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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN THEORY AND HISTORY OF EDUCATION CICLO XXIV (2009-2011) PER UNA STORIA DELL’ UNIVERSITÀ DI MACERATA TRA OTTO E NOVECENTO DALLA RICOSTITUZIONE DOPO LE SOPPRESSIONI NAPOLEONICHE ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE TUTOR DOTTORANDO CHIAR.MO PROF. ROBERTO SANI DOTT. LUIGIAURELIO POMANTE COORDINATORE CHIAR.MO PROF. ROBERTO SANI ANNO 2012 Indice INDICE INTRODUZIONE P. 2 ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI E DELLE ABBREVIAZIONI P. CAPITOLO PRIMO – L’OTTOCENTO PREUNITARIO P. 11 CAPITOLO SECONDO – LA STAGIONE POSTUNITARIA P. 42 CAPITOLO TERZO – TRA OTTO E NOVECENTO P. 99 9 CAPITOLO QUARTO – L’ETÀ GIOLITTIANA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE P. 143 CAPITOLO QUINTO – IL PRIMO DOPOGUERRA, LA RIFORMA GENTILE DEL 1923 E IL VENTENNIO FASCISTA P. 201 BIBLIOGRAFIA P. 285 I RETTORI DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI MACERATA DAL 1861 AL 1945 P. 299 Introduzione INTRODUZIONE Nel corso degli ultimi quindici anni la storia dell’istruzione superiore e delle istituzioni universitarie nell’Italia dell’Otto e del Novecento ha conosciuto un intenso e significativo sviluppo1, frutto indubbiamente del lavoro avviato da una nuova generazione di storici della cultura, delle istituzioni e dei processi formativi in età contemporanea2, come anche dello straordinario impegno esercitato su tale versante dal Centro interuniversitario per la storia delle università italiane (CISUI), il sodalizio sorto nel 1996 attorno a Gian Paolo Brizzi e ad un gruppo di studiosi appartenenti alle Università di Bologna, Padova, Messina, Sassari e Torino, con il proposito, appunto, di incrementare le attività di ricerca nel settore della storiografia universitaria attraverso la riorganizzazione degli archivi storici dei singoli atenei, la pubblicazione di fonti inedite, l’approfondimento delle questioni metodologiche e, soprattutto, la promozione di seminari specialistici e di convegni di studio nazionali e internazionali3. In tale contesto, un ruolo particolarmente significativo ha esercitato, a partire dal 1997, la rivista del CISUI «Annali di storia delle università italiane», nella cui sezione monografica hanno visto la luce in questi anni organiche raccolte di contributi dedicati alla storia di singoli atenei italiani, sui quali in taluni casi non si disponeva ancora di ricostruzioni storiche documentate e fondate su moderni criteri scientifici4. Il presente lavoro, che si propone di ripercorrere le vicende storiche e la complessa evoluzione sul piano accademico-istituzionale, culturale e politico dell’Università di Macerata dal suo ristabilimento, dopo le soppressioni operate in età napoleonica, all’indomani della Restaurazione, fino alla seconda guerra mondiale, si 1 Cfr. F. Casadei, Recenti studi sull’Università italiana dopo l’Unità, «Italia contemporanea», 1993, 192, pp. 503-510; G.P. Brizzi, La storia delle università in Italia: l’organizzazione della ricerca nel XX secolo, in L. Sitran Rea (a cura di), La storia delle università italiane. Archivi, fonti, indirizzi di ricerca, Atti del convegno. Padova, 27-29 ottobre 1994, Trieste, Edizioni Lint, 1996, pp. 273-309; M. Moretti, La storia dell’Università italiana in età contemporanea. Ricerche e prospettive, ivi, pp. 335-381; G. Fois, La ricerca storica sull’Università italiana in età contemporanea. Rassegna degli studi, «Annali di storia delle università italiane», 1999, 3, pp. 241-257. 2 Si veda al riguardo D. Negrini (a cura di), Repertorio nazionale degli storici dell’università, 1993-1997, Bologna, CLUEB, 1998. 3 Cfr. L. Pomante, The researchers on the history of University and higher education in Italy. A critical appraisal of the last twenty years, «History of Education & Children’s Literature», V (2010), 2, pp. 387417. 4 A partire dal primo anno di vita, il 1997, la Sezione Studi degli «Annali di storia delle università italiane» ha accolto contributi monografici dedicati alla storia dei seguenti atenei italiani: Bologna (1, 1997, pp. 41-163), Messina (2, 1998, pp. 37-188), Padova (3, 1999, pp. 41-179), Roma «La Sapienza» (4, 2000, pp. 25-119), Torino (5, 2001, pp. 31-189), Sassari (6, 2002, pp. 17-207), Pavia (7, 2003, pp. 29284), Ferrara (8, 2004, pp. 35-279), Parma (9, 2005, pp. 29-216), Siena (10, 2006, pp. 33-277), Milano (11, 2007, pp. 31-298), Politecnico di Milano (12, 2008, pp. 23-326), Macerata (13, 2009, pp. 45-283), Pisa (14, 2010, pp. 41-326). 2 Introduzione colloca nel quadro di questo rinnovato fervore di studi e di ricerche e, nella sua impostazione e articolazione, ha cercato di tenere presenti quelli che, ad avviso di chi scrive, appaiono sotto molteplici aspetti gli indirizzi maggiormente qualificanti la recente storiografia sull’istruzione superiore e sulla storia delle università italiane in età contemporanea. Intendiamo riferirci, in primo luogo, alla valorizzazione e al più ampio utilizzo delle fonti archivistiche e a stampa, in larga parte poco o nulla valorizzate nelle ricostruzioni precedenti5; e, su un diverso piano, all’attenzione tributata, in sede di analisi e di ricostruzione storica, non solamente alla vita interna e alle dinamiche didattiche, scientifiche e istituzionali in senso stretto, ma anche al ruolo esercitato dall’Università di Macerata nel contesto locale, alle vicende relative al rapporto tra l’Ateneo e le altre istituzioni presenti e operanti sul territorio maceratese e marchigiano6, all’influsso esercitato sulla vita e sull’attività dell’Università dai profondi mutamenti politici, sociali e culturali (si pensi, per fare solo un esempio, alle profonde trasformazioni intervenute all’indomani del compimento dell’unificazione nazionale o, su un diverso piano, ai peculiari sviluppi registrati a seguito della riforma Gentile del 1923 e della legislazione universitaria introdotta nel corso del ventennio fascista) che hanno caratterizzato la penisola nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento7. Più in generale, il presente lavoro ha inteso recuperare e approfondire, con particolare riferimento al contesto universitario maceratese e marchigiano, talune 5 Si vedano ad esempio: R. Foglietti, Cenni storici sull’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1878; U. Fresco, Origine dello Studio Generale in Macerata, Tip. Savini, Camerino, 1901; G. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1905; A. Visconti, L’Università di Macerata nel passato e nel presente, in Macerata e la sua Università, Stab. Tip. Bianchini, Macerata, 1933; G. Bonolis, L’Università di Macerata. Notizie storiche, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1933; A. Marongiu, L’Università di Macerata nel periodo delle origini, in «Annali dell’Università di Macerata», 1948; M. Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della Restaurazione (1816-1824), Fermo, Deputazione di storia patria per le Marche, 1978; A. Adversi, Le scuole, in A. Adversi, D. Cecchi, L. Paci (a cura di), Storia di Macerata. III/2: La cultura, Macerata, Grafica maceratese, 1988. 6 Sul peculiare significato rivestito per le università, soprattutto nella fase postunitaria, dal rapporto tra centro e periferia, dimensione locale e dimensione nazionale si rinvia a M. Moretti, I. Porciani, Il sistema universitario fra nazione e città: un campo di tensione, in M. Meriggi, P. Schiera (a cura di), Dalla città alla nazione. Borghesie ottocentesche in Italia e in Germania, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 289-306. 7 Sull’Ottocento preunitario si rinvia a: G.P. Brizzi, A. Varni (a cura di), L’Università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, Bologna, CLUEB, 1991. Sul secondo Ottocento e l’età giolittiana cfr. S. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica 1848-1876, Brescia, La Scuola, 1993; U.M. Miozzi, Lo sviluppo storico dell’università italiana, Firenze, Le Monnier, 1993. Relativamente alla riforma Gentile e al ventennio fascista, si vedano inoltre: M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981; M.C. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Roma, Edizioni Studium, 1992; e J. Charnitzky, Fascismo a scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1996. 3 Introduzione categorie interpretative emerse dal recente dibattito storiografico sulla storia delle università nell’Italia dell’Otto e del Novecento. Intendiamo riferirci, innanzitutto, al ruolo esercitato dalla questione universitaria, nell’Italia dell’Ottocento, nei processi di nation building8 e, più in particolare, alla funzione strategica attribuita agli atenei non soltanto nella formazione delle future classi dirigenti9, ma anche con riferimento alla costruzione della scienza nazionale10 e, su un diverso piano, alla legittimazione scientifica culturale del ruolo e delle prerogative delle libere professioni11. Merita altresì di essere segnalato che il recente dibattito storiografico ha registrato l’emergere di un crescente interesse per le cosiddette «università minori». Per lungo tempo, infatti, erano stati i grandi atenei della penisola a figurare come i protagonisti degli studi sulla storia dell’istruzione superiore e delle università. Per il loro ruolo e per il prestigio culturale e scientifico di cui erano portatori, infatti, tali atenei avevano suscitato in prima battuta il prevalente interesse degli studiosi. Con il passare degli anni, tuttavia, ci si è accorti che anche gli atenei minori e le piccole università di provincia hanno esercitato un ruolo non trascurabile nella crescita e nello sviluppo del sistema dell’istruzione superiore in Italia. A conferma di ciò, basterebbe qui richiamare i significativi dati emersi dai contributi presentati nel corso dei due importanti convegni svoltisi rispettivamente a Sassari nel 1992 e ad Alghero nel 1996: Le Università minori in Italia nel XIX secolo12 e Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX)13, come pure la ricchezza di riferimenti in tal senso contenuta in taluni lavori monografici dedicati in modo specifico a questa tipologia di università14. 8 Cfr. G. Ciampi, I giovani e le lotte studentesche dell’Ottocento, in A. Varni (a cura di), Il mondo giovanile in Italia tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 53-67; R. Balzani, Nati troppo tardi. Illusioni e frustrazioni dei giovani del post-Risorgimento, ivi, pp. 69-85; e soprattutto L. Pepe (a cura di), Universitari italiani nel Risorgimento, Bologna, Clueb, 2002. 9 Cfr. A. La Penna, Modello tedesco e modello francese nel dibattito sull’università italiana, in S. Soldani, G. Turi (a cura di), Fare gli italiani, Scuola e cultura nell’Italia contemporanea I. La Nascita dello Stato Nazionale, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 171-212; I. Porciani (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei ed il caso italiano, Napoli, Jovene, 1994; e F. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), Milano, Giuffrè, 1995; M. Moretti, I. Porciani, Il volto ambiguo di Minerva. Le origini del sistema universitario italiano, in R. Simili (a cura di), Ricerca e istituzioni scientifiche in Italia, RomaBari, Laterza, 1998, pp.74-92.. 10 Si veda al riguardo I. Porciani (a cura di), Università e scienza nazionale, Napoli, Jovene, 2001. 11 A puro titolo esemplificativo, si rinvia a A. Mazzacane, C. Vano (a cura di), Università e professioni giuridiche in Europa nell’età liberale, Napoli, Jovene, 1994; M.L. Betri, A. Pastore, Avvocati, medici, ingegneri. Alle origini delle professioni moderne (secoli XVI-XIX), Bologna, CLUEB, 1997; A. Dröscher, Le Facoltà medico chirurgiche italiane (1860-1915), Bologna, CLUEB, 2002. 12 M. Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, Sassari, Centro interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, 1993. 13 G.P. Brizzi, J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), Atti del Convegno Internazionale di Studi. Alghero, 30 ottobre-2 novembre 1996, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. 14 E’ il caso, ad esempio, dell’eccellente ricerca di I. Porciani, Un ateneo minacciato. L’Università di Siena dalla Restaurazione alla prima guerra mondiale, «Annali della Facoltà di Lettere e filosofia 4 Introduzione Il presente lavoro, come si è già accennato, focalizza l’attenzione su un ateneo, quello di Macerata, che tradizionalmente, dapprima nello Stato pontificio, in seguito nell’Italia unita, si è connotato in modo costante come “università minore” e realtà accademica di provincia, esercitando un ruolo d’indiscussa importanza non solamente nel quadro dello sviluppo del sistema d’istruzione superiore nazionale, ma anche, e soprattutto, ai fini della crescita civile e culturale delle comunità locali e della modernizzazione socio-economica e produttiva, del territorio maceratese e marchigiano. Nel primo capitolo si ricostruisce così in maniera approfondita e coerente la travagliata storia dell’Università di Macerata nella prima metà dell’Ottocento. Nell’arco di circa cinquant'anni, l'Ateneo maceratese visse, infatti, esperienze tra loro molto diverse, ma capaci ugualmente di scuoterlo sin dalle fondamenta. Prima la rivoluzionaria riforma napoleonica, destinata a cancellarne sia pure provvisoriamente l’esistenza (l’Università fu trasformata nel «Liceo del Musone»); poi la provvidenziale restaurazione pontificia che ne consentì il ripristino e garantì all’Ateneo la sopravvivenza, seppur difficoltosa, fino alla svolta unitaria. Di sicuro, all’indomani della restaurazione pontificia e del ritorno a Roma di papa Pio VII, il ripristino dello Studium Maceratese «ad formam universitatum», avvenuto in forza del decreto della Sacra Congregazione degli Studi del 23 agosto 1816 e sulla base del regolamento di attuazione emanato dal vescovo di Macerata mons. Vincenzo Maria Strambi, aprì un periodo di crescenti difficoltà per un ateneo già molto debole sul finire del diciottesimo secolo. Le estreme ristrettezze economiche in cui versava allora il Comune di Macerata, ente deputato al mantenimento dell’Ateneo, avevano infatti condotto ad una situazione di forte disagio che si protrasse almeno fino al 1824, allorché, con la Bolla Quod divina sapientia, emanata il 28 agosto 1824 da Leone XII, si procedette a riordinare l’istruzione superiore e le università dello Stato pontificio. L’Università di Macerata fu annoverata tra le università “secondarie”, insieme a quelle di Camerino, Fermo, Ferrara e Perugia, mentre furono considerate primari solo gli atenei di Roma e Bologna. L’Ateneo maceratese, dunque, dopo essere stato per secoli un’istituzione di carattere comunale, diveniva pontificio, vale a dire statale. dell’Università di Siena», 12 (1991), pp. 97-129; e 13 (1993), pp. 271-288. Ma si veda anche G.P. Brizzi, Le università minori in Italia in età moderna, in A. Romano (a cura di), Università in Europa, Le istituzioni universitarie dal Medioevo ai nostri giorni: struttura, organizzazione, funzionamento, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 287-296. 5 Introduzione La prima inaugurazione del nuovo corso vi fu nell’anno accademico 1825-1826 ed i corsi di studio poterono finalmente riprendere il regolare svolgimento. L’Ateneo comprendeva venti cattedre distribuite su quattro distinte facoltà: Teologia, Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia e Filosofia. Già allora, però, riecheggiavano anche all’interno dell’Università di Macerata i moti risorgimentali con i quali il potere pontificio dovette fare i conti per quasi quarant’anni, arrivando in più di un’occasione addirittura alla sospensione forzata delle attività didattiche. L’Ateneo maceratese pontificio, comunque, continuò a vivacchiare, fra mille difficoltà, sino alla fine degli anni Cinquanta, allorché, a seguito dell’annessione delle Marche al costituendo Regno d’Italia, esso vide aprirsi un nuovo capitolo della sua storia. Nel secondo capitolo della tesi il focus della ricerca è centrato innanzitutto sul periodo immediatamente successivo all’Unità, quando l’Università di Macerata visse i primi passi nel nuovo Stato con un assetto assai diverso rispetto a quello che l’aveva caratterizzato nell’ultima fase dello Stato pontificio. Scelto lo status di ateneo statale e rifiutato quello di università “libera”, per volere del Regio commissario straordinario per le Marche Lorenzo Valerio si arrivò alla soppressione della Facoltà di Teologia (1860-1861). Di lì a poco, poi, in forza dei provvedimenti emanati dal ministro della Pubblica Istruzione Carlo Matteucci (1862), l’Ateneo maceratese fu collocato tra le università “secondarie” o “minori” ma, rispetto ad altri atenei della stessa categoria, totalmente abbandonato al proprio destino e, soprattutto, trascurato sotto il profilo finanziario. Così, soppresse anche le facoltà di Medicina e chirurgia e quella di Filosofia nel novembre del 1862, lo storico Ateneo marchigiano si ritrovò ad essere costituito dalla sola facoltà giuridica e da alcuni corsi speciali di Farmacia, Ostetricia e Chirurgia minore (dal 1868 fu attivato anche un corso preparatorio di Veterinaria), con l’inevitabile conseguenza di una crescente riduzione del numero degli studenti, di un corpo docente esiguo e di mezzi finanziari del tutto inadeguati. Al fine di scongiurare la chiusura di un ateneo ridotto allo stremo, il Comune e la Provincia di Macerata decisero dunque di farsi carico di una serie di interventi volti a sostenere economicamente l’Ateneo, sorretti, in questo, dall’opinione pubblica locale, persuasa della necessità di salvaguardare la principale istituzione culturale cittadina. Proprio per questo motivo i due enti locali costituirono nel 1880 un Consorzio con l’Università, il cui obiettivo era quello di conservare l’unica facoltà rimasta e cioè quella giuridica. Seppur tra mille difficoltà, l’Ateneo maceratese rinacque gradualmente 6 Introduzione a nuova vita, tanto che, sul finire del secolo si prospettò la possibilità di ottenere il pareggiamento agli altri atenei primari della penisola, sulla scia di un processo già realizzato da parte di altre università minori della penisola. Il terzo capitolo del lavoro prende le mosse proprio dalla dura “battaglia” sostenuta dall’Ateneo maceratese sul finire del secolo diciannovesimo al fine di ottenere lo status di ateneo primario. In forza della legge 22 dicembre 1901, n. 541, al riguardo, si ebbe il sospirato pareggiamento dell’Università di Macerata a quelle di primo grado. Uno dei primi effetti del pareggiamento avrebbe dovuto essere quello della stabilizzazione del corpo docente maceratese, la cui composizione, per troppo tempo, era stata condizionata dalla migrazione degli elementi migliori verso gli atenei più prestigiosi. In realtà, per tutto il primo ventennio del Novecento, come si è cercato di ricostruire nell’ambito del quarto capitolo del lavoro, il risultato raggiunto con la legge n. 541 fu soltanto teorico perché nella pratica l’Ateneo maceratese dovette continuare a confrontarsi con le tradizionali e tutt’altro che superate problematiche che lo avevano collocato in una posizione di inferiorità rispetto alle altre sedi universitarie del territorio nazionale. Superate le inevitabile difficoltà connesse al primo conflitto mondiale, il 6 ottobre 1919, il R.D. n. 2048 approvava comunque la nuova convenzione fra Governo, Comune, Provincia e Consorzio universitario di Macerata, da adottarsi in sostituzione di quella precedente approvata nel 1901. L’Università di Macerata era così pareggiata a tutti gli effetti di legge alle altre università indicate dall’articolo 12 del Testo unico emanato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795. Le difficoltà, tuttavia, non erano affatto superate. Come si evince dalla ricostruzione proposta nel quinto e ultimo capitolo del lavoro, con il R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile introdusse profonde modifiche all’ordinamento dell’istruzione superiore e delle università, ripristinando fra l’altro la distinzione fra università maggiori e minori e classificando l’Ateneo maceratese tra queste ultime, il cui mantenimento, com’è noto, era stabilito solo parzialmente a carico dello Stato. Nel corso del ventennio fascista, comunque, l’Università di Macerata riuscì ad ottenere la parificazione finanziaria con gli atenei maggiori (1936) e a svolgere con regolarità la sua attività didattica e scientifica, sviluppando solidi rapporti con il territorio di pertinenza e con le realtà economiche e produttive marchigiane. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e le gravi vicissitudini che accompagnarono le vicende 7 Introduzione belliche erano destinati, tuttavia, a segnare profondamente l’attività del piccolo Ateneo maceratese, il quale sarebbe stato ricostituito su nuove basi negli anni del secondo dopoguerra. Alla luce del quadro sin qui delineato, e soprattutto della ricostruzione operata nelle pagine che seguono, ci sembra condivisibile la lettura d’insieme proposta da Roberto Sani nella sua introduzione ad una recente raccolta di studi sulla storia del piccolo centro universitario marchigiano: «Un Ateneo, quello di Macerata, le cui antiche tradizioni e la specifica evoluzione conosciuta negli ultimi due secoli ne fanno, sotto certi aspetti, un’icona straordinariamente efficace del peculiare modello accademico che, tradizionalmente, ha connotato la penisola e definito il profilo dell’istruzione superiore nello Stato unitario. L’Italia delle cento città è stata anche, nella sua lunga e complessa storia civile, culturale e politica pre e post unitaria, il Paese che ha espresso – pur tra accese e mai sopite polemiche – un tessuto di piccoli e medi Atenei, sovente radicati nei territori di appartenenza, la cui storia si è sviluppata nell’intreccio con la più complessiva storia dei processi di sviluppo delle comunità, con le vicende delle élites politiche e amministrative e dei ceti produttivi locali. Una storia, per riprendere un’immagine cara all’Ateneo maceratese, fatta, assai spesso, di ‘campus a cielo aperto’ cresciuti nei centri storici delle cento città italiane, la cui presenza ha contribuito – talora in modo determinante – a definire e ad esaltare l’identità culturale, ma anche civile e politica delle comunità locali. Al contempo, è indubbio che proprio il carattere necessariamente universale del sapere e della formazione promossi dagli atenei nei diversi centri della penisola ha consentito, a quelle stesse comunità locali, di maturare un’identità e un senso di appartenenza di gran lunga più largo e aperto. Lo stesso processo di costruzione dell’identità italiana ieri, e oggi di quella europea, è ampiamente debitore della presenza e dell’operato delle università nella vita del Paese»15. 15 R. Sani, Presentazione, in Per una storia dell’Università di Macerata, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 13-14. 8 Elenco dei fondi archivistici e delle abbreviazioni ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI E DELLE ABBREVIAZIONI ACMc = Archivio Comunale di Macerata (Macerata). ACS = Archivio Centrale dello Stato (Roma). ASDMc = Archivio Storico Diocesano di Macerata (Macerata). ASCa = Archivio di Stato di Macerata (sezione di Camerino). ASL = Archivio di Stato di Lucca (Lucca). ASMc = Archivio di Stato di Macerata (Macerata). ASR = Archivio di Stato di Roma (Roma). ASV = Archivio Segreto Vaticano (Città del Vaticano). AUSM = Archivio dell’Università degli Studi di Macerata (Macerata). AUSS = Archivio dell’Università degli Studi di Siena (Siena). BCAB = Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna (Fondo manoscritti e rari). BCMc = Biblioteca Comunale «Mozzi-Borgetti» di Macerata (Fondo manoscritti e rari). BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Fondo manoscritti e rari). BNCR = Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Fondo manoscritti e rari). BUEM = Biblioteca Universitaria Estense di Modena (Fondo manoscritti e rari). ********** ANNUARIO = «Annuario della Regia Università di Macerata» (poi: «Annuario dell’Università degli Studi di Macerata») (1879-1880/1965-1966). BUMEN = «Ministero dell’Educazione Nazionale. Bollettino Ufficiale» (1929-1943). BUMPI = «Ministero della Pubblica Istruzione. Bollettino Ufficiale» (1874-1928 / 1944 e ss.). CC = «Collezione Celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari» (1861-1915). CL = «Collezione delle leggi e de’ decreti emanati nelle province continentali dell’Italia meridionale durante il periodo della luogotenenza» (vol. I: dal 7 novembre 1860 al 30 aprile 1861; vol. II: dal 1 maggio al 31 ottobre) (1861-1862). 9 Elenco dei fondi archivistici e delle abbreviazioni DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960 e ss. GU = «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» (poi: «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana») (1870-1966). ********** AP = Atti Parlamentari C.M. = Circolare Ministeriale D.M. = Decreto Ministeriale D.R. = Decreto Rettorale O.M. = Ordinanza Ministeriale R.D. = Regio Decreto R.D.L. = Regio Decreto-Legge ********** b./bb. = busta/buste cart./cartt. = cartella/cartelle c./cc. = colonna/colonne doc./docc. = documento/documenti f./ff. = fascicolo/fascicoli reg./regg. = registro/registri s.d. = senza data s.l. = senza luogo s.i.e. = senza indicazione editore ss. = seguenti vol./voll. = volume/volumi 10 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario CAPITOLO PRIMO L’OTTOCENTO PREUNITARIO Senza alcun dubbio, la prima metà dell’Ottocento ha rappresentato, per l'Università di Macerata, uno dei periodi più complessi e rilevanti della propria storia. Nell’arco di circa sessant'anni, l'Ateneo marchigiano ha vissuto sul proprio “corpo” due esperienze tra loro molto diverse, ma capaci entrambe di scuoterlo sin dalle fondamenta. Prima la rivoluzionaria riforma napoleonica, destinata a cancellarne sia pure provvisoriamente l’esistenza, poi la provvidenziale restaurazione pontificia. Vale pertanto la pena di ripercorre in questa sede alcuni momenti salienti di un periodo storico determinante per l'Ateneo maceratese, tra sonnacchiose fasi di stasi ed incredibili moti di vitalità, peculiarità che hanno peraltro sempre caratterizzato l'Università di Macerata nei suoi tanti secoli di vita1. Con ogni probabilità l’estate del 1808 fu a lungo ricordata da molti come una delle più nefaste per il centro universitario marchigiano. Per volontà di Napoleone Bonaparte, infatti, a seguito dell’unione delle Marche al Regno d'Italia, sancita dal decreto dell'8 aprile 1808 n. 158, l’Ateneo maceratese venne soppresso (decreto 28 giugno 1808 n. 1972) e al suo posto fu istituito un Liceo con talune scuole speciali (clinica medica, clinica chirurgica, ostetricia), tutte a totale carico del Governo. Il Liceo, detto del «Musone», secondo l’uso dei nuovi governanti di intitolare le varie circoscrizioni amministrative (dipartimenti) con il nome dei fiumi che ne bagnano 1 Il dibattito tra gli storici riguardo le origini dello Studium Generale maceratese si è rivelato molto ampio e talora anche aspro e si è mosso lungo due direzioni. Da una parte coloro che hanno attribuito la fondazione dell’Ateneo a papa Niccolò IV a partire dal 1290, dall’altra coloro che hanno invece collegato tale nascita alle determinazioni di papa Paolo III Farnese. Di sicuro, nel settembre del 1290, il Comune di Macerata, legato come altri comuni della Marca al pontefice marchigiano Niccolò IV, emanò un bando nel quale invitava tutti coloro che avessero voluto studiare legge, a recarsi proprio a Macerata presso la scuola del maestro Giulioso di Montegranaro. In quell’anno, dunque, operava nel centro marchigiano non uno Studium Generale, bensì una scuola di diritto retta da un maestro privato, non abilitata alla concessione di gradus doctorales. Per parlare, dunque, di un vero e proprio Studium occorrerà attendere l’estate del 1540, quando il pontefice Paolo III Farnese, con bolla In eminenti Studium cuiuscumque facultatis e scientiae licitae (1° luglio 1540) lo istituirà ufficialmente. A nostro giudizio, dunque, è proprio questa la data della fondazione ufficiale dell’Università di Macerata, costituita dalle quattro facoltà allora esistenti: Teologia, Filosofia, Medicina e Diritto. Il 27 novembre 1541 venne conferita la prima laurea all’orvietano Giuseppe Abiamontani. Per un’analisi dettagliata dei laureati presso l’ateneo maceratese, cfr. S. Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), Torino, Giappichelli, 2003. 2 Tale decreto stabilì, oltre alla soppressione dell'Università di Macerata, anche quella degli altri Atenei marchigiani di Camerino, Fermo, Urbino e Fano, autorizzando l’istituzione a Urbino di un Liceo con convitto e a Fermo, proprio come a Macerata, di un Liceo senza convitto. A Camerino, invece, nel 18101811 fu istituito un corso ginnasiale preparatorio agli studi liceali. Per ulteriori approfondimenti si veda: D. Fioretti, Università, seminari e scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione, in S. Anselmi, (a cura di), Le Marche, Torino, Einaudi, 1987, pp. 725-752. 11 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario i centri3, era costituito da otto cattedre: Belle lettere, storia e geografia, Geometria e algebra, Disegno e architettura, Analisi delle idee ed etica, Fisica generale e particolare, Chimica e storia naturale, Botanica ed agraria, Codice civile4. Ma come si era giunti a tale situazione? Sulla base di quali motivazioni Napoleone Bonaparte aveva deciso di porre la parola fine all'esistenza di alcune università italiane? E soprattutto: quale era la reale situazione dell'Ateneo marchigiano nel periodo immediatamente precedente la sua trasformazione in un Liceo? Domande, queste, alle quali è necessario dare una risposta, in modo da poter continuare il nostro lavoro senza rischiare di cadere in pericolosi equivoci, come quello di considerare la chiusura dell'Università di Macerata un semplice capriccio dell’amministrazione napoleonica5. In realtà,alla luce dei documenti del tempo, è ben evidente come già nei primi anni dell’Ottocento, l'Ateneo maceratese stesse vivendo un periodo di grandi affanni e difficoltà sotto diversi profili6. Nel periodo compreso tra il 1801 e il 1808, ad esempio, i laureati furono complessivamente appena 61, un numero che non si discostava molto da quello registrato nel decennio precedente (1791-1800), allorché era stato pari a 62 unità7, con una media rispettivamente di 8,7 e 6,8 laureati l’anno. Tale cifra, peraltro, appariva del tutto irrisoria se paragonata a quella registrata nelle fasi precedenti, come nel caso del decennio 1711-1720, nel corso del quale avevano conseguito il titolo dottorale ben 212 studenti con una media annua di 23,5. I fasti di circa cento anni prima, 3 Sulla divisione territoriale nel periodo napoleonico, cfr. D. Cecchi, Organismi amministrativi nel dipartimento del Musone, in La battaglia di Tolentino e la campagna di Murat nel 1815, Macerata, Associazione Tolentino 1815, 1998, pp. 7-12. 4 Archivio di Stato di Roma (in seguito: ASR), S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1824-1825, b. 7 5 In realtà, il riordinamento universitario messo in atto da Napoleone Bonaparte nella penisola faceva parte di un unico grande progetto che toccava tutte le realtà accademiche gravitanti nell'orbita francese e che si richiamava all’istituzione dell'Università imperiale, attuata con decreto del 17 marzo 1808. Per un quadro completo delle riforme napoleoniche in materia di istruzione e università, si vedano: C. Schmidt, La réforme de l’Université Impériale en 1811, Paris, 1905; S. Bucci, La scuola italiana nell’età napoleonica. Il sistema educativo e scolastico francese nel Regno d’Italia, Roma, Bulzoni, 1976; A. Aulard, Napoléon Ier et le monopole universitaire, Paris, 1911; J. Verger (dir.), Histoire des Universités en France, Toulouse, 1986, pp. 261-275; R. Bounard, Expériences francaises de l’Italie napoleonienne. Rome dans le système universitaire napoléonien et l’organisation des académies et universités de Pise, Parme et Turin (1806-1814), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1988 ; P. Alvazzi Del Frate, Università napoleoniche negli «Stati Romani». Il Rapport di Giovanni Ferri de Saint-Constant sull’istruzione pubblica (1812), Roma, Viella, 1995; P. Del Negro, L. Pepe (a cura di), Le università napoleoniche. Uno spartiacque nella storia italiana ed europea. Atti del convegno internazionale di studi (Padova-Bologna, 13-15 settembre 2006), Bologna, CLUEB, 2008. 6 A questo riguardo, si veda quanto scriveva G. Arangio-Ruiz, nella sua ricostruzione delle vicissitudini vissute dall’Università di Macerata in epoca contemporanea: «L’Università, negli ultimi anni, era ridotta una larva» (G. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1905, p. 7). 7 Cfr. Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), cit., p. 9. 12 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario dunque, erano ben lontani e questo è facilmente rinvenibile anche nelle caratteristiche del corpo docente8. Consultando i volumi dell’Archivio Priorale, reperibili presso l'Archivio di Stato di Macerata, risulta evidente, infatti, che il rigore degli anni precedenti nel reclutamento dei professori e nell’assegnazione delle cattedre era ormai, all’inizio del secolo XIX, solo un lontano ricordo. Basti citare, tra i tanti, i casi dei docenti Pietro Antonio Livizzani e Luigi Gezzi, nominati il primo nel 1804 e il secondo nel 1805: non si riscontra alcuna indicazione specifica circa il loro curriculum e circa la disciplina da essi professata (come invece accadeva minuziosamente fino a cinquant'anni prima), ma solo una generica attribuzione di una cattedra di «legge». Ad interessare maggiormente il mondo accademico maceratese erano ormai soprattutto le dispute retoriche, le prove di eloquenza, come testimonia, tra i tanti testi dell’epoca, il Saggio letterario-accademico degli scolari di eloquenza dell'Università di Macerata, datato 6 settembre 18069. A tali questioni di natura didattica e organizzativa, si aggiungevano quelle relative alla penosa condizione economica in cui versava l’Ateneo maceratese. Esso, infatti, era stato nei decenni precedenti mantenuto dal Municipio di Macerata, che aveva destinato ad esso una serie di proventi e redditi derivanti da alcuni fondi rustici ed urbani; a tali risorse si sommavano quelle messe a disposizione dal pontefice Clemente XIV, il quale, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, aveva assegnato all’Università gran parte dei possedimenti maceratesi dei Gesuiti10. I beni comunali, tuttavia, erano stati successivamente incamerati dall’Erario sulla base di due distinti provvedimenti della Camera Apostolica: il Motuproprio 19 marzo 1801 e quello successivo del 14 luglio 1803, determinando così per l’Ateneo marchigiano la perdita di gran parte dei propri mezzi di sussistenza. Nel 1808, infatti, la rendita annua universitaria risultava di appena 621 scudi e 86 baiocchi, derivanti dal ricavato di magre entrate immobiliari e da alcuni modesti censi11. Una situazione dunque critica sotto i più svariati punti di vista e ovviamente passibile di giudizi severi, ancorché estremamente fondati, come quello recentemente 8 Per il quadro dettagliato di tutti i professori dell’Università di Macerata, con notizie biografiche, indicazioni circa la nomina e le materie insegnate, si veda ora S. Serangeli, I docenti dell'Università di Macerata (1541-1824), Torino, Giappichelli, 2009. 9 Copia del testo è conservata nella Biblioteca Comunale «Mozzi-Borgetti» di Macerata (in seguito: BCMc). In tale documento sono riportati i nomi di quattro notabili cittadini, deputati agli studi, ai quali il medesimo componimento era dedicato. Si tratta di: Telesforo Narducci, Prospero Prosperi, Giuseppe Foglietti e Livio Aurispa. 10 Per il dettaglio dei beni assegnati all'Università, cfr. L. Pianesi, T. Valenti, C. Chiappini, P. Giuliani, Memoria intorno l’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1868, pp. 11 e 28-29. 11 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 8-9. 13 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario formulato da Gian Paolo Brizzi, che ha individuato come finalità ultima delle piccole università del tipo di Macerata, quella di soddisfare «l'ambizione delle élites municipali e in particolare dei collegi dottorali cittadini a controllare non solo l’esercizio delle attività professionali ma anche la selezione di nuovi dottori»12. Lo stato di grave incertezza in cui versava l’Ateneo maceratese non era sfuggito all’occhio attento del nuovo pontefice Pio VII, il quale, già all’indomani della sua ascesa al soglio papale, aveva ritenuto opportuno intervenire per porre rimedio alla crisi che coinvolgeva l’Università di Macerata. A questo riguardo, il papa aveva incaricato il card. Busca, prefetto della Sacra Congregazione del Buon Governo, di predisporre un oculato piano di rilancio. L’improvvisa scomparsa del porporato, tuttavia, aveva bloccato ogni proposito riformatore e vanificato le iniziative già avviate. Nel 1807, tuttavia, papa Chiaramonti era tornato alla carica con una serie di provvedimenti che miravano all’ampliamento e al rilancio dell’Ateneo maceratese, per il quale era stato disposto un cospicuo incremento di cattedre (ben quattro) ed era stata istituita una commissione cardinalizia per la predisposizione di un nuovo ordinamento degli studi. Proprio a seguito di tali novità, un prospetto datato 1808 indica l’esistenza a Macerata di quattordici cattedre, delle quali, tuttavia, solo nove risultavano a carico dell’Erario13. Due erano le cattedre per la Facoltà di Scienze sacre (Teologia dogmatica e Teologia naturale), cinque per quella Filosofico-scientifica (Logica e metafisica, Chimica, Storia naturale e botanica, Fisica sperimentale, Matematica), due per la Facoltà legale (Diritto civile e Diritto pubblico), quattro per quella Medica (Anatomia e fisiologia, Materia medica, Patologia, Medicina forense); a queste si aggiungeva un’ulteriore cattedra di Retorica. E' opportuno segnalare, tuttavia, che, sempre riferito al medesimo anno, esiste anche un altro prospetto, il quale contiene alcune varianti: esso indica, infatti, l’esistenza di dodici cattedre in totale e, mentre omette di citare quelle di Retorica, Diritto pubblico e Medicina forense, registra una cattedra di Diritto canonico e colloca al posto di quella di Teologia naturale, una cattedra di Teologia morale14. Tenendo conto dell’ipotesi formulata da Michele Corsi circa la possibile diversa datazione dei due documenti citati, riconducibili rispettivamente agli anni accademici 12 Cfr. G.P. Brizzi, Le università minori in Italia: identità e auto-consapevolezza, in G.P. Brizzi, J. Verger, (a cura di), Le università minori in Europa (secoli XV e XIX), Convegno internazionale di studi (Alghero 30 ottobre-2 novembre 1996), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, p. 289. 13 ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1816-1817, b. 5. 14 ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1824-1825, b. 7. 14 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario 1808-1809 e 1807-180815, nonché dell’impossibilità di individuare da tali prospetti quali siano le quattro cattedre istituite ex novo da Pio VII, è possibile, comunque, definire due importanti aspetti della situazione. Innanzitutto, è accertata l’esistenza nell’Università di Macerata, nel periodo precedente la sua soppressione, di ben quattro facoltà (Teologia, Legge, Filosofia e Medicina); in secondo luogo, non sembrano esserci dubbi sulla esiguità degli stipendi erogati ai docenti, come testimoniano, ad esempio, gli onorari di appena 35 scudi attribuiti ai titolari delle cattedre di logica e metafisica e di materia medica16. E’ questo il contesto entro il quale si giunse alla soppressione dell’Ateneo marchigiano da parte del governo napoleonico e alla sua sostituzione con il Liceo del Musone. Nell'avvicendamento tra i due istituti furono definitivamente messe da parte le cattedre di Materia medica, Medicina forense, Teologia dogmatica, Teologia naturale, Matematica elementare e sublime e Umanità o eloquenza17. Il 13 luglio 1808 il podestà di Macerata, Giovanni Lauri, con una lettera indirizzata alle autorità milanesi, cercò di giocare nel miglior modo possibile le carte a disposizione dell’Ateneo. Dopo avere ringraziato le autorità per l’istituzione del Liceo e delle annesse scuole speciali, egli chiese che si accordasse comunque a Macerata «il diritto di conferire la laurea dottorale, diritto peraltro goduto da molti secoli. La località e la lontananza dei nuovi dipartimenti dalle altre università, ci fanno sperare una tal grazia»18. Il tentativo di Lauri non andò a buon fine e Macerata dovette pertanto accontentarsi di quanto stabilito nel mese di giugno dal governo centrale con le nomine di reggenti e docenti effettuate dal vicerè. Le attenzioni di molti professori maceratesi dovettero pertanto concentrarsi sulle scuole speciali, che iniziarono effettivamente la loro attività nell’anno accademico 1809-1810 e nelle quali trovarono occupazione personaggi illustri e di «talento» come Michele Santarelli e Nicola Santimorosi19. 15 Cfr. M. Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della Restaurazione (1816-1824), Fermo, Deputazione di storia patria per le Marche, 1978, p. 42. 16 Sui possibili motivi della «magrezza» degli stipendi dei docenti universitari maceratesi, si veda A. Gemelli, S. Vismara, La riforma degli studi universitari negli stati pontifici (186-1824), Milano, Vita e Pensiero, 1933, p. 344. 17 Archivio di Stato di Macerata (in seguito: ASMc), Università, Studi, b. 818, f. Macerata, Elenco delle cattedre che esistevano nella Università di Macerata e che non furono contemplate nel numero di quelle del nuovo liceo, coll'indicazione dei soggetti che le coprivano, allegato alla lettera del prefetto al direttore della Pubblica istruzione, n. 6062, 10 settembre 1808. 18 ASMc, Università, Studi, b. 818, f. Macerata, Lettera del podestà di Macerata al ministro dell'Interno, 13 luglio 1808. 19 Per un approfondimento sul funzionamento del liceo del Musone, sulle discipline insegnate e sui docenti in esso impiegati, si vedano: D. Cecchi, Il liceo napoleonico del Dipartimento del Musone (18081815), «Rivista di Storia del diritto italiano», LX (1987), pp. 139-178; E. Pagano, La scuola nelle Marche in età napoleonica, Urbino, Quattro Venti, 2000, pp. 77-95. 15 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Lo stesso Liceo maceratese, comunque, inaugurato ufficialmente il 29 novembre 180820, dopo un brillante avvio in fatto di immatricolazioni, finì per perdere ogni vitalità, ritrovandosi a fare i conti, già negli anni 1813 e 1814, con un numero di iscritti invero estremamente limitato21. Di lì a poco, tuttavia, la grande riforma dell’istruzione superiore e universitaria introdotta da Napoleone Bonaparte sarebbe stata definitivamente accantonata. La storia, infatti, avrebbe preso ben altro corso. All’indomani del 1815, la restaurazione dello Stato Pontificio e il ritorno a Roma di Pio VII avrebbero profondamente rimesso in discussione gli assetti determinati dalle riforme napoleoniche, pur introducendo, come vedremo, significative novità rispetto alla fase prerivoluzionaria. La battaglia di Tolentino del 2-3 maggio 1815 impedì a Gioacchino Murat di ingrandire il suo Regno e mise definitivamente la parola fine sull’occupazione francese delle Marche. Alla chiusura del Congresso di Vienna, infatti, sia le Marche che la Romagna furono restituite all’amministrazione pontificia, la quale già l’anno precedente era rientrata in possesso dell’Umbria e del Lazio. Nel quadro della più complessiva opera di rioganizzazione su basi moderne dello Stato Pontificio appena restaurato, papa Pio VII affidò al card. Ercole Consalvi, da lui nominato segretario di Stato, l’incarico di ridefinire gli ordinamenti universitari e di procedere ad una generale riforma dell’istruzione pubblica nei domini ecclesiastici; la quale riforma fu annunciata dal pontefice con il Motuproprio del 6 luglio 181622. 20 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Dopo l'apertura di novembre il reggente Spadoni poté pubblicare il manifesto a stampa con le indicazioni delle materie di insegnamento e degli orari delle lezioni solo il 4 febbraio 1809. 21 Per indicazioni più precise sul numero degli iscritti al Liceo, si veda Pagano, La scuola nelle Marche in età napoleonica, cit., pp. 83-84. 22 Com’è noto, il celebre Motuproprio emanato da Pio VII il 6 luglio 1816 non riguardava solamente la riforma dell’ordinamento universitario e scolastico, al quale era dedicato l’art. 247, bensì, più in generale, la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica dello Stato pontificio nel suo complesso. Sul tentativo, poi fallito, di promuovere il riordinamento su basi centralizzate e uniformi dell’amministrazione pontificia avviato dal card. Ercole Consalvi e sulle più generali vicende che contrassegnarono l’applicazione del Motuproprio 6 luglio 1816 di Pio VII, si vedano in particolare: M. Petrocchi, La Restaurazione, il card. Consalvi e la riforma del 1816, Firenze, Le Monnier, 1941; G. Falco, Il fallimento del cardinal Consalvi, in Id., Pagine sparse di storia e di vita, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 713717; D. Cecchi, L’amministrazione pontificia nella prima Restaurazione, Macerata, Deputazione di Storia Patria per le Marche, 1975. Per un quadro d’insieme della situazione in cui si trovò ad operare il Consalvi, si veda A. Aquarone, La Restaurazione nello Stato Pontificio e i suoi indirizzi legislativi, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», 1955, 78, pp. 119-188. Relativamente al sistema d’istruzione pubblica e al riordinamento delle scuole e delle università, si vedano: R. Sani, Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), in L. Pazzaglia ( a cura di), Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 707-771; M.I. Venzo, La Congregazione degli Studi e l’istruzione pubblica, in A.L. Bonella, A. Pompeo, A.I. Venzo (a cura di), Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, Roma-FreiburgWien, Herder, 1997, pp. 179-190; R. Sani, «Ad Maiorem Dei Gloriam». Istituti religiosi, educazione e scuola nell’Italia moderna e contemporanea, Macerata, EUM, 2009, pp. 131-204. 16 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Macerata, città da sempre legata alla Sede apostolica, salutò con favore la restaurazione del governo ecclesiastico, avvertendo come più che concreta la possibilità di un imminente ripristino del proprio antico Ateneo. In realtà la strada che conduceva alla vera rinascita dell’Università di Macerata era destinata a rivelarsi ben più lunga e impegnativa del previsto, anche perché il governo pontificio, nella sua opera di restaurazione, intendeva sì favorire la ripresa e il rilancio delle istituzioni culturali e scientifiche soppresse dai francesi, ma nello stesso tempo puntava a ridimensionare o a cancellare, su questo versante, ogni forma di particolarismo locale e di esasperata autonomia dei centri minori, al fine di imprimere al nuovo sistema d’istruzione un indirizzo decisamente unitario. In ogni caso, già nel settembre del 1815, il consiglio comunale di Macerata aveva deliberato di nominare una commissione con l’incarico di predisporre un piano relativo alla «ripristinazione ossia del nuovo impianto dell’Università sotto la denominazione del Piceno»23, affidandone la presidenza al prof. Michele Santarelli24. Il progetto era stato discusso e approvato il 10 ottobre dello stesso anno dal medesimo consiglio comunale e trasmesso al card. Consalvi attraverso il delegato apostolico Francesco Tiberi. In esso, si dava per scontata l’imminente riapertura dell’Università e, a tale scopo, si prospettavano una serie di provvedimenti volti a favorirne la riorganizzazione e a rilanciarne lattività didattica. Il progetto messo a punto dalla commissione Santarelli prevedeva, ad esempio, l’istituzione di undici cattedre: cinque per il corso di Filosofia (Metafisica, Geometria ed algebra elementare, Fisica, Matematiche sublimi, Chimica e storia naturale), due per quello di Diritto (Ius civile e canonico, Ius pubblico e criminale), tre per Medicina (Fisiologia e patologia, Medicina pratica, Anatomia e chirurgia), una per Teologia (Teologia dogmatica). Altre tre cattedre, infine, sarebbero stati assegnate ai gabinetti di anatomia, fisica e chimica, ciascuno dei quali avrebbe avuto anche un proprio assistente, che fosse di aiuto ai docenti. A seconda delle discipline professate, poi, si fissava un diverso stipendio per i docenti25, mentre gli assistenti avrebbero percepito 36 scudi 23 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Il professor Michele Santarelli fu un personaggio di spicco dell’Università di Macerata. Già docente di medicina nella fase prenapoleonica, ricoprì alcuni incarichi anche nelle Scuole speciali del Dipartimento del Musone, per poi ritrovarsi nuovamente a insegnare nel ricostituito Ateneo maceratese le materie di anatomia e terapia. Maceratese di nascita, si era laureato in filosofia e medicina il 23 dicembre 1787. Per ulteriori notizie biografiche, si veda ora Serangeli, I docenti dell'Università di Macerata (1541-1824), cit., pp. 169-170. 25 Al professore di Teologia dogmatica, ad esempio, era assegnato un modesto stipendio di appena 40 scudi, in quanto, solitamente, tale cattedra era attribuita a canonici o ad altri ecclesiastici locali i quali già godevano di benefici o di altre fonti di sostentamento. 17 24 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario ciascuno; i fondi per i compensi di questi ultimi e per il funzionamento dei gabinetti scientifici sarebbero stati prelevati dalle rendite della biblioteca. Oltre a toccare tali aspetti che potremmo definire principalmente didattici ed organizzativi, la commissione presieduta da Santarelli cercò di andare ben oltre nel suo progetto. Essa, infatti, sottolineò la necessità di stringere contatti sempre più forti non solo con i comuni che costituivano la delegazione di cui Macerata era capoluogo, ma anche con la municipalità di Camerino e con i comuni del suo comprensorio, visto che l’editto Consalvi del 5 luglio 1815 non aveva ricostituito l'ex delegazione apostolica camerinese. A tutti questi comuni sarebbe stato chiesto un aiuto economico per sostenere l’Università di Macerata, la quale, in tal modo, avrebbe assunto una dimensione sempre più provinciale. Ovviamente, al Comune maceratese sarebbe toccato l’onere di provvedere alle spese, qualora il contributo delle amministrazioni limitrofe non fosse pervenuto o si fosse rivelato inconsistente. Eletta una Deputazione agli studi26, il cui compito era quello di vigilare sul ristabilimento dell’Università e di mantenere i contatti con gli altri comuni e con il delegato apostolico, in un momento di euforia collettiva si arrivò persino a collocare nella sala dell’Ateneo, su proposta del consigliere Antonelli, una lapide a memoria perpetua della restaurata università. Come se tale avvenimento fosse già divenuto realtà. Ed invece, già la risposta fatta pervenire dalla Delegazione apostolica al podestà di Macerata, in data 9 novembre 1815, circa l’accoglienza tributata al progetto, era destinata a gelare gli entusiasmi, e a far comprendere a tutti quali fossero le effettive intenzioni dell'autorità pontificia. È stato immaturo e fuori luogo – scriveva al riguardo il delegato apostolico – ciò che è stato stabilito sull’impianto dei professori dell’Università subito ché una tale operazione si è fatta dalla Delegazione apostolica e subito ché durante il provvisorio gli emolumenti degli stessi professori sono a carico del governo. L'assegno degli onorari potrà approvarsi allorquando l’Università sarà ripristinata con gli stessi diritti che aveva prima della rivoluzione. Inoltre non è potestà del consiglio destinare in altro uso le rendite della biblioteca [...]. Intanto i consiglieri dovranno occuparsi seriamente per trovare altri mezzi, onde o con l’intervento delle altri Comuni del Dipartimento, o colle proprie possano rimuovere l’ostacolo che rimane della ripristinazione dell'Università27. 26 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. La deputazione era composta da quattro consiglieri comunali: Nicola Giannelli, Michele Santarelli, Teodoro Compagnoni e Bartolomeo Amici. 27 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. 18 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Una risposta netta e inequivocabile, dunque, che non lasciava spazio ad ambigue interpretazioni. Innanzitutto, le risorse economiche messe a disposizione dalla comunità erano fondamentali per tenere in vita l’istituzione universitaria; in ogni caso, comunque, il consiglio comunale di Macerata non era autorizzato ad assumere decisioni politiche autonome, ma era tenuto ad attenersi scrupolosamente alle direttive stabilite da Roma, senza alcuna possibilità di derogare dalle stesse. Il 20 luglio 1816, comunque, Pio VII, sulla base di quanto già indicato nel Motuproprio del 6 luglio, deliberava la costituzione di una commissione cardinalizia (solo con Leone XII le verrà riconosciuta la piena figura giuridica di Sacra Congregazione degli Studj), incaricata di porre mano ad un’organica riforma dell’ordinamento scolastico e universitario, anche se con alcune non piccole limitazioni, quali, ad esempio, quella di «non distruggere i regolamenti antichi, ma trarre dai medesimi ciò che occorre per le Nostre mire, e perfezionare, quanto per Noi si può, un sistema di pubblico e privato bene sommamente utile e necessario»28. I lavori della commissione cardinalizia iniziarono il 16 agosto 1816 e coinvolsero personalità illustri del mondo ecclesiastico romano, come ad esempio mons. Bottini, rettore della Sapienza, il monaco camaldolese Mauro Cappellari, che sarebbe divenuto in seguito papa con il nome di Gregorio XVI, mons. Testa, segretario ai Brevi, i quali si prodigarono alacremente per la redazione di un organica proposta di riordinamento del settore da sottoporre all’approvazione del pontefice. Nel frattempo, tuttavia, Pio VII aveva già deciso di intervenire per imprimere una svolta decisiva alla situazione di grave incertezza in cui versava l’Ateneo maceratese. Molto probabilmente ad accelerare l’intervento pontificio era stata una supplica avanzata in quegli stessi giorni dal Comune di Macerata, il quale, dopo aver sottolineato la fondamentale funzione esercitata per secoli dall’Università, fino alla soppressione decretata in epoca napoleonica, sollecitava il Pontefice ad accordare la possibilità di potersi conferire in Macerata provvisoriamente laurea dottorale, e specialmente a quei giovani, che con tanta alacrità hanno atteso ai studi di legge con facoltà di accordare due lauree gratuitamente ai due scolari, che si sono meglio distinti da prescegliersi come più degni in forza di un esame preventivo 28 ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle adunanze, 1816-1817, b. 1. 19 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario che potrà assumersi dal Ceto dei professori coll'aggiunta di una Deputazione fra i giudici, avvocati e procuratori 29. La risposta di Pio VII non deluse le aspettative dei maceratesi. Il 23 agosto 1816, infatti, attraverso un suo rescritto30, il papa restaurò l’Ateneo marchigiano ad formam universitatum, attribuendogli provvisoriamente la denominazione di «Scuola superiore» e sopprimendo così definitivamente il Liceo del Musone. In pratica papa Chiaramonti «remisit preces» al vescovo di Macerata, mons. Vincenzo Maria Strambi31, «cum facultatibus necessariis et opportuniis iuxta consuetudinem Universitatis de qua in precibus, donec aliter provideatur contrariis quibuscumque non obstantibus». Di lì a poco, sulla scia di tale pronunciamento, il vescovo di Macerata si affrettò a dare esecuzione alla volontà del Pontefice e il 28 agosto 1816 emanò un decreto esecutoriale, con il quale, richiamando la costituzione di Paolo III del 1540, ripristinò la facoltà «doctorandi in omnibus scientiis e disciplinis, iuxta laudabilem eiusdem Universitatis consuetudinem»32. Il 3 settembre del medesimo anno, lo stesso mons. Strambi comunicava anche il nuovo regolamento da osservarsi da lui compilato33. Secondo tale regolamento, suddiviso in 16 articoli, il corpo dei dottori, abilitato a conferire le lauree, era suddiviso in tre collegi (teologico, legale, filosofico-medico), ciascuno costituito da vari membri, tutti minuziosamente elencati nel documento. In ordine al conseguimento delle lauree, si stabiliva l’obbligo che, per quella in Teologia, fossero stati seguiti almeno i corsi di Filosofia, Teologia dogmatica, Teologia morale e Diritto canonico; per quella di Legge, gli insegnamenti di Filosofia, 29 ASMc, Archivio Priorale, vol. 812, cc. 48-56. Il documento in oggetto è senza data mentre la prima carta del volume citato è del 24/9/1794. Tale supplica è conservata anche presso Archivio Storico Diocesano di Macerata (in seguito: ASDMc), Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. 30 ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b.1. Tale rescritto è stato redatto sul retro della supplica dei delegati del Comune e comprende anche il decreto di esecuzione del vescovo, con la sua firma autografa e recante in calce l’annotazione della registrazione presso l’Ufficio del Registro di Macerata in data 7 settembre 1816. Il rescritto dunque è riconducibile direttamente al Pontefice e non alla commissione cardinalizia, come ritenuto erroneamente da Arangio Ruiz a p. 10 del suo già citato lavoro sull'Università di Macerata. Del resto già un Discorso sulla Università di Macerata, datato 1823, a firma del professor Michele Santarelli, conservato presso BCMc, cita il decreto del 23 agosto 1816 come quello relativo alla restaurazione dell’Ateneo, attribuendolo proprio a Pio VII. La stessa attribuzione si evince dal Breve cenno storico sull'Università di Macerata, in Calendario dell'istruzione pubblica per l'anno 1864-1865, conservato anch'esso presso BCMc. Su tale questione, comunque, si rinvia a Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), cit., p. 42. 31 Per un preciso profilo biografico del personaggio, cfr. O. Gentili, Macerata sacra, Recanati, Tip. Simboli, 1947, p. 62. 32 ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. 33 Regolamenti da osservarsi nella collazione della laurea dottorale in tutte le facoltà a tenore del privilegio accordato alla Comune di Macerata con grazioso sovrano rescritto dei 23 agosto 1816 e del decreto esecutoriale di mons. Ill.mo e Rev.mo vescovo di detta città dei 28 dello stesso mese, Macerata, 1816 (se ne veda copia in BCMc). 20 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Eloquenza, Diritto civile e diritto canonico; per quella filosofico-medica, infine, i relativi corsi di Filosofia, Botanica, Agraria, Chimica, Storia naturale, Anatomia, Fisiologia, Patologia, Terapia ed ostetricia. L'Università aveva comunque la facoltà di aggiungere nell’ordinamento degli studi e di attivare altri corsi, favorendo in tale modo un opportuno aggiornamento e incremento delle cattedre già esistenti. Oltre ad introdurre per i laureandi norme rigorose circa i tempi di completamento degli studi universitari e a determinare un aggiornamento delle tasse relative all’iscrizione all’Università e all’ammissione all’esame di laurea, il regolamento predisposto da mons. Strambi stabiliva che, per essere immatricolati, gli studenti dovessero presentare un certificato di buona condotta comprovato dall’ordinario della diocesi di provenienza. Il giorno prima della laurea, infine, lo studente, dopo avere assistito agli uffici sacri, avrebbe dovuto pronunciare pubblicamente la professione di fede34. Con l’anno accademico 1816-1817 poteva dunque ripartire ufficialmente l’Università di Macerata, forte di ben 78 «studenti, accettati e matricolati»35. Le cattedre del soppresso Liceo, ora «Provvisorie Scuole Pubbliche Superiori», furono portate da otto a dodici: Disegno, Belle lettere e storia antica e moderna, Logica e filosofia morale, Elementi di matematica, Fisica generale e particolare, Botanica ed agraria, Chimica e storia naturale, Istituzioni civili e canoniche, Teologia dogmatica e morale, Patologia e terapia, Anatomia e fisiologia, Clinica ostetricia36. Rispetto alla fase precedente, in pratica, la cattedra di Analisi delle idee e etica aveva mutato il proprio nome con quello di Logica e morale; al diritto civile si era aggiunto quello canonico, mentre erano state create ex novo tre cattedre di area medica: Anatomia e fisiologia, Clinica ostetricia, Patologia e terapia; infine, era stata costituita, ex novo anch’essa, la cattedra di Teologia dogmatica e morale37. Da tale quadro, così come da quello che emerge con riferimento all’anno academico 1819-1820 del quale fornisce notizie Arangio-Ruiz38, si evince chiaramente che non esistevano delle facoltà vere e proprie, ma solo singoli insegnamenti, i quali, 34 Per ulteriori indicazioni riguardo alle lauree maceratesi e ai rituali ad esse connessi, si veda A. Visconti, L'Università di Macerata nel passato e nel presente, in Macerata e la sua Università, Macerata, Tipografia Bianchini, 1933, pp. 39-41. 35 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. 36 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, bb. 185-186. 37 Definito il quadro delle cattedre, in quel periodo furono inviate a Roma, alla Segreteria di Stato, numerose petizioni di docenti che avevano interesse ad occuparle. In proposito, si veda Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 75-80. Allo stesso testo (pp. 123-128) si rinvia per l’approfondimento delle problematiche di carattere didattico relative alle singole discipline. 38 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 10-11. 21 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario talora riproponevano segmenti o semplici porzioni delle antiche facoltà preesistenti alle soppressioni del periodo francese, talaltra delineavano nuovi ordinamenti e aggregazioni ancora in nuce, frutto di un confuso, ancorché indispensabile sforzo di determinazione di nuovi assetti organizzativi e scientifico-culturali. Le lezioni dei diversi corsi erano distinte in antimeridiane e pomeridiane, con tre ore per le prime e due per le seconde. Complessivamente, nell’arco della singola giornata, si tenevano dodici distinte lezioni, una per ogni corso attivato presso l’Ateneo. Tra i docenti titolari delle diverse cattedre, debbono essere segnalati: Paolo Spadoni, docente di Botanica ed agraria, Giovanni Berti, professore di Anatomia e fisiologia, Giuseppe Montecchiari, titolare della cattedra di Fisica generale e particolare; e, infine, il già ricordato Michele Santarelli, docente di Patologia e terapia, i quali costituivano il nucleo portante e maggiormente rappresentativo del corpo docente, in quanto avevano già insegnato nell’Università di Macerata prima della soppressione decretata durante il dominio napoleonico. Tre anni più tardi, ovvero nell’anno accademico 1822-1823, come documenta il relativo calendario degli orari e delle lezioni stabilito per le «Scuole pubbliche provvisorie superiori di Macerata»39, le cattedre istituite risultavano essere sempre dodici e l’articolazione dell’attività didattica si presentava in larga parte analoga a quella fissata tre anni prima, a conferma di una certa stabilità conseguita con il nuovo assetto determinato dal regolamento introdotto da mons. Strambi. Da questo iniziale tentativo di riorganizzazione degli studi universitari alla definitiva e completa restaurazione dell’Ateneo maceratese passeranno, comunque, diversi anni, sui quali è opportuno soffermarsi, anche al fine di cogliere taluni eventi degni di nota. La già ricordata commissione cardinalizia voluta da Pio VII nel 1816 per realizzare la riforma dell’ordinamento scolastico aveva iniziato i propri lavori nel mese di agosto dello stesso anno40. Il 10 gennaio 1819 essa presentò al Pontefice i risultati del 39 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Sui lavori di tale Commissione, della quale facevano parte i cardinali G.M. Della Somaglia, L. Litta, M. Di Pietro, B. Pacca e F. Fontana, con mons. F. Bertazzoli come segretario, si veda Gemelli,Vismara, La riforma degli studi universitari negli Stati Pontifici (1816-1824), cit., pp. 65 ss. Copia del Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio è conservata in ASR, S. Congregazione degli Studj (1804-1870), Atti delle Adunanze, Congregazioni preliminari sul nuovo piano degli studi. Allegati Anno 1816, f. 2. 22 40 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario proprio lavoro, destinati poi a confluire in un testo dal titolo Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio41. Pur senza analizzare in dettaglio gli articolati contenuti del documento42, si può senz’altro affermare che il Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio era destinato a rivelarsi fondamentale per il riordinamento delle scuole e delle università nello Stato pontificio. Per quello che qui interessa, merita di essere sottolineato che il documento introduceva una suddivisione tra università primarie e università secondarie43; inoltre, stabiliva il numero delle facoltà e quello delle cattedre che avebbero dovuto essere istituite in ognuna di esse; introduceva altresì delle linee guida circa i programmi di studio da attivare nei singoli corsi e circa gli obblighi didattici dei professori; nonché una serie di indicazioni relative alla durata e alle modalità di svolgimento dell'attività accademica. La direzione e il controllo dell’istruzione e delle scuole, ivi comprese quelle universitarie, erano attribuiti ad un nuovo dicastero, la Sacra Congregazione degli Studj, la quale aveva anche il compito di vigilare sulla rigorosa attuazione dei nuovi indirizzi riformatori e di procedere all’applicazione, attraverso appositi regolamenti, delle disposizioni concernenti i nuovi ordinamenti universitari. Deve essere segnalato che, in quello stesso periodo, a Macerata ci si muoveva alacremente nel tentativo di dare vita ad un ateneo che si connotasse come istituzione a carattere provinciale, la cosiddetta «Università del Piceno», capace di essere rappresentativa di un più vasto territorio e di consolidare la sua influenza su buona parte del territorio marchigiano44. Il nodo principale, ancora irrisolto, della questione era di carattere essenzialmente economico. Ma non solo. L'eventuale adesione al progetto di 41 Sulle variazioni apportate dalla nuova Commissione consultiva nominata da Leone XII (ne facevano parte i cardinali G. M. Della Somaglia, G. Fesch, E. De Gregorio, F. Bertazzoli, F. Cavalchini e C. Guerrieri, con mons. G. Soglia come segretario), si veda E. Ovidi, La S. Congregazione degli Studi e l’istruzione popolare durante il XIX secolo, ms. conservato in ASR, Fondo T. Minardi-E. Ovidi, b. 17 bis. Il Metodo fu sottoposto a revisione fino all’agosto del 1823, anno in cui morì papa Pio VII. A quella data la Sacra Congregazione aveva già tenuto ben 21 sedute. Cfr. ASR, S. Congregazione degli Studj (18041870), Atti delle adunanze, 1816, b. 2. 