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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
THEORY AND HISTORY OF EDUCATION
CICLO XXIV (2009-2011)
PER UNA STORIA DELL’ UNIVERSITÀ DI MACERATA TRA OTTO E NOVECENTO
DALLA RICOSTITUZIONE DOPO LE SOPPRESSIONI NAPOLEONICHE ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
TUTOR
DOTTORANDO
CHIAR.MO PROF. ROBERTO SANI
DOTT. LUIGIAURELIO POMANTE
COORDINATORE
CHIAR.MO PROF. ROBERTO SANI
ANNO 2012
Indice
INDICE
INTRODUZIONE
P. 2
ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI E DELLE ABBREVIAZIONI
P.
CAPITOLO PRIMO – L’OTTOCENTO PREUNITARIO
P. 11
CAPITOLO SECONDO – LA STAGIONE POSTUNITARIA
P. 42
CAPITOLO TERZO – TRA OTTO E NOVECENTO
P. 99
9
CAPITOLO QUARTO – L’ETÀ GIOLITTIANA E LA PRIMA GUERRA
MONDIALE
P. 143
CAPITOLO QUINTO – IL PRIMO DOPOGUERRA, LA RIFORMA GENTILE
DEL 1923 E IL VENTENNIO FASCISTA
P. 201
BIBLIOGRAFIA
P. 285
I RETTORI DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI MACERATA
DAL 1861 AL 1945
P. 299
Introduzione
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi quindici anni la storia dell’istruzione superiore e delle
istituzioni universitarie nell’Italia dell’Otto e del Novecento ha conosciuto un intenso e
significativo sviluppo1, frutto indubbiamente del lavoro avviato da una nuova
generazione di storici della cultura, delle istituzioni e dei processi formativi in età
contemporanea2, come anche dello straordinario impegno esercitato su tale versante dal
Centro interuniversitario per la storia delle università italiane (CISUI), il sodalizio sorto
nel 1996 attorno a Gian Paolo Brizzi e ad un gruppo di studiosi appartenenti alle
Università di Bologna, Padova, Messina, Sassari e Torino, con il proposito, appunto, di
incrementare le attività di ricerca nel settore della storiografia universitaria attraverso la
riorganizzazione degli archivi storici dei singoli atenei, la pubblicazione di fonti inedite,
l’approfondimento delle questioni metodologiche e, soprattutto, la promozione di
seminari specialistici e di convegni di studio nazionali e internazionali3. In tale contesto,
un ruolo particolarmente significativo ha esercitato, a partire dal 1997, la rivista del
CISUI «Annali di storia delle università italiane», nella cui sezione monografica hanno
visto la luce in questi anni organiche raccolte di contributi dedicati alla storia di singoli
atenei italiani, sui quali in taluni casi non si disponeva ancora di ricostruzioni storiche
documentate e fondate su moderni criteri scientifici4.
Il presente lavoro, che si propone di ripercorrere le vicende storiche e la
complessa evoluzione sul piano accademico-istituzionale, culturale e politico
dell’Università di Macerata dal suo ristabilimento, dopo le soppressioni operate in età
napoleonica, all’indomani della Restaurazione, fino alla seconda guerra mondiale, si
1
Cfr. F. Casadei, Recenti studi sull’Università italiana dopo l’Unità, «Italia contemporanea», 1993, 192,
pp. 503-510; G.P. Brizzi, La storia delle università in Italia: l’organizzazione della ricerca nel XX secolo,
in L. Sitran Rea (a cura di), La storia delle università italiane. Archivi, fonti, indirizzi di ricerca, Atti del
convegno. Padova, 27-29 ottobre 1994, Trieste, Edizioni Lint, 1996, pp. 273-309; M. Moretti, La storia
dell’Università italiana in età contemporanea. Ricerche e prospettive, ivi, pp. 335-381; G. Fois, La
ricerca storica sull’Università italiana in età contemporanea. Rassegna degli studi, «Annali di storia
delle università italiane», 1999, 3, pp. 241-257.
2
Si veda al riguardo D. Negrini (a cura di), Repertorio nazionale degli storici dell’università, 1993-1997,
Bologna, CLUEB, 1998.
3
Cfr. L. Pomante, The researchers on the history of University and higher education in Italy. A critical
appraisal of the last twenty years, «History of Education & Children’s Literature», V (2010), 2, pp. 387417.
4
A partire dal primo anno di vita, il 1997, la Sezione Studi degli «Annali di storia delle università
italiane» ha accolto contributi monografici dedicati alla storia dei seguenti atenei italiani: Bologna (1,
1997, pp. 41-163), Messina (2, 1998, pp. 37-188), Padova (3, 1999, pp. 41-179), Roma «La Sapienza» (4,
2000, pp. 25-119), Torino (5, 2001, pp. 31-189), Sassari (6, 2002, pp. 17-207), Pavia (7, 2003, pp. 29284), Ferrara (8, 2004, pp. 35-279), Parma (9, 2005, pp. 29-216), Siena (10, 2006, pp. 33-277), Milano
(11, 2007, pp. 31-298), Politecnico di Milano (12, 2008, pp. 23-326), Macerata (13, 2009, pp. 45-283),
Pisa (14, 2010, pp. 41-326).
2
Introduzione
colloca nel quadro di questo rinnovato fervore di studi e di ricerche e, nella sua
impostazione e articolazione, ha cercato di tenere presenti quelli che, ad avviso di chi
scrive, appaiono sotto molteplici aspetti gli indirizzi maggiormente qualificanti la
recente storiografia sull’istruzione superiore e sulla storia delle università italiane in età
contemporanea.
Intendiamo riferirci, in primo luogo, alla valorizzazione e al più ampio utilizzo
delle fonti archivistiche e a stampa, in larga parte poco o nulla valorizzate nelle
ricostruzioni precedenti5; e, su un diverso piano, all’attenzione tributata, in sede di
analisi e di ricostruzione storica, non solamente alla vita interna e alle dinamiche
didattiche, scientifiche e istituzionali in senso stretto, ma anche al ruolo esercitato
dall’Università di Macerata nel contesto locale, alle vicende relative al rapporto tra
l’Ateneo e le altre istituzioni presenti e operanti sul territorio maceratese e
marchigiano6, all’influsso esercitato sulla vita e sull’attività dell’Università dai profondi
mutamenti politici, sociali e culturali (si pensi, per fare solo un esempio, alle profonde
trasformazioni intervenute all’indomani del compimento dell’unificazione nazionale o,
su un diverso piano, ai peculiari sviluppi registrati a seguito della riforma Gentile del
1923 e della legislazione universitaria introdotta nel corso del ventennio fascista) che
hanno caratterizzato la penisola nel corso dell’Ottocento e della prima metà del
Novecento7.
Più in generale, il presente lavoro ha inteso recuperare e approfondire, con
particolare riferimento al contesto universitario maceratese e marchigiano, talune
5
Si vedano ad esempio: R. Foglietti, Cenni storici sull’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip.
Bianchini, 1878; U. Fresco, Origine dello Studio Generale in Macerata, Tip. Savini, Camerino, 1901; G.
Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), Macerata, Stab. Tip.
Bianchini, 1905; A. Visconti, L’Università di Macerata nel passato e nel presente, in Macerata e la sua
Università, Stab. Tip. Bianchini, Macerata, 1933; G. Bonolis, L’Università di Macerata. Notizie storiche,
Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1933; A. Marongiu, L’Università di Macerata nel periodo delle origini,
in «Annali dell’Università di Macerata», 1948; M. Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della
Restaurazione (1816-1824), Fermo, Deputazione di storia patria per le Marche, 1978; A. Adversi, Le
scuole, in A. Adversi, D. Cecchi, L. Paci (a cura di), Storia di Macerata. III/2: La cultura, Macerata,
Grafica maceratese, 1988.
6
Sul peculiare significato rivestito per le università, soprattutto nella fase postunitaria, dal rapporto tra
centro e periferia, dimensione locale e dimensione nazionale si rinvia a M. Moretti, I. Porciani, Il sistema
universitario fra nazione e città: un campo di tensione, in M. Meriggi, P. Schiera (a cura di), Dalla città
alla nazione. Borghesie ottocentesche in Italia e in Germania, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 289-306.
7
Sull’Ottocento preunitario si rinvia a: G.P. Brizzi, A. Varni (a cura di), L’Università in Italia fra età
moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, Bologna, CLUEB, 1991. Sul secondo Ottocento e l’età
giolittiana cfr. S. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica 1848-1876,
Brescia, La Scuola, 1993; U.M. Miozzi, Lo sviluppo storico dell’università italiana, Firenze, Le Monnier,
1993. Relativamente alla riforma Gentile e al ventennio fascista, si vedano inoltre: M. Ostenc, La scuola
italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981; M.C. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione
dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Roma, Edizioni Studium, 1992; e J.
Charnitzky, Fascismo a scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia,
1996.
3
Introduzione
categorie interpretative emerse dal recente dibattito storiografico sulla storia delle
università nell’Italia dell’Otto e del Novecento. Intendiamo riferirci, innanzitutto, al
ruolo esercitato dalla questione universitaria, nell’Italia dell’Ottocento, nei processi di
nation building8 e, più in particolare, alla funzione strategica attribuita agli atenei non
soltanto nella formazione delle future classi dirigenti9, ma anche con riferimento alla
costruzione della scienza nazionale10 e, su un diverso piano, alla legittimazione
scientifica culturale del ruolo e delle prerogative delle libere professioni11.
Merita altresì di essere segnalato che il recente dibattito storiografico ha
registrato l’emergere di un crescente interesse per le cosiddette «università minori». Per
lungo tempo, infatti, erano stati i grandi atenei della penisola a figurare come i
protagonisti degli studi sulla storia dell’istruzione superiore e delle università. Per il loro
ruolo e per il prestigio culturale e scientifico di cui erano portatori, infatti, tali atenei
avevano suscitato in prima battuta il prevalente interesse degli studiosi. Con il passare
degli anni, tuttavia, ci si è accorti che anche gli atenei minori e le piccole università di
provincia hanno esercitato un ruolo non trascurabile nella crescita e nello sviluppo del
sistema dell’istruzione superiore in Italia. A conferma di ciò, basterebbe qui richiamare i
significativi dati emersi dai contributi presentati nel corso dei due importanti convegni
svoltisi rispettivamente a Sassari nel 1992 e ad Alghero nel 1996: Le Università minori
in Italia nel XIX secolo12 e Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX)13, come
pure la ricchezza di riferimenti in tal senso contenuta in taluni lavori monografici
dedicati in modo specifico a questa tipologia di università14.
8
Cfr. G. Ciampi, I giovani e le lotte studentesche dell’Ottocento, in A. Varni (a cura di), Il mondo
giovanile in Italia tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 53-67; R. Balzani, Nati
troppo tardi. Illusioni e frustrazioni dei giovani del post-Risorgimento, ivi, pp. 69-85; e soprattutto L.
Pepe (a cura di), Universitari italiani nel Risorgimento, Bologna, Clueb, 2002.
9
Cfr. A. La Penna, Modello tedesco e modello francese nel dibattito sull’università italiana, in S.
Soldani, G. Turi (a cura di), Fare gli italiani, Scuola e cultura nell’Italia contemporanea I. La Nascita
dello Stato Nazionale, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 171-212; I. Porciani (a cura di), L’Università tra
Otto e Novecento: i modelli europei ed il caso italiano, Napoli, Jovene, 1994; e F. Colao, La libertà di
insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia
(1848-1923), Milano, Giuffrè, 1995; M. Moretti, I. Porciani, Il volto ambiguo di Minerva. Le origini del
sistema universitario italiano, in R. Simili (a cura di), Ricerca e istituzioni scientifiche in Italia, RomaBari, Laterza, 1998, pp.74-92..
10
Si veda al riguardo I. Porciani (a cura di), Università e scienza nazionale, Napoli, Jovene, 2001.
11
A puro titolo esemplificativo, si rinvia a A. Mazzacane, C. Vano (a cura di), Università e professioni
giuridiche in Europa nell’età liberale, Napoli, Jovene, 1994; M.L. Betri, A. Pastore, Avvocati, medici,
ingegneri. Alle origini delle professioni moderne (secoli XVI-XIX), Bologna, CLUEB, 1997; A. Dröscher,
Le Facoltà medico chirurgiche italiane (1860-1915), Bologna, CLUEB, 2002.
12
M. Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, Sassari, Centro
interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, 1993.
13
G.P. Brizzi, J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), Atti del Convegno
Internazionale di Studi. Alghero, 30 ottobre-2 novembre 1996, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998.
14
E’ il caso, ad esempio, dell’eccellente ricerca di I. Porciani, Un ateneo minacciato. L’Università di
Siena dalla Restaurazione alla prima guerra mondiale, «Annali della Facoltà di Lettere e filosofia
4
Introduzione
Il presente lavoro, come si è già accennato, focalizza l’attenzione su un ateneo,
quello di Macerata, che tradizionalmente, dapprima nello Stato pontificio, in seguito
nell’Italia unita, si è connotato in modo costante come “università minore” e realtà
accademica di provincia, esercitando un ruolo d’indiscussa importanza non solamente
nel quadro dello sviluppo del sistema d’istruzione superiore nazionale, ma anche, e
soprattutto, ai fini della crescita civile e culturale delle comunità locali e della
modernizzazione socio-economica e produttiva, del territorio maceratese e marchigiano.
Nel primo capitolo si ricostruisce così in maniera approfondita e coerente la
travagliata storia dell’Università di Macerata nella prima metà dell’Ottocento. Nell’arco
di circa cinquant'anni, l'Ateneo maceratese visse, infatti, esperienze tra loro molto
diverse, ma capaci ugualmente di scuoterlo sin dalle fondamenta. Prima la
rivoluzionaria riforma napoleonica, destinata a cancellarne sia pure provvisoriamente
l’esistenza (l’Università fu trasformata nel «Liceo del Musone»); poi la provvidenziale
restaurazione pontificia che ne consentì il ripristino e garantì all’Ateneo la
sopravvivenza, seppur difficoltosa, fino alla svolta unitaria. Di sicuro, all’indomani
della restaurazione pontificia e del ritorno a Roma di papa Pio VII, il ripristino dello
Studium Maceratese «ad formam universitatum», avvenuto in forza del decreto della
Sacra Congregazione degli Studi del 23 agosto 1816 e sulla base del regolamento di
attuazione emanato dal vescovo di Macerata mons. Vincenzo Maria Strambi, aprì un
periodo di crescenti difficoltà per un ateneo già molto debole sul finire del diciottesimo
secolo.
Le estreme ristrettezze economiche in cui versava allora il Comune di Macerata,
ente deputato al mantenimento dell’Ateneo, avevano infatti condotto ad una situazione
di forte disagio che si protrasse almeno fino al 1824, allorché, con la Bolla Quod divina
sapientia, emanata il 28 agosto 1824 da Leone XII, si procedette a riordinare
l’istruzione superiore e le università dello Stato pontificio. L’Università di Macerata fu
annoverata tra le università “secondarie”, insieme a quelle di Camerino, Fermo, Ferrara
e Perugia, mentre furono considerate primari solo gli atenei di Roma e Bologna.
L’Ateneo maceratese, dunque, dopo essere stato per secoli un’istituzione di carattere
comunale, diveniva pontificio, vale a dire statale.
dell’Università di Siena», 12 (1991), pp. 97-129; e 13 (1993), pp. 271-288. Ma si veda anche G.P. Brizzi,
Le università minori in Italia in età moderna, in A. Romano (a cura di), Università in Europa, Le
istituzioni universitarie dal Medioevo ai nostri giorni: struttura, organizzazione, funzionamento, Atti del
Convegno Internazionale di Studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), Soveria Mannelli, Rubbettino,
1995, pp. 287-296.
5
Introduzione
La prima inaugurazione del nuovo corso vi fu nell’anno accademico 1825-1826
ed i corsi di studio poterono finalmente riprendere il regolare svolgimento. L’Ateneo
comprendeva venti cattedre distribuite su quattro distinte facoltà: Teologia,
Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia e Filosofia. Già allora, però, riecheggiavano
anche all’interno dell’Università di Macerata i moti risorgimentali con i quali il potere
pontificio dovette fare i conti per quasi quarant’anni, arrivando in più di un’occasione
addirittura alla sospensione forzata delle attività didattiche. L’Ateneo maceratese
pontificio, comunque, continuò a vivacchiare, fra mille difficoltà, sino alla fine degli
anni Cinquanta, allorché, a seguito dell’annessione delle Marche al costituendo Regno
d’Italia, esso vide aprirsi un nuovo capitolo della sua storia.
Nel secondo capitolo della tesi il focus della ricerca è centrato innanzitutto sul
periodo immediatamente successivo all’Unità, quando l’Università di Macerata visse i
primi passi nel nuovo Stato con un assetto assai diverso rispetto a quello che l’aveva
caratterizzato nell’ultima fase dello Stato pontificio. Scelto lo status di ateneo statale e
rifiutato quello di università “libera”, per volere del Regio commissario straordinario
per le Marche Lorenzo Valerio si arrivò alla soppressione della Facoltà di Teologia
(1860-1861). Di lì a poco, poi, in forza dei provvedimenti emanati dal ministro della
Pubblica Istruzione Carlo Matteucci (1862), l’Ateneo maceratese fu collocato tra le
università “secondarie” o “minori” ma, rispetto ad altri atenei della stessa categoria,
totalmente abbandonato al proprio destino e, soprattutto, trascurato sotto il profilo
finanziario.
Così, soppresse anche le facoltà di Medicina e chirurgia e quella di Filosofia nel
novembre del 1862, lo storico Ateneo marchigiano si ritrovò ad essere costituito dalla
sola facoltà giuridica e da alcuni corsi speciali di Farmacia, Ostetricia e Chirurgia
minore (dal 1868 fu attivato anche un corso preparatorio di Veterinaria), con
l’inevitabile conseguenza di una crescente riduzione del numero degli studenti, di un
corpo docente esiguo e di mezzi finanziari del tutto inadeguati. Al fine di scongiurare la
chiusura di un ateneo ridotto allo stremo, il Comune e la Provincia di Macerata decisero
dunque di farsi carico di una serie di interventi volti a sostenere economicamente
l’Ateneo, sorretti, in questo, dall’opinione pubblica locale, persuasa della necessità di
salvaguardare la principale istituzione culturale cittadina.
Proprio per questo motivo i due enti locali costituirono nel 1880 un Consorzio
con l’Università, il cui obiettivo era quello di conservare l’unica facoltà rimasta e cioè
quella giuridica. Seppur tra mille difficoltà, l’Ateneo maceratese rinacque gradualmente
6
Introduzione
a nuova vita, tanto che, sul finire del secolo si prospettò la possibilità di ottenere il
pareggiamento agli altri atenei primari della penisola, sulla scia di un processo già
realizzato da parte di altre università minori della penisola.
Il terzo capitolo del lavoro prende le mosse proprio dalla dura “battaglia”
sostenuta dall’Ateneo maceratese sul finire del secolo diciannovesimo al fine di ottenere
lo status di ateneo primario. In forza della legge 22 dicembre 1901, n. 541, al riguardo,
si ebbe il sospirato pareggiamento dell’Università di Macerata a quelle di primo grado.
Uno dei primi effetti del pareggiamento avrebbe dovuto essere quello della
stabilizzazione del corpo docente maceratese, la cui composizione, per troppo tempo,
era stata condizionata dalla migrazione degli elementi migliori verso gli atenei più
prestigiosi.
In realtà, per tutto il primo ventennio del Novecento, come si è cercato di
ricostruire nell’ambito del quarto capitolo del lavoro, il risultato raggiunto con la legge
n. 541 fu soltanto teorico perché nella pratica l’Ateneo maceratese dovette continuare a
confrontarsi con le tradizionali e tutt’altro che superate problematiche che lo avevano
collocato in una posizione di inferiorità rispetto alle altre sedi universitarie del territorio
nazionale. Superate le inevitabile difficoltà connesse al primo conflitto mondiale, il 6
ottobre 1919, il R.D. n. 2048 approvava comunque la nuova convenzione fra Governo,
Comune, Provincia e Consorzio universitario di Macerata, da adottarsi in sostituzione di
quella precedente approvata nel 1901. L’Università di Macerata era così pareggiata a
tutti gli effetti di legge alle altre università indicate dall’articolo 12 del Testo unico
emanato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795. Le difficoltà, tuttavia, non erano affatto
superate.
Come si evince dalla ricostruzione proposta nel quinto e ultimo capitolo del
lavoro, con il R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, il ministro della Pubblica Istruzione
Giovanni Gentile introdusse profonde modifiche all’ordinamento dell’istruzione
superiore e delle università, ripristinando fra l’altro la distinzione fra università
maggiori e minori e classificando l’Ateneo maceratese tra queste ultime, il cui
mantenimento, com’è noto, era stabilito solo parzialmente a carico dello Stato.
Nel corso del ventennio fascista, comunque, l’Università di Macerata riuscì ad
ottenere la parificazione finanziaria con gli atenei maggiori (1936) e a svolgere con
regolarità la sua attività didattica e scientifica, sviluppando solidi rapporti con il
territorio di pertinenza e con le realtà economiche e produttive marchigiane. Lo scoppio
della seconda guerra mondiale e le gravi vicissitudini che accompagnarono le vicende
7
Introduzione
belliche erano destinati, tuttavia, a segnare profondamente l’attività del piccolo Ateneo
maceratese, il quale sarebbe stato ricostituito su nuove basi negli anni del secondo
dopoguerra.
Alla luce del quadro sin qui delineato, e soprattutto della ricostruzione operata
nelle pagine che seguono, ci sembra condivisibile la lettura d’insieme proposta da
Roberto Sani nella sua introduzione ad una recente raccolta di studi sulla storia del
piccolo centro universitario marchigiano: «Un Ateneo, quello di Macerata, le cui
antiche tradizioni e la specifica evoluzione conosciuta negli ultimi due secoli ne fanno,
sotto certi aspetti, un’icona straordinariamente efficace del peculiare modello
accademico che, tradizionalmente, ha connotato la penisola e definito il profilo
dell’istruzione superiore nello Stato unitario. L’Italia delle cento città è stata anche,
nella sua lunga e complessa storia civile, culturale e politica pre e post unitaria, il Paese
che ha espresso – pur tra accese e mai sopite polemiche – un tessuto di piccoli e medi
Atenei, sovente radicati nei territori di appartenenza, la cui storia si è sviluppata
nell’intreccio con la più complessiva storia dei processi di sviluppo delle comunità, con
le vicende delle élites politiche e amministrative e dei ceti produttivi locali. Una storia,
per riprendere un’immagine cara all’Ateneo maceratese, fatta, assai spesso, di ‘campus
a cielo aperto’ cresciuti nei centri storici delle cento città italiane, la cui presenza ha
contribuito – talora in modo determinante – a definire e ad esaltare l’identità culturale,
ma anche civile e politica delle comunità locali. Al contempo, è indubbio che proprio il
carattere necessariamente universale del sapere e della formazione promossi dagli atenei
nei diversi centri della penisola ha consentito, a quelle stesse comunità locali, di
maturare un’identità e un senso di appartenenza di gran lunga più largo e aperto. Lo
stesso processo di costruzione dell’identità italiana ieri, e oggi di quella europea, è
ampiamente debitore della presenza e dell’operato delle università nella vita del
Paese»15.
15
R. Sani, Presentazione, in Per una storia dell’Università di Macerata, «Annali di storia delle università
italiane», 13 (2009), pp. 13-14.
8
Elenco dei fondi archivistici e delle abbreviazioni
ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI E DELLE ABBREVIAZIONI
ACMc = Archivio Comunale di Macerata (Macerata).
ACS = Archivio Centrale dello Stato (Roma).
ASDMc = Archivio Storico Diocesano di Macerata (Macerata).
ASCa = Archivio di Stato di Macerata (sezione di Camerino).
ASL = Archivio di Stato di Lucca (Lucca).
ASMc = Archivio di Stato di Macerata (Macerata).
ASR = Archivio di Stato di Roma (Roma).
ASV = Archivio Segreto Vaticano (Città del Vaticano).
AUSM = Archivio dell’Università degli Studi di Macerata (Macerata).
AUSS = Archivio dell’Università degli Studi di Siena (Siena).
BCAB = Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna (Fondo manoscritti e rari).
BCMc = Biblioteca Comunale «Mozzi-Borgetti» di Macerata (Fondo manoscritti e rari).
BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Fondo manoscritti e rari).
BNCR = Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Fondo manoscritti e rari).
BUEM = Biblioteca Universitaria Estense di Modena (Fondo manoscritti e rari).
**********
ANNUARIO = «Annuario della Regia Università di Macerata» (poi: «Annuario
dell’Università degli Studi di Macerata») (1879-1880/1965-1966).
BUMEN = «Ministero dell’Educazione Nazionale. Bollettino Ufficiale» (1929-1943).
BUMPI = «Ministero della Pubblica Istruzione. Bollettino Ufficiale» (1874-1928 / 1944
e ss.).
CC = «Collezione Celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari» (1861-1915).
CL = «Collezione delle leggi e de’ decreti emanati nelle province continentali dell’Italia
meridionale durante il periodo della luogotenenza» (vol. I: dal 7 novembre 1860 al 30
aprile 1861; vol. II: dal 1 maggio al 31 ottobre) (1861-1862).
9
Elenco dei fondi archivistici e delle abbreviazioni
DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
1960 e ss.
GU = «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» (poi: «Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana») (1870-1966).
**********
AP = Atti Parlamentari
C.M. = Circolare Ministeriale
D.M. = Decreto Ministeriale
D.R. = Decreto Rettorale
O.M. = Ordinanza Ministeriale
R.D. = Regio Decreto
R.D.L. = Regio Decreto-Legge
**********
b./bb. = busta/buste
cart./cartt. = cartella/cartelle
c./cc. = colonna/colonne
doc./docc. = documento/documenti
f./ff. = fascicolo/fascicoli
reg./regg. = registro/registri
s.d. = senza data
s.l. = senza luogo
s.i.e. = senza indicazione editore
ss. = seguenti
vol./voll. = volume/volumi
10
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
CAPITOLO PRIMO
L’OTTOCENTO PREUNITARIO
Senza alcun dubbio, la prima metà dell’Ottocento ha rappresentato, per
l'Università di Macerata, uno dei periodi più complessi e rilevanti della propria storia.
Nell’arco di circa sessant'anni, l'Ateneo marchigiano ha vissuto sul proprio “corpo” due
esperienze tra loro molto diverse, ma capaci entrambe di scuoterlo sin dalle fondamenta.
Prima la rivoluzionaria riforma napoleonica, destinata a cancellarne sia pure
provvisoriamente l’esistenza, poi la provvidenziale restaurazione pontificia.
Vale pertanto la pena di ripercorre in questa sede alcuni momenti salienti di un
periodo storico determinante per l'Ateneo maceratese, tra sonnacchiose fasi di stasi ed
incredibili moti di vitalità, peculiarità che hanno peraltro sempre caratterizzato
l'Università di Macerata nei suoi tanti secoli di vita1.
Con ogni probabilità l’estate del 1808 fu a lungo ricordata da molti come una
delle più nefaste per il centro universitario marchigiano. Per volontà di Napoleone
Bonaparte, infatti, a seguito dell’unione delle Marche al Regno d'Italia, sancita dal
decreto dell'8 aprile 1808 n. 158, l’Ateneo maceratese venne soppresso (decreto 28
giugno 1808 n. 1972) e al suo posto fu istituito un Liceo con talune scuole speciali
(clinica medica, clinica chirurgica, ostetricia), tutte a totale carico del Governo.
Il Liceo, detto del «Musone», secondo l’uso dei nuovi governanti di intitolare le
varie circoscrizioni amministrative (dipartimenti) con il nome dei fiumi che ne bagnano
1
Il dibattito tra gli storici riguardo le origini dello Studium Generale maceratese si è rivelato molto ampio
e talora anche aspro e si è mosso lungo due direzioni. Da una parte coloro che hanno attribuito la
fondazione dell’Ateneo a papa Niccolò IV a partire dal 1290, dall’altra coloro che hanno invece collegato
tale nascita alle determinazioni di papa Paolo III Farnese. Di sicuro, nel settembre del 1290, il Comune di
Macerata, legato come altri comuni della Marca al pontefice marchigiano Niccolò IV, emanò un bando
nel quale invitava tutti coloro che avessero voluto studiare legge, a recarsi proprio a Macerata presso la
scuola del maestro Giulioso di Montegranaro. In quell’anno, dunque, operava nel centro marchigiano non
uno Studium Generale, bensì una scuola di diritto retta da un maestro privato, non abilitata alla
concessione di gradus doctorales. Per parlare, dunque, di un vero e proprio Studium occorrerà attendere
l’estate del 1540, quando il pontefice Paolo III Farnese, con bolla In eminenti Studium cuiuscumque
facultatis e scientiae licitae (1° luglio 1540) lo istituirà ufficialmente. A nostro giudizio, dunque, è
proprio questa la data della fondazione ufficiale dell’Università di Macerata, costituita dalle quattro
facoltà allora esistenti: Teologia, Filosofia, Medicina e Diritto. Il 27 novembre 1541 venne conferita la
prima laurea all’orvietano Giuseppe Abiamontani. Per un’analisi dettagliata dei laureati presso l’ateneo
maceratese, cfr. S. Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), Torino,
Giappichelli, 2003.
2
Tale decreto stabilì, oltre alla soppressione dell'Università di Macerata, anche quella degli altri Atenei
marchigiani di Camerino, Fermo, Urbino e Fano, autorizzando l’istituzione a Urbino di un Liceo con
convitto e a Fermo, proprio come a Macerata, di un Liceo senza convitto. A Camerino, invece, nel 18101811 fu istituito un corso ginnasiale preparatorio agli studi liceali. Per ulteriori approfondimenti si veda:
D. Fioretti, Università, seminari e scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione, in S. Anselmi, (a
cura di), Le Marche, Torino, Einaudi, 1987, pp. 725-752.
11
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
i centri3, era costituito da otto cattedre: Belle lettere, storia e geografia, Geometria e
algebra, Disegno e architettura, Analisi delle idee ed etica, Fisica generale e particolare,
Chimica e storia naturale, Botanica ed agraria, Codice civile4.
Ma come si era giunti a tale situazione? Sulla base di quali motivazioni
Napoleone Bonaparte aveva deciso di porre la parola fine all'esistenza di alcune
università italiane? E soprattutto: quale era la reale situazione dell'Ateneo marchigiano
nel periodo immediatamente precedente la sua trasformazione in un Liceo?
Domande, queste, alle quali è necessario dare una risposta, in modo da poter
continuare il nostro lavoro senza rischiare di cadere in pericolosi equivoci, come quello
di considerare la chiusura dell'Università di Macerata un semplice capriccio
dell’amministrazione napoleonica5.
In realtà,alla luce dei documenti del tempo, è ben evidente come già nei primi
anni dell’Ottocento, l'Ateneo maceratese stesse vivendo un periodo di grandi affanni e
difficoltà sotto diversi profili6. Nel periodo compreso tra il 1801 e il 1808, ad esempio, i
laureati furono complessivamente appena 61, un numero che non si discostava molto da
quello registrato nel decennio precedente (1791-1800), allorché era stato pari a 62
unità7, con una media rispettivamente di 8,7 e 6,8 laureati l’anno. Tale cifra, peraltro,
appariva del tutto irrisoria se paragonata a quella registrata nelle fasi precedenti, come
nel caso del decennio 1711-1720, nel corso del quale avevano conseguito il titolo
dottorale ben 212 studenti con una media annua di 23,5. I fasti di circa cento anni prima,
3
Sulla divisione territoriale nel periodo napoleonico, cfr. D. Cecchi, Organismi amministrativi nel
dipartimento del Musone, in La battaglia di Tolentino e la campagna di Murat nel 1815, Macerata,
Associazione Tolentino 1815, 1998, pp. 7-12.
4
Archivio di Stato di Roma (in seguito: ASR), S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle
adunanze, 1824-1825, b. 7
5
In realtà, il riordinamento universitario messo in atto da Napoleone Bonaparte nella penisola faceva
parte di un unico grande progetto che toccava tutte le realtà accademiche gravitanti nell'orbita francese e
che si richiamava all’istituzione dell'Università imperiale, attuata con decreto del 17 marzo 1808. Per un
quadro completo delle riforme napoleoniche in materia di istruzione e università, si vedano: C. Schmidt,
La réforme de l’Université Impériale en 1811, Paris, 1905; S. Bucci, La scuola italiana nell’età
napoleonica. Il sistema educativo e scolastico francese nel Regno d’Italia, Roma, Bulzoni, 1976; A.
Aulard, Napoléon Ier et le monopole universitaire, Paris, 1911; J. Verger (dir.), Histoire des Universités
en France, Toulouse, 1986, pp. 261-275; R. Bounard, Expériences francaises de l’Italie napoleonienne.
Rome dans le système universitaire napoléonien et l’organisation des académies et universités de Pise,
Parme et Turin (1806-1814), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1988 ; P. Alvazzi Del Frate, Università
napoleoniche negli «Stati Romani». Il Rapport di Giovanni Ferri de Saint-Constant sull’istruzione
pubblica (1812), Roma, Viella, 1995; P. Del Negro, L. Pepe (a cura di), Le università napoleoniche. Uno
spartiacque nella storia italiana ed europea. Atti del convegno internazionale di studi (Padova-Bologna,
13-15 settembre 2006), Bologna, CLUEB, 2008.
6
A questo riguardo, si veda quanto scriveva G. Arangio-Ruiz, nella sua ricostruzione delle vicissitudini
vissute dall’Università di Macerata in epoca contemporanea: «L’Università, negli ultimi anni, era ridotta
una larva» (G. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), Macerata,
Stab. Tip. Bianchini, 1905, p. 7).
7
Cfr. Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), cit., p. 9.
12
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
dunque, erano ben lontani e questo è facilmente rinvenibile anche nelle caratteristiche
del corpo docente8. Consultando i volumi dell’Archivio Priorale, reperibili presso
l'Archivio di Stato di Macerata, risulta evidente, infatti, che il rigore degli anni
precedenti nel reclutamento dei professori e nell’assegnazione delle cattedre era ormai,
all’inizio del secolo XIX, solo un lontano ricordo.
Basti citare, tra i tanti, i casi dei docenti Pietro Antonio Livizzani e Luigi Gezzi,
nominati il primo nel 1804 e il secondo nel 1805: non si riscontra alcuna indicazione
specifica circa il loro curriculum e circa la disciplina da essi professata (come invece
accadeva minuziosamente fino a cinquant'anni prima), ma solo una generica
attribuzione di una cattedra di «legge». Ad interessare maggiormente il mondo
accademico maceratese erano ormai soprattutto le dispute retoriche, le prove di
eloquenza, come testimonia, tra i tanti testi dell’epoca, il Saggio letterario-accademico
degli scolari di eloquenza dell'Università di Macerata, datato 6 settembre 18069.
A tali questioni di natura didattica e organizzativa, si aggiungevano quelle
relative alla penosa condizione economica in cui versava l’Ateneo maceratese. Esso,
infatti, era stato nei decenni precedenti mantenuto dal Municipio di Macerata, che aveva
destinato ad esso una serie di proventi e redditi derivanti da alcuni fondi rustici ed
urbani; a tali risorse si sommavano quelle messe a disposizione dal pontefice Clemente
XIV, il quale, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, aveva assegnato
all’Università gran parte dei possedimenti maceratesi dei Gesuiti10. I beni comunali,
tuttavia, erano stati successivamente incamerati dall’Erario sulla base di due distinti
provvedimenti della Camera Apostolica: il Motuproprio 19 marzo 1801 e quello
successivo del 14 luglio 1803, determinando così per l’Ateneo marchigiano la perdita di
gran parte dei propri mezzi di sussistenza. Nel 1808, infatti, la rendita annua
universitaria risultava di appena 621 scudi e 86 baiocchi, derivanti dal ricavato di magre
entrate immobiliari e da alcuni modesti censi11.
Una situazione dunque critica sotto i più svariati punti di vista e ovviamente
passibile di giudizi severi, ancorché estremamente fondati, come quello recentemente
8
Per il quadro dettagliato di tutti i professori dell’Università di Macerata, con notizie biografiche,
indicazioni circa la nomina e le materie insegnate, si veda ora S. Serangeli, I docenti dell'Università di
Macerata (1541-1824), Torino, Giappichelli, 2009.
9
Copia del testo è conservata nella Biblioteca Comunale «Mozzi-Borgetti» di Macerata (in seguito: BCMc).
In tale documento sono riportati i nomi di quattro notabili cittadini, deputati agli studi, ai quali il medesimo
componimento era dedicato. Si tratta di: Telesforo Narducci, Prospero Prosperi, Giuseppe Foglietti e Livio
Aurispa.
10
Per il dettaglio dei beni assegnati all'Università, cfr. L. Pianesi, T. Valenti, C. Chiappini, P. Giuliani,
Memoria intorno l’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1868, pp. 11 e 28-29.
11
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 8-9.
13
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
formulato da Gian Paolo Brizzi, che ha individuato come finalità ultima delle piccole
università del tipo di Macerata, quella di soddisfare «l'ambizione delle élites municipali
e in particolare dei collegi dottorali cittadini a controllare non solo l’esercizio delle
attività professionali ma anche la selezione di nuovi dottori»12.
Lo stato di grave incertezza in cui versava l’Ateneo maceratese non era sfuggito
all’occhio attento del nuovo pontefice Pio VII, il quale, già all’indomani della sua
ascesa al soglio papale, aveva ritenuto opportuno intervenire per porre rimedio alla crisi
che coinvolgeva l’Università di Macerata. A questo riguardo, il papa aveva incaricato il
card. Busca, prefetto della Sacra Congregazione del Buon Governo, di predisporre un
oculato piano di rilancio. L’improvvisa scomparsa del porporato, tuttavia, aveva
bloccato ogni proposito riformatore e vanificato le iniziative già avviate. Nel 1807,
tuttavia, papa Chiaramonti era tornato alla carica con una serie di provvedimenti che
miravano all’ampliamento e al rilancio dell’Ateneo maceratese, per il quale era stato
disposto un cospicuo incremento di cattedre (ben quattro) ed era stata istituita una
commissione cardinalizia per la predisposizione di un nuovo ordinamento degli studi.
Proprio a seguito di tali novità, un prospetto datato 1808 indica l’esistenza a
Macerata di quattordici cattedre, delle quali, tuttavia, solo nove risultavano a carico
dell’Erario13. Due erano le cattedre per la Facoltà di Scienze sacre (Teologia dogmatica
e Teologia naturale), cinque per quella Filosofico-scientifica (Logica e metafisica,
Chimica, Storia naturale e botanica, Fisica sperimentale, Matematica), due per la
Facoltà legale (Diritto civile e Diritto pubblico), quattro per quella Medica (Anatomia e
fisiologia, Materia medica, Patologia, Medicina forense); a queste si aggiungeva
un’ulteriore cattedra di Retorica.
E' opportuno segnalare, tuttavia, che, sempre riferito al medesimo anno, esiste
anche un altro prospetto, il quale contiene alcune varianti: esso indica, infatti,
l’esistenza di dodici cattedre in totale e, mentre omette di citare quelle di Retorica,
Diritto pubblico e Medicina forense, registra una cattedra di Diritto canonico e colloca
al posto di quella di Teologia naturale, una cattedra di Teologia morale14.
Tenendo conto dell’ipotesi formulata da Michele Corsi circa la possibile diversa
datazione dei due documenti citati, riconducibili rispettivamente agli anni accademici
12
Cfr. G.P. Brizzi, Le università minori in Italia: identità e auto-consapevolezza, in G.P. Brizzi, J.
Verger, (a cura di), Le università minori in Europa (secoli XV e XIX), Convegno internazionale di studi
(Alghero 30 ottobre-2 novembre 1996), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, p. 289.
13
ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1816-1817, b. 5.
14
ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1824-1825, b. 7.
14
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
1808-1809 e 1807-180815, nonché dell’impossibilità di individuare da tali prospetti
quali siano le quattro cattedre istituite ex novo da Pio VII, è possibile, comunque,
definire due importanti aspetti della situazione. Innanzitutto, è accertata l’esistenza
nell’Università di Macerata, nel periodo precedente la sua soppressione, di ben quattro
facoltà (Teologia, Legge, Filosofia e Medicina); in secondo luogo, non sembrano esserci
dubbi sulla esiguità degli stipendi erogati ai docenti, come testimoniano, ad esempio, gli
onorari di appena 35 scudi attribuiti ai titolari delle cattedre di logica e metafisica e di
materia medica16.
E’ questo il contesto entro il quale si giunse alla soppressione dell’Ateneo
marchigiano da parte del governo napoleonico e alla sua sostituzione con il Liceo del
Musone. Nell'avvicendamento tra i due istituti furono definitivamente messe da parte le
cattedre di Materia medica, Medicina forense, Teologia dogmatica, Teologia naturale,
Matematica elementare e sublime e Umanità o eloquenza17.
Il 13 luglio 1808 il podestà di Macerata, Giovanni Lauri, con una lettera
indirizzata alle autorità milanesi, cercò di giocare nel miglior modo possibile le carte a
disposizione dell’Ateneo. Dopo avere ringraziato le autorità per l’istituzione del Liceo e
delle annesse scuole speciali, egli chiese che si accordasse comunque a Macerata «il
diritto di conferire la laurea dottorale, diritto peraltro goduto da molti secoli. La località
e la lontananza dei nuovi dipartimenti dalle altre università, ci fanno sperare una tal
grazia»18. Il tentativo di Lauri non andò a buon fine e Macerata dovette pertanto
accontentarsi di quanto stabilito nel mese di giugno dal governo centrale con le nomine
di reggenti e docenti effettuate dal vicerè. Le attenzioni di molti professori maceratesi
dovettero pertanto concentrarsi sulle scuole speciali, che iniziarono effettivamente la
loro attività nell’anno accademico 1809-1810 e nelle quali trovarono occupazione
personaggi illustri e di «talento» come Michele Santarelli e Nicola Santimorosi19.
15
Cfr. M. Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della Restaurazione (1816-1824), Fermo,
Deputazione di storia patria per le Marche, 1978, p. 42.
16
Sui possibili motivi della «magrezza» degli stipendi dei docenti universitari maceratesi, si veda A.
Gemelli, S. Vismara, La riforma degli studi universitari negli stati pontifici (186-1824), Milano, Vita e
Pensiero, 1933, p. 344.
17
Archivio di Stato di Macerata (in seguito: ASMc), Università, Studi, b. 818, f. Macerata, Elenco delle
cattedre che esistevano nella Università di Macerata e che non furono contemplate nel numero di quelle
del nuovo liceo, coll'indicazione dei soggetti che le coprivano, allegato alla lettera del prefetto al direttore
della Pubblica istruzione, n. 6062, 10 settembre 1808.
18
ASMc, Università, Studi, b. 818, f. Macerata, Lettera del podestà di Macerata al ministro dell'Interno,
13 luglio 1808.
19
Per un approfondimento sul funzionamento del liceo del Musone, sulle discipline insegnate e sui
docenti in esso impiegati, si vedano: D. Cecchi, Il liceo napoleonico del Dipartimento del Musone (18081815), «Rivista di Storia del diritto italiano», LX (1987), pp. 139-178; E. Pagano, La scuola nelle Marche
in età napoleonica, Urbino, Quattro Venti, 2000, pp. 77-95.
15
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Lo stesso Liceo maceratese, comunque, inaugurato ufficialmente il 29 novembre
180820, dopo un brillante avvio in fatto di immatricolazioni, finì per perdere ogni
vitalità, ritrovandosi a fare i conti, già negli anni 1813 e 1814, con un numero di iscritti
invero estremamente limitato21.
Di lì a poco, tuttavia, la grande riforma dell’istruzione superiore e universitaria
introdotta da Napoleone Bonaparte sarebbe stata definitivamente accantonata. La storia,
infatti, avrebbe preso ben altro corso. All’indomani del 1815, la restaurazione dello
Stato Pontificio e il ritorno a Roma di Pio VII avrebbero profondamente rimesso in
discussione gli assetti determinati dalle riforme napoleoniche, pur introducendo, come
vedremo, significative novità rispetto alla fase prerivoluzionaria.
La battaglia di Tolentino del 2-3 maggio 1815 impedì a Gioacchino Murat di
ingrandire il suo Regno e mise definitivamente la parola fine sull’occupazione francese
delle Marche. Alla chiusura del Congresso di Vienna, infatti, sia le Marche che la
Romagna furono restituite all’amministrazione pontificia, la quale già l’anno precedente
era rientrata in possesso dell’Umbria e del Lazio.
Nel quadro della più complessiva opera di rioganizzazione su basi moderne dello
Stato Pontificio appena restaurato, papa Pio VII affidò al card. Ercole Consalvi, da lui
nominato segretario di Stato, l’incarico di ridefinire gli ordinamenti universitari e di
procedere ad una generale riforma dell’istruzione pubblica nei domini ecclesiastici; la
quale riforma fu annunciata dal pontefice con il Motuproprio del 6 luglio 181622.
20
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Dopo l'apertura di novembre il reggente Spadoni
poté pubblicare il manifesto a stampa con le indicazioni delle materie di insegnamento e degli orari delle
lezioni solo il 4 febbraio 1809.
21
Per indicazioni più precise sul numero degli iscritti al Liceo, si veda Pagano, La scuola nelle Marche in
età napoleonica, cit., pp. 83-84.
22
Com’è noto, il celebre Motuproprio emanato da Pio VII il 6 luglio 1816 non riguardava solamente la
riforma dell’ordinamento universitario e scolastico, al quale era dedicato l’art. 247, bensì, più in generale,
la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica dello Stato pontificio nel suo complesso. Sul tentativo,
poi fallito, di promuovere il riordinamento su basi centralizzate e uniformi dell’amministrazione
pontificia avviato dal card. Ercole Consalvi e sulle più generali vicende che contrassegnarono
l’applicazione del Motuproprio 6 luglio 1816 di Pio VII, si vedano in particolare: M. Petrocchi, La
Restaurazione, il card. Consalvi e la riforma del 1816, Firenze, Le Monnier, 1941; G. Falco, Il fallimento
del cardinal Consalvi, in Id., Pagine sparse di storia e di vita, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 713717; D. Cecchi, L’amministrazione pontificia nella prima Restaurazione, Macerata, Deputazione di Storia
Patria per le Marche, 1975. Per un quadro d’insieme della situazione in cui si trovò ad operare il Consalvi,
si veda A. Aquarone, La Restaurazione nello Stato Pontificio e i suoi indirizzi legislativi, «Archivio della
Società Romana di Storia Patria», 1955, 78, pp. 119-188. Relativamente al sistema d’istruzione pubblica e
al riordinamento delle scuole e delle università, si vedano: R. Sani, Istruzione e istituzioni educative nella
Roma pontificia (1815-1870), in L. Pazzaglia ( a cura di), Chiesa e prospettive educative in Italia tra
Restaurazione e Unificazione, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 707-771; M.I. Venzo, La Congregazione
degli Studi e l’istruzione pubblica, in A.L. Bonella, A. Pompeo, A.I. Venzo (a cura di), Roma fra la
Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, Roma-FreiburgWien, Herder, 1997, pp. 179-190; R. Sani, «Ad Maiorem Dei Gloriam». Istituti religiosi, educazione e
scuola nell’Italia moderna e contemporanea, Macerata, EUM, 2009, pp. 131-204.
16
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Macerata, città da sempre legata alla Sede apostolica, salutò con favore la restaurazione
del governo ecclesiastico, avvertendo come più che concreta la possibilità di un
imminente ripristino del proprio antico Ateneo.
In realtà la strada che conduceva alla vera rinascita dell’Università di Macerata
era destinata a rivelarsi ben più lunga e impegnativa del previsto, anche perché il
governo pontificio, nella sua opera di restaurazione, intendeva sì favorire la ripresa e il
rilancio delle istituzioni culturali e scientifiche soppresse dai francesi, ma nello stesso
tempo puntava a ridimensionare o a cancellare, su questo versante, ogni forma di
particolarismo locale e di esasperata autonomia dei centri minori, al fine di imprimere al
nuovo sistema d’istruzione un indirizzo decisamente unitario.
In ogni caso, già nel settembre del 1815, il consiglio comunale di Macerata
aveva deliberato di nominare una commissione con l’incarico di predisporre un piano
relativo alla «ripristinazione ossia del nuovo impianto dell’Università sotto la
denominazione del Piceno»23, affidandone la presidenza al prof. Michele Santarelli24. Il
progetto era stato discusso e approvato il 10 ottobre dello stesso anno dal medesimo
consiglio comunale e trasmesso al card. Consalvi attraverso il delegato apostolico
Francesco Tiberi. In esso, si dava per scontata l’imminente riapertura dell’Università e,
a tale scopo, si prospettavano una serie di provvedimenti volti a favorirne la
riorganizzazione e a rilanciarne lattività didattica.
Il progetto messo a punto dalla commissione Santarelli prevedeva, ad esempio,
l’istituzione di undici cattedre: cinque per il corso di Filosofia (Metafisica, Geometria
ed algebra elementare, Fisica, Matematiche sublimi, Chimica e storia naturale), due per
quello di Diritto (Ius civile e canonico, Ius pubblico e criminale), tre per Medicina
(Fisiologia e patologia, Medicina pratica, Anatomia e chirurgia), una per Teologia
(Teologia dogmatica). Altre tre cattedre, infine, sarebbero stati assegnate ai gabinetti di
anatomia, fisica e chimica, ciascuno dei quali avrebbe avuto anche un proprio assistente,
che fosse di aiuto ai docenti. A seconda delle discipline professate, poi, si fissava un
diverso stipendio per i docenti25, mentre gli assistenti avrebbero percepito 36 scudi
23
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
Il professor Michele Santarelli fu un personaggio di spicco dell’Università di Macerata. Già docente di
medicina nella fase prenapoleonica, ricoprì alcuni incarichi anche nelle Scuole speciali del Dipartimento
del Musone, per poi ritrovarsi nuovamente a insegnare nel ricostituito Ateneo maceratese le materie di
anatomia e terapia. Maceratese di nascita, si era laureato in filosofia e medicina il 23 dicembre 1787. Per
ulteriori notizie biografiche, si veda ora Serangeli, I docenti dell'Università di Macerata (1541-1824), cit.,
pp. 169-170.
25
Al professore di Teologia dogmatica, ad esempio, era assegnato un modesto stipendio di appena 40
scudi, in quanto, solitamente, tale cattedra era attribuita a canonici o ad altri ecclesiastici locali i quali già
godevano di benefici o di altre fonti di sostentamento.
17
24
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
ciascuno; i fondi per i compensi di questi ultimi e per il funzionamento dei gabinetti
scientifici sarebbero stati prelevati dalle rendite della biblioteca.
Oltre a toccare tali aspetti che potremmo definire principalmente didattici ed
organizzativi, la commissione presieduta da Santarelli cercò di andare ben oltre nel suo
progetto. Essa, infatti, sottolineò la necessità di stringere contatti sempre più forti non
solo con i comuni che costituivano la delegazione di cui Macerata era capoluogo, ma
anche con la municipalità di Camerino e con i comuni del suo comprensorio, visto che
l’editto Consalvi del 5 luglio 1815 non aveva ricostituito l'ex delegazione apostolica
camerinese.
A tutti questi comuni sarebbe stato chiesto un aiuto economico per sostenere
l’Università di Macerata, la quale, in tal modo, avrebbe assunto una dimensione sempre
più provinciale. Ovviamente, al Comune maceratese sarebbe toccato l’onere di
provvedere alle spese, qualora il contributo delle amministrazioni limitrofe non fosse
pervenuto o si fosse rivelato inconsistente.
Eletta una Deputazione agli studi26, il cui compito era quello di vigilare sul
ristabilimento dell’Università e di mantenere i contatti con gli altri comuni e con il
delegato apostolico, in un momento di euforia collettiva si arrivò persino a collocare
nella sala dell’Ateneo, su proposta del consigliere Antonelli, una lapide a memoria
perpetua della restaurata università. Come se tale avvenimento fosse già divenuto realtà.
Ed invece, già la risposta fatta pervenire dalla Delegazione apostolica al podestà
di Macerata, in data 9 novembre 1815, circa l’accoglienza tributata al progetto, era
destinata a gelare gli entusiasmi, e a far comprendere a tutti quali fossero le effettive
intenzioni dell'autorità pontificia.
È stato immaturo e fuori luogo – scriveva al riguardo il delegato apostolico – ciò che è stato
stabilito sull’impianto dei professori dell’Università subito ché una tale operazione si è fatta dalla
Delegazione apostolica e subito ché durante il provvisorio gli emolumenti degli stessi professori sono a
carico del governo. L'assegno degli onorari potrà approvarsi allorquando l’Università sarà ripristinata con
gli stessi diritti che aveva prima della rivoluzione. Inoltre non è potestà del consiglio destinare in altro uso
le rendite della biblioteca [...]. Intanto i consiglieri dovranno occuparsi seriamente per trovare altri mezzi,
onde o con l’intervento delle altri Comuni del Dipartimento, o colle proprie possano rimuovere l’ostacolo
che rimane della ripristinazione dell'Università27.
26
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. La deputazione era composta da quattro consiglieri
comunali: Nicola Giannelli, Michele Santarelli, Teodoro Compagnoni e Bartolomeo Amici.
27
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
18
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Una risposta netta e inequivocabile, dunque, che non lasciava spazio ad ambigue
interpretazioni. Innanzitutto, le risorse economiche messe a disposizione dalla comunità
erano fondamentali per tenere in vita l’istituzione universitaria; in ogni caso, comunque,
il consiglio comunale di Macerata non era autorizzato ad assumere decisioni politiche
autonome, ma era tenuto ad attenersi scrupolosamente alle direttive stabilite da Roma,
senza alcuna possibilità di derogare dalle stesse.
Il 20 luglio 1816, comunque, Pio VII, sulla base di quanto già indicato nel
Motuproprio del 6 luglio, deliberava la costituzione di una commissione cardinalizia
(solo con Leone XII le verrà riconosciuta la piena figura giuridica di Sacra
Congregazione degli Studj), incaricata di porre mano ad un’organica riforma
dell’ordinamento scolastico e universitario, anche se con alcune non piccole limitazioni,
quali, ad esempio, quella di «non distruggere i regolamenti antichi, ma trarre dai
medesimi ciò che occorre per le Nostre mire, e perfezionare, quanto per Noi si può, un
sistema di pubblico e privato bene sommamente utile e necessario»28.
I lavori della commissione cardinalizia iniziarono il 16 agosto 1816 e
coinvolsero personalità illustri del mondo ecclesiastico romano, come ad esempio mons.
Bottini, rettore della Sapienza, il monaco camaldolese Mauro Cappellari, che sarebbe
divenuto in seguito papa con il nome di Gregorio XVI, mons. Testa, segretario ai Brevi,
i quali si prodigarono alacremente per la redazione di un organica proposta di
riordinamento del settore da sottoporre all’approvazione del pontefice.
Nel frattempo, tuttavia, Pio VII aveva già deciso di intervenire per imprimere
una svolta decisiva alla situazione di grave incertezza in cui versava l’Ateneo
maceratese. Molto probabilmente ad accelerare l’intervento pontificio era stata una
supplica avanzata in quegli stessi giorni dal Comune di Macerata, il quale, dopo aver
sottolineato la fondamentale funzione esercitata per secoli dall’Università, fino alla
soppressione decretata in epoca napoleonica, sollecitava il Pontefice ad accordare la
possibilità
di potersi conferire in Macerata provvisoriamente laurea dottorale, e specialmente a quei giovani,
che con tanta alacrità hanno atteso ai studi di legge con facoltà di accordare due lauree gratuitamente ai
due scolari, che si sono meglio distinti da prescegliersi come più degni in forza di un esame preventivo
28
ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1816-1817, b. 1.
19
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
che potrà assumersi dal Ceto dei professori coll'aggiunta di una Deputazione fra i giudici, avvocati e
procuratori 29.
La risposta di Pio VII non deluse le aspettative dei maceratesi. Il 23 agosto 1816,
infatti, attraverso un suo rescritto30, il papa restaurò l’Ateneo marchigiano ad formam
universitatum, attribuendogli provvisoriamente la denominazione di «Scuola superiore»
e sopprimendo così definitivamente il Liceo del Musone.
In pratica papa Chiaramonti «remisit preces» al vescovo di Macerata, mons.
Vincenzo Maria Strambi31, «cum facultatibus necessariis et opportuniis iuxta
consuetudinem Universitatis de qua in precibus, donec aliter provideatur contrariis
quibuscumque non obstantibus». Di lì a poco, sulla scia di tale pronunciamento, il
vescovo di Macerata si affrettò a dare esecuzione alla volontà del Pontefice e il 28
agosto 1816 emanò un decreto esecutoriale, con il quale, richiamando la costituzione di
Paolo III del 1540, ripristinò la facoltà «doctorandi in omnibus scientiis e disciplinis,
iuxta laudabilem eiusdem Universitatis consuetudinem»32.
Il 3 settembre del medesimo anno, lo stesso mons. Strambi comunicava anche il
nuovo regolamento da osservarsi da lui compilato33. Secondo tale regolamento,
suddiviso in 16 articoli, il corpo dei dottori, abilitato a conferire le lauree, era suddiviso
in tre collegi (teologico, legale, filosofico-medico), ciascuno costituito da vari membri,
tutti minuziosamente elencati nel documento.
In ordine al conseguimento delle lauree, si stabiliva l’obbligo che, per quella in
Teologia, fossero stati seguiti almeno i corsi di Filosofia, Teologia dogmatica, Teologia
morale e Diritto canonico; per quella di Legge, gli insegnamenti di Filosofia,
29
ASMc, Archivio Priorale, vol. 812, cc. 48-56. Il documento in oggetto è senza data mentre la prima
carta del volume citato è del 24/9/1794. Tale supplica è conservata anche presso Archivio Storico
Diocesano di Macerata (in seguito: ASDMc), Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1.
30
ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b.1. Tale rescritto è stato redatto sul retro della supplica dei
delegati del Comune e comprende anche il decreto di esecuzione del vescovo, con la sua firma autografa e
recante in calce l’annotazione della registrazione presso l’Ufficio del Registro di Macerata in data 7
settembre 1816. Il rescritto dunque è riconducibile direttamente al Pontefice e non alla commissione
cardinalizia, come ritenuto erroneamente da Arangio Ruiz a p. 10 del suo già citato lavoro sull'Università di
Macerata. Del resto già un Discorso sulla Università di Macerata, datato 1823, a firma del professor
Michele Santarelli, conservato presso BCMc, cita il decreto del 23 agosto 1816 come quello relativo alla
restaurazione dell’Ateneo, attribuendolo proprio a Pio VII. La stessa attribuzione si evince dal Breve cenno
storico sull'Università di Macerata, in Calendario dell'istruzione pubblica per l'anno 1864-1865, conservato
anch'esso presso BCMc. Su tale questione, comunque, si rinvia a Serangeli, I laureati dell’antica Università
di Macerata (1541-1824), cit., p. 42.
31
Per un preciso profilo biografico del personaggio, cfr. O. Gentili, Macerata sacra, Recanati, Tip.
Simboli, 1947, p. 62.
32
ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1.
33
Regolamenti da osservarsi nella collazione della laurea dottorale in tutte le facoltà a tenore del
privilegio accordato alla Comune di Macerata con grazioso sovrano rescritto dei 23 agosto 1816 e del
decreto esecutoriale di mons. Ill.mo e Rev.mo vescovo di detta città dei 28 dello stesso mese, Macerata,
1816 (se ne veda copia in BCMc).
20
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Eloquenza, Diritto civile e diritto canonico; per quella filosofico-medica, infine, i
relativi corsi di Filosofia, Botanica, Agraria, Chimica, Storia naturale, Anatomia,
Fisiologia, Patologia, Terapia ed ostetricia. L'Università aveva comunque la facoltà di
aggiungere nell’ordinamento degli studi e di attivare altri corsi, favorendo in tale modo
un opportuno aggiornamento e incremento delle cattedre già esistenti.
Oltre ad introdurre per i laureandi norme rigorose circa i tempi di
completamento degli studi universitari e a determinare un aggiornamento delle tasse
relative all’iscrizione all’Università e all’ammissione all’esame di laurea, il regolamento
predisposto da mons. Strambi stabiliva che, per essere immatricolati, gli studenti
dovessero presentare un certificato di buona condotta comprovato dall’ordinario della
diocesi di provenienza. Il giorno prima della laurea, infine, lo studente, dopo avere
assistito agli uffici sacri, avrebbe dovuto pronunciare pubblicamente la professione di
fede34.
Con l’anno accademico 1816-1817 poteva dunque ripartire ufficialmente
l’Università di Macerata, forte di ben 78 «studenti, accettati e matricolati»35.
Le cattedre del soppresso Liceo, ora «Provvisorie Scuole Pubbliche Superiori»,
furono portate da otto a dodici: Disegno, Belle lettere e storia antica e moderna, Logica
e filosofia morale, Elementi di matematica, Fisica generale e particolare, Botanica ed
agraria, Chimica e storia naturale, Istituzioni civili e canoniche, Teologia dogmatica e
morale, Patologia e terapia, Anatomia e fisiologia, Clinica ostetricia36. Rispetto alla fase
precedente, in pratica, la cattedra di Analisi delle idee e etica aveva mutato il proprio
nome con quello di Logica e morale; al diritto civile si era aggiunto quello canonico,
mentre erano state create ex novo tre cattedre di area medica: Anatomia e fisiologia,
Clinica ostetricia, Patologia e terapia; infine, era stata costituita, ex novo anch’essa, la
cattedra di Teologia dogmatica e morale37.
Da tale quadro, così come da quello che emerge con riferimento all’anno
academico 1819-1820 del quale fornisce notizie Arangio-Ruiz38, si evince chiaramente
che non esistevano delle facoltà vere e proprie, ma solo singoli insegnamenti, i quali,
34
Per ulteriori indicazioni riguardo alle lauree maceratesi e ai rituali ad esse connessi, si veda A. Visconti,
L'Università di Macerata nel passato e nel presente, in Macerata e la sua Università, Macerata,
Tipografia Bianchini, 1933, pp. 39-41.
35
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
36
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, bb. 185-186.
37
Definito il quadro delle cattedre, in quel periodo furono inviate a Roma, alla Segreteria di Stato,
numerose petizioni di docenti che avevano interesse ad occuparle. In proposito, si veda Corsi,
L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 75-80. Allo stesso testo
(pp. 123-128) si rinvia per l’approfondimento delle problematiche di carattere didattico relative alle
singole discipline.
38
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 10-11.
21
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
talora riproponevano segmenti o semplici porzioni delle antiche facoltà preesistenti alle
soppressioni del periodo francese, talaltra delineavano nuovi ordinamenti e aggregazioni
ancora in nuce, frutto di un confuso, ancorché indispensabile sforzo di determinazione
di nuovi assetti organizzativi e scientifico-culturali.
Le lezioni dei diversi corsi erano distinte in antimeridiane e pomeridiane, con tre
ore per le prime e due per le seconde. Complessivamente, nell’arco della singola
giornata, si tenevano dodici distinte lezioni, una per ogni corso attivato presso l’Ateneo.
Tra i docenti titolari delle diverse cattedre, debbono essere segnalati: Paolo
Spadoni, docente di Botanica ed agraria, Giovanni Berti, professore di Anatomia e
fisiologia, Giuseppe Montecchiari, titolare della cattedra di Fisica generale e particolare;
e, infine, il già ricordato Michele Santarelli, docente di Patologia e terapia, i quali
costituivano il nucleo portante e maggiormente rappresentativo del corpo docente, in
quanto avevano già insegnato nell’Università di Macerata prima della soppressione
decretata durante il dominio napoleonico.
Tre anni più tardi, ovvero nell’anno accademico 1822-1823, come documenta il
relativo calendario degli orari e delle lezioni stabilito per le «Scuole pubbliche
provvisorie superiori di Macerata»39, le cattedre istituite risultavano essere sempre
dodici e l’articolazione dell’attività didattica si presentava in larga parte analoga a
quella fissata tre anni prima, a conferma di una certa stabilità conseguita con il nuovo
assetto determinato dal regolamento introdotto da mons. Strambi.
Da questo iniziale tentativo di riorganizzazione degli studi universitari alla
definitiva e completa restaurazione dell’Ateneo maceratese passeranno, comunque,
diversi anni, sui quali è opportuno soffermarsi, anche al fine di cogliere taluni eventi
degni di nota.
La già ricordata commissione cardinalizia voluta da Pio VII nel 1816 per
realizzare la riforma dell’ordinamento scolastico aveva iniziato i propri lavori nel mese
di agosto dello stesso anno40. Il 10 gennaio 1819 essa presentò al Pontefice i risultati del
39
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
Sui lavori di tale Commissione, della quale facevano parte i cardinali G.M. Della Somaglia, L. Litta, M.
Di Pietro, B. Pacca e F. Fontana, con mons. F. Bertazzoli come segretario, si veda Gemelli,Vismara, La
riforma degli studi universitari negli Stati Pontifici (1816-1824), cit., pp. 65 ss. Copia del Metodo
generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio è conservata in ASR, S.
Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle Adunanze, Congregazioni preliminari sul nuovo piano
degli studi. Allegati Anno 1816, f. 2.
22
40
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
proprio lavoro, destinati poi a confluire in un testo dal titolo Metodo generale di
pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio41.
Pur senza analizzare in dettaglio gli articolati contenuti del documento42, si può
senz’altro affermare che il Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo
Stato Pontificio era destinato a rivelarsi fondamentale per il riordinamento delle scuole e
delle università nello Stato pontificio. Per quello che qui interessa, merita di essere
sottolineato che il documento introduceva una suddivisione tra università primarie e
università secondarie43; inoltre, stabiliva il numero delle facoltà e quello delle cattedre
che avebbero dovuto essere istituite in ognuna di esse; introduceva altresì delle linee
guida circa i programmi di studio da attivare nei singoli corsi e circa gli obblighi
didattici dei professori; nonché una serie di indicazioni relative alla durata e alle
modalità di svolgimento dell'attività accademica. La direzione e il controllo
dell’istruzione e delle scuole, ivi comprese quelle universitarie, erano attribuiti ad un
nuovo dicastero, la Sacra Congregazione degli Studj, la quale aveva anche il compito di
vigilare sulla rigorosa attuazione dei nuovi indirizzi riformatori e di procedere
all’applicazione, attraverso appositi regolamenti, delle disposizioni concernenti i nuovi
ordinamenti universitari.
Deve essere segnalato che, in quello stesso periodo, a Macerata ci si muoveva
alacremente nel tentativo di dare vita ad un ateneo che si connotasse come istituzione a
carattere provinciale, la cosiddetta «Università del Piceno», capace di essere
rappresentativa di un più vasto territorio e di consolidare la sua influenza su buona parte
del territorio marchigiano44. Il nodo principale, ancora irrisolto, della questione era di
carattere essenzialmente economico. Ma non solo. L'eventuale adesione al progetto di
41
Sulle variazioni apportate dalla nuova Commissione consultiva nominata da Leone XII (ne facevano
parte i cardinali G. M. Della Somaglia, G. Fesch, E. De Gregorio, F. Bertazzoli, F. Cavalchini e C.
Guerrieri, con mons. G. Soglia come segretario), si veda E. Ovidi, La S. Congregazione degli Studi e
l’istruzione popolare durante il XIX secolo, ms. conservato in ASR, Fondo T. Minardi-E. Ovidi, b. 17 bis.
Il Metodo fu sottoposto a revisione fino all’agosto del 1823, anno in cui morì papa Pio VII. A quella data
la Sacra Congregazione aveva già tenuto ben 21 sedute. Cfr. ASR, S. Congregazione degli Studj (18041870), Atti delle adunanze, 1816, b. 2.
42
Per un quadro preciso degli indirizzi e dei contenuti del cosiddetto Metodo generale di pubblica
istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio, si rinvia a Sani, Istruzione e istituzioni educative nella
Roma pontificia (1815-1870), cit., pp. 707-771
43
Le università primarie furono indicate da subito in modo chiaro (Roma e Bologna), mentre non
altrettanto fu fatto per le quelle secondarie, a causa delle sollecitazioni avanzate da diversi centri urbani,
Macerata compresa, per il ripristino dei propri atenei soppressi in età napoleonica e non ancora restaurati.
La differenza sostanziale tra le due tipologie era alquanto semplice: le università primarie avevano potere
di conferire le lauree senza distinzione di nazionalità; quelle di carattere secondario di concederle
esclusivamente agli studenti residenti nel relativo territorio provinciale.
44
Su tale tentativo di creare un'unica università territoriale, si veda D. Cecchi, Il tentativo di istituzione di
una «Università del Piceno» (1815-1824), in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma, Ministero
per i beni culturali ed ambientali, 1991, pp. 187-211.
23
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
tutti i comuni della provincia, infatti, avrebbe senza dubbio reso disponibili le risorse
necessarie per affrontare le spese di un’ università di media grandezza e dotata di
efficienti strutture e strumenti; nello stesso tempo, tuttavia, avrebbe posto dinanzi
all'autorità pontificia la richiesta di un ateneo non più legato ad una sola città, fosse
anche un tradizionale capoluogo quale era Macerata, bensì ad un’intera provincia dello
Stato. E ad una provincia alquanto vasta e complessa, segnata da storiche divisioni e da
profondi contrasti.
Si spiega alla luce di tale articolato scenario, la scelta operata dapprima dal
nuovo delegato apostolico Cesare Nembrini Gonzaga, in seguito, a sostegno
dell’iniziativa del Gonzaga, dallo stesso prefetto della Sacra Congregazione degli Studj,
il card. Giuseppe Albani, di verificare l’orientamento che, su tale progetto,
caratterizzava i comuni della delegazione e di sollecitare gli stessi ad esprimere
ufficialmente le proprie intenzioni circa il progetto di un’eventuale istituzione della
«Università del Piceno»45. La maggior parte dei comuni interessati scelse di
temporeggiare prima di assumere una posizione definitiva, preferendo attendere le
decisioni prese dagli altri.
Tale situazione di rinvio delle decisioni e di sostanziale incertezza si protrasse
per diversi anni, mentre di fatto il complesso dei comuni della provincia registrò
l’emergere di diversi orientamenti favorevoli contrapposti ad altrettanto nette prese di
posizione contrarie, giungendo ad una svolta definitiva solo nel 1824. Nella primavera
di quell’anno, infatti, il Comune di Macerata, anche al fine di sbloccare la situazione di
stallo creatasi, ritenne che fosse giunto il momento di riproporre con forza il progetto e
di avanzare richiesta per una sua immediata approvazione.
Si tornò così a sollecitare la creazione di un’unica «Università del Piceno», da
realizzare mediante la definitiva soppressione dell’antico Ateneo di Camerino,
l’istituzione di ben ventiquattro cattedre, distribuite su sei facoltà (Belle arti,
Matematica, Filosofia, Legge, Medicina e Teologia), lo stanziamento da parte della
Provincia di ben 5000 scudi sul bilancio dell’Ateneo (ai quali se ne sarebbero aggiunti
altri 1000 di provenienza comunale), e, infine, l’attribuzione del governo dello Studio
maceratese ad una congregazione detta «dell’Università del Piceno», presieduta da un
delegato pontificio e costituita dai rappresentanti delle amministrazioni locali della
provincia. Proposta quest’ultima, che si poneva in netta controtendenza con la politica
45
Gli interventi citati sono riconducibili ad una circolare e ad un dispaccio, rispettivamente del 16 giugno
1817 e del 25 luglio 1818. Entrambi i documenti sono rinvenibili in ASMc, Delegazione apostolica,
1815-1860, b. 185.
24
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
di accentramento del governo dell’istruzione e delle università preseguita, in quello
stesso periodo, dalle autorità romane46.
L’ambizioso e complesso progetto, tuttavia, era destinato a non trovare
accoglienza e a registrare una definitiva battuta d’arresto allorché, di lì a poco, le
disposizioni emanate da Roma, avrebbero portato alla ricostituzione, dopo le
soppressioni verificatesi in epoca napoleonica, tanto dell’Ateneo di Camerino, quanto di
quello di Fermo. Il sogno maceratese di fare della propria Università l’unica istituzione
universitaria statale delle Marche era dunque destinato a svanire definitivamente.
In quegli stessi anni, peraltro, la Sacra Congregazione degli Studj avviava
un’inchiesta volta a conoscere la reale situazione economica e lo stato dell’istruzione
superiore impartita nell’Ateneo maceratese, al fine di valutare l’opportunità o meno di
procedere al suo definitivo ripristino e di annoverarla tra le Università secondarie dello
Stato Pontificio.
Il nodo centrale della questione riguardava essenzialmente il finanziamento
dell’Ateneo. Anche perché, come si visto, il problema della stabilità finanziaria
dell’Università di Macerata assillava già da tempo la Delegazione apostolica, le autorità
comunali e i vertici dell’Ateneo.
In una lettera inviata il 23 aprile 1817 al delegato apostolico, fra l’altro, il card.
Ercole Consalvi aveva illustrato in modo preciso il nuovo regime instaurato dal governo
pontificio in materia di sostentamento economico delle scuole e degli atenei dello Stato:
a fronte delle difficoltà finanziarie in cui versava il ricostituito Stato Pontificio, l’Erario
non avrebbe più fatto fronte alle spese per il funzionamento delle Scuole superiori,
sospendendo così l’erogazione del contributo di 2.469 scudi tradizionalmente assegnati
dalle casse pubbliche prima dell'occupazione francese47. A decorrere dal 1° maggio,
dunque, i docenti dell’Ateneo maceratese retribuiti, secondo il card. Consalvi, con
«ricchissimi stipendi ed onorari che erano stati fissati con poca economia», sarebbero
stati pagati non più dal Governo ma dal Comune.
Le autorità cittadine cercarono di opporsi al nuovo corso, sollecitando un
ripensamento o, quantomeno, una deroga all’entrata in vigore del provvedimento
disposto dalla segreteria di Stato pontificia, in modo da rendere possibile il reperimento,
da parte dell’amministrazione municipale, delle risorse necessarie a far fronte alla nuova
situazione creatasi. Si riuscì ad ottenere una dilazione temporale e così, come si evince
46
Si veda al riguardo Sani, Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), cit., pp.
707-771.
47
ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
25
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
dalla documentazione relativa ai pagamenti delle spese per l’esercizio finanziario
dell’anno accademico 1817-1818, fu ancora l’Erario e non il Comune a pagare gli
stipendi dei professori e ad accollarsi gli oneri e le spese di sostentamento
dell’Università di Macerata48.
Del resto era un dato di fatto che l'Università non possedesse rendite e beni
propri e che la comunità non fosse più in possesso di quei fondi con cui in passato aveva
provveduto al suo mantenimento. A questo punto, era necessario un intervento
finanziario della Camera Apostolica in grado di assicurare un introito annuo stabile e
sicuro, capace di garantire il regolare funzionamento dell’Ateneo.
Il 3 aprile 1824, il segretario comunale Francesco Sala chiese a mons. Ugo
Pietro Spinola49, delegato apostolico, di definire in maniera dettagliata la somma che
«tuttora pagava il Governo per le cattedre di questo Liceo, gabinetti, ecc.». Il
documento predisposto da mons. Spinola indicava complessivamente la cifra di
2.469,14 scudi romani, la quale era erogata annualmente per coprire le seguenti voci del
bilancio di uscita: onorari ai professori (2.168,04 scudi), stipendi agli impiegati (162
scudi), dotazioni e premi (100 scudi), spese d’ufficio e per gli esperimenti (39,10
scudi)50.
Le ristrettezze economiche in cui versava l’Università di Macerata e la
mancanza di rendite proprie erano accertate da tempo. Nel 1824, tuttavia, in
controtendenza con le scelte operate qualche anno prima dal segretario di Stato card.
Consalvi, il governo pontificio decise di venire incontro all’Ateneo maceratese,
sostenendolo economicamente. Una scelta, questa, dettata probabilmente dalla volontà
di non disperdere il patrimonio dell’antica e gloriosa Università marchigiana, come
anche, per altri versi, dal timore di innescare, con l’abbandono dell’Ateneo al suo
destino, una vera e propria sollevazione delle autorità locali e delle stesse popolazioni,
delle quali si intesero forse premiare anche la fedeltà e l’attaccamento dimostrati
all’autorità pontificia nei trascorsi e burrascosi anni della dominazione francese.
48
ASMC, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Uno dei documenti in questione è quello in cui, il
12 novembre 1817, il reggente dell’Ateneo, prof. Carlo Peda, presentava al delegato apostolico la nota
delle risorse per l’anno 1818 che occorrevano alle pubbliche Scuole Superiori di Macerata, pregandolo di
inserirle nel preventivo, «onde a suo tempo ottenere dalla munificenza del Governo il rilascio dei soliti
mandati».
49
Secondo Arangio-Ruiz, fu invece proprio Spinola a farsi carico in maniera decisiva delle necessità
dell’Università di Macerata, riuscendo nel 1823 a far deliberare a favore dell’Ateneo maceratese
un’assegnazione dell’Erario pubblico fondamentale per la sua stessa sopravvivenza. Cfr Arangio-Ruiz,
L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 11-12. Sulla questione si veda anche
Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., p. 64.
50
Lo si veda in ASMc, Delegazione apostolica, 1824, b. 186.
26
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Fatto sta che il 1824 si sarebbe rivelato un anno fondamentale per il definitivo
rilancio dell’Ateneo maceratese.
Nei primi mesi del 1824 sembravano esserci, ormai, tutte le premesse per
l’imminente e definitivo ripristino dell’Università di Macerata51. Mancava ancora, in
realtà, solo il riconoscimento ufficiale delle autorità pontificie. Così, il gonfaloniere
della città Amico Ricci e l’avv. Candido Paoletti decisero di andare a perorare
direttamente la causa a Roma presso il neoeletto pontefice, il porporato marchigiano
Annibale Della Genga, divenuto Leone XII52, che li ricevette in udienza il 28 aprile. La
permanenza dei due nella Capitale per quasi tre mesi e l’incontro con il Pontefice non
furono affatto inutili. Lo testimonia una delle tante lettere inviate dallo stesso Ricci al
facente funzione di gonfaloniere, Giovanni Gatti, datata 29 aprile 182453, il giorno
immediatamente successivo all’udienza papale.
Il nostro primo oggetto – scriveva Amico Ricci – è stato quello di parlargli dell’Università. I
nostri discorsi erano veramente diretti ad ottenere fin da oggi un rescritto per la continuazione degli annui
scudi 2.469. Egli per altro ha creduto che fosse prematuro, ma dopo molti nostri riflessi ha convenuto che
in Macerata debba esserci un complesso di studi, che la nostra città non sarà defraudata di questo
benefizio. Sembra che siasi fatto carico della nostra centralità e del comodo che ne vanno a risentire i
paesi che ci circondano, come pure della migliore facilità di esercitarsi specialmente negli studi legali in
un paese dove esiste un tribunale d’appello.
Nei mesi successivi vi furono comunque ulteriori ostacoli da rimuovere. Il 23
luglio di quell’anno, infatti, il reggente dell’Ateneo, Ricciardi, aveva comunicato al
delegato apostolico che il giorno precedente i professori si erano incontrati per decidere
se nel diploma da stampare per i giovani studenti meritevoli di premio, si potesse
apporre il titolo di «Università maceratese», anziché quello di «Scuole Superiori». La
risposta di mons. Spinola fu inequivocabile: l’Ateneo non aveva ancora ottenuto il
riconoscimento romano per fregiarsi formalmente del titolo di università, per cui
51
Per la ricostruzione della fitta rete di corrispondenze esistenti in quel periodo tra le autorità comunali e
quelle pontificie, si veda Gemelli, Vismara, La riforma degli studi universitari negli stati pontifici (18161824), cit., pp. 346-350.
52
Il card. Annibale Della Genga fu eletto Pontefice il 28 settembre 1823 con il nome di Leone XII.
Nuovo segretario di Stato fu nominato il card. decano Giulio Maria Della Somaglia, quasi ottantenne.
L’antico segretario di Stato di Pio VII, il card. Ercole Con salvi, divenne prefetto della S. Congregazione
di Propaganda Fide, ufficio che tenne fino al 24 gennaio 1824, anno della sua morte. Sull’elezione del
nuovo pontefice e sui nuovi asseti della curia romana e del governo pontificio in epoca leoniana, si veda
R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia, Morcelliana,
1963.
53
ASMc, Comune, Carteggio, b. 40.
27
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
l’iscrizione su diplomi e medaglie doveva rimanere quella di sempre54. In realtà, tale
stato di incertezza e di ambiguità circa la natura autenticamente universitaria
dell’istituzione maceratese si sarebbe protratto ancora per poco tempo
Il 28 agosto 1824, il cosiddetto Metodo generale di pubblica istruzione ed
educazione per lo Stato Pontificio, messo a punto dalla Commissione cardinalizia
insediata da Pio VII nel 1816 e a più riprese ulteriormente perfezionato e integrato dal
successore di papa Chiaramonti, Leone XII, fu, infatti, promulgato da quest’ultimo con
la Costituzione Quod Divina Sapientia55.
Articolato in 27 titoli, nei quali erano stabilite le norme generali per il
riordinamento dei diversi settori dell’istruzione (scuole, università, accademie, ecc.), il
provvedimento pio-leoniano, com’è noto, recepiva e trasferiva sul versante scolastico i
due principii fondamentali che informavano il più generale disegno consalviano di
riorganizzazione amministrativa dello Stato Pontificio: il principio dell’”uniformità” e
quello della “centralizzazione”56.
Agli artt. 9 e 11 del Titolo II erano indicate quali università primarie dello Stato
quelle di Roma e Bologna, provviste entrambe di trentotto cattedre; erano elencati
altresì quegli Atenei che potevano fregiarsi del titolo di università secondarie: Ferrara,
Perugia, Camerino, Fermo57 e Macerata (Urbino sarebbe stata inclusa nell’elenco
solamente due anni più tardi, nel 1826), le quali avrebbero dovuto disporre di almeno
diciassette cattedre58.
Ogni università, come recitavano gli artt. del Titolo IV, doveva prevedere
quattro collegi – Teologico, Legale, Medico chirurgico e Filosofico –, i primi tre
composti da otto professori e cultori delle rispettive materie (prelati o sacerdoti dotti,
avvocati, medici, chirurghi, filosofi), l’ultimo da sei. Tanto nelle università primarie,
quanto in quelle secondarie, la cura delle disciplina e il controllo sull’osservanza dei
54
ASMc, Delegazione apostolica, 1824, b.186.
Si veda il testo della Costituzione Quod Divina Sapientia in Bullarii Romani continuatio, t. VIII, Prato,
Typ. Aldina, 1854, pp. 95-117. Sui diversi aspetti e indirizzi della Quod Divina Sapientia, cfr. Sani,
Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), cit., pp. 707-771; Venzo, La
Congregazione degli Studi e l’istruzione pubblica, cit., pp. 179-190.
56
Cfr. Petrocchi, La Restaurazione, il card. Consalvi e la riforma del 1816, cit.; Aquarone, La
Restaurazione nello Stato Pontificio e i suoi indirizzi legislativi, cit.; e Cecchi, L’amministrazione
pontificia nella prima Restaurazione, cit..
57
L’Università di Fermo, in realtà, non fu ristabilita all’indomani della promulgazione della Bolla Quod
Divina Sapientia (1824) e fu soppressa definitivamente due anni più tardi, nel 1826. Cfr. M. Di Domizio,
L’università italiana: lineamenti storici, Milano, AVE, 1952, pp. 157-158.
58
Per un quadro delle vicende che contrassegnarono in questa fase le otto università esistente nello Stato
Pontifico, si veda R. Sani, Storia della scuola in Italia, dal Medioevo all'Unità (X. Emilia Romagna e
Stato Pontificio), in M. Laeng, (a cura di), Enciclopedia pedagogica, Brescia, Editrice La Scuola, 1994,
vol. 6, coll. 11436-11445.
28
55
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
regolamenti erano attribuiti al cancelliere, carica assegnata ai vescovi delle città sedi
universitarie e, per quel che concerneva la Dominante, al card. Camerlengo (Titolo III).
Il rettore, designato dalla Sacra Congregazione degli Studj e nominato dal
Pontefice, doveva esercitare la vigilanza immediata sulla disciplina di studenti e
professori e, in particolare, doveva occuparsi della loro condotta morale e religiosa. Era
insomma una sorta di curator studiorum.
Rigida era la disciplina concernente la nomina dei professori, la quale che
avveniva per concorso, con superamento di una prova scritta e di una prova orale, ad
eccezione del caso di studiosi di chiara fama, per i quali era prevista la chiamata diretta
(Titolo V). Quanto ai gradi accademici, la Quod Divina Sapientia stabiliva la collazione
del baccellierato, della licenza e della laurea dottorale, anche se le università secondarie,
per quel che riguardava Medicina e chirurgia, erano abilitate a conferire solo i primi due
gradi
accademici,
mentre
l’assegnazione
del
titolo
dottorale
era
attribuita
esclusivamente agli atenei maggiori di Bologna e Roma (Titolo XVII).
Ciascuna università, inoltre, avrebbe potuto rilasciare tre tipi di lauree: di onore,
di premio ed in forma comune (Titolo XIX). In ciascun anno accademico sarebbe stato
bandito un concorso per quattro lauree d’onore e di premio per ciascuna facoltà:
teologica, legale, medico-chirurgica e filosofica (nelle università secondarie, come si è
già accennato, era esclusa la terza). I primi due vincitori del concorso avrebbero
ottenuto la laurea d’onore, i due consecutivi quella di premio. Per tutti e quattro i
vincitori, erano previste importanti agevolazioni finanziarie.
Notevoli erano le forme di controllo sui comportamenti morali e religiosi di
docenti e studenti e sull’insegnamento impartito nei vari corsi stabilite dalla Quod
Divina Sapientia: per entrambi, docenti e allievi, erano minuziosamente indicate le
pratiche religiose da assolvere quotidianamente; inoltre, al fine di scongiurare la
diffusione dalle cattedre universitarie di dottrine erronee e di ideologie non conformi ai
dettami della Chiesa, si stabiliva che le lezioni impartite nell’ambito dei singoli
insegnamenti dovessero essere predisposte in forma scritta e preventivamente approvate
dall’autorità ecclesiastica (Titoli XV e XVI).
Massima organizzazione, dunque, e rigoroso controllo sul versante disciplinare e
scientifico nelle università pontificie; ma anche un forte ed inscindibile legame con le
autorità comunali per quel che concerneva la gestione amministrativa e l’organizzazione
interna delle strutture universitarie.
29
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Nel Titolo XII della Bolla leonina, infatti, mentre per Roma l’amministrazione
era demandata al rettore, per le altre università era attribuita al magistrato della città, il
quale era tenuto a nominare un amministratore competente e in grado di svolgere al
meglio tale ufficio: il legame tra i singoli Atenei e i rispettivi Municipi, in questo modo,
era uleriormente rafforzato e reso funzionale.
Per quel che riguarda l’attività didattica e disciplinare, con la Quod Divina
Sapientia le università pontificie vedevano restringersi la tradizionale autonomia della
quale avevano beneficiato nella fase pre-rivoluzionaria, come testimonia l’ampio potere
discrezionale attribuito in materia alle autorità religiose; l’organizzazione e gestione
amministrativa degli atenei, viceversa, era in larga misura attribuita alle autorità
comunali. La Bolla del 1824, infatti, prescriveva al magistrato cittadino di formare,
entro il 15 ottobre di ogni anno, la tabella delle spese per tutto il vigente anno
accademico,
spese
che
dovevano
necessariamente
ricevere
l'approvazione
dell'arcicancelliere, per le università primarie, o del cancelliere, per quelle secondarie, a
cui spettava inoltre di stabilire modi e tempi dell’erogazione delle risorse disponibili. In
caso di spese straordinarie o impreviste, era necessaria apposita autorizzazione
dell’arcicancelliere o del cancelliere, senza la quale né il magistrato poteva disporre
alcun pagamento, né l’amministrazione renderlo esecutivo.
Ogni cosa dunque sembrava adeguatamente stabilita affinché l’Università di
Macerata potesse riprendere il suo corso; in realtà, non tutti i problemi risultavano
definitivamente risolti.
Secondo quanto previsto dal’art. 12 del Titolo II della Quod Divina Sapientia,
infatti, prima di avviare il nuovo corso e riprendere la propria attività scientifica e
didattica, le università secondarie avrebbero dovuto essere sottoposte ad un’ispezione da
parte della Sacra Congregazione degli Studj, dalla quale sarebbe dovuto emergere lo
stato in cui versava ogni singolo ateneo per quel che concerneva le cattedre esistenti, i
gabinetti scientifici, gli orti botanici e le varie strutture annesse; nonché la situazione
patrimoniale e finanziaria e lo stato economico, così come era riportato nei registri
amministrativi e contabili.
Come si evince da un dispaccio datato 3 ottobre 1824, trasmesso dalla Sacra
Congregazione degli Studj al vescovo di Macerata, quali visitatori dell’Ateneo
maceratese furono scelti l’avvocato concistoriale Teodoro Fusconi e l’abate Mauro
Cappellari, il futuro Gregorio XVI59. I due visitatori inviati da Roma esaminarono con
59
ASMc, Università, Miscellanea, Carte Varie (1822-1896), b. 710, f. 233.
30
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
molta attenzione la situazione dell’Università maceratese, e, pur non mancando di
rilevare nella loro relazione manchevolezze e carenze di vario genere60, fornirono una
valutazione nel complesso positiva della situazione esistente, al punto che l’esito di tale
ispezione si sarebbe rivelato determinante ai fini della riapertura dell'ateneo.
Restavano, tuttavia, in larga misura irrisolte le difficoltà di ordine finanziario.
L’istituzione obbligatoria di diciotto cattedre61, sebbene fossero miseri gli stipendi dei
professori e modeste le retribuzioni degli impiegati, risultava essere un’impresa
difficilmente
sostenibile,
stanti
le
persistenti
ristrettezze
economiche
che
contrassegnavano da tempo l’Ateneo. I 2.469,14 scudi assegnati dal Governo non
sarebbero stati sufficienti a coprire le relative spese. A questo riguardo, fu richiesto al
Municipio di Macerata di reperire risorse aggiuntive al fine di integrare le risorse messe
a disposizione dell’Università. Il consiglio comunale, con delibera del 21 febbraio 1825,
decise pertanto di stanziare una somma di 1.200 scudi, che andava ad aggiungersi allo
stanziamento ordinario del Governo. Per rendere esecutivo tale provvedimento, tuttavia,
era necessaria l’approvazione definitiva sia della Sacra Congregazione del Buon
Governo, deputata alla vigilanza sui municipi, sia quella della Sacra Congregazione
degli Studj, chiamata a deliberare su tutto quanto si riferiva al pubblico insegnamento.
Nel frattempo, comunque, con «sovrano rescritto dei 29 agosto 1825», fu lo
stesso pontefice Leone XII a intervenire ancora una volta a sostegno dell’Università di
Macerata, stabilendo che lo stanziamento camerale annuo per essa stabilito in 2.469,14
scudi fosse aumentato fino a raggiungere la cifra di 3.000 scudi62. Il contributo erogato
annualmente dal Comune poté così essere fissato ad una cifra più bassa di quella
preventivata, ossia a circa 800 scudi63.
60
Sull'esito della «visita apostolica» condotta nell’Ateneo maceratese dall’avvocato concistoriale
Teodoro Fusconi e dall’abate Mauro Cappellari, si veda l’approfondita analisi offerta da Corsi,
L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 69-70.
61
Appartiene a tale periodo il testo, non datato, di una supplica o istanza diretta al vescovo nella sua
qualità di cancelliere dell’Università, rinvenuta nell’Archivio della Curia vescovile di Macerata, nella
quale si riporta l'elenco specifico di tutte le 18 cattedre istituite nell’Ateneo di Macerata, con relativi
stipendi dei docenti e dei funzionari, l’onorario del rettore, le retribuzioni del custode e del bidello,
nonché altre dettagliate informazioni sulle spese correnti sostenute. Si veda tale documento in ASDMc,
Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1.
62
ASMc, Archivio priorale-Collegio dei dottori, vol. 816. La data del rescritto è quella del 29 agosto
1825 e non del 29 agosto 1827, come erroneamente riportato in taluni studi.
63
ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Quando nel 1860, il commissario
provinciale Luigi Tegas, cercherà informazioni circa le entrate finanziarie dell’Ateneo di Macerata
durante il regime pontificio, tale bilancio risulterà articolato in tre voci: 3.000 scudi annui, «assegnati in
ragione di 250 scudi al mese», pagati direttamente dalla Sacra Congregazione degli Studj al vescovo; 858
scudi che il Municipio versava annualmente come contributo e altri 55 scudi quale «prodotto di un
capitale di 1000 scudi che l’Università teneva impiegato metà presso il Municipio stesso» e metà presso
un privato (Edoardo Calisti) per un totale di 3.913 scudi.
31
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Tutto dunque era pronto per permettere all’Università di Macerata di riprendere
il suo naturale corso di vita. Il 21 novembre 1825, mons. Francesco Ansaldo Teloni,
vescovo di Macerata e Tolentino, nonché primo cancelliere della locale università dopo
la promulgazione della Bolla Quod Divina Sapientia64, inaugurava solennemente
l’apertura dell’anno accademico 1825-1826, alla presenza di un pubblico numeroso e
con un’allocuzione che ricordava molto da vicino quella pronunciata dal Pontefice il 5
novembre alla Sapienza di Roma, estremamente polemica verso la falsa scienza65. A
tutti, ed in particolar modo ai docenti di Giurisprudenza, mons. Teloni ricordò che
«nella giustizia non è spirito di partito, essa non si fa serva della politica, non conosce
connivenza o debolezza», citando a sostegno di tali affermazioni pensatori autorevoli
come Bacone, Pascal e Montaigne.
Nonostante il già definito calendario accademico66, la situazione, sotto il profilo
organizzativo e didattico, non poteva dirsi però ancora pienamente funzionale: non
soltanto occorreva completare l’acquisizione delle attrezzature per i gabinetti scientifici
e i laboratori medici, ma diverse cattedre di primaria importanza (Sacra scrittura, Testo
canonico, Testo civile, Istituzioni criminali e Medicina teorico-pratica) risultavano
ancora prive di un titolare, e ciò spiega la decisione di avviare, sia pure con un certo
ritardo, regolari concorsi per la loro copertura.
Nell’anno accademico successivo il quadro degli insegnamenti impartiti
nell’Ateneo e dei relativi docenti titolari era pressoché completo67. Rettore era Stefano
Gambini, mentre le quattro Facoltà esistenti potevano contare su un totale di venti
cattedre all’attivo: Teologia (con le cattedre di Sacra scrittura, Sacra teologia dogmatica,
Sacra teologia morale e Storia ecclesiastica), Legge (con Istituzioni canoniche,
Istituzioni civili, Testo civile, Testo canonico, Istituzioni criminali), Medicina e
chirurgia (con Anatomia e Fisiologia, Patologia e semeiotica, Terapeutica generale,
Medicina teorico-pratica, Medicina legale, Chirurgia ed ostetricia, Chimica e farmacia,
64
Per notizie biografiche dettagliate sul mons. Francesco Ansaldo Teloni, si veda L. Paci, Aspetti della
vita religiosa maceratese dalla Restaurazione all'Unità, in Macerata dal primo Ottocento all'Unità,
Agenzia libraria Einaudi, Macerata, 1984, pp. 39-100.
65
F.A. Teloni, Allocuzione nella solenne apertura dell'Università maceratese dell'anno accademico
1825-1826, Tip. Rossi, Macerata, 1826.
66
ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1822-1896), b. 710, f. 231. In tale calendario accademico
si fissavano, tra le altre cose, il giorno dell’inizio delle lezioni nell’università (21 novembre), i periodi
specifici delle festività natalizie (23 dicembre-1 gennaio), carnascialesche (27 gennaio-8 febbraio) e
pasquali (19 marzo-28 marzo), nonché l’inizio delle vacanze estive (20 luglio).
67
Secondo quanto scrive Arangio-Ruiz erano vacanti le sole due cattedre di Testo canonico e di Botanica
e materia medica, poiché per quest'ultimo insegnamento era appena deceduto il prof. Paolo Spadoni. Si
veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 20.
32
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Botanica e materia medica), Filosofia68 (con Algebra, geometria e trigonometria,
Logica, metafisica ed etica, Fisica sperimentale generale e particolare).
Al personale docente si aggiungevano, inoltre, due lettori, il primo di algebra,
geometria e trigonometria, e l’altro di chirurgia ed ostetricia; esistevano altresì tre
gabinetti scientifici (di fisica, di storia naturale e di anatomia), un laboratorio di chimica
e farmacia e un orto botanico al quale fu annesso, sucessivamente, anche un laboratorio
di agraria.
Gli anni successivi alla promulgazione della Quod Divina Sapientia (1824), se
da un lato registrarono il graduale adeguamento delle università pontificie al nuovo
modello centralizzato e uniforme degli studi superiori adottato dal pontificato leoniano,
dall’altro videro progressivamente emergere nuovi e più complessi problemi per gli
atenei dello Stato pontificio, ivi compreso quello maceratese. In particolare, le crescenti
contrapposizioni ideologiche e politiche innescate nei vari Stati della penisola dai moti
del 1820-21 e da quelli del 1831, destinati ad interessare direttamente i territori papali,
trovarono nelle università e negli ambienti intellettuali il loro terreno di coltura e di
sviluppo, anche in ragione del clima di rigido controllo delle idee e dei comportamenti
introdotto a partire, soprattutto, dalla seconda metà degli anni Venti69, e, nel contempo,
del carattere asfittico e scarsamente sensibile ai nuovi indirizzi culturali e scientifici, in
auge in tante parti d’Europa, in cui versava l’insegnamento accademico.
Non sorprende, a questo riguardo, il manifestarsi, dapprima in forme più
circoscritte ed isolate, poi in modo sempre più esplicito e vivace, di crescenti proteste da
parte di docenti e studenti che esprimevano la loro insofferenza per il regime censorio e
per l’«oscurantismo culturale e politico» che caratterizzava la vita universitaria70.
Indubbiamente, i moti risorgimentali che infiammavano la penisola e il resto
dell’Europa facevano sentire la propria eco anche nel capoluogo maceratese71; ad
68
Com’è noto, l’Università di Macerata poteva conferire solo la laurea in Filosofia e non in Filosofia e
matematica, poiché non possedeva gli insegnamenti e le strutture apposite per svolgere il corso, come
prescritto dall’art. 212 della Quod Divina Sapientia.
69
Per un quadro delle disposizioni emanate su questo versante all’indomani della Bolla di Leone XII, si
veda la documentazione contenuta in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Anni 1828-1837, b.
693, f. 1.
70
Un certa preoccupazione dell'Università di Macerata per i comportamenti dei propri studenti si era già
manifestata anche nei periodi precedenti alla promulgazione della Quod Divina Sapientia. A tal proposito
si rinvia a Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 89-94 e
111-113.
71
Fra gli artefici della cospirazione liberale scoperta a Macerata nel 1817, figurava lo studente di chimica
Venanzo Morlacchi di Filottrano che, fallito il tentativo insurrezionale, si salvò con la fuga. Uno dei
luoghi di riunione dei congiurati era il laboratorio di chimica dell’Ateneo, il che fa ritenere che l’idea
della congiura fosse maturata proprio negli ambienti universitari. Nel processo contro i liberali maceratesi
del 1820, peraltro, figuravano tra gli accusati gli studenti universitari Pietro Calvari e Giuliano Ceresani,
33
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
accentuare il clima di diffuso malcontento e disagio, peraltro, contribuirono non poco le
forti reazioni censorie manifestate dalle autorità ecclesiastiche locali72.
Merita, del resto, di essere segnalato che, nel caso dell’Università di Macerata,
ancora prima del confronto ideologico e delle nuove idee politiche, a suscitare la
reazione polemica di docenti e studenti furono l’accresciuto numero delle pratiche
religiose obbligatorie imposte agli uni e agli altri e i rigidi vincoli morali e spirituali
introdotti anche in ordine all’nsegnamento impartito nelle aule universitarie. La Quod
Divina Sapientia era stata perentoria circa i doveri dei professori. Gli artt. 75 e 76
imponevano loro
di insegnare dottrine sane […], instillare negli animi dei giovani le massime religiose [...], ma
soprattutto confutare gli errori ed i sistemi che direttamente o indirettamente tendono alla corruzione della
gioventù. Dovranno perciò nelle loro lezioni adattarsi a quelle prescrizioni che la Sacra Congregazione
crederà di emanare sopra certi argomenti che possono interessare la religione, il costume e l’ordine
pubblico.
Il clima di eccessivo controllo e la rigidità manifestata dall’autorità ecclesiastica
nell’applicazione dei regolamenti universitari, probabilmente, crearono le condizioni
perché anche l’Università di Macerata fosse coinvolta nei moti liberali del 1831. I
disordini innescati in questa fase, oltre a portare alla sospensione dell’attività didattica
dell’anno accademico 1831-1832 e alla chiusura temporanea dell’ateneo, videro
inquisiti i professori Francesco Puccinotti e Silvestro Utili, in seguito rimossi d’autorità
dalla cattedra, oltre a numerosi studenti, i quali, per avere aderito alla costituenda
Guardia Nazionale, furono espulsi o sottoposti ad un regime di rigida sorveglianza73.
L’Ateneo maceratese fu riaperto nei mesi successivi, ma con un decreto datato 2
settembre 1833, la Sacra Congregazione degli Studj, introdusse pesanti limitazioni alla
sua
attività
didattica,
sopprimendo
cattedre,
stabilendo
più
rigidi
controlli
sull’insegnamento impartito e rendendo più restrittive le norme che regolavano
l’ammissione degli studenti all’Università74. Oltre all’età minima di diciotto anni e al
il primo dei quali fu anche condannato. Anche nel corso del 1821 si registrarono numerosi episodi di
insubordinazione e di polemica politica che videro protagonisti studenti dell’Ateneo maceratese. Si
vedano al riguardo: D. Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, Fano, Montanari,
1902; D. Spadoni, G. Spadoni, Uomini e fatti delle Marche nel Risorgimento italiano, Macerata, Unione
Tipografica operaia, 1927.
72
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 25.
73
Ibidem, p. 27.
74
Con il decreto emanato dalla Sacra Congregazione degli Studj il 2 settembre 1833 com’è noto, la
cattedra di Logica, metafisica ed etica e quella di Elementi di algebra e geometria furono staccate dalle
34
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
possesso di una rendita che consentisse loro di compiere gli studi, agli aspiranti studenti
universitari dello Stato pontificio era fatto obbligo di presentare il certificato politico e
la fedina criminale; i fuorisede, inoltre, dovevano dimostrare di avere il proprio
domicilio presso persona di conosciuta probità, alla quale era assegnato il compito di
segnalare alle auorità accademiche eventuali sue condotte riprovevoli.
Con queste nuove disposizioni, il 5 novembre 1833 fu inaugurato l’anno
accademico 1833-1834 che vedeva ancora rettore Stefano Gambini e, in qualità di
prorettore, il conte Desiderio Pallotta (poi futuro rettore) e che si sarebbe concluso il
successivo 21 luglio 1834 con la tradizionale cerimonia della Laurearum collatio et
praemiorum distributio75.
Secondo quanto risulta dall'annuario di quell’anno accademico, sette erano i
componenti del collegio teologico, otto quelli del collegio legale (tutti avvocati), sei
quelli dei collegi medico-chirurgico e filosofico76. Inoltre, faceva parte dell’organico del
personale docente anche un dottore emerito (Michele Santarelli), mentre il domenicano
Tommaso Maria Borgetti, oltre che titolare della cattedra di Sacra teologia dogmatica,
era anche il responsabile della biblioteca77. Tra le strutture didattico-scientifiche di cui
disponeva l’Ateneo, figuravano come in passato, i tre gabinetti di fisica, storia naturale
ed anatomia, il laboratorio di chimica e farmacia, nonché l'orto botanico e il laboratorio
di agraria78.
università e aggregate alle scuole secondarie, lasciando all'istruzione superiore soltanto gli insegnamenti
di fisica e di matematica applicata. Inoltre, sempre con il medesimo provvedimento, si stabilì che ai corsi
di istituzioni civili, canoniche e criminali fossero ammessi i «soli studenti nativi della città e provincia cui
l’Università apparteneva», mentre gli altri avrebbero dovuto «fare questi studi nella propria città o
provincia sotto maestri approvati dalla stessa Sacra Congregazione».
75
Anche dagli annuari degli anni accademici successivi risulta che, sulla base delle indicazioni fornite
dall’art. 286 della Quod Divina Sapientia, le date di inizio e fine dell'attività didattica risultano pressoché
le stesse, con slittamenti al massimo di un giorno, a causa di eventuali festività.
76
Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1833-1834, Macerata, 1833 (copia in
BCMc).
77
ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. Padre Tommaso Maria Borgetti, docente
dell’Ateneo a partire dal 1826, fu allontanato dall’insegnamento nel 1838 per disposizione della Sacra
Congregazione degli Studj (i motivi non ci sono noti). Lo stesso dicastero pontificio, in una lettera del 18
dicembre dello stesso anno, sollecitava il vescovo di Macerata ad individuare un altro professore che
potesse sostituirlo. In seguito, a partire dall’anno accademico 1839-1940, la cattedra di sacra teologia
dogmatica fu ricoperta da padre Francesco Guade, mentre nel ventennio successivo a questi subentrò il
frate minore Flaviano da Recanati. Nello stesso anno accademico 1839-1840, invece, il Borgetti figurava
ancora come bibliothecarius, mentre l’anno accademico seguente tale incarico risultava vacante. Cfr.
Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1839-1840, Macerata, 1839, p. 10
(copia in BCMc); e Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1840-1841,
Macerata, 1840, p. 10 (copia in BCMc).
78
Tale museum rei agrariae figura negli annuari del tempo a partire dal 1828 e fino all’anno accademico
1842-1843, allorché sparisce del tutto ogni riferimento ad esso. Cfr. Album pontificiae universitatis
maceratensis pro anno scholastico 1841-1842, Macerata, 1841, p. 9 (copia in BCMc); e Album pontificiae
universitatis maceratensis pro anno scholastico 1842-1843, Macerata, 1842, p. 6 (copia in BCMc).
35
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
Al termine di quell’anno accademico vi furono solamente 7 laureati, un dato che,
comunque, era in linea con quello registrato negli anni immediatamente precedenti e
con la media dei laureati del periodo immediatamante seguente. Un significativo
incremento nel numero dei laureati si sarebbe riscontrato nell’Ateneo maceratese
soltanto a partire dall'anno accademico 1839-1840, allorché, dopo avere toccato il
minimo storico di due laureati l’anno precedente, si raggiungeva quota 21, per assestarsi
su una media sempre superiore alle 10-15 unità, con una nuova punta massima per il
medesimo decennio, nell’anno accademico 1845-1846. Non disponiamo, viceversa, di
dati precisi per il triennio compreso tra il 1847 e il 1850 e la ragione, alla luce di quanto
diremo fra breve, è facilmente comprensibile.
Proprio in quegli anni, infatti, il fermento liberale in Italia era tornato alla ribalta
con una certa forza e l’ascesa al soglio pontificio, il 15 giugno 1846, del marchigiano
Giovanni Maria Mastai Ferretti, divenuto papa con il nome di Pio IX, aveva
ulteriormente infiammato gli animi, suscitando ampie attese e forti speranze79. Il nuovo
Pontefice, com’è noto, era apparso sin da subito sensibile alle esigenze di
modernizzazione dello Stato pontificio e, soprattutto, come testimoniano taluni
orientamenti da lui manifestati in precedenza, non pregiudizialmente ostile alla causa
italiana80. Sull’onda di un entusiasmo diffuso, anche gli studenti e i docenti dell’Ateneo
maceratese espressero in diverse occasioni il loro entusiasmo per il nuovo corso che il
pontificato di Pio IX sembrava assicurare alle stesse istituzioni culturali e scientifiche
del paese.
In questo contesto, a rafforzare l’impressione di una svolta epocale e di un
imminente mutamento politico, contribuirono diverse vicende, talune delle quali
interessarono da vicino l’Ateneo maceratese. Nel 1847, ad esempio, su invito degli
stessi studenti universitari, il barnabita Alessandro Gavazzi fu chiamato a parlare degli
orientamenti politici che animavano il nuovo pontificato. Questi, ben noto per le sue
simpatie liberali e per il suo radicalismo antiaustriaco, rivolse alla popolazione un
79
Il nuovo pontefice, Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, era nato a Senigallia il 13 maggio
1792. Sulla sua biografia si vedano: C. Falconi, Il giovane Mastai. Il futuro Pio IX dall'infanzia a
Senigallia alla Roma della Restaurazione (1792-1827), Milano, Rusconi, 1981; A. Serafini, Pio Nono.
