172-174 Edit2 - Aparo - Recenti Progressi in Medicina

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172-174 Edit2 - Aparo - Recenti Progressi in Medicina
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Recenti Prog Med 2011; 102: 172-174
Il rasoio di Occam
Ugo Luigi Aparo1, Andrea Aparo2
Riassunto. La gestione semplice della complessità consente d’individuare strategie di cambiamento e di apprendimento basate sull’intelligente applicazione del copiare all’innovazione.
Summary. Novacula Occami.
Parole chiave. Complessità, creatività, Guglielmo di Occam, innovazione, semplicità.
Key words. Complexity, copying creativity, innovation, simplicity, William of Ockham.
Introduzione
La volpe e il riccio
Novacula Occami, ovvero rasoio di Occam. Così viene chiamato un principio metodologico
espresso nel XIV secolo dal filosofo frate francescano inglese William of Ockham, noto in Italia
come Guglielmo di Occam. Tale principio suggerisce l’inutilità di formulare più assunzioni di
quelle che si siano già trovate per spiegare un dato fenomeno. Impone di evitare ipotesi aggiuntive, allorché quelle iniziali siano sufficienti. Se
una teoria funziona, perché aggiungere nuove
ipotesi?
L’utilizzo della metafora del rasoio concretizza
l’idea che sia metodologicamente opportuno eliminare con tagli di lama le ipotesi più complicate. Guglielmo di Occam ha, infatti, affermato che: «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». In altri termini, non vi è motivo per complicare ciò che è semplice. Nell’ambito di qualsivoglia ragionamento o dimostrazione vanno sempre
ricercate la semplicità e la sintesi.
Eppure, affermare che una persona è “semplice”
è spesso un modo benevolo per definirla poco intelligente ed è opinione diffusa che la stupidità sia
semplice e che l’intelligenza, invece, sia complicata. Non è vero. Anzi, è quasi sempre vero il contrario. L’intelligenza - per raggiungere la piena efficacia - deve evolvere verso la semplicità. Complicare è facile, semplificare è difficile.
I maggiori progressi nella scienza, nella filosofia, nella cultura, si esprimono in termini semplici
e chiari. Cosa c’è di più semplice di e=mc2? Cosa c’è
di più semplice dell’idea del subconscio organizzato in io, ego e superego? Cosa c’è di più semplice
del concetto della “mano invisibile che regola il
mercato”?
Einstein, Freud, Adam Smith hanno preso in
esame un mondo complesso e lo hanno semplificato. Come tutti coloro che lasciano in eredità le orme maggiori, essi hanno provocato, come affermato da Marvin Bressler, l’esplosione di migliaia di
domande successive. Anche Isaiah Berlin semplifica1. Per lui, il mondo è diviso in ricci e in volpi.
Berlin si riallaccia a un’antica parabola greca: “la
volpe conosce molte cose, ma il riccio conosce una cosa importante”. La volpe è una creatura astuta, capace di elaborare una miriade di strategie complesse per attaccare il riccio. Giorno dopo giorno, la volpe gira intorno al riccio aspettando il momento giusto per piombargli addosso. Veloce, bella, agile e furba, tutti punterebbero sulla volpe vincitrice. Il riccio,
invece, l’istrice, è una creatura, tutto sommato, sciatta. Cammina in modo ciondolante, vive alla giornata, pensa soprattutto a procacciarsi il cibo e a tenere
pulita la propria tana. La volpe, dopo averne attentamente studiato le tracce, tende un agguato al riccio. Il riccio bada agli affari suoi e il suo vagabondare lo conduce dritto nel luogo dove la volpe lo sta
aspettando. Il piccolo riccio, resosi conto del pericolo,
si avvoltola negli aculei ad anelli che coprono il suo
corpo, assumendo l’aspetto di una piccola sfera protetta di spine appuntite. La volpe che si apprestava
a saltare sulla preda, si accorge delle spine appuntite del riccio e decide di desistere: ritorna nella foresta e comincia a meditare nuovi piani d’attacco.
Ogni giorno si verifica una versione di questa
battaglia fra volpe e riccio. Nonostante la maggiore astuzia della volpe, vince sempre il riccio. Le volpi si muovono su livelli diversi senza mai integrare i loro pensieri in un concetto generale o in una
visione unificatrice.
