante.
La sua vita è ricca di opportunità. Ha un partner disponibile ed affettuoso, ha una bella casa e studia
all’Università con tutto comodo.
Eppure è depressa; di tanto in tanto si lamenta con il compagno di una vita grigia e piatta, di una vita
che vorrebbe finalmente riempita di “cose nuove e stimolanti”.
Il compagno cerca di soddisfare le sue richieste, ma “non riesce ad offrirle niente di più”.
Un giorno "prende il coraggio a quattro mani" e le dice di essere stanco dei suoi “capricci”.
Lei inveisce: “non ti impegni abbastanza... mi fai sentire in colpa... non mi sai capire... non ha senso
continuare a vedersi”.
Il compagno nuovamente si ritrae impaurito in atteggiamento di silenziosa passività e tutto riprende
come prima.
C’è un qualcosa che accomuna i protagonisti delle storie appena raccontate: essi dichiarano di voler
cambiare, ma non fanno nulla, proprio nulla, per mettere in atto un proprio cambiamento.
14
Marco, Andrea e Chiara sono ben lontani dal voler pagare il prezzo di una loro possibile autonomia,
e chi sta loro vicino, mostrandosi sempre disponibile e accondiscendente,è complice di tale
situazione.
Nessuno vuole che qualcosa cambi; ogni "despota" ha bisogno di una propria "vittima" e viceversa.
Tutti sono "inconsciamente" d'accordo perchè tutto resti com'è, anche quando si può intuire che gli
esiti saranno infausti e dolorosi.
Ukmar riporta in un suo saggio il caso di una ragazza-madre che all’età di trentatré anni decide di
non farsi più ricattare dal figlio tossicodipendente che le chiede sempre soldi per "bucarsi"
La madre nasconde il denaro, ma dopo poco è costretta a cedere allorché il figlio le punta un
coltello da cucina alla gola.
Solo una cosa avrebbe potuto fare questa giovane madre: "cambiare la serratura e buttare il figlio
fuori di casa", ma “il senso di colpa per non aver visto, per non aver capito, per essere comunque
arrivata troppo tardi, non le permise di infierire sulla vittima”.
La vittima morì a ventisei anni di overdose.
La madre era morta dentro per il dolore molti anni prima.
A volte non c’è proprio niente da fare.
Talora l’unica salvezza starebbe in un NO che non si riesce mai a dire.
Ogni cambiamento, come accennavamo, esige un prezzo da pagare.
Chi non vuole pagare nessun prezzo è meglio che si rassegni a rimanere "nel bene e nel male nella
situazione in cui si trova".
Per alcuni vivere la vita con senso di maturità e libertà crea troppo disorientamento e paura, costa
troppa fatica o ci vuole troppo coraggio.
Ci vuole coraggio per preferire l’autonomia alla comoda dipendenza, l’autenticità alla protezione
altrui; ci vuole coraggio per volere un rapporto d’intimità, per agire nella determinazione di essere
vincenti nonostante i propri limiti, ci vuole coraggio per accettare la responsabilità delle proprie
scelte.
Il coraggio è la virtù umana più preziosa.
Scriveva Gandhi: “la prima qualità del cammino spirituale dell’uomo è il coraggio.”
E se offrire aiuto e guarire non fosse altro che trovare una volta per tutte il coraggio di vivere?
SUGGERIMENTI DI METODO
- formulare domande in maniera aperta;
- formulare una domanda alla volta, in modo chiaro, esplicito, incisivo;
- utilizzare un linguaggio adeguato;
- nel porre le domande fare attenzione a non suggerire le risposte;
- non fare domande a raffica come se fosse un interrogatorio;
- ogni volta che è possibile riformulare e parafrasare;
- non interrompere il paziente per chiedere chiarimenti finquando questi non ha
finito il suo discorso;
- non accontentarsi di risposte vaghe, ambigue, concettuali;
- non fornire spiegazioni, non interpretare;
- non rassicurare o minimizzare;
- non criticare, evitare valutazioni di qualsiasi genere;
- evitare esclamazioni di sorpresa, evitare di compiangere il paziente;
- evitare di parlare di se stessi.