Giovanni Mastai Ferretti dalla giovinezza alla morte nei suoi scritti e discorsi editi e inediti. Vol. I: le vie
della provvidenza divina (1792-1846), Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1985; G.
Martina, Pio IX, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1974-1990, 3 voll., I. Alla narrazione degli
avvenimenti che caratterizzarono il pontificato piano, il cronista maceratese Antonio Natali dedicò ben
quattro volumi manoscritti, dall’ascesa al soglio pontificio fino al 1849. Si veda A. Natali, Pio IX, Memorie,
in BCMc, mss. 572-575.
80
Cfr. Martina, Pio IX, cit., I, passim. Ma si veda anche, per quel che attiene alla realtà marchigiana e
maceratese, R. Ruffini, Il “Risorgimento” di un maceratese dimenticato, Macerata, Grafica Maceratese,
2004, pp. 30-31.
36
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
vibrante e memorabile discorso, nel quale le caute aperture manifestate da Pio IX nel
corso dei primi mesi del suo governo furono interpretate come una sorta di preludio ad
una svolta radicale e ad un vero e proprio capovolgimento della politica filo austriaca
tenuta dal suo predecessore Gregorio XVI. Il discorso di padre Gavazzi, come narra il
cronista Antonio Natali, era destinato ad infiammare le popolazioni maceratesi e a
suscitare una vasta eco negli stessi ambienti universitari:
Giunto questi nella Piazza Maggiore – scriveva il Natali –, e salito nella Ringhiera della
Residenza Comunale, con voce altisonante, e chiara parlò al Popolo eccitandolo ad accorrere con armi per
discacciare dall'Italia lo Straniero, e liberare la Patria dal ferreo gioco da cui era oppressa da più Secoli.
Che Pio IX era quell’angelo che veniva mandato dal Cielo per compiere questa santa impresa. Che
liberale era questo grande Pontefice, perché Liberale fu Cristo81 .
Nel febbraio 1848, sempre per iniziativa degli studenti e dei docenti dell’Ateneo
maceratese, furono celebrati con grande pompa nlla chiesa di San Paolo i solenni
funerali per i giovani volontari maceratesi uccisi dagli austriaci a Pavia.
In quell’occasione, numerosi studenti e taluni professori – tra i quali Pirro
Aurispa, Patrizio Gennari e Federico Bosi, che divennero in seguito deputati ed ebbero
parte attiva nelle vicende della Repubblica romana82 – intervennero pubblicamente
manifestando il proprio odio antiaustriaco e sollecitando la popolazione maceratese a
sostenere la guerra contro lo straniero e per l’indipendenza italiana.
La vera e propria svolta verificatasi nei mesi seguenti con il radicale mutamento
della politica di Pio IX e il repentino crollo del sogno neoguelfo, portarono, com’è noto,
al crollo delle speranze che avevano caratterizzato la breve stagione costituzionale nello
Stato pontificio83.
Il ritorno del papa da Gaeta e il ripristino del governo pontificio, dopo la breve
ed esaltante esperienza della Repubblica romana, coincisero con l’avvio di una politica
repressiva che non risparmiò nemmeno le università pontificie. L’Ateneo maceratese,
nel quale, come si è accennato, assai vivi erano stati i fermenti liberali e patriottici, fu
tra quelli marchigiani il più colpito dalle censure e dai provvedimenti repressivi. Esso,
infatti, dovette subire una temporanea chiusura nell’anno accademico 1849-185084, e
81
Cfr. Natali, Pio IX, Memorie, cit., ms. 573, cc. 96-97.
Per approfondimenti si veda Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, cit., pp. 5-6.
83
Cfr. Martina, Pio IX, cit., I, passim.
84
Già il 10 luglio 1849 il Commissario pontificio straordinario per le Marche, mons. Savelli, aveva
proibito il conferimento delle lauree, mentre il 3 settembre la Sacra Congregazione degli Studj aveva
dettato precise condizioni per il riconoscimento della validità di quelle conferite nei mesi precedenti. Si
37
82
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
anche in seguito, fu oggetto di particolari limitazioni e controlli da parte della restaurata
autorità ecclesiastica.
La riapertura dell’Università di Macerata, nell’anno accademico 1850-1851,
coincise con l’assunzione di una serie di provvedimenti restrittivi, deliberati dalla neo
costituita Commissione di censura85, nei riguardi dei «facinorosi», docenti e studenti, rei
di avere preso parte all’attività politica e alle insurrezioni del 1848-1849. I professori
Aurispa, Gennari e Bosi furono destituiti dalla cattedra e allontanati dall’Università,
mentre altri docenti, come Abdia Geronzi e Tommaso Bianchini, vennero
temporaneamente sospesi dall’insegnamento «per gravi irregolarità morali».
Anche sul versante studentesco, la repressione fu particolarmente incisiva. Oltre
a rendere più rigidi e restrittivi i controlli sugli orientamenti politici di coloro che
aspiravano a frequentare l’Università di Macerata, l’autorità ecclesiastica intervenne
pesantemente nei riguardi di coloro che erano in qualche modo sospettati di avere
assunto comportamenti politici censurabili nel biennio 1848-49. Alcuni di loro, ben 8,
furono sottoposti a speciale vigilanza, mentre altri 7 studenti furono addirittura esclusi
dai corsi e allontanati d’autorità dall’Ateneo86.
Il 5 settembre 1850, la Sacra Congregazione degli Studj promulgò un decreto, al
quale seguì una circolare esplicativa datata 10 settembre dello stesso anno, con il quale
furono abolite le propine e le spese di ogni natura dovute fino ad allora per il
conferimento dei gradi, delle lauree e delle matricole, sostituendo tutto ciò con una tassa
da pagarsi all’inizio di ogni anno di corso87.
La tassa per l’ammissione all’Università fu stabilita in maniera uniforme per
qualsivoglia corso di studio. Relativamente ai tradizionali corsi di laurea, essa
ammontava a 16 scudi, mentre per la frequenza delle scuole pratiche universitarie lo
studente era tenuto a pagare 8 scudi. L'intera somma ricavata finiva per ¾ ai singoli
veda ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. Disposta la chiusura dell’Ateneo, per consentire
agli studenti di conseguire i gradi accademici, fu consentito loro di proseguire gli studi nelle rispettive
province, sia presso le pubbliche scuole, sia presso insegnanti privati che dovevano essere approvati dalla
Sacra Congregazione degli Studj.
85
Sull’istituzione della Commissione di censura e sui suoi poteri si veda la circolare trasmessa dalla Sacra
Congregazione degli Studj in data 23 ottobre 1849, in ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1
(che raccoglie la documentazione relativa all’operato della stessa Commissione e ai provvedimenti
adottati). L'incarico assegnato alla Commissione di censura era quello di esaminare il «comportamento
tenuto dai professori e da tutto il personale dell’Ateneo nelle trascorse luttuose vicende politiche».
86
Si veda Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, cit., p. 8.
87
Sia il decreto che la circolare sono riprodotti integralmente in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata
nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 129-131.
38
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
collegi e per ¼ direttamente nelle casse universitarie88. In nome del principio
dell'uguaglianza le tasse si applicavano anche a coloro che frequentavano scuole
pubbliche fuori dall’Università e privati istitutori autorizzati. Importanti, infine, erano,
come del resto anche in passato, le esenzioni stabilite a favore degli studenti bisognosi o
meritevoli.
Sulla base di tali specifiche disposizioni in materia di tasse, e in assenza di altre
più specifiche indicazioni, possiamo tentare di ricostruire il dato relativo agli iscritti
all’Università di Macerata nella prima metà degli anni Cinquanta. Da un prospetto
pubblicato da Arangio-Ruiz89, infatti, risulta che nell’anno accademico 1851-1852, gli
scudi incassati per le tasse studentesche dall’Ateneo ammontavano a 1.850,04.
Considerando la tassa di 16 scudi che ciascun studente pagava annualmente per poter
frequentare gli studi, si può ipotizzare la presenza di circa 115 iscritti, mentre nei tre
anni immediatamente successivi, sempre sulla base dei dati in nostro possesso relativi al
quadriennio 1851-1855, e mediante il medesimo calcolo, avremmo rispettivamente 81,
76 e 100 studenti iscritti90. Tali indicazioni, pur rivestendo valore solo ipotetico, non si
discostano molto, peraltro, da quelli relativi ai successivi anni accademici 1857-1858 e
1858-1859, sui quali disponiamo di dati certi. Nell’anno accademico 1857-1858, infatti,
gli studenti regolarmente iscritti all’Università di Macerata ammontavano a 12091, e di
questi uno solo rivestiva la qualifica di uditore92. Appena 30 erano originari di
Macerata, mentre tutti gli altri provenivano principalmente da città e paesi del
circondario, quali Urbisaglia, Tolentino, Filottrano, Sarnano, Recanati e Cingoli; un
certo numero di studenti risultava provenire da sedi più lontane, come Ascoli, Perugia e
Frosinone.
Nell’anno accademico 1858-1859, l’Ateneo contava 114 iscritti regolari e 10
uditori, dei quali solo 21 erano maceratesi. Gli altri, oltre che dalle città e dai paesi del
88
Tale ripartizione, decisa sulla base di un nuovo decreto della Sacra Congregazione degli Studj, datato
31 ottobre 1851, scatenò una lunga disputa tra gli atenei primari e quelli secondari per la quale si rinvia a
ibidem, pp. 35-36.
89
Ristretto delle somme introitate dal cassiere dell'Università degli Studi di Macerata, a senso del
decreto della Sacra Congregazione degli Studi 5 settembre 1850, in Arangio-Ruiz, L’Università di
Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 132.
90
Naturalmente tali dati devono essere considerati puramente indicativi vista, ad esempio, l’esenzione
riservata agli studenti meritevoli e bisognosi. In realtà, per l’anno accademico 1854-1855 esiste un
prospetto degli studenti dell’Università di Macerata secondo il quale gli iscritti risultavano essere 113,
mentre gli uditori 19. Lo si veda in ASDMc, Università pontificia, Anni 1852-1860, b. 2.
91
ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 109, Elenco dei giovani studenti
della Pontificia Università di Macerata nell'anno scolastico 1857-1858; Elenco dei giovani studenti della
Pontificia Università di Macerata nell'anno scolastico 1858-1859.
92
Cfr. Calendario della Regia Università degli studi di Macerata anno accademico 1860-1861,
Macerata, 1861, p. 6 (copia in BCMc).
39
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
territorio provinciale, provenivano in massima parte da Ancona, Fano, Osimo, Urbino e
addirittura da Rimini e Terni. Più complesso è il discorso da fare relativamente all’anno
accademico 1859-1860. In questo caso, disponiamo di due distinte registrazioni del
numero degli iscritti: nella prima, il dato riportato indica 147 unità, senza altre
specificazioni93; mentre nella seconda si riportano i nominativi di 130 iscritti94.
Nel corso degli anni Cinquanta, il clima di latente repressione e l’irrigidimento
dei controlli esercitati dall’autorità ecclesiastica sull’assolvimento delle pratiche
religiose prescritte95 e sulle condotte morali e politiche di docenti e studenti
dell’Università di Macerata (si giunse, fra l’altro, alla predisposizione di appositi
Registri sulla condizione morale e religiosa dei giovani studenti dell'Università di
Macerata96), contribuirono indubbiamente a conservare l’Ateneo in una situazione di
relativa tranquillità. L’attività didattica, come testimoniano le cronache del tempo,
procedette regolarmente, così come senza grandi contrasti si sviluppò l’attività
scientifica e culturale del corpo docente, resa tuttavia vieppiù asfittica e scarsamente
innovativa a causa dell’arretratezza degli ordinamenti e dei piani di studio in vigore e
del sostanziale isolamento che contrassegnava le università pontificie rispetto a quelle
operanti in altre parti della penisola e nel resto d’Europa97.
In questo contesto, tra affollate processioni per le celebrazioni del Corpus
Domini e assolvimento quotidiano del precetto eucaristico e delle altre pratiche religiose
prescritte e minuziosamente regolamentate per docenti e studenti, l’Università di
Macerata giunse fino al 1860 restando per molti versi estranea rispetto agli episodi di
protesta politica e ai tentativi di ribellione che si andavano registrando, in quello stesso
periodo, in altri atenei pontifici e in diverse parti della penisola.
Solo nel 1860, infatti, si ebbero le prime avvisaglie, a Macerata, di un repentino
mutamento del clima politico, con il costituirsi di un movimento di studenti che,
93
ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 110, Registro di condizione morale
e religiosa.
94
Lo si veda in ASMc, Università, Immatricolazioni ed iscrizioni 1857-1858, reg. n. 1.
95
Un’amplissima documentazione circa i controlli sull’assolvimento delle pratiche religiose prescritte per
studenti e docenti dell’Ateneo maceratese è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie
(1840-1872), b. 712, f. 269.
96
ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 102. I registri conservati sono
relativi agli anni accademici 1856-1857, 1858-1859 e 1859-1860.
97
Si rinvia al riguardo al fondamentale lavoro di S. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età
della Destra storica (1848-1876), Brescia, La Scuola, 1993. Per un quadro d’insieme, si vedano inoltre:
A. Romano (a cura di), Università in Europa, Le istituzioni universitarie dal Medioevo ai nostri giorni:
struttura, organizzazione, funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Milazzo, 28
settembre-2 ottobre 1993), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995; I. Porciani (a cura di), L’Università tra
Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, Napoli, Jovene, 1994; Brizzi, Verger (a cura di), Le
Università minori in Europa (secoli XV-XIX), cit.; G.P. Brizzi, A. Varni, (a cura di), L’Università in Italia
fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, CLUEB, Bologna, 1991.
40
Capitolo primo. L’Ottocento preunitario
prendendo spunto dalle proteste nei riguardi di un docente dell’Ateneo accusato di
essere incompetente e di avere assunto atteggiamenti eccessivamente reazionari, decise
di disertare le lezioni accademiche e di boicottare apertamente l’attività didattica98.
Anche in questo frangente, tuttavia, l’allora rettore Giovanni Accorretti, in una
relazione sui fatti avvenuti indirizzata al cancelliere dell’Università e datata 19 maggio
1860, ostentò una grande serenità, minimizzando l’accaduto ed escludendo la presenza
di motivazioni politiche alla base dell’episodio di contestazione verificatosi: «Le cose
dell’Università – rassicurava Accorretti – procedono regolarmente colla buona
disciplina e frequenza alle scuole non meno che alle congregazioni spirituali ed alla
Santa Messa quotidiana, e sembra che realmente i giovani studenti siano impegnati a
riparare il trascorso inconveniente col dare prova di saggia e diligente condotta»99.
In realtà, le vicende politiche e militari dei mesi seguenti erano destinate a
decretare il definitivo tramonto dello Stato pontificio e a comportare il radicale
superamento dell’ordinamento universitario instaurato con la Bolla Quod Divina
Sapientia del 1824 nei territori papali.
Di lì a poco, infatti, l’annessione delle Marche al Regno d’Italia chiuse
definitivamente la stagione dell’Università pontificia di Macerata, inauguratasi con la
restaurazione post napoleonica, e aprì quella, per certi versi più complessa e non priva
di ulteriori incertezze e difficoltà, nella quale il plurisecolare Ateneo maceratese fu
inserito nel nuovo sistema casatiano degli studi superiori100.
98
ASDMc, Università pontificia, Anni 1852-1860, b. 2. L'episodio della contestazione avvenne il 3
maggio 1860, in occasione della prima lezione tenuta dal prof. Giuseppe Cozzi, sostituto del titolare
Filippo Borgogelli, assente per malattia, alla cattedra di diritto canonico. Nel corso della lezione,
numerosi studenti contestarono il Cozzi, che fra l’altro era noto a Macerata per le sue simpatie reazionarie
e per essere uno dei confidenti del vescovo, accusandolo di grave incompetenza e, per protesta,
abbandonarono l’aula. In loro appoggio, il giorno stesso, altri studenti presentarono una richiesta, firmata
da ben 64 di loro, con la quale si chiedeva l’allontanamento del docente, minacciando, in caso contrario, e
qualora non fossero stati reintegrati i loro colleghi sospesi per avere partecipato alle proteste, di astenersi
sine die dalle lezioni. Alla fine vi fu la riammissione degli studenti “ribelli”, mentre il prof. Cozzi fu
costretto a presentare le dimissioni e ad abbandonare il corso, il quale fu portato a termine dal titolare
Borgogelli, ormai guarito dalla malattia.
99
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 41.
100
Su tale nuova stagione dell’Università di Macerata apertasi con l’annessione delle Marche al Regno
d’Italia, si veda ora: L. Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post unitario: le tappe di una
faticosa rinascita, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 109-141. Sul riordinamento
degli studi superiori e universitari avviato in attuazione delle norme della legge Casati, si rinvia a
Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), cit. Ma si vedano
anche: G. Fioravanti, M. Moretti, I. Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), Roma,
Ministero per i beni e le attività culturali. Ufficio centrale per i beni archivistici, 2000; I. Porciani (a cura
di), L’Università italiana. Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali (1859-1914), Firenze, Olschki,
2001. Un altro strumento ancora imprescindibile, non solo per le leggi ma pure per i p.d.l.e i decreti
attuativi è costituito dal volume Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al
1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello
stesso Autore, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1901.
41
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
CAPITOLO SECONDO
LA STAGIONE POSTUNITARIA
Il 12 settembre 1860, Lorenzo Valerio1, deputato al parlamento subalpino e
governatore di Como, faceva il suo ingresso ufficiale nelle Marche. A lui il compito,
nella veste di commissario generale straordinario, di riordinare i territori marchigiani
usciti da poco dal dominio pontificio ma già desiderosi di entrare a far parte del neo
Regno d’Italia2.
Tra le funzioni affidategli andava annoverata anche quella afferente la pubblica
istruzione, controllata fino ad allora dalle autorità religiose. Per poter affrontare la
situazione nel miglior modo possibile Valerio decise di avvalersi della preziosa
collaborazione dell’avvocato Luigi Tegas3, già avvezzo di pratiche amministrative in
quanto componente del consiglio comunale di Pinerolo e futuro intendente generale,
prefetto e deputato del Parlamento italiano, il quale divenne commissario provinciale
1
Lorenzo Valerio fu pubblicista liberale e politico, deputato nel 1848 e leader della sinistra
anticavouriana. Fu anche senatore dal novembre del 1862 e poi prefetto a Messina. Nelle Marche egli
ebbe il compito di governare il territorio con pieni poteri e vi importò, attraverso l’emanazione di 840
decreti, le leggi e gli istituti di uno Stato piemontese che stava diventando italiano. La sua attività
commissariale ebbe inizio il 21 settembre 1860 a Senigallia, dato che Ancona, sottoposta ad assedio, era
ancora in mano pontificia. Sull’operato di Valerio nelle Marche si vedano soprattutto D. Cecchi,
L’attività legislativa del Commissario generale straordinario nelle Marche Lorenzo Valerio, Macerata,
Tipografia S. Giuseppe, 1965; M. Polverani, Lo Stato liberale nelle Marche. Il commissario Valerio,
introduzione di R. Paci, Ancona, Bagaloni, 1978; G. Santoncini, L’unificazione nazionale nelle Marche.
L’attività del regio commissario generale straordinario Lorenzo Valerio 12 settembre 1860 – 18 gennaio
1861, Milano, Giuffré, 2008; G. Giubbini, Il Fondo Valerio nell’Archivio di Stato di Ancona, in M.
Severini (a cura di), Le Marche e l’Unità d’Italia, Milano, Codex, 2010, pp. 278-285.
2
Fu il plebiscito del 4 e 5 novembre 1860 a sancire l’annessione delle Marche al Regno d’Italia. A fronte
di 212.000 iscritti, votarono 135.255 persone (63,79%) con ben 133.783 sì (98,91%), 1.212 no e 260 voti
nulli. In provincia di Macerata si ebbero invece 32.847 votanti di cui 32.575 (99,17%) favorevoli
all’annessione mentre a Macerata, su 5.065 iscritti al voto, si recarono all’urne 4.127 elettori che
espressero 4.104 voti favorevoli (99,44%). Sul plebiscito ma anche più in generale sugli avvenimenti del
periodo immediatamente pre e post unitario nelle Marche e soprattutto nella provincia maceratese si
vedano A. Alessandrini, I fatti politici delle Marche. Dal 1° gennaio 1859 all’epoca del plebiscito, II
voll., Macerata, Libera editrice marchigiana, 1910, vol. 2 e soprattutto i recenti ed aggiornati lavori di M.
Severini (a cura di), Macerata e l’Unità d’Italia, Milano, Codex, 2010 e id., 150 anni dall’Unità, in id. Le
Marche e l’Unità d’Italia, cit., pp. 25-34. Inoltre su «Il Corriere delle Marche» del 5, 6 e 7 novembre
1860 (rispettivamente nn. 29, 30, 31), sono rinvenibili nel dettaglio gli esiti del plebiscito in ogni singolo
comune marchigiano.
3
La nomina di Tegas fu particolarmente gradita all’intera cittadinanza maceratese, come si evince dal
ringraziamento rivolto dal Municipio di Macerata l’11 dicembre 1860, firmato dal presidente Lauri, al
consiglio comunale di Pinerolo, in seguito alle manifestazioni di stima espresse da quest’ultimo nei
riguardi del Tegas. Su tale questione cfr. M. Corsi, Le Università di Macerata e Camerino dallo Stato
Pontificio al Regno d'Italia, «Studi maceratesi», 15 (1982), pp. 715-751. L’intero volume traccia peraltro
un quadro completo delle vicende storiche dell’Ateneo nel periodo immediatamente pre e post unitario.
Sul rapporto non facile tra Valerio e la popolazione maceratese si veda invece D. Giaconi, Storia di un
pregiudizio. L’Università di Macerata dall’Unità alla Riforma Gentile, in P. Bini, S. Spalletti (a cura di),
Dalle Accademie Agrarie all’Università. L’istituzionalizzazione dell’economia politica a Macerata e
nelle Marche, Macerata, EUM, 2010, pp. 201-257.
42
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
per la Provincia di Macerata4. Il «Corriere delle Marche», organo d’informazione
fondato il 5 ottobre e diretto dal patriota e scrittore Luigi Mercantini5, riportò così per
esteso il decreto di nomina n. 23, datato 1 ottobre 1860:
In nome di sua maestà, il Re Vittorio Emanuele II, il Governatore della Provincia di Como, il
regio Commissario generale straordinario nelle Province delle Marche, visto l’articolo 6 del decreto 22
corrente, in virtù dei poteri conferitigli con decreto reale 12 settembre 1860, DECRETA, il sig. Avvocato
Luigi Tegas, Deputato al Parlamento, é nominato commissario provinciale per la Provincia di Macerata,
colla residenza a Macerata, sotto l’immediata dipendenza del regio Commissario generale straordinario. Il
presente decreto sarà pubblicato in tutti i comuni della provincia di Macerata ed inserito nella Raccolta
ufficiale degli atti del regio Commissario generale straordinario, mandandosi a chiunque spetta di
osservarlo e di farlo osservare6.
Cinque giorni dopo, il 6 ottobre, fu invece promulgato il decreto n. 35, mediante
il quale la pubblica istruzione veniva ufficialmente posta sotto la sorveglianza e la
direzione dell’autorità politico-amministrativa. Ciò rappresentava un passo importante
per l’istruzione e per lo stesso Valerio che il 2 novembre andò a compiere un nuovo atto
fondamentale per tutto il territorio marchigiano. Con il decreto del 2 novembre 1860, n.
289, egli promulgò infatti la legge sarda 23 novembre 1859, n. 3275, sulla pubblica
istruzione (la nota legge Casati)7, demandandone al potere esecutivo l’esecuzione del
4
Oltre a Luigi Tegas gli altri due delegati locali maceratesi erano il provveditore agli studi Giacomo Ricci
ed il segretario Adriano Tomassini Barbarossa. A tali delegati erano solitamente demandati solo poteri
ispettivi sull’applicazione formale dei provvedimenti.
5
«Il Corriere delle Marche», futuro «Corriere Adriatico», si presentava come una gazzetta ufficiale
nonché foglio regionale e si sarebbe contraddistinto per il su orientamento moderato. Si veda P. Traini, Il
Corriere Adriatico ha centocinquanta anni come la storia d’Italia, «Corriere Adriatico», 29 agosto 2010.
6
Cfr. «Il Corriere delle Marche», I (14 ottobre 1860), 9, pp. 1.
7
Sui contenuti della legge Casati e soprattutto sulle disposizioni e le problematiche relative all’istruzione
superiore, si vedano Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899
raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso,
cit., pp. 1-10 e 36-38; Di Domizio, L’università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 186-188; B. Ferrari, I
problemi dell’Università italiana ai primordi dell’Unità, «Bollettino storico bibliografico-subalpino»,
1970, pp. 515-565; G. Inzerillo, Storia della politica scolastica in Italia. Da Casati a Gentile. Roma,
Editori riuniti, 1974, p. 157-231; E. Bosna, L’istruzione superiore nella legge Casati e nei decreti dei
governi provvisori, in F. De Vivo, G. Genovesi (a cura di), Cento anni di università: l’istruzione
superiore in Italia dall’Unità ai nostri giorni. Atti del 3° Convegno nazionale, Padova, 9-10 novembre
1984, Napoli, ESI, 1986, pp. 123-135; T. Tomasi, L. Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale
(1861-1923), Napoli, Liguori Editore, 1988; A. Colombo, Per una storia dei modelli di università dalle
legge Casati all’autonomia degli atenei, in Brizzi, Varni (a cura di), L’università in Italia fra età
moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, cit., pp. 29-58; A. Pizzitola, Gli studenti della nuova
Italia, ivi, pp. 136-163; Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (18481876), cit., pp. 57-239; F. Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’Università liberale.
Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), Milano, Giuffré Editore, 1995, pp. 4894; L. Pazzaglia, R. Sani , Scuola e società nell’Italia unità: dalla Legge Casati al centro sinistra,
Brescia, Editrice La Scuola, 2001, pp. 28-35. I. Porciani, M. Moretti, La creazione del sistema
43
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Titolo II sull’insegnamento superiore e facendo decorrere la sua applicazione dall’1
gennaio 18618. L’estensione anche alle Marche della legge Casati avrebbe sicuramente
dovuto rappresentare un progresso per tutto il settore dell’istruzione regionale; tuttavia
essa non ebbe un’effettiva applicazione per l’Università di Macerata la quale mantenne,
invece, la sua indole mista di ateneo comunale e governativo.
In quei giorni, inoltre, fu proprio il ministro Terenzio Mamiani a raccomandare a
Valerio un atteggiamento prudente nelle sue azioni relative all’istruzione superiore,
impartendogli l’ordine di intervenire sulle università con quelle «poche provvisioni
dettate da vera necessità e l’aggiunta di alcuna cattedra indispensabile».
Fu in questo contesto che il 7 novembre 1860 il quotidiano «L’Annessione
Picena»9 annunciò ufficialmente, per volere del commissario Luigi Tegas, la riapertura
dell’Università di Macerata per il 20 novembre. Una data che si potrebbe definire
storica per l’Ateneo maceratese poiché capace di rappresentare lo spartiacque tra la
vecchia università pontificia e quella regia.
Il primo segno evidente di questa trasformazione, anche ideologica, dell’Ateneo,
fu rappresentato dalla scelta compiuta da Valerio di sopprimere la Facoltà di Teologia.
Preludio a tale scelta, già all’indomani del passaggio dell’Università di Macerata sotto il
controllo del nuovo governo italiano, fu senza dubbio la richiesta rivolta al personale
dell’Ateneo maceratese circa la necessità di esprimere la propria volontà a mantenere o
meno gli incarichi ricoperti sino ad allora. Il rettore maceratese Giovanni Accorretti,
sacerdote, i docenti della Facoltà di Teologia (tra i quali si ricordano in particolare
Domenico De Grassi e Flaviano da Recanati), nonché i membri componenti il collegio
teologico, fra i quali Ferdinando Sarnari e Cesare Blasi, rifiutarono di offrire la propria
adesione10, contrariamente a quanto accadde invece per le altre tre facoltà (legale,
universitario nella nuova Italia in G.P. Brizzi, P. Del Negro, A. Romano (a cura di), Storia delle
Università in Italia, 3 voll., Messina, Sicania, 2007, vol. I, pp. 323-379.
8
Il decreto 289 viene riportato per esteso su «Il Corriere delle Marche», I (3 novembre 1860), n. 28.
9
«L’Annessione Picena» fu un quotidiano che si stampò a Macerata per un solo anno e per un numero
complessivo di 101 uscite che coprirono il periodo dal 1 ottobre 1860 al 23 febbraio 1861. Esso fu
fondato e sostenuto dalle figure più prestigiose della nobiltà e della borghesia liberale di Macerata, che
vedevano nell’Unità la realizzazione delle proprie speranze di progresso economico e civile. Nella sua
testata si leggono chiare ispirazioni patriottiche “Viva l’Italia, Viva il Re”. Stampato presso la Tipografia
Bianchini, esso era anche il giornale ufficiale per l’inserzione degli atti giudiziari ed amministrativi. Per
ulteriori notizie su questo quotidiano, ma anche su altri periodici citati nel presente lavoro, si veda
l’interessante contributo di A. Palombarini, La stampa periodica a Macerata dal 1860 al 1900, «Annali
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata», IX (1976), pp. 405-425. Per un
approfondimento specifico su «L’Annessione Picena» si rimanda anche alla scheda in V. Gianangeli (a
cura di), Bibliografia della stampa operaia e democratica nelle Marche 1860-1926. Periodici e numeri
unici nella provincia di Macerata, Ancona, Il lavoro editoriale, 1998.
10
Votarono contro il nuovo Governo tutti i sacerdoti che, a vario titolo, erano presenti all’Università di
Macerata. A questi si aggiunsero i laici Giuseppe Giuliani, Pietro Pellegrini, Giovanni Battista Bruti
44
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
filosofica e medico-chirurgica), dove, in modo alquanto omogeneo11, si giurò fedeltà al
nuovo Governo.
In realtà, però, consultando l’elenco degli atti ufficiali dello stesso commissario
Valerio e le pagine del «Corriere delle Marche» di quei giorni non é possibile trovare
alcun riscontro relativo a tale soppressione della Facoltà di Teologia a Macerata12.
Soppressione che però avvenne in modo rapido e tempestivo. A darne notizia, in data 12
novembre 1860, fu infatti il numero 36 de «L’Annessione Picena» che riportò in
apertura la seguente informazione:
Il Regio Commissario della Provincia di Macerata, a nome e per delegazione espressa del
Commissario Generale delle Marche, dichiara 1) Sospesa la Facoltà di Teologia nell’Università di
Macerata. 2) Con i fondi assegnati alla medesima istituite le seguenti tre cattedre: Filosofia del diritto e
Diritto costituzionale, Codice civile patrio e Procedura civile, Diritto commerciale13.
Un provvedimento, dunque, realmente esistito14 e che si inseriva perfettamente
in quell’ondata di laicità che aveva investito tutto il territorio italiano all’indomani
dell’Unità. Nelle Marche, poi, il legame con lo Stato pontificio era stato da sempre più
forte rispetto a quello presente in altre regioni ed una simile decisione potrebbe dunque
essere interpretata come una sorta di naturale reazione da parte del potere laico nei
confronti di un feudo fedele alla Chiesa. Volendo comunque analizzare la questione più
nel dettaglio, é giusto rimarcare come il provvedimento assunto rientrasse anche in un
quadro più ampio di mutamento anticlericale riconducibile all’operato di Valerio. Come
Liberati, Giocondo Bruni, Francesco Adriani, Serafino Salvatori, Luigi Ranaldi e Filippo Narducci. Si
veda ASDMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185.
11
A tal proposito si rimanda a Corsi, Le Università di Macerata e Camerino dallo Stato Pontificio al
Regno d'Italia, cit., pp. 719-720.
12
Della soppressione della Facoltà di Teologia presso l’Università di Macerata non si trova stranamente
alcuna traccia anche all’interno di un verbale del Consiglio superiore sull’insegnamento religioso, datato
20 febbraio 1870. In esso si fa invece menzione dell’abolizione dell’insegnamento teologico nelle
Università di Modena e Parma (ex decreto dittatorio 21 ottobre 1859), nell’Università di Napoli (ex
decreto 16 febbraio 1861, n. 225, art. 8) ed in quella di Bologna (non vengono riportati gli estremi di
alcun decreto). Si veda ACS, MPI, Verbali Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, 19 febbraio
1870, pp. 457-459. Tale documento é stato pubblicato in G. Fioravanti, M. Moretti, I. Porciani (a cura di),
L’istruzione universitaria (1859-1915), cit., pp. 198-203.
13
Cfr. «L’Annessione Picena», I (12 novembre 1860), n. 36.
14
In realtà nell’elenco degli atti ufficiali del regio commissario straordinario non é presente il decreto di
questa soppressione che però avvenne senza alcun dubbio. Se si considerano, infatti, gli annuari del 18591860, tale facoltà esiste a Macerata mentre nell’anno accademico successivo non se ne hanno più notizie,
così come non viene per nulla menzionata nella tabella annessa alle legge Matteucci del 31 luglio 1862, n.
719. Nella relazione Berio al primo disegno di legge Baccelli sull’istruzione superiore, la soppressione é
attribuita ad un decreto di Valerio. In Annuario dell’istruzione pubblica 1860-1861, Torino, Tipografia
scolastica, 1861, a p. 610, si legge che «a Macerata l’Università teologica é stata soppressa dal Regio
Commissario, deferendo l’insegnamento teologico alle cure degli ordinari diocesani».
45
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
illustrato, infatti, dallo stesso commissario nel resoconto delle sue azioni nei territori
marchigiani15, proprio a quei mesi devono essere ricollegati taluni decreti che colpirono
in maniera inequivocabile la prerogative della Chiesa. Tra questi si ricordano in
particolare l’esclusione dei Gesuiti dalle province delle Marche (decreto n. 7),
l’abolizione delle interdizioni a cui andavano incontro ebrei ed acattolici (n. 9),
l’abolizione del Santo Uffizio (n. 12), nonché quella del Foro ecclesiastico e del diritto
d’asilo (n. 16).
A confermare la tesi secondo la quale la Facoltà di Teologia fu abolita proprio in
quel frangente, risultano particolarmente utili anche i dati dell’anno accademico 18601861, secondo i quali figuravano come attive a Macerata solo tre facoltà
(contrariamente all’anno precedente quando erano invece quattro), ossia quella legale
con sette professori ordinari, un supplente e due emeriti, quella medico-chirurgica,
costituita da sette docenti, e quella filosofica con appena due professori ordinari ed un
emerito. Non é rinvenibile invece alcuna notizia in ordine alla Facoltà teologica, o ad
insegnamenti riconducibili a quell’ambito disciplinare, poiché Diritto canonico,
insegnato dall’avv. Filippo Borgogelli, rientrava fra le discipline di Giurisprudenza16.
Tale scelta di soppressione, comunque, aldilà delle naturali spinte anti-clericali
del tempo, deve necessariamente essere collegata anche all’esiguo numero di studenti
che in quegli anni sceglievano gli studi teologici. Nonostante gli esigui dati a
disposizione relativamente all’Università di Macerata é infatti possibile rilevare che
nell’anno accademico 1857-1858, ad esempio, furono infatti appena 7 gli studenti
iscritti alla Facoltà di Teologia; due anni più tardi, nel 1859-1860, su 127 iscritti
complessivi dell’Ateneo, appena 11 appartenevano alla Facoltà di Teologia, a fronte
invece dei 77 di Giurisprudenza, dei 26 di Medicina e Chirurgia e dei 23 di Filosofia17.
Anche altrove, tuttavia, la situazione non era affatto rosea. Basti pensare che presso la
Facoltà di Teologia dell’Ateneo di Pisa che pure, per le particolari attenzioni prodigate
dai Lorena era assurta ad un’importanza nazionale, già nel 1846 avevano sostenuto
l’esame per il Dottorato in Teologia e Diritto canonico appena 5 candidati; altrettanti
erano stati gli studenti presentatisi agli esami per il passaggio dal terzo al quarto anno di
corso, mentre solo uno studente aveva affrontato le prove per il passaggio dal secondo
15
Si veda L. Valerio, Le Marche dal 15 settembre 1860 al 18 gennaio 1861. Relazione al Ministero
dell’interno del R. commissario generale straordinario, Milano, Editori del Politecnico, 1861.
16
Si veda ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Registrazioni di lettere e decreti del Ministero
della Pubblica Istruzione, b. 693, f. 3.
17
Tali dati statistici sono riportati in Annuario dell’istruzione pubblica 1861-1862, Torino, Tipografia
scolastica, 1862, p. 571.
46
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
al terzo18. Addirittura nel periodo immediatamente post-unitario presso la Facoltà di
Teologia dell’Università di Modena risultavano attivi appena quattro insegnamenti:
Sacra scrittura e lingua santa, Teologia dogmatica ed apologetica, Storia ecclesiastica e
patrologica, Teologia morale19.
In quegli anni, dunque, sembrò ovvio, volendo rinnovare e rivitalizzare i vari
atenei, recidere un simile ramo secco dell’albero, alla luce di un lento svuotamento di
studenti e professori e dei mancati adeguamenti di stipendio per i docenti stessi.
Macerata, come anche altri centri universitari tra i quali Bologna, Napoli, Parma e
Modena, anticipò dunque una soppressione che di lì a poco più di dieci anni si sarebbe
realizzata su tutto il territorio italiano con la legge del ministro Scialoja del 26 gennaio
1873, n. 125120. All’ abolizione di tali facoltà teologiche dalle università di Stato, non
seguì, però, la cancellazione del collegio dei docenti che precedentemente aveva
rilasciato i gradi accademici. Il medesimo organo, infatti, con il placet delle autorità
governative, fu trasferito all’interno dei seminari diocesani limitrofi alle facoltà
soppresse e da quelle sedi ottenne da Roma l’autorizzazione a conferire lauree in Sacra
Teologia. Questo trasferimento di competenze spostò dunque all’interno dei seminari
una certa riflessione teologica che ne potenziò il loro ruolo in quella variegata realtà
ottocentesca di contesti per la formazione del clero.
Come già ricordato, comunque, la riapertura dell’Università di Macerata per
l’anno accademico 1860-1861 era stata fissata per la data del 20 novembre 186021.
18
Archivio dell’Università di Pisa, Processi verbali di esami, sez. D, I, n. 177, pp. 298-299.
Cfr. Annuario dell’istruzione pubblica 1862-1863, Torino, Tipografia scolastica, 1863, p. 130.
20
Legge 26 gennaio 1873 n. 1251, Abolizione delle facoltà teologiche nelle università del, in GU del 13
febbraio 1873, in CC (1874), n. 11, p. 223. Si vedano anche AP, Camera dei Deputati, Sessione 18721873, Documenti., nn. 93, 412, 432-437, 445-450 e 492; AP, Senato del Regno, Sessione 1872-1873,
Documenti, nn. 175, 266-267, 288 e 292. Per un’analisi dettagliata sui processi che portarono alla
soppressione delle facoltà teologiche in Italia si rimanda a F. Scaduto, L’abolizione delle Facoltà di
Teologia in Italia (1873): studio storico-critico, Milano, E. Loescher, 1886; B. Ferrari, La soppressione
delle Facoltà di Teologia nelle Università di Stato in Italia, Brescia, Morcelliana, 1968; F. Lazzari, Le
facoltà teologiche universitarie tra il Sillabo e l’abolizione, in AA.VV., Un secolo da Porta Pia, Napoli,
Guida, 1970, pp. 248-287; M. Marcocchi, Seminari, facoltà teologiche e università, in F. Traniello, G.
Campanini (a cura di), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), Casale
Monferrato, Marietti, 1981, vol. I, pp. 248-264; L. Pazzaglia, Il dibattito sulla soppressione delle Facoltà
teologiche nelle università di Stato (1859-1873), in Il Parlamento italiano (1861-1988), vol. III: Il
periodo della Destra: da Lanza a Minghetti (1870-1874), Milano, Nuova CEI, 1989, pp. 193-194. Da
segnalare, infine, anche il recente intervento di C. Sagliocco dal titolo L’abolizione delle facoltà
teologiche nelle Università dello Stato, presentato al convegno organizzato dal Cisui a Pavia (13-15
giugno 2011) su Le Università e l’Unità d’Italia (1848-1870), i cui atti saranno oggetto di futura
pubblicazione.
21
ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. In data 9 novembre i commissari provinciali
di Ancona e Fermo ricevettero gli esemplari del bando di apertura dell’Università di Macerata che loro
stessi, secondo un’usanza molto simile a quella del periodo pontificio, avevano fatto affiggere nel
capoluogo ed in tutti i comuni della Provincia.
19
47
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Prima di arrivare a quel giorno tanto importante per l’Ateneo maceratese, era
però necessario cercare di sistemare al meglio tutta la struttura didattica e organizzativa
del centro di studi marchigiano. Innanzitutto fu definita l’elezione a rettore di colui che
più di ogni altro raccoglieva consensi in seno all’ambiente universitario e politico della
città: il marchese Matteo Ricci22. Inoltre, il commissario provinciale procedette anche
alle nomine dei docenti che dovevano però considerare gli incarichi provvisori e non tali
da garantire alcun diritto per il futuro23.
Il 10 novembre fu notificata a tutti i docenti la chiamata per i diversi
insegnamenti e quindi la loro appartenenza ad uno specifico collegio.
Per la Facoltà giuridica, i confermati furono Tommaso Bianchini (Istituzioni di
diritto civile), Filippo Borgogelli (Diritto canonico) e Assuero Tartufari (Diritto civile);
i nuovi erano invece Matteo Ricci (Filosofia del diritto), Cesare Bianchini (Diritto e
procedura penale), Teofilo Valenti (Diritto civile patrio e procedura civile), Piero
Giuliani (Diritto commerciale)24.
Non vi furono cambiamenti per la Facoltà medico-chirurgica, dove le cattedre
rimanevano sette, le stesse già esistenti sotto il governo pontificio mentre radicale era il
mutamento nella Facoltà filosofica, dove, con la cattedra di fisica vacante25, era bandito
un regolare concorso che prevedeva uno stipendio annuo per il docente di 200 scudi.
L’11 novembre di quell’anno, dunque, stabiliti i singoli professori e gli addetti
all’Università26, il rettore Matteo Ricci fissava una serie dettagliata d’indicazioni da
seguire per l’iscrizione e la frequenza all’Università di Macerata .
22
Matteo Petrocchini Ricci fu letterato e studioso, nonché grecista ed ottimo divulgatore. Scrisse
interessanti biografie di uomini politici e letterati del suo tempo (tra cui quella relativa al suocero
Massimo D’Azeglio). Eletto senatore, fu accademico della crusca nonché direttore della biblioteca
comunale di Macerata.
23
ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Secondo quanto riportato in una lettera che
Tegas indirizzò a Valerio il 7 novembre 1860, i professori sarebbero stati semplicemente aggregati al
collegio della facoltà ma era questo l’unico vantaggio che la nomina a cattedra poteva riservargli.
24
Sia Diritto civile patrio e procedura civile che Diritto commerciale erano materie il cui insegnamento
era ritenuto indispensabile alla luce dell’entrata in vigore dei nuovi codici Civile e di Procedura a partire
dal 1 gennaio 1861.
25
Assuero Tartufari, precedente docente di fisica, era stato designato dal nuovo rettore a ricoprire la
cattedra di Diritto civile, chiudendo così un periodo dell’Università maceratese nel quale alcuni docenti
insegnavano spesso materie tanto lontane tra loro. In proposito si veda Corsi, Le Università di Macerata e
Camerino dallo Stato Pontificio al Regno d'Italia, cit. , p. 722. Nell’anno accademico successivo risulterà
docente di fisica Federico Masini. Sull’argomento si veda l’ampia documentazione presente in ASMc,
Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Registrazioni di lettere e decreti del Ministero della Pubblica
Istruzione, b. 693, f. 3.
26
L’organico degli addetti all’Università era composto dal segretario Giacomo Pergoli Campanelli (poi
insegnante supplente di Istituzioni di diritto civile), dal cassiere Vincenzo Tombesi, dai bidelli Niccola e
Cesare Lattanzi, dal custode dell’orto botanico Vincenzo Tripletta, dall’assistente ai gabinetti di fisica e
chimica Pirro Santini (farmacista). Successivamente si aggiunsero Rinaldo Sinibaldi ed Agostino
48
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Innanzitutto doveva essere presentata al rettore, entro il termine del 10 dicembre,
apposita istanza in cui lo studente desideroso di intraprendere o continuare la sua
carriera universitaria specificava in modo chiaro a quale facoltà volesse iscriversi. Per
tutti coloro che si trovavano ad iniziare il proprio percorso di studi era altresì necessario
allegare l’atto di nascita ed un attestato di buona condotta, rilasciato dalle autorità
municipali. Tutti i futuri studenti universitari dovevano inoltre aver terminato il corso
delle umane lettere e di filosofia elementare, dando saggio di «bastevole profitto
nell’una e nell’altra cosa» mediante due esami, uno orale, uno scritto, che si sarebbero
tenuti dal 24 novembre al 15 dicembre27.
Superate tali prove di ammissione, era poi fondamentale esibire il pagamento
delle tasse (16 scudi) entro la data del 10 dicembre28, pena l’impossibilità di conseguire
la matricola senza aver dimostrato un reale e grave impedimento a rispettare tale
termine; da tale onere erano esentati coloro che avessero dimostrato la propria
impossibilità a pagare e coloro che si fossero distinti per ingegno, diligenza e buona
condotta.
Proprio Ricci fissava per la data dell’1 dicembre, alle ore 11, la solenne
cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico mentre i giorni dal 20 al 30 novembre
sarebbero serviti esclusivamente per gli esami di ammissione, senza che venissero
tenute lezioni o sedute per il conferimento di titoli accademici.
Il 3 dicembre avrebbero invece avuto inizio le lezioni con l’attività didattica che
si sarebbe protratta dal lunedì al sabato, anche se solitamente ogni docente teneva
lezione tre giorni a settimana con una durata media di circa novanta minuti. L’inizio era
previsto per le 8 di mattina per terminare intorno alle 15. Non tutti i docenti, però, si
attenevano alla regola di circa tre incontri settimanali. Mentre, infatti, per la Facoltà
legale era evidente il rispetto di tale consuetudine, non altrettanto si può dire per quella
medico-chirurgica, dove professori come Socrate Bianchini o Francesco Palmieri
avevano previsto fino a cinque lezioni settimanali.
Per quanto concerneva l’ordine dei corsi, la laurea dottorale in Giurisprudenza,
che a Macerata era la più ambita, si conseguiva in quattro anni, nei quali bisognava
Benedettelli nel ruolo, rispettivamente, di ragioniere e di ingegnere. Si veda ASMc, Università, StatutiLeggi-Regolamenti, Registrazione di lettere e decreti del Ministero della Pubblica Istruzione, b. 693, f. 3.
27
Il programma indicato dal rettore sul quale sostenere gli esami di ammissione era quello del 15 ottobre
del 1850, anno in cui l’Università di Macerata era ancora sotto il controllo pontificio.
28
Qui nessuna fonte in nostro possesso chiarisce come mai il termine del 10 dicembre, peraltro valido per
tutte le università del regno, non sia stato prorogato per l’Università di Macerata, alla luce del fatto che le
prove di ammissione terminassero il 15 dicembre.
49
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
sostenere un totale di quindici esami, comprese biennalità e triennalità: tre erano gli
esami del primo anno (Filosofia del diritto, Istituzioni di diritto civile29 e Diritto
canonico), quattro quelli del secondo (Filosofia del diritto, Pandette o diritto romano,
Codice civile patrio, Diritto e procedura penale), sempre quattro quelli del terzo
(Pandette o diritto romano, Codice civile patrio e procedura civile, Diritto commerciale,
Diritto e procedura penale) come così quelli dell’ultimo (Pandette o diritto romano,
Codice civile patrio e procedura civile, Diritto commerciale, Medicina politica e legale).
Per gli altri corsi erano invece tre gli anni previsti per la licenza e la libera pratica
notarile, per la licenza e la libera pratica farmaceutica, per la laurea in Chirurgia e per
quella in Filosofia; quattro quelli necessari a chi volesse laurearsi in Medicina o volesse
conseguire la libera pratica del geometra e misuratore di fabbriche.
L’Ateneo maceratese era stato dunque riorganizzato dal commissario Valerio il
quale, dopo aver soppresso la Facoltà di Teologia a Macerata, aveva anche ridotto ad
uno il duplice insegnamento del Diritto canonico, costituito due nuove cattedre di
Filosofia del diritto e di Diritto commerciale, sdoppiato la cattedra di Testo civile in
Diritto romano e Codice civile patrio, dato alla cattedra di Istituzioni di diritto civile il
nome di Introduzione allo studio delle scienze giuridiche, secondo quanto disposto dalla
Casati, nonché sostituito l’insegnamento di Istituzioni di diritto criminale con quello di
Diritto e procedura penale.
Proprio per questo motivo lo stesso Valerio, riferendo al Governo circa il proprio
operato relativamente alla pubblica istruzione, sottolineò la fattiva attività svolta nella
riapertura delle tre università marchigiane e soprattutto la loro ridefinita strutturazione
interna:
Ho procurato di aiutare l’istruzione pubblica – affermava Valerio – e colle istituzioni e cogli
eccitamenti e coi sussidi. Le tre Università di Camerino, Macerata ed Urbino furono riformate per quanto
concesse la brevità del tempo e senza inceppare l’azione futura del Governo del Re. Esse hanno potuto
essere riaperte senza indugio, a dar frutto di insegnamenti che sono conformi ai bisogno attuali della
società e che sono sostituiti a cattedre di dubbia utilità. Taluno avrebbe desiderato che io sopprimessi
quelle piccole università almeno in parte. Invece preferii di crescerne la vitalità, poiché pensava e penso
che tali centri di cultura, massimi ed antichi, rispondano all’indole speciale delle varie province d’Italia ed
all’energia individua delle sue città30 .
29
Tale insegnamento mutò presto il suo nome in Introduzione allo studio delle scienze giuridiche.
Cfr. Valerio, Le Marche dal 15 settembre 1860 al 18 gennaio 1861. Relazione al Ministero dell’interno
del R. commissario generale straordinario, cit., p. 160. Sia l’Università di Urbino che quella di
Camerino, entrambe classificate tra le secondarie dalla Quod divina sapientia, sebbene Urbino solo a
partire dal 1826, divennero poi, con l’Unità, università libere (insieme a quelle di Ferrara e Perugia). Più
30
50
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Tante innovazioni e modifiche non potevano non aiutare un ateneo comunque in
evidente difficoltà dopo il lungo controllo pontificio. I segni di ripresa furono
immediati. Dai dati statistici del tempo, infatti, risulta che proprio in quell’anno
accademico la Facoltà di Giurisprudenza registrò uno dei dati più alti dell’intero
ventennio (54 iscritti su 102 complessivi con 31 studenti che si dedicarono all’ambito
filosofico e 17 a quello chirurgico-farmaceutico)31.
Tuttavia nello stesso anno accademico 1860-1861, partito sotto i migliori
auspici, non furono poche le turbolenze interne all’Ateneo. Con R.D. 31 marzo 1861, il
Re si trovò costretto ad accettare le dimissioni da rettore e da docente di Matteo Ricci, il
quale, come impiegato governativo, non poteva essere anche deputato per il distretto di
Tolentino32. Così, in un primo momento, con nomina del 27 giugno 1861, sembrò
toccare a Luigi Guastoni ricoprire il doppio incarico d’insegnante ma poi, a partire dal
nuovo anno accademico, entrambi gli insegnamenti furono affidati a Luigi Pianesi. Per
il ruolo di rettore, invece, la scelta cadde su Filippo Borgogelli, professore di diritto
canonico: restò in carica da aprile ad ottobre.
Inoltre le cattedre di Chirurgia ed ostetricia, di Diritto civile e di Fisica, tutte
vacanti di professori titolari, durante il corso dell’anno furono affidate a supplenti che si
ritrovavano ad essere pagati solo in base ai mesi di lezione. Tale consuetudine era in
realtà assai diffusa già nel periodo pontificio33 ma da molti era considerata come pratica
sgradita, perché atta a screditare l’istruzione stessa.
L’anno accademico 1861-1862, pertanto, dopo i toni entusiasti del novembre del
1860, si aprì invece con non pochi problemi per il nuovo rettore Luigi Pianesi34, il cui
precisamente l’Ateneo urbinate fu dichiarato tale con R.D. 23 ottobre 1862, n. 912, che si rifaceva alla
notificazione del Governo pontificio del 4 agosto 1832, che aveva dichiarato l’Università «stabilimento
provinciale». L’Università di Camerino, invece, fu proclamata libera con R.D. 24 gennaio 1861, n. 4605.
Si veda a tal proposito Di Domizio, L’Università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 171-172.
31
Per i dati completi si vedano BUMPI, 1859-1862 - maggio 1876; AP, Senato, IX Legislatura,
Documenti, tornata del 28 dicembre 1866.
32
A suffragare la tesi che l’Università di Macerata fosse ritenuta governativa dal Parlamento, va ricordato
che fu proprio la Camera dei deputati, in data 6 marzo 1861, ad annullare l’elezione del deputato Ricci,
incompatibile per quella carica a causa del ruolo ricoperto in un ateneo controllato dal Governo.
33
Sulla base di una richiesta di pagamento del professor Tartufari, relativa agli arretrati non corrisposti
dall’Ateneo per i mesi luglio-ottobre 1859 per la supplenza di Diritto civile, possiamo dedurre che i
supplenti, a seguito della delibera del 14 dicembre 1859 del governo pontificio, avessero diritto ad un
stipendio mensile di 12 scudi, a patto però che avessero superato in un mese il numero di venti lezioni.
Informazioni in tal senso sono reperibili in ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93 e
soprattutto ASDMc, Università pontificia, Anni 1819-1859, b. 39.
34
Luigi Pianesi fu studioso di legge e insegnante di retorica. Combattè come volontario a Cornuta nel
1848 e fu anche eletto rappresentante dell’Assemblea costituente della Repubblica romana. Insegnò a
Macerata Filosofia del diritto e Diritto amministrativo.
51
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
incarico fu tra i più lunghi della storia dell’Università maceratese: dall’1 novembre del
1861 a tutto il mese di ottobre del 1876.
I professori della Facoltà giuridica erano in totale otto, così come quelli della
Facoltà medico chirurgica mentre i docenti che si occupavano della Facoltà filosofica
erano appena sei. Il centro universitario maceratese prevedeva però anche un
bibliotecario ed un sottobibliotecario, un tesoriere, un computista, un ingegnere, un
farmacista, tre bidelli ed un custode dell’orto botanico. Proprio in quell’anno furono
istituite altre cinque cattedre nella Facoltà di Legge: Istituzioni di diritto romano, Diritto
amministrativo, Economia politica, Diritto costituzionale e Procedura civile mentre
l’anno successivo fu aggiunto l’insegnamento di Storia del diritto, in modo da
completare le quattordici cattedre prescritte dalla legge Casati per la Facoltà giuridica.
Gli iscritti di quell’anno accademico furono complessivamente 59 con il picco
massimo (34) raggiunto dalla Facoltà di Giurisprudenza che ebbe però un calo di oltre il
30% rispetto all’anno precedente, mentre i laureati, sempre tutti di Giurisprudenza,
furono complessivamente 13 (nel 1860-1861 erano stati 10). Decisamente basso,
comunque, nel complesso il numero d’iscritti nelle altre facoltà, con quella medico
chirurgica che raggiunse a malapena quota 7 mentre furono appena 2 coloro che
frequentarono i corsi di Farmacia, 3 quelli che si dedicarono al corso per Notaio e
Procuratore, 13 i futuri periti agrimensori e misuratori di fabbriche35.
Tali elementi mostrano come, nonostante il rinnovamento promosso da Valerio,
l’Università di Macerata si ritrovasse nuovamente a dover fare i conti con
problematiche che non potevano essere sottovalutate. L’unica vera facoltà che attirava
l’attenzione dei giovani e degli uditori era quella di Giurisprudenza mentre le altre
sembravano tutte in una condizione di estrema precarietà. Inoltre, il numero dei
professori in rapporto agli studenti pareva ad alcuni decisamente alto e sproporzionato,
in relazione alla collocazione dell’Ateneo non in una grande città ma in un piccolo
centro.
Chi muoveva tali critiche, però, non teneva conto della situazione geografica
universitaria del tempo. L’Università di Macerata, infatti, escluse le Università “libere”,
rappresentava l’unica vera alternativa del centro Italia ad una decisa migrazione di
studenti meridionali verso gli atenei di Roma o Napoli. Ma non è tutto. Scorrendo infatti
la cartina territoriale italiana, questa volta verso nord, è evidente come i giovani che
avessero voluto intraprendere la via dell’istruzione superiore, avrebbero potuto farlo
35
Per i dati completi si veda Annuario dell’istruzione pubblica 1862-1863, cit., p. 376.
52
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
solamente a Bologna, Siena o Firenze, senza alcun ateneo di medie proporzioni
collocato nelle regioni di quella che oggi siamo soliti definire la fascia appenninica del
centro Italia.
Le difficoltà dell’Ateneo maceratese, dunque, dovevano e potevano, con un
pizzico di buon senso, essere risolte cercando di venire incontro alle esigenze di un
centro di studi che comunque vantava all’epoca quasi seicento anni di storia. Ed invece,
il Ministero della pubblica istruzione scelse la via peggiore, quella che avrebbe
abbandonato l’Ateneo al proprio destino. Almeno per il primo ventennio post-unitario.
Il 5 giugno 186136, infatti, il senatore Carlo Matteucci, fisico di fama europea,
collocandosi in parte sulla strada intrapresa da Mamiani, aveva presentato al Senato un
Progetto di legge per il riordinamento dell’istruzione superiore37 che mirava alla
riduzione del numero delle università38. Egli in pratica propendeva per un marcato
accentramento che raccogliesse i docenti migliori, i laboratori più innovativi e moderni
e le biblioteche più fornite in pochi e completi centri d’istruzione. Inoltre Matteucci
prevedeva sei facoltà (Teologia, Giurisprudenza, Medicina, Filosofia e filologia,
Scienze matematiche, Scienze fisiche e naturali) per le università maggiori e
propendeva per l’unificazione dei piani studio indicando per ogni facoltà gli
insegnamenti normali e quelli speciali. Le università minori, che egli classificò come
«imperfette», non sarebbero state soppresse ma ridotte alla sola facoltà scientifica o
letteraria, in modo da salvare, almeno formalmente, istituzioni comunque antiche e non
dare così alle autorità cittadine il pretesto per insorgere contro il Governo centrale.
Di sicuro il Progetto del 1861 rappresentò un radicale cambiamento di rotta nel
pensiero di Matteucci il quale passava da una concezione manifestatamente
decentratrice, espressa nel 1860 sulla «Rivista contemporanea» in due articoli
36
Il 5 giugno il progetto fu presentato al Senato ma la discussione ci fu il 14 giugno.
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1861, Documenti., n. 2, pp. 150-160 e AP, Senato del Regno,
Sessione 1861, Discussioni, n. 1, pp. 343-344 e 382 e ss. Il progetto di legge é anche in C. Matteucci. (a
cura di), Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C.
Matteucci, Torino, Stamperia dell’Unione tipografica, 1863, pp. 71-85.
38
Sull’attività di Carlo Matteucci sia come senatore che come ministro della Pubblica Istruzione, con
particolare riferimento all’istruzione superiore, si vedano I. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla
questione dell’università in id. (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso
italiano, cit., pp. 133-184; Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’Università liberale.
Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 110-146; Polenghi, La politica
universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., pp. 240-263; Porciani, Moretti, La
creazione del sistema universitario nella nuova Italia, cit.; M. Moretti, Piccole, povere e “libere”: le
università municipali nell’Italia liberale, in Brizzi, J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa
(secoli XV-XIX), cit., pp. 533-562.
37
53
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
polemici39, ad una invece spiccatamente accentratrice40. Accanto a questa osservazione,
opportunamente sottolineata da Simonetta Polenghi41, ci sembra però opportuno, per il
nostro discorso, porsi però anche alcuni quesiti. Una simile decisione non avrebbe
comunque portato ad una morte lenta per esaurimento degli atenei minori? Perdere
mezzi, strumenti e docenti migliori non avrebbe forse costretto tali centri di studio ad
una probabile chiusura per mancanza di studenti? Coloro che sostennero le tesi del
Matteucci insistettero molto sulle finalità che il senatore cercava di perseguire con il suo
progetto. Egli intendeva infatti restituire il prestigio perduto alle istituzioni universitarie,
attraverso la riduzione del loro numero, giudicato eccessivo e soprattutto creando alcune
sedi di eccellenza; inoltre voleva necessariamente ridimensionare la gestione del potere
accademico da parte della corporazione dei professori, responsabili secondo molti
esponenti della Destra, di aver creato una vera e propria casta, che custodiva
gelosamente i meccanismi di cooptazione e le proprie prerogative di ceto.
Il progetto di Matteucci, comunque, fu esaminato da un’ autorevole
commissione del Senato, presieduta da Luigi Cibrario42, la quale però scelse di
elaborare un nuovo disegno che fu presentato in aula l’1 febbraio 186243. In esso,
sebbene si rimarcasse nuovamente la distinzione tra università di primo e di secondo
ordine (Macerata era tra queste ultime) sulla base del numero di facoltà da cui esse
erano composte, si rigettava altresì in modo categorico l’idea di soppressione degli
atenei o di mera sostituzione degli stessi con altri istituti o di riduzione ad una sola
facoltà come previsto da Matteucci. Le università minori, invece, avrebbero conservato
il diritto di conferire titoli (possibilità attribuita dal precedente progetto solo a pochi
39
Tali articoli, pubblicati nei mesi di luglio e agosto su «Rivista contemporanea», furono poi stampati
nell’opuscolo C. Matteucci, Saggi sull’organizzazione del Regno d’Italia e due lettere sulla questione
romana, Torino, UTET, 1860. In questi scritti Matteucci polemizzava contro il centralismo
amministrativo, foriero di conseguenze spesso funeste, quali ad esempio l’aumento della burocrazia e
della spese pubblica.
40
Secondo Alberto Caracciolo esistettero probabilmente tre ragioni che spinsero Matteucci a rinnegare le
posizioni iniziali per avvicinarsi a questa sua nuova visione orientata verso un sistema accentrato.
Innanzitutto, aspirando a diventare ministro, egli era costretto ad adeguarsi alla linea politica prevalente
alla luce anche delle opposizioni incontrate dai progetti Farini-Minghetti; poi, da buon fisico, era sensibile
alla penuria di laboratori ed attrezzature scientifiche nelle università, soprattutto minori. Infine, da
sempre, secondo Caracciolo, Matteucci aveva mostrato un carattere poco incline alla fermezza
d’opinione. Si veda soprattutto A. Caracciolo, Autonomia o centralizzazione degli studi superiori nell’età
della destra, «Rassegna storica del Risorgimento», IV (1958), p. 581.
41
Cfr. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., pp. 242243.
42
I membri della commissione, oltre a Cibrario, erano: Cesare Alfieri, Carlo Cadorna, Pietro Gioia,
Michel Amari, Federico Sclopis, Filippo Linati, Antonio Montanari, Celso Marzucchi, Giuseppe Moris,
Giuseppe Vacca, Angelo Sismondi, Angelo Scacchi e Matteucci stesso.
43
Il progetto di legge della commissione é in AP, Senato del Regno, Sessione 1862, Documenti., pp. 563566. La relazione in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Documenti, n. 2, pp. 666-675.
54
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
atenei), ma sarebbe stata mantenuta una disparità di trattamento economico tra i docenti
delle università complete e quelli degli atenei minori, a chiaro vantaggio dei primi.
Inoltre, rispetto a quanto previsto nel Progetto avanzato da Matteucci, le facoltà
sarebbero state riportate a cinque (proponendo che in alcune delle università primarie
fosse aggregata la Facoltà di Teologia44), mentre era accolta l’introduzione dell’obbligo
di iscrizione, voluto da Matteucci e secondo il quale erano necessari almeno quattro
anni di iscrizione per ogni facoltà prima degli esami di laurea, norma peraltro già in
vigore a Napoli. La Commissione Cibrario, inoltre, riteneva che alle medesime
condizioni poteva essere concesso non solo il mantenimento ma anche l’istituzione di
nuove università, che sarebbero state chiamate «libere», lasciando tale iniziativa a
municipi, province e private associazioni, fermo restando il ruolo dello Stato nel
prescrivere norme comuni per gli esami.
Anche tale disegno di legge restò comunque un mero progetto. Il 31 marzo 1862,
intanto, Carlo Matteucci fu nominato ministro della Pubblica Istruzione da Urbano
Rattazzi e ricoprì tale incarico fino all’8 dicembre dello stesso anno. L’attività
ministeriale del fisico fu breve ma intensa e orientata soprattutto sugli studi superiori.
Egli, all’inizio dell’estate di quell’anno, presentò infatti alla Camera un progetto di
legge relativo alle tasse universitarie ed agli stipendi dei docenti, progetto che fu
discusso alla Camera, in maniera molto animata, dal 12 al 17 luglio45. In quel periodo
furono in molti coloro che si preoccuparono della sorte delle università minori46 ma il
ministro Matteucci non ebbe alcuna considerazione di tali rimostranze. Anzi,
difendendo in Parlamento il suo progetto di legge, affermò che lo Stato avrebbe dovuto
assistere economicamente solo tre o quattro atenei, abbandonando invece gli altri alle
loro sorti: «vivranno se potranno vivere, se non potranno vivere, scompariranno»47.
Conclusosi il dibattito dopo cinque giorni di discussione, il 18 luglio la Camera approvò
44
La Commissione Cibrario si espresse a favore della conservazione della facoltà teologica soprattutto
per ossequio nei confronti della Chiesa.
45
Per un esame attento ed analitico di tale dibattito si rimanda a Ferrari, I problemi dell’Università
italiana ai primordi dell’Unità, cit.
46
Ci si riferisce in modo particolare a quanto riportato nella relazione al primo bilancio italiano della
pubblica istruzione, presentato alla Camera l’11 giugno 1862. La relazione, stesa da una commissione di
cinque giuristi presieduta dal cattolico liberale Leopoldo Galeotti, tra le altre cose, prendeva posizione a
favore della salvaguardia delle università minori. Si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862,
Documenti, n. 3, Relazione Galeotti, tornata dell’11 giugno 1862, pp. 1513-1540.
47
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Discussioni, n. 7, tornata del 12 luglio 1862, p. 3196.
Secondo il ministro la morte lenta degli atenei più piccoli per esaurimento era politicamente preferibile
alla soppressione diretta.
55
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
il progetto con 54 voti favorevoli e 67 contrari48. Il 24 luglio vi fu presentazione della
breve relazione di Cibrario, questa volta favorevole al progetto che venne dunque
discusso il 29 luglio49. Finalmente il disegno fu approvato il giorno successivo in Senato
con 71 voti favorevoli e 13 contrari50, divenendo così legge con R.D. 31 luglio 1862, n.
71951.
Con il suddetto atto legislativo si diversificarono gli emolumenti dei docenti
universitari, migliori per i professori degli atenei più importanti in modo da, almeno in
teoria, convogliare nelle sedi più prestigiose gli insegnanti più validi52; inoltre si stabilì
l’unificazione, su tutto il territorio nazionale, dell’entità delle tasse universitarie,
equiparate a quelle versate dagli studenti dell’Università di Napoli (erano le più basse
dell’intera Penisola). Si trattò di una legge importante poiché essa fu sia la prima ad
essere discussa dal Parlamento del Regno d’Italia ed estesa a tutto il territorio nazionale,
sia perché sostanzialmente Matteucci finì per creare, com’era nel suo intento già l’anno
precedente, una suddivisione degli atenei italiani in due categorie, quelli di primo e
quelli di secondo grado, distinti in maniera chiara ma secondo una ratio di fondo che
richiamava quella già adottata dal governo pontificio nel 182453. Inoltre, secondo taluni,
equiparare le tasse significava anche colpire alla radice quel fenomeno dell’emorragia
degli studenti dagli atenei più validi e teoricamente rigorosi (ma anche più cari) verso
quelli che chiedevano tasse minori.
Matteucci, però, non intendeva fermarsi alla sola legge n. 719 ma auspicava di
portare a compimento la propria opera di riforma in maniera più ampia. Già nel mese di
48
Sull’approvazione alla Camera del progetto di legge presentato da Matteucci risulta molto interessante
la Lettera di Luigi Cremona a Francesco Brioschi sulla politica universitaria del ministro Matteucci,
datata 24 luglio 1862. Essa, conservata in ACS, MPI, Personale (1860-1881), f. Cremona Luigi, ms. con
firma autografa, é stata pubblicata in Fioravanti,Moretti, Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria
(1859-1915), cit., pp. 101-103.
49
La relazione Cibrario in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Documenti, n. 3, p. 1687. Della
commissione facevano parte anche Cesare Alfieri, Antonio Montanari, Pietro Gioia e Giuseppe Ferrigni.
La discussione in AP, Senato del Regno, Sessione 1862, Discussioni, n. 2, tornata del 29 luglio 1862, pp.
1905-1921.
50
Interessante in tal senso é la Relazione al Senato sul progetto di legge sulle Tasse Universitarie,
approvato alla Camera elettiva nella tornata del 18 luglio 1862, in Matteucci, Raccolta di scritti politici
e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C. Matteucci, cit. , pp. 115-121.
51
R.D. 31 luglio 1862, n. 719, Riduzione delle tasse scolastiche e determinazione degli stipendi dei
professori delle università governative in CC, XLI, 136, pp. 2161-2163 (con annessa tabella delle tasse).
Pubblicato anche in GU, 2 agosto 1862.
52
Secondo la legge Matteucci gli atenei completi e più frequentati (Bologna, Napoli, Palermo, Pavia,
Torino e Pisa) avrebbero avuto professori meglio pagati, determinando così per le università minori (e tra
queste Macerata) un’evidente condizione di svantaggio.
53
Per la divisione pontificia tra atenei maggiori e minori si rimanda a Gemelli, Vismara, La riforma degli
studi universitari negli stati pontifici (1816-1824), cit.; Di Domizio, L’università italiana: lineamenti
storici, cit., pp. 153-176; Sani, Storia della scuola in Italia, dal Medioevo all'Unità (X. Emilia Romagna e
Stato Pontificio), cit.; L. Pomante, L’Università di Macerata nella prima metà dell’Ottocento, «History of
education & children’s literature», IV (2009), 2, pp. 73-105.
56
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
luglio, ancor prima che si arrivasse alla legge n. 719, egli aveva inviato alle università
italiane un questionario nel quale esprimere il proprio parere sui mezzi da adottare per
migliorare il livello degli studi e la disciplina studentesca. Sulla base delle indicazioni
ricevute54 ed avvalendosi della collaborazione del segretario generale Brioschi e di
un’apposita commissione, Matteucci elaborò così un regolamento generale e vari
regolamenti speciali per le quattro facoltà (nulla era cambiato per la teologica) che,
ottenuta l’approvazione del Consiglio superiore55, furono ufficialmente promulgati con
R.D. 14 settembre 1862, n. 84256. Tali regolamenti ribadirono con maggior vigore
quanto in pratica era già stato sostanzialmente deciso dalla legge del 31 luglio 1862. Le
università italiane dovevano essere divise in due categorie: quelle di primo grado
(Torino, Pavia, Bologna, Pisa, Napoli e Palermo) e quelle di secondo grado (Cagliari,
Catania, Genova, Messina, Modena, Sassari, Siena e Macerata). Solo alle prime sei era
riconosciuto il diritto di svolgere l’esame finale di laurea agli studenti e quindi di
rilasciare titoli di laurea aventi valore legale. Il regolamento generale stabiliva altresì
che i programmi per gli esami ed i temi di dissertazione di laurea fossero uguali per tutti
gli atenei, che le dissertazioni di laurea avvenissero davanti a sei commissioni insediate
nelle università di primo grado e presso le quali dovevano presentarsi tutti gli studenti
italiani; inoltre lo studente non aveva più alcuna facoltà di scelta relativamente al
proprio piano di studi poiché i regolamenti speciali avrebbero fissato annualmente un
preciso piano da seguire. Si prevedeva, infine, una pluralità di gradi accademici, sulla
base dell’esempio inglese. Oltre al diploma di laurea dottorale, venivano inseriti quello
di baccelliere e quello di licenza57, che potevano essere conseguiti rispettivamente tra il
primo ed il secondo anno di corso e al termine del terzo anno di corso, avendo
ovviamente sempre sostenuto tutti gli esami previsti.
Alla luce delle nuove disposizioni i piccoli atenei erano colpiti duramente e
sarebbero stati costretti, probabilmente, anno dopo anno, ad un progressivo
54
Sulle risposte fornire a tale questionario si veda quanto riportato in Polenghi, La politica universitaria
italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., p. 256. Interessante é anche la ricostruzione
storico-critica degli avvenimenti presente in Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione
dell’università, cit., pp. 159-164.
55
ACS, MPI, Verbali del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, 13 settembre 1862, pp. 929-940.
56
R.D. 14 settembre 1862, n. 842, Regolamento generale universitario e di quelli delle facoltà di
giurisprudenza, di medicina e chirurgia, di scienze fisiche, matematiche e naturali e di filosofia e lettere,
in CC, XLI, 166, pp. 2641-2664. Sia il regolamento generale che quelli speciali furono pubblicati anche
in GU, 1 ottobre 1862.
57
Nel sistema universitario inglese i gradi accademici esistenti erano quelli di bachelor, master e doctor.
57
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
esaurimento, soprattutto per la loro scarsa capacità attrattiva nei confronti degli studenti
che avrebbero preferito le sedi maggiori58.
Non mancarono ovviamente polemiche e proteste nei centri universitari minori,
nonché sui banchi del Parlamento59, quale reazione a quanto prima proposto, e poi
concretamente disposto, da Matteucci:
La proposta di Matteucci di radicale riduzione del numero degli atenei – secondo quanto
sostenuto dalla studiosa Ilaria Porciani – ebbe l’effetto di un detonatore e portò alla luce sacche di
resistenza rappresentate dagli interessi municipali, e la loro capacità di esercitare una notevole forza di
inerzia sull’intero meccanismo accademico. Portò in primo piano quelle frizioni tra clientele locali e
centro che sarebbero poi di volta in volta riemerse in occasione dei successivi, numerosi progetti di
riforma presentati dai successivi ministri e che non riuscirono mai a decollare60.
Inevitabilmente la legge n. 719 ed i successivi regolamenti avevano finito per
alterare gli equilibri tra le varie sedi universitarie e per incidere pertanto anche sul
terreno più ampio della politica e delle amministrazioni regionali. Nel 1863 lo stesso
organo ufficioso del Ministero, la «Rivista italiana di scienze, lettere ed arti colle
Effemeridi della Pubblica istruzione», ospitò pertanto il testo integrale della relazione
fatta da Michele Amari, successore di Matteucci e decisamente agli antipodi rispetto
alla posizione assunta dal suo predecessore, che raccoglieva la protesta locale e se ne
faceva a sua volta interprete:
Il Consiglio provinciale di Messina con una petizione al Governo ed al Parlamento espose come
il nuovo regolamento avesse trasceso il suo scopo, invaso il dominio della legge ed offeso i più vitali
interesse della provincia. Soggiunse che esigendosi studi troppi estesi ed esami particolari di ammissione,
un gran numero di giovani si erano allontanati dalle scuole e che un cambiamento così improvviso e
radicale avrebbe colpito a morte l’Università […]. Il corpo accademico di Catania considerò ingiuriosa e
notevole la classificazione delle università in due ordini, contrario alla legge lo spogliare le università del
diritto di dare gli esami di laurea, di farne compilare i programmi dalle sole sei università primarie. La
Deputazione provinciale di Cagliari in una petizione diretta alla Camera dei deputati espose che il
58
A breve distanza dall’entrata in vigore della legge Matteucci e dei successivi regolamenti furono infatti
subito evidenti le ripercussioni sugli atenei minori relativamente al numero degli studenti iscritti.
Estremamente significativo a tal proposito fu il dato relativo all’Università di Catania dove dai 609 iscritti
dell’anno accademico 1859-60 ed dai 441 dell’anno 1861-62 si passò dopo la riforma di Matteucci ai 152
iscritti dell’anno accademico 1866-1867. Si veda BUMPI, 1859-1862 e maggio 1876; AP, Senato del
Regno, Sessione 1866, Documenti, n. 8, tornata del 28 dicembre 1866 ed anche A. Gabelli, Statistica
dell’istruzione pubblica in Italia, Roma, Tipografia Eredi Botta, 1873.
59
Per l’ampio dibattito sviluppatosi in quel periodo si vedano in particolare Porciani, Lo Stato unitario di
fronte alla questione dell’università, cit., pp. 164-184 e Polenghi La politica universitaria italiana
nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., p. 258-264.
60
Cfr. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, cit., p. 136.
58
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Regolamento del 14 settembre 1862, esautorando l’Università cagliaritana, aveva gettato il malcontento e
lo sconforto nell’isola intiera. E che arrogandosi la facoltà di revocare leggi anteriori, riservata al solo
potere legislativo, aveva troncato una storia gloriosa e ferite le affezioni più legittime e care. Affermava
che l’Università priva del diritto di conferire la laurea, avrebbe perduto la sua autonomia con il
conseguente spostamento degli studenti sul Continente61.
E così, proprio a seguito di una costante pressione delle università di Bologna,
Napoli, Pisa, Catania, Cagliari, Genova e Messina, ma più in generale di tutte quelle
forze politiche che erano espressione di «piccoli interessi locali», Amari riconobbe che
il regolamento di Matteucci derogasse alla Casati ed agli statuti universitari62 mentre
fuori e dentro il Parlamento si parlò a lungo anche di illegalità ed illegittimità dei
provvedimenti assunti63. Così, il 22 marzo 1863, con R.D. n. 118064, il ministro sospese
gli articoli relativi all’esame di laurea.
Del regolamento Matteucci furono aspramente attaccati anche il rigore eccessivo
e la fiscalità esasperata con i quali veniva programmato ogni aspetto dell’attività
didattica universitaria. Il fisico romagnolo aveva infatti fissato la durata dell’anno
accademico, i giorni di vacanza, le date delle sessioni d’esame, determinando persino la
durata e le modalità di conduzione degli esami stessi. Gli studenti erano altresì obbligati
ad assistere con una certa costanza alle lezioni, pena massima l’esclusione dagli esami.
La libertà degli studenti, dunque, veniva sensibilmente limitata, se non addirittura del
tutto eliminata65. Successivamente fu oggetto di dure critiche anche un'altra parte dei
regolamenti di Matteucci, quella relativa alla prevista introduzione di un doppio
percorso di studi all’interno della Facoltà di Giurisprudenza, doppio percorso che
avrebbe portato ad una laurea in Giurisprudenza strictu sensu e ad una laurea in Scienze
politico-amministrative. Alla base di tale scelta andava sicuramente posto il graduale
aumento delle discipline, con la conseguente necessità di non appesantire
eccessivamente i curricula. Lo stesso Matteucci, nella relazione al Re che
accompagnava il regolamento, aveva precisato che
61
Cfr. «Rivista italiana di Scienze, lettere ed arti colle Effemeridi della Pubblica istruzione», III (1863), p.
223.
62
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1863, Discussioni, n. 9, tornata del 9 marzo 1863, p. 5642.
63
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1863, Discussioni, n. 9, tornata del 7 marzo 1863, p. 5632,
intervento dell’on. Toscanelli durante la discussione del bilancio per l’istruzione pubblica del 1863.
64
R.D. 22 marzo 1863, n. 1180, Sono soppressi alcuni articoli del regolamento generale per le università
in CC, XLII, n. 38, pp. 1181-1182. Tale decreto é preceduto da Relazione fatta a S.M. dal ministro della
Pubblica Istruzione, ivi, pp. 1178-1181. Il R.D. fu pubblicato in GU, 31 marzo 1863.
65
Si veda a tal proposito R. Bonghi, L’Università italiana: studii, Firenze, Tipografia Cavour, 1866, pp.
40-41.
59
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
il naturale progresso dell’umanità, gli studi più profondi della storia e la varietà degli
ordinamenti politici, hanno necessariamente creato scienze nuove, o piuttosto ci hanno costretto a
dividere in due o tre quegli insegnamenti prima raccolti in uno solo66.
In realtà, l’esperimento durò per breve tempo e fu accolto con favore solo nella
capitale, dove c’erano i centri amministrativi dello Stato. Nel 1864 il Consiglio
superiore si espresse infatti a favore dell’abolizione del doppio percorso, chiedendo
invece un’unica laurea in Giurisprudenza e di durata quinquennale. Il ministro Giuseppe
Natoli accolse con favore tale suggerimento e con R.D. dell’8 ottobre 1865, n. 252567,
eliminò la laurea in Scienze politico-amministrative68.
Le decisioni prese da Matteucci, comunque, sebbene in parte limitate e corrose
dai provvedimenti dei suoi successori, erano destinate a lasciare il segno, proprio
com’era nelle intenzioni del ministro. In una lettera all’amico Gino Capponi, datata 28
dicembre 1862, era stato infatti lo stesso Matteucci ad auspicare che i suoi
provvedimenti migliorassero l’instabile e precario quadro normativo ed organizzativo
dell’istruzione superiore in Italia:
Due scuole superiori, quattro università libere a carico di province e municipi, quattordici
università governative, molte delle quali distribuite come al medio evo, esami più deboli che in tutte le
altre università d’Europa e più che mai scarsa la produzione di opere di erudizione e di memorie originali.
Ecco l’ordinamento e i frutti della nostra istruzione superiore, che costa alla finanza più di cinque milioni,
circa 333 franchi per ogni studente […] mentre la Francia ne spende appena 180 per studente. Spendere
molto, istruire debolmente, produrre poco nelle lettere e nelle scienze, sono secondo me condizioni
intollerabili per un popolo che vuole risorgere alla libertà e ripigliare grandezza e gloria nel mondo […].
L’essenziale dunque é di fissare bene e sin da principio quali sono gli Istituti scolastici che bisogna creare
o promuovere, quali quelli che si devono abbandonare […]. Noi abbiamo troppe università e quindi
necessariamente le abbiamo imperfette […]. Vi é dunque un programma chiaro da seguire nella riforma
delle università italiane e che, senza fare miracoli, meno possibili in questa materia che in ogni altra,
condurrebbe sicuramente a diminuirne il numero, a conservarne alcune migliorate e ad avere invece delle
università soppresse o trasformate, quelle pochissime scuole di applicazione e di perfezionamento che le
66
Cfr. C. Matteucci, Raccolta di scritti varii intorno all’istruzione pubblica, Prato, Tipografia F.
Alberghetti, 1867, p. 149.
67
R.D. 8 ottobre 1865, n. 2525, Regolamento per la facoltà di Giurisprudenza in CC, XLIV, n. 61, pp.
1931-1936. Pubblicato in GU, 22 ottobre 1865.
68
Per comprendere meglio i motivi del fallimento dell’innovazione introdotta da Matteucci risulta
particolarmente utile la lettura di due documenti d’archivio del 1864 pubblicati in Fioravanti, Moretti,
Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), cit., pp. 125-131: Nota del ministro a firma
del segretario generale Giulio Rezasco al Consiglio superiore sulla struttura della facoltà di
giurisprudenza secondo il nuovo regolamento (ms con firma autografa conservato in ACS, MPI, Div.
Istruzione superiore (1860-1881), b. 1, f. Ordinamento della facoltà di Giurisprudenza) e Relazione sul
progetto del nuovo regolamento della facoltà di giurisprudenza (ms. conservato in ibidem).
60
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
nostre forze ci consentono e che bastano ai bisogni presenti. Lo Stato solo può e deve condurre a termine
questa riforma, perché a lui solo spetta la cura degli interessi generali della Nazione 69.
Nel frattempo, in questo clima nazionale acceso ed animato da grandi scontri
politici, il 15 novembre 1862 era stato inaugurato il nuovo anno accademico 1862-1863
che, a livello didattico ed organizzativo, si sarebbe uniformato al regolamento imposto
da Matteucci.
Da quell’anno ed almeno per quasi tutto il ventennio, l’Università di Macerata
avrebbe vissuto un periodo estremamente difficile, caratterizzato da una condizione
penalizzante nella quale l’Ateneo si sarebbe ritrovato a vivere a causa delle decisioni
assunte dal potere centrale.
Una delle scelte più gravose adottata a danno del centro universitario maceratese
fu senza dubbio quella relativa alla soppressione sia della Facoltà filosofica, già ridotta
nel 1833 dalla Congregazione degli studi ad una rudimentale Facoltà fisico-matematica,
sia di quella medico chirurgica, soppressioni datate entrambe 22 novembre 1862, a
seguito di un’ordinanza del ministro Matteucci, basata probabilmente sul numero esiguo
di studenti iscritti a tali facoltà. Furono così garantiti soltanto i corsi speciali per la
libera pratica in Alta farmacia, Ostetricia e Chirurgia minore, che ebbero peraltro
brevissima durata e frequenze sempre molto limitate. Fu inoltre mantenuta anche la
Scuola per gli agrimensori e misuratori di fabbriche .
Purtroppo é vero – ricordava circa venti anni dopo il deputato Assuero Tartufari – che il decreto
emanato dall’illustre Matteucci, allora ministro della pubblica istruzione, […], soppresse nel 1862 la
Facoltà medico-chirurgica e la Facoltà filosofica, mantenendo i corsi di farmacia, ostetricia, e bassa
chirurgia. Ma é vero altresì, che quel decreto fu affatto incostituzionale; avvegnaché con un semplice
decreto di ministro sopprimere o cincischiare nelle sue diverse parti un Istituto superiore scientifico
stabilito per legge, non si possa. I corsi poi di farmacia, ostetricia e bassa chirurgia sostituiti alle Facoltà
soppresse, se furono attuati, ebbero brevissima durata70.
69
Cfr. Matteucci, Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C.
Matteucci, cit., pp. VII-XXXIII.
70
Cfr. A. Tartufari, Discorso pronunziato sui Diritti dell’Università di Macerata dal deputato Assuero
Tartufari nei giorni 30 e 31 gennaio 1884, Roma, Tipografia della Camera dei deputati - Stabilimenti del
Fibreno, 1884, p. 11-12. E’ opportuno comunque sottolineare che, anche secondo quanto riportato in
Annuario dell’istruzione pubblica 1864-1865, Milano, Stamperia reale, 1864, p. 54, le soppressioni delle
Facoltà medico-chirurgica e filosofica vanno esclusivamente ricollegate ad una risoluzione del ministro
Matteucci datata 22 novembre 1862 e non a disposizioni precedenti, quale potrebbe essere la legge n. 719
del 31 luglio 1862 o i successivi regolamenti del 14 settembre. La medesima notizia la troviamo in Al
Parlamento nazionale. Petizione dei professori nella Regia Università di Macerata in risposta alle
osservazioni sul bilancio della pubblica istruzione del 1863, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1863, in
61
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Un notevole ridimensionamento, dunque per l’Università di Macerata che
comunque riuscì, a livello numerico, ad incrementare, seppur di poco, il numero di
studenti rispetto all’anno precedente. Infatti, nell’anno accademico in questione, gli
iscritti complessivi furono 68, con la Facoltà giuridica, unica vera superstite, che
continuò a recitare un ruolo dominante con 34 studenti. Erano invece sette i professori
ordinari della Facoltà giuridica oltre al professore straordinario di diritto romano,
Giovanni Battista Palestini. Per ridurre gli sprechi finanziari, alcuni docenti dovevano
peraltro sobbarcarsi il peso di più insegnamenti e tra questi appare eclatante il caso di
Teofilo Valenti che addirittura si ritrovò ad insegnare Codice civile, Procedura civile,
Storia del diritto ed Introduzione generale alle scienze giuridiche. Ancora più limitato
era il numero di docenti per i corsi speciali come quello di Alta farmacia che ne aveva
tre (Severini, Geronzi e Confidati), al cospetto invece di appena un professore ciascuno
per Chirurgia minore (Socrate Bianchini)71 e Ostetricia (Sante Sillani).
Proprio in occasione della ripresa delle lezioni, prevista secondo calendario
accademico per il 16 novembre, il rettore Luigi Pianesi stabilì una serie di nuove
disposizioni interne all’Università che dovevano regolamentare la vita didattica
dell’Ateneo. Per poter essere iscritti ad una qualsiasi facoltà o corso speciale esistente a
Macerata, era così necessario aver innanzitutto conseguito la licenza liceale e poi aver
superato un esame propedeutico, composto da una prova orale e da una scritta. Ad
esempio, per Giurisprudenza, l’orale prevedeva l’accertamento delle competenze dello
studente sui classici latini, la storia antica e moderna, la filosofia morale; lo scritto
invece consisteva nella composizione latina ed italiana.
Nel 1863 però un grande malcontento venne a crearsi in seno al centro
maceratese, soprattutto tra i docenti dell’Ateneo che si sentirono del tutto penalizzati
dalle decisioni assunte dal ministro Matteucci nell’estate del 1862: evidente, infatti,
appariva la disparità di trattamento tra i docenti marchigiani e quelli delle altre
università italiane.
Questa situazione di inferiorità, peraltro, si trascinava già da tempo ed era
riconducibile alla posizione alquanto ambigua assegnata all’Ateneo nel passaggio da
BCMc, p. 6 e in A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, Macerata, Stab. Tip.
Bianchini, 1863, in BCMc.
71
Su tale docente gli annuari del tempo creano molta confusione, attribuendo talvolta la cattedra di
Anatomia e chirurgia minore a Cesare Bianchini, talvolta a Tommaso Bianchini. In realtà il professore di
tale insegnamento era Socrate Bianchini, visto che sia Cesare che Tommaso appartenevano alla Facoltà di
Giurisprudenza.
62
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
università pontificia a università regia.. Nonostante, infatti, la commutazione del
vecchio contributo pontificio di 3.000 scudi in 15.960 lire italiane (con decreto del 3
novembre 1860) e la disponibilità del Comune a concorrere alle spese dell’Ateneo con
una somma di 4.564,36 lire72, l’Università di Macerata si era comunque ritrovata in una
condizione penalizzante, visto che il Governo l’aveva costretta a rimanere mezzo
governativa e mezzo comunale, «una sorta di essere ibrido venuto fuori chi sa da quale
innaturale connubio, essere ignoto alle leggi dello Stato italiano»73. Solitamente, infatti,
le università pontificie, di primo o secondo grado che fossero, erano rette in modo
uniforme: sebbene dipendenti dal potere centrale, esse erano amministrate dal Comune
con i beni propri, ovviamente se ne avevano mentre, in mancanza, al bilancio avrebbe
provveduto la stessa autorità comunale. Caduto il governo pontificio, le università che
non assunsero lo status di “libere” divenivano puramente e semplicemente di Stato, sia
con norme speciali, sia con le norme della legislazione piemontese.
Avvenne così ovunque, ma non a Macerata, il cui Ateneo fu invece abbandonato
alle sorti del destino. Lo Stato, infatti, non assegnò lo stipendio ai professori
dell’Università marchigiana, né lo pagò direttamente, ma continuò a pagare, come già
ricordato, l’equivalente in lire dei 3.000 scudi del bilancio pontificio in quote mensili o
bimestrali. Paradossalmente lo Stato provvedeva alle nomine dei professori ma non al
loro pagamento. I miseri stipendi dei docenti andavano così da 957 lire a 1.234 lire, ai
quali dovevano essere aggiunti i proventi delle tasse, secondo le norme vigenti sotto il
regime pontificio.
La già menzionata legge n. 719 aveva poi aggravato ulteriormente la situazione.
Come ricordato con essa si provvedeva innanzitutto agli stipendi dei docenti
universitari, attuando una distinzione tra quelli delle università di primo grado e quelli
insegnanti negli atenei minori. Da quest’elenco erano però stranamente esclusi i
professori delle università di Macerata e Sassari74, centri che addirittura non erano per
nulla considerati dal testo di legge:
72
ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Solo dal 1875 tale cifra sarà innalzata a
5.064, 56 lire e cioé l’esatto equivalente degli 858 scudi pagati quando l’Università era pontificia.
73
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 47.
74
L’Università di Sassari, insieme a quella di Macerata, fu forse una delle più penalizzate dal Governo
unitario. Soppressa dalla legge Casati, essa fu ripristinata dalla legge n. 4160 del 5 luglio1860 ma ciò non
le impedì di finire nel dimenticatoio, abbandonata dalle autorità governative. Fu poi ammessa al
trattamento di università regia di second’ordine con la legge 11 luglio 1877, n. 3937. Per una
ricostruzione dei principali avvenimenti storici relativi all’Ateneo sardo si rinvia a G. Fois, A. Mattone (a
cura di), Per una storia dell’Università di Sassari, estratto da «Annali di storia delle università italiane»,
6 (2002), pp. e a G. Fois, Storia dell’Università di Sassari (1859-1943), Roma, Carocci Editore, 2000.
63
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
L’art. 2 provvede agli stipendi dei professori a) di Bologna, Napoli, Palermo, Pavia, Pisa e
Torino; b) di Genova, Catania, Messina, Cagliari, Modena, Parma e Siena75.
Contestualmente però, la stessa legge con una dettagliata tabella si occupava,
come detto, anche delle tasse universitarie che gli studenti avrebbero dovuto pagare. In
questo caso l’Università di Macerata tornava ad essere degna di considerazione e
dunque ricompresa tra gli atenei minori76.
La situazione di disparità appariva evidente ma ci sembra opportuno, in questa
sede, tornare a riflettere su quella che fu la ratio alla base dei provvedimenti adottati da
Matteucci. Nelle intenzioni della legge n.719 c’era soprattutto la volontà di uniformare
le tasse universitarie su tutto il territorio, eliminando le notevoli disparità presenti nella
Penisola a causa dei ritardi o delle deroghe nell’applicazione della Casati. Nel 1860,
infatti, ad esempio, nelle università toscane, emiliane ed a Napoli, le tasse erano molto
più basse rispetto ai centri lombardi, costringendo gli stessi studenti ad emigrare altrove,
magari nella vicina Emilia dove i costi da sopportare erano più accessibili. In questo
modo, invece, coloro che sceglievano l’Università di Macerata, come quelli che
studiavano ad esempio a Torino, si ritrovavano tutti a pagare ugualmente 155 lire annue
per Filosofia, 280 per Medicina e Chirurgia, 410 per Giurisprudenza, 152 per Farmacia,
51 per Agrimensura, 63 per i corsi da Notaio e Procuratore77. Inoltre, sempre in
esecuzione della legge n. 719 era stato previsto che il versamento delle tasse
universitarie avvenisse direttamente negli uffici demaniali. Tale decisione, però, se
poteva apparire accettabile per quei centri nei quali lo stipendio dei professori era
erogato dallo Stato, non era ritenuta altrettanto equa in quegli atenei dove comunque
l’autorità centrale non provvedeva a pagare i professori, pretendendo però ugualmente
di riscuotere direttamente le tasse dagli studenti. A questo, come se non bastasse, si
aggiungeva che se da un lato la legge del 31 luglio 1862 aveva migliorato il trattamento
economico dei docenti (esclusi ricordiamo quelli maceratesi), la retribuzione degli stessi
75
Nel 1866 si aggiunse all’elenco delle primarie anche l’Università di Padova, nel 1870 quella di Roma.
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 140.
76
Ibidem.
77
Tali cifre testimoniano comunque che il solo costo della frequenza universitaria, cui andavano aggiunte
spese per i libri, ed eventualmente vitto ed alloggio, era proibitivo per quegli studenti che non
provenivano da un ceto alquanto benestante. Il reddito nazionale medio pro-capite nel decennio 18611870 era di 291 lire l’anno, nel decennio successivo di 348 lire. Operai, falegnami, minatori e tessitori
difficilmente raggiungevano un reddito di 900 lire annue. A ciò andrebbe aggiunto il carattere prettamente
agricolo dell’Italia, che faceva sì che gran parte della popolazione spendesse tra il 70 ed il 90% del
proprio reddito in generi alimentari. Pertanto la frequenza di un liceo o dell’università si rivelava
possibilità permessa a pochi eletti. Si veda in proposito M. Romani, Storia economica d’Italia nel secolo
XIX (1815-1914), Milano, UTET, 1968, p. 333-337 o anche il sempre valido lavoro di G. Vigo, Istruzione
e sviluppo economico in Italia nel secolo XIX, Torino, Ilte, 1971.
64
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
professori universitari rimaneva non del tutto soddisfacente per gli stessi. Ai professori
con più di dieci anni di servizio erano state assegnate 10.000 lire, mentre agli altri delle
università primarie appena 5.000 lire, con conseguente diminuzione rispettivamente a
3.600 lire e 3.000 lire alle stesse categorie nelle università secondarie. Tra i funzionari
dello Stato, però, i docenti erano forse i meno pagati, visto che un direttore generale
percepiva dalle 8.000 alle 9.000 lire, un primo dirigente circa 6.000 lire, un direttore di
sezione almeno 5.000 lire. A detta dei professori, dunque, era stata perpetrata ancora
una volta quella mortificazione economica che andava avanti ormai da anni e che si era
sperato potesse essere eliminata da Matteucci78.
A far sentire la propria voce per questo stato di disagio generatosi fu proprio
l’Ateneo maceratese, dove la situazione appariva ormai al collasso. Qui i docenti,
doppiamente danneggiati dalla legge Matteucci, si sentirono umiliati sia come docenti
universitari in generale ma soprattutto come professori relegati in una condizione di
evidente inferiorità anche rispetto ai colleghi degli altri atenei, per motivi indipendenti
dal loro valore scientifico. Essi avevano gli oneri ma non gli utili dell’insegnamento
impartito in un’Università di Stato, della quale peraltro l’autorità centrale si sbarazzava
con un irrisorio assegno da 15.960 lire. Inoltre, la Corte dei Conti negava agli stessi
docenti di poter liquidare loro le pensioni, poiché, non pagando lo Stato gli stipendi, non
se ne faceva la ritenuta, specialmente quella per le pensioni. I professori, altresì, qualora
avessero cercato di incrementare i propri introiti, avrebbero dovuto fare i conti con il
divieto di cumulare un ufficio pubblico con quello di insegnante. Oltre al già
menzionato caso del rettore Matteo Ricci, é opportuno ricordare anche quanto accadde
al prof. Assuero Tartufari che, con decreto del 23 maggio 1861, fu dimesso dall’ufficio
di professore, essendo stato nominato sostituto procuratore generale di Corte di appello.
Così, nei primi mesi del 1863, si scatenò una veemente protesta dei docenti
universitari maceratesi all’indirizzo del ministro della Pubblica Istruzione, con la
conseguente partecipazione delle più importanti componenti cittadine a sostegno delle
iniziative dei professori.
78
A tal proposito, nel 1876 Bonghi scrisse: «Si può risolutamente affermare che in Italia la condizione del
professore di università é e resterà per molti anni tale da lasciare scontentissimi di sé tutti coloro, i quali si
trovino gettati su questa misera spiaggia dell’istruzione superiore e che non trovino qualche compenso
nella gloria o in altri uffici alla durezza e allo stento della loro vita». Si veda R. Bonghi, Discorsi e saggi
sulla pubblica istruzione, Firenze, Sansoni, 1876. Proprio in considerazione dell’esiguità della
retribuzione percepita dai docenti il 22 settembre 1875 il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione si
espresse peraltro a favore del doppio incarico per i docenti presso un liceo ed un’università.
65
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
In una petizione del 16 febbraio 186379 i professori si rivolsero infatti al ministro
Michele Amari affinché venisse modificato il trattamento di notevole squilibrio
riservato all’Università di Macerata nel bilancio della pubblica istruzione e soprattutto
«per essere pareggiati al soldo ai professori delle altre università di II ordine». Dopo
aver ribadito la posizione strategica a livello territoriale dell’Ateneo marchigiano
rispetto ad altri centri, i docenti maceratesi rimarcarono come le Università di Bologna,
Modena, Parma, Pavia, Pisa e Siena, ad esempio, «trovate al pari di quella di Macerata
nelle rispettive province annesse», si trovassero in quel momento in una situazione
diversa e privilegiata rispetto a quella dell’Ateneo maceratese. Esse, infatti, sebbene
gravitassero tutte in un’orbita territoriale non distante da quella di Genova più di
centocinquanta chilometri e fossero molto vicine a centri di studio come l’accademia di
Milano o l’Istituto di Firenze, erano state tutte mantenute e tutelate, al contrario invece
di Macerata, penalizzata e resa monca nelle sue componenti, nonostante fosse «l’unico
stabilimento governativo di tale genere, che si trova tra Bologna e Napoli in una zona di
oltre quattrocentocinquanta chilometri, con una popolazione assai superiore a quella che
é nella zona ov’esistono le sei Università summentovate».
Inoltre, secondo i professori maceratesi, tali atenei costavano complessivamente
allo Stato ben 1.497.271 lire annue a fronte delle misere 15.960 lire destinate a
Macerata che, per il resto, avrebbe dovuto provvedere alla sussistenza con mezzi propri,
peraltro del tutto inesistenti o quasi.
Il risentimento più forte dei firmatari della petizione si avvertiva però soprattutto
nelle ultime righe del documento, in relazione al trattamento economico loro riservato:
I professori reclamanti hanno un onorario di 1.064 lire, decisamente inferiore a quello stabilito
dalla legge Casati per i professori dei Ginnasi e di sole 64 lire superiore allo stipendio del capo stalliere
della scuola di Veterinaria di Torino. Parecchi lo hanno anche inferiore. Ora i professori della Università
di Macerata non vedono ragione, per la quale essi deggiano essere trattati in un modo così diverso da
quello che il governo italiano usa verso i professori di altre Università. La legge del 31 luglio 1862 ha
colpito la Università di Macerata per ciò che riguarda le tasse scolastiche, come risulta dalla tabella che vi
é annessa. Dovette però essere una dimenticanza che essa non fosse contemplata dall’art. 2 della legge
stessa sugli stipendi: ma che non fosse dimenticata esigeva giustizia80.
I professori si ritrovavano dunque a chiedere che tale ingiustizia venisse
emendata quanto prima, parificando i loro stipendi a quelli delle altre università di
79
80
A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, cit.
Ibidem.
66
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
seconda classe, anche alla luce delle tradizioni gloriose dell’Ateneo marchigiano che, se
considerato adeguatamente dal Governo al pari delle altre università, avrebbe potuto
recuperare quel prestigio e quell’importanza che sempre lo avevano contraddistinto,
soprattutto per gli studi giuridici.
Per essere ulteriormente concreti ed incisivi, i docenti fecero seguire alla
petizione una precisa tabella con gli stipendi che lo Stato avrebbe dovuto corrispondere
loro, secondo le disposizioni allora vigenti per le università minori. Essi prevedevano
3.000 lire per ogni cattedra esistente (era allora complessivamente ventuno), 1.500 lire
di stipendio per il segretario, 1.300 lire per i due bidelli, 1.000 lire per le spese di
rappresentanza del rettore, 750 lire per l’assistente al gabinetto di fisica e 500 per le
spese di rappresentanza del preside della Facoltà giuridica, raggiungendo così la somma
di circa 68.050 lire alla quale andavano aggiunte 2.400 lire per quei quattro docenti
universitari con un servizio superiore ai dieci anni. Con 70.450 lire complessive
l’Ateneo avrebbe vissuto molto più tranquillamente, conducendo una vita senza stenti e
rinunce che avrebbero sicuramente messo a serio rischio la sua stessa esistenza.
Del resto, esaminando il prospetto delle spese effettuate dal Governo per
l’istruzione universitaria nel 1862, risulta evidente come la cifra richiesta non fosse
affatto esosa, alla luce soprattutto di quanto veniva erogato a favore di altre strutture.
Per citare solo alcuni esempi e sempre rimanendo ancorati a realtà non troppo grandi,
università come quelle di Catania, di Siena o di Parma, anch’esse di secondo grado,
erano costate allo Stato nell’anno precedente rispettivamente 144.353 lire, 138.753 lire
e 168.590 lire, ossia circa il doppio di quanto richiesto da Macerata nel preventivo per
l’anno successivo. Solo le Università di Sassari e Cagliari si erano ritrovate a percepire
una cifra inferiore alle 100.000 lire, e cioè, rispettivamente, 48.796 lire e 99.792 lire, e
comunque nettamente più alta rispetto al misero contributo di 15.960 lire riservato a
Macerata81.
Alla petizione dei professori maceratesi fecero subito eco una serie di lettere e di
raccomandazioni rivolte al ministro della Pubblica Istruzione e ad alcuni deputati
italiani da alte cariche universitarie ed istituzionali cittadine. Si era in pratica attivato
quel meccanismo secondo il quale ogni realtà che subisse un’ingiustizia, presunta o
81
Per il prospetto completo delle spese effettuate dallo Stato per le regie università e per altri istituti
universitari dal 1861 al 1876, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1882-1886, Documenti, n. 3,
Relazione Berio n. 26-A., tornata del 20 ottobre 1883, pp. 163-178. Nell’anno esaminato nel dettaglio,
spicca il dato che anche Scuole di applicazione per ingegneri come quella di Torino o Scuole superiori di
Medicina-Veterinaria come quella di Napoli, costassero allo Stato molto di più (tra le 60.000 e le 80.000
lire) rispetto al contributo fisso ricevuto dall’Università di Macerata.
67
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
reale che fosse, cercava di mobilitare le intelligenze o le autorità più qualificate allo
scopo di condizionare il Governo centrale. Alla base di tali cahiers de doleance, vi era
soprattutto l’obiettivo primario, almeno nei primi anni post-unitari, di mantenere quei
diritti acquisiti nei vecchi stati pre-unitari e che l’Italia unificata sembrava mettere in
discussione. Tale pratica, opportunamente analizzata da Ilaria Porciani82 con riferimento
all’istruzione superiore, faceva in modo che i leader della protesta – professori
universitari, sindaci, notabili o deputati – riuscissero a coagulare intorno a sé consensi
molto ampi sul tema della difesa degli atenei, la cui abolizione, del resto, avrebbe
costituito un immediato impoverimento per la vita culturale ed economica cittadina.
Anche Macerata non fu scevra da tale fenomeno che caratterizzò la vita del piccolo
centro marchigiano almeno fino agli anni Sessanta del Novecento.
Con maggiore risentimento, lo stesso rettore Pianesi, il 28 febbraio 1863, si
rivolgeva al conte Giuseppe Bellini, deputato al Parlamento, per sottoporgli la difficile
questione maceratese. A giudizio del rettore, il Governo era caduto nel grave equivoco
di asserire che mentre l’Università di Macerata riceveva un assegnamento di 15.960 lire,
essa stessa si mantenesse con fondi propri. In realtà, l’Università non aveva alcun fondo
ma solo un tenue sussidio dell’erario municipale, destinato all’ordinaria manutenzione
dei locali ed alle quotidiane piccole spese di amministrazione. I modesti onorari dei
professori potevano invece rapportarsi solo alle 15.960 lire erogate dal Governo, unico
fondo vero e certo.
Il 24 febbraio dello stesso anno, anche il sindaco di Macerata, Lorenzo
Lazzarini, al quale fece seguito il giorno successivo la Deputazione provinciale con
medesime argomentazioni, si rivolgeva83 con ardente animosità al ministro Amari,
“raccomandando” le richieste avanzate dal corpo insegnante dell’Università maceratese,
in «evidente condizione di inferiorità rispetto a quei professori insegnanti negli istituti
minori esistenti nella zona». Tale ingiustizia non poteva più essere tollerata da «un
Governo liberale e giusto com’è quello inaugurato dal magnanimo Re d’Italia» nella cui
rettitudine lo stesso sindaco asseriva di confidare.
Intanto il 6 marzo 1863 il gruppo dei tredici docenti maceratesi già firmatari
della petizione del 16 febbraio tornò nuovamente all’attacco, questa volta rivolgendo la
82
Si vedano le interessanti riflessioni presenti in I. Porciani, La questione delle piccole Università
dall’unificazione agli anni Ottanta, in M. Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX
secolo, Sassari, Centro interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, 1993, pp. 9-18.
83
L. Lazzarini, A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, in BCMc.
68
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
propria istanza direttamente al Parlamento nazionale e non più al ministro84. Nel
documento si rimarcava con fermezza innanzitutto il carattere governativo dell’Ateneo
che pertanto non poteva essere abbandonato al proprio destino dallo Stato:
La ragione – si legge nella petizione – sta ancora nell’essere Governativa l’Università di
Macerata e non avere una cassa propria: imperocché non é vero che abbia fondi propri e che dal Governo
riceva un sussidio, ma invece sono i fondi del Governo che esclusivamente l’alimentano, dando il
Municipio un sussidio precario bastevole appena a sopperire alle spese di segreteria, alla manutenzione
dei locali ed alle provviste per gli stabilimenti scientifici; e perciò i Professori sono vissuti sinora
coll’assegno del Governo e con le tasse ad essi devolute prima della legge 31 luglio. Non vi era titolo
perché l’Università fosse pretermessa nell’art. 2 di questa legge, onde per logica necessità bisogna
supporre un’involontaria omissione, del che é prova la enumerazione di questa Università nella tabella fra
gl’istituti governativi unicamente soggetti a questa legge; ed é per questa omissione che fu reclamato al
Ministero, e che oggi reclamasi alla Giustizia del Parlamento85.