42 Per un quadro preciso degli indirizzi e dei contenuti del cosiddetto Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio, si rinvia a Sani, Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), cit., pp. 707-771 43 Le università primarie furono indicate da subito in modo chiaro (Roma e Bologna), mentre non altrettanto fu fatto per le quelle secondarie, a causa delle sollecitazioni avanzate da diversi centri urbani, Macerata compresa, per il ripristino dei propri atenei soppressi in età napoleonica e non ancora restaurati. La differenza sostanziale tra le due tipologie era alquanto semplice: le università primarie avevano potere di conferire le lauree senza distinzione di nazionalità; quelle di carattere secondario di concederle esclusivamente agli studenti residenti nel relativo territorio provinciale. 44 Su tale tentativo di creare un'unica università territoriale, si veda D. Cecchi, Il tentativo di istituzione di una «Università del Piceno» (1815-1824), in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma, Ministero per i beni culturali ed ambientali, 1991, pp. 187-211. 23 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario tutti i comuni della provincia, infatti, avrebbe senza dubbio reso disponibili le risorse necessarie per affrontare le spese di un’ università di media grandezza e dotata di efficienti strutture e strumenti; nello stesso tempo, tuttavia, avrebbe posto dinanzi all'autorità pontificia la richiesta di un ateneo non più legato ad una sola città, fosse anche un tradizionale capoluogo quale era Macerata, bensì ad un’intera provincia dello Stato. E ad una provincia alquanto vasta e complessa, segnata da storiche divisioni e da profondi contrasti. Si spiega alla luce di tale articolato scenario, la scelta operata dapprima dal nuovo delegato apostolico Cesare Nembrini Gonzaga, in seguito, a sostegno dell’iniziativa del Gonzaga, dallo stesso prefetto della Sacra Congregazione degli Studj, il card. Giuseppe Albani, di verificare l’orientamento che, su tale progetto, caratterizzava i comuni della delegazione e di sollecitare gli stessi ad esprimere ufficialmente le proprie intenzioni circa il progetto di un’eventuale istituzione della «Università del Piceno»45. La maggior parte dei comuni interessati scelse di temporeggiare prima di assumere una posizione definitiva, preferendo attendere le decisioni prese dagli altri. Tale situazione di rinvio delle decisioni e di sostanziale incertezza si protrasse per diversi anni, mentre di fatto il complesso dei comuni della provincia registrò l’emergere di diversi orientamenti favorevoli contrapposti ad altrettanto nette prese di posizione contrarie, giungendo ad una svolta definitiva solo nel 1824. Nella primavera di quell’anno, infatti, il Comune di Macerata, anche al fine di sbloccare la situazione di stallo creatasi, ritenne che fosse giunto il momento di riproporre con forza il progetto e di avanzare richiesta per una sua immediata approvazione. Si tornò così a sollecitare la creazione di un’unica «Università del Piceno», da realizzare mediante la definitiva soppressione dell’antico Ateneo di Camerino, l’istituzione di ben ventiquattro cattedre, distribuite su sei facoltà (Belle arti, Matematica, Filosofia, Legge, Medicina e Teologia), lo stanziamento da parte della Provincia di ben 5000 scudi sul bilancio dell’Ateneo (ai quali se ne sarebbero aggiunti altri 1000 di provenienza comunale), e, infine, l’attribuzione del governo dello Studio maceratese ad una congregazione detta «dell’Università del Piceno», presieduta da un delegato pontificio e costituita dai rappresentanti delle amministrazioni locali della provincia. Proposta quest’ultima, che si poneva in netta controtendenza con la politica 45 Gli interventi citati sono riconducibili ad una circolare e ad un dispaccio, rispettivamente del 16 giugno 1817 e del 25 luglio 1818. Entrambi i documenti sono rinvenibili in ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. 24 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario di accentramento del governo dell’istruzione e delle università preseguita, in quello stesso periodo, dalle autorità romane46. L’ambizioso e complesso progetto, tuttavia, era destinato a non trovare accoglienza e a registrare una definitiva battuta d’arresto allorché, di lì a poco, le disposizioni emanate da Roma, avrebbero portato alla ricostituzione, dopo le soppressioni verificatesi in epoca napoleonica, tanto dell’Ateneo di Camerino, quanto di quello di Fermo. Il sogno maceratese di fare della propria Università l’unica istituzione universitaria statale delle Marche era dunque destinato a svanire definitivamente. In quegli stessi anni, peraltro, la Sacra Congregazione degli Studj avviava un’inchiesta volta a conoscere la reale situazione economica e lo stato dell’istruzione superiore impartita nell’Ateneo maceratese, al fine di valutare l’opportunità o meno di procedere al suo definitivo ripristino e di annoverarla tra le Università secondarie dello Stato Pontificio. Il nodo centrale della questione riguardava essenzialmente il finanziamento dell’Ateneo. Anche perché, come si visto, il problema della stabilità finanziaria dell’Università di Macerata assillava già da tempo la Delegazione apostolica, le autorità comunali e i vertici dell’Ateneo. In una lettera inviata il 23 aprile 1817 al delegato apostolico, fra l’altro, il card. Ercole Consalvi aveva illustrato in modo preciso il nuovo regime instaurato dal governo pontificio in materia di sostentamento economico delle scuole e degli atenei dello Stato: a fronte delle difficoltà finanziarie in cui versava il ricostituito Stato Pontificio, l’Erario non avrebbe più fatto fronte alle spese per il funzionamento delle Scuole superiori, sospendendo così l’erogazione del contributo di 2.469 scudi tradizionalmente assegnati dalle casse pubbliche prima dell'occupazione francese47. A decorrere dal 1° maggio, dunque, i docenti dell’Ateneo maceratese retribuiti, secondo il card. Consalvi, con «ricchissimi stipendi ed onorari che erano stati fissati con poca economia», sarebbero stati pagati non più dal Governo ma dal Comune. Le autorità cittadine cercarono di opporsi al nuovo corso, sollecitando un ripensamento o, quantomeno, una deroga all’entrata in vigore del provvedimento disposto dalla segreteria di Stato pontificia, in modo da rendere possibile il reperimento, da parte dell’amministrazione municipale, delle risorse necessarie a far fronte alla nuova situazione creatasi. Si riuscì ad ottenere una dilazione temporale e così, come si evince 46 Si veda al riguardo Sani, Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), cit., pp. 707-771. 47 ASMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. 25 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario dalla documentazione relativa ai pagamenti delle spese per l’esercizio finanziario dell’anno accademico 1817-1818, fu ancora l’Erario e non il Comune a pagare gli stipendi dei professori e ad accollarsi gli oneri e le spese di sostentamento dell’Università di Macerata48. Del resto era un dato di fatto che l'Università non possedesse rendite e beni propri e che la comunità non fosse più in possesso di quei fondi con cui in passato aveva provveduto al suo mantenimento. A questo punto, era necessario un intervento finanziario della Camera Apostolica in grado di assicurare un introito annuo stabile e sicuro, capace di garantire il regolare funzionamento dell’Ateneo. Il 3 aprile 1824, il segretario comunale Francesco Sala chiese a mons. Ugo Pietro Spinola49, delegato apostolico, di definire in maniera dettagliata la somma che «tuttora pagava il Governo per le cattedre di questo Liceo, gabinetti, ecc.». Il documento predisposto da mons. Spinola indicava complessivamente la cifra di 2.469,14 scudi romani, la quale era erogata annualmente per coprire le seguenti voci del bilancio di uscita: onorari ai professori (2.168,04 scudi), stipendi agli impiegati (162 scudi), dotazioni e premi (100 scudi), spese d’ufficio e per gli esperimenti (39,10 scudi)50. Le ristrettezze economiche in cui versava l’Università di Macerata e la mancanza di rendite proprie erano accertate da tempo. Nel 1824, tuttavia, in controtendenza con le scelte operate qualche anno prima dal segretario di Stato card. Consalvi, il governo pontificio decise di venire incontro all’Ateneo maceratese, sostenendolo economicamente. Una scelta, questa, dettata probabilmente dalla volontà di non disperdere il patrimonio dell’antica e gloriosa Università marchigiana, come anche, per altri versi, dal timore di innescare, con l’abbandono dell’Ateneo al suo destino, una vera e propria sollevazione delle autorità locali e delle stesse popolazioni, delle quali si intesero forse premiare anche la fedeltà e l’attaccamento dimostrati all’autorità pontificia nei trascorsi e burrascosi anni della dominazione francese. 48 ASMC, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. Uno dei documenti in questione è quello in cui, il 12 novembre 1817, il reggente dell’Ateneo, prof. Carlo Peda, presentava al delegato apostolico la nota delle risorse per l’anno 1818 che occorrevano alle pubbliche Scuole Superiori di Macerata, pregandolo di inserirle nel preventivo, «onde a suo tempo ottenere dalla munificenza del Governo il rilascio dei soliti mandati». 49 Secondo Arangio-Ruiz, fu invece proprio Spinola a farsi carico in maniera decisiva delle necessità dell’Università di Macerata, riuscendo nel 1823 a far deliberare a favore dell’Ateneo maceratese un’assegnazione dell’Erario pubblico fondamentale per la sua stessa sopravvivenza. Cfr Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 11-12. Sulla questione si veda anche Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., p. 64. 50 Lo si veda in ASMc, Delegazione apostolica, 1824, b. 186. 26 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Fatto sta che il 1824 si sarebbe rivelato un anno fondamentale per il definitivo rilancio dell’Ateneo maceratese. Nei primi mesi del 1824 sembravano esserci, ormai, tutte le premesse per l’imminente e definitivo ripristino dell’Università di Macerata51. Mancava ancora, in realtà, solo il riconoscimento ufficiale delle autorità pontificie. Così, il gonfaloniere della città Amico Ricci e l’avv. Candido Paoletti decisero di andare a perorare direttamente la causa a Roma presso il neoeletto pontefice, il porporato marchigiano Annibale Della Genga, divenuto Leone XII52, che li ricevette in udienza il 28 aprile. La permanenza dei due nella Capitale per quasi tre mesi e l’incontro con il Pontefice non furono affatto inutili. Lo testimonia una delle tante lettere inviate dallo stesso Ricci al facente funzione di gonfaloniere, Giovanni Gatti, datata 29 aprile 182453, il giorno immediatamente successivo all’udienza papale. Il nostro primo oggetto – scriveva Amico Ricci – è stato quello di parlargli dell’Università. I nostri discorsi erano veramente diretti ad ottenere fin da oggi un rescritto per la continuazione degli annui scudi 2.469. Egli per altro ha creduto che fosse prematuro, ma dopo molti nostri riflessi ha convenuto che in Macerata debba esserci un complesso di studi, che la nostra città non sarà defraudata di questo benefizio. Sembra che siasi fatto carico della nostra centralità e del comodo che ne vanno a risentire i paesi che ci circondano, come pure della migliore facilità di esercitarsi specialmente negli studi legali in un paese dove esiste un tribunale d’appello. Nei mesi successivi vi furono comunque ulteriori ostacoli da rimuovere. Il 23 luglio di quell’anno, infatti, il reggente dell’Ateneo, Ricciardi, aveva comunicato al delegato apostolico che il giorno precedente i professori si erano incontrati per decidere se nel diploma da stampare per i giovani studenti meritevoli di premio, si potesse apporre il titolo di «Università maceratese», anziché quello di «Scuole Superiori». La risposta di mons. Spinola fu inequivocabile: l’Ateneo non aveva ancora ottenuto il riconoscimento romano per fregiarsi formalmente del titolo di università, per cui 51 Per la ricostruzione della fitta rete di corrispondenze esistenti in quel periodo tra le autorità comunali e quelle pontificie, si veda Gemelli, Vismara, La riforma degli studi universitari negli stati pontifici (18161824), cit., pp. 346-350. 52 Il card. Annibale Della Genga fu eletto Pontefice il 28 settembre 1823 con il nome di Leone XII. Nuovo segretario di Stato fu nominato il card. decano Giulio Maria Della Somaglia, quasi ottantenne. L’antico segretario di Stato di Pio VII, il card. Ercole Con salvi, divenne prefetto della S. Congregazione di Propaganda Fide, ufficio che tenne fino al 24 gennaio 1824, anno della sua morte. Sull’elezione del nuovo pontefice e sui nuovi asseti della curia romana e del governo pontificio in epoca leoniana, si veda R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia, Morcelliana, 1963. 53 ASMc, Comune, Carteggio, b. 40. 27 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario l’iscrizione su diplomi e medaglie doveva rimanere quella di sempre54. In realtà, tale stato di incertezza e di ambiguità circa la natura autenticamente universitaria dell’istituzione maceratese si sarebbe protratto ancora per poco tempo Il 28 agosto 1824, il cosiddetto Metodo generale di pubblica istruzione ed educazione per lo Stato Pontificio, messo a punto dalla Commissione cardinalizia insediata da Pio VII nel 1816 e a più riprese ulteriormente perfezionato e integrato dal successore di papa Chiaramonti, Leone XII, fu, infatti, promulgato da quest’ultimo con la Costituzione Quod Divina Sapientia55. Articolato in 27 titoli, nei quali erano stabilite le norme generali per il riordinamento dei diversi settori dell’istruzione (scuole, università, accademie, ecc.), il provvedimento pio-leoniano, com’è noto, recepiva e trasferiva sul versante scolastico i due principii fondamentali che informavano il più generale disegno consalviano di riorganizzazione amministrativa dello Stato Pontificio: il principio dell’”uniformità” e quello della “centralizzazione”56. Agli artt. 9 e 11 del Titolo II erano indicate quali università primarie dello Stato quelle di Roma e Bologna, provviste entrambe di trentotto cattedre; erano elencati altresì quegli Atenei che potevano fregiarsi del titolo di università secondarie: Ferrara, Perugia, Camerino, Fermo57 e Macerata (Urbino sarebbe stata inclusa nell’elenco solamente due anni più tardi, nel 1826), le quali avrebbero dovuto disporre di almeno diciassette cattedre58. Ogni università, come recitavano gli artt. del Titolo IV, doveva prevedere quattro collegi – Teologico, Legale, Medico chirurgico e Filosofico –, i primi tre composti da otto professori e cultori delle rispettive materie (prelati o sacerdoti dotti, avvocati, medici, chirurghi, filosofi), l’ultimo da sei. Tanto nelle università primarie, quanto in quelle secondarie, la cura delle disciplina e il controllo sull’osservanza dei 54 ASMc, Delegazione apostolica, 1824, b.186. Si veda il testo della Costituzione Quod Divina Sapientia in Bullarii Romani continuatio, t. VIII, Prato, Typ. Aldina, 1854, pp. 95-117. Sui diversi aspetti e indirizzi della Quod Divina Sapientia, cfr. Sani, Istruzione e istituzioni educative nella Roma pontificia (1815-1870), cit., pp. 707-771; Venzo, La Congregazione degli Studi e l’istruzione pubblica, cit., pp. 179-190. 56 Cfr. Petrocchi, La Restaurazione, il card. Consalvi e la riforma del 1816, cit.; Aquarone, La Restaurazione nello Stato Pontificio e i suoi indirizzi legislativi, cit.; e Cecchi, L’amministrazione pontificia nella prima Restaurazione, cit.. 57 L’Università di Fermo, in realtà, non fu ristabilita all’indomani della promulgazione della Bolla Quod Divina Sapientia (1824) e fu soppressa definitivamente due anni più tardi, nel 1826. Cfr. M. Di Domizio, L’università italiana: lineamenti storici, Milano, AVE, 1952, pp. 157-158. 58 Per un quadro delle vicende che contrassegnarono in questa fase le otto università esistente nello Stato Pontifico, si veda R. Sani, Storia della scuola in Italia, dal Medioevo all'Unità (X. Emilia Romagna e Stato Pontificio), in M. Laeng, (a cura di), Enciclopedia pedagogica, Brescia, Editrice La Scuola, 1994, vol. 6, coll. 11436-11445. 28 55 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario regolamenti erano attribuiti al cancelliere, carica assegnata ai vescovi delle città sedi universitarie e, per quel che concerneva la Dominante, al card. Camerlengo (Titolo III). Il rettore, designato dalla Sacra Congregazione degli Studj e nominato dal Pontefice, doveva esercitare la vigilanza immediata sulla disciplina di studenti e professori e, in particolare, doveva occuparsi della loro condotta morale e religiosa. Era insomma una sorta di curator studiorum. Rigida era la disciplina concernente la nomina dei professori, la quale che avveniva per concorso, con superamento di una prova scritta e di una prova orale, ad eccezione del caso di studiosi di chiara fama, per i quali era prevista la chiamata diretta (Titolo V). Quanto ai gradi accademici, la Quod Divina Sapientia stabiliva la collazione del baccellierato, della licenza e della laurea dottorale, anche se le università secondarie, per quel che riguardava Medicina e chirurgia, erano abilitate a conferire solo i primi due gradi accademici, mentre l’assegnazione del titolo dottorale era attribuita esclusivamente agli atenei maggiori di Bologna e Roma (Titolo XVII). Ciascuna università, inoltre, avrebbe potuto rilasciare tre tipi di lauree: di onore, di premio ed in forma comune (Titolo XIX). In ciascun anno accademico sarebbe stato bandito un concorso per quattro lauree d’onore e di premio per ciascuna facoltà: teologica, legale, medico-chirurgica e filosofica (nelle università secondarie, come si è già accennato, era esclusa la terza). I primi due vincitori del concorso avrebbero ottenuto la laurea d’onore, i due consecutivi quella di premio. Per tutti e quattro i vincitori, erano previste importanti agevolazioni finanziarie. Notevoli erano le forme di controllo sui comportamenti morali e religiosi di docenti e studenti e sull’insegnamento impartito nei vari corsi stabilite dalla Quod Divina Sapientia: per entrambi, docenti e allievi, erano minuziosamente indicate le pratiche religiose da assolvere quotidianamente; inoltre, al fine di scongiurare la diffusione dalle cattedre universitarie di dottrine erronee e di ideologie non conformi ai dettami della Chiesa, si stabiliva che le lezioni impartite nell’ambito dei singoli insegnamenti dovessero essere predisposte in forma scritta e preventivamente approvate dall’autorità ecclesiastica (Titoli XV e XVI). Massima organizzazione, dunque, e rigoroso controllo sul versante disciplinare e scientifico nelle università pontificie; ma anche un forte ed inscindibile legame con le autorità comunali per quel che concerneva la gestione amministrativa e l’organizzazione interna delle strutture universitarie. 29 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Nel Titolo XII della Bolla leonina, infatti, mentre per Roma l’amministrazione era demandata al rettore, per le altre università era attribuita al magistrato della città, il quale era tenuto a nominare un amministratore competente e in grado di svolgere al meglio tale ufficio: il legame tra i singoli Atenei e i rispettivi Municipi, in questo modo, era uleriormente rafforzato e reso funzionale. Per quel che riguarda l’attività didattica e disciplinare, con la Quod Divina Sapientia le università pontificie vedevano restringersi la tradizionale autonomia della quale avevano beneficiato nella fase pre-rivoluzionaria, come testimonia l’ampio potere discrezionale attribuito in materia alle autorità religiose; l’organizzazione e gestione amministrativa degli atenei, viceversa, era in larga misura attribuita alle autorità comunali. La Bolla del 1824, infatti, prescriveva al magistrato cittadino di formare, entro il 15 ottobre di ogni anno, la tabella delle spese per tutto il vigente anno accademico, spese che dovevano necessariamente ricevere l'approvazione dell'arcicancelliere, per le università primarie, o del cancelliere, per quelle secondarie, a cui spettava inoltre di stabilire modi e tempi dell’erogazione delle risorse disponibili. In caso di spese straordinarie o impreviste, era necessaria apposita autorizzazione dell’arcicancelliere o del cancelliere, senza la quale né il magistrato poteva disporre alcun pagamento, né l’amministrazione renderlo esecutivo. Ogni cosa dunque sembrava adeguatamente stabilita affinché l’Università di Macerata potesse riprendere il suo corso; in realtà, non tutti i problemi risultavano definitivamente risolti. Secondo quanto previsto dal’art. 12 del Titolo II della Quod Divina Sapientia, infatti, prima di avviare il nuovo corso e riprendere la propria attività scientifica e didattica, le università secondarie avrebbero dovuto essere sottoposte ad un’ispezione da parte della Sacra Congregazione degli Studj, dalla quale sarebbe dovuto emergere lo stato in cui versava ogni singolo ateneo per quel che concerneva le cattedre esistenti, i gabinetti scientifici, gli orti botanici e le varie strutture annesse; nonché la situazione patrimoniale e finanziaria e lo stato economico, così come era riportato nei registri amministrativi e contabili. Come si evince da un dispaccio datato 3 ottobre 1824, trasmesso dalla Sacra Congregazione degli Studj al vescovo di Macerata, quali visitatori dell’Ateneo maceratese furono scelti l’avvocato concistoriale Teodoro Fusconi e l’abate Mauro Cappellari, il futuro Gregorio XVI59. I due visitatori inviati da Roma esaminarono con 59 ASMc, Università, Miscellanea, Carte Varie (1822-1896), b. 710, f. 233. 30 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario molta attenzione la situazione dell’Università maceratese, e, pur non mancando di rilevare nella loro relazione manchevolezze e carenze di vario genere60, fornirono una valutazione nel complesso positiva della situazione esistente, al punto che l’esito di tale ispezione si sarebbe rivelato determinante ai fini della riapertura dell'ateneo. Restavano, tuttavia, in larga misura irrisolte le difficoltà di ordine finanziario. L’istituzione obbligatoria di diciotto cattedre61, sebbene fossero miseri gli stipendi dei professori e modeste le retribuzioni degli impiegati, risultava essere un’impresa difficilmente sostenibile, stanti le persistenti ristrettezze economiche che contrassegnavano da tempo l’Ateneo. I 2.469,14 scudi assegnati dal Governo non sarebbero stati sufficienti a coprire le relative spese. A questo riguardo, fu richiesto al Municipio di Macerata di reperire risorse aggiuntive al fine di integrare le risorse messe a disposizione dell’Università. Il consiglio comunale, con delibera del 21 febbraio 1825, decise pertanto di stanziare una somma di 1.200 scudi, che andava ad aggiungersi allo stanziamento ordinario del Governo. Per rendere esecutivo tale provvedimento, tuttavia, era necessaria l’approvazione definitiva sia della Sacra Congregazione del Buon Governo, deputata alla vigilanza sui municipi, sia quella della Sacra Congregazione degli Studj, chiamata a deliberare su tutto quanto si riferiva al pubblico insegnamento. Nel frattempo, comunque, con «sovrano rescritto dei 29 agosto 1825», fu lo stesso pontefice Leone XII a intervenire ancora una volta a sostegno dell’Università di Macerata, stabilendo che lo stanziamento camerale annuo per essa stabilito in 2.469,14 scudi fosse aumentato fino a raggiungere la cifra di 3.000 scudi62. Il contributo erogato annualmente dal Comune poté così essere fissato ad una cifra più bassa di quella preventivata, ossia a circa 800 scudi63. 60 Sull'esito della «visita apostolica» condotta nell’Ateneo maceratese dall’avvocato concistoriale Teodoro Fusconi e dall’abate Mauro Cappellari, si veda l’approfondita analisi offerta da Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 69-70. 61 Appartiene a tale periodo il testo, non datato, di una supplica o istanza diretta al vescovo nella sua qualità di cancelliere dell’Università, rinvenuta nell’Archivio della Curia vescovile di Macerata, nella quale si riporta l'elenco specifico di tutte le 18 cattedre istituite nell’Ateneo di Macerata, con relativi stipendi dei docenti e dei funzionari, l’onorario del rettore, le retribuzioni del custode e del bidello, nonché altre dettagliate informazioni sulle spese correnti sostenute. Si veda tale documento in ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. 62 ASMc, Archivio priorale-Collegio dei dottori, vol. 816. La data del rescritto è quella del 29 agosto 1825 e non del 29 agosto 1827, come erroneamente riportato in taluni studi. 63 ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Quando nel 1860, il commissario provinciale Luigi Tegas, cercherà informazioni circa le entrate finanziarie dell’Ateneo di Macerata durante il regime pontificio, tale bilancio risulterà articolato in tre voci: 3.000 scudi annui, «assegnati in ragione di 250 scudi al mese», pagati direttamente dalla Sacra Congregazione degli Studj al vescovo; 858 scudi che il Municipio versava annualmente come contributo e altri 55 scudi quale «prodotto di un capitale di 1000 scudi che l’Università teneva impiegato metà presso il Municipio stesso» e metà presso un privato (Edoardo Calisti) per un totale di 3.913 scudi. 31 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Tutto dunque era pronto per permettere all’Università di Macerata di riprendere il suo naturale corso di vita. Il 21 novembre 1825, mons. Francesco Ansaldo Teloni, vescovo di Macerata e Tolentino, nonché primo cancelliere della locale università dopo la promulgazione della Bolla Quod Divina Sapientia64, inaugurava solennemente l’apertura dell’anno accademico 1825-1826, alla presenza di un pubblico numeroso e con un’allocuzione che ricordava molto da vicino quella pronunciata dal Pontefice il 5 novembre alla Sapienza di Roma, estremamente polemica verso la falsa scienza65. A tutti, ed in particolar modo ai docenti di Giurisprudenza, mons. Teloni ricordò che «nella giustizia non è spirito di partito, essa non si fa serva della politica, non conosce connivenza o debolezza», citando a sostegno di tali affermazioni pensatori autorevoli come Bacone, Pascal e Montaigne. Nonostante il già definito calendario accademico66, la situazione, sotto il profilo organizzativo e didattico, non poteva dirsi però ancora pienamente funzionale: non soltanto occorreva completare l’acquisizione delle attrezzature per i gabinetti scientifici e i laboratori medici, ma diverse cattedre di primaria importanza (Sacra scrittura, Testo canonico, Testo civile, Istituzioni criminali e Medicina teorico-pratica) risultavano ancora prive di un titolare, e ciò spiega la decisione di avviare, sia pure con un certo ritardo, regolari concorsi per la loro copertura. Nell’anno accademico successivo il quadro degli insegnamenti impartiti nell’Ateneo e dei relativi docenti titolari era pressoché completo67. Rettore era Stefano Gambini, mentre le quattro Facoltà esistenti potevano contare su un totale di venti cattedre all’attivo: Teologia (con le cattedre di Sacra scrittura, Sacra teologia dogmatica, Sacra teologia morale e Storia ecclesiastica), Legge (con Istituzioni canoniche, Istituzioni civili, Testo civile, Testo canonico, Istituzioni criminali), Medicina e chirurgia (con Anatomia e Fisiologia, Patologia e semeiotica, Terapeutica generale, Medicina teorico-pratica, Medicina legale, Chirurgia ed ostetricia, Chimica e farmacia, 64 Per notizie biografiche dettagliate sul mons. Francesco Ansaldo Teloni, si veda L. Paci, Aspetti della vita religiosa maceratese dalla Restaurazione all'Unità, in Macerata dal primo Ottocento all'Unità, Agenzia libraria Einaudi, Macerata, 1984, pp. 39-100. 65 F.A. Teloni, Allocuzione nella solenne apertura dell'Università maceratese dell'anno accademico 1825-1826, Tip. Rossi, Macerata, 1826. 66 ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1822-1896), b. 710, f. 231. In tale calendario accademico si fissavano, tra le altre cose, il giorno dell’inizio delle lezioni nell’università (21 novembre), i periodi specifici delle festività natalizie (23 dicembre-1 gennaio), carnascialesche (27 gennaio-8 febbraio) e pasquali (19 marzo-28 marzo), nonché l’inizio delle vacanze estive (20 luglio). 67 Secondo quanto scrive Arangio-Ruiz erano vacanti le sole due cattedre di Testo canonico e di Botanica e materia medica, poiché per quest'ultimo insegnamento era appena deceduto il prof. Paolo Spadoni. Si veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 20. 32 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Botanica e materia medica), Filosofia68 (con Algebra, geometria e trigonometria, Logica, metafisica ed etica, Fisica sperimentale generale e particolare). Al personale docente si aggiungevano, inoltre, due lettori, il primo di algebra, geometria e trigonometria, e l’altro di chirurgia ed ostetricia; esistevano altresì tre gabinetti scientifici (di fisica, di storia naturale e di anatomia), un laboratorio di chimica e farmacia e un orto botanico al quale fu annesso, sucessivamente, anche un laboratorio di agraria. Gli anni successivi alla promulgazione della Quod Divina Sapientia (1824), se da un lato registrarono il graduale adeguamento delle università pontificie al nuovo modello centralizzato e uniforme degli studi superiori adottato dal pontificato leoniano, dall’altro videro progressivamente emergere nuovi e più complessi problemi per gli atenei dello Stato pontificio, ivi compreso quello maceratese. In particolare, le crescenti contrapposizioni ideologiche e politiche innescate nei vari Stati della penisola dai moti del 1820-21 e da quelli del 1831, destinati ad interessare direttamente i territori papali, trovarono nelle università e negli ambienti intellettuali il loro terreno di coltura e di sviluppo, anche in ragione del clima di rigido controllo delle idee e dei comportamenti introdotto a partire, soprattutto, dalla seconda metà degli anni Venti69, e, nel contempo, del carattere asfittico e scarsamente sensibile ai nuovi indirizzi culturali e scientifici, in auge in tante parti d’Europa, in cui versava l’insegnamento accademico. Non sorprende, a questo riguardo, il manifestarsi, dapprima in forme più circoscritte ed isolate, poi in modo sempre più esplicito e vivace, di crescenti proteste da parte di docenti e studenti che esprimevano la loro insofferenza per il regime censorio e per l’«oscurantismo culturale e politico» che caratterizzava la vita universitaria70. Indubbiamente, i moti risorgimentali che infiammavano la penisola e il resto dell’Europa facevano sentire la propria eco anche nel capoluogo maceratese71; ad 68 Com’è noto, l’Università di Macerata poteva conferire solo la laurea in Filosofia e non in Filosofia e matematica, poiché non possedeva gli insegnamenti e le strutture apposite per svolgere il corso, come prescritto dall’art. 212 della Quod Divina Sapientia. 69 Per un quadro delle disposizioni emanate su questo versante all’indomani della Bolla di Leone XII, si veda la documentazione contenuta in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Anni 1828-1837, b. 693, f. 1. 70 Un certa preoccupazione dell'Università di Macerata per i comportamenti dei propri studenti si era già manifestata anche nei periodi precedenti alla promulgazione della Quod Divina Sapientia. A tal proposito si rinvia a Corsi, L’Università di Macerata nel periodo della restaurazione (1816-1824), cit., pp. 89-94 e 111-113. 71 Fra gli artefici della cospirazione liberale scoperta a Macerata nel 1817, figurava lo studente di chimica Venanzo Morlacchi di Filottrano che, fallito il tentativo insurrezionale, si salvò con la fuga. Uno dei luoghi di riunione dei congiurati era il laboratorio di chimica dell’Ateneo, il che fa ritenere che l’idea della congiura fosse maturata proprio negli ambienti universitari. Nel processo contro i liberali maceratesi del 1820, peraltro, figuravano tra gli accusati gli studenti universitari Pietro Calvari e Giuliano Ceresani, 33 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario accentuare il clima di diffuso malcontento e disagio, peraltro, contribuirono non poco le forti reazioni censorie manifestate dalle autorità ecclesiastiche locali72. Merita, del resto, di essere segnalato che, nel caso dell’Università di Macerata, ancora prima del confronto ideologico e delle nuove idee politiche, a suscitare la reazione polemica di docenti e studenti furono l’accresciuto numero delle pratiche religiose obbligatorie imposte agli uni e agli altri e i rigidi vincoli morali e spirituali introdotti anche in ordine all’nsegnamento impartito nelle aule universitarie. La Quod Divina Sapientia era stata perentoria circa i doveri dei professori. Gli artt. 75 e 76 imponevano loro di insegnare dottrine sane […], instillare negli animi dei giovani le massime religiose [...], ma soprattutto confutare gli errori ed i sistemi che direttamente o indirettamente tendono alla corruzione della gioventù. Dovranno perciò nelle loro lezioni adattarsi a quelle prescrizioni che la Sacra Congregazione crederà di emanare sopra certi argomenti che possono interessare la religione, il costume e l’ordine pubblico. Il clima di eccessivo controllo e la rigidità manifestata dall’autorità ecclesiastica nell’applicazione dei regolamenti universitari, probabilmente, crearono le condizioni perché anche l’Università di Macerata fosse coinvolta nei moti liberali del 1831. I disordini innescati in questa fase, oltre a portare alla sospensione dell’attività didattica dell’anno accademico 1831-1832 e alla chiusura temporanea dell’ateneo, videro inquisiti i professori Francesco Puccinotti e Silvestro Utili, in seguito rimossi d’autorità dalla cattedra, oltre a numerosi studenti, i quali, per avere aderito alla costituenda Guardia Nazionale, furono espulsi o sottoposti ad un regime di rigida sorveglianza73. L’Ateneo maceratese fu riaperto nei mesi successivi, ma con un decreto datato 2 settembre 1833, la Sacra Congregazione degli Studj, introdusse pesanti limitazioni alla sua attività didattica, sopprimendo cattedre, stabilendo più rigidi controlli sull’insegnamento impartito e rendendo più restrittive le norme che regolavano l’ammissione degli studenti all’Università74. Oltre all’età minima di diciotto anni e al il primo dei quali fu anche condannato. Anche nel corso del 1821 si registrarono numerosi episodi di insubordinazione e di polemica politica che videro protagonisti studenti dell’Ateneo maceratese. Si vedano al riguardo: D. Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, Fano, Montanari, 1902; D. Spadoni, G. Spadoni, Uomini e fatti delle Marche nel Risorgimento italiano, Macerata, Unione Tipografica operaia, 1927. 72 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 25. 73 Ibidem, p. 27. 74 Con il decreto emanato dalla Sacra Congregazione degli Studj il 2 settembre 1833 com’è noto, la cattedra di Logica, metafisica ed etica e quella di Elementi di algebra e geometria furono staccate dalle 34 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario possesso di una rendita che consentisse loro di compiere gli studi, agli aspiranti studenti universitari dello Stato pontificio era fatto obbligo di presentare il certificato politico e la fedina criminale; i fuorisede, inoltre, dovevano dimostrare di avere il proprio domicilio presso persona di conosciuta probità, alla quale era assegnato il compito di segnalare alle auorità accademiche eventuali sue condotte riprovevoli. Con queste nuove disposizioni, il 5 novembre 1833 fu inaugurato l’anno accademico 1833-1834 che vedeva ancora rettore Stefano Gambini e, in qualità di prorettore, il conte Desiderio Pallotta (poi futuro rettore) e che si sarebbe concluso il successivo 21 luglio 1834 con la tradizionale cerimonia della Laurearum collatio et praemiorum distributio75. Secondo quanto risulta dall'annuario di quell’anno accademico, sette erano i componenti del collegio teologico, otto quelli del collegio legale (tutti avvocati), sei quelli dei collegi medico-chirurgico e filosofico76. Inoltre, faceva parte dell’organico del personale docente anche un dottore emerito (Michele Santarelli), mentre il domenicano Tommaso Maria Borgetti, oltre che titolare della cattedra di Sacra teologia dogmatica, era anche il responsabile della biblioteca77. Tra le strutture didattico-scientifiche di cui disponeva l’Ateneo, figuravano come in passato, i tre gabinetti di fisica, storia naturale ed anatomia, il laboratorio di chimica e farmacia, nonché l'orto botanico e il laboratorio di agraria78. università e aggregate alle scuole secondarie, lasciando all'istruzione superiore soltanto gli insegnamenti di fisica e di matematica applicata. Inoltre, sempre con il medesimo provvedimento, si stabilì che ai corsi di istituzioni civili, canoniche e criminali fossero ammessi i «soli studenti nativi della città e provincia cui l’Università apparteneva», mentre gli altri avrebbero dovuto «fare questi studi nella propria città o provincia sotto maestri approvati dalla stessa Sacra Congregazione». 75 Anche dagli annuari degli anni accademici successivi risulta che, sulla base delle indicazioni fornite dall’art. 286 della Quod Divina Sapientia, le date di inizio e fine dell'attività didattica risultano pressoché le stesse, con slittamenti al massimo di un giorno, a causa di eventuali festività. 76 Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1833-1834, Macerata, 1833 (copia in BCMc). 77 ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. Padre Tommaso Maria Borgetti, docente dell’Ateneo a partire dal 1826, fu allontanato dall’insegnamento nel 1838 per disposizione della Sacra Congregazione degli Studj (i motivi non ci sono noti). Lo stesso dicastero pontificio, in una lettera del 18 dicembre dello stesso anno, sollecitava il vescovo di Macerata ad individuare un altro professore che potesse sostituirlo. In seguito, a partire dall’anno accademico 1839-1940, la cattedra di sacra teologia dogmatica fu ricoperta da padre Francesco Guade, mentre nel ventennio successivo a questi subentrò il frate minore Flaviano da Recanati. Nello stesso anno accademico 1839-1840, invece, il Borgetti figurava ancora come bibliothecarius, mentre l’anno accademico seguente tale incarico risultava vacante. Cfr. Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1839-1840, Macerata, 1839, p. 10 (copia in BCMc); e Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1840-1841, Macerata, 1840, p. 10 (copia in BCMc). 78 Tale museum rei agrariae figura negli annuari del tempo a partire dal 1828 e fino all’anno accademico 1842-1843, allorché sparisce del tutto ogni riferimento ad esso. Cfr. Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1841-1842, Macerata, 1841, p. 9 (copia in BCMc); e Album pontificiae universitatis maceratensis pro anno scholastico 1842-1843, Macerata, 1842, p. 6 (copia in BCMc). 35 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario Al termine di quell’anno accademico vi furono solamente 7 laureati, un dato che, comunque, era in linea con quello registrato negli anni immediatamente precedenti e con la media dei laureati del periodo immediatamante seguente. Un significativo incremento nel numero dei laureati si sarebbe riscontrato nell’Ateneo maceratese soltanto a partire dall'anno accademico 1839-1840, allorché, dopo avere toccato il minimo storico di due laureati l’anno precedente, si raggiungeva quota 21, per assestarsi su una media sempre superiore alle 10-15 unità, con una nuova punta massima per il medesimo decennio, nell’anno accademico 1845-1846. Non disponiamo, viceversa, di dati precisi per il triennio compreso tra il 1847 e il 1850 e la ragione, alla luce di quanto diremo fra breve, è facilmente comprensibile. Proprio in quegli anni, infatti, il fermento liberale in Italia era tornato alla ribalta con una certa forza e l’ascesa al soglio pontificio, il 15 giugno 1846, del marchigiano Giovanni Maria Mastai Ferretti, divenuto papa con il nome di Pio IX, aveva ulteriormente infiammato gli animi, suscitando ampie attese e forti speranze79. Il nuovo Pontefice, com’è noto, era apparso sin da subito sensibile alle esigenze di modernizzazione dello Stato pontificio e, soprattutto, come testimoniano taluni orientamenti da lui manifestati in precedenza, non pregiudizialmente ostile alla causa italiana80. Sull’onda di un entusiasmo diffuso, anche gli studenti e i docenti dell’Ateneo maceratese espressero in diverse occasioni il loro entusiasmo per il nuovo corso che il pontificato di Pio IX sembrava assicurare alle stesse istituzioni culturali e scientifiche del paese. In questo contesto, a rafforzare l’impressione di una svolta epocale e di un imminente mutamento politico, contribuirono diverse vicende, talune delle quali interessarono da vicino l’Ateneo maceratese. Nel 1847, ad esempio, su invito degli stessi studenti universitari, il barnabita Alessandro Gavazzi fu chiamato a parlare degli orientamenti politici che animavano il nuovo pontificato. Questi, ben noto per le sue simpatie liberali e per il suo radicalismo antiaustriaco, rivolse alla popolazione un 79 Il nuovo pontefice, Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, era nato a Senigallia il 13 maggio 1792. Sulla sua biografia si vedano: C. Falconi, Il giovane Mastai. Il futuro Pio IX dall'infanzia a Senigallia alla Roma della Restaurazione (1792-1827), Milano, Rusconi, 1981; A. Serafini, Pio Nono. Giovanni Mastai Ferretti dalla giovinezza alla morte nei suoi scritti e discorsi editi e inediti. Vol. I: le vie della provvidenza divina (1792-1846), Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1985; G. Martina, Pio IX, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1974-1990, 3 voll., I. Alla narrazione degli avvenimenti che caratterizzarono il pontificato piano, il cronista maceratese Antonio Natali dedicò ben quattro volumi manoscritti, dall’ascesa al soglio pontificio fino al 1849. Si veda A. Natali, Pio IX, Memorie, in BCMc, mss. 572-575. 80 Cfr. Martina, Pio IX, cit., I, passim. Ma si veda anche, per quel che attiene alla realtà marchigiana e maceratese, R. Ruffini, Il “Risorgimento” di un maceratese dimenticato, Macerata, Grafica Maceratese, 2004, pp. 30-31. 36 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario vibrante e memorabile discorso, nel quale le caute aperture manifestate da Pio IX nel corso dei primi mesi del suo governo furono interpretate come una sorta di preludio ad una svolta radicale e ad un vero e proprio capovolgimento della politica filo austriaca tenuta dal suo predecessore Gregorio XVI. Il discorso di padre Gavazzi, come narra il cronista Antonio Natali, era destinato ad infiammare le popolazioni maceratesi e a suscitare una vasta eco negli stessi ambienti universitari: Giunto questi nella Piazza Maggiore – scriveva il Natali –, e salito nella Ringhiera della Residenza Comunale, con voce altisonante, e chiara parlò al Popolo eccitandolo ad accorrere con armi per discacciare dall'Italia lo Straniero, e liberare la Patria dal ferreo gioco da cui era oppressa da più Secoli. Che Pio IX era quell’angelo che veniva mandato dal Cielo per compiere questa santa impresa. Che liberale era questo grande Pontefice, perché Liberale fu Cristo81 . Nel febbraio 1848, sempre per iniziativa degli studenti e dei docenti dell’Ateneo maceratese, furono celebrati con grande pompa nlla chiesa di San Paolo i solenni funerali per i giovani volontari maceratesi uccisi dagli austriaci a Pavia. In quell’occasione, numerosi studenti e taluni professori – tra i quali Pirro Aurispa, Patrizio Gennari e Federico Bosi, che divennero in seguito deputati ed ebbero parte attiva nelle vicende della Repubblica romana82 – intervennero pubblicamente manifestando il proprio odio antiaustriaco e sollecitando la popolazione maceratese a sostenere la guerra contro lo straniero e per l’indipendenza italiana. La vera e propria svolta verificatasi nei mesi seguenti con il radicale mutamento della politica di Pio IX e il repentino crollo del sogno neoguelfo, portarono, com’è noto, al crollo delle speranze che avevano caratterizzato la breve stagione costituzionale nello Stato pontificio83. Il ritorno del papa da Gaeta e il ripristino del governo pontificio, dopo la breve ed esaltante esperienza della Repubblica romana, coincisero con l’avvio di una politica repressiva che non risparmiò nemmeno le università pontificie. L’Ateneo maceratese, nel quale, come si è accennato, assai vivi erano stati i fermenti liberali e patriottici, fu tra quelli marchigiani il più colpito dalle censure e dai provvedimenti repressivi. Esso, infatti, dovette subire una temporanea chiusura nell’anno accademico 1849-185084, e 81 Cfr. Natali, Pio IX, Memorie, cit., ms. 573, cc. 96-97. Per approfondimenti si veda Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, cit., pp. 5-6. 83 Cfr. Martina, Pio IX, cit., I, passim. 84 Già il 10 luglio 1849 il Commissario pontificio straordinario per le Marche, mons. Savelli, aveva proibito il conferimento delle lauree, mentre il 3 settembre la Sacra Congregazione degli Studj aveva dettato precise condizioni per il riconoscimento della validità di quelle conferite nei mesi precedenti. Si 37 82 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario anche in seguito, fu oggetto di particolari limitazioni e controlli da parte della restaurata autorità ecclesiastica. La riapertura dell’Università di Macerata, nell’anno accademico 1850-1851, coincise con l’assunzione di una serie di provvedimenti restrittivi, deliberati dalla neo costituita Commissione di censura85, nei riguardi dei «facinorosi», docenti e studenti, rei di avere preso parte all’attività politica e alle insurrezioni del 1848-1849. I professori Aurispa, Gennari e Bosi furono destituiti dalla cattedra e allontanati dall’Università, mentre altri docenti, come Abdia Geronzi e Tommaso Bianchini, vennero temporaneamente sospesi dall’insegnamento «per gravi irregolarità morali». Anche sul versante studentesco, la repressione fu particolarmente incisiva. Oltre a rendere più rigidi e restrittivi i controlli sugli orientamenti politici di coloro che aspiravano a frequentare l’Università di Macerata, l’autorità ecclesiastica intervenne pesantemente nei riguardi di coloro che erano in qualche modo sospettati di avere assunto comportamenti politici censurabili nel biennio 1848-49. Alcuni di loro, ben 8, furono sottoposti a speciale vigilanza, mentre altri 7 studenti furono addirittura esclusi dai corsi e allontanati d’autorità dall’Ateneo86. Il 5 settembre 1850, la Sacra Congregazione degli Studj promulgò un decreto, al quale seguì una circolare esplicativa datata 10 settembre dello stesso anno, con il quale furono abolite le propine e le spese di ogni natura dovute fino ad allora per il conferimento dei gradi, delle lauree e delle matricole, sostituendo tutto ciò con una tassa da pagarsi all’inizio di ogni anno di corso87. La tassa per l’ammissione all’Università fu stabilita in maniera uniforme per qualsivoglia corso di studio. Relativamente ai tradizionali corsi di laurea, essa ammontava a 16 scudi, mentre per la frequenza delle scuole pratiche universitarie lo studente era tenuto a pagare 8 scudi. L'intera somma ricavata finiva per ¾ ai singoli veda ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1. Disposta la chiusura dell’Ateneo, per consentire agli studenti di conseguire i gradi accademici, fu consentito loro di proseguire gli studi nelle rispettive province, sia presso le pubbliche scuole, sia presso insegnanti privati che dovevano essere approvati dalla Sacra Congregazione degli Studj. 85 Sull’istituzione della Commissione di censura e sui suoi poteri si veda la circolare trasmessa dalla Sacra Congregazione degli Studj in data 23 ottobre 1849, in ASDMc, Università pontificia, sec. XVI-1851, b. 1 (che raccoglie la documentazione relativa all’operato della stessa Commissione e ai provvedimenti adottati). L'incarico assegnato alla Commissione di censura era quello di esaminare il «comportamento tenuto dai professori e da tutto il personale dell’Ateneo nelle trascorse luttuose vicende politiche». 86 Si veda Spadoni, L’Università di Macerata nel risorgimento italiano, cit., p. 8. 87 Sia il decreto che la circolare sono riprodotti integralmente in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 129-131. 38 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario collegi e per ¼ direttamente nelle casse universitarie88. In nome del principio dell'uguaglianza le tasse si applicavano anche a coloro che frequentavano scuole pubbliche fuori dall’Università e privati istitutori autorizzati. Importanti, infine, erano, come del resto anche in passato, le esenzioni stabilite a favore degli studenti bisognosi o meritevoli. Sulla base di tali specifiche disposizioni in materia di tasse, e in assenza di altre più specifiche indicazioni, possiamo tentare di ricostruire il dato relativo agli iscritti all’Università di Macerata nella prima metà degli anni Cinquanta. Da un prospetto pubblicato da Arangio-Ruiz89, infatti, risulta che nell’anno accademico 1851-1852, gli scudi incassati per le tasse studentesche dall’Ateneo ammontavano a 1.850,04. Considerando la tassa di 16 scudi che ciascun studente pagava annualmente per poter frequentare gli studi, si può ipotizzare la presenza di circa 115 iscritti, mentre nei tre anni immediatamente successivi, sempre sulla base dei dati in nostro possesso relativi al quadriennio 1851-1855, e mediante il medesimo calcolo, avremmo rispettivamente 81, 76 e 100 studenti iscritti90. Tali indicazioni, pur rivestendo valore solo ipotetico, non si discostano molto, peraltro, da quelli relativi ai successivi anni accademici 1857-1858 e 1858-1859, sui quali disponiamo di dati certi. Nell’anno accademico 1857-1858, infatti, gli studenti regolarmente iscritti all’Università di Macerata ammontavano a 12091, e di questi uno solo rivestiva la qualifica di uditore92. Appena 30 erano originari di Macerata, mentre tutti gli altri provenivano principalmente da città e paesi del circondario, quali Urbisaglia, Tolentino, Filottrano, Sarnano, Recanati e Cingoli; un certo numero di studenti risultava provenire da sedi più lontane, come Ascoli, Perugia e Frosinone. Nell’anno accademico 1858-1859, l’Ateneo contava 114 iscritti regolari e 10 uditori, dei quali solo 21 erano maceratesi. Gli altri, oltre che dalle città e dai paesi del 88 Tale ripartizione, decisa sulla base di un nuovo decreto della Sacra Congregazione degli Studj, datato 31 ottobre 1851, scatenò una lunga disputa tra gli atenei primari e quelli secondari per la quale si rinvia a ibidem, pp. 35-36. 89 Ristretto delle somme introitate dal cassiere dell'Università degli Studi di Macerata, a senso del decreto della Sacra Congregazione degli Studi 5 settembre 1850, in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 132. 90 Naturalmente tali dati devono essere considerati puramente indicativi vista, ad esempio, l’esenzione riservata agli studenti meritevoli e bisognosi. In realtà, per l’anno accademico 1854-1855 esiste un prospetto degli studenti dell’Università di Macerata secondo il quale gli iscritti risultavano essere 113, mentre gli uditori 19. Lo si veda in ASDMc, Università pontificia, Anni 1852-1860, b. 2. 91 ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 109, Elenco dei giovani studenti della Pontificia Università di Macerata nell'anno scolastico 1857-1858; Elenco dei giovani studenti della Pontificia Università di Macerata nell'anno scolastico 1858-1859. 92 Cfr. Calendario della Regia Università degli studi di Macerata anno accademico 1860-1861, Macerata, 1861, p. 6 (copia in BCMc). 39 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario territorio provinciale, provenivano in massima parte da Ancona, Fano, Osimo, Urbino e addirittura da Rimini e Terni. Più complesso è il discorso da fare relativamente all’anno accademico 1859-1860. In questo caso, disponiamo di due distinte registrazioni del numero degli iscritti: nella prima, il dato riportato indica 147 unità, senza altre specificazioni93; mentre nella seconda si riportano i nominativi di 130 iscritti94. Nel corso degli anni Cinquanta, il clima di latente repressione e l’irrigidimento dei controlli esercitati dall’autorità ecclesiastica sull’assolvimento delle pratiche religiose prescritte95 e sulle condotte morali e politiche di docenti e studenti dell’Università di Macerata (si giunse, fra l’altro, alla predisposizione di appositi Registri sulla condizione morale e religiosa dei giovani studenti dell'Università di Macerata96), contribuirono indubbiamente a conservare l’Ateneo in una situazione di relativa tranquillità. L’attività didattica, come testimoniano le cronache del tempo, procedette regolarmente, così come senza grandi contrasti si sviluppò l’attività scientifica e culturale del corpo docente, resa tuttavia vieppiù asfittica e scarsamente innovativa a causa dell’arretratezza degli ordinamenti e dei piani di studio in vigore e del sostanziale isolamento che contrassegnava le università pontificie rispetto a quelle operanti in altre parti della penisola e nel resto d’Europa97. In questo contesto, tra affollate processioni per le celebrazioni del Corpus Domini e assolvimento quotidiano del precetto eucaristico e delle altre pratiche religiose prescritte e minuziosamente regolamentate per docenti e studenti, l’Università di Macerata giunse fino al 1860 restando per molti versi estranea rispetto agli episodi di protesta politica e ai tentativi di ribellione che si andavano registrando, in quello stesso periodo, in altri atenei pontifici e in diverse parti della penisola. Solo nel 1860, infatti, si ebbero le prime avvisaglie, a Macerata, di un repentino mutamento del clima politico, con il costituirsi di un movimento di studenti che, 93 ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 110, Registro di condizione morale e religiosa. 94 Lo si veda in ASMc, Università, Immatricolazioni ed iscrizioni 1857-1858, reg. n. 1. 95 Un’amplissima documentazione circa i controlli sull’assolvimento delle pratiche religiose prescritte per studenti e docenti dell’Ateneo maceratese è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1840-1872), b. 712, f. 269. 96 ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1837-1859), b. 696, f. 102. I registri conservati sono relativi agli anni accademici 1856-1857, 1858-1859 e 1859-1860. 97 Si rinvia al riguardo al fondamentale lavoro di S. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), Brescia, La Scuola, 1993. Per un quadro d’insieme, si vedano inoltre: A. Romano (a cura di), Università in Europa, Le istituzioni universitarie dal Medioevo ai nostri giorni: struttura, organizzazione, funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995; I. Porciani (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, Napoli, Jovene, 1994; Brizzi, Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), cit.; G.P. Brizzi, A. Varni, (a cura di), L’Università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, CLUEB, Bologna, 1991. 40 Capitolo primo. L’Ottocento preunitario prendendo spunto dalle proteste nei riguardi di un docente dell’Ateneo accusato di essere incompetente e di avere assunto atteggiamenti eccessivamente reazionari, decise di disertare le lezioni accademiche e di boicottare apertamente l’attività didattica98. Anche in questo frangente, tuttavia, l’allora rettore Giovanni Accorretti, in una relazione sui fatti avvenuti indirizzata al cancelliere dell’Università e datata 19 maggio 1860, ostentò una grande serenità, minimizzando l’accaduto ed escludendo la presenza di motivazioni politiche alla base dell’episodio di contestazione verificatosi: «Le cose dell’Università – rassicurava Accorretti – procedono regolarmente colla buona disciplina e frequenza alle scuole non meno che alle congregazioni spirituali ed alla Santa Messa quotidiana, e sembra che realmente i giovani studenti siano impegnati a riparare il trascorso inconveniente col dare prova di saggia e diligente condotta»99. In realtà, le vicende politiche e militari dei mesi seguenti erano destinate a decretare il definitivo tramonto dello Stato pontificio e a comportare il radicale superamento dell’ordinamento universitario instaurato con la Bolla Quod Divina Sapientia del 1824 nei territori papali. Di lì a poco, infatti, l’annessione delle Marche al Regno d’Italia chiuse definitivamente la stagione dell’Università pontificia di Macerata, inauguratasi con la restaurazione post napoleonica, e aprì quella, per certi versi più complessa e non priva di ulteriori incertezze e difficoltà, nella quale il plurisecolare Ateneo maceratese fu inserito nel nuovo sistema casatiano degli studi superiori100. 98 ASDMc, Università pontificia, Anni 1852-1860, b. 2. L'episodio della contestazione avvenne il 3 maggio 1860, in occasione della prima lezione tenuta dal prof. Giuseppe Cozzi, sostituto del titolare Filippo Borgogelli, assente per malattia, alla cattedra di diritto canonico. Nel corso della lezione, numerosi studenti contestarono il Cozzi, che fra l’altro era noto a Macerata per le sue simpatie reazionarie e per essere uno dei confidenti del vescovo, accusandolo di grave incompetenza e, per protesta, abbandonarono l’aula. In loro appoggio, il giorno stesso, altri studenti presentarono una richiesta, firmata da ben 64 di loro, con la quale si chiedeva l’allontanamento del docente, minacciando, in caso contrario, e qualora non fossero stati reintegrati i loro colleghi sospesi per avere partecipato alle proteste, di astenersi sine die dalle lezioni. Alla fine vi fu la riammissione degli studenti “ribelli”, mentre il prof. Cozzi fu costretto a presentare le dimissioni e ad abbandonare il corso, il quale fu portato a termine dal titolare Borgogelli, ormai guarito dalla malattia. 99 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 41. 100 Su tale nuova stagione dell’Università di Macerata apertasi con l’annessione delle Marche al Regno d’Italia, si veda ora: L. Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post unitario: le tappe di una faticosa rinascita, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 109-141. Sul riordinamento degli studi superiori e universitari avviato in attuazione delle norme della legge Casati, si rinvia a Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), cit. Ma si vedano anche: G. Fioravanti, M. Moretti, I. Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), Roma, Ministero per i beni e le attività culturali. Ufficio centrale per i beni archivistici, 2000; I. Porciani (a cura di), L’Università italiana. Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali (1859-1914), Firenze, Olschki, 2001. Un altro strumento ancora imprescindibile, non solo per le leggi ma pure per i p.d.l.e i decreti attuativi è costituito dal volume Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso Autore, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1901. 41 Capitolo secondo. La stagione postunitaria CAPITOLO SECONDO LA STAGIONE POSTUNITARIA Il 12 settembre 1860, Lorenzo Valerio1, deputato al parlamento subalpino e governatore di Como, faceva il suo ingresso ufficiale nelle Marche. A lui il compito, nella veste di commissario generale straordinario, di riordinare i territori marchigiani usciti da poco dal dominio pontificio ma già desiderosi di entrare a far parte del neo Regno d’Italia2. Tra le funzioni affidategli andava annoverata anche quella afferente la pubblica istruzione, controllata fino ad allora dalle autorità religiose. Per poter affrontare la situazione nel miglior modo possibile Valerio decise di avvalersi della preziosa collaborazione dell’avvocato Luigi Tegas3, già avvezzo di pratiche amministrative in quanto componente del consiglio comunale di Pinerolo e futuro intendente generale, prefetto e deputato del Parlamento italiano, il quale divenne commissario provinciale 1 Lorenzo Valerio fu pubblicista liberale e politico, deputato nel 1848 e leader della sinistra anticavouriana. Fu anche senatore dal novembre del 1862 e poi prefetto a Messina. Nelle Marche egli ebbe il compito di governare il territorio con pieni poteri e vi importò, attraverso l’emanazione di 840 decreti, le leggi e gli istituti di uno Stato piemontese che stava diventando italiano. La sua attività commissariale ebbe inizio il 21 settembre 1860 a Senigallia, dato che Ancona, sottoposta ad assedio, era ancora in mano pontificia. Sull’operato di Valerio nelle Marche si vedano soprattutto D. Cecchi, L’attività legislativa del Commissario generale straordinario nelle Marche Lorenzo Valerio, Macerata, Tipografia S. Giuseppe, 1965; M. Polverani, Lo Stato liberale nelle Marche. Il commissario Valerio, introduzione di R. Paci, Ancona, Bagaloni, 1978; G. Santoncini, L’unificazione nazionale nelle Marche. L’attività del regio commissario generale straordinario Lorenzo Valerio 12 settembre 1860 – 18 gennaio 1861, Milano, Giuffré, 2008; G. Giubbini, Il Fondo Valerio nell’Archivio di Stato di Ancona, in M. Severini (a cura di), Le Marche e l’Unità d’Italia, Milano, Codex, 2010, pp. 278-285. 2 Fu il plebiscito del 4 e 5 novembre 1860 a sancire l’annessione delle Marche al Regno d’Italia. A fronte di 212.000 iscritti, votarono 135.255 persone (63,79%) con ben 133.783 sì (98,91%), 1.212 no e 260 voti nulli. In provincia di Macerata si ebbero invece 32.847 votanti di cui 32.575 (99,17%) favorevoli all’annessione mentre a Macerata, su 5.065 iscritti al voto, si recarono all’urne 4.127 elettori che espressero 4.104 voti favorevoli (99,44%). Sul plebiscito ma anche più in generale sugli avvenimenti del periodo immediatamente pre e post unitario nelle Marche e soprattutto nella provincia maceratese si vedano A. Alessandrini, I fatti politici delle Marche. Dal 1° gennaio 1859 all’epoca del plebiscito, II voll., Macerata, Libera editrice marchigiana, 1910, vol. 2 e soprattutto i recenti ed aggiornati lavori di M. Severini (a cura di), Macerata e l’Unità d’Italia, Milano, Codex, 2010 e id., 150 anni dall’Unità, in id. Le Marche e l’Unità d’Italia, cit., pp. 25-34. Inoltre su «Il Corriere delle Marche» del 5, 6 e 7 novembre 1860 (rispettivamente nn. 29, 30, 31), sono rinvenibili nel dettaglio gli esiti del plebiscito in ogni singolo comune marchigiano. 3 La nomina di Tegas fu particolarmente gradita all’intera cittadinanza maceratese, come si evince dal ringraziamento rivolto dal Municipio di Macerata l’11 dicembre 1860, firmato dal presidente Lauri, al consiglio comunale di Pinerolo, in seguito alle manifestazioni di stima espresse da quest’ultimo nei riguardi del Tegas. Su tale questione cfr. M. Corsi, Le Università di Macerata e Camerino dallo Stato Pontificio al Regno d'Italia, «Studi maceratesi», 15 (1982), pp. 715-751. L’intero volume traccia peraltro un quadro completo delle vicende storiche dell’Ateneo nel periodo immediatamente pre e post unitario. Sul rapporto non facile tra Valerio e la popolazione maceratese si veda invece D. Giaconi, Storia di un pregiudizio. L’Università di Macerata dall’Unità alla Riforma Gentile, in P. Bini, S. Spalletti (a cura di), Dalle Accademie Agrarie all’Università. L’istituzionalizzazione dell’economia politica a Macerata e nelle Marche, Macerata, EUM, 2010, pp. 201-257. 42 Capitolo secondo. La stagione postunitaria per la Provincia di Macerata4. Il «Corriere delle Marche», organo d’informazione fondato il 5 ottobre e diretto dal patriota e scrittore Luigi Mercantini5, riportò così per esteso il decreto di nomina n. 23, datato 1 ottobre 1860: In nome di sua maestà, il Re Vittorio Emanuele II, il Governatore della Provincia di Como, il regio Commissario generale straordinario nelle Province delle Marche, visto l’articolo 6 del decreto 22 corrente, in virtù dei poteri conferitigli con decreto reale 12 settembre 1860, DECRETA, il sig. Avvocato Luigi Tegas, Deputato al Parlamento, é nominato commissario provinciale per la Provincia di Macerata, colla residenza a Macerata, sotto l’immediata dipendenza del regio Commissario generale straordinario. Il presente decreto sarà pubblicato in tutti i comuni della provincia di Macerata ed inserito nella Raccolta ufficiale degli atti del regio Commissario generale straordinario, mandandosi a chiunque spetta di osservarlo e di farlo osservare6. Cinque giorni dopo, il 6 ottobre, fu invece promulgato il decreto n. 35, mediante il quale la pubblica istruzione veniva ufficialmente posta sotto la sorveglianza e la direzione dell’autorità politico-amministrativa. Ciò rappresentava un passo importante per l’istruzione e per lo stesso Valerio che il 2 novembre andò a compiere un nuovo atto fondamentale per tutto il territorio marchigiano. Con il decreto del 2 novembre 1860, n. 289, egli promulgò infatti la legge sarda 23 novembre 1859, n. 3275, sulla pubblica istruzione (la nota legge Casati)7, demandandone al potere esecutivo l’esecuzione del 4 Oltre a Luigi Tegas gli altri due delegati locali maceratesi erano il provveditore agli studi Giacomo Ricci ed il segretario Adriano Tomassini Barbarossa. A tali delegati erano solitamente demandati solo poteri ispettivi sull’applicazione formale dei provvedimenti. 5 «Il Corriere delle Marche», futuro «Corriere Adriatico», si presentava come una gazzetta ufficiale nonché foglio regionale e si sarebbe contraddistinto per il su orientamento moderato. Si veda P. Traini, Il Corriere Adriatico ha centocinquanta anni come la storia d’Italia, «Corriere Adriatico», 29 agosto 2010. 