15
4) ESERCITAZIONI E SCHEDE DI VALUTAZIONE
ESERCITAZIONE SULLA RICEZIONE DEL MESSAGGIO
Obiettivo: sensibilizzare i partecipanti ad una ricezione attenta e fedele dei messaggi dell'emittente.
Consegna: "Dopo aver formato gruppi di tre persone, dividetevi i compiti in questo modo: A assume
il ruolo di osservatore, B e C, ossia gli altri due, sono i partner in comunicazione. B e C scelgono
una tematica sulla quale sono in disaccordo.
B inizia a parlare sull'argomento scelto formulando una frase.
C riformula il contenuto dell'asserzione.
Successivamente B informa C se si è sentito compreso, oppure frainteso. L'esercitazione prosegue
con l'inversione dei ruoli.
L'osservatore A controlla lo svolgimento della discussione e al termine espone le proprie riflessioni in
merito".
ESERCITAZIONE SULL'ELABORAZIONE DEL MESSAGGIO
Obiettivo: capire e comprendere i significati manifesti e latenti del messaggio ricevuto.
Consegna: "Ogni partecipante si appunta su un foglio il ricordo di un episodio di incontro o di
scontro particolarmente significativo a livello della propria esperienza relazionale.
Riporta per iscritto le transazioni verbali e non verbali relative a quell'episodio.
Seleziona le affermazione dell'interlocutore e le elabora tenendo conto delle seguenti dimensioni:
- "che cosa l'altro mi voleva dire?" (contenuto)
- "che cosa l'altro diceva di sé?" (autopresentazione)
- "che cosa l'altro voleva ottenere?" (richiesta)
- "che tipo di relazione aveva instaurato con me e come voleva modificarla?" (relazione)
- "che stati d'animo esprimeva?" (espressione).
Appena ognuno di voi ha risposto a questi cinque quesiti, confronti ciò che ha scritto con un
eventuale compagno.
Successivamente riunitevi in piccoli gruppi di quattro o cinque persone per simulare l'evento riportato
per iscritto".
ESERCITAZIONE SULLA RISPOSTA
Obiettivo: imparare a rispondere in modo tale che l'interlocutore si senta capito e compreso o sia
aiutato a risolvere un proprio problema.
Consegna: "Come risponderesti usando le tecniche dell'ascolto attivo della parafrasi (1) e della
verbalizzazione (2), alle seguenti frasi:
16
- "Non sopporto più la passività del mio compagno. Non si prende nessuna responsabilità.
Tutto è sulle mie spalle."(voce forte, sguardo accigliato)
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?”
Parafrasi:......................................................................................................................................
......................................................................................................................................................
................................................................................................................................................
- “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?”
- “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?”
Verbalizzazione:............................................................................................................................
......................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
_ "Sono stanco di dovermi comportare sempre come vogliono i miei genitori. Non ho mai la
libertà di fare ciò che mi piace."
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?”
Parafrasi:......................................................................................................................................
......................................................................................................................................................
................................................................................................................................................
- “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?”
- “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?”
Verbalizzazione:............................................................................................................................
......................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
- "Nessuno si interessa di me. Lavoro incessantemente e quando avrei bisogno di aiuto
non posso contare su nessuno."
17
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?”
Parafrasi:......................................................................................................................................
......................................................................................................................................................
................................................................................................................................................
- “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?”
- “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?”
Verbalizzazione:............................................................................................................................
......................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
- “Sono stanca. Discuto in continuazione con mio marito su come educare i nostri figli. Lui
dice che intervengo troppo sul suo modo di gestire la disciplina. Io penso che lui sia troppo
severo” ( postura chiusa, e mimica ansiosa)
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?”
Parafrasi:......................................................................................................................................
......................................................................................................................................................