Proprio con riferimento agli onorari percepiti dai professori maceratesi si
sottolineava come le misere 1.064 lire di stipendio fossero mortificanti e spesso anche
insufficienti agli stessi bisogni vitali. A questa situazione umana, giunta ormai ai limiti,
avrebbe dovuto porre rimedio il Parlamento:
Distinguete, o Signori, l’esistenza delle Università da quella degl’individui che la compongono:
la prima subirà tutte le modificazioni ed ordinamenti, a cui per l’interesse della nazione potranno andar
soggette le Università governative del Regno; ma per gl’individui non é questione di tasse, che non si
potrebbero restituire a quelli delle facoltà soppresse, é questione di mezzi necessari alla vita, é
conservazione di diritti acquisiti86.
In realtà il potere centrale, probabilmente consapevole della difficile situazione
alla quale era stata condannata Macerata, si era già mosso nel tentativo di alleviare una
condizione deficitaria. La soluzione adottata, però, finì per certi versi per avvilire
ulteriormente gli animi dei professori di Macerata. Dopo che lo Stato, sul finire del
1862, aveva stanziato nel bilancio 4.000 lire a beneficio dell’Ateneo per indennizzare i
docenti del mancato guadagno delle tasse e «per parificare in qualche modo la
84
Al Parlamento nazionale. Petizione dei professori nella Regia Università di Macerata in risposta alle
osservazioni sul bilancio della pubblica istruzione del 1863, cit. Tale petizione, rispetto a quella del 16
febbraio, recava questa volta in calce le firme dei professori sottoscriventi: Cesare Bianchini, Socrate
Bianchini, Tommaso Bianchini, Filippo Borgogelli, Achille Confidati, Abdia Geronzi, Piero Giuliani,
Giambattista (Giovanni Battista) Palestini, Francesco Palmieri, Eusebio Reali, Giuseppe Severini, Sante
Sillani e Teofilo Valenti.
85
Ibidem, p. 4.
86
Ibidem, p. 7.
69
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
condizione a quella degl’insegnanti delle altre Università, in cui lo stipendio fu rialzato
colla legge 31 luglio», il successivo R.D. 5 luglio 1863, n. 134987, si preoccupò anche di
elevare l’assegno annuo in favore dell’Università a 20.000 lire. La cifra aggiunta, subito
annotata nel bilancio delle spese sostenute per l’Ateneo marchigiano a partire dall’anno
1863, bastava a stento a coprire lo stipendio di un singolo insegnante! Successivamente,
il 16 luglio 1863, fu poi promulgato il R.D. n. 136288, con il quale si provvedeva alle
indennità dei rettori delle università e dei presidi delle facoltà. Anche in questo caso,
all’art. 5, l’Università di Macerata veniva palesemente discriminata visto che «nulla é
innovato riguardo al Rettore dell’Università di Macerata, la quale é tuttora regolata da
norme speciali», norme però inesistenti o comunque non attestate in alcun documento
ufficiale del tempo.
Per mitigare una situazione che si stava facendo insostenibile ma nello stesso
tempo per ribadire ancora una certa diversità dell’Ateneo maceratese rispetto agli altri
del regno, il Governo, con il R.D. 16 luglio 1863, n. 1488, all’art .1 stabiliva che «nulla
é innovato riguardo alle propine, delle quali hanno sinora goduto i professori, gli
impiegati, i bidelli ed i serventi delle Università di Sassari e di Macerata, i quali
continueranno a fruirne nelle proporzioni che erano stabilite prima della legge sulle
tasse universitarie del 31 luglio 1862»89. In tal modo il personale docente, tecnico ed
amministrativo dell’Ateneo maceratese vedeva migliorare, seppur molto lievemente, le
proprie entrate economiche, senza però dimenticare il numero sempre più esiguo di
studenti iscritti a Macerata, con conseguente diminuzione degli introiti legati alle tasse
universitarie.
All’apparenza questo blando palliativo sembrava comunque aver ripristinato uno
stato momentaneo di calma, anche se, in realtà, la condizione di abbandono nella quale
versava l’Università di Macerata era ormai ben evidente. Le 20.000 lire erogate ogni
anno dal Governo rappresentavano poche briciole al cospetto dei 5.000.000 di lire che
lo Stato spendeva per l’istruzione superiore in quel periodo90, riservando peraltro al
87
R.D. 5 luglio 1863, n. 1349, Aumento dell’assegno annuo a favore dell’Università di Macerata, in CC,
XLII, 68, p. 2140. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 23 luglio 1863.
88
R.D. 16 luglio 1863, n. 1362, Indennità concesse ai rettori, presidi e priori in luogo degli assegni di
rappresentanza, in CC, XLII, 69, pp. 2181-2182. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 30 luglio 1863.
89
R.D. 16 luglio 1863, n. 1488, Agli impiegati, bidelli e serventi sono concesse indennità per la perdita
delle propine, in CC, XLII, 85, p. 2630. Tale decreto é riportato nella sua interezza in Arangio-Ruiz,
L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 141.
90
Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1882-1886, Documenti, n. 3, Relazione Berio n. 26-A., tornata
del 20 ottobre 1883, pp. 163-178. Dal 1863 al 1876 la spesa media annua per l’intera istruzione superiore
italiana si aggirava intorno ai 5.250.000 lire, con università minori come quelle di Sassari o Siena che
venivano finanziate con contributi annui medi rispettivamente di 48.000 lire e 106.000 lire, decisamente
70
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
centro marchigiano, sia qualitativamente che quantitativamente, un trattamento sempre
inferiore a quello applicato agli altri istituti italiani.
Il nuovo anno accademico 1863-1864 si apriva dunque senza particolari squilli
di tromba ma in una condizione di evidente difficoltà. Secondo l’annuario ministeriale,
l’Università di Macerata risultava disciplinata in parte dalla Bolla papale Quod divina
sapientia, in parte dal regolamento Matteucci del 1862, palesando così una condizione
alquanto ibrida. L’inizio delle lezioni era previsto per il 16 novembre ed il termine delle
stesse fissato per il 30 giugno dell’anno successivo. Gli iscritti alla Facoltà di
Giurisprudenza erano però appena 39 (il numero più basso di tutto il decennio), gli
insegnamenti impartiti diciannove91 anche se i docenti risultavano essere quattordici (sei
ordinari, sei straordinari e due emeriti) con l’aggiunta del prof. emerito Giuseppe Cozzi,
docente di Diritto canonico.
Ancora più modesta era invece la condizione dei corsi speciali attivi a Macerata
anche se va rilevato che, oltre ai tradizionali corsi speciali in Alta farmacia, Ostetricia e
Chirurgia minore ed alla Scuola per periti agrimensori, proprio nel 1863-1864 si ha
notizia dell’attivazione a Macerata di un corso libero di lezioni accademiche su Dante,
tenuto all’interno dei locali universitari dal professor Luigi Ciardi ogni giovedì e
domenica pomeriggio alle 19. Forse un vano tentativo, ripetutosi poi inutilmente nel
1884, di auspicare il ripristino della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Sempre in quell’anno, però, accadde un fatto di una certa rilevanza ai fini del
nostro discorso. Nell’estate del 1864, infatti, il Governo mandò la stampiglia per la
franchigia postale, stampiglia che era privilegio degli stabilimenti ed uffici di Stato, e
domandò un cenno storico dell’Università di Macerata, che fu poi pubblicato, insieme
alle notizie storiche degli altri atenei, nell’annuario del Ministero della pubblica
istruzione per l’anno accademico 1864-1865. In tale documento si legge:
L’Università di Macerata risulta governata dalla bolla pontificia Quod divina sapientia e dal
Regolamento approvato con Regio Decreto n. 842 del 14 settembre 1862. In base a questo si riordinò la
Facoltà di Giurisprudenza nei due corsi in Scienze giuridiche e Scienze politico amministrative […]
mercè una risoluzione del ministro Matteucci del 22 novembre 1862 furono soppresse la Facoltà medicosuperiori alle 20.000 lire elargite a Macerata. Nei quattordici anni presi in esame, l’ateneo che richiedeva
allo Stato un numero maggiore di spese risultava invece essere quello di Napoli (600.000 lire annue),
seguito a ruota da Torino (510.000 lire), Bologna (471.000 lire) e Pisa (410.000 lire). A partire dal 1871
nella tabella delle spese per le università regie si aggiunse anche l’Ateneo di Roma che dal 1871 al 1876
ricevette un aiuto finanziario annuo medio di circa 500.000 lire.
91
Gli insegnamenti diventerebbero venti qualora si decidesse di considerare, come taluni fanno, la cattedra
di Introduzione alle scienze giuridiche e politico amministrative separata da quella di Storia del diritto. Il
professore sarebbe comunque lo stesso: Eusebio Reali.
71
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
chirurgica e la facoltà filosofica e lasciati i tre corsi speciali di Farmacia, Ostetricia e Chirurgia bassa. Vi
si mantenne pure la Scuola per gli agrimensori92.
Con tale particolare dicitura si veniva a ribadire il solito annoso equivoco.
L’Università di Macerata risultava regia e retta dalla bolla del 1824, quindi di Stato, per
tutte le norme che non fossero finanziarie, per le quali essa doveva invece restare
comunale.
Addirittura, dall’anno accademico 1867-1868, l’Università maceratese fu posta
dopo le governative e dopo Padova e Sassari, perché, come si legge in una nota, «è
governata dalla bolla Quod divina sapientia ed ha un’amministrazione speciale e rendite
proprie, oltre ad una somma di 20.000 lire corrisposta annualmente dall’erario»93.
Bisognerà attendere l’annuario del 1873-1874 per ritrovare finalmente l’Università di
Macerata in riga ed in ordine alfabetico con tutte le altre università regie.
Il periodo buio dell’Ateneo era dunque quanto mai attuale. Nell’anno
accademico 1865-1866 sparì definitivamente dalla sfera di competenza dell’Università
di Macerata la Scuola per periti agrimensori e misuratori di fabbriche mentre, di lì a
poco, l’istituzione di un corso preparatorio di Veterinaria nonché il tentativo di far
rivivere il biennio della Facoltà medico-chirurgica94 si rivelarono entrambe scelte poco
redditizie.
Di sicuro, però, il periodo più duro per l’università marchigiana fu sicuramente
rappresentato dal biennio 1876-1877 e 1877-1878, quando l’Ateneo allora retto dal prof.
Giovanni Battista Palestini fece registrare il numero minimo di iscritti del periodo post
unitario.
L’anno accademico 1876-1877, infatti, apertosi con la solenne orazione dell’avv.
Pietro Sbarbaro, ordinario di Filosofia del diritto95, sulle Condizioni dell’umano
progresso, fece segnare un evidente crollo nel numero di studenti iscritti: essi furono
appena 52 con un diminuzione di circa il 40% rispetto all’anno accademico precedente.
Ancora più drammatica si rivelò la situazione nell’annata 1877-1878, nella quale
92
Annuario dell’istruzione pubblica 1864-65, Milano, Reale stamperia, 1864, p. 54.
Annuario dell’istruzione pubblica 1867-1868, Firenze, Tipografia Eredi Botta, 1868, p. 126.
94
Il biennio di Medicina e Chirurgia fu mantenuto fino al 1876 perché, il 15 marzo di quell’anno, il
Ministero della pubblica istruzione comunicava a tutti i rettori delle università italiane che proprio in
quell’anno accademico cessavano nell’ateneo maceratese anche i corsi del primo biennio di Medicina e
Chirurgia. Gli studenti potevano recarsi a compiere altrove l’anno cominciato o compierlo a Macerata,
per poi però sostenere gli esami in altra Università.
95
In quel periodo Pietro Sbarbaro copriva per incarico anche gli insegnamenti di Diritto amministrativo e
di Introduzione allo studio delle scienze giuridiche. Nello stesso tempo, però, insegnava anche presso
l’Università di Modena Economia politica e Filosofia del diritto.
93
72
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
l’Università di Macerata toccò il minimo storico di iscritti: esattamente 47 con un calo
evidente di studenti in ogni percorso di studio.
La situazione dell’Università di Macerata era dunque arrivata al classico punto
di non ritorno: andavano fatte scelte urgenti e coraggiose, eventualmente anche
drastiche e scomode, ma che dovevano necessariamente definire in maniera netta il
futuro dell’Ateneo.
L’Università di Macerata era comunque nuovamente a capo di quel novero di
atenei minacciati di soppressione. Proprio il professor Sbarbaro ne prese le difese con
estremo coraggio in un breve saggio Sulle condizioni dell’umano progresso96. Egli,
rivolgendosi innanzitutto alla pratica dei consorzi che si stava diffondendo nella
Penisola e che poteva rappresentare una valida soluzione al mantenimento dei centri
universitari minori, auspicava infatti un pronto intervento della Provincia a tutela
dell’Ateneo cittadino.
A Sbarbaro fecero eco di lì a poco anche altri professori, politici e notabili
maceratesi. Il 4 luglio 1878, il senatore Diomede Pantaleoni97 rivolse un’interpellanza
parlamentare al ministro De Sanctis, nella quale cercava di difendere le Università
minori, definendole «i veri motori, i veri creatori di quegli istituti superiori di cultura
che anch’io auguro al mio paese e che vorrei si unissero tutte le nostre forze per
generarli»98. Solo attraverso la libera concorrenza tra le università, non condizionata
però dalle scelte del potere centrale99, si poteva creare, secondo Pantaleoni, una
selezione naturale tra gli atenei che comunque non avrebbe prodotto alcuna morte ma
semmai una trasformazione di un ente in un altro, secondo i bisogni naturali e culturali
del territorio.
Se in Senato la difesa dell’Università di Macerata fu portata avanti da Diodeme
Pantaleoni, direttamente sul posto fu invece molto attivo il professor Piero Giuliani,
docente di diritto commerciale, nonché preside dell’Istituto tecnico.
96
Si veda P. Sbarbaro, Sulle condizioni dell’umano progresso: orazione, Macerata, Stab. Tip. Bianchini,
1877.
97
Diomede Pantaleoni fu un politico italiano che, durante il pontificato di Pio IX (1846 -1878), fece parte
dei gruppi politici moderati; poi appoggiò Cavour intavolando trattative segrete con Napoleone III per
risolvere la questione romana. Eletto deputato del Regno d'Italia, venne espulso da Roma; fu nominato
senatore il 6 novembre 1873 e scrisse varie opere di natura politica. Sulla figura del senatore Diomede
Pantaleoni si veda l’interessante opera biografica redatta da R. Piccioni, Diomede Pantaleoni, Roma,
Edizioni dell’Ateneo, 2003.
98
Si veda D. Pantaleoni, Interpellanza del Senatore Diomede Pantaleoni al ministro della Pubblica
Istruzione fatta nella tornata del 4 luglio 1878, Roma, Tipografia del Senato, 1878.
99
Qui Pantaleoni faceva riferimento alla tradizione ormai diffusa in Italia secondo la quale lo Stato
prelevasse spesso dalle università minori i professori migliori per trasferirli negli atenei più importanti,
trattandoli, secondo il senatore, «come dei semplici ed impersonali impiegati. Come volete che vi sia
lotta, gara per il successo, quando essi sono tutti dello stesso padrone?».
73
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Giuliani, prima dell’Unità deciso sostenitore dell’abolizione degli atenei minori,
si mostrò invece successivamente molto ostile alla ventilata trasformazione dell’Ateneo
in un istituto superiore industriale, pensata dallo Stato per rimediare alla continua
emorragia di studenti che interessava il centro universitario maceratese.
In alcuni opuscoli100, il docente marchigiano esprimeva tutto il proprio
attaccamento all’Università cittadina, palesando invece un aspro disappunto nei
confronti di un nuovo istituto industriale che, oltre a spese notevoli, avrebbe portato ad
un sicuro insuccesso «perché la scuola d’industria può fiorire colà dove trova
l’industria, dove questa è sviluppata, non dove l’industria è limitata e poco fruttuosa»101.
Il professore maceratese sottolineava pertanto l’importanza strategica di un centro
universitario come quello di Macerata, probabilmente poco conosciuto dai più
superficiali, ma prodigo nello “sfornare” uomini illustri, e tale, nelle sue dimensioni
ancora umane, da garantire l’istruzione superiore anche ai più poveri.
Così, dopo aver demolito le proposte avverse102, Giuliani passava ad avanzare la
sua soluzione per risollevare l’Ateneo. Per il docente di Matelica era opportuno
affiancare alla sempre nobile Facoltà di Giurisprudenza ed ai già esistenti corsi di
Farmacia, Chirurgia minore e Veterinaria, il primo biennio di Ingegneria, fondamentale
per i diplomati dell’Istituto tecnico di Macerata. Tutto ciò sarebbe stato realizzabile con
un aiuto sostanzioso di Comune e Provincia, invitati caldamente dal professor Giuliani a
garantire un futuro degno all’Ateneo.
L’acceso dibattito sviluppatosi ed i vivi ed accorati appelli lanciati a difesa delle
sorti dell’Ateneo di Macerata tra la primavera e l’estate di quell’anno sortirono gli
effetti sperati. Sul finire del mese di agosto, infatti, il Consiglio provinciale di Macerata,
100
Si fa riferimento a [P. Giuliani], Poche parole intorno alla riforma dell’Università di Macerata,
Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1878, e [id.], Della conservazione o trasformazione dell’Università di
Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1878. In realtà tali scritti si presentano anonimi ma secondo
Donatella Fioretti (D. Fioretti, Università, seminari e scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione,
cit., p. 745) sono da attribuire tutti e due a Giuliani, sia per i loro contenuti che per lo stile utilizzato dal
redattore. Da entrambi i punti di vista sono evidenti molti elementi di contatto con altri documenti ed
opuscoli sicuramente attribuibili al Giuliani (si prenda ad esempio una lettera, datata 4 agosto 1878 ed
inviata al sindaco di Macerata). Inoltre in ASMc, Università, Miscellanea, Testi, temi, esami Corrispondenza varia, b. 713, ff. 278-279 sono presenti alcuni documenti manoscritti del 1877 e del 1878
nelle quali Guliani fa dei riferimenti ad alcuni suoi scritti di prossima pubblicazione inerenti il problema
universitario maceratese.
101
Della conservazione o trasformazione dell’Università di Macerata, cit., p. 8.
102
Qui il riferimento è al professor Magni di Bologna o a giornali quali «La Vedetta» o «La Gazzetta
d’Italia», principali sostenitori della necessità di sopprimere l’Università o di sostituirla con un istituto
superiore industriale. Proprio il direttore de «La Vedetta», Gregorio Tarlazzi, ebbe un acceso scambio di
idee con lo stesso Giuliani nel luglio del 1878, attraverso una serie di lettere e articoli di giornale che
destarono molto scalpore. Si veda a tal proposito «La Vedetta», 17 luglio 1878, II, suppl.,
Recanati,Tipografia Pupilli, 1878.
74
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
più volte chiamato in causa quale possibile principale ente finanziatore dell’Ateneo,
decise di affrontare seriamente il problema, nominando un commissario incaricato di
esaminare la situazione finanziaria dell’Università e di studiare una possibile forma di
cooperazione (consorzio) tra questa e gli enti locali. Nella seduta del 5 settembre
1878103, in attesa di un progetto concreto e dettagliato per il riordinamento e
miglioramento degli studi, il Consiglio provinciale accordò intanto, transitoriamente e
per il solo anno 1878-1879, un sussidio di 8.000 lire al Municipio di Macerata da
erogarsi a favore dell’Università.
Il nuovo anno accademico, pertanto, sembrava iniziare sotto i migliori auspici.
Sabato 17 novembre si tenne l’apertura ufficiale dei corsi, nella generale
consapevolezza di dover continuare a percorrere la strada intrapresa per la
sopravvivenza dell’Ateneo maceratese. Confrontando i dati statistici e didattici
dell’anno accademico 1878-1879 e di quello precedente non si riscontrano grandi
mutamenti nell’offerta formativa dell’Università di Macerata, a differenza dell’organico
docente il quale, invece, subì delle modifiche circoscritte però alla sola Facoltà
giuridica. Dai sei ordinari del 1877-1878 si scese a cinque (non c’é era più Giovanni
Battista Palestini)104 mentre si vide incrementare il numero dei docenti incaricati, e non
incardinati nell’Ateneo, con l’assegnazione a Gabriele Napodano degli insegnamenti di
Diritto e procedura penale e Filosofia del Diritto, a Dionigi Securo di Diritto
costituzionale, a Enrico Martini di Istituzioni di diritto romano, a Raffaele Pascucci di
Procedura civile e ordinamento giudiziario, a Gualtiero Moschini di Storia del diritto e
di Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche105. Sempre in quell’anno
scomparirono però il gabinetto di Anatomia veterinaria e quello di Materia medica
mentre fu allestito un nuovo gabinetto di Mineralogia. Di lì a poco, però, sarebbe stato
venduto il prestigioso orto botanico, altro pezzo storico dell’ateneo marchigiano che
andava definitivamente perduto.
103
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 5 settembre 1878, in Atti del Consiglio
provinciale di Macerata: anno 1878, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1879.
104
Si trattava di Teofilo Valenti, Piero Giuliani, Cesare Bianchini, Pietro Sbarbaro ed Abdia Geronzi. In
realtà si dovrebbe parlare di quattro ordinari poiché il prof. Pietro Sbarbaro fu «comandato» all’Università
di Napoli e fu quindi necessario coprire gli insegnamenti da lui tenuti nell’anno precedente (Filosofia del
diritto, Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche) ricorrendo ad altri docenti. Nel corso
dell’anno, poi, un’ulteriore novità fu rappresentata dalla sostituzione del professor Teofilo Valenti,
ordinario di Diritto civile nonché preside della Facoltà giuridica, colto da incurabile malattia (morirà il 3
aprile 1879), con l’avv. Francesco Ricci di Ascoli. Valenti fu nominato professore emerito mentre la
carica di preside fu assunta da Cesare Bianchini. Cfr. ANNUARIO (1879), p. 37.
105
Ibidem, pp. 37-38.
75
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Il numero degli iscritti, comunque, dopo la penuria dell’anno precedente,
aumentò in maniera considerevole, visto che dal minimo storico di 47 studenti si riuscì a
toccare quota 73, di cui però ben 54 relativi alla Facoltà di Giurisprudenza (si intende in
questo caso il corso di laurea) con 30 studenti appartenenti al primo anno (18 studenti
regolari e 12 uditori), 10 al secondo, 7 al terzo ed altrettanti al quarto. Coloro che
frequentarono il corso per Notaio e Procuratore furono invece 5, mentre 4 e 3
risultarono rispettivamente gli studenti di Ostetricia e Chirurgia minore. In 7, infine,
scelsero di dedicarsi all’ambito farmaceutico106.
Grazie all’intervento della Provincia ed alla crescita del numero degli studenti, si
era comunque diffusa tra i docenti maceratesi una certa ondata di ottimismo per il
possibile ed imminente miglioramento delle condizioni dell’Ateneo, tanto da spingere il
prof. Gabriele Napodano, nella prolusione letta in occasione dell’inizio del corso
ordinario di Diritto penale nell’anno accademico 1878-1879, ad usare parole cariche di
ottimismo ma forse anche sproporzionate rispetto ai risultati fino a quel momento
raggiunti:
Quest’anno, o Signori, segna per l’Università di Macerata un’era novella: gli studi si riprendono
con nuovi auspici. Alacremente si é proceduto al riordinamento di questa università; il successo ha quasi
interamente risposto allo zelo ed agli sforzi di illustri campioni della scienza e della cittadinanza
maceratese. Si é provveduto a quasi tutte le cattedre; e fra i nostri colleghi figurano nomi che sono
illustrazioni del nostro paese. Tutto ciò crea in voi, o giovani, un dovere ed un diritto in questa benemerita
cittadinanza107.
Nel gennaio del 1879, anche il periodico «La Vedetta», nel numero 5 del 29
gennaio, propose un articolo108 secondo il quale, in virtù dell’imminente nomina di
Abdia Geronzi quale rettore dell’Ateneo109 e del rinnovamento di alcune cattedre
universitarie110, si sarebbe presto determinata anche una crescita complessiva per
106
Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1880), pp. 83-86.
Cfr. G. Napodano, Il diritto di punire e la imputabilità umana. Prolusione letta nella Regia Università
di Macerata come cominciamento al corso ordinario di diritto penale, ANNUARIO (1879), pp. 3-35 (cit.
p. 35).
108
Cfr. L’Università, «La Vedetta», III (29 gennaio 1879), 5, p. 1.
109
La terna proposta al ministero per la scelta del nuovo rettore era composta da Abdia Geronzi, Piero
Giuliani e Cesare Bianchini.
110
Nell’articolo in questione, ci si soffermava soprattutto sugli insegnamenti di Diritto civile e di
Economia politica che sarebbero stati assegnati, a partire dal nuovo anno accademico, a due docenti di
notevole prestigio, quali rispettivamente Francesco Ricci e Niccolò Lo Savio, entrambi quarantenni, il
primo di origini marchigiane (era nativo di Ascoli Piceno) ed il secondo proveniente dalle Puglie (era
nato a Bari). In realtà, come visto, il nome di Francesco Ricci lo troviamo già nell’annuario 1878-1879
107
76
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
l’intero Ateneo, scientificamente più competitivo a livello nazionale e finalmente
capace di rinascere dalle ceneri:
Con tali uomini e con siffatte deliberazioni, il riordinamento dell’Università può dirsi perfetto.
Era necessario avere dei professori produttori di opere, e non ventri pretenziosi e imbambolati che fossero
solo consumatori dello stipendio. Ora le cattedre principali e più importanti sono coperte da veri
produttori. Ora sì che la Università deve necessariamente fiorire111.
In effetti pochi giorni dopo l’articolo apparso su «La Vedetta», l’Università di
Macerata ebbe un nuovo rettore, in sostituzione di Giovanni Battista Palestini112. Si
trattava di Abdia Geronzi113, da tempo docente nell’Ateneo maceratese, proveniente, al
contrario di chi lo aveva preceduto nella carica rettorale, non dalla Facoltà giuridica,
bensì dai corsi speciali di Farmacia e Medicina-Veterinaria, dove ricopriva il ruolo di
ordinario di Chimica organica e inorganica, Chimica farmaceutica e Tossicologia.
In terra maceratese, dunque, sembrava si iniziasse a respirare un’aria nuova,
sicuramente salubre per il destino dell’Ateneo marchigiano. Di lì a poco, inoltre, una
svolta decisiva sarebbe stata impressa dalla Provincia e dal Comune, ormai consapevoli
del proprio ruolo sul territorio. Un dato certo, comunque, era ormai sotto gli occhi di
tutti. Nell’offerta formativa dell’Ateneo, l’unico vero e valido punto di riferimento per
studenti e docenti era rappresentato dalla Facoltà di Giurisprudenza che da alcuni anni
aveva preso il sopravvento su tutti gli altri corsi esistenti nel centro universitario
marchigiano. In realtà tale trend locale rispecchiava in parte quello nazionale visto che,
analizzando il decennio compreso tra il 1871 ed il 1881, la Facoltà giuridica era tra
quelle in maggior ascesa con un incremento di oltre il 4% degli iscritti114. Macerata non
quale incaricato dell’insegnamento di Diritto civile che in un primo tempo era stato tenuto, per supplenza,
dal prof. Gaetano Foschini.
111
Cfr. L’Università, «La Vedetta», cit.
112
Temporaneamente in quei tre mesi di vacanza del rettore (1 novembre-31 gennaio) aveva svolto le
funzioni rettorali il preside della Facoltà giuridica.
113
Abdia Geronzi fu rettore della Regia Università di Macerata dall’1 febbraio 1879 al 31 ottobre 1885.
Egli, prima della riduzione dell’Ateneo marchigiano alla sola Facoltà giuridica, fu ordinario di Chimica
organica e inorganica, Chimica farmaceutica e Tossicologia. Dall’anno accademico 1880-1881 divenne
ordinario di Medicina legale ed igiene pubblica fino al 1888-1889 quando fu collocato a riposo. Nel
1885-1886 e nel 1886-1887 tenne anche il corso complementare di Legislazione sanitaria. Già sotto
l’Università pontificia di Macerata aveva comunque insegnato Chimica e Farmacia a partire dall’anno
accademico 1846-1847 fino al 1859-1860 nonché Materia medica dal 1857-1858 al 1859-1860 (in qualità
di supplente).
114
Si veda a tal proposito V. Zamagni, L’offerta di istruzione in Italia (1861-1981): un fattore guida dello
sviluppo o un ostacolo?, in G. Gili, M. Lupo, I. Zilli (a cura di), Scuola e società. Le istituzioni
scolastiche in Italia dall’età moderna al futuro, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2002, pp. 143-182.
In questo testo viene tracciata una statistica sugli studenti iscritti alle università italiane dal 1871 al 1881,
analizzando i mutamenti nell’arco del decennio. Da osservare la notevole crescita di Facoltà come quella
77
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
era assolutamente esente dall’orientamento generale tanto che nell’anno accademico
1878-1879 l’81% degli iscritti apparteneva all’ambito giuridico; l’anno successivo115 su
112 studenti totali, ben 87 avevano preferito Giurisprudenza. Senza ovviamente
dimenticare quei 10 giuristi che si erano dedicati, sempre nello stesso anno, al corso per
Notaio e Procuratore (la percentuale complessiva era dunque dell’86%). Agli altri corsi
restavano complessivamente solo 15 iscritti116. Un numero troppo misero per garantire
la sopravvivenza a rami del sapere ormai morti nel mondo accademico maceratese.
Appariva quanto mai opportuna ed imminente la scelta drastica di ridurre alla sola
Facoltà giuridica l’offerta formativa dell’Università di Macerata. E questo, infatti,
accadde nell’arco di pochi mesi.
Il 4 gennaio 1880 ci fu infatti la svolta decisiva. Sotto il ministro De Sanctis fu
emanato il R.D. n. 5236 che approvava il primo statuto del Consorzio universitario di
Macerata, costituitosi fra il Comune, la Provincia e l’Università di Macerata. Coloro che
avevano prestato il proprio ingegno per la realizzazione del primo documento
consorziale furono il senatore Diomede Pantaleoni, il consigliere Assuero Tartufari ed il
conte Tarquinio Gentili di Rovellone. Fu quella una data storica, da taluni ritenuta quasi
miracolosa poichè l’Ateneo maceratese gettava ufficialmente le basi per costruire il
proprio prestigioso futuro.
Lo statuto117, costituito da 14 articoli e da un allegato di 6 punti, definiva diritti e
doveri degli enti consorziati, stabilendo comunque in maniera chiara ed inequivocabile
che Provincia e Comune si erano uniti in consorzio con l’Università maceratese «allo
scopo di accrescere le rendite di quest’ultima con l’unico fine di migliorare la Facoltà di
Giurisprudenza». Con lo stesso R.D. 5236, infatti, l’Università di Macerata diveniva a
tutti gli effetti un ateneo ad una sola facoltà118, quella giuridica, a miglioramento della
quale erano destinati tutti i fondi erogati dallo Stato e dal Consorzio.
La durata del Consorzio era fissata in 25 anni a partire dall’anno accademico
1879-1880 e la sua istituzione obbligava Comune e Provincia ad un contributo di
giuridica (incremento di oltre il 4%) o di Medicina (si passa dal 5%). In calo, invece, gli iscritti della
Facoltà scientifica, con una perdita del 17%.
115
Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1881), pp. 63-66.
116
Per la precisione furono 7 gli studenti iscritti al corso chimico-farmaceutico ed altrettanti a quello di
Chirurgia minore. La sola Angela Pannelli fu invece l’unica studentessa iscritta al secondo anno del corso
di ostetricia per levatrici.
117
Una copia dello Statuto del 1880 é presente in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Statuto
del Consorzio universitario, b. 693, f. 9 o in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna
(1808-1905), cit., pp. 142-144. Inoltre possediamo anche la copia autonoma Università degli Studi di
Macerata, Statuto pel consorzio universitario di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1887, pp. 3-9.
118
Tale situazione anomala e unica in Italia di università mono-facoltà si protrarrà addirittura fino agli
anni Sessanta quando finalmente verrà ripristinata a Macerata la Facoltà di Lettere e Filosofia.
78
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
12.500 lire ciascuno, in cambio del quale l’Università obbligava a favore del Consorzio
le rendite119 ed il capitale che in quel momento le spettavano, sia in proprietà sia in
godimento o uso.
Compito primario della commissione consorziale, costituita da tre elementi120,
era il pagamento degli onorari agli insegnanti e degli aumenti quinquennali – un decimo
dello stipendio - a loro dovuti secondo le leggi generali. L’Università, in pratica, si era
riconosciuta di secondo ordine e pertanto, secondo la tabella indicata in appendice allo
statuto, lo stipendio di un professore ordinario ammontava a 3.000 lire mentre quello di
un docente straordinario a 2.100 lire, limitando al numero di otto professori la prima
categoria e a quattro la seconda, per una spesa complessiva di 32.400 lire. A questi
dodici insegnanti ne andavano poi aggiunti altri quattro “incaricati” che portavano
l’esborso totale a 36.750 lire. Ad elargirlo doveva essere la commissione amministrativa
e non lo Stato che continuava invece a versare le proprie fisse 20.000 lire alla cassa
consorziale121.
Ci si trovava sicuramente davanti ad un ordinamento molto singolare, secondo il
quale l’Università di Macerata, dichiarata «regia», non assumeva però assolutamente la
fisionomia di un istituto superiore statuale mentre i professori risultavano impiegati
governativi a metà: nominati dallo Stato ma pagati dal Consorzio122.
Dopo aver provveduto al pagamento degli stipendi dei docenti, il Consorzio
aveva l’onere di sostenere anche altre spese, relative al personale di servizio ed
amministrativo, alla didattica ed alla manutenzione ordinaria.
Di fondamentale importanza era poi l’art. 11, in base al quale le tasse
scolastiche, fino a quel momento devolute ai professori, dovevano invece ora
convergere direttamente nella cassa consorziale. Tutti i sopravanzi che annualmente si
119
Le rendite in realtà si riducevano a ben poca cosa: appena 289,94 lire di interessi annui attivi ed 80 lire
di fitti.
120
Nell’anno accademico 1879-1880 ed in quello immediatamente successivo, nella commissione,
accanto al rettore Abdia Geronzi, operarono in rappresentanza rispettivamente di Comune e Provincia,
l’avvocato Guglielmo Lunghini (per l’anno 1879-1880 supplente fu l’avvocato Enrico Severini, per il
1880-1881 l’avvocato Cesare Papi) ed il conte Domenico Silveri (supplente fu il conte Filippo Desanctis).
Si vedano in proposito ANNUARIO (1880), pp. 59-60 e ANNUARIO (1881), p. 66.
121
In realtà il Governo versava nella cassa del Consorzio 18.680 lire, al netto di una ritenuta della quale si
parlerà più avanti.
122
Su tale argomento si veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905),
p. 60-61. Secondo Arangio-Ruiz, il Governo aveva fatto un preciso calcolo matematico: per mantenere
una Facoltà di Giurisprudenza di second’ordine occorrevano circa 40.000 lire annue per stipendi ed altre
spese ordinarie, e di sicuro, in casi come quello di Macerata, con notevole scarsezza di studenti, lo Stato
avrebbe dovuto raddoppiare la cifra del suo contributo. Pertanto, pur contrastando con la natura giuridica
dell’Università, indubbiamente di Stato sotto il cessato regime pontificio, secondo il Governo toccava agli
enti locali garantire la sopravvivenza all’ateneo: «se i maceratesi vogliono l’Università, se la paghino!».
79
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
sarebbero verificati sulle rendite, infine, secondo quanto previsto dall’art. 13, sarebbero
stati comunque capitalizzati e resi fruttiferi.
Ufficialmente con l’istituzione del Consorzio iniziava il secondo periodo post
unitario dell’Università di Macerata, che si sarebbe concluso con il pareggiamento
dell’Ateneo maceratese agli alti centri universitari di primo grado. Il percorso, però, in
un arco temporale di circa ventuno anni (dal 1880 al 1901), si rivelò irto e pieno di
insidie che continuarono a minare le fondamenta di una gloriosa università, tra le più
antiche d’Italia.
In ogni caso il nuovo anno accademico 1880-1881 si aprì in un clima
estremamente positivo. Il rettore Abdia Geronzi, nella sua relazione inaugurale del 21
novembre 1880123, invitò l’intera componente docente, amministrativa e studentesca a
cercare di sfruttare al meglio la nuova situazione creatasi:
Signori la riforma del nostro Ateneo fu concessa dal Governo quasi a modo di esperimento, e si
vuole un esperimento serio: se ne vogliono vedere i frutti serii, scriveva una persona autorevolissima, per
accordarci quel largo favore che il Governo non sarebbe alieno dal riconoscere utile. Decisivi dunque
vogliono essere i risultati dell'esperimento, e partendo dal concetto che il Governo non intende alimentare
istituti d'istruzione superiore unicamente per fini professionali, adopriamo tutte le nostre forze perché il
Governo vegga che qui coltivansi degnamente le scienze giuridiche e sociali124.
Quella di Giurisprudenza, come già ricordato, era ormai l’unica facoltà
superstite, con la solita ma rinomata appendice giuridica rappresentata dal corso per
Notaio e Procuratore. Le cattedre erano complessivamente diciotto, con la presenza
rispetto all’anno precedente di diversi nuovi insegnamenti, quali Esegesi del diritto
romano, Statistica, Compendio d’anatomia umana e Diritto canonico125. A tenere le
lezioni quasi quotidianamente vi erano undici docenti126 mentre risultava annessa
all’Università la Biblioteca Comunale “Mozzi Borgetti”127.
123
In quell’anno a tenere il discorso di solenne inaugurazione degli studi, dal titolo Le violazioni della
giustizia economica, causa ed effetto ad un tempo delle guerre civili ed internazionali, fu invece il prof.
Niccolò Lo Savio.
124
Cfr. Inaugurazione dell’anno scolastico 1880-81. Parole del Rettore ff. Prof. Abdia Geronzi,
ANNUARIO (1881), p. 10.
125
In realtà tale insegnamento, seppur previsto nel prospetto delle lezioni per l’anno accademico 18801881 (le lezioni erano state fissate per il giovedì alle 11 e per il sabato alle 13), fu realmente impartito
solo a partire dal 1881-1882. L’incaricato fino all’anno accademico 1890-1891 fu il prof. Giuseppe
Leporini.
126
I professori ordinari e straordinari, scelti per il “nuovo corso” dell’Università di Macerata furono
undici: Cesare Bianchini (ordinario di Diritto costituzionale e incaricato di Diritto internazionale), Carlo
Fadda (ordinario di Diritto romano e incaricato di Esegesi del diritto), Abdia Geronzi (ordinario di
Medicina legale ed igiene pubblica), Gabriele Napodano (straordinario di Diritto e procedura penale e
80
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
La profonda trasformazione dell’ateneo portò probabilmente i suoi frutti in fatto
di iscritti, visto che già nell’anno accademico 1880-1881 si ebbe un notevole
incremento nel numero, con 119 studenti per la Facoltà giuridica e 10 studenti che si
dedicarono invece al corso di per Notaio e Procuratore128. L’impresa di rivitalizzare un
ateneo in difficoltà sembrava pertanto riuscita, anche se dopo il naturale entusiasmo
iniziale, era ovvio dover tornare a fare i conti con la dura realtà. Problemi ed ambiguità
non erano infatti stati del tutto accantonati ed andavano affrontati con decisione. La
Commissione amministrativa, comunque, cercò di rivitalizzare ulteriormente il centro
universitario, stanziando innanzitutto una serie di borse di studio per i più meritevoli, il
cui importo fu aumentato anno dopo anno129, e istituendo a Macerata, nell’anno
accademico 1881-1882, un corso speciale di Esegesi della legge notarile, insegnamento
unico in Italia, tenuto dal professor Raffaele Pascucci di Cessapalombo.
Questi tentativi di crescita portati avanti dal Consorzio non coincisero però
assolutamente con la considerazione che il Governo continuò ad avere dell’Ateneo,
sempre lasciato in un’anomala ed ibrida condizione giuridica. Di questo si lamentarono
soprattutto i docenti dell’Università, toccati nella loro dignità e pronti ad ingaggiare
dure battaglie pur di vedersi attribuito il giusto. Nello specifico si voleva fare in modo
che venisse riconosciuta la natura statuale dell’Ateneo, corrosa peraltro da un altro fatto
abbastanza grave, forse trascurabile a livello finanziario come introito mancato ma assai
spiacevole a livello morale e giuridico. Sul contributo pagato dallo Stato di 20.000 lire,
infatti, veniva da questo ritenuta l’imposta di ricchezza mobile del 6,6%, il che negava
ogni carattere di statualità all’istituto. In pratica l’assegno pagato dall’autorità centrale
incaricato di Filosofia del diritto), Niccolò Lo Savio (straordinario di Economia politica e incaricato di
Statistica), Gaetano Foschini (incaricato di Istituzioni di diritto romano), Pasquale Melucci (incaricato di
Diritto civile e di Diritto commerciale), Giuseppe Leporini (incaricato di Diritto amministrativo), Raffaele
Pascucci (incaricato di Procedura civile ed ordinamento giudiziario), Gualtiero Meschini (incaricato di
Storia del diritto e Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche), Carlo Lauri (incaricato di
Compendio di anatomia umana). Esistevano poi otto professori emeriti ed onorari del Collegio medicochirurgico che, oltre ad essere docenti legati a Macerata, ricoprivano in quel momento importanti cariche
anche in altre sedi universitarie o enti pubblici: Assuero Tartufari (consigliere di cassazione a Roma),
Francesco Marcucci (consigliere delegato alla Prefettura di Genova), Federico Bosi (Università di
Bologna), Patrizio Gennari (Università di Cagliari), Raffaele Antinori (Università di Perugia), Giovanni
Daneo (Provveditore agli studi in Genova), Federico Massini (emerito di Fisica) e Luigi Ranaldi (emerito
di Matematica). Tali dati sono estratti da Personale insegnante ed amministrativo, ANNUARIO (1881),
pp. 57-59.
127
La Biblioteca Comunale “Mozzi Borgetti” era aperta tutti i giorni tranne che in quelli festivi con orari
variabili a seconda dei singoli mesi. I curatori erano il rettore Abdia Geronzi, l’avv. Enrico Antinori,
l’ing. Ruggero Pannelli mentre il bibliotecario onorario restava il marchese Matteo Ricci. Assistente e
bidello erano invece rispettivamente Cesare e Pietro Capodacqua.
128
Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1882), pp. 72-74.
129
Nell’anno accademico 1881-1882 tale borsa di studio ammontava a 100 lire mentre a partire dal 18881889 si passò stabilmente alla cifra di 200 lire.
81
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
appariva come una sorta di sussidio offerto dallo Stato ad un ente autarchico tanto da
spingere Arangio Ruiz a commentare la situazione in maniera polemica: «ma allora
perché non gli si lascia completa autonomia?»130
Così nelle tornate parlamentari del 30 e 31 gennaio del 1884131, il deputato
Assuero Tartufari fece sentire la propria voce a difesa dell’Ateneo. Dopo aver
ricostruito brillantemente e con una notevole partecipazione emotiva la difficile e
tormentata storia dell’Università di Macerata, Tartufari affrontava il problema
dell’anomala ed umiliante condizione giuridica del centro universitario maceratese,
vittima di una vera e propria ingiustizia, e per il quale era giusto pretendere maggiori
contributi governativi. Particolarmente toccante risulta l’immagine finale, quasi da
scuola di retorica:
Io schiero, nella mia fantasia, tutte le Università secondarie governative, come fossero altrettante
persone viventi davanti al governo del regno d’Italia sino dal 1861. Cagliari, Messina, Modena, Sassari,
Siena, Macerata […] Alle prime cinque il nuovo Governo italiano fa liete accoglienze, e parendogli che
non fossero decentemente e riccamente vestite, le ricopre generosamente e le adorna il meglio che per lui
si possa. La sesta, Macerata, la lascia in sul lastrico, la spoglia de’ suoi migliori ornamenti; e poi non osa
metterla assolutamente fuori di casa o spegnerla; ma la lascia in sola camicia a basire d’inedia, a morire
dal freddo132.
Il discorso di Tartufari, forse perché particolarmente incisivo, forse perché
supportato da chiare ed attendibili argomentazioni, sortì gli effetti sperati, anche grazie
all’insistenza dello stesso deputato sulla medesima questione nel maggio del 1884. Così
il 27 maggio di quell’anno, il ministro Coppino si espresse intorno alla natura
dell’Università di Macerata, definendola «essenzialmente governativa».
Tale riconoscimento esclusivamente formale non poteva però bastare all’Ateneo,
che necessitava di una tutela anche giuridica della propria posizione, in modo da poter
ricevere per intero il contributo statale di 20.000 lire, senza dannose ritenute.
Per dirimere tale ambigua situazione, il Ministero delle finanze fu costretto a
sottoporre la questione alla III sezione del Consiglio di Stato, e questa, con decisione
del 22 agosto 1884, auspicò che l’imposta di ricchezza mobile cessasse di essere
applicata all’assegno di 20.000 lire. A questo punto il Governo non poteva che
130
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 64.
Si veda Tartufari, Discorso pronunziato sui Diritti dell’Università di Macerata dal deputato Assuero
Tartufari nei giorni 30 e 31 gennaio 1884, cit.
132
Ibidem, p. 45.
131
82
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
uniformarsi al parere del suo organo consultivo e dal 1° gennaio 1885 iniziò finalmente
a pagare integralmente la somma stanziata in bilancio.
L’attività accademica maceratese era intanto in fermento. Per suscitare
l’interesse dei giovani cultori del mondo giuridico, furono infatti istituiti diversi corsi
complementari, tra i quali quello di Legislazione civile comparata nel 1884-1885,
insegnamento tenuto per incarico dal prof. Guido Fusinato. Inoltre nel 1888-1889,
quando gli studenti iscritti all’Università erano diventati 124 (uditori compresi)133,
nacque nella cittadina marchigiana anche un circolo giuridico134, tra i pochi presenti in
Italia, allo scopo di agevolarne i soci (studenti, uditori a corsi singoli e laureati in
Giurisprudenza da non oltre un triennio) nello studio delle discipline giuridiche e
sociali. Tale circolo era diviso in due classi, una di Diritto privato, l’altra di Diritto
pubblico e scienze economiche e sociali, e si preoccupava di mettere a disposizione dei
propri iscritti i libri più costosi, di organizzare conferenze ed addirittura di bandire
concorsi o premi sulle tesi di laurea. Un’iniziativa assolutamente meritevole di lode e
che rendeva più viva e meno cattedratica la vita universitaria dell’Ateneo, con un
interesse sempre crescente per il mondo giuridico135.
Di sicuro però, compiendo un piccolo passo indietro, fu l’anno accademico
1886-1887 a meritare una maggiore considerazione e quindi un’analisi più attenta, visto
che proprio in quel periodo si verificarono due avvenimenti destinati a lasciare il segno
sul futuro dell’Università di Macerata. Il 22 maggio 1886, innanzitutto, fu inaugurata
solennemente la stazione ferroviaria di Macerata ed il tronco Macerata-Porto Civitanova
che congiungeva la città marchigiana alla grande linea litorale adriatica; il 23 dicembre
1887 invece fu aperto anche l’altro tronco ferroviario Macerata-San Severino che
metteva in comunicazione Macerata con la linea di Roma e dell’Italia centrale. La
comunità maceratese abbandonava finalmente il suo atavico e fastidioso isolamento
territoriale: grazie alle strade ferrate Macerata entrava in maniera decisa a stretto
contatto con tutte le altre realtà della Penisola, candidando di conseguenza il proprio
Ateneo a meta di studio agevole e privilegiata per quasi tutti gli studenti del centro e sud
Italia. Inoltre, proprio il 1° giugno 1886, il ministro Michele Coppino, con una circolare
ministeriale accolta con una certa soddisfazione dalla componente scolastica, aveva reso
noto l’accordo raggiunto tra il ministero della Pubblica Istruzione, quello dei Lavori
133
Tale dato é estratto da ANNUARIO (1890), pp. 77-81.
Sulla nascita del circolo giuridico si vedano i documenti conservati in ASMc, Università, Miscellanea,
Carte varie, b. 711, f. 251.
135
Lo statuto di tale circolo giuridico é rinvenibile in ANNUARIO (1889), pp. 103-104.
134
83
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Pubblici e la Società ferroviaria delle reti adriatica, mediterranea, sicula e sarda, per
mezzo del quale si garantivano abbonamenti e biglietti ferroviari a prezzi speciali per gli
studenti. L’utilizzo delle ferrovie rappresentava dunque una nuova via di comunicazione
imprescindibile per muoversi a costi contenuti e a giovarsene furono soprattutto coloro
che dovevano spostarsi per motivi di studio. Prescindendo da quelle che potevano essere
le discutibili limitazioni presenti nell’accordo raggiunto tra i ministeri136 e ignorando le
migliorie comunque necessarie da apportare ai tratti ferroviari, dall’opera del ministro
trasse beneficio evidente anche l’Università di Macerata. L’afflusso di studenti, infatti,
aumentò in maniera considerevole con il passare degli anni, raggiungendo già all’inizio
dell’ultimo decennio del secolo le 160 unità137. Ovviamente parte del merito era da
attribuire anche alla nascita dei nuovi tronchi maceratesi di strada ferrata che avevano
reso molto più comodo e breve il viaggio verso Macerata.
Il 6 febbraio 1887, poi, con R. D. n. 4338, fu ufficialmente riconosciuta
un’importante revisione dello statuto del Consorzio138. Tale revisione, pur senza
aumentare il contributo statale a favore di Macerata, né quelli erogati dal Comune e
dalla Provincia, determinò comunque un cambiamento fondamentale per l’Ateneo
maceratese Gli stipendi ai professori ordinari e straordinari, al segretario ed al bidello,
nonché la retribuzione al rettore, non erano infatti più pagati dal Consorzio ma dallo
Stato, a carico del quale erano anche le pensioni e gli aumenti quinquennali dei
professori ordinari. In pratica, a livello di spesa lo Stato non si caricava di cifre molto
diverse da quelle degli anni precedenti ma di sicuro il pagamento delle pensioni e dei
quinquenni degli ordinari rappresentavano un’uscita importante alla quale lo Stato
doveva far fronte.
136
Si veda a tal proposito la C.M. 1 giugno 1886 sugli abbonamenti ferroviari per gli studenti riportata in
ANNUARIO (1887), pp. 95-96. Secondo quanto previsto dall’accordo, per usufruire di agevolazioni sui
biglietti e sugli abbonamenti ferroviari era necessario il sussistere di alcune condizioni, quali:
immatricolazione universitaria, distanza massima di 100 km tra la stazione di partenza e quella di arrivo,
viaggio da svolgere necessariamente in seconda o terza classe, impossibilità di usufruire di fermate
intermedie. Alcune di queste condizioni limitative, soprattutto quelle relative al modesto chilometraggio
previsto dall’accordo, furono oggetto di critiche da parte degli studenti.
137
Il dato é relativo all’anno accademico 1891-1892, quando fu particolarmente alto anche il numero di
laureati che toccò le 44 unità, un quasi record per tutto il periodo che intercorre tra il 1861 ed il 1901
(solo nell’anno accademico 1897-1898 si riuscì a fare meglio con 47 laureati). Si vedano i dati riportati in
Elenco degli studenti e uditori iscritti nell’anno scolastico 1891-1892, ANNUARIO (1893), pp. 117-124.
138
Il documento é conservato in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Statuto del Consorzio
universitario, b. 693, f. 9. Una copia é altresì presente in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata
nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 145-147. Inoltre possediamo anche la copia autonoma
Università degli Studi di Macerata, Statuto pel consorzio universitario di Macerata, cit., pp. 10-14, in
BCMc.
84
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
La grande novità era però rappresentata soprattutto dal riconoscimento giuridico,
finalmente palese, tributato all’Università di Macerata che abbandonava quasi del
tutto139 la sua condizione speciale, per essere trattata come un’università di secondo
grado di stampo governativo. Il Governo nominava i professori e di conseguenza
pagava anche il loro stipendio e gli eventuali contributi supplementari. L’Università di
Macerata vedeva così riconosciuto un altro sacrosanto diritto. Come opportunamente
osservato da Arangio-Ruiz140, comunque, la revisione dello Statuto consorziale,
avvenimento estremamente positivo per le sorti dell’Università di Macerata, aveva però
anche portato ad un certo irrigidimento da parte del Governo, costretto ad accettare le
nuove condizioni ma malvolentieri. Essendo la cifra di 20.000 lire sempre stata
considerata il maximum di sacrificio che lo Stato poteva sobbarcarsi, il successivo
carico dei quinquenni e delle pensioni aveva rappresentato uno straripamento rispetto a
precisi limiti, in conseguenza del quale si arrivò negli anni successivi anche a situazioni
quasi paradossali. Basti pensare, ad esempio, che, quando nell’anno 1895 l’unico
segretario dell’Università maceratese, che percepiva 1.800 lire, dovette essere trasferito,
il Governo arrivò addirittura ad emanare un apposito decreto141 per tutelarsi da eventuali
ulteriori esborsi. Sulla base della revisione dello Statuto consorziale del 1887 e di
quanto stabilito dal R.D. 12 febbraio 1893, n. 54, che modificava il ruolo organico delle
segreterie universitarie, il nuovo segretario non risultava pertanto più inserito nel ruolo
organico del personale dell’Università di Macerata bensì in quello delle segreterie
universitarie, con conseguente aumento dello stipendio a 2.000 lire mensili. Il potere
centrale, però, in conformità al regime letterale dello Statuto del 1887, si rifiutò di
pagare l’aumento, costringendo il Consorzio a versare nelle casse dello Stato anche la
misera somma mancante di 200 lire annue. Era questa l’ennesima dimostrazione di
come l’autorità centrale avesse sì fatto delle concessioni all’Ateneo maceratese,
continuando però a sentirlo ed a considerarlo come un corpo estraneo non integrato
nella realtà universitaria nazionale. Una situazione oggettiva che necessitava di ulteriori
139
Si veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 66-67.
Secondo Arangio-Ruiz l’Università di Macerata rimaneva infatti in una condizione giuridica speciale per
due punti. Innanzitutto per il fatto che le retribuzioni dei professori incaricati venissero ancora pagate dal
Consorzio, sebbene le nomine le facesse il Governo; in secondo luogo per l’autonomia che veniva
confermata all’Università in relazione alle tasse scolastiche.
140
Ibidem, p. 71.
141
R.D. 23 ottobre 1895, n. 644 – Modificazioni al ruolo organico del personale dell’Università di
Macerata e delle segreterie universitarie. Tale decreto fu pubblicato in GU, 13 novembre 1895, n. 267, p.
6013.
85
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
decisi interventi al fine di sanare definitivamente quello status di inferiorità nel quale
continuava a versare l’Ateneo di Macerata.
Gli ultimi anni del 1800 furono peraltro caratterizzati dalle forti polemiche
sollevate dal mondo docente italiano. In modo particolare, i professori delle università
italiane di secondo grado avevano fatto sentire la propria voce per lamentarsi del tenore
troppo misero degli stipendi a loro erogati e della disparità di trattamento rispetto ai
colleghi delle Università primarie.
Da qui il movimento che condusse, negli anni 1885 e 1887, al pareggiamento
agli atenei primari, prima delle Università di Genova, Catania e Messina142, poi degli
atenei di Siena, Parma e Modena143, attraverso una serie di “leggine” parziali che
giocarono d’anticipo rispetto ai risultati di una legge quadro più ampia, in un periodo
nel quale era peraltro in discussione la legge Baccelli sull’autonomia universitaria.
Come sottolineato da Ilaria Porciani si stava affermando una linea politica caratterizzata
dal
compromesso: mentre si continuava a parlare della grande riforma onnicomprensiva, di fatto il
parlamento accettava di legiferare “caso per caso” mettendo il ministero e il paese di fronte al fatto
compiuto della conservazione di un sistema policentrico che […] certamente non consentiva la
realizzazione di una riforma complessiva capace di tenere conto di interessi al tempo stesso di
concentrazione delle risorse – e dunque di impianto di centri di ricerca forti – e di differenziazione
dell’offerta formativa144.
142
Nel mese di gennaio del 1885 il ministro Coppino aveva presentato alla Camera dei Deputati una
convenzione con i consigli comunali e provinciali di Genova per il pareggiamento dell’Università ligure a
quelle di primo grado. Tale convenzione fu approvata il 9 dicembre 1885, ma venne riconosciuta con
R.D. n. 3570 solo quattro giorni dopo, il 13 dicembre 1885, data nella quale furono riconosciute, con il
medesimo R.D. anche le convenzioni con il Comune e la Provincia di Catania e di Messina per il
pareggiamento delle rispettive università a quelle di primo grado. Si veda tale decreto in BUMPI (1887),
II, n. 6, pp. 531-546. Sul pareggiamento dell’Università di Messina si veda poi in particolare D.
Novarese, Da Accademia ad Università. La rifondazione ottocentesca dell’Ateneo messinese, in Da
Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., pp. 59-79; su quello dell’Università
di Genova si rimanda a P. Massa, Università degli Studi di Genova, in Brizzi-Del Negro-Romano (a cura
di), Storia delle Università in Italia, cit., vol. III, pp. 371-378; infine per le vicende relative all’Ateneo di
Catania si rimanda a G. Giarrizzo, Università di Catania, ivi, cit., vol. III, pp. 277-284.
143
Le tre università citate furono pareggiate a quelle di primo grado, mediante l’assunzione di impegni
finanziari da parte di enti e istituti di credito locali. Il pareggiamento fu riconosciuto con R.D. 14 luglio
1887, n. 4745, in CC, LXVI, 42, pp. 1354-1357. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 26 luglio 1887.
Sul pareggiamento dell’Ateneo di Siena si veda in particolare I. Porciani, Un ateneo minacciato:
l’università di Siena dall’Unità alla prima guerra mondiale, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Siena», XII (1991), pp. 97-129 e XIII (1992), pp. 271-288. Per le vicende
storiche relative agli atenei di Parma e Modena si rimanda invece rispettivamente a C. Antinori, M.C.
Testa, L’Università di Parma. Storia di un millennio, Parma, Maccari, 1999 e C.G. Mor, P. Di Pietro,
Storia dell’Università di Modena, Firenze, Olschki, 1975.
144
Cfr. I. Porciani, L’eccezione e la regola: l’università italiana dell’Ottocento tra norma scritta e prassi
quotidiana, in A. Romano (a cura di), Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo ai
86
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
É opportuno comunque precisare in questa sede che la parola “pareggiamento”
stava ad indicare in quegli anni una vera e proprio conquista per atenei notoriamente
meno “considerati” dal potere centrale. Da quel momento in poi, infatti, tali università
di secondo grado riuscivano ad ottenere l’equiparazione a quelle di primo, eliminando
così quanto stabilito da Matteucci nel 1862, con il conseguente livellamento degli
stipendi dei professori, appartenenti alla medesima categoria. In pratica, effetto del
pareggiamento era l’abolizione di una gerarchia legale fra le università, che divenivano
pertanto uguali di fronte alla legge.
Anche a Macerata si iniziò a sentire l’esigenza impellente di addivenire a tale
risultato, soprattutto alla luce del fatto che ancora una volta l’Ateneo marchigiano era
rimasto indietro rispetto ad altre università di secondo grado, pareggiate, come viste, a
quelle primarie.
Il 7 luglio 1886, sotto il primo rettore socialista145 Niccolò Lo Savio, il preside
della Facoltà giuridica, Giuseppe Brini, a nome di tutti i professori dell’Ateneo
maceratese, inviò al sindaco di Macerata una lettera146 per esprimere il proprio senso di
insoddisfazione davanti alla situazione in cui versava il centro maceratese, una
situazione di manifesta inferiorità rispetto ad altri atenei e che stava sempre più
costringendo i docenti a lasciare Macerata per cercare altrove la propria fortuna
professionale147:
I professori – sosteneva Brini – si sentono a disagio e offesi e mal affidati da questa condizione
di cose. Essi, che, per le forme con cui furono nominati, comuni a tutte l’altre Università, e pel modo
com’é redatto questo Statuto consorziale, non potevano sospettare una diversa e peggior condizione di
quella, che si abbiano i professori delle altre Università governative. E poiché questa condizione di cose,
nostri giorni strutture, organizzazione funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di Studi.
Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 625-635 (cit. a p. 634).
145
Per la connotazione politica dell’Università di Macerata e delle altre due università marchigiane di
Urbino e Camerino in questo periodo ma anche nei successivi, si veda Fioretti Università, seminari e
scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione, cit., p. 747-748.
146
Si veda G. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al sindaco di Macerata
(Macerata, 7 luglio 1886), Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1886, p. 7 (l’originale della lettera è
conservato in BCMc).
147
Nell’anno accademico 1886-1887 a lasciare l’Ateneo di Macerata fu proprio il prof. Giuseppe Brini
che, vincitore del concorso, andò ad insegnare a Parma Istituzioni di diritto romano. Restò invece a
Macerata, dietro pressioni della Commissione amministrativa del Consorzio, Raffaele Pascucci, fresco
vincitore di concorso per la cattedra di Procedura civile presso l’Università di Messina. L’anno successivo
Pascucci, divenuto ordinario, fu nominato rettore dell’Ateneo maceratese.
87
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
non ostante le loro sollecite, continue e vive insistenza, ancora non cessa, viene loro sembrando, che non
resti a loro modo di liberarsene e difendersene, se non che partendo148.
In tal modo il preside cercava di evidenziare una connessione diretta tra lo stato
di precarietà finanziaria e la difficoltà nel riuscire a trattenere ma anche a reclutare i
migliori docenti. Inoltre si rimproverava a Comune, Provincia e cittadinanza intera di
«sentire» l’Università come un qualcosa di estraneo e personale, ad uso esclusivo dei
professori, contrariamente a quanto stava accadendo invece in altre città italiane, dove
gli enti locali si stavano adoperando a favore del pareggiamento degli atenei di
second’ordine:
In questi giorni un Decreto reale autorizza S.E. il Ministro della pubblica istruzione a presentare
al Parlamento una legge, colla quale le Università di Siena, Parma e Modena siano elevate al grado di
Università di prim’ordine; cioé siccome lo furono nello scorso anno quelle di Genova, Catania e Messina.
E questo provvedimento […] é reso possibile da più cospicuo concorso di spese, che viene offerto dai
comuni, dalle province e da qualche altro ente locale, vigili ed efficaci custodi dei locali istituti, cui
amano e pregiano grandemente e cui vogliono preservare, rafforzandoli, di fronte agli altri nella nobile
concorrenza. Così nel continente tutte quante le università governative fin qui di second’ordine, hanno
pensato a non rimanere ultime; il che anche significa, che hanno pensato a ben salvarsi […] Una sola é al
tutto fuori di tal movimento: questa di Macerata!149
L’invito dei professori maceratesi dunque era chiaro: sulla scia delle altre recenti
esperienze, bisognava agire immediatamente per non perdere l’occasione propizia.
Se quest’ Università di Macerata verrà con le altre a domandare l’elevamento, l’ottenerlo non
potrà esserle difficile; mentre, se dovesse venirvi solo di poi e da sola le sarebbe, per certo, troppo
difficile e forse insuperabile […]. Tempo, a che la città e la provincia possano adoprarsi e fare per questa
Università, ve n’ha appunto abbastanza; il momento opportuno a deliberare ed agire, é appunto questo150.
Proprio in questo clima di forte rivendicazione, l’Università di Macerata era
intanto pronta a rafforzare la propria posizione, ribadendo una tradizione plurisecolare
in vista del compimento del sesto centenario di vita dell’Ateneo che sarebbe stato
festeggiato nell’anno 1890151. Era pertanto necessario onorare nel miglior modo
148
Cfr. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al Sindaco di Macerata, cit., pp. 2-3.
Ibidem, pp. 3-4.
150
Ibidem, p. 7.
151
Anche in questo caso, parlando di seicentenario, tornerebbe il canonico riferimento alla leggendaria
data di fondazione dell’Ateneo del 1290 (si veda in proposito R. Foglietti, Origine dello Studio
maceratese, Macerata, Unione Cattolico Tipografica, 1905) e non a quella reale del 1540. Per un’analisi
149
88
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
possibile un simile evento, magari con l’organizzazione di festeggiamenti ad hoc o
addirittura con la creazione di qualcosa di estremamente duraturo, capace di
testimoniare la gloriosa storia dell’Ateneo. Nei mesi di marzo ed aprile del 1890, sul
giornale «Il Vessillo delle Marche», quattro numeri152 furono dedicati ad un
entusiasmato dibattito tra studenti e docenti su come onorare adeguatamente il
seicentenario153. La proposta principale, accolta con favore da tutti, fu quella di
posticipare i festeggiamenti di un anno154, in modo da farli coincidere con
l’inaugurazione dell’Esposizione agricola regionale del 1891 e soprattutto con la
speranza di un imminente pareggiamento dell’Ateneo che avrebbe generato maggiore
disponibilità economica e la possibilità di migliorare le aule e le dotazioni
dell’Università, visto che: «i locali dell’ateneo non sono un cimitero ma neppure una
reggia»155. Inoltre, in quell’arco di tempo di oltre dodici mesi, si sarebbero potuti
raccogliere contributi economici ancora più sostanziosi per un’eventuale festa, magari
convincendo proprio il Consorzio ad aumentare il già previsto contributo di 5.000 lire o
la Provincia ed il Comune a discostarsi dalle 3.000 lire promesse. Il mese prescelto per
la festa era quello di giugno, periodo nel quale docenti e studenti si sarebbero trovati in
città, contrariamente a quanto sarebbe accaduto invece ad ottobre, periodo nel quale
sarebbe in realtà caduto il vero e proprio anniversario visto che nel lontano 1290 il
Comune di Macerata aveva invitato i comuni limitrofi ad assistere alle lezioni di
Giulioso da Montegranaro, bandendo sedici giorni di festa proprio dall’1 al 16 di
ottobre.
Tra tanti buoni propositi e coraggiose raccolte di fondi non si arrivò però a nulla
di concreto visto che dai documenti del tempo non risultano festeggiamenti né nel 1890,
né nell’anno successivo. E’ però Domenico Spadoni, nel 1900, a darci notizia di un
importante avvenimento che accadde proprio dieci anni prima:
più attenta sulla questione delle origini dello studio maceratese si rimanda a G. Borri, R. Lambertini,
Macerata: la questione delle origini dell’Università e l’insegnamento superiore nelle Marche tra Due e
Trecento, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 67-87.
152
Gli articoli dedicati ai festeggiamenti del sesto centenario dell’Università di Macerata li troviamo sui
numeri 15, 16, 17 e 19 de «Il Vessillo delle Marche» rispettivamente del 26 marzo, 4 aprile, 12 aprile e 26
aprile (anno XXX).
153
Sulle proposte di studenti, docenti, notabili cittadini relativamente ai festeggiamenti per il sesto
centenario dell’Ateneo maceratese sono altresì presenti molti documenti in ASMc, Università, Verbali
delle adunanze, commissioni universitarie, riunioni del consiglio sanitario, Adunanze del Consiglio di
facoltà, b. 695, f. 70.
154
In Relazione sulle vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1889-90 letta dal Rettore Carlo
Calisse per la inaugurazione del nuovo corso accademico[1890-1891], ANNUARIO (1891), pp. 12-13,
si preannunciava un probabile «differimento della solennità, per assicurarle una riuscita quale richiede
l’avvenimento, grande per sé, e tale da trarre su di noi la particolare attenzione dell’Italia e dell’estero».
155
Cfr. «Il Vessillo delle Marche», XXX (26 marzo 1890), 15, p. 2.
89
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Si poté celebrare il centenario della nostra Università, se non con feste e spettacoli, con la
costruzione di un’Aula Magna, la quale per isfarzo superbo di affreschi e di intagli, sta certo fra le
primissime delle università italiane – vero tempio della scienza, che rimarrà, se non altro, monumento
dell’amore di una città per le sue nobili tradizioni e della sua fede ostinata nel proprio avvenire156.
Fu dunque nell’anno 1890, e precisamente nel mese di agosto, che iniziarono i
lavori per la costruzione di un’elegante Aula Magna, come auspicato dal rettore
Raffaele Pascucci per far fronte al problema degli obsoleti locali universitari157. Il
disegno architettonico e decorativo fu affidato al professor Giuseppe Rossi, l’ingegner
Italiano Bezzi ebbe la direzione dei lavori di fabbrica (affidati per l’esecuzione
materiale ai fratelli Angelo e Luigi Torresi) mentre della decorazione pittorica si occupò
l’artista Giulio Rolland158. Inaugurata, seppur ancora spoglia di pitture e decorazioni già
nel novembre del 1890, essa poi fu abbellita con sontuosi affreschi nei due anni
successivi sotto il rettorato di Carlo Calisse159. In poco tempo160 Macerata era riuscita a
dotarsi di un’Aula Magna che tutti le avrebbero invidiato e che sarebbe sicuramente
servita a conservare nel tempo la memoria di una tradizione accademica plurisecolare,
presunta o reale che fosse161.
Grandiosa opera – la definì il rettore Enrico Serafini – piena di pensiero, in cui l’armonia delle
linee architettoniche […], le immagini degli antichi maestri, la sapiente colleganza di concetti astratti,
espressi in forma allegorica, coi ricordi vivi, che riconnettono la storia dell'Ateneo alla storia della città,
156
Cfr. D. Spadoni, La nostra università: cenno storico, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1900, p. 11.
L’Università di Macerata si trovava sin dagli inizi del 1800 in un palazzo dove una volta avevano sede
i chierici regolari di San Paolo, detti comunemente Barnabiti. In questi locali trovavano collocazione
anche le scuole elementari femminili che, dal 1892, furono spostate altrove.
158
I documenti e le note di spesa relativa alla costruzione dell’Aula Magna ed al restauro dei locali
universitari sono conservati in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle
adunanze, regg. nn. 540 e 541; ASMc, Università, Conti consuntivi, Pagamenti per lavori Aula Magna
1891-1893, bb. 600 e 601; ASMc, Università, Registro mandati e contabilità, Spese relative alla
costruzione dell’Aula Magna, bb. 645, 646 e 648.
159
Carlo Calisse fu rettore della Regia Università di Macerata dall’1 marzo 1890 al 30 novembre 1892.
Egli arrivò presso l’Ateneo maceratese nel 1886-1887 in qualità di straordinario di Storia del diritto
italiano. Divenuto ordinario nel 1889-1890, vi rimase fino al novembre 1892. Fu altresì incaricato di
Storia del diritto romano dal 1886-1887 al 1890-1891 e di Diritto ecclesiastico nell’anno accademico
1891-1892.
160
Sulla celerità della costruzione dell’Aula Magna, utilizzata già in occasione dell’inaugurazione
dell’anno accademico 1890-1891, si ricorda: «La celerità del lavoro fu veramente straordinaria, tenuto
conto che non solamente si dovettero fare in vecchio fabbricato importanti demolizioni, rinforzare i muri
e il tetto, costruire nuove pareti, aprire finestre, lastricare il pavimento; ma che, nel giorno
dell’inaugurazione, era pure ultimato il soffitto a cassettoni in legno, erano collocate le sei grandi porte,
ed erano compiuti nelle pareti tutti i rilievi architettonici». Cfr. A.B., Aula Magna della Regia Università
di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1893, in BCMc, pp. 4-5.
161
Sull’imponenza, sul prestigio e sul valore simbolico dell’Aula Magna si vedano ibidem o anche
Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 92-96.
157
90
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
tutto contribuisce a tener sollevato l'animo, a richiamarlo a ripensare la nobile secolare continuità di tulle
le manifestazioni ideali dell’ingegno italiano e dire ai giovani, che qui si appressano desiderosi del sapere
«in alto i cuori; o generazioni italiane crescenti!162
Questo miglioramento dei locali universitari non poteva però ovviamente essere
sufficiente ad accrescere il peso dell’Ateneo su scala nazionale, tanto che negli anni
Novanta l’Università di Macerata si ritrovò a fare i conti con non poche avversità.
Nell’ultimo decennio del XIX secolo, infatti, voci molto autorevoli continuarono a
levarsi per scongiurare la sopravvivenza di università modeste, periferiche e mal dotate
per poter impartire un insegnamento davvero proficuo. Nel 1890 era stato il filosofo
Carlo Cantoni a denunciare l’impotenza legislativa del Parlamento in materia
universitaria e a criticare l’opera dei ministri costretti da questa stessa impotenza ad
agire:
per via di decreti reali e di regolamenti, i quali o erano per solito in contrasto con la legge o
riuscivano mezze misure, ed in ogni caso non producevano nulla di durevole e di vitale163.
Egli aveva poi individuato una delle cause principali di questa situazione nell’
impossibilità di riordinare il lascito, sul terreno universitario, degli antichi Stati e dei
governi provvisori:
Il provvedimento più razionale, quello di ridurre le Università italiane ad un giusto numero,
facendole poi tutte complete, trova un ostacolo insormontabile negli interessi politici e locali. Ed io credo
che a questi medesimi interessi vengano posposti gli interessi scientifici, sacrificando le Università
complete alle facoltà o istituti isolati164.
Nel frattempo, a Macerata, per far fronte alle crescenti esigenze economiche e
per dimostrare al potere centrale una certa vivacità da parte degli enti locali, il consiglio
comunale e quello provinciale avevano deliberato nel 1893, dopo circa tre anni di
discussioni ed infiammate riunioni consiliari e provinciali165, di aumentare a 17.500 lire
162
Cfr. Relazione del Rettore Enrico Serafini per la inaugurazione del nuovo corso accademico [18931894], ANNUARIO (1894), pp. 9-10.
163
Cfr C. Cantoni, Dell’unione e libertà degli studi nelle nostre Università, in In memoria di Carlo
Cantoni, Pavia, Tipografia Bizzoni, 1908, p. 560.
164
Ibidem, p. 563.
165
Si veda in proposito La Provincia di Macerata. Cenni Storici, Amministrativi, Statistici, Macerata,
Stab. Tipografico Fratelli Mancini, 1906, pp. 179-180. Inizialmente l’aumento del contributo doveva
essere limitato ai soli anni accademici 1891-1892 e 1892-1893.
91
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
il contributo annuo a carico di ciascun ente. A spingere Comune e Provincia ad
assumere tale generosa decisione erano state senza dubbio le promesse del ministro
Paolo Boselli che, nel giugno del 1890, dietro la richiesta da parte di una commissione
maceratese voluta da enti locali ed Ateneo, aveva garantito al deputato Lazzarini di
essere disponibile a proporre un aumento di 10.000 lire sull’assegno annuo a favore
dell’Ateneo marchigiano a partire dal 1891-1892166. Tale atto suscitò un fervente
dibattito tra chi lo considerò come una forma di grande magnanimità ed onestà
intellettuale di Boselli e chi, invece, come il settimanale locale «Il Risveglio», lo definì
quale un gesto dovuto dallo Stato che «non ha fatto altro se non rendere a questo ente la
centesima parte di ciò che per altri aveva già compiuto»167.
In realtà tale promessa di Boselli non fu poi mantenuta dal suo successore
Pasquale Villari a causa delle ristrettezze finanziarie in cui versava il Governo. Lo
stesso nuovo ministro della Pubblica Istruzione, in una lettera datata 25 giugno 1891 ed
indirizzata al Sindaco di Macerata168, spiegò che
la cancellazione dal bilancio della somma di 10.000 lire proposta a vantaggio dell’ateneo di
Macerata non fu assolutamente dettata da preconcetti ostili nei confronti dell’Università ma unicamente
dalle necessità finanziarie169.
In ogni caso, però, Villari invitò il Comune a portare avanti la propria opera di
sostegno a beneficio dell’Università e a valutare le proposte di soppressione di alcuni
atenei avanzate in quei giorni in Parlamento solo come un problema già noto e non
come un nuovo attacco rivolto specificatamente né a priori all’Università di Macerata. Il
suo invito fu raccolto sia dal Comune che dalla Provincia che, nonostante la mancata
promessa del Governo, tra l’agosto ed il settembre del 1893170 disposero ugualmente
166
Di tale promesso aumento ne parlò anche il rettore Calisse in occasione dell’inaugurazione dell’anno
accademico 1890-1891: « Ricordiamo che quando Municipio e Provincia, e questa nella persona stessa
del Presidente del suo Consiglio, il Comm. Papi, al quale pure l’Università deve molto, inviarono una
commissione al Ministro, per chiedergli che anche lo Stato aumentasse la sua contribuzione per
l'Università; ricordiamo che allora i signori Deputati si unirono a questa commissione, e insieme ad essa
ottennero che il Ministro accogliesse favorevolmente la domanda a lui rivolta». Cfr. Relazione sulle
vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1889-90 letta dal Rettore Carlo Calisse per la
inaugurazione del nuovo corso accademico[1890-1891], cit., pp. 9-10.
167
Cfr. «Il Risveglio» I (14 settembre 1890), 31, p. 2. Era questo un settimanale di informazione
pubblicato a Macerata ogni domenica del mese.
168
ASMc, Università, Miscellanea, Corrispondenza varia, b. 711, f. 259.
169
Ibidem.
170
Si veda in particolare Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 30 agosto 1893, in Atti del
Consiglio provinciale di Macerata: anno 1893, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1894. In tale seduta del
consiglio provinciale vi fu il voto unanime dei 31 consiglieri, tutti favorevoli all’aumento del contributo a
favore del Consorzio.
92
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
l’aumento del proprio contributo a favore del Consorzio per migliorare l’assetto
dell’Ateneo. Del resto, l’atto di Boselli, seppure senza esiti, lasciava ben sperare per il
futuro. Esso aveva dimostrato palesemente che lo Stato, se in condizioni economiche
floride, avrebbe potuto aumentare senza problemi quel fatidico assegno di 20.000 lire,
da non considerare pertanto più immutabile come in passato.
Il ministro Villari aveva però lanciato nella sua lettera anche un indiretto ma
pericoloso segnale d’allarme: in Parlamento si stava nuovamente radicando l’idea della
necessità di una drastica riduzione delle sedi universitarie. Macerata sarebbe stata, come
al solito, una delle candidate principali alla cancellazione definitiva.
Già il 12 marzo 1891, infatti, il deputato Sebastiano Turbiglio, convinto
“riduzionista” del numero delle università ed autore nel 1888 di un interessante saggio
dal titolo L’ università di Stato e le università autonome171, aveva presentato alla
Camera un disegno di legge172 per diminuire ad un massimo di dieci le Università regie,
quale premessa ad un successivo riordinamento generale dell’istruzione superiore e
nell’intento di concentrare nei capoluoghi di provincia gli istituti di istruzione
secondaria173. Tra perplessità e forti opposizioni, la Camera decise di prendere in
considerazione il progetto ma la commissione incaricata di esaminarlo lo respinse,
proponendo invece all’assemblea un ordine del giorno per la riduzione del numero delle
facoltà e non degli atenei. Esse sarebbero state tredici per Giurisprudenza e Medicina,
dieci per Scienze ed otto per Lettere. Il relatore Luigi Roux, sottolineando l’intima
connessione tra la questione del numero delle università e le esigenze parlamentari,
giustificò così la scelta di respingere le idee di Turbiglio e soprattutto la nuova proposta
avanzata:
Specialmente in un Parlamento a base elettiva – commentava Roux – il difficile non sta
nell’affermare che occorre questo o quell’altro; ma nel raggiungere una meta (e qui la riduzione delle
Università) senza commettere ingiustizie, senza offendere troppo interessi locali, senza troncar tradizioni
171
Si veda S. Turbiglio, L’Università di Stato e le università autonome, Milano-Roma, Editore Trevisini,
1888. In tale saggio l’autore auspicava, da un lato, una Università di Stato che promuovesse il progresso
della scienza e finanziata dalle rilevanti tasse imposte agli studenti; dall’altro, università professionali,
autonome, in quanto sostenute da enti locali interessati all’erogazione di un sapere legato alle proprie
specifiche vocazioni. In pratica si scindevano le università a scopo professionale da quelle a scopo
scientifico.
172
Per il disegno di legge Turbiglio, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891, Documenti,
n. 97; per il successivo dibattito in aula, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891,
Discussioni, tornata del 12 marzo 1891, pp. 804-815.
173
Sul disegno di legge presentato da Turbiglio si vedano M. Moretti, La questione delle piccole
Università dai dibattiti di fine secolo al 1914, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel
XIX secolo, cit., pp. 19-44; Tomasi, Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale (1861-1923), cit.,
pp. 46-47.
93
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
e abolire Istituti che sono giusto orgoglio di città e regioni […]. La proposta che noi facciamo ha un altro
vantaggio speciale: quello di turbare meno il presente ordinamento e di conciliare il vantaggio della
scienza con gli interessi locali […]. E’ inutile dissimulare una verità che l’esperienza di tanti anni ha
posta sempre più in evidenza: nel sistema parlamentare é impossibile trattare e risolvere le questioni con
formule assolute e con fini esclusivamente obiettivi. Questo può parere talvolta un incaglio, ma noi
pensiamo sia più sovente un utile freno alle innovazioni troppo radicali e repentine174.
Alla sventata insidia, però, fece seguito un pericolo ancora più grande
rappresentato dall’ascesa al ministero della Pubblica Istruzione del giornalista e scrittore
Ferdinando Martini, fermo sostenitore della teoria abolizionista, che rimase in carica per
diciannove mesi dal 15 maggio 1892 al 15 dicembre 1893. Per Macerata fu quello un
periodo estremamente difficile, nel quale tutte le componenti cittadine dovettero
mostrarsi coese ed agguerrite per sventare la nuova minaccia di soppressione
dell’Ateneo.
Con la collaborazione di Carlo Francesco Ferraris, autore di importanti studi
statistici sull’università italiana tra Otto e Novecento175, il neo ministro intendeva infatti
presentare un progetto di legge (poi in realtà rimasto nel cassetto e pubblicato in volume
solo nel 1895176) il cui punto principale sarebbe stato rappresentato dall’abolizione delle
università di Messina, Modena, Parma, Siena, Sassari e Macerata, con il conseguente
mantenimento di soli undici atenei governativi nazionali: Bologna, Torino, Pavia,
Padova, Genova, Pisa, Roma, Napoli, Palermo, Catania, Cagliari. A questi centri
superstiti sarebbe stato garantito ogni eventuale completamento, concentrando «così
l’impiego delle risorse necessarie al mantenimento del personale ed alle crescenti
esigenze dell’attività di ricerca all’interno delle università»177. Si escludeva, inoltre,
categoricamente l’opportunità ipotizzata negli anni precedenti dell’apertura di un nuovo
ateneo nel Mezzogiorno.
174
Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891, Documenti, n. 97 A, pp. 3-5.
Si ricorda in tal senso soprattutto C.F. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori.
«Annali di statistica», serie V, VI (1913).
176
Si veda F. Martini, C.F. Ferraris, Ordinamento generale degli Istituti d’istruzione superiore. Studi e
proposte, Milano, Hoepli, 1895. Tale progetto di legge doveva essere presentato alla Camera nella
sessione 1892-1893 ma in realtà ciò non avvenne e così i due autori decisero di pubblicarne il contenuto,
due anni dopo, nel volume sopra indicato. Sul progetto di legge ideato da Ferdinando Martini e Carlo
Francesco Ferraris si vedano M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia,
Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 93-114; Moretti, La questione delle piccole Università dai dibattiti di fine
secolo al 1914, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., pp. 28-32;
Porciani-Moretti, La creazione del sistema universitario nella nuova Italia, cit., pp. 349-352.
177
Cfr. Moretti, La questione delle piccole Università dai dibattiti di fine secolo al 1914, in Da Passano (a
cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., p. 28.
175
94
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
La proposta di Martini, alla cui base vi era il tentativo di risposta alla domanda
retorica «Ha l’Italia bisogno propriamente di tanti atenei?», cercava in pratica di
realizzare una nuova distribuzione territoriale delle università in rapporto alla
popolazione delle diverse regioni, scartando sia l’ipotesi di considerare “sezioni” di
un’unica università facoltà di sedi vicine, sia quella di ridurre il numero delle facoltà di
università esistenti. In pratica, Martini e Ferraris si basavano su indagini statistiche
condotte sul numero degli studenti iscritti, sul costo di ogni studente in ciascuna sede,
sulla popolazione delle diverse regioni italiane e sui confronti con la situazione di altri
Paesi stranieri (Germania in primis).
Con le soppressioni auspicate l’Italia avrebbe infatti avuto un’università ogni
2.741.673 abitanti, anziché una ogni 1.774.024, con un rapporto molto simile a quello
esistente nel territorio tedesco dove esisteva un ateneo ogni 2.471.423 abitanti178. Per
Martini, infatti, le Università italiane erano
troppe, quasi dappertutto [dotate di] locali angusti e disadatti; dappertutto vi é deficienza di
materiale scientifico, esiguità di dotazioni. La spesa che importano é insufficiente ai bisogni, ma né lo
Stato, né gli enti locali sono oggi in grado di tollerarne una maggiore179.
Era pertanto necessario mettere in atto un processo di risanamento del sistema
dell’istruzione superiore, pur nella consapevolezza di potersi in tal modo scontrare con
gli interessi provinciali e municipalistici della borghesia italiana.
Aldilà della condivisibilità o meno del progetto, un’obiezione potrebbe essere
immediatamente mossa alle idee del ministro Martini. Un problema ampio come quello
della questione universitaria italiana non poteva, infatti, né definirsi, né impostarsi su
mere condizioni di carattere statistico e su improbabili confronti con altri Paesi, che
presentavano peraltro realtà universitarie diverse. Seguendo esclusivamente il criterio
dei dati, delle cifre e delle proporzioni, infatti, tutte le attenzioni del Ministro si
sarebbero dovute spostare sull’Italia meridionale, dove 7.640.808 abitanti si sarebbero
comunque ritrovati a gravitare, secondo il progetto Martini, atenei isolani esclusi, sulla
sola Università di Napoli, creando una notevole sperequazione rispetto ad altre realtà
accademiche nonché un marcato sovraffollamento.
178
Per analizzare nel dettaglio le tesi di Martini e i dati statistici a sostegno di ciascuna di esse, si vedano
anche F. Martini, Le Università, «Nuova Antologia», CXXXIV (15 marzo e 1 aprile 1894), pp. 193-209 e
pp. 385-407.
179
Ibidem, p. 193.
95
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
Più condivisibile appare invece la polemica di Martini contro l’impostazione
autonomistica auspicata dal ministro Baccelli. Una vera autonomia degli atenei sarebbe
stata possibile solo con forti rendite proprie, mentre le dotazioni fisse, insufficienti ad
assicurare un adeguato livello di sviluppo scientifico alle università, avrebbero
consentito alle sedi minori di continuare a vegetare, anche perché non era lecito
attendersi ancora molto dal contributo degli enti locali, già pesantemente impegnati e
prossimi ad una soglia massima. Inoltre tale sistema autonomistico, secondo Martini
auspicabile peraltro solo dopo la riduzione degli atenei, avrebbe favorito anche il
pericolo «di una feroce lotta per l’esistenza fra le università»180 mentre sarebbe stato
opportuno schierarsi dalla parte di chi
vuole escludere quella brutale vicenda del mondo animale dall’ambiente scientifico e non
desidera che le università si facciano concorrenza per chiamare allievi con il mezzo vigliacco di
promuovere chiunque si presenti agli esami181.
Anche nei confronti specifici dell’Università di Macerata, il ministro muoveva
degli attacchi diretti al fine di giustificare la propria volontà di sopprimerla:
Esistono in Italia atenei con situazioni fuori dalla norma. […] a Macerata, dove é la Facoltà di
giurisprudenza e non quella di medicina, come si può lì impartire l’insegnamento della medicina legale
senza istituire laboratorii e gabinetti o rinunziare addirittura alle dimostrazioni sperimentali?182.
Macerata, dunque, nuovamente nell’occhio del ciclone, come già accaduto in
passato in diverse occasioni. In tale frangente, però, la reazione dell’intera comunità
maceratese fu dura ed estremamente compatta.
Nella seduta dell’11 gennaio del 1893, dopo che sul finire dell’anno precedente
l’illustre studioso Luigi Rossi aveva difeso in un suo dettagliato lavoro183 le ragioni
180
Si veda Martini-Ferraris, Ordinamento generale degli istituti d’istruzione superiore. Studi e proposte,
cit., pp. 31-40.
181
Ibidem, p. 158.
182
Cfr. Martini, Le Università, «Nuova Antologia», cit., pp. 199-201.
183
Il riferimento é al testo L. Rossi, La riduzione delle Università in Italia, Bologna, Zanichelli, 1892. In
tale lavoro Rossi, soffermandosi sui guasti didattici e disciplinari ormai esistenti nelle grandi sedi,
difendeva le piccole università sia per la loro buona produttività nel campo della preparazione generale e
professionale, sia per il loro ruolo di centri di diffusione della cultura in una realtà nazionale molto debole
in questa direzione. Inoltre auspicava una sempre maggiore specializzazione degli atenei minori verso
specifici ambiti disciplinari, citando come esempio proprio l’Università di Macerata che aveva
concentrato le proprie risorse economiche sulla sola Facoltà giuridica. Particolarmente utile, sempre tra i
difensori degli atenei minori, é l’analisi condotta pochi anni dopo da T. Mozzani, Questione universitaria.
Ricerche statistiche, «L’Unione universitaria», II (1895), 2-3, pp. 65-100.
96
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
delle piccole sedi universitarie, indicando proprio Macerata quale esempio di ateneo
abile a specializzarsi in uno specifico ambito disciplinare (il diritto), il consiglio
comunale di Macerata manifestò il proprio disappunto per la situazione venutasi a
creare, accusando il ministro di compiere un «atto ingiusto e non legittimato né da
ragioni di ordine tecnico, né da necessità finanziarie»184. Infatti, secondo il consiglio
comunale, il numero di studiosi e professori maceratesi era aumentato costantemente
negli ultimi anni mentre a sostenere economicamente l’ateneo aveva provveduto
principalmente il Consorzio locale. «Perché dunque compiere ulteriori empietà
ingiustificate nei confronti di una città già sottoposta in passato a gravi sacrifici
materiali e morali?»185.
Sulla stessa scia del consiglio comunale si pose il 29 gennaio il comizio cittadino
che, ribadendo la strategica posizione geografica di Macerata nonché la gloriosa storia
dell’Ateneo, protestava contro il progetto di abolizione dell’Università, minacciando le
dimissioni in massa di tutte le rappresentanze elettive ed il blocco di ogni attività della
pubblica amministrazione186. A questi due interventi fecero seguito cortei e
manifestazioni di piazza, tutti con il palese obiettivo di respingere la malsana idea
ministeriale. L’intera comunità di Macerata era dunque uscita allo scoperto, sfogando la
propria rabbia per un copione già recitato più volte dai vari ministri avvicendatisi alla
Minerva e dall’epilogo futuro sicuramente non piacevole.
Anche nelle altre città, sedi delle università minacciate di soppressione, però, la
situazione non appariva troppo diversa187. Per la prima volta, forse, fu tutto il nucleo
cittadino a muoversi, senza alcuna esclusione. Qualcuno per la difesa di un ideale, altri
per il proprio tornaconto personale. Fra le delegazioni che si presentarono al Martini ve
ne fu addirittura anche una che rappresentava gli affittacamere ed i proprietari delle
trattorie, categorie che vivevano grazie agli studenti universitari. I deputati locali invece
non avevano altro pensiero che quello di sostenere le richieste dei propri elettori, pena la
mancata rielezione nelle legislature successive.
184
Il documento é conservato in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata, b. 715,
f. 295.
185
Ibidem.
186
Ibidem.
187
Molto interessante é quanto riportato da Ilaria Porciani che ha dimostrato l’instaurarsi di una serie di
contatti tra le piccole università minacciate dai tentativi riduzionistici promossi soprattutto da Martini. Si
veda a tal proposito Porciani, Un ateneo minacciato: l’università di Siena dall’Unità alla prima guerra
mondiale, cit. In proposito esistono anche in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di
Macerata, b. 715, f. 295. diversi documenti che attestano tali forme di collaborazione nella protesta.
97
Capitolo secondo. La stagione postunitaria
In questo clima di aperta contestazione il progetto di Martini non arrivò neppure
alla discussione alla Camera. Come affermato da Arangio Ruiz, quanto accaduto, era
l’evidente dimostrazione che «si sopprimono i Ministri ed i Ministeri ma non le
università»188.
L’anno successivo, nel 1894, Pio Sabbatini, fedele sostenitore della teoria
conservatrice delle università, sferrò un ulteriore attacco all’indirizzo dell’idea
abolizionista di Ferdinando Martini, ormai però già sostituito al ministero da Guido
Baccelli:
E’ un assurdo in termini pretendere di abolire alcune Università per concentrarle in altre, con
manifesta violazione dei diritti e degli interessi degli enti stessi a cui si fa subire questa decapitazione. Ma
giova sperare che il sentimento della giustizia prevalga sopra ogni altra considerazione e sia risparmiata ai
centri minori una jattura le cui conseguenze morali, politiche ed economiche non possono facilmente
prevedersi né valutarsi189.
L’ennesimo tentativo di sopprimere alcuni atenei italiani era dunque fallito e
Macerata poteva tornare a concentrarsi unicamente su quell’obiettivo ritenuto
fondamentale per l’effettivo e completo rilancio dell’Ateneo: il pareggiamento alle
università di prim’ordine.
188
Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 74.
Cfr. P. Sabbatini, Il decentramento e la questione universitaria, Modena, Società tipografica modenese
1894, p. 19.
189
98
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
CAPITOLO TERZO
TRA OTTO E NOVECENTO
Uno dei fatti scolastici più rilevanti dell’anno scolastico ora terminato, e che io noto a Voi con sempre
nuovo compiacimento, si fu il numero dei giovani, che, venuti da ogni regione italiana, si inscrissero
come studenti in questa Università. In verità, non mai prima dell’anno decorso il nostro istituto raggiunse
la cifra di 282 alunni, quale risulta dai nostri registri; cifra, si noti subito, superiore di 96 a quella
dell’anno precedente. Né questo del progressivo incremento nel numero dei giovani è un fatto eccezionale
e isolato, ma, se non temessi di abusare del vostro tempo, potrei dimostrarvi che esso si è verificato in
tutto l’ultimo decennio, e più innanzi ancora. […] Non v'ha dubbio che siffatto progressivo aumento nel
numero degli alunni ha una significazione profonda e complessa, e cioè che la Università nostra è venuta
acquistando fama e onore intorno a sé; e, notevole a dirsi, proprio in quel periodo di tempo in che più ha
imperversato la furia distruggitrice delle università così dette minori. […] E qui mi preme rilevare, non
dirò a protesta di chi disse dovuto a cause artificiali l’aumentare dei nostri giovani, ma in omaggio alla
verità, che l’aumentare della nostra scolaresca coincide proprio con quel periodo di tempo in cui in altri
centri di studio, e appunto i maggiori, avvennero tumulti e perturbazioni che impedirono il retto
andamento degli studi e della scuola: e ciò a compenso della tranquillità esemplare che sempre regnò
sovrana in questa buona e disciplinata scolaresca1.
Con queste eloquenti parole, caratterizzate da un sottile venatura polemica, il 3
novembre 1895 il prof. Pio Barsanti2, originario di Lucca, professore ordinario di Diritto
e procedura penale, nella sua qualità di nuovo rettore della Regia Università di Macerata
(subentrava al prof. Enrico Serafini, lombardo, che aveva ricoperto tale carica nel
triennio precedente3), inaugurava l’anno accademico 1895-1896. Dopo i vani tentativi
del ministro Ferdinando Martini di ridurre il numero degli atenei italiani, la vita
dell’Ateneo maceratese sembrava poter riprendere più florida che mai, rafforzata forse
1
Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896],
ANNUARIO (1896), pp. 9-11.
2
Pio Barsanti fu docente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Macerata per 41 anni, a
partire dall’anno accademico 1881-1882. Divenuto professore ordinario di Diritto e procedura penale
nell’autunno del 1890, insegnò fino all’anno accademico 1922-1923, tenendo fra l’altro per incarico
anche gli insegnamenti di Filosofia del diritto, Diritto canonico ed ecclesiastico (solo nell’a.a. 1894-1895)
e Legislazione penale comparata (solo nell’a.a. 1889-1900). Fu rettore dell’Università di Macerata una
prima volta dal 16 maggio 1895 al 31 ottobre 1896 e poi, nuovamente, dal 16 ottobre 1919 al 31 luglio
1923.
3
Enrico Serafini tenne la cattedra di Diritto romano nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo
maceratese dall’anno accademico 1889-1890 all’anno accademico 1895-1896. Incaricato per diversi anni
anche degli insegnamenti di Storia del diritto romano e di Esegesi del diritto romano, a decorrere
dall’anno accademico 1896-1897 fu trasferito sulla cattedra di Diritto romano dell’Università di Messina,
dove concluse la sua carriera. Fu rettore dell’Università di Macerata una prima volta dal 1° dicembre
1892 al 15 maggio 1895 e poi ancora l’anno seguente, per un brevissimo mandato, dal 1° novembre al 31
dicembre 1896.
99
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
dall’idea di aver allontanato con forza e determinazione una delle ultime minacce di
soppressione che lo Stato potesse perpetrare ai suoi danni.
Proprio in quel periodo si registrò un vero e proprio boom di iscritti, un
incremento che, probabilmente, diede la momentanea illusione di un sicuro rilancio
dell’Ateneo. Dai 188 studenti del novembre 1893 si passò ai 264 dell’anno successivo,
ai 313 del 1895 fino a toccare le 369 unità nell’ottobre 18964, con il raddoppio quasi
(+96%), nell’arco di un triennio, di coloro che avevano scelto Macerata per i propri
studi universitari, sia per il conseguimento della laurea in Giurisprudenza, sia per
l’ottenimento del diploma di specializzazione per svolgere la professione di Notaio o
Procuratore legale5.
La rilevante crescita del numero degli iscritti, ad una prima analisi, sembrerebbe
riconducibile soprattutto alla decisione della commissione amministrativa del Consorzio
universitario di continuare ad esonerare gli studenti dal pagamento delle tasse
d’immatricolazione e iscrizione, che per regio decreto erano devolute al Consorzio
stesso6, provvedimento reiterato nel tempo fino all’anno accademico 1896-1897
compreso7.
In realtà, questa indubbia agevolazione era stata introdotta fin dai primi anni
Ottanta8; essa era dunque in vigore già da parecchi anni e questo non trascurabile
4
Gli studenti iscritti (compresi gli uditori) al corso di laurea della Facoltà di Giurisprudenza nell’anno
accademico 1893-1894 furono in realtà 173, ai quali però debbono essere aggiunti i 15 iscritti ai corsi
speciali per il conseguimento del diploma di Notaio e di Procuratore. La medesima ripartizione degli
iscritti si riscontra anche per l’anno accademico 1896-1897, nel corso del quale gli studenti del corso di
laurea furono 347 e quelli iscritti ai corsi speciali 22. Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli
istituti superiori, cit. Per l’anno accademico 1896-1897 è dato di riscontrare una lieve discrepanza tra il
numero di iscritti indicato dal Ferraris (369 e cioè 347 studenti del corso di laurea in Giurisprudenza e 22
del diploma da Notaio o da Procuratore legale) e quello riportato nell’«Annuario della Regia Università di
Macerata». Quest’ultimo, infatti, indica 358 iscritti, dei quali 338 iscritti al corso di laurea in
Giurisprudenza e 20 ai corsi speciali di diploma). Per un corretto inquadramento della figura
dell’«uditore» nel sistema universitario italiano del secondo Ottocento si rinvia a Pizzitola, Gli studenti
della nuova Italia, cit., pp. 144-149.
5
Su tali scuole universitarie e, in particolare, su quelle di Notariato, riordinate all’indomani
dell’unificazione nazionale con la legge 25 luglio 1875, n. 2786, si vedano in particolare V. Olgiati,
Avvocati e notai tra professionalismo e mutamento sociale in W. Tousijn, Le libere professioni in Italia,
Bologna, il Mulino 1987; e i contributi raccolti in A. Mazzacane, C. Vano (a cura di), Università e
professioni giuridiche in Europa nell’età liberale, Napoli, Jovene, 1994.
6
Cfr. l’art. 47 del Regolamento generale universitario predisposto dal ministro Paolo Boselli e
promulgato con il R.D. 26 ottobre 1890. Si veda il testo del Regolamento riprodotto in ANNUARIO
(1891), pp. 128-129.
7
Nella delibera della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 18 novembre 1896, si
legge quanto segue: «La Commissione amministrativa, confermando le sue precedenti risoluzioni,
delibera che anche per l’anno scolastico 1896-1897, gli studenti siano esonerati solamente dalle tasse
d’immatricolazione e d’iscrizione» (ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali
delle adunanze, reg. n. 543.
8
Di ciò si ritrova conferma nelle deliberazioni assunte dalla Commissione amministrativa del Consorzio
relative appunto ai primi anni Ottanta. Cfr. ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio,
100
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
dettaglio porterebbe a ritenere che essa abbia inciso in misura significativa ma tutt’altro
che esclusiva sul sensibile incremento delle iscrizioni, all’origine del quale sembra
realistico collocare anche il più largo credito acquisito dall’istituzione universitaria
maceratese tra i giovani e le loro famiglie.
Le condizioni ottimali di studio offerte dall’università marchigiana, una sede
tranquilla nella quale non era dato di riscontrare né l’affollamento dei grandi atenei né,
tantomeno, le sempre più diffuse ed eclatanti agitazioni studentesche, come aveva
sottolineato non senza un certo compiacimento lo stesso rettore Barsanti, e, soprattutto,
la buona collocazione geografica di Macerata, unico ateneo statale del centro Italia oltre
a quello di Roma, rendevano l’Ateneo maceratese quanto mai attraente e competitivo,
soprattutto quale punto di riferimento imprescindibile per gli studenti provenienti dalle
regioni centro-meridionali, in particolare da quelle della fascia adriatica.
Se si esamina, infatti, la provenienza geografica degli iscritti all’Università di
Macerata, con riferimento proprio all’anno accademico 1896-1897, si nota come la
maggior parte di essi, vale a dire circa l’80%, fosse originaria di tre regioni: la Puglia,
senz’altro il bacino più rilevante, con il suo 39% di studenti; le Marche naturalmente,
con il 27%; e, infine, le province dell’Abruzzo, che incidevano per un significativo
14%. Una quota ulteriore di iscritti, pari al 14%, proveniva invece delle altre regioni del
centro e del sud Italia (soprattutto dal Lazio, dalla Campania, dalla Calabria e dalla
Sicilia), mentre appena il 6% degli studenti risultava risiedere nel nord della penisola,
dove del resto erano operanti ben 9 delle 17 sedi universitarie del Regno9.
Proprio il confronto con i dati sull’andamento delle iscrizioni nelle altre
università italiane sembra avvalorare l’ipotesi di un vero e proprio rilancio del piccolo
Ateneo marchigiano. Se prendiamo ancora come riferimento l’anno accademico 1896Verbali delle adunanze, reg. n. 538. In particolare, il 20 agosto 1883, in vista del nuovo anno accademico,
la Commissione fece opportunamente stampare un Avviso, che fu pubblicato anche sulla stampa locale,
nel quale si affermava: «Si è deliberato che anche nel prossimo anno scolastico 1883-1884 abbia luogo la
esenzione delle tasse devolute a questa Università per i giovani di qualunque anno del corso di
Giurisprudenza, senza bisogno che per tal uopo presentino alcun certificato. […] E perché la esenzione
della tasse sia pure come un premio alla diligenza degli alunni, non sarà concessa a quelli, i quali non si
troveranno presenti al 16 Novembre eccetto il caso di malattia o d’impedimento per la leva e a quelli che
senza motivo legittimo e giustificato o senza permesso del Rettore mancheranno nella lezione ultima
segnata nel calendario per le ferie di Natale, Carnevale, e Pasqua, e nella prima lezione dopo le
medesime». Copia dell’Avviso è conservata in BCMc.
9
Le statistiche riportate nel testo sono state realizzate utilizzando i dati (nominativi degli iscritti,
provenienza geografica ecc.) relativi all’anno accademico 1896-1897 riportati in ANNUARIO (1898), pp.
73-86. Dei 358 studenti che risultavano iscritti nell’anno accademico sopra ricordato, ben 286
provenivano da queste tre regioni, con una netta prevalenza della Puglia (141) sulle Marche (96) e gli
Abruzzi (49). Altri 51 studenti provenivano invece da altre regioni dell’Italia centrale e meridionale:
Campania (14), Basilicata (12), Umbria (7), Calabria (7), Lazio (6) e Sicilia (5). Più modesta – appena 21
iscritti – era la presenza di studenti provenienti dalle regioni settentrionali della penisola.
101
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
1897, infatti, notiamo che Macerata risultava essere il sesto ateneo in Italia per numero
di immatricolati nelle facoltà giuridiche. Solo Genova, Napoli, Palermo, Roma e Torino,
ovvero le grandi sedi universitarie ubicate nei principali centri urbani della penisola,
potevano infatti contare su una popolazione studentesca quantitativamente maggiore,
mentre gli altri 15 atenei italiani, incluse le università libere, registravano numeri di
gran lunga inferiori a quelli dell’Università di Macerata10.
Alla luce di un simile quadro, non sembrano esserci dubbi riguardo
all’accresciuta capacità dell’Università di Macerata di attrarre sempre nuovi iscritti e di
proporsi all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale come uno dei poli accademici
per la formazione giuridica più apprezzati della penisola.
E’ pur vero che, in questo periodo, l’incremento generale degli iscritti alle
facoltà di Giurisprudenza era un dato comune registrato un po’ in tutti gli atenei e che
tale dato rappresentava, per molti versi, un riflesso del più generale aumento del numero
di giovani che accedevano agli studi universitari: un fenomeno, com’è noto, collegato
necessariamente anche alla costante crescita della popolazione italiana e destinato a
caratterizzare l’istruzione superiore nell’ultimo ventennio del secolo XIX e a modificare
radicalmente le dinamiche registrate su questo versante nella prima stagione
postunitaria11.
Al riguardo, basterebbe prendere come riferimento l’evoluzione proprio delle
facoltà giuridiche, che continuavano a rappresentare il principale punto di riferimento
nel sistema italiano dell’istruzione superiore. Dai 5.690 iscritti dell’anno accademico
1893-1894 si era passati ai 6.607 del 1899-1900, arrivando a toccare addirittura le 9.897
unità nel 1909-1910, con un aumento, nell’arco di un quindicennio, di oltre quattromila
studenti. Un dato indubbiamente significativo, se si considera che, nello stesso arco di
tempo, l’incremento globale degli studenti universitari nel loro complesso, ossia degli
10
L’ateneo italiano con il più alto numero di iscritti alla facoltà giuridica era quello di Napoli (913),
seguito da quello di Roma (853) e da quello di Torino (704). Appena 63 erano invece gli iscritti a
Giurisprudenza nell’Università di Sassari, la quale era preceduta da quelle di Modena (95), Siena (100) e
Cagliari (104). Per quel che concerne le Università Libere, debbono essere registrati i 77 iscritti di
Perugia a fronte degli appena 24 di Urbino. Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti
superiori, cit., pp. 3-5.
11
Nei primi anni della sua formazione il sistema universitario italiano cominciò a crescere con una certa
lentezza. Nell’anno accademico 1860-1861, com’è noto, nelle università della penisola si contavano
complessivamente poco meno di 7.000 iscritti, che un quinquennio più tardi, nell’anno accademico 18651866 scendevano addirittura a poco più di 4.500 unità. Successivamente, tuttavia, si registrò una crescita
costante. Già nell’anno accademico 1868-1869, ad esempio il numero complessivo degli iscritti superava
le 10 mila unità. Tale dato si mantenne pressoché stazionario per circa un decennio. Nei primi anni
Ottanta, comunque, il numero degli iscritti raggiunse quota 14 mila, mentre nel 1894 aveva ormai
superato le 20 mila unità, per poi raggiungere, nel 1909, la quota 27 mila. Cfr. Ferraris, Statistiche delle
Università e degli istituti superiori, cit., pp. V-IX.
102
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
iscritti a tutte le facoltà, si attestò attorno alle cinquemila unità, passando da 21.870 a
26.850, a conferma che il sensibile incremento fatto registrare nel giro di pochi anni non
modificava nella sostanza la tradizionale e consolidata predilezione dei giovani e delle
loro famiglie per gli studi giuridici, considerati a tutta prova quelli maggiormente in
grado di garantire i migliori sbocchi professionali, e le carriere più redditizie12.