6 Cfr. «Il Corriere delle Marche», I (14 ottobre 1860), 9, pp. 1. 7 Sui contenuti della legge Casati e soprattutto sulle disposizioni e le problematiche relative all’istruzione superiore, si vedano Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 1-10 e 36-38; Di Domizio, L’università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 186-188; B. Ferrari, I problemi dell’Università italiana ai primordi dell’Unità, «Bollettino storico bibliografico-subalpino», 1970, pp. 515-565; G. Inzerillo, Storia della politica scolastica in Italia. Da Casati a Gentile. Roma, Editori riuniti, 1974, p. 157-231; E. Bosna, L’istruzione superiore nella legge Casati e nei decreti dei governi provvisori, in F. De Vivo, G. Genovesi (a cura di), Cento anni di università: l’istruzione superiore in Italia dall’Unità ai nostri giorni. Atti del 3° Convegno nazionale, Padova, 9-10 novembre 1984, Napoli, ESI, 1986, pp. 123-135; T. Tomasi, L. Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale (1861-1923), Napoli, Liguori Editore, 1988; A. Colombo, Per una storia dei modelli di università dalle legge Casati all’autonomia degli atenei, in Brizzi, Varni (a cura di), L’università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, cit., pp. 29-58; A. Pizzitola, Gli studenti della nuova Italia, ivi, pp. 136-163; Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (18481876), cit., pp. 57-239; F. Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’Università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), Milano, Giuffré Editore, 1995, pp. 4894; L. Pazzaglia, R. Sani , Scuola e società nell’Italia unità: dalla Legge Casati al centro sinistra, Brescia, Editrice La Scuola, 2001, pp. 28-35. I. Porciani, M. Moretti, La creazione del sistema 43 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Titolo II sull’insegnamento superiore e facendo decorrere la sua applicazione dall’1 gennaio 18618. L’estensione anche alle Marche della legge Casati avrebbe sicuramente dovuto rappresentare un progresso per tutto il settore dell’istruzione regionale; tuttavia essa non ebbe un’effettiva applicazione per l’Università di Macerata la quale mantenne, invece, la sua indole mista di ateneo comunale e governativo. In quei giorni, inoltre, fu proprio il ministro Terenzio Mamiani a raccomandare a Valerio un atteggiamento prudente nelle sue azioni relative all’istruzione superiore, impartendogli l’ordine di intervenire sulle università con quelle «poche provvisioni dettate da vera necessità e l’aggiunta di alcuna cattedra indispensabile». Fu in questo contesto che il 7 novembre 1860 il quotidiano «L’Annessione Picena»9 annunciò ufficialmente, per volere del commissario Luigi Tegas, la riapertura dell’Università di Macerata per il 20 novembre. Una data che si potrebbe definire storica per l’Ateneo maceratese poiché capace di rappresentare lo spartiacque tra la vecchia università pontificia e quella regia. Il primo segno evidente di questa trasformazione, anche ideologica, dell’Ateneo, fu rappresentato dalla scelta compiuta da Valerio di sopprimere la Facoltà di Teologia. Preludio a tale scelta, già all’indomani del passaggio dell’Università di Macerata sotto il controllo del nuovo governo italiano, fu senza dubbio la richiesta rivolta al personale dell’Ateneo maceratese circa la necessità di esprimere la propria volontà a mantenere o meno gli incarichi ricoperti sino ad allora. Il rettore maceratese Giovanni Accorretti, sacerdote, i docenti della Facoltà di Teologia (tra i quali si ricordano in particolare Domenico De Grassi e Flaviano da Recanati), nonché i membri componenti il collegio teologico, fra i quali Ferdinando Sarnari e Cesare Blasi, rifiutarono di offrire la propria adesione10, contrariamente a quanto accadde invece per le altre tre facoltà (legale, universitario nella nuova Italia in G.P. Brizzi, P. Del Negro, A. Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, 3 voll., Messina, Sicania, 2007, vol. I, pp. 323-379. 8 Il decreto 289 viene riportato per esteso su «Il Corriere delle Marche», I (3 novembre 1860), n. 28. 9 «L’Annessione Picena» fu un quotidiano che si stampò a Macerata per un solo anno e per un numero complessivo di 101 uscite che coprirono il periodo dal 1 ottobre 1860 al 23 febbraio 1861. Esso fu fondato e sostenuto dalle figure più prestigiose della nobiltà e della borghesia liberale di Macerata, che vedevano nell’Unità la realizzazione delle proprie speranze di progresso economico e civile. Nella sua testata si leggono chiare ispirazioni patriottiche “Viva l’Italia, Viva il Re”. Stampato presso la Tipografia Bianchini, esso era anche il giornale ufficiale per l’inserzione degli atti giudiziari ed amministrativi. Per ulteriori notizie su questo quotidiano, ma anche su altri periodici citati nel presente lavoro, si veda l’interessante contributo di A. Palombarini, La stampa periodica a Macerata dal 1860 al 1900, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata», IX (1976), pp. 405-425. Per un approfondimento specifico su «L’Annessione Picena» si rimanda anche alla scheda in V. Gianangeli (a cura di), Bibliografia della stampa operaia e democratica nelle Marche 1860-1926. Periodici e numeri unici nella provincia di Macerata, Ancona, Il lavoro editoriale, 1998. 10 Votarono contro il nuovo Governo tutti i sacerdoti che, a vario titolo, erano presenti all’Università di Macerata. A questi si aggiunsero i laici Giuseppe Giuliani, Pietro Pellegrini, Giovanni Battista Bruti 44 Capitolo secondo. La stagione postunitaria filosofica e medico-chirurgica), dove, in modo alquanto omogeneo11, si giurò fedeltà al nuovo Governo. In realtà, però, consultando l’elenco degli atti ufficiali dello stesso commissario Valerio e le pagine del «Corriere delle Marche» di quei giorni non é possibile trovare alcun riscontro relativo a tale soppressione della Facoltà di Teologia a Macerata12. Soppressione che però avvenne in modo rapido e tempestivo. A darne notizia, in data 12 novembre 1860, fu infatti il numero 36 de «L’Annessione Picena» che riportò in apertura la seguente informazione: Il Regio Commissario della Provincia di Macerata, a nome e per delegazione espressa del Commissario Generale delle Marche, dichiara 1) Sospesa la Facoltà di Teologia nell’Università di Macerata. 2) Con i fondi assegnati alla medesima istituite le seguenti tre cattedre: Filosofia del diritto e Diritto costituzionale, Codice civile patrio e Procedura civile, Diritto commerciale13. Un provvedimento, dunque, realmente esistito14 e che si inseriva perfettamente in quell’ondata di laicità che aveva investito tutto il territorio italiano all’indomani dell’Unità. Nelle Marche, poi, il legame con lo Stato pontificio era stato da sempre più forte rispetto a quello presente in altre regioni ed una simile decisione potrebbe dunque essere interpretata come una sorta di naturale reazione da parte del potere laico nei confronti di un feudo fedele alla Chiesa. Volendo comunque analizzare la questione più nel dettaglio, é giusto rimarcare come il provvedimento assunto rientrasse anche in un quadro più ampio di mutamento anticlericale riconducibile all’operato di Valerio. Come Liberati, Giocondo Bruni, Francesco Adriani, Serafino Salvatori, Luigi Ranaldi e Filippo Narducci. Si veda ASDMc, Delegazione apostolica, 1815-1860, b. 185. 11 A tal proposito si rimanda a Corsi, Le Università di Macerata e Camerino dallo Stato Pontificio al Regno d'Italia, cit., pp. 719-720. 12 Della soppressione della Facoltà di Teologia presso l’Università di Macerata non si trova stranamente alcuna traccia anche all’interno di un verbale del Consiglio superiore sull’insegnamento religioso, datato 20 febbraio 1870. In esso si fa invece menzione dell’abolizione dell’insegnamento teologico nelle Università di Modena e Parma (ex decreto dittatorio 21 ottobre 1859), nell’Università di Napoli (ex decreto 16 febbraio 1861, n. 225, art. 8) ed in quella di Bologna (non vengono riportati gli estremi di alcun decreto). Si veda ACS, MPI, Verbali Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, 19 febbraio 1870, pp. 457-459. Tale documento é stato pubblicato in G. Fioravanti, M. Moretti, I. Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), cit., pp. 198-203. 13 Cfr. «L’Annessione Picena», I (12 novembre 1860), n. 36. 14 In realtà nell’elenco degli atti ufficiali del regio commissario straordinario non é presente il decreto di questa soppressione che però avvenne senza alcun dubbio. Se si considerano, infatti, gli annuari del 18591860, tale facoltà esiste a Macerata mentre nell’anno accademico successivo non se ne hanno più notizie, così come non viene per nulla menzionata nella tabella annessa alle legge Matteucci del 31 luglio 1862, n. 719. Nella relazione Berio al primo disegno di legge Baccelli sull’istruzione superiore, la soppressione é attribuita ad un decreto di Valerio. In Annuario dell’istruzione pubblica 1860-1861, Torino, Tipografia scolastica, 1861, a p. 610, si legge che «a Macerata l’Università teologica é stata soppressa dal Regio Commissario, deferendo l’insegnamento teologico alle cure degli ordinari diocesani». 45 Capitolo secondo. La stagione postunitaria illustrato, infatti, dallo stesso commissario nel resoconto delle sue azioni nei territori marchigiani15, proprio a quei mesi devono essere ricollegati taluni decreti che colpirono in maniera inequivocabile la prerogative della Chiesa. Tra questi si ricordano in particolare l’esclusione dei Gesuiti dalle province delle Marche (decreto n. 7), l’abolizione delle interdizioni a cui andavano incontro ebrei ed acattolici (n. 9), l’abolizione del Santo Uffizio (n. 12), nonché quella del Foro ecclesiastico e del diritto d’asilo (n. 16). A confermare la tesi secondo la quale la Facoltà di Teologia fu abolita proprio in quel frangente, risultano particolarmente utili anche i dati dell’anno accademico 18601861, secondo i quali figuravano come attive a Macerata solo tre facoltà (contrariamente all’anno precedente quando erano invece quattro), ossia quella legale con sette professori ordinari, un supplente e due emeriti, quella medico-chirurgica, costituita da sette docenti, e quella filosofica con appena due professori ordinari ed un emerito. Non é rinvenibile invece alcuna notizia in ordine alla Facoltà teologica, o ad insegnamenti riconducibili a quell’ambito disciplinare, poiché Diritto canonico, insegnato dall’avv. Filippo Borgogelli, rientrava fra le discipline di Giurisprudenza16. Tale scelta di soppressione, comunque, aldilà delle naturali spinte anti-clericali del tempo, deve necessariamente essere collegata anche all’esiguo numero di studenti che in quegli anni sceglievano gli studi teologici. Nonostante gli esigui dati a disposizione relativamente all’Università di Macerata é infatti possibile rilevare che nell’anno accademico 1857-1858, ad esempio, furono infatti appena 7 gli studenti iscritti alla Facoltà di Teologia; due anni più tardi, nel 1859-1860, su 127 iscritti complessivi dell’Ateneo, appena 11 appartenevano alla Facoltà di Teologia, a fronte invece dei 77 di Giurisprudenza, dei 26 di Medicina e Chirurgia e dei 23 di Filosofia17. Anche altrove, tuttavia, la situazione non era affatto rosea. Basti pensare che presso la Facoltà di Teologia dell’Ateneo di Pisa che pure, per le particolari attenzioni prodigate dai Lorena era assurta ad un’importanza nazionale, già nel 1846 avevano sostenuto l’esame per il Dottorato in Teologia e Diritto canonico appena 5 candidati; altrettanti erano stati gli studenti presentatisi agli esami per il passaggio dal terzo al quarto anno di corso, mentre solo uno studente aveva affrontato le prove per il passaggio dal secondo 15 Si veda L. Valerio, Le Marche dal 15 settembre 1860 al 18 gennaio 1861. Relazione al Ministero dell’interno del R. commissario generale straordinario, Milano, Editori del Politecnico, 1861. 16 Si veda ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Registrazioni di lettere e decreti del Ministero della Pubblica Istruzione, b. 693, f. 3. 17 Tali dati statistici sono riportati in Annuario dell’istruzione pubblica 1861-1862, Torino, Tipografia scolastica, 1862, p. 571. 46 Capitolo secondo. La stagione postunitaria al terzo18. Addirittura nel periodo immediatamente post-unitario presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Modena risultavano attivi appena quattro insegnamenti: Sacra scrittura e lingua santa, Teologia dogmatica ed apologetica, Storia ecclesiastica e patrologica, Teologia morale19. In quegli anni, dunque, sembrò ovvio, volendo rinnovare e rivitalizzare i vari atenei, recidere un simile ramo secco dell’albero, alla luce di un lento svuotamento di studenti e professori e dei mancati adeguamenti di stipendio per i docenti stessi. Macerata, come anche altri centri universitari tra i quali Bologna, Napoli, Parma e Modena, anticipò dunque una soppressione che di lì a poco più di dieci anni si sarebbe realizzata su tutto il territorio italiano con la legge del ministro Scialoja del 26 gennaio 1873, n. 125120. All’ abolizione di tali facoltà teologiche dalle università di Stato, non seguì, però, la cancellazione del collegio dei docenti che precedentemente aveva rilasciato i gradi accademici. Il medesimo organo, infatti, con il placet delle autorità governative, fu trasferito all’interno dei seminari diocesani limitrofi alle facoltà soppresse e da quelle sedi ottenne da Roma l’autorizzazione a conferire lauree in Sacra Teologia. Questo trasferimento di competenze spostò dunque all’interno dei seminari una certa riflessione teologica che ne potenziò il loro ruolo in quella variegata realtà ottocentesca di contesti per la formazione del clero. Come già ricordato, comunque, la riapertura dell’Università di Macerata per l’anno accademico 1860-1861 era stata fissata per la data del 20 novembre 186021. 18 Archivio dell’Università di Pisa, Processi verbali di esami, sez. D, I, n. 177, pp. 298-299. Cfr. Annuario dell’istruzione pubblica 1862-1863, Torino, Tipografia scolastica, 1863, p. 130. 20 Legge 26 gennaio 1873 n. 1251, Abolizione delle facoltà teologiche nelle università del, in GU del 13 febbraio 1873, in CC (1874), n. 11, p. 223. Si vedano anche AP, Camera dei Deputati, Sessione 18721873, Documenti., nn. 93, 412, 432-437, 445-450 e 492; AP, Senato del Regno, Sessione 1872-1873, Documenti, nn. 175, 266-267, 288 e 292. Per un’analisi dettagliata sui processi che portarono alla soppressione delle facoltà teologiche in Italia si rimanda a F. Scaduto, L’abolizione delle Facoltà di Teologia in Italia (1873): studio storico-critico, Milano, E. Loescher, 1886; B. Ferrari, La soppressione delle Facoltà di Teologia nelle Università di Stato in Italia, Brescia, Morcelliana, 1968; F. Lazzari, Le facoltà teologiche universitarie tra il Sillabo e l’abolizione, in AA.VV., Un secolo da Porta Pia, Napoli, Guida, 1970, pp. 248-287; M. Marcocchi, Seminari, facoltà teologiche e università, in F. Traniello, G. Campanini (a cura di), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), Casale Monferrato, Marietti, 1981, vol. I, pp. 248-264; L. Pazzaglia, Il dibattito sulla soppressione delle Facoltà teologiche nelle università di Stato (1859-1873), in Il Parlamento italiano (1861-1988), vol. III: Il periodo della Destra: da Lanza a Minghetti (1870-1874), Milano, Nuova CEI, 1989, pp. 193-194. Da segnalare, infine, anche il recente intervento di C. Sagliocco dal titolo L’abolizione delle facoltà teologiche nelle Università dello Stato, presentato al convegno organizzato dal Cisui a Pavia (13-15 giugno 2011) su Le Università e l’Unità d’Italia (1848-1870), i cui atti saranno oggetto di futura pubblicazione. 21 ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. In data 9 novembre i commissari provinciali di Ancona e Fermo ricevettero gli esemplari del bando di apertura dell’Università di Macerata che loro stessi, secondo un’usanza molto simile a quella del periodo pontificio, avevano fatto affiggere nel capoluogo ed in tutti i comuni della Provincia. 19 47 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Prima di arrivare a quel giorno tanto importante per l’Ateneo maceratese, era però necessario cercare di sistemare al meglio tutta la struttura didattica e organizzativa del centro di studi marchigiano. Innanzitutto fu definita l’elezione a rettore di colui che più di ogni altro raccoglieva consensi in seno all’ambiente universitario e politico della città: il marchese Matteo Ricci22. Inoltre, il commissario provinciale procedette anche alle nomine dei docenti che dovevano però considerare gli incarichi provvisori e non tali da garantire alcun diritto per il futuro23. Il 10 novembre fu notificata a tutti i docenti la chiamata per i diversi insegnamenti e quindi la loro appartenenza ad uno specifico collegio. Per la Facoltà giuridica, i confermati furono Tommaso Bianchini (Istituzioni di diritto civile), Filippo Borgogelli (Diritto canonico) e Assuero Tartufari (Diritto civile); i nuovi erano invece Matteo Ricci (Filosofia del diritto), Cesare Bianchini (Diritto e procedura penale), Teofilo Valenti (Diritto civile patrio e procedura civile), Piero Giuliani (Diritto commerciale)24. Non vi furono cambiamenti per la Facoltà medico-chirurgica, dove le cattedre rimanevano sette, le stesse già esistenti sotto il governo pontificio mentre radicale era il mutamento nella Facoltà filosofica, dove, con la cattedra di fisica vacante25, era bandito un regolare concorso che prevedeva uno stipendio annuo per il docente di 200 scudi. L’11 novembre di quell’anno, dunque, stabiliti i singoli professori e gli addetti all’Università26, il rettore Matteo Ricci fissava una serie dettagliata d’indicazioni da seguire per l’iscrizione e la frequenza all’Università di Macerata . 22 Matteo Petrocchini Ricci fu letterato e studioso, nonché grecista ed ottimo divulgatore. Scrisse interessanti biografie di uomini politici e letterati del suo tempo (tra cui quella relativa al suocero Massimo D’Azeglio). Eletto senatore, fu accademico della crusca nonché direttore della biblioteca comunale di Macerata. 23 ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Secondo quanto riportato in una lettera che Tegas indirizzò a Valerio il 7 novembre 1860, i professori sarebbero stati semplicemente aggregati al collegio della facoltà ma era questo l’unico vantaggio che la nomina a cattedra poteva riservargli. 24 Sia Diritto civile patrio e procedura civile che Diritto commerciale erano materie il cui insegnamento era ritenuto indispensabile alla luce dell’entrata in vigore dei nuovi codici Civile e di Procedura a partire dal 1 gennaio 1861. 25 Assuero Tartufari, precedente docente di fisica, era stato designato dal nuovo rettore a ricoprire la cattedra di Diritto civile, chiudendo così un periodo dell’Università maceratese nel quale alcuni docenti insegnavano spesso materie tanto lontane tra loro. In proposito si veda Corsi, Le Università di Macerata e Camerino dallo Stato Pontificio al Regno d'Italia, cit. , p. 722. Nell’anno accademico successivo risulterà docente di fisica Federico Masini. Sull’argomento si veda l’ampia documentazione presente in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Registrazioni di lettere e decreti del Ministero della Pubblica Istruzione, b. 693, f. 3. 26 L’organico degli addetti all’Università era composto dal segretario Giacomo Pergoli Campanelli (poi insegnante supplente di Istituzioni di diritto civile), dal cassiere Vincenzo Tombesi, dai bidelli Niccola e Cesare Lattanzi, dal custode dell’orto botanico Vincenzo Tripletta, dall’assistente ai gabinetti di fisica e chimica Pirro Santini (farmacista). Successivamente si aggiunsero Rinaldo Sinibaldi ed Agostino 48 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Innanzitutto doveva essere presentata al rettore, entro il termine del 10 dicembre, apposita istanza in cui lo studente desideroso di intraprendere o continuare la sua carriera universitaria specificava in modo chiaro a quale facoltà volesse iscriversi. Per tutti coloro che si trovavano ad iniziare il proprio percorso di studi era altresì necessario allegare l’atto di nascita ed un attestato di buona condotta, rilasciato dalle autorità municipali. Tutti i futuri studenti universitari dovevano inoltre aver terminato il corso delle umane lettere e di filosofia elementare, dando saggio di «bastevole profitto nell’una e nell’altra cosa» mediante due esami, uno orale, uno scritto, che si sarebbero tenuti dal 24 novembre al 15 dicembre27. Superate tali prove di ammissione, era poi fondamentale esibire il pagamento delle tasse (16 scudi) entro la data del 10 dicembre28, pena l’impossibilità di conseguire la matricola senza aver dimostrato un reale e grave impedimento a rispettare tale termine; da tale onere erano esentati coloro che avessero dimostrato la propria impossibilità a pagare e coloro che si fossero distinti per ingegno, diligenza e buona condotta. Proprio Ricci fissava per la data dell’1 dicembre, alle ore 11, la solenne cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico mentre i giorni dal 20 al 30 novembre sarebbero serviti esclusivamente per gli esami di ammissione, senza che venissero tenute lezioni o sedute per il conferimento di titoli accademici. Il 3 dicembre avrebbero invece avuto inizio le lezioni con l’attività didattica che si sarebbe protratta dal lunedì al sabato, anche se solitamente ogni docente teneva lezione tre giorni a settimana con una durata media di circa novanta minuti. L’inizio era previsto per le 8 di mattina per terminare intorno alle 15. Non tutti i docenti, però, si attenevano alla regola di circa tre incontri settimanali. Mentre, infatti, per la Facoltà legale era evidente il rispetto di tale consuetudine, non altrettanto si può dire per quella medico-chirurgica, dove professori come Socrate Bianchini o Francesco Palmieri avevano previsto fino a cinque lezioni settimanali. Per quanto concerneva l’ordine dei corsi, la laurea dottorale in Giurisprudenza, che a Macerata era la più ambita, si conseguiva in quattro anni, nei quali bisognava Benedettelli nel ruolo, rispettivamente, di ragioniere e di ingegnere. Si veda ASMc, Università, StatutiLeggi-Regolamenti, Registrazione di lettere e decreti del Ministero della Pubblica Istruzione, b. 693, f. 3. 27 Il programma indicato dal rettore sul quale sostenere gli esami di ammissione era quello del 15 ottobre del 1850, anno in cui l’Università di Macerata era ancora sotto il controllo pontificio. 28 Qui nessuna fonte in nostro possesso chiarisce come mai il termine del 10 dicembre, peraltro valido per tutte le università del regno, non sia stato prorogato per l’Università di Macerata, alla luce del fatto che le prove di ammissione terminassero il 15 dicembre. 49 Capitolo secondo. La stagione postunitaria sostenere un totale di quindici esami, comprese biennalità e triennalità: tre erano gli esami del primo anno (Filosofia del diritto, Istituzioni di diritto civile29 e Diritto canonico), quattro quelli del secondo (Filosofia del diritto, Pandette o diritto romano, Codice civile patrio, Diritto e procedura penale), sempre quattro quelli del terzo (Pandette o diritto romano, Codice civile patrio e procedura civile, Diritto commerciale, Diritto e procedura penale) come così quelli dell’ultimo (Pandette o diritto romano, Codice civile patrio e procedura civile, Diritto commerciale, Medicina politica e legale). Per gli altri corsi erano invece tre gli anni previsti per la licenza e la libera pratica notarile, per la licenza e la libera pratica farmaceutica, per la laurea in Chirurgia e per quella in Filosofia; quattro quelli necessari a chi volesse laurearsi in Medicina o volesse conseguire la libera pratica del geometra e misuratore di fabbriche. L’Ateneo maceratese era stato dunque riorganizzato dal commissario Valerio il quale, dopo aver soppresso la Facoltà di Teologia a Macerata, aveva anche ridotto ad uno il duplice insegnamento del Diritto canonico, costituito due nuove cattedre di Filosofia del diritto e di Diritto commerciale, sdoppiato la cattedra di Testo civile in Diritto romano e Codice civile patrio, dato alla cattedra di Istituzioni di diritto civile il nome di Introduzione allo studio delle scienze giuridiche, secondo quanto disposto dalla Casati, nonché sostituito l’insegnamento di Istituzioni di diritto criminale con quello di Diritto e procedura penale. Proprio per questo motivo lo stesso Valerio, riferendo al Governo circa il proprio operato relativamente alla pubblica istruzione, sottolineò la fattiva attività svolta nella riapertura delle tre università marchigiane e soprattutto la loro ridefinita strutturazione interna: Ho procurato di aiutare l’istruzione pubblica – affermava Valerio – e colle istituzioni e cogli eccitamenti e coi sussidi. Le tre Università di Camerino, Macerata ed Urbino furono riformate per quanto concesse la brevità del tempo e senza inceppare l’azione futura del Governo del Re. Esse hanno potuto essere riaperte senza indugio, a dar frutto di insegnamenti che sono conformi ai bisogno attuali della società e che sono sostituiti a cattedre di dubbia utilità. Taluno avrebbe desiderato che io sopprimessi quelle piccole università almeno in parte. Invece preferii di crescerne la vitalità, poiché pensava e penso che tali centri di cultura, massimi ed antichi, rispondano all’indole speciale delle varie province d’Italia ed all’energia individua delle sue città30 . 29 Tale insegnamento mutò presto il suo nome in Introduzione allo studio delle scienze giuridiche. Cfr. Valerio, Le Marche dal 15 settembre 1860 al 18 gennaio 1861. Relazione al Ministero dell’interno del R. commissario generale straordinario, cit., p. 160. Sia l’Università di Urbino che quella di Camerino, entrambe classificate tra le secondarie dalla Quod divina sapientia, sebbene Urbino solo a partire dal 1826, divennero poi, con l’Unità, università libere (insieme a quelle di Ferrara e Perugia). Più 30 50 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Tante innovazioni e modifiche non potevano non aiutare un ateneo comunque in evidente difficoltà dopo il lungo controllo pontificio. I segni di ripresa furono immediati. Dai dati statistici del tempo, infatti, risulta che proprio in quell’anno accademico la Facoltà di Giurisprudenza registrò uno dei dati più alti dell’intero ventennio (54 iscritti su 102 complessivi con 31 studenti che si dedicarono all’ambito filosofico e 17 a quello chirurgico-farmaceutico)31. Tuttavia nello stesso anno accademico 1860-1861, partito sotto i migliori auspici, non furono poche le turbolenze interne all’Ateneo. Con R.D. 31 marzo 1861, il Re si trovò costretto ad accettare le dimissioni da rettore e da docente di Matteo Ricci, il quale, come impiegato governativo, non poteva essere anche deputato per il distretto di Tolentino32. Così, in un primo momento, con nomina del 27 giugno 1861, sembrò toccare a Luigi Guastoni ricoprire il doppio incarico d’insegnante ma poi, a partire dal nuovo anno accademico, entrambi gli insegnamenti furono affidati a Luigi Pianesi. Per il ruolo di rettore, invece, la scelta cadde su Filippo Borgogelli, professore di diritto canonico: restò in carica da aprile ad ottobre. Inoltre le cattedre di Chirurgia ed ostetricia, di Diritto civile e di Fisica, tutte vacanti di professori titolari, durante il corso dell’anno furono affidate a supplenti che si ritrovavano ad essere pagati solo in base ai mesi di lezione. Tale consuetudine era in realtà assai diffusa già nel periodo pontificio33 ma da molti era considerata come pratica sgradita, perché atta a screditare l’istruzione stessa. L’anno accademico 1861-1862, pertanto, dopo i toni entusiasti del novembre del 1860, si aprì invece con non pochi problemi per il nuovo rettore Luigi Pianesi34, il cui precisamente l’Ateneo urbinate fu dichiarato tale con R.D. 23 ottobre 1862, n. 912, che si rifaceva alla notificazione del Governo pontificio del 4 agosto 1832, che aveva dichiarato l’Università «stabilimento provinciale». L’Università di Camerino, invece, fu proclamata libera con R.D. 24 gennaio 1861, n. 4605. Si veda a tal proposito Di Domizio, L’Università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 171-172. 31 Per i dati completi si vedano BUMPI, 1859-1862 - maggio 1876; AP, Senato, IX Legislatura, Documenti, tornata del 28 dicembre 1866. 32 A suffragare la tesi che l’Università di Macerata fosse ritenuta governativa dal Parlamento, va ricordato che fu proprio la Camera dei deputati, in data 6 marzo 1861, ad annullare l’elezione del deputato Ricci, incompatibile per quella carica a causa del ruolo ricoperto in un ateneo controllato dal Governo. 33 Sulla base di una richiesta di pagamento del professor Tartufari, relativa agli arretrati non corrisposti dall’Ateneo per i mesi luglio-ottobre 1859 per la supplenza di Diritto civile, possiamo dedurre che i supplenti, a seguito della delibera del 14 dicembre 1859 del governo pontificio, avessero diritto ad un stipendio mensile di 12 scudi, a patto però che avessero superato in un mese il numero di venti lezioni. Informazioni in tal senso sono reperibili in ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93 e soprattutto ASDMc, Università pontificia, Anni 1819-1859, b. 39. 34 Luigi Pianesi fu studioso di legge e insegnante di retorica. Combattè come volontario a Cornuta nel 1848 e fu anche eletto rappresentante dell’Assemblea costituente della Repubblica romana. Insegnò a Macerata Filosofia del diritto e Diritto amministrativo. 51 Capitolo secondo. La stagione postunitaria incarico fu tra i più lunghi della storia dell’Università maceratese: dall’1 novembre del 1861 a tutto il mese di ottobre del 1876. I professori della Facoltà giuridica erano in totale otto, così come quelli della Facoltà medico chirurgica mentre i docenti che si occupavano della Facoltà filosofica erano appena sei. Il centro universitario maceratese prevedeva però anche un bibliotecario ed un sottobibliotecario, un tesoriere, un computista, un ingegnere, un farmacista, tre bidelli ed un custode dell’orto botanico. Proprio in quell’anno furono istituite altre cinque cattedre nella Facoltà di Legge: Istituzioni di diritto romano, Diritto amministrativo, Economia politica, Diritto costituzionale e Procedura civile mentre l’anno successivo fu aggiunto l’insegnamento di Storia del diritto, in modo da completare le quattordici cattedre prescritte dalla legge Casati per la Facoltà giuridica. Gli iscritti di quell’anno accademico furono complessivamente 59 con il picco massimo (34) raggiunto dalla Facoltà di Giurisprudenza che ebbe però un calo di oltre il 30% rispetto all’anno precedente, mentre i laureati, sempre tutti di Giurisprudenza, furono complessivamente 13 (nel 1860-1861 erano stati 10). Decisamente basso, comunque, nel complesso il numero d’iscritti nelle altre facoltà, con quella medico chirurgica che raggiunse a malapena quota 7 mentre furono appena 2 coloro che frequentarono i corsi di Farmacia, 3 quelli che si dedicarono al corso per Notaio e Procuratore, 13 i futuri periti agrimensori e misuratori di fabbriche35. Tali elementi mostrano come, nonostante il rinnovamento promosso da Valerio, l’Università di Macerata si ritrovasse nuovamente a dover fare i conti con problematiche che non potevano essere sottovalutate. L’unica vera facoltà che attirava l’attenzione dei giovani e degli uditori era quella di Giurisprudenza mentre le altre sembravano tutte in una condizione di estrema precarietà. Inoltre, il numero dei professori in rapporto agli studenti pareva ad alcuni decisamente alto e sproporzionato, in relazione alla collocazione dell’Ateneo non in una grande città ma in un piccolo centro. Chi muoveva tali critiche, però, non teneva conto della situazione geografica universitaria del tempo. L’Università di Macerata, infatti, escluse le Università “libere”, rappresentava l’unica vera alternativa del centro Italia ad una decisa migrazione di studenti meridionali verso gli atenei di Roma o Napoli. Ma non è tutto. Scorrendo infatti la cartina territoriale italiana, questa volta verso nord, è evidente come i giovani che avessero voluto intraprendere la via dell’istruzione superiore, avrebbero potuto farlo 35 Per i dati completi si veda Annuario dell’istruzione pubblica 1862-1863, cit., p. 376. 52 Capitolo secondo. La stagione postunitaria solamente a Bologna, Siena o Firenze, senza alcun ateneo di medie proporzioni collocato nelle regioni di quella che oggi siamo soliti definire la fascia appenninica del centro Italia. Le difficoltà dell’Ateneo maceratese, dunque, dovevano e potevano, con un pizzico di buon senso, essere risolte cercando di venire incontro alle esigenze di un centro di studi che comunque vantava all’epoca quasi seicento anni di storia. Ed invece, il Ministero della pubblica istruzione scelse la via peggiore, quella che avrebbe abbandonato l’Ateneo al proprio destino. Almeno per il primo ventennio post-unitario. Il 5 giugno 186136, infatti, il senatore Carlo Matteucci, fisico di fama europea, collocandosi in parte sulla strada intrapresa da Mamiani, aveva presentato al Senato un Progetto di legge per il riordinamento dell’istruzione superiore37 che mirava alla riduzione del numero delle università38. Egli in pratica propendeva per un marcato accentramento che raccogliesse i docenti migliori, i laboratori più innovativi e moderni e le biblioteche più fornite in pochi e completi centri d’istruzione. Inoltre Matteucci prevedeva sei facoltà (Teologia, Giurisprudenza, Medicina, Filosofia e filologia, Scienze matematiche, Scienze fisiche e naturali) per le università maggiori e propendeva per l’unificazione dei piani studio indicando per ogni facoltà gli insegnamenti normali e quelli speciali. Le università minori, che egli classificò come «imperfette», non sarebbero state soppresse ma ridotte alla sola facoltà scientifica o letteraria, in modo da salvare, almeno formalmente, istituzioni comunque antiche e non dare così alle autorità cittadine il pretesto per insorgere contro il Governo centrale. Di sicuro il Progetto del 1861 rappresentò un radicale cambiamento di rotta nel pensiero di Matteucci il quale passava da una concezione manifestatamente decentratrice, espressa nel 1860 sulla «Rivista contemporanea» in due articoli 36 Il 5 giugno il progetto fu presentato al Senato ma la discussione ci fu il 14 giugno. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1861, Documenti., n. 2, pp. 150-160 e AP, Senato del Regno, Sessione 1861, Discussioni, n. 1, pp. 343-344 e 382 e ss. Il progetto di legge é anche in C. Matteucci. (a cura di), Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C. Matteucci, Torino, Stamperia dell’Unione tipografica, 1863, pp. 71-85. 38 Sull’attività di Carlo Matteucci sia come senatore che come ministro della Pubblica Istruzione, con particolare riferimento all’istruzione superiore, si vedano I. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università in id. (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, cit., pp. 133-184; Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’Università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 110-146; Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., pp. 240-263; Porciani, Moretti, La creazione del sistema universitario nella nuova Italia, cit.; M. Moretti, Piccole, povere e “libere”: le università municipali nell’Italia liberale, in Brizzi, J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), cit., pp. 533-562. 37 53 Capitolo secondo. La stagione postunitaria polemici39, ad una invece spiccatamente accentratrice40. Accanto a questa osservazione, opportunamente sottolineata da Simonetta Polenghi41, ci sembra però opportuno, per il nostro discorso, porsi però anche alcuni quesiti. Una simile decisione non avrebbe comunque portato ad una morte lenta per esaurimento degli atenei minori? Perdere mezzi, strumenti e docenti migliori non avrebbe forse costretto tali centri di studio ad una probabile chiusura per mancanza di studenti? Coloro che sostennero le tesi del Matteucci insistettero molto sulle finalità che il senatore cercava di perseguire con il suo progetto. Egli intendeva infatti restituire il prestigio perduto alle istituzioni universitarie, attraverso la riduzione del loro numero, giudicato eccessivo e soprattutto creando alcune sedi di eccellenza; inoltre voleva necessariamente ridimensionare la gestione del potere accademico da parte della corporazione dei professori, responsabili secondo molti esponenti della Destra, di aver creato una vera e propria casta, che custodiva gelosamente i meccanismi di cooptazione e le proprie prerogative di ceto. Il progetto di Matteucci, comunque, fu esaminato da un’ autorevole commissione del Senato, presieduta da Luigi Cibrario42, la quale però scelse di elaborare un nuovo disegno che fu presentato in aula l’1 febbraio 186243. In esso, sebbene si rimarcasse nuovamente la distinzione tra università di primo e di secondo ordine (Macerata era tra queste ultime) sulla base del numero di facoltà da cui esse erano composte, si rigettava altresì in modo categorico l’idea di soppressione degli atenei o di mera sostituzione degli stessi con altri istituti o di riduzione ad una sola facoltà come previsto da Matteucci. Le università minori, invece, avrebbero conservato il diritto di conferire titoli (possibilità attribuita dal precedente progetto solo a pochi 39 Tali articoli, pubblicati nei mesi di luglio e agosto su «Rivista contemporanea», furono poi stampati nell’opuscolo C. Matteucci, Saggi sull’organizzazione del Regno d’Italia e due lettere sulla questione romana, Torino, UTET, 1860. In questi scritti Matteucci polemizzava contro il centralismo amministrativo, foriero di conseguenze spesso funeste, quali ad esempio l’aumento della burocrazia e della spese pubblica. 40 Secondo Alberto Caracciolo esistettero probabilmente tre ragioni che spinsero Matteucci a rinnegare le posizioni iniziali per avvicinarsi a questa sua nuova visione orientata verso un sistema accentrato. Innanzitutto, aspirando a diventare ministro, egli era costretto ad adeguarsi alla linea politica prevalente alla luce anche delle opposizioni incontrate dai progetti Farini-Minghetti; poi, da buon fisico, era sensibile alla penuria di laboratori ed attrezzature scientifiche nelle università, soprattutto minori. Infine, da sempre, secondo Caracciolo, Matteucci aveva mostrato un carattere poco incline alla fermezza d’opinione. Si veda soprattutto A. Caracciolo, Autonomia o centralizzazione degli studi superiori nell’età della destra, «Rassegna storica del Risorgimento», IV (1958), p. 581. 41 Cfr. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., pp. 242243. 42 I membri della commissione, oltre a Cibrario, erano: Cesare Alfieri, Carlo Cadorna, Pietro Gioia, Michel Amari, Federico Sclopis, Filippo Linati, Antonio Montanari, Celso Marzucchi, Giuseppe Moris, Giuseppe Vacca, Angelo Sismondi, Angelo Scacchi e Matteucci stesso. 43 Il progetto di legge della commissione é in AP, Senato del Regno, Sessione 1862, Documenti., pp. 563566. La relazione in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Documenti, n. 2, pp. 666-675. 54 Capitolo secondo. La stagione postunitaria atenei), ma sarebbe stata mantenuta una disparità di trattamento economico tra i docenti delle università complete e quelli degli atenei minori, a chiaro vantaggio dei primi. Inoltre, rispetto a quanto previsto nel Progetto avanzato da Matteucci, le facoltà sarebbero state riportate a cinque (proponendo che in alcune delle università primarie fosse aggregata la Facoltà di Teologia44), mentre era accolta l’introduzione dell’obbligo di iscrizione, voluto da Matteucci e secondo il quale erano necessari almeno quattro anni di iscrizione per ogni facoltà prima degli esami di laurea, norma peraltro già in vigore a Napoli. La Commissione Cibrario, inoltre, riteneva che alle medesime condizioni poteva essere concesso non solo il mantenimento ma anche l’istituzione di nuove università, che sarebbero state chiamate «libere», lasciando tale iniziativa a municipi, province e private associazioni, fermo restando il ruolo dello Stato nel prescrivere norme comuni per gli esami. Anche tale disegno di legge restò comunque un mero progetto. Il 31 marzo 1862, intanto, Carlo Matteucci fu nominato ministro della Pubblica Istruzione da Urbano Rattazzi e ricoprì tale incarico fino all’8 dicembre dello stesso anno. L’attività ministeriale del fisico fu breve ma intensa e orientata soprattutto sugli studi superiori. Egli, all’inizio dell’estate di quell’anno, presentò infatti alla Camera un progetto di legge relativo alle tasse universitarie ed agli stipendi dei docenti, progetto che fu discusso alla Camera, in maniera molto animata, dal 12 al 17 luglio45. In quel periodo furono in molti coloro che si preoccuparono della sorte delle università minori46 ma il ministro Matteucci non ebbe alcuna considerazione di tali rimostranze. Anzi, difendendo in Parlamento il suo progetto di legge, affermò che lo Stato avrebbe dovuto assistere economicamente solo tre o quattro atenei, abbandonando invece gli altri alle loro sorti: «vivranno se potranno vivere, se non potranno vivere, scompariranno»47. Conclusosi il dibattito dopo cinque giorni di discussione, il 18 luglio la Camera approvò 44 La Commissione Cibrario si espresse a favore della conservazione della facoltà teologica soprattutto per ossequio nei confronti della Chiesa. 45 Per un esame attento ed analitico di tale dibattito si rimanda a Ferrari, I problemi dell’Università italiana ai primordi dell’Unità, cit. 46 Ci si riferisce in modo particolare a quanto riportato nella relazione al primo bilancio italiano della pubblica istruzione, presentato alla Camera l’11 giugno 1862. La relazione, stesa da una commissione di cinque giuristi presieduta dal cattolico liberale Leopoldo Galeotti, tra le altre cose, prendeva posizione a favore della salvaguardia delle università minori. Si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Documenti, n. 3, Relazione Galeotti, tornata dell’11 giugno 1862, pp. 1513-1540. 47 AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Discussioni, n. 7, tornata del 12 luglio 1862, p. 3196. Secondo il ministro la morte lenta degli atenei più piccoli per esaurimento era politicamente preferibile alla soppressione diretta. 55 Capitolo secondo. La stagione postunitaria il progetto con 54 voti favorevoli e 67 contrari48. Il 24 luglio vi fu presentazione della breve relazione di Cibrario, questa volta favorevole al progetto che venne dunque discusso il 29 luglio49. Finalmente il disegno fu approvato il giorno successivo in Senato con 71 voti favorevoli e 13 contrari50, divenendo così legge con R.D. 31 luglio 1862, n. 71951. Con il suddetto atto legislativo si diversificarono gli emolumenti dei docenti universitari, migliori per i professori degli atenei più importanti in modo da, almeno in teoria, convogliare nelle sedi più prestigiose gli insegnanti più validi52; inoltre si stabilì l’unificazione, su tutto il territorio nazionale, dell’entità delle tasse universitarie, equiparate a quelle versate dagli studenti dell’Università di Napoli (erano le più basse dell’intera Penisola). Si trattò di una legge importante poiché essa fu sia la prima ad essere discussa dal Parlamento del Regno d’Italia ed estesa a tutto il territorio nazionale, sia perché sostanzialmente Matteucci finì per creare, com’era nel suo intento già l’anno precedente, una suddivisione degli atenei italiani in due categorie, quelli di primo e quelli di secondo grado, distinti in maniera chiara ma secondo una ratio di fondo che richiamava quella già adottata dal governo pontificio nel 182453. Inoltre, secondo taluni, equiparare le tasse significava anche colpire alla radice quel fenomeno dell’emorragia degli studenti dagli atenei più validi e teoricamente rigorosi (ma anche più cari) verso quelli che chiedevano tasse minori. Matteucci, però, non intendeva fermarsi alla sola legge n. 719 ma auspicava di portare a compimento la propria opera di riforma in maniera più ampia. Già nel mese di 48 Sull’approvazione alla Camera del progetto di legge presentato da Matteucci risulta molto interessante la Lettera di Luigi Cremona a Francesco Brioschi sulla politica universitaria del ministro Matteucci, datata 24 luglio 1862. Essa, conservata in ACS, MPI, Personale (1860-1881), f. Cremona Luigi, ms. con firma autografa, é stata pubblicata in Fioravanti,Moretti, Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), cit., pp. 101-103. 49 La relazione Cibrario in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1862, Documenti, n. 3, p. 1687. Della commissione facevano parte anche Cesare Alfieri, Antonio Montanari, Pietro Gioia e Giuseppe Ferrigni. La discussione in AP, Senato del Regno, Sessione 1862, Discussioni, n. 2, tornata del 29 luglio 1862, pp. 1905-1921. 50 Interessante in tal senso é la Relazione al Senato sul progetto di legge sulle Tasse Universitarie, approvato alla Camera elettiva nella tornata del 18 luglio 1862, in Matteucci, Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C. Matteucci, cit. , pp. 115-121. 51 R.D. 31 luglio 1862, n. 719, Riduzione delle tasse scolastiche e determinazione degli stipendi dei professori delle università governative in CC, XLI, 136, pp. 2161-2163 (con annessa tabella delle tasse). Pubblicato anche in GU, 2 agosto 1862. 52 Secondo la legge Matteucci gli atenei completi e più frequentati (Bologna, Napoli, Palermo, Pavia, Torino e Pisa) avrebbero avuto professori meglio pagati, determinando così per le università minori (e tra queste Macerata) un’evidente condizione di svantaggio. 53 Per la divisione pontificia tra atenei maggiori e minori si rimanda a Gemelli, Vismara, La riforma degli studi universitari negli stati pontifici (1816-1824), cit.; Di Domizio, L’università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 153-176; Sani, Storia della scuola in Italia, dal Medioevo all'Unità (X. Emilia Romagna e Stato Pontificio), cit.; L. Pomante, L’Università di Macerata nella prima metà dell’Ottocento, «History of education & children’s literature», IV (2009), 2, pp. 73-105. 56 Capitolo secondo. La stagione postunitaria luglio, ancor prima che si arrivasse alla legge n. 719, egli aveva inviato alle università italiane un questionario nel quale esprimere il proprio parere sui mezzi da adottare per migliorare il livello degli studi e la disciplina studentesca. Sulla base delle indicazioni ricevute54 ed avvalendosi della collaborazione del segretario generale Brioschi e di un’apposita commissione, Matteucci elaborò così un regolamento generale e vari regolamenti speciali per le quattro facoltà (nulla era cambiato per la teologica) che, ottenuta l’approvazione del Consiglio superiore55, furono ufficialmente promulgati con R.D. 14 settembre 1862, n. 84256. Tali regolamenti ribadirono con maggior vigore quanto in pratica era già stato sostanzialmente deciso dalla legge del 31 luglio 1862. Le università italiane dovevano essere divise in due categorie: quelle di primo grado (Torino, Pavia, Bologna, Pisa, Napoli e Palermo) e quelle di secondo grado (Cagliari, Catania, Genova, Messina, Modena, Sassari, Siena e Macerata). Solo alle prime sei era riconosciuto il diritto di svolgere l’esame finale di laurea agli studenti e quindi di rilasciare titoli di laurea aventi valore legale. Il regolamento generale stabiliva altresì che i programmi per gli esami ed i temi di dissertazione di laurea fossero uguali per tutti gli atenei, che le dissertazioni di laurea avvenissero davanti a sei commissioni insediate nelle università di primo grado e presso le quali dovevano presentarsi tutti gli studenti italiani; inoltre lo studente non aveva più alcuna facoltà di scelta relativamente al proprio piano di studi poiché i regolamenti speciali avrebbero fissato annualmente un preciso piano da seguire. Si prevedeva, infine, una pluralità di gradi accademici, sulla base dell’esempio inglese. Oltre al diploma di laurea dottorale, venivano inseriti quello di baccelliere e quello di licenza57, che potevano essere conseguiti rispettivamente tra il primo ed il secondo anno di corso e al termine del terzo anno di corso, avendo ovviamente sempre sostenuto tutti gli esami previsti. Alla luce delle nuove disposizioni i piccoli atenei erano colpiti duramente e sarebbero stati costretti, probabilmente, anno dopo anno, ad un progressivo 54 Sulle risposte fornire a tale questionario si veda quanto riportato in Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., p. 256. Interessante é anche la ricostruzione storico-critica degli avvenimenti presente in Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, cit., pp. 159-164. 55 ACS, MPI, Verbali del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, 13 settembre 1862, pp. 929-940. 56 R.D. 14 settembre 1862, n. 842, Regolamento generale universitario e di quelli delle facoltà di giurisprudenza, di medicina e chirurgia, di scienze fisiche, matematiche e naturali e di filosofia e lettere, in CC, XLI, 166, pp. 2641-2664. Sia il regolamento generale che quelli speciali furono pubblicati anche in GU, 1 ottobre 1862. 57 Nel sistema universitario inglese i gradi accademici esistenti erano quelli di bachelor, master e doctor. 57 Capitolo secondo. La stagione postunitaria esaurimento, soprattutto per la loro scarsa capacità attrattiva nei confronti degli studenti che avrebbero preferito le sedi maggiori58. Non mancarono ovviamente polemiche e proteste nei centri universitari minori, nonché sui banchi del Parlamento59, quale reazione a quanto prima proposto, e poi concretamente disposto, da Matteucci: La proposta di Matteucci di radicale riduzione del numero degli atenei – secondo quanto sostenuto dalla studiosa Ilaria Porciani – ebbe l’effetto di un detonatore e portò alla luce sacche di resistenza rappresentate dagli interessi municipali, e la loro capacità di esercitare una notevole forza di inerzia sull’intero meccanismo accademico. Portò in primo piano quelle frizioni tra clientele locali e centro che sarebbero poi di volta in volta riemerse in occasione dei successivi, numerosi progetti di riforma presentati dai successivi ministri e che non riuscirono mai a decollare60. Inevitabilmente la legge n. 719 ed i successivi regolamenti avevano finito per alterare gli equilibri tra le varie sedi universitarie e per incidere pertanto anche sul terreno più ampio della politica e delle amministrazioni regionali. Nel 1863 lo stesso organo ufficioso del Ministero, la «Rivista italiana di scienze, lettere ed arti colle Effemeridi della Pubblica istruzione», ospitò pertanto il testo integrale della relazione fatta da Michele Amari, successore di Matteucci e decisamente agli antipodi rispetto alla posizione assunta dal suo predecessore, che raccoglieva la protesta locale e se ne faceva a sua volta interprete: Il Consiglio provinciale di Messina con una petizione al Governo ed al Parlamento espose come il nuovo regolamento avesse trasceso il suo scopo, invaso il dominio della legge ed offeso i più vitali interesse della provincia. Soggiunse che esigendosi studi troppi estesi ed esami particolari di ammissione, un gran numero di giovani si erano allontanati dalle scuole e che un cambiamento così improvviso e radicale avrebbe colpito a morte l’Università […]. Il corpo accademico di Catania considerò ingiuriosa e notevole la classificazione delle università in due ordini, contrario alla legge lo spogliare le università del diritto di dare gli esami di laurea, di farne compilare i programmi dalle sole sei università primarie. La Deputazione provinciale di Cagliari in una petizione diretta alla Camera dei deputati espose che il 58 A breve distanza dall’entrata in vigore della legge Matteucci e dei successivi regolamenti furono infatti subito evidenti le ripercussioni sugli atenei minori relativamente al numero degli studenti iscritti. Estremamente significativo a tal proposito fu il dato relativo all’Università di Catania dove dai 609 iscritti dell’anno accademico 1859-60 ed dai 441 dell’anno 1861-62 si passò dopo la riforma di Matteucci ai 152 iscritti dell’anno accademico 1866-1867. Si veda BUMPI, 1859-1862 e maggio 1876; AP, Senato del Regno, Sessione 1866, Documenti, n. 8, tornata del 28 dicembre 1866 ed anche A. Gabelli, Statistica dell’istruzione pubblica in Italia, Roma, Tipografia Eredi Botta, 1873. 59 Per l’ampio dibattito sviluppatosi in quel periodo si vedano in particolare Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, cit., pp. 164-184 e Polenghi La politica universitaria italiana nell’età della Destra Storica (1848-1876), cit., p. 258-264. 60 Cfr. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, cit., p. 136. 58 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Regolamento del 14 settembre 1862, esautorando l’Università cagliaritana, aveva gettato il malcontento e lo sconforto nell’isola intiera. E che arrogandosi la facoltà di revocare leggi anteriori, riservata al solo potere legislativo, aveva troncato una storia gloriosa e ferite le affezioni più legittime e care. Affermava che l’Università priva del diritto di conferire la laurea, avrebbe perduto la sua autonomia con il conseguente spostamento degli studenti sul Continente61. E così, proprio a seguito di una costante pressione delle università di Bologna, Napoli, Pisa, Catania, Cagliari, Genova e Messina, ma più in generale di tutte quelle forze politiche che erano espressione di «piccoli interessi locali», Amari riconobbe che il regolamento di Matteucci derogasse alla Casati ed agli statuti universitari62 mentre fuori e dentro il Parlamento si parlò a lungo anche di illegalità ed illegittimità dei provvedimenti assunti63. Così, il 22 marzo 1863, con R.D. n. 118064, il ministro sospese gli articoli relativi all’esame di laurea. Del regolamento Matteucci furono aspramente attaccati anche il rigore eccessivo e la fiscalità esasperata con i quali veniva programmato ogni aspetto dell’attività didattica universitaria. Il fisico romagnolo aveva infatti fissato la durata dell’anno accademico, i giorni di vacanza, le date delle sessioni d’esame, determinando persino la durata e le modalità di conduzione degli esami stessi. Gli studenti erano altresì obbligati ad assistere con una certa costanza alle lezioni, pena massima l’esclusione dagli esami. La libertà degli studenti, dunque, veniva sensibilmente limitata, se non addirittura del tutto eliminata65. Successivamente fu oggetto di dure critiche anche un'altra parte dei regolamenti di Matteucci, quella relativa alla prevista introduzione di un doppio percorso di studi all’interno della Facoltà di Giurisprudenza, doppio percorso che avrebbe portato ad una laurea in Giurisprudenza strictu sensu e ad una laurea in Scienze politico-amministrative. Alla base di tale scelta andava sicuramente posto il graduale aumento delle discipline, con la conseguente necessità di non appesantire eccessivamente i curricula. Lo stesso Matteucci, nella relazione al Re che accompagnava il regolamento, aveva precisato che 61 Cfr. «Rivista italiana di Scienze, lettere ed arti colle Effemeridi della Pubblica istruzione», III (1863), p. 223. 62 AP, Camera dei Deputati, Sessione 1863, Discussioni, n. 9, tornata del 9 marzo 1863, p. 5642. 63 AP, Camera dei Deputati, Sessione 1863, Discussioni, n. 9, tornata del 7 marzo 1863, p. 5632, intervento dell’on. Toscanelli durante la discussione del bilancio per l’istruzione pubblica del 1863. 64 R.D. 22 marzo 1863, n. 1180, Sono soppressi alcuni articoli del regolamento generale per le università in CC, XLII, n. 38, pp. 1181-1182. Tale decreto é preceduto da Relazione fatta a S.M. dal ministro della Pubblica Istruzione, ivi, pp. 1178-1181. Il R.D. fu pubblicato in GU, 31 marzo 1863. 65 Si veda a tal proposito R. Bonghi, L’Università italiana: studii, Firenze, Tipografia Cavour, 1866, pp. 40-41. 59 Capitolo secondo. La stagione postunitaria il naturale progresso dell’umanità, gli studi più profondi della storia e la varietà degli ordinamenti politici, hanno necessariamente creato scienze nuove, o piuttosto ci hanno costretto a dividere in due o tre quegli insegnamenti prima raccolti in uno solo66. In realtà, l’esperimento durò per breve tempo e fu accolto con favore solo nella capitale, dove c’erano i centri amministrativi dello Stato. Nel 1864 il Consiglio superiore si espresse infatti a favore dell’abolizione del doppio percorso, chiedendo invece un’unica laurea in Giurisprudenza e di durata quinquennale. Il ministro Giuseppe Natoli accolse con favore tale suggerimento e con R.D. dell’8 ottobre 1865, n. 252567, eliminò la laurea in Scienze politico-amministrative68. Le decisioni prese da Matteucci, comunque, sebbene in parte limitate e corrose dai provvedimenti dei suoi successori, erano destinate a lasciare il segno, proprio com’era nelle intenzioni del ministro. In una lettera all’amico Gino Capponi, datata 28 dicembre 1862, era stato infatti lo stesso Matteucci ad auspicare che i suoi provvedimenti migliorassero l’instabile e precario quadro normativo ed organizzativo dell’istruzione superiore in Italia: Due scuole superiori, quattro università libere a carico di province e municipi, quattordici università governative, molte delle quali distribuite come al medio evo, esami più deboli che in tutte le altre università d’Europa e più che mai scarsa la produzione di opere di erudizione e di memorie originali. Ecco l’ordinamento e i frutti della nostra istruzione superiore, che costa alla finanza più di cinque milioni, circa 333 franchi per ogni studente […] mentre la Francia ne spende appena 180 per studente. Spendere molto, istruire debolmente, produrre poco nelle lettere e nelle scienze, sono secondo me condizioni intollerabili per un popolo che vuole risorgere alla libertà e ripigliare grandezza e gloria nel mondo […]. L’essenziale dunque é di fissare bene e sin da principio quali sono gli Istituti scolastici che bisogna creare o promuovere, quali quelli che si devono abbandonare […]. Noi abbiamo troppe università e quindi necessariamente le abbiamo imperfette […]. Vi é dunque un programma chiaro da seguire nella riforma delle università italiane e che, senza fare miracoli, meno possibili in questa materia che in ogni altra, condurrebbe sicuramente a diminuirne il numero, a conservarne alcune migliorate e ad avere invece delle università soppresse o trasformate, quelle pochissime scuole di applicazione e di perfezionamento che le 66 Cfr. C. Matteucci, Raccolta di scritti varii intorno all’istruzione pubblica, Prato, Tipografia F. Alberghetti, 1867, p. 149. 67 R.D. 8 ottobre 1865, n. 2525, Regolamento per la facoltà di Giurisprudenza in CC, XLIV, n. 61, pp. 1931-1936. Pubblicato in GU, 22 ottobre 1865. 68 Per comprendere meglio i motivi del fallimento dell’innovazione introdotta da Matteucci risulta particolarmente utile la lettura di due documenti d’archivio del 1864 pubblicati in Fioravanti, Moretti, Porciani (a cura di), L’istruzione universitaria (1859-1915), cit., pp. 125-131: Nota del ministro a firma del segretario generale Giulio Rezasco al Consiglio superiore sulla struttura della facoltà di giurisprudenza secondo il nuovo regolamento (ms con firma autografa conservato in ACS, MPI, Div. Istruzione superiore (1860-1881), b. 1, f. Ordinamento della facoltà di Giurisprudenza) e Relazione sul progetto del nuovo regolamento della facoltà di giurisprudenza (ms. conservato in ibidem). 60 Capitolo secondo. La stagione postunitaria nostre forze ci consentono e che bastano ai bisogni presenti. Lo Stato solo può e deve condurre a termine questa riforma, perché a lui solo spetta la cura degli interessi generali della Nazione 69. Nel frattempo, in questo clima nazionale acceso ed animato da grandi scontri politici, il 15 novembre 1862 era stato inaugurato il nuovo anno accademico 1862-1863 che, a livello didattico ed organizzativo, si sarebbe uniformato al regolamento imposto da Matteucci. Da quell’anno ed almeno per quasi tutto il ventennio, l’Università di Macerata avrebbe vissuto un periodo estremamente difficile, caratterizzato da una condizione penalizzante nella quale l’Ateneo si sarebbe ritrovato a vivere a causa delle decisioni assunte dal potere centrale. Una delle scelte più gravose adottata a danno del centro universitario maceratese fu senza dubbio quella relativa alla soppressione sia della Facoltà filosofica, già ridotta nel 1833 dalla Congregazione degli studi ad una rudimentale Facoltà fisico-matematica, sia di quella medico chirurgica, soppressioni datate entrambe 22 novembre 1862, a seguito di un’ordinanza del ministro Matteucci, basata probabilmente sul numero esiguo di studenti iscritti a tali facoltà. Furono così garantiti soltanto i corsi speciali per la libera pratica in Alta farmacia, Ostetricia e Chirurgia minore, che ebbero peraltro brevissima durata e frequenze sempre molto limitate. Fu inoltre mantenuta anche la Scuola per gli agrimensori e misuratori di fabbriche . Purtroppo é vero – ricordava circa venti anni dopo il deputato Assuero Tartufari – che il decreto emanato dall’illustre Matteucci, allora ministro della pubblica istruzione, […], soppresse nel 1862 la Facoltà medico-chirurgica e la Facoltà filosofica, mantenendo i corsi di farmacia, ostetricia, e bassa chirurgia. Ma é vero altresì, che quel decreto fu affatto incostituzionale; avvegnaché con un semplice decreto di ministro sopprimere o cincischiare nelle sue diverse parti un Istituto superiore scientifico stabilito per legge, non si possa. I corsi poi di farmacia, ostetricia e bassa chirurgia sostituiti alle Facoltà soppresse, se furono attuati, ebbero brevissima durata70. 69 Cfr. Matteucci, Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione con lettera a Gino Capponi di C. Matteucci, cit., pp. VII-XXXIII. 70 Cfr. A. Tartufari, Discorso pronunziato sui Diritti dell’Università di Macerata dal deputato Assuero Tartufari nei giorni 30 e 31 gennaio 1884, Roma, Tipografia della Camera dei deputati - Stabilimenti del Fibreno, 1884, p. 11-12. E’ opportuno comunque sottolineare che, anche secondo quanto riportato in Annuario dell’istruzione pubblica 1864-1865, Milano, Stamperia reale, 1864, p. 54, le soppressioni delle Facoltà medico-chirurgica e filosofica vanno esclusivamente ricollegate ad una risoluzione del ministro Matteucci datata 22 novembre 1862 e non a disposizioni precedenti, quale potrebbe essere la legge n. 719 del 31 luglio 1862 o i successivi regolamenti del 14 settembre. La medesima notizia la troviamo in Al Parlamento nazionale. Petizione dei professori nella Regia Università di Macerata in risposta alle osservazioni sul bilancio della pubblica istruzione del 1863, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1863, in 61 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Un notevole ridimensionamento, dunque per l’Università di Macerata che comunque riuscì, a livello numerico, ad incrementare, seppur di poco, il numero di studenti rispetto all’anno precedente. Infatti, nell’anno accademico in questione, gli iscritti complessivi furono 68, con la Facoltà giuridica, unica vera superstite, che continuò a recitare un ruolo dominante con 34 studenti. Erano invece sette i professori ordinari della Facoltà giuridica oltre al professore straordinario di diritto romano, Giovanni Battista Palestini. Per ridurre gli sprechi finanziari, alcuni docenti dovevano peraltro sobbarcarsi il peso di più insegnamenti e tra questi appare eclatante il caso di Teofilo Valenti che addirittura si ritrovò ad insegnare Codice civile, Procedura civile, Storia del diritto ed Introduzione generale alle scienze giuridiche. Ancora più limitato era il numero di docenti per i corsi speciali come quello di Alta farmacia che ne aveva tre (Severini, Geronzi e Confidati), al cospetto invece di appena un professore ciascuno per Chirurgia minore (Socrate Bianchini)71 e Ostetricia (Sante Sillani). Proprio in occasione della ripresa delle lezioni, prevista secondo calendario accademico per il 16 novembre, il rettore Luigi Pianesi stabilì una serie di nuove disposizioni interne all’Università che dovevano regolamentare la vita didattica dell’Ateneo. Per poter essere iscritti ad una qualsiasi facoltà o corso speciale esistente a Macerata, era così necessario aver innanzitutto conseguito la licenza liceale e poi aver superato un esame propedeutico, composto da una prova orale e da una scritta. Ad esempio, per Giurisprudenza, l’orale prevedeva l’accertamento delle competenze dello studente sui classici latini, la storia antica e moderna, la filosofia morale; lo scritto invece consisteva nella composizione latina ed italiana. Nel 1863 però un grande malcontento venne a crearsi in seno al centro maceratese, soprattutto tra i docenti dell’Ateneo che si sentirono del tutto penalizzati dalle decisioni assunte dal ministro Matteucci nell’estate del 1862: evidente, infatti, appariva la disparità di trattamento tra i docenti marchigiani e quelli delle altre università italiane. Questa situazione di inferiorità, peraltro, si trascinava già da tempo ed era riconducibile alla posizione alquanto ambigua assegnata all’Ateneo nel passaggio da BCMc, p. 6 e in A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1863, in BCMc. 71 Su tale docente gli annuari del tempo creano molta confusione, attribuendo talvolta la cattedra di Anatomia e chirurgia minore a Cesare Bianchini, talvolta a Tommaso Bianchini. In realtà il professore di tale insegnamento era Socrate Bianchini, visto che sia Cesare che Tommaso appartenevano alla Facoltà di Giurisprudenza. 