................................................................................................................................................
- “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?”
- “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?”
Verbalizzazione:............................................................................................................................
......................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
- “Sono stato licenziato. Non ho denaro, nè lavoro, nè famiglia. Cosa posso fare?”
18
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?”
Parafrasi:......................................................................................................................................
......................................................................................................................................................
................................................................................................................................................
- “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?”
- “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?”
Verbalizzazione:............................................................................................................................
......................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
-----------------------------------
Nota 1. La parafrasi è una forma di supporto verbale che riformula il contenuto
del messaggio di chi sta parlando.
Obiettivi della parafrasi:
- chiarificazione cognitiva del messaggio
- offre all’interlocutore la percezione di essere stato ascoltato correttamente
Fasi essenziali:
- “Che cosa l’altro ha detto?”
- “ Quali sono i contenuti essenziali del suo messaggio?”
- riformulazione
Esempio:
A: "Sono talmente ansiosa di piacere che ho sempre paura di dire qualcosa di
sbagliato"
B: "Vorresti piacere così tanto che temi di fare errori?" (parafrasi)
Nota 2. La verbalizzazione è una forma di supporto verbale che riformula le
emozioni contenute nel messaggio di chi sta parlando.
Obiettivi della verbalizzazione:
- facilitazione del processo di autoesplorazione delle proprie emozioni
- miglioramento della capacità di esprimere e gestire le proprie emozioni
Fasi essenziali:
- “Quali parole usa per esprimere i suoi sentimenti?”
- “ Quali sentimenti comunica attraverso il corpo?”
19
- “ Quali parole è opportuno scegliere per comunicare l’intensità degli stati
emotivi dell’altro?”
- riformulazione dei contenuti emotivi
Esempio:
A: "Mio marito non lo sopporto più. Sta sempre zitto, è una mummia."
B: "Il silenzio di tuo marito ti fa proprio arrabbiare?!" (verbalizzazione)
EGOGRAMMA RELAZIONALE DI VERIFICA
Rispondi nel modo più diretto e spontaneo possibile alle seguenti domande:
1) Davanti ad amici o parenti ho la sensazione di essere un cattivo genitore o professionista.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
2) Non ho difficoltà di relazioni umane con adulti, bambini e con i miei figli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
3) Ero un/una buono/a figlio/a.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
4) Nelle discussioni insisto con genitori e conoscenti perché capiscano la responsabilità che hanno
nell’insuccesso e nei problemi dei loro figli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
5) I genitori nell’educazione dei loro figli devono dare grande importanza al successo e all’istruzione.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
6) Ci tengo a dare informazioni precise a colleghi ed amici quando dialogo con loro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
7) Tendo a rassicurare gli altri perché non credo che tutti possano accettare certe verità.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
8) Mi capita spesso di essere aggressivo/a.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
9) E’ importante avere dei genitori calorosi.
20
Piuttosto vero
Piuttosto falso
10) Amo l’avventura ed affrontare vacanze anche in situazioni disagevoli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
11) Accetto in parte il chiasso e il disordine, perché sono la naturale espressione dell’essere
bambini.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
12) Mi sento a mio agio tra amici e conoscenti e dico ciò che penso.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
13) Dichiaro spontaneamente la mia idea politica.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
14) Spesso mi porto del lavoro a casa e lo svolgo nel tempo libero.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
15) Non seguo quotidianamente il lavoro dei miei figli/colleghi, guardo periodicamente i risultati
ottenuti e ne discuto con loro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
16) Nelle riunioni e negli incontri di lavoro intervengo il meno possibile e quando si chiede la mia
opinione mi adeguo alla maggioranza.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
17) Sono esigente e rigoroso/a con me e con gli altri; non considero le circostanze attenuanti perché
l’indulgenza non serve.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
18) Faccio di tutto per aiutare chi ha bisogno, a volte anche a mio danno.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
19) Se vedo qualcuno che ha bisogno mi faccio avanti: “Posso fare qualche cosa per aiutarti?”