La sensibile crescita della popolazione studentesca, peraltro, suscitò non poche
perplessità e preoccupazioni nell’opinione pubblica nazionale e nella classe dirigente
dell’epoca, chiamata a misurarsi con un fenomeno in larga parte nuovo, come quello del
delinearsi di una massiccia disoccupazione intellettuale, e con le conseguenze sociali e
politiche che ne potevano derivare13.
Se si esaminano con attenzione i dati statistici, tuttavia, emerge in maniera
inequivocabile che l’incremento di iscritti registrato nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Macerata era di gran lunga superiore a quello riscontrato, nello stesso
periodo, nella maggior parte degli altri atenei della penisola. Facendo riferimento, ad
esempio, al triennio 1893-1896, i dati disponibili dimostrano come nelle cosiddette
università minori, comprese quelle ubicate in centri urbani assai più importanti e
popolosi di Macerata e quelle che già precedentemente erano state elevate ad università
primarie, l’incremento generalizzato del numero di iscritti a cui si è fatto cenno sopra
raggiunse percentuali invero assai più contenute di quella fatta registrare dall’Ateneo
maceratese con il suo + 96% (da 188 a 369 unità). L’Università di Siena passò infatti da
232 a 262 studenti, facendo registrare un +12%; quella di Modena da 354 a 412, con un
12
«La cifra cospicua degli inscritti per la laurea in Giurisprudenza – ha sottolineato al riguardo C.F.
Ferraris – è dovuta per la massima parte alla circostanza che quella laurea apre l’adito a ben quattro
carriere, l’avvocatura, l’amministrazione giudiziaria, l’amministrazione civile centrale e locale
governativa ed autarchica, e l’insegnamento delle scienze giuridiche, sociali e politiche, vuoi superiore
(nelle Università, Scuole di notariato, Scuole superiori di commercio), vuoi secondario (negli Istituti
tecnici e nelle Scuole medie professionali). […] Al concorso dalla Facoltà giuridica diede impulso anche
il propagarsi ognor più potente del giornalismo, nel quale i laureati in Giurisprudenza si riversano, perché
la natura dei loro studi li rende meglio adatti a trattare le questioni sociali e politiche così prevalenti nella
stampa quotidiana. Vi fu infine la non trascurabile occorrenza a tale Facoltà dei figli di famiglie ricche, i
quali si procurano il grado accademico per ornamento e prestigio: e siccome la ricchezza aumenta, così
aumenta anche questo contingente di studenti senza futuro intento professionale» (Ferraris, Statistiche
delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. XI-XII).
13
«Gli avvocati – notava polemicamente Ettore Ciccotti – crescono e si moltiplicano ogni giorno:
crescono e si moltiplicano, se non fosse bestemmia il dirlo, come la proverbiale grazia di Dio. […] Ma
per quest’altra razza di invasori, che periodicamente, regolarmente, tranquillamente, ogni anno, piovono
sul bel paese da tutte le Università d’Italia, non v’è chi si preoccupi e si dia attorno a cercar riparo» (E.
Ciccotti, Cause ed effetti. Note sulle presenti condizioni dell’avvocatura e su di un nuovo ordinamento di
essa, Torino, Bocca, 1889, p. 5). Sul fenomeno della disoccupazione intellettuale a cavallo tra Otto e
Novecento e sulle proposte avanzate per la soluzione del problema, tra cui anche quella di aumentare
sensibilmente le tasse universitarie per ridurre il numero dei laureati, si rinvia a Barbagli, Disoccupazione
intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit. Si veda anche M. Rossi, Università e società in Italia alla
fine dell’800, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1976, pp. 93-151.
103
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
incremento del 16%; l’Università di Messina vide aumentare il numero degli iscritti da
456 a 541 unità, pari al 18%; più modesto fu l’incremento registrato in quella di Pavia,
che passava da 1223 a 1345 iscritti (+9%); mentre l’Ateneo palermitano, in sostanziale
controtendenza rispetto al complesso delle università italiane, vedeva addirittura
diminuire il numero dei suoi studenti di oltre una cinquantina di unità, passando da 1488
a 1434, con una diminuzione del 4%14.
In questo quadro, apparivano ormai lontani, e definitivamente superati, i tempi
in cui, come nell’anno accademico 1877-1878, la popolazione studentesca dell’ateneo
marchigiano aveva raggiunto a malapena le 47 unità. L’Università di Macerata stava
dunque assumendo a tutti gli effetti la connotazione di un ateneo di primaria grandezza,
al cui indispensabile e definitivo decollo sembravano ormai fare difetto non solamente il
permanere della peculiare condizione di essere l’unico nella penisola provvisto di una
sola facoltà, quella di Giurisprudenza, ma anche la sua forzata collocazione tra le
università secondarie15.
Non sorprende, a questo riguardo, il fatto che, di lì a poco, l’attenzione di tutti si
concentrasse su un unico obiettivo: l’ottenimento dello status di università primaria. A
rivendicarlo erano soprattutto i membri del corpo docente, ansiosi di vedere equiparati i
loro stipendi a quelli dei colleghi degli atenei maggiori, ai quali non potevano ormai più
bastare i pur reiterati apprezzamenti tributati dall’opinione pubblica maceratese e
marchigiana per i loro meriti scientifici e per la qualità del loro impegno didattico né,
tantomeno, appariva sufficiente l’universale consapevolezza delle ottimali condizioni di
studio e d’insegnamento offerte dall’Università di Macerata:
14
Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., p. 3.
Si trattava di un caso unico in Italia, visto che anche atenei di modeste dimensioni ed incompleti, quali
ad esempio quelli di Sassari e di Siena, possedevano comunque due facoltà, Giurisprudenza e Medicina e
Chirurgia; mentre altri di analoghe dimensioni, ed era il caso delle università di Cagliari, Modena e
Parma, oltre alle due sopra richiamate, erano provviste anche di una terza facoltà, quella di Scienze
matematiche, fisiche e naturali. Erano invece undici le sedi universitarie che, all’epoca, disponevano di
tutte e quattro le facoltà stabilite dalla legge Casati (le tre già ricordate più quella di Lettere e Filosofia),
con l’Ateneo napoletano addirittura provvisto di cinque facoltà, dal momento che la Facoltà di
Matematica risultava distinta da quella di Scienze fisiche e naturali. Per un organico quadro degli
ordinamenti giuridici e amministrativi e dell’organizzazione didattica delle università italiane alla fine
dell’Ottocento si rinvia a A. Graziani, Ordinamento dell’Istruzione superiore in V.E. Orlando (a cura di),
Primo trattato completo di diritto amministrativo, Milano, Società editoriale libraria, 1905, pp. 845-1044.
Si veda altresì la puntuale e documentata ricostruzione della genesi e degli sviluppi fino a fine secolo del
sistema universitario nazionale offerta in Porciani, Moretti, La creazione del sistema universitario nella
nuova Italia, cit., pp. 323-379. Sull’evoluzione della legislazione relativa all’istruzione superiore e alle
università nella fase post unitaria si veda ora Porciani (a cura di), L’Università italiana. Repertorio di atti
e provvedimenti ufficiali (1859-1914), cit.
15
104
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Accreditata per il valore dei suoi insegnanti e per la sua giusta disciplina – notava un autorevole
commentatore, facendosi portavoce di un’opinione largamente diffusa non soltanto a Macerata e nelle
Marche –, l’Università maceratese è guardata con favore da tanti padri di famiglia, desiderosi di trovare
pei loro figli un buon Ateneo, lungi dal dispendio, come dalle distrazioni e dai pericoli dei maggiori
centri, dove i disordini studenteschi sembrano ormai divenuti un male cronico16.
Merita di essere sottolineato, fra l’altro, che proprio gli svantaggi economici e le
minori tutele sul piano amministrativo offerte al corpo docente dalle università minori
nell’Italia liberale erano alla base del fenomeno, largamente diffuso a Macerata, dello
scarso radicamento e dell’estrema mobilità dei docenti, la maggior parte dei quali
considerava quella marchigiana come una mera “sede di passaggio”, nella quale
compiere il proprio apprendistato accademico e conseguire i titoli necessari al fine di
spiccare il volo verso uno degli atenei primari della penisola, mèta privilegiata per il
prosieguo della carriera17.
La questione dell’estrema mobilità e della costante migrazione dei docenti
dell’Università di Macerata verso le sedi più gratificanti e i grandi atenei, sulla quale si
erano appuntati, già negli anni precedenti, i rilievi polemici e le denunce non solamente
dei rettori18, ma anche di altri autorevoli membri del corpo docente, primo fra tutti, fin
dal 1886, l’allora preside della Facoltà di Giurisprudenza Giuseppe Brini19, assunse sul
finire del secolo i caratteri di una vera e propria emergenza, stante le ripercussioni che
tale fenomeno era destinato a produrre sullo stesso andamento della vita universitaria e
sul regolare funzionamento dell’attività didattica nell’ateneo.
16
Spadoni, La nostra università, cit., p. 11.
Si vedano al riguardo M. Moretti, I. Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo
retrospettivo, «Annali di storia delle università italiane», 1 (1997), pp. 11-39; A. Zannini, Stipendi e
status sociale dei docenti universitari. Una prospettiva storica di lungo periodo, ivi, 3 (1999), pp. 9-39;
G. Fois, Reclutamento dei docenti e sistemi concorsuali, dal 1860 a oggi, in Brizzi, Del Negro, Romano
(a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., I, pp. 461-483.
18
«L’esodo dei Professori continua incessante – notava ad esempio, sul finire degli anni Ottanta, l’allora
rettore dell’ateneo maceratese Raffaele Pascucci –: e se al termine dei lavori dell’anno decorso dovemmo
dare l’addio a due bravi colleghi, il Cav. Lo Savio e il Vitali, tra poco dovremo assistere pensierosi alla
partenza di altri due egregi, l’Ugo ed il Franchi, vincitori anch’essi in modo onorevole di concorsi,
sostenuti al confronto di esimi cultori delle discipline giuridiche d’Italia. Questi risultati stanno, mi
sembra, ad attestare che l’istruzione impartita finora da questo Ateneo poteva reggere al paragone di ogni
altra, e che tanto i Professori passati (tra i quali mi compiaccio di rammentarne uno carissimo, il Brini,
che ora occupa nella dotta Bologna, sua patria, la cattedra d’Irnerio), quanto i presenti, possono tutti, me
eccettuato, gareggiare con tanti delle Università maggiori; e che tutti, me incluso, hanno adempiuto il loro
dovere. […] Ma ahimè! L’avvento dei bravi giovani è destinato a sparire come meteora dal nostro
orizzonte, fino a che le condizioni dell’Ateneo rimarranno quali sono attualmente» (Relazione sulle
vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1888-89 letta nel 17 novembre 1889 dal Rettore Prof.
Raffaele Pascucci per la solennità inaugurale del nuovo corso accademico[1889-1890], ANNUARIO
(1890), pp. 5-6).
19
Cfr. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al sindaco di Macerata (Macerata, 7
luglio 1886), cit., p. 7.
17
105
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
A questo proposito, nella già citata relazione per l’inaugurazione dell’anno
accademico 1895-1896, il rettore Barsanti, se da un lato non aveva perso l’occasione per
rilevare l’accresciuto numero di studenti dell’ateneo nonché la «tranquillità della nostra
scolaresca e la solidarietà tra maestri e discenti»20, dall’altro aveva stigmatizzato le
accresciute difficoltà prodotte dal fenomeno della mobilità del corpo docente:
Anche nell’anno scolastico ora terminato si ebbe a verificare il solito inconveniente tanto e giustamente
lamentato da tutti i miei predecessori; l’inconveniente che ormai si esprime con una parola consacrata a
questo concetto dell’esodo dei professori. […] Io insisto nel rilevare questo inconveniente, perché bisogna
bene che ci persuadiamo tutti che fino a quando questa Università non sia in tutto pareggiata alle altre, è
inutile pensare a rimuovere l’esodo dei professori sebbene oggi sia in parte mitigato per la sollecita cura
degli enti consorziati. Senza il pareggiamento è inutile pensare ad aver tradizioni d’insegnamento, e quel
maggior lustro e decoro che deriverebbe dall’avere insegnanti provetti e giunti al più alto grado della
rinomanza. Ed ora più che mai si impone tale pareggiamento, ora che nuovi ed imprevedibili eventi
stanno per aprirsi alle Università italiane21.
Una difficoltà, dunque, di non scarso rilievo, della quale il rettore maceratese
individuava la causa nel mancato pareggiamento e per la quale auspicava un pronto
superamento al fine di garantire la sopravvivenza stessa dell’ateneo.
Lo stesso Barsanti, tuttavia, se da un lato richiamava l’attenzione sull’urgenza
del pareggiamento dell’Ateneo maceratese alle università primarie, dall’altro non
mancava di esprimere inquietudine e preoccupazione per gli annunciati provvedimenti
di riordino del sistema universitario nazionale. Il riferimento era, naturalmente, al nuovo
20
Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896], cit.,
p. 11. Un tradizionale momento di socialità tra le diverse componenti dell’Ateneo maceratese era,
all’epoca, l’annuale «banchetto universitario», al quale partecipavano tanto il corpo docente al completo
quanto gli studenti. In un articolo del maggio 1892 dal titolo Il banchetto universitario, il periodico
maceratese «Il Vessillo delle Marche» forniva un interessante resoconto del rituale appuntamento
celebratosi in occasione della conclusione di quell’anno accademico: «Domenica 8, all’una pom., si ebbe
nella Sala Verde del Lauro Rossi, il geniale banchetto universitario, divenuto ormai tradizionale. Ça va
sans dire l’allegria, la cordialità più animata e… rumorosa, regnarono durante il banchetto riaffermando
anche una volta, di più tenaci vincoli, il santo affetto che lega studenti e professori. Applausi unanimi
accolsero al loro giungere i professori ed una vera ovazione si ebbe per il padre degli studenti, il rettore
Calisse» («Il Vessillo delle Marche», 21 maggio 1892, 20, p. 1). Sulle particolari caratteristiche della vita
universitaria nelle sedi minori e meno affollate, ove erano possibili legami più intensi tra docenti e
studenti, si veda P. Cogliolo, Malinconie universitarie, Firenze, G. Barbera, 1887. Molto intensa, anche a
Macerata, fu l’attività goliardica degli studenti sia nel corso della seconda metà dell’Ottocento che nei
decenni seguenti. A tal proposito è qui opportuno ricordare i numerosi opuscoli e le diverse pubblicazioni
periodiche curate dalle associazioni goliardiche maceratesi, tra le quali: «Il Baccanale» (1908), «Il
Goliardo» (1908-1939), «Il pupazzetto goliardico» (1911), «Matricula» (1913), «Goliardia nuova»
(1930), «Berretto azzurro» (1936).
21
Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896], cit.,
pp. 15-16.
106
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
disegno di legge presentato alla Camera dal ministro della Pubblica Istruzione Guido
Baccelli il 13 giugno 1895, dal titolo Sull'autonomia delle Università, Istituti e Scuole
superiori del Regno, il quale riprendeva in larga parte quello già predisposto dallo stesso
ministro una decina di anni prima, nel 1884, e mai approvato22.
Il disegno di legge Baccelli, com’è noto, mirava a realizzare un sensibile
rafforzamento dell’autonomia universitaria sia dal punto di vista gestionale e
amministrativo sia sotto il profilo didattico e scientifico, propugnando fra l’altro il
riconoscimento della personalità giuridica degli atenei e la gestione autonoma del
finanziamento statale. In realtà a preoccupare gli atenei minori come quello di Macerata
era soprattutto il silenzio circa il destino delle piccole università, delle quali non si
faceva cenno riguardo alla possibilità o meno di essere equiparate alle maggiori e,
quindi, ammesse anch’esse a fruire del finanziamento statale.
Se da un lato, peraltro, il disegno di legge Baccelli finiva per riaccendere il
dibattito già sviluppatosi nei primi anni Ottanta tra i sostenitori dell’accentramento e
quelli dell’autonomia delle sedi universitarie23, distogliendo così l’attenzione
dell’opinione pubblica e quella dello stesso ministero della Pubblica Istruzione dalle
problematiche e richieste avanzate dagli atenei minori, dall’altro, com’è stato
giustamente sottolineato, l’enfasi posta dal provvedimento sulla dotazione statale fissa
attribuita alle sedi universitarie faceva temere non solamente che la «cristallizzazione
degli assegni governativi» avrebbe finito, alla lunga, per «impoverire gli atenei», ma
anche che a fronte di tale intervento statale sarebbe inevitabilmente scemata «la
contribuzione di enti o privati» 24.
22
Si veda il testo del disegno di legge predisposto nel 1895 dal ministro Guido Baccelli in AP, Camera
dei Deputati, Sessione 1894, Documenti, n. 1 (urgenza), Disegno di legge presentato dal Ministro
dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno,
seduta del 6 dicembre 1894; e Id., Sessione 1895, Documenti, n. 67 (urgenza), Disegno di legge
presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e
Scuole superiori del Regno, seduta del 13 giugno 1895. Per un’analisi dei contenuti dei provvedimenti di
riforma universitaria predisposti dal ministro Baccelli nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento si
rinvia a E. De Paoli, L’autonomia universitaria secondo il progetto di legge del ministro Baccelli,
«Nuova Antologia», LX (1 novembre 1895), XXI, pp. 142-171; Vicende legislative della Pubblica
Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al
Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 94-138 e 156-168; Colao, La libertà di
insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia
(1848-1923), cit., pp. 257-329; M. Simeti, Opinione pubblica, politica e università. Il progetto di legge
Baccelli tra stampa e Parlamento, «Annali di storia delle università italiane», 3 (1999), pp. 193-206; F.
Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, in Brizzi,
Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., I, pp. 291-292.
23
Cfr. B. Palma, L’Università tra accentramento e autonomia, Urbino, Università degli Studi-Arti
Grafiche Editoriali, 1983.
24
Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, cit., p.
292.
107
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Le condizioni di difficoltà in cui versava l’Ateneo maceratese per le carenze
dell’organico docente risultano evidenti laddove si prenda in esame il quadro degli
insegnanti di ruolo e incaricati posti a carico del bilancio dell’Università. Secondo
quanto stabilito dallo Statuto consorziale, rivisto e approvato con il R.D. 6 febbraio
1887, n. 433825, l’Ateneo avrebbe dovuto disporre di otto professori ordinari (per un
totale di spesa di 24.000 lire) e quattro straordinari (per una spesa di 8.400 lire), mentre
gli eventuali docenti incaricati sarebbero stati pagati dal Consorzio con i rimanenti fondi
della Cassa consorziale26. Se si prende, ad esempio, in esame il quadro relativo all’anno
accademico 1895-1896, la situazione che si profila risulta essere ben diversa: i
professori ordinari realmente incardinati risultavano essere appena cinque (Niccolò Lo
Savio per l’Economia politica, Raffaele Pascucci sulla cattedra di Procedura civile e
Ordinamento giudiziario, Enrico Serafini titolare di Diritto romano, Pio Barsanti sulla
cattedra di Diritto e procedura penale e Luigi Tartufari su quella di Diritto civile);
altrettanti erano i professori straordinari (Alberto Zorli di Scienza delle finanze e diritto
finanziario,
Giovanni
Vacchelli
di
Diritto
amministrativo
e
Scienza
dell’amministrazione, Angelo Sraffa di Diritto commerciale, Domenico Schiappoli di
Diritto ecclesiastico e Fabio Luzzatto di Istituzioni di Diritto Civile), mentre risultava
un solo incaricato esterno, il dott. Carlo Lauri, medico ospedaliero, chiamato a tenere gli
insegnamenti di Medicina legale e Anatomia topografica applicata alla Traumatologia27.
Ad aggravare una situazione resa incerta e difficoltosa dalle croniche carenze di
organico sopra richiamate si aggiungeva in questi stessi anni, come si è già ricordato,
l’accentuata mobilità del corpo docente: i frequenti trasferimenti ad altra sede di taluni
tra i più valenti professori dell’Ateneo, indubbiamente, erano destinati ad accentuare il
senso di precarietà e a rendere tutt’altro che agevole la strutturazione del calendario
didattico e la stessa organizzazione dei corsi.
Basti dire che, nel corso degli anni Novanta, la maggior parte dei docenti
chiamati a ricoprire le cattedre nell’Ateneo maceratese rimasero nella sede marchigiana
solamente per due o tre anni al massimo. Basterebbe qui ricordare Giacomo Venezian
(Diritto civile) e Federico Patetta (Storia del diritto italiano), trasferiti nei primi anni
Novanta rispettivamente nell’Università di Messina e in quella di Siena (atenei di
25
Sui contenuti dello Statuto approvato nel 1880 e sulle modifiche apportate in seguito alla revisione del
1887 si veda ora Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa
rinascita, cit., pp. 136-140.
26
Si veda il testo dello Statuto del Consorzio universitario di Macerata (revisione 1887), in ArangioRuiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 146-147.
27
Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1896), pp. 69-70.
108
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
modeste dimensioni ma ormai da qualche anno pareggiati a quelli di prim’ordine28);
Giulio Cesare Buzzati (Diritto internazionale) e Carlo Manenti (Istituzioni di diritto
romano), trasferiti nel 1894-1895 rispettivamente all’Università di Pavia e a quella di
Messina; di Angelo Sraffa (Diritto commerciale) ed Enrico Serafini (Diritto romano),
passati l’anno seguente entrambi all’Università di Messina; di Giovanni Vacchelli
(Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione), trasferitosi all’Università di
Pisa nel 1896-1897.
Né maggiore stabilità sulle cattedre maceratesi venne assicurata, nella gran parte
dei casi, da coloro che furono chiamati a sostituire i docenti trasferiti. E’ significativa,
ad esempio, la breve esperienza in terra marchigiana fatta registrare dai professori Fabio
Luzzatto e Domenico Schiappoli, chiamati a sostituire il Venezian e il Patetta
rispettivamente sulle cattedre di Diritto civile e di Storia del diritto italiano, e assai
presto trasferitisi a loro volta in atenei di primo livello.
Appariva,
dunque,
indispensabile
e
urgente
ottenere
la
modifica
dell’ordinamento vigente che collocava quello maceratese tra i pochi regi atenei della
penisola non ancora pareggiati alle università primarie, assieme a quelli di Sassari e di
Cagliari29. Anche in questa circostanza, come si era già verificato qualche anno prima,
dinanzi alla minacciata soppressione dell’ateneo da parte del ministro della Pubblica
Istruzione Ferdinando Martini30, la componente accademica, la stampa locale e le
istituzioni amministrative maceratesi, ossia Comune e Provincia, si mossero
congiuntamente per ottenere il sospirato pareggiamento.
Il 30 novembre 1895, poche settimane dopo il grido d’allarme lanciato dal
rettore Barsanti, il periodico maceratese «Il Vessillo delle Marche»31 denunciava la
graduale perdita di peso politico e amministrativo della città e del suo territorio e
sollecitava la classe dirigente locale a svolgere un’azione più decisa nei confronti delle
28
Com’è già ricordato, con il R.D. 13 dicembre 1885, n. 3570, si procedette al pareggiamento delle
università di Genova, Catania e Messina. Due anni più tardi, in forza del R.D. 14 luglio 1887, n.4745,
anche gli atenei di Siena, Modena e Parma furono pareggiati a quelli di primo grado. Sulla questione del
pareggiamento delle università minori alla fine Ottocento si vedano Porciani, La questione delle piccole
università dall’unificazione agli anni Ottanta, cit., pp. 9-18; Moretti, La questione delle piccole università
dai dibattiti di fine secolo al 1914, ivi, pp. 19-44; Id., Piccole, povere e ‘libere’: le università municipali
nell’Italia liberale, cit., pp. 533-562.
29
Sulle vicissitudini dei due atenei sardi a cavallo tra Otto e Novecento, si vedano ora: Fois, Storia
dell’Università di Sassari (1859-1943), cit. e P. Bullita, Note sulla storia dell’Università di Cagliari,
Cagliari, Mythos Iniziative, 2004.
30
Cfr. Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa rinascita,
cit., pp. 141-142.
31
Su «Il Vessillo delle Marche», sorto nel 1861 e pubblicato per quasi un quarantennio a Macerata, si
veda ora Palombarini, La stampa periodica a Macerata dal 1860 al 1900, cit., pp. 405-425.
109
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
istituzioni politiche nazionali affinché si operasse per il rilancio della provincia e del
suo capoluogo:
Certo è che da non poco tempo – sottolineava fra l’altro l’anonimo estensore dell’articolo – c’è stato,
sulla città nostra, un vero succedersi di disastri. Gli uffici governativi se ne vanno scomparendo
chetamente e, mentre la crisi nazionale chiede nuovi e più gravi sacrifici di tributi a ristorare l’erario
esausto, a noi è seccata ciascuna delle fonti che è causa di guadagno. Scompaiono gli uffici e con essi, se
non scompare, si restringe grandemente ogni commercio di danaro, onde scarsi sono i guadagni e grave
perciò più che mai ogni tributo. […] Ma come può pagare chi non guadagna?
A fronte di una crisi strisciante e di una perdita di peso politico che sembravano
emarginare sempre di più Macerata, «Il Vessillo delle Marche» sottolineava come le
difficoltà in cui versava la locale sede universitaria e la possibilità tutt’altro che remota
che anch’essa fosse ridotta nella condizione di dover chiudere inopinatamente i battenti
rappresentassero un rischio troppo grande e che occorresse mobilitarsi per scongiurare
tale prospettiva, la quale avrebbe condotto il capoluogo marchigiano non soltanto verso
un’irreversibile decadenza economica, ma anche verso la perdita della propria identità
per il venir meno di uno dei simboli delle tradizioni culturali cittadine:
Pare che anche l’Università – si affermava nell’articolo – debba seguire il fatale andare degli altri istituti.
E dire che manca ogni ragione. I professori sono valenti e così che non passa anno senza che l’Ateneo
debba lamentare la perdita d’uso di uno di essi chiamato a leggere nelle Università così dette maggiori.
Maggiori perché? Forse per numero di scolari? Ma sono parecchie, e parecchie le Facoltà di legge che
contano un numero di giovani ben minore e di molto. E i professori, l’abbiam detto, se ne vanno che è un
piacere.
A fronte della situazione creatasi, «Il Vessillo delle Marche» faceva proprio
l’appello del rettore Barsanti per un impegno unitario in favore dell’ottenimento del
pareggiamento di Macerata alle altre università primarie:
Che si vuole dunque? E’ presto detto e chiaramente: il pareggiamento. Per ottenerlo insista e Comune e
Provincia, visto che non sono poche le economie che il bilancio dello Stato ha fatto negli uffici di
Macerata. E perché non è giusto togliere tutto senza dare qualcosa, dia almeno quel poco che è necessario
perché il nostro Ateneo sia in grado di competere con gli altri: né ci rimetterà troppo. […] Allora, cessato
l’esodo dei Professori ed accresciuto l’affluire degli scolari che saran certi di sentire sempre la parola
110
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
della scienza sempre dagli stessi ed illustri maestri, allora, affermiamo, il nostro Ateneo potrà
vittoriosamente combattere con gli Atenei delle altre città32.
«Il Vessillo delle Marche» tornava due settimane più tardi, il 17 dicembre 1895,
a sollecitare un rapido e risolutivo intervento delle forze politiche e amministrative
locali in favore dell’Università, non mancando di richiamare l’attenzione dei lettori sul
carattere contraddittorio e ingiustamente penalizzante per il piccolo Ateneo marchigiano
della normativa universitaria vigente:
Perché dunque questo esodo continuo dei professori dalla Università nostra alle Università, cosiddette,
maggiori? Forse che a Macerata si sta male? Non pare. La ragione è che nelle altre università i professori
sono trattati come si deve (dal Governo, beninteso) e quindi non solo possono attendere con cura diligente
ed assidua al proprio insegnamento, ma hanno e più tempo e mezzi maggiori per attendere allo studio
della propria disciplina. E così, mentre cresce la fama ed il buon nome degli insegnanti, cresce di pari
passo, con uguale proporzione il decoro dello Studio. Per tal modo accade che gli insegnanti dotti e
geniali fan qui, inesperti, le prime esperienze, quasi in corpore vili, e , quando si son dirozzati
nell’insegnamento, aprono il volo per altri lidi. E a Macerata conseguentemente rimangono gli insegnanti
che non si levano dall’aurea mediocrità, o quelli che per avere una certa età, o per essersi formata una
famiglia, quantunque dotti, non si sentono di lasciare il certo dell’oggi per l’incerto del domani o, per lo
meno, non possono rinunciare a cinque per avere, durante qualche anno, solamente due o tre. Ma questo
sarebbe poco male, forse. Il peggio si è che un professore di Macerata, fin che sta qui, non può essere
illustre. Sta a Macerata e tanto basta; se vuol essere reputato una cima deve andarsene altrove. E si che di
insegnanti tanto modesti quanto valorosi ne abbiamo avuti. Domandatelo al Venezian.
A parere de «Il Vessillo delle Marche», peraltro, il mancato pareggiamento
aveva favorito il sorgere e radicarsi della pratica di attribuire sistematicamente, ai pochi
docenti incardinati nella Facoltà giuridica maceratese, uno o più corsi per affidamento
in aggiunta a quello ufficiale; pratica, questa, che rappresentava una scelta obbligata,
stante la costante carenza di organico per l’insufficiente numero di professori di ruolo
chiamati a ricoprire gli insegnamenti obbligatori previsti dal piano di studi di
Giurisprudenza, e che alla lunga era destinata a produrre non pochi inconvenienti sotto
il profilo della qualità dell’insegnamento e della serietà degli studi:
Altra piaga della nostra Università – sottolineava al riguardo il periodico maceratese – sono gli incarichi
di insegnamento elargiti. […] Non c’è professore che non abbia il suo incarico. Ed è egli possibile che chi
professa una disciplina possa anche insegnarne un’altra. A noi non pare che possano riuscire a bene questi
32
Pro Macerata, «Il Vessillo delle Marche», 33 (30 novembre 1895), 35, pp. 1-2.
111
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
professori omnibus. Ché se pel decoro della loro posizione l’incarico è un corollario forzato, per
l’insegnamento è una forzata disgrazia. Di fatti, o attendono con cura ad una disciplina e l’altra trattano
alla meglio, o le trattano alla meglio tutte e due. Questo in teoria s’intende; in pratica possono esservi
delle eccezioni; ma si sa che le eccezioni confermano la regola33.
Il dibattito sul pareggiamento dell’Università di Macerata era destinato a
travalicare assai presto il confronto e le discussioni sulla stampa locale e ad assumere un
rilievo nazionale. Al principio del 1897, a questo riguardo, il prof. Domenico Schiappoli
rilanciava la questione dalle pagine de «L’Unione universitaria»34, il battagliero
periodico «dei professori universitari italiani» edito a Siena dal 1894 al 1897, che già in
passato non aveva esitato a denunciare le contraddizioni e i guasti dell’istruzione
superiore in Italia e a richiamare l’attenzione del Parlamento e del governo sulle
difficoltà in cui versavano gli atenei minori35.
Dopo aver illustrato brevemente le difficoltà generate dai numerosi
avvicendamenti sulle diverse cattedre della Facoltà giuridica maceratese per l’anno
accademico da poco iniziato (1896-1897), lo Schiappoli denunciava con toni
preoccupati lo stato di minorità e l’ingiustificato e gravissimo svantaggio nel quale
l’Ateneo marchigiano si trovava ad operare rispetto alle altre università della penisola,
non mancando di rilevare lo stato di precarietà in cui esso versava anche in forza del
carattere aleatorio, e tutt’altro che garantito per il futuro, dei finanziamenti erogati dal
consorzio universitario costituito con gli enti locali, senza trascurare viepiù i rischi per
l’autonomia organizzativa e didattica dell’ateneo insiti nelle ampie prerogative attribuite
al consorzio stesso:
Possiamo a nostro onore dire – egli scriveva –, che la Facoltà giuridica di Macerata trovasi presentemente
costituita in modo da riscontrarne l’eguale in pochissime Università del Regno. Però non possiamo fare a
meno di notare con certo senso di dolore, che molti degli elementi preziosi che la Facoltà possiede
attualmente, prenderanno subito il volo, appena un miglioramento nella loro carriera si potrà verificare.
Bisogna tener presente che la condizione inferiore, in cui viene tenuta rispetto alle altre Università del
Continente farà sempre in modo, che si verifichi e si deplori un esodo continuo di professori e che qui non
33
Pro Macerata, «Il Vessillo delle Marche», 33 (17 dicembre 1895), 36, pp. 1-2.
D. Schiappoli, Cronache delle università. Corrispondenza da Macerata, «L’Unione universitaria», 4
(1897), 1, pp. 39-43.
35
Cfr. M. Moretti, L’«Associazione nazionale fra i Professori universitari» e la politica universitaria
nell’età giolittiana. Note ed osservazioni, in A. Romano (a cura di), Università in Europa. Le istituzioni
universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni. Strutture, organizzazione, funzionamento. Atti del Convegno
Internazionale di Studi. Milazzo 28 settembre-2 ottobre 1993, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp.
581-600; e Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 377-402.
34
112
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
si possa formare una tradizione scientifica. Il Consorzio universitario ha cercato di rimediare in certa
guisa al lamentato inconveniente, dando un maggiore assegno di L. 500 ai professori straordinari e di L.
800 agli ordinarii; ma questo non risponde perfettamente allo scopo, poiché, pure prescindendo
dall’esiguità di esso, resta sempre in facoltà del Consorzio di concederlo o negarlo anno per anno, e dà al
medesimo un’ingerenza che non dovrebbe avere, sull’andamento disciplinare e didattico dell’Università.
Bisognerebbe che gli enti consorziati, cioè il Comune e la Provincia, imitando l’altrui esempio, si
persuadessero di fissare ne’ rispettivi bilanci la cifra pel così detto pareggiamento e che lo Stato
contribuisse ancora con leggero sacrificio. Ma il Comune, maggiormente interessato, non prende
l’iniziativa; la Provincia fa osservare che deve mantenere anche l’Università di Camerino36.
Al di là delle eccessive cautele e della scarsa propensione a investire con
coraggio e in forma stabile sull’università da parte degli enti locali, tuttavia, per il
docente di Diritto ecclesiastico dell’Università di Macerata la questione di fondo che
rischiava di danneggiare irreparabilmente il futuro del piccolo Ateneo marchigiano
risiedeva nella iniqua distinzione tra sedi universitarie maggiori e minori:
Strana leggenda quella delle Università minori! E dire che i concorsi per esse sono giudicati con criteri
identici a quelli aperti per le Università di I grado! I corsi sono identici, se si eccettui un maggior numero
di lezioni impartite dai professori, non distratti da cure professionali o politiche, un minor numero di
vacanze forzate e un maggior rigore negli esami speciali e di laurea37.
Difficile dunque attribuire l’aggettivo di “minore” – con le indebite
penalizzazioni del caso – ad un’università che, pur collocata in un piccolo centro e
caratterizzata non per sua scelta da una sola facoltà, pure assolveva regolarmente, al pari
delle altre, la propria funzione didattica e scientifica, per di più facendosi carico della
formazione superiore di un considerevole numero di studenti.
Questi ultimi peraltro – e Domenico Schiappoli ci teneva a ribadirlo, anche al
fine di fornire ai lettori i «giusti termini» in cui si poneva la questione – non sceglievano
l’Ateneo maceratese semplicemente in virtù della prevista esenzione dalle tasse, come
invece «malignamente» era sostenuto da taluni, bensì per le eccellenti condizioni di
studio da esso offerte, l’assenza di proteste e di disordini, nonché l’elevata qualità
dell’insegnamento impartito dai suoi docenti:
36
37
Schiappoli, Cronache delle università. Corrispondenza da Macerata, cit., pp. 39-40.
Ibidem, pp. 40-41.
113
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Vero è – egli affermava –, che si dice sempre, che a Macerata affluiscano gli studenti perché non si
pagano le tasse d’iscrizione: ma ciò, se pur poteasi dire rispetto a parecchi anni fa, ora non si può più
sostenere, specialmente davanti al fatto, che molti dei nostri studenti s’iscrivono qui con foglio di
congedo di Napoli, di Roma, ecc.: ora, se essi s’erano già iscritti in quelle Università, è manifesto, che
potevano pagare le tasse. […] Quindi la ragione del progressivo aumento va cercata in qualche altro fatto,
specialmente se si consideri, ch’esso s’è andato verificando negli ultimi anni, quando più fiera
imperversava la bufera dei disordini universitari nei grandi centri ed a Napoli in special modo. Io […] ho
sentito parecchie volte ripetere da padri di famiglia, ch’essi mandano qui i loro figli, perché hanno minori
distrazioni e maggiore comodità di studiare, perché i professori fanno sempre lezione, perché c’è
maggiore affiatamento tra professori e scolari. […] Ed infatti quale prova maggiore dei disordini
universitari di quest’anno? Mentre Pisa, Roma, Torino, Napoli, Palermo, Messina, Catania, ecc. , hanno
chiuso i corsi, qui le lezioni, sospese per pochissimi giorni, si sono subito riprese ed hanno continuato
regolarmente con la massima calma e tranquillità38.
In effetti, come rilevava Schiappoli, già da qualche anno le proteste e i disordini
studenteschi stavano condizionando fortemente l’andamento dell’attività universitaria
nel paese, al punto che il ministro Baccelli era stato costretto a chiudere l’Università di
Napoli, facendo così perdere l’anno agli iscritti, come estrema sanzione disciplinare,
nella speranza che un sì grave provvedimento contribuisse a raffreddare gli animi e ad
evitare un’ulteriore escalation della protesta39.
Il riferimento dello studioso alla condizione di confusione e d’instabilità in cui si
trovava la gran parte degli atenei della penisola a seguito dei «disordini» studenteschi
toccava un nervo scoperto della vita universitaria nazionale e, come si evince dalle
polemiche politiche e dagli allarmati resoconti apparsi sui grandi organi di stampa,
sembrava preoccupare particolarmente l’opinione pubblica nazionale. Sotto questo
profilo, non sorprende l’enfasi con la quale, da parte del piccolo centro universitario
marchigiano, si approfittasse della situazione d’incertezza che caratterizzava soprattutto
gli atenei delle grandi città, per rivendicare un titolo di merito e un nuovo argomento a
favore della sopravvivenza e del sostegno statale alle università minori.
Con la presentazione da parte del nuovo ministro della Pubblica Istruzione
Emanuele Gianturco, del disegno di legge dal titolo Modificazioni alle vigenti leggi
38
Ibidem, pp. 41-42.
Cfr. V.E. Orlando, La chiusura delle Università come mezzo disciplinare, «L’Unione universitaria», 1
(1894), 1, pp. 509-511; G. Gorrini, Decadenza della disciplina nelle nostre Università, «L’Unione
universitaria», 2 (1895), 2, pp. 171-172. Sulle proteste e i disordini studenteschi di questo periodo si
vedano in particolare: Rossi, Università e società in Italia alla fine dell’800, cit., pp. 153-167; Pizzitola,
Gli studenti della nuova Italia, cit., pp. 157-163; Tomasi-Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale
(1861-1923), cit., pp. 160-168.
39
114
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
sull’istruzione superiore40, sembrò in un primo momento che si intendesse finalmente
dare risposta alle attese delle tre università minori – Macerata, Sassari e Cagliari – che
sollecitavano il definitivo superamento delle disparità vigenti in materia di stipendi del
personale docente. Nel testo predisposto dall’esecutivo e presentato alla Camera dei
deputati il 4 maggio 1897, a questo proposito, all’allegata Tabella C, relativa agli
stipendi dei professori ordinari e straordinari, era omessa ogni differenziazione tra i
professori delle università regie di prima e quelle di seconda fascia.
Le speranze di un’imminente equiparazione del trattamento economico dei
docenti delle università minori a quello in vigore per il resto della categoria erano
destinate, tuttavia, a tramutarsi, di lì a poco, in un’amara disillusione. A distanza di
pochi giorni (13 maggio), infatti, nel testo ufficiale del disegno di legge Gianturco
pubblicato come di consueto nel «Bollettino ufficiale del Ministero della Pubblica
Istruzione» la “svista” riscontrata precedentemente era emendata e la Tabella C,
debitamente corretta, riproponeva senza grandi variazioni il differente trattamento
economico e giuridico tradizionalmente stabilito per il personale docente di ruolo degli
atenei di Macerata, Sassari e Cagliari rispetto a quello delle università di prima fascia,
con l’unica novità di un lieve incremento degli emolumenti assegnati ai professori delle
università minori41.
Non sorprende, a questo riguardo, che in un successivo e polemico intervento
dal titolo Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata42, pubblicato sulle
pagine de «L’Unione universitaria», il prof. Domenico Schiappoli si facesse portavoce
del crescente malcontento dei colleghi per il mancato pareggiamento, liquidando come
ridicoli i modesti aumenti stipendiali previsti dal provvedimento:
Non si creda però – egli scriveva –, che l’on. Gianturco non abbia preso a cuore la sorte dei professori di
queste Università minorum gentium, anzi ha voluto anche aumentare lo stipendio elevando di lire 400
quello dei professori straordinari e di lire 600 quello degli ordinari. E’ vero il caso di gridare, con frase
volgare, davanti a tanta gretteria: crepi l’avarizia!
40
Si veda il testo del provvedimento predisposto dal ministro Emanuele Gianturco in Disegno di legge
presentato dal ministro della pubblica istruzione (Gianturco) di concerto col ministro del Tesoro
(Luzzatti), Modificazioni alle vigenti leggi dell’istruzione superiore, seduta del 4 maggio 1897, in AP,
Camera dei Deputati, Sessione 1897, Documenti, n. 79.
41
Cfr. BUMPI (1897), I, n. 19, p. 789. Il fatto che la disposizione fosse presente nel testo originario aveva
addirittura indotto il giornale «La Nuova Sardegna», organo dei radicali sassaresi, ad accogliere il
progetto con un editoriale di plauso. Si veda Il progetto Gianturco e l’Università di Sassari, «La Nuova
Sardegna», 16 maggio 1897.
42
D. Schiappoli, Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata, «L’Unione universitaria», 4
(1897), 3-4, pp. 158-162.
115
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Lo stesso Schiappoli forniva poi un’ampia e analitica ricostruzione delle reazioni
che la cocente delusione prodotta dalla presentazione del disegno di legge Gianturco
aveva suscitato negli ambienti accademici e in seno agli stessi enti locali interessati e
dava conto del clima di mobilitazione unitaria da parte dei docenti dei tre atenei che ne
era scaturito:
Appena pubblicato il progetto, il Corpo Accademico dell’Università di Sassari, eguale in grado a questa
di Macerata, riunito in seduta plenaria, deliberava di sperimentare ogni mezzo legale, che riesca a togliere
l’umiliante sperequazione di fronte alle altre Università e di rivolgere viva raccomandazione alle altre due
consorelle di Cagliari e di Macerata allo scopo di riunire tutte le forze nell’intento comune e di prendere
concordemente i necessari provvedimenti e più specialmente di riunire a Roma i rappresentanti delle
Università e degli enti interessanti. Il Consiglio provinciale, poi, della medesima città, nella seduta
straordinaria del 17 maggio, deliberava di far voti presso il Governo, affinché abbia a sparire una buona
volta nelle Università ogni distinzione e siccome gli effetti delle spiacevole distinzione colpiscono
particolarmente le sole Università di Cagliari, Sassari e Macerata e ne peggiorano per di più le condizioni,
privando gli studenti del benefizio del riordinamento progettato ed esponendoli ai maggiori oneri della
tasse scolastiche, così il Consiglio medesimo incaricava la Deputazione provinciale di far pratiche colle
rappresentanze politiche ed Amministrative delle Province interessate per una concorde azione presso il
Governo ed il Parlamento, diretta ad ottenere il conseguimento dei comuni voti e l’impedimento di una
nuova ingiustizia43.
L’iniziativa intrapresa dai docenti e dagli amministratori locali sassaresi44 aveva
riscosso il consenso e l’immediata adesione delle altre due sedi universitarie. A
Macerata, in particolare, i vertici dell’ateneo e quelli delle amministrazioni comunale e
provinciale si erano più volte riuniti e avevano deliberato di procedere unitariamente
con le realtà sarde, coinvolgendo altresì i parlamentari marchigiani e tutti i possibili
referenti romani in grado di operare pressioni sul ministero e sul governo45. Lo poneva
43
Ibidem, pp. 159-160.
Cfr. G. Fois, L’Università di Sassari tra Otto e Novecento in Da Passano (a cura di), Le Università
minori in Italia nel XIX secolo, cit., p. 94.
45
Tra i materiali conservati in ASMc sono presenti diversi documenti (delibere, telegrammi, note e
appunti manoscritti) che ricostruiscono lo scambio di corrispondenza avvenuto in quel periodo tra i tre
atenei coinvolti e tra le rispettive amministrazioni comunali e provinciali. In particolare, si segnala il testo
del telegramma inviato in data 22 maggio 1897 dal rettore dell’ateneo sardo al suo collega maceratese:
«Professori università raccolti seduta plenaria deliberarono sperimentare ogni mezzo legale per
scongiurare suprema iattura minacciata progetto Gianturco ponendoci condizione inferiorità peggio che in
passato fanno voti perché si riuniscano tutte le forze nell’intento comune di riuscire a togliere
sperequazione umiliante vergognosa. Urge prendere concordemente necessari provvedimenti specie
quello di riunire Roma rappresentanti università ed enti interessati» (ASMc, Università, Miscellanea,
Carte varie (1818-1917), b. 711).
44
116
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
in rilievo lo stesso Schiappoli, sottolineando come dietro il problema apparentemente
settoriale «degli stipendi dei professori» si celasse la vera grande questione della
salvaguardia della dignità e del futuro di atenei prestigiosi, a torto e senza reali
motivazioni, mantenuti in uno stato di umiliante minorità, e del rispetto delle comunità
urbane che quelle università avevano voluto e continuavano a sostenere con encomiabili
sacrifici:
A Macerata – concludeva l’autore – gli enti consorziati, Comune e Provincia, ed il Corpo
Accademico hanno fatto voti pel pareggiamento. Ed era utile che tali voci si fossero levate. Poiché a mio
modo di vedere la questione non è di puro stipendio, ma anche di decoro, quanto si tenga presente, che la
condizione inferiore, in cui è tenuta la nostra Università non le fa aver quel prestigio che dovrebbe pure
avere e si corre rischio di sentirsi ripetere, che la laurea, presa a Macerata, non abbia il valore morale di
quella presa a Siena, a Parma, Moderna e Messina. […] Speriamo, che l’on. Ministro si compiaccia di
ascoltare i voti delle Università di Cagliari, Sassari e Macerata e voglia trovare il modo di equiparare
queste alle altre e di non tenerle più in condizione inferiore. […] Se altrimenti crede che siano inutili,
perché non si mette allora in pratica un rimedio radicale, invece di farle vivere in condizione inferiore e
degradante rispetto alle altre?46.
La vivace mobilitazione delle tre sedi e le forti pressioni esercitate dall’opinione
pubblica e dagli amministratori locali erano destinate a produrre un certo risultato. Nelle
settimane seguenti, infatti, la commissione della Camera dei deputati incaricata di
esaminare il disegno di legge Gianturco esprimeva parere favorevole in merito
all’accoglimento dell’istanza del pareggiamento e sollecitava il ministro ad accogliere le
richieste avanzate dalle tre università minori: «Questi atenei che hanno una storia
gloriosa e a beneficio dei quali le regioni rispettive devolvono annualmente una parte
della loro risorse»47.
Anche il disegno di legge sul riordinamento del sistema universitario presentato
da Emanuele Gianturco, tuttavia, al pari di quelli che lo avevano preceduto, era
destinato a non proseguire il suo iter parlamentare e, a seguito della caduta, nel
46
Schiappoli, Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata, cit., pp. 160-162.
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1897, Documenti, n. 79 A, rel. Fani. Si veda inoltre A S.E. il
Ministro della Pubblica Istruzione e all’on. Commissione parlamentare per l’esame del progetto di legge
sull’istruzione superiore, Sassari, s.i.e., 1899. Si tratta in questo caso di un dossier sull’argomento che
reca le firme del rettore dell’ateneo sassarese Dettori, del sindaco della città Mariotti, del Presidente del
Consiglio provinciale Demurtas e del presidente della Deputazione Vincentelli.
47
117
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
settembre 1897, del III governo presieduto da Di Rudinì, ad essere ben presto
accantonato48.
Ad accrescere le difficoltà dell’Università di Macerata e a provocare una vera e
propria spaccatura nel fronte che aveva portato avanti la battaglia in favore del
pareggiamento contribuì, nell’estate del 1897, la decisione della commissione
amministrativa del Consorzio49 di ridurre sensibilmente le risorse a disposizione per
consentire l’esonero delle tasse d’immatricolazione e iscrizione degli studenti. Con
delibera del 15 luglio, a questo riguardo, era stabilito che per il successivo anno
accademico 1897-1898 fosse «limitata soltanto alla metà l’esonerazione dalle tasse di
immatricolazione ed iscrizione e venga per intero accordata in ordine alla tassa di
diploma»; la commissione deliberava altresì che «nessuna esonerazione [fosse]
accordata agli studenti di quarto anno che provengono da altre Università con fogli di
congedo portanti il pagamento della sola prima rata di tassa d’iscrizione»50.
Alla base di una simile decisione si poneva la volontà dei componenti
dell’organo di governo del Consorzio di allontanare definitivamente il sospetto,
rilanciato da alcuni polemici interventi apparsi sulla stampa nazionale proprio in
occasione della presentazione del disegno di legge Gianturco, che all’origine della
costante crescita di iscrizioni e, dunque, dell’innegabile capacità di attrazione della
gioventù studiosa esercitata dall’Ateneo maceratese si ponessero non già le tanto
decantate qualità ambientali della piccola e tranquilla sede decentrata e gli eccellenti
livelli dell’insegnamento giuridico ivi offerto, quanto, più semplicemente, una serie di
facilitazioni economiche per coloro che ambivano a conseguire un titolo accademico
che difficilmente era possibile garantire negli altri atenei della penisola. Sotto questo
profilo, un intervento volto a ridurre drasticamente le disparità di trattamento e le
agevolazioni tradizionalmente riservate agli studenti che sceglievano di frequentare
l’Università di Macerata avrebbe conferito maggiore forza e credibilità alla richiesta
48
Cfr. Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate
da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 138-146.
49
Negli anni accademici in oggetto (1896-1897 e 1897-1898) la commissione amministrativa del
Consorzio universitario maceratese era presieduta dal rettore dell’Università e composta dai seguenti
membri: Domenico Silveri, membro effettivo, delegato nominato dalla Provincia, Alfonso Lazzarini,
membro effettivo, delegato nominato dal Comune, Attilio Palombi, membro supplente per la Provincia e
Enrico Moschini-Antinori, membro supplente per il Comune. Silveri non prese parte all’adunanza della
commissione amministrativa nel corso della quale furono ristabilite le tasse scolastiche e fu sostituito dal
supplente (Palombi). Cfr. ANNUARIO (1897), p. 35; e ANNUARIO (1898), p. 47.
50
Si veda la delibera presa nel corso dell’adunanza del 15 luglio 1897, in ASMc, Università,
Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543.
118
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
avanzata al ministero di sanare le assurde e ingiustificabili differenziazioni vigenti sul
piano amministrativo e finanziario tra gli atenei statali.
Al fine, tuttavia, di evitare che l’improvviso ridimensionamento del regime di
agevolazioni fino a quel momento assicurate dall’Ateneo comportasse un repentino calo
del numero degli iscritti, il nuovo rettore Niccolò Lo Savio, nominato nel gennaio 1897
e, in forza del R.D. del 7 maggio 1896, n. 25551, chiamato a ricoprire anche l’ufficio di
preside della Facoltà giuridica maceratese, dava vita ad una serie di iniziative volte da
un lato a promuovere l’immagine dell’Università nelle Marche e nelle altre regioni dalle
quali tradizionalmente provenivano gli allievi, dall’altro a favorire la fidelizzazione di
quanti già immatricolati, erano tenuti a rinnovare l’iscrizione all’ateneo maceratese per
il nuovo anno accademico 1897-1898.
Con riferimento a quest’ultimo obiettivo, in particolare, il rettore Lo Savio
decideva di inviare una lettera alle famiglie degli studenti iscritti all’Ateneo, nella quale,
dopo aver sottolineato le molteplici ragioni per le quali era opportuno continuare a
scegliere l’Università di Macerata come sede di studio per i propri figli (dall’ottima
collocazione geografica della città marchigiana al costo della vita incomparabilmente
più basso che altrove; dall’elevata competenza del corpo docente all’indiscussa qualità
della formazione giuridica impartita ecc.), illustrava puntualmente le limitazioni
introdotte in materia di esonero dal pagamento delle tasse universitarie, non mancando
di rilevare come, anche a fronte del regime più restrittivo adottato, l’Ateneo maceratese
continuasse a rappresentare comunque una scelta assai vantaggiosa, specie per le
famiglie che non potevano contare su redditi elevati:
Il Consorzio Universitario – egli scriveva – ha stabilito, per l’anno scolastico 1897-1898, di limitare
soltanto alla metà l’esonerazione delle tasse. […] Di guisa che i giovani invece di pagare come nelle altre
Università, per tassa d’immatricolazione L. 40, secondo che è prescritto dalla legge, pagheranno
solamente lire 20. […] Benché sia un’esonerazione parziale, è nondimeno un vantaggio non indifferente
per facilitare ai giovani i mezzi d’intraprendere e compiere gli studii superiori, e una notevole economia
per le famiglie, che si risparmiano, pei quattro anni, la non piccola somma di L. 410,0052.
51
Il R.D. 7 maggio 1896, n. 255 stabiliva che: «Le funzioni di Preside della Facoltà giuridica della R.
Università di Macerata saranno esercitate dal rettore pro-tempore dell’Università medesima» (pubblicato
nella GU, 8 luglio 1896).
52
Si veda l’originale della lettera circolare in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b.
711.
119
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Il parziale venir meno dell’esonero dalle tasse universitarie produsse da subito
una contrazione delle immatricolazioni e iscrizioni, destinata peraltro ad accentuarsi
negli anni accademici successivi. Se, infatti, nel 1897-1898 il calo fu abbastanza
contenuto, e gli iscritti passarono da 369 a 310 (302 per il corso di laurea ed 8 per il
diploma speciale), nel 1898-1899 la diminuzione fu assai più sensibile, tanto che gli
iscritti passarono da 310 a 196 (190 per il corso di laurea e 6 per il diploma speciale).
Ancora più preoccupanti furono i dati relativi alle immatricolazioni, le quali, dalle 85
dell’anno accademico 1896-1897 scesero a 36 nel 1897-1898 e a 34 nel 1898-189953.
Il sensibile e repentino calo delle iscrizioni e immatricolazioni era destinato ad
accendere le polemiche e a suscitare le preoccupate reazioni dell’opinione pubblica e
della stampa locale. «Il Vessillo delle Marche», in particolare, al principio del 1898
intraprese una vera e propria campagna di stampa contro la scelta operata dalla
commissione amministrativa del Consorzio, accusata di mettere a rischio la stessa
sopravvivenza dell’ateneo maceratese, sollecitando con forza il ritiro dell’«improvvido
provvedimento» e il ripristino delle condizioni precedenti:
Si dica allora – si affermava sul giornale maceratese – dove dobbiamo pescare il movente che ha
determinato il provvedimento. Forse l’imposizione delle tasse fu diretta a togliere via la concorrenza che
l’Università nostra faceva alle altre? Non lo crediamo: l’Ateneo maceratese, allontanando duecento o
trecento studenti da quelli di Roma o di Napoli, non recava alcun danno a questi due grandiosi centri di
studio. O che invece la crescente affluenza di giovani alla nostra città, abbia consigliato la prudente
misura? Oh! Tanta ridicolaggine non è davvero presumibile. E allora netto, limpidissimo si presenta il
dilemma: o si venne nella determinazione allo scopo di aumentare gli stipendi dei Sigg. Professori e si
fece male, perché essi pieni di incarichi non avevano diritto a questo benefizio, o vi si venne senza troppo
riflettere, senza tanto discutere e si ripari presto e lealmente l’errore compiuto54.
Sulla scia della polemica innescata dalla stampa locale, alcuni consiglieri della
Provincia di Macerata – Arturo Ciotti, Lamberto Antolisei, Milziade Cola e Ferdinando
Giorgini – presentarono un’interrogazione, chiedendo che il Consiglio provinciale fosse
informato dettagliatamente sulle ragioni che erano alla base del provvedimento
deliberato dal Consorzio universitario e che l’intera questione fosse fatta oggetto di
53
Per i dati riportati nel testo si vedano, oltre a Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti
superiori. Annali di statistica, cit., pp. 3-5, anche le statistiche pubblicate in ANNUARIO (1898), pp. 7376; ANNUARIO (1899), pp. 113-114; e ANNUARIO (1900), pp. 149-150.
54
La nostra Università, «Il Vessillo delle Marche», 36 (2 gennaio 1898), 1, pp. 1-2.
120
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
discussione da parte del Consiglio stesso55. La discussione in Consiglio provinciale si
svolse in due momenti: dapprima nelle adunanze del 5 e del 12 gennaio 1898,
successivamente in quella del 14 settembre dello stesso anno56.
I primi chiarimenti ai dubbi sollevati dai quattro consiglieri circa l’opportunità
della disposizione varata dal Consorzio furono affidati ad una lettera, datata 4 gennaio
1898, trasmessa dal nuovo rettore dell’Università di Macerata Raffaele Pascucci 57 e letta
nell’adunanza del Consiglio provinciale del 5 gennaio dal presidente Ricci.
In essa il rettore Pascucci si schierava a favore della delibera adottata dalla
commissione amministrativa del Consorzio, in quanto, a suo avviso, tale decisione
appariva senz’altro opportuna al fine di conferire maggiore credibilità all’Ateneo
maceratese, fatto spesso oggetto di feroci critiche e contestazioni proprio per la
tradizionale prassi di esentare gli studenti dal pagamento delle tasse:
Io veramente – scriveva Pascucci – non so a quali danni V.S. intende alludere. So invece che in passato
l’esenzione delle tasse fu tal volta deplorata dal Governo del Re e oppugnata da qualche università vicina,
come Bologna, e anche da chi intendeva esercitare la libera docenza58.
Il rettore, inoltre, si mostrava scettico circa l’attribuzione in toto al nuovo regime
delle tasse universitarie del sensibile calo delle iscrizioni e immatricolazioni in ateneo59,
all’origine del quale, egli notava, andavano poste motivazioni in parte diverse, non
ultima la situazione che si era creata in tutta la penisola con il calo del numero dei
licenziati dalle scuole liceali. Del resto, la diminuzione degli studenti universitari
nell’anno accademico in corso poteva per certi versi considerarsi un problema comune a
numerose sedi accademiche:
55
A darne notizia era proprio «Il Vessillo delle Marche» il quale, tre giorni prima della seduta, si
augurava che: «Il Consiglio della Provincia voglia ispirarsi a larghe vedute e non a gretti opportunismi»
(L’affare delle tasse universitarie in Consiglio provinciale, «Il Vessillo delle Marche», cit., p. 1).
56
Se ne vedano i relativi verbali in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, Macerata,
Stab. Tip. G. Ilari, 1899, adunanze del 5 e 12 gennaio 1898 e del 14 settembre 1898, pp. 7-21 e 52-55.
57
Raffaele Pascucci, professore ordinario di Procedura civile ed Ordinamento giudiziario a partire
dall’anno accademico 1887-1888, fu rettore dell’Università di Macerata in ben quattro diversi periodi: dal
1° novembre 1887 al 28 febbraio 1890, dal 16 novembre 1897 al 31 ottobre 1898, dal 16 ottobre 1910 al
31 ottobre 1912 e, infine, dal 1° gennaio al 19 agosto 1918, anno della sua morte.
58
Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 5 gennaio 1898, p. 8.
59
In realtà il prospetto degli studenti iscritti presentato dal rettore Pascucci risultava alquanto
approssimativo, non facendo alcun riferimento al numero degli iscritti al primo anno e basandosi invece
sui soli studenti (30 unità secondo quanto da lui riferito) che avevano chiesto ed ottenuto il congedo
(ibidem, pp. 8-9).
121
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Se una qualche diminuzione si riscontra in confronto dell’anno passato – concludeva Pascucci –, essa,
oltreché all’influenza delle tasse, deve ascriversi all’insuccesso rilevantissimo toccato agli aspiranti
all’ultimo esame di licenza liceale. Aggiungerò poi che nel provvedere sulla domanda di dispensa delle
tasse, per causa di indigenza e di merito, la facoltà ha usato una certa larghezza, ed applicandosi anche in
seguito questo temperamento l’onere della tasse non potrà in futuro, presumibilmente, cagionare una
notevole diminuzione nel numero degli studenti.
Le precisazioni fornite dal rettore dell’Università di Macerata erano destinate a
rinfocolare gli animi e a fare emergere con forza la diversità di orientamenti che, sulla
questione dell’esonero dalle tasse, caratterizzava da una parte il corpo docente
dell’Ateneo maceratese, attestato compattamente sulla linea del rigore e del graduale
superamento di ogni particolare regime di agevolazioni rispetto alle politiche adottate
negli altri atenei italiani enunciata da Pascucci, dall’altra tanta parte dell’opinione
pubblica e non pochi tra gli amministratori locali, preoccupati per i contraccolpi
negativi del provvedimento adottato e per il delinearsi dello spettro di un progressivo e
inarrestabile crollo degli iscritti. Non a caso, nel dichiararsi insoddisfatti delle risposte
ricevute, i consiglieri provinciali che avevano presentato l’interrogazione tornavano alla
carica sollecitando un passo indietro e attaccando duramente i rappresentanti degli enti
locali nella commissione amministrativa del Consorzio, rei di avere avallato un
provvedimento tanto delicato senza le necessarie consultazioni con gli organismi
istituzionali che li avevano nominati:
In una questione così grave – notava Lamberto Antolisei –, i signori delegati non hanno creduto di
rivolgersi, né alla Provincia, né al Comune pur sapendo che tali Enti rispettivamente concorrono con
17500 lire al mantenimento dell’Università.
E ancora:
Evidente è intanto il danno che minaccia l’Università – affermava nel suo intervento Milziade Cola –. Già
diminuì il numero degli studenti, e più ancora teme diminuiranno in seguito, tanto che l’Ateneo si ridurrà
alla vita misera e stentata di un tempo che tutti possono ricordare. Vuolsi migliorare le condizioni del
corpo insegnante, trattenendo qui valenti Professori con più lauti compensi? Ma il valore degli insegnanti
non farà popolare la nostra Università che sarà disertata, sia per accorrere in centri maggiori, ovvero là
dove non si pagano tasse. […] E’ lecito presumere, fin d’ora, che mantenendosi le tasse andrà man mano
diminuendo il numero degli studenti e l’Ateneo terminerà per esaurimento. Si pretende di rialzare con
questo sistema il credito morale dell’Ateneo; e non si vede che persistendo nell’idea infelice si
decreterebbe invece la morte certa di esso.
122
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Nella successiva adunanza del Consiglio provinciale del 12 gennaio, i quattro
consiglieri sopra ricordati si fecero promotori di una mozione favorevole all’immediato
ritiro del provvedimento sulla riduzione dell’esonero dalle tasse deliberato dal
Consorzio universitario. Nel presentare tale mozione, il consigliere Ferdinando Giorgini
manifestò forti perplessità riguardo all’atteggiamento assunto nel corso della vicenda
dal rettore e dall’intero corpo docente dell’Ateneo, le cui preoccupazioni di uniformare
le strategie e l’operato dell’Università di Macerata a quelli adottati dagli altri atenei
della penisola erano liquidate come velleitarie e, per certi versi, pericolose per la stessa
sopravvivenza della sede maceratese:
Gli Atenei minori – affermava polemicamente il consigliere Giorgini – non possono concorrere a parità di
condizione cogli Atenei delle grandi città. Tolto il vantaggio dell’esenzione delle tasse, gli studenti
preferiranno meglio recarsi negli Atenei maggiori, tanto più che la spesa dell’alloggio e del vitto, è ormai
uguale, tanto a Macerata, quanto a Roma e Bologna. Pericolosa alla vita dell’Università sarebbe la
diminuzione della studentesca che potrebbe essere d’argomento a coloro che propugnano la soppressione
delle Università minori.
A ribattere alle critiche formulate da Giorgini e dagli altri promotori della
mozione, nell’adunanza consiliare del 12 gennaio intervennero i due rappresentanti
degli enti locali in seno alla commissione amministrativa del Consorzio: Attilio
Palombi, delegato supplente della Provincia e Alfonso Lazzarini, delegato effettivo del
Comune di Macerata. Il primo, dopo aver rivendicato l’autonomia di giudizio dei
consiglieri e sottolineato la piena legittimità delle scelte operate dalla commissione
amministrativa del Consorzio universitario, ribadiva il suo convincimento che, se si
voleva davvero puntare ad «elevare a primaria l’Università nostra, per vivere di vita
propria, supplendo alle esigenze dell’avvenire con forze nostre», occorreva voltare
pagina rispetto al passato e cancellare gradualmente il particolare regime di esonero
totale dalle tasse e le altre agevolazioni agli studenti non previste in nessuno degli altri
atenei della penisola.
Altrettanto netta era la difesa delle decisioni assunte dal Consorzio da parte di
Lazzarini, il quale sottolineava:
Con questa imposizione di tassa si rialzano ad un tempo le sorti materiali e il credito morale dell’Ateneo.
Potremo vivere una buona volta di vita propria, e potremo smentire coloro che vanno dicendo essere
123
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
l’esistenza dell’Università collegata intimamente al favore che in essa ottengono gli studenti, sia per
facilitazione agli esami sia per dispense dalle tasse. Inoltre le tasse sono dovute per legge dagli studenti
salvo le eccezioni nella legge stessa contemplate. L’art. 8 del Regolamento consorziale non può derogare
la disposizione della legge, e dice soltanto che le tasse sono cedute alla Cassa consorziale. […] il
provvedimento adottato è giusto, sotto qualunque aspetto lo si esamini.
Al termine di un lungo e vivace dibattito la mozione di censura dell’operato del
Consorzio universitario non fu approvata e, sia pure di misura, prevalse la linea
favorevole alla riconferma della fiducia ai rappresentanti della Provincia in seno alla
commissione amministrativa60. Le profonde divisioni e i contrasti emersi in seno al
Consiglio
provinciale
erano
destinati,
tuttavia,
ad
essere
accantonati
solo
provvisoriamente e a riaccendersi di lì a pochi mesi.
A rilanciare con forza infatti, nell’adunanza del Consiglio provinciale del 14
settembre 1898, la battaglia in favore del ripristino dell’esonero totale dalle tasse
universitarie per evitare l’emorragia di iscritti e, di conseguenza, l’inarrestabile declino
dell’Università di Macerata, fu il consigliere Arturo Ciotti, primo firmatario della già
ricordata mozione presentata in gennaio, il quale, citando una relazione trasmessa il 14
luglio dello stesso anno alla Provincia dal rettore dell’Ateneo Raffaele Pascucci, nella
quale era indicata come principale causa del calo degli iscritti proprio il «ripristino
parziale delle tasse», sollecitava il Consiglio a riaprire il caso e a pronunciarsi
nuovamente sulla questione, dal momento che, egli sosteneva, «oggi si ha la prova piena
e indefettibile che questi danni ci sono stati, giusta la confessione del Rettore».
Nel replicare all’intervento del consigliere Ciotti, il rappresentante della
Provincia nella commissione amministrativa del Consorzio universitario, Attilio
Palombi, dopo aver ribadito come la decisione di voltare pagina rispetto alle politiche
adottate dall’Ateneo nel passato scaturisse dalla volontà di rimuovere definitivamente
gli ostacoli che fino a quel momento avevano impedito il pareggiamento, sottolineava
come la reintroduzione, sia pure parziale, delle tasse d’immatricolazione e iscrizione
avesse contribuito fra l’altro a liberare l’Università di Macerata dal peso di una massa di
iscritti fittizi che solo apparentemente risultavano frequentare i corsi accademici:
60
Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 12 gennaio 1898, pp. 16-20.
La proposta di ribadire la fiducia nei riguardi dell’operato dei rappresentanti della Provincia fu approvata
da 11 consiglieri sui 21 complessivi, mentre 8 furono i voti contrari e 2 gli astenuti.
124
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
La Commissione – concludeva Palombi – si è proposto il quesito, se conveniva cioè tornare all’antico; ma
dopo maturo e serio esame concluse che era invece conveniente mantenere la parziale imposizione delle
tasse. Infatti le diminuzioni nel numero degli studenti furono più apparenti che effettive. Avevamo prima
elenchi veramente fantastici, dove erano notati anche quelli che si erano iscritti, ma che non venivano mai
a Macerata. Fatta l’epurazione, adottato il sistema delle domande, abbiamo ora un numero rispettabile di
veri studenti, che qui risiedono e qui veramente studiano. […] Intanto abbiamo in quest’anno realizzato
un capitale di L. 17,000 circa coi proventi della tasse, e ciò sarebbe un buon avviamento a raggiungere
quello scopo che è nell’animo di tutti noi; di creare cioè all’Università i mezzi perché essa possa vivere e
prosperare liberamente con forze sue proprie61.
Al di là delle vivaci polemiche suscitate in sede locale, la svolta impressa dal
Consorzio alla gestione amministrativa dell’Università di Macerata si poneva in piena
sintonia con i nuovi indirizzi impressi alla politica universitaria nazionale dal ministro
Guido Baccelli, nuovamente tornato alla guida del dicastero della Pubblica Istruzione
nel giugno del 189862. A distanza di poco più di un mese dal suo insediamento, com’è
noto, Baccelli aveva presentato alla Camera un nuovo disegno di legge sull’autonomia
delle università63, relatore del quale – com’era già accaduto con il precedente disegno di
legge sull’istruzione superiore del giugno 189564 – era stato nominato l’on. Guido
Fusinato65.
Nella relazione predisposta da quest’ultimo, che esprimeva piena sintonia con gli
indirizzi di fondo «del progetto ministeriale»66, veniva fra l’altro ribadita l’opportunità
di uniformare il regime di tassazione universitaria, estendendo anche alle università
libere – e a quelle regie università che, come nel caso di Macerata, continuavano a
61
Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 14 settembre 1898, pp. 53-54.
Guido Baccelli fu chiamato nuovamente a guidare il dicastero della Pubblica Istruzione nel corso dei
due governi presieduti da L.G. Pelloux, dal 29 giugno 1898 al 24 giugno 1900. Sulle scelte di politica
universitaria da lui operate in questo periodo si vedano in particolare Di Domizio, L’università italiana:
lineamenti storici, cit., pp. 186-188; e Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione
universitaria dall’Unità ad oggi, cit., I, pp. 291-293.
63
Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1897-98, Documenti, seduta del 4 luglio 1898, Disegno di
legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti
e scuole superiori del Regno; e AP, Camera dei Deputati, Sessione 1898, Documenti, n. 297, Disegno di
legge presentato dal Ministro dell’ Istruzione pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti
e scuole superiori del Regno. Testo del disegno di legge colle tabelle annesse ripresentato nella seduta
del 19 novembre 1898.
64
Cfr. Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate
da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 131-132.
65
Guido Fusinato, parlamentare e ordinario di Diritto internazionale all’Università di Torino, era stato
ministro della Pubblica Istruzione per pochi mesi, dal 29 maggio al 2 agosto 1906, nel corso del III
governo Giolitti. Dal 1883 al 1885 era stato professore incaricato di Diritto internazionale nell’Università
di Macerata.
66
Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da
Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., p. 168.
62
125
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
mantenere in vita norme particolari – disposizioni univoche in materia di «ammissione
degli studenti» e di pagamento delle tasse scolastiche:
Le Università libere esistenti – recitava la relazione Fusinato – […] verranno per Decreto reale, udito il
Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica, pareggiate per ogni effetto legale alle Università dello Stato.
Esse peraltro dovranno uniformarsi alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti per tutto ciò che
riguarda l’ammissione degli studenti, l’ordinamento degli studi e il pagamento delle tasse scolastiche, le
quali andranno a loro vantaggio ad eccezione di quella per l’esame di Stato. A quest’ultima disposizione
riguardante le tasse scolastiche dovrà conformarsi anche la Regia Università di Macerata. Lo Stato
vigilerà per mezzo di un suo rappresentante stabile o con regolari ispezioni, affinché siano osservate le
disposizioni delle leggi e dei regolamenti a cui le Università libere devono uniformarsi a norma del
presente articolo67.
In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1898-1899, il neo rettore
dell’Università di Macerata Luigi Tartufari, prendendo le mosse proprio dalla convinta e
ormai consolidata volontà dell’Ateneo di lasciarsi alle spalle ogni forma di
particolarismo e di indebito vantaggio e di uniformare il proprio operato a quello della
maggior parte degli atenei della penisola, tornava a sollecitare il pareggiamento
dell’Università di Macerata, non mancando di sottolineare come l’immotivata
condizione di inferiorità giuridica nella quale essa si trovava avesse prodotto e
continuasse a produrre danni gravissimi alla stessa attività didattica e scientifica
dell’ateneo, impedendo il radicamento dei docenti migliori e negando, dunque, alla sua
facoltà giuridica la possibilità stessa di coltivare e consolidare le tante eccellenze di cui
disponeva:
Se si tenesse il debito conto – precisava il rettore Tartufari ricordando i tanti studiosi che aveva insegnato
a Macerata e avevano poi dovuto trasferirsi altrove per continuare la loro carriera –, non questa o quella
città soltanto, ma tutta Italia dovrebb’esserle particolarmente grata. Guardate, infatti, i professori che ha
dati: a Torino il Fusinato, a Genova il compianto Ferdinando Bianchi e il Manenti; a Pavia il Longo e il
Buzzati; a Parma il Brandileone, il Perozzi e il Bonfante; a Modena il Melucci, il Franchi, il Serafini e il
Valenti; a Bologna il Brini; a Pisa il Pampaloni, il Calisse e il Vacchelli; a Siena il Vitali, il Patetta e il
Leporini; a Roma il De Viti De Marco; a Napoli il Gianturco, il Pantaleoni ed il Fadda; a Messina l’Ugo,
l’Ascoli, il Venezian, lo Sraffa e il Segre! E taccio di altri che, pur vincitori di concorsi altrove, non
vollero o non seppero allontanarsi di qui. Ora, qual più giusto titolo, se già altri non ve ne fossero, al tanto
67
Ibidem, pp. 172-173.
126
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
invocato pareggiamento? E qual è mai quella fra le Università che possa, in così breve volger di tempo,
vantare verso le altre benemerenze maggiori, od anche solo uguali?68.
Merita di essere sottolineato che, fin dal 26 dicembre 1898, poche settimane
dopo la sua nomina a rettore, Luigi Tartufari aveva inviato al ministro della Pubblica
Istruzione Guido Baccelli un dettagliato e organico progetto per il pareggiamento
dell’Università di Macerata, da lui predisposto in collaborazione con gli altri membri
del Consorzio e approvato dalla Facoltà giuridica69. Il progetto, corredato dallo schema
di bilancio e dalle proposte di modifica dello Statuto consorziale, prevedeva fra l’altro
che lo stanziamento finanziario annuale necessario a coprire i costi del pareggiamento
continuasse a gravare in larga misura sugli enti locali, ossia sui bilanci del Comune e
della Provincia di Macerata, e solo in minima parte aumentasse la spesa a carico del
bilancio statale, condizione necessaria, quest’ultima, affinché la proposta fosse presa in
debita considerazione dal governo e non scartata, com’era accaduto a più riprese in
precedenza, in ragione della scarsità delle risorse disponibili.
La risposta del ministro non si era fatta attendere. In una lettera del 5 gennaio
1899 Guido Baccelli dava atto al rettore dell’Università di Macerata della bontà del
progetto presentato e dichiarava la disponibilità del ministero della Pubblica Istruzione a
sostenerne l’attuazione:
Ho preso in esame il progetto di modificazione all’attuale Statuto consorziale di codesta Università, come
già Le ho detto, io accetto la proposta e sono disposto per mia parte a presentare alla firma Reale il
Decreto, che dovrà modificare l’altro del 6 febbraio 1887. Non ho difficoltà quindi di autorizzare la S.V. a
partecipare alle Autorità locali la mia adesione al progetto per operare le opportune deliberazioni della
Provincia e del Comune. Io intanto ho comunicato il progetto al mio collega del Tesoro, con quale debbo
necessariamente mettermi d’accordo, già perché occorre portare una variazione in bilancio, già per
l’aggravio, che dall’attuazione del progetto ne verrà alle finanze dello Stato per aumento degli aumenti
quinquennali e delle pensioni70.
68
Relazione del Rettore Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1898-1899, ANNUARIO
(1899), p. 11.
69
Il testo del progetto inviato al ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli e la documentazione
relativa alla sua approvazione da parte della commissione amministrativa del Consorzio e della Facoltà di
Giurisprudenza sono conservati nel fascicolo personale del rettore Tartufari, in AUSM, Facoltà giuridica,
Personale, f. Tartufari Luigi.
70
La lettera del ministro Baccelli al rettore Tartufari è riprodotta in ASMc, Comune, Registro delle
deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1083.
127
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Municipio e Provincia di Macerata, sollecitati nei giorni seguenti ad esprimere il
proprio assenso all’iniziativa e ad approvare le relative delibere di ulteriore impegno di
spesa non frapposero ostacoli, operando in stretto raccordo con l’Ateneo. Il Consiglio
comunale, convocato d’urgenza, nell’adunanza del 25 gennaio 1899, espresse
all’unanimità parere favorevole sul progetto di modifica dello Statuto consorziale71.
Analogamente, nella seduta del 6 febbraio 1899 il Consiglio provinciale, preso atto che
il
ministero
della Pubblica
Istruzione avrebbe assicurato
il
pareggiamento
dell’Università di Macerata mediante una nota di variazione (la 35 ter) al bilancio
preventivo
per
l’esercizio
1899-190072,
deliberò
anch’esso
all’unanimità
le
modificazioni richieste73. In pratica, era stabilito che il finanziamento annuo erogato dal
Comune e dalla Provincia al Consorzio universitario maceratese fosse interamente
versato, e non più solo in parte, come accadeva in precedenza, nelle casse dello Stato74;
a questo si aggiungeva un ulteriore contributo di lire 1.000 lire a carico della stessa
cassa consorziale, che portava così a lire 36.000 complessive la cifra annua stanziata per
il pareggiamento dell’Ateneo.
Il qual contributo – si legge nella delibera approvata dalla Provincia di Macerata – poi dovrebbe essere
fissato come limite massimo per concorrere nella spesa che lo Stato deve sostenere per pagamento degli
stipendi ai professori ordinari e straordinari e al personale amministrativo e di servizio e con condizione
che il contributo stesso sarà diminuito in proporzione delle vacanze che si verificassero sul suolo
suddetto, andando tale differenza a beneficio della Cassa consorziale per la manutenzione ordinaria e
conservazione del fabbricato e per le altre spese indicate in generale nel n. 2 dell’art.4 dell’attuale
Statuto75.
71
ASMc, Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1083, adunanza del 25
gennaio 1899.
72
Nel capitolo 25 (Regia Università ed altri Istituti superiori) del Bilancio dell’Istruzione pubblica per
l’esercizio finanziario 1899-1900 il ministero con la nota di variazione 35 ter aveva introdotto un
aumento di lire 20 mila per il pareggiamento dell’Università di Macerata, elevando così la somma totale a
lire 7.662.655, 40. Cfr. Il pareggiamento dell’Università di Macerata. Discorso del deputato Giovanni
Mestica pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 13 febbrajo 1900, Roma, Tipografia
della Camera dei deputati, 1900, pp. 3-4.
73
Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1899, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1900, adunanza
del 6 febbraio 1899, pp. 21-27.
74
L’art. 2 dello Statuto consorziale era quello relativo all’entità del contributo che Provincia e Comune si
impegnavano a versare annualmente per il mantenimento dell’Ateneo (contributo peraltro già elevato, a
partire dal 1893, a lire 35.000 complessive, ovvero a lire 17.500 da parte di ciascun ente) mentre l’art. 4
faceva riferimento essenzialmente alla quota parte del contributo che doveva essere versata nelle casse
dello Stato e a quella che restava nella disponibilità del Consorzio, con la determinazione della tipologia
di spese per le quali poteva essere utilizzato. Cfr. Statuto del Consorzio universitario di Macerata
(revisione 1887), in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp.
146-147.
75
Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1899, cit., adunanza del 6 febbraio 1899, p. 23.
128
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Lo Stato, dal canto suo, si sarebbe fatto carico di ogni ulteriore spesa necessaria
all’attuazione del pareggiamento.
L’annosa questione, trascinatasi per quasi un ventennio tra polemiche e rinvii,
sembrava dunque prossima ad una soluzione largamente condivisa e in grado di
soddisfare i diversi soggetti coinvolti, quando un nuovo e inatteso ostacolo si profilò
all’orizzonte. Nella primavera del 1899 il ministro del Tesoro Pietro Vacchelli, padre di
quel Giovanni Vacchelli che era stato professore straordinario di Diritto amministrativo
proprio all’Università di Macerata fino a qualche anno prima, manifestava la propria
contrarietà al progetto, sollevando forti dubbi circa le effettive ricadute finanziarie
dell’operazione sul bilancio dello Stato, soprattutto con riferimento agli aumenti
quinquennali degli stipendi e delle pensioni del personale docente dell’Ateneo76.
La caduta del primo governo Pelloux, il 14 maggio di quello stesso anno, impedì
che il momentaneo arresto dell’iter burocratico del procedimento si trasformasse in un
suo accantonamento definitivo e riaccese le speranze di un superamento delle difficoltà
e resistenze incontrate in ambito governativo. All’indomani della costituzione del
secondo esecutivo presieduto dallo stesso Pelloux, infatti, il nuovo titolare del ministero
del Tesoro Paolo Boselli, messi da parte i dubbi e le contrarietà che avevano
caratterizzato il suo predecessore, si mostrò subito favorevole ad una ripresa delle
trattative, non nascondendo la propria volontà di introdurre ulteriori miglioramenti alla
parte finanziaria dell’accordo.
Di tale incoraggiante disponibilità ministeriale dava conto lo stesso rettore
dell’Università di Macerata Luigi Tartufari, il quale, in occasione della solenne
inaugurazione dell’anno accademico 1899-1900, dopo aver ripercorso le tappe salienti
della vicenda, informava gli uditori della nuova situazione creatasi e delle incoraggianti
prospettive che sembravano delinearsi all’orizzonte:
Il progetto presentato a S. E. il Ministro Baccelli e da questi accettato – affermava il rettore – importava,
pur senza alcun ulteriore aggravio delle finanze locali, alcune notevoli modificazioni al vigente Statuto
Consorziale, ed ambedue i Consigli, Comunale e Provinciale, unanimemente si affrettarono ad
approvarle, accompagnando il loro autorevole voto con le più vive insistenze affinché l’ideale da tanto
tempo perseguito potesse finalmente divenire realtà. Ma nonostante tutto ciò, e malgrado che i nostri
sforzi fossero caldamente assecondati e dalla locale Autorità politica, […] il progetto trovò un
insuperabile ostacolo nella recisa e tenace opposizione dell’ex Ministro del Tesoro on. Vacchelli, di
fronte al quale a nulla valsero gli argomenti con cui ci parve di avere vittoriosamente confutate le opposte
76
Cfr. Cose universitarie, «Il Vessillo delle Marche», 37 (23 marzo 1899), 7, pp. 1-2.
129
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
obbiezioni. Provvida però sopraggiunse la crisi, e le trattative rimaste temporaneamente interrotte furono
con maggior lena riprese. Il nuovo Ministro del Tesoro on. Boselli, dopo di essersi personalmente
occupato del nostro progetto, esaminandolo con animo sinceramente benevolo e sereno, ebbe testé a
formulare alcune controproposte, per effetto delle quali la questione – già ingrossata e sviata – trovasi ora
limitata e circoscritta al puro campo finanziario. E su questo terreno, conteso a palmo a palmo e a palmo a
palmo difeso, facile e prossimo sembra l’accordo, se pure le vicende parlamentari, che tanta parte
intralciano e paralizzano della pubblica amministrazione, improvvisamente non vengano a risospingerci
indietro, costringendoci a rifarci da capo. Grazie al perfetto accordo che regna fra me e gli egregi
Rappresentanti della Provincia e del Comune, la cui opera si è sempre inspirata al maggior bene di questo
Ateneo, l’Amministrazione del Consorzio provvederà da sé alle nuove esigenze finanziarie accampate
dallo Stato, ed io considererò come una delle maggiori fortune della mia vita quella di potere un giorno
dare ai miei Colleghi e ai miei concittadini il lieto annunzio del fatto compiuto77.
In realtà, le «controproposte» di carattere finanziario formulate dal ministro
Boselli concernevano un sensibile incremento delle risorse trasferite annualmente allo
Stato dal Consorzio, destinato a gravare essenzialmente sugli enti locali. Il 22 novembre
1899, al fine di concludere in tempi rapidi la trattativa, la commissione amministrativa
del Consorzio deliberava all’unanimità di elevare da 36 a 40 mila lire il proprio
contributo finanziario:
L’Amministrazione del Consorzio – recitava la delibera assunta – si obbliga di corrispondere allo Stato
medesimo, per tutta la durata del vigente Statuto Consorziale approvato con R. Decreto 6 febbraio 1887,
l’annuo aumento di L. 5.000 da pagarsi in quattro uguali rate trimestrali posticipate, a far luogo dal giorno
in cui il proposto pareggiamento sarà, anche nei vari riguardi finanziari, effettivamente attuato78.
Gli ostacoli, tuttavia, erano ben lungi dall’essere appianati. Il 22 gennaio 1900,
infatti, lo stesso rettore Luigi Tartufari comunicava al sindaco e al presidente della
Provincia di Macerata la notizia dell’insorgenza di nuove difficoltà da parte
dell’amministrazione statale:
Tale progetto di pareggiamento – scriveva il rettore dell’Università di Macerata – corre tuttora pericolo
per le difficoltà sollevate dalla Giunta del Bilancio, contro le proposte concordate fra gli onorevoli
Ministri della Pubblica Istruzione e del Tesoro. Una delle più gravi obbiezioni consiste nel fatto che il
vigente consorzio va a terminare col 1905 e la predetta Giunta ritiene opportuno che, prima di accogliere
77
Relazione del Rettore Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1899-1900, ANNUARIO
(1900), p. 9.
78
ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543,
adunanza del 22 novembre 1899.
130
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
le proposte Ministeriali, sia almeno assicurata fin da ora per un trentennio e cioè fino al 1930, la
rinnovazione del contratto consorziale79.
La richiesta, dunque, era quella di estendere fino al 1930 la durata del Consorzio
universitario maceratese, in modo da garantire per almeno un trentennio la
contribuzione annua del Comune e della Provincia di Macerata ed evitare così il
trasferimento in tempi relativamente brevi dell’intera spesa a carico del bilancio statale.
Anche di fronte ad una richiesta indubbiamente assai gravosa sotto il profilo
finanziario, tanto il Comune quanto la Provincia di Macerata diedero il proprio assenso
al prolungamento della durata del Consorzio universitario, deliberando l’adesione ai
nuovi termini dell’accordo con il ministero della Pubblica Istruzione rispettivamente il
10 e il 12 febbraio 1900. Il testo della delibera approvata dal Consiglio provinciale, e
analoga a quella presentata in Municipio, così recitava:
Il Consiglio provinciale approva la rinnovazione del Consorzio fino al 1930, mantenendo il proprio
concorso nelle spese per l’Università di Macerata in L. 17.500 annue per tutto il suddetto trentennio; e,
confermando in ogni sua parte la risoluzione 6 febbraio 1899, delibera che, effettuandosi il tanto
desiderato pareggiamento, la predetta somma sia per intero versata nella Cassa dello Stato80.
I tempi sembravano davvero maturi per la positiva conclusione della vicenda.
All’indomani del voto favorevole espresso dal Consiglio provinciale, il 13 febbraio
1900, il deputato del collegio di Macerata Giovanni Mestica81 pronunciava alla Camera
dei deputati un appassionato discorso82, nel quale, dopo aver contestato punto per punto
la fondatezza delle numerose obiezioni mosse al progetto per il pareggiamento
79
Si veda la lettera inviata dal rettore Tartufari al sindaco e al presidente della Provincia di Macerata in
ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. Il testo della lettera è parzialmente
riprodotto nel verbale del consiglio provinciale, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1900,
Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1901, adunanza del 12 febbraio 1900, p. 20.
80
La risoluzione consiliare fu approvata con 25 voti favorevoli ed uno contrario ed immediatamente
telegrafata al ministero della Pubblica Istruzione (Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1900,
cit., adunanza del 12 febbraio 1900, in p. 21). Per la delibera del Consiglio comunale, si veda ASMc,
Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1084, adunanza del 10 febbraio
1900.
81
Nativo di Favete di Apiro (Macerata), Giovanni Mestica era stato eletto deputato per la prima volta il
23 novembre 1890 per il collegio unico di Macerata con 5011 voti. Fu parlamentare per cinque legislature
(dalla XVII alla XXI), eletto nel collegio di San Severino Marche. Su di lui si veda ora M. Severini,
Mestica, Giovanni, in DBI, 74 (2010), pp. 18-19.
82
Il pareggiamento dell’Università di Macerata. Discorso del deputato Giovanni Mestica pronunziato
alla Camera dei Deputati nella tornata del 13 febbrajo 1900, cit., pp. 3-21.
131
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
dell’Università di Macerata dai membri della Commissione generale del bilancio83,
sollecitava Parlamento e governo ad accelerare la sottoscrizione dell’accordo e a
garantire all’ateneo le condizioni affinché esso potesse svolgere al meglio la sua
funzione scientifica e didattica:
L’Università di Macerata – concludeva l’on. Giovanni Mestica –, consistendo nella sola Facoltà di
Giurisprudenza, non ha bisogno né di gabinetti, né di laboratori; secondo lo statuto approvato dal
Governo deve mantenere e mantiene a sue spese i locali, a sue spese gli incaricati; e ne ha i mezzi. Perciò
lo Stato mai non avrà alcun aggravio, bastando per il pagamento dei professori ordinari e straordinari, il
numero dei quali è fissato nello statuto consorziale, le somme assegnate. Il suo pareggiamento, dunque,
riducendosi a una perequazione di stipendi per i professori ordinari e straordinari a spese del Consorzio
universitario, costituisce un fatto ben più semplice che i pareggiamenti anteriori di altre Università84.
Nelle settimane successive, si ebbe la ratifica degli accordi stabiliti da parte dei
diversi enti coinvolti85 e, ottenuto il via libera del ministero, il 6 maggio 1900 il titolare
della Pubblica Istruzione Guido Baccelli a nome del Governo, Marino Bartolazzi in
qualità di presidente della Deputazione provinciale di Macerata, Giambattista Magnalbò
quale rappresentante del Comune e Luigi Tartufari, rettore dell’Ateneo e presidente
della commissione amministrativa del Consorzio universitario, firmarono a Roma la
convenzione per il pareggiamento della Regia Università di Macerata a quelle indicate
nell’art. 2 lettera A della legge 31 luglio 1862, n. 719, ossia alle università di primo
grado86.
83
Le riserve espresse dalla Commissione del bilancio erano essenzialmente tre: «Che per l’iscrizione
della nuova somma (20.000 lire) nel bilancio occorre una legge speciale; che per l’aggravio delle pensioni
e degli assegni quinquennali forse non bastano 4.000 lire; che il Consorzio universitario termina a breve
scadenza, col gennaio 1905, e perciò, prima che si faccia una nuova convenzione, dovrebbe essere
rinnovato». In tutti e tre i casi Mestica fu quanto mai incisivo e chiaro nelle sue controdeduzioni: «Quanto
alle legge speciale, se non se ne se riconobbe la necessità per iscrivere la prima volta nel bilancio del
1886-1887 la somma data dal Consorzio universitario al Governo, pare che questa necessità tanto meno
debba esservi ora che si tratta solo di fare un aumento a quella somma. […] Ma se si mette in dubbio, se
per l’eventuale aggravio delle pensioni e degli assegni quinquennali siano sufficienti le 4.000 lire annuali
che il Governo ha chieste al Consorzio. Il calcolo è stato fatto dal Ministero del Tesoro, dove i conti
sanno fare. […] L’ultima obbiezione della Commissione generale del bilancio è grave, perché realmente
lo Stato non dovrebbe fare una convenzione tale con un Consorzio destinato a cessare fra cinque anni.
[…] Ma i medesimi enti locali hanno eliminato i miei dubbi, […] e con voti quasi unanimi deliberarono la
rinnovazione del Consorzio universitario per trent’anni» (Il pareggiamento dell’Università di Macerata.
Discorso del deputato Giovanni Mestica pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 13
febbrajo 1900, cit., pp. 6-10).
84
Ibidem, pp. 5-6.
85
Le relative deliberazioni sono conservate in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di
Macerata (1879-1916), b. 715.
86
Regia Università di Macerata, Convenzione tra il Governo, il Comune, la Provincia e il Consorzio
universitario di Macerata, per il pareggiamento della R. università di Macerata alle università indicate
nell’art. 2 lettera A, della legge 31 luglio 1862, n. 719, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1900. Una copia
132
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Costituita da 12 articoli e da una tabella allegata, la convenzione prevedeva
l’innalzamento del contributo annuo stabilito per gli enti locali alla somma complessiva
di lire 40.000 lire (art. 6), ripartito nel modo seguente: lire 17.500 lire da parte della
Provincia, lire 17.500 lire da parte del Comune di Macerata e lire 5.000 sui fondi del
Consorzio universitario; l’intera cifra sarebbe stata versata in due rate semestrali
posticipate. Inoltre, la durata del Consorzio, conservato quale ente morale e
rappresentato da una commissione amministrativa (artt. 4 e 5)87, veniva prolungata per
un trentennio a decorrere dal 1° luglio 1900 (artt. 3 e 11). Come già determinato nella
revisione dello Statuto consorziale del 1887, lo Stato avrebbe continuato a garantire il
solito contributo massimo di lire 20.000 annue88 e, con la somma complessiva ricavata
(lire 60.000 in totale), avrebbe provveduto al pagamento degli stipendi ai professori
ordinari, straordinari ed al personale amministrativo e di servizio, secondo il ruolo
organico annesso (art. 2). La spesa complessiva necessaria per gli stipendi era in realtà
fissata a 56.000 lire secondo quanto riportato nell’allegata tabella89.
Rimanevano totalmente a carico del Consorzio universitario maceratese – al
quale sarebbe stato devoluto l’intero ammontare delle tasse d’iscrizione e
immatricolazione (art. 8) – la maggior parte degli oneri già previsti nello Statuto del
1887, ovvero quelli derivanti dalle spese per la manutenzione ordinaria dell’edificio che
ospitava l’università, per l’arredamento dei locali e per la gestione amministrativa; i
fondi per l’acquisto dei libri da destinare annualmente alla biblioteca dell’ateneo e per
far fronte alle retribuzioni dei docenti incaricati, nonché quelli destinati alla copertura
di tale convenzione è reperibile in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata
(1879-1916), b. 715.
87
L’art. 4 della convenzione, stabiliva che la commissione amministrativa del Consorzio universitario
maceratese sarebbe stata composta dal rettore dell’Università, da un delegato e da un supplente incaricati
dalla Provincia, da un delegato e da un supplente delegati dal Comune. I delegati duravano in carica tre
anni e potevano essere rieletti per ulteriori mandati; la presidenza della commissione amministrativa
spettava di diritto al rettore pro tempore dell’Ateneo maceratese. L’art. 5 stabiliva altresì che «la
Commissione amministrativa si aduna, ad invito del presidente, ordinariamente ogni tre mesi e
straordinariamente ogni volta che il suo presidente lo crederà opportuno, o che lo chiedono tutti i
componenti la Commissione. Per la validità delle deliberazioni occorrerà sempre la presenza di tutti i
componenti la Commissione».
88
Tale stanziamento da parte dello Stato era calcolato «anche in corrispettivo dei beni patrimoniali
spettanti all’Università di Macerata e che erano stati incamerati». Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di
Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 76.
89
Le spese per gli emolumenti spettanti al personale docente e non docente erano così ripartite: 40.000
lire per gli otto professori ordinari, con stipendio di 5.000 lire ciascuno; 12 mila lire per i quattro
professori straordinari, con stipendio da 3.000 lire ciascuno; 1.000 lire per l’indennità di carica del rettore;
2.000 lire per lo stipendio del segretario amministrativo dell’ateneo e 1.000 lire, infine, per quello del
bidello. Il residuo contributo di 4.000 lire era invece devoluto allo Stato per far fronte agli aumenti
quinquennali ed alle pensioni. La Tabella allegata era relativa al «Ruolo organico del personale
insegnante, amministrativo e di servizio della R. Università di Macerata, agli effetti dell’art. 2 della
presente Convenzione».
133
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
finanziaria di eventuali corsi d’insegnamento non obbligatori ma ritenuti opportuni ai
fini del potenziamento dell’offerta didattica (art. 7, comma 2).
Pur di ottenere il pareggiamento dell’Università di Macerata agli atenei di primo
livello, in sostanza, Comune e Provincia avevano accettato che lo Stato imponesse loro
condizioni indubbiamente assai gravose90. E’ pur vero tuttavia, come sottolineava il
foglio locale «La Provincia Maceratese» in un articolo pubblicato il 12 maggio 1900,
che la nuova condizione amministrativa garantiva all’Ateneo marchigiano stabilità e
certezze per il futuro:
Messa così da parte l’idea di pareggiare l’Università in sede di bilancio, ciò che prima era stato tentato,
ma anche aveva incontrato serie opposizioni perché non perfettamente corretto dal punto di vista
costituzionale, si è per tal modo riusciti a condurre in porto il sospirato pareggiamento con una forma più
solenne, col progetto di legge. Infatti, la convenzione, firmata domenica scorsa, sarà portata alla Camera
al suo riaprirsi, essendone relatore favorevole l’on. Gualtierotti, quello stesso che s’era mostrato contrario
al pareggiamento in sede di bilancio. Nessun dubbio, quindi, che il progetto di legge sarà approvato, non
trovando esso opposizioni di sorta, tranne forse da chi, per spirito di campanile, teme dal maggior
incremento del nostro Ateneo possa derivarne qualche danno ad altri anemici e meno vitali91.
A differenza di quanto era accaduto nel 1885 in occasione del pareggiamento
delle università minori di Genova, Catania e Messina92, e nel 1887 per quello degli
atenei di Siena, Modena e Parma93, il cui iter parlamentare era stato relativamente
rapido, l’approvazione dello specifico disegno di legge relativo all’Università di
Macerata da parte del Parlamento subì notevoli rallentamenti, trascinandosi per oltre un
anno e mezzo senza apparenti ragioni, se non quelle collegabili alle crescenti difficoltà
della vita parlamentare dell’epoca. Solo il 30 novembre 1901, infatti, il testo fu discusso
e approvato a larga maggioranza dalla Camera dei deputati94; passato al Senato, ottenne
90
Notava al riguardo, qualche anno più tardi, Arangio-Ruiz: «La convenzione […] diventa vantaggiosa
oltre ogni convenienza per lo Stato, onerosa per gli enti locali, dannosa per l’Università. Ed è sperabile vi
si porti rimedio in nome della giustizia. […] E’ questo un rilievo complesso che deve essere esaminato
sotto tutti gli aspetti, affinché le fatte affermazioni convincano i governanti, e li muovano in favore della
nostra Università e dei patriottici enti locali che, pur di conseguire un bene, non hanno risparmiato alcun
sacrificio» (Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 77-78).
91
Il pareggiamento dell’Università di Macerata, «La Provincia Maceratese», 6 (12 maggio 1900), 281,
pp. 1-2.
92
Cfr. R.D. 13 dicembre 1885, n. 3570, in BUMPI (1887), II, pp. 531-538.
93
Cfr. L. 14 luglio 1887, n. 4745, in GU, 26 luglio 1887; riprodotta anche in CC (1887), 42, pp. 13541357.
94
L’approvazione da parte della Camera dei deputati del relativo disegno di legge avvenne, infatti, nella
seduta del 30 novembre 1901 e la votazione a scrutinio segreto registrò 186 voti favorevoli e 77 contrari.
Cfr. AP, Camera dei Deputati Sessione 1900-1901, Discussioni, n. 145. Discussione del disegno di legge:
Pareggiamento dell’Università di Macerata alle Università indicate nell’articolo 2, lettera A, della legge
134
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
l’approvazione nella tornata del 5 dicembre95 e divenne poi la legge 22 dicembre 1901,
n. 54196.
Di lì a poco, nell’estate del 1902, anche le Università di Cagliari e di Sassari
avrebbero ottenuto il sospirato pareggiamento, con il quale si poneva fine, di fatto, alla
distinzione introdotta nel sistema universitario italiano all’indomani del compimento del
processo unitario, tra atenei primari e secondari97.
Con il varo definitivo del provvedimento di legge sul pareggiamento si
concludeva senza dubbio una fase particolarmente difficile per l’Ateneo maceratese, nel
corso della quale si erano ulteriormente accentuati i fattori di crisi già emersi
precedentemente.
Il nuovo anno accademico 1900-1901, infatti, aveva fatto registrare un sensibile
calo del numero degli iscritti, appena 149 studenti (129 per il corso di laurea e 20 per il
diploma speciale)98, con un decremento di circa il 25% rispetto all’anno precedente, e
ciò, si badi, in presenza di un trend nazionale che, per le altre facoltà di Giurisprudenza
della penisola, faceva registrare nello stesso periodo una crescita, sia pure contenuta,
delle immatricolazioni e iscrizioni99.
I problemi non erano limitati, tuttavia, alla diminuzione della popolazione
universitaria. In questo stesso lasso di tempo, infatti, ad assillare il piccolo Ateneo
marchigiano e a rendere incerta e difficoltosa la stessa regolarità ed efficacia
31 luglio 1862, n. 719, pp. 6204, 6267 e 6305. Sulle pagine del foglio locale «La Provincia» tale voto fu
salutato con viva soddisfazione: «Finalmente! Dopo tanti anni di lotte, contro ostacoli e difficoltà di varie
specie, lotte intraprese e frustrate sul più bello, dal cadere di un ministro o dal chiudersi di una sessione
parlamentare, il progetto di legge per il pareggiamento dell’Università nostra alle primarie del regno, è
riuscito a varcare la soglia di Montecitorio e ad avere la sanzione della Camera. Venerdì scorso il progetto
fu senza discussione approvato, respingendo all’unanimità l’ordine del giorno della minoranza della
Commissione parlamentare. Nel giorno appresso passò pure a scrutinio segreto. Ora, perché la legge vada
in vigore, occorre che venga approvata anche dal Senato. E noi, sia per la nessuna serie opposizione
incontrata nell’altro ramo del Parlamento, sia per la legittimità degli interessi che il provvedimento mira a
soddisfare, confidiamo che riuscirà vittorioso anche nella Camera vitalizia» (Il pareggiamento
dell’Università, «La Provincia», 7 (5 dicembre 1901), 386, pp. 1-2). Sui festeggiamenti svoltisi in ateneo
e nei circoli cittadini all’indomani dell’approvazione del provvedimento da parte della Camera dei
deputati si veda anche l’ingente documentazione conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Carte
varie (1818-1917), b. 711.
95
L’approvazione del disegno di legge, già licenziato dalla Camera, al Senato si ebbe nella seduta del 5
dicembre 1901. Cfr. AP, Senato del Regno, Sessione 1900-1901, Documenti, n. 220. Disegno di legge
presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Nasi) di concerto col Ministro del Tesoro (Di Broglio)
nella tornata del 5 dicembre 1901.
96
Il testo della Legge 22 dicembre 1901, n. 541 è pubblicato nella GU, 9 gennaio 1902; lo si veda
riprodotto anche in CC (1901), 13, p. 447.
97
Le Università di Cagliari e di Sassari furono pareggiate rispettivamente con la Legge 19 giugno 1902,
n. 252 e la Legge 19 luglio 1902, n. 253, entrambe riprodotte in CC (1901), 44, pp. 1441-1444.
98
Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. 57-58.
99
Nell’anno accademico 1900-1901 gli iscritti alle facoltà giuridiche italiane furono 7.672 rispetto ai
7.421 dell’anno precedente, con un incremento del 3,3%. Ibidem, pp. 58-60.
135
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
dell’attività didattica contribuirono le sempre più numerose carenze registrate
nell’organico docente in virtù dei continui trasferimenti ad altra sede dei professori di
ruolo, non senza difficoltà rimpiazzati provvisoriamente da docenti incaricati.
Nel già ricordato anno accademico 1900-1901, ad esempio, a dispetto di quanto
previsto dall’organico fissato nello Statuto consorziale, risultavano incardinati solo sette
professori ordinari e due straordinari; a fronte di ciò, per la copertura di tutti gli
insegnamenti obbligatori previsti nel corso di laurea in Giurisprudenza, si era reso
necessario attribuire ben nove incarichi d’insegnamento, il che voleva dire che circa la
metà dei corsi erogati non disponeva di un titolare della disciplina100.
La situazione era peraltro destinata ad aggravarsi nei mesi seguenti, tanto da
spingere il rettore Luigi Tartufari a denunciare pubblicamente le pesanti conseguenze
didattiche e organizzative in cui versava l’Ateneo e ad esprimere – nel corso della
solenne inaugurazione dell’anno accademico 1901-1902 – una vibrante protesta nei
riguardi del ministero della Pubblica Istruzione per gli ingiustificati ritardi nelle nomine
dei vincitori di concorso e per il nessun rispetto delle obiettive necessità di una sede
universitaria come quella di Macerata:
E’ veramente nuovo ed insolito – affermava Tartufari – che l’inaugurazione degli studi in questo Ateneo
abbia dovuto subire un così notevole ritardo; tanto nuovo ed insolito, che io mi sento in dovere di
scagionarne la Facoltà, alla quale non può addebitarsi alcuna colpa se al 1° novembre, su 18 cattedre, 11
ne erano vacanti, e se questa singolare anomalia fu causa che per parecchi giorni si dovette soprassedere
agli esami, per la materiale impossibilità di costituire le relative Commissioni. E nemmeno è colpa della
Facoltà se per alcune cattedre, nonostante le fatte proposte, invano ancora si attendono i necessari
provvedimenti; il che a sua volta impedirà che possano, né si sa fino a quando, incominciare le relative
lezioni. Mentre sembrava che tutto volgesse per il meglio, […] un complesso di spiacevoli circostanze e
di perduranti incertezze, come da un lato è venuto a turbare il normale funzionamento della Facoltà, così
dall’altro è venuto a rendere estremamente difficile l’esercizio del mio ufficio di Rettore101.
A completare il quadro delle difficoltà e incertezze del periodo basterà accennare
al fatto che, sia pure in ritardo rispetto a quanto si era registrato nei grandi atenei della
penisola già a partire dalla fine degli anni Ottanta, e con caratteristiche e dimensioni
invero assai più modeste e circoscritte, anche a Macerata avevano fatto la loro comparsa
quei fenomeni di allentamento della disciplina studentesca – le cosiddette «vacanze
100
Cfr. Personale, ANNUARIO (1901), pp. 112-113.
Parole del Rettore Prof. Cav. Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1901-1902,
ANNUARIO (1902), pp. 5-6.
101
136
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
abusive», ossia la reiterata non frequenza delle lezioni da parte degli studenti – che tanto
avevano preoccupato i grandi atenei e lo stesso ministero della Pubblica Istruzione negli
anni precedenti102.
Non a caso, nella primavera del 1901 il Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza
dedicava la maggior parte delle sue adunanze all’analisi del fenomeno e – come
testimonia la costituzione di una commissione ad hoc presieduta dal prof. Oreste
Ranelletti103 – all’approntamento di misure idonee a stroncare simili pratiche, frutto,
come veniva sottolineato a più riprese, dai docenti della Facoltà, di un «malcostume
imperante che screditava le istituzioni di alta cultura e gettava nel ridicolo gli studi
superiori»104.
Le reazioni della stampa locale di fronte al clima d’incertezza e alle crescenti
difficoltà che sembravano caratterizzare l’Ateneo cittadino si svilupparono su un
duplice binario: da un lato continuava la polemica nei riguardi del Governo per le
insopportabili lentezze con le quali era portata avanti la questione del pareggiamento105,
dall’altro non erano risparmiate critiche al rettore e agli stessi vertici dell’Università,
accusati di non saper fronteggiare quella che appariva a tutti gli effetti una situazione di
inarrestabile decadenza.