62 Capitolo secondo. La stagione postunitaria università pontificia a università regia.. Nonostante, infatti, la commutazione del vecchio contributo pontificio di 3.000 scudi in 15.960 lire italiane (con decreto del 3 novembre 1860) e la disponibilità del Comune a concorrere alle spese dell’Ateneo con una somma di 4.564,36 lire72, l’Università di Macerata si era comunque ritrovata in una condizione penalizzante, visto che il Governo l’aveva costretta a rimanere mezzo governativa e mezzo comunale, «una sorta di essere ibrido venuto fuori chi sa da quale innaturale connubio, essere ignoto alle leggi dello Stato italiano»73. Solitamente, infatti, le università pontificie, di primo o secondo grado che fossero, erano rette in modo uniforme: sebbene dipendenti dal potere centrale, esse erano amministrate dal Comune con i beni propri, ovviamente se ne avevano mentre, in mancanza, al bilancio avrebbe provveduto la stessa autorità comunale. Caduto il governo pontificio, le università che non assunsero lo status di “libere” divenivano puramente e semplicemente di Stato, sia con norme speciali, sia con le norme della legislazione piemontese. Avvenne così ovunque, ma non a Macerata, il cui Ateneo fu invece abbandonato alle sorti del destino. Lo Stato, infatti, non assegnò lo stipendio ai professori dell’Università marchigiana, né lo pagò direttamente, ma continuò a pagare, come già ricordato, l’equivalente in lire dei 3.000 scudi del bilancio pontificio in quote mensili o bimestrali. Paradossalmente lo Stato provvedeva alle nomine dei professori ma non al loro pagamento. I miseri stipendi dei docenti andavano così da 957 lire a 1.234 lire, ai quali dovevano essere aggiunti i proventi delle tasse, secondo le norme vigenti sotto il regime pontificio. La già menzionata legge n. 719 aveva poi aggravato ulteriormente la situazione. Come ricordato con essa si provvedeva innanzitutto agli stipendi dei docenti universitari, attuando una distinzione tra quelli delle università di primo grado e quelli insegnanti negli atenei minori. Da quest’elenco erano però stranamente esclusi i professori delle università di Macerata e Sassari74, centri che addirittura non erano per nulla considerati dal testo di legge: 72 ASMc, Commissariato provinciale, Anni 1860-1862, b. 93. Solo dal 1875 tale cifra sarà innalzata a 5.064, 56 lire e cioé l’esatto equivalente degli 858 scudi pagati quando l’Università era pontificia. 73 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 47. 74 L’Università di Sassari, insieme a quella di Macerata, fu forse una delle più penalizzate dal Governo unitario. Soppressa dalla legge Casati, essa fu ripristinata dalla legge n. 4160 del 5 luglio1860 ma ciò non le impedì di finire nel dimenticatoio, abbandonata dalle autorità governative. Fu poi ammessa al trattamento di università regia di second’ordine con la legge 11 luglio 1877, n. 3937. Per una ricostruzione dei principali avvenimenti storici relativi all’Ateneo sardo si rinvia a G. Fois, A. Mattone (a cura di), Per una storia dell’Università di Sassari, estratto da «Annali di storia delle università italiane», 6 (2002), pp. e a G. Fois, Storia dell’Università di Sassari (1859-1943), Roma, Carocci Editore, 2000. 63 Capitolo secondo. La stagione postunitaria L’art. 2 provvede agli stipendi dei professori a) di Bologna, Napoli, Palermo, Pavia, Pisa e Torino; b) di Genova, Catania, Messina, Cagliari, Modena, Parma e Siena75. Contestualmente però, la stessa legge con una dettagliata tabella si occupava, come detto, anche delle tasse universitarie che gli studenti avrebbero dovuto pagare. In questo caso l’Università di Macerata tornava ad essere degna di considerazione e dunque ricompresa tra gli atenei minori76. La situazione di disparità appariva evidente ma ci sembra opportuno, in questa sede, tornare a riflettere su quella che fu la ratio alla base dei provvedimenti adottati da Matteucci. Nelle intenzioni della legge n.719 c’era soprattutto la volontà di uniformare le tasse universitarie su tutto il territorio, eliminando le notevoli disparità presenti nella Penisola a causa dei ritardi o delle deroghe nell’applicazione della Casati. Nel 1860, infatti, ad esempio, nelle università toscane, emiliane ed a Napoli, le tasse erano molto più basse rispetto ai centri lombardi, costringendo gli stessi studenti ad emigrare altrove, magari nella vicina Emilia dove i costi da sopportare erano più accessibili. In questo modo, invece, coloro che sceglievano l’Università di Macerata, come quelli che studiavano ad esempio a Torino, si ritrovavano tutti a pagare ugualmente 155 lire annue per Filosofia, 280 per Medicina e Chirurgia, 410 per Giurisprudenza, 152 per Farmacia, 51 per Agrimensura, 63 per i corsi da Notaio e Procuratore77. Inoltre, sempre in esecuzione della legge n. 719 era stato previsto che il versamento delle tasse universitarie avvenisse direttamente negli uffici demaniali. Tale decisione, però, se poteva apparire accettabile per quei centri nei quali lo stipendio dei professori era erogato dallo Stato, non era ritenuta altrettanto equa in quegli atenei dove comunque l’autorità centrale non provvedeva a pagare i professori, pretendendo però ugualmente di riscuotere direttamente le tasse dagli studenti. A questo, come se non bastasse, si aggiungeva che se da un lato la legge del 31 luglio 1862 aveva migliorato il trattamento economico dei docenti (esclusi ricordiamo quelli maceratesi), la retribuzione degli stessi 75 Nel 1866 si aggiunse all’elenco delle primarie anche l’Università di Padova, nel 1870 quella di Roma. Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 140. 76 Ibidem. 77 Tali cifre testimoniano comunque che il solo costo della frequenza universitaria, cui andavano aggiunte spese per i libri, ed eventualmente vitto ed alloggio, era proibitivo per quegli studenti che non provenivano da un ceto alquanto benestante. Il reddito nazionale medio pro-capite nel decennio 18611870 era di 291 lire l’anno, nel decennio successivo di 348 lire. Operai, falegnami, minatori e tessitori difficilmente raggiungevano un reddito di 900 lire annue. A ciò andrebbe aggiunto il carattere prettamente agricolo dell’Italia, che faceva sì che gran parte della popolazione spendesse tra il 70 ed il 90% del proprio reddito in generi alimentari. Pertanto la frequenza di un liceo o dell’università si rivelava possibilità permessa a pochi eletti. Si veda in proposito M. Romani, Storia economica d’Italia nel secolo XIX (1815-1914), Milano, UTET, 1968, p. 333-337 o anche il sempre valido lavoro di G. Vigo, Istruzione e sviluppo economico in Italia nel secolo XIX, Torino, Ilte, 1971. 64 Capitolo secondo. La stagione postunitaria professori universitari rimaneva non del tutto soddisfacente per gli stessi. Ai professori con più di dieci anni di servizio erano state assegnate 10.000 lire, mentre agli altri delle università primarie appena 5.000 lire, con conseguente diminuzione rispettivamente a 3.600 lire e 3.000 lire alle stesse categorie nelle università secondarie. Tra i funzionari dello Stato, però, i docenti erano forse i meno pagati, visto che un direttore generale percepiva dalle 8.000 alle 9.000 lire, un primo dirigente circa 6.000 lire, un direttore di sezione almeno 5.000 lire. A detta dei professori, dunque, era stata perpetrata ancora una volta quella mortificazione economica che andava avanti ormai da anni e che si era sperato potesse essere eliminata da Matteucci78. A far sentire la propria voce per questo stato di disagio generatosi fu proprio l’Ateneo maceratese, dove la situazione appariva ormai al collasso. Qui i docenti, doppiamente danneggiati dalla legge Matteucci, si sentirono umiliati sia come docenti universitari in generale ma soprattutto come professori relegati in una condizione di evidente inferiorità anche rispetto ai colleghi degli altri atenei, per motivi indipendenti dal loro valore scientifico. Essi avevano gli oneri ma non gli utili dell’insegnamento impartito in un’Università di Stato, della quale peraltro l’autorità centrale si sbarazzava con un irrisorio assegno da 15.960 lire. Inoltre, la Corte dei Conti negava agli stessi docenti di poter liquidare loro le pensioni, poiché, non pagando lo Stato gli stipendi, non se ne faceva la ritenuta, specialmente quella per le pensioni. I professori, altresì, qualora avessero cercato di incrementare i propri introiti, avrebbero dovuto fare i conti con il divieto di cumulare un ufficio pubblico con quello di insegnante. Oltre al già menzionato caso del rettore Matteo Ricci, é opportuno ricordare anche quanto accadde al prof. Assuero Tartufari che, con decreto del 23 maggio 1861, fu dimesso dall’ufficio di professore, essendo stato nominato sostituto procuratore generale di Corte di appello. Così, nei primi mesi del 1863, si scatenò una veemente protesta dei docenti universitari maceratesi all’indirizzo del ministro della Pubblica Istruzione, con la conseguente partecipazione delle più importanti componenti cittadine a sostegno delle iniziative dei professori. 78 A tal proposito, nel 1876 Bonghi scrisse: «Si può risolutamente affermare che in Italia la condizione del professore di università é e resterà per molti anni tale da lasciare scontentissimi di sé tutti coloro, i quali si trovino gettati su questa misera spiaggia dell’istruzione superiore e che non trovino qualche compenso nella gloria o in altri uffici alla durezza e allo stento della loro vita». Si veda R. Bonghi, Discorsi e saggi sulla pubblica istruzione, Firenze, Sansoni, 1876. Proprio in considerazione dell’esiguità della retribuzione percepita dai docenti il 22 settembre 1875 il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione si espresse peraltro a favore del doppio incarico per i docenti presso un liceo ed un’università. 65 Capitolo secondo. La stagione postunitaria In una petizione del 16 febbraio 186379 i professori si rivolsero infatti al ministro Michele Amari affinché venisse modificato il trattamento di notevole squilibrio riservato all’Università di Macerata nel bilancio della pubblica istruzione e soprattutto «per essere pareggiati al soldo ai professori delle altre università di II ordine». Dopo aver ribadito la posizione strategica a livello territoriale dell’Ateneo marchigiano rispetto ad altri centri, i docenti maceratesi rimarcarono come le Università di Bologna, Modena, Parma, Pavia, Pisa e Siena, ad esempio, «trovate al pari di quella di Macerata nelle rispettive province annesse», si trovassero in quel momento in una situazione diversa e privilegiata rispetto a quella dell’Ateneo maceratese. Esse, infatti, sebbene gravitassero tutte in un’orbita territoriale non distante da quella di Genova più di centocinquanta chilometri e fossero molto vicine a centri di studio come l’accademia di Milano o l’Istituto di Firenze, erano state tutte mantenute e tutelate, al contrario invece di Macerata, penalizzata e resa monca nelle sue componenti, nonostante fosse «l’unico stabilimento governativo di tale genere, che si trova tra Bologna e Napoli in una zona di oltre quattrocentocinquanta chilometri, con una popolazione assai superiore a quella che é nella zona ov’esistono le sei Università summentovate». Inoltre, secondo i professori maceratesi, tali atenei costavano complessivamente allo Stato ben 1.497.271 lire annue a fronte delle misere 15.960 lire destinate a Macerata che, per il resto, avrebbe dovuto provvedere alla sussistenza con mezzi propri, peraltro del tutto inesistenti o quasi. Il risentimento più forte dei firmatari della petizione si avvertiva però soprattutto nelle ultime righe del documento, in relazione al trattamento economico loro riservato: I professori reclamanti hanno un onorario di 1.064 lire, decisamente inferiore a quello stabilito dalla legge Casati per i professori dei Ginnasi e di sole 64 lire superiore allo stipendio del capo stalliere della scuola di Veterinaria di Torino. Parecchi lo hanno anche inferiore. Ora i professori della Università di Macerata non vedono ragione, per la quale essi deggiano essere trattati in un modo così diverso da quello che il governo italiano usa verso i professori di altre Università. La legge del 31 luglio 1862 ha colpito la Università di Macerata per ciò che riguarda le tasse scolastiche, come risulta dalla tabella che vi é annessa. Dovette però essere una dimenticanza che essa non fosse contemplata dall’art. 2 della legge stessa sugli stipendi: ma che non fosse dimenticata esigeva giustizia80. I professori si ritrovavano dunque a chiedere che tale ingiustizia venisse emendata quanto prima, parificando i loro stipendi a quelli delle altre università di 79 80 A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, cit. Ibidem. 66 Capitolo secondo. La stagione postunitaria seconda classe, anche alla luce delle tradizioni gloriose dell’Ateneo marchigiano che, se considerato adeguatamente dal Governo al pari delle altre università, avrebbe potuto recuperare quel prestigio e quell’importanza che sempre lo avevano contraddistinto, soprattutto per gli studi giuridici. Per essere ulteriormente concreti ed incisivi, i docenti fecero seguire alla petizione una precisa tabella con gli stipendi che lo Stato avrebbe dovuto corrispondere loro, secondo le disposizioni allora vigenti per le università minori. Essi prevedevano 3.000 lire per ogni cattedra esistente (era allora complessivamente ventuno), 1.500 lire di stipendio per il segretario, 1.300 lire per i due bidelli, 1.000 lire per le spese di rappresentanza del rettore, 750 lire per l’assistente al gabinetto di fisica e 500 per le spese di rappresentanza del preside della Facoltà giuridica, raggiungendo così la somma di circa 68.050 lire alla quale andavano aggiunte 2.400 lire per quei quattro docenti universitari con un servizio superiore ai dieci anni. Con 70.450 lire complessive l’Ateneo avrebbe vissuto molto più tranquillamente, conducendo una vita senza stenti e rinunce che avrebbero sicuramente messo a serio rischio la sua stessa esistenza. Del resto, esaminando il prospetto delle spese effettuate dal Governo per l’istruzione universitaria nel 1862, risulta evidente come la cifra richiesta non fosse affatto esosa, alla luce soprattutto di quanto veniva erogato a favore di altre strutture. Per citare solo alcuni esempi e sempre rimanendo ancorati a realtà non troppo grandi, università come quelle di Catania, di Siena o di Parma, anch’esse di secondo grado, erano costate allo Stato nell’anno precedente rispettivamente 144.353 lire, 138.753 lire e 168.590 lire, ossia circa il doppio di quanto richiesto da Macerata nel preventivo per l’anno successivo. Solo le Università di Sassari e Cagliari si erano ritrovate a percepire una cifra inferiore alle 100.000 lire, e cioè, rispettivamente, 48.796 lire e 99.792 lire, e comunque nettamente più alta rispetto al misero contributo di 15.960 lire riservato a Macerata81. Alla petizione dei professori maceratesi fecero subito eco una serie di lettere e di raccomandazioni rivolte al ministro della Pubblica Istruzione e ad alcuni deputati italiani da alte cariche universitarie ed istituzionali cittadine. Si era in pratica attivato quel meccanismo secondo il quale ogni realtà che subisse un’ingiustizia, presunta o 81 Per il prospetto completo delle spese effettuate dallo Stato per le regie università e per altri istituti universitari dal 1861 al 1876, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1882-1886, Documenti, n. 3, Relazione Berio n. 26-A., tornata del 20 ottobre 1883, pp. 163-178. Nell’anno esaminato nel dettaglio, spicca il dato che anche Scuole di applicazione per ingegneri come quella di Torino o Scuole superiori di Medicina-Veterinaria come quella di Napoli, costassero allo Stato molto di più (tra le 60.000 e le 80.000 lire) rispetto al contributo fisso ricevuto dall’Università di Macerata. 67 Capitolo secondo. La stagione postunitaria reale che fosse, cercava di mobilitare le intelligenze o le autorità più qualificate allo scopo di condizionare il Governo centrale. Alla base di tali cahiers de doleance, vi era soprattutto l’obiettivo primario, almeno nei primi anni post-unitari, di mantenere quei diritti acquisiti nei vecchi stati pre-unitari e che l’Italia unificata sembrava mettere in discussione. Tale pratica, opportunamente analizzata da Ilaria Porciani82 con riferimento all’istruzione superiore, faceva in modo che i leader della protesta – professori universitari, sindaci, notabili o deputati – riuscissero a coagulare intorno a sé consensi molto ampi sul tema della difesa degli atenei, la cui abolizione, del resto, avrebbe costituito un immediato impoverimento per la vita culturale ed economica cittadina. Anche Macerata non fu scevra da tale fenomeno che caratterizzò la vita del piccolo centro marchigiano almeno fino agli anni Sessanta del Novecento. Con maggiore risentimento, lo stesso rettore Pianesi, il 28 febbraio 1863, si rivolgeva al conte Giuseppe Bellini, deputato al Parlamento, per sottoporgli la difficile questione maceratese. A giudizio del rettore, il Governo era caduto nel grave equivoco di asserire che mentre l’Università di Macerata riceveva un assegnamento di 15.960 lire, essa stessa si mantenesse con fondi propri. In realtà, l’Università non aveva alcun fondo ma solo un tenue sussidio dell’erario municipale, destinato all’ordinaria manutenzione dei locali ed alle quotidiane piccole spese di amministrazione. I modesti onorari dei professori potevano invece rapportarsi solo alle 15.960 lire erogate dal Governo, unico fondo vero e certo. Il 24 febbraio dello stesso anno, anche il sindaco di Macerata, Lorenzo Lazzarini, al quale fece seguito il giorno successivo la Deputazione provinciale con medesime argomentazioni, si rivolgeva83 con ardente animosità al ministro Amari, “raccomandando” le richieste avanzate dal corpo insegnante dell’Università maceratese, in «evidente condizione di inferiorità rispetto a quei professori insegnanti negli istituti minori esistenti nella zona». Tale ingiustizia non poteva più essere tollerata da «un Governo liberale e giusto com’è quello inaugurato dal magnanimo Re d’Italia» nella cui rettitudine lo stesso sindaco asseriva di confidare. Intanto il 6 marzo 1863 il gruppo dei tredici docenti maceratesi già firmatari della petizione del 16 febbraio tornò nuovamente all’attacco, questa volta rivolgendo la 82 Si vedano le interessanti riflessioni presenti in I. Porciani, La questione delle piccole Università dall’unificazione agli anni Ottanta, in M. Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, Sassari, Centro interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, 1993, pp. 9-18. 83 L. Lazzarini, A Sua Eccellenza il Sig. Ministro della pubblica istruzione, in BCMc. 68 Capitolo secondo. La stagione postunitaria propria istanza direttamente al Parlamento nazionale e non più al ministro84. Nel documento si rimarcava con fermezza innanzitutto il carattere governativo dell’Ateneo che pertanto non poteva essere abbandonato al proprio destino dallo Stato: La ragione – si legge nella petizione – sta ancora nell’essere Governativa l’Università di Macerata e non avere una cassa propria: imperocché non é vero che abbia fondi propri e che dal Governo riceva un sussidio, ma invece sono i fondi del Governo che esclusivamente l’alimentano, dando il Municipio un sussidio precario bastevole appena a sopperire alle spese di segreteria, alla manutenzione dei locali ed alle provviste per gli stabilimenti scientifici; e perciò i Professori sono vissuti sinora coll’assegno del Governo e con le tasse ad essi devolute prima della legge 31 luglio. Non vi era titolo perché l’Università fosse pretermessa nell’art. 2 di questa legge, onde per logica necessità bisogna supporre un’involontaria omissione, del che é prova la enumerazione di questa Università nella tabella fra gl’istituti governativi unicamente soggetti a questa legge; ed é per questa omissione che fu reclamato al Ministero, e che oggi reclamasi alla Giustizia del Parlamento85. Proprio con riferimento agli onorari percepiti dai professori maceratesi si sottolineava come le misere 1.064 lire di stipendio fossero mortificanti e spesso anche insufficienti agli stessi bisogni vitali. A questa situazione umana, giunta ormai ai limiti, avrebbe dovuto porre rimedio il Parlamento: Distinguete, o Signori, l’esistenza delle Università da quella degl’individui che la compongono: la prima subirà tutte le modificazioni ed ordinamenti, a cui per l’interesse della nazione potranno andar soggette le Università governative del Regno; ma per gl’individui non é questione di tasse, che non si potrebbero restituire a quelli delle facoltà soppresse, é questione di mezzi necessari alla vita, é conservazione di diritti acquisiti86. In realtà il potere centrale, probabilmente consapevole della difficile situazione alla quale era stata condannata Macerata, si era già mosso nel tentativo di alleviare una condizione deficitaria. La soluzione adottata, però, finì per certi versi per avvilire ulteriormente gli animi dei professori di Macerata. Dopo che lo Stato, sul finire del 1862, aveva stanziato nel bilancio 4.000 lire a beneficio dell’Ateneo per indennizzare i docenti del mancato guadagno delle tasse e «per parificare in qualche modo la 84 Al Parlamento nazionale. Petizione dei professori nella Regia Università di Macerata in risposta alle osservazioni sul bilancio della pubblica istruzione del 1863, cit. Tale petizione, rispetto a quella del 16 febbraio, recava questa volta in calce le firme dei professori sottoscriventi: Cesare Bianchini, Socrate Bianchini, Tommaso Bianchini, Filippo Borgogelli, Achille Confidati, Abdia Geronzi, Piero Giuliani, Giambattista (Giovanni Battista) Palestini, Francesco Palmieri, Eusebio Reali, Giuseppe Severini, Sante Sillani e Teofilo Valenti. 85 Ibidem, p. 4. 86 Ibidem, p. 7. 69 Capitolo secondo. La stagione postunitaria condizione a quella degl’insegnanti delle altre Università, in cui lo stipendio fu rialzato colla legge 31 luglio», il successivo R.D. 5 luglio 1863, n. 134987, si preoccupò anche di elevare l’assegno annuo in favore dell’Università a 20.000 lire. La cifra aggiunta, subito annotata nel bilancio delle spese sostenute per l’Ateneo marchigiano a partire dall’anno 1863, bastava a stento a coprire lo stipendio di un singolo insegnante! Successivamente, il 16 luglio 1863, fu poi promulgato il R.D. n. 136288, con il quale si provvedeva alle indennità dei rettori delle università e dei presidi delle facoltà. Anche in questo caso, all’art. 5, l’Università di Macerata veniva palesemente discriminata visto che «nulla é innovato riguardo al Rettore dell’Università di Macerata, la quale é tuttora regolata da norme speciali», norme però inesistenti o comunque non attestate in alcun documento ufficiale del tempo. Per mitigare una situazione che si stava facendo insostenibile ma nello stesso tempo per ribadire ancora una certa diversità dell’Ateneo maceratese rispetto agli altri del regno, il Governo, con il R.D. 16 luglio 1863, n. 1488, all’art .1 stabiliva che «nulla é innovato riguardo alle propine, delle quali hanno sinora goduto i professori, gli impiegati, i bidelli ed i serventi delle Università di Sassari e di Macerata, i quali continueranno a fruirne nelle proporzioni che erano stabilite prima della legge sulle tasse universitarie del 31 luglio 1862»89. In tal modo il personale docente, tecnico ed amministrativo dell’Ateneo maceratese vedeva migliorare, seppur molto lievemente, le proprie entrate economiche, senza però dimenticare il numero sempre più esiguo di studenti iscritti a Macerata, con conseguente diminuzione degli introiti legati alle tasse universitarie. All’apparenza questo blando palliativo sembrava comunque aver ripristinato uno stato momentaneo di calma, anche se, in realtà, la condizione di abbandono nella quale versava l’Università di Macerata era ormai ben evidente. Le 20.000 lire erogate ogni anno dal Governo rappresentavano poche briciole al cospetto dei 5.000.000 di lire che lo Stato spendeva per l’istruzione superiore in quel periodo90, riservando peraltro al 87 R.D. 5 luglio 1863, n. 1349, Aumento dell’assegno annuo a favore dell’Università di Macerata, in CC, XLII, 68, p. 2140. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 23 luglio 1863. 88 R.D. 16 luglio 1863, n. 1362, Indennità concesse ai rettori, presidi e priori in luogo degli assegni di rappresentanza, in CC, XLII, 69, pp. 2181-2182. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 30 luglio 1863. 89 R.D. 16 luglio 1863, n. 1488, Agli impiegati, bidelli e serventi sono concesse indennità per la perdita delle propine, in CC, XLII, 85, p. 2630. Tale decreto é riportato nella sua interezza in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 141. 90 Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1882-1886, Documenti, n. 3, Relazione Berio n. 26-A., tornata del 20 ottobre 1883, pp. 163-178. Dal 1863 al 1876 la spesa media annua per l’intera istruzione superiore italiana si aggirava intorno ai 5.250.000 lire, con università minori come quelle di Sassari o Siena che venivano finanziate con contributi annui medi rispettivamente di 48.000 lire e 106.000 lire, decisamente 70 Capitolo secondo. La stagione postunitaria centro marchigiano, sia qualitativamente che quantitativamente, un trattamento sempre inferiore a quello applicato agli altri istituti italiani. Il nuovo anno accademico 1863-1864 si apriva dunque senza particolari squilli di tromba ma in una condizione di evidente difficoltà. Secondo l’annuario ministeriale, l’Università di Macerata risultava disciplinata in parte dalla Bolla papale Quod divina sapientia, in parte dal regolamento Matteucci del 1862, palesando così una condizione alquanto ibrida. L’inizio delle lezioni era previsto per il 16 novembre ed il termine delle stesse fissato per il 30 giugno dell’anno successivo. Gli iscritti alla Facoltà di Giurisprudenza erano però appena 39 (il numero più basso di tutto il decennio), gli insegnamenti impartiti diciannove91 anche se i docenti risultavano essere quattordici (sei ordinari, sei straordinari e due emeriti) con l’aggiunta del prof. emerito Giuseppe Cozzi, docente di Diritto canonico. Ancora più modesta era invece la condizione dei corsi speciali attivi a Macerata anche se va rilevato che, oltre ai tradizionali corsi speciali in Alta farmacia, Ostetricia e Chirurgia minore ed alla Scuola per periti agrimensori, proprio nel 1863-1864 si ha notizia dell’attivazione a Macerata di un corso libero di lezioni accademiche su Dante, tenuto all’interno dei locali universitari dal professor Luigi Ciardi ogni giovedì e domenica pomeriggio alle 19. Forse un vano tentativo, ripetutosi poi inutilmente nel 1884, di auspicare il ripristino della Facoltà di Lettere e Filosofia. Sempre in quell’anno, però, accadde un fatto di una certa rilevanza ai fini del nostro discorso. Nell’estate del 1864, infatti, il Governo mandò la stampiglia per la franchigia postale, stampiglia che era privilegio degli stabilimenti ed uffici di Stato, e domandò un cenno storico dell’Università di Macerata, che fu poi pubblicato, insieme alle notizie storiche degli altri atenei, nell’annuario del Ministero della pubblica istruzione per l’anno accademico 1864-1865. In tale documento si legge: L’Università di Macerata risulta governata dalla bolla pontificia Quod divina sapientia e dal Regolamento approvato con Regio Decreto n. 842 del 14 settembre 1862. In base a questo si riordinò la Facoltà di Giurisprudenza nei due corsi in Scienze giuridiche e Scienze politico amministrative […] mercè una risoluzione del ministro Matteucci del 22 novembre 1862 furono soppresse la Facoltà medicosuperiori alle 20.000 lire elargite a Macerata. Nei quattordici anni presi in esame, l’ateneo che richiedeva allo Stato un numero maggiore di spese risultava invece essere quello di Napoli (600.000 lire annue), seguito a ruota da Torino (510.000 lire), Bologna (471.000 lire) e Pisa (410.000 lire). A partire dal 1871 nella tabella delle spese per le università regie si aggiunse anche l’Ateneo di Roma che dal 1871 al 1876 ricevette un aiuto finanziario annuo medio di circa 500.000 lire. 91 Gli insegnamenti diventerebbero venti qualora si decidesse di considerare, come taluni fanno, la cattedra di Introduzione alle scienze giuridiche e politico amministrative separata da quella di Storia del diritto. Il professore sarebbe comunque lo stesso: Eusebio Reali. 71 Capitolo secondo. La stagione postunitaria chirurgica e la facoltà filosofica e lasciati i tre corsi speciali di Farmacia, Ostetricia e Chirurgia bassa. Vi si mantenne pure la Scuola per gli agrimensori92. Con tale particolare dicitura si veniva a ribadire il solito annoso equivoco. L’Università di Macerata risultava regia e retta dalla bolla del 1824, quindi di Stato, per tutte le norme che non fossero finanziarie, per le quali essa doveva invece restare comunale. Addirittura, dall’anno accademico 1867-1868, l’Università maceratese fu posta dopo le governative e dopo Padova e Sassari, perché, come si legge in una nota, «è governata dalla bolla Quod divina sapientia ed ha un’amministrazione speciale e rendite proprie, oltre ad una somma di 20.000 lire corrisposta annualmente dall’erario»93. Bisognerà attendere l’annuario del 1873-1874 per ritrovare finalmente l’Università di Macerata in riga ed in ordine alfabetico con tutte le altre università regie. Il periodo buio dell’Ateneo era dunque quanto mai attuale. Nell’anno accademico 1865-1866 sparì definitivamente dalla sfera di competenza dell’Università di Macerata la Scuola per periti agrimensori e misuratori di fabbriche mentre, di lì a poco, l’istituzione di un corso preparatorio di Veterinaria nonché il tentativo di far rivivere il biennio della Facoltà medico-chirurgica94 si rivelarono entrambe scelte poco redditizie. Di sicuro, però, il periodo più duro per l’università marchigiana fu sicuramente rappresentato dal biennio 1876-1877 e 1877-1878, quando l’Ateneo allora retto dal prof. Giovanni Battista Palestini fece registrare il numero minimo di iscritti del periodo post unitario. L’anno accademico 1876-1877, infatti, apertosi con la solenne orazione dell’avv. Pietro Sbarbaro, ordinario di Filosofia del diritto95, sulle Condizioni dell’umano progresso, fece segnare un evidente crollo nel numero di studenti iscritti: essi furono appena 52 con un diminuzione di circa il 40% rispetto all’anno accademico precedente. Ancora più drammatica si rivelò la situazione nell’annata 1877-1878, nella quale 92 Annuario dell’istruzione pubblica 1864-65, Milano, Reale stamperia, 1864, p. 54. Annuario dell’istruzione pubblica 1867-1868, Firenze, Tipografia Eredi Botta, 1868, p. 126. 94 Il biennio di Medicina e Chirurgia fu mantenuto fino al 1876 perché, il 15 marzo di quell’anno, il Ministero della pubblica istruzione comunicava a tutti i rettori delle università italiane che proprio in quell’anno accademico cessavano nell’ateneo maceratese anche i corsi del primo biennio di Medicina e Chirurgia. Gli studenti potevano recarsi a compiere altrove l’anno cominciato o compierlo a Macerata, per poi però sostenere gli esami in altra Università. 95 In quel periodo Pietro Sbarbaro copriva per incarico anche gli insegnamenti di Diritto amministrativo e di Introduzione allo studio delle scienze giuridiche. Nello stesso tempo, però, insegnava anche presso l’Università di Modena Economia politica e Filosofia del diritto. 93 72 Capitolo secondo. La stagione postunitaria l’Università di Macerata toccò il minimo storico di iscritti: esattamente 47 con un calo evidente di studenti in ogni percorso di studio. La situazione dell’Università di Macerata era dunque arrivata al classico punto di non ritorno: andavano fatte scelte urgenti e coraggiose, eventualmente anche drastiche e scomode, ma che dovevano necessariamente definire in maniera netta il futuro dell’Ateneo. L’Università di Macerata era comunque nuovamente a capo di quel novero di atenei minacciati di soppressione. Proprio il professor Sbarbaro ne prese le difese con estremo coraggio in un breve saggio Sulle condizioni dell’umano progresso96. Egli, rivolgendosi innanzitutto alla pratica dei consorzi che si stava diffondendo nella Penisola e che poteva rappresentare una valida soluzione al mantenimento dei centri universitari minori, auspicava infatti un pronto intervento della Provincia a tutela dell’Ateneo cittadino. A Sbarbaro fecero eco di lì a poco anche altri professori, politici e notabili maceratesi. Il 4 luglio 1878, il senatore Diomede Pantaleoni97 rivolse un’interpellanza parlamentare al ministro De Sanctis, nella quale cercava di difendere le Università minori, definendole «i veri motori, i veri creatori di quegli istituti superiori di cultura che anch’io auguro al mio paese e che vorrei si unissero tutte le nostre forze per generarli»98. Solo attraverso la libera concorrenza tra le università, non condizionata però dalle scelte del potere centrale99, si poteva creare, secondo Pantaleoni, una selezione naturale tra gli atenei che comunque non avrebbe prodotto alcuna morte ma semmai una trasformazione di un ente in un altro, secondo i bisogni naturali e culturali del territorio. Se in Senato la difesa dell’Università di Macerata fu portata avanti da Diodeme Pantaleoni, direttamente sul posto fu invece molto attivo il professor Piero Giuliani, docente di diritto commerciale, nonché preside dell’Istituto tecnico. 96 Si veda P. Sbarbaro, Sulle condizioni dell’umano progresso: orazione, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1877. 97 Diomede Pantaleoni fu un politico italiano che, durante il pontificato di Pio IX (1846 -1878), fece parte dei gruppi politici moderati; poi appoggiò Cavour intavolando trattative segrete con Napoleone III per risolvere la questione romana. Eletto deputato del Regno d'Italia, venne espulso da Roma; fu nominato senatore il 6 novembre 1873 e scrisse varie opere di natura politica. Sulla figura del senatore Diomede Pantaleoni si veda l’interessante opera biografica redatta da R. Piccioni, Diomede Pantaleoni, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003. 98 Si veda D. Pantaleoni, Interpellanza del Senatore Diomede Pantaleoni al ministro della Pubblica Istruzione fatta nella tornata del 4 luglio 1878, Roma, Tipografia del Senato, 1878. 99 Qui Pantaleoni faceva riferimento alla tradizione ormai diffusa in Italia secondo la quale lo Stato prelevasse spesso dalle università minori i professori migliori per trasferirli negli atenei più importanti, trattandoli, secondo il senatore, «come dei semplici ed impersonali impiegati. Come volete che vi sia lotta, gara per il successo, quando essi sono tutti dello stesso padrone?». 73 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Giuliani, prima dell’Unità deciso sostenitore dell’abolizione degli atenei minori, si mostrò invece successivamente molto ostile alla ventilata trasformazione dell’Ateneo in un istituto superiore industriale, pensata dallo Stato per rimediare alla continua emorragia di studenti che interessava il centro universitario maceratese. In alcuni opuscoli100, il docente marchigiano esprimeva tutto il proprio attaccamento all’Università cittadina, palesando invece un aspro disappunto nei confronti di un nuovo istituto industriale che, oltre a spese notevoli, avrebbe portato ad un sicuro insuccesso «perché la scuola d’industria può fiorire colà dove trova l’industria, dove questa è sviluppata, non dove l’industria è limitata e poco fruttuosa»101. Il professore maceratese sottolineava pertanto l’importanza strategica di un centro universitario come quello di Macerata, probabilmente poco conosciuto dai più superficiali, ma prodigo nello “sfornare” uomini illustri, e tale, nelle sue dimensioni ancora umane, da garantire l’istruzione superiore anche ai più poveri. Così, dopo aver demolito le proposte avverse102, Giuliani passava ad avanzare la sua soluzione per risollevare l’Ateneo. Per il docente di Matelica era opportuno affiancare alla sempre nobile Facoltà di Giurisprudenza ed ai già esistenti corsi di Farmacia, Chirurgia minore e Veterinaria, il primo biennio di Ingegneria, fondamentale per i diplomati dell’Istituto tecnico di Macerata. Tutto ciò sarebbe stato realizzabile con un aiuto sostanzioso di Comune e Provincia, invitati caldamente dal professor Giuliani a garantire un futuro degno all’Ateneo. L’acceso dibattito sviluppatosi ed i vivi ed accorati appelli lanciati a difesa delle sorti dell’Ateneo di Macerata tra la primavera e l’estate di quell’anno sortirono gli effetti sperati. Sul finire del mese di agosto, infatti, il Consiglio provinciale di Macerata, 100 Si fa riferimento a [P. Giuliani], Poche parole intorno alla riforma dell’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1878, e [id.], Della conservazione o trasformazione dell’Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1878. In realtà tali scritti si presentano anonimi ma secondo Donatella Fioretti (D. Fioretti, Università, seminari e scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione, cit., p. 745) sono da attribuire tutti e due a Giuliani, sia per i loro contenuti che per lo stile utilizzato dal redattore. Da entrambi i punti di vista sono evidenti molti elementi di contatto con altri documenti ed opuscoli sicuramente attribuibili al Giuliani (si prenda ad esempio una lettera, datata 4 agosto 1878 ed inviata al sindaco di Macerata). Inoltre in ASMc, Università, Miscellanea, Testi, temi, esami Corrispondenza varia, b. 713, ff. 278-279 sono presenti alcuni documenti manoscritti del 1877 e del 1878 nelle quali Guliani fa dei riferimenti ad alcuni suoi scritti di prossima pubblicazione inerenti il problema universitario maceratese. 101 Della conservazione o trasformazione dell’Università di Macerata, cit., p. 8. 102 Qui il riferimento è al professor Magni di Bologna o a giornali quali «La Vedetta» o «La Gazzetta d’Italia», principali sostenitori della necessità di sopprimere l’Università o di sostituirla con un istituto superiore industriale. Proprio il direttore de «La Vedetta», Gregorio Tarlazzi, ebbe un acceso scambio di idee con lo stesso Giuliani nel luglio del 1878, attraverso una serie di lettere e articoli di giornale che destarono molto scalpore. Si veda a tal proposito «La Vedetta», 17 luglio 1878, II, suppl., Recanati,Tipografia Pupilli, 1878. 74 Capitolo secondo. La stagione postunitaria più volte chiamato in causa quale possibile principale ente finanziatore dell’Ateneo, decise di affrontare seriamente il problema, nominando un commissario incaricato di esaminare la situazione finanziaria dell’Università e di studiare una possibile forma di cooperazione (consorzio) tra questa e gli enti locali. Nella seduta del 5 settembre 1878103, in attesa di un progetto concreto e dettagliato per il riordinamento e miglioramento degli studi, il Consiglio provinciale accordò intanto, transitoriamente e per il solo anno 1878-1879, un sussidio di 8.000 lire al Municipio di Macerata da erogarsi a favore dell’Università. Il nuovo anno accademico, pertanto, sembrava iniziare sotto i migliori auspici. Sabato 17 novembre si tenne l’apertura ufficiale dei corsi, nella generale consapevolezza di dover continuare a percorrere la strada intrapresa per la sopravvivenza dell’Ateneo maceratese. Confrontando i dati statistici e didattici dell’anno accademico 1878-1879 e di quello precedente non si riscontrano grandi mutamenti nell’offerta formativa dell’Università di Macerata, a differenza dell’organico docente il quale, invece, subì delle modifiche circoscritte però alla sola Facoltà giuridica. Dai sei ordinari del 1877-1878 si scese a cinque (non c’é era più Giovanni Battista Palestini)104 mentre si vide incrementare il numero dei docenti incaricati, e non incardinati nell’Ateneo, con l’assegnazione a Gabriele Napodano degli insegnamenti di Diritto e procedura penale e Filosofia del Diritto, a Dionigi Securo di Diritto costituzionale, a Enrico Martini di Istituzioni di diritto romano, a Raffaele Pascucci di Procedura civile e ordinamento giudiziario, a Gualtiero Moschini di Storia del diritto e di Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche105. Sempre in quell’anno scomparirono però il gabinetto di Anatomia veterinaria e quello di Materia medica mentre fu allestito un nuovo gabinetto di Mineralogia. Di lì a poco, però, sarebbe stato venduto il prestigioso orto botanico, altro pezzo storico dell’ateneo marchigiano che andava definitivamente perduto. 103 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 5 settembre 1878, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1878, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1879. 104 Si trattava di Teofilo Valenti, Piero Giuliani, Cesare Bianchini, Pietro Sbarbaro ed Abdia Geronzi. In realtà si dovrebbe parlare di quattro ordinari poiché il prof. Pietro Sbarbaro fu «comandato» all’Università di Napoli e fu quindi necessario coprire gli insegnamenti da lui tenuti nell’anno precedente (Filosofia del diritto, Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche) ricorrendo ad altri docenti. Nel corso dell’anno, poi, un’ulteriore novità fu rappresentata dalla sostituzione del professor Teofilo Valenti, ordinario di Diritto civile nonché preside della Facoltà giuridica, colto da incurabile malattia (morirà il 3 aprile 1879), con l’avv. Francesco Ricci di Ascoli. Valenti fu nominato professore emerito mentre la carica di preside fu assunta da Cesare Bianchini. Cfr. ANNUARIO (1879), p. 37. 105 Ibidem, pp. 37-38. 75 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Il numero degli iscritti, comunque, dopo la penuria dell’anno precedente, aumentò in maniera considerevole, visto che dal minimo storico di 47 studenti si riuscì a toccare quota 73, di cui però ben 54 relativi alla Facoltà di Giurisprudenza (si intende in questo caso il corso di laurea) con 30 studenti appartenenti al primo anno (18 studenti regolari e 12 uditori), 10 al secondo, 7 al terzo ed altrettanti al quarto. Coloro che frequentarono il corso per Notaio e Procuratore furono invece 5, mentre 4 e 3 risultarono rispettivamente gli studenti di Ostetricia e Chirurgia minore. In 7, infine, scelsero di dedicarsi all’ambito farmaceutico106. Grazie all’intervento della Provincia ed alla crescita del numero degli studenti, si era comunque diffusa tra i docenti maceratesi una certa ondata di ottimismo per il possibile ed imminente miglioramento delle condizioni dell’Ateneo, tanto da spingere il prof. Gabriele Napodano, nella prolusione letta in occasione dell’inizio del corso ordinario di Diritto penale nell’anno accademico 1878-1879, ad usare parole cariche di ottimismo ma forse anche sproporzionate rispetto ai risultati fino a quel momento raggiunti: Quest’anno, o Signori, segna per l’Università di Macerata un’era novella: gli studi si riprendono con nuovi auspici. Alacremente si é proceduto al riordinamento di questa università; il successo ha quasi interamente risposto allo zelo ed agli sforzi di illustri campioni della scienza e della cittadinanza maceratese. Si é provveduto a quasi tutte le cattedre; e fra i nostri colleghi figurano nomi che sono illustrazioni del nostro paese. Tutto ciò crea in voi, o giovani, un dovere ed un diritto in questa benemerita cittadinanza107. Nel gennaio del 1879, anche il periodico «La Vedetta», nel numero 5 del 29 gennaio, propose un articolo108 secondo il quale, in virtù dell’imminente nomina di Abdia Geronzi quale rettore dell’Ateneo109 e del rinnovamento di alcune cattedre universitarie110, si sarebbe presto determinata anche una crescita complessiva per 106 Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1880), pp. 83-86. Cfr. G. Napodano, Il diritto di punire e la imputabilità umana. Prolusione letta nella Regia Università di Macerata come cominciamento al corso ordinario di diritto penale, ANNUARIO (1879), pp. 3-35 (cit. p. 35). 108 Cfr. L’Università, «La Vedetta», III (29 gennaio 1879), 5, p. 1. 109 La terna proposta al ministero per la scelta del nuovo rettore era composta da Abdia Geronzi, Piero Giuliani e Cesare Bianchini. 110 Nell’articolo in questione, ci si soffermava soprattutto sugli insegnamenti di Diritto civile e di Economia politica che sarebbero stati assegnati, a partire dal nuovo anno accademico, a due docenti di notevole prestigio, quali rispettivamente Francesco Ricci e Niccolò Lo Savio, entrambi quarantenni, il primo di origini marchigiane (era nativo di Ascoli Piceno) ed il secondo proveniente dalle Puglie (era nato a Bari). In realtà, come visto, il nome di Francesco Ricci lo troviamo già nell’annuario 1878-1879 107 76 Capitolo secondo. La stagione postunitaria l’intero Ateneo, scientificamente più competitivo a livello nazionale e finalmente capace di rinascere dalle ceneri: Con tali uomini e con siffatte deliberazioni, il riordinamento dell’Università può dirsi perfetto. Era necessario avere dei professori produttori di opere, e non ventri pretenziosi e imbambolati che fossero solo consumatori dello stipendio. Ora le cattedre principali e più importanti sono coperte da veri produttori. Ora sì che la Università deve necessariamente fiorire111. In effetti pochi giorni dopo l’articolo apparso su «La Vedetta», l’Università di Macerata ebbe un nuovo rettore, in sostituzione di Giovanni Battista Palestini112. Si trattava di Abdia Geronzi113, da tempo docente nell’Ateneo maceratese, proveniente, al contrario di chi lo aveva preceduto nella carica rettorale, non dalla Facoltà giuridica, bensì dai corsi speciali di Farmacia e Medicina-Veterinaria, dove ricopriva il ruolo di ordinario di Chimica organica e inorganica, Chimica farmaceutica e Tossicologia. In terra maceratese, dunque, sembrava si iniziasse a respirare un’aria nuova, sicuramente salubre per il destino dell’Ateneo marchigiano. Di lì a poco, inoltre, una svolta decisiva sarebbe stata impressa dalla Provincia e dal Comune, ormai consapevoli del proprio ruolo sul territorio. Un dato certo, comunque, era ormai sotto gli occhi di tutti. Nell’offerta formativa dell’Ateneo, l’unico vero e valido punto di riferimento per studenti e docenti era rappresentato dalla Facoltà di Giurisprudenza che da alcuni anni aveva preso il sopravvento su tutti gli altri corsi esistenti nel centro universitario marchigiano. In realtà tale trend locale rispecchiava in parte quello nazionale visto che, analizzando il decennio compreso tra il 1871 ed il 1881, la Facoltà giuridica era tra quelle in maggior ascesa con un incremento di oltre il 4% degli iscritti114. Macerata non quale incaricato dell’insegnamento di Diritto civile che in un primo tempo era stato tenuto, per supplenza, dal prof. Gaetano Foschini. 111 Cfr. L’Università, «La Vedetta», cit. 112 Temporaneamente in quei tre mesi di vacanza del rettore (1 novembre-31 gennaio) aveva svolto le funzioni rettorali il preside della Facoltà giuridica. 113 Abdia Geronzi fu rettore della Regia Università di Macerata dall’1 febbraio 1879 al 31 ottobre 1885. Egli, prima della riduzione dell’Ateneo marchigiano alla sola Facoltà giuridica, fu ordinario di Chimica organica e inorganica, Chimica farmaceutica e Tossicologia. Dall’anno accademico 1880-1881 divenne ordinario di Medicina legale ed igiene pubblica fino al 1888-1889 quando fu collocato a riposo. Nel 1885-1886 e nel 1886-1887 tenne anche il corso complementare di Legislazione sanitaria. Già sotto l’Università pontificia di Macerata aveva comunque insegnato Chimica e Farmacia a partire dall’anno accademico 1846-1847 fino al 1859-1860 nonché Materia medica dal 1857-1858 al 1859-1860 (in qualità di supplente). 114 Si veda a tal proposito V. Zamagni, L’offerta di istruzione in Italia (1861-1981): un fattore guida dello sviluppo o un ostacolo?, in G. Gili, M. Lupo, I. Zilli (a cura di), Scuola e società. Le istituzioni scolastiche in Italia dall’età moderna al futuro, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2002, pp. 143-182. In questo testo viene tracciata una statistica sugli studenti iscritti alle università italiane dal 1871 al 1881, analizzando i mutamenti nell’arco del decennio. Da osservare la notevole crescita di Facoltà come quella 77 Capitolo secondo. La stagione postunitaria era assolutamente esente dall’orientamento generale tanto che nell’anno accademico 1878-1879 l’81% degli iscritti apparteneva all’ambito giuridico; l’anno successivo115 su 112 studenti totali, ben 87 avevano preferito Giurisprudenza. Senza ovviamente dimenticare quei 10 giuristi che si erano dedicati, sempre nello stesso anno, al corso per Notaio e Procuratore (la percentuale complessiva era dunque dell’86%). Agli altri corsi restavano complessivamente solo 15 iscritti116. Un numero troppo misero per garantire la sopravvivenza a rami del sapere ormai morti nel mondo accademico maceratese. Appariva quanto mai opportuna ed imminente la scelta drastica di ridurre alla sola Facoltà giuridica l’offerta formativa dell’Università di Macerata. E questo, infatti, accadde nell’arco di pochi mesi. Il 4 gennaio 1880 ci fu infatti la svolta decisiva. Sotto il ministro De Sanctis fu emanato il R.D. n. 5236 che approvava il primo statuto del Consorzio universitario di Macerata, costituitosi fra il Comune, la Provincia e l’Università di Macerata. Coloro che avevano prestato il proprio ingegno per la realizzazione del primo documento consorziale furono il senatore Diomede Pantaleoni, il consigliere Assuero Tartufari ed il conte Tarquinio Gentili di Rovellone. Fu quella una data storica, da taluni ritenuta quasi miracolosa poichè l’Ateneo maceratese gettava ufficialmente le basi per costruire il proprio prestigioso futuro. Lo statuto117, costituito da 14 articoli e da un allegato di 6 punti, definiva diritti e doveri degli enti consorziati, stabilendo comunque in maniera chiara ed inequivocabile che Provincia e Comune si erano uniti in consorzio con l’Università maceratese «allo scopo di accrescere le rendite di quest’ultima con l’unico fine di migliorare la Facoltà di Giurisprudenza». Con lo stesso R.D. 5236, infatti, l’Università di Macerata diveniva a tutti gli effetti un ateneo ad una sola facoltà118, quella giuridica, a miglioramento della quale erano destinati tutti i fondi erogati dallo Stato e dal Consorzio. La durata del Consorzio era fissata in 25 anni a partire dall’anno accademico 1879-1880 e la sua istituzione obbligava Comune e Provincia ad un contributo di giuridica (incremento di oltre il 4%) o di Medicina (si passa dal 5%). In calo, invece, gli iscritti della Facoltà scientifica, con una perdita del 17%. 115 Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1881), pp. 63-66. 116 Per la precisione furono 7 gli studenti iscritti al corso chimico-farmaceutico ed altrettanti a quello di Chirurgia minore. La sola Angela Pannelli fu invece l’unica studentessa iscritta al secondo anno del corso di ostetricia per levatrici. 117 Una copia dello Statuto del 1880 é presente in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Statuto del Consorzio universitario, b. 693, f. 9 o in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 142-144. Inoltre possediamo anche la copia autonoma Università degli Studi di Macerata, Statuto pel consorzio universitario di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1887, pp. 3-9. 118 Tale situazione anomala e unica in Italia di università mono-facoltà si protrarrà addirittura fino agli anni Sessanta quando finalmente verrà ripristinata a Macerata la Facoltà di Lettere e Filosofia. 78 Capitolo secondo. La stagione postunitaria 12.500 lire ciascuno, in cambio del quale l’Università obbligava a favore del Consorzio le rendite119 ed il capitale che in quel momento le spettavano, sia in proprietà sia in godimento o uso. Compito primario della commissione consorziale, costituita da tre elementi120, era il pagamento degli onorari agli insegnanti e degli aumenti quinquennali – un decimo dello stipendio - a loro dovuti secondo le leggi generali. L’Università, in pratica, si era riconosciuta di secondo ordine e pertanto, secondo la tabella indicata in appendice allo statuto, lo stipendio di un professore ordinario ammontava a 3.000 lire mentre quello di un docente straordinario a 2.100 lire, limitando al numero di otto professori la prima categoria e a quattro la seconda, per una spesa complessiva di 32.400 lire. A questi dodici insegnanti ne andavano poi aggiunti altri quattro “incaricati” che portavano l’esborso totale a 36.750 lire. Ad elargirlo doveva essere la commissione amministrativa e non lo Stato che continuava invece a versare le proprie fisse 20.000 lire alla cassa consorziale121. Ci si trovava sicuramente davanti ad un ordinamento molto singolare, secondo il quale l’Università di Macerata, dichiarata «regia», non assumeva però assolutamente la fisionomia di un istituto superiore statuale mentre i professori risultavano impiegati governativi a metà: nominati dallo Stato ma pagati dal Consorzio122. Dopo aver provveduto al pagamento degli stipendi dei docenti, il Consorzio aveva l’onere di sostenere anche altre spese, relative al personale di servizio ed amministrativo, alla didattica ed alla manutenzione ordinaria. Di fondamentale importanza era poi l’art. 11, in base al quale le tasse scolastiche, fino a quel momento devolute ai professori, dovevano invece ora convergere direttamente nella cassa consorziale. Tutti i sopravanzi che annualmente si 119 Le rendite in realtà si riducevano a ben poca cosa: appena 289,94 lire di interessi annui attivi ed 80 lire di fitti. 120 Nell’anno accademico 1879-1880 ed in quello immediatamente successivo, nella commissione, accanto al rettore Abdia Geronzi, operarono in rappresentanza rispettivamente di Comune e Provincia, l’avvocato Guglielmo Lunghini (per l’anno 1879-1880 supplente fu l’avvocato Enrico Severini, per il 1880-1881 l’avvocato Cesare Papi) ed il conte Domenico Silveri (supplente fu il conte Filippo Desanctis). Si vedano in proposito ANNUARIO (1880), pp. 59-60 e ANNUARIO (1881), p. 66. 121 In realtà il Governo versava nella cassa del Consorzio 18.680 lire, al netto di una ritenuta della quale si parlerà più avanti. 122 Su tale argomento si veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), p. 60-61. Secondo Arangio-Ruiz, il Governo aveva fatto un preciso calcolo matematico: per mantenere una Facoltà di Giurisprudenza di second’ordine occorrevano circa 40.000 lire annue per stipendi ed altre spese ordinarie, e di sicuro, in casi come quello di Macerata, con notevole scarsezza di studenti, lo Stato avrebbe dovuto raddoppiare la cifra del suo contributo. Pertanto, pur contrastando con la natura giuridica dell’Università, indubbiamente di Stato sotto il cessato regime pontificio, secondo il Governo toccava agli enti locali garantire la sopravvivenza all’ateneo: «se i maceratesi vogliono l’Università, se la paghino!». 79 Capitolo secondo. La stagione postunitaria sarebbero verificati sulle rendite, infine, secondo quanto previsto dall’art. 13, sarebbero stati comunque capitalizzati e resi fruttiferi. Ufficialmente con l’istituzione del Consorzio iniziava il secondo periodo post unitario dell’Università di Macerata, che si sarebbe concluso con il pareggiamento dell’Ateneo maceratese agli alti centri universitari di primo grado. Il percorso, però, in un arco temporale di circa ventuno anni (dal 1880 al 1901), si rivelò irto e pieno di insidie che continuarono a minare le fondamenta di una gloriosa università, tra le più antiche d’Italia. In ogni caso il nuovo anno accademico 1880-1881 si aprì in un clima estremamente positivo. Il rettore Abdia Geronzi, nella sua relazione inaugurale del 21 novembre 1880123, invitò l’intera componente docente, amministrativa e studentesca a cercare di sfruttare al meglio la nuova situazione creatasi: Signori la riforma del nostro Ateneo fu concessa dal Governo quasi a modo di esperimento, e si vuole un esperimento serio: se ne vogliono vedere i frutti serii, scriveva una persona autorevolissima, per accordarci quel largo favore che il Governo non sarebbe alieno dal riconoscere utile. Decisivi dunque vogliono essere i risultati dell'esperimento, e partendo dal concetto che il Governo non intende alimentare istituti d'istruzione superiore unicamente per fini professionali, adopriamo tutte le nostre forze perché il Governo vegga che qui coltivansi degnamente le scienze giuridiche e sociali124. Quella di Giurisprudenza, come già ricordato, era ormai l’unica facoltà superstite, con la solita ma rinomata appendice giuridica rappresentata dal corso per Notaio e Procuratore. Le cattedre erano complessivamente diciotto, con la presenza rispetto all’anno precedente di diversi nuovi insegnamenti, quali Esegesi del diritto romano, Statistica, Compendio d’anatomia umana e Diritto canonico125. A tenere le lezioni quasi quotidianamente vi erano undici docenti126 mentre risultava annessa all’Università la Biblioteca Comunale “Mozzi Borgetti”127. 123 In quell’anno a tenere il discorso di solenne inaugurazione degli studi, dal titolo Le violazioni della giustizia economica, causa ed effetto ad un tempo delle guerre civili ed internazionali, fu invece il prof. Niccolò Lo Savio. 124 Cfr. Inaugurazione dell’anno scolastico 1880-81. Parole del Rettore ff. Prof. Abdia Geronzi, ANNUARIO (1881), p. 10. 125 In realtà tale insegnamento, seppur previsto nel prospetto delle lezioni per l’anno accademico 18801881 (le lezioni erano state fissate per il giovedì alle 11 e per il sabato alle 13), fu realmente impartito solo a partire dal 1881-1882. L’incaricato fino all’anno accademico 1890-1891 fu il prof. Giuseppe Leporini. 126 I professori ordinari e straordinari, scelti per il “nuovo corso” dell’Università di Macerata furono undici: Cesare Bianchini (ordinario di Diritto costituzionale e incaricato di Diritto internazionale), Carlo Fadda (ordinario di Diritto romano e incaricato di Esegesi del diritto), Abdia Geronzi (ordinario di Medicina legale ed igiene pubblica), Gabriele Napodano (straordinario di Diritto e procedura penale e 80 Capitolo secondo. La stagione postunitaria La profonda trasformazione dell’ateneo portò probabilmente i suoi frutti in fatto di iscritti, visto che già nell’anno accademico 1880-1881 si ebbe un notevole incremento nel numero, con 119 studenti per la Facoltà giuridica e 10 studenti che si dedicarono invece al corso di per Notaio e Procuratore128. L’impresa di rivitalizzare un ateneo in difficoltà sembrava pertanto riuscita, anche se dopo il naturale entusiasmo iniziale, era ovvio dover tornare a fare i conti con la dura realtà. Problemi ed ambiguità non erano infatti stati del tutto accantonati ed andavano affrontati con decisione. La Commissione amministrativa, comunque, cercò di rivitalizzare ulteriormente il centro universitario, stanziando innanzitutto una serie di borse di studio per i più meritevoli, il cui importo fu aumentato anno dopo anno129, e istituendo a Macerata, nell’anno accademico 1881-1882, un corso speciale di Esegesi della legge notarile, insegnamento unico in Italia, tenuto dal professor Raffaele Pascucci di Cessapalombo. Questi tentativi di crescita portati avanti dal Consorzio non coincisero però assolutamente con la considerazione che il Governo continuò ad avere dell’Ateneo, sempre lasciato in un’anomala ed ibrida condizione giuridica. Di questo si lamentarono soprattutto i docenti dell’Università, toccati nella loro dignità e pronti ad ingaggiare dure battaglie pur di vedersi attribuito il giusto. Nello specifico si voleva fare in modo che venisse riconosciuta la natura statuale dell’Ateneo, corrosa peraltro da un altro fatto abbastanza grave, forse trascurabile a livello finanziario come introito mancato ma assai spiacevole a livello morale e giuridico. Sul contributo pagato dallo Stato di 20.000 lire, infatti, veniva da questo ritenuta l’imposta di ricchezza mobile del 6,6%, il che negava ogni carattere di statualità all’istituto. In pratica l’assegno pagato dall’autorità centrale incaricato di Filosofia del diritto), Niccolò Lo Savio (straordinario di Economia politica e incaricato di Statistica), Gaetano Foschini (incaricato di Istituzioni di diritto romano), Pasquale Melucci (incaricato di Diritto civile e di Diritto commerciale), Giuseppe Leporini (incaricato di Diritto amministrativo), Raffaele Pascucci (incaricato di Procedura civile ed ordinamento giudiziario), Gualtiero Meschini (incaricato di Storia del diritto e Introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche), Carlo Lauri (incaricato di Compendio di anatomia umana). Esistevano poi otto professori emeriti ed onorari del Collegio medicochirurgico che, oltre ad essere docenti legati a Macerata, ricoprivano in quel momento importanti cariche anche in altre sedi universitarie o enti pubblici: Assuero Tartufari (consigliere di cassazione a Roma), Francesco Marcucci (consigliere delegato alla Prefettura di Genova), Federico Bosi (Università di Bologna), Patrizio Gennari (Università di Cagliari), Raffaele Antinori (Università di Perugia), Giovanni Daneo (Provveditore agli studi in Genova), Federico Massini (emerito di Fisica) e Luigi Ranaldi (emerito di Matematica). Tali dati sono estratti da Personale insegnante ed amministrativo, ANNUARIO (1881), pp. 57-59. 127 La Biblioteca Comunale “Mozzi Borgetti” era aperta tutti i giorni tranne che in quelli festivi con orari variabili a seconda dei singoli mesi. I curatori erano il rettore Abdia Geronzi, l’avv. Enrico Antinori, l’ing. Ruggero Pannelli mentre il bibliotecario onorario restava il marchese Matteo Ricci. Assistente e bidello erano invece rispettivamente Cesare e Pietro Capodacqua. 128 Cfr. Elenco degli immatricolati, ANNUARIO (1882), pp. 72-74. 129 Nell’anno accademico 1881-1882 tale borsa di studio ammontava a 100 lire mentre a partire dal 18881889 si passò stabilmente alla cifra di 200 lire. 81 Capitolo secondo. La stagione postunitaria appariva come una sorta di sussidio offerto dallo Stato ad un ente autarchico tanto da spingere Arangio Ruiz a commentare la situazione in maniera polemica: «ma allora perché non gli si lascia completa autonomia?»130 Così nelle tornate parlamentari del 30 e 31 gennaio del 1884131, il deputato Assuero Tartufari fece sentire la propria voce a difesa dell’Ateneo. Dopo aver ricostruito brillantemente e con una notevole partecipazione emotiva la difficile e tormentata storia dell’Università di Macerata, Tartufari affrontava il problema dell’anomala ed umiliante condizione giuridica del centro universitario maceratese, vittima di una vera e propria ingiustizia, e per il quale era giusto pretendere maggiori contributi governativi. Particolarmente toccante risulta l’immagine finale, quasi da scuola di retorica: Io schiero, nella mia fantasia, tutte le Università secondarie governative, come fossero altrettante persone viventi davanti al governo del regno d’Italia sino dal 1861. Cagliari, Messina, Modena, Sassari, Siena, Macerata […] Alle prime cinque il nuovo Governo italiano fa liete accoglienze, e parendogli che non fossero decentemente e riccamente vestite, le ricopre generosamente e le adorna il meglio che per lui si possa. La sesta, Macerata, la lascia in sul lastrico, la spoglia de’ suoi migliori ornamenti; e poi non osa metterla assolutamente fuori di casa o spegnerla; ma la lascia in sola camicia a basire d’inedia, a morire dal freddo132. Il discorso di Tartufari, forse perché particolarmente incisivo, forse perché supportato da chiare ed attendibili argomentazioni, sortì gli effetti sperati, anche grazie all’insistenza dello stesso deputato sulla medesima questione nel maggio del 1884. Così il 27 maggio di quell’anno, il ministro Coppino si espresse intorno alla natura dell’Università di Macerata, definendola «essenzialmente governativa». Tale riconoscimento esclusivamente formale non poteva però bastare all’Ateneo, che necessitava di una tutela anche giuridica della propria posizione, in modo da poter ricevere per intero il contributo statale di 20.000 lire, senza dannose ritenute. Per dirimere tale ambigua situazione, il Ministero delle finanze fu costretto a sottoporre la questione alla III sezione del Consiglio di Stato, e questa, con decisione del 22 agosto 1884, auspicò che l’imposta di ricchezza mobile cessasse di essere applicata all’assegno di 20.000 lire. A questo punto il Governo non poteva che 130 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 64. Si veda Tartufari, Discorso pronunziato sui Diritti dell’Università di Macerata dal deputato Assuero Tartufari nei giorni 30 e 31 gennaio 1884, cit. 132 Ibidem, p. 45. 131 82 Capitolo secondo. La stagione postunitaria uniformarsi al parere del suo organo consultivo e dal 1° gennaio 1885 iniziò finalmente a pagare integralmente la somma stanziata in bilancio. L’attività accademica maceratese era intanto in fermento. Per suscitare l’interesse dei giovani cultori del mondo giuridico, furono infatti istituiti diversi corsi complementari, tra i quali quello di Legislazione civile comparata nel 1884-1885, insegnamento tenuto per incarico dal prof. Guido Fusinato. Inoltre nel 1888-1889, quando gli studenti iscritti all’Università erano diventati 124 (uditori compresi)133, nacque nella cittadina marchigiana anche un circolo giuridico134, tra i pochi presenti in Italia, allo scopo di agevolarne i soci (studenti, uditori a corsi singoli e laureati in Giurisprudenza da non oltre un triennio) nello studio delle discipline giuridiche e sociali. Tale circolo era diviso in due classi, una di Diritto privato, l’altra di Diritto pubblico e scienze economiche e sociali, e si preoccupava di mettere a disposizione dei propri iscritti i libri più costosi, di organizzare conferenze ed addirittura di bandire concorsi o premi sulle tesi di laurea. Un’iniziativa assolutamente meritevole di lode e che rendeva più viva e meno cattedratica la vita universitaria dell’Ateneo, con un interesse sempre crescente per il mondo giuridico135. Di sicuro però, compiendo un piccolo passo indietro, fu l’anno accademico 1886-1887 a meritare una maggiore considerazione e quindi un’analisi più attenta, visto che proprio in quel periodo si verificarono due avvenimenti destinati a lasciare il segno sul futuro dell’Università di Macerata. Il 22 maggio 1886, innanzitutto, fu inaugurata solennemente la stazione ferroviaria di Macerata ed il tronco Macerata-Porto Civitanova che congiungeva la città marchigiana alla grande linea litorale adriatica; il 23 dicembre 1887 invece fu aperto anche l’altro tronco ferroviario Macerata-San Severino che metteva in comunicazione Macerata con la linea di Roma e dell’Italia centrale. La comunità maceratese abbandonava finalmente il suo atavico e fastidioso isolamento territoriale: grazie alle strade ferrate Macerata entrava in maniera decisa a stretto contatto con tutte le altre realtà della Penisola, candidando di conseguenza il proprio Ateneo a meta di studio agevole e privilegiata per quasi tutti gli studenti del centro e sud Italia. Inoltre, proprio il 1° giugno 1886, il ministro Michele Coppino, con una circolare ministeriale accolta con una certa soddisfazione dalla componente scolastica, aveva reso noto l’accordo raggiunto tra il ministero della Pubblica Istruzione, quello dei Lavori 133 Tale dato é estratto da ANNUARIO (1890), pp. 77-81. Sulla nascita del circolo giuridico si vedano i documenti conservati in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie, b. 711, f. 251. 