Piuttosto vero
Piuttosto falso
21
20) Mi rivolgo confidenzialmente a tutti, do ospitalità a tutti gli amici, anche se talvolta mi sento
imbarazzato/a quando devo salutarli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
21) Talvolta mi vendico delle offese subite.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
22) Non sempre vado d’accordo con chi mi è vicino, anche se credo che bisognerebbe essere
solidali.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
23) Se compro un oggetto tecnologico per prima cosa leggo il libretto delle istruzioni.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
24) Nel considerare le persone ho una mia scala di valori, anche se mi permetto di tanto in tanto di
fidarmi dell’intuizione.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
25) Se ritengo di capire cosa l’altro mi vuole dire spesso lo interrompo.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
26) La cosa più antipatica di un lavoro è il dover prendere delle decisioni.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
27) Sono coscienzioso/a e mi preparo con serietà.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
28) Collaboro facilmente con gli altri.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
29) I genitori devono interessarsi molto dei figli ed aiutarli nelle loro difficoltà.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
30) Apprezzo i successi degli altri e mi complimento con loro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
22
31) Sono solito fare critiche.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
32) A scuola ero un allievo/a indisciplinato/a.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
33) Ho paura di sbagliare e a volte non prendo decisioni.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
34) Ho avuto un’infanzia libera e felice.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
35) Credo di possedere un sistema efficace per sapere relazionarmi agli altri.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
36) Stabilisco rapporti di fiducia con gli altri allo scopo di trovarmi meglio con loro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
37) Faccio di tutto per aiutare le persone a cui sono affezionato/a.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
38) Se qualcuno mi chiede un piacere non sono capace di rifiutare, anche se mi sembra la richiesta
esagerata o non sono d’accordo.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
39) Mi documento e cerco di consigli di chi è esperto, in modo da valutare oggettivamente le
situazioni.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
40) Non mi fido degli altri e spesso, anche con i figli, ho paura che prendano il sopravvento.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
41) Sono spontaneo/a con gli altri e tutto procede positivamente.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
42) E’ incredibile che un genitore si disinteressi del proprio figlio.
23
Piuttosto vero
Piuttosto falso
43) Tendo ad enfatizzare certi complimenti per incoraggiare chi è in situazione di difficoltà.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
44) Ognuno deve stare al proprio posto e svolgere il proprio ruolo, sia al lavoro che in famiglia; non
credo al genitore-amico.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
45) Non guardo mai la TV e leggo poco i giornali, perché sono contro il sistema di vita che
propongono.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
46) Esigo il rispetto assoluto di regole e tempi sia in famiglia che nel lavoro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
47) Faccio il possibile per compiacere gli altri.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
48)Mi occupo di attività che siano interessanti e divertenti per i miei amici ed i miei figli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
49) Se mi chiamano quando non me lo aspetto, mi chiedo subito se ho fatto qualcosa di sbagliato.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
50) Sono troppo sincero/a e a volte tale comportamento mi crea problemi.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
51) Sul lavoro faccio il mio dovere, ma niente di più.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
52) Le relazioni in ambito di lavoro possono diventare amichevoli solo in un secondo momento.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
53) Nei rapporti con gli altri mi attengo agli obiettivi che mi sono dato.
24
Piuttosto vero
Piuttosto falso
54) Non ho contatto con i colleghi dopo l’orario di lavoro.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
55) Non ci si può fidare delle persone disordinate e poco curate.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
56) Nessuno deve opporsi alle scelte dei propri figli.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
57) Bisogna attenersi alle regole di ogni istituzione o società.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
58) Giustifico e spiego il motivo delle mie scelte.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
59) So scendere a patti ed accettare compromessi realistici.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
60) In incontri e riunioni esprimo in modo perentorio, o in modo ironico, il mio parere.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
61) Ho contatti con tutti i miei colleghi indistintamente, senza alcuna preferenza.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
62) Non sopporto le critiche e talora reagisco anche con eccessi di collera.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
63) Da giovane ero molto bravo/a e mi impegnavo molto.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
64) Un genitore responsabile deve essere severo ed esigente.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
65) Mi adatto flessibilmente alle situazioni.