Così, mentre «La Provincia Maceratese», mostrando scarsa comprensione dei
meccanismi universitari e della difficile situazione in cui versava la Facoltà di
Giurisprudenza per la carenza di professori di ruolo, si scagliava contro il cumulo degli
incarichi d’insegnamento («Da qualche tempo alla nostra Università si cumulano troppo
facilmente incarichi di insegnamento in pochi professori. Ce ne è qualcuno che ne avuti
tre: ciò, oltre che gravare eccessivamente gli insegnanti, nuoce all’ordinato svolgimento
degli studi»106), sulle pagine del foglio moderato «L’Unione», in un articolo del 29
maggio 1901, a fronte del vistoso calo di iscritti registrato nei mesi precedenti, si
102
Contro il dilagante fenomeno delle «vacanze abusive», già assai diffuso nell’ultimo decennio
dell’Ottocento, era intervenuto l’allora ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli con la C.M. 16
marzo 1890, n. 921. Cfr. Vacanze abusive nelle università e negli istituti d’istruzione superiore, BUMPI,
XVII (1889), I, pp. 474-475.
103
Cfr. la relazione predisposta a nome della commissione dal prof. Ranelletti (che risulta anche allegata
al verbale del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza dell’11 maggio 1901), nella quale s’ipotizzava fra
l’altro l’adozione di una serie di provvedimenti per la «repressione delle vacanze abusive», in ASMc,
Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711.
104
Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza dei mesi di
marzo, aprile e maggio del 1901, in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di Facoltà
1900-1901, b. 695.
105
Si vedano ad esempio: Il pareggiamento dell’Università, «L’Unione», 2 (29 maggio 1901), 22, pp. 12; Il pareggiamento dell’Università, «La Provincia Maceratese», 7 (26 dicembre 1901), 388, p. 1.
106
Note universitarie. Incarichi eccessivi, «La Provincia Maceratese», 7 (30 gennaio 1901), 342, pp. 1-2.
137
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
tornava a chiedere il ripristino dell’esonero delle tasse universitarie come unica misura
capace di scongiurare l’inevitabile declino dell’ateneo:
Noi stiamo indagando – si affermava al riguardo – se il provvedimento adottato, il pagamento delle tasse
per una misura che non era mai stata posta per lo passato, abbia arrecato quel vantaggio che si sperava.
[…] Intanto gli studenti della nostra regione e delle finitime vanno a Camerino, a Perugia, ad Urbino,
dove non si pagano tasse come a Macerata. […] Forse se il numero degli iscritti si fosse mantenuto ogni
anno intorno ai 309 il sospirato pareggiamento sarebbe venuto senza le calde raccomandazioni del
deputato A, del professore B o dell’avvocato C. Anzi, noi crediamo, perché il numero degli studenti va
scemando, l’intraveduto pareggiamento sfuma lentamente107.
La sortita de «L’Unione» sul tema del ripristino dell’esonero dalle tasse
universitarie aveva suscitato una piccata risposta da parte de «La Provincia
Maceratese», che in un articolo del 5 giugno 1901 prendeva posizione a favore della
scelta “moralizzatrice” compiuta a suo tempo dal Consorzio e contro ogni ritorno al
passato, specie nel momento in cui, come testimoniava l’ormai imminente conclusione
dell’annosa questione del pareggiamento, era necessario che l’Università di Macerata
non derogasse in alcun modo dalle normative nazionali:
Giudicare l’andamento di un istituto – si affermava fra l’altro nella conclusione dell’articolo – soltanto
dall’affluenza degli studenti, ci pare un criterio oltre che unilaterale ed empirico, un pochino dozzinale,
mentre è risaputo anzi che il concorso degli studenti in certe università è in ragione diretta del
rilassamento della disciplina e della poca serietà degli studi, e quindi in ragione diretta dello scadimento
reale dell’istituto. […] Ora, se per rinvigorire la disciplina degli studi, l’Università nostra non ha temuto
di perdere un pochino nell’affluenza degli studenti, ciò non può già riguardarsi come un segno di
scadimento, ma bensì come una manifestazione della sua sana vitalità o come suo speciale titolo d’onore.
Nella polemica apertasi tra i due giornali locali – «L’Unione» e «La Provincia
Maceratese» – in ordine alla questione delle tasse studentesche non mancavano
riferimenti all’atteggiamento non sempre comprensivo e tollerante con cui una parte
della città aveva guardato alla presenza degli studenti universitari nel piccolo capoluogo
di provincia e alle inevitabili manifestazioni di giovanile esuberanza che tale presenza
comportava. A questo riguardo, toccando un nervo scoperto che aveva nel contempo il
significato di una critica politica e di un’annotazione sulla mentalità e sul costume
cittadino, «La Provincia Maceratese» sottolineava:
107
Cfr. Il pareggiamento dell’Università, «L’Unione», 2 (29 maggio 1901), 22, p. 1.
138
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Però l’Unione, criticando il ristabilimento delle tasse scolastiche, non si accorge di tirar sassi in
piccionaia, poiché, se vi è in questa faccenda qualche partito che deve recitare il mea culpa, è proprio
quello di cui l’Unione è portavoce. Se infatti tra le cause che portarono alla parziale soppressione
dell’esonero delle tasse deve annoverarsi il proposito di risollevare moralmente l’istituto – cui si faceva
l’accusa di reggersi solo con tale mezzo di richiamo – forse non fu estraneo anche il malcontento che
serpeggiava nel cosiddetto partito dell’ordine, per qualche torbido studentesco avvenuto, e il conseguente
esagerato timore che l’Università potesse diventare un focolare di… infezione per il nostro pacifico paese.
Si invocarono un po’ di tasse per sfollare l’Ateneo degli elementi turbolenti… e l’intento, difatti, è stato a
meraviglia raggiunto. Di che dunque si lagna l’Unione? […] Proprio adesso che, dopo sforzi lunghi,
pazienti, ostinati, superando con ardore ammirevole tanti ostacoli e tante contrarietà – dopo un vero
lavoro di Sisifo – proprio adesso, alla vigilia della discussione parlamentare, mentre la più elementare
prudenza e carità di patria avrebbero consigliato di adoperarci tutti per l’intento e di astenerci da
qualunque cosa che potesse menomamente compromettere la buona riuscita – proprio adesso un foglio
maceratese – l’Unione – dando prova di un senso patriottico che la cittadinanza avrà degnamente
giudicato, è sorto a mettere in dubbio l’utilità del pareggiamento, riducendolo ad una meschina questione
di stipendi di professori, e indicandolo come la causa prima del ristabilimento delle tasse e della
conseguente decadenza dell’Università nostra. E’ proprio il caso di dire – Dagli amici mi guardi Iddio108.
E tuttavia, malgrado la forte presa di posizione de «La Provincia Maceratese» in
favore delle scelte operate dall’Università, la questione del ripristino dell’esonero dalle
tasse universitarie, riproposta nuovamente e con accentuato vigore sulle pagine de
«L’Unione»109, era destinata a trovare sempre maggiori consensi nell’opinione pubblica
e tra gli stessi amministratori locali110, finendo – anche in ragione del costante ed
allarmante calo delle immatricolazioni e iscrizioni riscontrato nell’ultimo triennio – per
condizionare le scelte degli stessi vertici dell’Ateneo.
Così, nella seduta della commissione amministrativa del Consorzio convocata il
9 settembre 1901, lo stesso rettore Luigi Tartufari era costretto a prendere atto della
gravità della situazione prodottasi e, pur continuando ad indicare un complesso di
ragioni alla base del vistoso calo di studenti riscontrato negli ultimi anni, a sposare suo
malgrado la tesi di quanti chiedevano il ripristino dell’esonero totale delle tasse
nell’ateneo maceratese:
108
L’Università è in decadenza? Tasse, pareggiamento e…bisca, «La Provincia Maceratese», 7 (5 giugno
1901), 360, pp. 1-2.
109
Ancora del nostro Ateneo. Risposta alla «Provincia Maceratese», «L’Unione», 2 (12 giugno 1901),
24, p. 1.
110
Si vedano al riguardo le lettere di semplici cittadini e gli interventi di amministratori e politici locali
pubblicati su «L’Unione» e su «La Provincia Maceratese» nel periodo compreso tra giugno e settembre
1901.
139
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Il signor Rettore – si legge nel verbale della seduta – riferisce che nel triennio da che egli è a capo
dell’Università non ha mancato di preoccuparsi della sensibile diminuzione nel numero degli alunni
inscritti, e di rievocare le cause di una tale diminuzione, le quali sarebbero in parte costituite dalla
avvenuta applicazione delle tasse, ma in parte anche maggiore dall’opinione diffusasi di un accresciuto
rigore sia nell’esigere le frequenza degli studenti, sia negli esami. Vi avrebbe pure contribuito in notevole
misura la poco buona fama diffusasi a carico della nostra città come sede di una casa di giuoco, nonché il
fatto della concorrenza che da qualche anno l’Università di Camerino fa a questa di Macerata, sia col
metodo differenziale delle tasse, […] sia col tollerare notevoli assenze, […] sia infine per il fatto che
notoriamente gli esami offrono a quei candidati la sicurezza dell’approvazione.
La decisione di reintrodurre già a partire dall’anno accademico 1901-1902
«l’esonero completo dalle tasse d’immatricolazione e d’iscrizione»111, com’era
prevedibile, suscitò ampi consensi in sede locale, testimoniati anche dagli
apprezzamenti formulati sugli organi di stampa di diverso orientamento politico. Al
riguardo, «La Provincia Maceratese» sottolineava:
Occorreva proprio il doloroso esperimento di 3 anni per persuadere gli amministratori del nostro massimo
istituto a tornare all’esonero delle tasse di immatricolazione e di iscrizione? Noi siamo sicuri che le sorti
della nostra Università ora cambieranno per intero e si tornerà alla consueta affluenza di giovani,
affluenza che aveva fatto salire la facoltà di legge di Macerata tra le più numerose d’Italia112.
Altrettanto positive erano le valutazioni avanzate da «L’Unione», la quale fra
l’altro riproduceva integralmente la circolare predisposta dal rettore Luigi Tartufari –
datata agosto 1901, ma in realtà stampata e diffusa solo intorno alla metà settembre113 –
con cui si rendeva nota la decisione del Consorzio universitario maceratese di
reintrodurre l’esonero totale dalle tasse al fine «di agevolare ai più disagiati il modo di
intraprendere e compiere gli studi superiori e per promuovere maggiormente l’affluenza
degli studenti a questo Ateneo».
Situata in città colta, salubre ed ospitale – concludeva la circolare –, fornita di locali ampi e ben arredati,
non che di due buone biblioteche (di cui l’Università ammette gli studenti al prestito dei libri a
domicilio), accreditata per il valore dei suoi insegnanti e per la sua giusta disciplina, questa Università è
111
ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543,
adunanza del 9 settembre 1901.
112
Alla nostra Università, «La Provincia Maceratese», 7 (11 settembre 1901), 374, p. 1.
113
Si veda il testo della Circolare del rettore Luigi Tartufari nella versione manoscritta e in quella a
stampa in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711.
140
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
guardata con favore dai padri di famiglia, desiderosi di trovare per i propri figli un buon Ateneo, dove
siano in amichevole contatto coi professori, lungi dal dispendio e dai pericoli dei maggiori centri, dove i
disordini studenteschi sembrano divenuti quasi un male cronico. Essa ha visto perciò accorrere sempre
più numerosa la gioventù, specialmente delle regioni del Mezzogiorno, in alcune delle quali il compiere
gli studi di giurisprudenza nell’Università di Macerata è ormai cosa tradizionale114.
Ottenuto dunque il sospirato pareggiamento e ripristinate le condizioni atte a
garantire una maggiore affluenza di studenti, l’Università di Macerata si preparava a
vivere, sul finire del 1901, in concomitanza con l’avvio del nuovo anno accademico,
una fase di rilancio, l’ennesima dopo gli alti e i bassi che ne avevano caratterizzato
l’operato nei convulsi e problematici primi quarant’anni di vita nell’Italia unita.
In questo contesto, quasi a rappresentare metaforicamente la fine di una stagione
per certi versi tormentata per l’Università di Macerata e per chi ne aveva con indubbi
meriti, ma non senza enormi fatiche e difficoltà guidato le sorti, si collocavano l’inattesa
rinuncia da parte del prof. Luigi Tartufari ad assumere un quarto mandato rettorale, al
quale l’unanime consenso dei colleghi lo aveva designato (novembre 1901), e
l’altrettanto inaspettato annuncio del suo abbandono di Macerata e dell’immediato
trasferimento presso l’Università di Parma, dove avrebbe a lungo ricoperto la cattedra di
Diritto civile nella locale Facoltà di Giurisprudenza e dove, dal dicembre 1911 al marzo
1914, avrebbe rivestito nuovamente l’ufficio di rettore115.
E che l’uscita di scena di Luigi Tartufari non fosse da imputare a quegli ordinari
avvicendamenti di sede, tanto frequenti nel mondo accademico italiano a cavallo tra
Otto e Novecento, ma fosse da ascrivere a ragioni ben più complesse – non ultima la sua
non condivisione della scelta adottata a larga maggioranza dal Consorzio di ripristinare
l’esonero dalle tasse, riguardo alla quale egli si era sempre dimostrato contrario – lo
testimonia il fatto che, in altre occasioni, Luigi Tartufari aveva sdegnosamente rifiutato
di lasciare la sede maceratese, come quando, dopo avere superato il concorso per
professore ordinario bandito dall’Università di Catania (novembre 1892), aveva
rinunciato a trasferirsi nell’Ateneo isolano116.
114
Per il nostro Ateneo, «L’Unione», 2 (18 settembre 1901), 38, p. 1. Una riproduzione parziale della
Circolare rettorale anche in L’Università di Macerata, «La Provincia Maceratese», 7 (18 settembre
1901), 375, p. 1.
115
Cfr. Tartufari, Luigi, in T. Nappo (a cura di), Indice biografico italiano, München, K.G. Saur, 2002,
10 voll., X, p. 3360;
116
L’episodio è ricordato in G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in
Italia tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 138-142.
141
Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento
Al posto del dimissionario Tartufari, ai primi di dicembre del 1901 era nominato
rettore dell’Università di Macerata il prof. Oreste Ranelletti, abruzzese di nascita e
trasferitosi nell’Ateneo marchigiano solo dall’autunno 1899, dove aveva assunto la
cattedra di Diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione117.
117
Sulla riflessione giuridica di Oreste Ranelletti si vedano in particolare: G. Cianferotti, Stato di diritto,
formalismo e pandettistica. Ranelletti e la costruzione dell’atto amministrativo, in I concetti fondamentali
delle scienze sociali e dello Stato in Italia e in Germania tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1992,
pp. 37-84; Id., Storia della letteratura amministrativistica italiana. 1. Dall’Unità alla fine dell’Ottocento:
autonomie locali, amministrazione e costituzione, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 388-389, 695-700 e passim;
P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 70-73 e
passim; L. Mannori, B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, Laterza, 2001, pp. 372-376; R.
Villalta, Gli amministrativisti, in R. Clerici (a cura di), Gli 80 anni della Facoltà di Giurisprudenza. Atti
dell’incontro del 14 ottobre 2004, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 115-120.
142
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
CAPITOLO QUARTO
L’ETÀ GIOLITTIANA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Il 9 novembre 1902 il rettore Oreste Ranelletti inaugurava ufficialmente l’anno
accademico 1902-1903, il quale vedeva finalmente l’Università di Macerata collocata
tra gli atenei di primo livello. Nella sua relazione inaugurale, dunque, non poteva certo
mancare un riferimento al risultato recentemente conseguito:
Questo pareggiamento – precisava il rettore Ranelletti – per la nostra Università è stato un atto di
giustizia: pel numero degli studenti, e tenendo conto che ha una sola Facoltà, essa è superiore a molte
altre Università di primo ordine; pel valore de’ suoi insegnanti, per le garanzie, con cui essi vengono
scelti e nominati; per i mezzi di studio che offre, non è seconda a molte delle medesime. Ciò fu
riconosciuto autorevolmente in atti ufficiali, nel Parlamento e fuori. […] Le Università sono i centri della
vita spirituale di un popolo, i focolai preziosi del suo sviluppo intellettuale, gl’istituti, dai quali escono
tutte le forze vive del paese, le leve potenti del progresso; […] tutto questo vuole dire una Università; ed
in tutta questa azione non è mai stata seconda quella di Macerata, che ha alte tradizioni scientifiche,
gloriose tradizioni patriottiche
1
.
Uno dei primi e più rilevanti effetti del pareggiamento sarebbe stato
rappresentato, notava ancora il rettore, dalla graduale e opportuna stabilizzazione del
corpo docente maceratese, la cui composizione, per troppo tempo, era stata condizionata
dalla migrazione degli elementi migliori verso gli atenei più prestigiosi:
Il più grande vantaggio del pareggiamento sarà la maggiore stabilità del personale accademico; il
che vorrà dire una continuità nell’insegnamento e nell’indirizzo scientifico della Università, vorrà dire
una più lunga conservazione di professori già chiari nella scienza e nella scuola. Un esodo, certo, vi sarà
sempre, perché interessi vari, molteplici, potranno sempre determinare dei professori verso centri
maggiori e le grandi Università eserciteranno sempre la loro forza di attrazione; ma sarà esodo limitato
così come si verifica nelle altre Università per lo innanzi pareggiate
1
2
.
Cfr. Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX
novembre MDCCCCII, ANNUARIO (1879), pp. 8-9. Una sintesi di tale relazione inaugurale è apparsa
anche in L’inaugurazione degli studi negli atenei e istituti superiori italiani. Relazioni e discorsi. La
cerimonia inaugurale dell’anno accademico, «L’Università italiana», 1 (1902), 20, pp. 245-247.
2
Ibidem, pp. 10-11.
143
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Ed effettivamente, gli auspici formulati da Ranelletti si sarebbero tradotti in
realtà, come testimonia la vera e propria moratoria riscontrata nel periodo successivo, e
in particolare nel quinquennio compreso tra il 1901 e il 1906, del massiccio esodo verso
altre sedi universitarie dei docenti maceratesi che aveva contraddistinto l’ultimo
ventennio del secolo XIX, facendo registrare ogni anno un tasso di mobilità e di
avvicendamento sulle cattedre dell’Ateneo marchigiano tale da produrre talora forti
disagi organizzativi e non pochi problemi al regolare andamento dei corsi e dell’attività
didattica.
Nel corso del quinquennio, infatti, l’Ateneo dovette rinunciare solamente all’ex
rettore Luigi Tartufari, come si è già ricordato, ma registrò l’arrivo di un folto gruppo di
docenti destinati in diversa misura ad operare in modo continuativo nella piccola sede
marchigiana, tra i quali vanno segnalati Gaetano Arangio-Ruiz, ordinario di Diritto
costituzionale; Prospero Fedozzi, chiamato a Macerata quale straordinario di Diritto
internazionale, al quale in seguito sarebbe subentrato Scipione Gemma; Siro Solazzi,
straordinario di Diritto Romano; Alfredo Rocco, straordinario di Diritto commerciale, e
Giuseppe Messina, straordinario di Diritto civile3.
Anche l’Università di Macerata, tuttavia, si trovò a dover fare i conti con le
importanti novità introdotte in materia di reclutamento e di nomina dei professori
universitari dal nuovo Regolamento generale universitario predisposto dal ministro
della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi4 e promulgato con il R.D. 13 aprile 1902, n. 1275,
poi parzialmente modificato, l’anno successivo, con il R.D. 26 ottobre 1903, n. 4656.
Un provvedimento, quello varato dal ministro Nasi, che aveva suscitato non
poche critiche e riserve all’interno della comunità universitaria nazionale, soprattutto in
relazione alle innovazioni introdotte in materia di libera docenza e nella disciplina dei
concorsi per professori universitari7. Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto,
com’è noto, allo scopo di porre fine alle più volte denunciate «degenerazioni del sistema
3
Cfr. Personale, ANNUARIO (1902), pp. 78-80; e Personale insegnante, amministrativo e di servizio,
ANNUARIO (1907), pp. 75-78.
4
Nunzio Nasi fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Giuseppe Zanardelli, dal 15
febbraio 1901 al 3 novembre 1903.
5
Regolamento generale universitario e nuovi regolamenti di facoltà, BUMPI, XXIX (1902), I, p. 780. Il
testo del Regolamento per la Facoltà di Giurisprudenza è riprodotto in ANNUARIO (1903), pp. XCIIICXX.
6
Cfr. Modificazioni apportate al regolamento generale universitario ed ai singoli regolamenti speciali,
BUMPI, XXXI (1904), I, pp. 131-132.
7
Cfr. Moretti, Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, cit., pp. 26-28; e
Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 350-358.
144
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
elettivo»8, il titolare della Pubblica Istruzione aveva reintrodotto il principio della
nomina ministeriale delle commissioni di concorso, limitando di fatto il potere
decisionale e la stessa autonomia delle facoltà e del corpo docente su tale delicata
materia:
Bisogna, senza preoccuparsi di nessun interesse, né personale, né locale – aveva precisato al
riguardo il responsabile della Minerva –, rompere questo sistema di intrighi, di pregiudizi, di pretese, che
contrastano con lo spirito della legge. E perciò, o signori, bisogna usare verso i professori e verso le
Facoltà quel rigore che vorremmo sempre usare verso i giovani, i quali, in fin dei conti, non ricevono
stipendio ma pagano le tasse
9
.
Se è vero, peraltro, che l’intento di Nunzio Nasi era quello di «sostituire alla
irresponsabilità dei molti, la diretta, piena e palese, responsabilità del ministro», è
altrettanto vero che un simile provvedimento era destinato a suscitare una generale
levata di scudi da parte dei professori, preoccupati per quello che veniva considerato un
aumento ingiustificato e oltremodo eccessivo «della facoltà discrezionale del potere
esecutivo nei concorsi»10.
Di fronte alle nuove disposizioni che rivelavano l’impronta fortemente
accentratrice impressa da Nasi alla politica ministeriale e lasciavano intuire la scarsa
stima da lui nutrita per l’ambiente universitario italiano e un’altrettanto scarsa fiducia
nelle capacità di autoriforma e di moralizzazione interna da parte del mondo
accademico11, l’Università di Macerata assumeva da subito una posizione fortemente
critica e, pur non mancando di rilevare la bontà di talune delle disposizioni adottate con
il provvedimento ministeriale, denunciava il disegno palesemente accentratore del
Regolamento generale universitario e l’indubbia pericolosità di norme, come quelle
relative ai concorsi universitari, che subordinavano di fatto l’università e la scienza alla
discrezionalità del potere politico12. Di tali umori si faceva portavoce il rettore Oreste
8
Relazione a S. M. il Re, in Annuario accademico dell’Università di Palermo. Anno accademico 19031904, p. CXVIII.
9
N. Nasi, Per il riordinamento degli studi. Discutendosi alla Camera dei deputati e al Senato il Bilancio
della P. I. (31 maggio 1901), Roma, Stamperia Reale, 1901, p. 38.
10
Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 354.
11
Una simile accusa si ritrova formulata, ad esempio, in Osservazioni della Facoltà di Giurisprudenza
della regia Università di Genova sul progetto dei nuovi regolamenti universitari, Siena, Tip. Cooperativa,
1902.
12
Cfr. A. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e
stato giuridico, «Italia contemporanea», 24 (1997), 206, pp. 65-86.
145
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Ranelletti, il quale, inaugurando il nuovo anno accademico nel novembre 1902, non
mancava di stigmatizzare limiti e incongruenze delle disposizioni ministeriali:
Da molte parti – affermava al riguardo il rettore dell’Università di Macerata – una riforma nella
istruzione universitaria si reclamava; inadeguato ai bisogni didattici e più disciplinari si era dimostrato il
regolamento generale del 1890; a molti inconvenienti avevano dato luogo i regolamenti speciali delle
Facoltà e delle Scuole. E l’attuale Ministro dell’Istruzione, con molta iniziativa e maggiore coraggio,
nell’intendimento di rimediare a molti dei mali, che si lamentavano, e di avviare la scuola in un indirizzo
più moderno e positivo, ci ha dato un nuovo regolamento generale e nuovi regolamenti speciali per le
Facoltà e le Scuole. […] Non è parso conveniente quel criterio di accentramento e di rafforzamento
dell’autorità ministeriale, a cui il regolamento generale è ispirato con una certa sfiducia verso i corpi
accademici, soprattutto nella formazione delle commissioni per la decisione dei concorsi. E’ verità, da
tempo affermata, che le maggiori garanzie di ordine, di giustizia, di eguaglianza, stanno nella limitazione,
anche regolamentare, delle facoltà discrezionali del potere esecutivo, perché solo così esso può essere
sottratto alle tante influenze, in ispecie parlamentari, che lo circondano e lo premono
13
.
Quello sopra ricordato si configurava, indubbiamente, come il limite più grave
ed inquietante del Regolamento generale universitario varato dal ministro Nasi, ma
occorreva altresì evidenziare, a detta di Ranelletti, che esso non era certo l’unico sul
quale richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Se, infatti, dall’impianto generale
del provvedimento si passava alla concezione del ruolo e dei compiti assegnati
all’istruzione superiore e alle università, ecco che appariva tutt’altro che condivisibile e
affatto opportuna l’enfasi accordata dal ministro Nasi alla dimensione meramente
professionalizzante della formazione universitaria, talché il Regolamento appariva
«troppo preoccupato dello scopo professionale, che le Università hanno, mentre questo
deve rimanere subordinato, e le Università, nell’interesse dell’alta cultura nazionale,
devono essere soprattutto istituti scientifici, dove si fa della scienza e si vive per essa»14.
Il rettore dell’Università di Macerata esprimeva, inoltre, forti riserve sul nuovo
Regolamento delle facoltà di giurisprudenza emanato contestualmente a quello generale
dal ministero della Pubblica Istruzione e fatto oggetto, all’indomani della sua
pubblicazione, di un’attenta analisi da parte della facoltà maceratese15. Proprio alla luce
13
Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre
MDCCCCII, ANNUARIO (1903), pp. 13-14.
14
Ibidem, p. 15.
15
Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza del 14 giugno
e del 23 ottobre 1902 in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di Facoltà 1901-1902,
b. 695.
146
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
dei numerosi rilievi critici formulati da quest’ultima, Ranelletti sottolineava come
apparisse tutt’altro che «rispondente alle esigenze della coltura ed alla importanza delle
varie discipline l’ordinamento dato ai corsi dal regolamento speciale per la Facoltà di
giurisprudenza».
In particolare, egli sottolineava la scelta assai infelice di ridurre ad un solo anno
lo studio del diritto amministrativo e della scienza dell’amministrazione, discipline che
costituivano «la parte più viva e vitale del diritto pubblico e della scienza politica», e
«di cui sempre maggiori sono l’ampiezza, la difficoltà e l'importanza pratica anche nel
foro». Ma le manchevolezze e i limiti riscontrati andavano ben oltre:
Valga ancora l’esempio del diritto ecclesiastico – rilevava il rettore –, ridotto a materia
facoltativa, diritto ecclesiastico, che per l’Italia ha una importanza speciale, soprattutto per la posizione,
che nel nostro Stato ha la Chiesa; valga ancora l’esempio della Storia del diritto italiano, che è il
presupposto di tutto il nostro diritto vigente, pubblico e privato, oggi, che è deciso l’indirizzo storico negli
studi, contro l’eccessivo razionalismo del passato, tanto più se si pensa che molto difficilmente questi
studi si fanno dopo laureati. Esso, infine, non tiene conto della natura e del contenuto di alcune materie, in
ispecie di diritto pubblico, ponendole al 1° biennio, che pur è destinato, secondo il concetto informatore
di tale divisione, agli studi di carattere propedeutico. Torna ancora qui l’esempio del diritto
amministrativo e della scienza dell'amministrazione; evvi l’esempio del diritto internazionale, del diritto
finanziario. Troppi presupposti di altri studi queste materie hanno, per poter essere studiate proficuamente
nel primo biennio.
In effetti, al di là dei toni pacati utilizzati, quella dell’Ateneo maceratese era una
vera e propria stroncatura del Regolamento generale universitario e di quello speciale
per le facoltà di giurisprudenza varati dal ministro Nasi. Non a caso, nel concludere il
suo intervento, il rettore Ranelletti formulava l’auspicio di un’opportuna quanto rapida
ridefinizione del provvedimento ministeriale:
Queste le osservazioni, questi i voti. E in questi voti sono con noi quanti professori e Facoltà
giuridiche han dovuto occuparsi dei nuovi regolamenti. E noi, perciò, confidiamo che, in tale critica
serena, largamente consentita, S.E. il Ministro, nella preparazione di maggiori e più larghe riforme, voglia
intanto provvedere perché in ispecie nel regolamento per la Facoltà giuridica vengano introdotte quelle
modificazioni, che l’interesse degli studi reclama
16
.
16
Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre
MDCCCCII, cit., pp. 15-16.
147
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
In realtà, buona parte delle scelte operate dal ministro della Pubblica Istruzione
Nunzio Nasi in questo periodo erano destinate a suscitare la netta opposizione da parte
dell’Ateneo maceratese. In modo particolare, le disposizioni assai più restrittive
contenute nel Regolamento generale in materia di tasse universitarie e, soprattutto, la
successiva legge del 28 maggio 1903, n. 224, con la quale era introdotto un sensibile
aggravio dei costi per l’immatricolazione e iscrizione alle università17. Per cogliere il
significato di tale opposizione e, nel contempo, valutare le scelte operate dall’Ateneo su
questo versante, deve essere innanzitutto ricordato che, già a partire dall’anno
accademico 1902-1903, modificando ancora una volta la decisione presa non senza
contrasti e lacerazioni poco più di un anno prima, il Consorzio aveva stabilito di
reintrodurre, sia pure parzialmente, il pagamento delle tasse di immatricolazione e
iscrizione per coloro che decidevano di frequentare i corsi dell’Università di Macerata18.
Una simile scelta appariva dettata da due ordini di motivazioni: da un lato tale
«reimposizione delle tasse scolastiche» era stata voluta «per forti ragioni di
convenienza, anche in vista dell’eguaglianza ottenuta con le altre Università dello
Stato» e per evitare le perniciose «accuse di concorrenza non lodevole dagli atenei
17
La decisione del ministro Nunzio Nasi di aumentare sensibilmente le tasse universitarie era motivata,
fra l’altro, dalla volontà di scoraggiare l’iscrizione alle università dei giovani provenienti dalle classi
medie e ridurre in tale modo quello che, qualche anno prima, Guido Fusinato aveva icasticamente definito
«l’infelice e minaccioso proletariato intellettuale» (AP, Camera dei Deputati, Sessione 1899, Documenti,
n. 20-A, Relazione dell’on. Fusinato sul Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione
Pubblica (Baccelli), tornata del 28 gennaio 1899). Già nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento, a
questo riguardo, provvedimenti analoghi erano stati presentati, senza ottenere l’avallo del Parlamento,
dagli allora responsabili della Minerva Guido Baccelli (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1894,
Documenti, n.1 (urgenza), Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli)
sull’autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno, seduta del 6 dicembre 1894) e
Nicolò Gallo (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1898, Documenti, n. 283, Disegno di legge
presentato dal Ministro dell’ Istruzione Pubblica (Gallo). Provvedimenti sulla pubblica istruzione, seduta
del 18 aprile 1898). Al principio del nuovo secolo, l’ipotesi di un sensibile aumento delle tasse
universitarie come deterrente per ridurre la crescente disoccupazione intellettuale fu riproposta sia in un
disegno di legge d’iniziativa parlamentare (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1902, Documenti, n.
145, Proposta di legge presentata da Morelli-Gualtierotti ed altri deputati, seduta del 17 maggio 1902),
sia nel provvedimento predisposto appunto dal ministro della Pubblica Istruzione Nasi (cfr. AP, Camera
dei Deputati, Sessione 1902, Documenti, n. 146, Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione
Pubblica (Nasi), seduta del 17 maggio 1902), che al termine di un vivace dibattito ottenne l’approvazione
parlamentare. Si veda al riguardo la Legge 28 maggio 1903 n. 224 – Misura delle tasse e soprattasse
scolastiche per le università, gli istituti superiori e gli istituti superiori di magistero femminile di Roma e
Firenze, BUMPI, XXX (1903), I, pp. 833-835. Sul dibattito in materia, con riferimento al periodo a
cavallo tra Otto e Novecento, si vedano le attente osservazioni formulate in M. Barbagli, Disoccupazione
intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit., pp. 152-175.
18
Al riguardo, si veda la relativa delibera approvata dalla commissione amministrativa del Consorzio
nell’adunanza del 10 luglio 1902, con la quale si reintroduceva parzialmente il pagamento delle tasse
universitarie, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg.
n. 543.
148
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
regi»19; dall’altro essa si era rivelata necessaria allo scopo di colmare il pesante deficit
accumulato dallo stesso Consorzio universitario maceratese per far fronte agli obblighi
finanziari annuali previsti dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541, sul pareggiamento
(onorari relativi agli incarichi d’insegnamento, spese di amministrazione, acquisto libri
e riviste per la biblioteca e quota fissa di 5.000 lire a favore dello Stato)20.
La decisione di reintrodurre sia pure in misura parziale le tasse studentesche, che
in altri tempi aveva fatto registrare un vero e proprio crollo delle immatricolazioni e
iscrizioni all’Ateneo, si era rivelata questa volta una mossa vincente, tanto che, a partire
dai primissimi anni del Novecento, la popolazione studentesca crebbe costantemente e
in misura rilevante, giungendo quasi a raddoppiare nell’arco di un decennio. Nel
periodo compreso tra il 1901 e il 1911, infatti, il numero di iscritti all’Università di
Macerata passò da 230 a 435 unità, facendo segnare un incremento pari a circa il 90%21,
di gran lunga superiore a quello registrato, nello stesso periodo, in altri atenei della
penisola22. E se era senz’altro vero che la sede maceratese beneficiava del più generale
aumento di iscritti alle facoltà giuridiche registrato in Italia nel primo decennio del
secolo XX23, era altrettanto innegabile che il dato registrato a Macerata risultava essere
tra i più cospicui, tanto da collocare la locale Facoltà di Giurisprudenza al settimo posto
dopo quelle di Napoli (2601 iscritti), Roma (1421), Torino (922), Palermo (648),
Genova (571) e Catania (549), e più avanti di quelle collocate in sedi di grande
tradizione come Bologna (398) e Padova (415)24.
Lo sottolineava con una certa enfasi lo stesso rettore dell’Ateneo, non mancando
peraltro di rilevare come, tra le cause del fausto incremento della popolazione
studentesca, dovessero indubbiamente annoverarsi anche le «condizioni di vero
19
Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre
MDCCCCII, cit., p. 12.
20
Si veda il verbale della già ricordata adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 10
luglio 1902, con la quale si reintroduceva parzialmente il pagamento delle tasse universitarie, in ASMc,
Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543.
21
Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., p. 57.
22
Per quello che riguarda le altre università statali, l’incremento maggiore delle immatricolazioni e
iscrizioni si registrò negli atenei di Palermo, nel quale fu del 40% (da 442 a 648 studenti), e di Napoli,
dove raggiunse il 34% (da 1933 a 2601 unità). Cfr. Ibidem, pp. 57-58.
23
In tutti gli atenei della penisola si registrò, nello stesso decennio, un sensibile incremento del numero di
iscritti alle facoltà giuridiche, i quali passarono dalle 8.206 alle 10.388 unità, ovvero il 39% della
popolazione universitaria italiana complessiva, la quale, in quegli stessi anni subiva un leggero calo,
passando dai 27.388 studenti dell’anno accademico 1901-1902 ai 26.682 del 1910-1911 (ibidem, p. X).
24
Tra le Facoltà di Giurisprudenza che presentavano in quell’anno un numero di iscritti inferiore a quello
della facoltà maceratese debbono essere collocate quelle degli atenei di Pavia (346 iscritti), Pisa (277),
Messina (198), Modena (159), Siena (148), Parma (116), Cagliari (112) e Sassari (90). Ibidem, pp. X-XI.
149
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
privilegio» di cui l’Università di Macerata godeva, potendo garantire una «spesa minore
per le tasse di iscrizione e d’immatricolazione»:
Il numero degli iscritti nella nostra Università – affermava Oreste Ranelletti – è in aumento
continuo. […] Questo fatto ha varie cause, quali la fiducia nel personale insegnante, scelto con tutte le
garanzie, che le nostre leggi consentono; la fiducia nella possibilità di buoni studi in questo Ateneo; la
vicinanza e facilità di comunicazioni coi luoghi natii, provenendo i nostri giovani in massima parte dalle
Marche, dagli Abruzzi e dalle Puglie; e soprattutto l’elemento economico della spesa minore per le tasse
di iscrizione e d’immatricolazione, che questo Consorzio universitario, cui sono devolute, può tenere
molto basse. Da questo punto di vista il nostro Ateneo è in condizioni di vero privilegio
25
.
Tutto ciò spiega, a nostro avviso, la vivace polemica condotta nei riguardi dei
provvedimenti emanati in materia dal ministro Nasi e, in particolare, i reiterati tentativi
di ottenere per l’Ateneo maceratese una deroga dall’applicazione delle disposizioni sulle
tasse contenute nel nuovo Regolamento generale universitario e, soprattutto, nella già
ricordata legge del 28 maggio 1903, n. 224. Ancor prima che quest’ultimo
provvedimento fosse discusso e approvato dal Parlamento, a questo proposito, il rettore
dell’Università di Macerata, forte del pieno e convinto sostegno della commissione
amministrativa del Consorzio, si era rivolto ai deputati locali Giovanni Mestica e
Maffeo Pantaleoni affinché esercitassero pressioni sul ministro Nunzio Nasi e sul
relatore del provvedimento, l’on. Gismondo Morelli-Gualtierotti, perché nel testo del
disegno di legge fosse mantenuta l’«autonomia in materia di tasse studentesche» a suo
tempo riconosciuta all’Ateneo maceratese dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541, sul
pareggiamento.
Un’iniziativa, quest’ultima, destinata ad essere coronata da successo26 e a
segnare un notevole vantaggio per il piccolo Ateneo marchigiano, specie nel momento
in cui, trasformato di lì a poco in legge, il provvedimento ministeriale introduceva un
sensibile «aumento delle tasse e soprattasse nelle altre università governative»27.
25
IV Dicembre MDCCCCIV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1904-1905. Relazione statistica del
Rettore Prof. Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università nell’anno scolastico
1903-1904, ANNUARIO (1905), pp. 8-9.
26
Si veda al riguardo il verbale dell’adunanza dell’8 febbraio 1903 della commissione amministrativa del
Consorzio universitario, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle
adunanze, reg. n. 543.
27
XII Novembre MCMV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1905-1906. Relazione statistica del
Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno
scolastico 1904-1905, ANNUARIO (1906), p. 11.
150
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Nel corso della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1903-1904, il
rettore Oreste Ranelletti sottolineava con viva soddisfazione come l’Università di
Macerata non solamente avesse visto riconosciuta «dalla lettera ministeriale 27 maggio
del decorso anno, n. 5376, che accoglieva l’analoga deliberazione di questa
Commissione amministrativa [del Consorzio universitario maceratese] 27 aprile 1903»,
l’esenzione da taluni obblighi derivanti «dall’art. 132 del Regolamento generale
universitario», ma che essa era stata anche posta nella condizione di derogare
all’aumento delle tasse universitarie recentemente imposto per legge agli altri atenei
statali:
La legge 28 maggio 1903 n. 224, per diminuire da un lato nelle Università il numero degli
studenti e quindi dei laureati, che è di molto superiore al bisogno sociale e per dare dall’altro alle
Università nuovi cespiti di entrata, onde provvedere meglio ai loro bisogni, soprattutto scientifici, ha
aumentato notevolmente le tasse scolastiche. La nostra Università ha mantenuto intatte le tasse di
iscrizione e di diploma nella misura precedente
28
.
E tuttavia, a detta di Ranelletti, larga parte dei vantaggi ottenuti in virtù dei
riconoscimenti sopra ricordati era destinata ad essere vanificata dalla decisione del
ministro della Pubblica Istruzione di mantenere intatti i singolari privilegi di cui
godevano le università libere, non ultimo quello dell’assenza di vincoli in materia di
tassazione studentesca. Una questione che toccava molto da vicino l’Università di
Macerata, stante la cospicua concentrazione di università libere nel territorio
marchigiano e nelle regioni limitrofe – Camerino, Urbino, Perugia e Ferrara – e la
diretta e pressante concorrenza esercitata dalle rispettive facoltà di giurisprudenza29 su
quella dell’Ateneo maceratese:
Tutto il buon volere della Commissione amministrativa del nostro Consorzio universitario –
notava al riguardo il rettore – ha trovato e trova un ostacolo insormontabile nella vicinanza di Università
libere, che, non vincolate dalle leggi dello Stato relative alla tasse scolastiche, hanno queste mantenute
nella bassa misura attuale. Non si volle nel Parlamento estendere alle Università libere gli obblighi che la
28
Relazione statistica del Rettore Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università
nell’anno scolastico 1902-1903, ANNUARIO (1904), pp. 10-11.
29
Tra le facoltà di Giurisprudenza istituite nelle università Libere, nell’anno accademico 1910-1911
quella di Ferrara vantava 320 iscritti, seguita a ruota da quella di Camerino con 274 e da quella di Urbino
con 265, mentre quella di Perugia annoverava solo 112 iscritti (Ferraris, Statistiche delle Università e
degli istituti superiori, cit., pp. 57-58).
151
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
legge impone a quelle governative, per rispettarne l’autonomia. Strana motivazione invero codesta, che
consente a questi istituti tutti i diritti delle Università governative, senza gli oneri corrispondenti, vuoi pel
personale insegnante, vuoi pel materiale scientifico e didattico, vuoi per gli studenti
30
.
Paradossalmente, le critiche che il rettore Ranelletti muoveva all’illimitata
autonomia delle università libere e alla sostanziale acquiescenza del Parlamento nei
riguardi dell’insostenibile concorrenza che, anche in forza dell’assenza di precisi vincoli
normativi, esse esercitavano a danno degli atenei governativi, ricalcavano in larga
misura quelle, a suo tempo, avanzate dai fautori della soppressione delle università
secondarie e minori, giudicate a tutti gli effetti inutili e, anzi, di ostacolo, con le loro
tradizionali prerogative e gli esorbitanti privilegi acquisiti, allo sviluppo di un moderno
ed efficiente sistema di alta formazione imperniato su un ristretto numero di grandi
atenei31.
E’ pur vero, tuttavia, che nel momento in cui il rettore dell’Università di
Macerata dava conto pubblicamente del buon esito degli sforzi compiuti per limitare i
danni che i provvedimenti ministeriali avrebbero prodotto, egli aveva ben presente le
condizioni di sostanziale precarietà che continuavano a caratterizzare il piccolo Ateneo
marchigiano, ed era ben consapevole del fatto che il pareggiamento ottenuto con la
legge 22 dicembre 1901, n. 541, se da un lato aveva dato soluzione ad una serie di
problematiche rivelatesi ormai insostenibili, dall’altro era ben lungi dall’aver assicurato
definitivamente stabilità e organiche prospettive di sviluppo alla sede maceratese. Di qui
la comprensibile preoccupazione per una concorrenza – quella delle limitrofe università
libere – che rischiava di vanificare i limitati margini di vantaggio acquisiti in quel
periodo.
E che le preoccupazioni del rettore Oreste Ranelletti non fossero del tutto
infondate sarebbe emerso con forza, nei mesi successivi, a seguito del varo dei
provvedimenti di riordinamento delle università da parte del nuovo ministro della
Pubblica Istruzione Vittorio Emanuele Orlando32.
30
Relazione statistica del Rettore Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università
nell’anno scolastico 1902-1903, ANNUARIO (1904), pp. 11-12.
31
Cfr. Moretti, La questione delle piccole università dai dibattiti di fine secolo al 1914, cit., pp. 19-44.
32
Vittorio Emanuele Orlando fu ministro della Pubblica Istruzione nel II governo Giolitti e nel successivo
gabinetto presieduto da Tommaso Tittoni, dal 3 novembre 1903 al 27 marzo 1905.
152
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Questi, com’è noto, con la legge 12 giugno 1904, n. 253, relativa alla disciplina
dei concorsi e alla nomina dei professori ordinari e straordinari nelle università33, oltre a
cancellare le norme introdotte dal suo predecessore in materia di costituzione delle
commissioni di concorso, che tante polemiche avevano suscitato nel mondo accademico
italiano34, e a dettare nuove disposizioni in ordine a coloro che potevano presentare
domanda di partecipazione e al tenore delle prove concorsuali35, introduceva l’obbligo
per i commissari di approvare per ciascun concorso una terna di «eleggibili», composta
dai tre candidati giudicati migliori e collocati in graduatoria «in ordine di merito e non
mai alla pari»36.
Il primo classificato della terna acquisiva il diritto a ricoprire il posto di ruolo
che era stato bandito e aveva costituito l’oggetto del concorso, mentre per gli altri due
candidati, dichiarati eleggibili e collocati nei gradini più bassi della graduatoria, era
introdotta la possibilità, qualora successivamente si fossero resi vacanti ulteriori posti
per la stessa disciplina in altre sedi, di essere chiamati con deliberazione delle rispettive
facoltà, a ricoprire tali posti con la qualifica di professori straordinari. Al riguardo, l’art.
3 della legge 12 giugno 1904, n. 253, stabiliva:
Il risultato del concorso è valido per l’Università e la cattedra per cui fu bandito. Tuttavia anche
altri posti vacanti potranno, dentro l’anno della deliberazione del Consiglio superiore, essere occupati dal
secondo e dal terzo dei designati in ordine di graduatoria, sulla proposta della Facoltà alla quale occorre
33
Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e straordinari delle università e degli
istituti superiori, in GU, 25 giugno 1904; se ne veda il testo riprodotto anche in CC (1904), 17-18, pp.
541-543; e in ANNUARIO (1905), pp. 133-135.
34
Cfr. M. Moretti, La questione universitaria a cinquant’anni dall’unificazione. La Commissione Reale
per il riordinamento degli studi superiori e la Relazione Ceci, in Porciani (a cura di), L’Università tra
Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, cit., pp. 209-309; e Id., L’«Associazione nazionale
fra i Professori universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note ed osservazioni, cit., pp.
581-600.
35
L’art. 2 della Legge Orlando stabiliva che: «Il concorso è aperto a tutti e si rende noto almeno quattro
mesi prima che ne comincino le pratiche. E’ bandito per titoli; tuttavia la Commissione giudicatrice potrà
richiedere una prova dell’attitudine didattica, e, occorrendo, anche una prova pratica ai concorrenti ogni
qual volta lo credesse opportuno» (Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e
straordinari delle università e degli istituti superiori, ANNUARIO (1905), p. 133).
36
Cfr. Moretti, Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, cit., pp. 27-28;
Fois, Reclutamento dei docenti e sistemi concorsuali, dal 1860 a oggi, cit., pp. 467-468. A. Verrocchio, I
docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e stato giuridico, cit., pp.
65-86. Sulle valutazioni formulate dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione in ordine al
provvedimento predisposto dal ministro Orlando si veda Disegno di legge sul trasferimento dei professori
universitari e sulla interpretazione autentica di alcuni punti della legge 12- 6 - 1904, n. 253,
«L’Università italiana. Rivista dell’istruzione superiore», V (1906), 14-15, pp. 78-81.
153
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
di provvedere; ma, anche trattandosi di un concorso per ordinario, i due designati dopo il primo potranno
essere nominati soltanto straordinari
37
.
In coerenza con le innovazioni sopra ricordate, il successivo art. 6 del
provvedimento predisposto da Orlando aboliva le disposizioni della legge Casati (artt.
89-90) che in passato avevano attribuito al ministro della Pubblica Istruzione la
competenza di nominare annualmente i professori straordinari – considerati strictu
sensu come esterni al corpo accademico dell’ateneo – per la copertura di una parte degli
insegnamenti previsti dall’ordinamento dei diversi corsi di laurea o per assicurare
l’attivazione di eventuali corsi complementari e/o di perfezionamento stabiliti nelle
diverse sedi38.
Con la legge 12 giugno 1904, n. 253, inoltre, erano introdotte una serie di
disposizioni volte a definire in modo organico le forme di reclutamento dei professori
straordinari, attraverso l’istituzioni di appositi concorsi per l’accesso a tale ruolo39. Al
riguardo, intervenendo alla Camera dei deputati in occasione della discussione sul
provvedimento, il ministro Orlando aveva sottolineato come la scelta di introdurre
specifici concorsi per professore straordinario scaturisse da una duplice necessità: quella
di assicurare stabilità e continuità di funzione ad una docenza universitaria che era
cresciuta notevolmente rispetto alla situazione vigente all’epoca in cui era stata emanata
la legge Casati e, al tempo stesso, salvaguardare, attraverso il concorso, la qualità
scientifica e la competenza didattica del medesimo personale docente, ponendo
finalmente termine alle soluzioni tampone previste dalla normativa vigente che non
erano state in grado di fornire una soluzione organica e soddisfacente dal punto di vista
qualitativo al problema40.
37
Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e straordinari delle università e degli
istituti superiori, cit., p. 134.
38
Cfr. Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 358-359.
39
Il Regolamento generale universitario predisposto dal ministro Nasi nel 1902 aveva già accreditato il
sistema dei concorsi anche per la figura degli straordinari (art. 44), interpretando così la legge Casati alla
luce dell’evoluzione storica successiva. Secondo l’art. 45, inoltre, era possibile, per il professore
straordinario nominato in seguito a concorso, trascorsi tre anni di esercizio non interrotto di
insegnamento, chiedere la promozione ad ordinario. Ovviamente sarebbe stato poi necessario il placet del
ministero, il quale, dopo avere acquisito il parere della Facoltà e del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione, avrebbe sottoposto la richiesta a una specifica Commissione. Secondo l’art. 46, però, il
professore straordinario dopo tre anni avrebbe potuto conseguire la promozione, senza ulteriore giudizio,
ove avesse preso nel frattempo parte ad un concorso per ordinario classificandosi tra i primi tre in
graduatoria.
40
AP, Camera dei Deputati, Sessione 1904, Discussioni, tornata del 26 febbraio 1904, pp. 11119-111121.
154
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
A detta del titolare della Pubblica Istruzione, infatti, stante la necessità di
assicurare annualmente l’erogazione, in ogni facoltà universitaria, di almeno il doppio
degli insegnamenti coperti dai professori ordinari di ruolo, appariva quantomeno
necessario prevedere la stabilizzazione degli straordinari solo previo superamento di un
apposito concorso piuttosto che «ammetterla di fatto», come già avveniva, «senza alcun
vaglio preventivo»:
Siamo in una condizione – affermava Vittorio Emanuele Orlando – che ci obbliga a cercare
accomodamenti; dobbiamo ricorrere a dei ripieghi di ordine finanziario; ed abbiamo il professore
ordinario nei limiti, nei ceppi, del ruolo, il professore straordinario, cui dobbiamo dare per lo meno il
conforto della stabilità. Così essendo, ed essendo il professore straordinario già stabile, non perché si
nomini per concorso, ma per una condizione di fatto, […] si pone la questione: quale il modo migliore di
nomina? […] Se per la legge Casati, dal 1859 ad oggi, la maniera di nomina dell’ordinario è il concorso,
io non saprei perché per lo straordinario, che è, ripeto, un professore stabile, si debba seguire un’altra
via41.
La legge 12 giugno 1904, n. 253, predisposta dal ministro Orlando aveva
l’indubbio merito di reintrodurre una prassi concorsuale non accentratrice e di dare un
assetto stabile al personale docente delle università, in modo particolare a quella fascia
dei professori straordinari che, nei decenni precedenti, era stata oggetto di norme e
disposizioni regolamentari confuse e contraddittorie42.
Il nuovo quadro della docenza universitaria disegnato dal titolare della Pubblica
Istruzione, tuttavia, finiva indirettamente per danneggiare quegli atenei che, come nel
caso di Macerata, erano gravati da una serie di vincoli derivanti dagli obblighi
consorziali assunti in vista del pareggiamento, primo fra tutti quello relativo
all’«organico chiuso». Non a caso, già all’indomani dell’approvazione della legge
Orlando, Gaetano Arangio-Ruiz, professore di Diritto costituzionale nell’Ateneo
maceratese, aveva lanciato l’allarme riguardo alle effettive ricadute e ai potenziali rischi
di un simile provvedimento. «La legge 12 giugno 1904, n. 253, per la quale non si può
essere nominati professori ordinari e straordinari se non in seguito a concorso», egli
sottolineava al riguardo, avrebbe prodotto in linea generale «molte conseguenze
ottime», ma anche, per i piccoli atenei il cui finanziamento dipendeva dai consorzi
41
Ibidem, p. 111123.
Cfr. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e
stato giuridico, cit., pp. 65-86.
42
155
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
locali e il cui organico era stato determinato in modo rigidamente fisso dalle
disposizioni di legge che approvavano tali consorzi, «qualche conseguenza cattiva»43.
Divenuto nel frattempo rettore dell’Università di Macerata44, lo stesso ArangioRuiz ebbe modo di verificare direttamente la situazione di difficoltà e di oggettivo
svantaggio, rispetto alle altre sedi accademiche, nella quale le nuove disposizioni di
legge sui professori straordinari ponevano il piccolo ateneo marchigiano.
A seguito del trasferimento all’Università di Pavia, nel febbraio 1905, dell’ex
rettore e titolare della cattedra di Diritto amministrativo Oreste Ranelletti, la Facoltà di
Giurisprudenza aveva deliberato di affidare per incarico tale insegnamento al prof. Ugo
Forti dell’Università di Camerino; contestualmente, seguendo una prassi consolidata,
aveva richiesto e ottenuto dal ministero della Pubblica Istruzione un concorso per
professore straordinario di Diritto amministrativo (che sarebbe stato vinto, l’anno
seguente, dal prof. Umberto Borsi); ai sensi della legge 12 giugno 1904, n. 25345,
inoltre, la stessa Facoltà si era orientata ad avanzare richiesta al ministero per la
stabilizzazione e la successiva promozione all’ordinariato per i professori straordinari
della Facoltà che avevano completato «un triennio ininterrotto di insegnamento» e che
disponevano, dunque, di tutti i requisiti per la «stabilità» e per il passaggio al ruolo degli
ordinari.
Senonché, proprio i rigidi vincoli all’organico dell’Ateneo fissati dalla legge 22
dicembre 1901, n. 541, sul pareggiamento, che prevedevano un tetto massimo di 12
docenti di ruolo, dei quali solo 8 con la qualifica di professore ordinario, avevano in
parte vanificato tale disegno e, quel che più conta, prodotto pesanti ripercussioni sul
corpo docente dell’Ateneo.
Se, infatti, Giuseppe Leoni, straordinario di Istituzioni di Diritto romano, era
stato «prima dichiarato stabile, poscia promosso ordinario», e un’analoga sorte aveva
arriso, qualche mese più tardi, a Siro Solazzi, straordinario di Diritto romano, non così
si era verificato nel caso del professore straordinario di Diritto Internazionale, Scipione
Gemma, e di quello di Diritto commerciale, il giovane studioso «di alto valore» Alfredo
43
Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 78.
Ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza, Gaetano Arangio Ruiz fu rettore
dell’Università di Macerata dal 16 gennaio 1905 al 15 ottobre 1910. Su di lui si vedano in particolare E.
Crosa, Gaetano Arangio-Ruiz, in «Archivio giuridico», CXVIII (1937), pp. 142-149; e R. Abbondanza,
Arangio-Ruiz, Gaetano, in DBI, 3 (1961), pp. 718-719.
45
In particolare, ai sensi dell’art. 4 della Legge 12 giugno 1904 n. 253: Nomina dei professori ordinari e
straordinari delle università e degli istituti superiori, cit., p. 135.
44
156
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Rocco, per i quali, la Facoltà di Giurisprudenza maceratese era stata costretta a proporre
al ministero della Pubblica Istruzione «la sola stabilità, dolente che mancasse il posto di
ordinario in organico»46.
Conseguenza diretta della situazione creatasi era stata che Alfredo Rocco, vista
l’impossibilità di ottenere in tempi brevi l’ordinariato a Macerata, a decorrere dall’anno
accademico 1905-1906 si era trasferito all’Università di Parma, dove l’anno seguente
aveva ottenuto l’ambita promozione ad ordinario di Procedura civile47; analogamente,
poco tempo dopo Scipione Gemma aveva accettato, per gli stessi motivi, di lasciare
Macerata per andare ad insegnare nell’Università di Siena48.
Non sorprendono, a questo riguardo, le amare considerazioni formulate dal
rettore Gaetano Arangio-Ruiz in occasione della solenne inaugurazione dell’anno
accademico 1906-1907:
La nostra Università – egli affermava – è tra quelle che hanno l’organico chiuso. […] La
questione dell’organico si ripercuote nella vita universitaria in mille guise. Era soltanto l’Università di
Napoli ammessa a godere, per la legge Imbriani, della illimitazione negli insegnamenti e nel numero di
ordinari, ma a poco a poco hanno ottenuta la illimitazione, almeno degli ordinari, altre Università. […] La
nostra, con altre Università, ormai poche, non ha potuto, non può entrare in questa corsa all’assalto del
bilancio dello Stato e ciò potrà in avvenire crearci impedimenti considerevoli, come ora ci apporta dolori
per le mancate soddisfazioni a colleghi egregi49.
46
XII Novembre MCMV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1905-1906. Relazione statistica del
Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno
scolastico 1904-1905, ANNUARIO (1906), p. 9.
47
Il posto lasciato libero da Alfredo Rocco fu coperto con la chiamata del prof. Umberto Navarrini, che
proveniva dall’Università di Sassari, il quale, tuttavia, abbandonò l’Ateneo maceratese già nel dicembre
1907 per trasferirsi a Roma, presso l’Istituto Superiore di Studi commerciali.
48
La nomina a ordinario di Giuseppe Leoni suscitò forti polemiche all’interno del corpo docente, tanto
che Alfredo Rocco e Scipione Gemma, entrambi esclusi dalla promozione a ordinario per mancanza di
posti nell’organico, inviarono prima una lettera di protesta al ministro della Pubblica Istruzione e
presentarono poi un vero e proprio ricorso contro i RR.DD. 27 aprile e 16 maggio 1905, con i quali erano
approvati la stabilizzazione e la promozione a ordinario del Leoni. La IV Sezione del Consiglio di Stato,
pronunciatasi sull’argomento il 5 ottobre 1907, accolse parzialmente il ricorso dei due docenti (in realtà
Rocco, divenuto ordinario a Parma, aveva dichiarato cessato il suo interesse), ritenendo infatti legittima la
stabilizzazione di Leoni, ma irregolare, per converso, «il decreto di promozione, essendo preventivamente
mancate la proposta della Facoltà e il parere del Consiglio superiore sull’importanza della cattedra tenuta
dal promovendo, e sull’opportunità di coprirla con un ordinario, a preferenza di altre». Lo stesso Gemma,
comunque, nell’anno accademico 1908-1909 si trasferì a Siena e, in una lettera inviata al ministro della
Pubblica Istruzione in data 30 marzo 1908 rinunciò definitivamente a tutte le sue pretese di carriera
nell’ateneo maceratese, a favore del collega di Diritto civile Giuseppe Messina, il quale divenne ordinario
nel novembre 1908. Si veda la documentazione relativa a questi casi in ASMc, Università, Miscellanea,
Anno 1907-1908, b. 695.
49
XVIII Novembre MCMVI. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1906-1907. Relazione statistica del
Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno
scolastico 1905-1906, ANNUARIO (1907), p. 9.
157
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
La questione dell’«organico chiuso» si saldava peraltro a quella, solo
apparentemente di altra natura, delle troppo limitate risorse finanziarie sulle quali il
Consorzio universitario poteva fare conto per assicurare l’erogazione dei servizi agli
studenti, l’ampliamento del patrimonio librario della biblioteca e il più generale
funzionamento degli organi e delle strutture dell’Ateneo50. Entrambe derivavano dalle
disposizioni stabilite nella già ricordata convenzione sottoscritta il 6 maggio 1900 dal
titolare della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, a nome del Governo, e dai
rappresentanti degli enti locali e dell’Ateneo, con la quale era stato possibile ottenere il
pareggiamento dell’Università di Macerata a quelle di primo grado.
Si rendeva necessario, a questo riguardo, procedere ad una revisione della
convenzione e, più in generale, rinegoziare con il governo le gravose obbligazioni
economiche assunte, per il tramite del Consorzio, dagli enti locali maceratesi ai fini
dell’equiparazione dell’Ateneo. Come sottolineava il rettore Arangio-Ruiz:
Lungi da me l’idea di censurare quanti proposero e sostennero la convenzione vigente. Questa
rappresentava forse il meglio che allora si potea desiderare, e di fronte al passo notevole che l’Università
faceva nell’aspra via percorsa dal 1860 col fermo proposito di essere riconosciuta, considerata Istituto
statuale, la convenzione vigente era una conquista, e non importa se finanziariamente onerosa per gli enti
locali.
Nel periodo successivo, tuttavia, talune delle disposizioni inserite nella
convenzione sottoscritta nel 1900 avevano finito per «mettere la nostra Università in
condizione di inferiorità di fronte alle altre». In primo luogo, l’avere definito una volta
per tutte «un organico, approvato per legge, onde si assegnano alla Facoltà giuridica
otto professori ordinari, quattro professori straordinari, il rettore, un segretario, un
50
Sulla situazione finanziaria in cui versava l’ateneo e sulla decisione di aumentare le tasse universitarie
si veda la ricca documentazione conservata in ASMc, Università, Commissione amministrativa
Consorzio, Verbali delle adunanze, registro n. 544. Nel corso della solenne inaugurazione dell’anno
accademico 1906-1907 il rettore Gaetano Arangio-Ruiz precisava: «Le difficoltà finanziarie sono spinose,
poiché la buona volontà non basta a far denaro: questo viene da fonti produttrici che sono limitate. Noi
che abbiamo sempre avuto un bilancio in soddisfacenti condizioni, chiuso anche nell’anno testé decorso
in avanzo, non potremmo affrontare spese superiori alla normale potenzialità dei nostri servizi. E siccome
questi reclamano pur nuovi mezzi, io, sin quando fui assunto alla carica di rettore, seguendo un’idea del
mio predecessore, pensai ad un moderato aumento della tassa di iscrizione. […] Con l’accordo
intervenuto tra il corpo accademico e le autorità locali di Camerino da un lato e la maggioranza della
nostra Commissione consorziale dall’altro, l’aumento è un fatto compiuto» (XVIII Novembre MCMVI.
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1906-1907. Relazione statistica del Rettore Prof. Gaetano
Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno scolastico 1905-1906,
ANNUARIO (1907), p. 10).
158
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
bidello, e non c’è stato modo mai di rompere i ferrei cancelli», si era rivelato, alla lunga,
un errore gravissimo; tanto più, notava ancora Arangio-Ruiz, che «nessuna delle altre
otto convenzioni delle Università pareggiate ha un organico chiuso per legge». Inoltre,
l’avere posto «ogni altra spesa a carico del Consorzio» faceva sì che questo si trovasse,
alla lunga, nella sempre maggiore impossibilità di fronteggiare gli aumenti derivanti
dall’accresciuto
numero
degli
studenti,
dall’ampliamento
degli
incarichi
d’insegnamento resi necessari dalla mutata offerta formativa e didattica, dalle sempre
maggiori necessità di un ateneo in costante espansione. Infine, se si calcolava in misura
precisa quello che «lo Stato stanzia[va] per l’Università di Macerata nel bilancio
annuale in corrispettivo dei beni patrimoniali qui dallo Stato pontificio incamerati», era
facile comprendere come tale stanziamento fosse del tutto inadeguato e come gravasse
solo ed esclusivamente sulle finanze degli enti locali e sulle entrate rappresentate dalle
tasse studentesche larga parte degli oneri per il mantenimento dell’ateneo: «Come a dire
– era l’amara conclusione – che l’Università è nostra e noi la manteniamo, e lo Stato
non ha doveri, ma soltanto diritti rispetto ad essa»51.
Dopo aver tentato senza successo altre vie per ottenere la revisione, da parte del
governo, della convenzione sottoscritta nel 1900, il rettore Arangio-Ruiz inviava il 9
gennaio 1908 una lettera al ministro del Tesoro Paolo Carcano, nella quale sollecitava la
soppressione della norma relativa all’«organico chiuso» e proponeva una ridefinizione
degli oneri finanziari a carico dello Stato e degli enti locali, in base alla quale si sarebbe
avuto il «pagamento diretto da parte dello Stato delle retribuzioni per gli incarichi;
l’abolizione dei rimborsi, determinandosi una somma annua fissa che il Consorzio paghi
allo Stato, mercé la quale tutto l’onere del personale insegnante, amministrativo e di
servizio passi allo Stato»52.
La proposta di revisione della convenzione predisposta da Gaetano ArangioRuiz fu accolta favorevolmente, come già era accaduto in analoghi casi precedenti, dagli
enti locali maceratesi, i quali, rispettivamente, nell’adunanza del Consiglio municipale
del 27 marzo 190853 e in quella del Consiglio provinciale del 17 giugno dello stesso
51
VIII Novembre MCMVIII. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1908-1909. Relazione del Rettore
Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1909), pp. 10-13.
52
Copia della lettera inviata dal rettore Arangio-Ruiz al ministro del Tesoro Carcano il 9 gennaio 1908 e
in ASMc, Università, Miscellanea, Anno 1907-1908, b. 695.
53
Verbale dell’adunanza del Consiglio comunale del 27 marzo 1908, in ASMc, Comune, Registro delle
deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1092.
159
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
anno54, deliberarono all’unanimità la modifica degli artt. 2, 5, 6, 7, 8 e 11 della
convenzione vigente, secondo lo schema che era stato predisposto e approvato, su
proposta del rettore-presidente, dalla commissione amministrativa del Consorzio
universitario riunitosi il 9 gennaio 190855.
Su tale base, ottenuto il via libera dai ministeri competenti, la nuova
convenzione fu sottoscritta il 13 novembre 1908 dal sottosegretario di Stato per la
Pubblica Istruzione, Augusto Ciuffelli, dal sottosegretario di Stato per il Tesoro,
Giuseppe Fasce, dal presidente della Deputazione provinciale di Macerata, Marino
Bartolazzi, dal regio commissario del Comune di Macerata, Felice Cassone, e dal rettore
dell’Ateneo, Gaetano Arangio-Ruiz56.
Giunti a quel punto, era necessario solamente ottenere l’avallo del Parlamento,
riguardo al quale il rettore Arangio-Ruiz si mostrava assolutamente tranquillo, stante la
piena condivisione del nuovo accordo da parte di tutti i sottoscrittori e la riconosciuta
opportunità delle disposizioni approvate: «Nessuno – egli affermava al riguardo –,
compresa bene l’importanza della questione, constatati i danni, ha fatto opposizione al
concetto fondamentale, che consigliava la modificazione della convenzione vigente.
[…] Io sono convinto che l’anno venturo, da questa cattedra, sarà annunziata la legge di
approvazione della nuova convenzione»57.
In realtà, com’era già accaduto una decina di anni prima per la convenzione testé
abrogata, l’iter parlamentare si sarebbe rivelato assai più complesso e problematico di
quello preventivato. Il 19 dicembre 1908 il relativo disegno di legge presentato dal
ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava di concerto con il titolare del Tesoro
Paolo Carcano veniva ufficialmente presentato alla Camera dei deputati58.
Nella relazione che accompagnava il testo, il ministro illustrava con dovizia di
particolari le controverse vicende che avevano caratterizzato l’Università di Macerata in
virtù dei vincoli posti dalla convenzione vigente, sottolineando la necessità e l’urgenza
54
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 17 giugno 1908, in Atti del Consiglio provinciale
di Macerata: anno 1908, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1909, pp. 30-34.
55
Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 9 gennaio
1908, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545.
56
Si veda il testo della convenzione in Convenzione firmata a Roma il 13 novembre 1908 tra il Governo,
il Comune, la Provincia e il Consorzio Universitario di Macerata pel pareggiamento della R. Università
di Macerata, in sostituzione della Convenzione approvata con la Legge del 22 dicembre 1901, n. 541,
ANNUARIO (1909), pp. 23-28
57
VIII Novembre MCMVIII. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1908-1909. Relazione del Rettore
Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1909), pp. 12-13.
58
Cfr. Disegno di legge presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro
del Tesoro (Carcano), BUMPI, XXXVI (1898), II, pp. 1825-1837.
160
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
di porre rimedio ad una situazione destinata a penalizzare fortemente il corpo docente
dell’ateneo:
L’Istituto era posto in condizioni di inferiorità, rispetto alle altre Università pareggiate, e i
professori venivano ad esserne in qualche modo colpiti, sebbene, pel carattere regio dell’Istituto fossero e
sieno nominati o trasferiti nello stesso modo che vige in tutte le altre Università regie. […] I professori,
poi, si dolevano che, per causa di quel conto annuale di dare ed avere fra lo Stato e il Consorzio, non
potessero […] essere comandati o destinati in missione; e si lagnavano pure per il fatto che, essendo la
spesa delle retribuzioni degli incarichi attribuita al Consorzio, non potevano avere un supplente nei casi
previsti dalle legge, dai regolamenti e dalle consuetudini, se non assumendo a proprio carico la relativa
spesa. […] Un altro danno derivava ai professori dell’Università di Macerata dal fatto, che, essendo
tassativamente determinati nel ruolo organico annesso alla Convenzione gli stipendi dei professori stessi,
non potevano gli straordinari ottenere, come in altre Università, che il loro stipendio fosse elevato al
massimo consentito dalla legge
59
.
Dopo avere illustrato le diverse modifiche apportate alla convenzione in vigore,
il ministro Rava raccomandava l’approvazione del disegno di legge sottolineando come
esso avrebbe reso possibile non soltanto il ripristino delle condizioni di equità e di
uguaglianza rispetto agli altri atenei della penisola, ma anche l’indispensabile sviluppo
dell’unico istituto universitario statale delle Marche, «attivo e benefico centro di coltura
per molta parte delle provincie meridionali del versante adriatico»60.
Il disegno di legge Rava-Carcano non fu discusso a causa dello scioglimento
della Camera dei deputati, ma, nella legislatura successiva, fu ripresentato dal governo il
2 aprile 1909 e trasmesso alla Giunta generale del Bilancio per ottenerne il prescritto
parere. Proprio all’interno della Giunta emersero, tuttavia, una serie di difficoltà
riguardo all’approvazione del testo governativo.
Nella Relazione della Giunta Generale del Bilancio sul Disegno di legge
presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro del
Tesoro (Carcano), predisposta da Luigi Credaro il 20 maggio 1909, infatti, pur
esprimendo in linea di massima parere favorevole al varo del provvedimento, erano
avanzate notevoli perplessità circa il mantenimento dell’art. 8 della convenzione, ossia
quello che prevedeva la totale devoluzione delle tasse scolastiche al Consorzio
universitario maceratese:
59
60
Ibidem, p. 1827.
Ibidem, p. 1832.
161
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Poiché con questa convenzione – affermava Luigi Credaro – l’Università di Macerata chiede di
essere pienamente pareggiata alle altre Università regie, l’esazione delle tasse deve essere affidata allo
Stato, tenendo conto del loro prodotto nel fissare i contributi degli enti locali. L’esazione delle tasse è
cosa molto delicata e lo Stato avrebbe dovuto essere sicuro che avvenga nello stesso modo e misura in
61
tutte le Università del Regno. […] Questo è necessario per la completa serietà degli studi .
Ovviamente la modifica al testo della convenzione richiesta dalla Giunta del
Bilancio era destinata ad incontrare la netta contrarietà dei vertici dell’Ateneo e degli
stessi enti locali maceratesi, i quali sollecitarono a più riprese i ministri interessati
affinché il governo rigettasse la richiesta di modifica avanzata in sede parlamentare62.
Richiesto dal ministro del Tesoro Carcano, il 30 maggio 1909, di manifestare i propri
intendimenti riguardo alla proposta avanzata dalla Giunta63, il titolare della Pubblica
Istruzione Luigi Rava inviava il 9 giugno una lettera alla Giunta del Bilancio, nella
quale, accogliendo le istanze dell’università e degli enti locali marchigiani, invitava la
stessa Giunta ad approvare il disegno di legge così com’era stato originariamente
presentato e a lasciare cadere la richiesta di abrogazione o modifica del sopra ricordato
art. 8.
A sostegno di tale richiesta, il ministro sottolineava come la modifica proposta
avrebbe inopinatamente leso il diritto a suo tempo riconosciuto all’Università di
Macerata dal R.D. 4 gennaio 1880, n. 5236, con il quale era stato approvato lo Statuto
del Consorzio universitario maceratese64; inoltre, notava ancora Rava, trattandosi
dell’approvazione di un accordo stipulato tra gli enti locali, il Consorzio universitario e
lo Stato, per procedere ad un’eventuale modifica della convenzione a suo tempo
sottoscritta dalle parti sarebbe stato necessario ottenere nuovamente il consenso delle
medesime sul testo emendato; era presumibile, in questo caso, che il Consorzio, nella
61
ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6, Relazione della Giunta Generale del Bilancio sul Disegno di
legge presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro del Tesoro
(Carcano) nella seduta del 2 aprile.
62
In ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6, è presente un telegramma inviato dal Presidente della
Deputazione provinciale di Macerata al ministro Rava. Si veda inoltre il verbale dell’adunanza del
Consiglio provinciale di Macerata del 19 giugno 1909, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata:
anno 1909, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1910, pp. 82-86.
63
La lettera inviata dal ministro del Tesoro Paolo Carcano al titolare della Pubblica Istruzione Luigi Rava
il 30 maggio 1909 è conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6.
64
Si tratta del R.D. 4 gennaio 1880, n. 5236 con il quale era stato approvato per la prima volta lo Statuto
del Consorzio universitario di Macerata. Per i suoi contenuti si veda Pomante, L’Università di Macerata
nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa rinascita, cit., pp. 136-138.
162
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
sua qualità di soggetto maggiormente penalizzato sul piano finanziario dalle modifiche
intervenute, non avrebbe sottoscritto il nuovo testo.
Nel concludere il suo ragionamento, il titolare della Pubblica Istruzione non
mancava di porre in luce i «meriti» acquisiti dall’Università di Macerata e, soprattutto,
il notevole risparmio garantito allo Stato in virtù dell’assunzione della «gran parte della
spesa» per il mantenimento dell’Ateneo da parte del Consorzio:
Se l’Università maceratese – scriveva al riguardo Luigi Rava – gode ormai per lunga tradizione
del privilegio, se così si può chiamare di riscuotere e devolvere a proprio beneficio le tasse pagate dagli
studenti, e anche di fissarle in misura inferiore a quella stabilita per le altre Università, merita pure che
siffatta eccezionale facoltà le sia conservata, sia per il lodevole insegnamento che vi s’impartisce e per il
rigore con cui vi si applicano le leggi e i regolamenti – del che questo Ministero può far piena fede – sia
per la considerazione – la quale ha un gran peso nel caso presente – che il Consorzio universitario ha a
suo carico una gran parte della spesa di mantenimento dell’Ateneo
65
.
Sulla scorta di Rava, anche il ministro del Tesoro Carcano esortava, il 12 giugno
1909, la Giunta generale del Bilancio a non insistere nelle sue richieste di modifica.
Forti del sostegno governativo, gli enti locali e l’Ateneo maceratese si mossero di
concerto, sollecitando il mantenimento del diritto, da parte dell’Università di Macerata,
di incamerare direttamente le tasse studentesche e di fissare l’entità delle stesse in
misura ridotta rispetto agli altri atenei, anche se ciò aveva come contropartita la
rinuncia, almeno in via provvisoria, a rendere operativa e ad applicare da subito la
nuova convenzione sottoscritta il 13 novembre 1908. Sulla base di tali determinazioni, il
19 giugno l’esame del disegno di legge, da parte della Giunta generale del Bilancio,
veniva sospeso in attesa di nuovi accordi66.
In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1909-1910 il rettore
Arangio-Ruiz manifestava la sua profonda delusione per l’epilogo che aveva
caratterizzato l’intera vicenda, sottolineando come la richiesta, da parte dell’Università
di Macerata, del mantenimento del regime particolare in materia di tassazione
studentesca rimasto in vigore fino a quel momento, si rendesse necessaria non già, come
65
La lettera inviata dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava al presidente della Giunta Generale
del Bilancio il 9 giugno 1909 è conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6.
66
Si veda in tal senso la documentazione conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6. Inoltre, si
rinvia alle due adunanze tenute nel mese di giugno dalla commissione amministrativa del Consorzio
universitario maceratese e, in modo particolare, a quella del 25 giugno 1909, il cui verbale è conservato in
ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545.
163
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
aveva erroneamente affermato l’on. Luigi Credaro, in virtù dell’attribuzione di privilegi
che apparivano ormai anacronistici e non più sostenibili, ma in ragione dell’aggressiva e
indebita concorrenza che le vicine università libere di Camerino e di Urbino
esercitavano nei riguardi dell’unico ateneo statale della regione, i cui meriti scientifici e
il cui ben noto rigore dal punto di vista didattico e disciplinare, poco potevano di fronte
alle prerogative e all’autonomia di cui godevano gli atenei non statali:
L’Università di Macerata – affermava Arangio-Riuz – è stata fatta segno a giudizi sfavorevoli,
che a me particolarmente hanno recato molto dolore. […] Qui, se non si vuole uccidere l’Università, non
possono venire imposte le tasse legali di immatricolazione e di iscrizione che a patto di togliere la stessa
autonomia alle Facoltà libere, in particolare di Camerino e di Urbino. Certo, la Facoltà di Macerata ha una
preminenza sulle vicine Università, che consente si esigano da noi contributi maggiori, ma siffatta
preminenza è già scontata col richiedere nella misura legale le tasse degli esami e di diploma, con
l’applicare la nuova regola legislativa della annualità delle tasse di iscrizione e di esami speciali, oltre che
col rigore delle dispense, con la severità della disciplina e degli esami, rigore e severità che possiamo
vantare non più in confronto dell’una o dell’altra Università libera, sì bene in confronto di ogni altro
Istituto regio superiore67.
Nello stesso periodo in cui a Macerata si dibatteva la questione del rinnovo della
convenzione tra gli enti locali e lo Stato per il sostentamento della locale Università, il
mondo accademico italiano registrava il dispiegarsi della lotta per il miglioramento
dello stato giuridico e del trattamento economico dei docenti e, più in generale, per il
riordinamento del sistema universitario avviata dall’Associazione Nazionale fra i
Professori Universitari, il sodalizio sorto nel 1905 per la difesa dei diritti della categoria,
il quale era venuto progressivamente assumendo le caratteristiche di un vasto e
variegato movimento a favore della riforma dell’istruzione superiore e delle
università68.
Sull’onda delle proteste e delle rivendicazioni avanzate dall’Associazione, il 7
maggio 1907 la Camera dei deputati aveva approvato un ordine del giorno che
67
XIV Novembre MCMIX. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1909-1910. Relazione del Rettore Prof.
Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1910), pp. 8-9.
68
Sull’Associazione Nazionale fra i Professori Universitari si veda Moretti, L’«Associazione Nazionale
fra i Professori Universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note e osservazioni, cit., pp.
581-600.
164
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
sollecitava il governo a presentare entro la fine di luglio dell’anno seguente un
provvedimento legislativo che aumentasse gli stipendi dei professori universitari69.
Un primo disegno di legge predisposto al riguardo dal ministro della Pubblica
Istruzione Luigi Rava, e presentato il 20 dicembre 1907, era stato tuttavia respinto dalla
Camera il 29 giugno 1908, al termine di un lungo e controverso dibattito nel corso del
quale non erano mancate critiche in ordine alla scarsa produttività e alle presunte
condizioni di privilegio di cui godevano i professori universitari70. In realtà, come
sottolineava Gaetano Salvemini, il provvedimento ministeriale aveva riscosso tiepidi
consensi non solo all’interno della corporazione accademica71, ma anche tra i numerosi
professori universitari che sedevano in Parlamento, in quanto introduceva una serie di
restrizioni alla possibilità di esercitare la libera professione (avvocati, medici, ingegneri
ecc.) per coloro che ricoprivano una cattedra universitaria:
Naturalmente – scriveva lo storico meridionale – quel centinaio di avvocati principi, di grandi
clinici, di ingegneri accreditati, che guadagnano 20, 30, 100 mila lire all’anno, di un miserabile aumento
di stipendio di poche centinaia di lire non sanno che farsene. […] La verità è che la legge è caduta non per
i suoi difetti, ma per i suoi pregi
72
.
A seguito della clamorosa bocciatura del provvedimento, convinto dal capo del
governo Giovanni Giolitti, al quale aveva rassegnato le sue dimissioni, a restare al suo
posto e ad andare avanti, il ministro Rava si era persuaso del fatto che, più che
predisporre un nuovo disegno di legge su tale materia, fosse necessario collocare la
questione del miglioramento delle condizioni economiche dei professori universitari
all’interno di un più complessivo progetto di riforma dell’istruzione superiore e
dell’università, in ordine al quale, le discussioni e i dibattiti sviluppatisi nei mesi
precedenti sia in ambito accademico, sia in seno all’opinione pubblica e alla stampa
nazionale, avevano registrato l’emergere di una serie di nodi irrisolti e di questioni
69
Cfr. Bilancio della pubblica istruzione. Discorso del deputato Eugenio Valli, Roma, Tipografia della
Camera dei Deputati, pp. 34-40.
70
Si veda al riguardo AP, Camera dei Deputati, Sessione 1908, Discussioni, tornata del 29 giugno 1908,
pp. 23850-23878.
71
Cfr. Pro e contro il disegno di legge «Stato economico dei professori delle regie università e dei regi
istituti superiori». La relazione al disegno di legge Rava., «L’Università italiana. Rivista dell’istruzione
superiore», 7 (1908), 8-9, pp. 61-62; Per la riforma universitaria, pareri e appunti, «Nuova Antologia»,
CXXXVII (1908), 880, pp. 625-638; 882, pp. 227-245; 884, pp. 549-463.
72
G. Salvemini, Abbasso le Università! A Leonida Bissolati (1908), in Id., Scritti sulla scuola, a cura di
L. Borghi, B. Finocchiaro, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 769.
165
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
urgenti da affrontare, sebbene le soluzioni proposte in merito agli stessi apparissero
tutt’altro che omogenee e componibili in un quadro unitario73.
A confermare il ministro della Pubblica Istruzione circa l’opportunità e
l’urgenza di un provvedimento che modificasse in profondità l’assetto dell’istruzione
superiore, peraltro, si poneva il fatto che negli ultimi due decenni l’università italiana
era notevolmente cresciuta, talora in modo troppo rapido e senza adeguati supporti e
controlli, e che occorreva, dunque, procedere oltre che alla revisione dello stato
giuridico ed economico del personale, anche ad una ridefinizione degli ordinamenti
amministrativi e all’indispensabile potenziamento delle strutture scientifiche e
didattiche74.
Al termine di un iter parlamentare alquanto problematico e accidentato75, il
disegno di legge Provvedimenti per l’istruzione superiore, predisposto al riguardo dal
ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava, ottenne l’approvazione dei due rami del
Parlamento e divenne la legge 19 luglio 1909, n. 49676. Nei suoi 42 articoli, la legge
Rava modificava diversi aspetti dell’ordinamento universitario e dello stato giuridico ed
economico del personale. Oltre a ridurre la rappresentanza elettiva dei docenti
universitari in seno al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione77, il provvedimento
istituiva il ruolo organico unico per tutti gli atenei78, e fissava altresì a 75 anni il limite
massimo per la permanenza in servizio dei professori di ruolo79. Quanto alle
provvidenze di carattere economico per il personale docente, esso stabiliva un
73
Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 365-366.
74
L. Rava, Discorsi vari, Roma, Tip. Operaia Romana, 1909, p. 59.
75
Si veda al riguardo La legge del 19 luglio 1909, n. 496 «Provvedimenti per l’Istruzione Superiore».
Progetto di legge presentato dal Ministro della Pubblica Istruzione On. Rava, di concerto col Ministro
del Tesoro On. Carcano. Relazioni e discussioni alla Camera dei Deputati e al Senato del Regno e testo
della Legge approvata, Roma, Tip. Operaia Romana, 1909.
76
Legge 19 luglio 1909, n. 496 – Provvedimenti per l’Istruzione Superiore, BUMPI (1909), II, pp. 22752305.
77
Cfr. La legge per i professori, «La Voce», 1 (1909), 23, p. 125. Secondo Gaetano Mosca era stata
proprio l’apoliticità del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione la vera e più autentica garanzia
della «libertà di cattedra» contro il rischio d’indebite ingerenze della politica, ovvero di una «scienza di
Stato» (Ministero della Pubblica Istruzione, Sui provvedimenti per l’istruzione superiore. Discorso del
Deputato Gaetano Mosca alla Camera dei Deputati nella tornata del 9 luglio 1909, Roma, Tip. Operaia
Romana, 1909).
78
Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 367.
79
Cfr. Nelle università. Dopo la legge 19 luglio 1909, «Studium. Rivista universitaria», IV (1909), 10-11,
pp. 643-646.
166
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
incremento annuale degli stipendi pari a 7.000 lire per i professori ordinari e a 4.500 per
gli straordinari80.
Al di là dell’irrigidimento delle carriere e dell’accresciuta burocratizzazione
della figura del professore universitario da più parti denunciata81, la legge 19 luglio
1909, n. 496 era destinata a promuovere la razionalizzazione del settore, soprattutto
attraverso la creazione del ruolo organico unico per tutti gli atenei, e ad apportare
indubbi benefici economici al personale docente, in virtù degli incrementi stipendiali
sopra ricordati. L’applicazione di tali provvedimenti, tuttavia, si sarebbe rivelata
particolarmente gravosa e penalizzante per l’Università di Macerata, la cui
organizzazione amministrativa e finanziaria, a seguito della mancata ratifica
parlamentare del rinnovo della convenzione tra lo Stato e gli enti locali sottoscritto
l’anno precedente (13 novembre 1908), risultava ancora disciplinata dalla legge 22
dicembre 1901, n. 541.
Non a caso, fin dal giugno 1909, ovvero ancora prima che il disegno di legge
Provvedimenti per l’istruzione superiore predisposto dal ministro Rava ottenesse
l’approvazione del Parlamento, l’on. Luigi Credaro e gli altri componenti la Giunta
generale del Bilancio avevano espresso la loro contrarietà ad accordare anche ai
professori di ruolo dell’Ateneo maceratese gli incrementi stipendiali fissati dal
provvedimento in discussione per il personale docente delle università e ad annoverare
gli stessi nel ruolo organico unico nazionale, sottolineando che tali provvidenze
economiche e d’inquadramento giuridico e amministrativo avrebbero potuto essere
riconosciute solo allorquando l’Ateneo marchigiano si fosse uniformato a tutti gli altri
in materia di tasse universitarie, rinunciando al regime speciale reso possibile dalla
legge 22 dicembre 1901, n. 54182.
Le riserve avanzate dalla Giunta generale del Bilancio erano destinate ad essere
recepite nel testo di legge approvato nelle settimane successive, tant’è che, ai sensi
dell’art. 29 della legge 19 luglio 1909, n. 496, il personale docente dell’Università di
80
Le novità introdotte dal provvedimento predisposto dal ministro Rava ponevano inevitabilmente
l’esigenza di un riordino generale della normativa che regolava l’istruzione superiore e universitaria. Un
passo concreto in tal senso fu compiuto con la presentazione del Testo unico delle leggi sull’istruzione
superiore, approvato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795, in GU, 12 dicembre 1910 (riprodotto anche in
BUMPI (1910), II, pp. 3718-3779). Con il R.D. 9 agosto 1910, n. 796 fu contestualmente emanato il
Regolamento generale universitario, pubblicato in BUMPI (1910), II, pp. 3780-3832.
81
Cfr. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e
stato giuridico, cit., pp. 65-86.
82
Si veda il verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 25 giugno 1909,
in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545.
167
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Macerata veniva di fatto escluso dal ruolo organico unico nazionale dei professori delle
università italiane:
Sono abrogati – recitava l’art. 29 – gli articoli 70 e 74 della legge 13 novembre 1859, n. 3725, e
tutte le altre disposizioni riguardanti il numero dei professori ordinari e straordinari nelle regie Università,
salvo quanto è disposto nella legge 22 dicembre 1901, n. 541, per l’Università di Macerata, fino a quando
non sarà approvata una nuova convenzione in sostituzione di quella ora in vigore83.
Non solo. Lo stesso regolamento esecutivo della legge Rava, emanato con il
R.D. 20 agosto 1909, n. 703, oltre a ribadire la condizione particolare che caratterizzava
l’Università di Macerata rispetto al resto degli atenei italiani per quel che concerneva
l’applicazione della nuova disciplina di legge in materia di professori di ruolo (art. 7) e
di trasferimenti del personale docente (art. 12), sottolineava come, ai sensi della legge
22 dicembre 1901, n. 541, spettasse al Consorzio universitario maceratese farsi carico
degli incrementi stipendiali attribuiti ai professori incaricati dal provvedimento Rava84.
Inaugurando solennemente l’anno accademico 1909-1910, l’ultimo del suo
lungo e difficile rettorato, Gaetano Arangio-Ruiz sottolineava come i recenti
provvedimenti governativi fossero destinati ad «intaccare i vantaggi che col
pareggiamento del 1901 si erano conseguiti» e, soprattutto, rischiassero di far
ripiombare l’Ateneo maceratese in quella condizione d’incertezza e di insostenibile
precarietà già troppo a lungo sperimentata prima dell’ottenimento del pareggiamento:
«Comunque – concludeva con una nota di speranza il rettore – auguro ai colleghi attuali
che non ne abbiano danno nella carriera; all’Istituto non soltanto vita rigogliosa per
numero di studenti, ma anche la possibilità di conservare i vantaggi del pareggiamento;
attraendo buoni insegnanti da altre Università minori senza vedere di molto accresciuto
l’esodo dei professori»85.
In effetti, l’auspicio formulato da Arangio-Ruiz era destinato a non trovare
riscontro nella realtà. L’anno accademico 1909-1910, infatti, fu l’ultimo nel quale
l’Ateneo maceratese poté contare su un organico di docenti di ruolo stabile e in grado di
garantire il buon andamento dell’attività didattica e la piena funzionalità dei corsi, il
83
Art. 29 della Legge 19 luglio 1909, n. 496 – Provvedimenti per l’Istruzione Superiore, cit., p. 2298.
Cfr. R.D. 20 agosto 1909, n. 703 – che approva il regolamento per l’esecuzione della legge 19 luglio
1909, n. 496, nella parte riguardante il personale insegnante delle Università, degli Istituti superiori e
degli Istituti superiori femminile di Magistero, ANNUARIO (1910), pp. 107-117.
85
XIV Novembre MCMIX. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1909-1910. Relazione del Rettore Prof.
Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1910), pp. 10-11.
84
168
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
quale comprendeva, secondo quanto previsto dalla convenzione del 1900, otto
professori ordinari (Niccolò Lo Savio per l’Economia politica, Raffaelle Pascucci per
Procedura civile ed ordinamento giudiziario, Pio Barsanti per Diritto e procedura
penale, Lodovico Zdekauer per Storia del diritto italiano, Alberto Zorli per Scienza delle
finanze e diritto finanziario, Gaetano Arangio-Ruiz per Diritto costituzionale, Giuseppe
Messina per Diritto civile e Umberto Borsi per Diritto amministrativo e Scienza
dell’amministrazione) e tre professori straordinari, di cui due stabili (Giuseppe Leoni
per Istituzioni di diritto romano e Ageo Arcangeli per Diritto commerciale) ed uno in
attesa di essere stabilizzato (Pier Paolo Zanzucchi per Diritto romano). Dei sette
insegnamenti non ricoperti da docenti di ruolo e affidati per incarico, sei erano stati
attribuiti a professori incardinati nella Facoltà e uno, quello di Medicina legale, era
tenuto da un esterno, il dott. Attilio Ascarelli86. A seguito dei provvedimenti introdotti
dalla legge 19 luglio 1909, n. 496, erano invece cessati i corsi liberi tenuti da professori
ufficiali, inaugurati nell’anno accademico 1903-190487.
Già a partire dall’anno accademico successivo, a questo riguardo, il paventato
«esodo dei professori» presso altre sedi universitarie era destinato a divenire una
costante per la vita dell’Ateneo. Lo denunciava con forza già nel novembre 1910 il
neoeletto rettore Raffaele Pascucci, tornato a ricoprire la massima carica accademica per
la terza volta, a distanza di dodici anni dall’ultimo mandato rettorale:
Avendo la legge 19 luglio 1909 posto i docenti di questo Ateneo fuori del ruolo unico per tutte le
università governative – notava Pascucci –, ritorna ad essere sensibile quell’esodo di Professori che con la
stessa qualifica di oggi io ebbi a deplorare nell’inaugurazione del 17 novembre 1889. […] Quindi
consules provideant se vuolsi fermamente che Macerata conservi questo già celebrato centro di cultura
superiore88.
86
Cfr. Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1910), pp. 29-30.
Si tratta dei corsi di Esegesi di diritto romano (prof. Siro Solazzi), di Esercitazioni pratiche di diritto
civile e commerciale (prof. Alfredo Rocco), di Pratica di diritto civile e commerciale (prof. Giuseppe
Messina), di Legislazione civile comparata (prof. Giuseppe Leoni) e di Questioni di diritto amministrativo
(prof. Umberto Borsi). A partire dall’anno accademico 1903-1904, i corsi liberi tenuti presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Macerata erano stati complessivamente 19, e avevano registrao il
coinvolgimento di sei docenti incardinati (S. Solazzi, A. Rocco, G. Messina, G. Leoni, U. Navarrini e U.
Borsi) e di due incaricati esterni (T. Giannini e G. Carato-Donvito). Sulla programmazione di tali corsi
liberi e sulle motivazioni alla base della loro attivazioni si vedano i verbali delle adunanze della
commissione amministrativa del Consorzio del 23 e 25 gennaio 1904, in ASMc, Università, Commissione
amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 544.
88
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1910-1911. Considerazioni del Rettore Raffaele Pascucci (lette
nella cerimonia inaugurale del 20 novembre 1910), ANNUARIO (1911), pp. 8-9.
87
169
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Solamente nell’anno accademico 1910-1911, l’Università di Macerata dovette
rinunciare, a seguito del loro trasferimento ad altra sede, all’apporto di docenti
d’indiscusso valore come l’ex rettore Gaetano Arangio-Ruiz, Giuseppe Messina e Pier
Paolo Zanzucchi. Queste defezioni costrinsero la Facoltà di Giurisprudenza a ridefinire
in tutta fretta il proprio organico, puntando a consolidare la cerchia degli ordinari e, nel
contempo, a chiamare a Macerata taluni giovani studiosi. Richiesto il concorso a
professore ordinario per Ageo Arcangeli (Diritto commerciale), e la nomina a
straordinari per Donato Donati (Diritto costituzionale) e Antonio Cicu (Diritto civile)89,
fu chiamato, in qualità di straordinario vincitore di concorso, Mario Falco per il Diritto
ecclesiastico90. Al fine di colmare le lacune nell’organico inoltre, dopo aver sollecitato a
più riprese il ministero, l’Università di Macerata ottenne di poter chiamare, quali
professori straordinari, anche Antonio Marchi per il Diritto romano91 e Giovanni
Bortolucci per le Istituzioni di diritto romano92. L’insegnamento, per incarico, della
Medicina legale, infine, fu attribuito a Orazio Modica93.
In realtà, si era solo al principio di una lunga fase caratterizzata da una crescente
mobilità del personale docente, tale da rilanciare con forza, nell’immaginario collettivo,
l’impressione già in auge nell’ultimo ventennio dell’Ottocento dell’Università di
Macerata come «sede di passaggio» per giovani studiosi, talora assai brillanti, destinati
poi a proseguire altrove, e con ben altre garanzie giuridiche ed economiche, la loro
89
Entrambi diventeranno ordinari, previo superamento del relativo concorso, a partire dall’anno
accademico 1914-1915.
90
Tale disciplina, rimasta vacante nell’Ateneo dal 1871 al 1881, era rifiorita a Macerata, ma anche in
buona parte degli altri atenei italiani, solo sul finire del secolo, a seguito della nomina prima a
straordinario e poi ad ordinario del prof. Domenico Schiappoli. Con il successivo trasferimento di tale
docente all’Università di Pavia, tuttavia, l’insegnamento di Diritto ecclesiastico era stato assegnato per
circa un decennio per incarico, dapprima a Lodovico Zdekauer, in seguito a Oreste Ranelletti e a Gaetano
Arangio-Ruiz. Il concorso per professore straordinario fu bandito il 1° giugno 1910 e la relazione finale
della commissione incaricata, della quale era relatore proprio lo Schiappoli, giunse soltanto il 23
dicembre 1910. Cfr. Relazione della Commissione giudicatrice del concorso per professore straordinario
di diritto ecclesiastico nella R. Università di Macerata, BUMPI (1911), I, pp. 2027-2033. Il prof. Mario
Falco rimase a Macerata soltanto per un biennio.
91
Antonio Marchi divenne professore straordinario stabile già nell’anno accademico 1912-1913, mentre il
17 marzo 1913 ottenne la promozione a professore ordinario. Cfr. Relazione della Commissione
giudicatrice della promozione del professore A. Marchi a ordinario di diritto romano nella R. Università
di Macerata, BUMPI (1913), II, p. 2649.
92
L’insegnamento di Istituzioni di diritto romano era stato fino a quel momento impartito dal prof.
Giuseppe Leoni, il quale tuttavia, ammalatosi gravemente all’improvviso, era morto l’8 settembre 1911. Il
successivo 6 ottobre si era spento anche il prof. Nicolò Lo Savio e così, nell’anno accademico 1911-1912,
l’insegnamento di Economia politica fu affidato temporaneamente, per incarico, al prof. Alberto Zorli.
Dall’anno accademico 1912-1913 il prof. Umberto Ricci diverrà titolare della disciplina.
93
Per un riscontro circa la correttezza delle informazioni riportate si rinvia a Inaugurazione dell’Anno
Accademico 1911-1912. Considerazioni del Rettore Raffaele Pascucci (lette nella cerimonia inaugurale
del 12 novembre 1911), ANNUARIO (1912), pp. 7-9.
170
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
carriera universitaria. Una fase caratterizzata peraltro non solo da profonda instabilità,
ma anche da improvvise carenze nell’organico docente difficili da colmare in tempi
brevi e, come tali, destinate a pesare notevolmente sull’organizzazione dei corsi e sullo
stesso andamento dell’attività didattica dell’Ateneo.
Così, ad esempio, dopo un decennio caratterizzato da grande instabilità e da un
andamento incerto, nell’anno accademico 1920-1921, il corpo docente dell’Università
di Macerata risultava costituito da appena quattro professori ordinari (Pio Barsanti per
Diritto e procedura penale, Lodovico Zdekauer per la Storia del diritto italiano, Alberto
Zorli per Scienza delle finanze e Diritto tributario e Riccardo Beniamino Bachi per la
Statistica) e tre straordinari, mentre ben quattordici insegnamenti ufficiali della Facoltà
risultavano attribuiti per incarico, la maggior parte dei quali a docenti esterni94.
In questi anni, la quasi totalità dei giovani studiosi chiamati ad insegnare
all’Università di Macerata rimase nella cittadina marchigiana solo il tempo necessario –
mediamente non più di un quinquennio – a maturare le condizioni per accedere
all’ordinariato, ottenuto il quale ritenne più vantaggioso trasferirsi in un altro ateneo. E’
il caso, ad esempio, di giovani e brillanti studiosi, destinati poi a compiere carriere
prestigiose altrove, quali Ageo Arcangeli95, Donato Donati96, Antonio Cicu97, Antonio
Marchi98, Giovanni Bortolucci99, Mario Falco100, Manfredo Siotto Pintor101, Giovanni
94
Cfr. Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1921), pp. 45-46.
Ageo Arcangeli, in realtà, insegnò a Macerata già a partire dal 1907-1908 e fino al 1912-1913, per un
triennio in qualità di straordinario e per un analogo periodo come professore ordinario di Diritto
commerciale.
96
Donato Donati fu professore straordinario di Diritto costituzionale per un quadriennio, a partire dal
1910-1911, e in seguito ordinario fino al 1916-1917, prima di trasferirsi all’Università di Parma (1°
gennaio 1918). Poco prima di lasciare Macerata scrisse una lettera di addio molto commovente agli
studenti maceratesi conservata in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. Donati Donato.
97
Antonio Cicu fu professore straordinario di Diritto civile all’Università di Macerata per un quadriennio,
a partire dal 1910-1911 e, dopo il conseguimento dell’ordinariato, per un ulteriore biennio.
98
Antonio Marchi rimase all’Università di Macerata complessivamente per un quinquennio, dal 19111912 al 1915-1916, e fu titolare di Diritto romano dapprima come straordinario, poi come straordinario
stabile e, infine, come professore ordinario.
99
Giovanni Bortolucci giunse all’Università di Macerata come titolare di Istituzioni di diritto romano
nell’anno accademico 1911-1912 e vi rimase fino al 1918-1919. Divenuto ordinario nel 1915, a decorrere
dall’anno accademico 1917-1918 si trasferì sulla cattedra di Diritto romano.
100
In realtà, Mario Falco (Diritto ecclesiastico) e Umberto Ricci (Economia politica) lasciarono
l’Università di Macerata per trasferirsi in quella di Parma prima del passaggio all’ordinariato, che
conseguirono presso quell’ateneo.
101
Un caso a parte è rappresentato da Manfredi Siotto-Pintor (Diritto costituzionale) che era stato
chiamato a Macerata dall’Università di Catania già come professore ordinario e che nell’ateneo
marchigiano insegnò soltanto per un biennio (1917-1919), prima di trasferirsi anch’egli Parma.
95
171
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Lorenzoni102 e Riccardo Beniamino Bachi103, taluni dei quali, nella loro breve
permanenza a Macerata, furono anche chiamati a ricoprire l’ufficio di rettore
dell’Università104.
Le accresciute difficoltà dell’Ateneo maceratese si collocavano, in realtà, in un
quadro universitario nazionale caratterizzato, in quegli anni, da una crisi più generale,
legata certamente alle mancate riforme e alla controversa e frammentaria gestione della
formazione superiore operata dai governi nazionali nel corso dell’ultimo ventennio
dell’Ottocento, ma anche, come ponevano in luce diversi interventi105, alla mancata
razionalizzazione del sistema universitario nel suo complesso e al sostanziale fallimento
dei tentativi di operare un’organica ristrutturazione degli atenei e delle singole facoltà al
fine di porre fine agli sprechi di risorse e di favorire l’ammodernamento degli apparati
amministrativi e una maggiore efficienza delle strutture scientifiche e didattiche106.
In questo contesto, non stupisce il riemergere con forza, nell’infuocato dibattito
sviluppatosi sui temi della riforma dell’università italiana, della vecchia proposta di
procedere alla soppressione, o alla trasformazione in istituzioni di altro tipo, degli atenei
minori, giudicati sotto molteplici aspetti il vero e proprio anello debole del sistema, la
102
Trasferitosi all’Università di Macerata a partire dall’anno accademico 1915-1916, in qualità di titolare
di Economia politica, Giovanni Lorenzoni vi rimarrà per un quinquennio, fino all’anno accademico 19191920.
103
Riccardo Beniamino Bachi insegnò all’Università di Macerata dall’anno accademico 1915-1916 al
1923-1924, per un quadriennio in qualità di straordinario e, successivamente, come ordinario di Statistica.
104
E’ il caso, ad esempio, di Ageo Arcangeli, rettore dell’Università di Macerata dal 1° novembre 1912 al
31 dicembre 1913; di Antonio Marchi, che ricoprì tale ufficio dal 1° novembre 1915 al 15 ottobre 1916;
di Donato Donati, rettore dal 16 febbraio 1917 al 31 dicembre 1917; di Giovanni Bortolucci, in carica dal
1° settembre 1918 al 15 ottobre 1919; e di Riccardo Beniamino Bachi, che tenne il rettorato dal 1° agosto
1923 al 30 novembre 1924.
105
Si vedano in particolare: C. Manenti, A proposito di riforme universitarie, Siena, Lazzeri, 1910, pp.
48-54; N. Fornelli, Studiando la questione universitaria, Torino, Paravia, 1911; A. Monti, La questione
del numero delle università, «L’Università italiana», X (1911), pp. 25-26; G. Ghillini, Sulla riforma
universitaria, «L’Università italiana», X (1911), pp. 61-69; E. Pascal, La crisi nelle università italiane.
Discorso letto il dì 4 novembre per la solenne inaugurazione dell’anno accademico 1912-1913 nella
Regia Università di Napoli, Napoli, Tipografia dell’Università, 1912.
106
Nel 1908, a questo proposito, era stata istituita una Regia Commissione d’inchiesta per la Pubblica
Istruzione, insediatasi dopo i vari scandali che negli anni precedenti avevano coinvolto anche i vertici
politici del ministero. La Commissione, che era composta da quattro senatori, tre deputati, due consiglieri
di Stato e due consiglieri di Cassazione, svolse i suoi lavori nell’arco di un biennio e nella sua relazione
finale denunciò una situazione praticamente generalizzata di irregolarità e abusi di carattere
amministrativo e finanziario. Cfr. Regia Commissione d’inchiesta per la Pubblica Istruzione, Relazione
finanziaria, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1910. Per un’attenta analisi dell’operato della
Commissione e delle osservazioni formulate nella Relazione si vedano: G. Tosatti, L’inchiesta del 1908
sulla Pubblica Istruzione, in G. Melis (a cura di), Etica pubblica e amministrazione. Per una storia della
corruzione nell’Italia contemporanea, Napoli, CUEN, 1999, pp. 111-123; e M. Moretti, L’istruzione
superiore fra i due secoli: norme, strutture e dibattiti, in A. Casella, A. Ferraresi, G. Giuliani, E. Signori
(a cura di), Una difficile modernità. Tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia (1890-1940),
Pavia, Università degli Studi, 2000, pp. 351-387.
172
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
causa prima delle disfunzioni, degli sprechi e delle inadeguatezze dell’istruzione
superiore nella penisola.
Con il R.D. 30 gennaio 1910, n. 84, com’è noto, il nuovo ministro della Pubblica
Istruzione Edoardo Daneo, subentrato a Luigi Rava nel dicembre dell’anno
precedente107, aveva istituito una Commissione Reale per il riordinamento degli studi
superiori, il cui compito avrebbe dovuto essere quello di «presentare proposte motivate
e concrete al Governo» in ordine al «riordinamento organico dei nostri studi superiori»,
il quale avrebbe dovuto tenere conto «non solo delle nostre più alte tradizioni storiche e
dei molteplici precedenti legislativi sull’argomento, ma anche, e soprattutto, delle
odierne intime esigenze della funzione della scienza». Più in particolare, sottolineava
Edoardo Daneo:
Occorre una sagace e paziente disamina che approfondisca e affermi se e come sia
didatticamente opportuna una rielaborazione del contenuto degli alti studi: se le intime necessità della
scienza moderna reclamino un aggruppamento più omogeneo delle varie discipline; […] se il magistero
didattico dell’Università debba avere una finalità prevalentemente scientifica o professionale, o come
meglio si possa contemperare ed equilibrare l’una esigenza con l’altra. […] E attorno a queste questioni
centrali altre ne germogliano non meno importanti, né meno degne di studio: la questione
dell’ordinamento amministrativo delle Università, quella delle Università libere, quella dell’ordinamento
dell’insegnamento libero rispetto all’insegnamento ufficiale, quella dell’ordinamento disciplinare
107
108
.
Edoardo Daneo fu ministro della Pubblica Istruzione nel II governo presieduto da Sidney C. Sonnino,
dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910, e, successivamente, nel I governo presieduto da Antonio
Salandra, dal 21 marzo al 5 novembre 1914.
108
[E. Daneo], Relazione al R. Decreto n. 84 del 30 gennaio 1910 col quale è nominata una Commissione
per il riordinamento degli studi superiori, in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per
il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L.
Ceci) e schema delle proposte, Roma, Tipografia Operaia Romana Cooperativa, 1914, pp. V-VIII.
Nell’art. 2 del R.D. 30 gennaio 1910, n. 84, erano indicati quali membri della Commissione Reale il
vicepresidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione sen. Ulisse Dini, che la presiedeva,
Guido Baccelli, Leonardo Bianchi, Paolo Boselli, L. Brusasco, L. Camerano, G. Chironi, G. Colombo, L.
Credaro, P. Del Giudice, I. Del Lungo, F. Durante, P. Del Pezzo, G. Fusinato, M. Kerbaker, G. Manna, E.
Maragliano, V. Masi, L. Pigorini, A. Piutti, V. Polacco F.L. Pullè, S. Riccobono, A. Tonelli, A. Torre (ivi,
pp, IX-X). A seguito delle dimissioni di I. Del Lungo, con R.D. 15 maggio 1910 fu nominato membro
della Commissione Reale A. Galletti; inoltre, dopo le dimissioni di M. Kerbaker, con R.D. 24 ottobre
1910 fu chiamato a far parte del consesso L. Ceci. A lavori già avviati, il dimissionario A. Tonelli fu
sostituito da A. Roiti (R.D. 15 ottobre 1911). Al contrario. L. Bianchi, anch’egli dimissionario nel marzo
1913, non fu rimpiazzato, stante l’ormai imminente conclusione dei lavori del consesso. Sulla
Commissione Reale e sulle proposte formulate nella relazione generale predisposta da L. Ceci si vedano
ora: Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 377-402; e Moretti, La questione universitaria a
cinquant’anni dall’unificazione. La commissione reale per il riordinamento degli studi superiori e la
relazione Ceci, cit.