135 Lo statuto di tale circolo giuridico é rinvenibile in ANNUARIO (1889), pp. 103-104. 134 83 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Pubblici e la Società ferroviaria delle reti adriatica, mediterranea, sicula e sarda, per mezzo del quale si garantivano abbonamenti e biglietti ferroviari a prezzi speciali per gli studenti. L’utilizzo delle ferrovie rappresentava dunque una nuova via di comunicazione imprescindibile per muoversi a costi contenuti e a giovarsene furono soprattutto coloro che dovevano spostarsi per motivi di studio. Prescindendo da quelle che potevano essere le discutibili limitazioni presenti nell’accordo raggiunto tra i ministeri136 e ignorando le migliorie comunque necessarie da apportare ai tratti ferroviari, dall’opera del ministro trasse beneficio evidente anche l’Università di Macerata. L’afflusso di studenti, infatti, aumentò in maniera considerevole con il passare degli anni, raggiungendo già all’inizio dell’ultimo decennio del secolo le 160 unità137. Ovviamente parte del merito era da attribuire anche alla nascita dei nuovi tronchi maceratesi di strada ferrata che avevano reso molto più comodo e breve il viaggio verso Macerata. Il 6 febbraio 1887, poi, con R. D. n. 4338, fu ufficialmente riconosciuta un’importante revisione dello statuto del Consorzio138. Tale revisione, pur senza aumentare il contributo statale a favore di Macerata, né quelli erogati dal Comune e dalla Provincia, determinò comunque un cambiamento fondamentale per l’Ateneo maceratese Gli stipendi ai professori ordinari e straordinari, al segretario ed al bidello, nonché la retribuzione al rettore, non erano infatti più pagati dal Consorzio ma dallo Stato, a carico del quale erano anche le pensioni e gli aumenti quinquennali dei professori ordinari. In pratica, a livello di spesa lo Stato non si caricava di cifre molto diverse da quelle degli anni precedenti ma di sicuro il pagamento delle pensioni e dei quinquenni degli ordinari rappresentavano un’uscita importante alla quale lo Stato doveva far fronte. 136 Si veda a tal proposito la C.M. 1 giugno 1886 sugli abbonamenti ferroviari per gli studenti riportata in ANNUARIO (1887), pp. 95-96. Secondo quanto previsto dall’accordo, per usufruire di agevolazioni sui biglietti e sugli abbonamenti ferroviari era necessario il sussistere di alcune condizioni, quali: immatricolazione universitaria, distanza massima di 100 km tra la stazione di partenza e quella di arrivo, viaggio da svolgere necessariamente in seconda o terza classe, impossibilità di usufruire di fermate intermedie. Alcune di queste condizioni limitative, soprattutto quelle relative al modesto chilometraggio previsto dall’accordo, furono oggetto di critiche da parte degli studenti. 137 Il dato é relativo all’anno accademico 1891-1892, quando fu particolarmente alto anche il numero di laureati che toccò le 44 unità, un quasi record per tutto il periodo che intercorre tra il 1861 ed il 1901 (solo nell’anno accademico 1897-1898 si riuscì a fare meglio con 47 laureati). Si vedano i dati riportati in Elenco degli studenti e uditori iscritti nell’anno scolastico 1891-1892, ANNUARIO (1893), pp. 117-124. 138 Il documento é conservato in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Statuto del Consorzio universitario, b. 693, f. 9. Una copia é altresì presente in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 145-147. Inoltre possediamo anche la copia autonoma Università degli Studi di Macerata, Statuto pel consorzio universitario di Macerata, cit., pp. 10-14, in BCMc. 84 Capitolo secondo. La stagione postunitaria La grande novità era però rappresentata soprattutto dal riconoscimento giuridico, finalmente palese, tributato all’Università di Macerata che abbandonava quasi del tutto139 la sua condizione speciale, per essere trattata come un’università di secondo grado di stampo governativo. Il Governo nominava i professori e di conseguenza pagava anche il loro stipendio e gli eventuali contributi supplementari. L’Università di Macerata vedeva così riconosciuto un altro sacrosanto diritto. Come opportunamente osservato da Arangio-Ruiz140, comunque, la revisione dello Statuto consorziale, avvenimento estremamente positivo per le sorti dell’Università di Macerata, aveva però anche portato ad un certo irrigidimento da parte del Governo, costretto ad accettare le nuove condizioni ma malvolentieri. Essendo la cifra di 20.000 lire sempre stata considerata il maximum di sacrificio che lo Stato poteva sobbarcarsi, il successivo carico dei quinquenni e delle pensioni aveva rappresentato uno straripamento rispetto a precisi limiti, in conseguenza del quale si arrivò negli anni successivi anche a situazioni quasi paradossali. Basti pensare, ad esempio, che, quando nell’anno 1895 l’unico segretario dell’Università maceratese, che percepiva 1.800 lire, dovette essere trasferito, il Governo arrivò addirittura ad emanare un apposito decreto141 per tutelarsi da eventuali ulteriori esborsi. Sulla base della revisione dello Statuto consorziale del 1887 e di quanto stabilito dal R.D. 12 febbraio 1893, n. 54, che modificava il ruolo organico delle segreterie universitarie, il nuovo segretario non risultava pertanto più inserito nel ruolo organico del personale dell’Università di Macerata bensì in quello delle segreterie universitarie, con conseguente aumento dello stipendio a 2.000 lire mensili. Il potere centrale, però, in conformità al regime letterale dello Statuto del 1887, si rifiutò di pagare l’aumento, costringendo il Consorzio a versare nelle casse dello Stato anche la misera somma mancante di 200 lire annue. Era questa l’ennesima dimostrazione di come l’autorità centrale avesse sì fatto delle concessioni all’Ateneo maceratese, continuando però a sentirlo ed a considerarlo come un corpo estraneo non integrato nella realtà universitaria nazionale. Una situazione oggettiva che necessitava di ulteriori 139 Si veda Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 66-67. Secondo Arangio-Ruiz l’Università di Macerata rimaneva infatti in una condizione giuridica speciale per due punti. Innanzitutto per il fatto che le retribuzioni dei professori incaricati venissero ancora pagate dal Consorzio, sebbene le nomine le facesse il Governo; in secondo luogo per l’autonomia che veniva confermata all’Università in relazione alle tasse scolastiche. 140 Ibidem, p. 71. 141 R.D. 23 ottobre 1895, n. 644 – Modificazioni al ruolo organico del personale dell’Università di Macerata e delle segreterie universitarie. Tale decreto fu pubblicato in GU, 13 novembre 1895, n. 267, p. 6013. 85 Capitolo secondo. La stagione postunitaria decisi interventi al fine di sanare definitivamente quello status di inferiorità nel quale continuava a versare l’Ateneo di Macerata. Gli ultimi anni del 1800 furono peraltro caratterizzati dalle forti polemiche sollevate dal mondo docente italiano. In modo particolare, i professori delle università italiane di secondo grado avevano fatto sentire la propria voce per lamentarsi del tenore troppo misero degli stipendi a loro erogati e della disparità di trattamento rispetto ai colleghi delle Università primarie. Da qui il movimento che condusse, negli anni 1885 e 1887, al pareggiamento agli atenei primari, prima delle Università di Genova, Catania e Messina142, poi degli atenei di Siena, Parma e Modena143, attraverso una serie di “leggine” parziali che giocarono d’anticipo rispetto ai risultati di una legge quadro più ampia, in un periodo nel quale era peraltro in discussione la legge Baccelli sull’autonomia universitaria. Come sottolineato da Ilaria Porciani si stava affermando una linea politica caratterizzata dal compromesso: mentre si continuava a parlare della grande riforma onnicomprensiva, di fatto il parlamento accettava di legiferare “caso per caso” mettendo il ministero e il paese di fronte al fatto compiuto della conservazione di un sistema policentrico che […] certamente non consentiva la realizzazione di una riforma complessiva capace di tenere conto di interessi al tempo stesso di concentrazione delle risorse – e dunque di impianto di centri di ricerca forti – e di differenziazione dell’offerta formativa144. 142 Nel mese di gennaio del 1885 il ministro Coppino aveva presentato alla Camera dei Deputati una convenzione con i consigli comunali e provinciali di Genova per il pareggiamento dell’Università ligure a quelle di primo grado. Tale convenzione fu approvata il 9 dicembre 1885, ma venne riconosciuta con R.D. n. 3570 solo quattro giorni dopo, il 13 dicembre 1885, data nella quale furono riconosciute, con il medesimo R.D. anche le convenzioni con il Comune e la Provincia di Catania e di Messina per il pareggiamento delle rispettive università a quelle di primo grado. Si veda tale decreto in BUMPI (1887), II, n. 6, pp. 531-546. Sul pareggiamento dell’Università di Messina si veda poi in particolare D. Novarese, Da Accademia ad Università. La rifondazione ottocentesca dell’Ateneo messinese, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., pp. 59-79; su quello dell’Università di Genova si rimanda a P. Massa, Università degli Studi di Genova, in Brizzi-Del Negro-Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., vol. III, pp. 371-378; infine per le vicende relative all’Ateneo di Catania si rimanda a G. Giarrizzo, Università di Catania, ivi, cit., vol. III, pp. 277-284. 143 Le tre università citate furono pareggiate a quelle di primo grado, mediante l’assunzione di impegni finanziari da parte di enti e istituti di credito locali. Il pareggiamento fu riconosciuto con R.D. 14 luglio 1887, n. 4745, in CC, LXVI, 42, pp. 1354-1357. Tale decreto fu pubblicato anche in GU, 26 luglio 1887. Sul pareggiamento dell’Ateneo di Siena si veda in particolare I. Porciani, Un ateneo minacciato: l’università di Siena dall’Unità alla prima guerra mondiale, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena», XII (1991), pp. 97-129 e XIII (1992), pp. 271-288. Per le vicende storiche relative agli atenei di Parma e Modena si rimanda invece rispettivamente a C. Antinori, M.C. Testa, L’Università di Parma. Storia di un millennio, Parma, Maccari, 1999 e C.G. Mor, P. Di Pietro, Storia dell’Università di Modena, Firenze, Olschki, 1975. 144 Cfr. I. Porciani, L’eccezione e la regola: l’università italiana dell’Ottocento tra norma scritta e prassi quotidiana, in A. Romano (a cura di), Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo ai 86 Capitolo secondo. La stagione postunitaria É opportuno comunque precisare in questa sede che la parola “pareggiamento” stava ad indicare in quegli anni una vera e proprio conquista per atenei notoriamente meno “considerati” dal potere centrale. Da quel momento in poi, infatti, tali università di secondo grado riuscivano ad ottenere l’equiparazione a quelle di primo, eliminando così quanto stabilito da Matteucci nel 1862, con il conseguente livellamento degli stipendi dei professori, appartenenti alla medesima categoria. In pratica, effetto del pareggiamento era l’abolizione di una gerarchia legale fra le università, che divenivano pertanto uguali di fronte alla legge. Anche a Macerata si iniziò a sentire l’esigenza impellente di addivenire a tale risultato, soprattutto alla luce del fatto che ancora una volta l’Ateneo marchigiano era rimasto indietro rispetto ad altre università di secondo grado, pareggiate, come viste, a quelle primarie. Il 7 luglio 1886, sotto il primo rettore socialista145 Niccolò Lo Savio, il preside della Facoltà giuridica, Giuseppe Brini, a nome di tutti i professori dell’Ateneo maceratese, inviò al sindaco di Macerata una lettera146 per esprimere il proprio senso di insoddisfazione davanti alla situazione in cui versava il centro maceratese, una situazione di manifesta inferiorità rispetto ad altri atenei e che stava sempre più costringendo i docenti a lasciare Macerata per cercare altrove la propria fortuna professionale147: I professori – sosteneva Brini – si sentono a disagio e offesi e mal affidati da questa condizione di cose. Essi, che, per le forme con cui furono nominati, comuni a tutte l’altre Università, e pel modo com’é redatto questo Statuto consorziale, non potevano sospettare una diversa e peggior condizione di quella, che si abbiano i professori delle altre Università governative. E poiché questa condizione di cose, nostri giorni strutture, organizzazione funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 625-635 (cit. a p. 634). 145 Per la connotazione politica dell’Università di Macerata e delle altre due università marchigiane di Urbino e Camerino in questo periodo ma anche nei successivi, si veda Fioretti Università, seminari e scuole tecniche: la via marchigiana all’istruzione, cit., p. 747-748. 146 Si veda G. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al sindaco di Macerata (Macerata, 7 luglio 1886), Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1886, p. 7 (l’originale della lettera è conservato in BCMc). 147 Nell’anno accademico 1886-1887 a lasciare l’Ateneo di Macerata fu proprio il prof. Giuseppe Brini che, vincitore del concorso, andò ad insegnare a Parma Istituzioni di diritto romano. Restò invece a Macerata, dietro pressioni della Commissione amministrativa del Consorzio, Raffaele Pascucci, fresco vincitore di concorso per la cattedra di Procedura civile presso l’Università di Messina. L’anno successivo Pascucci, divenuto ordinario, fu nominato rettore dell’Ateneo maceratese. 87 Capitolo secondo. La stagione postunitaria non ostante le loro sollecite, continue e vive insistenza, ancora non cessa, viene loro sembrando, che non resti a loro modo di liberarsene e difendersene, se non che partendo148. In tal modo il preside cercava di evidenziare una connessione diretta tra lo stato di precarietà finanziaria e la difficoltà nel riuscire a trattenere ma anche a reclutare i migliori docenti. Inoltre si rimproverava a Comune, Provincia e cittadinanza intera di «sentire» l’Università come un qualcosa di estraneo e personale, ad uso esclusivo dei professori, contrariamente a quanto stava accadendo invece in altre città italiane, dove gli enti locali si stavano adoperando a favore del pareggiamento degli atenei di second’ordine: In questi giorni un Decreto reale autorizza S.E. il Ministro della pubblica istruzione a presentare al Parlamento una legge, colla quale le Università di Siena, Parma e Modena siano elevate al grado di Università di prim’ordine; cioé siccome lo furono nello scorso anno quelle di Genova, Catania e Messina. E questo provvedimento […] é reso possibile da più cospicuo concorso di spese, che viene offerto dai comuni, dalle province e da qualche altro ente locale, vigili ed efficaci custodi dei locali istituti, cui amano e pregiano grandemente e cui vogliono preservare, rafforzandoli, di fronte agli altri nella nobile concorrenza. Così nel continente tutte quante le università governative fin qui di second’ordine, hanno pensato a non rimanere ultime; il che anche significa, che hanno pensato a ben salvarsi […] Una sola é al tutto fuori di tal movimento: questa di Macerata!149 L’invito dei professori maceratesi dunque era chiaro: sulla scia delle altre recenti esperienze, bisognava agire immediatamente per non perdere l’occasione propizia. Se quest’ Università di Macerata verrà con le altre a domandare l’elevamento, l’ottenerlo non potrà esserle difficile; mentre, se dovesse venirvi solo di poi e da sola le sarebbe, per certo, troppo difficile e forse insuperabile […]. Tempo, a che la città e la provincia possano adoprarsi e fare per questa Università, ve n’ha appunto abbastanza; il momento opportuno a deliberare ed agire, é appunto questo150. Proprio in questo clima di forte rivendicazione, l’Università di Macerata era intanto pronta a rafforzare la propria posizione, ribadendo una tradizione plurisecolare in vista del compimento del sesto centenario di vita dell’Ateneo che sarebbe stato festeggiato nell’anno 1890151. Era pertanto necessario onorare nel miglior modo 148 Cfr. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al Sindaco di Macerata, cit., pp. 2-3. Ibidem, pp. 3-4. 150 Ibidem, p. 7. 151 Anche in questo caso, parlando di seicentenario, tornerebbe il canonico riferimento alla leggendaria data di fondazione dell’Ateneo del 1290 (si veda in proposito R. Foglietti, Origine dello Studio maceratese, Macerata, Unione Cattolico Tipografica, 1905) e non a quella reale del 1540. Per un’analisi 149 88 Capitolo secondo. La stagione postunitaria possibile un simile evento, magari con l’organizzazione di festeggiamenti ad hoc o addirittura con la creazione di qualcosa di estremamente duraturo, capace di testimoniare la gloriosa storia dell’Ateneo. Nei mesi di marzo ed aprile del 1890, sul giornale «Il Vessillo delle Marche», quattro numeri152 furono dedicati ad un entusiasmato dibattito tra studenti e docenti su come onorare adeguatamente il seicentenario153. La proposta principale, accolta con favore da tutti, fu quella di posticipare i festeggiamenti di un anno154, in modo da farli coincidere con l’inaugurazione dell’Esposizione agricola regionale del 1891 e soprattutto con la speranza di un imminente pareggiamento dell’Ateneo che avrebbe generato maggiore disponibilità economica e la possibilità di migliorare le aule e le dotazioni dell’Università, visto che: «i locali dell’ateneo non sono un cimitero ma neppure una reggia»155. Inoltre, in quell’arco di tempo di oltre dodici mesi, si sarebbero potuti raccogliere contributi economici ancora più sostanziosi per un’eventuale festa, magari convincendo proprio il Consorzio ad aumentare il già previsto contributo di 5.000 lire o la Provincia ed il Comune a discostarsi dalle 3.000 lire promesse. Il mese prescelto per la festa era quello di giugno, periodo nel quale docenti e studenti si sarebbero trovati in città, contrariamente a quanto sarebbe accaduto invece ad ottobre, periodo nel quale sarebbe in realtà caduto il vero e proprio anniversario visto che nel lontano 1290 il Comune di Macerata aveva invitato i comuni limitrofi ad assistere alle lezioni di Giulioso da Montegranaro, bandendo sedici giorni di festa proprio dall’1 al 16 di ottobre. Tra tanti buoni propositi e coraggiose raccolte di fondi non si arrivò però a nulla di concreto visto che dai documenti del tempo non risultano festeggiamenti né nel 1890, né nell’anno successivo. E’ però Domenico Spadoni, nel 1900, a darci notizia di un importante avvenimento che accadde proprio dieci anni prima: più attenta sulla questione delle origini dello studio maceratese si rimanda a G. Borri, R. Lambertini, Macerata: la questione delle origini dell’Università e l’insegnamento superiore nelle Marche tra Due e Trecento, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 67-87. 152 Gli articoli dedicati ai festeggiamenti del sesto centenario dell’Università di Macerata li troviamo sui numeri 15, 16, 17 e 19 de «Il Vessillo delle Marche» rispettivamente del 26 marzo, 4 aprile, 12 aprile e 26 aprile (anno XXX). 153 Sulle proposte di studenti, docenti, notabili cittadini relativamente ai festeggiamenti per il sesto centenario dell’Ateneo maceratese sono altresì presenti molti documenti in ASMc, Università, Verbali delle adunanze, commissioni universitarie, riunioni del consiglio sanitario, Adunanze del Consiglio di facoltà, b. 695, f. 70. 154 In Relazione sulle vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1889-90 letta dal Rettore Carlo Calisse per la inaugurazione del nuovo corso accademico[1890-1891], ANNUARIO (1891), pp. 12-13, si preannunciava un probabile «differimento della solennità, per assicurarle una riuscita quale richiede l’avvenimento, grande per sé, e tale da trarre su di noi la particolare attenzione dell’Italia e dell’estero». 155 Cfr. «Il Vessillo delle Marche», XXX (26 marzo 1890), 15, p. 2. 89 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Si poté celebrare il centenario della nostra Università, se non con feste e spettacoli, con la costruzione di un’Aula Magna, la quale per isfarzo superbo di affreschi e di intagli, sta certo fra le primissime delle università italiane – vero tempio della scienza, che rimarrà, se non altro, monumento dell’amore di una città per le sue nobili tradizioni e della sua fede ostinata nel proprio avvenire156. Fu dunque nell’anno 1890, e precisamente nel mese di agosto, che iniziarono i lavori per la costruzione di un’elegante Aula Magna, come auspicato dal rettore Raffaele Pascucci per far fronte al problema degli obsoleti locali universitari157. Il disegno architettonico e decorativo fu affidato al professor Giuseppe Rossi, l’ingegner Italiano Bezzi ebbe la direzione dei lavori di fabbrica (affidati per l’esecuzione materiale ai fratelli Angelo e Luigi Torresi) mentre della decorazione pittorica si occupò l’artista Giulio Rolland158. Inaugurata, seppur ancora spoglia di pitture e decorazioni già nel novembre del 1890, essa poi fu abbellita con sontuosi affreschi nei due anni successivi sotto il rettorato di Carlo Calisse159. In poco tempo160 Macerata era riuscita a dotarsi di un’Aula Magna che tutti le avrebbero invidiato e che sarebbe sicuramente servita a conservare nel tempo la memoria di una tradizione accademica plurisecolare, presunta o reale che fosse161. Grandiosa opera – la definì il rettore Enrico Serafini – piena di pensiero, in cui l’armonia delle linee architettoniche […], le immagini degli antichi maestri, la sapiente colleganza di concetti astratti, espressi in forma allegorica, coi ricordi vivi, che riconnettono la storia dell'Ateneo alla storia della città, 156 Cfr. D. Spadoni, La nostra università: cenno storico, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1900, p. 11. L’Università di Macerata si trovava sin dagli inizi del 1800 in un palazzo dove una volta avevano sede i chierici regolari di San Paolo, detti comunemente Barnabiti. In questi locali trovavano collocazione anche le scuole elementari femminili che, dal 1892, furono spostate altrove. 158 I documenti e le note di spesa relativa alla costruzione dell’Aula Magna ed al restauro dei locali universitari sono conservati in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, regg. nn. 540 e 541; ASMc, Università, Conti consuntivi, Pagamenti per lavori Aula Magna 1891-1893, bb. 600 e 601; ASMc, Università, Registro mandati e contabilità, Spese relative alla costruzione dell’Aula Magna, bb. 645, 646 e 648. 159 Carlo Calisse fu rettore della Regia Università di Macerata dall’1 marzo 1890 al 30 novembre 1892. Egli arrivò presso l’Ateneo maceratese nel 1886-1887 in qualità di straordinario di Storia del diritto italiano. Divenuto ordinario nel 1889-1890, vi rimase fino al novembre 1892. Fu altresì incaricato di Storia del diritto romano dal 1886-1887 al 1890-1891 e di Diritto ecclesiastico nell’anno accademico 1891-1892. 160 Sulla celerità della costruzione dell’Aula Magna, utilizzata già in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1890-1891, si ricorda: «La celerità del lavoro fu veramente straordinaria, tenuto conto che non solamente si dovettero fare in vecchio fabbricato importanti demolizioni, rinforzare i muri e il tetto, costruire nuove pareti, aprire finestre, lastricare il pavimento; ma che, nel giorno dell’inaugurazione, era pure ultimato il soffitto a cassettoni in legno, erano collocate le sei grandi porte, ed erano compiuti nelle pareti tutti i rilievi architettonici». Cfr. A.B., Aula Magna della Regia Università di Macerata, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1893, in BCMc, pp. 4-5. 161 Sull’imponenza, sul prestigio e sul valore simbolico dell’Aula Magna si vedano ibidem o anche Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 92-96. 157 90 Capitolo secondo. La stagione postunitaria tutto contribuisce a tener sollevato l'animo, a richiamarlo a ripensare la nobile secolare continuità di tulle le manifestazioni ideali dell’ingegno italiano e dire ai giovani, che qui si appressano desiderosi del sapere «in alto i cuori; o generazioni italiane crescenti!162 Questo miglioramento dei locali universitari non poteva però ovviamente essere sufficiente ad accrescere il peso dell’Ateneo su scala nazionale, tanto che negli anni Novanta l’Università di Macerata si ritrovò a fare i conti con non poche avversità. Nell’ultimo decennio del XIX secolo, infatti, voci molto autorevoli continuarono a levarsi per scongiurare la sopravvivenza di università modeste, periferiche e mal dotate per poter impartire un insegnamento davvero proficuo. Nel 1890 era stato il filosofo Carlo Cantoni a denunciare l’impotenza legislativa del Parlamento in materia universitaria e a criticare l’opera dei ministri costretti da questa stessa impotenza ad agire: per via di decreti reali e di regolamenti, i quali o erano per solito in contrasto con la legge o riuscivano mezze misure, ed in ogni caso non producevano nulla di durevole e di vitale163. Egli aveva poi individuato una delle cause principali di questa situazione nell’ impossibilità di riordinare il lascito, sul terreno universitario, degli antichi Stati e dei governi provvisori: Il provvedimento più razionale, quello di ridurre le Università italiane ad un giusto numero, facendole poi tutte complete, trova un ostacolo insormontabile negli interessi politici e locali. Ed io credo che a questi medesimi interessi vengano posposti gli interessi scientifici, sacrificando le Università complete alle facoltà o istituti isolati164. Nel frattempo, a Macerata, per far fronte alle crescenti esigenze economiche e per dimostrare al potere centrale una certa vivacità da parte degli enti locali, il consiglio comunale e quello provinciale avevano deliberato nel 1893, dopo circa tre anni di discussioni ed infiammate riunioni consiliari e provinciali165, di aumentare a 17.500 lire 162 Cfr. Relazione del Rettore Enrico Serafini per la inaugurazione del nuovo corso accademico [18931894], ANNUARIO (1894), pp. 9-10. 163 Cfr C. Cantoni, Dell’unione e libertà degli studi nelle nostre Università, in In memoria di Carlo Cantoni, Pavia, Tipografia Bizzoni, 1908, p. 560. 164 Ibidem, p. 563. 165 Si veda in proposito La Provincia di Macerata. Cenni Storici, Amministrativi, Statistici, Macerata, Stab. Tipografico Fratelli Mancini, 1906, pp. 179-180. Inizialmente l’aumento del contributo doveva essere limitato ai soli anni accademici 1891-1892 e 1892-1893. 91 Capitolo secondo. La stagione postunitaria il contributo annuo a carico di ciascun ente. A spingere Comune e Provincia ad assumere tale generosa decisione erano state senza dubbio le promesse del ministro Paolo Boselli che, nel giugno del 1890, dietro la richiesta da parte di una commissione maceratese voluta da enti locali ed Ateneo, aveva garantito al deputato Lazzarini di essere disponibile a proporre un aumento di 10.000 lire sull’assegno annuo a favore dell’Ateneo marchigiano a partire dal 1891-1892166. Tale atto suscitò un fervente dibattito tra chi lo considerò come una forma di grande magnanimità ed onestà intellettuale di Boselli e chi, invece, come il settimanale locale «Il Risveglio», lo definì quale un gesto dovuto dallo Stato che «non ha fatto altro se non rendere a questo ente la centesima parte di ciò che per altri aveva già compiuto»167. In realtà tale promessa di Boselli non fu poi mantenuta dal suo successore Pasquale Villari a causa delle ristrettezze finanziarie in cui versava il Governo. Lo stesso nuovo ministro della Pubblica Istruzione, in una lettera datata 25 giugno 1891 ed indirizzata al Sindaco di Macerata168, spiegò che la cancellazione dal bilancio della somma di 10.000 lire proposta a vantaggio dell’ateneo di Macerata non fu assolutamente dettata da preconcetti ostili nei confronti dell’Università ma unicamente dalle necessità finanziarie169. In ogni caso, però, Villari invitò il Comune a portare avanti la propria opera di sostegno a beneficio dell’Università e a valutare le proposte di soppressione di alcuni atenei avanzate in quei giorni in Parlamento solo come un problema già noto e non come un nuovo attacco rivolto specificatamente né a priori all’Università di Macerata. Il suo invito fu raccolto sia dal Comune che dalla Provincia che, nonostante la mancata promessa del Governo, tra l’agosto ed il settembre del 1893170 disposero ugualmente 166 Di tale promesso aumento ne parlò anche il rettore Calisse in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1890-1891: « Ricordiamo che quando Municipio e Provincia, e questa nella persona stessa del Presidente del suo Consiglio, il Comm. Papi, al quale pure l’Università deve molto, inviarono una commissione al Ministro, per chiedergli che anche lo Stato aumentasse la sua contribuzione per l'Università; ricordiamo che allora i signori Deputati si unirono a questa commissione, e insieme ad essa ottennero che il Ministro accogliesse favorevolmente la domanda a lui rivolta». Cfr. Relazione sulle vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1889-90 letta dal Rettore Carlo Calisse per la inaugurazione del nuovo corso accademico[1890-1891], cit., pp. 9-10. 167 Cfr. «Il Risveglio» I (14 settembre 1890), 31, p. 2. Era questo un settimanale di informazione pubblicato a Macerata ogni domenica del mese. 168 ASMc, Università, Miscellanea, Corrispondenza varia, b. 711, f. 259. 169 Ibidem. 170 Si veda in particolare Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 30 agosto 1893, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1893, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1894. In tale seduta del consiglio provinciale vi fu il voto unanime dei 31 consiglieri, tutti favorevoli all’aumento del contributo a favore del Consorzio. 92 Capitolo secondo. La stagione postunitaria l’aumento del proprio contributo a favore del Consorzio per migliorare l’assetto dell’Ateneo. Del resto, l’atto di Boselli, seppure senza esiti, lasciava ben sperare per il futuro. Esso aveva dimostrato palesemente che lo Stato, se in condizioni economiche floride, avrebbe potuto aumentare senza problemi quel fatidico assegno di 20.000 lire, da non considerare pertanto più immutabile come in passato. Il ministro Villari aveva però lanciato nella sua lettera anche un indiretto ma pericoloso segnale d’allarme: in Parlamento si stava nuovamente radicando l’idea della necessità di una drastica riduzione delle sedi universitarie. Macerata sarebbe stata, come al solito, una delle candidate principali alla cancellazione definitiva. Già il 12 marzo 1891, infatti, il deputato Sebastiano Turbiglio, convinto “riduzionista” del numero delle università ed autore nel 1888 di un interessante saggio dal titolo L’ università di Stato e le università autonome171, aveva presentato alla Camera un disegno di legge172 per diminuire ad un massimo di dieci le Università regie, quale premessa ad un successivo riordinamento generale dell’istruzione superiore e nell’intento di concentrare nei capoluoghi di provincia gli istituti di istruzione secondaria173. Tra perplessità e forti opposizioni, la Camera decise di prendere in considerazione il progetto ma la commissione incaricata di esaminarlo lo respinse, proponendo invece all’assemblea un ordine del giorno per la riduzione del numero delle facoltà e non degli atenei. Esse sarebbero state tredici per Giurisprudenza e Medicina, dieci per Scienze ed otto per Lettere. Il relatore Luigi Roux, sottolineando l’intima connessione tra la questione del numero delle università e le esigenze parlamentari, giustificò così la scelta di respingere le idee di Turbiglio e soprattutto la nuova proposta avanzata: Specialmente in un Parlamento a base elettiva – commentava Roux – il difficile non sta nell’affermare che occorre questo o quell’altro; ma nel raggiungere una meta (e qui la riduzione delle Università) senza commettere ingiustizie, senza offendere troppo interessi locali, senza troncar tradizioni 171 Si veda S. Turbiglio, L’Università di Stato e le università autonome, Milano-Roma, Editore Trevisini, 1888. In tale saggio l’autore auspicava, da un lato, una Università di Stato che promuovesse il progresso della scienza e finanziata dalle rilevanti tasse imposte agli studenti; dall’altro, università professionali, autonome, in quanto sostenute da enti locali interessati all’erogazione di un sapere legato alle proprie specifiche vocazioni. In pratica si scindevano le università a scopo professionale da quelle a scopo scientifico. 172 Per il disegno di legge Turbiglio, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891, Documenti, n. 97; per il successivo dibattito in aula, si veda AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891, Discussioni, tornata del 12 marzo 1891, pp. 804-815. 173 Sul disegno di legge presentato da Turbiglio si vedano M. Moretti, La questione delle piccole Università dai dibattiti di fine secolo al 1914, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., pp. 19-44; Tomasi, Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale (1861-1923), cit., pp. 46-47. 93 Capitolo secondo. La stagione postunitaria e abolire Istituti che sono giusto orgoglio di città e regioni […]. La proposta che noi facciamo ha un altro vantaggio speciale: quello di turbare meno il presente ordinamento e di conciliare il vantaggio della scienza con gli interessi locali […]. E’ inutile dissimulare una verità che l’esperienza di tanti anni ha posta sempre più in evidenza: nel sistema parlamentare é impossibile trattare e risolvere le questioni con formule assolute e con fini esclusivamente obiettivi. Questo può parere talvolta un incaglio, ma noi pensiamo sia più sovente un utile freno alle innovazioni troppo radicali e repentine174. Alla sventata insidia, però, fece seguito un pericolo ancora più grande rappresentato dall’ascesa al ministero della Pubblica Istruzione del giornalista e scrittore Ferdinando Martini, fermo sostenitore della teoria abolizionista, che rimase in carica per diciannove mesi dal 15 maggio 1892 al 15 dicembre 1893. Per Macerata fu quello un periodo estremamente difficile, nel quale tutte le componenti cittadine dovettero mostrarsi coese ed agguerrite per sventare la nuova minaccia di soppressione dell’Ateneo. Con la collaborazione di Carlo Francesco Ferraris, autore di importanti studi statistici sull’università italiana tra Otto e Novecento175, il neo ministro intendeva infatti presentare un progetto di legge (poi in realtà rimasto nel cassetto e pubblicato in volume solo nel 1895176) il cui punto principale sarebbe stato rappresentato dall’abolizione delle università di Messina, Modena, Parma, Siena, Sassari e Macerata, con il conseguente mantenimento di soli undici atenei governativi nazionali: Bologna, Torino, Pavia, Padova, Genova, Pisa, Roma, Napoli, Palermo, Catania, Cagliari. A questi centri superstiti sarebbe stato garantito ogni eventuale completamento, concentrando «così l’impiego delle risorse necessarie al mantenimento del personale ed alle crescenti esigenze dell’attività di ricerca all’interno delle università»177. Si escludeva, inoltre, categoricamente l’opportunità ipotizzata negli anni precedenti dell’apertura di un nuovo ateneo nel Mezzogiorno. 174 Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1890-1891, Documenti, n. 97 A, pp. 3-5. Si ricorda in tal senso soprattutto C.F. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori. «Annali di statistica», serie V, VI (1913). 176 Si veda F. Martini, C.F. Ferraris, Ordinamento generale degli Istituti d’istruzione superiore. Studi e proposte, Milano, Hoepli, 1895. Tale progetto di legge doveva essere presentato alla Camera nella sessione 1892-1893 ma in realtà ciò non avvenne e così i due autori decisero di pubblicarne il contenuto, due anni dopo, nel volume sopra indicato. Sul progetto di legge ideato da Ferdinando Martini e Carlo Francesco Ferraris si vedano M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 93-114; Moretti, La questione delle piccole Università dai dibattiti di fine secolo al 1914, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., pp. 28-32; Porciani-Moretti, La creazione del sistema universitario nella nuova Italia, cit., pp. 349-352. 177 Cfr. Moretti, La questione delle piccole Università dai dibattiti di fine secolo al 1914, in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., p. 28. 175 94 Capitolo secondo. La stagione postunitaria La proposta di Martini, alla cui base vi era il tentativo di risposta alla domanda retorica «Ha l’Italia bisogno propriamente di tanti atenei?», cercava in pratica di realizzare una nuova distribuzione territoriale delle università in rapporto alla popolazione delle diverse regioni, scartando sia l’ipotesi di considerare “sezioni” di un’unica università facoltà di sedi vicine, sia quella di ridurre il numero delle facoltà di università esistenti. In pratica, Martini e Ferraris si basavano su indagini statistiche condotte sul numero degli studenti iscritti, sul costo di ogni studente in ciascuna sede, sulla popolazione delle diverse regioni italiane e sui confronti con la situazione di altri Paesi stranieri (Germania in primis). Con le soppressioni auspicate l’Italia avrebbe infatti avuto un’università ogni 2.741.673 abitanti, anziché una ogni 1.774.024, con un rapporto molto simile a quello esistente nel territorio tedesco dove esisteva un ateneo ogni 2.471.423 abitanti178. Per Martini, infatti, le Università italiane erano troppe, quasi dappertutto [dotate di] locali angusti e disadatti; dappertutto vi é deficienza di materiale scientifico, esiguità di dotazioni. La spesa che importano é insufficiente ai bisogni, ma né lo Stato, né gli enti locali sono oggi in grado di tollerarne una maggiore179. Era pertanto necessario mettere in atto un processo di risanamento del sistema dell’istruzione superiore, pur nella consapevolezza di potersi in tal modo scontrare con gli interessi provinciali e municipalistici della borghesia italiana. Aldilà della condivisibilità o meno del progetto, un’obiezione potrebbe essere immediatamente mossa alle idee del ministro Martini. Un problema ampio come quello della questione universitaria italiana non poteva, infatti, né definirsi, né impostarsi su mere condizioni di carattere statistico e su improbabili confronti con altri Paesi, che presentavano peraltro realtà universitarie diverse. Seguendo esclusivamente il criterio dei dati, delle cifre e delle proporzioni, infatti, tutte le attenzioni del Ministro si sarebbero dovute spostare sull’Italia meridionale, dove 7.640.808 abitanti si sarebbero comunque ritrovati a gravitare, secondo il progetto Martini, atenei isolani esclusi, sulla sola Università di Napoli, creando una notevole sperequazione rispetto ad altre realtà accademiche nonché un marcato sovraffollamento. 178 Per analizzare nel dettaglio le tesi di Martini e i dati statistici a sostegno di ciascuna di esse, si vedano anche F. Martini, Le Università, «Nuova Antologia», CXXXIV (15 marzo e 1 aprile 1894), pp. 193-209 e pp. 385-407. 179 Ibidem, p. 193. 95 Capitolo secondo. La stagione postunitaria Più condivisibile appare invece la polemica di Martini contro l’impostazione autonomistica auspicata dal ministro Baccelli. Una vera autonomia degli atenei sarebbe stata possibile solo con forti rendite proprie, mentre le dotazioni fisse, insufficienti ad assicurare un adeguato livello di sviluppo scientifico alle università, avrebbero consentito alle sedi minori di continuare a vegetare, anche perché non era lecito attendersi ancora molto dal contributo degli enti locali, già pesantemente impegnati e prossimi ad una soglia massima. Inoltre tale sistema autonomistico, secondo Martini auspicabile peraltro solo dopo la riduzione degli atenei, avrebbe favorito anche il pericolo «di una feroce lotta per l’esistenza fra le università»180 mentre sarebbe stato opportuno schierarsi dalla parte di chi vuole escludere quella brutale vicenda del mondo animale dall’ambiente scientifico e non desidera che le università si facciano concorrenza per chiamare allievi con il mezzo vigliacco di promuovere chiunque si presenti agli esami181. Anche nei confronti specifici dell’Università di Macerata, il ministro muoveva degli attacchi diretti al fine di giustificare la propria volontà di sopprimerla: Esistono in Italia atenei con situazioni fuori dalla norma. […] a Macerata, dove é la Facoltà di giurisprudenza e non quella di medicina, come si può lì impartire l’insegnamento della medicina legale senza istituire laboratorii e gabinetti o rinunziare addirittura alle dimostrazioni sperimentali?182. Macerata, dunque, nuovamente nell’occhio del ciclone, come già accaduto in passato in diverse occasioni. In tale frangente, però, la reazione dell’intera comunità maceratese fu dura ed estremamente compatta. Nella seduta dell’11 gennaio del 1893, dopo che sul finire dell’anno precedente l’illustre studioso Luigi Rossi aveva difeso in un suo dettagliato lavoro183 le ragioni 180 Si veda Martini-Ferraris, Ordinamento generale degli istituti d’istruzione superiore. Studi e proposte, cit., pp. 31-40. 181 Ibidem, p. 158. 182 Cfr. Martini, Le Università, «Nuova Antologia», cit., pp. 199-201. 183 Il riferimento é al testo L. Rossi, La riduzione delle Università in Italia, Bologna, Zanichelli, 1892. In tale lavoro Rossi, soffermandosi sui guasti didattici e disciplinari ormai esistenti nelle grandi sedi, difendeva le piccole università sia per la loro buona produttività nel campo della preparazione generale e professionale, sia per il loro ruolo di centri di diffusione della cultura in una realtà nazionale molto debole in questa direzione. Inoltre auspicava una sempre maggiore specializzazione degli atenei minori verso specifici ambiti disciplinari, citando come esempio proprio l’Università di Macerata che aveva concentrato le proprie risorse economiche sulla sola Facoltà giuridica. Particolarmente utile, sempre tra i difensori degli atenei minori, é l’analisi condotta pochi anni dopo da T. Mozzani, Questione universitaria. Ricerche statistiche, «L’Unione universitaria», II (1895), 2-3, pp. 65-100. 96 Capitolo secondo. La stagione postunitaria delle piccole sedi universitarie, indicando proprio Macerata quale esempio di ateneo abile a specializzarsi in uno specifico ambito disciplinare (il diritto), il consiglio comunale di Macerata manifestò il proprio disappunto per la situazione venutasi a creare, accusando il ministro di compiere un «atto ingiusto e non legittimato né da ragioni di ordine tecnico, né da necessità finanziarie»184. Infatti, secondo il consiglio comunale, il numero di studiosi e professori maceratesi era aumentato costantemente negli ultimi anni mentre a sostenere economicamente l’ateneo aveva provveduto principalmente il Consorzio locale. «Perché dunque compiere ulteriori empietà ingiustificate nei confronti di una città già sottoposta in passato a gravi sacrifici materiali e morali?»185. Sulla stessa scia del consiglio comunale si pose il 29 gennaio il comizio cittadino che, ribadendo la strategica posizione geografica di Macerata nonché la gloriosa storia dell’Ateneo, protestava contro il progetto di abolizione dell’Università, minacciando le dimissioni in massa di tutte le rappresentanze elettive ed il blocco di ogni attività della pubblica amministrazione186. A questi due interventi fecero seguito cortei e manifestazioni di piazza, tutti con il palese obiettivo di respingere la malsana idea ministeriale. L’intera comunità di Macerata era dunque uscita allo scoperto, sfogando la propria rabbia per un copione già recitato più volte dai vari ministri avvicendatisi alla Minerva e dall’epilogo futuro sicuramente non piacevole. Anche nelle altre città, sedi delle università minacciate di soppressione, però, la situazione non appariva troppo diversa187. Per la prima volta, forse, fu tutto il nucleo cittadino a muoversi, senza alcuna esclusione. Qualcuno per la difesa di un ideale, altri per il proprio tornaconto personale. Fra le delegazioni che si presentarono al Martini ve ne fu addirittura anche una che rappresentava gli affittacamere ed i proprietari delle trattorie, categorie che vivevano grazie agli studenti universitari. I deputati locali invece non avevano altro pensiero che quello di sostenere le richieste dei propri elettori, pena la mancata rielezione nelle legislature successive. 184 Il documento é conservato in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata, b. 715, f. 295. 185 Ibidem. 186 Ibidem. 187 Molto interessante é quanto riportato da Ilaria Porciani che ha dimostrato l’instaurarsi di una serie di contatti tra le piccole università minacciate dai tentativi riduzionistici promossi soprattutto da Martini. Si veda a tal proposito Porciani, Un ateneo minacciato: l’università di Siena dall’Unità alla prima guerra mondiale, cit. In proposito esistono anche in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata, b. 715, f. 295. diversi documenti che attestano tali forme di collaborazione nella protesta. 97 Capitolo secondo. La stagione postunitaria In questo clima di aperta contestazione il progetto di Martini non arrivò neppure alla discussione alla Camera. Come affermato da Arangio Ruiz, quanto accaduto, era l’evidente dimostrazione che «si sopprimono i Ministri ed i Ministeri ma non le università»188. L’anno successivo, nel 1894, Pio Sabbatini, fedele sostenitore della teoria conservatrice delle università, sferrò un ulteriore attacco all’indirizzo dell’idea abolizionista di Ferdinando Martini, ormai però già sostituito al ministero da Guido Baccelli: E’ un assurdo in termini pretendere di abolire alcune Università per concentrarle in altre, con manifesta violazione dei diritti e degli interessi degli enti stessi a cui si fa subire questa decapitazione. Ma giova sperare che il sentimento della giustizia prevalga sopra ogni altra considerazione e sia risparmiata ai centri minori una jattura le cui conseguenze morali, politiche ed economiche non possono facilmente prevedersi né valutarsi189. L’ennesimo tentativo di sopprimere alcuni atenei italiani era dunque fallito e Macerata poteva tornare a concentrarsi unicamente su quell’obiettivo ritenuto fondamentale per l’effettivo e completo rilancio dell’Ateneo: il pareggiamento alle università di prim’ordine. 188 Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 74. Cfr. P. Sabbatini, Il decentramento e la questione universitaria, Modena, Società tipografica modenese 1894, p. 19. 189 98 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento CAPITOLO TERZO TRA OTTO E NOVECENTO Uno dei fatti scolastici più rilevanti dell’anno scolastico ora terminato, e che io noto a Voi con sempre nuovo compiacimento, si fu il numero dei giovani, che, venuti da ogni regione italiana, si inscrissero come studenti in questa Università. In verità, non mai prima dell’anno decorso il nostro istituto raggiunse la cifra di 282 alunni, quale risulta dai nostri registri; cifra, si noti subito, superiore di 96 a quella dell’anno precedente. Né questo del progressivo incremento nel numero dei giovani è un fatto eccezionale e isolato, ma, se non temessi di abusare del vostro tempo, potrei dimostrarvi che esso si è verificato in tutto l’ultimo decennio, e più innanzi ancora. […] Non v'ha dubbio che siffatto progressivo aumento nel numero degli alunni ha una significazione profonda e complessa, e cioè che la Università nostra è venuta acquistando fama e onore intorno a sé; e, notevole a dirsi, proprio in quel periodo di tempo in che più ha imperversato la furia distruggitrice delle università così dette minori. […] E qui mi preme rilevare, non dirò a protesta di chi disse dovuto a cause artificiali l’aumentare dei nostri giovani, ma in omaggio alla verità, che l’aumentare della nostra scolaresca coincide proprio con quel periodo di tempo in cui in altri centri di studio, e appunto i maggiori, avvennero tumulti e perturbazioni che impedirono il retto andamento degli studi e della scuola: e ciò a compenso della tranquillità esemplare che sempre regnò sovrana in questa buona e disciplinata scolaresca1. Con queste eloquenti parole, caratterizzate da un sottile venatura polemica, il 3 novembre 1895 il prof. Pio Barsanti2, originario di Lucca, professore ordinario di Diritto e procedura penale, nella sua qualità di nuovo rettore della Regia Università di Macerata (subentrava al prof. Enrico Serafini, lombardo, che aveva ricoperto tale carica nel triennio precedente3), inaugurava l’anno accademico 1895-1896. Dopo i vani tentativi del ministro Ferdinando Martini di ridurre il numero degli atenei italiani, la vita dell’Ateneo maceratese sembrava poter riprendere più florida che mai, rafforzata forse 1 Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896], ANNUARIO (1896), pp. 9-11. 2 Pio Barsanti fu docente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Macerata per 41 anni, a partire dall’anno accademico 1881-1882. Divenuto professore ordinario di Diritto e procedura penale nell’autunno del 1890, insegnò fino all’anno accademico 1922-1923, tenendo fra l’altro per incarico anche gli insegnamenti di Filosofia del diritto, Diritto canonico ed ecclesiastico (solo nell’a.a. 1894-1895) e Legislazione penale comparata (solo nell’a.a. 1889-1900). Fu rettore dell’Università di Macerata una prima volta dal 16 maggio 1895 al 31 ottobre 1896 e poi, nuovamente, dal 16 ottobre 1919 al 31 luglio 1923. 3 Enrico Serafini tenne la cattedra di Diritto romano nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo maceratese dall’anno accademico 1889-1890 all’anno accademico 1895-1896. Incaricato per diversi anni anche degli insegnamenti di Storia del diritto romano e di Esegesi del diritto romano, a decorrere dall’anno accademico 1896-1897 fu trasferito sulla cattedra di Diritto romano dell’Università di Messina, dove concluse la sua carriera. Fu rettore dell’Università di Macerata una prima volta dal 1° dicembre 1892 al 15 maggio 1895 e poi ancora l’anno seguente, per un brevissimo mandato, dal 1° novembre al 31 dicembre 1896. 99 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento dall’idea di aver allontanato con forza e determinazione una delle ultime minacce di soppressione che lo Stato potesse perpetrare ai suoi danni. Proprio in quel periodo si registrò un vero e proprio boom di iscritti, un incremento che, probabilmente, diede la momentanea illusione di un sicuro rilancio dell’Ateneo. Dai 188 studenti del novembre 1893 si passò ai 264 dell’anno successivo, ai 313 del 1895 fino a toccare le 369 unità nell’ottobre 18964, con il raddoppio quasi (+96%), nell’arco di un triennio, di coloro che avevano scelto Macerata per i propri studi universitari, sia per il conseguimento della laurea in Giurisprudenza, sia per l’ottenimento del diploma di specializzazione per svolgere la professione di Notaio o Procuratore legale5. La rilevante crescita del numero degli iscritti, ad una prima analisi, sembrerebbe riconducibile soprattutto alla decisione della commissione amministrativa del Consorzio universitario di continuare ad esonerare gli studenti dal pagamento delle tasse d’immatricolazione e iscrizione, che per regio decreto erano devolute al Consorzio stesso6, provvedimento reiterato nel tempo fino all’anno accademico 1896-1897 compreso7. In realtà, questa indubbia agevolazione era stata introdotta fin dai primi anni Ottanta8; essa era dunque in vigore già da parecchi anni e questo non trascurabile 4 Gli studenti iscritti (compresi gli uditori) al corso di laurea della Facoltà di Giurisprudenza nell’anno accademico 1893-1894 furono in realtà 173, ai quali però debbono essere aggiunti i 15 iscritti ai corsi speciali per il conseguimento del diploma di Notaio e di Procuratore. La medesima ripartizione degli iscritti si riscontra anche per l’anno accademico 1896-1897, nel corso del quale gli studenti del corso di laurea furono 347 e quelli iscritti ai corsi speciali 22. Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit. Per l’anno accademico 1896-1897 è dato di riscontrare una lieve discrepanza tra il numero di iscritti indicato dal Ferraris (369 e cioè 347 studenti del corso di laurea in Giurisprudenza e 22 del diploma da Notaio o da Procuratore legale) e quello riportato nell’«Annuario della Regia Università di Macerata». Quest’ultimo, infatti, indica 358 iscritti, dei quali 338 iscritti al corso di laurea in Giurisprudenza e 20 ai corsi speciali di diploma). Per un corretto inquadramento della figura dell’«uditore» nel sistema universitario italiano del secondo Ottocento si rinvia a Pizzitola, Gli studenti della nuova Italia, cit., pp. 144-149. 5 Su tali scuole universitarie e, in particolare, su quelle di Notariato, riordinate all’indomani dell’unificazione nazionale con la legge 25 luglio 1875, n. 2786, si vedano in particolare V. Olgiati, Avvocati e notai tra professionalismo e mutamento sociale in W. Tousijn, Le libere professioni in Italia, Bologna, il Mulino 1987; e i contributi raccolti in A. Mazzacane, C. Vano (a cura di), Università e professioni giuridiche in Europa nell’età liberale, Napoli, Jovene, 1994. 6 Cfr. l’art. 47 del Regolamento generale universitario predisposto dal ministro Paolo Boselli e promulgato con il R.D. 26 ottobre 1890. Si veda il testo del Regolamento riprodotto in ANNUARIO (1891), pp. 128-129. 7 Nella delibera della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 18 novembre 1896, si legge quanto segue: «La Commissione amministrativa, confermando le sue precedenti risoluzioni, delibera che anche per l’anno scolastico 1896-1897, gli studenti siano esonerati solamente dalle tasse d’immatricolazione e d’iscrizione» (ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543. 8 Di ciò si ritrova conferma nelle deliberazioni assunte dalla Commissione amministrativa del Consorzio relative appunto ai primi anni Ottanta. Cfr. ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, 100 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento dettaglio porterebbe a ritenere che essa abbia inciso in misura significativa ma tutt’altro che esclusiva sul sensibile incremento delle iscrizioni, all’origine del quale sembra realistico collocare anche il più largo credito acquisito dall’istituzione universitaria maceratese tra i giovani e le loro famiglie. Le condizioni ottimali di studio offerte dall’università marchigiana, una sede tranquilla nella quale non era dato di riscontrare né l’affollamento dei grandi atenei né, tantomeno, le sempre più diffuse ed eclatanti agitazioni studentesche, come aveva sottolineato non senza un certo compiacimento lo stesso rettore Barsanti, e, soprattutto, la buona collocazione geografica di Macerata, unico ateneo statale del centro Italia oltre a quello di Roma, rendevano l’Ateneo maceratese quanto mai attraente e competitivo, soprattutto quale punto di riferimento imprescindibile per gli studenti provenienti dalle regioni centro-meridionali, in particolare da quelle della fascia adriatica. Se si esamina, infatti, la provenienza geografica degli iscritti all’Università di Macerata, con riferimento proprio all’anno accademico 1896-1897, si nota come la maggior parte di essi, vale a dire circa l’80%, fosse originaria di tre regioni: la Puglia, senz’altro il bacino più rilevante, con il suo 39% di studenti; le Marche naturalmente, con il 27%; e, infine, le province dell’Abruzzo, che incidevano per un significativo 14%. Una quota ulteriore di iscritti, pari al 14%, proveniva invece delle altre regioni del centro e del sud Italia (soprattutto dal Lazio, dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia), mentre appena il 6% degli studenti risultava risiedere nel nord della penisola, dove del resto erano operanti ben 9 delle 17 sedi universitarie del Regno9. Proprio il confronto con i dati sull’andamento delle iscrizioni nelle altre università italiane sembra avvalorare l’ipotesi di un vero e proprio rilancio del piccolo Ateneo marchigiano. Se prendiamo ancora come riferimento l’anno accademico 1896Verbali delle adunanze, reg. n. 538. In particolare, il 20 agosto 1883, in vista del nuovo anno accademico, la Commissione fece opportunamente stampare un Avviso, che fu pubblicato anche sulla stampa locale, nel quale si affermava: «Si è deliberato che anche nel prossimo anno scolastico 1883-1884 abbia luogo la esenzione delle tasse devolute a questa Università per i giovani di qualunque anno del corso di Giurisprudenza, senza bisogno che per tal uopo presentino alcun certificato. […] E perché la esenzione della tasse sia pure come un premio alla diligenza degli alunni, non sarà concessa a quelli, i quali non si troveranno presenti al 16 Novembre eccetto il caso di malattia o d’impedimento per la leva e a quelli che senza motivo legittimo e giustificato o senza permesso del Rettore mancheranno nella lezione ultima segnata nel calendario per le ferie di Natale, Carnevale, e Pasqua, e nella prima lezione dopo le medesime». Copia dell’Avviso è conservata in BCMc. 9 Le statistiche riportate nel testo sono state realizzate utilizzando i dati (nominativi degli iscritti, provenienza geografica ecc.) relativi all’anno accademico 1896-1897 riportati in ANNUARIO (1898), pp. 73-86. Dei 358 studenti che risultavano iscritti nell’anno accademico sopra ricordato, ben 286 provenivano da queste tre regioni, con una netta prevalenza della Puglia (141) sulle Marche (96) e gli Abruzzi (49). Altri 51 studenti provenivano invece da altre regioni dell’Italia centrale e meridionale: Campania (14), Basilicata (12), Umbria (7), Calabria (7), Lazio (6) e Sicilia (5). Più modesta – appena 21 iscritti – era la presenza di studenti provenienti dalle regioni settentrionali della penisola. 101 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento 1897, infatti, notiamo che Macerata risultava essere il sesto ateneo in Italia per numero di immatricolati nelle facoltà giuridiche. Solo Genova, Napoli, Palermo, Roma e Torino, ovvero le grandi sedi universitarie ubicate nei principali centri urbani della penisola, potevano infatti contare su una popolazione studentesca quantitativamente maggiore, mentre gli altri 15 atenei italiani, incluse le università libere, registravano numeri di gran lunga inferiori a quelli dell’Università di Macerata10. Alla luce di un simile quadro, non sembrano esserci dubbi riguardo all’accresciuta capacità dell’Università di Macerata di attrarre sempre nuovi iscritti e di proporsi all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale come uno dei poli accademici per la formazione giuridica più apprezzati della penisola. E’ pur vero che, in questo periodo, l’incremento generale degli iscritti alle facoltà di Giurisprudenza era un dato comune registrato un po’ in tutti gli atenei e che tale dato rappresentava, per molti versi, un riflesso del più generale aumento del numero di giovani che accedevano agli studi universitari: un fenomeno, com’è noto, collegato necessariamente anche alla costante crescita della popolazione italiana e destinato a caratterizzare l’istruzione superiore nell’ultimo ventennio del secolo XIX e a modificare radicalmente le dinamiche registrate su questo versante nella prima stagione postunitaria11. Al riguardo, basterebbe prendere come riferimento l’evoluzione proprio delle facoltà giuridiche, che continuavano a rappresentare il principale punto di riferimento nel sistema italiano dell’istruzione superiore. Dai 5.690 iscritti dell’anno accademico 1893-1894 si era passati ai 6.607 del 1899-1900, arrivando a toccare addirittura le 9.897 unità nel 1909-1910, con un aumento, nell’arco di un quindicennio, di oltre quattromila studenti. Un dato indubbiamente significativo, se si considera che, nello stesso arco di tempo, l’incremento globale degli studenti universitari nel loro complesso, ossia degli 10 L’ateneo italiano con il più alto numero di iscritti alla facoltà giuridica era quello di Napoli (913), seguito da quello di Roma (853) e da quello di Torino (704). Appena 63 erano invece gli iscritti a Giurisprudenza nell’Università di Sassari, la quale era preceduta da quelle di Modena (95), Siena (100) e Cagliari (104). Per quel che concerne le Università Libere, debbono essere registrati i 77 iscritti di Perugia a fronte degli appena 24 di Urbino. Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. 3-5. 11 Nei primi anni della sua formazione il sistema universitario italiano cominciò a crescere con una certa lentezza. Nell’anno accademico 1860-1861, com’è noto, nelle università della penisola si contavano complessivamente poco meno di 7.000 iscritti, che un quinquennio più tardi, nell’anno accademico 18651866 scendevano addirittura a poco più di 4.500 unità. Successivamente, tuttavia, si registrò una crescita costante. Già nell’anno accademico 1868-1869, ad esempio il numero complessivo degli iscritti superava le 10 mila unità. Tale dato si mantenne pressoché stazionario per circa un decennio. Nei primi anni Ottanta, comunque, il numero degli iscritti raggiunse quota 14 mila, mentre nel 1894 aveva ormai superato le 20 mila unità, per poi raggiungere, nel 1909, la quota 27 mila. Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. V-IX. 102 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento iscritti a tutte le facoltà, si attestò attorno alle cinquemila unità, passando da 21.870 a 26.850, a conferma che il sensibile incremento fatto registrare nel giro di pochi anni non modificava nella sostanza la tradizionale e consolidata predilezione dei giovani e delle loro famiglie per gli studi giuridici, considerati a tutta prova quelli maggiormente in grado di garantire i migliori sbocchi professionali, e le carriere più redditizie12. La sensibile crescita della popolazione studentesca, peraltro, suscitò non poche perplessità e preoccupazioni nell’opinione pubblica nazionale e nella classe dirigente dell’epoca, chiamata a misurarsi con un fenomeno in larga parte nuovo, come quello del delinearsi di una massiccia disoccupazione intellettuale, e con le conseguenze sociali e politiche che ne potevano derivare13. Se si esaminano con attenzione i dati statistici, tuttavia, emerge in maniera inequivocabile che l’incremento di iscritti registrato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Macerata era di gran lunga superiore a quello riscontrato, nello stesso periodo, nella maggior parte degli altri atenei della penisola. Facendo riferimento, ad esempio, al triennio 1893-1896, i dati disponibili dimostrano come nelle cosiddette università minori, comprese quelle ubicate in centri urbani assai più importanti e popolosi di Macerata e quelle che già precedentemente erano state elevate ad università primarie, l’incremento generalizzato del numero di iscritti a cui si è fatto cenno sopra raggiunse percentuali invero assai più contenute di quella fatta registrare dall’Ateneo maceratese con il suo + 96% (da 188 a 369 unità). L’Università di Siena passò infatti da 232 a 262 studenti, facendo registrare un +12%; quella di Modena da 354 a 412, con un 12 «La cifra cospicua degli inscritti per la laurea in Giurisprudenza – ha sottolineato al riguardo C.F. Ferraris – è dovuta per la massima parte alla circostanza che quella laurea apre l’adito a ben quattro carriere, l’avvocatura, l’amministrazione giudiziaria, l’amministrazione civile centrale e locale governativa ed autarchica, e l’insegnamento delle scienze giuridiche, sociali e politiche, vuoi superiore (nelle Università, Scuole di notariato, Scuole superiori di commercio), vuoi secondario (negli Istituti tecnici e nelle Scuole medie professionali). […] Al concorso dalla Facoltà giuridica diede impulso anche il propagarsi ognor più potente del giornalismo, nel quale i laureati in Giurisprudenza si riversano, perché la natura dei loro studi li rende meglio adatti a trattare le questioni sociali e politiche così prevalenti nella stampa quotidiana. Vi fu infine la non trascurabile occorrenza a tale Facoltà dei figli di famiglie ricche, i quali si procurano il grado accademico per ornamento e prestigio: e siccome la ricchezza aumenta, così aumenta anche questo contingente di studenti senza futuro intento professionale» (Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. XI-XII). 13 «Gli avvocati – notava polemicamente Ettore Ciccotti – crescono e si moltiplicano ogni giorno: crescono e si moltiplicano, se non fosse bestemmia il dirlo, come la proverbiale grazia di Dio. […] Ma per quest’altra razza di invasori, che periodicamente, regolarmente, tranquillamente, ogni anno, piovono sul bel paese da tutte le Università d’Italia, non v’è chi si preoccupi e si dia attorno a cercar riparo» (E. Ciccotti, Cause ed effetti. Note sulle presenti condizioni dell’avvocatura e su di un nuovo ordinamento di essa, Torino, Bocca, 1889, p. 5). Sul fenomeno della disoccupazione intellettuale a cavallo tra Otto e Novecento e sulle proposte avanzate per la soluzione del problema, tra cui anche quella di aumentare sensibilmente le tasse universitarie per ridurre il numero dei laureati, si rinvia a Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit. Si veda anche M. Rossi, Università e società in Italia alla fine dell’800, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1976, pp. 93-151. 