25
Piuttosto vero
Piuttosto falso
66) A chi mi chiede consigli traccio un quadro il più preciso della situazione.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
67) Mi piace con figli ed amici condividere esperienze e punti di vista.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
68) Ho precisi parametri per valutare le situazioni.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
69) Mi piace in ogni situazione inventare soluzioni nuove.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
70) Non oso dire agli altri ciò che davvero penso di loro, mentre dovrei farlo.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
71) Talora mi capita di confessare che amici o figli mi fanno dannare.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
72) Non mi immischio negli affari degli altri per non avere problemi.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
73) Parlo male delle persone che non mi piacciono.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
74) Quando i miei figli o colleghi non fanno il loro dovere prendo provvedimenti.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
75) Difendo a qualunque costo i diritti di amici e colleghi, anche andando
contro corrente.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
76) L’importante è riversare tutto il nostro affetto sulle persone a cui vogliamo bene, senza
necessariamente attenersi a quanto abbiamo previsto.
26
Piuttosto vero
Piuttosto falso
77) Esigo andare d’accordo con tutti, avere rispetto dei miei interlocutori ed essere rispettato.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
78) Approfitto del tempo libero per studiare ed apprendere cose nuove.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
79) Accetto volentieri di rallentare il ritmo di lavoro, per dare modo anche agli altri di raggiungere
l’obiettivo prefissato.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
80) La cosa più importante non è fare giustizia, ma risolvere problemi.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
81) Ho una vita equilibrata tra famiglia, lavoro ed hobbies.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
82) Tengo in adeguata considerazione il piacere oltre al dovere.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
83) Con colleghi ed amici mi presento per quello che sono.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
84) Nelle mie relazioni abituali mi comporto in modo libero e spontaneo.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
85) Tendo ad adeguarmi al modo di lavorare dei miei colleghi.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
86) Faccio di tutto perché le cose vadano bene, ma non mi aspetto nulla di eccezionale.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
87) Il lavoro mi annoia. L’unico vero interesse sono le vacanze.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
27
88) Non voglio inutili perdite di tempo e farmi carico dei problemi degli altri.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
89) Vorrei cercare di realizzare i miei progetti, ma non sono sicuro/a di farcela.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
90) Vengo intimidito/a da colleghi ed amici.
Piuttosto vero
Piuttosto falso
Riportare nella griglia di verifica solo le risposte “piuttosto vero” ai numeri corrispondenti
28
GRIGLIA DI VERIFICA
Accusatore
Salvatore
Normativo
4
7
5
10
18
17
21
20
27
31
29
30
46
38
44
54
43
53
55
56
57
64
65
66
73
75
77
74
76
78
Libero
Adattato
Ribelle
11
3
8
12
16
25
13
22
32
24
36
42
34
47
45
41
51
50
60
61
62
69
70
71
82
85
87
84
86
88
Ogni tre cancellature aggiungi 1 punto a Iperaddatato
Ogni due commenti aggiungi 1 punto a Ribelle
Affettivo
6
9
19
28
37
48
58
67
79
80
Adulto
2
15
23
35
39
52
59
68
81
82
Iperaddatato
1
14
26
33
40
49
63
72
89
90
Varianti:
- ANNOTANDO LE VICENDE RELAZIONALI DEGLI ULTIMI GIORNI DESCRIVI LE
OCCASIONI IN CUI TI SEI COMPORTATO IN MODO LIBERO, ADATTATO,
NORMATIVO, ADULTO, RIBELLE, OPPURE COME SAVATORE, ACCUSATORE,
VITTIMA O BAMBINO IPERADDATATO .