173
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
In realtà, pur non indicata esplicitamente dal ministro della Pubblica Istruzione
tra le questioni oggetto di studio e di proposta da parte della Commissione Reale, la
«riduzione delle Università», e più precisamente il problema dell’eventuale
soppressione o trasformazione degli atenei minori, avrebbe finito per essere messo a
tema dalla stessa Commissione e per divenire argomento di un apposito e articolato
capitolo della Relazione generale sui lavori della medesima predisposta da Luigi Ceci e
data alle stampe nel 1914109.
Prima ancora di una diretta presa di posizione su tale questione da parte della
Commissione Reale, tuttavia, a rilanciare fin dal 1910 l’ipotesi della soppressione delle
università minori erano stati diversi organi di stampa e talune tra le più note e
prestigiose riviste culturali dell’epoca, prima fra tutte la fiorentina «Il Marzocco», la
quale, riprendendo numerosi interventi in materia apparsi nei mesi precedenti,
nell’ottobre 1910 si faceva promotrice di una vera e propria campagna per l’abolizione
dei piccoli atenei, sottolineando come un simile provvedimento rappresentasse La
pregiudiziale necessaria per la riforma delle Università, e come fosse precipuo compito
della Commissione Reale, insediata nei mesi precedenti, raccomandare con forza, e in
via preliminare, prima ancora cioè di entrare nel merito delle altre complesse questioni
sul tappeto, questa soluzione110.
Il vivace dibattito avviato su tale questione a livello nazionale era destinato ad
avere riflessi significativi anche in ambito locale, ossia nel contesto maceratese e
marchigiano, tanto più che l’Università di Macerata, per la sua peculiare situazione
amministrativa e per l’altrettanto eccezionale condizione di essere l’unico ateneo della
penisola a disporre di una sola facoltà, appariva indubbiamente come uno dei principali
destinatari di un eventuale provvedimento in senso abolizionista.
Non a caso, fin dal maggio 1910, interpretando con una certa lucidità i
preoccupanti segnali che provenivano dal mondo politico e dall’opinione pubblica su
tale materia, Domenico Spadoni, consigliere comunale e segretario dell’Università di
Macerata, era intervenuto sul neonato «Bollettino universitario», l’organo di stampa dei
109
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). Questioni pregiudiziali: I: Riduzione delle Università,
in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori,
Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., pp. 1721.
110
La pregiudiziale necessaria per la riforma delle Università, «Il Marzocco», XV (23 ottobre 1910), 43,
pp. 61-69. Ma si vedano anche gli altri interventi sul tema apparsi nella stessa annata de «Il Marzocco».
174
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
segretari delle università italiane111, opponendo ai fautori della mera soppressione dei
piccoli atenei un’ipotesi assai più articolata di razionalizzazione dell’intero sistema112.
Nel focalizzare l’attenzione su quelle che egli considerava le soluzioni volte a
migliorare realmente le sorti dell’Università italiana, ormai ridotta ad «Università degli
Esami» per la trascuratezza e la mancanza di serie politiche di sviluppo da parte dei
governi nazionali e per il progressivo venir meno della tensione ideale che in passato
aveva animato gli organi di governo degli atenei e lo stesso corpo docente, Domenico
Spadoni sottolineava come fosse opportuno procedere
alla riduzione delle Facoltà senza ridurre le Università, appuntando i rami più vigorosi e fecondi,
come già fu spontaneamente fatto da qualche Ateneo. In ogni modo non mai sopprimere senza compensi:
non sopprimere, ma trasformare e sostituire. Quando una pianta non ha buon frutto non la si abbatte, ma
si innesta con un buon virgulto. I bisogni della vita moderna, le specializzazioni e gli sviluppi scientifici si
sono così moltiplicati, che il riformatore non ha che l’imbarazzo di una scelta opportuna, a seconda degli
ambienti e dei mezzi
113
.
Valorizzare le necessità culturali ed economico-produttive dei territori,
assecondare la tendenza già in atto in alcuni atenei a razionalizzare e a introdurre
opportune modifiche all’offerta didattica e formativa e all’organizzazione delle facoltà e
dei corsi di laurea, favorire tutte le possibili forme di coordinamento e d’integrazione tra
università: questa era, ad avviso del segretario dell’Ateneo maceratese, la strategia più
efficace da perseguire a tutti i livelli, piuttosto che procedere in maniera indiscriminata
all’abolizione di istituzioni universitarie che apparivano, nella maggior parte dei casi,
non solamente ricche di tradizione, ma anche funzionali alla crescita culturale e civile e
allo sviluppo economico e sociale delle città e dei territori nelle quali erano collocate.
In questo quadro, naturalmente, non poteva mancare il riferimento alla realtà
maceratese e marchigiana, evocata da Spadoni non soltanto per meglio precisare
gl’indubbi vantaggi della soluzione da lui proposta, ma anche per dare il giusto indirizzo
111
Il «Bollettino universitario. Organo delle segreterie», mensile, era edito dalla Tip. Galati di Catania. Il
primo fascicolo (a.I/n.1) vide la luce nel maggio 1910, edito dalla
112
[D. Spadoni], Soppressione o trasformazione?, «Bollettino Universitario. Organo delle segreterie», I
(giugno 1910), 2, pp. 6-7. L’articolo di Spadoni apparve in realtà anonimo. La paternità dello stesso è
rivendicata dallo stesso Spadoni in un altro articolo, apparso diciassette anni dopo, dal titolo Il problema
universitario nelle Marche, «Terra nostra. Rivista mensile marchigiana», I (1927), 1, p. 5.
113
[D. Spadoni], Soppressione o trasformazione?, cit., p. 6.
175
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
ad un dibattito che, a suo avviso, si era indirizzato su una china pericolosa e
assolutamente controproducente.
Se era certamente vero, affermava Spadoni, che la compresenza di un elevato
numero di atenei, tra statali e non statali, nel territorio marchigiano (Macerata,
Camerino e Urbino), per tacere di quelle collocate fuori regione, ma in realtà assai
vicine, di Perugia e Ferrara, appariva sotto tutti i profili poco funzionale e del tutto
incompatibile con una seria politica di razionalizzazione del sistema, era altrettanto vero
che la soluzione al problema non poteva considerarsi quella di «tagliare qualche ramo
secco» o di «sopprimere con leggerezza qualche sede», quanto piuttosto di promuovere
un’adeguata politica universitaria territoriale, puntando all’integrazione e ad un più
incisivo coordinamento operativo tra gli atenei esistenti114.
In realtà, la proposta avanzata da Domenico Spadoni non era del tutto nuova e
originale o, per meglio dire, essa recuperava e rilanciava con ulteriori argomentazioni
quella formulata una trentina d’anni prima sulle colonne de «La Rassegna provinciale di
Macerata», il settimanale fondato e diretto da Ghino Valenti, più tardi professore di
Economia politica nell’Ateneo maceratese115. Al riguardo, con un articolo pubblicato
anonimo nell’aprile 1880, «La Rassegna provinciale di Macerata» si era espressa a
favore di una sorta di integrazione o federazione delle due antiche università che
insistevano nel territorio provinciale, quella «libera» di Camerino e la «regia» di
Macerata, in base alla quale ciascuno dei due atenei avrebbe dovuto adottare una propria
specializzazione per evitare un’inutile quanto deleteria concorrenza e rispondere in
modo più mirato ed efficace alle esigenze scientifiche e culturali del territorio,
eliminando i doppioni e, soprattutto, qualificando in modo differente la rispettiva offerta
formativa e didattica:
Fra due paesi posti così vicino – concludeva il settimanale diretto da Ghino Valenti – e che su
per giù offrono le medesime condizioni di vita non potrà mai esercitarsi una valida concorrenza. […] In
certe questioni di ordine superiore la passione di campanile non deve mai fare capolino, ed è per questo
che noi ci permettiamo di rammentare come sarebbe molto più utile alle due città interessate il venire ad
114
Ibidem, p. 7.
«La Rassegna provinciale di Macerata» (a. I/n.1 (1879) – a. II/n. 15, 1880), settimanale, si fuse poi con
il foglio politico locale d’orientamento liberale-moderato «L’Ordine». Su tale periodico si veda ora D.
Giaconi, «Lezioni sulla teoria economica della proprietà». Note sull’esordio accademico del prof. Ghino
Valenti, in Bini, Spalletti (a cura di), Dalle Accademie Agrarie all’Università. L’istituzionalizzazione
dell’economia politica a Macerata e nelle Marche, cit., pp. 458-461.
115
176
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
un comune accordo, facendo vivere a Camerino la Facoltà di Medicina e Chirurgia, e lasciando a
Macerata la Facoltà di Giurisprudenza
116
.
All’inizio degli anni Ottanta questa proposta era stata lasciata cadere, ma ora,
dopo il suo rilancio da parte di Domenico Spadoni, essa era destinata a tornare in auge e
a conoscere ulteriori e autorevoli estimatori. Nel marzo 1912, a questo proposito, sulle
pagine dell’autorevole rivista fiorentina «La Voce», lo scrittore Piero Jahier, dopo avere
denunciato la vera e propria «degenerazione» che nell’ultimo decennio sembrava
caratterizzare il sistema universitario italiano («Gli studenti accorrono ove la merce
diploma è a miglior mercato. Coll’aumento delle tasse universitarie lo Stato si
riprometteva di sfollare le aule universitarie e diminuire il numero dei cosiddetti
spostati. Ha fornito l’effetto opposto»), sottolineava come il vero grande male che
affliggeva l’istruzione superiore fosse rappresentato da quelle «università provinciali»,
le quali, «equiparate alle Regie pel valore legale dei diplomi, libere di mantener le tasse
entro limiti modestissimi, gravate di minori spese generali e di stipendio», si erano di
fatto «impadronite del mercato», accrescendo enormemente la spesa per l’istruzione
superiore senza peraltro favorire la riqualificazione e l’indispensabile razionalizzazione
del sistema: il «caso marchigiano», a questo riguardo, appariva esemplare, non
solamente per la compresenza di ben tre atenei in un territorio regionale di dimensioni
indubbiamente modeste, ma anche per il fatto che l’offerta formativa di tutti e tre
risultava in larga misura sovrapponibile e, per ciò stesso, destinata a produrre scarsi
vantaggi ai territori e inutili sprechi di risorse117.
Proprio il «caso marchigiano», a detta di Piero Jahier, poteva rappresentare il
punto di partenza di una nuova politica universitaria, la quale, attraverso processi di
aggregazione e di accorpamento degli atenei minori, avrebbe consentito di dare un
assetto più razionale all’intero sistema e di assicurare una sua maggiore funzionalità:
Tre facoltà di giurisprudenza di questo genere nelle Marche son troppe. I redditi patrimoniali di
cui dispone ciascuna potrebbero convergere, con immenso beneficio della regione, in un’unica università,
dove sarebbe possibile aver professori meglio pagati, stabili e affezionati al natio luogo, un insegnamento
veramente superiore, come deve essere quello universitario118.
116
Le Università di Macerata e Camerino, «La Rassegna provinciale di Macerata», II (aprile 1880), 56,
pp. 467-468.
117
P. Jahier, Urbino, la città delle scuole, «La Voce», IV (1912), 11-12, p. 780.
118
Ibidem, pp. 776 e 780.
177
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
La peculiare attenzione dedicata da Piero Jahier al «caso marchigiano» non
rappresentava peraltro un fatto isolato, anche se la soluzione da lui proposta al problema
dell’eccessiva proliferazione di sedi universitarie – ossia una vera e propria fusione
degli atenei esistenti per dare vita ad un’unica grande Università di carattere regionale –
era destinata a riscuotere scarsissimi consensi.
Nel novembre dello stesso 1912, a questo riguardo, sulle pagine della «Nuova
Antologia», nell’ambito di un ampio studio dedicato a La questione delle università
libere, Filippo Vassalli riproponeva con ricchezza di argomentazioni l’ipotesi – già
caldeggiata due anni prima da Domenico Spadoni – di una sorta di «coordinamento»
degli atenei marchigiani, comprendendo dunque, oltre che Macerata e Camerino, anche
Urbino119. L’intervento di Vassalli sottolineava la necessità di andare oltre i
campanilismi e le logiche di tipo localistico per approdare ad un accordo tra gli atenei
marchigiani che, non solo avrebbe garantito stabilità e certezza di futuro per ciascuno di
essi, ma anche un effettivo potenziamento dell’offerta didattica e formativa complessiva
all’interno del territorio regionale:
Pare che una soluzione su cui le Università e le città marchigiane dovrebbero accordarsi – era la
conclusione dello studio apparso sulla «Nuova Antologia» – sia quella di ripartire fra le sedi universitarie
le Facoltà e le Scuole che con le presenti risorse si possono mantenere. E certo le Marche non avrebbero
che da avvantaggiarsene: poiché da tale accordo potrebbero derivare una completa Facoltà di Medicina
che oggi manca. Più facile sarebbe anche l’accordo perché due delle tre Università, e le più dotate, sono
nella sola Provincia di Macerata. Camerino e Macerata […] potrebbero ripartire fra le due sedi le Facoltà
di Medicina e Legge, secondo quei criteri che fossero più appropriati dai punti di vista finanziario e
didattico
120
.
Deve essere segnalato che, sulla dibattuta questione dell’abolizione degli atenei
minori, nei mesi precedenti, si era autorevolmente espressa anche l’Associazione
nazionale fra i professori universitari nel corso del suo III Congresso svoltosi a Roma
dall’11 al 13 aprile 1912. In quella sede, il presidente dell’Associazione, Pietro
Bonfante, non solamente aveva manifestato la sua netta contrarietà all’ipotesi
abolizionista, giudicandola un mero palliativo destinato ad aggravare inutilmente,
119
F. Vassalli, La questione delle università libere, «Nuova Antologia», CLXII (1912), 982, pp. 242-261.
Sul dibattito sviluppatosi intorno alle università libere nei primi due decenni del XX secolo, si veda
Moretti, Piccole, povere e “libere”: le università municipali nell’Italia liberale, cit., pp. 533-562.
120
Vassalli, La questione delle università libere, cit., pp. 259-260.
178
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
piuttosto che a dare soluzione alla crisi in cui si dibatteva il sistema universitario
nazionale, ma si era mostrato persuaso del fatto che alla radice delle gravi disfunzioni e
dei tanti mali che affliggevano l’università italiana dovesse essere posto in primo luogo
il rigido centralismo che caratterizzava gli ordinamenti universitari vigenti, in virtù di
una normativa che lasciava ben pochi spazi all’autonomia dei singoli atenei e, per ciò
stesso, rendeva vani tutti i tentativi e gli sforzi di favorire la differenziazione della loro
attività didattica e formativa e un più incisivo radicamento nei contesti in cui operavano:
Dovrebbe pertanto essere evidente – sottolineava al riguardo Pietro Bonfante –, che le nostre
Università non sono troppe, ma sono troppo uniformi, arcaiche, irrigidite, stereotipe; che non l’eccessivo
numero degli Atenei ci nuoce, ma l’impossibilità di procedere a qualunque differenziazione, perché, dati
gli ordinamenti attuali, queste apparirebbero una intollerabile menomazione della dignità accademica
121
.
Nel corso dello stesso congresso romano dell’Associazione nazionale fra i
professori universitari, furono anche dibattute altre importanti questioni, prima fra tutte
quella relativa all’ipotesi, da più parte ventilata, di una differenziazione dei corsi e dei
relativi titoli di studio rilasciati dalle università, in base alla quale, ai tradizionali corsi di
elevato spessore scientifico, destinati a culminare con il conseguimento della laurea
dottorale, se ne sarebbero dovuti affiancare altri di carattere più pratico-professionale,
destinati a sfociare nell’acquisizione di diplomi universitari122.
Una diversificazione dei percorsi e dei titoli accademici, quella sopra richiamata,
che aveva l’indubbio pregio di ampliare il ventaglio dell’offerta formativa universitaria
e di fornire risposta ad un mercato del lavoro intellettuale che proprio negli anni dell’età
giolittiana aveva conosciuto, nella pubblica amministrazione come nel settore delle
imprese e del commercio, l’emergere di una pluralità di nuove figure professionali
intermedie123, ma che rischiava, ad avviso di molti tra gli stessi membri
dell’Associazione nazionale fra i professori universitari, di creare forti squilibri nel
sistema universitario italiano, avvantaggiando le grandi università, che avrebbero potuto
articolare al meglio la loro offerta formativa, offrendo percorsi differenziati per le
diverse esigenze; e, per converso, penalizzando fortemente gli atenei minori, la cui
121
Cfr. Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, Atti del Congresso universitario. Roma 1113 aprile 1912, Pavia, Tip. Cooperativa, 1913, p. 6.
122
Cfr. Moretti, L’«Associazione Nazionale fra i Professori Universitari» e la politica universitaria
nell’età giolittiana. Note e osservazioni, cit., pp. 586-587.
123
Cfr. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit., pp. 133-138.
179
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
cronica carenza di risorse e la ben nota impossibilità di garantire un’offerta formativa
altrettanto ampia ed articolata avrebbero finito, alla lunga, per condannarli a tenere
pressoché esclusivamente corsi di tipo pratico-professionale.
Tra coloro che nel corso del congresso romano dell’Associazione nazionale fra i
professori universitari manifestarono forti perplessità nei riguardi dell’ipotesi di
diversificazione dei percorsi e dei titoli accademici c’era proprio il rappresentante
dell’Università di Macerata, il prof. Ageo Arcangeli, ordinario di Diritto commerciale, il
quale, dopo aver premesso che interveniva su «preciso mandato» dei colleghi del suo
ateneo per «proporre una questione grave», sottolineava le ambiguità e i rischi di una
prospettiva che rischiava di mettere in crisi irreversibilmente gli atenei minori:
Le lauree – si chiedeva Arcangeli – dovranno esser date solo da alcune Università, cioè dalle
maggiori e meglio fornite d’insegnamenti, o da tutte? E’ favorevole alla seconda soluzione, perché in ogni
Università possono essere cultori eminenti di una scienza, perché le lauree dottorali saranno numerose;
infine, se a talune Università si toglie il diritto di dar lauree, l’insegnamento finirà col perdere ogni valore
scientifico. […] Soprattutto teme che di fatto avvenga una sperequazione troppo evidente nel trattamento
delle varie Università
124
.
Con la pubblicazione, nel 1914, della cosiddetta Relazione generale predisposta
da Luigi Ceci e delle proposte messe a punto dalla Commissione Reale per il
riordinamento degli studi superiori insediata quattro anni prima, come si è già
accennato, le aspettative dei fautori dell’abolizione dei piccoli atenei erano destinate a
rimanere deluse. La Commissione infatti, come sottolineava il relatore, non riteneva di
potere accogliere in alcun modo la tesi della «riduzione delle Università», tanto più, si
faceva notare, che «se guardiamo a quello che oggi avviene in Europa e in America,
dovremmo quasi vergognarci di vedere ancora tra noi agitata una questione che non ci
onora. Negli ultimi cento anni l’Italia è cresciuta di popolo, di forza economica e
morale: e il numero delle sue università è rimasto quale era cento anni fa!».
Nel seguito della sua analisi Ceci, dopo aver richiamato, a titolo di esempio, le
numerose fondazioni di nuove università registrate negli ultimi decenni in paesi quali la
Svizzera, l’Inghilterra e la Francia, si mostrava convinto del fatto che «la questione non
è il numero delle Università, ma il numero dei professori. Le Università sono pagine
124
Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, Atti del Congresso universitario. Roma 11-13
aprile 1912, cit., p. 15.
180
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
viventi della nostra storia; mentre il numero dei professori oltrepassò la potenzialità
scientifica del paese e i bisogni didattici della Università».
La stessa posizione a suo tempo espressa dall’allora ministro della Pubblica
Istruzione Ferdinando Martini, secondo il quale poteva riconoscersi «come legittimo
solo il sistema tradizionale italiano, quello della Università completa» e, dunque, si
rendeva necessario procedere «colla soppressione di alcune Università» allo scopo di
reperire le risorse necessarie al «completamento di quelle conservate, che complete già
non fossero», non priva di una sua logica, almeno in astratto, appariva concretamente
difficile da realizzare e, soprattutto, rischiava di creare più problemi di quanti, in realtà,
ne avviasse a soluzione: «L’ideale – notava Luigi Ceci – dev’essere per noi la
Universitas litterarum et artium. Ma la forza delle cose c’impone di attenerci all’adagio:
le mieux c’est le plus grand ennemi du bien». Se era vero, infatti, che «le Università non
complete, di sole due o tre Facoltà – e, peggio ancora, le Facoltà isolate –, non
rispondono all’ideale di scienza e di cultura che noi vagheggiamo», era altrettanto vero
che «nulla varrebbe a modificare direttamente lo statu quo» attraverso un mero
intervento volto a sopprimere qualche sede universitaria125.
E’ un delitto di lesa scienza e di lesa patria – veniva sottolineato nella Relazione generale –
suscitare, tra noi, le piccole contro le grandi Università. Tutte, Università di Stato, possono e debbono
compiere il loro dovere a servizio dello Stato e del sapere. […] Le grandi Università debbono ingrandirsi
ancora sotto pena di decadenza; e le piccole niuno pensa che possan diventare une quantité négligeable.
Sbarazzate dal fardello che pesa sulle loro spalle e sul loro orgoglio, tutte le Università resteranno degne
della loro missione
126
.
E tuttavia, il problema di una razionalizzazione del sistema universitario nel suo
complesso e della ricerca di un diverso e più funzionale assetto per gli atenei minori e
non completi si poneva e richiedeva una soluzione che, senza cedere ad astratte
semplificazioni ed evitando di creare inutili allarmismi riguardo al destino delle
istituzioni esistenti, potesse far compiere un reale passo avanti all’università italiana e
recare un sicuro vantaggio all’insegnamento superiore.
125
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). II. Questioni pregiudiziali, in Ministero della Pubblica
Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I.
Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., pp. 16-22.
126
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). V. La Università e lo Stato, cit., p. 63.
181
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
A questo riguardo, la Commissione Reale per il riordinamento degli studi
superiori presentava un’articolata proposta la quale, facendo soprattutto riferimento ad
iniziative già realizzate in altri paesi europei ed extraeuropei (Francia, Spagna,
Inghilterra
e
Scozia,
Stati
Uniti
ecc.),
era
imperniata
sul
principio
dell’affiliazione/fusione tra atenei con la conseguente distribuzione territoriale, in
diverse sedi, delle relative facoltà universitarie:
Parma e Modena, Cagliari e Sassari sono tutte Università incomplete. E poiché completarle non
si può, sarebbe opportuno che gli alti poteri dello Stato e gli enti locali esaminassero la questione che qui
ci limitiamo a porre sul tappeto: «Due Università incomplete della medesima regione potranno riunirsi in
una medesima circoscrizione accademica, costituendo un’unica Università con ripartizione e
trasformazione delle Facoltà esistenti in guisa che in una città abbiano sede la Facoltà di scienze fisiche,
matematiche e naturali e di medicina e nell’altra le Facoltà di Filosofia e Lettere e di Giurisprudenza»
127
.
La proposta, come si vede, riguardava nello specifico le sedi universitarie
dell’Emilia (Parma e Modena) e della Sardegna (Cagliari e Sassari), mentre ignorava
del tutto il caso marchigiano, molto probabilmente perché delle tre università esistenti
nelle Marche (Macerata, Camerino e Urbino), solo quella maceratese era statale e si
configurava, dunque, come potenziale destinatario di un simile provvedimento.
E’ pur vero tuttavia che, in prospettiva, una simile ipotesi avrebbe potuto
divenire suscettibile di un utilizzo più generale, destinato ad interessare direttamente
l’Ateneo maceratese, specie laddove fosse stata recepita dal governo la proposta,
fortemente caldeggiata dalla medesima Commissione Reale, di introdurre la possibilità
del «pareggiamento» per le università libere.
A questo riguardo, nello Schema di proposte deliberate dalla Commissione
Reale come linee direttive per la compilazione di un disegno di legge di riforma degli
studi superiori, posto a corredo della Relazione generale di Luigi Ceci, nei due capitoli
dedicati proprio alle università libere, la Commissione articolava in tal modo la sua
istanza:
XXXVII. Le Università libere di Camerino, Ferrara, Perugia e Urbino, per le quali sia constatato
da apposita commissione nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione, che offrono serie garanzie
127
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XXVI. Questioni varie, cit., p. 396.
182
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
didattiche, amministrative e scientifiche, verranno per Decreto Reale, udito il Consiglio Superiore della
pubblica istruzione, pareggiate per gli effetti legali alle Università Regie.
E inoltre:
XXXVIII. Tale pareggiamento non potrà effettuarsi se non dopo che le Università medesime si
saranno uniformate alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti, per tutto ciò che riguarda la nomina dei
professori e l’ammissione degli studenti, l’ordinamento degli studi e il pagamento delle tasse
universitarie, le quali andranno a loro vantaggio, ad eccezione di quella per l’esame di Stato. Le
Università libere dovranno regolare la posizione dei loro insegnanti, in guisa da garantire ad essi un
minimo di stipendio nella misura che vigeva per le Università regie prima della legge 19 luglio 1909, n.
128
496
.
Indubbiamente l’ipotesi del «pareggiamento» delle università libere a quelle
regie, così com’era prospettata dalla Commissione Reale, finiva di fatto per accentuare
ulteriormente la già elevata concorrenza da queste esercitata – non fosse altro che per
contiguità geografica e per l’esistenza in ognuna di esse di una Facoltà di
Giurisprudenza – sull’Università di Macerata.
Se a questa aggiungiamo l’altra proposta, anch’essa fortemente caldeggiata dalla
medesima Commissione, della «fondazione di una Università a Bari», ovvero in un’area
– quella pugliese – che tradizionalmente rappresentava uno dei principali bacini di
reclutamento degli studenti dell’Ateneo maceratese, da realizzare eventualmente anche
in virtù «dell’abolizione di una delle minori Università dell’Italia centrale o delle
isole»129, si comprende bene come la valutazione formulata dai vertici dell’Ateneo
maceratese in ordine ai risultati e alle proposte della Commissione Reale fosse tutt’altro
che favorevole e positiva.
A questo proposito occorre sottolineare che, mentre nel novembre 1912 il nuovo
rettore Ageo Arcangeli si era mostrato moderatamente ottimista riguardo agli esiti della
Commissione Reale («Qualora la riforma sia contenuta nei giusti limiti – egli affermava
–, e nulla tenda a far rivivere, per via traversa, la distinzione fra Università di diverso
128
Schema di proposte deliberate dalla Commissione Reale come linee direttive per la compilazione di un
disegno di legge di riforma degli studi superiori, cit., p. 422. Va ricordato che la Legge 19 luglio 1909, n.
496, alla quale si fa riferimento nel testo è quella riguardante i Provvedimenti per l’Istruzione Superiore
predisposta a suo tempo dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava.
129
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XXV. Per la Università di Bari, cit., pp. 375-389 (la
citazione riportata nel testo è a p. 375). Ma si veda anche Voti formulati dalla Commissione Reale in
merito a varie questioni di carattere speciale o contingente, ivi, p. 425.
183
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
grado, impedendo alle minori di tendere agli scopi scientifici con pari dignità delle
grandi, la riforma potrà raggiungere risultati considerevoli»130); a distanza di due anni il
giudizio espresso dal suo successore Umberto Borsi non lasciava adito a dubbi circa il
radicale mutamento d’opinione intervenuto:
La numerosa Commissione nominata quattro anni addietro dal Governo per lo studio di nuovi
ordinamenti dell’istruzione superiore – affermava il rettore dell’Università di Macerata – ha in primavera
terminato il lavoro, esponendone i risultati in una voluminosa relazione, che S.E. il Ministro ha
comunicato alle varie Università. La nostra Facoltà l’ha presa in attento esame e su alcune considerazioni
e conclusioni contenutevi, che parvero non ben giustificate o poco opportune, ha espresso in ampia
deliberazione i suoi apprezzamenti e le sue vedute. Se e come stia maturando il frutto dei laboriosi studi
commissariali non mi è noto; sembra, però, difficile che nelle proposte della relazione possano trovarsi
ben coordinati tutti gli elementi concreti necessari all’attesa riforma
131
.
Già precedenza, peraltro, la pubblicazione degli atti della Commissione Reale
per il riordinamento degli studi superiori aveva suscitato un certo allarme in ambito
locale. Nel corso dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 28 settembre
1914, al riguardo, taluni consiglieri si erano mostrati assai preoccupati non solamente
perché la Commissione Reale aveva fatto propria e fortemente caldeggiato la proposta
di istituire un nuovo ateneo a Bari, sacrificando magari una delle sedi universitarie
minori dell’Italia centrale o delle isole (e appariva chiaro che l’indicazione circa
l’eventuale sede che poteva essere soppressa, nell’Italia centrale, era riferibile proprio a
Macerata), ma anche riguardo alle critiche palesi e alle affermazioni tendenziose
formulate nella Relazione generale, laddove era approfondita la questione delle tasse
studentesche:
Il primato dell’Italia centrale – si affermava nel testo predisposto da Luigi Ceci – nella
studentesca di giurisprudenza si lascia facilmente dichiarare: vi è, tra l’altro, la capitale coll’esercito degli
impiegati che trasmettono per li rami la nostalgia del rond de cuir; e vi sono le Università libere che colla
130
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1912-1913. Relazione del Rettore Ageo Arcangeli letta nella
cerimonia inaugurale del 10 novembre 1912, ANNUARIO (1913), p. 9.
131
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1914-1915. Relazione del Rettore Umberto Borsi letta nella
cerimonia inaugurale del 15 novembre 1914, ANNUARIO (1915), p. 11.
184
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Facoltà regia di Macerata tengono basse le tasse universitarie, quando pur non abbassino cose non
abbassabili
132
.
Tutto ciò, come veniva ribadito da più parti nel corso del dibattito in seno al
Consiglio provinciale, sembrava prefigurare uno scenario tutt’altro che roseo per
l’ateneo cittadino, soprattutto nel caso che le valutazioni e proposte avanzate dalla
Commissione Reale, «che intendeva fossero applicate qui tutte le tasse scolastiche»,
fossero state recepite e rese esecutive dal governo nazionale133.
Deve essere ricordato, inoltre, che rimaneva ancora irrisolta l’annosa questione
del mancato inserimento dei professori dell’Università di Macerata nel ruolo unico della
docenza universitaria nazionale e la loro anomala collocazione nel cosiddetto «ruolo
speciale» che continuava a generare incertezza e confusione riguardo allo stesso status
governativo dell’ateneo marchigiano. Relativamente a quest’ultimo e delicato problema,
fin dal febbraio 1912, in esecuzione di un’apposita delibera assunta dal Consiglio di
Facoltà di Giurisprudenza, il rettore dell’Ateneo maceratese Raffaele Pascucci aveva
trasmesso al ministero della Pubblica Istruzione un nuovo schema di convenzione,
nell’ambito del quale l’art. 4, relativo alla docenza di ruolo incardinata nell’Università
di Macerata, era così ridefinito: «I professori ordinari e straordinari della R. Università
di Macerata rimarranno compresi per tutti gli effetti nel ruolo unico dei professori
universitari e si applicheranno sempre integralmente ad essi le norme dello stato
giuridico ed economico in vigore per i professori di ugual grado delle altre Regie
Università»134. Si trattava, in sostanza, di una soluzione ponte, la quale, accantonando
provvisoriamente la discussione circa i numero complessivo e la qualifica dei membri
del corpo docente incardinato nell’Ateneo maceratese, mirava ad ottenere l’inclusione
degli attuali professori nel ruolo unico nazionale.
La risposta inviata il successivo 12 luglio dal ministro della Pubblica Istruzione
Luigi Credaro, pur non chiudendo le porte ad un’eventuale futura soluzione positiva
della questione, aveva escluso per il momento l’assenso del ministero, rinviando ogni
decisione su tale materia ad un’«occasione propizia».
132
Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XVII. Studenti e tasse, in Ministero della Pubblica
Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I.
Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., p. 257.
133
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 28 settembre 1914, in Atti del
Consiglio provinciale di Macerata: anno 1914, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1915, p. 77.
134
Sia la delibera del Consiglio di Facoltà del 4 febbraio 1912 sia lo schema della convenzione sono
conservati in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715.
185
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Il forte disagio per la scarsa sensibilità dimostrata da Luigi Credaro nei riguardi
delle richieste formulate dall’Ateneo maceratese si era peraltro mutato in vero e proprio
sconcerto allorché, nei mesi seguenti, lo stesso ministero della Pubblica Istruzione
aveva emanato una serie di provvedimenti destinati a dare soluzione ad un problema
analogo a quello che caratterizzava la sede marchigiana riscontrato in un altro istituto
universitario della penisola. Il caso era stato segnalato, in una lettera inviata al ministro
Credaro il 18 dicembre 1912, dal successore di Pascucci, Ageo Arcangeli, il quale non
aveva mancato di rilevare polemicamente come, in questa occasione, il ministero avesse
usato due pesi e due misure, discriminando immotivatamente l’Università di Macerata:
Intanto – scriveva fra l’altro il neo rettore Arcangeli –, mentre con apposito recente progetto di
legge, si provvedeva a sistemare la posizione della regia Accademia scientifico-letteraria di Milano, nella
quale gl’inconvenienti accennati si erano manifestati in una delle forme più tipiche, nulla si fa per
Macerata. […] La nostra Università attende fidente […] il riconoscimento della legittimità delle sue
aspirazioni
135
.
Nella primavera del 1914, approfittando del ritorno alla guida del ministero della
Pubblica Istruzione di Edoardo Daneo136, l’allora rettore dell’Università di Macerata
Umberto Borsi137 inviava al ministro un ampio e articolato memoriale nel quale, oltre a
ripercorrere le vicende della mancata approvazione parlamentare della nuova
convenzione per il pareggiamento stipulata il 13 novembre 1908, in sostituzione di
quella in vigore dall’inizio del secolo, proponeva una serie di emendamenti al testo, i
quali, a suo dire, oltre a rimuovere gli ostacoli che ne avevano impedito a suo tempo la
trasformazione in legge, avrebbero finalmente posto fine alla vera e propria anomalia
rappresentata dal «ruolo speciale» riservato ai docenti dell’ateneo maceratese rispetto ai
loro colleghi di tutte le altre università italiane. A questo riguardo, l’art. 1 del nuovo
schema di convenzione predisposto dal rettore Borsi recitava: «Il ruolo organico
135
Copia della lettera inviata dal rettore dell’Università di Macerata Ageo Arcangeli al ministro della
Pubblica Istruzione Luigi Credaro il 18 dicembre 1912 è conservata in ibidem.
136
Come ricordato Edoardo Daneo tornò nuovamente alla guida della Minerva con la costituzione del I
governo presieduto da Antonio Salandra, dal 21 marzo al 5 novembre 1914.
137
Umberto Borsi fu rettore della Regia Università di Macerata dal 1 gennaio 1914 al 31 ottobre 1915.
Docente straordinario di Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione dal 1905-1906, divenne
ordinario dal 1909-1910 e rimase a Macerata fino al 1914-1915 prima di trasferirsi a Siena. Nell’Ateneo
marchigiano tenne anche il corso libero di Diritto sanitario per tre anni (dal 1906-1907 al 1908-1909) e
quello di Diritto internazionale, per incarico, dal 1910-1911 al 1914-1915.
186
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
annesso alla convenzione 6 maggio 1900, approvata con legge 22 dicembre 1901 n. 541,
è soppresso»138.
Ottenuta la piena disponibilità da parte del ministro Daneo a recepire le istanze
avanzate dall’Ateneo marchigiano, inaugurando, in novembre, l’anno accademico 19141915, il rettore Borsi manifestava un cauto ottimismo circa l’esito della vicenda che si
trascinava ormai da troppi anni con grave nocumento per la sede universitaria, pur
lamentando l’eccessiva lentezza con cui le trattative con il ministero procedevano a
causa della grave situazione creata dal conflitto mondiale:
Sia il Ministro – affermava il rettore dell’Università di Macerata –, che sino a pochi giorni
addietro fu in carica, sia i funzionari del Ministero chiamati ad esaminare le nostre richieste, mostrarono
di essere persuasi del loro buon fondamento, ma la lentezza consueta di simili affari è ora, purtroppo,
accresciuta dalle straordinarie occupazioni e preoccupazioni del Governo centrale
139
.
In realtà, le forti tensioni e polemiche dei mesi successivi e, soprattutto, l’entrata
in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, erano destinate a far passare in secondo piano le
questioni di politica universitaria, ivi compresa la trattativa relativa alla convenzione
con l’Università di Macerata.
Con il D.Leg. 18 novembre 1915, n. 625, che introduceva il divieto di nuove
nomine e la sospensione a tempo indeterminato dei concorsi universitari, si accentuò
notevolmente, peraltro, la mobilità per trasferimento dei docenti dagli atenei minori
verso le grandi sedi, e ciò accrebbe a dismisura – con ripercussioni gravissime
soprattutto in quegli atenei minori che, come nel caso di Macerata, disponevano di un
organico già ridotto all’osso – il ricorso ad incarichi esterni al fine di garantire la
necessaria copertura delle numerose cattedre resesi vacanti a seguito dei trasferimenti o
del richiamo alle armi dei professori più giovani140.
138
Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di
pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione,
Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1914, p. 14. L’originale manoscritto è conservato in ASMc, Università,
Statuti-Leggi-Regolamenti, Riforma dell’Università di Macerata, b. 693, f. 10.
139
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1914-1915. Relazione del Rettore Umberto Borsi letta nella
cerimonia inaugurale del 15 novembre 1914, cit., p. 10. Deve essere ricordato che, a seguito della caduta
del I governo Salandra, il ministro Edoardo Daneo aveva lasciato, proprio una decina di giorni prima,
l’incarico ministeriale. Nel nuovo governo insediatosi in quei giorni, e presieduto dallo stesso Salandra, al
dicastero della Pubblica Istruzione era stato nominato Pasquale Grippo.
140
Per un quadro delle complesse vicende verificatesi nell’ambito dell’istruzione superiore nel periodo tra
il 1915 ed il 1918 si veda l’interessante e documentata ricostruzione fornita dal direttore generale
dell’Istruzione superiore A. Filippi in Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la
187
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
L’Università di Macerata, al pari delle altre, dovette fare i conti con la situazione
di profonda incertezza e con le notevoli difficoltà prodotte dalla guerra141. I corsi
dell’anno accademico 1914-1915, infatti, furono chiusi anticipatamente il 22 maggio e,
appena due giorni dopo, iniziarono gli esami di profitto nelle aule concesse dalla
Deputazione provinciale, dal momento che la sede dell’Ateneo era stata requisita dalle
autorità militari per dare alloggio alle truppe142. A seguito della già ricordata
sospensione dei concorsi e della difficoltà di ottenere il trasferimento da altri atenei,
diverse cattedre, anche di primaria importanza, come quelle di Diritto civile e di Diritto
commerciale, rimasero prive di titolare e dovettero essere ricoperte per affidamento a
docenti esterni durante l’intero periodo bellico; complessivamente, furono ben 41 gli
insegnamenti attribuiti per incarico143.
Anche il numero degli studenti risentì, ovviamente, del contesto tutt’altro che
favorevole, facendo registrare una notevole flessione: dai 343 iscritti dell’anno
accademico 1912-1913, infatti, si passò ai 218 del 1918-1919144. Un calo di iscrizioni
che, se da un lato confermava il trend negativo fatto registrale a livello nazionale dalle
facoltà di Giurisprudenza, le quali tra il 1913-1914 e il 1917-1918 passavano da 9.382 a
8.627 unità145, dall’altro, per la sua particolare ampiezza (oltre un terzo degli iscritti),
sembrava riflettere uno stato di disagio e di crisi che andava ben oltre le pur notevoli
vicissitudini legate alla situazione bellica.
Dal punto di vista del reale andamento dell’attività didattica, occorre fra l’altro
precisare che i dati ufficiali degli iscritti relativi agli anni accademici dal 1915-1916 al
1917-1918146, ovvero il triennio che coincise con il diretto coinvolgimento del nostro
paese nella prima guerra mondiale, rappresentavano una realtà per molti versi fittizia,
stante l’elevato numero delle cosiddette iscrizioni d’ufficio degli studenti richiamati al
fronte e stante, in particolare, il generale rilassamento nella frequenza dei corsi che
guerra. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Roma, Tipografia Operaia Romana
Cooperativa, 1920. Cfr. anche Porciani, Moretti, La creazione del sistema universitario nella Nuova
Italia, pp. 355-373.
141
Cfr. Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la guerra. Relazione a S.E. il
Ministro della Pubblica Istruzione, cit., p. 25.
142
Una dettagliata analisi della situazione è offerta in Inaugurazione dell’Anno Accademico 1918-1919.
Relazione del Rettore Prof. Giovanni Bortolucci letta nella cerimonia inaugurale del 2 dicembre 1918,
ANNUARIO (1919), p. 12.
143
Al riguardo, si rinvia alle informazioni contenute, per gli anni relativi, in ANNUARIO.
144
Cfr. Elenco degli studenti iscritti, ANNUARIO (1919), p. 97.
145
Dati desunti da Istat, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico 1945-1946, Roma, Tip.
Failli, 1948.
146
Cfr. Elenco degli studenti iscritti, ANNUARIO (1917), p. 101; ANNUARIO (1918), p. 130;
ANNUARIO (1919), p. 98.
188
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
anche a Macerata, al pari degli altri atenei della penisola fece sentire i suoi effetti. Lo
poneva in evidenza, fin dal novembre 1916, l’allora pro-rettore dell’Ateneo maceratese
Pio Barsanti147, il quale sottolineava:
Certo non si può affermare che altrettanto numerosi fossero coloro che frequentarono le scuole;
questi si ridussero a meno del terzo; dacché dai nostri registri risulta che, per ragioni militari furono
iscritti d’ufficio, e però esonerati per legge dalla frequenza, 256 alunni; ma ciò non tolse, come ho detto,
che i corsi si svolgessero ugualmente, con beneficio anche di quelli che furono sotto le armi, ai quali
l’iscrizione d’ufficio valse per la validità dell’anno in corso
148
.
Nonostante fosse garantita la regolare erogazione dei corsi, le vicende belliche
incisero assai negativamente sull’andamento dell’attività didattica e formativa
dell’Ateneo, come testimoniano in particolare i dati relativi agli esami di profitto e di
laurea. Per comprendere appieno il senso delle difficoltà sopra richiamate, basti dire
che, rispetto ai circa 1.086 esami di profitto e ai 42 esami di laurea sostenuti nel corso
dell’anno accademico 1913-1914149, i dati registrati relativamente all’anno accademico
1917-1918 fecero segnare un vero e proprio crollo, attestandosi rispettivamente a 362
per gli esami di profitto, con la riduzione di quasi due terzi, e a 20 per gli esami di
laurea, ovvero meno della metà150, e ciò nonostante il fatto che, al pari di quanto
accadde nella maggior parte degli atenei della penisola, anche a Macerata i docenti
mostrarono nelle sessioni d’esame una particolare indulgenza nei confronti dei tanti
studenti e laureandi reduci dall’esperienza del fronte151.
Il coinvolgimento e il sacrificio di vite umane che la Grande Guerra comportò
per l’Università di Macerata furono assai rilevanti. Come attestano i dati ufficiali, nel
147
Il prof. Pio Barsanti tenne la relazione inaugurale in qualità di pro-rettore, non essendo ancora stato
nominato il successore del prof. Antonio Marchi, il quale aveva lasciato l’incarico il 15 ottobre 1916 a
seguito del trasferimento all’Università di Parma.
148
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1916-1917. Relazione del Pro-Rettore Prof. Pio Barsanti letta
nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1916, ANNUARIO (1917), p. 8. Nell’anno accademico
1916-1917 gli studenti inviati al fronte o, comunque, impegnati nel servizio militare furono addirittura
300 su 359. Si veda quanto riportato in Inaugurazione dell’Anno Accademico 1917-1918. Relazione del
Rettore Prof. Donato Donati letta nella cerimonia inaugurale del 18 novembre 1917, ANNUARIO
(1918), p. 11.
149
Si vedano i dati riportati in Prospetto degli esami, ANNUARIO (1915), pp. 89-90.
150
Prospetto degli esami, ANNUARIO (1919), p. 101.
151
Se, infatti, in passato il numero dei respinti si era attestato intorno al 10%, in perfetta sintonia con la
media nazionale, nel periodo in oggetto la percentuale dei respinti non superò mai il 6% , scendendo in
talune circostanze anche al 3,4% (in particolare nell’anno accademico 1916-1917, allorché sul totale dei
361 sostenuti si registrano solo 19 esami che hanno avuto un esito negativo). Si veda Prospetto degli
esami, ANNUARIO (1918), p. 133.
189
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
corso del periodo bellico furono richiamati alle armi 3 docenti, 1 assistente universitario
e 164 studenti dell’Ateneo. Tra questi ultimi, 36 furono i caduti sui diversi fronti della
prima guerra mondiale e 15 i feriti, mentre 53 universitari maceratesi ricevettero una
medaglia al valor militare152.
Il dramma di tanti giovani studenti scomparsi prematuramente o resi inabili dalla
guerra suscitò, com’è comprensibile, un’ondata di commozione non solo all’interno
dell’Ateneo maceratese, ma anche nell’opinione pubblica e sulla stampa locale, come si
evince dalle cronache e dai vividi resoconti riportati dai giornali dell’epoca153.
Proprio per ricordare tutti gli studenti maceratesi caduti in guerra, il 24 maggio
1919 nell’Aula magna dell’Ateneo si tenne una solenne commemorazione alla presenza
delle autorità civili e militari e dell’intero corpo accademico, alla quale parteciparono,
assieme ai familiari delle vittime, i reduci e i mutilati di guerra, nonché una folta
rappresentanza studentesca154.
Negli anni della Grande Guerra comunque, nonostante le accresciute difficoltà e
i notevoli disagi prodotti dagli eventi bellici, i rettori che si avvicendarono alla guida
dell’Università di Macerata continuarono la loro battaglia per giungere alla revisione
della convenzione per il pareggiamento approvata nel 1901, la quale, come è già stato a
più riprese sottolineato, collocava di fatto l’Ateneo in una condizione di disparità e di
oggettivo svantaggio.
Fin dal 1916 era stato il rettore Antonio Marchi a sollecitare dal ministero della
Pubblica Istruzione una rapida e positiva conclusione delle trattative in corso. Il Marchi,
inoltre, facendo propria un’iniziativa già sperimentata dal suo predecessore Umberto
Borsi, aveva ritenuto opportuno sensibilizzare l’opinione pubblica sia locale sia
nazionale sul problema, dando alle stampe un opuscolo dal titolo Per l’abolizione del
152
Cfr. Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la guerra. Relazione a S.E. il
Ministro della Pubblica Istruzione, cit., pp. 39-57, che riporta però erroneamente un totale di 34 morti. In
realtà, gli studenti maceratesi caduti in guerra furono 36, come si deduce dall’opuscolo Regia Università
di Macerata, Solenne cerimonia per il conferimento delle lauree ad honorem degli studenti della R.
Università di Macerata caduti in guerra 1915-1918. Macerata XXIV maggio 1918, Macerata, Stab. Tip.
Bianchini, 1919. Il medesimo dato emerge anche dall’analisi dei documenti conservati in ASMc,
Università, Studenti caduti in guerra. Laurea ad honorem (1909-1919), b. 59.
153
In particolare, il foglio locale «L’Unione» dedicò ampio spazio alla cerimonia per il conferimento
delle lauree ad honorem agli studenti caduti in guerra che si tenne presso l’Università di Macerata il 24
maggio 1919. Cfr. La commemorazione degli studenti universitari caduti per la patria, «L’Unione», 19
(21 maggio 1919), 18, p. 3; e La solenne commemorazione degli studenti universitari caduti in guerra,
«L’Unione», 19 (28 maggio 1919), 19, pp. 1-2. Deve essere anche ricordato il numero unico dal titolo In
memoria degli studenti universitari morti in guerra, pubblicato il 10 novembre 1921 a cura del Comitato
maceratese della Corda Frates.
154
Cfr. Visconti, L’Università di Macerata nel passato e nel presente, cit., p. 53.
190
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
ruolo particolare annesso alla convenzione di pareggiamento dell’Università155 nel
quale, dopo aver ricostruito puntigliosamente i termini della querelle, illustrava le nuove
proposte da lui messe a punto con il contributo del corpo accademico maceratese e fatte
pervenire all’allora titolare del dicastero della Pubblica Istruzione Pasquale Grippo156.
Secondo il rettore Marchi, l’accoglimento delle proposte di revisione della
convenzione era ormai una priorità alla quale il ministero non avrebbe potuto sottrarsi,
stante il fatto che da un lato esse non implicavano un aggravio degli oneri a carico dello
Stato e dall’altro che la situazione vigente aveva già creato notevoli disagi ai «professori
singoli» e danneggiato pesantemente il «buon funzionamento dell’istituto in genere»157.
A questo proposito, tra i «non lievi inconvenienti» con i quali l’Università di Macerata
si era trovata a dover fare i conti, Marchi segnalava: l’inferiorità morale dei docenti di
Macerata rispetto ai colleghi loro pari grado; la sostanziale impossibilità di costituire un
organico adeguato di professori di ruolo e di coprire le cattedre vacanti mediante la
chiamata di ordinari e straordinari; la difficoltà dei docenti maceratesi di competere alla
pari con i colleghi degli altri atenei italiani per quel che concerneva i trasferimenti e i
concorsi universitari, in quanto la sede di Macerata non era nella condizione di poter
soddisfare le disposizioni fissate dall’art. 44 del vigente Regolamento generale
universitario158; in ultimo, l’aggravio di lavoro che lo status speciale dell’Ateneo
maceratese comportava per gli stessi uffici amministrativi e contabili del ministero della
Pubblica Istruzione, chiamati costantemente a farsi carico delle complesse questioni che
discendevano dalla frammentaria ripartizione delle competenze tra gli enti locali e lo
Stato159.
155
Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di
pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione, Roma,
Tipografia del Senato, 1916.
156
Tali proposte furono inviate al ministero della Pubblica Istruzione una prima volta il 24 aprile 1916 e,
in seguito, pochi giorni dopo le dimissioni del governo Salandra, il successivo 29 giugno, ovvero
all’indomani dell’insediamento del nuovo gabinetto presieduto da Paolo Boselli. Si veda al riguardo la
documentazione conservata in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Riforma dell’Università di
Macerata, b. 693, f. 10.
157
Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di
pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione, cit., pp.
2-3.
158
Secondo il rettore Marchi, «il pericolo di non poter aspirare a cattedre più importanti, senza rinunziare
in qualche caso al proprio posto di ordinario, allontana da Macerata molti insegnanti, creando una
situazione di inferiorità, che assolutamente contrasta colla convenuta condizione di pareggiamento»
(ibidem, p. 2)
159
Ibidem, p. 3.
191
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Per risolvere le suddette questioni si rendeva necessario modificare in alcuni
punti quanto stabilito con la convenzione approvata nel 1901. La bozza di revisione
predisposta dal rettore Marchi, a questo proposito, interveniva, riscrivendoli in larga
misura, sugli artt. 2, 6, 7 e 12; era introdotto ex novo, inoltre, l’art. 11 bis, mentre
rimaneva inalterato il resto dell’articolato. La ratio di fondo era ovviamente quella di
sopprimere il ruolo organico particolare previsto dalla convenzione del 1901 (ex art. 2)
per ricomprendere i docenti maceratesi nel ruolo unico nazionale, con la conseguente
applicazione, anche per loro come per i professori degli altri atenei italiani, delle
medesime norme concernenti lo stato giuridico ed economico (ex art. 11 bis).
Tutto questo escludendo ovviamente ogni possibile aggravio per il pubblico
erario, il quale, anzi, dalla soluzione prospettata avrebbe addirittura potuto trarre
vantaggio.
Il ruolo vigente – sottolineava al riguardo il rettore Antonio Marchi – assegna all’Università di
Macerata dodici professori; quattro straordinari e otto ordinari; i rimanenti sei insegnamenti vengono
conferiti a professori incaricati. Lo Stato provvede al pagamento degli stipendi dovuti ai professori
titolari; ma gli enti locali (Provincia, Comune e Consorzio) concorrono alla relativa spesa con un annuo
contributo di lire 40.000 e hanno diritto a rimborso durante le eventuali vacanze che si verificano nei posti
di ordinario e di straordinario. Al pagamento della retribuzione dovuta ai sei professori incaricati
provvede direttamente il Consorzio universitario. Includendo il ruolo dell’Università di Macerata nel
ruolo generale, gli enti locali continuerebbero a pagare il medesimo contributo, che attualmente pagano
per i professori ordinari e straordinari; […] e il Consorzio universitario potrebbe versare allo Stato
l’importo della spesa occorrente per il pagamento della retribuzione dovuta ai sei professori incaricati.
[…] Altro non si avrebbe che una fusione tra il ruolo particolare di Macerata e quello generale, restando
fermi e inalterati tutti gli attuali oneri a carico degli enti locali. […] Lo Stato non avrebbe verun aggravio,
e che anzi potrebbe avere un qualche vantaggio in seguito a tale fusione, è addirittura evidente ove per
160
avventura avvenisse che a Macerata fossero destinati meno di dodici titolari
.
Raccogliendo la sollecitazione del rettore Marchi, tanto la commissione
amministrativa del Consorzio universitario, quanto il Consiglio comunale e quello
provinciale di Macerata si attivarono affinché le proposte di modifica alla convenzione
del 1901 fossero rapidamente approvate al fine di consentire un’azione sinergica nei
riguardi del ministero161.
160
Ibidem, pp. 3-4.
Si vedano i verbali della seduta del Consiglio comunale di Macerata del 31 maggio 1916 e
dell’adunanza del Consiglio di Facoltà dell’Università di Macerata dell’8 maggio 1916, in ASMc,
161
192
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
La risposta del nuovo titolare della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini162 alle
istanze avanzate dal rettore Marchi, datata 12 settembre 1916163, fu alquanto evasiva e
deludente. Da un lato, infatti, il ministro contestò l’esattezza dei conteggi effettuati dal
Consorzio universitario maceratese riguardo all’ammontare della cifra annua da versare
nelle casse dello Stato, sollecitando il rettore e gli organi amministrativi del Consorzio a
fare proprio il prospetto economico appositamente predisposto dagli uffici ministeriali;
dall’altro lasciò intendere che l’esame del nuovo schema di convenzione, stanti le
difficoltà prodotte dallo stato di guerra, avrebbe dovuto essere necessariamente rinviato
ad una fase successiva.
Inaugurando l’anno accademico 1916-1917, il pro-rettore Pio Barsanti
informava l’intera comunità accademica delle vigorose pressioni esercitate nei mesi
precedenti sugli organi ministeriali ai fini della ripresa delle trattative e del pieno
accordo raggiunto dall’Ateneo con gli enti locali maceratesi riguardo alle modifiche da
apportare alla convenzione vigente, non mancando di tuttavia di rilevare gli scarsi
risultati ottenuti:
Insistente è stata da parecchi anni – affermava Barsanti – l’opera di tutte le attività preposte a
curare gli interessi di questo Istituto per conseguire questo risultato, e non meno operosa e zelante fu
quella del Rettore cessato, del Consorzio, degli Enti Locali nell’anno ora chiuso; ma purtroppo tanta
attività non è stata coronata dal successo desiderato, onde dovremo tuttavia lottare per il conseguimento
di quest’ultimo passo
164
.
Nei mesi successivi, comunque, a riaccendere le speranze di un rapido
superamento di quella che ormai negli ambienti del ministero veniva definita
«l’anomalia maceratese», contribuì l’elezione al rettorato del prof. Donato Donati,
amico di vecchia data del titolare della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, con il
quale ebbe diversi colloqui finalizzati a sbloccare le trattative e a rimuovere le residue
Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715; nonché i verbali delle
riunioni della commissione amministrativa del Consorzio universitario svoltesi il 7 maggio e del 7 ottobre
1916), in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, regg. n.
545-546.
162
Francesco Ruffini fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Paolo Boselli, dal 18
giugno 1916 al 29 ottobre 1917.
163
La lettera del ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, datata 12 settembre 1916, è
conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916). Rettorato
Marchi, b. 715.
164
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1916-1917. Relazione del Pro-Rettore Prof. Pio Barsanti letta
nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1916, cit., p. 9.
193
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
resistenze ministeriali al nuovo accordo. Forte della disponibilità manifestata da
Ruffini165 e dei pressanti appelli fatti pervenire a Roma nelle settimane precedenti dai
vertici degli enti locali maceratesi166, il 16 settembre 1917 il rettore Donati inviava al
ministro della Pubblica Istruzione una lunga lettera, nella quale, facendo eco ai voti
indirizzati dagli enti locali al Ministero nei mesi precedenti, inviò una lettera al ministro
nella quale illustrava la situazione di gravissima difficoltà nella quale versava ormai da
anni l’Università di Macerata, situazione che, in tempi recenti era divenuta «addirittura
intollerabile», come egli scriveva, «in seguito al provvedimento eccezionale, attuato
con decreto luogotenenziale 18 novembre 1915, n. 1625, che sospendeva ogni specie di
concorsi».
A questo proposito, Donati sollecitava il rapido intervento del ministro,
sottolineando come, in assenza del rinnovo della convenzione per il pareggiamento,
l’ateneo si sarebbe trovato a breve nella penosa condizione di non potere assicurare
neppure il regolare svolgimento dell’attività didattica ordinaria:
Per tutte queste ragioni – concludeva il rettore dell’Università di Macerata –, che insieme si
riassumono in una suprema ragione di buona amministrazione dell’istituto superiore in questa Università,
ho assoluta fiducia che Vostra Eccellenza, mentre per tante provvidenze ha dimostrato illuminati propositi
a favore della coltura superiore, tali propositi vorrà tradurre in atto anche a favore di questa Università,
dando vita a un provvedimento, che, da molto e troppo tempo atteso, riuscirà tanto più gradito
167
.
Il 18 settembre 1917, prima ancora di ricevere la missiva del rettore Donati, il
ministro Ruffini aveva dato risposta alla lettera inviatagli nelle settimane precedenti dal
sindaco di Macerata168, fornendo i chiarimenti richiesti in merito all’atteggiamento
tenuto nella vicenda dal ministero della Pubblica Istruzione. Nella lettera, dopo aver
165
Come si legge nel verbale del Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza del 28 giugno 1917, fu lo
stesso rettore Donati ad informare il corpo docente dell’ateneo maceratese della ripresa delle trattative
con il ministero della Pubblica Istruzione per la modifica della convenzione, anche «in seguito a
conferenze avute con S.E. Ruffini» (in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di
Facoltà 1916-1917, b. 695).
166
Cfr. il verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 13 agosto 1917, in Atti del
Consiglio provinciale di Macerata: anno 1917, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1918, pp. 21-22. Ma si veda
anche la lettera inviata dal sindaco di Macerata al ministro della Pubblica Istruzione il 5 settembre 1917,
dietro sollecitazione del Consiglio comunale, in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione
consorziale. Rettorato Donati, b. 715.
167
Copia della lettera del rettore dell’Università di Macerata Donato Donati al ministro della Pubblica
Istruzione Francesco Ruffini, datata 16 settembre 1917, è conservata in ibidem.
168
Ci si riferisce alla già ricordata lettera inviata il 5 settembre 1917 dal sindaco di Macerata, dietro
sollecitazione del Consiglio comunale, al ministro della Pubblica Istruzione Ruffini il 5 settembre 1917,
in ibidem.
194
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
ribadito la sua ferma intenzione di esaminare senza pregiudizi e con la massima
disponibilità le proposte avanzate dall’Università di Macerata, Francesco Ruffini
giudicava tuttavia opportuno, in ragione delle incertezze e difficoltà create dalle vicende
belliche, procrastinare l’adozione di provvedimenti concreti:
Debbo far presente alla S.V. – concludeva il ministro della Pubblica Istruzione – che una grave
difficoltà si oppone per il momento a che il nuovo progetto di convenzione venga approvato, è cioè la
deliberazione di massima adottata dal Consiglio di Ministri di non procedere, per la durata della guerra,
ad alcuna modificazione di ruoli organici di personale
169
.
Con l’avvento, nell’ottobre 1917, del nuovo governo presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando e la chiamata di Agostino Berenini alla guida della Minerva170 la
situazione era destinata a mutare nuovamente. Proprio il nuovo titolare della Pubblica
Istruzione, rispondendo poche settimane dopo il suo insediamento, il 19 novembre
1917, alla lettera inviata al ministero due mesi prima dal rettore Donato Donati
manifestava la volontà di addivenire in tempi rapidi alla soluzione dell’annosa querelle
sul rinnovo della convenzione, facendo pervenire a sua volta, al rettore dell’Università
di Macerata, una bozza con alcune modifiche al testo messe a punto dal suo gabinetto:
Questo Ministero – scriveva Agostino Berenini – ha esaminato lo schema della nuova
convenzione universitaria e, pur approvandola in massima, ha apportato ad essa alcune modificazioni,
indicate in rosso nella copia dello schema di convenzione che si allega alla presente. […] Prego ora la
S.V. di voler sottoporre lo schema di convenzione così modificato all’approvazione dei Corpi ed organi
competenti,e, ottenuto su di esse il loro benestare, restituirlo, insieme con le deliberazioni adottate al
riguardo, a questo Ministero, che comunicherà la proposta a quello del Tesoro, la cui adesione è
indispensabile, facendo presenti tutte le ragioni di opportunità e convenienza che ne consigliano
l’accoglimento
171
.
Merita di essere rilevato che le modifiche richieste dal Ministero altro non erano
che semplici e formali precisazioni burocratiche e, in quanto tali, non necessitavano in
169
La lettera di risposta del ministro del ministro della Pubblica Istruzione al sindaco di Macerata, datata
18 settembre 1917, è conservata in ibidem.
170
Agostino Berenini fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Vittorio Emanuele
Orlando dal 29 ottobre 1917 al 23 giugno 1919.
171
Si veda la lettera del ministro della Pubblica Istruzione Agostino Berenini al rettore dell’Università di
Macerata Donato Donati, datata 19 novembre 1917, in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova
convenzione consorziale. Rettorato Donati, b. 715.
195
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
realtà di un nuovo placet degli enti locali maceratesi. Nella riunione del 30 novembre
1917, comunque, la commissione amministrativa del Consorzio universitario approvò
all’unanimità il testo della convenzione così com’era stato modificato dal ministero172, e
altrettanto fecero nelle rispettive adunanze del 3 e del 15 dicembre la Deputazione
provinciale e il Consiglio comunale di Macerata173. L’11 gennaio 1918 gli uffici
dell’Università di Macerata provvidero a trasmettere tempestivamente al ministero della
Pubblica Istruzione le relative delibere.
La strada da percorrere prima del raggiungimento del traguardo, tuttavia,
sarebbe stata ancora lunga e non priva di ulteriori ostacoli e di nuove difficoltà. Con una
nota datata 20 marzo 1918, ad esempio, il ministero della Pubblica Istruzione faceva
presente all’Università di Macerata che il Tesoro aveva sollecitato un’ulteriore e
indispensabile modifica al testo della convenzione, subordinando alla ricezione della
stessa l’eventuale parere positivo. Oggetto della modifica era, in questo caso, l’art. 11,
nel quale, secondo la richiesta formulata dal ministero del Tesoro, l’affermazione «La
presente convenzione avrà la durata di 30 anni a decorrere dal 1° luglio 1900», avrebbe
dovuto essere così emendata: «La presente convenzione avrà vigore dal primo giorno
dell’anno accademico 1918-1919 fino al 30 giugno 1930»174 .
Ancora una volta, come si vede, si trattava di una modifica di natura puramente
formale e di scarso rilievo, la quale sembrava avvalorare la tesi di coloro che
attribuivano al governo l’intenzione di prendere tempo e di cercare di rinviare sine die –
pur senza disporre di solidi argomenti contrari – il varo della nuova convenzione. Anche
in quest’occasione, comunque, l’Ateneo e gli enti locali maceratesi manifestarono la
loro piena disponibilità a recepire le nuove richieste avanzate da Roma, tanto che il 28
aprile 1918 l’ulteriore documentazione richiesta veniva fatta pervenire al ministero della
Pubblica Istruzione175.
A complicare la situazione, già resa difficoltosa dalle lungaggini burocratiche e
dai temporeggiamenti ministeriali, contribuì indubbiamente la ripresa, a livello
172
Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 30 novembre
1917, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546.
173
Copia delle delibere in oggetto è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione
consorziale. Rettorato Donati, b. 715.
174
La nota inviata dal ministero della Pubblica Istruzione in data 20 marzo 1918 è conservata in ASMc,
Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Pascucci, b. 715.
175
Si veda copia delle delibere approvate rispettivamente dalla commissione amministrativa del
Consorzio universitario (27 marzo), dal Consiglio comunale (6 aprile) e dalla Deputazione provinciale (8
aprile) in ibidem.
196
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
nazionale, del dibattito sull’abolizione degli atenei minori, innescato questa volta da un
brillante quanto polemico articolo apparso nel novembre 1918 sulla neonata rivista
torinese «Energie Nove», fondata e diretta da Piero Gobetti. L’articolo dal titolo
Appunti di taccuino, firmato dallo stesso Gobetti, dopo aver formulato una serie di
critiche al sistema universitario italiano nel suo complesso, rivolgeva un pesante attacco
ad alcuni atenei minori della penisola, fra i quali figurava anche quello maceratese,
chiedendone l’immediata soppressione o la trasformazioni in istituti d’istruzione di altro
genere:
Bisogna che il Governo – scriveva Gobetti – si decida ad abolire le università di Urbino, Perugia,
Macerata, Camerino, Modena, che oggi non hanno studenti e in tempo di pace si sa perché li hanno. E’
ora di sostituirli con organi nuovi e forti di insegnamento professionale, industriale ed agricolo, con
università popolari, società di cultura, ecc.
176
.
E che la drastica presa di posizione di «Energie Nove» su questo tema fosse
tutt’altro che accidentale ed episodica lo testimoniano gli interventi dello stesso tenore
apparsi sul medesimo quindicinale gobettiano e su altre riviste culturali e politiche nei
mesi seguenti177.
Inaugurando l’anno accademico 1918-1919, il nuovo Rettore dell’Università di
Macerata Giovanni Bortolucci non mancava di sottolineare le difficoltà del momento e
il riacutizzarsi di vecchie polemiche giornalistiche che, oltre a non apportare alcuna
reale soluzione ai tanti problemi che assillavano il sistema universitario italiano,
apparivano assolutamente in controtendenza con lo spirito unitario e la festosa euforia
patriottica per il conseguimento della vittoria e per il ritorno della pace dopo i lunghi e
terribili anni del conflitto mondiale. Bortolucci, comunque, si mostrava moderatamente
ottimista riguardo al futuro dell’ateneo maceratese, in particolare per quel che
concerneva gli esiti della trattativa «già felicemente avviata» con il ministero della
176
P. Gobetti, Appunti di taccuino, «Energie Nove», 2 (15-30 novembre 1918), pp. 30-32 (la citazione
riportata è a p. 31).
177
Una tesi per certi versi analoga, ad esempio, era sostenuta in un commento apparso anonimo (e redatto,
probabilmente, dallo stesso Gobetti) in calce ad un articolo pubblicato sulla medesima rivista e firmato
questa volta da F. Cuonzo, dal titolo L’Università a Bari. In tale nota si legge: «E siccome poi
un’Università costa e il Governo spende già troppo e male negli insegnamenti superiori sarebbe bene
(ripetiamo) che in cambio si abolissero, senza paura, sei o sette delle inutili università dell’Italia centrale e
dell’Emilia». Cfr. F. Cuonzo, L’Università a Bari, «Energie Nove», 5 (1-15 gennaio 1919), p. 68.
197
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Pubblica Istruzione, per giungere all’indispensabile rinnovo della convenzione per il
pareggiamento:
Nel rinnovamento fervido d’ogni attività – affermava il rettore dell’Università di Macerata –, che
segua la pace, il nostro Ateneo saprà mantenere le sue gloriose tradizioni. Dipenderà in gran parte da noi
se esso potrà divenire centro di coltura e di studi per le popolazioni della Dalmazia ormai nostra. Ma sarà
necessario tener conto dei nuovi bisogni e delle nuove tendenze, e soprattutto, presupposto essenziale,
procedere alla sollecita conclusione della nuova convenzione di pareggiamento, la quale già felicemente
avviata, giova sperare che sarà condotta a compimento mercé la illuminata assistenza delle
rappresentanze politiche ed amministrative della città
178
.
Nei mesi successivi, in effetti, dopo le lungaggini e i ripensamenti che avevano
contrassegnato la fase precedente, le trattative con il ministero per il rinnovo della
convenzione registrarono un’indubbia accelerazione. Il 10 febbraio 1919, e poi ancora il
20 marzo dello stesso anno, furono trasmesse all’Università di Macerata ulteriori
richieste di revisione del testo a suo tempo predisposto e più volte emendato. In questo
caso, le modifiche prospettate su indicazione del ministero del Tesoro riguardavano
l’art. 6 della bozza di convenzione, ai sensi del quale gli enti locali si obbligavano a
garantire la rispettiva quota di contributo con il rilascio delle delegazioni sulla
sovraimposta, e l’art. 13, con il quale era determinato l’onere delle spese contrattuali
delle quali si sarebbe dovuto far carico per metà il Consorzio universitario maceratese.
Ovviamente avrebbe dovuto essere nuovamente modificata anche la prima parte
dell’art. 11, dal momento che la nuova convenzione sarebbe entrata in vigore dal primo
giorno dell’anno accademico 1919-1920 e non più a partire dal 1918-1919, come
precedentemente stabilito. Laddove le modifiche richieste fossero state accolte
dall’Ateneo e dagli enti consorziati, il ministero della Pubblica Istruzione, si precisava
nella nota del 20 marzo 1919, avrebbe dato il via libera definitivo al varo della legge
speciale per l’approvazione della nuova convenzione179.
Pur non mancando di manifestare talune perplessità circa le reali intenzioni del
ministero e circa il mantenimento dello speciale regime di cui l’Ateneo maceratese
aveva goduto fino a quel momento in materia di tasse universitarie, al fine di evitare
178
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1918-1919. Relazione del Rettore Prof. Giovanni Bortolucci
letta nella cerimonia inaugurale del 2 dicembre 1918, ANNUARIO (1919), p. 12.
179
Si veda la relativa documentazione in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale.
Rettorato Bortolucci, b. 715.
198
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
«ulteriori lungaggini che potrebbero riuscire di danno all’approvazione della nuova
convenzione che assicura la vita al nostro Ateneo»180, la commissione amministrativa
del Consorzio, il Consiglio comunale e la Deputazione provinciale di Macerata
deliberarono all’inizio di aprile l’approvazione della nuova bozza di convenzione181.
Nei mesi seguenti, tuttavia, si manifestò a più riprese lo spettro di ulteriori rinvii
e di nuove richieste di modifica del testo, come testimoniano la fitta corrispondenza
intercorsa, tra giugno e settembre, tra il rettore Bortolucci e i ministri della Pubblica
Istruzione e del Tesoro182, e i reiterati interventi del parlamentare marchigiano Anselmo
Ciappi, sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici, presso il capo del governo al fine di
scongiurare eventuali ritardi nell’iter di approvazione del provvedimento183.
In realtà, a dispetto delle incertezze e dei timori dell’ultima fase, il 6 ottobre
1919 veniva finalmente emanato il R.D. n. 2048, con il quale era approvata la nuova
convenzione fra Governo, Comune, Provincia e Consorzio universitario di Macerata che
sostituiva quella del 1901184. In forza di tale provvedimento l’Università di Macerata era
pareggiata a tutti gli effetti di legge alle altre università indicate dall’articolo 12 del
Testo unico promulgato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795 (art. 1). La nuova
convenzione, che sarebbe rimasta in vigore fino al 30 giugno 1930 (art. 11), era
costituita da 13 articoli, in virtù dei quali si stabiliva, fra l’altro, il conferimento allo
Stato dell’onere della retribuzione degli insegnamenti obbligatori affidati per incarico
(art. 2), l’aumento del contributo consorziale a favore dello Stato da 40.000 a 48.000 lire
(art. 6), la soppressione dell’obbligo per lo Stato di rimborsare al Consorzio le cifre non
spese per i posti da professori ordinari e straordinari che fossero risultati vacanti (art. 6)
e, infine, l’inserimento dei professori ordinari e straordinari della Regia Università di
180
Si veda il verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 24 marzo 1919, in Atti del
Consiglio provinciale di Macerata: anno 1919, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1920, pp. 47-49.
181
Le relative delibere del Consiglio comunale, della commissione amministrativa del Consorzio e della
Deputazione provinciale furono approvate rispettivamente il 2, il 6 e il 7 aprile 1919. Se ne veda copia in
ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715.
182
Nel giugno 1919, fra l’altro, il governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando si presentava
dimissionario e, di lì a poco, con l’avvento del nuovo gabinetto presieduto da Francesco Saverio Nitti,
cambiavano sia il ministro della Pubblica Istruzione (ad Agostino Berenini subentrava Alfredo Baccelli),
sia il titolare del dicastero del Tesoro (Bonaldo Stingher era sostituito da Carlo Schanzer).
183
In ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715, sono
presenti diverse lettere, le quali testimoniano la fitta corrispondenza intercorsa tra giugno e settembre tra
il rettore Bortolucci, e i ministri della Pubblica Istruzione Berenini e Baccelli, e quelli del Tesoro
Stringher Schanzer, nonché tra lo stesso rettore deell’ateneo maceratese e il parlamentare marchigiano
Anselmo Ciappi, sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici.
184
Si veda il testo della nuova convenzione approvata con il R.D. 6 ottobre 1919, n. 2048, in ASMc,
Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715.
199
Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale
Macerata nel ruolo unico nazionale dei professori universitari, con la conseguente
applicazione ai medesimi delle norme sullo stato giuridico ed economico in vigore per i
docenti delle altre università regie della penisola (art. 12).
Con la definitiva approvazione del R.D. 6 ottobre 1919, n. 2048, giungeva a
conclusione la battaglia ultradecennale condotta dall’Università di Macerata per il
conseguimento di un’effettiva parificazione con gli altri atenei governativi. Nel corso
del lungo e travagliato iter che aveva portato all’adozione del provvedimento, l’Ateneo
marchigiano aveva potuto fare conto costantemente sulla solidarietà e il fattivo
appoggio degli enti locali e delle istituzioni maceratesi, impegnate ad assicurare il
sostentamento finanziario dell’istituto e a sollecitare con forza, nei riguardi del governo
centrale, il superamento della condizione di «immotivata e grave minorità» nella quale
era tenuta «la principale istituzione Cittadina», la quale, per le sue «alte tradizioni
scientifiche» e «gloriose tradizioni patriottiche» rappresentava l’«autentico centro della
vita spirituale» di Macerata e il «focolaio prezioso del suo sviluppo civile e
intellettuale».
Quella che si apriva, come sottolineava il nuovo rettore Pio Barsanti
inaugurando solennemente il 23 novembre l’anno accademico 1919-1920, avrebbe
dovuto rappresentare per l’Università di Macerata la stagione del vero e proprio
rilancio.
Il pareggiamento di questa Università a tutte le altre – affermava Barsanti – costituì il voto e
l’attività costante di più che un ventennio di tutte le autorità preposte alla vita di questo Istituto. […]
Debbo alla sorte che a me sia toccato l’onore di darvene contezza, perché proprio all’inizio del mio
rettorato questo avvenimento si è verificato, mentre non all’opera mia esso è dovuto, ma sì a tutti i Rettori
che mi hanno preceduto, e in special modo all’ex Rettore Donati e da ultimo al cessato Rettore professore
Bortolucci che ebbe l’onore di mettere le firma alla nuova convenzione; […] con la nuova convenzione è
riportato nel ruolo unico dei professori universitari il ruolo speciale che v’era prima pei professori di
questa Università; il che significa che ogni materia o disciplina che costituisce insegnamento obbligatorio
può avere un titolare, mentre, fino ad oggi i titolari non potevano essere che dodici. Il che accresce non
solo lustro e decoro all’Istituto, ma è anche una garanzia degli insegnamenti che si danno. Senza dire, per
essere breve, del maggiore concorso per parte dei più valenti Professori
185
185
.
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1919-1920. Relazione del Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella
cerimonia inaugurale del 23 novembre 1919, ANNUARIO (1920), pp. 14-15.
200
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
CAPITOLO QUINTO
IL PRIMO DOPOGUERRA, LA RIFORMA GENTILE DEL 1923 E IL
VENTENNIO FASCISTA
All’indomani della prima guerra mondiale, la sempre più accentuata crisi
economica e produttiva e le accresciute difficoltà della vecchia classe dirigente liberale
a far fronte alle nuove e complesse sfide, rappresentate dal sorgere di nuovi movimenti
politici e sociali e dalla rimessa in discussione dei tradizionali assetti istituzionali della
fase pre-bellica1, fecero emergere da più parti l’esigenza di porre mano ad un’organica
riforma dello Stato e della pubblica amministrazione, nell’ambito della quale avrebbero
dovuto trovare definitiva soluzione anche le irrisolte questioni del riordinamento del
sistema scolastico e dell’università2.
In un quadro caratterizzato dalla sempre maggiore carenza di risorse finanziarie
da destinare agli enti locali e dalla conseguente necessità, per questi ultimi, di procedere
alla razionalizzazione della spesa e alla riqualificazione degli investimenti sul territorio,
al pari di quanto verificatosi in altre regioni della penisola, anche le istituzioni locali
marchigiane deliberarono di affrontare il delicato e complesso nodo della presenza sul
territorio regionale di ben tre atenei di antica tradizione (Macerata, Camerino e Urbino):
una condizione, quest’ultima, che se da un lato collocava le Marche al secondo posto in
Italia, subito dopo l’Emilia-Romagna, per quel che concerneva il numero di sedi
universitarie, dall’altro le conferiva una sorta di ‘primato’ con riferimento alla
percentuale di istituti d’istruzione superiore in rapporto alla popolazione3.
La questione, tuttavia, si faceva ancora più complessa laddove si prendevano in
esame le facoltà e i corsi di studio attivati nei singoli atenei marchigiani: tanto la Regia
Università di Macerata quanto le Libere Università di Camerino e Urbino, infatti,
1
Cfr. P. Frascani, Politica economica e finanza pubblica in Italia nel primo dopoguerra (1918-1922),
Napoli, Giannini, 1975; V. Castronovo, La storia economica, in Storia d’Italia. IV. Dall’Unità a oggi,
Torino, Einaudi, 1975, pp. 206-247; E. Ragionieri, La storia politica e sociale, ivi, pp. 2059-2120; G.
Sabbatucci (a cura di), La crisi italiana del primo dopoguerra. La storia e la critica, Roma-Bari, Laterza,
1976; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. VIII. La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento
del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 222-335.
2
Cfr. Commissione Reale per il Dopoguerra, Studi e proposte della Prima Sottocommissione presieduta
dal sen. Vittorio Scialoja. Questioni giuridiche, amministrative e sociali, Roma, Tip. Artigianelli, 1920.
Sui lavori della Commissione Reale, con particolare riferimento ai temi del riordinamento dell’istruzione
pubblica, si veda C. Ghizzoni, Educazione e scuola all’indomani della Grande Guerra, Brescia, La
Scuola, 1997, pp. 101-121.
3
Cfr. A. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, in Aspetti della società marchigiana dal
Fascismo alla Resistenza, Urbino, Argalia, 1979, pp. 203-204.
201
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
vantavano una propria Facoltà di Giurisprudenza, tradizionalmente in concorrenza con
le altre due, mentre Camerino e Urbino disponevano ciascuna di una Scuola di Farmacia
e di una Scuola di Ostetricia, anch’esse destinate, dunque, a farsi concorrenza.
Una simile articolazione interna, com’è stato notato, faceva sì che mentre «a
livello di atenei le Marche coprivano l’11,1% del totale, a livello di facoltà tale
percentuale scendeva al 3,4%, ponendosi agli ultimi posti della graduatoria nazionale,
prima soltanto della Puglia e di altre regioni del Mezzogiorno prive di università»4.
Occorre aggiungere che la scarsa differenziazione delle facoltà e dell’offerta formativa
universitaria regionale nel suo complesso, da un lato finiva per generare un’anomala
concorrenza tra le sedi, costrette tutt’e tre ad attingere allo stesso limitato bacino di
utenti, dall’altro vanificava l’indubbio vantaggio di disporre di ben tre atenei nella
medesima regione, in quanto i limitati sbocchi universitari offerti ai diplomati
marchigiani facevano sì che una parte consistente di essi si recasse in altri atenei della
penisola per frequentare corsi di laurea non attivati nelle università marchigiane5.
Proprio per porre rimedio alle anomalie e contraddizioni di un sistema
universitario regionale che, a distanza di poco più di mezzo secolo dall’unificazione
nazionale, appariva scarsamente funzionale alla crescita sociale e produttiva e allo
sviluppo culturale e scientifico del territorio marchigiano e ormai insostenibile dal punto
di vista economico, il 22 dicembre 1919 il prof. Giovanni Gallerani, rettore della Libera
Università di Camerino e consigliere della Provincia di Macerata6, presentava
nell’adunanza straordinaria del Consiglio provinciale del 22 dicembre 19197, un suo
progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche8, il quale prevedeva un
profondo e organico riassetto delle università marchigiane sotto il profilo
amministrativo e didattico e un’altrettanto incisiva ridefinizione dell’offerta formativa
universitaria regionale. Il progetto, valutato positivamente nelle sue linee generali dalla
4
Ibidem, pp. 205-207.
Ibidem, pp. 209-212.
6
Giovanni Gallerani, nativo di Badia Polesine (Rovigo), si era laureato in Medicina e Chirurgia presso
l’Università di Padova e aveva conseguito nel 1889 la libera docenza in Fisiologia. Incaricato nello stesso
anno dell’insegnamento di Fisiologia sperimentale presso la Libera Università di Camerino, nel 1890
divenne straordinario e poi, nel 1892, ordinario della medesima disciplina. Nell’ateneo camerte il
Gallerani svolse tutta la sua carriera ricoprendo anche l'incarico di preside della Facoltà di Medicina e, in
diversi momenti, l’ufficio di rettore. Su di lui: A. Porro, Gallerani Giovanni, in DBI, 51 (1998), pp. 557559.
7
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 19 dicembre 1919, in Atti del Consiglio provinciale
di Macerata: anno 1919, cit., pp. 123-125.
8
Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del
professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, Camerino, Tip. F.lli Marchi,
1920.
5
202
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Deputazione provinciale9, fu illustrato nei dettagli dallo stesso Gallerani nella seduta del
Consiglio del 21 gennaio 1920 e, su richiesta di alcuni consiglieri10, successivamente
sottoposto ad una commissione costituita ad hoc, della quale facevano parte i consiglieri
provinciali Arturo Ciotti e Milziade Cola, oltre allo stesso rettore della Libera
Università di Camerino, per la valutazione degli aspetti tecnici e delle condizioni di
fattibilità. Nella delibera approvata dal Consiglio provinciale si stabiliva di:
A) approvare in massima relazione stessa e la progettata riforma; B) di sottoporla al giudizio
degli altri Consigli provinciali della regione invitandoli a pronunciare analoghe deliberazioni; C) di
comunicarla inoltre a tutti i Sindaci delle Marche perché tutti i Comuni edotti delle valide ragioni della
proposta e della utilità che ne deriverebbe per la Regione intiera, preparino quella azione cooperante che è
indispensabile alla facile e pronta realizzazione del progetto; D) di comunicarla ai Senatori e Deputati
della Regione11.
Il 30 gennaio, lo stesso Consiglio, acquisito il parere favorevole al progetto
Gallerani espresso dalla commissione tecnica, diede mandato alla Deputazione
provinciale di richiedere alla Provincia di Pesaro-Urbino e ai comuni interessati di
Urbino e di Macerata di esprimere «il loro parere di massima sulla progettata riforma,
riservata ogni discussione sulle eventuali modalità della esecuzione»12. Il successivo 8
marzo la Deputazione provinciale di Macerata trasmise agli altri enti locali coinvolti la
richiesta di far pervenire in tempi brevi un parere il più possibile definitivo in ordine al
progetto di riorganizzazione delle università marchigiane, in modo tale da poter
procedere speditamente e in forma unitaria nella realizzazione della «riforma quale è
reclamata dai tempi»13.
Indubbiamente, il progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche
predisposto dal rettore Giovanni Gallerani rappresentava un serio tentativo di uscire
dalla prospettiva localistica e di guardare al «caso marchigiano» non solamente alla luce
delle anomalie e disfunzioni da tempo riscontrate o, per altri versi, delle sopravvenute
difficoltà economiche e finanziarie degli enti locali, ma anche, e soprattutto, tenendo
9
Cfr. A. Trifogli, Le Marche e l’istruzione universitaria, «Rivista di Ancona», IV (1961), 6 (suppl.), pp.
13-15.
10
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 21 gennaio 1920, in Atti del Consiglio provinciale
di Macerata: anno 1920, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1921, pp. 39-41.
11
Ibidem, pp. 39-40.
12
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 30 gennaio 1920, in Atti del Consiglio provinciale
di Macerata: anno 1920, cit., pp. 73-74.
13
La lettera inviata dalla Deputazione provinciale al Consiglio comunale di Macerata, datata 8 marzo
1920, è conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università),
1919-1930, b. 3474.
203
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
conto delle più generali tendenze del dibattito nazionale e delle prospettive di
rinnovamento degli studi superiori che andavano prendendo piede nel Paese:
Fra le questioni del dopoguerra – scriveva Gallerani nell’introduzione al suo Progetto – che si
impongono anche alle provincie e particolarmente alla nostra, v’ha quella della Istruzione pubblica
superiore. Le mie qualifiche di insegnante universitario e di rettore dell’Università di Camerino mi
danno, più che il diritto, il dovere di interessarmi dell’elevato problema. […] E’ vanto invidiato delle
Marche di possedere tre Università, […] tanto che, pur lottando con grandi difficoltà materiali, vissero di
vita veramente dignitosa, fonti di sapere e vivai fecondi di eletti ingegni che vanta l’Italia. Ora, supremo
interesse, amoroso studio deve essere quello di conservarle all’altezza della loro fama, […] di esaminare
quali siano le loro condizioni attuali, quali le eventuali deficienze e di proporne, nel caso, i rimedi,
considerando l’Istituto universitario nei suoi rapporti non solo con la città che lo accoglie, ma con la
regione intera a cui appartiene. […] Giacché, o Signori, non v’ha Istituto che, pur conservando la sua
essenza, non debba, come qualsiasi organismo, evolversi nella lotta per l’esistenza, pena il regresso e la
morte14.
Il «caso marchigiano», a detta di Gallerani, lungi dal potere essere
semplicisticamente liquidato sulla base delle tante ipotesi di soppressione dei piccoli
atenei periodicamente agitate nei decenni precedenti, necessitava di un approccio
originale, che tenesse presente l’indicazione recentemente formulata dal nuovo titolare
della Pubblica Istruzione Alfredo Baccelli circa l’opportunità di favorire un assetto più
razionale e una più funzionale organizzazione delle università minori15. Le università,
sottolineava il rettore della Libera Università di Camerino, riprendendo un’affermazione
contenuta nella Relazione generale predisposta nel 1914 dalla Commissione Reale per il
riordinamento degli studi superiori, «non sono mai troppe […] e chi ha la gloria di
averle deve custodirle gelosamente e farle rifiorire, e, se occorre, modificarle, sia pure
sacrificando qualche preconcetto personale»16.
Del resto, la stessa Commissione Reale che, oltre a sostenere l’opportunità della
parificazione delle tasse universitarie tra atenei regi e atenei liberi, aveva anche
auspicato per questi ultimi una riduzione del numero delle facoltà, o almeno una loro
14
Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del
professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, cit., pp. 3-5.
15
Alfredo Baccelli fu ministro delle Pubblica Istruzione nel primo governo presieduto da Francesco
Saverio Nitti, dal 23 giugno 1919 al 14 marzo 1920. Sul più complessivo dibattito sviluppatosi su tale
materia in questa fase si vedano le sintetiche riflessioni offerte in Porciani, Moretti, La creazione del
Sistema Universitario della Nuova Italia, cit., pp. 354-373.
16
Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del
professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, cit., pp. 5-9.
204
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
più razionale distribuzione al fine di giungere all’indispensabile superamento «dei
duplicati e dei triplicati di esse»17, forniva elementi utili alla messa a punto di un’ipotesi
seria ed efficace di riordinamento del sistema universitario marchigiano. A questo
proposito, il rettore Gallerani richiamava la già ricordata proposta avanzata dalla
Commissione Reale per le università emiliane e sarde, sottolineando come essa, con gli
opportuni adattamenti, potesse essere applicata anche alle Marche:
Le forze sparse ed incoordinate, sono la debolezza e i raggi non raccolti in un unico fuoco non
scaldano ed illuminano. […] O le cose restano come sono e i nostri Atenei sono destinati a perire, non
rimanendo che il ricordo del loro fulgido passato; o lo Stato e le Province, perpetuando lo statu quo e
contribuendo pur generosamente sanciscono una condizione di vita non perfetta e destinata ad essere
discussa più in là, dilazionando soltanto la razionale riforma; o questa riforma razionale è
coraggiosamente affrontata fin d’ora, con vantaggio morale, con alto decoro, con relativa economia. E’
quest’ultima proposta, o Signori, che io intendo propugnare.
Sulla base di tali indicazioni e della personale riflessione sulle peculiarità della
realtà universitaria regionale, il rettore della Libera Università di Camerino delineava,
«sommessamente, ma pienamente convinto», il progetto di una «Federazione delle
Università marchigiane in una medesima circoscrizione accademica»:
Riduzione della Facoltà e Scuole duplicate e triplicate nelle tre Università marchigiane, con
completamento razionale delle incomplete e aggiunta delle mancanti, da distribuirsi in tre gruppi
d’insegnamenti affini per ciascuna di esse Università. Ognuna delle tre Università suddette, che non deve
perdere la propria individualità, sarà federata con le altre due in una medesima circoscrizione accademica;
in modo che la Regione abbia il proprio Istituto di Studi superiori completo, con esistenza relativamente
più economica e assolutamente più florida e dignitosa18.
La progettata «Federazione delle Università marchigiane» avrebbe dovuto essere
sostenuta attraverso il concorso finanziario dello Stato e degli enti locali; relativamente
a questi ultimi, peraltro, la razionalizzazione dell’offerta formativa, attraverso la
soppressione di due delle tre facoltà di Giurisprudenza esistenti e delle scuole speciali di
Farmacia e di Ostetricia in esubero, peraltro, avrebbe consentito da subito un notevole
risparmio di risorse economiche, da reinvestire eventualmente per completare l’offerta
formativa regionale:
17
18
Ibidem, pp. 25-26.
Ibidem, pp. 28-29.
205
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Nelle Marche – egli sottolineava – esistono tre Facoltà legali, due scuole di Farmacia, due scuole
di Ostetricia per le levatrici, una Facoltà incompleta di Medicina e Chirurgia, un solo biennio di
Veterinaria e mancano le Scienze sociali, le Lettere e Filosofia, Le Matematiche e la Ingegneria nei vari
suoi rami, le Scienze naturali, le Scienze chimiche e fisico-matematiche e una Scuola superiore
commerciale19.
Occorreva altresì sciogliere il nodo della riconversione dei professori di ruolo le
cui cattedre, a seguito della progettata razionalizzazione delle facoltà e delle scuole
speciali, avrebbero dovuto essere soppresse. Al riguardo, il rettore della Libera
Università di Camerino si mostrava persuaso che il problema potesse essere superato,
grazie alla «buona volontà degli uomini, degli Enti e dello Stato», in virtù della
«ricollocazione di pochi giovani valenti, a cui sorride un sicuro avvenire universitario»
all’interno delle nuove strutture universitarie, come nel caso di Giurisprudenza, riguardo
alla quale egli scriveva:
L’unica Facoltà legale che rimarrebbe, potrebbe meglio completarsi con cattedre fin qui date per
incarico da affidarsi agli insegnanti che, per l’attuazione della riforma, rimanessero senza posto, togliendo
così anche l’inconveniente del cumulo; oppure dovrebbero provvisoriamente istituirsi cattedre in
parallelo.
Prima di prospettare la sua ipotesi di ridistribuzione delle facoltà e dei corsi di
laurea nelle diverse sedi universitarie marchigiane, Giovanni Gallerani illustrava quelli
che, a suo avviso, sarebbero stati gli indiscussi vantaggi che la riforma avrebbe
prodotto. A questo proposito, oltre a garantire «la vita prospera e dignitosa dei nostri
gloriosi Istituti», la progettata «Federazione delle Università marchigiane» avrebbe reso
possibile «un altro immenso vantaggio d’ordine morale: patriottico, nazionale», quello
di favorire la costituzione di un polo universitario completo in grado, per la sua
collocazione geografica, di porsi come punto di riferimento culturale e scientifico non
solo per le altre regioni della penisola collocate sulla dorsale adriatica, ma anche per i
territori frontalieri dell’area balcanica: «Se le Marche – egli notava –, che siedono a
specchio dell’Adriatico mare, possedessero la loro Università completa, attirerebbero a
sé, con sicuro richiamo, le genti, i fratelli dell’altra sponda»20.
19
20
Ibidem, p. 27.
Ibidem, pp. 30-32.
206
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Una grande realtà universitaria su base regionale, dunque, capace di spogliarsi
della dimensione localistica e del tradizionale radicamento nel modesto e un po’
asfittico orizzonte urbano e provinciale, per divenire un polo scientifico e culturale
internazionale e uno spazio di formazione superiore di riferimento per l’intera «regione
adriatica». Di qui i notevoli vantaggi anche per la crescita economico-produttiva e
commerciale non solo delle Marche, ma dell’intero Paese, la quale avrebbe trovato «una
forza eccitatrice feconda nella scienza e nell’arte medesima»; nonché la possibilità di
sviluppare più intense e feconde relazioni con i paesi frontalieri, «che legherebbero
validamente le popolazioni d’oltre Adriatico»: «La nostra Università completa e
federata – concludeva enfaticamente Gallerani – potrebbe essere proprio l’Università
nazionale dell’Adriatico e per essa noi potremmo fare del patriottismo incruento e
pacifico, degno veramente della scienza e dei popoli civili»21.
Indubbiamente, il capitolo più delicato e complesso del progetto di
Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore della Libera
Università di Camerino era quello che riguardava la ridistribuzione tra le tre sedi
esistenti delle facoltà e dei corsi di laurea. A questo riguardo, in un’apposita appendice
al piano di riforma, dal titolo Schemi di distribuzione delle Facoltà nelle tre Università
federate, veniva sottolineato come, stante la complessità della questione e i molteplici
interessi in gioco, si era ritenuto opportuno prospettare quattro diversi scenari piuttosto
che una soluzione unica, anche al fine di favorire il più ampio confronto riguardo
all’«ubiquità più opportuna della sede» delle Facoltà e Scuole speciali e di tenere
adeguatamente presenti tutte le «prerogative scientifiche, artistiche, istituzionali», le
«tradizioni locali» e le necessità derivanti dalla «facilità maggiore o minore della
istallazione».
La prima soluzione individuata, quella che appariva a tutti gli effetti più
razionale ed efficace, prevedeva il raggruppamento di facoltà, scuole speciali e corsi di
laurea appartenenti ad un ambito omogeneo nella medesima sede universitaria. A questo
riguardo, erano individuate tre diverse aree scientifico-disciplinari – scienze giuridiche e
filologiche, scienze biologiche e scienze fisico-matematiche-chimiche –, ciascuna delle
quali avrebbe dovuto fare capo ad un’apposita sede universitaria.
Una simile ripartizione tuttavia, come lo stesso Gallerani rilevava, avrebbe
cozzato inevitabilmente con «difficoltà che derivano dalla consuetudine e dall’affetto
21
Ibidem, pp. 33-34.
207
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
stesso alle istituzioni già possedute» (due delle sedi marchigiane, ad esempio, avrebbero
dovuto rinunciare alla loro antica Facoltà di Giurisprudenza). Era pur vero che un simile
ostacolo, ancorché molto gravoso, avrebbe potuto essere superato in nome «dell’alta
finalità che deve essere raggiunta», sulla base di considerazioni legate ai vantaggi più
generali offerti dal nuovo scenario e «dimenticando concetti e prevenzioni
particolaristici»:
Per fare qualche esempio – affermava Giovanni Gallerani –, la Facoltà di lettere e filosofia
potrebbe trovare degna e opportuna sede ad Urbino, gloriosa per la immanente figura fulgidissima di
Raffaello e per i suoi Istituti artistici. La Facoltà di Medicina e chirurgia parrebbe dovesse meglio fiorire a
Macerata per la importanza e grandezza della Città, per la presenza del Manicomio, per la preventiva
istituzione di un grande Ospedale, resosi indispensabile per la centralità nella provincia della Città; per le
più facile e molteplici vie di comunicazione, necessarie al trasporto degli ammalati, per il più facile
accesso alle consultazione dalle diverse parti delle Marche. La Scuola di veterinaria troverebbe la sua
migliore esplicazione pratica pure a Macerata per analoghe ragioni, per il materiale zootecnico di studio, a
disposizione, e per la presenza stessa di una Scuola di Agricoltura, fiorente nel suo territorio. Ma Urbino
ha pure un’ottima tradizione per gli studi di matematica e Macerata d’altronde possiede già la sua Facoltà
legale reificata, mentre Camerino vanta per la medicina i nomi di Federici, Murri, Guarnieri, Ceci,
Colasanti, Lachi, De Toni, Berlese, Benedicenti, Foderà etc. per parlare solo di tempi relativamente
recenti. Ecco qui la base per un'altra distribuzione22.
Le altre tre soluzioni alternative che venivano prospettate prevedevano una serie
di varianti capaci di tenere in maggior conto le «tradizioni locali» e di ridurre l’impatto
comunque traumatico che qualunque intervento di razionalizzazione avrebbe prodotto
su ciascuno dei tre centri urbani che ospitavano le antiche università della regione:
Faccio seguire altri tre schemi – scriveva il rettore dell’Università di Camerino –, con proposta
anche di sede, cui oggi non è a dirsi l'ultima parola, giacché, mi sembra, pur se sarà per essere caldeggiato
da Voi il presente Progetto di massima da me proposto, dovremo sempre riferirci al parere degli Enti
locali, a cui spetta decisiva parola per le distribuzioni delle Facoltà nelle singole Università federate. II°:
Macerata = Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze Naturali; Camerino = Legge, Lettere e
filosofia; Urbino = Matematiche, Ingegneria, Scienze fisico-matematiche. III°: Macerata = Legge,
Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze Naturali; Camerino = Ingegneria, Scienze fisicomatematiche; Urbino = Lettere e filosofia. IV°: Macerata = Legge, Lettere e Filosofia; Camerino =
22
Ibidem, pp. 35-36.
208
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze naturali; Urbino = Matematiche, Ingegneria, Scienze
fisico-matematiche.
Affinché l’offerta formativa universitaria regionale fosse realmente organica e
capace di fornire adeguata risposta alle esigenze del territorio, concludeva Gallerani, era
necessario altresì prevedere nelle Marche l’istituzione di una serie di «Scuole superiori,
Commerciale, Industriale ed Agricola, delle quali la Commerciale dovrebbe
indiscutibilmente aver sede in Ancona accanto alla fiorente Scuola Nautica, la
Industriale nella provincia di Ascoli che ha già alto titolo per l’ottima Scuola di Fermo;
la Agricola a Pesaro nella fertile regione che si estende verso l’ubertosa Romagna»23.
Espressione di un approccio competente ed equilibrato ai problemi del sistema
universitario regionale, il progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche
predisposto dal rettore dell’Università di Camerino era destinato a suscitare forti
reazioni nell’opinione pubblica e in seno agli ambienti politici e amministrativi
marchigiani e a innescare un vivace dibattito sulla stampa locale. Un dibattito, deve
essere
sottolineato,
caratterizzato,
nel
suo
complesso,
da
una
sostanziale
incomprensione della posta in gioco e da un esasperato quanto sterile localismo, solo
parzialmente celato dietro l’anacronistico riferimento alle «gloriose tradizioni» da
salvaguardare ad ogni costo e al velleitario richiamo alla capacità dei singoli territori e
centri urbani di fronteggiare la crisi in atto sulla base delle sole proprie forze.
Così, se il 6 marzo 1920 il periodico camerte «Chienti e Potenza» prendeva
spunto dalla proposta Gallerani per denunciare l’atteggiamento di sostanziale
immobilismo della città e degli amministratori nei riguardi dei problemi e delle
necessità che caratterizzavano il locale Ateneo, paventando il rischio che, dietro le
ipotesi di razionalizzazione a livello regionale degli assetti universitari, si celasse la
volontà di ridimensionare proprio l’Ateneo cittadino24, in altri casi le osservazioni
formulate in merito al progetto e le prese di posizione espresse in ordine alla sua
praticabilità e all’opportunità della sua attuazione lasciavano trasparire una scarsa
consapevolezza degli orientamenti prevalenti nell’ambito della politica universitaria
nazionale e, soprattutto, il forte peso dei condizionamenti di tipo campanilistico e lo
spirito di diffidenza e di sospetto che caratterizzava le diverse amministrazioni locali e
provinciali della regione.
23
24
Ibidem, p. 37.
E. Filippi, La questione Universitaria, «Chienti e Potenza», XXXIV (6 marzo 1920), 5, p. 1.
209
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Sulle pagine de «La Provincia Maceratese» del 7 marzo 1920, ad esempio, pur
riconoscendo la bontà delle intenzioni che avevano mosso il rettore Giovanni Gallerani,
si evitava accuratamente di esaminare la parte relativa alle ipotesi di razionalizzazione
dell’esistente avanzate nel suo progetto di riordinamento delle università marchigiane e,
prendendo spunto dalle proposte formulate riguardo ad un eventuale completamento
dell’offerta formativa in sintonia con le indicazioni a suo tempo avanzate dalla
Commissione Reale, si liquidava come poco realistico – in quanto destinato ad
aumentare le spese in un momento di grave crisi per il pubblico erario – l’intero
progetto:
Il buon prof. Gallerani – affermava l’autore dell’articolo, che si firmava con lo pseudonimo di
Civis –, malgrado le buone intenzioni, a un certo punto pare dimentichi le ragioni che l’hanno mosso e le
attuali gravissime condizioni finanziarie dello Stato italiano, e invece di far proposte pratiche di nuove
scuole superiori, diciamo così a scartamento ridotto, più adatte cioè ai moderni bisogni e all’ambiente, e
più alla portata della nostra potenzialità, si lascia andare al progetto inattuabile di un assetto universitario
più completo e quindi assai più dispendioso del presente, aggiungendovi inoltre l’istituzione ex novo di
tre altri Istituti superiori. […] Ma dove pensa l’egregio professor Gallerani si possano trovare le annue
centinaia di migliaia di lire all’uopo indispensabili?
L’articolista de «La Provincia Maceratese», peraltro, non si limitava ad
ironizzare sul carattere velleitario delle proposte formulate da Gallerani, ma si spingeva
a chiedere l’abolizione delle università marchigiane le quali, a suo avviso, avrebbero
dovuto essere sostituite da istituzioni scolastiche di carattere tecnico-professionale
maggiormente rispondenti alle necessità economiche e produttive dei territori regionali:
Per fare che i nostri istituti superiori vivano ed abbiano il diritto a vivere, occorre ch essi non
siano inutili e brutte copie dei molti esistenti in ben altre condizioni e in ben altri ambienti, anche poco
lontani da noi. E occorre anche che siano alla portata della nostra potenzialità economica. E’ chiaro? Una
volta convinti di queste verità, non rimane che rinunciare alla vana boria di Università, condannate a
sparire, e contentarsi di sostituirvi appropriate Scuole superiori, anche con criteri pratici e lungimiranti25.
In realtà, indifferente alle prospettive di un riordinamento del sistema
universitario regionale che aveva ispirato il rettore dell’Ateneo camerte, l’autore che si
25
Civis, La questione universitaria, «La Provincia Maceratese», XXII (7 marzo 1920), 9, pp. 1-2.
210
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
celava dietro lo pseudonimo Civis26 si mostrava preoccupato solo della realtà
maceratese («per Macerata nostra»), per la quale prospettava, in luogo di quella che egli
liquidava come la «sua inutile Facoltà di Legge, male in gamba», una vera e propria
Scuola superiore di Lingue straniere o «Facoltà di Filologia moderna» di nuova
impostazione, destinata a promuovere la conoscenza delle lingue slave e orientali e a
proporsi come un laboratorio culturale per ampliare l’influenza politica e i rapporti
commerciali con i paesi dell’area balcanica e del vicino oriente:
Per Macerata nostra – scriveva l’articolista de «La Provincia Maceratese» –, in luogo della sua
inutile Facoltà di Legge, male in gamba, persistiamo nel caldeggiare la Scuola superiore di Lingue
straniere – unica del genere in Italia, dove questi studi così importanti sono stati finora trascuratissimi,
deficientissimi e in parte senza quasi possibilità. Basti dire che le sole lingue che si insegnano, sono le
solite lingue maggiori: francese, inglese e tedesco, e in qualche scuola lo spagnolo. Il greco, il turco,
l’arabo e tutta l’importante famiglia delle lingue slave, una parte delle quali si parla all’altra sponda
adriatica e ai nostri attuali confini, e dentro i confini stessi, sono come non esistessero!27.
Un giudizio indubbiamente più complesso e articolato venne formulato, nei
riguardi del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto
dal rettore Giovanni Gallerani, dagli organi di governo dell’Ateneo maceratese. A
questo proposito, nell’adunanza del 9 aprile 1920, la commissione amministrativa del
Consorzio universitario maceratese affidò ai professori Giovanni Lorenzoni e Lodovico
Zdekauer l’incarico di formulare un’organica valutazione del progetto, la quale
comunque, come espressamente richiesto dal prof. Alberto Zorli, rappresentante
designato dall’Università a far parte del Consorzio, avrebbe dovuto esplicitamente
ribadire il «primato» che occorreva riconoscere all’Ateneo maceratese in quanto «unico
ateneo regio» della regione, e l’assoluta impraticabilità di ogni ipotesi destinata ad
alienare da Macerata la sua storica Facoltà di Giurisprudenza:
L’Università di Macerata – precisava fra l’altro Zorli – è Ente di Stato regolato da convenzione
recente (6 Ottobre che ha durata sino al 1931) e che da secoli alimenta una scuola di diritto mai venuta
26
Dietro lo pseudonimo Civis si celava il fondatore e direttore de «La Provincia Maceratese» Domenico
Spadoni, il quale, alcuni anni più tardi (D. Spadoni, Il problema universitario nelle Marche, cit., pp. 3-4),
avrebbe rivendicato la paternità di tale intervento. Al riguardo, si veda anche la documentazione
conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1931-1940,
b. 3475.
27
Civis, La questione universitaria, cit., p. 2.
211
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
meno alle sue alte tradizioni, che intende mantenere e sempre più elevare, e non può in alcun modo venire
modificata da ulteriori riforme sostanziali28.
In realtà, a fronte della rigida posizione assunta da Alberto Zorli, l’atteggiamento
manifestato dagli enti locali direttamente coinvolti e dagli organi di governo degli atenei
di Macerata, Camerino e Urbino fu quello di un’adesione di massima alle linee generali
del progetto di riordinamento e della disponibilità al confronto. Un atteggiamento
attendista e improntato alla massima prudenza, dunque, al quale facevano da
contrappunto sia il pieno sostegno all’iniziativa espresso dai parlamentari marchigiani,
persuasi dell’ineluttabilità di un diverso assetto delle università operanti nella regione,
sia l’altrettanto convinto appoggio all’iniziativa intrapresa dal rettore Gallerani da parte
dei presidenti delle Deputazioni provinciali di Ancona e di Ascoli Piceno, ovvero delle
due province marchigiane prive di istituti universitari, i quali, pur non essendo stati
interpellati e direttamente coinvolti nel confronto, avevano voluto comunque
manifestare la loro piena adesione ai nuovi scenari delineati dal progetto.
Allo scopo di ottenere il sostegno del ministero e degli ambienti parlamentari
alla sua iniziativa, lo stesso Gallerani aveva giudicato opportuno illustrare le sue
proposte a diversi esponenti della disciolta Commissione Reale, ottenendone la piena
adesione29.