103 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento incremento del 16%; l’Università di Messina vide aumentare il numero degli iscritti da 456 a 541 unità, pari al 18%; più modesto fu l’incremento registrato in quella di Pavia, che passava da 1223 a 1345 iscritti (+9%); mentre l’Ateneo palermitano, in sostanziale controtendenza rispetto al complesso delle università italiane, vedeva addirittura diminuire il numero dei suoi studenti di oltre una cinquantina di unità, passando da 1488 a 1434, con una diminuzione del 4%14. In questo quadro, apparivano ormai lontani, e definitivamente superati, i tempi in cui, come nell’anno accademico 1877-1878, la popolazione studentesca dell’ateneo marchigiano aveva raggiunto a malapena le 47 unità. L’Università di Macerata stava dunque assumendo a tutti gli effetti la connotazione di un ateneo di primaria grandezza, al cui indispensabile e definitivo decollo sembravano ormai fare difetto non solamente il permanere della peculiare condizione di essere l’unico nella penisola provvisto di una sola facoltà, quella di Giurisprudenza, ma anche la sua forzata collocazione tra le università secondarie15. Non sorprende, a questo riguardo, il fatto che, di lì a poco, l’attenzione di tutti si concentrasse su un unico obiettivo: l’ottenimento dello status di università primaria. A rivendicarlo erano soprattutto i membri del corpo docente, ansiosi di vedere equiparati i loro stipendi a quelli dei colleghi degli atenei maggiori, ai quali non potevano ormai più bastare i pur reiterati apprezzamenti tributati dall’opinione pubblica maceratese e marchigiana per i loro meriti scientifici e per la qualità del loro impegno didattico né, tantomeno, appariva sufficiente l’universale consapevolezza delle ottimali condizioni di studio e d’insegnamento offerte dall’Università di Macerata: 14 Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., p. 3. Si trattava di un caso unico in Italia, visto che anche atenei di modeste dimensioni ed incompleti, quali ad esempio quelli di Sassari e di Siena, possedevano comunque due facoltà, Giurisprudenza e Medicina e Chirurgia; mentre altri di analoghe dimensioni, ed era il caso delle università di Cagliari, Modena e Parma, oltre alle due sopra richiamate, erano provviste anche di una terza facoltà, quella di Scienze matematiche, fisiche e naturali. Erano invece undici le sedi universitarie che, all’epoca, disponevano di tutte e quattro le facoltà stabilite dalla legge Casati (le tre già ricordate più quella di Lettere e Filosofia), con l’Ateneo napoletano addirittura provvisto di cinque facoltà, dal momento che la Facoltà di Matematica risultava distinta da quella di Scienze fisiche e naturali. Per un organico quadro degli ordinamenti giuridici e amministrativi e dell’organizzazione didattica delle università italiane alla fine dell’Ottocento si rinvia a A. Graziani, Ordinamento dell’Istruzione superiore in V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo, Milano, Società editoriale libraria, 1905, pp. 845-1044. Si veda altresì la puntuale e documentata ricostruzione della genesi e degli sviluppi fino a fine secolo del sistema universitario nazionale offerta in Porciani, Moretti, La creazione del sistema universitario nella nuova Italia, cit., pp. 323-379. Sull’evoluzione della legislazione relativa all’istruzione superiore e alle università nella fase post unitaria si veda ora Porciani (a cura di), L’Università italiana. Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali (1859-1914), cit. 15 104 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Accreditata per il valore dei suoi insegnanti e per la sua giusta disciplina – notava un autorevole commentatore, facendosi portavoce di un’opinione largamente diffusa non soltanto a Macerata e nelle Marche –, l’Università maceratese è guardata con favore da tanti padri di famiglia, desiderosi di trovare pei loro figli un buon Ateneo, lungi dal dispendio, come dalle distrazioni e dai pericoli dei maggiori centri, dove i disordini studenteschi sembrano ormai divenuti un male cronico16. Merita di essere sottolineato, fra l’altro, che proprio gli svantaggi economici e le minori tutele sul piano amministrativo offerte al corpo docente dalle università minori nell’Italia liberale erano alla base del fenomeno, largamente diffuso a Macerata, dello scarso radicamento e dell’estrema mobilità dei docenti, la maggior parte dei quali considerava quella marchigiana come una mera “sede di passaggio”, nella quale compiere il proprio apprendistato accademico e conseguire i titoli necessari al fine di spiccare il volo verso uno degli atenei primari della penisola, mèta privilegiata per il prosieguo della carriera17. La questione dell’estrema mobilità e della costante migrazione dei docenti dell’Università di Macerata verso le sedi più gratificanti e i grandi atenei, sulla quale si erano appuntati, già negli anni precedenti, i rilievi polemici e le denunce non solamente dei rettori18, ma anche di altri autorevoli membri del corpo docente, primo fra tutti, fin dal 1886, l’allora preside della Facoltà di Giurisprudenza Giuseppe Brini19, assunse sul finire del secolo i caratteri di una vera e propria emergenza, stante le ripercussioni che tale fenomeno era destinato a produrre sullo stesso andamento della vita universitaria e sul regolare funzionamento dell’attività didattica nell’ateneo. 16 Spadoni, La nostra università, cit., p. 11. Si vedano al riguardo M. Moretti, I. Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, «Annali di storia delle università italiane», 1 (1997), pp. 11-39; A. Zannini, Stipendi e status sociale dei docenti universitari. Una prospettiva storica di lungo periodo, ivi, 3 (1999), pp. 9-39; G. Fois, Reclutamento dei docenti e sistemi concorsuali, dal 1860 a oggi, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., I, pp. 461-483. 18 «L’esodo dei Professori continua incessante – notava ad esempio, sul finire degli anni Ottanta, l’allora rettore dell’ateneo maceratese Raffaele Pascucci –: e se al termine dei lavori dell’anno decorso dovemmo dare l’addio a due bravi colleghi, il Cav. Lo Savio e il Vitali, tra poco dovremo assistere pensierosi alla partenza di altri due egregi, l’Ugo ed il Franchi, vincitori anch’essi in modo onorevole di concorsi, sostenuti al confronto di esimi cultori delle discipline giuridiche d’Italia. Questi risultati stanno, mi sembra, ad attestare che l’istruzione impartita finora da questo Ateneo poteva reggere al paragone di ogni altra, e che tanto i Professori passati (tra i quali mi compiaccio di rammentarne uno carissimo, il Brini, che ora occupa nella dotta Bologna, sua patria, la cattedra d’Irnerio), quanto i presenti, possono tutti, me eccettuato, gareggiare con tanti delle Università maggiori; e che tutti, me incluso, hanno adempiuto il loro dovere. […] Ma ahimè! L’avvento dei bravi giovani è destinato a sparire come meteora dal nostro orizzonte, fino a che le condizioni dell’Ateneo rimarranno quali sono attualmente» (Relazione sulle vicende precipue dell’Ateneo nell’anno Scolastico 1888-89 letta nel 17 novembre 1889 dal Rettore Prof. Raffaele Pascucci per la solennità inaugurale del nuovo corso accademico[1889-1890], ANNUARIO (1890), pp. 5-6). 19 Cfr. Brini, Lettera del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza al sindaco di Macerata (Macerata, 7 luglio 1886), cit., p. 7. 17 105 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento A questo proposito, nella già citata relazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1895-1896, il rettore Barsanti, se da un lato non aveva perso l’occasione per rilevare l’accresciuto numero di studenti dell’ateneo nonché la «tranquillità della nostra scolaresca e la solidarietà tra maestri e discenti»20, dall’altro aveva stigmatizzato le accresciute difficoltà prodotte dal fenomeno della mobilità del corpo docente: Anche nell’anno scolastico ora terminato si ebbe a verificare il solito inconveniente tanto e giustamente lamentato da tutti i miei predecessori; l’inconveniente che ormai si esprime con una parola consacrata a questo concetto dell’esodo dei professori. […] Io insisto nel rilevare questo inconveniente, perché bisogna bene che ci persuadiamo tutti che fino a quando questa Università non sia in tutto pareggiata alle altre, è inutile pensare a rimuovere l’esodo dei professori sebbene oggi sia in parte mitigato per la sollecita cura degli enti consorziati. Senza il pareggiamento è inutile pensare ad aver tradizioni d’insegnamento, e quel maggior lustro e decoro che deriverebbe dall’avere insegnanti provetti e giunti al più alto grado della rinomanza. Ed ora più che mai si impone tale pareggiamento, ora che nuovi ed imprevedibili eventi stanno per aprirsi alle Università italiane21. Una difficoltà, dunque, di non scarso rilievo, della quale il rettore maceratese individuava la causa nel mancato pareggiamento e per la quale auspicava un pronto superamento al fine di garantire la sopravvivenza stessa dell’ateneo. Lo stesso Barsanti, tuttavia, se da un lato richiamava l’attenzione sull’urgenza del pareggiamento dell’Ateneo maceratese alle università primarie, dall’altro non mancava di esprimere inquietudine e preoccupazione per gli annunciati provvedimenti di riordino del sistema universitario nazionale. Il riferimento era, naturalmente, al nuovo 20 Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896], cit., p. 11. Un tradizionale momento di socialità tra le diverse componenti dell’Ateneo maceratese era, all’epoca, l’annuale «banchetto universitario», al quale partecipavano tanto il corpo docente al completo quanto gli studenti. In un articolo del maggio 1892 dal titolo Il banchetto universitario, il periodico maceratese «Il Vessillo delle Marche» forniva un interessante resoconto del rituale appuntamento celebratosi in occasione della conclusione di quell’anno accademico: «Domenica 8, all’una pom., si ebbe nella Sala Verde del Lauro Rossi, il geniale banchetto universitario, divenuto ormai tradizionale. Ça va sans dire l’allegria, la cordialità più animata e… rumorosa, regnarono durante il banchetto riaffermando anche una volta, di più tenaci vincoli, il santo affetto che lega studenti e professori. Applausi unanimi accolsero al loro giungere i professori ed una vera ovazione si ebbe per il padre degli studenti, il rettore Calisse» («Il Vessillo delle Marche», 21 maggio 1892, 20, p. 1). Sulle particolari caratteristiche della vita universitaria nelle sedi minori e meno affollate, ove erano possibili legami più intensi tra docenti e studenti, si veda P. Cogliolo, Malinconie universitarie, Firenze, G. Barbera, 1887. Molto intensa, anche a Macerata, fu l’attività goliardica degli studenti sia nel corso della seconda metà dell’Ottocento che nei decenni seguenti. A tal proposito è qui opportuno ricordare i numerosi opuscoli e le diverse pubblicazioni periodiche curate dalle associazioni goliardiche maceratesi, tra le quali: «Il Baccanale» (1908), «Il Goliardo» (1908-1939), «Il pupazzetto goliardico» (1911), «Matricula» (1913), «Goliardia nuova» (1930), «Berretto azzurro» (1936). 21 Relazione del Rettore Pio Barsanti per la inaugurazione del nuovo corso accademico [1895-1896], cit., pp. 15-16. 106 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento disegno di legge presentato alla Camera dal ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli il 13 giugno 1895, dal titolo Sull'autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno, il quale riprendeva in larga parte quello già predisposto dallo stesso ministro una decina di anni prima, nel 1884, e mai approvato22. Il disegno di legge Baccelli, com’è noto, mirava a realizzare un sensibile rafforzamento dell’autonomia universitaria sia dal punto di vista gestionale e amministrativo sia sotto il profilo didattico e scientifico, propugnando fra l’altro il riconoscimento della personalità giuridica degli atenei e la gestione autonoma del finanziamento statale. In realtà a preoccupare gli atenei minori come quello di Macerata era soprattutto il silenzio circa il destino delle piccole università, delle quali non si faceva cenno riguardo alla possibilità o meno di essere equiparate alle maggiori e, quindi, ammesse anch’esse a fruire del finanziamento statale. Se da un lato, peraltro, il disegno di legge Baccelli finiva per riaccendere il dibattito già sviluppatosi nei primi anni Ottanta tra i sostenitori dell’accentramento e quelli dell’autonomia delle sedi universitarie23, distogliendo così l’attenzione dell’opinione pubblica e quella dello stesso ministero della Pubblica Istruzione dalle problematiche e richieste avanzate dagli atenei minori, dall’altro, com’è stato giustamente sottolineato, l’enfasi posta dal provvedimento sulla dotazione statale fissa attribuita alle sedi universitarie faceva temere non solamente che la «cristallizzazione degli assegni governativi» avrebbe finito, alla lunga, per «impoverire gli atenei», ma anche che a fronte di tale intervento statale sarebbe inevitabilmente scemata «la contribuzione di enti o privati» 24. 22 Si veda il testo del disegno di legge predisposto nel 1895 dal ministro Guido Baccelli in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1894, Documenti, n. 1 (urgenza), Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno, seduta del 6 dicembre 1894; e Id., Sessione 1895, Documenti, n. 67 (urgenza), Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno, seduta del 13 giugno 1895. Per un’analisi dei contenuti dei provvedimenti di riforma universitaria predisposti dal ministro Baccelli nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento si rinvia a E. De Paoli, L’autonomia universitaria secondo il progetto di legge del ministro Baccelli, «Nuova Antologia», LX (1 novembre 1895), XXI, pp. 142-171; Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 94-138 e 156-168; Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 257-329; M. Simeti, Opinione pubblica, politica e università. Il progetto di legge Baccelli tra stampa e Parlamento, «Annali di storia delle università italiane», 3 (1999), pp. 193-206; F. Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., I, pp. 291-292. 23 Cfr. B. Palma, L’Università tra accentramento e autonomia, Urbino, Università degli Studi-Arti Grafiche Editoriali, 1983. 24 Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, cit., p. 292. 107 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Le condizioni di difficoltà in cui versava l’Ateneo maceratese per le carenze dell’organico docente risultano evidenti laddove si prenda in esame il quadro degli insegnanti di ruolo e incaricati posti a carico del bilancio dell’Università. Secondo quanto stabilito dallo Statuto consorziale, rivisto e approvato con il R.D. 6 febbraio 1887, n. 433825, l’Ateneo avrebbe dovuto disporre di otto professori ordinari (per un totale di spesa di 24.000 lire) e quattro straordinari (per una spesa di 8.400 lire), mentre gli eventuali docenti incaricati sarebbero stati pagati dal Consorzio con i rimanenti fondi della Cassa consorziale26. Se si prende, ad esempio, in esame il quadro relativo all’anno accademico 1895-1896, la situazione che si profila risulta essere ben diversa: i professori ordinari realmente incardinati risultavano essere appena cinque (Niccolò Lo Savio per l’Economia politica, Raffaele Pascucci sulla cattedra di Procedura civile e Ordinamento giudiziario, Enrico Serafini titolare di Diritto romano, Pio Barsanti sulla cattedra di Diritto e procedura penale e Luigi Tartufari su quella di Diritto civile); altrettanti erano i professori straordinari (Alberto Zorli di Scienza delle finanze e diritto finanziario, Giovanni Vacchelli di Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione, Angelo Sraffa di Diritto commerciale, Domenico Schiappoli di Diritto ecclesiastico e Fabio Luzzatto di Istituzioni di Diritto Civile), mentre risultava un solo incaricato esterno, il dott. Carlo Lauri, medico ospedaliero, chiamato a tenere gli insegnamenti di Medicina legale e Anatomia topografica applicata alla Traumatologia27. Ad aggravare una situazione resa incerta e difficoltosa dalle croniche carenze di organico sopra richiamate si aggiungeva in questi stessi anni, come si è già ricordato, l’accentuata mobilità del corpo docente: i frequenti trasferimenti ad altra sede di taluni tra i più valenti professori dell’Ateneo, indubbiamente, erano destinati ad accentuare il senso di precarietà e a rendere tutt’altro che agevole la strutturazione del calendario didattico e la stessa organizzazione dei corsi. Basti dire che, nel corso degli anni Novanta, la maggior parte dei docenti chiamati a ricoprire le cattedre nell’Ateneo maceratese rimasero nella sede marchigiana solamente per due o tre anni al massimo. Basterebbe qui ricordare Giacomo Venezian (Diritto civile) e Federico Patetta (Storia del diritto italiano), trasferiti nei primi anni Novanta rispettivamente nell’Università di Messina e in quella di Siena (atenei di 25 Sui contenuti dello Statuto approvato nel 1880 e sulle modifiche apportate in seguito alla revisione del 1887 si veda ora Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa rinascita, cit., pp. 136-140. 26 Si veda il testo dello Statuto del Consorzio universitario di Macerata (revisione 1887), in ArangioRuiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 146-147. 27 Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1896), pp. 69-70. 108 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento modeste dimensioni ma ormai da qualche anno pareggiati a quelli di prim’ordine28); Giulio Cesare Buzzati (Diritto internazionale) e Carlo Manenti (Istituzioni di diritto romano), trasferiti nel 1894-1895 rispettivamente all’Università di Pavia e a quella di Messina; di Angelo Sraffa (Diritto commerciale) ed Enrico Serafini (Diritto romano), passati l’anno seguente entrambi all’Università di Messina; di Giovanni Vacchelli (Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione), trasferitosi all’Università di Pisa nel 1896-1897. Né maggiore stabilità sulle cattedre maceratesi venne assicurata, nella gran parte dei casi, da coloro che furono chiamati a sostituire i docenti trasferiti. E’ significativa, ad esempio, la breve esperienza in terra marchigiana fatta registrare dai professori Fabio Luzzatto e Domenico Schiappoli, chiamati a sostituire il Venezian e il Patetta rispettivamente sulle cattedre di Diritto civile e di Storia del diritto italiano, e assai presto trasferitisi a loro volta in atenei di primo livello. Appariva, dunque, indispensabile e urgente ottenere la modifica dell’ordinamento vigente che collocava quello maceratese tra i pochi regi atenei della penisola non ancora pareggiati alle università primarie, assieme a quelli di Sassari e di Cagliari29. Anche in questa circostanza, come si era già verificato qualche anno prima, dinanzi alla minacciata soppressione dell’ateneo da parte del ministro della Pubblica Istruzione Ferdinando Martini30, la componente accademica, la stampa locale e le istituzioni amministrative maceratesi, ossia Comune e Provincia, si mossero congiuntamente per ottenere il sospirato pareggiamento. Il 30 novembre 1895, poche settimane dopo il grido d’allarme lanciato dal rettore Barsanti, il periodico maceratese «Il Vessillo delle Marche»31 denunciava la graduale perdita di peso politico e amministrativo della città e del suo territorio e sollecitava la classe dirigente locale a svolgere un’azione più decisa nei confronti delle 28 Com’è già ricordato, con il R.D. 13 dicembre 1885, n. 3570, si procedette al pareggiamento delle università di Genova, Catania e Messina. Due anni più tardi, in forza del R.D. 14 luglio 1887, n.4745, anche gli atenei di Siena, Modena e Parma furono pareggiati a quelli di primo grado. Sulla questione del pareggiamento delle università minori alla fine Ottocento si vedano Porciani, La questione delle piccole università dall’unificazione agli anni Ottanta, cit., pp. 9-18; Moretti, La questione delle piccole università dai dibattiti di fine secolo al 1914, ivi, pp. 19-44; Id., Piccole, povere e ‘libere’: le università municipali nell’Italia liberale, cit., pp. 533-562. 29 Sulle vicissitudini dei due atenei sardi a cavallo tra Otto e Novecento, si vedano ora: Fois, Storia dell’Università di Sassari (1859-1943), cit. e P. Bullita, Note sulla storia dell’Università di Cagliari, Cagliari, Mythos Iniziative, 2004. 30 Cfr. Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa rinascita, cit., pp. 141-142. 31 Su «Il Vessillo delle Marche», sorto nel 1861 e pubblicato per quasi un quarantennio a Macerata, si veda ora Palombarini, La stampa periodica a Macerata dal 1860 al 1900, cit., pp. 405-425. 109 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento istituzioni politiche nazionali affinché si operasse per il rilancio della provincia e del suo capoluogo: Certo è che da non poco tempo – sottolineava fra l’altro l’anonimo estensore dell’articolo – c’è stato, sulla città nostra, un vero succedersi di disastri. Gli uffici governativi se ne vanno scomparendo chetamente e, mentre la crisi nazionale chiede nuovi e più gravi sacrifici di tributi a ristorare l’erario esausto, a noi è seccata ciascuna delle fonti che è causa di guadagno. Scompaiono gli uffici e con essi, se non scompare, si restringe grandemente ogni commercio di danaro, onde scarsi sono i guadagni e grave perciò più che mai ogni tributo. […] Ma come può pagare chi non guadagna? A fronte di una crisi strisciante e di una perdita di peso politico che sembravano emarginare sempre di più Macerata, «Il Vessillo delle Marche» sottolineava come le difficoltà in cui versava la locale sede universitaria e la possibilità tutt’altro che remota che anch’essa fosse ridotta nella condizione di dover chiudere inopinatamente i battenti rappresentassero un rischio troppo grande e che occorresse mobilitarsi per scongiurare tale prospettiva, la quale avrebbe condotto il capoluogo marchigiano non soltanto verso un’irreversibile decadenza economica, ma anche verso la perdita della propria identità per il venir meno di uno dei simboli delle tradizioni culturali cittadine: Pare che anche l’Università – si affermava nell’articolo – debba seguire il fatale andare degli altri istituti. E dire che manca ogni ragione. I professori sono valenti e così che non passa anno senza che l’Ateneo debba lamentare la perdita d’uso di uno di essi chiamato a leggere nelle Università così dette maggiori. Maggiori perché? Forse per numero di scolari? Ma sono parecchie, e parecchie le Facoltà di legge che contano un numero di giovani ben minore e di molto. E i professori, l’abbiam detto, se ne vanno che è un piacere. A fronte della situazione creatasi, «Il Vessillo delle Marche» faceva proprio l’appello del rettore Barsanti per un impegno unitario in favore dell’ottenimento del pareggiamento di Macerata alle altre università primarie: Che si vuole dunque? E’ presto detto e chiaramente: il pareggiamento. Per ottenerlo insista e Comune e Provincia, visto che non sono poche le economie che il bilancio dello Stato ha fatto negli uffici di Macerata. E perché non è giusto togliere tutto senza dare qualcosa, dia almeno quel poco che è necessario perché il nostro Ateneo sia in grado di competere con gli altri: né ci rimetterà troppo. […] Allora, cessato l’esodo dei Professori ed accresciuto l’affluire degli scolari che saran certi di sentire sempre la parola 110 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento della scienza sempre dagli stessi ed illustri maestri, allora, affermiamo, il nostro Ateneo potrà vittoriosamente combattere con gli Atenei delle altre città32. «Il Vessillo delle Marche» tornava due settimane più tardi, il 17 dicembre 1895, a sollecitare un rapido e risolutivo intervento delle forze politiche e amministrative locali in favore dell’Università, non mancando di richiamare l’attenzione dei lettori sul carattere contraddittorio e ingiustamente penalizzante per il piccolo Ateneo marchigiano della normativa universitaria vigente: Perché dunque questo esodo continuo dei professori dalla Università nostra alle Università, cosiddette, maggiori? Forse che a Macerata si sta male? Non pare. La ragione è che nelle altre università i professori sono trattati come si deve (dal Governo, beninteso) e quindi non solo possono attendere con cura diligente ed assidua al proprio insegnamento, ma hanno e più tempo e mezzi maggiori per attendere allo studio della propria disciplina. E così, mentre cresce la fama ed il buon nome degli insegnanti, cresce di pari passo, con uguale proporzione il decoro dello Studio. Per tal modo accade che gli insegnanti dotti e geniali fan qui, inesperti, le prime esperienze, quasi in corpore vili, e , quando si son dirozzati nell’insegnamento, aprono il volo per altri lidi. E a Macerata conseguentemente rimangono gli insegnanti che non si levano dall’aurea mediocrità, o quelli che per avere una certa età, o per essersi formata una famiglia, quantunque dotti, non si sentono di lasciare il certo dell’oggi per l’incerto del domani o, per lo meno, non possono rinunciare a cinque per avere, durante qualche anno, solamente due o tre. Ma questo sarebbe poco male, forse. Il peggio si è che un professore di Macerata, fin che sta qui, non può essere illustre. Sta a Macerata e tanto basta; se vuol essere reputato una cima deve andarsene altrove. E si che di insegnanti tanto modesti quanto valorosi ne abbiamo avuti. Domandatelo al Venezian. A parere de «Il Vessillo delle Marche», peraltro, il mancato pareggiamento aveva favorito il sorgere e radicarsi della pratica di attribuire sistematicamente, ai pochi docenti incardinati nella Facoltà giuridica maceratese, uno o più corsi per affidamento in aggiunta a quello ufficiale; pratica, questa, che rappresentava una scelta obbligata, stante la costante carenza di organico per l’insufficiente numero di professori di ruolo chiamati a ricoprire gli insegnamenti obbligatori previsti dal piano di studi di Giurisprudenza, e che alla lunga era destinata a produrre non pochi inconvenienti sotto il profilo della qualità dell’insegnamento e della serietà degli studi: Altra piaga della nostra Università – sottolineava al riguardo il periodico maceratese – sono gli incarichi di insegnamento elargiti. […] Non c’è professore che non abbia il suo incarico. Ed è egli possibile che chi professa una disciplina possa anche insegnarne un’altra. A noi non pare che possano riuscire a bene questi 32 Pro Macerata, «Il Vessillo delle Marche», 33 (30 novembre 1895), 35, pp. 1-2. 111 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento professori omnibus. Ché se pel decoro della loro posizione l’incarico è un corollario forzato, per l’insegnamento è una forzata disgrazia. Di fatti, o attendono con cura ad una disciplina e l’altra trattano alla meglio, o le trattano alla meglio tutte e due. Questo in teoria s’intende; in pratica possono esservi delle eccezioni; ma si sa che le eccezioni confermano la regola33. Il dibattito sul pareggiamento dell’Università di Macerata era destinato a travalicare assai presto il confronto e le discussioni sulla stampa locale e ad assumere un rilievo nazionale. Al principio del 1897, a questo riguardo, il prof. Domenico Schiappoli rilanciava la questione dalle pagine de «L’Unione universitaria»34, il battagliero periodico «dei professori universitari italiani» edito a Siena dal 1894 al 1897, che già in passato non aveva esitato a denunciare le contraddizioni e i guasti dell’istruzione superiore in Italia e a richiamare l’attenzione del Parlamento e del governo sulle difficoltà in cui versavano gli atenei minori35. Dopo aver illustrato brevemente le difficoltà generate dai numerosi avvicendamenti sulle diverse cattedre della Facoltà giuridica maceratese per l’anno accademico da poco iniziato (1896-1897), lo Schiappoli denunciava con toni preoccupati lo stato di minorità e l’ingiustificato e gravissimo svantaggio nel quale l’Ateneo marchigiano si trovava ad operare rispetto alle altre università della penisola, non mancando di rilevare lo stato di precarietà in cui esso versava anche in forza del carattere aleatorio, e tutt’altro che garantito per il futuro, dei finanziamenti erogati dal consorzio universitario costituito con gli enti locali, senza trascurare viepiù i rischi per l’autonomia organizzativa e didattica dell’ateneo insiti nelle ampie prerogative attribuite al consorzio stesso: Possiamo a nostro onore dire – egli scriveva –, che la Facoltà giuridica di Macerata trovasi presentemente costituita in modo da riscontrarne l’eguale in pochissime Università del Regno. Però non possiamo fare a meno di notare con certo senso di dolore, che molti degli elementi preziosi che la Facoltà possiede attualmente, prenderanno subito il volo, appena un miglioramento nella loro carriera si potrà verificare. Bisogna tener presente che la condizione inferiore, in cui viene tenuta rispetto alle altre Università del Continente farà sempre in modo, che si verifichi e si deplori un esodo continuo di professori e che qui non 33 Pro Macerata, «Il Vessillo delle Marche», 33 (17 dicembre 1895), 36, pp. 1-2. D. Schiappoli, Cronache delle università. Corrispondenza da Macerata, «L’Unione universitaria», 4 (1897), 1, pp. 39-43. 35 Cfr. M. Moretti, L’«Associazione nazionale fra i Professori universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note ed osservazioni, in A. Romano (a cura di), Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni. Strutture, organizzazione, funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Milazzo 28 settembre-2 ottobre 1993, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 581-600; e Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 377-402. 34 112 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento si possa formare una tradizione scientifica. Il Consorzio universitario ha cercato di rimediare in certa guisa al lamentato inconveniente, dando un maggiore assegno di L. 500 ai professori straordinari e di L. 800 agli ordinarii; ma questo non risponde perfettamente allo scopo, poiché, pure prescindendo dall’esiguità di esso, resta sempre in facoltà del Consorzio di concederlo o negarlo anno per anno, e dà al medesimo un’ingerenza che non dovrebbe avere, sull’andamento disciplinare e didattico dell’Università. Bisognerebbe che gli enti consorziati, cioè il Comune e la Provincia, imitando l’altrui esempio, si persuadessero di fissare ne’ rispettivi bilanci la cifra pel così detto pareggiamento e che lo Stato contribuisse ancora con leggero sacrificio. Ma il Comune, maggiormente interessato, non prende l’iniziativa; la Provincia fa osservare che deve mantenere anche l’Università di Camerino36. Al di là delle eccessive cautele e della scarsa propensione a investire con coraggio e in forma stabile sull’università da parte degli enti locali, tuttavia, per il docente di Diritto ecclesiastico dell’Università di Macerata la questione di fondo che rischiava di danneggiare irreparabilmente il futuro del piccolo Ateneo marchigiano risiedeva nella iniqua distinzione tra sedi universitarie maggiori e minori: Strana leggenda quella delle Università minori! E dire che i concorsi per esse sono giudicati con criteri identici a quelli aperti per le Università di I grado! I corsi sono identici, se si eccettui un maggior numero di lezioni impartite dai professori, non distratti da cure professionali o politiche, un minor numero di vacanze forzate e un maggior rigore negli esami speciali e di laurea37. Difficile dunque attribuire l’aggettivo di “minore” – con le indebite penalizzazioni del caso – ad un’università che, pur collocata in un piccolo centro e caratterizzata non per sua scelta da una sola facoltà, pure assolveva regolarmente, al pari delle altre, la propria funzione didattica e scientifica, per di più facendosi carico della formazione superiore di un considerevole numero di studenti. Questi ultimi peraltro – e Domenico Schiappoli ci teneva a ribadirlo, anche al fine di fornire ai lettori i «giusti termini» in cui si poneva la questione – non sceglievano l’Ateneo maceratese semplicemente in virtù della prevista esenzione dalle tasse, come invece «malignamente» era sostenuto da taluni, bensì per le eccellenti condizioni di studio da esso offerte, l’assenza di proteste e di disordini, nonché l’elevata qualità dell’insegnamento impartito dai suoi docenti: 36 37 Schiappoli, Cronache delle università. Corrispondenza da Macerata, cit., pp. 39-40. Ibidem, pp. 40-41. 113 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Vero è – egli affermava –, che si dice sempre, che a Macerata affluiscano gli studenti perché non si pagano le tasse d’iscrizione: ma ciò, se pur poteasi dire rispetto a parecchi anni fa, ora non si può più sostenere, specialmente davanti al fatto, che molti dei nostri studenti s’iscrivono qui con foglio di congedo di Napoli, di Roma, ecc.: ora, se essi s’erano già iscritti in quelle Università, è manifesto, che potevano pagare le tasse. […] Quindi la ragione del progressivo aumento va cercata in qualche altro fatto, specialmente se si consideri, ch’esso s’è andato verificando negli ultimi anni, quando più fiera imperversava la bufera dei disordini universitari nei grandi centri ed a Napoli in special modo. Io […] ho sentito parecchie volte ripetere da padri di famiglia, ch’essi mandano qui i loro figli, perché hanno minori distrazioni e maggiore comodità di studiare, perché i professori fanno sempre lezione, perché c’è maggiore affiatamento tra professori e scolari. […] Ed infatti quale prova maggiore dei disordini universitari di quest’anno? Mentre Pisa, Roma, Torino, Napoli, Palermo, Messina, Catania, ecc. , hanno chiuso i corsi, qui le lezioni, sospese per pochissimi giorni, si sono subito riprese ed hanno continuato regolarmente con la massima calma e tranquillità38. In effetti, come rilevava Schiappoli, già da qualche anno le proteste e i disordini studenteschi stavano condizionando fortemente l’andamento dell’attività universitaria nel paese, al punto che il ministro Baccelli era stato costretto a chiudere l’Università di Napoli, facendo così perdere l’anno agli iscritti, come estrema sanzione disciplinare, nella speranza che un sì grave provvedimento contribuisse a raffreddare gli animi e ad evitare un’ulteriore escalation della protesta39. Il riferimento dello studioso alla condizione di confusione e d’instabilità in cui si trovava la gran parte degli atenei della penisola a seguito dei «disordini» studenteschi toccava un nervo scoperto della vita universitaria nazionale e, come si evince dalle polemiche politiche e dagli allarmati resoconti apparsi sui grandi organi di stampa, sembrava preoccupare particolarmente l’opinione pubblica nazionale. Sotto questo profilo, non sorprende l’enfasi con la quale, da parte del piccolo centro universitario marchigiano, si approfittasse della situazione d’incertezza che caratterizzava soprattutto gli atenei delle grandi città, per rivendicare un titolo di merito e un nuovo argomento a favore della sopravvivenza e del sostegno statale alle università minori. Con la presentazione da parte del nuovo ministro della Pubblica Istruzione Emanuele Gianturco, del disegno di legge dal titolo Modificazioni alle vigenti leggi 38 Ibidem, pp. 41-42. Cfr. V.E. Orlando, La chiusura delle Università come mezzo disciplinare, «L’Unione universitaria», 1 (1894), 1, pp. 509-511; G. Gorrini, Decadenza della disciplina nelle nostre Università, «L’Unione universitaria», 2 (1895), 2, pp. 171-172. Sulle proteste e i disordini studenteschi di questo periodo si vedano in particolare: Rossi, Università e società in Italia alla fine dell’800, cit., pp. 153-167; Pizzitola, Gli studenti della nuova Italia, cit., pp. 157-163; Tomasi-Bellatalla, L’Università italiana nell’età liberale (1861-1923), cit., pp. 160-168. 39 114 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento sull’istruzione superiore40, sembrò in un primo momento che si intendesse finalmente dare risposta alle attese delle tre università minori – Macerata, Sassari e Cagliari – che sollecitavano il definitivo superamento delle disparità vigenti in materia di stipendi del personale docente. Nel testo predisposto dall’esecutivo e presentato alla Camera dei deputati il 4 maggio 1897, a questo proposito, all’allegata Tabella C, relativa agli stipendi dei professori ordinari e straordinari, era omessa ogni differenziazione tra i professori delle università regie di prima e quelle di seconda fascia. Le speranze di un’imminente equiparazione del trattamento economico dei docenti delle università minori a quello in vigore per il resto della categoria erano destinate, tuttavia, a tramutarsi, di lì a poco, in un’amara disillusione. A distanza di pochi giorni (13 maggio), infatti, nel testo ufficiale del disegno di legge Gianturco pubblicato come di consueto nel «Bollettino ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione» la “svista” riscontrata precedentemente era emendata e la Tabella C, debitamente corretta, riproponeva senza grandi variazioni il differente trattamento economico e giuridico tradizionalmente stabilito per il personale docente di ruolo degli atenei di Macerata, Sassari e Cagliari rispetto a quello delle università di prima fascia, con l’unica novità di un lieve incremento degli emolumenti assegnati ai professori delle università minori41. Non sorprende, a questo riguardo, che in un successivo e polemico intervento dal titolo Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata42, pubblicato sulle pagine de «L’Unione universitaria», il prof. Domenico Schiappoli si facesse portavoce del crescente malcontento dei colleghi per il mancato pareggiamento, liquidando come ridicoli i modesti aumenti stipendiali previsti dal provvedimento: Non si creda però – egli scriveva –, che l’on. Gianturco non abbia preso a cuore la sorte dei professori di queste Università minorum gentium, anzi ha voluto anche aumentare lo stipendio elevando di lire 400 quello dei professori straordinari e di lire 600 quello degli ordinari. E’ vero il caso di gridare, con frase volgare, davanti a tanta gretteria: crepi l’avarizia! 40 Si veda il testo del provvedimento predisposto dal ministro Emanuele Gianturco in Disegno di legge presentato dal ministro della pubblica istruzione (Gianturco) di concerto col ministro del Tesoro (Luzzatti), Modificazioni alle vigenti leggi dell’istruzione superiore, seduta del 4 maggio 1897, in AP, Camera dei Deputati, Sessione 1897, Documenti, n. 79. 41 Cfr. BUMPI (1897), I, n. 19, p. 789. Il fatto che la disposizione fosse presente nel testo originario aveva addirittura indotto il giornale «La Nuova Sardegna», organo dei radicali sassaresi, ad accogliere il progetto con un editoriale di plauso. Si veda Il progetto Gianturco e l’Università di Sassari, «La Nuova Sardegna», 16 maggio 1897. 42 D. Schiappoli, Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata, «L’Unione universitaria», 4 (1897), 3-4, pp. 158-162. 115 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Lo stesso Schiappoli forniva poi un’ampia e analitica ricostruzione delle reazioni che la cocente delusione prodotta dalla presentazione del disegno di legge Gianturco aveva suscitato negli ambienti accademici e in seno agli stessi enti locali interessati e dava conto del clima di mobilitazione unitaria da parte dei docenti dei tre atenei che ne era scaturito: Appena pubblicato il progetto, il Corpo Accademico dell’Università di Sassari, eguale in grado a questa di Macerata, riunito in seduta plenaria, deliberava di sperimentare ogni mezzo legale, che riesca a togliere l’umiliante sperequazione di fronte alle altre Università e di rivolgere viva raccomandazione alle altre due consorelle di Cagliari e di Macerata allo scopo di riunire tutte le forze nell’intento comune e di prendere concordemente i necessari provvedimenti e più specialmente di riunire a Roma i rappresentanti delle Università e degli enti interessanti. Il Consiglio provinciale, poi, della medesima città, nella seduta straordinaria del 17 maggio, deliberava di far voti presso il Governo, affinché abbia a sparire una buona volta nelle Università ogni distinzione e siccome gli effetti delle spiacevole distinzione colpiscono particolarmente le sole Università di Cagliari, Sassari e Macerata e ne peggiorano per di più le condizioni, privando gli studenti del benefizio del riordinamento progettato ed esponendoli ai maggiori oneri della tasse scolastiche, così il Consiglio medesimo incaricava la Deputazione provinciale di far pratiche colle rappresentanze politiche ed Amministrative delle Province interessate per una concorde azione presso il Governo ed il Parlamento, diretta ad ottenere il conseguimento dei comuni voti e l’impedimento di una nuova ingiustizia43. L’iniziativa intrapresa dai docenti e dagli amministratori locali sassaresi44 aveva riscosso il consenso e l’immediata adesione delle altre due sedi universitarie. A Macerata, in particolare, i vertici dell’ateneo e quelli delle amministrazioni comunale e provinciale si erano più volte riuniti e avevano deliberato di procedere unitariamente con le realtà sarde, coinvolgendo altresì i parlamentari marchigiani e tutti i possibili referenti romani in grado di operare pressioni sul ministero e sul governo45. Lo poneva 43 Ibidem, pp. 159-160. Cfr. G. Fois, L’Università di Sassari tra Otto e Novecento in Da Passano (a cura di), Le Università minori in Italia nel XIX secolo, cit., p. 94. 45 Tra i materiali conservati in ASMc sono presenti diversi documenti (delibere, telegrammi, note e appunti manoscritti) che ricostruiscono lo scambio di corrispondenza avvenuto in quel periodo tra i tre atenei coinvolti e tra le rispettive amministrazioni comunali e provinciali. In particolare, si segnala il testo del telegramma inviato in data 22 maggio 1897 dal rettore dell’ateneo sardo al suo collega maceratese: «Professori università raccolti seduta plenaria deliberarono sperimentare ogni mezzo legale per scongiurare suprema iattura minacciata progetto Gianturco ponendoci condizione inferiorità peggio che in passato fanno voti perché si riuniscano tutte le forze nell’intento comune di riuscire a togliere sperequazione umiliante vergognosa. Urge prendere concordemente necessari provvedimenti specie quello di riunire Roma rappresentanti università ed enti interessati» (ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711). 44 116 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento in rilievo lo stesso Schiappoli, sottolineando come dietro il problema apparentemente settoriale «degli stipendi dei professori» si celasse la vera grande questione della salvaguardia della dignità e del futuro di atenei prestigiosi, a torto e senza reali motivazioni, mantenuti in uno stato di umiliante minorità, e del rispetto delle comunità urbane che quelle università avevano voluto e continuavano a sostenere con encomiabili sacrifici: A Macerata – concludeva l’autore – gli enti consorziati, Comune e Provincia, ed il Corpo Accademico hanno fatto voti pel pareggiamento. Ed era utile che tali voci si fossero levate. Poiché a mio modo di vedere la questione non è di puro stipendio, ma anche di decoro, quanto si tenga presente, che la condizione inferiore, in cui è tenuta la nostra Università non le fa aver quel prestigio che dovrebbe pure avere e si corre rischio di sentirsi ripetere, che la laurea, presa a Macerata, non abbia il valore morale di quella presa a Siena, a Parma, Moderna e Messina. […] Speriamo, che l’on. Ministro si compiaccia di ascoltare i voti delle Università di Cagliari, Sassari e Macerata e voglia trovare il modo di equiparare queste alle altre e di non tenerle più in condizione inferiore. […] Se altrimenti crede che siano inutili, perché non si mette allora in pratica un rimedio radicale, invece di farle vivere in condizione inferiore e degradante rispetto alle altre?46. La vivace mobilitazione delle tre sedi e le forti pressioni esercitate dall’opinione pubblica e dagli amministratori locali erano destinate a produrre un certo risultato. Nelle settimane seguenti, infatti, la commissione della Camera dei deputati incaricata di esaminare il disegno di legge Gianturco esprimeva parere favorevole in merito all’accoglimento dell’istanza del pareggiamento e sollecitava il ministro ad accogliere le richieste avanzate dalle tre università minori: «Questi atenei che hanno una storia gloriosa e a beneficio dei quali le regioni rispettive devolvono annualmente una parte della loro risorse»47. Anche il disegno di legge sul riordinamento del sistema universitario presentato da Emanuele Gianturco, tuttavia, al pari di quelli che lo avevano preceduto, era destinato a non proseguire il suo iter parlamentare e, a seguito della caduta, nel 46 Schiappoli, Il nuovo progetto Gianturco e l’Università di Macerata, cit., pp. 160-162. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1897, Documenti, n. 79 A, rel. Fani. Si veda inoltre A S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione e all’on. Commissione parlamentare per l’esame del progetto di legge sull’istruzione superiore, Sassari, s.i.e., 1899. Si tratta in questo caso di un dossier sull’argomento che reca le firme del rettore dell’ateneo sassarese Dettori, del sindaco della città Mariotti, del Presidente del Consiglio provinciale Demurtas e del presidente della Deputazione Vincentelli. 47 117 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento settembre 1897, del III governo presieduto da Di Rudinì, ad essere ben presto accantonato48. Ad accrescere le difficoltà dell’Università di Macerata e a provocare una vera e propria spaccatura nel fronte che aveva portato avanti la battaglia in favore del pareggiamento contribuì, nell’estate del 1897, la decisione della commissione amministrativa del Consorzio49 di ridurre sensibilmente le risorse a disposizione per consentire l’esonero delle tasse d’immatricolazione e iscrizione degli studenti. Con delibera del 15 luglio, a questo riguardo, era stabilito che per il successivo anno accademico 1897-1898 fosse «limitata soltanto alla metà l’esonerazione dalle tasse di immatricolazione ed iscrizione e venga per intero accordata in ordine alla tassa di diploma»; la commissione deliberava altresì che «nessuna esonerazione [fosse] accordata agli studenti di quarto anno che provengono da altre Università con fogli di congedo portanti il pagamento della sola prima rata di tassa d’iscrizione»50. Alla base di una simile decisione si poneva la volontà dei componenti dell’organo di governo del Consorzio di allontanare definitivamente il sospetto, rilanciato da alcuni polemici interventi apparsi sulla stampa nazionale proprio in occasione della presentazione del disegno di legge Gianturco, che all’origine della costante crescita di iscrizioni e, dunque, dell’innegabile capacità di attrazione della gioventù studiosa esercitata dall’Ateneo maceratese si ponessero non già le tanto decantate qualità ambientali della piccola e tranquilla sede decentrata e gli eccellenti livelli dell’insegnamento giuridico ivi offerto, quanto, più semplicemente, una serie di facilitazioni economiche per coloro che ambivano a conseguire un titolo accademico che difficilmente era possibile garantire negli altri atenei della penisola. Sotto questo profilo, un intervento volto a ridurre drasticamente le disparità di trattamento e le agevolazioni tradizionalmente riservate agli studenti che sceglievano di frequentare l’Università di Macerata avrebbe conferito maggiore forza e credibilità alla richiesta 48 Cfr. Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 138-146. 49 Negli anni accademici in oggetto (1896-1897 e 1897-1898) la commissione amministrativa del Consorzio universitario maceratese era presieduta dal rettore dell’Università e composta dai seguenti membri: Domenico Silveri, membro effettivo, delegato nominato dalla Provincia, Alfonso Lazzarini, membro effettivo, delegato nominato dal Comune, Attilio Palombi, membro supplente per la Provincia e Enrico Moschini-Antinori, membro supplente per il Comune. Silveri non prese parte all’adunanza della commissione amministrativa nel corso della quale furono ristabilite le tasse scolastiche e fu sostituito dal supplente (Palombi). Cfr. ANNUARIO (1897), p. 35; e ANNUARIO (1898), p. 47. 50 Si veda la delibera presa nel corso dell’adunanza del 15 luglio 1897, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543. 118 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento avanzata al ministero di sanare le assurde e ingiustificabili differenziazioni vigenti sul piano amministrativo e finanziario tra gli atenei statali. Al fine, tuttavia, di evitare che l’improvviso ridimensionamento del regime di agevolazioni fino a quel momento assicurate dall’Ateneo comportasse un repentino calo del numero degli iscritti, il nuovo rettore Niccolò Lo Savio, nominato nel gennaio 1897 e, in forza del R.D. del 7 maggio 1896, n. 25551, chiamato a ricoprire anche l’ufficio di preside della Facoltà giuridica maceratese, dava vita ad una serie di iniziative volte da un lato a promuovere l’immagine dell’Università nelle Marche e nelle altre regioni dalle quali tradizionalmente provenivano gli allievi, dall’altro a favorire la fidelizzazione di quanti già immatricolati, erano tenuti a rinnovare l’iscrizione all’ateneo maceratese per il nuovo anno accademico 1897-1898. Con riferimento a quest’ultimo obiettivo, in particolare, il rettore Lo Savio decideva di inviare una lettera alle famiglie degli studenti iscritti all’Ateneo, nella quale, dopo aver sottolineato le molteplici ragioni per le quali era opportuno continuare a scegliere l’Università di Macerata come sede di studio per i propri figli (dall’ottima collocazione geografica della città marchigiana al costo della vita incomparabilmente più basso che altrove; dall’elevata competenza del corpo docente all’indiscussa qualità della formazione giuridica impartita ecc.), illustrava puntualmente le limitazioni introdotte in materia di esonero dal pagamento delle tasse universitarie, non mancando di rilevare come, anche a fronte del regime più restrittivo adottato, l’Ateneo maceratese continuasse a rappresentare comunque una scelta assai vantaggiosa, specie per le famiglie che non potevano contare su redditi elevati: Il Consorzio Universitario – egli scriveva – ha stabilito, per l’anno scolastico 1897-1898, di limitare soltanto alla metà l’esonerazione delle tasse. […] Di guisa che i giovani invece di pagare come nelle altre Università, per tassa d’immatricolazione L. 40, secondo che è prescritto dalla legge, pagheranno solamente lire 20. […] Benché sia un’esonerazione parziale, è nondimeno un vantaggio non indifferente per facilitare ai giovani i mezzi d’intraprendere e compiere gli studii superiori, e una notevole economia per le famiglie, che si risparmiano, pei quattro anni, la non piccola somma di L. 410,0052. 51 Il R.D. 7 maggio 1896, n. 255 stabiliva che: «Le funzioni di Preside della Facoltà giuridica della R. Università di Macerata saranno esercitate dal rettore pro-tempore dell’Università medesima» (pubblicato nella GU, 8 luglio 1896). 52 Si veda l’originale della lettera circolare in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. 119 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Il parziale venir meno dell’esonero dalle tasse universitarie produsse da subito una contrazione delle immatricolazioni e iscrizioni, destinata peraltro ad accentuarsi negli anni accademici successivi. Se, infatti, nel 1897-1898 il calo fu abbastanza contenuto, e gli iscritti passarono da 369 a 310 (302 per il corso di laurea ed 8 per il diploma speciale), nel 1898-1899 la diminuzione fu assai più sensibile, tanto che gli iscritti passarono da 310 a 196 (190 per il corso di laurea e 6 per il diploma speciale). Ancora più preoccupanti furono i dati relativi alle immatricolazioni, le quali, dalle 85 dell’anno accademico 1896-1897 scesero a 36 nel 1897-1898 e a 34 nel 1898-189953. Il sensibile e repentino calo delle iscrizioni e immatricolazioni era destinato ad accendere le polemiche e a suscitare le preoccupate reazioni dell’opinione pubblica e della stampa locale. «Il Vessillo delle Marche», in particolare, al principio del 1898 intraprese una vera e propria campagna di stampa contro la scelta operata dalla commissione amministrativa del Consorzio, accusata di mettere a rischio la stessa sopravvivenza dell’ateneo maceratese, sollecitando con forza il ritiro dell’«improvvido provvedimento» e il ripristino delle condizioni precedenti: Si dica allora – si affermava sul giornale maceratese – dove dobbiamo pescare il movente che ha determinato il provvedimento. Forse l’imposizione delle tasse fu diretta a togliere via la concorrenza che l’Università nostra faceva alle altre? Non lo crediamo: l’Ateneo maceratese, allontanando duecento o trecento studenti da quelli di Roma o di Napoli, non recava alcun danno a questi due grandiosi centri di studio. O che invece la crescente affluenza di giovani alla nostra città, abbia consigliato la prudente misura? Oh! Tanta ridicolaggine non è davvero presumibile. E allora netto, limpidissimo si presenta il dilemma: o si venne nella determinazione allo scopo di aumentare gli stipendi dei Sigg. Professori e si fece male, perché essi pieni di incarichi non avevano diritto a questo benefizio, o vi si venne senza troppo riflettere, senza tanto discutere e si ripari presto e lealmente l’errore compiuto54. Sulla scia della polemica innescata dalla stampa locale, alcuni consiglieri della Provincia di Macerata – Arturo Ciotti, Lamberto Antolisei, Milziade Cola e Ferdinando Giorgini – presentarono un’interrogazione, chiedendo che il Consiglio provinciale fosse informato dettagliatamente sulle ragioni che erano alla base del provvedimento deliberato dal Consorzio universitario e che l’intera questione fosse fatta oggetto di 53 Per i dati riportati nel testo si vedano, oltre a Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori. Annali di statistica, cit., pp. 3-5, anche le statistiche pubblicate in ANNUARIO (1898), pp. 7376; ANNUARIO (1899), pp. 113-114; e ANNUARIO (1900), pp. 149-150. 54 La nostra Università, «Il Vessillo delle Marche», 36 (2 gennaio 1898), 1, pp. 1-2. 120 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento discussione da parte del Consiglio stesso55. La discussione in Consiglio provinciale si svolse in due momenti: dapprima nelle adunanze del 5 e del 12 gennaio 1898, successivamente in quella del 14 settembre dello stesso anno56. I primi chiarimenti ai dubbi sollevati dai quattro consiglieri circa l’opportunità della disposizione varata dal Consorzio furono affidati ad una lettera, datata 4 gennaio 1898, trasmessa dal nuovo rettore dell’Università di Macerata Raffaele Pascucci 57 e letta nell’adunanza del Consiglio provinciale del 5 gennaio dal presidente Ricci. In essa il rettore Pascucci si schierava a favore della delibera adottata dalla commissione amministrativa del Consorzio, in quanto, a suo avviso, tale decisione appariva senz’altro opportuna al fine di conferire maggiore credibilità all’Ateneo maceratese, fatto spesso oggetto di feroci critiche e contestazioni proprio per la tradizionale prassi di esentare gli studenti dal pagamento delle tasse: Io veramente – scriveva Pascucci – non so a quali danni V.S. intende alludere. So invece che in passato l’esenzione delle tasse fu tal volta deplorata dal Governo del Re e oppugnata da qualche università vicina, come Bologna, e anche da chi intendeva esercitare la libera docenza58. Il rettore, inoltre, si mostrava scettico circa l’attribuzione in toto al nuovo regime delle tasse universitarie del sensibile calo delle iscrizioni e immatricolazioni in ateneo59, all’origine del quale, egli notava, andavano poste motivazioni in parte diverse, non ultima la situazione che si era creata in tutta la penisola con il calo del numero dei licenziati dalle scuole liceali. Del resto, la diminuzione degli studenti universitari nell’anno accademico in corso poteva per certi versi considerarsi un problema comune a numerose sedi accademiche: 55 A darne notizia era proprio «Il Vessillo delle Marche» il quale, tre giorni prima della seduta, si augurava che: «Il Consiglio della Provincia voglia ispirarsi a larghe vedute e non a gretti opportunismi» (L’affare delle tasse universitarie in Consiglio provinciale, «Il Vessillo delle Marche», cit., p. 1). 56 Se ne vedano i relativi verbali in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1899, adunanze del 5 e 12 gennaio 1898 e del 14 settembre 1898, pp. 7-21 e 52-55. 57 Raffaele Pascucci, professore ordinario di Procedura civile ed Ordinamento giudiziario a partire dall’anno accademico 1887-1888, fu rettore dell’Università di Macerata in ben quattro diversi periodi: dal 1° novembre 1887 al 28 febbraio 1890, dal 16 novembre 1897 al 31 ottobre 1898, dal 16 ottobre 1910 al 31 ottobre 1912 e, infine, dal 1° gennaio al 19 agosto 1918, anno della sua morte. 58 Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 5 gennaio 1898, p. 8. 59 In realtà il prospetto degli studenti iscritti presentato dal rettore Pascucci risultava alquanto approssimativo, non facendo alcun riferimento al numero degli iscritti al primo anno e basandosi invece sui soli studenti (30 unità secondo quanto da lui riferito) che avevano chiesto ed ottenuto il congedo (ibidem, pp. 8-9). 121 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Se una qualche diminuzione si riscontra in confronto dell’anno passato – concludeva Pascucci –, essa, oltreché all’influenza delle tasse, deve ascriversi all’insuccesso rilevantissimo toccato agli aspiranti all’ultimo esame di licenza liceale. Aggiungerò poi che nel provvedere sulla domanda di dispensa delle tasse, per causa di indigenza e di merito, la facoltà ha usato una certa larghezza, ed applicandosi anche in seguito questo temperamento l’onere della tasse non potrà in futuro, presumibilmente, cagionare una notevole diminuzione nel numero degli studenti. Le precisazioni fornite dal rettore dell’Università di Macerata erano destinate a rinfocolare gli animi e a fare emergere con forza la diversità di orientamenti che, sulla questione dell’esonero dalle tasse, caratterizzava da una parte il corpo docente dell’Ateneo maceratese, attestato compattamente sulla linea del rigore e del graduale superamento di ogni particolare regime di agevolazioni rispetto alle politiche adottate negli altri atenei italiani enunciata da Pascucci, dall’altra tanta parte dell’opinione pubblica e non pochi tra gli amministratori locali, preoccupati per i contraccolpi negativi del provvedimento adottato e per il delinearsi dello spettro di un progressivo e inarrestabile crollo degli iscritti. Non a caso, nel dichiararsi insoddisfatti delle risposte ricevute, i consiglieri provinciali che avevano presentato l’interrogazione tornavano alla carica sollecitando un passo indietro e attaccando duramente i rappresentanti degli enti locali nella commissione amministrativa del Consorzio, rei di avere avallato un provvedimento tanto delicato senza le necessarie consultazioni con gli organismi istituzionali che li avevano nominati: In una questione così grave – notava Lamberto Antolisei –, i signori delegati non hanno creduto di rivolgersi, né alla Provincia, né al Comune pur sapendo che tali Enti rispettivamente concorrono con 17500 lire al mantenimento dell’Università. E ancora: Evidente è intanto il danno che minaccia l’Università – affermava nel suo intervento Milziade Cola –. Già diminuì il numero degli studenti, e più ancora teme diminuiranno in seguito, tanto che l’Ateneo si ridurrà alla vita misera e stentata di un tempo che tutti possono ricordare. Vuolsi migliorare le condizioni del corpo insegnante, trattenendo qui valenti Professori con più lauti compensi? Ma il valore degli insegnanti non farà popolare la nostra Università che sarà disertata, sia per accorrere in centri maggiori, ovvero là dove non si pagano tasse. […] E’ lecito presumere, fin d’ora, che mantenendosi le tasse andrà man mano diminuendo il numero degli studenti e l’Ateneo terminerà per esaurimento. Si pretende di rialzare con questo sistema il credito morale dell’Ateneo; e non si vede che persistendo nell’idea infelice si decreterebbe invece la morte certa di esso. 122 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Nella successiva adunanza del Consiglio provinciale del 12 gennaio, i quattro consiglieri sopra ricordati si fecero promotori di una mozione favorevole all’immediato ritiro del provvedimento sulla riduzione dell’esonero dalle tasse deliberato dal Consorzio universitario. Nel presentare tale mozione, il consigliere Ferdinando Giorgini manifestò forti perplessità riguardo all’atteggiamento assunto nel corso della vicenda dal rettore e dall’intero corpo docente dell’Ateneo, le cui preoccupazioni di uniformare le strategie e l’operato dell’Università di Macerata a quelli adottati dagli altri atenei della penisola erano liquidate come velleitarie e, per certi versi, pericolose per la stessa sopravvivenza della sede maceratese: Gli Atenei minori – affermava polemicamente il consigliere Giorgini – non possono concorrere a parità di condizione cogli Atenei delle grandi città. Tolto il vantaggio dell’esenzione delle tasse, gli studenti preferiranno meglio recarsi negli Atenei maggiori, tanto più che la spesa dell’alloggio e del vitto, è ormai uguale, tanto a Macerata, quanto a Roma e Bologna. Pericolosa alla vita dell’Università sarebbe la diminuzione della studentesca che potrebbe essere d’argomento a coloro che propugnano la soppressione delle Università minori. A ribattere alle critiche formulate da Giorgini e dagli altri promotori della mozione, nell’adunanza consiliare del 12 gennaio intervennero i due rappresentanti degli enti locali in seno alla commissione amministrativa del Consorzio: Attilio Palombi, delegato supplente della Provincia e Alfonso Lazzarini, delegato effettivo del Comune di Macerata. Il primo, dopo aver rivendicato l’autonomia di giudizio dei consiglieri e sottolineato la piena legittimità delle scelte operate dalla commissione amministrativa del Consorzio universitario, ribadiva il suo convincimento che, se si voleva davvero puntare ad «elevare a primaria l’Università nostra, per vivere di vita propria, supplendo alle esigenze dell’avvenire con forze nostre», occorreva voltare pagina rispetto al passato e cancellare gradualmente il particolare regime di esonero totale dalle tasse e le altre agevolazioni agli studenti non previste in nessuno degli altri atenei della penisola. Altrettanto netta era la difesa delle decisioni assunte dal Consorzio da parte di Lazzarini, il quale sottolineava: Con questa imposizione di tassa si rialzano ad un tempo le sorti materiali e il credito morale dell’Ateneo. Potremo vivere una buona volta di vita propria, e potremo smentire coloro che vanno dicendo essere 123 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento l’esistenza dell’Università collegata intimamente al favore che in essa ottengono gli studenti, sia per facilitazione agli esami sia per dispense dalle tasse. Inoltre le tasse sono dovute per legge dagli studenti salvo le eccezioni nella legge stessa contemplate. L’art. 8 del Regolamento consorziale non può derogare la disposizione della legge, e dice soltanto che le tasse sono cedute alla Cassa consorziale. […] il provvedimento adottato è giusto, sotto qualunque aspetto lo si esamini. Al termine di un lungo e vivace dibattito la mozione di censura dell’operato del Consorzio universitario non fu approvata e, sia pure di misura, prevalse la linea favorevole alla riconferma della fiducia ai rappresentanti della Provincia in seno alla commissione amministrativa60. Le profonde divisioni e i contrasti emersi in seno al Consiglio provinciale erano destinati, tuttavia, ad essere accantonati solo provvisoriamente e a riaccendersi di lì a pochi mesi. A rilanciare con forza infatti, nell’adunanza del Consiglio provinciale del 14 settembre 1898, la battaglia in favore del ripristino dell’esonero totale dalle tasse universitarie per evitare l’emorragia di iscritti e, di conseguenza, l’inarrestabile declino dell’Università di Macerata, fu il consigliere Arturo Ciotti, primo firmatario della già ricordata mozione presentata in gennaio, il quale, citando una relazione trasmessa il 14 luglio dello stesso anno alla Provincia dal rettore dell’Ateneo Raffaele Pascucci, nella quale era indicata come principale causa del calo degli iscritti proprio il «ripristino parziale delle tasse», sollecitava il Consiglio a riaprire il caso e a pronunciarsi nuovamente sulla questione, dal momento che, egli sosteneva, «oggi si ha la prova piena e indefettibile che questi danni ci sono stati, giusta la confessione del Rettore». Nel replicare all’intervento del consigliere Ciotti, il rappresentante della Provincia nella commissione amministrativa del Consorzio universitario, Attilio Palombi, dopo aver ribadito come la decisione di voltare pagina rispetto alle politiche adottate dall’Ateneo nel passato scaturisse dalla volontà di rimuovere definitivamente gli ostacoli che fino a quel momento avevano impedito il pareggiamento, sottolineava come la reintroduzione, sia pure parziale, delle tasse d’immatricolazione e iscrizione avesse contribuito fra l’altro a liberare l’Università di Macerata dal peso di una massa di iscritti fittizi che solo apparentemente risultavano frequentare i corsi accademici: 60 Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 12 gennaio 1898, pp. 16-20. La proposta di ribadire la fiducia nei riguardi dell’operato dei rappresentanti della Provincia fu approvata da 11 consiglieri sui 21 complessivi, mentre 8 furono i voti contrari e 2 gli astenuti. 124 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento La Commissione – concludeva Palombi – si è proposto il quesito, se conveniva cioè tornare all’antico; ma dopo maturo e serio esame concluse che era invece conveniente mantenere la parziale imposizione delle tasse. Infatti le diminuzioni nel numero degli studenti furono più apparenti che effettive. Avevamo prima elenchi veramente fantastici, dove erano notati anche quelli che si erano iscritti, ma che non venivano mai a Macerata. Fatta l’epurazione, adottato il sistema delle domande, abbiamo ora un numero rispettabile di veri studenti, che qui risiedono e qui veramente studiano. […] Intanto abbiamo in quest’anno realizzato un capitale di L. 17,000 circa coi proventi della tasse, e ciò sarebbe un buon avviamento a raggiungere quello scopo che è nell’animo di tutti noi; di creare cioè all’Università i mezzi perché essa possa vivere e prosperare liberamente con forze sue proprie61. Al di là delle vivaci polemiche suscitate in sede locale, la svolta impressa dal Consorzio alla gestione amministrativa dell’Università di Macerata si poneva in piena sintonia con i nuovi indirizzi impressi alla politica universitaria nazionale dal ministro Guido Baccelli, nuovamente tornato alla guida del dicastero della Pubblica Istruzione nel giugno del 189862. A distanza di poco più di un mese dal suo insediamento, com’è noto, Baccelli aveva presentato alla Camera un nuovo disegno di legge sull’autonomia delle università63, relatore del quale – com’era già accaduto con il precedente disegno di legge sull’istruzione superiore del giugno 189564 – era stato nominato l’on. Guido Fusinato65. Nella relazione predisposta da quest’ultimo, che esprimeva piena sintonia con gli indirizzi di fondo «del progetto ministeriale»66, veniva fra l’altro ribadita l’opportunità di uniformare il regime di tassazione universitaria, estendendo anche alle università libere – e a quelle regie università che, come nel caso di Macerata, continuavano a 61 Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1898, cit., adunanza del 14 settembre 1898, pp. 53-54. Guido Baccelli fu chiamato nuovamente a guidare il dicastero della Pubblica Istruzione nel corso dei due governi presieduti da L.G. Pelloux, dal 29 giugno 1898 al 24 giugno 1900. Sulle scelte di politica universitaria da lui operate in questo periodo si vedano in particolare Di Domizio, L’università italiana: lineamenti storici, cit., pp. 186-188; e Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, cit., I, pp. 291-293. 