- C'E' QUALCOSA
RELAZIONALE
CHE
VORRESTI
CAMBIARE
DEL
TUO
EGOGRAMMA
- COSTRUISCI L'EGOGRAMMA DELLA PERSONA CHE VORRESTI ESSERE
29
GLI STILI DEL RISPONDERE
Ognuno dopo avere analizzato l'egogramma relazionale valuti il proprio
abituale stile di risposta
RISPOSTE VALUTATIVE:sono positive se vengono utilizzate per
confrontare punti di vista personali; sono negative se implicano un giudizio di
critica o di approvazione verso gli altri a partire da una posizione di superiorità
dell’emittente
Esempi:
“Hai proprio ragione/torto”
“E’ molto grave il fatto che...”
Le reazioni alle risposte valutative utilizzate con un atteggiamento negativo sono
di: inibizione, reticenza, colpa, ribellione o compiacenza.
RISPOSTE INTERPRETATIVE: sono positive se vengono date come un
“possibile e aperto itinerario di significazione alla comprensione di sè”; sono
negative se spiegano in modo assolutizzante e riduttivo il comportamento altrui
ed inducono ad una distorsione del pensiero.
Esempi:
“Ti comporti così perchè non vuoi ammettere che...”
“ E’ una persona che ha un grosso problema... fin da piccola ...”
Le reazioni alle risposte interpretative utilizzate con atteggiamento negativo sono
di: fraintendimento, incomprensione, compiacenza, irritazione, blocco difensivo.
RISPOSTE DI SOSTEGNO O CONSOLAZIONE: sono positive se
segnalano calore e condivisione; sono negative se sdrammatizzano, sminuiscono
il problema, accentuano la posizione d’inferiorità del ricevente.
Esempi:
“Pensa a chi sta peggio di te”
“Sono problemi che si risolveranno”
“Poverino...”
“ Ce la farai benissimo”
Le reazioni alle risposte di sostegno utilizzate co atteggiamento negativo sono di:
dipendenza, rifiuto ostile verso il paternalismo, passività
RISPOSTE INVESTIGATIVE O INQUISITORIE: sono positve se sono
funzionali a processi di “confronto, chiarificazione, esplorazione”, per un
amplimento della comprensione del problema; sono negative se soddisfano la
curiosità dell’emittente oppure se inducono il ricevente a percepire come inutile
o non essenziale quanto sta dicendo.
30
Esempi:
“Quando è successo?”
“Che cosa ha fatto di preciso?”
“Vorrei sapere se...”
Le reazioni alle risposte investigative utilizzate con atteggiamento negativo sono
di: ostilità per la curiosità altrui, chiusura in termini difensivi, timore di non
sapersi adeguatamente spiegare.
RISPOSTE DI DECISIONE O CHE PROPONGONO UNA
SOLUZIONE: sono positive se orientano l’altro ad individuare alternative
cognitivo/comportamentali alla soluzioni del problema e alla necessità di prendere
decisioni; sono negative se spingono l’interlocutore all’azione in modo
intempestivo senza che vi sia stata un’ adeguata comprensione in termini sia
cognitivi che emotivi del problema.
Esempi:
“Al tuo posto io...”
“Vai da lui e digli”
Le reazioni alle risposte di decisione utilizzate con atteggiamento negativo sono
di: impressione di essere messo alla porta, svalutazione della propria sofferenza,
insoddisfazione, dipendenza.
RISPOSTE EMPATICHE O COMPRENSIVE: sono positive se sono
improntate al rispetto e all’accettazione incondizionata, e per tale ragione
segnalano un’autentica partecipazione emotiva al problema dell’altro; sono
negative le “risposte iperempatiche”, ossia quelle risposte che eludono l’ascolto
critico e manifestano un’assenso anticipato a quanto l’altro dichiara.
Esempi:
“ Hai sempre ragione”
“Sono completamente d’accordo con te” (interrompendolo mentre sta parlando)
“Non si può mettere in discussione nessuna affermazione che fai...sei
strordinario”
31
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