Alla luce di tali premesse, il 23 agosto 1920 il Consiglio provinciale di Macerata
dava mandato alla locale Deputazione di convocare un’assemblea dei rappresentanti dei
consigli provinciali delle Marche, della quale avrebbero fatto parte anche i parlamentari
della regione, per avviare il vero e proprio confronto sulle soluzioni operative da
adottare; nel contempo, istituiva una commissione consiliare incaricata di predisporre la
bozza della delibera da sottoporre al voto della stessa assemblea regionale30. La
commissione, costituita dai consiglieri Micciani, Galanti, Cola, Ciotti e Gallerani, si
riunì il 18 ottobre dello stesso anno e mise a punto un testo articolato in due soli punti:
«1. Federazione delle tre Università marchigiane in un’unica circoscrizione accademica
(interprovinciale) togliendo duplicati e triplicati e distribuendone le diverse facoltà nelle
tre Università; 2. Istituzione di tre Scuole Superiori di Commercio in Ancona, di
28
Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 9 aprile 1920, in ASMc,
Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546.
29
Si veda al riguardo la documentazione conservata in ASCa, Università, Riordinamento degli studi
superiori delle Marche, b. 390.
30
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 23 agosto 1920, in Atti del Consiglio provinciale
di Macerata: anno 1920, cit., p. 175.
212
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Agricoltura in Pesaro, di Industria nella Provincia di Ascoli». Testo, quest’ultimo, che
avrebbe dovuto essere approvato nel successivo Consiglio provinciale, chiamato anche
a stabilire la data di convocazione dell’assemblea regionale31.
Nei mesi seguenti, tuttavia, i timori dell’Ateneo maceratese di essere costretto a
rinunciare alla Facoltà di Giurisprudenza e le più generali riserve manifestate da quello
urbinate nei confronti di un riordinamento che rischiava di risolversi in un mero
ridimensionamento della propria offerta formativa senza reali contropartite erano
destinati a far slittare più volte la convocazione dell’assemblea regionale e, con essa,
l’approdo alla fase decisionale vera e propria riguardo ai tempi e alle modalità di
attuazione del progetto Gallerani.
Il 14 novembre 1920, a questo proposito, inaugurando solennemente il nuovo
anno accademico, il rettore dell’Università di Macerata Pio Barsanti ribadiva la
posizione di cauta disponibilità già manifestata in precedenza dal suo Ateneo, non
mancando tuttavia di sottolineare che qualsivoglia modifica e «ampliamento degli studi
universitarii» a livello regionale avrebbe potuto compiersi solo a patto («fermo però il
pensiero») che a Macerata rimanesse «e ampliata, se vuolsi, la Facoltà di
giurisprudenza»32.
Due giorni dopo, il 16 novembre, inaugurando a sua volta il nuovo anno
accademico all’Università di Camerino, il rettore Gallerani provava a rilanciare la sua
proposta, non mancando di rilevare, di fronte alle rigide condizioni poste dall’Ateneo
maceratese e, ancor di più, al vero e proprio silenzio dietro al quale si era trincerato
quello di Urbino, come occorresse andare al di là dei pur comprensibili interessi locali e
porsi nella prospettiva di una soluzione in grado di soddisfare l’indispensabile opera di
razionalizzazione dell’istruzione superiore e universitaria da più parti invocata: «Orbene
– egli concludeva –, un’opera di altissima importanza è a noi riserbata, e il mio progetto
appunto è ispirato anche a questo ideale patriottico. La confederazione universitaria
suddetta, oltreché riuscirebbe a garantire la vita prospera e dignitosa dei nostri gloriosi
Istituti, apporterebbe un altro immenso vantaggio d’ordine morale patriottico,
nazionale»33. E quasi a rimarcare le grandi difficoltà che la sua iniziativa incontrava, il
31
Sui lavori della commissione si veda la documentazione conservata in ASCa, Università,
Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390.
32
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1920-1921. Relazione del Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella
cerimonia inaugurale del 14 novembre 1920, ANNUARIO (1921), p. 13.
33
Relazione sull’anno accademico 1919-1920 del Magnifico Rettore Professore Comm. Giovanni
Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1920-1921, in Annuario della Università degli Studi
di Camerino. Anno accademico 1920-1921, Camerino, Tip. Mercuri-Miconi, 1921, pp. 20-23.
213
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
rettore dell’Ateneo camerte richiamava il celebre passo delle Satire oraziane: «Nihil
sine magno vita labore dedit mortalibus»34.
L’avvento di Benedetto Croce alla guida del ministero della Pubblica Istruzione,
all’indomani della costituzione del quinto governo Giolitti, nel giugno 192035, portò di
fatto al temporaneo accantonamento del progetto di Riordinamento degli Studi superiori
nelle Marche predisposto dal rettore Gallerani, stante lo scarso interesse manifestato dal
nuovo titolare della Minerva nei confronti dell’iniziativa36 e stante, soprattutto,
l’annuncio da lui fatto della presentazione, a breve, di un disegno di legge ministeriale
«sull’autonomia universitaria» e sulla riorganizzazione degli atenei italiani destinato a
rimettere in discussione gli assetti vigenti e ad introdurre nuove regole in materia37.
Lo stesso Croce, alcuni mesi più tardi, avrebbe manifestato tutta la sua
avversione nei riguardi delle università minori, pur mostrandosi scettico riguardo alla
possibilità di giungere in tempi brevi, e in forza di un provvedimento di legge, alla loro
abolizione. Il 26 gennaio 1921, a questo riguardo, rispondendo ad una serie di
interpellanze parlamentari, tra cui quella del senatore Leonardo Bianchi e di altri che
sollecitavano l’immediata soppressione degli atenei minori38, il ministro della Pubblica
Istruzione affermava:
Anche l’altra questione del decentramento dell’amministrazione universitaria, accennata dal
senatore Maragliano, e quella delle condizioni delle Università minori, su di che ha parlato l’onor.
Bianchi, sono state oggetto di provvidenza da parte mia, coadiuvato da una Commissione di tre valenti
insegnanti universitari, che conoscevano tutto il materiale di studi e di proposte accumulato in proposito.
[…] Dunque presso il Ministero del Tesoro (che forse chiederà modificazioni su alcuni particolari
finanziari), è già in esame un altro mio disegno di legge, che chiamerò, tanto per intenderci, e sebbene la
parola abbia dato luogo in passato a molte critiche, «dell’autonomia universitaria». L’onor. Bianchi,
ricordato il grave peso che recano al bilancio le Università minori poco frequentate, e l’impedimento che
fanno al miglioramento delle maggiori, mi ha esortato: – Sopprimetele! –. E’ presto detto. Credo anch’io
34
Ibidem, p. 24.
Sulle scelte operate da Benedetto Croce in qualità di ministro della Pubblica Istruzione si vedano: R.
Fornaca, Benedetto Croce e la politica scolastica in Italia nel 1920-1921, Roma, Armando, 1968; e G.
Tognon, Benedetto Croce alla Minerva. La politica scolastica italiana tra Caporetto e la marcia su
Roma, Brescia, La Scuola, 1990, pp. 318-589. Di notevole interesse è anche B. Croce, Discorsi
parlamentari, a cura di M. Maggi, Bologna, Il Mulino, 2002.
36
Si vedano le note redatte dallo stesso rettore Gallerani riguardo allo scarso interesse registrato in ambito
ministeriale s.d. (ma 1920), in ASCa, Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b.
390.
37
Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 403-423.
38
AP, Senato del Regno, Sessione 1921, Discussioni, Risposta all’interpellanza del senatore Maragliano
sulla politica scolastica del Governo nei riguardi dell’istruzione pubblica, tornata del 26 gennaio 1921.
35
214
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
che converrebbe sopprimerle, e non solo per ragioni di economia, ma anche di serietà scientifica, non
essendo possibile che un paese come l’Italia fornisca tanti insegnanti superiori, degni del nome, quanti ne
richiederebbe il numero eccessivo delle sue Università39.
Pur intimamente persuaso che l’esistenza delle università minori rappresentasse
non solamente un inutile spreco di risorse, ma anche la più eloquente testimonianza
della scarsa «serietà scientifica» che caratterizzava il sistema universitario italiano,
Benedetto Croce, come si è accennato sopra, si mostrava tuttavia poco propenso a
ripetere gli errori commessi in passato dai fautori della loro soppressione, preferendo
adottare una strategia di lento e progressivo indebolimento di simili strutture, tale da
costringerle, «condotte dai fatti stessi», a «domandare la loro trasformazione in scuole o
Istituti meglio adatti ai bisogni locali»:
Ma che il sopprimere le Università minori, prendendole di fronte, sia cosa quasi disperata per
ragioni politiche, è venuto a confessarlo lo stesso onorevole Bianchi, col raccontare come il ministro
Martini fosse tutto lieto di aver presentato il disegno di legge di soppressione e come poi dovesse ritirarlo.
Io non voglio battere di nuovo a una porta che si sa che non si aprirà: non voglio, col ripetere questi
tentativi, mostrarmi tutt’insieme ingenuo e avventato. Ma, se si darà una certa forma di autonomia alle
Università, e, come nel mio disegno, si stabilirà che esse possano sotto certe condizioni trasformarsi in
altri Istituti, si vedrà forse, dopo alcuni anni, le Università minori condotte dai fatti stessi a domandare la
loro trasformazione in scuole o Istituti meglio adatti ai bisogni locali. In altri termini, non ci sarà bisogno
di ammazzarle: esse avranno la loro «euthanasia», la loro dolce morte40.
Destinata, com’è noto, a non avere seguito, come testimonia il fatto che il più
volte richiamato disegno di legge sull’autonomia universitaria non sarebbe mai stato
presentato41, la minaccia formulata dal ministro della Pubblica Istruzione suscitò, com’è
comprensibile, un vero e proprio allarme negli ambienti maceratesi e marchigiani,
specie a seguito della diffusione di una serie di indiscrezioni riguardo ai contenuti e alle
misure previste dall’annunciato provvedimento di riforma. Ancora una volta fu «La
Provincia Maceratese» a «lanciare un grido d’allarme per la nostra Università»,
sollecitando non solamente le autorità accademiche, ma anche le istituzioni locali a
porre in essere quei «cambiamenti» che apparivano ormai «urgenti e indispensabili», in
39
B. Croce, Discorsi parlamentari, cit., pp. 119-120.
Ibidem, p. 121.
41
F. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 416.
40
215
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
assenza dei quali si sarebbe corso il rischio di giungere in breve tempo alla definitiva
soppressione dell’Università di Macerata senza ottenere alcuna contropartita:
Il Ministero della P. Istruzione conoscenza – si affermava in un articolo pubblicato il 27 febbraio
1921 – ha fatto approntare un progetto di legge per l’autonomia universitaria, evidentemente ispirato alle
attuali ristrettezze finanziarie dello Stato e che, se approvato, segnerebbe la fine del nostro Ateneo.
Secondo tale progetto infatti le Università dovrebbero per proprio conto provvedere allo stipendio dei
professori mediante il provento delle tasse scolastiche che il Governo all’uopo loro lascerebbe,
limitandosi esso per l’avvenire a conservare l’onere delle spese amministrative e degli assegni agli istituti
universitari. […] Giungerà il porto il progetto di legge nell’autonomia universitaria? Non sappiamo.
Certo, se in Italia fosse un Governo provvido e di polso, le Università, come tutta l’amministrazione dello
Stato, nelle attuali difficilissime sue condizioni finanziarie, non dovrebbero rimanere quali sono tuttora,
mentre urge imperiosamente sfrondare quanto è d’inutile o non necessario.
Merita di essere rilevato, comunque, che il «grido d’allarme» de «La Provincia
Maceratese», lungi dal risolversi in una sorta di difesa d’ufficio dell’Ateneo maceratese
e in un appello affinché esso fosse conservato quale era, e semmai ulteriormente
accresciuto e potenziato, assumeva nel prosieguo i toni e le caratteristiche di una vera e
propria requisitoria nei riguardi della locale Facoltà di Giurisprudenza, giudicata
obsoleta e inefficiente per più motivi, nonché scarsamente funzionale alla crescita
economica e produttiva del territorio maceratese e alle peculiari esigenze del locale
mercato del lavoro.
Recuperando e rilanciando una proposta già sostenuta un anno prima, l’anonimo
estensore dell’articolo, tornava a sollecitare la rapida chiusura della «vetusta Facoltà
giuridica», in luogo della quale l’Ateneo maceratese avrebbe dovuto dotarsi di un
«Istituto superiore di lingue straniere o Facoltà di Filologia moderna» impostata in
modo totalmente differente rispetto a quelle già esistenti nella penisola e specializzata
nell’insegnamento delle lingue slave e orientali, la quale, oltre a configurarsi come assai
più rispondente «alle attuali necessità civili», era resa opportuna «dalle favorevoli
condizioni del momento e dalla tradizione stessa della provincia nostra, dove più che
insigni giuristi han veduto la luce filologi insigni da Annibal Caro al Leopardi, dal
gesuita Matteo Ricci al gesuita Luigi Lanzi»42.
E’ tutt’altro che semplice valutare il grado di consenso riscontrato da tale presa
di posizione nell’opinione pubblica locale e verificare se essa rifletteva esclusivamente
42
Civis, Un grido d’allarme per la nostra Università, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 febbraio
1921), 8, pp. 1-2.
216
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
il punto di vista dell’autore, una sorta di «vox clamantis in deserto», come si accennava
nell’articolo, o se, viceversa, essa fosse l’espressione di determinati ambienti culturali e
politici maceratesi, come la sua pubblicazione sulle colonne de «La Provincia
Maceratese» lascerebbe ipotizzare. Quel che è certo è che la netta contrarietà nei
riguardi del mantenimento della Facoltà di Giurisprudenza e la richiesta di un radicale
ripensamento della tradizionale offerta formativa dell’Università di Macerata erano
destinati, nelle settimane seguenti, a trovare ulteriori consensi.
Alla fine di marzo di quello stesso anno, infatti, sempre sulle pagine de «La
Provincia Maceratese», il consigliere comunale socialista Concetto Machella si faceva a
sua volta sostenitore della proposta di abolizione della Facoltà di Giurisprudenza, la
quale avrebbe dovuto essere sostituita, com’egli scriveva, da un Istituto Superiore di
Agricoltura dotato di moderni laboratori scientifici e di attrezzature sperimentali in
grado di fornire un contributo incisivo all’ammodernamento e allo sviluppo delle
imprese rurali della regione e di formare una nuova generazione di tecnici e di
specialisti nell’innovazione agricola43.
In polemica con le «estemporanee e sterili proposte» lanciate dalle colonne de
«La Provincia Maceratese»44 prendeva posizione, nei mesi seguenti, l’altro periodico
della provincia di Macerata, il settimanale «Chienti e Potenza», il quale esortava le
istituzioni universitarie e gli amministratori locali a riprendere il confronto sul progetto
di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore Gallerani,
cercando di giungere in tempi brevi alla sua attuazione45.
In realtà, nelle sedi istituzionali deputate si tornò a parlare del progetto Gallerani
solo in occasione dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 14 marzo
192246, allorché sulla delibera relativa ai finanziamenti annuali da assegnare alle due
università di Macerata e Camerino si aprì un vivace dibattito, nel corso del quale molti
degli intervenuti sottolinearono la necessità di giungere al più presto alla convocazione
– costantemente rinviata per tutto il corso dell’anno precedente – della già ricordata
assemblea di tutti i consigli provinciali della regione, la quale avrebbe dovuto approvare
43
C. Machella, Per la nostra Università, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 marzo 1921), 12, pp. 1-2.
In polemica con la proposta di Machella interveniva nuovamente Civis, Per la nostra Università, «La
Provincia Maceratese», XXIII (3 aprile 1921), 13, p. 1, che sollevava talune perplessità riguardo alla
possibile realizzazione di tale progetto.
44
Cfr. Il problema universitario di Camerino, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 novembre 1921), n.
41.
45
Cfr. L’Università degli studi, «Chienti e Potenza», XXXVI (9 gennaio 1922), 1, pp. 1-2.
46
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di
Macerata: anno 1922, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1923, pp. 23-33.
217
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
in via definitiva il piano di riordinamento del sistema universitario marchigiano e
determinarne i criteri e le modalità di attuazione47.
Nel momento in cui, sia pure dopo avere accumulato un enorme ritardo, si
trattava di dare il via alla convocazione per giungere entro breve ad una decisione
definitiva, in seno al Consiglio provinciale iniziavano a manifestarsi una serie di
perplessità e riserve riguardo all’attuazione del progetto di Riordinamento degli Studi
superiori nelle Marche. Intervenendo nell’adunanza del 14 marzo 1922, ad esempio, il
consigliere Milziade Cola, già sindaco del capoluogo provinciale e per lunghi anni, dal
1901 al 1914, autorevole membro della commissione amministrativa del Consorzio
universitario maceratese, palesava i suoi dubbi riguardo all’opportunità di dare seguito
al progetto Gallerani, sottolineando come esso, pur presentando molteplici aspetti
positivi, stanti le forti ristrettezze economiche in cui versavano sia lo Stato sia gli enti
locali, non aveva nessuna possibilità di essere attuato:
I tempi – notava il consigliere Cola – sono mutati. Una volta si poteva forse intravedere una
possibilità di realizzazione. Ora le spese di impianto sono enormemente aumentate: occorrerebbe un
contributo dello Stato per molte centinaia di migliaia di lire: ma lo Stato – è risaputo – non dà nulla. In
tali condizioni, è possibile sperare nell’attuazione di tale progetto?48.
Nel prosieguo del suo intervento, dopo avere ribadito a più riprese come gli enti
locali maceratesi, e gli stessi atenei della provincia si fossero prodigati fin dalla
presentazione del progetto Gallerani per una sua rapida attuazione, Milziade Cola
attribuiva la responsabilità del notevole ritardo accumulato sul piano decisionale
all’atteggiamento di netta chiusura costantemente tenuto dall’Università di Urbino, il
cui prolungato silenzio sull’iniziativa dimostrava eloquentemente il suo scarso interesse
ad aderire alla federazione tra gli atenei marchigiani e, soprattutto, a rimettere in
discussione i suoi assetti e la sua offerta formativa.
A conferma dell’atteggiamento decisamente contrario al progetto assunto
dell’Ateneo urbinate, Cola faceva riferimento ad un vero e proprio veto posto sul
47
Sulle posizioni emerse nel corso del dibattito consiliare si vedano gli ampi resoconti forniti dalla
stampa locale: Consiglio provinciale, «La Provincia Maceratese», XXIV (18 marzo 1922), 9, p. 3; e La
questione Università Marchigiana al Consiglio Provinciale, «Chienti e Potenza», XXXVI (1 aprile
1922), 7, p. 2. Il Consiglio provinciale di Macerata tornò ad occuparsi del progetto Gallerani anche nelle
successive adunanze del 14 marzo e del 31 maggio 1922. Si vedano i relativi verbali in Atti del Consiglio
provinciale di Macerata: anno 1922, cit., pp. 26-33 e 39-49.
48
Verbale del’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di
Macerata: anno 1922, cit., pp. 23-24.
218
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
progetto Gallerani da quell’Università e fatto pervenire alla commissione tecnica
istituita dalla Provincia di Macerata il 18 dicembre 1921. In realtà, di documenti
ufficiali attestanti un simile veto (note rettorali, delibere degli organi di governo
dell’ateneo, verbali ecc.) non è stata rinvenuta traccia di alcun tipo49, anche se non può
escludersi a priori che l’opposizione al progetto da parte dell’Università di Urbino sia
stata manifestata in occasione di riunioni o colloqui di carattere informale.
L’impressione di fondo tuttavia è che, a prescindere dall’esistenza o meno di un
veto da parte dell’Ateneo urbinate, dietro la decisa presa di posizione di Milziade Cola
ci fosse la comune volontà dell’università e delle amministrazioni locali maceratesi di
addivenire ad una sorta di revisione e di ridimensionamento del progetto di
Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche, il quale, così com’era formulato,
presentava il rischio per i due atenei della provincia, e in primis per quello di Macerata,
di vedere stravolta la loro tradizionale offerta formativa senza peraltro – stante
l’effettiva mancanza di risorse finanziarie da destinare all’uopo – ottenere concrete
forme di compensazione attraverso l’istituzione di nuove facoltà e di ulteriori corsi di
laurea50.
Non a caso, nella parte conclusiva del suo intervento in Consiglio provinciale,
Cola aveva proposto di prendere atto della rinuncia a far parte della federazione degli
atenei marchigiani da parte di Urbino e di riformulare il progetto a suo tempo messo a
punto dal rettore Giovanni Gallerani con esclusivo riferimento alle due università che
operavano nel territorio provinciale, ossia Macerata e Camerino. E che la posizione di
Milziade Cola fosse tutt’altro che isolata o estemporanea è testimoniato dalla decisione
assunta a maggioranza dal Consiglio provinciale di Macerata, al termine dell’adunanza
del 14 marzo 1922, di non deliberare nulla rispetto alla convocazione della più volte
ricordata assemblea di tutti i consigli provinciali della regione, la quale avrebbe dovuto
49
Di tale delibera non si fa cenno neppure in F. Marra, L. Schirollo (a cura di), Relazioni dei rettori e
discorsi inaugurali dei docenti nella Libera università degli studi di Urbino, 1864-1946, 3 vol., Urbino,
Università degli studi di Urbino, 1997.
50
Non a caso, subodorando le riserve anche di Macerata, oltre che di Urbino, Il 20 maggio 1922 il
periodico camerte «In cammino», che fin da principio aveva sostenuto a spada tratta il progetto Gallerani,
attribuiva in un duro e polemico articolo la responsabilità della débacle «alle altre università marchigiane
e agli enti della regione», senza fare però alcun riferimento specifico all’ateneo urbinate. Si veda
Questioni universitarie, «In cammino», II (20 maggio 1922), 11, pp. 1-2. Nei mesi precedenti, del resto,
con riferimento proprio all’atteggiamento costantemente tenuto in Consiglio provinciale da Milziade Cola
nei riguardi del progetto Gallerani, «La Provincia Maceratese» aveva parlato di «acido campanilismo»,
denunciando l’ambiguo atteggiamento di Cola e la sua esclusiva preoccupazione per il futuro dell’ateneo
maceratese. Cfr. Il problema universitario di Camerino, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 novembre
1921), 41, pp. 1-2.
219
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
approvare in via definitiva il piano di riordinamento del sistema universitario
marchigiano e determinarne i criteri e le modalità di attuazione51.
Nei mesi seguenti, in un quadro caratterizzato ormai dal probabile rischio di un
rinvio sine die della prospettiva di un riordinamento del sistema universitario regionale,
fu proprio Giovanni Gallerani a rilanciare il suo progetto, sia pure in una versione
profondamente modificata, e a cercare di coagulare attorno ad esso non solamente il
consenso della Provincia e dell’Università di Macerata, ma anche quello degli ambienti
professionali e degli enti locali anconetani che, fino a quel momento, erano rimasti ai
margini della discussione.
Il 18 luglio 1922, rispondendo all’on. Gustavo Fornari, che a nome
dell’Associazione Pro-Camerino gli aveva sottoposto un articolato memoriale
contenente una serie di proposte di riordinamento della Libera Università di Camerino
in grado di assicurarne il rilancio, il rettore Gallerani si mostrava persuaso che, di fronte
alle insormontabili difficoltà incontrate dal suo progetto di una riforma a livello
regionale del sistema universitario, occorresse ripiegare realisticamente su ipotesi più
circoscritte ma concretamente percorribili. Al riguardo, la soluzione più funzionale,
come si legge nella risposta inviata all’on. Fornari, era quella che prevedeva il
mantenimento a Camerino della Facoltà di Medicina con il relativo corso di laurea
quadriennale, l’istituzione di un corso laurea in Chimica-farmaceutica, «conservando il
diploma in Farmacia», l’abolizione della Scuola di Veterinaria e, soprattutto, della
locale Facoltà di Giurisprudenza, i cui docenti attualmente in servizio avrebbero potuto
essere assorbiti dalla vicina Università di Macerata «quale corrispettivo del beneficio
che essa trarrebbe dalla soppressione della nostra facoltà di Giurisprudenza»52.
Una proposta, come si vede, destinata indubbiamente a ridistribuire in modo
razionale le facoltà e i corsi di laurea presenti sul territorio provinciale e a ridisegnare
l’offerta formativa dei due atenei evitando inutili doppioni e puntando alla costituzione
di un polo esclusivamente medico-scientifico a Camerino e di un unico polo giuridico a
Macerata. Una proposta, si potrebbe aggiungere, volta a superare definitivamente tanto
le perplessità e i timori manifestati nelle settimane precedenti nel Consiglio provinciale
di Macerata, quanto il rigido atteggiamento da sempre tenuto dall’ateneo del capoluogo
51
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di
Macerata: anno 1922, cit., pp. 27-28.
52
Sia il memoriale predisposto dall’on. Gustavo Fornari (Brevi cenni sulle condizioni finanziarie e per il
riordinamento della Libera Università degli studi di Camerino), sia la lettera di risposta inviata dal rettore
Giovanni Gallerani il 18 luglio 1922 sono conservati in ASCa., Università, Riordinamento degli studi
superiori delle Marche, b. 913.
220
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
provinciale nei riguardi di una possibile rinuncia alla facoltà giuridica. E tuttavia,
affinché il progetto ottenesse i più larghi consensi e divenisse praticabile anche senza il
coinvolgimento degli enti locali e dell’Università di Urbino, era necessario, a detta di
Gallerani, che esso suscitasse l’interesse dell’opinione pubblica e dell’amministrazione
del capoluogo regionale, ovvero di Ancona, da sempre favorevole alla creazione di un
proprio insediamento universitario.
Si spiega alla luce di tali valutazioni l’ulteriore proposta formulata due mesi più
tardi dallo stesso Gallerani, la quale, lungi dal rimettere in discussione il progetto
definito a luglio, ne costituiva viceversa l’opportuna integrazione per favorire la
convergenza su di esso dei più larghi e autorevoli consensi in ambito regionale. In
occasione del Congresso medico-chirurgico marchigiano, tenutosi ad Ancona dall’11 al
13 settembre 1922, il rettore dell’Università di Camerino presentò una relazione dal
titolo Riforma degli Istituti superiori nelle Marche, nella quale ripropose le linee di
fondo del suo nuovo piano concernente il riordino degli atenei di Camerino e Macerata,
aggiungendovi però una piccola ma estremamente significativa variazione, relativa
proprio agli studi di Medicina.
In sostanza, il nuovo prospetto di ridistribuzione delle facoltà e dei corsi di
laurea predisposto per l’occasione da Gallerani prevedeva che l’Ateneo camerte
conservasse la Facoltà di Medicina e il corso quadriennale che consentiva il
conseguimento della relativa laurea, ma che una parte dei corsi e delle attività legate alla
formazione dei futuri medici potessero essere collocate nelle strutture sanitarie
(ospedale, manicomio ecc.) del capoluogo marchigiano:
A completamento degli studi di Medicina – affermava al riguardo Gallerani –, se si dovessero
mantenere i primi 4 anni a Camerino, che ha il diritto di laurea, potrebbero istituirsi per ora qui in
Ancona, corsi di cliniche, prestandosi la presenza di un grande e ben dotato Ospedale, del Manicomio
splendido e assai frequentato e di un Ospedale per bambini53.
La proposta di Riforma degli Istituti superiori nelle Marche presentata dal
rettore Gallerani al Congresso medico-chirurgico di Ancona era destinata a suscitare
notevoli consensi54, tanto che da parte delle amministrazioni provinciali e locali di
53
G. Gallerani, Riforma degli Istituti superiori nelle Marche, in Atti del Congresso medico chirurgico
marchigiano. Ancona, 11-13 settembre 1922, pubblicati per cura dei professori A. D’Alessandro e R.
Fua, Ancona, Stab. Tip. Cooperativo, 1922, p. 16.
54
Si vedano, ad esempio, gli articoli pubblicati sul foglio locale «Chienti e Potenza», il 21 ottobre e il 6
novembre 1922.
221
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Ancona e di Macerata fu espresso un voto unanime affinché fosse costituita al più presto
una commissione ad hoc incaricata di predisporre un piano operativo per l’attuazione
del progetto di riordinamento dei due atenei che operavano nel territorio maceratese.
Tale commissione, in realtà, dopo avere avviato una serie di riunioni preliminari tra la
fine del 1922 e i primi mesi dell’anno seguente55, deliberò di sospendere i suoi lavori a
seguito dell’annuncio che, da parte del ministero della Pubblica Istruzione, alla cui
guida – all’indomani della costituzione del governo presieduto da Benito Mussolini – si
era insediato Giovanni Gentile, si stava predisponendo un provvedimento di riforma
della scuola che avrebbe interessato anche gli studi superiori e universitari e dettato
norme specifiche riguardo all’ordinamento degli atenei italiani56.
L’avvento di Giovanni Gentile alla Minerva e i suoi primi pronunciamenti in
favore di una drastica riduzione delle sedi universitarie da realizzare attraverso la
soppressione degli atenei minori, suscitarono, com’è comprensibile, crescenti
preoccupazioni nell’ambiente maceratese e marchigiano, tanto più che, come affermava
il ministro inaugurando nell’autunno del 1922 la nuova sessione del Consiglio Superiore
della Pubblica Istruzione, il «sentimento generale e unitario della nazione» imponeva
una svolta necessaria e urgente su tale versante, e a nulla sarebbe valso il far riferimento
o l’appellarsi a «secoli di tradizioni, buone e cattive, ma tutte legate con la vecchia vita
regionale dell’Italia divisa e serva perché divisa» per cercare di ostacolare una simile
svolta57.
Non sorprende, a questo proposito, che in occasione dell’inaugurazione
dell’anno accademico 1922-1923, tanto il rettore della Libera Università di Camerino,
Giovanni Gallerani, quanto quello dell’Ateneo maceratese, Pio Barsanti, manifestassero
il più vivo allarme riguardo all’atteggiamento assunto dal nuovo titolare della Pubblica
Istruzione e alla portata dei provvedimenti di riforma dell’università da lui annunciati 58.
55
Per quel che concerne l’operato di tale commissione si vedano i verbali conservati in ASMc, Archivio
comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474.
56
Cfr. G. Gentile, Il Fascismo al governo della scuola (novembre ’22-aprile ’24). Discorsi e interviste
raccolti e ordinati da Ferruccio E. Boffi, Palermo, Sandron, 1924, pp. 19-24. Sull’avvento di Giovanni
Gentile alla guida del ministero della Pubblica Istruzione e sui suoi primi interventi in materia di
riordinamento delle università si veda E. Signori, Università e fascismo, in Brizzi, Del Negro, Romano (a
cura di), Storia delle Università in Italia, cit., pp. 381-384.
57
Discorso di S.E. il ministro professor Giovanni Gentile all’inaugurazione della sessione del Consiglio
superiore della Pubblica istruzione, BUMPI (1922), II, pp. 2181-2185.
58
Cfr. Relazione sull’anno accademico 1921-1922 del magnifico rettore Professore Comm. Giovanni
Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1922-1923, «Annuario della Università degli Studi
di Camerino», 1923, pp. 19-22; e Inaugurazione dell’Anno Accademico 1922-1923. Relazione del Rettore
Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1922, ANNUARIO (1923), pp. 1314.
222
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Allarme condiviso dall’amministrazione comunale e dal dinamico sindaco di
Macerata Ettore Ricci, il quale, preoccupato che si arrivasse a breve alla soppressione
dell’Ateneo cittadino, decise di ricorrere direttamente al ministro della Pubblica
Istruzione, facendogli pervenire un memoriale riservato tramite l’autorevole deputato
del Partito popolare di don Sturzo, Umberto Tupini, eletto nel collegio marchigiano di
Ascoli-Macerata. Presentato a Gentile il 13 dicembre 192259, e successivamente dato
alle stampe con il titolo La Università Regia del Piceno. MCCXC60, il memoriale
predisposto dal sindaco Ettore Ricci conteneva – oltre ad un «Sommario storico della R.
Università di Macerata», con le date dei principali avvenimenti che avevano
caratterizzato la vita dell’Ateneo, e all’elenco delle più importanti pubblicazioni ad essa
dedicate e dei docenti che vi avevano prestato il loro insegnamento nel corso dell’ultimo
cinquantennio – un vero e proprio progetto di riforma degli studi superiori e del sistema
universitario nelle Marche, il quale, recependo talune delle proposte formulate dal
rettore Gallerani e quelle avanzate negli anni precedenti da alcuni studiosi maceratesi 61,
mirava non solamente a scongiurare l’eventuale minacciata soppressione dell’Ateneo
maceratese, ma anche a rilanciarne l’iniziativa, facendone il perno del riordinamento del
sistema universitario marchigiano:
Fidenti nella spirituale bontà e giustizia della causa – si affermava in apertura del documento –,
abbiamo fatto, oggi, pervenire ed illustrare all’attuale moderatore della Pubblica Istruzione nel nostro
Paese, all’illustre professore senatore Giovanni Gentile, il disegno schematico di estensione e riforma
degli studi superiori da noi. Esso è il frutto del lungo studio e dell’intenso lavoro di uomini, che tutti
chiamiamo maestri. […] Questo grande amore possa anche contribuire, nella sua modestia, alla vita,
all’avvenire, alla gloria d’un Istituto più che sei volte secolare, cui è legato non indifferentemente, nei
puri campi dello spirito e dello studio, il nome delle Marche dinanzi alla grande Patria comune,
all’Italia62.
Con riferimento all’originario progetto di Riordinamento degli Studi superiori
nelle Marche e alla più recente proposta di Riforma degli Istituti superiori nelle
Marche, entrambi predisposti dal già più volte ricordato rettore dell’Università Libera di
Camerino Giovanni Gallerani, il memoriale inviato a Giovanni Gentile dal sindaco di
59
Si veda la ricostruzione offerta in La Università Regia del Piceno, «L’Unione», XXIII (9 maggio
1923), 19, pp. 1-2.
60
Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, Macerata, Stab. Tip. Affede, 1923.
61
Si vedano l’ampio materiale raccolto per la predisposizione del memoriale e una copia manoscritta del
medesimo in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1931-1940,
b. 3475.
62
Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit., p. 3.
223
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Macerata manifestava un generico apprezzamento, pur lasciando intendere che si
trattava di iniziative le quali, ancorché guardate con «profondo senso di rispetto» e «con
serena simpatia», apparivano ben lungi dal corrispondere alle effettive attese ed ai
bisogni propri dell’antico e glorioso ateneo regio e della stessa comunità cittadina:
Macerata e il suo Studio – veniva sottolineato al riguardo – non hanno mai avuto intenzione, né
colto occasione per prendere posizione contro questi disegni di riforma degli Studii superiori nella
Regione, perché tutti rispettavano i loro diritti e i loro istituti, sei volte secolari, e per il profondo senso di
rispetto e fratellanza regionale, cui Città e Università hanno sempre inspirato ogni loro atto; anzi, hanno
considerato e studiato tali disegni con serena simpatia e piena lealtà63.
E tuttavia, ben altra era l’ambizione che da tempo nutrivano la città di Macerata
e il suo Studio, quella di vedere affiancato all’antica e prestigiosa facoltà giuridica anche
un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la conoscenza e la penetrazione del
Levante, dalle coste orientali Adriatiche (Dalmato-Epirote) al Mar di Levante, al mare
Eritreo, alla Somalia-Benadir». Quest’ultima, lungi dal riproporre il tradizionale
modello delle facoltà universitarie di lingue straniere già attive nella penisola, avrebbe
dovuto essere impostata sulla base di un’organizzazione degli studi del tutto originale,
al fine di caratterizzarsi come una «scuola viva, richiesta dai tempi, dalla necessità
assoluta, per gli Italiani, specie del versante Adriatico-medio (di cui il Piceno, con la
articolazione costiera del Cònero è il centro geografico vero), di espansione o
penetrazione, ad un tempo culturale o spirituale e commerciale, nel Levante prossimo,
Europeo (balcanico), Asiatico (pontico anatolico, ecc.), Africano (libico-eritreosomalo)»; un vero e proprio «centro di irradiazione verso il Levante», ma anche un
«centro di attrazione dal Levante» in grado di valorizzare il ruolo di anello di
congiunzione tra Europa occidentale e orientale e di collegamento tra i paesi delle
diverse sponde dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale da secoli esercitato dalle
Marche64. Infine, una volta realizzato il potenziamento degli studi giuridico-economici
(la Facoltà di Giurisprudenza) e la creazione ex novo di un secondo polo didatticoscientifico incentrato sulle lingue e sulle culture dell’Europa balcanica e delle aree
medio-orientale e africana, l’Ateneo maceratese avrebbe potuto costituirsi come
«Università Regia del Piceno», divenendo di fatto un vero e proprio ateneo regionale, al
63
64
Ibidem, p. 4.
Ibidem, pp. 11-12.
224
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
di là della realizzazione o meno delle ipotizzate federazioni e aggregazioni con le
università libere esistenti sul territorio marchigiano65.
Nel memoriale trasmesso nel dicembre 1922 dal sindaco di Macerata Ettore
Ricci al ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, accanto alla descrizione
particolareggiata dell’organizzazione amministrativa, delle strutture didattiche e
scientifiche e delle risorse umane che avrebbero dovuto caratterizzare la prospettata
«Università Regia del Piceno»66, era presentato un altrettanto analitico piano
economico-finanziario, in base al quale le risorse annuali necessarie a garantire una
«dignitosa esistenza» al
nuovo
polo
universitario
maceratese
ammontavano
complessivamente a circa 350.000 lire. Tale cifra sarebbe stata ripartita tra lo Stato – la
cui quota parte sarebbe rimasta invariata rispetto a quella assegnata all’Università di
Macerata nell’anno accademico 1921-1922 per la copertura degli emolumenti al
personale docente e non docente, ovvero 188.000 lire – e un complesso di enti e istituti
di carattere pubblico e privato operanti sul territorio regionale, i quali, attraverso quote
differenziate, si sarebbero fatti carico ogni anno delle rimanenti 162.000 lire. Tra questi
ultimi, destinati a «beneficiare a vario titolo» e in diverso modo del nuovo assetto
organizzativo e scientifico-didattico conferito all’Università di Macerata, il memoriale
fatto pervenire al ministro Gentile annoverava:
Il Comune di Macerata, la Provincia di Macerata e il Consorzio in primo luogo; le altre 3
provincie Marchigiane, in virtù dei reciproci aiuti che si dovrebbero dare per le Università libere di
Camerino e di Urbino (anche esse da rinnovare), in secondo luogo; i Comuni della Provincia di Macerata,
in terzo luogo; gli Istituti di Credito, fiorentissimi in Macerata e Provincia, le Camere di Commercio della
Regione, altri enti interessati ed i privati, infine.
L’«Università Regia del Piceno», costituita quale polo universitario statale delle
Marche in virtù del riordinamento e sviluppo dell’antico Ateneo maceratese, sarebbe
stata dunque sostenuta economicamente in larga misura dagli enti e dalle istituzioni del
territorio regionale destinati a beneficiare in larga misura della sua presenza e del suo
operato. Lo Stato, oltre a continuare ad erogare il finanziamento annuo attribuito fino a
quel momento all’Università di Macerata, avrebbe dovuto fornire alla rinnovata
istituzione a forte vocazione internazionale un «aiuto morale» consistente in pratica
nell’agevolare i necessari soggiorni di studio all’estero agli studenti, garantendo loro la
65
66
Ibidem, pp. 9-10.
Ibidem, pp. 13-21.
225
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
possibilità di essere ospitati «a titolo gratuito, per le traversate e i viaggi marittimi, sulle
Regie Navi, che si recano, per servizi statali, nei suddetti paesi e negli scali levantini; e
farli accettare ad egual titolo […] sulle navi delle Compagnie marittime Nazionali
sovvenzionate»67.
Un simile progetto, come sottolineava nella parte conclusiva del memoriale fatto
pervenire al ministro della Pubblica Istruzione il sindaco di Macerata Ettore Ricci,
presentava indubbi vantaggi e nessuna evidente controindicazione:
1. utilissimo, per la Collettività nazionale, che deve rivolgere, per la sua vita prossima avvenire,
necessariamente, le più fattive e giovani delle sue energie al Levante Mediterraneo ed Eritreo;
2. di facile attuazione, sotto l’aspetto finanziario, per virtù dei contributi locali o regionali;
3. di nessun aggravio per lo Stato68.
Come si è già ricordato, a perorare la causa dell’Università di Macerata presso il
ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile fu l’on. Umberto Tupini. Il
ministro, in una lettera inviata allo stesso Tupini il 2 gennaio 1923 diede ampie
assicurazioni circa la sua volontà di tenere in debito conto la proposta e di farla «oggetto
di accurato esame il giorno in cui dovrò accingermi allo studio della riforma delle
Università e degli studi universitari»69.
In quelle stesse settimane, al fine di scongiurare un’eventuale soppressione e di
bloccare ogni proposta di trasformazione o declassamento dell’Ateneo maceratese da
parte del ministero della Pubblica Istruzione, d’intesa con la commissione
amministrativa del Consorzio universitario70, anche il rettore Pio Barsanti predispose un
proprio Memoriale volto a documentare l’operato dell’Università di Macerata e
l’elevata qualità scientifica dell’insegnamento in esso impartito, contenente una serie di
motivazioni atte a dimostrare l’importanza e la validità scientifica dell’Ateneo che,
proprio alla luce delle dettagliate spiegazioni offerte nel Memoriale, era meritevole di
sopravvivere anche negli anni futuri. Nel documento, che il 20 gennaio fece pervenire a
Giovanni Gentile, il rettore precisava, tra l’altro:
67
Ibidem, pp. 22-23.
Ibidem, pp. 23-24.
69
Si veda la lettera inviata dal ministro Giovanni Gentile all’on. Umberto Tupini, datata 2 gennaio 1923,
in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474.
70
Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 4 gennaio 1923, in ASMc,
Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546.
68
226
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Da più e diverse parti anche autorevoli, raccolgo la voce che questo Ateneo Maceratese corra
pericolo di essere soppresso; e tale voce è accreditata da un lato dall’accampato proposito di un nuovo
ordinamento degli studi universitari, e dall’altro dalla urgente necessità di provvedere al deficit del
bilancio dello Stato mediante i pieni poteri, di cui ora è investito il Governo. A presentare alla Vostra
Superiore Autorità le ragioni che a suo avviso militano a favore della conservazione di questa Università
ne conforta la fiducia che il Governo stesso prima di risolvere un tale problema desideri e voglia avere
presenti tutte le considerazioni che si possono addurre in proposito.
Per contrastare le argomentazioni dei sostenitori di un’eventuale soppressione
del piccolo ateneo marchigiano, il rettore Barsanti indicava quattro diverse «ragioni»
che, a suo avviso, giustificavano e, anzi, rendevano opportuno non solamente il
mantenimento in vita, ma addirittura la valorizzazione e il potenziamento di
un’Università come quella di Macerata. Vi era innanzi tutto una motivazione legata alla
storia, ovvero al vetusto e glorioso passato dell’Ateneo, la quale finiva per riflettersi
sulla stessa «psicologia collettiva», dal momento che una sua eventuale soppressione
avrebbe suscitato, di fatto, una sorta di trauma nelle popolazioni maceratesi e
marchigiane, le quali si sarebbero sentite «fortemente menomate nella loro vita civile
perdendo il massimo Istituto d’istruzione e vedendo d’un tratto messi nel nulla, insieme
coi molti e gravi sacrifici fatti per secoli per il mantenimento e la prosperità del loro
Ateneo, i benefici di cultura che da esso derivano».
Alle «ragioni storiche», Pio Barsanti faceva seguire i rilievi di carattere
«giuridico», in base ai quali, egli notava, con un’eventuale soppressione dell’Ateneo
quando era ancora in vigore la Convenzione a suo tempo sottoscritta dallo Stato con gli
enti locali maceratesi, la quale sarebbe giunta alla sua naturale scadenza solo nel 1930,
si sarebbe perpetrata un’incomprensibile e del tutto ingiustificata illegittimità, alla quale
né l’ateneo né gli enti sottoscrittori della Convenzione, fra l’altro ratificata dal voto
parlamentare e sancita da un regio decreto, avrebbero potuto sottostare pacificamente,
senza cioè opporre legittimo ricorso.
A questo proposito, il rettore dell’Ateneo poneva abilmente una serie di quesiti
circa le eventuali conseguenze legali di un provvedimento che dai più sarebbe stato
riguardato, senz’alcun dubbio, come un vero e proprio «atto d’imperio», difficilmente
giustificabile sotto il profilo giuridico:
Lo Stato – scriveva Barsanti – non verrebbe così a ferire il principio su cui si fondano le
convenzioni annullando di un tratto un patto liberamente da esso assunto? E se anche ciò facesse per atto
227
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
d’imperio, non sussisterebbe forse il diritto di indennizzo per inadempimento dell’obbligo assuntosi? E
inoltre non rimarrebbe allo Stato l’obbligo di restituire all’Università tutto quanto il patrimonio ad essa
spettante che fu in altri tempi incamerato?71.
Nel prosieguo, il Memoriale inviato al ministro della Pubblica Istruzione Gentile
si soffermava su quelle che il rettore Barsanti indicava come le «ragioni morali» in base
alle quali si rendeva opportuno salvaguardare e, anzi, sostenere con ulteriori mezzi e
risorse l’esistenza e l’operato dell’Università di Macerata: in primo luogo il fatto che
essa costituiva l’unico ateneo regio delle Marche e delle regioni adriatiche centromeridionali, collocato in una posizione centrale all’interno della regione e prossimo ad
uno sbocco marittimo strategico per i rapporti con i Balcani e con i paesi del bacino
mediorientale72.
In secondo luogo, veniva posto l’accento sulle condizioni ottimali di studio
offerte dall’università marchigiana, una sede tranquilla nella quale non era dato di
riscontrare l’affollamento dei grandi atenei e, di conseguenza, la vera e propria
spersonalizzazione dei rapporti tra professori e studenti caratteristica delle sedi
universitarie maggiori; un ateneo, quello maceratese, da sempre caratterizzato
dall’approdo, in qualità di docenti, di giovani studiosi di alto profilo, provenienti dalle
migliori scuole di diritto della penisola, che nella sede marchigiana facevano il loro
tirocinio accademico con entusiasmo, dedicando particolare attenzione sia allo studio
sia all’attività didattica e alla formazione scientifica e professionale degli allievi:
In riguardo agli insegnanti – precisava il rettore Barsanti – essa [l’Università di Macerata]
costituì e costituisce ancora un vivaio di professori che qui iniziano la loro carriera di scrittori e di
docenti, lavorando senza distrazioni per la scienza e per la scuola; e più tardi, dopo un tale preparazione,
portano altrove in centri più larghi il frutto del loro sapere e delle loro attitudini scientifiche e didattiche.
[…] E nel riguardo dei discepoli essa, sia per disciplina, sia per il profitto, nulla lasciò e lascia desiderare;
71
[P. Barsanti], Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, in ASMc, Archivio comunale,
cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474.
72
Anche nel Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione redatto da Pio Barsanti veniva,
dunque, sottolineata, come già nel progetto di riordinamento delle università marchigiane predisposto nel
1919 dal rettore Giovanni Gallerani, la necessità di stabilire un diretto collegamento con le popolazioni
dell’altra sponda dell’Adriatico. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che in quello stesso periodo
l’Università di Macerata fu invitata a partecipare alle riunioni romane del neonato Istituto
interuniversitario italiano, il quale, presieduto dallo stesso Giovanni Gentile, si proponeva di «costituire
corsi di cultura superiore per stranieri in Italia, di coordinare quelli già esistenti, di promuovere all’Estero
la conoscenza della nostra attività accademica e in genere culturale, infine di facilitare anche con Borse di
studio la iscrizione e la frequenza di studenti stranieri nelle nostre Scuole Superiori e nelle Università».
Sulla partecipazione dell’ateneo maceratese all’attività dell’Istituto si veda la documentazione conservata
in ASMc, Università, Miscellanea, Istituto interuniversitario italiano, b. 713.
228
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
il loro profitto sarebbe facile dimostrare, mettendo in rilievo la posizione sociale dei giovani che in questo
Ateneo istruiti e educati hanno saputo più tardi prendere nelle professioni e nei pubblici uffici.
Tra le ragioni di natura «economica» che, a detta del rettore dell’Università di
Macerata, avrebbero dovuto persuadere definitivamente il ministero della Pubblica
Istruzione riguardo alla bontà del progetto vi era, infine, la totale assenza di ulteriori
oneri a carico dello Stato73.
L’11 febbraio 1923, poche settimane dopo l’invio da parte del prof. Pio Barsanti
del sopra ricordato Memoriale al ministro Gentile (20 gennaio), si tenne l’annunciata
assemblea dei rappresentanti degli enti locali e degli atenei della regione marchigiana
convocata dalla commissione istituita in occasione del Congresso medico-chirurgico
svoltosi ad Ancona nel settembre dell’anno precedente per discutere della proposta di
riordinamento degli studi superiori nelle Marche avanzata dal rettore dell’Ateneo
camerte Giovanni Gallerani. Nel corso dell’incontro, al quale avevano aderito anche i
parlamentari eletti nei collegi della regione, lo stesso Gallerani sollecitò i presenti ad
abbandonare
ogni
remora
e
a
procedere
speditamente
sulla
via
dell’autoregolamentazione e dell’adozione di misure di riordinamento condivise e
ispirate a criteri di salvaguardia e di valorizzazione delle peculiarità regionali,
anticipando i provvedimenti di riforma universitaria annunciati dal governo, i quali, egli
notava, rischiavano di penalizzare duramente il sistema d’istruzione superiore
marchigiano. Di fronte ai rischi insiti in un riordinamento ispirato da criteri
essenzialmente economicistici e dettato dall’alto, egli sottolineava,
le Marche debbono trovarsi preparate per mantenere vive le tradizioni dei propri centri di cultura
e per svilupparli secondo le necessità, abolendo le facoltà duplicate o triplicate nella regione e
completando quelle mancanti.
Proprio la questione del destino delle facoltà e dei corsi di laurea presenti in
diverse sedi universitarie avrebbe suscitato una vivace discussione tra i partecipanti
all’assemblea e fatto emergere indirizzi e atteggiamenti invero poco conciliabili, stante
la strenua difesa degli interessi locali e provinciali operata dai rappresentanti delle
amministrazioni provinciali e cittadine e dei rispettivi atenei. Tant’è che, a fronte della
riproposizione da parte del rettore Gallerani delle linee del progetto di riordinamento già
73
Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, cit.
229
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
a suo tempo presentato al Congresso medico-chirurgico di Ancona del settembre 1922,
l’assemblea si concluse senza l’approvazione di alcun provvedimento, ma con la sola
deliberazione di costituire una commissione di 7 membri (4 rappresentanti dei consigli
provinciali e 3 scelti tra i corpi accademici degli atenei della regione) alla quale venne
assegnato il compito di predisporre un nuovo piano di riordinamento e di valorizzazione
del sistema universitario marchigiano74.
Ancora una volta, dunque, i tentativi di approdare ad una soluzione condivisa tra
atenei ed enti locali per un riordinamento degli assetti universitari regionali erano
destinati ad essere vanificati. A Macerata, peraltro, le notizie relative all’imminente varo
di una serie di drastici provvedimenti nei riguardi delle università minori da parte del
ministro Gentile avrebbero rinfocolato le polemiche e riacceso i timori circa l’eventuale
soppressione dell’Ateneo maceratese. A lanciare l’allarme, questa volta, fu il periodico
maceratese «L’Unione», sulle cui pagine trovarono accoglienza una serie di articoli
dedicati alla questione universitaria, il primo, intitolato Per la R. Università di
Macerata e firmato con uno pseudonimo, vide la luce nel maggio 1923.
In esso, l’autore ripercorreva le vicissitudini che avevano contrassegnato la
vicenda dell’Ateneo maceratese nella fase postunitaria, sottolineando come, a fronte
della vera e propria latitanza e dello sprezzante disinteresse costantemente manifestati
dal governo centrale, l’Università aveva potuto sopravvivere e continuare a svolgere la
sua preziosa attività scientifica e formativa in virtù del costante e decisivo apporto degli
enti locali. Di qui la necessità, a detta dell’articolista de «L’Unione», che gli stessi enti
locali si facessero promotori di una vigorosa iniziativa nei riguardi del ministero della
Pubblica Istruzione e dello stesso governo nazionale, sollecitando quell’attenzione e
quel sostegno che, anche a causa dell’oggettiva debolezza da sempre manifestata dalle
classi dirigenti locali, in passato erano sempre mancati:
Oggi il problema conviene affrontarlo energicamente. Il primo magistrato della città ha l’obbligo
di chiamare i cittadini di ogni partito per escogitare i mezzi che occorrono per la salvezza dell’istituto più
grande e più onorifico che la città vanti. Conviene indagare il pensiero del Ministro della Pubblica
Istruzione e prospettargli anche la convenienza di istituire in Macerata una completa Università. Non
bisogna farsi piccoli, troppo piccoli, come purtroppo è il vezzo dei dirigenti maceratesi!75.
74
Cfr. La riforma degli Studi superiori nelle Marche, «Chienti e Potenza», XXXVII (23 febbraio 1923),
5, pp. 1-2.
75
Civis, Per la R. Università di Macerata, «L’Unione», XXIII (23 maggio 1923), 21, p. 1.
230
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Nelle settimane seguenti.
«L’Unione» tornava nuovamente a parlare
dell’Università di Macerata, questa volta pubblicando due articoli, uno nel fascicolo del
6 e l’altro in quello del 20 giugno, entrambi firmati dal prof. Alberto Zorli, ordinario di
Scienza delle finanze e decano dell’Ateneo. Nel primo dei due articoli, Zorli poneva
l’accento sulla condizione di estrema precarietà che da sempre caratterizzava l’operato
delle università minori in Italia, fornendo una serie di ragioni che, a suo avviso,
rendevano non solo auspicabile, ma anche per certi versi necessario assicurarne la
stabilità e garantire il loro effettivo sviluppo. Tali atenei, notava in primo luogo lo
studioso, gravavano solo assai parzialmente sull’erario che, sovente, come nel caso
maceratese, elargiva un contributo economico di gran lunga inferiore al valore dei beni
incamerati nel corso degli anni. Essi, inoltre, ubicati generalmente nei piccoli centri,
dove il costo della vita era assai più contenuto che nelle grandi città, rendevano
possibile anche alle famiglie meno abbienti di far continuare gli studi ai propri figli fino
al raggiungimento del traguardo della laurea per i migliori di loro, operando come un
formidabile strumento di riequilibrio delle possibilità di carriera e di ascesa sociale per
la gioventù più dotata proveniente dai ceti meno abbienti, la quale peraltro trovava nelle
piccole città di provincia un ambiente tranquillo e particolarmente adatto per lo studio,
lontano cioè dalle innumerevoli distrazioni dei grandi centri.
Infine, sottolineava ancora Alberto Zorli, occorreva tenere presente che gli
atenei di provincia come quello Macerata rappresentavano un vero e proprio
«semenzaio dei professori», un luogo cioè dove gli studenti potevano ricevere una
formazione rigorosa da parte di docenti giovani ed entusiasti, all’inizio della propria
carriera, la cui passione ancora intatta per lo studio e per la ricerca scientifica era
destinata inevitabilmente a riverberarsi nella didattica e nella cura degli allievi, con
indubbi vantaggi ai fini di una formazione universitaria delle giovani generazioni
all’insegna del rigore e della qualità76.
Nell’altro
articolo
apparso
su
«L’Unione»
il
20
giugno
1923,
e
significativamente intitolato Per la R. Università, il decano dell’Ateneo maceratese non
rinunciava, peraltro, a dire la sua riguardo alla ventilata ipotesi di soppressione, da parte
del governo, delle università minori, sottolineando come, in un quadro segnato dalla
necessità di apportare tagli consistenti alle spese per la pubblica amministrazione, non
c’era da dubitare che l’Università di Macerata, stante la sua peculiare caratterizzazione
76
A. Zorli, La questione universitaria, «L’Unione», XXIII (6 giugno 1923), 23, p. 1.
231
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
di istituto dotato di una sola facoltà, sarebbe stata tra quelle che rischiavano la
«chiusura» vera e propria o, nella migliore delle ipotesi, il declassamento a «libera
università», a totale carico dei privati.
Oltre a ribadire la sua totale contrarietà nei riguardi di un provvedimento
ministeriale che, come già ribadito nell’articolo precedente, rischiava di danneggiare
fortemente il sistema universitario nazionale, senza peraltro apportare effettivi vantaggi
al pubblico erario, Alberto Zorli manifestava forti perplessità nei riguardi del già
ricordato progetto, sottoposto nel dicembre 1922 al ministro Gentile dal sindaco di
Macerata Ettore Ricci, di istituire presso l’Università di Macerata, accanto alla già
esistente Facoltà giuridica, anche un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la
conoscenza e la penetrazione del Levante, dalle coste orientali Adriatiche (DalmatoEpirote) al Mar di Levante, al mare Eritreo, alla Somalia-Benadir»77.
Apprezzabile in se stessa e sostenuta da solide argomentazioni culturali e
politiche, come riconosceva lo stesso Zorli, la proposta avanzata dal sindaco di
Macerata al ministro della Pubblica Istruzione aveva, tuttavia, il limite di essere
intempestiva e gravemente inopportuna, ovvero di giungere nel momento in cui non di
potenziamento delle facoltà universitarie si discuteva, ma della soppressione delle sedi
minori, nonché di fornire solidi argomenti a tutti coloro che intendevano rimettere in
discussione l’esistente, ossia la Facoltà di Giurisprudenza e il regime convenzionale in
vigore che vedeva lo Stato coinvolto assieme agli enti locali a sostegno della «Regia
Università di Macerata». Sotto questo profilo, precisava il decano dell’Ateneo, ancorché
affascinante e d’indubbio valore in senso astratto, l’ipotesi dell’«Istituto Levantino»
rischiava di rivelarsi «un coltello a due tagli» in quanto se per certi versi poteva
determinare il potenziamento e il vero e proprio rilancio dell’Università Macerata, per
altri rischiava di mettere in crisi l’intero sistema universitario maceratese e, in
particolare, di subordinare l’eventuale sopravvivenza della Facoltà giuridica alla
costituzione del nuovo Istituto o, peggio ancora, di porre quest’ultimo in alternativa
all’esistenza della prima:
Se il Governo rispondesse: conservo in tutti i modi l’Università di Macerata rispettando l’attuale
convenzione, ed invito le Autorità ed Enti locali di credito a formulare un progetto concreto per attuare
l’Istituto Levantino, ciò vorrebbe dire che il progetto Ricci ha pesato sulla bilancia del Governo per
conservare l’Università. Ma, ripeto, se mettesse come condizione alla conservazione dell’Università il
77
Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit., pp. 11-12.
232
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
sorgere o affermarsi di detto Istituto, sarebbe un grave pericolo pel nostro maggiore Istituto, essendo
difficile, in poco tempo od in un limite fissato dal Governo, attuare detto progetto78.
Nella conclusione del suo articolo, comunque, Alberto Zorli non mancava di
manifestare un cauto ottimismo riguardo all’effettiva natura degli annunciati
provvedimenti di riforma del governo relativi all’istruzione superiore e, in particolare,
all’ipotesi da più parti ventilata della immediata soppressione delle università minori. Al
riguardo, il decano dell’Ateneo maceratese richiamava il discorso tenuto poche
settimane prima, il 1° giugno 192379, all’Università di Padova da Benito Mussolini, nel
corso del quale il presidente del Consiglio, pur senza entrare nei contenuti specifici
dell’imminente riforma della scuola e dell’università, aveva lanciato segnali rassicuranti
al mondo accademico italiano:
Il Governo, che ho l’onore di rappresentare – aveva affermato Mussolini –, ha in sommo
apprezzamento le Università. Il Governo conta sulle Università, perché anche le Università sono dei punti
fermi e gloriosi nella vita dei popoli. […] Il Governo farà tutto il possibile per le Università italiane. Il
Governo comprende la loro enorme importanza storica, rispetta le loro nobilissime tradizioni, vuole
portarle all’altezza delle necessità moderne. […] Come potrebbe un Governo di combattenti avere in
dispregio le Università? Ciò sarebbe non solo assurdo ma delittuoso80.
Ed invero, le rassicurazioni fornite dal capo del governo a Padova erano
destinate a trovare conferma nel provvedimento sulla riforma universitaria emanato,
qualche mese più tardi, dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile il quale,
lungi dal procedere alla soppressione tout court delle università minori e dei piccoli
atenei di provincia, procedeva, com’è noto, ad un organico e incisivo riassetto
dell’istruzione superiore nella penisola. Con il R.D. 30 settembre 1923, n. 210281,
infatti, il ministro poneva mano al riordinamento del sistema universitario, introducendo
78
A. Zorli, Per la R. Università, «L’Unione», XXIII (20 giugno 1923), 25, pp. 1-2.
Nell’articolo Alberto Zorli datava erroneamente il discorso pronunciato da Mussolini a Padova al 1°
maggio 1923. In realtà l’intervento del capo del governo di fronte agli studenti e al corpo docente
dell’ateneo patavino si tenne il 1° giugno 1923, in occasione dell’inaugurazione della Fiera campionaria.
80
Il discorso è pubblicato in Scritti e discorsi di Benito Mussolini. L’inizio della nuova politica (28
ottobre 1922 I - 31 dicembre 1923 II E.F.), Milano, Hoepli, 1934, 3 voll., III, pp. 105-108.
81
R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento dell’istruzione superiore, in GU, 11 ottobre 1923, n.
239; edito anche in «Leggi e decreti», 7 (1923), p. 6028 e ss.
79
233
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
profonde modifiche agli istituti e alle norme vigenti e ridefinendo caratteristiche e
finalità dell’istruzione superiore e della formazione universitaria82.
Per quello che qui interessa, merita di essere ricordato che la riforma del 1923,
pur confermando l’assetto policentrico del sistema universitario nazionale, introduceva
una sorta di gerarchia tra gli atenei della penisola, suddividendo le università sulla base
di tre distinte tipologie corrispondenti alla natura del contributo finanziario ad esse
assegnato annualmente dallo Stato. A questo riguardo, tra le università statali di tipo A,
interamente a carico del bilancio dello Stato, erano annoverate quelle di Bologna,
Cagliari, Genova, Napoli, Padova, Palermo, Pavia, Pisa, Roma e Torino, nonché la
Scuola di Architettura di Roma; tra le università statali di tipo B, solo in parte sostenute
finanziariamente dallo Stato, e per il cui sostentamento avrebbero dovuto essere
stipulate apposite convenzioni economiche tra il governo e gli enti locali, erano
collocate quelle di Catania, Firenze, Macerata, Messina, Milano, Modena, Parma,
Sassari, Siena e la neo costituita Università di Bari83, nonché la Scuola di Chimica
industriale di Bologna, la Scuola di Ingegneria navale di Genova e le Scuole di
Ingegneria di Milano e di Torino84; in ultimo, tra gli atenei di tipo C figuravano le
cosiddette «università libere», ovvero le istituzioni di carattere privato (nel
provvedimento predisposto da Gentile vi figuravano gli atenei di Camerino, Ferrara,
Perugia85 e Urbino86), per le quali non era previsto l’intervento finanziario statale, e che,
82
Sulla riforma universitaria predisposta da Giovanni Gentile si vedano: M. Ostenc, La scuola italiana
durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981; G. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da
Gentile a Bottai: appunti e discussioni, in Porciani (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i
modelli europei e il caso italiano, cit., pp. 313-377; M.C. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione
dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Roma, Studium, 1992; Colao, La libertà di
insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia
(1848-1923), cit., pp. 428-488; M. Moretti, Scuola e università nei documenti parlamentari gentiliani, in
Senato della Repubblica, Giovanni Gentile, filosofo italiano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 77108; Signori, Università e fascismo, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in
Italia, cit., pp. 381-423.
83
Sulle origini e i primi sviluppi dell’Università di Bari si veda ora E. Bosna, Storia dell’Università di
Bari, Bari, Cacucci, 2000.
84
Nell’elenco erano comprese anche le neonate Università degli Studi di Firenze e di Milano che, di fatto,
furono attivate rispettivamente il 1° ottobre 1924, dalle ceneri dell’Istituto di studi superiori di Firenze, e
il 28 agosto 1924. Cfr. S. Rogari, Università degli Studi di Firenze, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura
di), Storia delle Università in Italia, cit., III, pp. 183-192; N. Del Corno, Università degli Studi di Milano,
ivi, pp. 425-434.
85
L’Università di Perugia fu annoverata tra gli atenei di tipo B in virtù del R.D. 29 ottobre 1925. Cfr. C.
Frova, Università degli Studi di Perugia, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle
Università in Italia, cit., III, pp. 133-164.
86
A questi quattro atenei liberi si sarebbe aggiunta, di lì a poco, anche l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, che ottenne il riconoscimento giuridico grazie al R.D. 2 ottobre 1924. Cfr. G. Rumi,
Padre Gemelli e l’Università Cattolica, «Storia contemporanea», 2 (1971), 4, pp. 875-903; M. Bocci,
L’Università Cattolica: il progetto di padre Gemelli, «Annali di storia moderna e contemporanea», 8
234
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
ai sensi dell’art. 112 del R.D. 30 settembre 1923, potevano essere soppresse qualora
«l’insegnamento in esse impartito non [fosse] sostanzialmente informato al rispetto
delle istituzioni e dei principi che governano l’ordine sociale dello Stato»87.
Al riguardo, se era senz’altro vero che il testo della riforma universitaria varato
nel 1923 smentiva tutte le ipotesi formulate nei mesi precedenti di una drastica e
repentina riduzione del numero degli atenei italiani attraverso la soppressione di quelli
minori e di quelle sedi che non disponevano di tutte le facoltà, era altrettanto vero che la
collocazione nella fascia B di una parte significativa delle università più piccole e
decentrate poneva non pochi problemi in ordine al loro futuro sostentamento economico
e alla possibilità di integrare con risorse locali il limitato contributo messo a
disposizione annualmente dallo Stato.
Sotto questo profilo, la scelta operata dal ministro Gentile di recuperare,
accentuandola, la distinzione già introdotta da Carlo Matteucci all’indomani dell’Unità
tra atenei di prima e di seconda classe88, lungi dal rappresentare una vera e propria
inversione di tendenza rispetto alla linea abolizionista più volte sostenuta in passato dal
gruppo neoidealista, si limitava opportunisticamente a creare le condizioni affinché i
piccoli atenei s’incamminassero autonomamente verso un lento, quanto inesorabile
declino. Non era questa, del resto, la soluzione che aveva auspicato, qualche anno
prima, l’allora ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce, allorché, come ha
ricordato Floriana Colao, si era detto convinto che occorresse creare le condizioni per
addivenire ad una vera e propria «eutanasia» degli atenei minori?89.
E che tale fosse la strategia ministeriale, lo lasciava intendere lo stesso Gentile,
allorché, presentando nel novembre 1923 di fronte al Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione le linee del provvedimento di riforma universitaria, così si esprimeva: «Io
non ho soppresso per decisioni violente, che avrebbe suscitato la ribellione di legittimi
sentimenti locali, nessuna università. Ma quelle [le Università di Stato] ho divise in due
classi: università a carico dello Stato, e università al cui mantenimento lo Stato concorre
con un contributo»90.
(2002), pp. 9-30; e i contributi raccolti in M. Bocci (a cura di), Storia dell'Università cattolica del Sacro
Cuore. VI. Agostino Gemelli e il suo tempo, Milano, Vita e Pensiero, 2009.
87
Cfr. R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, Ordinamento dell’istruzione superiore, art. 112.
88
Cfr. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), cit., pp. 240263.
89
Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per
l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 461.
90
G. Gentile, La riforma della scuola. Discorso tenuto il 15 novembre 1923 al Consiglio Superiore della
P.I., Bari, Laterza, 1924, p. 28. Lo stesso Gentile, qualche anno più tardi, avrebbe ribadito che uno dei
235
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
La linea del lento e costante ridimensionamento per mancanza di risorse fino
all’inevitabile soppressione che aveva ispirato l’atteggiamento di Benedetto Croce e che
sembrava ora caratterizzare la riforma universitaria di Giovanni Gentile, con il suo
richiamo all’«interesse generale degli studi», in virtù del quale era giocoforza ridurre il
numero degli atenei e qualificare ulteriormente quei pochi che apparivano in grado di
rilanciare l’istruzione superiore e di porre le basi per «un ordinamento saldo, razionale e
coerente, indirizzato al rinvigorimento del pensiero, del carattere e della cultura
italiana»91, era destinata, tuttavia, a trovare un formidabile ostacolo nell’atteggiamento
delle amministrazioni locali e delle élites urbane, tutt’altro che disponibili – come nel
caso di Macerata – ad assecondare la logica della lenta «eutanasia» dei rispettivi atenei,
la cui sopravvivenza veniva riguardata come essenziale non solamente per ragioni di
prestigio e di salvaguardia dell’identità e delle tradizioni culturali cittadine, ma anche ai
fini del mantenimento dei notevoli vantaggi economici che la presenza dell’istituzione
universitaria assicurava alle rispettive sedi.
Non a caso, le disposizioni ministeriali relative alla caratterizzazione degli atenei
di tipo B, ossia quelli sostenuti finanziariamente sulla base di un regime convenzionale
tra lo Stato e gli enti locali, apparivano particolarmente rigorose e, come lo stesso
Gentile raccomandava al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, si rendeva
indispensabile che gli
schemi di convenzione proposti dai relativi atenei
all’approvazione del governo fossero autenticamente rispondenti ai «fini dell’istruzione
superiore»92. Il R.D. 30 settembre 1923, infatti, sanciva l’obbligatorietà per le università
annoverate nel gruppo B di presentare, entro il mese di febbraio del 1924, lo schema
dello statuto che intendevano adottare e un allegato piano finanziario adeguato al
raggiungimento dei fini prefissi. Qualora gli atenei non avessero stipulato in tempo utile
la relativa convenzione per il loro sostentamento, o nel caso tale convenzione si fosse
rivelata carente e non avesse ottenuto la «superiore approvazione», si sarebbe proceduto
automaticamente alla loro soppressione93.
principali obiettivi dei provvedimenti emanati nel quadro della riforma universitaria del 1923 era quello
di ridurre drasticamente il numero degli atenei: «Ero persuaso e sono persuaso – egli affermava – che
troppe siano le Università italiane, troppe sopra tutto in quanto uniformi, incapaci di adempiere ciascuna
un ufficio diverso» (G. Gentile, La riforma scolastica (Discorso pronunciato al Senato il 5 febbraio
1925), «Levana», IV (1925), 1, p. 2).
91
Lettera di Benedetto Croce sulla riforma Gentile, «Levana», II (1923), 6, p. 588. Si veda anche B.
Croce, La riforma scolastica in pericolo, «Il Giornale d’Italia», 3 novembre 1923, p. 1.
92
Inaugurazione della sessione estiva del Consiglio superiore, «Levana», III (1924), 3, p. 419.
93
Si vedano, al riguardo, gli artt. 99, 141 e 142 del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento
dell’istruzione superiore, cit.
236
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
La rigidità e perentorietà delle disposizioni ministeriali e i tempi indubbiamente
ristretti per porre in essere le convenzioni e uniformare le università minori ai nuovi
parametri stabiliti dalla riforma Gentile produssero, com’è noto, notevoli tensioni
all’interno del mondo accademico e, soprattutto, scatenarono nei diversi centri
universitari della penisola una vera e propria corsa contro il tempo per addivenire ad
accordi con le amministrazioni locali in grado di assicurare la sostenibilità finanziaria
dei rispettivi atenei94.
Nella piccola ma assai variegata realtà universitaria marchigiana, le reazioni alla
riforma universitaria e i provvedimenti adottati per far fronte agli obblighi imposti dal
ministero furono in larga misura differenti, stante la diversa natura e collocazione
giuridica dei tre atenei della regione. Se nel caso della Libera Università di Camerino,
ad esempio, non mancarono spaccature e polemiche interne riguardo alle scelte operate
dal rettore Giovanni Gallerani95, in quella di Macerata la strategia adottata dal neoeletto
rettore Riccardo Beniamino Bachi ebbe il costante e unanime sostegno del corpo
accademico e riuscì ad assicurare, sia pure non senza qualche difficoltà, il
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
L’11 novembre 1923, in occasione della solenne inaugurazione del nuovo anno
accademico, illustrando le linee di fondo della riforma universitaria predisposta dal
ministro Gentile, il rettore Bachi poneva l’accento, innanzitutto, sui forti timori che
avevano accompagnato, nei mesi precedenti, la stesura del provvedimento, destinato
secondo voci insistenti a sancire la soppressione dei piccoli atenei, ivi compreso quello
di Macerata:
L’anno accademico che ora sta per aprirsi – affermava il rettore Bachi – sarà veramente
memorabile nella storia del nostro Istituto come nella storia di tutte le Università italiane. […] Nella
laboriosa, lunga e non certo agevole elaborazione di questo nuovo ordinamento, sembrò in qualche istante
che la trasformazione di assetto dovesse importare la soppressione di molti fra i nostri Atenei. […]. La
riforma, nel suo definitivo concretarsi, ha seguito direttive diverse da quelle prima pensate o supposte, e
meglio conformi a quello spirito pertinace di intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno
fra i decisivi caratteri del nostro Paese. Gli Atenei, che formalmente possiamo dire minori, tutti possono
rimanere, e così può permanere questa nostra Università, e dopo le complesse vicende del passato, può
vedere aprirsi ora una nuova fase di vita, che deve essere, che sarà indubbiamente di ascesa.
94
Cfr. U.M. Miozzi, Lo sviluppo storico dell’università italiana, Firenze, Le Monnier, 1993, pp. 67-75.
Intendiamo riferirci, ad esempio, alla vivace polemica esplosa negli ultimi mesi del 1923 tra il rettore
Giovanni Gallerani e il preside della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino Eugenio Di Carlo, alla quale
diede ampio spazio il periodico locale «Chienti e Potenza» nei fascicoli del 24 novembre e dell’8 e 22
dicembre delo stesso anno.
95
237
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Se era vero peraltro, aggiungeva Bachi, che le condizioni create dalla riforma
Gentile riguardo al futuro dell’Università di Macerata apparivano sotto tutti gli aspetti
lontanissime dalle fosche previsioni circolate nei mesi precedenti, era altrettanto vero
che il contributo annuo di 150 mila lire assegnato all’Ateneo – il più basso tra quelli
erogati per le università di tipo B96 – era ben lungi dall’assicurare la copertura anche
solo parziale delle spese relative al regolare funzionamento delle strutture a alla normale
attività didattica e di ricerca:
Il nuovo ordinamento per l’istruzione superiore – il quale è stato disposto col decreto del 30
settembre, recante il numero 2102 – prevede adunque il mantenimento in vita della nostra Università con
la qualifica e i caratteri di Università di Stato. Però lo Stato – a partire dall’anno 1924-25 – concorre al
funzionamento dell’Istituto non in una cifra mobile secondo il variare delle condizioni, ma mediante un
contributo fisso, relativamente limitato, stabilito dal decreto nell’importo annuo di lire 150.000. Questo
importo è lungi dal bastare alla vita dell’Università. Il contributo dello Stato deve essere integrato da altri
elementi.
Ciò significava, in sostanza, che occorreva reperire la maggior parte delle risorse
necessarie «da enti locali, da sodalizi, da istituti, da privati», coinvolgendo tutte le
istituzioni e gli organismi del territorio disponibili in un’impresa che avrebbe dovuto
garantire non solamente la mera sopravvivenza finanziaria dell’Università, ma anche il
suo rilancio, assicurando le basi economiche per «una nuova vita dell’istituto»97.
A questo riguardo, sottolineava il rettore, era già stato costituito uno specifico
comitato al quale era stato affidato il compito di definire il fabbisogno finanziario
dell’Ateneo e di avviare con il Comune e la Provincia di Macerata «le complesse
trattative all’uopo necessarie» per giungere in tempi brevi all’approvazione di un
apposito consorzio destinato, ai sensi del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, a garantire i
finanziamenti locali per il funzionamento dell’università.
E tuttavia, aggiungeva Bachi, se si voleva realmente far compiere un salto di
qualità all’istituzione universitaria maceratese, occorreva andare oltre e avvalersi di
tutte le prerogative e degli accresciuti spazi di manovra concessi dalla riforma Gentile,
96
Il finanziamento annuo di 150.000 lire stabilito per l’Università di Macerata era, in effetti, il più basso
tra quelli stabiliti per gli Atenei del gruppo B. Il più elevato risultava quello assegnato all’Università di
Firenze, il quale ammontava a 2,4 milioni di lire l’anno.
97
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta
nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 13-14.
238
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
specie laddove, come nel caso dell’art. 79 del R.D. 30 settembre 1923, si sollecitavano i
vertici degli atenei a «promuovere qualsiasi forma di interessamento e di contribuzione
finanziaria da parte di enti e privati a favore delle Università cui sono preposti», nonché
«di coordinare le iniziative nel modo più utile ed efficace ai fini del mantenimento e
funzionamento delle Università»98.
Si trattava, in sostanza, non solamente di riannodare i fili del rapporto con gli
enti locali maceratesi, da sempre vicini e solidali nei riguardi dell’Ateneo cittadino, ma
di lanciare una più ambiziosa sfida, proiettando l’Università di Macerata bel oltre gli
stessi confini regionali e rivendicando un ruolo e una funzione scientifica e culturale
che, fino a quel momento, erano stati essenzialmente misconosciuti dagli stessi governi
nazionali. Se era vero, infatti, che l’istituzione della nuova Università di Bari99
ridefiniva in modo rilevante il potenziale bacino di utenza del piccolo Ateneo
marchigiano, che fino a quel momento aveva rappresentato di fatto l’«Università Regia
del versante Adriatico peninsulare», come testimoniavano i numerosissimi iscritti
tradizionalmente provenienti dalle regioni adriatiche centro-meridionali e, in particolare,
dalla Puglia e dalla stessa area barese100, era altrettanto vero che occorreva puntare, con
ben maggiore determinazione e sistematicità di quanto si fosse fatto fino a quel
momento, sulla funzione eminentemente sovra-regionale da sempre esercitata
dell’Università di Macerata, facendo di tale caratteristica un’autentica risorsa e mirando
a sensibilizzare le amministrazioni locali e gli enti pubblici e privati dei territori di
98
Si veda l’art. 79 del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento dell’istruzione superiore, cit.
«Agli Atenei esistenti – notava il rettore Bachi –, uno interamente nuovo si aggiunge, la Università di
Bari, la quale sorgerà in una regione da cui sono affluiti molti discepoli alle nostre Aule. In questa opera
di diffusione della cultura, non possono presentarsi malsani sentimenti di avida competizione, ma solo
delinearsi dei reciproci stimoli al migliore svolgimento dell’alto compito che ci è affidato. E così oggi la
Università Regia del medio Adriatico, invia un saluto alla nascente Università Regia dell’Adriatico
inferiore, invia alla nuova Consorella un augurio di vita feconda» (Inaugurazione dell’Anno Accademico
1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11
novembre 1923, cit. pp. 15-16).
100
«Ho fatto raccogliere dal nostro scrupoloso Ufficio di Segreteria – affermava il rettore Bachi – alcune
cifre statistiche intorno alla distribuzione della popolazione studentesca, secondo la provenienza, negli
ultimi anni anteriori alla guerra e in questi anni successivi alla deposizione delle armi. Le cifre saranno
indicate nell’Annuario e non vengono qui citate. […] Tali cifre, tradotte sotto forma di percentuali,
rivelano delle notevoli regolarità in questa distribuzione territoriale dei nostri studenti, ma mostrano
anche talune variazioni caratteristiche dal tempo anteriore al tempo posteriore alla guerra, variazioni le
cui cause potrebbe essere interessante indagare. La quantità assoluta degli studenti provenienti dalle
Marche è rimasta pressoché invariata in circa una sessantina per anno, affluenti qui dalle Provincie di
Macerata, Ancona ed Ascoli: la quota proporzionale è però salita da circa il 18 al 45% Gli Abruzzi danno
ora, così come davano prima del conflitto, all’incirca il 20% del complesso. La corrente dei nostri
discepoli proveniente dalle Puglie si è invece enormemente ridotta, ed è a questa riduzione che si deve
principalmente imputare la gran contrazione avvenuta nella massa totale: gli studenti pugliesi da circa 120
sono declinati a meno di 20 per anno: la quota proporzionale è così discesa da oltre un terzo a meno di un
decimo» (ibidem, p. 17).
99
239
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
riferimento circa l’opportunità di sostenere economicamente il «loro» ateneo, della cui
attività scientifica e di ricerca in materia giuridica ed economica, peraltro, essi
avrebbero potuto largamente avvalersi sulla base di appositi accordi e convenzioni.
Accanto alle pronte trattative svolte con le due Amministrazioni che più stretti vincoli hanno col
nostro Istituto – osservava al riguardo il rettore Bachi –, altre azioni abbiamo ritenuto di svolgere per
promuovere l’afflusso di mezzi complementari, azioni necessariamente a più lento decorso, cui si è voluto
imprimere distinti caratteri e, in parte, speciali fini, così che lo svolgimento loro non dovesse ritardare la
tempestiva stipulazione della convenzione. Io ho adoperato dianzi l’appellativo di «Università del medio
Adriatico»: riferendomi al passato potrei parlare addirittura di «Università Regia del versante Adriatico
peninsulare». […] Se i dati statistici raffigurano, come può supporsi, una nuova situazione consolidata, i
due terzi degli studenti raccolti nelle nostre Aule sarebbero dati dalle Marche e dagli Abruzzi ed
essenzialmente a noi giungerebbero dalle Provincie di Macerata, Ancona ed Ascoli e da quelle di Teramo,
Chieti ed Aquila. Il circuito topografico delimitato da queste cifre conferma pel nostro Ateneo la qualità
di Università Regia del medio Adriatico. Queste cifre statistiche sembrano additare anche il circuito
rispetto al quale dovrebbe svolgersi logicamente ed equamente la provvista dei mezzi locali per la vita del
nostro Ateneo. Sinora alla sussistenza dell’Istituto hanno contribuito solo le benemerite Amministrazioni
della Provincia e del Comune di Macerata: io penso che le altre Amministrazioni provinciali e le maggiori
Amministrazioni comunali delle Marche e degli Abruzzi dovrebbero sentire che questa Università non è
solo Maceratese, ma è organismo pertinente a entrambe le regioni.
E sull’opportunità di sfruttare al meglio i rilevanti spazi offerti dalla riforma
gentiliana per una più ampia interazione e sinergia tra le istituzioni universitarie e le
realtà economiche e produttive locali, sia pubbliche sia private, il rettore dell’Ateneo
maceratese aggiungeva:
Il nuovo decreto, come dianzi notavo, prevede che i mezzi di origine locale non provengano solo
da enti di diritto pubblico: con uno stimolante richiamo, al sostegno pecuniario delle Università si
ammette in via ordinaria anche il contributo privato. Le nostre due regioni albergano Istituti di credito
cospicui i quali dovrebbero accogliere l’invito: essi dovrebbero sentire che la diffusione della coltura
giuridica e della coltura economica, che noi curiamo, è, in varia guisa, fattore diretto e indiretto di
incremento degli affari ed è, quel che è ancor più, strumento per la formazione di un personale capace per
l'opera bancaria. L'invito è diretto dalla nuova legge anche ai privati singoli: le nostre due regioni
ospitano cittadini facoltosi i quali dovrebbero sentire il dovere di fare sorgere anche qui quella nobile
tradizione che già si è formata in altri paesi d’Italia e che è così estesa e feconda nel mondo Americano e
nel mondo Britannico, per cui gli ottimati devolvono parte non piccola della loro dovizia a creare o dotare
240
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Istituti di alta cultura, a stabilire nuove cattedre, nuovi laboratori, a promuovere particolari indagini
scientifiche101.
L’esigenza di ripensare il ruolo e le forme di presenza e di interazione con i
territori di riferimento e con le amministrazioni locali da parte dell’Università di
Macerata si poneva in modo stringente, a detta del rettore Bachi, non solamente in virtù
delle nuove prospettive di riordinamento del sistema universitario nazionale introdotte
dalla riforma Gentile, ma anche – e soprattutto – a seguito dei profondi mutamenti che
le vicende belliche e la gravissima crisi economica che aveva investito il paese
nell’immediato dopoguerra avevano prodotto sulle condizioni di vita e sui costumi
sociali e civili delle popolazioni. In sostanza, a fronte di trasformazioni che Bachi non
esitava a definire «epocali», l’università italiana nel suo complesso, e i piccoli atenei in
modo particolare, non potevano continuare a perseguire indirizzi e prospettive d’azione
di tipo tradizionale, ovvero ad operare secondo il modello elitario di stampo
ottocentesco a suo tempo delineato dalla legge Casati. Occorreva ripensare le stesse
modalità di accesso all’istruzione superiore e universitaria e ridefinire la «funzione
sociale» che le università erano chiamate ad esercitare alla luce di fenomeni in larga
misura nuovi, che le vicissitudini socio-economiche e culturali del dopoguerra, peraltro,
avevano acuito e reso più stringenti, primo fra tutti l’ascesa sociale e culturale dei ceti
medi urbani, alla quale si accompagnava un’accresciuta propensione da parte delle
famiglie ad investire sulla scuola e sull’istruzione per assicurare il futuro dei propri
figli:
Una ricerca statistica molto istruttiva ma disgraziatamente malagevole – sottolineava al riguardo
Bachi –, potrebbe mirare ad accertare quale sia la condizione economica e sociale delle famiglie i cui figli
si raccolgono nelle nostre Aule. Una tale ricerca quasi certamente mostrerebbe come la massima parte dei
nostri studenti provenga dal medio ceto, anzi dalla piccola borghesia. La piccola borghesia dotata di
mezzi pecuniari non cospicui, provvista di redditi fissi o non molto variabili, tratti sovente da pubblici
impieghi, è la classe che più largamente concorre alla formazione dei lavoratori intellettuali; ed è quella
classe sociale che la guerra ha più dolorosamente provata nei rispetti economici; è la classe sociale che
più gravemente ha risentito gli effetti della svalutazione della moneta, dell’incremento dei tributi. Noi,
docenti, conosciamo come la presenza di taluni nostri discepoli alle nostre lezioni rappresenti gravi
sacrifici e sappiamo come molti nostri discepoli debbano volenterosamente abbinare lo studio con
occupazioni retribuite, talora umili.
101
Ibidem, pp. 18-19.
241
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Se tale era «la condizione economica e sociale» di tanta parte degli studenti che
riempivano le aule dell’Ateneo maceratese e degli altri atenei minori della penisola, era
chiaro che qualunque prospettiva di crescita e di sviluppo dei suddetti atenei avrebbe
dovuto passare per la creazione di nuove e più incisive forme di sostegno e di
valorizzazione del merito capaci di favorire l’accesso e il proseguimento degli studi per
i giovani migliori. Un obiettivo, questo, senza dubbio di fondamentale importanza, al
quale, tuttavia, l’Università di Macerata non era in grado di far fronte con i propri ridotti
mezzi finanziari, e che le stesse disposizioni emanate su tale materia dalla riforma
Gentile sembravano poter soddisfare solo in minima parte:
Vi è, anche qui, un’opera nobile da compiere – precisava Bachi –, un’opera di solidarietà sociale.
Sinora l’Amministrazione dell’Università, ha in questa materia, adottato un provvedimento di portata
generale e di efficacia individuale inadeguata al bisogno, la percezione di tasse scolastiche sensibilmente
inferiori a quelle disposte per la generalità delle Università: il provvedimento, si presta a obbiezioni che
non giova qui richiamare e che non si possono certo dire infondate. La recente legislazione ed anche la
nuova riforma generale esclude questa minorazione di tasse. Il nuovo decreto – con intendimenti
umanitari – ha apprestato istituzioni e mezzi di assistenza a pro’ degli studenti bisognosi, ma in misura
necessariamente limitata e con un congegno ad azione immancabilmente lenta e tardiva. Una più radicale
ed efficace soluzione del grave problema può derivare dalla creazione di borse di studio per i giovani più
valorosi o scarsamente provvisti di mezzi di fortuna: la concessione di queste borse non solo sarebbe un
atto di solidarietà umana, ma un efficacissimo mezzo di selezione dei migliori all'inizio stesso degli studi
universitari: i titolari di queste borse sarebbero astretti a una assidua e controllata presenza alle lezioni, al
regolare svolgimento degli esami e costituirebbero il corpo scelto dei nostri discepoli, oggetto per noi
docenti di particolari cure e di più liete speranze sull’efficacia dell’opera nostra. Dato il costo
relativamente non elevato della vita in questa Città, l'importo delle borse potrebbe essere meno vistoso di
quanto sarebbe necessario altrove.
Di qui la proposta di coinvolgere le amministrazioni locali e gli stessi enti
pubblici e privati dei territori interessati – in primis quelli delle province marchigiane e
abruzzesi – attorno ad un progetto di sostegno agli studi per i giovani «disagiati e
meritevoli provenienti dalle circoscrizioni di ciascuna amministrazione» che avesse
come perno proprio l’«Università del medio Adriatico»:
Sulla base di queste varie considerazioni – concludeva il rettore dell’Università di Macerata –, è
stata impostata la seconda parte della azione del nostro Comitato. Anzitutto sono state presentate memorie
alle Amministrazioni provinciali di Ancona, Ascoli, Aquila, Chieti, Teramo e alle maggiori
amministrazioni comunali delle due regioni, reclamando quell’appoggio che riteniamo doveroso alla vita
242
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
dell’Ateneo. Il concorso reclamiamo sotto la forma di un contributo annuo al bilancio dell’Università, ma
anche lo reclamiamo sotto la forma di assegnazione di fondi per borse di studio a studenti disagiati e
meritevoli provenienti dalle circoscrizioni di ciascuna amministrazione: per considerazioni ovvie, è
probabile che questa seconda formula incontri maggiore favore; poiché, secondo essa, ciascun ente
volgerebbe i fondi per favorire la diffusione della coltura superiore fra la parte meno abbiente della
propria popolazione. Altro invito viene da noi rivolto ai privati – agli istituti di credito, alle maggiori
società commerciali, alle persone facoltose102.
Ma l’ambizioso piano di rilancio dell’Ateneo maceratese prospettato dal rettore
Bachi nel corso della cerimonia inaugurale dell’anno accademico 1923-1924, andava
ben oltre, individuando come compito precipuo di quella che poteva senz’altro definirsi
a tutti gli effetti l’«Università del medio Adriatico» quello di farsi carico della
formazione superiore delle giovani generazioni dei territori «italiani» dell’altra sponda
dell’Adriatico, le cui ben note condizioni di disagio economico e sociale imponevano
peraltro «un atto di nobile solidarietà nazionale» volto a sostenerne la crescita culturale
e la concreta promozione civile e professionale:
L’Ateneo nostro – affermava al riguardo il rettore dell’Università di Macerata –, oltre ad essere
l’Università regia del Medio Adriatico, si confida debba essere, in qualche misura, l’Università di Stato
per le popolazioni dell’altra sponda, della Dalmazia, di Fiume, della Venezia Giulia. Per circostanze ben
note, molta parte delle popolazioni di tali contrade si trova in particolari condizioni di depressione
economica, le quali rendono malagevole lo svolgimento della carriera scolastica ai giovani, soprattutto
per la parte che dovrebbe svolgersi fuori del rispettivo territorio. Si propone pertanto che gli istituti
privati, le società, i cittadini singoli concorrano per la costituzione di un fondo da distribuirsi sotto forma
di borse di studio e sussidi ai giovani disagiati e meritevoli che, provenienti dall’altra sponda, vogliano
seguire regolarmente gli studi presso la nostra Università103.
L’ambizioso progetto avviato dal rettore Riccardo Beniamino Bachi per favorire
l’adeguamento dell’Università di Macerata alle nuove disposizioni introdotte dalla
riforma Gentile e rendere possibile la crescita e l’effettivo radicamento dell’ateneo sul
territorio era destinato, come vedremo, a trovare una realizzazione solo parziale, in virtù
degli scarsi consensi suscitati in seno a talune delle amministrazioni locali coinvolte e,
nel contempo, degli altrettanto parziali sostegni ricevuti dalle imprese pubbliche e
private e dagli enti creditizi operanti sul territorio.
102
103
Ibidem, pp. 20-21
Ibidem, p. 22.
243
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Nelle settimane immediatamente seguenti, a questo riguardo, il Comune e la
Provincia di Macerata approvarono lo schema di convenzione predisposto dalla
commissione sopra ricordata per il mantenimento economico dell’Ateneo cittadino104;
contemporaneamente, il Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza, al termine di una serie
di adunanze straordinarie svoltesi nei mesi di novembre e dicembre, approvò il nuovo
ordinamento degli studi e procedette alla riorganizzazione dell’attività didattica secondo
le norme stabilite dalla riforma universitaria del 1923105.
Le nuove disposizioni, integralmente riprodotte sulle pagine del foglio locale
«L’Unione» del 3 gennaio 1924 e destinate ad entrare in vigore, dopo aver ricevuto
l’approvazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, a partire dall’anno
accademico 1924-1925, prevedevano fra l’altro la creazione di «un Istituto o Seminario
giuridico analogo e quelli che esistono presso molte Università italiane e forestiere»106,
l’attivazione di nuovi insegnamenti complementari «volti a completare l’attuale quadro
della Facoltà giuridica, così da dare maggiore e più moderno sviluppo a nozioni di
diritto comparato, di storia economica, di economia e legislazione sociale»; e il
potenziamento della biblioteca universitaria «per renderla pienamente efficiente e atta al
servizio integrativo dell’insegnamento»; accantonata, almeno per il momento, stante la
necessità di concentrare le scarse risorse disponibili sulle istituzioni esistenti, era invece
la proposta avanzata dal Comune di costituire a Macerata, accanto alla facoltà giuridica,
anche un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina» per lo studio delle lingue e delle
culture orientali107.
Un fatto sembrava, tuttavia, incontrovertibile e scontato: con il varo, nel 1923,
della riforma universitaria predisposta da Giovanni Gentile si era registrato,
104
Cfr. verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 12 gennaio 1924, in Atti del Consiglio
provinciale di Macerata: anno 1924, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, pp. 5-7.
105
Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze straordinarie del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza
di novembre e dicembre 1923 in ASMc, Università, Miscellanea, Riordinamento degli studi, b. 713.
106
Il nuovo Istituto giuridico, «del quale la Biblioteca universitaria sarebbe parte integrante – sottolineava
il rettore Bachi –, avrà per oggetto sia gli studi giuridici che quelli economico-sociali. Esso potrebbe
avere una funzione regionale particolarmente utile anche pei futuri studi sui problemi locali, poiché si
potrebbe, senza soverchio sforzo e senza grave dispendio, in esso raccogliere in maniera sistematica tutto
quanto il materiale, non solo librario, ma anche documentario, via via attinente alla vita economica delle
Marche e dell’Abruzzo, materiale emanante da pubbliche Amministrazioni, da Istituti, Società, Sodalizi,
Associazioni economiche ecc., materiale che di consueto manca alle Biblioteche e che costituirebbe
l’Archivio per la storia economica delle due regioni. Questo Istituto di studi giuridici e sociali e questo
Archivio per la storia economica marchigiana e abruzzese significheranno una azione dell’Università
anche fuori dell’orbita limitata delle sue aule e dei suoi ordinari discepoli» (Relazione del Rettore Prof.
Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, cit., p. 23). Sulle origini e i
significativi sviluppi di tale Istituto si veda ora P. Olivelli, Brevi note sull’Istituto di esercitazioni
giuridiche, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 223-227.
107
Il nuovo ordinamento dell’Università, «L’Unione», XXIV (3 gennaio 1924), 1, pp. 1-2.
244
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
inevitabilmente, un vero e proprio accantonamento delle molteplici proposte e iniziative
avviate in ambito marchigiano negli anni precedenti al fine di procedere ad un
riordinamento del sistema universitario regionale che rendesse possibile l’accorpamento
delle facoltà e dei corsi di laurea presenti in più sedi e sfociasse poi nella «federazione»
o «fusione» – secondo le differenti prospettive volta per volta messe in campo dai
diversi interlocutori – dei tre atenei (Macerata, Camerino e Urbino) presenti sul
territorio.
Le nuove disposizioni varate nel 1923, del resto, pur senza escludere forme di
riorganizzazione su base regionale fondate sull’accorpamento degli atenei esistenti,
avevano in sostanza stimolato le singole istituzioni universitarie, in particolare i piccoli
atenei inseriti nel gruppo B e quelli non statali, a ricercare in ambito locale le risorse
necessarie alla loro sopravvivenza e al mantenimento dei livelli operativi in grado di
assicurare il perseguimento dei «fini dell’istruzione superiore», secondo la ben nota e un
po’ generica formula gentiliana.
In realtà, una serie di accadimenti verificatisi nella vicina Università di
Camerino proprio nei mesi successivi all’emanazione del R.D. 30 settembre 1923 era
destinata a rilanciare, a livello locale, la questione del superamento del sistema vigente e
a favorire la ripresa del confronto sul riordinamento del sistema universitario
marchigiano.
Il 29 dicembre 1923 una commissione formata dal rettore dell’Ateneo Giovanni
Gallerani, dal commissario prefettizio Noris e dal prof. Ugo Rocco era stata ricevuta a
Roma dal capo del Governo Benito Mussolini, al quale aveva illustrato la gravissima
situazione finanziaria in cui versava la Libera Università di Camerino, sollecitando un
contributo statale di 200.000 lire per far fronte all’emergenza e consentire all’Ateneo
camerte di continuare a svolgere regolarmente l’attività108. Mussolini si era mostrato da
subito disponibile a soddisfare tale richiesta, tanto che, già all’indomani, in occasione
del consiglio dei Ministri del 30 dicembre, aveva fatto approvare il decreto con il quale
era autorizzata in via straordinaria la concessione del sussidio. Nel corso dell’incontro
romano, tuttavia, il capo del Governo aveva posto come condizione imprescindibile, per
l’attribuzione del sostegno finanziario richiesto, il rilancio da parte dell’Ateneo delle
trattative tra gli enti locali e i tre atenei della regione al fine di giungere in tempi brevi al
riordinamento del sistema universitario e degli studi superiori nelle Marche. In un
108
Cfr. Per la libera Università di Camerino, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 gennaio 1924), 1, pp. 1-
2.
245
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
telegramma trasmesso nei giorni seguenti al rettore dell’Università di Camerino,
Mussolini annunciava al riguardo: «Nell’attesa coordinazione generale facoltà
universitarie marchigiane odierno consiglio dei ministri accordava per anno in corso
somma richiestami da V.S. e rappresentante codesta città»109.
Alla generale soddisfazione per il finanziamento straordinario accordato dal
governo110, seguirono i tentativi, da parte del rettore Gallerani, di riallacciare i contatti
al fine di promuovere un incontro con tutti i soggetti interessati, in primo luogo con i
vertici della vicina Università di Macerata. La situazione, tuttavia, si fece subito
problematica, stante l’assoluta indisponibilità dell’ateneo maceratese a discutere
qualsivoglia ipotesi di riorganizzazione su base federale delle università marchigiane
che comportasse il venir meno, a Macerata, della Facoltà di Giurisprudenza.
Già nelle settimane immediatamente precedenti, del resto, allorché per far fronte
alle impellenti difficoltà di bilancio l’ateneo camerte si era rivolto alla Provincia di
Macerata per ottenere un sussidio straordinario di 60 mila lire, le autorità municipali e i
vertici
dell’Ateneo
del
capoluogo
avevano
esercitato
notevoli
pressioni
sull’amministrazione provinciale affinché la concessione di tale sussidio fosse
subordinata alla rinuncia, da parte dell’Università di Camerino, alla propria Facoltà
Giuridica111.
L’iniziativa intrapresa dal rettore Gallerani e dall’Università di Camerino era
destinata ad incontrare diffidenze e contrarietà anche ad Ancona, dove il Comune e la
Provincia deliberarono di farsi essi stessi promotori di un convegno regionale destinato
a fare il punto sulla situazione e a rimettere in moto il processo di riordinamento degli
studi superiori e di federazione degli atenei delle Marche. Lo poneva in evidenza il
docente camerte Ugo Rocco, in un polemico articolo apparso il 23 febbraio sul foglio
locale «Chienti e Potenza», nel quale era duramente stigmatizzato l’atteggiamento
«prevaricatore» degli enti locali dorici, il cui «protagonismo» su tale versante veniva
giudicato espressione della palese volontà di anteporre gli interessi del capoluogo
regionale a quelli delle altre città marchigiane sedi di università:
109
Il telegramma è riprodotto integralmente sul periodico locale «Chienti e Potenza», XXXVIII (12
gennaio 1924), 2, p. 1.
110
Cfr. Per la nostra Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (19 gennaio 1924), 3, pp. 1-2; e Cronaca
cittadina, «Chienti e Potenza», XXXVIII (16 febbraio 1924), 7, pp. 1-2.
111
Si veda al riguardo G. Gallerani, A proposito del nuovo contributo Provinciale per la nostra
Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (26 gennaio 1924), 4, pp. 1-2.
246
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Oggi – sottolineava Rocco –, Ancona ci toglie quella che doveva essere nostra iniziativa perché
in seno alla nostra città è sorto e si è dibattuto il progetto dell’Università unica, Ancona che si fa
promotrice di un convegno regionale per lo studio della questione. Per quanto possa essere umana la
constatazione di giungere ultimi, quando eravamo i primi, noi accettiamo di buon grado l’invito, pronti,
noi, a trattare con animo scevro da pregiudizi ed egoismi locali, ma altrettanto fermo di salvaguardare,
senza compromessi e senza inutili evirazioni, gli interessi della Città112.
Sia pure in un clima di forte sospetto e di sostanziale contrarietà ad ogni ipotesi
di accordo destinata ad alterare gli equilibri esistenti e a penalizzare le singole sedi, il
convegno regionale, svoltosi ad Ancona il 14 marzo 1924, vide la partecipazione dei
rettori dei tre atenei marchigiani e dei rappresentanti degli enti locali, i quali, al termine
di un lungo e poco fruttuoso confronto, riuscirono a trovare l’accordo solamente sulla
nomina di una «commissione tecnica per lo studio e risoluzione della questione
universitaria nelle Marche», la quale avrebbe dovuto riunirsi nei mesi seguenti per
predisporre una bozza d’accordo da presentare alle parti nel corso di un nuovo
convegno regionale fissato, sempre ad Ancona, per il successivo 17 luglio113.
Dal marzo al luglio 1924 i lavori della commissione procedettero tra difficoltà
crescenti e vivaci polemiche generate sulla stampa locale dalla fuga di notizie riguardo
alle possibili soluzioni prospettate in ordine alle questioni più rilevanti via via sollevate
nel corso del confronto114. Alla fine, non riuscendo a trovare un accordo sulle
soppressioni e gli accorpamenti delle facoltà e dei corsi di laurea presenti su più sedi, la
commissione tecnica sottopose all’approvazione dei rettori dei tre atenei e dei
rappresentanti degli enti locali marchigiani, nuovamente convocati ad Ancona il 17
luglio, una proposta che, mentre da un lato richiamava genericamente la necessità di
addivenire ad un’equa distribuzione «delle facoltà e scuole» tra le diverse sedi («Il
comitato regionale marchigiano […] fa voti che nelle diverse sedi attuali vengano
equamente distribuite tutte le facoltà e scuole che costituiscono una università completa,
in modo che nessuno dei tre atenei debba soffrire nocumento o minorazioni»), dall’altro
112
U. Rocco, Il problema della Università nei suoi veri termini, «Chienti e Potenza», XXXVIII (23
febbraio 1924), 8, pp. 1-2.
113
Sull’incontro anconetano del 14 marzo 1924 e sui successivi lavori della «commissione tecnica per lo
studio e risoluzione della questione universitaria nelle Marche» si veda la cospicua documentazione
conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930,
b. 3474.
114
Si vedano al riguardo i fascicoli del periodico «Chienti e Potenza» del 15, 22 e 29 marzo 1924. Ampie
notizie sulle proposte discusse dalla commissione tecnica nel corso delle sue sedute è offerta in E. Di
Carlo, Sul problema universitario, «Chienti e Potenza», XXXVIII (24 maggio 1924), 21, pp. 1-2; e in
Riunione del Comitato provvisorio per la riforma universitaria, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 luglio
1924), 27, pp. 1-2.
247
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
sollecitava l’intervento del ministero della Pubblica Istruzione, affinché autorizzasse il
completamento del corso di laurea in Medicina e Chirurgia esistente presso l’Università
di Camerino (che all’epoca disponeva del solo ciclo quadriennale di base), con
l’istituzione del terzo e ultimo ciclo biennale di studi che ancora mancava, e ne rendesse
possibile la dislocazione nelle sede distaccata di Ancona115.
Una tale soluzione, se da un lato era ben lontana dall’operare la
razionalizzazione dell’esistente, a più riprese caldeggiata dal ministero, e dal risolvere i
problemi relativi alla presenza di analoghi corsi di laurea e di facoltà dello stesso tipo
nelle tre sedi universitarie operanti sul territorio, dall’altro soddisfaceva indubbiamente
le attese di un po’ tutti i protagonisti della trattativa – ovvero le università e gli enti
locali coinvolti –, nella misura in cui, evitando d’imporre sacrifici e rinunce di alcun
tipo, assecondava le logiche campanilistiche e i vigorosi egoismi locali emersi nel corso
del dibattito, favorendo altresì, con il completamento della Facoltà di Medicina a
Camerino e la creazione del biennio di studi medici ad Ancona, il soddisfacimento di
aspirazioni diffuse nel capoluogo marchigiano, ancorché indubbiamente poco in
sintonia con il primitivo progetto di una razionalizzazione del sistema d’istruzione
superiore regionale.
Non a caso, nelle settimane seguenti, da parte dell’Università di Macerata ci si
affrettava a ribadire con forza il «nessun interesse» nei riguardi del corso di laurea in
Medicina e Chirurgia, che avrebbe potuto dunque essere istituito nelle sedi di Camerino
e di Ancona, a patto, naturalmente, che fosse preservata la propria Facoltà di
Giurisprudenza e, con essa, la «secolare tradizione degli studi giuridici, gloria e vanto
dell’ateneo maceratese»116.
Il 21 agosto del 1924 il neo ministro della Pubblica Istruzione Alessandro Casati,
dopo avere acquisito il parere favorevole del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione, autorizzava ufficialmente il completamento e la dislocazione nelle sedi di
Camerino e di Ancona della Facoltà di Medicina117. In realtà, quella che sembrava
ormai costituire l’unica vera novità nell’ambito dell’istruzione superiore marchigiana
115
Riordinamento degli studi Universitari nelle Marche, «L’Unione», XXIV (23 luglio 1924), 30, p. 1.
Per un definitivo assestamento delle Università marchigiane, «L’Unione», XXIV (3 settembre 1924),
36, pp. 1-2.
117
La lettera inviata dal ministro della Pubblica Istruzione Alessandro Casati al rettore della Libera
Università di Camerino Giovanni Gallerani il 21 agosto 1924 è conservata in ASCa, Università,
Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390. Si veda anche Relazione sull’anno accademico
1923-1924 del prorettore Professore Comm. Giovanni Gallerani per l’inaugurazione dell’anno
accademico 1924-1925, «Annuario della Università degli Studi di Camerino», (1925), pp. 16-17.
116
248
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
era destinata a naufragare anch’essa per l’insorgere di nuovi e inattesi contrasti tra
l’Ateneo camerte e gli enti locali anconetani riguardo all’articolazione sulle due sedi del
corso di laurea in Medicina118.
Contravvenendo, infatti, agli accordi precedentemente stabiliti, che prevedevano
il mantenimento a Camerino dei primi quattro anno del corso e l’attivazione ad Ancona
del biennio di completamento degli studi, ossia del quinto e sesto anno, le autorità del
capoluogo regionale proposero una distribuzione «paritaria» del corso di laurea sulle
due sedi, ovvero il primo triennio a Camerino e il secondo ad Ancona119. A questo
punto, il comprensibile irrigidimento dell’Ateneo camerte, tutt’altro che disposto a
transigere su tale questione, portò alla vera e propria rottura con Ancona e
all’accantonamento dell’ipotesi di costituire nel capoluogo di regione una sede
distaccata della Facoltà di Medicina e Chirurgia. E non è casuale che proprio colui che
era stato il principale artefice del progetto di costituzione del polo medico anconetano,
ovvero il rettore Giovanni Gallerani, preso atto con rammarico delle «esorbitanti e
indebite richieste» anconetane, decidesse di fare marcia indietro e di puntare ad istituire
il corso di laurea completo in Medicina e Chirurgia, come richiesto dai nuovi
ordinamenti in materia introdotti nel 1923, nella sola sede camerte120.
Tramontata ingloriosamente, almeno per il momento, ogni prospettiva di
riordinamento del sistema d’istruzione superiore delle Marche, i tre atenei regionali si
ritrovarono, sul finire del 1924, a dover far fronte, ognuno in maniera autonoma, alle
disposizioni previste per gli atenei di tipo B e C dalla riforma Gentile. L’Università di
Macerata, dal canto suo, dopo avere condotto le trattative in sede regionale in modo tale
da assicurarsi la conservazione della propria Facoltà di Giurisprudenza, doveva ora
occuparsi di assicurarle l’adeguato sostegno economico per l’avvenire.