1Istituto
The simple management of complexity, allows the definition of learning and of change strategies based on applying
smart copying to innovation.
Dermopatico dell’Immacolata IRCCS, Roma; 2Docente di Strategic Management, Sapienza Università di Roma.
Pervenuto il 7 dicembre 2010.
U.L. Aparo, A. Aparo: Il rasoio di Occam
I ricci, invece, semplificano un mondo complesso
in una singola idea organizzata, in un principio di
base o in un concetto che unifica e guida il tutto2.
Non importa quanto sia complesso il mondo: il riccio riduce ogni sfida e ogni dilemma in una semplice “idea del riccio”. Il riccio vede ciò che è essenziale e ignora tutto il resto. Usa spesso e bene il rasoio
di Occam.
Occam e riccio insegnano che anche nel lavoro
e nelle esigenze quotidiane le soluzioni più efficaci
sono quelle più semplici. L’esperienza affascinante
della sintesi creativa o di un’intuizione che aiuta a
risolvere un problema ci porta quasi sempre a constatare, spesso con stupore, che con il senno di poi
la soluzione era ovvia, ma che non riuscivamo a vederla a causa del nostro modo complicato di ragionare. Molte cose sono diventate al giorno d’oggi più
semplici perché siamo in possesso di conoscenze e
risorse che prima non erano disponibili. Al contempo, però, ci stiamo complicando la vita in tanti
modi che dipendono, in parte, dai comportamenti e
da un uso spesso non adeguato delle tecnologie.
KISS
C’è un grande bisogno di semplicità.
Gerry Mc Govern ha affermato: «La complicazione è una sorta d’inquinamento intellettuale che
annebbia il pensiero. La complicazione non è un segno d’intelligenza. Piuttosto è il segno di una mente iperattiva affetta da bulimia. Il vero genio sta
nel filtrare la complicazione per estrarre il problema complesso, trovando una soluzione semplice e
concretamente efficace».
Dovremmo tutti tendere ad aumentare il KISS,
che in inglese vuol dire bacio, ma che è anche un
acronimo che sta per “Keep It Simple, Stupid” e
che, più o meno, significa “non fare lo stupido e cerca di semplificare”3.
Per non farsi mangiare dalla volpe, il riccio si arrotola e le sue spine appuntite fanno desistere la
volpe dai suoi propositi famelici. Comportamento
solo apparentemente sciocco: i ricci hanno capito che
l’essenza del profondo ne fa intuire la semplicità.
Esprimersi in maniera incomprensibile mal cela il fatto che non si sa bene cosa dire, di che cosa
si stia parlando. Al contempo, si cerca di suscitare
fra gli ascoltatori un reverente timore di non riuscire a comprendere cosa stia dicendo il dotto e sapiente relatore.
Occorre stare attenti a non confondere la semplicità con il semplicismo. Una spiegazione apparentemente semplice può essere solo un’insulsa banalità oppure un luogo comune. La complicazione
è quasi sempre stolida, ma non sempre ciò che è
semplice è intelligente. L’arte della semplicità è
difficile e sottile quanto l’esercizio dell’intelligenza. L’una e l’altra richiedono pazienza, impegno,
approfondimento, curiosità e coltivazione del dubbio. Dovremo dedicarci dell’attenzione e formulare
l’elogio del dubbio.
La gestione della complessità
Per quanto chiara, nitida ed efficace possa essere una soluzione, dobbiamo continuare a chiederci se non ce ne sia un’altra ancora più funzionale, più lucida e più semplice. È faticoso; però, al
contempo, può essere divertente ed entusiasmante.
Perché la semplicità non è solo una conquista intellettuale: è anche un’emozione.
La visione dell’organizzazione come sistema
complesso focalizza l’attenzione sulle connessioni
del sistema4. In questa prospettiva i concetti di gerarchia, autonomia, auto-organizzazione ed evoluzione devono essere considerati in modo nuovo.
L’eterogeneità degli individui e delle loro relazioni costituisce una ricchezza del sistema e l’obiettivo non deve essere quello di eliminare la complessità, bensì di gestirla.