63 Cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1897-98, Documenti, seduta del 4 luglio 1898, Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e scuole superiori del Regno; e AP, Camera dei Deputati, Sessione 1898, Documenti, n. 297, Disegno di legge presentato dal Ministro dell’ Istruzione pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e scuole superiori del Regno. Testo del disegno di legge colle tabelle annesse ripresentato nella seduta del 19 novembre 1898. 64 Cfr. Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., pp. 131-132. 65 Guido Fusinato, parlamentare e ordinario di Diritto internazionale all’Università di Torino, era stato ministro della Pubblica Istruzione per pochi mesi, dal 29 maggio al 2 agosto 1906, nel corso del III governo Giolitti. Dal 1883 al 1885 era stato professore incaricato di Diritto internazionale nell’Università di Macerata. 66 Vicende legislative della Pubblica Istruzione in Italia dall’anno 1859 al 1899 raccolte e annotate da Giuseppe Saredo. Introduzione al Codice della Pubblica Istruzione dello stesso, cit., p. 168. 62 125 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento mantenere in vita norme particolari – disposizioni univoche in materia di «ammissione degli studenti» e di pagamento delle tasse scolastiche: Le Università libere esistenti – recitava la relazione Fusinato – […] verranno per Decreto reale, udito il Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica, pareggiate per ogni effetto legale alle Università dello Stato. Esse peraltro dovranno uniformarsi alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti per tutto ciò che riguarda l’ammissione degli studenti, l’ordinamento degli studi e il pagamento delle tasse scolastiche, le quali andranno a loro vantaggio ad eccezione di quella per l’esame di Stato. A quest’ultima disposizione riguardante le tasse scolastiche dovrà conformarsi anche la Regia Università di Macerata. Lo Stato vigilerà per mezzo di un suo rappresentante stabile o con regolari ispezioni, affinché siano osservate le disposizioni delle leggi e dei regolamenti a cui le Università libere devono uniformarsi a norma del presente articolo67. In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1898-1899, il neo rettore dell’Università di Macerata Luigi Tartufari, prendendo le mosse proprio dalla convinta e ormai consolidata volontà dell’Ateneo di lasciarsi alle spalle ogni forma di particolarismo e di indebito vantaggio e di uniformare il proprio operato a quello della maggior parte degli atenei della penisola, tornava a sollecitare il pareggiamento dell’Università di Macerata, non mancando di sottolineare come l’immotivata condizione di inferiorità giuridica nella quale essa si trovava avesse prodotto e continuasse a produrre danni gravissimi alla stessa attività didattica e scientifica dell’ateneo, impedendo il radicamento dei docenti migliori e negando, dunque, alla sua facoltà giuridica la possibilità stessa di coltivare e consolidare le tante eccellenze di cui disponeva: Se si tenesse il debito conto – precisava il rettore Tartufari ricordando i tanti studiosi che aveva insegnato a Macerata e avevano poi dovuto trasferirsi altrove per continuare la loro carriera –, non questa o quella città soltanto, ma tutta Italia dovrebb’esserle particolarmente grata. Guardate, infatti, i professori che ha dati: a Torino il Fusinato, a Genova il compianto Ferdinando Bianchi e il Manenti; a Pavia il Longo e il Buzzati; a Parma il Brandileone, il Perozzi e il Bonfante; a Modena il Melucci, il Franchi, il Serafini e il Valenti; a Bologna il Brini; a Pisa il Pampaloni, il Calisse e il Vacchelli; a Siena il Vitali, il Patetta e il Leporini; a Roma il De Viti De Marco; a Napoli il Gianturco, il Pantaleoni ed il Fadda; a Messina l’Ugo, l’Ascoli, il Venezian, lo Sraffa e il Segre! E taccio di altri che, pur vincitori di concorsi altrove, non vollero o non seppero allontanarsi di qui. Ora, qual più giusto titolo, se già altri non ve ne fossero, al tanto 67 Ibidem, pp. 172-173. 126 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento invocato pareggiamento? E qual è mai quella fra le Università che possa, in così breve volger di tempo, vantare verso le altre benemerenze maggiori, od anche solo uguali?68. Merita di essere sottolineato che, fin dal 26 dicembre 1898, poche settimane dopo la sua nomina a rettore, Luigi Tartufari aveva inviato al ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli un dettagliato e organico progetto per il pareggiamento dell’Università di Macerata, da lui predisposto in collaborazione con gli altri membri del Consorzio e approvato dalla Facoltà giuridica69. Il progetto, corredato dallo schema di bilancio e dalle proposte di modifica dello Statuto consorziale, prevedeva fra l’altro che lo stanziamento finanziario annuale necessario a coprire i costi del pareggiamento continuasse a gravare in larga misura sugli enti locali, ossia sui bilanci del Comune e della Provincia di Macerata, e solo in minima parte aumentasse la spesa a carico del bilancio statale, condizione necessaria, quest’ultima, affinché la proposta fosse presa in debita considerazione dal governo e non scartata, com’era accaduto a più riprese in precedenza, in ragione della scarsità delle risorse disponibili. La risposta del ministro non si era fatta attendere. In una lettera del 5 gennaio 1899 Guido Baccelli dava atto al rettore dell’Università di Macerata della bontà del progetto presentato e dichiarava la disponibilità del ministero della Pubblica Istruzione a sostenerne l’attuazione: Ho preso in esame il progetto di modificazione all’attuale Statuto consorziale di codesta Università, come già Le ho detto, io accetto la proposta e sono disposto per mia parte a presentare alla firma Reale il Decreto, che dovrà modificare l’altro del 6 febbraio 1887. Non ho difficoltà quindi di autorizzare la S.V. a partecipare alle Autorità locali la mia adesione al progetto per operare le opportune deliberazioni della Provincia e del Comune. Io intanto ho comunicato il progetto al mio collega del Tesoro, con quale debbo necessariamente mettermi d’accordo, già perché occorre portare una variazione in bilancio, già per l’aggravio, che dall’attuazione del progetto ne verrà alle finanze dello Stato per aumento degli aumenti quinquennali e delle pensioni70. 68 Relazione del Rettore Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1898-1899, ANNUARIO (1899), p. 11. 69 Il testo del progetto inviato al ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli e la documentazione relativa alla sua approvazione da parte della commissione amministrativa del Consorzio e della Facoltà di Giurisprudenza sono conservati nel fascicolo personale del rettore Tartufari, in AUSM, Facoltà giuridica, Personale, f. Tartufari Luigi. 70 La lettera del ministro Baccelli al rettore Tartufari è riprodotta in ASMc, Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1083. 127 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Municipio e Provincia di Macerata, sollecitati nei giorni seguenti ad esprimere il proprio assenso all’iniziativa e ad approvare le relative delibere di ulteriore impegno di spesa non frapposero ostacoli, operando in stretto raccordo con l’Ateneo. Il Consiglio comunale, convocato d’urgenza, nell’adunanza del 25 gennaio 1899, espresse all’unanimità parere favorevole sul progetto di modifica dello Statuto consorziale71. Analogamente, nella seduta del 6 febbraio 1899 il Consiglio provinciale, preso atto che il ministero della Pubblica Istruzione avrebbe assicurato il pareggiamento dell’Università di Macerata mediante una nota di variazione (la 35 ter) al bilancio preventivo per l’esercizio 1899-190072, deliberò anch’esso all’unanimità le modificazioni richieste73. In pratica, era stabilito che il finanziamento annuo erogato dal Comune e dalla Provincia al Consorzio universitario maceratese fosse interamente versato, e non più solo in parte, come accadeva in precedenza, nelle casse dello Stato74; a questo si aggiungeva un ulteriore contributo di lire 1.000 lire a carico della stessa cassa consorziale, che portava così a lire 36.000 complessive la cifra annua stanziata per il pareggiamento dell’Ateneo. Il qual contributo – si legge nella delibera approvata dalla Provincia di Macerata – poi dovrebbe essere fissato come limite massimo per concorrere nella spesa che lo Stato deve sostenere per pagamento degli stipendi ai professori ordinari e straordinari e al personale amministrativo e di servizio e con condizione che il contributo stesso sarà diminuito in proporzione delle vacanze che si verificassero sul suolo suddetto, andando tale differenza a beneficio della Cassa consorziale per la manutenzione ordinaria e conservazione del fabbricato e per le altre spese indicate in generale nel n. 2 dell’art.4 dell’attuale Statuto75. 71 ASMc, Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1083, adunanza del 25 gennaio 1899. 72 Nel capitolo 25 (Regia Università ed altri Istituti superiori) del Bilancio dell’Istruzione pubblica per l’esercizio finanziario 1899-1900 il ministero con la nota di variazione 35 ter aveva introdotto un aumento di lire 20 mila per il pareggiamento dell’Università di Macerata, elevando così la somma totale a lire 7.662.655, 40. Cfr. Il pareggiamento dell’Università di Macerata. Discorso del deputato Giovanni Mestica pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 13 febbrajo 1900, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1900, pp. 3-4. 73 Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1899, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1900, adunanza del 6 febbraio 1899, pp. 21-27. 74 L’art. 2 dello Statuto consorziale era quello relativo all’entità del contributo che Provincia e Comune si impegnavano a versare annualmente per il mantenimento dell’Ateneo (contributo peraltro già elevato, a partire dal 1893, a lire 35.000 complessive, ovvero a lire 17.500 da parte di ciascun ente) mentre l’art. 4 faceva riferimento essenzialmente alla quota parte del contributo che doveva essere versata nelle casse dello Stato e a quella che restava nella disponibilità del Consorzio, con la determinazione della tipologia di spese per le quali poteva essere utilizzato. Cfr. Statuto del Consorzio universitario di Macerata (revisione 1887), in Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 146-147. 75 Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1899, cit., adunanza del 6 febbraio 1899, p. 23. 128 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Lo Stato, dal canto suo, si sarebbe fatto carico di ogni ulteriore spesa necessaria all’attuazione del pareggiamento. L’annosa questione, trascinatasi per quasi un ventennio tra polemiche e rinvii, sembrava dunque prossima ad una soluzione largamente condivisa e in grado di soddisfare i diversi soggetti coinvolti, quando un nuovo e inatteso ostacolo si profilò all’orizzonte. Nella primavera del 1899 il ministro del Tesoro Pietro Vacchelli, padre di quel Giovanni Vacchelli che era stato professore straordinario di Diritto amministrativo proprio all’Università di Macerata fino a qualche anno prima, manifestava la propria contrarietà al progetto, sollevando forti dubbi circa le effettive ricadute finanziarie dell’operazione sul bilancio dello Stato, soprattutto con riferimento agli aumenti quinquennali degli stipendi e delle pensioni del personale docente dell’Ateneo76. La caduta del primo governo Pelloux, il 14 maggio di quello stesso anno, impedì che il momentaneo arresto dell’iter burocratico del procedimento si trasformasse in un suo accantonamento definitivo e riaccese le speranze di un superamento delle difficoltà e resistenze incontrate in ambito governativo. All’indomani della costituzione del secondo esecutivo presieduto dallo stesso Pelloux, infatti, il nuovo titolare del ministero del Tesoro Paolo Boselli, messi da parte i dubbi e le contrarietà che avevano caratterizzato il suo predecessore, si mostrò subito favorevole ad una ripresa delle trattative, non nascondendo la propria volontà di introdurre ulteriori miglioramenti alla parte finanziaria dell’accordo. Di tale incoraggiante disponibilità ministeriale dava conto lo stesso rettore dell’Università di Macerata Luigi Tartufari, il quale, in occasione della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1899-1900, dopo aver ripercorso le tappe salienti della vicenda, informava gli uditori della nuova situazione creatasi e delle incoraggianti prospettive che sembravano delinearsi all’orizzonte: Il progetto presentato a S. E. il Ministro Baccelli e da questi accettato – affermava il rettore – importava, pur senza alcun ulteriore aggravio delle finanze locali, alcune notevoli modificazioni al vigente Statuto Consorziale, ed ambedue i Consigli, Comunale e Provinciale, unanimemente si affrettarono ad approvarle, accompagnando il loro autorevole voto con le più vive insistenze affinché l’ideale da tanto tempo perseguito potesse finalmente divenire realtà. Ma nonostante tutto ciò, e malgrado che i nostri sforzi fossero caldamente assecondati e dalla locale Autorità politica, […] il progetto trovò un insuperabile ostacolo nella recisa e tenace opposizione dell’ex Ministro del Tesoro on. Vacchelli, di fronte al quale a nulla valsero gli argomenti con cui ci parve di avere vittoriosamente confutate le opposte 76 Cfr. Cose universitarie, «Il Vessillo delle Marche», 37 (23 marzo 1899), 7, pp. 1-2. 129 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento obbiezioni. Provvida però sopraggiunse la crisi, e le trattative rimaste temporaneamente interrotte furono con maggior lena riprese. Il nuovo Ministro del Tesoro on. Boselli, dopo di essersi personalmente occupato del nostro progetto, esaminandolo con animo sinceramente benevolo e sereno, ebbe testé a formulare alcune controproposte, per effetto delle quali la questione – già ingrossata e sviata – trovasi ora limitata e circoscritta al puro campo finanziario. E su questo terreno, conteso a palmo a palmo e a palmo a palmo difeso, facile e prossimo sembra l’accordo, se pure le vicende parlamentari, che tanta parte intralciano e paralizzano della pubblica amministrazione, improvvisamente non vengano a risospingerci indietro, costringendoci a rifarci da capo. Grazie al perfetto accordo che regna fra me e gli egregi Rappresentanti della Provincia e del Comune, la cui opera si è sempre inspirata al maggior bene di questo Ateneo, l’Amministrazione del Consorzio provvederà da sé alle nuove esigenze finanziarie accampate dallo Stato, ed io considererò come una delle maggiori fortune della mia vita quella di potere un giorno dare ai miei Colleghi e ai miei concittadini il lieto annunzio del fatto compiuto77. In realtà, le «controproposte» di carattere finanziario formulate dal ministro Boselli concernevano un sensibile incremento delle risorse trasferite annualmente allo Stato dal Consorzio, destinato a gravare essenzialmente sugli enti locali. Il 22 novembre 1899, al fine di concludere in tempi rapidi la trattativa, la commissione amministrativa del Consorzio deliberava all’unanimità di elevare da 36 a 40 mila lire il proprio contributo finanziario: L’Amministrazione del Consorzio – recitava la delibera assunta – si obbliga di corrispondere allo Stato medesimo, per tutta la durata del vigente Statuto Consorziale approvato con R. Decreto 6 febbraio 1887, l’annuo aumento di L. 5.000 da pagarsi in quattro uguali rate trimestrali posticipate, a far luogo dal giorno in cui il proposto pareggiamento sarà, anche nei vari riguardi finanziari, effettivamente attuato78. Gli ostacoli, tuttavia, erano ben lungi dall’essere appianati. Il 22 gennaio 1900, infatti, lo stesso rettore Luigi Tartufari comunicava al sindaco e al presidente della Provincia di Macerata la notizia dell’insorgenza di nuove difficoltà da parte dell’amministrazione statale: Tale progetto di pareggiamento – scriveva il rettore dell’Università di Macerata – corre tuttora pericolo per le difficoltà sollevate dalla Giunta del Bilancio, contro le proposte concordate fra gli onorevoli Ministri della Pubblica Istruzione e del Tesoro. Una delle più gravi obbiezioni consiste nel fatto che il vigente consorzio va a terminare col 1905 e la predetta Giunta ritiene opportuno che, prima di accogliere 77 Relazione del Rettore Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1899-1900, ANNUARIO (1900), p. 9. 78 ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543, adunanza del 22 novembre 1899. 130 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento le proposte Ministeriali, sia almeno assicurata fin da ora per un trentennio e cioè fino al 1930, la rinnovazione del contratto consorziale79. La richiesta, dunque, era quella di estendere fino al 1930 la durata del Consorzio universitario maceratese, in modo da garantire per almeno un trentennio la contribuzione annua del Comune e della Provincia di Macerata ed evitare così il trasferimento in tempi relativamente brevi dell’intera spesa a carico del bilancio statale. Anche di fronte ad una richiesta indubbiamente assai gravosa sotto il profilo finanziario, tanto il Comune quanto la Provincia di Macerata diedero il proprio assenso al prolungamento della durata del Consorzio universitario, deliberando l’adesione ai nuovi termini dell’accordo con il ministero della Pubblica Istruzione rispettivamente il 10 e il 12 febbraio 1900. Il testo della delibera approvata dal Consiglio provinciale, e analoga a quella presentata in Municipio, così recitava: Il Consiglio provinciale approva la rinnovazione del Consorzio fino al 1930, mantenendo il proprio concorso nelle spese per l’Università di Macerata in L. 17.500 annue per tutto il suddetto trentennio; e, confermando in ogni sua parte la risoluzione 6 febbraio 1899, delibera che, effettuandosi il tanto desiderato pareggiamento, la predetta somma sia per intero versata nella Cassa dello Stato80. I tempi sembravano davvero maturi per la positiva conclusione della vicenda. All’indomani del voto favorevole espresso dal Consiglio provinciale, il 13 febbraio 1900, il deputato del collegio di Macerata Giovanni Mestica81 pronunciava alla Camera dei deputati un appassionato discorso82, nel quale, dopo aver contestato punto per punto la fondatezza delle numerose obiezioni mosse al progetto per il pareggiamento 79 Si veda la lettera inviata dal rettore Tartufari al sindaco e al presidente della Provincia di Macerata in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. Il testo della lettera è parzialmente riprodotto nel verbale del consiglio provinciale, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1900, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1901, adunanza del 12 febbraio 1900, p. 20. 80 La risoluzione consiliare fu approvata con 25 voti favorevoli ed uno contrario ed immediatamente telegrafata al ministero della Pubblica Istruzione (Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1900, cit., adunanza del 12 febbraio 1900, in p. 21). Per la delibera del Consiglio comunale, si veda ASMc, Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1084, adunanza del 10 febbraio 1900. 81 Nativo di Favete di Apiro (Macerata), Giovanni Mestica era stato eletto deputato per la prima volta il 23 novembre 1890 per il collegio unico di Macerata con 5011 voti. Fu parlamentare per cinque legislature (dalla XVII alla XXI), eletto nel collegio di San Severino Marche. Su di lui si veda ora M. Severini, Mestica, Giovanni, in DBI, 74 (2010), pp. 18-19. 82 Il pareggiamento dell’Università di Macerata. Discorso del deputato Giovanni Mestica pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 13 febbrajo 1900, cit., pp. 3-21. 131 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento dell’Università di Macerata dai membri della Commissione generale del bilancio83, sollecitava Parlamento e governo ad accelerare la sottoscrizione dell’accordo e a garantire all’ateneo le condizioni affinché esso potesse svolgere al meglio la sua funzione scientifica e didattica: L’Università di Macerata – concludeva l’on. Giovanni Mestica –, consistendo nella sola Facoltà di Giurisprudenza, non ha bisogno né di gabinetti, né di laboratori; secondo lo statuto approvato dal Governo deve mantenere e mantiene a sue spese i locali, a sue spese gli incaricati; e ne ha i mezzi. Perciò lo Stato mai non avrà alcun aggravio, bastando per il pagamento dei professori ordinari e straordinari, il numero dei quali è fissato nello statuto consorziale, le somme assegnate. Il suo pareggiamento, dunque, riducendosi a una perequazione di stipendi per i professori ordinari e straordinari a spese del Consorzio universitario, costituisce un fatto ben più semplice che i pareggiamenti anteriori di altre Università84. Nelle settimane successive, si ebbe la ratifica degli accordi stabiliti da parte dei diversi enti coinvolti85 e, ottenuto il via libera del ministero, il 6 maggio 1900 il titolare della Pubblica Istruzione Guido Baccelli a nome del Governo, Marino Bartolazzi in qualità di presidente della Deputazione provinciale di Macerata, Giambattista Magnalbò quale rappresentante del Comune e Luigi Tartufari, rettore dell’Ateneo e presidente della commissione amministrativa del Consorzio universitario, firmarono a Roma la convenzione per il pareggiamento della Regia Università di Macerata a quelle indicate nell’art. 2 lettera A della legge 31 luglio 1862, n. 719, ossia alle università di primo grado86. 83 Le riserve espresse dalla Commissione del bilancio erano essenzialmente tre: «Che per l’iscrizione della nuova somma (20.000 lire) nel bilancio occorre una legge speciale; che per l’aggravio delle pensioni e degli assegni quinquennali forse non bastano 4.000 lire; che il Consorzio universitario termina a breve scadenza, col gennaio 1905, e perciò, prima che si faccia una nuova convenzione, dovrebbe essere rinnovato». In tutti e tre i casi Mestica fu quanto mai incisivo e chiaro nelle sue controdeduzioni: «Quanto alle legge speciale, se non se ne se riconobbe la necessità per iscrivere la prima volta nel bilancio del 1886-1887 la somma data dal Consorzio universitario al Governo, pare che questa necessità tanto meno debba esservi ora che si tratta solo di fare un aumento a quella somma. […] Ma se si mette in dubbio, se per l’eventuale aggravio delle pensioni e degli assegni quinquennali siano sufficienti le 4.000 lire annuali che il Governo ha chieste al Consorzio. Il calcolo è stato fatto dal Ministero del Tesoro, dove i conti sanno fare. […] L’ultima obbiezione della Commissione generale del bilancio è grave, perché realmente lo Stato non dovrebbe fare una convenzione tale con un Consorzio destinato a cessare fra cinque anni. […] Ma i medesimi enti locali hanno eliminato i miei dubbi, […] e con voti quasi unanimi deliberarono la rinnovazione del Consorzio universitario per trent’anni» (Il pareggiamento dell’Università di Macerata. Discorso del deputato Giovanni Mestica pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 13 febbrajo 1900, cit., pp. 6-10). 84 Ibidem, pp. 5-6. 85 Le relative deliberazioni sono conservate in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715. 86 Regia Università di Macerata, Convenzione tra il Governo, il Comune, la Provincia e il Consorzio universitario di Macerata, per il pareggiamento della R. università di Macerata alle università indicate nell’art. 2 lettera A, della legge 31 luglio 1862, n. 719, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1900. Una copia 132 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Costituita da 12 articoli e da una tabella allegata, la convenzione prevedeva l’innalzamento del contributo annuo stabilito per gli enti locali alla somma complessiva di lire 40.000 lire (art. 6), ripartito nel modo seguente: lire 17.500 lire da parte della Provincia, lire 17.500 lire da parte del Comune di Macerata e lire 5.000 sui fondi del Consorzio universitario; l’intera cifra sarebbe stata versata in due rate semestrali posticipate. Inoltre, la durata del Consorzio, conservato quale ente morale e rappresentato da una commissione amministrativa (artt. 4 e 5)87, veniva prolungata per un trentennio a decorrere dal 1° luglio 1900 (artt. 3 e 11). Come già determinato nella revisione dello Statuto consorziale del 1887, lo Stato avrebbe continuato a garantire il solito contributo massimo di lire 20.000 annue88 e, con la somma complessiva ricavata (lire 60.000 in totale), avrebbe provveduto al pagamento degli stipendi ai professori ordinari, straordinari ed al personale amministrativo e di servizio, secondo il ruolo organico annesso (art. 2). La spesa complessiva necessaria per gli stipendi era in realtà fissata a 56.000 lire secondo quanto riportato nell’allegata tabella89. Rimanevano totalmente a carico del Consorzio universitario maceratese – al quale sarebbe stato devoluto l’intero ammontare delle tasse d’iscrizione e immatricolazione (art. 8) – la maggior parte degli oneri già previsti nello Statuto del 1887, ovvero quelli derivanti dalle spese per la manutenzione ordinaria dell’edificio che ospitava l’università, per l’arredamento dei locali e per la gestione amministrativa; i fondi per l’acquisto dei libri da destinare annualmente alla biblioteca dell’ateneo e per far fronte alle retribuzioni dei docenti incaricati, nonché quelli destinati alla copertura di tale convenzione è reperibile in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715. 87 L’art. 4 della convenzione, stabiliva che la commissione amministrativa del Consorzio universitario maceratese sarebbe stata composta dal rettore dell’Università, da un delegato e da un supplente incaricati dalla Provincia, da un delegato e da un supplente delegati dal Comune. I delegati duravano in carica tre anni e potevano essere rieletti per ulteriori mandati; la presidenza della commissione amministrativa spettava di diritto al rettore pro tempore dell’Ateneo maceratese. L’art. 5 stabiliva altresì che «la Commissione amministrativa si aduna, ad invito del presidente, ordinariamente ogni tre mesi e straordinariamente ogni volta che il suo presidente lo crederà opportuno, o che lo chiedono tutti i componenti la Commissione. Per la validità delle deliberazioni occorrerà sempre la presenza di tutti i componenti la Commissione». 88 Tale stanziamento da parte dello Stato era calcolato «anche in corrispettivo dei beni patrimoniali spettanti all’Università di Macerata e che erano stati incamerati». Cfr. Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 76. 89 Le spese per gli emolumenti spettanti al personale docente e non docente erano così ripartite: 40.000 lire per gli otto professori ordinari, con stipendio di 5.000 lire ciascuno; 12 mila lire per i quattro professori straordinari, con stipendio da 3.000 lire ciascuno; 1.000 lire per l’indennità di carica del rettore; 2.000 lire per lo stipendio del segretario amministrativo dell’ateneo e 1.000 lire, infine, per quello del bidello. Il residuo contributo di 4.000 lire era invece devoluto allo Stato per far fronte agli aumenti quinquennali ed alle pensioni. La Tabella allegata era relativa al «Ruolo organico del personale insegnante, amministrativo e di servizio della R. Università di Macerata, agli effetti dell’art. 2 della presente Convenzione». 133 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento finanziaria di eventuali corsi d’insegnamento non obbligatori ma ritenuti opportuni ai fini del potenziamento dell’offerta didattica (art. 7, comma 2). Pur di ottenere il pareggiamento dell’Università di Macerata agli atenei di primo livello, in sostanza, Comune e Provincia avevano accettato che lo Stato imponesse loro condizioni indubbiamente assai gravose90. E’ pur vero tuttavia, come sottolineava il foglio locale «La Provincia Maceratese» in un articolo pubblicato il 12 maggio 1900, che la nuova condizione amministrativa garantiva all’Ateneo marchigiano stabilità e certezze per il futuro: Messa così da parte l’idea di pareggiare l’Università in sede di bilancio, ciò che prima era stato tentato, ma anche aveva incontrato serie opposizioni perché non perfettamente corretto dal punto di vista costituzionale, si è per tal modo riusciti a condurre in porto il sospirato pareggiamento con una forma più solenne, col progetto di legge. Infatti, la convenzione, firmata domenica scorsa, sarà portata alla Camera al suo riaprirsi, essendone relatore favorevole l’on. Gualtierotti, quello stesso che s’era mostrato contrario al pareggiamento in sede di bilancio. Nessun dubbio, quindi, che il progetto di legge sarà approvato, non trovando esso opposizioni di sorta, tranne forse da chi, per spirito di campanile, teme dal maggior incremento del nostro Ateneo possa derivarne qualche danno ad altri anemici e meno vitali91. A differenza di quanto era accaduto nel 1885 in occasione del pareggiamento delle università minori di Genova, Catania e Messina92, e nel 1887 per quello degli atenei di Siena, Modena e Parma93, il cui iter parlamentare era stato relativamente rapido, l’approvazione dello specifico disegno di legge relativo all’Università di Macerata da parte del Parlamento subì notevoli rallentamenti, trascinandosi per oltre un anno e mezzo senza apparenti ragioni, se non quelle collegabili alle crescenti difficoltà della vita parlamentare dell’epoca. Solo il 30 novembre 1901, infatti, il testo fu discusso e approvato a larga maggioranza dalla Camera dei deputati94; passato al Senato, ottenne 90 Notava al riguardo, qualche anno più tardi, Arangio-Ruiz: «La convenzione […] diventa vantaggiosa oltre ogni convenienza per lo Stato, onerosa per gli enti locali, dannosa per l’Università. Ed è sperabile vi si porti rimedio in nome della giustizia. […] E’ questo un rilievo complesso che deve essere esaminato sotto tutti gli aspetti, affinché le fatte affermazioni convincano i governanti, e li muovano in favore della nostra Università e dei patriottici enti locali che, pur di conseguire un bene, non hanno risparmiato alcun sacrificio» (Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., pp. 77-78). 91 Il pareggiamento dell’Università di Macerata, «La Provincia Maceratese», 6 (12 maggio 1900), 281, pp. 1-2. 92 Cfr. R.D. 13 dicembre 1885, n. 3570, in BUMPI (1887), II, pp. 531-538. 93 Cfr. L. 14 luglio 1887, n. 4745, in GU, 26 luglio 1887; riprodotta anche in CC (1887), 42, pp. 13541357. 94 L’approvazione da parte della Camera dei deputati del relativo disegno di legge avvenne, infatti, nella seduta del 30 novembre 1901 e la votazione a scrutinio segreto registrò 186 voti favorevoli e 77 contrari. Cfr. AP, Camera dei Deputati Sessione 1900-1901, Discussioni, n. 145. Discussione del disegno di legge: Pareggiamento dell’Università di Macerata alle Università indicate nell’articolo 2, lettera A, della legge 134 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento l’approvazione nella tornata del 5 dicembre95 e divenne poi la legge 22 dicembre 1901, n. 54196. Di lì a poco, nell’estate del 1902, anche le Università di Cagliari e di Sassari avrebbero ottenuto il sospirato pareggiamento, con il quale si poneva fine, di fatto, alla distinzione introdotta nel sistema universitario italiano all’indomani del compimento del processo unitario, tra atenei primari e secondari97. Con il varo definitivo del provvedimento di legge sul pareggiamento si concludeva senza dubbio una fase particolarmente difficile per l’Ateneo maceratese, nel corso della quale si erano ulteriormente accentuati i fattori di crisi già emersi precedentemente. Il nuovo anno accademico 1900-1901, infatti, aveva fatto registrare un sensibile calo del numero degli iscritti, appena 149 studenti (129 per il corso di laurea e 20 per il diploma speciale)98, con un decremento di circa il 25% rispetto all’anno precedente, e ciò, si badi, in presenza di un trend nazionale che, per le altre facoltà di Giurisprudenza della penisola, faceva registrare nello stesso periodo una crescita, sia pure contenuta, delle immatricolazioni e iscrizioni99. I problemi non erano limitati, tuttavia, alla diminuzione della popolazione universitaria. In questo stesso lasso di tempo, infatti, ad assillare il piccolo Ateneo marchigiano e a rendere incerta e difficoltosa la stessa regolarità ed efficacia 31 luglio 1862, n. 719, pp. 6204, 6267 e 6305. Sulle pagine del foglio locale «La Provincia» tale voto fu salutato con viva soddisfazione: «Finalmente! Dopo tanti anni di lotte, contro ostacoli e difficoltà di varie specie, lotte intraprese e frustrate sul più bello, dal cadere di un ministro o dal chiudersi di una sessione parlamentare, il progetto di legge per il pareggiamento dell’Università nostra alle primarie del regno, è riuscito a varcare la soglia di Montecitorio e ad avere la sanzione della Camera. Venerdì scorso il progetto fu senza discussione approvato, respingendo all’unanimità l’ordine del giorno della minoranza della Commissione parlamentare. Nel giorno appresso passò pure a scrutinio segreto. Ora, perché la legge vada in vigore, occorre che venga approvata anche dal Senato. E noi, sia per la nessuna serie opposizione incontrata nell’altro ramo del Parlamento, sia per la legittimità degli interessi che il provvedimento mira a soddisfare, confidiamo che riuscirà vittorioso anche nella Camera vitalizia» (Il pareggiamento dell’Università, «La Provincia», 7 (5 dicembre 1901), 386, pp. 1-2). Sui festeggiamenti svoltisi in ateneo e nei circoli cittadini all’indomani dell’approvazione del provvedimento da parte della Camera dei deputati si veda anche l’ingente documentazione conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. 95 L’approvazione del disegno di legge, già licenziato dalla Camera, al Senato si ebbe nella seduta del 5 dicembre 1901. Cfr. AP, Senato del Regno, Sessione 1900-1901, Documenti, n. 220. Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Nasi) di concerto col Ministro del Tesoro (Di Broglio) nella tornata del 5 dicembre 1901. 96 Il testo della Legge 22 dicembre 1901, n. 541 è pubblicato nella GU, 9 gennaio 1902; lo si veda riprodotto anche in CC (1901), 13, p. 447. 97 Le Università di Cagliari e di Sassari furono pareggiate rispettivamente con la Legge 19 giugno 1902, n. 252 e la Legge 19 luglio 1902, n. 253, entrambe riprodotte in CC (1901), 44, pp. 1441-1444. 98 Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. 57-58. 99 Nell’anno accademico 1900-1901 gli iscritti alle facoltà giuridiche italiane furono 7.672 rispetto ai 7.421 dell’anno precedente, con un incremento del 3,3%. Ibidem, pp. 58-60. 135 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento dell’attività didattica contribuirono le sempre più numerose carenze registrate nell’organico docente in virtù dei continui trasferimenti ad altra sede dei professori di ruolo, non senza difficoltà rimpiazzati provvisoriamente da docenti incaricati. Nel già ricordato anno accademico 1900-1901, ad esempio, a dispetto di quanto previsto dall’organico fissato nello Statuto consorziale, risultavano incardinati solo sette professori ordinari e due straordinari; a fronte di ciò, per la copertura di tutti gli insegnamenti obbligatori previsti nel corso di laurea in Giurisprudenza, si era reso necessario attribuire ben nove incarichi d’insegnamento, il che voleva dire che circa la metà dei corsi erogati non disponeva di un titolare della disciplina100. La situazione era peraltro destinata ad aggravarsi nei mesi seguenti, tanto da spingere il rettore Luigi Tartufari a denunciare pubblicamente le pesanti conseguenze didattiche e organizzative in cui versava l’Ateneo e ad esprimere – nel corso della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1901-1902 – una vibrante protesta nei riguardi del ministero della Pubblica Istruzione per gli ingiustificati ritardi nelle nomine dei vincitori di concorso e per il nessun rispetto delle obiettive necessità di una sede universitaria come quella di Macerata: E’ veramente nuovo ed insolito – affermava Tartufari – che l’inaugurazione degli studi in questo Ateneo abbia dovuto subire un così notevole ritardo; tanto nuovo ed insolito, che io mi sento in dovere di scagionarne la Facoltà, alla quale non può addebitarsi alcuna colpa se al 1° novembre, su 18 cattedre, 11 ne erano vacanti, e se questa singolare anomalia fu causa che per parecchi giorni si dovette soprassedere agli esami, per la materiale impossibilità di costituire le relative Commissioni. E nemmeno è colpa della Facoltà se per alcune cattedre, nonostante le fatte proposte, invano ancora si attendono i necessari provvedimenti; il che a sua volta impedirà che possano, né si sa fino a quando, incominciare le relative lezioni. Mentre sembrava che tutto volgesse per il meglio, […] un complesso di spiacevoli circostanze e di perduranti incertezze, come da un lato è venuto a turbare il normale funzionamento della Facoltà, così dall’altro è venuto a rendere estremamente difficile l’esercizio del mio ufficio di Rettore101. A completare il quadro delle difficoltà e incertezze del periodo basterà accennare al fatto che, sia pure in ritardo rispetto a quanto si era registrato nei grandi atenei della penisola già a partire dalla fine degli anni Ottanta, e con caratteristiche e dimensioni invero assai più modeste e circoscritte, anche a Macerata avevano fatto la loro comparsa quei fenomeni di allentamento della disciplina studentesca – le cosiddette «vacanze 100 Cfr. Personale, ANNUARIO (1901), pp. 112-113. Parole del Rettore Prof. Cav. Luigi Tartufari. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1901-1902, ANNUARIO (1902), pp. 5-6. 101 136 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento abusive», ossia la reiterata non frequenza delle lezioni da parte degli studenti – che tanto avevano preoccupato i grandi atenei e lo stesso ministero della Pubblica Istruzione negli anni precedenti102. Non a caso, nella primavera del 1901 il Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza dedicava la maggior parte delle sue adunanze all’analisi del fenomeno e – come testimonia la costituzione di una commissione ad hoc presieduta dal prof. Oreste Ranelletti103 – all’approntamento di misure idonee a stroncare simili pratiche, frutto, come veniva sottolineato a più riprese, dai docenti della Facoltà, di un «malcostume imperante che screditava le istituzioni di alta cultura e gettava nel ridicolo gli studi superiori»104. Le reazioni della stampa locale di fronte al clima d’incertezza e alle crescenti difficoltà che sembravano caratterizzare l’Ateneo cittadino si svilupparono su un duplice binario: da un lato continuava la polemica nei riguardi del Governo per le insopportabili lentezze con le quali era portata avanti la questione del pareggiamento105, dall’altro non erano risparmiate critiche al rettore e agli stessi vertici dell’Università, accusati di non saper fronteggiare quella che appariva a tutti gli effetti una situazione di inarrestabile decadenza. Così, mentre «La Provincia Maceratese», mostrando scarsa comprensione dei meccanismi universitari e della difficile situazione in cui versava la Facoltà di Giurisprudenza per la carenza di professori di ruolo, si scagliava contro il cumulo degli incarichi d’insegnamento («Da qualche tempo alla nostra Università si cumulano troppo facilmente incarichi di insegnamento in pochi professori. Ce ne è qualcuno che ne avuti tre: ciò, oltre che gravare eccessivamente gli insegnanti, nuoce all’ordinato svolgimento degli studi»106), sulle pagine del foglio moderato «L’Unione», in un articolo del 29 maggio 1901, a fronte del vistoso calo di iscritti registrato nei mesi precedenti, si 102 Contro il dilagante fenomeno delle «vacanze abusive», già assai diffuso nell’ultimo decennio dell’Ottocento, era intervenuto l’allora ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli con la C.M. 16 marzo 1890, n. 921. Cfr. Vacanze abusive nelle università e negli istituti d’istruzione superiore, BUMPI, XVII (1889), I, pp. 474-475. 103 Cfr. la relazione predisposta a nome della commissione dal prof. Ranelletti (che risulta anche allegata al verbale del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza dell’11 maggio 1901), nella quale s’ipotizzava fra l’altro l’adozione di una serie di provvedimenti per la «repressione delle vacanze abusive», in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. 104 Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza dei mesi di marzo, aprile e maggio del 1901, in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di Facoltà 1900-1901, b. 695. 105 Si vedano ad esempio: Il pareggiamento dell’Università, «L’Unione», 2 (29 maggio 1901), 22, pp. 12; Il pareggiamento dell’Università, «La Provincia Maceratese», 7 (26 dicembre 1901), 388, p. 1. 106 Note universitarie. Incarichi eccessivi, «La Provincia Maceratese», 7 (30 gennaio 1901), 342, pp. 1-2. 137 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento tornava a chiedere il ripristino dell’esonero delle tasse universitarie come unica misura capace di scongiurare l’inevitabile declino dell’ateneo: Noi stiamo indagando – si affermava al riguardo – se il provvedimento adottato, il pagamento delle tasse per una misura che non era mai stata posta per lo passato, abbia arrecato quel vantaggio che si sperava. […] Intanto gli studenti della nostra regione e delle finitime vanno a Camerino, a Perugia, ad Urbino, dove non si pagano tasse come a Macerata. […] Forse se il numero degli iscritti si fosse mantenuto ogni anno intorno ai 309 il sospirato pareggiamento sarebbe venuto senza le calde raccomandazioni del deputato A, del professore B o dell’avvocato C. Anzi, noi crediamo, perché il numero degli studenti va scemando, l’intraveduto pareggiamento sfuma lentamente107. La sortita de «L’Unione» sul tema del ripristino dell’esonero dalle tasse universitarie aveva suscitato una piccata risposta da parte de «La Provincia Maceratese», che in un articolo del 5 giugno 1901 prendeva posizione a favore della scelta “moralizzatrice” compiuta a suo tempo dal Consorzio e contro ogni ritorno al passato, specie nel momento in cui, come testimoniava l’ormai imminente conclusione dell’annosa questione del pareggiamento, era necessario che l’Università di Macerata non derogasse in alcun modo dalle normative nazionali: Giudicare l’andamento di un istituto – si affermava fra l’altro nella conclusione dell’articolo – soltanto dall’affluenza degli studenti, ci pare un criterio oltre che unilaterale ed empirico, un pochino dozzinale, mentre è risaputo anzi che il concorso degli studenti in certe università è in ragione diretta del rilassamento della disciplina e della poca serietà degli studi, e quindi in ragione diretta dello scadimento reale dell’istituto. […] Ora, se per rinvigorire la disciplina degli studi, l’Università nostra non ha temuto di perdere un pochino nell’affluenza degli studenti, ciò non può già riguardarsi come un segno di scadimento, ma bensì come una manifestazione della sua sana vitalità o come suo speciale titolo d’onore. Nella polemica apertasi tra i due giornali locali – «L’Unione» e «La Provincia Maceratese» – in ordine alla questione delle tasse studentesche non mancavano riferimenti all’atteggiamento non sempre comprensivo e tollerante con cui una parte della città aveva guardato alla presenza degli studenti universitari nel piccolo capoluogo di provincia e alle inevitabili manifestazioni di giovanile esuberanza che tale presenza comportava. A questo riguardo, toccando un nervo scoperto che aveva nel contempo il significato di una critica politica e di un’annotazione sulla mentalità e sul costume cittadino, «La Provincia Maceratese» sottolineava: 107 Cfr. Il pareggiamento dell’Università, «L’Unione», 2 (29 maggio 1901), 22, p. 1. 138 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Però l’Unione, criticando il ristabilimento delle tasse scolastiche, non si accorge di tirar sassi in piccionaia, poiché, se vi è in questa faccenda qualche partito che deve recitare il mea culpa, è proprio quello di cui l’Unione è portavoce. Se infatti tra le cause che portarono alla parziale soppressione dell’esonero delle tasse deve annoverarsi il proposito di risollevare moralmente l’istituto – cui si faceva l’accusa di reggersi solo con tale mezzo di richiamo – forse non fu estraneo anche il malcontento che serpeggiava nel cosiddetto partito dell’ordine, per qualche torbido studentesco avvenuto, e il conseguente esagerato timore che l’Università potesse diventare un focolare di… infezione per il nostro pacifico paese. Si invocarono un po’ di tasse per sfollare l’Ateneo degli elementi turbolenti… e l’intento, difatti, è stato a meraviglia raggiunto. Di che dunque si lagna l’Unione? […] Proprio adesso che, dopo sforzi lunghi, pazienti, ostinati, superando con ardore ammirevole tanti ostacoli e tante contrarietà – dopo un vero lavoro di Sisifo – proprio adesso, alla vigilia della discussione parlamentare, mentre la più elementare prudenza e carità di patria avrebbero consigliato di adoperarci tutti per l’intento e di astenerci da qualunque cosa che potesse menomamente compromettere la buona riuscita – proprio adesso un foglio maceratese – l’Unione – dando prova di un senso patriottico che la cittadinanza avrà degnamente giudicato, è sorto a mettere in dubbio l’utilità del pareggiamento, riducendolo ad una meschina questione di stipendi di professori, e indicandolo come la causa prima del ristabilimento delle tasse e della conseguente decadenza dell’Università nostra. E’ proprio il caso di dire – Dagli amici mi guardi Iddio108. E tuttavia, malgrado la forte presa di posizione de «La Provincia Maceratese» in favore delle scelte operate dall’Università, la questione del ripristino dell’esonero dalle tasse universitarie, riproposta nuovamente e con accentuato vigore sulle pagine de «L’Unione»109, era destinata a trovare sempre maggiori consensi nell’opinione pubblica e tra gli stessi amministratori locali110, finendo – anche in ragione del costante ed allarmante calo delle immatricolazioni e iscrizioni riscontrato nell’ultimo triennio – per condizionare le scelte degli stessi vertici dell’Ateneo. Così, nella seduta della commissione amministrativa del Consorzio convocata il 9 settembre 1901, lo stesso rettore Luigi Tartufari era costretto a prendere atto della gravità della situazione prodottasi e, pur continuando ad indicare un complesso di ragioni alla base del vistoso calo di studenti riscontrato negli ultimi anni, a sposare suo malgrado la tesi di quanti chiedevano il ripristino dell’esonero totale delle tasse nell’ateneo maceratese: 108 L’Università è in decadenza? Tasse, pareggiamento e…bisca, «La Provincia Maceratese», 7 (5 giugno 1901), 360, pp. 1-2. 109 Ancora del nostro Ateneo. Risposta alla «Provincia Maceratese», «L’Unione», 2 (12 giugno 1901), 24, p. 1. 110 Si vedano al riguardo le lettere di semplici cittadini e gli interventi di amministratori e politici locali pubblicati su «L’Unione» e su «La Provincia Maceratese» nel periodo compreso tra giugno e settembre 1901. 139 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Il signor Rettore – si legge nel verbale della seduta – riferisce che nel triennio da che egli è a capo dell’Università non ha mancato di preoccuparsi della sensibile diminuzione nel numero degli alunni inscritti, e di rievocare le cause di una tale diminuzione, le quali sarebbero in parte costituite dalla avvenuta applicazione delle tasse, ma in parte anche maggiore dall’opinione diffusasi di un accresciuto rigore sia nell’esigere le frequenza degli studenti, sia negli esami. Vi avrebbe pure contribuito in notevole misura la poco buona fama diffusasi a carico della nostra città come sede di una casa di giuoco, nonché il fatto della concorrenza che da qualche anno l’Università di Camerino fa a questa di Macerata, sia col metodo differenziale delle tasse, […] sia col tollerare notevoli assenze, […] sia infine per il fatto che notoriamente gli esami offrono a quei candidati la sicurezza dell’approvazione. La decisione di reintrodurre già a partire dall’anno accademico 1901-1902 «l’esonero completo dalle tasse d’immatricolazione e d’iscrizione»111, com’era prevedibile, suscitò ampi consensi in sede locale, testimoniati anche dagli apprezzamenti formulati sugli organi di stampa di diverso orientamento politico. Al riguardo, «La Provincia Maceratese» sottolineava: Occorreva proprio il doloroso esperimento di 3 anni per persuadere gli amministratori del nostro massimo istituto a tornare all’esonero delle tasse di immatricolazione e di iscrizione? Noi siamo sicuri che le sorti della nostra Università ora cambieranno per intero e si tornerà alla consueta affluenza di giovani, affluenza che aveva fatto salire la facoltà di legge di Macerata tra le più numerose d’Italia112. Altrettanto positive erano le valutazioni avanzate da «L’Unione», la quale fra l’altro riproduceva integralmente la circolare predisposta dal rettore Luigi Tartufari – datata agosto 1901, ma in realtà stampata e diffusa solo intorno alla metà settembre113 – con cui si rendeva nota la decisione del Consorzio universitario maceratese di reintrodurre l’esonero totale dalle tasse al fine «di agevolare ai più disagiati il modo di intraprendere e compiere gli studi superiori e per promuovere maggiormente l’affluenza degli studenti a questo Ateneo». Situata in città colta, salubre ed ospitale – concludeva la circolare –, fornita di locali ampi e ben arredati, non che di due buone biblioteche (di cui l’Università ammette gli studenti al prestito dei libri a domicilio), accreditata per il valore dei suoi insegnanti e per la sua giusta disciplina, questa Università è 111 ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543, adunanza del 9 settembre 1901. 112 Alla nostra Università, «La Provincia Maceratese», 7 (11 settembre 1901), 374, p. 1. 113 Si veda il testo della Circolare del rettore Luigi Tartufari nella versione manoscritta e in quella a stampa in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie (1818-1917), b. 711. 140 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento guardata con favore dai padri di famiglia, desiderosi di trovare per i propri figli un buon Ateneo, dove siano in amichevole contatto coi professori, lungi dal dispendio e dai pericoli dei maggiori centri, dove i disordini studenteschi sembrano divenuti quasi un male cronico. Essa ha visto perciò accorrere sempre più numerosa la gioventù, specialmente delle regioni del Mezzogiorno, in alcune delle quali il compiere gli studi di giurisprudenza nell’Università di Macerata è ormai cosa tradizionale114. Ottenuto dunque il sospirato pareggiamento e ripristinate le condizioni atte a garantire una maggiore affluenza di studenti, l’Università di Macerata si preparava a vivere, sul finire del 1901, in concomitanza con l’avvio del nuovo anno accademico, una fase di rilancio, l’ennesima dopo gli alti e i bassi che ne avevano caratterizzato l’operato nei convulsi e problematici primi quarant’anni di vita nell’Italia unita. In questo contesto, quasi a rappresentare metaforicamente la fine di una stagione per certi versi tormentata per l’Università di Macerata e per chi ne aveva con indubbi meriti, ma non senza enormi fatiche e difficoltà guidato le sorti, si collocavano l’inattesa rinuncia da parte del prof. Luigi Tartufari ad assumere un quarto mandato rettorale, al quale l’unanime consenso dei colleghi lo aveva designato (novembre 1901), e l’altrettanto inaspettato annuncio del suo abbandono di Macerata e dell’immediato trasferimento presso l’Università di Parma, dove avrebbe a lungo ricoperto la cattedra di Diritto civile nella locale Facoltà di Giurisprudenza e dove, dal dicembre 1911 al marzo 1914, avrebbe rivestito nuovamente l’ufficio di rettore115. E che l’uscita di scena di Luigi Tartufari non fosse da imputare a quegli ordinari avvicendamenti di sede, tanto frequenti nel mondo accademico italiano a cavallo tra Otto e Novecento, ma fosse da ascrivere a ragioni ben più complesse – non ultima la sua non condivisione della scelta adottata a larga maggioranza dal Consorzio di ripristinare l’esonero dalle tasse, riguardo alla quale egli si era sempre dimostrato contrario – lo testimonia il fatto che, in altre occasioni, Luigi Tartufari aveva sdegnosamente rifiutato di lasciare la sede maceratese, come quando, dopo avere superato il concorso per professore ordinario bandito dall’Università di Catania (novembre 1892), aveva rinunciato a trasferirsi nell’Ateneo isolano116. 114 Per il nostro Ateneo, «L’Unione», 2 (18 settembre 1901), 38, p. 1. Una riproduzione parziale della Circolare rettorale anche in L’Università di Macerata, «La Provincia Maceratese», 7 (18 settembre 1901), 375, p. 1. 115 Cfr. Tartufari, Luigi, in T. Nappo (a cura di), Indice biografico italiano, München, K.G. Saur, 2002, 10 voll., X, p. 3360; 116 L’episodio è ricordato in G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 138-142. 141 Capitolo terzo. Tra Otto e Novecento Al posto del dimissionario Tartufari, ai primi di dicembre del 1901 era nominato rettore dell’Università di Macerata il prof. Oreste Ranelletti, abruzzese di nascita e trasferitosi nell’Ateneo marchigiano solo dall’autunno 1899, dove aveva assunto la cattedra di Diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione117. 117 Sulla riflessione giuridica di Oreste Ranelletti si vedano in particolare: G. Cianferotti, Stato di diritto, formalismo e pandettistica. Ranelletti e la costruzione dell’atto amministrativo, in I concetti fondamentali delle scienze sociali e dello Stato in Italia e in Germania tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 37-84; Id., Storia della letteratura amministrativistica italiana. 1. Dall’Unità alla fine dell’Ottocento: autonomie locali, amministrazione e costituzione, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 388-389, 695-700 e passim; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 70-73 e passim; L. Mannori, B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, Laterza, 2001, pp. 372-376; R. Villalta, Gli amministrativisti, in R. Clerici (a cura di), Gli 80 anni della Facoltà di Giurisprudenza. Atti dell’incontro del 14 ottobre 2004, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 115-120. 142 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale CAPITOLO QUARTO L’ETÀ GIOLITTIANA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE Il 9 novembre 1902 il rettore Oreste Ranelletti inaugurava ufficialmente l’anno accademico 1902-1903, il quale vedeva finalmente l’Università di Macerata collocata tra gli atenei di primo livello. Nella sua relazione inaugurale, dunque, non poteva certo mancare un riferimento al risultato recentemente conseguito: Questo pareggiamento – precisava il rettore Ranelletti – per la nostra Università è stato un atto di giustizia: pel numero degli studenti, e tenendo conto che ha una sola Facoltà, essa è superiore a molte altre Università di primo ordine; pel valore de’ suoi insegnanti, per le garanzie, con cui essi vengono scelti e nominati; per i mezzi di studio che offre, non è seconda a molte delle medesime. Ciò fu riconosciuto autorevolmente in atti ufficiali, nel Parlamento e fuori. […] Le Università sono i centri della vita spirituale di un popolo, i focolai preziosi del suo sviluppo intellettuale, gl’istituti, dai quali escono tutte le forze vive del paese, le leve potenti del progresso; […] tutto questo vuole dire una Università; ed in tutta questa azione non è mai stata seconda quella di Macerata, che ha alte tradizioni scientifiche, gloriose tradizioni patriottiche 1 . Uno dei primi e più rilevanti effetti del pareggiamento sarebbe stato rappresentato, notava ancora il rettore, dalla graduale e opportuna stabilizzazione del corpo docente maceratese, la cui composizione, per troppo tempo, era stata condizionata dalla migrazione degli elementi migliori verso gli atenei più prestigiosi: Il più grande vantaggio del pareggiamento sarà la maggiore stabilità del personale accademico; il che vorrà dire una continuità nell’insegnamento e nell’indirizzo scientifico della Università, vorrà dire una più lunga conservazione di professori già chiari nella scienza e nella scuola. Un esodo, certo, vi sarà sempre, perché interessi vari, molteplici, potranno sempre determinare dei professori verso centri maggiori e le grandi Università eserciteranno sempre la loro forza di attrazione; ma sarà esodo limitato così come si verifica nelle altre Università per lo innanzi pareggiate 1 2 . Cfr. Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre MDCCCCII, ANNUARIO (1879), pp. 8-9. Una sintesi di tale relazione inaugurale è apparsa anche in L’inaugurazione degli studi negli atenei e istituti superiori italiani. Relazioni e discorsi. La cerimonia inaugurale dell’anno accademico, «L’Università italiana», 1 (1902), 20, pp. 245-247. 2 Ibidem, pp. 10-11. 143 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Ed effettivamente, gli auspici formulati da Ranelletti si sarebbero tradotti in realtà, come testimonia la vera e propria moratoria riscontrata nel periodo successivo, e in particolare nel quinquennio compreso tra il 1901 e il 1906, del massiccio esodo verso altre sedi universitarie dei docenti maceratesi che aveva contraddistinto l’ultimo ventennio del secolo XIX, facendo registrare ogni anno un tasso di mobilità e di avvicendamento sulle cattedre dell’Ateneo marchigiano tale da produrre talora forti disagi organizzativi e non pochi problemi al regolare andamento dei corsi e dell’attività didattica. Nel corso del quinquennio, infatti, l’Ateneo dovette rinunciare solamente all’ex rettore Luigi Tartufari, come si è già ricordato, ma registrò l’arrivo di un folto gruppo di docenti destinati in diversa misura ad operare in modo continuativo nella piccola sede marchigiana, tra i quali vanno segnalati Gaetano Arangio-Ruiz, ordinario di Diritto costituzionale; Prospero Fedozzi, chiamato a Macerata quale straordinario di Diritto internazionale, al quale in seguito sarebbe subentrato Scipione Gemma; Siro Solazzi, straordinario di Diritto Romano; Alfredo Rocco, straordinario di Diritto commerciale, e Giuseppe Messina, straordinario di Diritto civile3. Anche l’Università di Macerata, tuttavia, si trovò a dover fare i conti con le importanti novità introdotte in materia di reclutamento e di nomina dei professori universitari dal nuovo Regolamento generale universitario predisposto dal ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi4 e promulgato con il R.D. 13 aprile 1902, n. 1275, poi parzialmente modificato, l’anno successivo, con il R.D. 26 ottobre 1903, n. 4656. Un provvedimento, quello varato dal ministro Nasi, che aveva suscitato non poche critiche e riserve all’interno della comunità universitaria nazionale, soprattutto in relazione alle innovazioni introdotte in materia di libera docenza e nella disciplina dei concorsi per professori universitari7. Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, com’è noto, allo scopo di porre fine alle più volte denunciate «degenerazioni del sistema 3 Cfr. Personale, ANNUARIO (1902), pp. 78-80; e Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1907), pp. 75-78. 4 Nunzio Nasi fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Giuseppe Zanardelli, dal 15 febbraio 1901 al 3 novembre 1903. 5 Regolamento generale universitario e nuovi regolamenti di facoltà, BUMPI, XXIX (1902), I, p. 780. Il testo del Regolamento per la Facoltà di Giurisprudenza è riprodotto in ANNUARIO (1903), pp. XCIIICXX. 6 Cfr. Modificazioni apportate al regolamento generale universitario ed ai singoli regolamenti speciali, BUMPI, XXXI (1904), I, pp. 131-132. 7 Cfr. Moretti, Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, cit., pp. 26-28; e Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 350-358. 144 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale elettivo»8, il titolare della Pubblica Istruzione aveva reintrodotto il principio della nomina ministeriale delle commissioni di concorso, limitando di fatto il potere decisionale e la stessa autonomia delle facoltà e del corpo docente su tale delicata materia: Bisogna, senza preoccuparsi di nessun interesse, né personale, né locale – aveva precisato al riguardo il responsabile della Minerva –, rompere questo sistema di intrighi, di pregiudizi, di pretese, che contrastano con lo spirito della legge. E perciò, o signori, bisogna usare verso i professori e verso le Facoltà quel rigore che vorremmo sempre usare verso i giovani, i quali, in fin dei conti, non ricevono stipendio ma pagano le tasse 9 . Se è vero, peraltro, che l’intento di Nunzio Nasi era quello di «sostituire alla irresponsabilità dei molti, la diretta, piena e palese, responsabilità del ministro», è altrettanto vero che un simile provvedimento era destinato a suscitare una generale levata di scudi da parte dei professori, preoccupati per quello che veniva considerato un aumento ingiustificato e oltremodo eccessivo «della facoltà discrezionale del potere esecutivo nei concorsi»10. Di fronte alle nuove disposizioni che rivelavano l’impronta fortemente accentratrice impressa da Nasi alla politica ministeriale e lasciavano intuire la scarsa stima da lui nutrita per l’ambiente universitario italiano e un’altrettanto scarsa fiducia nelle capacità di autoriforma e di moralizzazione interna da parte del mondo accademico11, l’Università di Macerata assumeva da subito una posizione fortemente critica e, pur non mancando di rilevare la bontà di talune delle disposizioni adottate con il provvedimento ministeriale, denunciava il disegno palesemente accentratore del Regolamento generale universitario e l’indubbia pericolosità di norme, come quelle relative ai concorsi universitari, che subordinavano di fatto l’università e la scienza alla discrezionalità del potere politico12. Di tali umori si faceva portavoce il rettore Oreste 8 Relazione a S. M. il Re, in Annuario accademico dell’Università di Palermo. Anno accademico 19031904, p. CXVIII. 9 N. Nasi, Per il riordinamento degli studi. Discutendosi alla Camera dei deputati e al Senato il Bilancio della P. I. (31 maggio 1901), Roma, Stamperia Reale, 1901, p. 38. 10 Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 354. 11 Una simile accusa si ritrova formulata, ad esempio, in Osservazioni della Facoltà di Giurisprudenza della regia Università di Genova sul progetto dei nuovi regolamenti universitari, Siena, Tip. Cooperativa, 1902. 12 Cfr. A. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e stato giuridico, «Italia contemporanea», 24 (1997), 206, pp. 65-86. 145 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Ranelletti, il quale, inaugurando il nuovo anno accademico nel novembre 1902, non mancava di stigmatizzare limiti e incongruenze delle disposizioni ministeriali: Da molte parti – affermava al riguardo il rettore dell’Università di Macerata – una riforma nella istruzione universitaria si reclamava; inadeguato ai bisogni didattici e più disciplinari si era dimostrato il regolamento generale del 1890; a molti inconvenienti avevano dato luogo i regolamenti speciali delle Facoltà e delle Scuole. E l’attuale Ministro dell’Istruzione, con molta iniziativa e maggiore coraggio, nell’intendimento di rimediare a molti dei mali, che si lamentavano, e di avviare la scuola in un indirizzo più moderno e positivo, ci ha dato un nuovo regolamento generale e nuovi regolamenti speciali per le Facoltà e le Scuole. […] Non è parso conveniente quel criterio di accentramento e di rafforzamento dell’autorità ministeriale, a cui il regolamento generale è ispirato con una certa sfiducia verso i corpi accademici, soprattutto nella formazione delle commissioni per la decisione dei concorsi. E’ verità, da tempo affermata, che le maggiori garanzie di ordine, di giustizia, di eguaglianza, stanno nella limitazione, anche regolamentare, delle facoltà discrezionali del potere esecutivo, perché solo così esso può essere sottratto alle tante influenze, in ispecie parlamentari, che lo circondano e lo premono 13 . Quello sopra ricordato si configurava, indubbiamente, come il limite più grave ed inquietante del Regolamento generale universitario varato dal ministro Nasi, ma occorreva altresì evidenziare, a detta di Ranelletti, che esso non era certo l’unico sul quale richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Se, infatti, dall’impianto generale del provvedimento si passava alla concezione del ruolo e dei compiti assegnati all’istruzione superiore e alle università, ecco che appariva tutt’altro che condivisibile e affatto opportuna l’enfasi accordata dal ministro Nasi alla dimensione meramente professionalizzante della formazione universitaria, talché il Regolamento appariva «troppo preoccupato dello scopo professionale, che le Università hanno, mentre questo deve rimanere subordinato, e le Università, nell’interesse dell’alta cultura nazionale, devono essere soprattutto istituti scientifici, dove si fa della scienza e si vive per essa»14. Il rettore dell’Università di Macerata esprimeva, inoltre, forti riserve sul nuovo Regolamento delle facoltà di giurisprudenza emanato contestualmente a quello generale dal ministero della Pubblica Istruzione e fatto oggetto, all’indomani della sua pubblicazione, di un’attenta analisi da parte della facoltà maceratese15. Proprio alla luce 13 Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre MDCCCCII, ANNUARIO (1903), pp. 13-14. 14 Ibidem, p. 15. 15 Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza del 14 giugno e del 23 ottobre 1902 in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di Facoltà 1901-1902, b. 695. 