Un primo e fondamentale passo su questo versante era già stato compiuto il 23
agosto 1924, allorché, come si è già accennato, era stata stipulata la nuova convenzione
fra lo Stato e gli enti locali per il sostentamento finanziario dell’Università di
118
Cfr. Il Convegno di Ancona, «Chienti e Potenza», XXXVIII (6 settembre 1924), 36, pp. 1-2; e Per la
istituzione del terzo biennio di Medicina in Ancona, «Chienti e Potenza», XXXVIII (13 settembre 1924),
37, pp. 1-2.
119
Cfr. Relazione sull’anno accademico 1923-1924 del prorettore Professore Comm. Giovanni Gallerani
per l’inaugurazione dell’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 17-18. Ma si veda anche Per la nostra
Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (8 novembre 1924), 45, pp. 1-2.
120
Si veda al riguardo la puntuale ricostruzione offerta da D. Aringoli, L’Università di Camerino, Milano,
Giuffrè, 1951, pp. 205-210.
249
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Macerata121, ratificata poi, qualche mese più tardi, con il R.D. 19 ottobre 1924, n.
1676122.
Il provvedimento, costituito da 11 articoli, ribadiva che l’Ateneo maceratese era
costituito dalla sola Facoltà giuridica e, mentre da un lato aboliva il vecchio Consorzio
universitario, dall’altro sanciva l’impegno della Provincia e del Comune di Macerata a
sostenere annualmente parte delle spese per il mantenimento della sede universitaria con
quote-parte che ammontavano, rispettivamente, a 88.000 e 70.000 lire, a fronte delle
quali lo Stato s’impegnava ad assegnare all’ateneo un finanziamento fisso di 150.000
lire all’anno, ovvero l’assegnazione più bassa tra quelle attribuite agli atenei della
categoria B123. La gestione amministrativa e le competenze di carattere economico e
patrimoniale dell’Ateneo erano attribuite a un consiglio di amministrazione del quale
facevano parte il rettore pro tempore, che lo presiedeva, un rappresentante dello Stato,
l’intendente di Finanza della Provincia, i rappresentanti del Comune e della Provincia di
Macerata e due membri eletti dal Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza tra i
professori di ruolo della medesima. In base alla nuova convenzione veniva anche
ridefinito il ruolo organico del personale docente dell’Università di Macerata, che
risultava ora costituito da 12 unità complessive.
Contestualmente alla convenzione finanziaria, nei primi mesi del 1924 era stato
predisposto il nuovo Statuto della R. Università di Macerata124, il quale, dopo essere
stato emendato in alcune parti a seguito dei rilievi formulati dal Consiglio Superiore
della Pubblica Istruzione125, nei mesi successivi ricevette l’approvazione in via
provvisoria del ministero con l’O.M. del 31 ottobre 1924126. Lo Statuto recepiva il
nuovo piano di studi al quale avrebbero dovuto attenersi, secondo la normativa
introdotta nel 1923, tutti coloro che intendevano conseguire la laurea di dottore in
121
Cfr. La nuova Convenzione Universitaria stipulata tra lo Stato e gli Enti Locali, «L’Unione», XXIV
(3 settembre 1924), 36, pp. 1-2.
122
Sulla nuova convenzione stipulata tra il Consorzio e lo Stato e resa operativa dal R.D. 19 ottobre 1924,
n. 1676, si veda R. Sani, S. Serangeli, Per un’introduzione alla storia dell’Università di Macerata, in
«Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 22-23.
123
Riguardo all’esiguità del contributo versato dallo Stato nelle casse dell’Università di Macerata, così si
esprimeva il rettore Alberto Zorli: «Oggi lo Stato concorre a mantenerla [Università di Macerata] con un
fisso di L. 150.000 annue; meno del fisso concesso a ciascuna delle altre università di Cat. B. Per fortuna
il nostro Municipio e la nostra Provincia hanno saputo tener alto il prestigio del nostro Ateneo,
concedendo quanto occorreva, per non essere da meno delle più riputate facoltà del Regno»
(Inaugurazione dell’Anno Accademico 1924-1925. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella
cerimonia inaugurale del 7 dicembre 1924, ANNUARIO (1925), pp. 8-9).
124
Il nuovo Statuto all’Università, «L’Unione», XXIV (2 aprile 1924), 14, pp. 1-2.
125
La R. Università di Macerata, «L’Unione», XXV (1° gennaio 1925), 1, pp. 1-2.
126
Il testo del nuovo Statuto è riprodotto in Statuto della R. Università di Macerata per l’anno
accademico 1924-1925, ANNUARIO (1925), pp. 81-92.
250
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Giurisprudenza127. Il corso di laurea era articolato sulla base di diciotto insegnamenti
ripartiti in quattro anni e prevedeva la biennalizzazione di Diritto internazionale e di
Diritto romano, nonché la triennalizzazione di Diritto civile, Diritto amministrativo e
Diritto penale per un totale di ventisei corsi complessivi128.
Merita di essere segnalato, tuttavia, che, contrariamente a quanto proposto dalla
Facoltà di Giurisprudenza nella bozza di Statuto originariamente predisposta129, il
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione non ritenne di potere approvare –
adducendo come motivo fondamentale il fatto che lo Statuto in esame era provvisorio e
destinato a restare in vigore solo per un anno130 – talune proposte innovative avanzate
dall’Ateneo maceratese, prima fra tutte quella concernente la creazione di un «Istituto di
studi giuridici ed economico-sociali» finalizzato a funzionare come «scuola di
perfezionamento per gli studenti della facoltà e di osservatorio della vita economica del
medio Adriatico», la quale «avrebbe dovuto integrare, con una speciale Laurea in
Scienze economiche e politiche», utile per un eventuale carriera nelle attività
commerciali o bancarie, «il titolo di dottore in Giurisprudenza» che l’Università era
tradizionalmente abilitata a rilasciare ai suoi laureati131.
Torneremo a breve su tale proposta e sulla progettualità di alto profilo ad essa
sottesa, destinata peraltro a conoscere ulteriori e importanti sviluppi negli anni
successivi e a caratterizzare, pur tra alti e bassi, l’operato dell’Università di Macerata
per tutto il corso del ventennio fascista. Sembra opportuno, ora, proseguire e completare
l’analisi del processo di adeguamento amministrativo e didattico dell’Ateneo ai nuovi
ordinamenti introdotti in ambito universitario dalla riforma Gentile del 1923.
A decorrere dall’anno accademico 1924-1925, in attuazione degli artt. 56 e 58
del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, furono istituite l’Opera universitaria, che aveva lo
scopo di coordinare e gestire sotto il profilo amministrativo l’erogazione dei servizi e
delle iniziative atte a garantire l’assistenza agli studenti132 e la Cassa scolastica, la
quale, approvata dal consiglio di amministrazione nell’adunanza del 4 febbraio 1925,
aveva lo scopo «di fornire ai giovani di disagiate condizioni economiche e più
127
Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., pp. 233-240.
Cfr. Statuto della R. Università di Macerata per l’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 87-88.
129
Si vedano al riguardo i vari schemi provvisori e la bozza di Statuto originariamente predisposta dalla
Facoltà di Giurisprudenza in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7
(Università), 1919-1930, b. 3474.
130
Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1924-1925. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta
nella cerimonia inaugurale del 7 dicembre 1924, cit., p. 9.
131
Statuto della R. Università di Macerata per l’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 86-87.
132
Cfr. Regolamento per l’Opera dell’Università, ANNUARIO (1926), pp. 71-73.
128
251
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
meritevoli, i mezzi per fare fronte, in tutto o in parte, al pagamento delle tasse di
immatricolazione e di iscrizione e delle sopratasse per gli esami di profitto, di laurea e
delle tasse di diploma»133.
Il definitivo accantonamento, in virtù della nuova convenzione approvata con il
R.D. 19 ottobre 1924, del peculiare regime che consentiva all’Università di Macerata di
ridurre in modo sensibile le tasse studentesche rispetto alla maggior parte degli altri
atenei della penisola, inoltre, spinse il consiglio di amministrazione a varare un
articolato piano di «borse di studio» da assegnare per concorso agli studenti più
bisognosi e meritevoli, per la cui realizzazione si fece ricorso non solamente ai fondi
disponibili, ma anche a nuove risorse messe a disposizione dagli enti creditizi del
territorio.
A partire dall’anno accademico 1924-1925, a questo proposito, furono erogate
annualmente ben 53 borse di studio, 40 delle quali finanziate sui fondi del soppresso
Consorzio universitario maceratese, 10 concesse dalla locale Cassa di Risparmio, 2
dalla Banca Cattolica Agricolo-Operaia e una dalla Banca Popolare di Macerata134. Ed è
appena il caso di segnalare che, forse, proprio grazie all’erogazione di un numero
indubbiamente elevato di borse di studio si riuscì a far fronte al sensibile calo di
immatricolazioni e iscrizioni riscontrato già a partire dai primissimi anni Venti135 e,
soprattutto, al vero e proprio crollo registrato su questo versante nell’anno accademico
1924-1925, all’origine del quale si poneva indubbiamente il repentino e pesante
inasprimento delle tasse universitarie dovuto all’introduzione del nuovo sistema di
tassazione che equiparava, anche sotto questo profilo, Macerata agli altri atenei
italiani136.
133
Cfr. Regolamento per la Cassa Scolastica della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1926), p. 74.
Si veda al riguardo Il nuovo Statuto all’Università, «L’Unione», XXIV (24 settembre 1924), 39, pp. 12. Per un’analitica illustrazione delle attività assistenziali sostenute e dei sussidi accordati dalla «Cassa
Scolastica» e dall’«Opera dell’Università» si vedano i resoconti conservati in ASMc, Università, Opera
universitaria. Contributi a favore, bb. 61 e 65.
135
Secondo i dati riportati nell’ANNUARIO per il periodo 1917-1923 l’andamento del numero degli
iscritti registrava la seguente evoluzione: anno accademico 1917-1918 = n. 231; anno accademico 19181919 = n. 217; anno accademico 1919-1920 = n. 196; anno accademico 1920-1921 = n. 148; anno
accademico 1921-1922 = n. 127; anno accademico 1922-1923 = n. 123. E che il calo degli iscritti fosse in
larga misura un fenomeno locale correlato con il repentino e sensibile aumento delle tasse universitarie
sembra confermato dal fatto che, in quello stesso periodo, gli iscritti alle facoltà di Giurisprudenza degli
atenei italiani aumentarono in misura significativa, passando da 7.991 a 9.391 unità. Cfr. i dati relativi alle
serie decennali precedenti riportati in Istituto Centrale di Statistica, Statistica dell’istruzione superiore
nell’anno accademico 1945-1946, Roma, Tip. Failli, 1948.
136
Il dato relativo è il seguente: anno accademico 1923-1924 = n. 106; anno accademico 1924-1925 = n.
109. Cfr. Elenco degli studenti iscritti nell’anno accademico 1923-1924, ANNUARIO (1924), pp. 156159; e Elenco degli studenti iscritti nell’anno accademico 1924-1925, ivi (1925), pp. 75-78.
134
252
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Dalla metà degli anni Venti, comunque, all’opera destinata a favorire
l’adeguamento degli ordinamenti e delle strutture amministrative dell’Ateneo alla
normativa introdotta dalla riforma Gentile si accompagnò la realizzazione di una serie di
iniziative a vasto raggio sul versante didattico e scientifico le quali, nelle intenzioni dei
vertici dell’istituzione universitaria maceratese, avrebbero dovuto rilanciare l’immagine
e potenziare ulteriormente il ruolo e la funzione che fino a quel momento erano stati
esercitati in ambito locale dall’Ateneo, puntando a farne non solamente il centro della
vita accademica e culturale cittadina, ma anche una sorta di volano per la crescita
economica e produttiva dell’intero territorio provinciale e regionale.
Se era vero del resto, come aveva rilevato il rettore Riccardo Bachi in occasione
dell’inaugurazione dell’anno accademico 1923-1924, che la riforma Gentile aveva
impresso alla vita universitaria un indirizzo conforme «a quello spirito pertinace di
intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno fra i decisivi caratteri del
nostro Paese», era altrettanto vero che occorreva ripensare la stessa vocazione
dell’Ateneo maceratese, operando in stretto raccordo con le istituzioni e con le realtà
produttive del territorio per la crescita e il potenziamento dell’economia locale e
regionale. Di qui le linee di un vero e proprio programma di sviluppo dell’Ateneo
destinato a trovare, negli anni seguenti, una pur parziale realizzazione tanto sul piano
della presenza scientifica e culturale, quanto sul versante dell’attività didattica e della
proposta formativa:
È, anzitutto, mia ferma convinzione – aveva sottolineato al riguardo il rettore dell’Università di
Macerata – che si debba […] dedicare ogni energia, ogni sforzo ad assicurare una migliore vita per questa
nostra secolare scuola di diritto e di economia. E' convinzione questa che è appieno condivisa dagli altri
docenti dell'Università e che so essere largamente accolta anche in altri ambienti. […] Per raggiungere la
piena formazione presso il nostro Ateneo di un ambiente propizio alla ricerca scientifica giova la
costituzione di un Istituto o Seminario giuridico analogo e quelli che esistono presso molte Università
italiane e forestiere. […] L’Istituto, del quale la Biblioteca universitaria sarebbe parte integrante, avrà per
oggetto sia gli studi giuridici che quelli economico-sociali. Esso potrebbe avere una funzione regionale
particolarmente utile anche pei futuri studi sui problemi locali, poiché si potrebbe, senza soverchio sforzo
e senza grave dispendio, in esso raccogliere in maniera sistematica tutto quanto il materiale, non solo
librario, ma anche documentario, via via attinente alla vita economica delle Marche e dell’Abruzzo. […]
Questo Istituto di studi giuridici e sociali e questo Archivio per la storia economica marchigiana e
abruzzese significheranno una azione dell’Università anche fuori dell'orbita limitata delle sue aule e dei
suoi ordinari discepoli. […] L’Università nostra potrà esercitare efficacemente la sua azione per la
diffusione locale della coltura. Dovrebbe essere una attività didattica essoterica, concretantesi con il
253
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
pieghevole strumento delle serie di pubbliche letture, sistematicamente disposte secondo programmi
definiti, e vertenti a volta a volta sulla economia delle due regioni nostre, su problemi attuali. […] Con
intendimenti più strettamente pratici, questa azione essoterica potrebbe, volgersi anche rispetto a gruppi
particolari di uditori, sempre fuori della cerchia degli ordinari studenti, con lo scopo di integrazione della
coltura professionale per determinate funzioni137.
Nell’autunno del 1925, l’Università di Macerata otteneva l’autorizzazione
ministeriale ad istituire, in convenzione con la locale Camera di Commercio, una Scuola
Superiore di Ragioneria e lingue estere, la quale, «oltre al Corso biennale di Ragioneria
e lingue estere», alla cui frequenza erano ammessi i licenziati dalle scuole secondarie,
prevedeva anche l’attivazione di «un Corso sui rapporti della Ragioneria col Diritto
privato e pubblico» destinato in via prioritaria agli studenti della Facoltà di
Giurisprudenza, i quali avrebbero potuto frequentarlo «e sostenere esami senza alcuna
spesa, arricchendo la loro coltura giuridica di cognizioni contabili e linguistiche tanto
necessarie a tutte le carriere alle quali potranno dedicarsi».
Le finalità della Scuola Superiore di Ragioneria e lingue estere, in realtà, erano
di gran lunga più ambiziose: essa, infatti, attraverso la graduale «istituzione di altri
insegnamenti sui rapporti della ragioneria coll’agricoltura industria e commercio, ed
altro col credito, che implica lo studio del banco modello, e colle assicurazioni che
riguarda la contabilità attuariale», avrebbe dovuto assurgere a vero e proprio laboratorio
di alta formazione per le nuove professioni contabili e finanziarie legate allo sviluppo e
alla modernizzazione delle imprese agricole e manifatturiere, del commercio e delle
attività creditizie della regione138.
Con l’approvazione, in forza del R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228, del nuovo
Statuto della R. Università di Macerata, che sostituiva quello adottato in via provvisoria
nel 1924139, la progettualità dispiegata negli anni precedenti ricevette un ulteriore e
significativo impulso, fornendo l’indispensabile legittimazione, dal punto di vista
giuridico e amministrativo, al potenziamento della presenza sul territorio e alla
137
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta
nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 23-27.
138
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1925-1926. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella
cerimonia inaugurale del 15 novembre 1925, ANNUARIO (1926), p. 6.
139
Cfr. Statuto della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1927), pp. 131-144. Si veda altresì il testo
parzialmente modificato nell’ottobre 1928: Statuto della R. Università di Macerata approvato con Regio
Decreto 13 ottobre 1927, n. 2228 e modificato con Regio Decreto 25 ottobre 1928, n. 3483, ANNUARIO
(1929), pp. 81-96. Una prima bozza dello Statuto, approvata dagli organi di governo dell’Ateneo in data
23 maggio 1925, non ottenne l’approvazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. La si veda
in ASMc, Università, Statuti-Leggi- Regolamenti, Riforma dell’Università di Macerata, b. 693.
254
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
diversificazione dell’attività didattica e scientifica che, come si è già accennato,
costituivano ormai le due principali direttrici di marcia del piccolo ateneo marchigiano.
Lo rilevava, nel novembre del 1927, l’allora rettore dell’Università di Macerata
Bruno Breschi il quale, dopo aver ricordato come «il nuovo Statuto diverge[sse]
notevolmente dallo Statuto provvisorio finora vigente», richiamava l’attenzione sul fatto
che le nuove disposizioni rendevano finalmente possibile «una più precisa ed organica
determinazione della struttura e del funzionamento generale dell’Università» e «una
maggiore ampiezza e specializzazione» della sua proposta formativa e delle iniziative
da promuovere per favorire il radicamento nella realtà locale e regionale e la crescita
socio-economica e culturale del territorio140.
In attuazione degli artt. 29-34 del nuovo Statuto, ad esempio, veniva istituito nei
mesi seguenti quell’Istituto di esercitazioni giuridiche a lungo caldeggiato dai docenti
della Facoltà141, il quale avrebbe dovuto costituire una sorta di seminario permanente
«per lo sviluppo speciale della cultura dei giovani nelle scienze giuridiche, politiche e
sociali e per il loro addestramento alla pratica forense»142, attraverso la promozione di
«conferenze su argomenti speciali, esercitazioni pratiche, accessi e visite ad udienze
giudiziarie, uffici pubblici e stabilimenti di pena, ma anche ricerche scientifiche,
discussioni» e attività seminariali destinate ad affiancare e ad integrare la formazione
teorica tradizionalmente fornita dai corsi ufficiali della facoltà143.
E’ ormai dimostrato – sottolineava sul finire del 1927 il rettore Breschi, illustrando le finalità del
neonato Istituto di esercitazioni giuridiche – che, per raggiungere una maggiore efficacia didattica,
l’insegnamento cattedratico deve essere integrato da esercitazioni, discussioni, colloqui, che pongano in
più diretto contatto la mente dei giovani con l’insegnamento del maestro, e sviluppino in essi quella
facoltà critica, di osservazione, di controllo, il cui esercizio è indispensabile, sia per la indagine
scientifica, sia per la pratica professionale. D’altra parte le recenti disposizioni sull’esercizio delle
professioni di Avvocato e di Procuratore prevedono la possibilità che il periodo di pratica professionale,
necessario per l’ammissione agli esami di Stato, sia compiuto nei seminari istituiti presso le Facoltà
giuridiche. Per queste ragioni, è sembrato opportuno creare, accanto alla Facoltà di legge, un Istituto di
140
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta
nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), pp. 10-11.
141
Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi
letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 28-30.
142
Sull’Istituto di esercitazioni giuridiche dell’Università di Macerata si veda ora P. Olivelli, Brevi note
sull’Istituto di esercitazioni giuridiche, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 261265.
143
Cfr. Regolamento per l’Istituto di esercitazioni giuridiche annesso alla Facoltà di Giurisprudenza
(Riconosciuto con Decreto Ministeriale 26 marzo 1928), ANNUARIO (1928), pp. 111-118.
255
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
esercitazioni giuridiche, al quale potranno iscriversi, oltre agli studenti di questa Università, i laureati in
legge da non oltre due anni144.
Lo Statuto della R. Università di Macerata approvato con il R.D. 13 ottobre
1927, n. 2228, rese altresì possibile l’istituzione della Scuola di perfezionamento in
Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, anch’essa a lungo auspicata dalla
Facoltà di Giurisprudenza, la quale era autorizzata dal ministero della Pubblica
Istruzione a conferire, al termine di un biennio di studi altamente specialistici, al quale
potevano accedere i laureati in Giurisprudenza e coloro che avevano conseguito la
laurea «in altre Facoltà o Scuole, purché forniti del diploma di maturità classica», i
«diplomi di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia statistica e agraria»145.
E’ il caso di soffermarci sul peculiare ruolo che la Scuola di perfezionamento in
Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, destinata ad avviare la sua attività a
partire dall’anno accademico 1929-1930146, al pari della Scuola Superiore di Ragioneria
e lingue estere istituita nel 1925, era destinata a svolgere.
Com’è stato efficacemente sottolineato, infatti, nelle intenzioni dei vertici
dell’Ateneo, le finalità di queste due istituzioni di alta formazione andavano ben oltre il
pur auspicato ampliamento e l’opportuna diversificazione dell’offerta formativa, per
rappresentare i capisaldi di un più complessivo progetto volto a «fare dell’Università di
Macerata una vera e propria fucina di “professionisti di alto livello” e, insieme, il
laboratorio per la formazione di una nuova classe dirigente locale capace di guidare – in
virtù dello specifico bagaglio di competenze giuridiche ed economiche offerte
dall’ateneo – la crescita non solo culturale, ma anche “industriale, agricola e
commerciale” dell’intera regione»147. Un obiettivo, quest’ultimo, a più riprese
144
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta
nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), p. 12.
145
Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, artt. 3541, in Statuto della R. Università di Macerata approvato con Regio Decreto 13 ottobre 1927, n. 2228 e
modificato con Regio Decreto 25 ottobre 1928, n. 3483, cit., pp. 94-96.
146
Cfr. Elenco degli studenti iscritti alla Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e
Statistica agraria, ANNUARIO (1929), p. 72.
147
R. Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una
fonte preziosa per la storia delle università, in L. Pomante (a cura di), L’Università di Macerata
nell’Italia unita (1861-1966). Un secolo di storia dell’Ateneo maceratese attraverso le relazioni
inaugurali dei rettori e altre fonti archivistiche e a stampa, Macerata, EUM, 2012 (in corso di
pubblicazione).
256
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
sottolineato, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, dall’allora rettore Arnaldo De
Valles148, e più volte ribadito dai suoi successori nel corso del decennio:
Al nostro Ateneo – sottolineava nel 1932 il nuovo rettore Paolo Greco – competono due salienti
caratteristiche, sulle quali bisogna far leva per intensificarne il progresso. Una è quella di essere costituito
dalla sola Facoltà di giurisprudenza. Questa condizione, se da una parte lo priva della tradizionale varietà
delle branche universitarie, gli consente dall’altra di concentrare tutti gli sforzi, e tutti i mezzi morali e
materiali, nell’incremento degli studi giuridici ed economici, di così fondamentale importanza
nell’ordinamento fascista. A questo scopo la vita dell’Ateneo deve intimamente accostarsi, e direi deve
fondersi, con la vita della città, della provincia, della regione marchigiana. L’isolamento non è fatto per
noi giuristi. […] L’Università deve operare all’unisono con l’attività non solo culturale, ma industriale,
agricola e commerciale della nostra bella, laboriosa e fertile regione. […] L'altra nota saliente del nostro
Ateneo gli è impressa, direi naturalmente, dagli stessi caratteri dominanti dell'economia marchigiana.
Nell'armonico sviluppo della vita nazionale, nella grande varietà dei suoi aspetti, le facoltà giuridiche
devono tendere, non dico a specializzarsi con criteri rigidamente esclusivisti, ma a cogliere talune loro
caratteristiche nell’ambiente in cui hanno sede, sviluppando quegli indirizzi che ad esse si confacciano.
Ora al nostro Ateneo queste caratteristiche sono offerte dall’importanza e dalla intensità della vita
agricola marchigiana. Se altrove esistono gli istituti superiori di agricoltura, sia qui il centro maggiore
della penisola per gli studi di diritto ed economia agraria.
Lo stesso rettore Greco, peraltro, dopo avere ricordato come l’Ateneo
maceratese
avesse
«saggiamente
provvisto
alla
istituzione
della
scuola
di
perfezionamento in diritto ed economia agraria, scuola che, per quanto mi risulta, è
unica del genere nelle università italiane», rilevava come fosse necessario non
accontentarsi dei pur eccellenti risultati conseguiti sul piano didattico, ma compiere un
ulteriore passo nella direzione di «perfezionare questa scuola, ravvivarne ed
intensificarne al massimo grado l’attività, costituirne un centro ed un osservatorio, in
cui convergano dati e notizie e statistiche economiche, in cui si raccolgano usi e
pratiche di affari osservate nei rapporti agrari, valorizzare i suoi diplomi, diffondere
anche fuori dalle lezioni cattedratiche lo studio dei problemi più importanti e attuali
della vita economico-giuridica dell’agricoltura, richiamare su di essi l’attenzione del
pubblico». Era opportuno, insomma, fare della Scuola di perfezionamento in Diritto
agrario e in Economia e Statistica agraria lo strumento per un vero e proprio rilancio
148
Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1929-1930. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles
letta nella cerimonia inaugurale del 17 novembre 1929, ANNUARIO (1930), pp. 7-10; e Inaugurazione
dell’Anno Accademico 1931-1932. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles letta nella cerimonia
inaugurale dell’11 novembre 1931, ivi (1932), pp. 8-10.
257
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
dell’economia rurale marchigiana, anche al fine di «dare all’Ateneo un nuovo impulso
di vita, preparargli forse un impreveduto sviluppo avvenire»149.
In realtà, com’è stato efficacemente sottolineato, «a ridimensionare in larga
misura le aspettative e i progetti elaborati su questo versante dall’Università di Macerata
e a ricondurre entro limiti ben precisi l’aspirazione a farne una sorta di laboratorio
specializzato nella formazione e nella ricerca giuridica ed economica in campo agricolo
sarebbe stato proprio il regime fascista, scarsamente interessato – se non addirittura
diffidente – nei riguardi dell’eccessivo protagonismo messo in campo su questo
versante dall’ateneo maceratese, e della sua aspirazione a giocare un ruolo di
consulenza scientifica nell’ambito delle politiche di programmazione e di sviluppo della
produzione agricola regionale»150.
Le innovazioni e i mutamenti che, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta,
caratterizzarono l’Università di Macerata, modificandone in modo deciso la fisionomia
e le caratteristiche di fondo del proprio operato rispetto alla fase precedente, erano
destinati, come si è già accennato, a produrre ricadute significative sulla stessa attività
scientifica del corpo docente, come pure ad accentuare notevolmente il tradizionale
ruolo esercitato dal piccolo Ateneo marchigiano sul versante dell’animazione culturale
della città e del suo territorio.
A partire dal 1926, ad esempio, «per cura della Facoltà Giuridica» prendeva il
via la pubblicazione degli «Annali della Regia Università di Macerata», editi fino al
1943 dalla casa editrice Cedam di Padova e poi, in una nuova serie, dal 1948 al 1964,
dall’editore A. Giuffrè di Milano151. Diretti inizialmente dal prof. Guido Bonolis,
titolare della cattedra di Storia del diritto italiano nella locale Facoltà di Giurisprudenza,
gli «Annali della Regia Università di Macerata» si proposero di rappresentare uno
specifico spazio di confronto scientifico e culturale e uno strumento di divulgazione, sul
piano nazionale e internazionale, dei risultati delle ricerche giuridiche ed economiche
149
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1932-1933. Relazione del Pro-Rettore Prof. Paolo Greco letta
nella cerimonia inaugurale del 20 novembre 1932, ANNUARIO (1933), pp. 11-13.
150
R. Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una
fonte preziosa per la storia delle università, cit.
151
Gli «Annali della Regia Università di Macerata» furono stampati, a partire dal 1926 (anno I/n.1), dalla
Tip. F. Filelfo di Tolentino e poi da altre tipografie locali. Dal 1926 al 1943 uscirono con il marchio
editoriale della casa editrice Cedam di Padova. Dopo la forzata interruzione dovuta alla seconda guerra
mondiale, il periodico riprese le pubblicazioni nel 1948, in una nuova serie, e con un titolo leggermente
modificato («Annali dell’Università di Macerata»), presso l’editore A. Giuffrè di Milano. Uscì con
periodicità regolare fino al 1964.
258
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
condotte nell’ambito della comunità accademica maceratese152. A questo riguardo, nei
fascicoli pubblicati con periodicità regolare fino al 1943 (e poi ancora, dopo
l’interruzione dovuta alle vicende belliche, nel secondo dopoguerra) essi accolsero
«articoli di carattere scientifico degli attuali docenti e di quelli che già qui insegnarono»,
nonché contributi di giovani studiosi formatisi nell’ateneo maceratese153 e «quei lavori
di nostri studenti, che siano riconosciuti dalla Facoltà degni di stampa»154.
Di lì a qualche anno, sulla scia del successo degli «Annali», e a completamento
di un progetto destinato a diffondere e a valorizzare «l’intensa e proficua produzione
scientifica dei nostri docenti», si decise di affiancare al periodico anche una collana di
studi e ricerche, dal titolo «Biblioteca degli Annali della Regia Università di Macerata»,
destinata ad accogliere monografie e atti di convegni e seminari curati dai docenti della
Facoltà di Giurisprudenza. La «Biblioteca», avviata ufficialmente all’inizio degli anni
Trenta, accolse nell’arco di un quindicennio lavori scientifici di notevole spessore,
destinati, in taluni casi, a riscuotere una vasta eco nella comunità accademica e negli
ambienti giuridici nazionali155.
Le iniziative destinate alla diffusione e valorizzazione dell’attività di ricerca
condotta in ambito giuridico ed economico dal corpo docente maceratese
rappresentarono, come si è già accennato, solo un aspetto, ancorché estremamente
significativo, della più complessiva attività svolta dall’Ateneo sul versante scientifico e
culturale. A tale riguardo, basterebbe qui far riferimento, ad esempio, al ciclo di Letture
Leopardiane promosso dall’Università di Macerata nei primi mesi del 1927, in
collaborazione con la locale sezione della Dante Alighieri, il quale registrò la
152
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1926-1927. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella
cerimonia inaugurale del 14 novembre 1926, ANNUARIO (1927), p. 8.
153
Si vedano al riguardo i resoconti pubblicati annualmente, dal 1926 al 1943, nella sezione
Pubblicazioni scientifiche del professori della Facoltà Giuridica dell’ANNUARIO.
154
Il primo lavoro di uno studente pubblicato sugli «Annali della Regia Università di Macerata» fu quello
del dott. Jalfon Filippo Cataldi, laureatosi brillantemente nell’anno accademico 1925-1926 con una tesi di
laurea dal titolo Il voto plurimo nelle società anonime.
155
Al pari degli «Annali», la collana «Biblioteca degli Annali della R. Università di Macerata» fu edita
originariamente, e fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, dalla casa editrice padovana Cedam; in
seguito, uscì per i tipi dell’editore A. Giuffrè di Milano. Per quel che concerne i volumi pubblicati nel
primo quindicennio di vita della collana (1931-1946), debbono essere segnalati in particolare: A. De
Valles, Teoria giuridica delle organizzazioni dello Stato. Vol. I: Lo Stato – Gli uffici, Padova, CEDAM,
1931; D. Tolomei, I principî fondamentali del processo penale, Padova, CEDAM, 1931; M. Scerni, I
principî generali di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili nella giurisprudenza della Corte permanente
di giustizia internazionale, Padova, CEDAM, 1932; G. Forchielli, Il diritto patrimoniale della Chiesa,
Padova, CEDAM, 1935; Studi di storia e diritto in onore di Carlo Calisse, Milano, Giuffrè, 1940; Studi
di storia e diritto in memoria di Guido Bonolis, Milano, Giuffrè, 1942-1946, 2 voll.; P. Gismondi, Il
nuovo giurisdizionalismo italiano. Contributo alla dottrina della qualificazione giuridica dei rapporti tra
Stato e Chiesa, Milano, Giuffrè, 1946.
259
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
partecipazione di italianisti di chiara fama e fu solennemente inaugurato da Giovanni
Gentile con una conferenza, tenutasi nell’Aula Magna il 13 febbraio di quell’anno sul
tema Il concetto della vita in Giacomo Leopardi156.
E che tali iniziative, destinate ad avere ulteriori e significativi sviluppi nel corso
degli anni Trenta, s’inscrivessero a pieno titolo nella più complessiva strategia di
rilancio della presenza e della funzione a livello locale dell’Ateneo marchigiano, e
riflettessero la volontà di corrispondere appieno alle nuove finalità assegnate ai piccoli
atenei di provincia dalla riforma Gentile del 1923, lo si coglie agevolmente nelle linee
programmatiche enunciate dal nuovo rettore Arnaldo De Valles in occasione della
solenne inaugurazione dell’anno accademico 1930-1931.
A questo riguardo, in continuità con le indicazioni già formulate nella seconda
metà degli anni Venti dai suoi predecessori, Arnaldo De Valles rilevava l’importanza di
perseguire, accanto alle tradizionali funzioni connesse con l’attività didattica e
formativa e con la ricerca scientifica, caratteristiche di ogni «universitas studiorum»,
anche quella di fare dell’Università di Macerata il vero e proprio fulcro della crescita
culturale della città e del territorio circostante, sottolineando come un simile obiettivo
corrispondesse pienamente alle finalità assegnate dal regime fascista alle istituzioni
scientifiche e di alta cultura:
È mio vivo intendimento – precisava il rettore dell’ateneo maceratese – di intensificare sempre
più queste forme di attività, che pur non rientrando strettamente nella sfera delle attività accademiche,
devonsi considerare parte integrante delle funzioni attinenti alla vita universitaria. Ed è anzi mio
intendimento che l’Università partecipi sempre più attivamente ad ogni manifestazione della vita
cittadina, stabilendo quel proficuo collegamento fra la vita e la scienza, che è uno dei precipui compiti
degli Atenei ed è altresì una delle più caratteristiche espressioni del Regime, il quale vuole non una
scienza arida e astratta, ma una scienza in continuo ed intimo collegamento con la realtà157.
In realtà, a fronte dell’indubbio dinamismo progettuale e delle significative
realizzazioni che caratterizzarono la fase successiva al varo della riforma Gentile, al pari
di tanta parte degli atenei minori della penisola158 l’Università di Macerata si trovò a
156
Si veda al riguardo Parole del Rettore Prof. Bruno Breschi, per l’inizio delle Letture Leopardiane
inaugurate nella Università di Macerata dal Senatore Prof. Giovanni Gentile, il 13 Febbraio 1927,
ANNUARIO (1927), pp. 67-70.
157
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1930-1931. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles letta
nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1930, ANNUARIO (1931), pp. 7-8.
158
Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’università italiana da Gentile a Bottai. Appunti e discussioni, cit.,
pp. 333-335.
260
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
fare i conti con una situazione economica tutt’altro che rosea: le risorse finanziarie
resesi disponibili in virtù della convenzione fra lo Stato e gli enti locali approvata con il
R.D. 19 ottobre 1924, n. 1676, infatti, se per certi versi erano risultate sufficienti ad
assicurare il mero «sostentamento dell’ateneo» sulla base di una valutazione della spesa
corrente basata sulle voci di bilancio essenziali, ovvero a garantire la copertura degli
stipendi del personale e le uscite relative alla gestione amministrativa e
all’organizzazione dell’attività didattica e dei servizi, per altri versi si erano rivelate
abbastanza presto inadeguate a far fronte alle accresciute esigenze imposte dalla stessa
normativa universitaria introdotta con la riforma del 1923 e, in particolare, con le
aspirazioni e necessità sottese alla pur fondamentale strategia volta a rilanciare a tutti i
livelli la piccola università marchigiana e ad assicurarle un più ampio raggio d’azione in
ambito locale e regionale.
Tant’è che, a fronte di una serie di gravi rilievi formulati dal ministero della
Pubblica Istruzione con una nota del 19 novembre 1926, nella quale si faceva rilevare
che le risorse finanziarie di cui l’Università di Macerata disponeva non erano tali «da
consentirle
159
superiore»
un’organizzazione
rispondente
a
tutte
le
finalità
dell’istruzione
, l’Ateneo aveva sollecitato il Comune e la Provincia di Macerata ad
aumentare in tempi brevi il già consistente contributo annuo che i due enti locali
erogavano in favore dell’istituzione universitaria, non mancando di rilevare che, in
assenza del richiesto incremento delle risorse, l’Università di Macerata si sarebbe
trovata inevitabilmente nella condizione di dover chiudere i battenti.
Proprio l’urgenza generata dall’intervento ministeriale e la pericolosità dell’esito
prospettato avevano convinto gli enti locali maceratesi ad intervenire in tempi rapidi e a
dare soluzione, com’era accaduto più volte tanto nel recente quanto nel più remoto
passato, alla difficile situazione creatasi. A questo riguardo, il 17 dicembre 1926 il
Consiglio provinciale di Macerata deliberava all’unanimità di aumentare sensibilmente
la propria quota-parte, portandola da 88.000 a 148.000 lire160; allo stesso modo, il 23
dicembre dello stesso anno, anche il Comune procedeva ad adeguare il proprio
contributo, innalzandolo da 70.000 a 100.000 lire161.
159
Si veda la nota ministeriale, datata 19 novembre 1926, in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie,
b. 693.
160
Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 17 dicembre 1926, in Atti del Consiglio
provinciale di Macerata: anno 1926, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1927, pp. 203-205.
161
Il Comune di Macerata portò il suo contributo a 100.000 lire con delibera del Regio Commissario
datata 23 dicembre 1926. La si veda in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7
(Università), 1919-1930, b. 3474.
261
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Una scelta senza dubbio necessaria e urgente, quella compiuta dagli enti locali
maceratesi, destinata inevitabilmente a pesare sui rispettivi bilanci finanziari, la quale,
come sottolineava l’allora rettore Bruno Breschi, testimoniava una volta di più il forte
attaccamento di tali istituzioni all’ateneo cittadino e la loro volontà di salvaguardarne
l’operato: «Queste deliberazioni – egli notava –, giova rammentarlo, hanno consentito
all’Università di superare un momento critico della sua vita; e mi piace segnalarne la
portata alla riconoscenza di quanto portano amore al nostro Ateneo»162.
E tuttavia, gli interventi straordinari operati dal Comune e dalla Provincia di
Macerata, se da un lato si erano rivelati indispensabili ai fini del superamento della
situazione di emergenza che si era venuta a creare, dall’altro apparivano ben lungi dal
rappresentare una soluzione atta a garantire stabilità e sviluppo all’ateneo. Occorreva,
infatti, assicurare l’erogazione stabile e costante nel tempo delle accresciute risorse
finanziarie deliberate in via eccezionale dagli enti locali a partire dal 1926, in modo tale
da consentire una programmazione sul lungo periodo delle attività e di rendere concreto
il potenziamento di quelle che il rettore Arnaldo De Valles aveva definito le iniziative e
opere «che pur non rientrando strettamente nella sfera delle attività accademiche,
devonsi considerare parte integrante delle funzioni attinenti alla vita universitaria».
Si spiega alla luce di tali considerazioni la decisione maturata negli anni
immediatamente successivi di ridefinire gli accordi economici stabiliti con il R.D. 19
ottobre 1924, n. 1676, e di giungere alla stipula di una nuova convenzione fra lo Stato e
gli enti locali «per il mantenimento della Regia Università di Macerata».
Approvata al termine di laboriose e complesse trattative, nel corso delle quali si
riuscì ad ottenere anche il coinvolgimento della locale Cassa di Risparmio di Macerata
tra gli enti finanziatori, e resa esecutiva con il R.D. 18 febbraio 1929, n. 403, la nuova
convenzione aveva durata decennale a partire dal 1° novembre 1928 e prevedeva che, ai
fini del funzionamento dell’Ateneo e dell’attività della Facoltà di Giurisprudenza e dagli
annessi Istituto di esercitazioni giuridiche e Scuola di perfezionamento in Diritto
agrario e in Economia e Statistica agraria, gli enti sottoscrittori s’impegnassero a
stanziare annualmente un contributo che, per quel che concerneva lo Stato, ammontava
a lire 137.330 lire, e risultava, dunque, d’entità inferiore a quello stabilito nel 1924 (lire
150.000); mentre, con riferimento agli enti locali, si recepivano gli aumenti delle quoteparte deliberati nel 1926. L’onere economico per la Provincia di Macerata passava,
162
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta
nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), pp. 9-10.
262
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
dunque, dalle 88.000 del 1924 a 148.000 lire, mentre la quota erogata dal Comune di
Macerata, che nel 1924 era stata fissata in 70.000 lire, saliva ora a 100.000 lire; a
queste, si aggiungevano le risorse messe a disposizione dalla locale Cassa di Risparmio,
la quale s’impegnava annualmente a finanziare l’Università con un contributo di 25.000
lire163.
In realtà, aldilà dell’indiscutibile risultato ottenuto con il rapido e vantaggioso
rinnovo della convenzione «per il mantenimento della Regia Università di Macerata»,
una profonda inquietudine caratterizzava i vertici e l’intero corpo docente del piccolo
Ateneo
marchigiano;
un’inquietudine
che
traeva
alimento
dall’accresciuta
consapevolezza delle forti sperequazioni che l’ordinamento universitario introdotto da
Gentile nel 1923, con la riproposizione del doppio binario amministrativo ed economico
sotteso alla «distinzione tra Università di tipo A e Università di tipo B», aveva prodotto
nel sistema universitario italiano, a danno soprattutto degli atenei minori come quello di
Macerata, i quali, da un lato erano chiamati ad ottemperare alle stesse regole e
disposizioni che, sul piano didattico e scientifico come su quello organizzativo,
presiedevano al funzionamento di tutte le «regie università» della penisola, dall’altro
risultavano inevitabilmente penalizzati dalla limitatezza dei proventi statali e dalla
conseguente necessità di affidarsi in misura crescente, per far fronte agli obblighi
imposti dalla legge, agli stanziamenti assicurati – non senza grandi sacrifici e difficoltà,
stanti le ristrettezze di bilancio che li caratterizzavano – dagli enti locali, e alle aleatorie
risorse messe a disposizione dalle strutture creditizie operanti sul territorio.
Non a caso, a distanza di pochi mesi dall’approvazione della convenzione, il 15
gennaio 1930, il rettore Arnaldo De Valles faceva pervenire al nuovo ministro
dell’Educazione Nazionale Balbino Giuliano164 un lungo e articolato Pro-Memoria in
favore delle Università e degli Istituti di cui alla tabella B, allegata al R.D. 30
settembre 1923, n. 2102, la cui natura, al tempo stesso di misurata ma ferma denuncia
delle sperequazioni insite nel sistema universitario vigente e di drammatica
rappresentazione delle difficoltà e dei disagi in cui versavano gli atenei minori nel
Paese, ne faceva una sorta di via di mezzo fra un j’accuse e un vero e proprio cahier de
doléances.
163
Regio Decreto 18 febbraio 1929, n. 403 – Approvazione ed esecutorietà della convenzione per il
mantenimento della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1929), pp. 97-105 (il testo della
convenzione è alle pp. 101-105).
164
Balbino Giuliano era stato nominato ministro dell’Educazione Nazionale il 12 settembre 1929, in
sostituzione di Giovanni Belluzzo, e sarebbe rimasto in carica fino al 20 luglio 1932.
263
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Prendendo spunto da un’intervista concessa dal nuovo ministro, nella quale
questi aveva «annunciato il proposito di aiutare soprattutto le piccole università», il
rettore De Valles sottolineava come «la riforma Gentile, attuando la distinzione tra
Università di tipo A e Università di tipo B», e introducendo il doppio regime in base al
quale il mantenimento delle prime era posto a totale carico dello Stato, mentre quello
delle seconde dipendeva dalle convenzioni tra «lo Stato e altri Enti», avesse posto in
essere un meccanismo che si era rivelato, di fatto, «a tutto discapito delle Università
minori», le quali, oltre ad essere rimaste con le cattedre scoperte, si erano trovate a
dover fronteggiare con proprie risorse i nuovi e crescenti oneri legati agli aumenti
stipendiali e alle altre spese determinate dal ministero. Di qui «l’impressione» diffusa
«tra le Università di tipo B di essere un po’ abbandonate a sé stesse» e di qui, dunque, la
necessità e urgenza di un vero e proprio mutamento di rotta da parte «del Governo
Nazionale» rispetto alle scelte operate in passato.
Mutamento di rotta che avrebbe dovuto investire, sottolineava ancora De Valles,
non solo l’aspetto finanziario, ma anche quello didattico, laddove era dato di rilevare
sperequazioni altrettanto gravi e penalizzanti non direttamente attinenti alla distinzione
«tra Università A) e B), ma tra quelle che con termini molto generici si chiamano
maggiori e le minori; per quanto queste categorie, in massima, ed anche nell’intenzione
del legislatore, corrispondano alle prime».
Su questo versante, precisava il rettore dell’Università di Macerata, «la riforma
Gentile prevedeva per tutte [le università italiane] la autonomia didattica: in pratica però
la necessità di lasciare una facoltà di scelta del proprio ordine di studi allo studente
obbligava ad aumentare il numero di materie d’insegnamento». Ora, se da un lato tutto
ciò rendeva «prevedibile che a tale aumento di materie dovesse corrispondere un
aumento di personale insegnante», dall’altro il nuovo sistema concorsuale e la nuova
disciplina dei trasferimenti e delle nomine dei docenti avevano finito, di fatto, per
penalizzare le sedi universitarie più piccole e disagiate e a creare una situazione di
«enorme squilibrio» e di «grande ingiustizia a favore di alcune Università e a danno di
altre».
Di qui la sollecitazione finale rivolta dal rettore dell’Università di Macerata al
nuovo ministro dell’Educazione Nazionale di intervenire in tempi celeri per sanare le
264
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
principali storture di un sistema che non sembrava in alcun modo garantire la tanto
sbandierata «pari posizione delle Università di fronte allo Stato»165.
Non si ha notizia di una risposta ufficiale del ministero al Pro-Memoria inviato a
Roma dal rettore De Valles né, tantomeno, dell’adozione, da parte di Balbino Giuliano,
di provvedimenti atti a sanare concretamente le «sperequazioni» e gli «squilibri»
denunciati nel documento166.
Nei mesi successivi, tuttavia, proprio le crescenti difficoltà economiche che
caratterizzavano gli atenei marchigiani contribuirono a riaccendere il confronto in sede
locale e a favorire la ripresa delle trattative per promuovere il riordinamento del sistema
d’istruzione superiore della regione. A farsi promotore di tale ripresa fu il presidente
dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti, istituito nel 1924 ad Ancona ed
eretto ad ente morale con R.D. 1° maggio 1925167, Giovanni Crocioni, il quale, in un
articolato intervento pubblicato nel 1928 nei «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di
Scienze, Lettere ed Arti», facendo proprie e rilanciando talune proposte e indicazioni
già emerse dal dibattito sviluppatosi in ambito locale negli anni precedenti, sottolineava:
Le Marche, ignorate dal resto della Nazione […] hanno un solo modo di risollevarsi in effetto,
cioè in sé e per sé, e nel concetto universale: creare entro il loro seno un centro di cultura e di attrazione;
un convegno di dotti, dare a se stesse un Ateneo, l’Ateneo dell’Italia Media Orientale, che raccolga la
gioventù studiosa di parecchie province, senza dire dei Dalmati e degli Slavi del vicino Oriente,
mettendosi in grado di fornire la preparazione a tutti gli studi, l’avviamento a tutte le carriere.
La sortita di Crocioni, come si vede, recuperava e riproponeva all’attenzione
delle forze socio-economiche e politiche, degli atenei della regione e degli stessi enti
locali marchigiani le proposte avanzate a suo tempo dal rettore camerte Giovanni
165
Copia manoscritta del Pro-Memoria è conservata in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. De Valles
Arnaldo. Il testo a stampa è riprodotto in A. De Valles, Pro-Memoria a S.E. il Ministro della Educazione
Nazionale in favore delle Università e degli Istituti di cui alla tabella B, allegata al R.D. 30 settembre
1923, ANNUARIO (1930), pp. 39-50.
166
Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit.,
pp. 333-338.
167
Cfr. L. Zoppi, Origini, costituzione e scopi dell’Istituto marchigiano di Scienze Lettere ed Arti con sede
in Ancona, in Id. (a cura di), L’Accademia Marchigiana di Scienze Lettere ed Arti dal 1925 al 2000 nel
settantacinquennio dalla sua costituzione, Ancona, Tip. Trifogli, 2000. Sulla figura e l’opera del
presidente Giovanni Crocioni si veda M. Veltri (a cura di), Giovanni Crocioni, le Marche e la cultura del
primo Novecento. Atti del convegno di studi di Ancona-Arcevia, 12-13 novembre 2005, Ancona, Tip.
Aniballi, 2008.
265
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Gallerani168 e dal sindaco di Macerata Ettore Ricci169, sulle quali, sia pure con un’ottica
particolaristica ed esclusivamente centrata sulle sorti dell’Ateneo maceratese, in virtù
della quale quest’ultimo avrebbe dovuto costituire il principale promotore e beneficiario
di una simile trasformazione, si era espresso con favore, nel 1923, anche l’allora rettore
dell’università del capoluogo Riccardo Beniamino Bachi170.
A detta del presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti era
giunto il momento di lasciarsi definitivamente alle spalle i tradizionali campanilismi e
gli atteggiamenti improntati ad uno sterile e cieco localismo che, fino a quel momento,
avevano impedito di fatto l’approdo ad una qualche soluzione. Di qui il suo appello ai
diversi interlocutori regionali a guardare oltre l’orizzonte cittadino e provinciale e a
proiettarsi in una prospettiva capace di abbracciare il territorio dell’intera regione per
dare una soluzione definitiva ad un problema che, alla lunga, rischiava di
compromettere inevitabilmente il futuro:
Il problema universitario marchigiano – scriveva al riguardo Giovanni Crocioni –, così scottante
e complesso, collegato con tradizioni secolari e aspirazioni insoffocabili, potrebbe risolversi con
innegabile vantaggio comune, creando nella Regione il mezzo ideale, più o meno completo, della
Università degli studi, da spezzare poi in sezioni, da dislocare in vari centri, atti a sostenerle con
vantaggio e decoro, ma conservando unità di spirito e di programma. L’esistenza di un complesso più o
meno integrale delle Facoltà universitarie della Regione, non solo non danneggerebbe le Università
esistenti, ma le avvalorerebbe, riducendole da unità solitarie, sparute e vacillanti, come sono oggi, a
membra vigorose di un corpo vitale, parti di un organismo operoso, giovane e promettente171.
Alla forte presa di posizione del suo presidente, si accompagnò, nei mesi
seguenti, l’impegno diretto dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti per
rilanciare le trattative tra i diversi enti e organismi coinvolti al fine di approdare alla
costituzione di un unico grande ateneo regionale e per ottenere l’avallo e il sostegno del
governo nazionale all’iniziativa. A questo riguardo, furono stabiliti, attraverso il canale
della segreteria regionale del PNF, contatti diretti con Mussolini, il quale, come già si
era verificato nel dicembre 1923 in occasione di un analogo tentativo di promuovere un
168
Si veda in proposito il già più volte ricordato Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche.
Progetto di riforma universitaria. Relazione del professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera
Università di Camerino, cit.
169
Cfr. Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit.
170
Si veda al riguardo Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof.
Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 13-14.
171
G. Crocioni, Per l’Università Marchigiana, «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere
ed Arti», IV (1928), p. IV.
266
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
coordinamento tra le università marchigiane poi lasciato cadere a seguito del varo della
riforma gentiliana172, manifestava il proprio convinto sostegno al progetto, tanto che una
commissione consultiva appositamente convocata dal segretario del PNF nell’autunno
del 1929 prendeva decisamente posizione a favore della proposta di addivenire in tempi
brevi alla «fusione delle Università di Macerata, Camerino e Urbino nel grande Ateneo
marchigiano»173.
Il 29 dicembre 1929 i rettori dei tre atenei della regione stabilivano di comune
accordo di affidare all’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti la «formulazione
di un programma per la risoluzione del problema marchigiano, con speciale riguardo
alla istituzione di una […] Università marchigiana o adriatica», la quale avrebbe dovuto
articolarsi in più facoltà e corsi di laurea dislocati nei principali centri urbani della
regione sulla base, laddove era possibile, delle specifiche esigenze dei territori, e in
primis nelle tre città che erano già sedi universitarie, e avere gli uffici di rappresentanza
del rettorato e dell’amministrazione centrale ad Ancona174.
Il lavoro avviato nei mesi seguenti dall’Istituto per cercare di mediare tra
aspettative talora fortemente contrastanti e interessi assai spesso inconciliabili, cercando
altresì di porre un argine ai tentativi di ridimensionare la portata del processo di
riorganizzazione e di mantenere inalterati gli equilibri esistenti, si sviluppò in maniera
faticosa e tutt’altro che lineare, coinvolgendo diversi docenti dei tre atenei della regione
e dando luogo ad una nutrita serie di incontri tra gli amministratori locali delle provincie
marchigiane nel tentativo di superare le resistenze e i contrasti che via via emersero nel
corso delle trattative175.
A distanza di un anno dall’avvio dei lavori, il 30 dicembre 1930, l’Istituto
marchigiano di Scienze, Lettere e Arti stabilì di dedicare un’intera tornata accademica
all’analisi della situazione e alle prospettive che si erano delineate nei mesi precedenti,
affidando al presidente Giovanni Crocioni il compito di introdurre l’incontro e a tre
studiosi che avevano collaborato ai lavori dell’Istituto le relazioni destinate a favorire la
riflessione e il dibattito: la prima, incentrata su Il riordinamento degli studi superiori
172
Cfr. G. Gallerani, Per la libera Università di Camerino, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 gennaio
1924), 1, pp. 1-2.
173
Copia del verbale della Commissione consultiva del PNF è conservata in ASMc, Archivio comunale,
cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. Sulle deliberazioni assunte dalla
Commissione consultiva si vedano altresì le considerazioni formulate in Riassunto del Discorso del
Presidente Prof. Crocioni, «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», VI (1930),
p. LI.
174
Cfr. Trifogli, Le Marche e l’istruzione universitaria, cit., p. 15.
175
Per un sintetico quadro delle vicende si veda ibidem, pp. 15-16.
267
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
nelle Marche e le aspirazioni di Ancona, fu tenuta dal prof. Luigi Nina, straordinario di
Scienza delle finanze nell’Ateneo maceratese; la seconda, dal titolo Sulla proposta di un
istituto agrario superiore per le Marche e Zara in Ancona, ebbe come relatore il prof.
Giuseppe Carletti Giampieri, esperto di questioni agricole e membro dell’Istituto; la
terza, infine, sul tema Per la creazione di una facoltà medica, venne affidata all’ex
rettore dell’Ateneo camerte prof. Giovanni Gallerani176.
Nella sua relazione introduttiva Giovanni Crocioni ripercorse le tappe che
avevano contrassegnato la ripresa delle trattative e degli studi per giungere alla
costituzione di un’unica grande «Università delle Marche», non tacendo le difficoltà e
gli ostacoli incontrati fino a quel momento, ed esortando ulteriormente i soggetti
coinvolti nell’iniziativa ad andare oltre gli «interessi di parte» e a cogliere, aldilà dei
ristretti «orizzonti localistici», le notevoli prospettive che un unico ateneo regionale
dotato di tutte le facoltà e capace di attirare studenti da ogni parte d’Italia e dai paesi
dell’altra sponda dell’Adriatico avrebbe potuto rappresentare per lo sviluppo economico
e sociale e la crescita culturale delle Marche. Ai fini della realizzazione di un simile
progetto erano indispensabili, egli sottolineava, ben maggiore coraggio e lungimiranza
di quelli messi in campo fino a quel momento:
Occorreva – si legge nella trascrizione dell’intervento – un illuminato e ragionevole spirito
regionale, che permettesse a singole città e province di non ostacolare alcune iniziative ma di favorirle, di
non considerare come un torto fatto a se stesse una concessione fatta ad altre, e di ritenere vantaggio
anche proprio ciò che tornava di vantaggio ad altre province o città della regione e, quindi, alla regione
intera.
Si trattava, aggiungeva il presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere
e Arti, di non rinunciare ad una grande e quasi imperdibile occasione, stante il pieno
assenso e il sostegno accordati dal governo nazionale e dai vertici regionali del PNF
all’iniziativa, di fare uscire le Marche da quella storica marginalità e irrilevanza politica
che proprio l’esasperato campanilismo e il costante prevalere degli interessi locali
avevano contribuito a promuovere:
Dando alle Marche il loro Ateneo – concludeva Crocioni –, senza dire che verrebbe risolta una
grande questione di superiore giustizia distributiva, si favorisce il decentramento, si ostacola
176
Il testo completo di queste tre relazioni ed un riassunto della relazione del presidente Crocioni si
trovano in «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», VI (1930), pp. XLV-LX.
268
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
l’urbanesimo, si obbedisce alla tendenza regionalistica, si raggiungono, insomma, tutti scopi conformi
alle direttive del Governo e agli interessi nazionali. Molti stranieri del vicino Levante, inoltre, anziché
accorrere ai grandi centri di Bologna e di Roma, si fermerebbero nelle scuole marchigiane, più comode,
meno costose, meno perigliose ai costumi dei giovani177.
Assai differenti furono le considerazioni espresse dai tre studiosi chiamati ad
intervenire nella tornata accademica dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti
riguardo al processo di fusione degli atenei esistenti e alla creazione di un’unica
università marchigiana. Il prof. Giuseppe Carletti Giampieri, ad esempio, si limitò a
perorare la causa della costituzione nel capoluogo marchigiano di un Istituto agrario
superiore per le Marche e Zara, mostrandosi per altri versi scettico nei confronti di ogni
ipotesi di riordinamento generale dell’istruzione superiore a livello regionale. Più
possibilista, su questo versante, appariva, naturalmente, l’ex rettore Giovanni Gallerani,
il quale, tuttavia, dopo avere ricordato come la sua proposta di riforma presentata nel
1919 fosse inopinatamente naufragata «nel mare piccolo, ma periglioso, del
misoneismo, del campanilismo, dell’individualismo»178, si diceva convinto che, al fine
di evitare un ulteriore fallimento, occorresse procedere con molta cautela e compiere un
passo per volta, ovvero impegnandosi innanzi tutto per il completamento, nelle Marche,
della Facoltà di Medicina, la quale, a suo avviso, avrebbe potuto essere istituita ad
Ancona, in virtù delle risorse e delle strutture disponibili e, soprattutto, del fatto che il
capoluogo di regione era l’unico grande centro ancora privo di istituzioni universitarie.
Di gran lunga più scettico e problematico era il docente dell’Università di
Macerata, Luigi Nina, per il quale, lungi dal rimettere in discussione equilibri
consolidati, l’unica riforma praticabile al momento era quella di istituire ad Ancona un
Istituto superiore di scienze economiche, commerciali e corporative, colmando in tal
modo lo squilibrio per cui il capoluogo regionale risultava essere ingiustamente
penalizzato dall’assenza di un polo universitario. Quanto al resto, ovvero alla proposta
caldeggiata dal presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti, Giovanni
Crocioni, di costituire un’unica grande «Università delle Marche», Nina la giudicava
senza mezzi termini «sterile, quando addirittura non riuscisse dannosa», perché
«potrebbe far nascere degli attriti in un momento in cui la concordia piena è da
177
Riassunto del Discorso del Presidente Prof. Crocioni, cit., pp. XLIX-LII.
Relazione del Prof. Comm. Giovanni Gallerani. Per la creazione di una facoltà medica, ibidem, p.
LVIII.
178
269
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
invocare». Di qui la vera e propria liquidazione di ogni ipotesi di fusione o
aggregazione degli atenei esistenti:
E’ appunto per non rompere questa armonia – sottolineava il docente dell’Università di Macerata
–, che rinunzio a proporre qualsiasi riordinamento degli altri Istituti Superiori esistenti nelle Marche, e
domando anzitutto che il nostro Istituto [l’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti], il quale ha
opportunamente invitato le autorità politiche della Regione ed i Rettori delle Università Marchigiane,
dichiari senz’altro che la discussione su l’argomento è chiusa, e che si tratta esclusivamente di passare
alla fondazione in Ancona di un Istituto Superiore di Studi, senza toccare gli altri Istituti esistenti nelle
Marche: si tratta di agire con chiarezza, rapidità e stile fascista179.
La totale indisponibilità manifestata da Luigi Nina («la discussione su
l’argomento è chiusa») era destinata a troncare sul nascere ogni reale prosecuzione delle
trattative sul riordinamento del sistema universitario marchigiano. Non a caso, le
conclusioni formulate al termine della tornata accademica dell’Istituto marchigiano di
Scienze, Lettere e Arti del 30 dicembre 1930, si limitavano a prendere atto che, «per il
momento» non era «possibile procedere oltre», nonché esprimere un generico richiamo
alla necessità «di tenere sempre vivo e considerare immanente il problema universitario
marchigiano, invitando a studiarlo e illustrarlo ulteriormente tutti coloro che abbiano da
suggerire idee plausibili o addurre mezzi validi per l’attuazione»180.
Negli anni successivi, a questo riguardo, non si sarebbero registrati progressi sul
versante dell’integrazione e razionalizzazione del sistema d’istruzione superiore
marchigiano. L’ipotesi di una «federazione» o «fusione» dei tre atenei esistenti per dare
vita ad un’unica grande «Università delle Marche», del resto, sarebbe tramontata alla
metà del decennio, in conseguenza della vera e propria svolta impressa alla politica
universitaria dal nuovo ministro dell’Educazione Nazionale Cesare De Vecchi 181.
Con il riassetto dell’istruzione superiore avviato da De Vecchi in forza del
R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1071182, infatti, si giunse alla «centralizzazione assoluta» del
sistema universitario nazionale: abolita la distinzione tra università regie di primo e di
secondo grado, a suo tempo reintrodotta da Gentile, furono altresì cancellati gli spazi di
179
Relazione del Prof. Luigi Nina. Il riordinamento degli studi superiori nelle Marche e le aspirazioni di
Ancona, ibidem, p. LIII.
180
G. Crocioni, Per l’Università degli Studi nelle Marche, ibidem, VI (1930), p. XLVII.
181
Cesare Maria De Vecchi subentrò a Francesco Ercole in qualità di ministro dell’Educazione Nazionale
il 24 gennaio 1935 e rimase alla guida della Minerva fino al 15 novembre 1936.
182
Si tratta del R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1071 – Modifiche e aggiornamenti del T.U. delle leggi
sull’istruzione superiore.
270
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
autonomia didattica e organizzativa attribuiti ai singoli atenei dalla riforma del 1923183.
A completamento di tale processo, con il successivo R.D. 28 novembre 1935, n. 2044 e
con il R.D.L. 7 maggio 1936, n. 882184, De Vecchi procedette al riordinamento dei
curricula e dei piani di studio delle facoltà, puntando ad una generale omologazione
dell’offerta formativa universitaria che riduceva sensibilmente, anche su questo
versante, i margini d’intervento e di autonoma caratterizzazione dell’attività didattica
delle singole sedi185.
Illustrando, sul finire del 1936, i provvedimenti emanati dal governo, il rettore
dell’Università di Macerata Guido Bonolis ne sottolineava il carattere fortemente
innovativo e gli indubbi vantaggi sul piano dell’assetto giuridico ed economico
dell’ateneo, pur evitando prudentemente di formulare valutazioni e giudizi riguardo al
nuovo ordinamento didattico, il quale, come si è detto, accentuava l’uniformità e la
rigidità dei piani di studio, limitando fortemente gli spazi di autonomia attribuiti su tale
versante dalla riforma Gentile alle singole sedi universitarie:
Altri avvenimenti degni di nota si verificarono – affermava il rettore Bonolis – nel decorso anno
per la nostra Università. Innanzi tutto, a decorrere dal 29 ottobre XV, essa è passata nella categoria A alla
pari di altri Atenei, venendo così in tutto parificata, anche nell’ordinamento finanziario, agli altri Istituti
di Istruzione Superiore. […] All’antica illimitata libertà di scelta fra le varie discipline, che era lasciata
allo studente, è stato ora sostituito un sistema per il quale è fissato un certo numero di materie
fondamentali, il cui studio è obbligatorio; oltre a queste, il giovane deve scegliere in un quadro
determinato dalla Facoltà e approvato dal Ministero, un certo numero di materie complementari. Nella
determinazione di queste ultime, la Facoltà ha avuto per guida e criterio di scelta sia le esigenze locali
della regione, sia i nuovi indirizzi di studio che si presentano oggi nella vita del nostro Paese186.
In ottemperanza alle disposizioni ministeriali, nei mesi seguenti si procedette
alla modificazione dello Statuto della Regia Università di Macerata, il cui nuovo testo
183
Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit.,
pp. 338-346; Signori, Università e fascismo, cit., pp. 391-406; Colao, Tra accentramento e autonomia:
l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, cit., pp. 300-302.
184
Intendiamo riferirci al R.D. 28 novembre 1935, n. 2044 – Norme relative agli insegnamenti che
devono essere impartiti nelle Università e negli Istituti superiori; e al R.D.L. 7 maggio 1936, n. 882 –
Sostituzione delle tabelle allegate al R.D. 28 novembre 1935, n. 2044.
185
Cfr. A. Sandulli, Facoltà e ordinamenti didattici dal 1860 ad oggi, in Brizzi, Del Negro, Romano (a
cura di), Storia delle Università in Italia, cit., vol. II, pp. 279-280.
186
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1936-1937. Relazione del Rettore Prof. Guido Bonolis,
ANNUARIO (1937), p. 20.
271
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
fu approvato con il R.D. 1 ottobre 1936, n. 1974187. Merita di essere segnalato a questo
riguardo che, aldilà della scontata riorganizzazione dell’ordinamento didattico e della
nuova ripartizione degli insegnamenti previsti dal piano di studi di Giurisprudenza in
fondamentali e complementari188, lo Statuto approvato nel 1936 conteneva
una’importante novità: esso, infatti, mentre da un lato ridefiniva alla luce della nuova
normativa il profilo e le funzioni dell’Istituto di esercitazioni giuridiche189, dall’altro
sanciva la messa ad esaurimento della Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in
Economia e Statistica agraria istituita con il R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228190, la quale,
di lì a poco, sarebbe stata definitivamente soppressa191.
Autorizzata dal ministero della Pubblica Istruzione a conferire, al termine di un
biennio di studi altamente specialistici, i «diplomi di perfezionamento in Diritto agrario
e in Economia statistica e agraria», tale Scuola, come si è già ricordato, a cavallo tra gli
anni Venti e Trenta aveva costituito il cardine di un più complessivo progetto volto a
«fare dell’Università di Macerata una vera e propria fucina di “professionisti di alto
livello” e, insieme, il laboratorio per la formazione di una nuova classe dirigente locale
capace di guidare – in virtù dello specifico bagaglio di competenze giuridiche ed
economiche offerte dall’ateneo – la crescita non solo culturale, ma anche “industriale,
agricola e commerciale” dell’intera regione».
La sua liquidazione nel quadro della nuova politica di «centralizzazione
assoluta» del sistema universitario italiano varata da De Vecchi, sotto questo profilo,
sanciva per molti versi la fine di quell’intensa e ambiziosa progettualità che, in
continuità con l’ispirazione di fondo della riforma universitaria predisposta nel 1923 da
Giovanni Gentile, l’Ateneo maceratese aveva faticosamente perseguito, nell’intento di
imprimere alla propria attività un indirizzo conforme «a quello spirito pertinace di
intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno fra i decisivi caratteri del
nostro Paese» e, più in particolare, di fornire il proprio contributo, in stretto raccordo
187
Si veda il testo del nuovo Statuto approvato con il R.D. 1° ottobre 1936, n. 1974 in Statuto della Regia
Università di Macerata, ANNUARIO (1937), pp. 33-46.
188
Cfr. Tit. III – Ordinamento della Facoltà di Giurisprudenza, artt. 17-19, ibidem, pp. 37-39.
189
Cfr. Titolo IV – Istituto di esercitazioni giuridiche, artt. 27-32, ibidem, pp. 42-43.
190
Cfr. Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario ed in Economia e Statistica agraria,
ibidem, pp. 43-44, che riporta in via provvisoria le norme già presenti nel precedente Statuto approvato
con R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228, modificato con R.D. 25 ottobre 1928, n. 3483.
191
A decorrere dall’anno accademico non si hanno più notizie dell’attività della Scuola di
perfezionamento. Fra l’altro, nel Nuovo Statuto della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1939), pp.
42-50, l’intero Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria
risulta omesso.
272
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
con le istituzioni e con le realtà socio-economiche e produttive del territorio, alla
crescita e alla modernizzazione dell’economia locale e regionale.
Paradossalmente – com’è stato notato –, il processo di centralizzazione del sistema universitario
italiano avviato nel 1935-36 da De Vecchi, mentre da un lato, in virtù dell’equiparazione di tutti gli atenei
statali, garantiva all’Università di Macerata continuità e stabilità dal punto di vista delle risorse e dei
finanziamenti, dall’altro annullava i presupposti stessi della strategia di ampio respiro da essa
tenacemente perseguita, in quegli anni, di assurgere a vero e proprio laboratorio specializzato nella
formazione e nella ricerca giuridica ed economica in campo agricolo e, più in generale, di divenire
l’istituzione guida, dal punto di vista culturale e scientifico, dello sviluppo economico e produttivo locale
e regionale192.
In uno scenario, quello della seconda metà degli anni Trenta, caratterizzato
ormai dalla rigida centralizzazione della formazione superiore e dalla sostanziale
omologazione degli ordinamenti e delle finalità del sistema universitario nazionale, il
processo di “fascistizzazione integrale” degli atenei perseguito con piglio militaresco e
indubbia efficacia dal ministro De Vecchi registrò anche nell’Università di Macerata
esiti rilevanti. Soprattutto durante i rettorati di Guido Bonolis (1933-1937), Giuseppe
Capograssi ((1937-1939) ed Enrico Bassanelli (1939-1940), a questo proposito, il
piccolo Ateneo marchigiano si distinse per le iniziative di propaganda fascista e per le
manifestazioni di consenso al regime mussoliniano193, in continuità peraltro con
l’atteggiamento manifestato, in questo stesso periodo, dalla gran parte delle università
italiane194.
Alla ormai acquisita stabilità sotto il profilo giuridico ed economico si
accompagnò, nella seconda metà degli anni Trenta, anche una lenta ma significativa
crescita degli iscritti, dopo i notevoli cali e le costanti difficoltà riscontrate su questo
versante a partire dalla fase del primo dopoguerra e per tutto il corso degli anni Venti.
192
Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una
fonte preziosa per la storia delle università, cit.
193
Si veda al riguardo il quadro delle iniziative promosse in tal senso dall’ateneo maceratese offerto nelle
relazioni inaugurali: Inaugurazione dell’Anno Accademico 1935-1936. Relazione del Rettore Prof. Guido
Bonolis, ANNUARIO (1937), pp. 3-9; Inaugurazione dell’Anno Accademico 1937-1938. Relazione del
Rettore Prof. Giuseppe Capograssi, ivi (1938), pp. 3-5; e Inaugurazione dell’Anno Accademico 19381939. Relazione del Rettore Prof. Enrico Bassanelli (Riassunto), ivi (1939), pp. 3-4. Ma si vedano anche
le relazioni dei segretari del GUF di Macerata per gli anni relativi: Relazione del Segretario del G.U.F.
Anno Accademico 1935-36, ivi (1937), pp. 11-16; Relazione del Segretario del G.U.F. Anno Accademico
1937-1938, ivi (1938), pp. 6-17; Relazione del Segretario del G.U.F. Anno Accademico 1938-1939, ivi
(1939), pp. 5-13.
194
Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit.,
pp. 338-350.
273
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
A questo riguardo, deve essere segnalato che, dopo avere registrato nell’anno
accademico 1927-1928 il picco negativo di 92 iscritti, la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Ateneo maceratese conobbe una graduale e costante ripresa, attestandosi su una
media di 134 iscritti nel periodo compreso tra il 1934 e il 1940 (+51%)195, con un
incremento medio di gran lunga superiore a quello fatto registrare, nello stesso periodo,
dalle altre facoltà giuridiche della penisola (+29%)196.
In controtendenza con la crescita complessiva degli iscritti sopra riferita si
poneva il dato relativo alla presenza femminile nell’Università di Macerata, che nel
corso del ventennio fascista, faceva registrare, al pari che in altri atenei italiani, un
notevole calo, in sintonia del resto con le politiche di restrizione alle donne dell’accesso
all’istruzione superiore e universitaria avviate dal regime197. A questo riguardo, le
iscritte alla Facoltà di Giurisprudenza, che nell’anno accademico 1926-1927
ammontavano al 4,9% della popolazione studentesca complessiva, un decennio più
tardi, e precisamente nel 1938-1939, scendevano all’1,6%, per approdare poi due anni
dopo, nel 1940-1941, allo 0,6%198. Un fenomeno, quest’ultimo destinato a riverberarsi
pesantemente anche sul numero complessivo delle laureate in Giurisprudenza del
periodo199.
Il dato relativo alla provenienza geografica degli iscritti attesta un significativo
incremento, rispetto al passato, della componente studentesca di provenienza regionale,
pur a fronte del persistere di una rilevante porzione di giovani reclutati nelle aree centromeridionali della penisola. A questo riguardo, deve essere segnalato che, tra la fine
dell’Ottocento e la vigilia del secondo conflitto mondiale, la percentuale di iscritti
all’Ateneo provenienti dalle province marchigiane registrava una dinamica all’insegna
195
Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., p. 424.
Si vedano al riguardo i dati sugli iscritti alle Facoltà di Giurisprudenza negli atenei della penisola per il
periodo relativo riportati in Istituto Centrale di Statistica, Annuario statistico dell’istruzione italiana,
anno scolastico 1950-1951, serie I, vol. 4, Roma, Tip. Failli, 1953, p. 245.
197
Cfr. M.L. Bianco, Donne all’Università. Studentesse e docenti nell’accademia italiana
contemporanea, «Annali di storia delle università italiane», 8 (2004), pp. 9-34; P. Govoni, Donne e
scienza nelle università italiane, 1877-2005, in Ead. (a cura di), Storia, scienza e società. Ricerche sulla
scienza in Italia nell'età moderna e contemporanea, Bologna, Dipartimento di filosofia, CIS, 2006, pp.
239-288. Sul periodo che dall’unificazione nazionale giunge fino alla prima guerra mondiale, oltre alla
ricca messe di dati e notizie forniti da V. Rava, Le laureate in Italia. Notizie storiche, Roma, Cecchini,
1902, si veda anche la documentata ed efficace analisi proposta in M. Raicich, Liceo, Università,
Professioni: un percorso difficile, in S. Soldani (a cura di), L'educazione delle donne: scuole e modelli di
vita femminile nell'Italia dell'Ottocento, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 147-181.
198
Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., p. 266.
199
Cfr. S. Serangeli, L. Pomante, L’inatteso dono di un abbandonato album fotografico: Iriade Tartarini
e i suoi compagni d’Università del 1897, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 175185.
196
274
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
della progressiva, seppure non costante crescita, passando dal 27% del 1896-1897, al
15% del 1914-1915 e al 45% del 1922-1923, fino al 63% dell’anno accademico 19381939200.
Se si scompone quest’ultimo dato su base provinciale, emerge che, a fronte del
46% di iscritti proveniente dal maceratese, il 24% era originario dell’ascolano, il 22%
apparteneva alla provincia di Ancona e il restante 8% a quella di Pesaro, il che conferma
una distribuzione regionale particolarmente concentrata nei territori delle Marche
centro-meridionali e assai meno rilevante nella parte settentrionale (provincia di
Pesaro), in ragione non solamente della presenza dell’Ateneo urbinate, ma anche della
peculiare e notevole capacità di attrazione della vicina Università di Bologna.
Sempre con riferimento all’anno accademico 1938-1939, gli iscritti provenienti
da fuori regione (ovvero il 37% del totale) erano così distribuiti: il 23% dall’Abruzzo e
dal Molise, il 7% dalle Puglie, il restante 7% proveniva da diverse regioni, specie
dell’Italia centrale e meridionale (Umbria, Lazio, Campania, Lucania e Calabria), e, in
piccola parte, dai territori dell’altra sponda dell’Adriatico (Spalato, Zara ecc.)201.
Sembra di poter dire, a questo proposito, che il processo di “regionalizzazione”
dell’Ateneo maceratese ricevette un particolare impulso nel corso del ventennio fascista,
contribuendo a modificare in profondità le caratteristiche di polo d’attrazione e di
istituzione
universitaria
di
riferimento
di
una
popolazione
universitaria
fondamentalmente extra regionale, legata soprattutto ai territori dell’Italia centrale e
meridionale, che avevano connotato essenzialmente l’Università di Macerata
dall’unificazione nazionale alla prima guerra mondiale. Un processo, quest’ultimo,
destinato a trovare conferma e a conoscere, anzi, ulteriori sviluppi negli anni del
secondo dopoguerra.
Per quel che concerne il corpo docente dell’Ateneo maceratese, nella seconda
metà degli anni Trenta si accentuava ulteriormente la caratteristica, già riscontrata
pressoché costantemente fin dagli ultimi due decenni del secolo XIX – e comune, del
resto, a larga parte degli atenei minori della penisola –, dell’estrema mobilità e dello
scarso radicamento dei professori di ruolo, la maggior parte dei quali considerava quella
marchigiana come una mera “sede di passaggio”, nella quale compiere la fase iniziale
della propria carriera accademica, per poi spiccare il volo verso i maggiori atenei della
200
Elaborazione, a cura dell’autore, sui dati statistici contenuti nell’ANNUARIO per gli anni relativi.
Elenco nominativo degli studenti iscritti nell’anno accademico 1938-39, ANNUARIO (1939), pp. 2933.
201
275
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
penisola (Roma, Bologna, Napoli, Torino e Milano in particolare), o quanto meno verso
sedi universitarie collocate in città più piccole, ma meno decentrate dal punto di vista
geografico e dotate di migliori collegamenti (Pisa, Parma, Perugia, Pavia ecc.).
Complessivamente, nel periodo fra le due guerre, e più in particolare tra il 1920
e il 1938, la percentuale dei professori di ruolo della Facoltà di Giurisprudenza
maceratese che si trasferì annualmente presso un altro ateneo fu del 34%, con una
particolare accentuazione del tasso di mobilità nel quinquennio 1934-1938202.
Merita di essere sottolineato, peraltro, che il crescente avvicendamento dei
professori di ruolo sulle cattedre dell’Università di Macerata, dovuto all’alto tasso di
mobilità cui si è fatto cenno, rese particolarmente difficile il radicamento di studiosi di
prestigio e, dunque, la creazione e il consolidamento di vere e proprie “scuole
universitarie” e di autorevoli équipe di ricerca nei diversi settori scientifici e
disciplinari. Estremamente significativa per la vera e propria centralità rivestita dalla
disciplina, ma tutt’altro che particolare e isolata, è la vicenda della cattedra di Diritto
civile sulla quale, nel breve arco del decennio 1931-1940, si avvicendarono ben cinque
diversi titolari203.
Il fenomeno cui si è fatto riferimento sopra, peraltro, era destinato a generare
ulteriori problemi e a riverberarsi negativamente sull’attività didattica e sulla stessa
qualità scientifica e culturale degli insegnamenti impartiti dalla Facoltà di
Giurisprudenza. Basti dire che, nel corso del ventennio sopra richiamato, gli
insegnamenti impartiti da professori ordinari furono mediamente il 28%, e quelli tenuti
da professori straordinari il 25%, a fronte di una percentuale di insegnamenti coperti con
l’attribuzione di incarichi a docenti esterni che raggiungeva il 47% del totale, ovvero
quasi la metà di quelli previsti come obbligatori o facoltativi dalla tabella del corso di
laurea in Giurisprudenza204.
In buona sostanza, tra le difficoltà create dall’alto tasso di trasferimenti ad altra
sede dei professori incardinati, e nelle more dell’eventuale “chiamata” di nuovi titolari
per la copertura della cattedra resasi improvvisamente vacante, si poneva anche quella,
tutt’altro che secondaria e marginale, di un abnorme numero di insegnamenti, talora di
primaria importanza, attribuiti per incarico ad un personale docente non di ruolo e
reclutato sovente in tutta fretta per far fronte agli obblighi di legge.
202
Il tasso di mobilità è ricavato dalla rielaborazione dei dati statistici contenuti in Trento, Le università
marchigiane durante il fascismo, cit., pp. 268-269.
203
Si tratta di Giuseppe Stolfi, Paolo Greco, Mario Casanova, Enrico Bassanelli e Domenico Rubino.
204
Elaborazione, a cura dell’autore, sui dati statistici contenuti nell’ANNUARIO per gli anni relativi.
276
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
E’ pur vero che il carattere di “sede di passaggio”, nella quale i giovani studiosi
compivano la fase iniziale della propria carriera accademica prima di trasferirsi nelle
sedi universitarie più grandi e prestigiose, tradizionalmente rivestito dall’Università di
Macerata, e consolidatosi ulteriormente nel periodo fra le due guerre, accanto alle
controindicazioni sopra richiamate produsse anche taluni effetti positivi, che non
possono essere sottovalutati o ignorati. Basterebbe qui accennare al fatto che
l’avvicendamento continuo di giovani professori formatisi altrove e approdati a
Macerata nella fase iniziale e più feconda della loro attività di ricerca contribuì,
indubbiamente, a favorire la circolazione di idee nuove e il confronto tra orientamenti e
tradizioni scientifiche differenti, evitando parimenti il rischio della stagnazione culturale
e del ripiegamento in chiave localistica delle attività di ricerca e d’insegnamento,
caratteristico delle piccole sedi e degli atenei di provincia.
Non può essere taciuto inoltre che, anche circoscrivendo la nostra analisi al solo
periodo compreso fra le due guerre, la Facoltà di Giurisprudenza di Macerata poté
annoverare tra i suoi professori, fosse pure per un arco di tempo limitato, taluni giovani
studiosi destinati in seguito a divenire veri e propri “maestri” nei diversi ambiti
scientifici e disciplinari e ad imporsi a livello nazionale e internazionale per la qualità e
lo spessore delle loro ricerche e dei loro studi. Basterebbe qui far cenno, a titolo
meramente esemplificativo, a personalità del calibro di Giuseppe Capograssi
nell’ambito della Filosofia del diritto205, Costantino Mortati sul versante del Diritto
costituzionale206, Pietro Gismondi per il Diritto ecclesiastico207, Antonio Amorth per il
Diritto amministrativo208, e Enrico Allòrio sul versante del Diritto processuale civile209.
Nell’autunno del 1940, a distanza di pochi mesi dall’ingresso dell’Italia fascista
nel secondo conflitto mondiale, il rettore Costantino Mortati non lesinava di attingere
205
Su Giuseppe Capograssi si vedano J. Ballesteros, La filosofia juridica de Giuseppe Capograssi, RomaMadrid, Consejo superior de investigaciones scientificas, 1973; e M.G. Esposito, Diritto e vita. La lezione
di Giuseppe Capograssi, Milano, Giuffrè, 1997.
206
Su Costantino Mortati si vedano M. Galizia, P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico di Costantino
Mortati, Milano, Giuffrè, 1990; M. Brigaglia, La teoria del diritto di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè,
2006; e M. Galizia (a cura di), Forme di Stato e forme di governo: nuovi studi sul pensiero di Costantino
Mortati, Milano, Giuffrè, 2007.
207
Su Pietro Gismondi si vedano i contributi a lui dedicati in J.I. Arrieta, G.P. Milano (a cura di), Metodo,
fonti e soggetti del diritto canonico. Atti del Convegno internazionale di studi «La scienza canonistica
nella seconda metà del '900: fondamenti, metodi e prospettive in D'Avack, Lombardia, Gismondi e
Corecco» (Roma, 13-16 novembre 1996), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,1999.
208
Su Antonio Amorth si veda in particolare V. Gasparini Casari (a cura di), Il pensiero giuridico di
Antonio Amorth nel quadro dell’evoluzione del diritto pubblico e amministrativo, Modena, Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Modena e Reggio, 2005.
209
Su Enrico Allòrio si veda C. Consolo, L’opera di Enrico Allòrio fra teoria generale e sensibilità
storica, Padova, Cedam, 2004.
277
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
alle più collaudate e colorite metafore della retorica bellicista del regime per inquadrare
i nuovi scenari che caratterizzavano la vita del Paese e per delineare le prospettive sulle
quali esso si era incamminato:
La «Grande Proletaria» si è mossa – egli affermava –; le armi sono state impugnate in un
durissimo cimento, che, mentre riafferma le virtù guerriere della nostra stirpe, mostra la maturità
dell’Italia ad assumere una posizione direttiva, ad intraprendere quella missione mondiale, profetizzata
dal vaticinio dei poeti e dei martiri del riscatto italico, inspirata dalla tradizione immortale di Roma,
voluta dal genio del Duce, che di questa «itala gente dalle molte vite», di questo «popolo di navigatori, di
poeti, di soldati e di santi», seppe fare una energia sola, e lanciarla alla conquista dell’avvenire. La
sicurezza che ci arride dell’esito vittorioso dell’aspra impresa, affidata alla considerazione dei fattori che
ho ricordati, oltre che esaltare il nostro sentimento patriottico, conforta e soddisfa il senso umano che è in
ciascuno di noi, e ciò per l’intima convinzione della giustezza dei motivi che ci hanno costretto a scendere
in campo, della necessità di dare al mondo assetato di pace un ordine stabile, che, per essere fondato nella
giustizia, solo può soddisfare a quella aspirazione.
L’enfatica apertura del discorso di Mortati non era fine a se stessa, ma mirava a
definire il nuovo quadro entro il quale avrebbero dovuto collocarsi la vita universitaria
nazionale nel suo complesso e, più in particolare, l’esperienza dell’Ateneo maceratese.
Se era vero infatti, com’egli sottolineava, che «un Impero non è tale per l’ampiezza
dello spazio su cui si estende, o per la moltitudine dei popoli su cui domina, e neppure
in ragione della forza armata della quale dispone, bensì solo in virtù delle energie
spirituali che da esso emanano, della missione di civilizzazione che è capace di
adempiere», era altrettanto vero che tutto ciò comportava l’assunzione, da parte dei
singoli docenti e della comunità universitaria nel suo complesso, di nuovi impegni e di
nuove e più stringenti responsabilità. Si rendeva necessario, in sostanza, «trascendere
gli interessi particolari», ed «operare per l’elevamento materiale e soprattutto per quello
morale» del paese:
Affinché dunque – egli precisava – la nostra espansione apra la via a quella nuova, più elevata
civiltà che auspichiamo, è necessario armarsi di ferrea virtù, piegarsi ad una dura, insonne fatica,
raggiungere il primato in ogni campo di attività. E se è vero che i valori della cultura sono quelli che
promuovono e condizionano tutti gli altri, è all’Università che spettano in via principale il compito e la
responsabilità di temprare le pacifiche, ma veramente invincibili armi, pei cimenti di oggi, e per quelli,
forse ancora più gravi, di domani. […] Ci assiste la ferma convinzione che a questa necessaria
intensificazione ed approfondimento dell’attività scientifica Macerata recherà il suo contributo.
278
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
E la «ferma convinzione» cui accennava il rettore Mortati traeva conforto e
solidi argomenti dalla costante fedeltà alla propria funzione e ai nuovi compiti che ad
essa erano stati assegnati dal governo nazionale della quale l’Università di Macerata
aveva dato prova nel corso del suo recente passato. Una fedeltà che trovava riscontro
negli indubbi risultati conseguiti sia sul piano della ricerca scientifica e della formazione
superiore, sia su quello, non meno importante, del contributo recato alla crescita
culturale e al rinnovamento della coscienza etico-civile e politica delle nuove
generazioni:
Che questa convinzione non sia attinta solo dal passato glorioso del nostro Ateneo, ma si radichi
nel sodo terreno della realtà di oggi – notava innanzi tutto Costantino Mortati – sembra comprovato da
confortanti indizi. Vi è anzitutto da rilevare l’andamento delle immatricolazioni, che da qualche anno
segna una curva costantemente ascendente e che quest’anno ha toccato un massimo di 80, con previsione
di ulteriore aumento, superando così di più del doppio il numero raggiunto nello scorso anno. Successo
questo tanto più notevole, in quanto non è ottenuto attraverso la lusinga delle facili indulgenze, ma
mantenendo costantemente agli studi un carattere di serietà. È nostra cura diuturna provvedere al
mantenimento di questi criteri, che, mentre son diretti a dare ai giovani i mezzi per un efficace
approfondimento della loro preparazione, assicurano una coscienziosa e rigorosa selezione delle migliori
capacità210.
Su un diverso piano, accanto al «contributo recato agli studi dal nostro Ateneo»,
alle «pubblicazioni accolte con sempre maggiore favore dagli studiosi» e ai «notevoli
riconoscimenti degli elevati meriti dei docenti della nostra facoltà», non andava
dimenticato l’imponente lavoro «culturale» e «politico» che aveva affiancato l’attività
scientifica e didattica in senso stretto, nell’ambito del quale il rettore dell’Università di
Macerata si limitava a richiamare, tra le iniziative di più elevato valore realizzate negli
ultimi anni:
L’iniziativa, promossa dal mio predecessore, in collaborazione con la Sezione provinciale
dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, diretta a divulgare l'opera della nuova legislazione fascista.
Due eminenti maestri di diritto, Arturo Carlo Jemolo e Francesco Carnelutti hanno in questa aula, nei
mesi decorsi, illustrato alcuni fra gli aspetti più appassionanti dei rapporti fra Stato e cittadino; il primo
parlando di essi nei riguardi della P.A., l’altro con riferimento alla giustizia civile, secondo la
210
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1940-1941 – XIX. Relazione del Rettore Prof. Costantino
Mortati, ANNUARIO (1941), pp. 5-8. Nell’anno accademico 1940-1941, in realtà, si registrarono ben 87
nuove immatricolazioni, il che consentì all’ateneo maceratese di raggiungere il numero complessivo di
176 iscritti. Cfr. Elenco nominativo degli studenti iscritti nell’anno accademico 1940-41 XIX,
ANNUARIO (1941), pp. 77-85.
279
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
predisposizione contenuta nel nuovo codice di procedura. Tali lezioni, sospese per il sopravvenire degli
eventi bellici saranno riprese colla collaborazione di docenti di questo e di altri Atenei211.
Questa sorta di bilancio in itinere della «meritoria attività» e delle «importanti
realizzazioni» di cui si era resa protagonista l’Università di Macerata aveva fra l’altro lo
scopo di richiamare l’attenzione del governo nazionale sulle ormai improcrastinabili
esigenze di sviluppo del piccolo Ateneo marchigiano, il cui potenziamento sotto il
profilo dell’offerta didattica e formativa e della caratterizzazione sul piano scientifico e
culturale si rendeva necessario, a detta del rettore Mortati, non già ai fini di un mero
«soddisfacimento di un interesse particolare», ma come efficace soluzione agli
accresciuti problemi che travagliavano il sistema universitario nazionale e, nel
contempo, come risposta alla «sempre più incalzante» necessità di fornire una
preparazione adeguata alle giovani generazioni:
Orbene – affermava il rettore –, quest’affluire crescente di giovani, quest’appassionata attività di
docenti, questo fervore di iniziative, questo rivolgersi della munificenza privata (che amo considerare non
puramente fortuito, né destinato a rimanere isolato), a favore del nostro antico Studio, sono elementi che
devono imporre sempre più all’attenzione delle autorità di governo la soluzione del problema annoso del
suo ampliamento. Nell’intento di prodigare tutti i nostri sforzi in questa direzione ci assiste la convinzione
di non tendere solo al soddisfacimento di un interesse particolare. Ciò perché tale interesse noi lo
valutiamo nella sua attitudine a inserirsi in una esigenza di carattere generale, quale è quella del
riordinamento degli studi universitari. Io penso che, in occasione di questo riordinamento, dovrà essere
riaffermata la vantaggiosa funzione delle piccole università, ai fini dell’incremento della cultura
superiore. Lo stesso sdoppiamento delle cattedre nelle maggiori università – da alcuni vagheggiato – non
potrà risolvere il problema della formazione culturale dei giovani, che diviene sempre più incalzante, via
via che aumenta la popolazione scolastica. Le università dei centri minori, consentendo un più stretto
contatto fra docenti e discenti, l’eliminazione delle cause di dispersione di energie e di sciupìo di tempo,
insopprimibili nelle grandi città, il maggiore raccoglimento, offrono elementi assai vantaggiosi per la
proficuità degli studi, a condizione però che esse siano dotate dei mezzi sufficienti per l’effettivo
espletamento della loro missione.
L’appello di Costantino Mortati al governo nazionale affinché, «in armonia a
quei principi di giustizia distributiva ai quali il Regime fascista informa la sua azione»,
non fossero ancora una volta, come già a più riprese in passato, negate all’Università di
Macerata «quelle provvidenze già largamente concesse ad altre Università» giungeva
all’indomani di una serie di incontri avuti a Roma dal precedente rettore Enrico
211
Ibidem, pp. 8-9.
280
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Bassanelli e dallo stesso Mortati con il ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe
Bottai, legato da antichi vincoli di amicizia con l’Ateneo maceratese212, nel corso dei
quali «il Ministro per l’Educazione Nazionale» aveva «riconosciuto in modo esplicito la
necessità che a Macerata sia data una nuova facoltà» e si era impegnato personalmente a
sostenere l’istanza avanzata al riguardo dall’ateneo marchigiano.
Purtroppo, come sottolineava lo stesso Mortati, «lo stato di guerra, sopravvenuto
dopo i colloqui avuti con il Ministro, non ha consentito finora che tale impegno di
massima potesse essere concretato». Di qui la necessità di riprendere i contatti e di
potenziare ulteriormente le pressioni sul ministero al fine di ottenere quanto promesso:
«È mio intento riprendere senza indugio – sempre d’accordo con le autorità locali –
l’iniziativa, allo scopo di ottenere che l’aspirazione della nostra Università si
realizzi»213.
Sul finire del 1940, a questo riguardo, il rettore dell’Università di Macerata
faceva pervenire al ministro Bottai un memoriale dal titolo Considerazioni e proposte
per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata214, nel quale,
dopo avere ripercorso «i precedenti della questione» e documentato con dovizia di
particolari l’«esistenza di condizioni favorevoli allo sviluppo dell’Università di
Macerata», erano avanzate una serie di proposte specifiche relative alla «istituzione di
una facoltà letteraria» dai tratti e dalle caratteristiche peculiari rispetto alle tradizionali
facoltà di Lettere e Filosofia esistenti negli altri atenei della penisola, dotata cioè di un
212
Giuseppe Bottai, all’epoca sottosegretario di Stato al ministero delle Corporazioni, l’11 novembre
1928 era stato chiamato all’Università di Macerata a tenere il discorso celebrativo in occasione della
solenne inaugurazione dell’anno accademico 1928-1929. Si era trattato della prima e unica volta nella
vicenda postunitaria dell’università marchigiana in cui un non togato, e in particolare un membro del
governo in carica, aveva assolto ad un ufficio tradizionalmente ricoperto da un docente di ruolo della
Facoltà di Giurisprudenza. Cfr. Fascismo e Cultura. Discorso inaugurale detto da S.E. l’On. Giuseppe
Bottai Sottosegretario di Stato al Ministero delle Corporazioni l’11 novembre 1928, ANNUARIO (1929),
pp.13-21. Anche in seguito Bottai aveva mantenuto ottime relazioni con i vertici dell’Ateneo, non
mancando di sostenere con cospicui finanziamenti ministeriali le iniziative da esso promosse nel campo
della promozione degli studi corporativi. I rapporti, com’è comprensibile, si erano intensificati
all’indomani della nomina dell’esponente fascista alla guida del ministero dell’Educazione Nazionale
(1936), anche in ragione dell’antica amicizia che legava Bottai al rettore Enrico Bassanelli. Si veda al
riguardo il carteggio conservato in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. Bassanelli Enrico. In ASMc,
Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1941-1953, bb. 3476-3477, sono
presenti alcuni documenti dell’amministrazione comunale che fanno riferimento ai diversi incontri e agli
accordi stabiliti, nei primi mesi del 1940, tra i rappresentanti dell’ateneo (Bassanelli e Mortati) e il
ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, per l’istituzione a Macerata di una seconda facoltà
accanto a quella “storica” di Giurisprudenza.
213
Inaugurazione dell’Anno Accademico 1940-1941 – XIX. Relazione del Rettore Prof. Costantino
Mortati, cit., pp. 10-11.
214
Se ne veda ora il testo dato alle stampe nei primi mesi del 1941: Considerazioni e proposte per la
istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata, Macerata, Stab. Tipografico
Maceratese, s.d. (ma 1941). La memoria, predisposta quasi certamente dallo stesso rettore Costantino
Mortati, era costituita da 7 brevi capitoli e arricchita da 11 allegati.
281
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
ordinamento particolare destinato a privilegiare la «specializzazione nelle lingue» e
nelle culture e istituzioni «dell’Oriente europeo»215.
Nelle Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la
R. Università di Macerata, come si vede, tornava prepotentemente alla ribalta, sia pure
con una caratterizzazione dai tratti originali come vedremo, il progetto lungamente
accarezzato dal sindaco di Macerata e dai vertici dell’Ateneo e dagli stessi vertici
dell’amministrazione comunale maceratese fin dai primissimi anni Venti, e oggetto,
come si ricorderà, di un apposito memoriale fatto pervenire nel dicembre 1922 dal
sindaco di Macerata Ettore Ricci all’allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni
Gentile.
Intendiamo riferirci alla proposta di affiancare alla Facoltà di Giurisprudenza
«Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la conoscenza e la penetrazione del
Levante», la quale, lungi dal riproporre il tradizionale modello delle facoltà universitarie
di lettere o di lingue straniere già attive nella penisola, avrebbe dovuto essere impostata
sulla base di un’organizzazione degli studi del tutto originale, al fine di caratterizzarsi
come un «centro di irradiazione culturale verso il Levante» e fungere da anello di
congiunzione tra l’Europa occidentale e orientale e di collegamento tra i paesi delle
diverse sponde «dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale»216.
L’estensore della memoria inviata a Bottai non mancava di sottolineare come
l’Università di Macerata era rimasta l’unica nella penisola ad essere dotata di una sola
facoltà, e ciò appariva tanto più grave in quanto, negli ultimi vent’anni, numerosi erano
stati «i provvedimenti del Governo Fascista diretti – oltre che a creare nuove Università
– ad ampliare, arricchendole di nuove facoltà, quelle esistenti, anche se libere (Urbino,
Camerino, Ferrara)»; per di più, a conferma dell’incomprensibile e ingiustificata
penalizzazione che era stata riservata all’ateneo marchigiano, era appena il caso di
ricordare che «fu concesso a ben 16 facoltà di rilasciare lauree in discipline diverse da
quelle proprie del loro ordine di studi. Anche da questa ultima forma di sviluppo
Macerata fu esclusa»217.
L’istituzione nell’antico centro universitario marchigiano di una «Facoltà
letteraria» specializzata nell’insegnamento delle lingue e culture del vicino Oriente («in
modo da fare della nuova facoltà un istituto di alta cultura unico in Italia»), oltre che in
215
Ibidem, pp. 1-2.
Cfr. Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit.
217
Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata,
cit., pp. 3 e 15-16.
216
282
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
virtù delle solide tradizioni umanistiche di Macerata e delle Marche, e dell’assenza di
analoghe facoltà letterarie negli atenei della fascia adriatica centro-meridionale218, si
rendeva non solo opportuna, ma anche urgente per più ragioni, non ultima quella di
favorire la diffusione della cultura italiana tra le popolazioni dell’altra sponda
dell’Adriatico e delle aree dell’Europa Orientale che proprio il nuovo corso impresso
alla politica estera italiana dal regime fascista e l’evoluzione dei rapporti internazionali
avevano reso strategiche per il Paese:
I tempi – si affermava al riguardo nel memoriale inviato al ministro Bottai – appaiono maturi per
l’esaudimento della antica aspirazione di ampliamento dello Studio maceratese, che è atteso come atto di
giustizia riparatrice. La istituzione di una facoltà letteraria, con specializzazione per la conoscenza delle
lingue, letterature ed istituzioni dell’Europa Orientale, che dovrebbe intitolarsi al nome di «Giacomo
Leopardi», non solo sembra soddisfare a tale aspirazione, ma anche corrispondere ad urgenti esigenze di
carattere nazionale. Le circostanze che sono state ampiamente illustrate sembrano esigere che l’apertura
della facoltà non sia rinviata al dopo guerra, ma disposta senz’altro indugio, pel prossimo anno
accademico, così come si è fatto per la facoltà di Agraria di Palermo. Infatti non prorogabile si presenta la
necessità di iniziare quegli scambi culturali con i paesi dell’altra sponda dell’Adriatico, che sono
condizione preliminare, indispensabile, per una più ampia ed intensa penetrazione nei medesimi
dell’influenza italiana. La pace dovrà trovare già avviata tale opera di penetrazione ed è perciò che si
confida che il Governo, in adempimento della promessa assunta, voglia soddisfare alle esigenze illustrate
ed appagare l’antica e vivamente sentita aspirazione della regione maceratese, predisponendo quanto
occorra per l’istituzione ed il funzionamento della nuova facoltà219.
Le «urgenti esigenze di carattere nazionale» richiamate dai vertici dell’Ateneo
maceratese affinché l’istituzione della nuova facoltà letteraria non fosse «rinviata al
dopoguerra, ma disposta senz’altro indugio, pel prossimo anno accademico, così come
si è fatto per la facoltà di Agraria di Palermo», erano destinate a non trovare adeguata
attenzione negli ambienti del ministero dell’Educazione Nazionale, almeno nel residuo
periodo in cui esso fu presieduto da Giuseppe Bottai220.
218
Ibidem, pp. 20-23.
Ibidem, pp. 11-12.
220
Si veda al riguardo la documentazione conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione
nazionale), clas. 7 (Università), 1941-1953, b. 3477.
219
283
Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista
Un successivo interessamento favorevole all’iniziativa da parte del nuovo
titolare della Minerva, Carlo Alberto Biggini221, riguardo al quale disponiamo di notizie
frammentarie222, era destinato anch’esso a restare lettera morta.
La drammatica evoluzione fatta registrare dagli eventi bellici e le vicende che, di
lì a poco dovevano portare alla caduta del fascismo e all’occupazione della penisola
erano destinate non solamente a favorire l’accantonamento del progetto formulato nelle
Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R.
Università di Macerata, ma anche a spostare forzatamente l’attenzione dell’Ateneo
marchigiano verso altre impellenti necessità e verso i drammatici problemi prodotti
dalla seconda guerra mondiale223.
221
Succeduto a Giuseppe Bottai nella fase più drammatica del secondo conflitto mondiale, nel momento
in cui, cioè, sembrava ormai profilarsi all’orizzonte la sconfitta militare e il crollo del regime fascista,
Carlo Alberto Biggini fu ministro dell’Educazione Nazionale dal 6 febbraio al 25 luglio 1943.
222
Per ragioni legate alle vicende belliche, tanta parte della documentazione archivistica è andata dispersa
e gli archivi dell’Università di Macerata sono gravemente lacunosi rispetto alle attività amministrative e
ai provvedimenti assunti dai vertici dell’Ateneo nel periodo 1942-1943. L’episodio a cui si è fatto cenno
nel testo è ricavato da una testimonianza raccolta molti anni dopo sulle pagine locali del quotidiano «Il
Resto del Carlino»: «Nel 1943 ci sembrò di aver raggiunto la mèta quando il ministro dell’Educazione
prof. Biggini, in una memorabile riunione in prefettura, […] affermò solennemente di essere pienamente
favorevole alla istituzione in Macerata della facoltà di lettere e lingue e terminò il suo dire all’incirca così:
Ed ora vi attendo a Roma al più presto per la firma della Convenzione!» (Vivissimi consensi all’iniziativa
dell’ORUM, «Il Resto del Carlino»(Cronaca di Macerata), 17 agosto 1956) .
223
Per un quadro d’insieme si veda Ministero della Pubblica Istruzione, La ricostruzione delle università
italiane, Firenze, Le Monnier, 1951.
284
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I rettori della Regia Università di Macerata dal 1861 al 1945
I RETTORI DELLA REGIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DAL 1861 AL 1945
1. Matteo Ricci
dal 1° gennaio al 31 marzo 1861
2. Borgoncelli Filippo
dal 1° aprile al 31 ottobre 1861
3. Pianesi Luigi
dal 1° novembre 1861 al 31 ottobre 1876
4. Palestini Giovanni Battista
dal 1° novembre 1876 al 31 ottobre 1878
5. Geronzi Abdia
dal 1° novembre 1878 al 31 ottobre 1885
6. Lo Savio Nicolò
dal 1° novembre 1885 al 31 ottobre 1887
7. Pascucci Raffaele
dal 1° novembre 1887 al 28 febbraio 1890
8. Calisse Carlo
dal 1° marzo 1890 al 30 novembre 1892
9. Serafini Enrico
dal 1° dicembre 1892 al 15 maggio 1895
10. Barsanti Pio
dal 16 maggio 1895 al 31 ottobre 1896
11. Serafini Enrico
dal 1° novembre 1896 al 31 dicembre 1896
12. Lo Savio Nicolò
dal 1° gennaio 1897 al 15 novembre 1897
13. Pascucci Raffaele
dal 16 novembre 1897 al 31 ottobre 1898
14. Tartufari Luigi
dal 1° novembre 1898 al 30 novembre 1901
15. Ranelletti Oreste
dal 1° dicembre 1901 al 15 gennaio 1905
16. Arangio Ruiz Gaetano
dal 16 gennaio 1905 al 15 ottobre 1910
17. Pascucci Raffaele
dal 16 ottobre 1910 al 31 ottobre 1912
18. Arcangeli Ageo
dal 1° novembre 1912 al 31 dicembre 1913
19. Borsi Umberto
dal 1° gennaio 1914 al 31 ottobre 1915
20. Marchi Antonio
dal 1° novembre 1915 al 15 ottobre 1916
21. Donati Donato
dal 16 febbraio 1917 al 31 dicembre 1917
22. Pascucci Raffaele
dal 1° gennaio 1918 al 19 agosto 19181
1
Il mandato rettorale s’interruppe anticipatamente per l’improvvisa e prematura scomparsa del prof.
Raffaele Pascucci. Il decano prof. Pio Barsanti assunse la funzione di prorettore nei giorni seguenti e, in
299
I rettori della Regia Università di Macerata dal 1861 al 1945
23. Bortolucci Giovanni
dal 1° settembre 1918 al 15 ottobre 1919
24. Barsanti Pio
dal 16 ottobre 1919 al 31 luglio 1923
25. Bachi Riccardo
dal 1° agosto 1923 al 30 novembre 1924
26. Zorli Alberto
dal 1° dicembre 1924 al 30 novembre 1926
27. Breschi Bruno
dal 1° febbraio 1927 al 30 novembre 1927
28. De Valles Arnaldo2
dal 15 gennaio 1929 al 31 ottobre 1932
29. Greco Paolo3
dal 1° novembre 1932 al 30 novembre 1933
30. Bonolis Guido
dal 1° dicembre 1933 al 31 ottobre 1937
31. Capograssi Giuseppe
dal 1° novembre 1937 al 31 ottobre 1938
32. Bassanelli Enrico
dal 1° novembre 1938 al 31 ottobre 1940
33. Mortati Costantino
dal 1° novembre 1940 al 31 ottobre 1942
34. Coniglio Antonio
dal 1° novembre 1942 al 31 ottobre 1945
tale veste, esercitò le funzioni di governo dell’ateneo fino alla nomina a rettore, il 1° settembre dello
stesso anno, del prof. Giovanni Bartolucci.
2
Il prof. Arnaldo De Valles ricoprì l’incarico di prorettore dal 15 dicembre 1927 al 15 gennaio 1929. A
partire da questa data assunse ufficialmente l’ufficio di rettore della R. Università di Macerata.
3
Per tutto il periodo del suo mandato, il prof. Paolo Greco non ebbe mai il decreto di nomina a rettore da
parte del ministero della Pubblica Istruzione. Egli mantenne dunque l’ufficio in qualità di prorettore e, a
tale titolo, firmò gli atti e i provvedimenti amministrativi dell’Ateneo.
300