Il principio dell’efficienza, obiettivo fondamentale delle organizzazioni, ivi comprese quelle sanitarie, deve contemperarsi con il principio dell’adattamento, maggiormente rivolto al versante
dell’efficacia. Quando le richieste e le situazioni del
mercato diventano veloci e imprevedibili, le organizzazioni devono continuamente spostare il loro
centro d’attenzione nella direzione del mutamento
e dell’apprendimento.
La teoria della complessità racchiude anche
l’invito a perseguire la semplicità. Sotto l’apparente diversità dei fenomeni complessi, sia naturali
che artificiali, si cela un’elegante semplicità di
strutture e di comportamenti. Basta andarla a cercare per trovarla, copiarla e applicarla.
L’arte di copiare
Non c’è nulla di male a copiare.
Vero che oggi la parola magica per risolvere
qualunque problema pare sia “innovare”: non è
una parola, è un ordine. Le vendite vanno male?
Innovate. La politica non funziona più? Innovate.
Il brand si affloscia? Innovate. Tutto si deve innovare: dalla politica al sociale. Dall’economia all’industria. Dai servizi al manifatturiero. Innovazione nella scuola, nell’università.
Le parole vengono abusate ma raramente definite. Noi si fa il contrario. Abbiamo imparato la
lezione del riccio. Evitiamo il più possibile le parole alla moda e le definiamo sempre.
Innovare: trovare nuovi modi di generare valore, considerato tale da un cliente disponibile a
pagare un prezzo per acquisirlo. Innovare non è
sinonimo di novità. Non presuppone un’invenzione. Innovare è molto spesso copiare. Prima
conseguenza dell’innovare è copiare: non ci sono
scuse per non farlo. Le grandi innovazioni degli
ultimi anni non sono invenzioni, bensì applicazioni intelligenti della legge di Felson: «Copiare
da una persona è plagio, copiare da molti è ricerca».
Tuttavia, copiare ha una connotazione negativa; appare moralmente scorretto.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (4), aprile 2011
Tutto ciò che impariamo nei primi due, tre anni
della nostra vita (e sono tante cose) lo impariamo
perché copiamo il comportamento dei “grandi”.
Copiare non è facile. Occorre sapere almeno
tanto quanto sa chi ha ideato l’artefatto. Diceva Picasso: «l’artista crea, il genio copia». Impariamo a
copiare sin dalla scuola elementare. Quando si arriva all’ultimo anno di scuola superiore siamo quasi tutti dei maestri nell’arte. Peccato non utilizzare tutta quest’abilità e competenza nella propria
attività professionale.
Dobbiamo ricominciare a copiare. Il boom economico degli anni 1960 non venne alimentato da
chissà quale ricerca e sviluppo e invenzione: fu alimentato dalla creatività del copiare. L’importante
è non copiare da se stessi, chiudendosi nei propri
piccoli confini sicuri: non ripetersi con insignificanti variazioni sul tema (col pretesto di porre in
atto una strategia sostenibile nel tempo. Tipico
esempio di affermazione dotta e incomprensibile,
dunque inutile). Strategie di comodo e di solito alquanto costose, da parte di consulenti più o meno
rampanti: volpi e non ricci, esperti nel complicare
e mai nel semplificare.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Ugo Luigi Aparo
Istituto Dermopatico dell’Immacolata
via Monti di Creta, 104
00167 Roma
E-mail: [email protected]
Conclusioni
L’etimologia di “innovare” riconduce ai significati di “rinnovare” e di “cambiamento”. Il cambiamento richiede apprendimento. Non s’impara
se non ci si concede il permesso di cambiare. Ricordiamo il riccio. A lui basta chiudersi a palla per
continuare a crescere. Per innovare, apprendere,
cambiare, basta fare il primo passo. Il saggio decide quando farlo. Alle persone “normali” esso è
imposto dalle opportunità e dai rischi che hanno
di fronte.
Bibliografia
1. Berlin I. The hedgehog and the fox. Chicago: Elephant Paperbacks 1993.
2. Collins J. Good to great. New York: Harper Business
2001.
3. Mc Govern G. In praise of simplicity. www.gerrymcgovern.com.
4. Aparo UL, Aparo A. Capacità di prevenzione degli
eventi avversi in sanità. Recenti Prog Med 2007; 3:
155-9.