146 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale dei numerosi rilievi critici formulati da quest’ultima, Ranelletti sottolineava come apparisse tutt’altro che «rispondente alle esigenze della coltura ed alla importanza delle varie discipline l’ordinamento dato ai corsi dal regolamento speciale per la Facoltà di giurisprudenza». In particolare, egli sottolineava la scelta assai infelice di ridurre ad un solo anno lo studio del diritto amministrativo e della scienza dell’amministrazione, discipline che costituivano «la parte più viva e vitale del diritto pubblico e della scienza politica», e «di cui sempre maggiori sono l’ampiezza, la difficoltà e l'importanza pratica anche nel foro». Ma le manchevolezze e i limiti riscontrati andavano ben oltre: Valga ancora l’esempio del diritto ecclesiastico – rilevava il rettore –, ridotto a materia facoltativa, diritto ecclesiastico, che per l’Italia ha una importanza speciale, soprattutto per la posizione, che nel nostro Stato ha la Chiesa; valga ancora l’esempio della Storia del diritto italiano, che è il presupposto di tutto il nostro diritto vigente, pubblico e privato, oggi, che è deciso l’indirizzo storico negli studi, contro l’eccessivo razionalismo del passato, tanto più se si pensa che molto difficilmente questi studi si fanno dopo laureati. Esso, infine, non tiene conto della natura e del contenuto di alcune materie, in ispecie di diritto pubblico, ponendole al 1° biennio, che pur è destinato, secondo il concetto informatore di tale divisione, agli studi di carattere propedeutico. Torna ancora qui l’esempio del diritto amministrativo e della scienza dell'amministrazione; evvi l’esempio del diritto internazionale, del diritto finanziario. Troppi presupposti di altri studi queste materie hanno, per poter essere studiate proficuamente nel primo biennio. In effetti, al di là dei toni pacati utilizzati, quella dell’Ateneo maceratese era una vera e propria stroncatura del Regolamento generale universitario e di quello speciale per le facoltà di giurisprudenza varati dal ministro Nasi. Non a caso, nel concludere il suo intervento, il rettore Ranelletti formulava l’auspicio di un’opportuna quanto rapida ridefinizione del provvedimento ministeriale: Queste le osservazioni, questi i voti. E in questi voti sono con noi quanti professori e Facoltà giuridiche han dovuto occuparsi dei nuovi regolamenti. E noi, perciò, confidiamo che, in tale critica serena, largamente consentita, S.E. il Ministro, nella preparazione di maggiori e più larghe riforme, voglia intanto provvedere perché in ispecie nel regolamento per la Facoltà giuridica vengano introdotte quelle modificazioni, che l’interesse degli studi reclama 16 . 16 Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre MDCCCCII, cit., pp. 15-16. 147 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale In realtà, buona parte delle scelte operate dal ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi in questo periodo erano destinate a suscitare la netta opposizione da parte dell’Ateneo maceratese. In modo particolare, le disposizioni assai più restrittive contenute nel Regolamento generale in materia di tasse universitarie e, soprattutto, la successiva legge del 28 maggio 1903, n. 224, con la quale era introdotto un sensibile aggravio dei costi per l’immatricolazione e iscrizione alle università17. Per cogliere il significato di tale opposizione e, nel contempo, valutare le scelte operate dall’Ateneo su questo versante, deve essere innanzitutto ricordato che, già a partire dall’anno accademico 1902-1903, modificando ancora una volta la decisione presa non senza contrasti e lacerazioni poco più di un anno prima, il Consorzio aveva stabilito di reintrodurre, sia pure parzialmente, il pagamento delle tasse di immatricolazione e iscrizione per coloro che decidevano di frequentare i corsi dell’Università di Macerata18. Una simile scelta appariva dettata da due ordini di motivazioni: da un lato tale «reimposizione delle tasse scolastiche» era stata voluta «per forti ragioni di convenienza, anche in vista dell’eguaglianza ottenuta con le altre Università dello Stato» e per evitare le perniciose «accuse di concorrenza non lodevole dagli atenei 17 La decisione del ministro Nunzio Nasi di aumentare sensibilmente le tasse universitarie era motivata, fra l’altro, dalla volontà di scoraggiare l’iscrizione alle università dei giovani provenienti dalle classi medie e ridurre in tale modo quello che, qualche anno prima, Guido Fusinato aveva icasticamente definito «l’infelice e minaccioso proletariato intellettuale» (AP, Camera dei Deputati, Sessione 1899, Documenti, n. 20-A, Relazione dell’on. Fusinato sul Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli), tornata del 28 gennaio 1899). Già nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento, a questo riguardo, provvedimenti analoghi erano stati presentati, senza ottenere l’avallo del Parlamento, dagli allora responsabili della Minerva Guido Baccelli (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1894, Documenti, n.1 (urgenza), Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Baccelli) sull’autonomia delle Università, Istituti e Scuole superiori del Regno, seduta del 6 dicembre 1894) e Nicolò Gallo (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1898, Documenti, n. 283, Disegno di legge presentato dal Ministro dell’ Istruzione Pubblica (Gallo). Provvedimenti sulla pubblica istruzione, seduta del 18 aprile 1898). Al principio del nuovo secolo, l’ipotesi di un sensibile aumento delle tasse universitarie come deterrente per ridurre la crescente disoccupazione intellettuale fu riproposta sia in un disegno di legge d’iniziativa parlamentare (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1902, Documenti, n. 145, Proposta di legge presentata da Morelli-Gualtierotti ed altri deputati, seduta del 17 maggio 1902), sia nel provvedimento predisposto appunto dal ministro della Pubblica Istruzione Nasi (cfr. AP, Camera dei Deputati, Sessione 1902, Documenti, n. 146, Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica (Nasi), seduta del 17 maggio 1902), che al termine di un vivace dibattito ottenne l’approvazione parlamentare. Si veda al riguardo la Legge 28 maggio 1903 n. 224 – Misura delle tasse e soprattasse scolastiche per le università, gli istituti superiori e gli istituti superiori di magistero femminile di Roma e Firenze, BUMPI, XXX (1903), I, pp. 833-835. Sul dibattito in materia, con riferimento al periodo a cavallo tra Otto e Novecento, si vedano le attente osservazioni formulate in M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit., pp. 152-175. 18 Al riguardo, si veda la relativa delibera approvata dalla commissione amministrativa del Consorzio nell’adunanza del 10 luglio 1902, con la quale si reintroduceva parzialmente il pagamento delle tasse universitarie, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543. 148 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale regi»19; dall’altro essa si era rivelata necessaria allo scopo di colmare il pesante deficit accumulato dallo stesso Consorzio universitario maceratese per far fronte agli obblighi finanziari annuali previsti dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541, sul pareggiamento (onorari relativi agli incarichi d’insegnamento, spese di amministrazione, acquisto libri e riviste per la biblioteca e quota fissa di 5.000 lire a favore dello Stato)20. La decisione di reintrodurre sia pure in misura parziale le tasse studentesche, che in altri tempi aveva fatto registrare un vero e proprio crollo delle immatricolazioni e iscrizioni all’Ateneo, si era rivelata questa volta una mossa vincente, tanto che, a partire dai primissimi anni del Novecento, la popolazione studentesca crebbe costantemente e in misura rilevante, giungendo quasi a raddoppiare nell’arco di un decennio. Nel periodo compreso tra il 1901 e il 1911, infatti, il numero di iscritti all’Università di Macerata passò da 230 a 435 unità, facendo segnare un incremento pari a circa il 90%21, di gran lunga superiore a quello registrato, nello stesso periodo, in altri atenei della penisola22. E se era senz’altro vero che la sede maceratese beneficiava del più generale aumento di iscritti alle facoltà giuridiche registrato in Italia nel primo decennio del secolo XX23, era altrettanto innegabile che il dato registrato a Macerata risultava essere tra i più cospicui, tanto da collocare la locale Facoltà di Giurisprudenza al settimo posto dopo quelle di Napoli (2601 iscritti), Roma (1421), Torino (922), Palermo (648), Genova (571) e Catania (549), e più avanti di quelle collocate in sedi di grande tradizione come Bologna (398) e Padova (415)24. Lo sottolineava con una certa enfasi lo stesso rettore dell’Ateneo, non mancando peraltro di rilevare come, tra le cause del fausto incremento della popolazione studentesca, dovessero indubbiamente annoverarsi anche le «condizioni di vero 19 Relazione del Rettore Prof. Oreste Ranelletti per la inaugurazione degli studi 1902-1903, IX novembre MDCCCCII, cit., p. 12. 20 Si veda il verbale della già ricordata adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 10 luglio 1902, con la quale si reintroduceva parzialmente il pagamento delle tasse universitarie, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543. 21 Cfr. Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., p. 57. 22 Per quello che riguarda le altre università statali, l’incremento maggiore delle immatricolazioni e iscrizioni si registrò negli atenei di Palermo, nel quale fu del 40% (da 442 a 648 studenti), e di Napoli, dove raggiunse il 34% (da 1933 a 2601 unità). Cfr. Ibidem, pp. 57-58. 23 In tutti gli atenei della penisola si registrò, nello stesso decennio, un sensibile incremento del numero di iscritti alle facoltà giuridiche, i quali passarono dalle 8.206 alle 10.388 unità, ovvero il 39% della popolazione universitaria italiana complessiva, la quale, in quegli stessi anni subiva un leggero calo, passando dai 27.388 studenti dell’anno accademico 1901-1902 ai 26.682 del 1910-1911 (ibidem, p. X). 24 Tra le Facoltà di Giurisprudenza che presentavano in quell’anno un numero di iscritti inferiore a quello della facoltà maceratese debbono essere collocate quelle degli atenei di Pavia (346 iscritti), Pisa (277), Messina (198), Modena (159), Siena (148), Parma (116), Cagliari (112) e Sassari (90). Ibidem, pp. X-XI. 149 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale privilegio» di cui l’Università di Macerata godeva, potendo garantire una «spesa minore per le tasse di iscrizione e d’immatricolazione»: Il numero degli iscritti nella nostra Università – affermava Oreste Ranelletti – è in aumento continuo. […] Questo fatto ha varie cause, quali la fiducia nel personale insegnante, scelto con tutte le garanzie, che le nostre leggi consentono; la fiducia nella possibilità di buoni studi in questo Ateneo; la vicinanza e facilità di comunicazioni coi luoghi natii, provenendo i nostri giovani in massima parte dalle Marche, dagli Abruzzi e dalle Puglie; e soprattutto l’elemento economico della spesa minore per le tasse di iscrizione e d’immatricolazione, che questo Consorzio universitario, cui sono devolute, può tenere molto basse. Da questo punto di vista il nostro Ateneo è in condizioni di vero privilegio 25 . Tutto ciò spiega, a nostro avviso, la vivace polemica condotta nei riguardi dei provvedimenti emanati in materia dal ministro Nasi e, in particolare, i reiterati tentativi di ottenere per l’Ateneo maceratese una deroga dall’applicazione delle disposizioni sulle tasse contenute nel nuovo Regolamento generale universitario e, soprattutto, nella già ricordata legge del 28 maggio 1903, n. 224. Ancor prima che quest’ultimo provvedimento fosse discusso e approvato dal Parlamento, a questo proposito, il rettore dell’Università di Macerata, forte del pieno e convinto sostegno della commissione amministrativa del Consorzio, si era rivolto ai deputati locali Giovanni Mestica e Maffeo Pantaleoni affinché esercitassero pressioni sul ministro Nunzio Nasi e sul relatore del provvedimento, l’on. Gismondo Morelli-Gualtierotti, perché nel testo del disegno di legge fosse mantenuta l’«autonomia in materia di tasse studentesche» a suo tempo riconosciuta all’Ateneo maceratese dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541, sul pareggiamento. Un’iniziativa, quest’ultima, destinata ad essere coronata da successo26 e a segnare un notevole vantaggio per il piccolo Ateneo marchigiano, specie nel momento in cui, trasformato di lì a poco in legge, il provvedimento ministeriale introduceva un sensibile «aumento delle tasse e soprattasse nelle altre università governative»27. 25 IV Dicembre MDCCCCIV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1904-1905. Relazione statistica del Rettore Prof. Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università nell’anno scolastico 1903-1904, ANNUARIO (1905), pp. 8-9. 26 Si veda al riguardo il verbale dell’adunanza dell’8 febbraio 1903 della commissione amministrativa del Consorzio universitario, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 543. 27 XII Novembre MCMV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1905-1906. Relazione statistica del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno scolastico 1904-1905, ANNUARIO (1906), p. 11. 150 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Nel corso della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1903-1904, il rettore Oreste Ranelletti sottolineava con viva soddisfazione come l’Università di Macerata non solamente avesse visto riconosciuta «dalla lettera ministeriale 27 maggio del decorso anno, n. 5376, che accoglieva l’analoga deliberazione di questa Commissione amministrativa [del Consorzio universitario maceratese] 27 aprile 1903», l’esenzione da taluni obblighi derivanti «dall’art. 132 del Regolamento generale universitario», ma che essa era stata anche posta nella condizione di derogare all’aumento delle tasse universitarie recentemente imposto per legge agli altri atenei statali: La legge 28 maggio 1903 n. 224, per diminuire da un lato nelle Università il numero degli studenti e quindi dei laureati, che è di molto superiore al bisogno sociale e per dare dall’altro alle Università nuovi cespiti di entrata, onde provvedere meglio ai loro bisogni, soprattutto scientifici, ha aumentato notevolmente le tasse scolastiche. La nostra Università ha mantenuto intatte le tasse di iscrizione e di diploma nella misura precedente 28 . E tuttavia, a detta di Ranelletti, larga parte dei vantaggi ottenuti in virtù dei riconoscimenti sopra ricordati era destinata ad essere vanificata dalla decisione del ministro della Pubblica Istruzione di mantenere intatti i singolari privilegi di cui godevano le università libere, non ultimo quello dell’assenza di vincoli in materia di tassazione studentesca. Una questione che toccava molto da vicino l’Università di Macerata, stante la cospicua concentrazione di università libere nel territorio marchigiano e nelle regioni limitrofe – Camerino, Urbino, Perugia e Ferrara – e la diretta e pressante concorrenza esercitata dalle rispettive facoltà di giurisprudenza29 su quella dell’Ateneo maceratese: Tutto il buon volere della Commissione amministrativa del nostro Consorzio universitario – notava al riguardo il rettore – ha trovato e trova un ostacolo insormontabile nella vicinanza di Università libere, che, non vincolate dalle leggi dello Stato relative alla tasse scolastiche, hanno queste mantenute nella bassa misura attuale. Non si volle nel Parlamento estendere alle Università libere gli obblighi che la 28 Relazione statistica del Rettore Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università nell’anno scolastico 1902-1903, ANNUARIO (1904), pp. 10-11. 29 Tra le facoltà di Giurisprudenza istituite nelle università Libere, nell’anno accademico 1910-1911 quella di Ferrara vantava 320 iscritti, seguita a ruota da quella di Camerino con 274 e da quella di Urbino con 265, mentre quella di Perugia annoverava solo 112 iscritti (Ferraris, Statistiche delle Università e degli istituti superiori, cit., pp. 57-58). 151 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale legge impone a quelle governative, per rispettarne l’autonomia. Strana motivazione invero codesta, che consente a questi istituti tutti i diritti delle Università governative, senza gli oneri corrispondenti, vuoi pel personale insegnante, vuoi pel materiale scientifico e didattico, vuoi per gli studenti 30 . Paradossalmente, le critiche che il rettore Ranelletti muoveva all’illimitata autonomia delle università libere e alla sostanziale acquiescenza del Parlamento nei riguardi dell’insostenibile concorrenza che, anche in forza dell’assenza di precisi vincoli normativi, esse esercitavano a danno degli atenei governativi, ricalcavano in larga misura quelle, a suo tempo, avanzate dai fautori della soppressione delle università secondarie e minori, giudicate a tutti gli effetti inutili e, anzi, di ostacolo, con le loro tradizionali prerogative e gli esorbitanti privilegi acquisiti, allo sviluppo di un moderno ed efficiente sistema di alta formazione imperniato su un ristretto numero di grandi atenei31. E’ pur vero, tuttavia, che nel momento in cui il rettore dell’Università di Macerata dava conto pubblicamente del buon esito degli sforzi compiuti per limitare i danni che i provvedimenti ministeriali avrebbero prodotto, egli aveva ben presente le condizioni di sostanziale precarietà che continuavano a caratterizzare il piccolo Ateneo marchigiano, ed era ben consapevole del fatto che il pareggiamento ottenuto con la legge 22 dicembre 1901, n. 541, se da un lato aveva dato soluzione ad una serie di problematiche rivelatesi ormai insostenibili, dall’altro era ben lungi dall’aver assicurato definitivamente stabilità e organiche prospettive di sviluppo alla sede maceratese. Di qui la comprensibile preoccupazione per una concorrenza – quella delle limitrofe università libere – che rischiava di vanificare i limitati margini di vantaggio acquisiti in quel periodo. E che le preoccupazioni del rettore Oreste Ranelletti non fossero del tutto infondate sarebbe emerso con forza, nei mesi successivi, a seguito del varo dei provvedimenti di riordinamento delle università da parte del nuovo ministro della Pubblica Istruzione Vittorio Emanuele Orlando32. 30 Relazione statistica del Rettore Oreste Ranelletti sulla vita scientifica e amministrativa dell’Università nell’anno scolastico 1902-1903, ANNUARIO (1904), pp. 11-12. 31 Cfr. Moretti, La questione delle piccole università dai dibattiti di fine secolo al 1914, cit., pp. 19-44. 32 Vittorio Emanuele Orlando fu ministro della Pubblica Istruzione nel II governo Giolitti e nel successivo gabinetto presieduto da Tommaso Tittoni, dal 3 novembre 1903 al 27 marzo 1905. 152 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Questi, com’è noto, con la legge 12 giugno 1904, n. 253, relativa alla disciplina dei concorsi e alla nomina dei professori ordinari e straordinari nelle università33, oltre a cancellare le norme introdotte dal suo predecessore in materia di costituzione delle commissioni di concorso, che tante polemiche avevano suscitato nel mondo accademico italiano34, e a dettare nuove disposizioni in ordine a coloro che potevano presentare domanda di partecipazione e al tenore delle prove concorsuali35, introduceva l’obbligo per i commissari di approvare per ciascun concorso una terna di «eleggibili», composta dai tre candidati giudicati migliori e collocati in graduatoria «in ordine di merito e non mai alla pari»36. Il primo classificato della terna acquisiva il diritto a ricoprire il posto di ruolo che era stato bandito e aveva costituito l’oggetto del concorso, mentre per gli altri due candidati, dichiarati eleggibili e collocati nei gradini più bassi della graduatoria, era introdotta la possibilità, qualora successivamente si fossero resi vacanti ulteriori posti per la stessa disciplina in altre sedi, di essere chiamati con deliberazione delle rispettive facoltà, a ricoprire tali posti con la qualifica di professori straordinari. Al riguardo, l’art. 3 della legge 12 giugno 1904, n. 253, stabiliva: Il risultato del concorso è valido per l’Università e la cattedra per cui fu bandito. Tuttavia anche altri posti vacanti potranno, dentro l’anno della deliberazione del Consiglio superiore, essere occupati dal secondo e dal terzo dei designati in ordine di graduatoria, sulla proposta della Facoltà alla quale occorre 33 Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e straordinari delle università e degli istituti superiori, in GU, 25 giugno 1904; se ne veda il testo riprodotto anche in CC (1904), 17-18, pp. 541-543; e in ANNUARIO (1905), pp. 133-135. 34 Cfr. M. Moretti, La questione universitaria a cinquant’anni dall’unificazione. La Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori e la Relazione Ceci, in Porciani (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, cit., pp. 209-309; e Id., L’«Associazione nazionale fra i Professori universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note ed osservazioni, cit., pp. 581-600. 35 L’art. 2 della Legge Orlando stabiliva che: «Il concorso è aperto a tutti e si rende noto almeno quattro mesi prima che ne comincino le pratiche. E’ bandito per titoli; tuttavia la Commissione giudicatrice potrà richiedere una prova dell’attitudine didattica, e, occorrendo, anche una prova pratica ai concorrenti ogni qual volta lo credesse opportuno» (Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e straordinari delle università e degli istituti superiori, ANNUARIO (1905), p. 133). 36 Cfr. Moretti, Porciani, Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo, cit., pp. 27-28; Fois, Reclutamento dei docenti e sistemi concorsuali, dal 1860 a oggi, cit., pp. 467-468. A. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e stato giuridico, cit., pp. 65-86. Sulle valutazioni formulate dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione in ordine al provvedimento predisposto dal ministro Orlando si veda Disegno di legge sul trasferimento dei professori universitari e sulla interpretazione autentica di alcuni punti della legge 12- 6 - 1904, n. 253, «L’Università italiana. Rivista dell’istruzione superiore», V (1906), 14-15, pp. 78-81. 153 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale di provvedere; ma, anche trattandosi di un concorso per ordinario, i due designati dopo il primo potranno essere nominati soltanto straordinari 37 . In coerenza con le innovazioni sopra ricordate, il successivo art. 6 del provvedimento predisposto da Orlando aboliva le disposizioni della legge Casati (artt. 89-90) che in passato avevano attribuito al ministro della Pubblica Istruzione la competenza di nominare annualmente i professori straordinari – considerati strictu sensu come esterni al corpo accademico dell’ateneo – per la copertura di una parte degli insegnamenti previsti dall’ordinamento dei diversi corsi di laurea o per assicurare l’attivazione di eventuali corsi complementari e/o di perfezionamento stabiliti nelle diverse sedi38. Con la legge 12 giugno 1904, n. 253, inoltre, erano introdotte una serie di disposizioni volte a definire in modo organico le forme di reclutamento dei professori straordinari, attraverso l’istituzioni di appositi concorsi per l’accesso a tale ruolo39. Al riguardo, intervenendo alla Camera dei deputati in occasione della discussione sul provvedimento, il ministro Orlando aveva sottolineato come la scelta di introdurre specifici concorsi per professore straordinario scaturisse da una duplice necessità: quella di assicurare stabilità e continuità di funzione ad una docenza universitaria che era cresciuta notevolmente rispetto alla situazione vigente all’epoca in cui era stata emanata la legge Casati e, al tempo stesso, salvaguardare, attraverso il concorso, la qualità scientifica e la competenza didattica del medesimo personale docente, ponendo finalmente termine alle soluzioni tampone previste dalla normativa vigente che non erano state in grado di fornire una soluzione organica e soddisfacente dal punto di vista qualitativo al problema40. 37 Legge 12 giugno 1904 n. 253 – Nomina dei professori ordinaria e straordinari delle università e degli istituti superiori, cit., p. 134. 38 Cfr. Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 358-359. 39 Il Regolamento generale universitario predisposto dal ministro Nasi nel 1902 aveva già accreditato il sistema dei concorsi anche per la figura degli straordinari (art. 44), interpretando così la legge Casati alla luce dell’evoluzione storica successiva. Secondo l’art. 45, inoltre, era possibile, per il professore straordinario nominato in seguito a concorso, trascorsi tre anni di esercizio non interrotto di insegnamento, chiedere la promozione ad ordinario. Ovviamente sarebbe stato poi necessario il placet del ministero, il quale, dopo avere acquisito il parere della Facoltà e del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, avrebbe sottoposto la richiesta a una specifica Commissione. Secondo l’art. 46, però, il professore straordinario dopo tre anni avrebbe potuto conseguire la promozione, senza ulteriore giudizio, ove avesse preso nel frattempo parte ad un concorso per ordinario classificandosi tra i primi tre in graduatoria. 40 AP, Camera dei Deputati, Sessione 1904, Discussioni, tornata del 26 febbraio 1904, pp. 11119-111121. 154 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale A detta del titolare della Pubblica Istruzione, infatti, stante la necessità di assicurare annualmente l’erogazione, in ogni facoltà universitaria, di almeno il doppio degli insegnamenti coperti dai professori ordinari di ruolo, appariva quantomeno necessario prevedere la stabilizzazione degli straordinari solo previo superamento di un apposito concorso piuttosto che «ammetterla di fatto», come già avveniva, «senza alcun vaglio preventivo»: Siamo in una condizione – affermava Vittorio Emanuele Orlando – che ci obbliga a cercare accomodamenti; dobbiamo ricorrere a dei ripieghi di ordine finanziario; ed abbiamo il professore ordinario nei limiti, nei ceppi, del ruolo, il professore straordinario, cui dobbiamo dare per lo meno il conforto della stabilità. Così essendo, ed essendo il professore straordinario già stabile, non perché si nomini per concorso, ma per una condizione di fatto, […] si pone la questione: quale il modo migliore di nomina? […] Se per la legge Casati, dal 1859 ad oggi, la maniera di nomina dell’ordinario è il concorso, io non saprei perché per lo straordinario, che è, ripeto, un professore stabile, si debba seguire un’altra via41. La legge 12 giugno 1904, n. 253, predisposta dal ministro Orlando aveva l’indubbio merito di reintrodurre una prassi concorsuale non accentratrice e di dare un assetto stabile al personale docente delle università, in modo particolare a quella fascia dei professori straordinari che, nei decenni precedenti, era stata oggetto di norme e disposizioni regolamentari confuse e contraddittorie42. Il nuovo quadro della docenza universitaria disegnato dal titolare della Pubblica Istruzione, tuttavia, finiva indirettamente per danneggiare quegli atenei che, come nel caso di Macerata, erano gravati da una serie di vincoli derivanti dagli obblighi consorziali assunti in vista del pareggiamento, primo fra tutti quello relativo all’«organico chiuso». Non a caso, già all’indomani dell’approvazione della legge Orlando, Gaetano Arangio-Ruiz, professore di Diritto costituzionale nell’Ateneo maceratese, aveva lanciato l’allarme riguardo alle effettive ricadute e ai potenziali rischi di un simile provvedimento. «La legge 12 giugno 1904, n. 253, per la quale non si può essere nominati professori ordinari e straordinari se non in seguito a concorso», egli sottolineava al riguardo, avrebbe prodotto in linea generale «molte conseguenze ottime», ma anche, per i piccoli atenei il cui finanziamento dipendeva dai consorzi 41 Ibidem, p. 111123. Cfr. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e stato giuridico, cit., pp. 65-86. 42 155 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale locali e il cui organico era stato determinato in modo rigidamente fisso dalle disposizioni di legge che approvavano tali consorzi, «qualche conseguenza cattiva»43. Divenuto nel frattempo rettore dell’Università di Macerata44, lo stesso ArangioRuiz ebbe modo di verificare direttamente la situazione di difficoltà e di oggettivo svantaggio, rispetto alle altre sedi accademiche, nella quale le nuove disposizioni di legge sui professori straordinari ponevano il piccolo ateneo marchigiano. A seguito del trasferimento all’Università di Pavia, nel febbraio 1905, dell’ex rettore e titolare della cattedra di Diritto amministrativo Oreste Ranelletti, la Facoltà di Giurisprudenza aveva deliberato di affidare per incarico tale insegnamento al prof. Ugo Forti dell’Università di Camerino; contestualmente, seguendo una prassi consolidata, aveva richiesto e ottenuto dal ministero della Pubblica Istruzione un concorso per professore straordinario di Diritto amministrativo (che sarebbe stato vinto, l’anno seguente, dal prof. Umberto Borsi); ai sensi della legge 12 giugno 1904, n. 25345, inoltre, la stessa Facoltà si era orientata ad avanzare richiesta al ministero per la stabilizzazione e la successiva promozione all’ordinariato per i professori straordinari della Facoltà che avevano completato «un triennio ininterrotto di insegnamento» e che disponevano, dunque, di tutti i requisiti per la «stabilità» e per il passaggio al ruolo degli ordinari. Senonché, proprio i rigidi vincoli all’organico dell’Ateneo fissati dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541, sul pareggiamento, che prevedevano un tetto massimo di 12 docenti di ruolo, dei quali solo 8 con la qualifica di professore ordinario, avevano in parte vanificato tale disegno e, quel che più conta, prodotto pesanti ripercussioni sul corpo docente dell’Ateneo. Se, infatti, Giuseppe Leoni, straordinario di Istituzioni di Diritto romano, era stato «prima dichiarato stabile, poscia promosso ordinario», e un’analoga sorte aveva arriso, qualche mese più tardi, a Siro Solazzi, straordinario di Diritto romano, non così si era verificato nel caso del professore straordinario di Diritto Internazionale, Scipione Gemma, e di quello di Diritto commerciale, il giovane studioso «di alto valore» Alfredo 43 Arangio-Ruiz, L’Università di Macerata nell’epoca moderna (1808-1905), cit., p. 78. Ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza, Gaetano Arangio Ruiz fu rettore dell’Università di Macerata dal 16 gennaio 1905 al 15 ottobre 1910. Su di lui si vedano in particolare E. Crosa, Gaetano Arangio-Ruiz, in «Archivio giuridico», CXVIII (1937), pp. 142-149; e R. Abbondanza, Arangio-Ruiz, Gaetano, in DBI, 3 (1961), pp. 718-719. 45 In particolare, ai sensi dell’art. 4 della Legge 12 giugno 1904 n. 253: Nomina dei professori ordinari e straordinari delle università e degli istituti superiori, cit., p. 135. 44 156 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Rocco, per i quali, la Facoltà di Giurisprudenza maceratese era stata costretta a proporre al ministero della Pubblica Istruzione «la sola stabilità, dolente che mancasse il posto di ordinario in organico»46. Conseguenza diretta della situazione creatasi era stata che Alfredo Rocco, vista l’impossibilità di ottenere in tempi brevi l’ordinariato a Macerata, a decorrere dall’anno accademico 1905-1906 si era trasferito all’Università di Parma, dove l’anno seguente aveva ottenuto l’ambita promozione ad ordinario di Procedura civile47; analogamente, poco tempo dopo Scipione Gemma aveva accettato, per gli stessi motivi, di lasciare Macerata per andare ad insegnare nell’Università di Siena48. Non sorprendono, a questo riguardo, le amare considerazioni formulate dal rettore Gaetano Arangio-Ruiz in occasione della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1906-1907: La nostra Università – egli affermava – è tra quelle che hanno l’organico chiuso. […] La questione dell’organico si ripercuote nella vita universitaria in mille guise. Era soltanto l’Università di Napoli ammessa a godere, per la legge Imbriani, della illimitazione negli insegnamenti e nel numero di ordinari, ma a poco a poco hanno ottenuta la illimitazione, almeno degli ordinari, altre Università. […] La nostra, con altre Università, ormai poche, non ha potuto, non può entrare in questa corsa all’assalto del bilancio dello Stato e ciò potrà in avvenire crearci impedimenti considerevoli, come ora ci apporta dolori per le mancate soddisfazioni a colleghi egregi49. 46 XII Novembre MCMV. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1905-1906. Relazione statistica del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno scolastico 1904-1905, ANNUARIO (1906), p. 9. 47 Il posto lasciato libero da Alfredo Rocco fu coperto con la chiamata del prof. Umberto Navarrini, che proveniva dall’Università di Sassari, il quale, tuttavia, abbandonò l’Ateneo maceratese già nel dicembre 1907 per trasferirsi a Roma, presso l’Istituto Superiore di Studi commerciali. 48 La nomina a ordinario di Giuseppe Leoni suscitò forti polemiche all’interno del corpo docente, tanto che Alfredo Rocco e Scipione Gemma, entrambi esclusi dalla promozione a ordinario per mancanza di posti nell’organico, inviarono prima una lettera di protesta al ministro della Pubblica Istruzione e presentarono poi un vero e proprio ricorso contro i RR.DD. 27 aprile e 16 maggio 1905, con i quali erano approvati la stabilizzazione e la promozione a ordinario del Leoni. La IV Sezione del Consiglio di Stato, pronunciatasi sull’argomento il 5 ottobre 1907, accolse parzialmente il ricorso dei due docenti (in realtà Rocco, divenuto ordinario a Parma, aveva dichiarato cessato il suo interesse), ritenendo infatti legittima la stabilizzazione di Leoni, ma irregolare, per converso, «il decreto di promozione, essendo preventivamente mancate la proposta della Facoltà e il parere del Consiglio superiore sull’importanza della cattedra tenuta dal promovendo, e sull’opportunità di coprirla con un ordinario, a preferenza di altre». Lo stesso Gemma, comunque, nell’anno accademico 1908-1909 si trasferì a Siena e, in una lettera inviata al ministro della Pubblica Istruzione in data 30 marzo 1908 rinunciò definitivamente a tutte le sue pretese di carriera nell’ateneo maceratese, a favore del collega di Diritto civile Giuseppe Messina, il quale divenne ordinario nel novembre 1908. Si veda la documentazione relativa a questi casi in ASMc, Università, Miscellanea, Anno 1907-1908, b. 695. 49 XVIII Novembre MCMVI. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1906-1907. Relazione statistica del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno scolastico 1905-1906, ANNUARIO (1907), p. 9. 157 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale La questione dell’«organico chiuso» si saldava peraltro a quella, solo apparentemente di altra natura, delle troppo limitate risorse finanziarie sulle quali il Consorzio universitario poteva fare conto per assicurare l’erogazione dei servizi agli studenti, l’ampliamento del patrimonio librario della biblioteca e il più generale funzionamento degli organi e delle strutture dell’Ateneo50. Entrambe derivavano dalle disposizioni stabilite nella già ricordata convenzione sottoscritta il 6 maggio 1900 dal titolare della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, a nome del Governo, e dai rappresentanti degli enti locali e dell’Ateneo, con la quale era stato possibile ottenere il pareggiamento dell’Università di Macerata a quelle di primo grado. Si rendeva necessario, a questo riguardo, procedere ad una revisione della convenzione e, più in generale, rinegoziare con il governo le gravose obbligazioni economiche assunte, per il tramite del Consorzio, dagli enti locali maceratesi ai fini dell’equiparazione dell’Ateneo. Come sottolineava il rettore Arangio-Ruiz: Lungi da me l’idea di censurare quanti proposero e sostennero la convenzione vigente. Questa rappresentava forse il meglio che allora si potea desiderare, e di fronte al passo notevole che l’Università faceva nell’aspra via percorsa dal 1860 col fermo proposito di essere riconosciuta, considerata Istituto statuale, la convenzione vigente era una conquista, e non importa se finanziariamente onerosa per gli enti locali. Nel periodo successivo, tuttavia, talune delle disposizioni inserite nella convenzione sottoscritta nel 1900 avevano finito per «mettere la nostra Università in condizione di inferiorità di fronte alle altre». In primo luogo, l’avere definito una volta per tutte «un organico, approvato per legge, onde si assegnano alla Facoltà giuridica otto professori ordinari, quattro professori straordinari, il rettore, un segretario, un 50 Sulla situazione finanziaria in cui versava l’ateneo e sulla decisione di aumentare le tasse universitarie si veda la ricca documentazione conservata in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, registro n. 544. Nel corso della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1906-1907 il rettore Gaetano Arangio-Ruiz precisava: «Le difficoltà finanziarie sono spinose, poiché la buona volontà non basta a far denaro: questo viene da fonti produttrici che sono limitate. Noi che abbiamo sempre avuto un bilancio in soddisfacenti condizioni, chiuso anche nell’anno testé decorso in avanzo, non potremmo affrontare spese superiori alla normale potenzialità dei nostri servizi. E siccome questi reclamano pur nuovi mezzi, io, sin quando fui assunto alla carica di rettore, seguendo un’idea del mio predecessore, pensai ad un moderato aumento della tassa di iscrizione. […] Con l’accordo intervenuto tra il corpo accademico e le autorità locali di Camerino da un lato e la maggioranza della nostra Commissione consorziale dall’altro, l’aumento è un fatto compiuto» (XVIII Novembre MCMVI. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1906-1907. Relazione statistica del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz sulla vita scientifica e amministrativa dell’università nell’anno scolastico 1905-1906, ANNUARIO (1907), p. 10). 158 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale bidello, e non c’è stato modo mai di rompere i ferrei cancelli», si era rivelato, alla lunga, un errore gravissimo; tanto più, notava ancora Arangio-Ruiz, che «nessuna delle altre otto convenzioni delle Università pareggiate ha un organico chiuso per legge». Inoltre, l’avere posto «ogni altra spesa a carico del Consorzio» faceva sì che questo si trovasse, alla lunga, nella sempre maggiore impossibilità di fronteggiare gli aumenti derivanti dall’accresciuto numero degli studenti, dall’ampliamento degli incarichi d’insegnamento resi necessari dalla mutata offerta formativa e didattica, dalle sempre maggiori necessità di un ateneo in costante espansione. Infine, se si calcolava in misura precisa quello che «lo Stato stanzia[va] per l’Università di Macerata nel bilancio annuale in corrispettivo dei beni patrimoniali qui dallo Stato pontificio incamerati», era facile comprendere come tale stanziamento fosse del tutto inadeguato e come gravasse solo ed esclusivamente sulle finanze degli enti locali e sulle entrate rappresentate dalle tasse studentesche larga parte degli oneri per il mantenimento dell’ateneo: «Come a dire – era l’amara conclusione – che l’Università è nostra e noi la manteniamo, e lo Stato non ha doveri, ma soltanto diritti rispetto ad essa»51. Dopo aver tentato senza successo altre vie per ottenere la revisione, da parte del governo, della convenzione sottoscritta nel 1900, il rettore Arangio-Ruiz inviava il 9 gennaio 1908 una lettera al ministro del Tesoro Paolo Carcano, nella quale sollecitava la soppressione della norma relativa all’«organico chiuso» e proponeva una ridefinizione degli oneri finanziari a carico dello Stato e degli enti locali, in base alla quale si sarebbe avuto il «pagamento diretto da parte dello Stato delle retribuzioni per gli incarichi; l’abolizione dei rimborsi, determinandosi una somma annua fissa che il Consorzio paghi allo Stato, mercé la quale tutto l’onere del personale insegnante, amministrativo e di servizio passi allo Stato»52. La proposta di revisione della convenzione predisposta da Gaetano ArangioRuiz fu accolta favorevolmente, come già era accaduto in analoghi casi precedenti, dagli enti locali maceratesi, i quali, rispettivamente, nell’adunanza del Consiglio municipale del 27 marzo 190853 e in quella del Consiglio provinciale del 17 giugno dello stesso 51 VIII Novembre MCMVIII. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1908-1909. Relazione del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1909), pp. 10-13. 52 Copia della lettera inviata dal rettore Arangio-Ruiz al ministro del Tesoro Carcano il 9 gennaio 1908 e in ASMc, Università, Miscellanea, Anno 1907-1908, b. 695. 53 Verbale dell’adunanza del Consiglio comunale del 27 marzo 1908, in ASMc, Comune, Registro delle deliberazioni del Consiglio comunale, reg. n. 1092. 159 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale anno54, deliberarono all’unanimità la modifica degli artt. 2, 5, 6, 7, 8 e 11 della convenzione vigente, secondo lo schema che era stato predisposto e approvato, su proposta del rettore-presidente, dalla commissione amministrativa del Consorzio universitario riunitosi il 9 gennaio 190855. Su tale base, ottenuto il via libera dai ministeri competenti, la nuova convenzione fu sottoscritta il 13 novembre 1908 dal sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione, Augusto Ciuffelli, dal sottosegretario di Stato per il Tesoro, Giuseppe Fasce, dal presidente della Deputazione provinciale di Macerata, Marino Bartolazzi, dal regio commissario del Comune di Macerata, Felice Cassone, e dal rettore dell’Ateneo, Gaetano Arangio-Ruiz56. Giunti a quel punto, era necessario solamente ottenere l’avallo del Parlamento, riguardo al quale il rettore Arangio-Ruiz si mostrava assolutamente tranquillo, stante la piena condivisione del nuovo accordo da parte di tutti i sottoscrittori e la riconosciuta opportunità delle disposizioni approvate: «Nessuno – egli affermava al riguardo –, compresa bene l’importanza della questione, constatati i danni, ha fatto opposizione al concetto fondamentale, che consigliava la modificazione della convenzione vigente. […] Io sono convinto che l’anno venturo, da questa cattedra, sarà annunziata la legge di approvazione della nuova convenzione»57. In realtà, com’era già accaduto una decina di anni prima per la convenzione testé abrogata, l’iter parlamentare si sarebbe rivelato assai più complesso e problematico di quello preventivato. Il 19 dicembre 1908 il relativo disegno di legge presentato dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava di concerto con il titolare del Tesoro Paolo Carcano veniva ufficialmente presentato alla Camera dei deputati58. Nella relazione che accompagnava il testo, il ministro illustrava con dovizia di particolari le controverse vicende che avevano caratterizzato l’Università di Macerata in virtù dei vincoli posti dalla convenzione vigente, sottolineando la necessità e l’urgenza 54 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 17 giugno 1908, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1908, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1909, pp. 30-34. 55 Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 9 gennaio 1908, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545. 56 Si veda il testo della convenzione in Convenzione firmata a Roma il 13 novembre 1908 tra il Governo, il Comune, la Provincia e il Consorzio Universitario di Macerata pel pareggiamento della R. Università di Macerata, in sostituzione della Convenzione approvata con la Legge del 22 dicembre 1901, n. 541, ANNUARIO (1909), pp. 23-28 57 VIII Novembre MCMVIII. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1908-1909. Relazione del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1909), pp. 12-13. 58 Cfr. Disegno di legge presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro del Tesoro (Carcano), BUMPI, XXXVI (1898), II, pp. 1825-1837. 160 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale di porre rimedio ad una situazione destinata a penalizzare fortemente il corpo docente dell’ateneo: L’Istituto era posto in condizioni di inferiorità, rispetto alle altre Università pareggiate, e i professori venivano ad esserne in qualche modo colpiti, sebbene, pel carattere regio dell’Istituto fossero e sieno nominati o trasferiti nello stesso modo che vige in tutte le altre Università regie. […] I professori, poi, si dolevano che, per causa di quel conto annuale di dare ed avere fra lo Stato e il Consorzio, non potessero […] essere comandati o destinati in missione; e si lagnavano pure per il fatto che, essendo la spesa delle retribuzioni degli incarichi attribuita al Consorzio, non potevano avere un supplente nei casi previsti dalle legge, dai regolamenti e dalle consuetudini, se non assumendo a proprio carico la relativa spesa. […] Un altro danno derivava ai professori dell’Università di Macerata dal fatto, che, essendo tassativamente determinati nel ruolo organico annesso alla Convenzione gli stipendi dei professori stessi, non potevano gli straordinari ottenere, come in altre Università, che il loro stipendio fosse elevato al massimo consentito dalla legge 59 . Dopo avere illustrato le diverse modifiche apportate alla convenzione in vigore, il ministro Rava raccomandava l’approvazione del disegno di legge sottolineando come esso avrebbe reso possibile non soltanto il ripristino delle condizioni di equità e di uguaglianza rispetto agli altri atenei della penisola, ma anche l’indispensabile sviluppo dell’unico istituto universitario statale delle Marche, «attivo e benefico centro di coltura per molta parte delle provincie meridionali del versante adriatico»60. Il disegno di legge Rava-Carcano non fu discusso a causa dello scioglimento della Camera dei deputati, ma, nella legislatura successiva, fu ripresentato dal governo il 2 aprile 1909 e trasmesso alla Giunta generale del Bilancio per ottenerne il prescritto parere. Proprio all’interno della Giunta emersero, tuttavia, una serie di difficoltà riguardo all’approvazione del testo governativo. Nella Relazione della Giunta Generale del Bilancio sul Disegno di legge presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro del Tesoro (Carcano), predisposta da Luigi Credaro il 20 maggio 1909, infatti, pur esprimendo in linea di massima parere favorevole al varo del provvedimento, erano avanzate notevoli perplessità circa il mantenimento dell’art. 8 della convenzione, ossia quello che prevedeva la totale devoluzione delle tasse scolastiche al Consorzio universitario maceratese: 59 60 Ibidem, p. 1827. Ibidem, p. 1832. 161 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Poiché con questa convenzione – affermava Luigi Credaro – l’Università di Macerata chiede di essere pienamente pareggiata alle altre Università regie, l’esazione delle tasse deve essere affidata allo Stato, tenendo conto del loro prodotto nel fissare i contributi degli enti locali. L’esazione delle tasse è cosa molto delicata e lo Stato avrebbe dovuto essere sicuro che avvenga nello stesso modo e misura in 61 tutte le Università del Regno. […] Questo è necessario per la completa serietà degli studi . Ovviamente la modifica al testo della convenzione richiesta dalla Giunta del Bilancio era destinata ad incontrare la netta contrarietà dei vertici dell’Ateneo e degli stessi enti locali maceratesi, i quali sollecitarono a più riprese i ministri interessati affinché il governo rigettasse la richiesta di modifica avanzata in sede parlamentare62. Richiesto dal ministro del Tesoro Carcano, il 30 maggio 1909, di manifestare i propri intendimenti riguardo alla proposta avanzata dalla Giunta63, il titolare della Pubblica Istruzione Luigi Rava inviava il 9 giugno una lettera alla Giunta del Bilancio, nella quale, accogliendo le istanze dell’università e degli enti locali marchigiani, invitava la stessa Giunta ad approvare il disegno di legge così com’era stato originariamente presentato e a lasciare cadere la richiesta di abrogazione o modifica del sopra ricordato art. 8. A sostegno di tale richiesta, il ministro sottolineava come la modifica proposta avrebbe inopinatamente leso il diritto a suo tempo riconosciuto all’Università di Macerata dal R.D. 4 gennaio 1880, n. 5236, con il quale era stato approvato lo Statuto del Consorzio universitario maceratese64; inoltre, notava ancora Rava, trattandosi dell’approvazione di un accordo stipulato tra gli enti locali, il Consorzio universitario e lo Stato, per procedere ad un’eventuale modifica della convenzione a suo tempo sottoscritta dalle parti sarebbe stato necessario ottenere nuovamente il consenso delle medesime sul testo emendato; era presumibile, in questo caso, che il Consorzio, nella 61 ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6, Relazione della Giunta Generale del Bilancio sul Disegno di legge presentato dal ministro dell’Istruzione Pubblica (Rava) di concerto col ministro del Tesoro (Carcano) nella seduta del 2 aprile. 62 In ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6, è presente un telegramma inviato dal Presidente della Deputazione provinciale di Macerata al ministro Rava. Si veda inoltre il verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 19 giugno 1909, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1909, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1910, pp. 82-86. 63 La lettera inviata dal ministro del Tesoro Paolo Carcano al titolare della Pubblica Istruzione Luigi Rava il 30 maggio 1909 è conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6. 64 Si tratta del R.D. 4 gennaio 1880, n. 5236 con il quale era stato approvato per la prima volta lo Statuto del Consorzio universitario di Macerata. Per i suoi contenuti si veda Pomante, L’Università di Macerata nel periodo post-unitario: le tappe di una faticosa rinascita, cit., pp. 136-138. 162 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale sua qualità di soggetto maggiormente penalizzato sul piano finanziario dalle modifiche intervenute, non avrebbe sottoscritto il nuovo testo. Nel concludere il suo ragionamento, il titolare della Pubblica Istruzione non mancava di porre in luce i «meriti» acquisiti dall’Università di Macerata e, soprattutto, il notevole risparmio garantito allo Stato in virtù dell’assunzione della «gran parte della spesa» per il mantenimento dell’Ateneo da parte del Consorzio: Se l’Università maceratese – scriveva al riguardo Luigi Rava – gode ormai per lunga tradizione del privilegio, se così si può chiamare di riscuotere e devolvere a proprio beneficio le tasse pagate dagli studenti, e anche di fissarle in misura inferiore a quella stabilita per le altre Università, merita pure che siffatta eccezionale facoltà le sia conservata, sia per il lodevole insegnamento che vi s’impartisce e per il rigore con cui vi si applicano le leggi e i regolamenti – del che questo Ministero può far piena fede – sia per la considerazione – la quale ha un gran peso nel caso presente – che il Consorzio universitario ha a suo carico una gran parte della spesa di mantenimento dell’Ateneo 65 . Sulla scorta di Rava, anche il ministro del Tesoro Carcano esortava, il 12 giugno 1909, la Giunta generale del Bilancio a non insistere nelle sue richieste di modifica. Forti del sostegno governativo, gli enti locali e l’Ateneo maceratese si mossero di concerto, sollecitando il mantenimento del diritto, da parte dell’Università di Macerata, di incamerare direttamente le tasse studentesche e di fissare l’entità delle stesse in misura ridotta rispetto agli altri atenei, anche se ciò aveva come contropartita la rinuncia, almeno in via provvisoria, a rendere operativa e ad applicare da subito la nuova convenzione sottoscritta il 13 novembre 1908. Sulla base di tali determinazioni, il 19 giugno l’esame del disegno di legge, da parte della Giunta generale del Bilancio, veniva sospeso in attesa di nuovi accordi66. In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1909-1910 il rettore Arangio-Ruiz manifestava la sua profonda delusione per l’epilogo che aveva caratterizzato l’intera vicenda, sottolineando come la richiesta, da parte dell’Università di Macerata, del mantenimento del regime particolare in materia di tassazione studentesca rimasto in vigore fino a quel momento, si rendesse necessaria non già, come 65 La lettera inviata dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava al presidente della Giunta Generale del Bilancio il 9 giugno 1909 è conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6. 66 Si veda in tal senso la documentazione conservata in ACS, MPI, Fondo Credaro, b. 10, f. 6. Inoltre, si rinvia alle due adunanze tenute nel mese di giugno dalla commissione amministrativa del Consorzio universitario maceratese e, in modo particolare, a quella del 25 giugno 1909, il cui verbale è conservato in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545. 163 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale aveva erroneamente affermato l’on. Luigi Credaro, in virtù dell’attribuzione di privilegi che apparivano ormai anacronistici e non più sostenibili, ma in ragione dell’aggressiva e indebita concorrenza che le vicine università libere di Camerino e di Urbino esercitavano nei riguardi dell’unico ateneo statale della regione, i cui meriti scientifici e il cui ben noto rigore dal punto di vista didattico e disciplinare, poco potevano di fronte alle prerogative e all’autonomia di cui godevano gli atenei non statali: L’Università di Macerata – affermava Arangio-Riuz – è stata fatta segno a giudizi sfavorevoli, che a me particolarmente hanno recato molto dolore. […] Qui, se non si vuole uccidere l’Università, non possono venire imposte le tasse legali di immatricolazione e di iscrizione che a patto di togliere la stessa autonomia alle Facoltà libere, in particolare di Camerino e di Urbino. Certo, la Facoltà di Macerata ha una preminenza sulle vicine Università, che consente si esigano da noi contributi maggiori, ma siffatta preminenza è già scontata col richiedere nella misura legale le tasse degli esami e di diploma, con l’applicare la nuova regola legislativa della annualità delle tasse di iscrizione e di esami speciali, oltre che col rigore delle dispense, con la severità della disciplina e degli esami, rigore e severità che possiamo vantare non più in confronto dell’una o dell’altra Università libera, sì bene in confronto di ogni altro Istituto regio superiore67. Nello stesso periodo in cui a Macerata si dibatteva la questione del rinnovo della convenzione tra gli enti locali e lo Stato per il sostentamento della locale Università, il mondo accademico italiano registrava il dispiegarsi della lotta per il miglioramento dello stato giuridico e del trattamento economico dei docenti e, più in generale, per il riordinamento del sistema universitario avviata dall’Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, il sodalizio sorto nel 1905 per la difesa dei diritti della categoria, il quale era venuto progressivamente assumendo le caratteristiche di un vasto e variegato movimento a favore della riforma dell’istruzione superiore e delle università68. Sull’onda delle proteste e delle rivendicazioni avanzate dall’Associazione, il 7 maggio 1907 la Camera dei deputati aveva approvato un ordine del giorno che 67 XIV Novembre MCMIX. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1909-1910. Relazione del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1910), pp. 8-9. 68 Sull’Associazione Nazionale fra i Professori Universitari si veda Moretti, L’«Associazione Nazionale fra i Professori Universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note e osservazioni, cit., pp. 581-600. 164 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale sollecitava il governo a presentare entro la fine di luglio dell’anno seguente un provvedimento legislativo che aumentasse gli stipendi dei professori universitari69. Un primo disegno di legge predisposto al riguardo dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava, e presentato il 20 dicembre 1907, era stato tuttavia respinto dalla Camera il 29 giugno 1908, al termine di un lungo e controverso dibattito nel corso del quale non erano mancate critiche in ordine alla scarsa produttività e alle presunte condizioni di privilegio di cui godevano i professori universitari70. In realtà, come sottolineava Gaetano Salvemini, il provvedimento ministeriale aveva riscosso tiepidi consensi non solo all’interno della corporazione accademica71, ma anche tra i numerosi professori universitari che sedevano in Parlamento, in quanto introduceva una serie di restrizioni alla possibilità di esercitare la libera professione (avvocati, medici, ingegneri ecc.) per coloro che ricoprivano una cattedra universitaria: Naturalmente – scriveva lo storico meridionale – quel centinaio di avvocati principi, di grandi clinici, di ingegneri accreditati, che guadagnano 20, 30, 100 mila lire all’anno, di un miserabile aumento di stipendio di poche centinaia di lire non sanno che farsene. […] La verità è che la legge è caduta non per i suoi difetti, ma per i suoi pregi 72 . A seguito della clamorosa bocciatura del provvedimento, convinto dal capo del governo Giovanni Giolitti, al quale aveva rassegnato le sue dimissioni, a restare al suo posto e ad andare avanti, il ministro Rava si era persuaso del fatto che, più che predisporre un nuovo disegno di legge su tale materia, fosse necessario collocare la questione del miglioramento delle condizioni economiche dei professori universitari all’interno di un più complessivo progetto di riforma dell’istruzione superiore e dell’università, in ordine al quale, le discussioni e i dibattiti sviluppatisi nei mesi precedenti sia in ambito accademico, sia in seno all’opinione pubblica e alla stampa nazionale, avevano registrato l’emergere di una serie di nodi irrisolti e di questioni 69 Cfr. Bilancio della pubblica istruzione. Discorso del deputato Eugenio Valli, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, pp. 34-40. 70 Si veda al riguardo AP, Camera dei Deputati, Sessione 1908, Discussioni, tornata del 29 giugno 1908, pp. 23850-23878. 71 Cfr. Pro e contro il disegno di legge «Stato economico dei professori delle regie università e dei regi istituti superiori». La relazione al disegno di legge Rava., «L’Università italiana. Rivista dell’istruzione superiore», 7 (1908), 8-9, pp. 61-62; Per la riforma universitaria, pareri e appunti, «Nuova Antologia», CXXXVII (1908), 880, pp. 625-638; 882, pp. 227-245; 884, pp. 549-463. 72 G. Salvemini, Abbasso le Università! A Leonida Bissolati (1908), in Id., Scritti sulla scuola, a cura di L. Borghi, B. Finocchiaro, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 769. 165 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale urgenti da affrontare, sebbene le soluzioni proposte in merito agli stessi apparissero tutt’altro che omogenee e componibili in un quadro unitario73. A confermare il ministro della Pubblica Istruzione circa l’opportunità e l’urgenza di un provvedimento che modificasse in profondità l’assetto dell’istruzione superiore, peraltro, si poneva il fatto che negli ultimi due decenni l’università italiana era notevolmente cresciuta, talora in modo troppo rapido e senza adeguati supporti e controlli, e che occorreva, dunque, procedere oltre che alla revisione dello stato giuridico ed economico del personale, anche ad una ridefinizione degli ordinamenti amministrativi e all’indispensabile potenziamento delle strutture scientifiche e didattiche74. Al termine di un iter parlamentare alquanto problematico e accidentato75, il disegno di legge Provvedimenti per l’istruzione superiore, predisposto al riguardo dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava, ottenne l’approvazione dei due rami del Parlamento e divenne la legge 19 luglio 1909, n. 49676. Nei suoi 42 articoli, la legge Rava modificava diversi aspetti dell’ordinamento universitario e dello stato giuridico ed economico del personale. Oltre a ridurre la rappresentanza elettiva dei docenti universitari in seno al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione77, il provvedimento istituiva il ruolo organico unico per tutti gli atenei78, e fissava altresì a 75 anni il limite massimo per la permanenza in servizio dei professori di ruolo79. Quanto alle provvidenze di carattere economico per il personale docente, esso stabiliva un 73 Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 365-366. 74 L. Rava, Discorsi vari, Roma, Tip. Operaia Romana, 1909, p. 59. 75 Si veda al riguardo La legge del 19 luglio 1909, n. 496 «Provvedimenti per l’Istruzione Superiore». Progetto di legge presentato dal Ministro della Pubblica Istruzione On. Rava, di concerto col Ministro del Tesoro On. Carcano. Relazioni e discussioni alla Camera dei Deputati e al Senato del Regno e testo della Legge approvata, Roma, Tip. Operaia Romana, 1909. 76 Legge 19 luglio 1909, n. 496 – Provvedimenti per l’Istruzione Superiore, BUMPI (1909), II, pp. 22752305. 77 Cfr. La legge per i professori, «La Voce», 1 (1909), 23, p. 125. Secondo Gaetano Mosca era stata proprio l’apoliticità del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione la vera e più autentica garanzia della «libertà di cattedra» contro il rischio d’indebite ingerenze della politica, ovvero di una «scienza di Stato» (Ministero della Pubblica Istruzione, Sui provvedimenti per l’istruzione superiore. Discorso del Deputato Gaetano Mosca alla Camera dei Deputati nella tornata del 9 luglio 1909, Roma, Tip. Operaia Romana, 1909). 78 Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 367. 79 Cfr. Nelle università. Dopo la legge 19 luglio 1909, «Studium. Rivista universitaria», IV (1909), 10-11, pp. 643-646. 166 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale incremento annuale degli stipendi pari a 7.000 lire per i professori ordinari e a 4.500 per gli straordinari80. Al di là dell’irrigidimento delle carriere e dell’accresciuta burocratizzazione della figura del professore universitario da più parti denunciata81, la legge 19 luglio 1909, n. 496 era destinata a promuovere la razionalizzazione del settore, soprattutto attraverso la creazione del ruolo organico unico per tutti gli atenei, e ad apportare indubbi benefici economici al personale docente, in virtù degli incrementi stipendiali sopra ricordati. L’applicazione di tali provvedimenti, tuttavia, si sarebbe rivelata particolarmente gravosa e penalizzante per l’Università di Macerata, la cui organizzazione amministrativa e finanziaria, a seguito della mancata ratifica parlamentare del rinnovo della convenzione tra lo Stato e gli enti locali sottoscritto l’anno precedente (13 novembre 1908), risultava ancora disciplinata dalla legge 22 dicembre 1901, n. 541. Non a caso, fin dal giugno 1909, ovvero ancora prima che il disegno di legge Provvedimenti per l’istruzione superiore predisposto dal ministro Rava ottenesse l’approvazione del Parlamento, l’on. Luigi Credaro e gli altri componenti la Giunta generale del Bilancio avevano espresso la loro contrarietà ad accordare anche ai professori di ruolo dell’Ateneo maceratese gli incrementi stipendiali fissati dal provvedimento in discussione per il personale docente delle università e ad annoverare gli stessi nel ruolo organico unico nazionale, sottolineando che tali provvidenze economiche e d’inquadramento giuridico e amministrativo avrebbero potuto essere riconosciute solo allorquando l’Ateneo marchigiano si fosse uniformato a tutti gli altri in materia di tasse universitarie, rinunciando al regime speciale reso possibile dalla legge 22 dicembre 1901, n. 54182. Le riserve avanzate dalla Giunta generale del Bilancio erano destinate ad essere recepite nel testo di legge approvato nelle settimane successive, tant’è che, ai sensi dell’art. 29 della legge 19 luglio 1909, n. 496, il personale docente dell’Università di 80 Le novità introdotte dal provvedimento predisposto dal ministro Rava ponevano inevitabilmente l’esigenza di un riordino generale della normativa che regolava l’istruzione superiore e universitaria. Un passo concreto in tal senso fu compiuto con la presentazione del Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795, in GU, 12 dicembre 1910 (riprodotto anche in BUMPI (1910), II, pp. 3718-3779). Con il R.D. 9 agosto 1910, n. 796 fu contestualmente emanato il Regolamento generale universitario, pubblicato in BUMPI (1910), II, pp. 3780-3832. 81 Cfr. Verrocchio, I docenti universitari tra Ottocento e Novecento. Carriere, condizione economica e stato giuridico, cit., pp. 65-86. 82 Si veda il verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 25 giugno 1909, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 545. 167 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Macerata veniva di fatto escluso dal ruolo organico unico nazionale dei professori delle università italiane: Sono abrogati – recitava l’art. 29 – gli articoli 70 e 74 della legge 13 novembre 1859, n. 3725, e tutte le altre disposizioni riguardanti il numero dei professori ordinari e straordinari nelle regie Università, salvo quanto è disposto nella legge 22 dicembre 1901, n. 541, per l’Università di Macerata, fino a quando non sarà approvata una nuova convenzione in sostituzione di quella ora in vigore83. Non solo. Lo stesso regolamento esecutivo della legge Rava, emanato con il R.D. 20 agosto 1909, n. 703, oltre a ribadire la condizione particolare che caratterizzava l’Università di Macerata rispetto al resto degli atenei italiani per quel che concerneva l’applicazione della nuova disciplina di legge in materia di professori di ruolo (art. 7) e di trasferimenti del personale docente (art. 12), sottolineava come, ai sensi della legge 22 dicembre 1901, n. 541, spettasse al Consorzio universitario maceratese farsi carico degli incrementi stipendiali attribuiti ai professori incaricati dal provvedimento Rava84. Inaugurando solennemente l’anno accademico 1909-1910, l’ultimo del suo lungo e difficile rettorato, Gaetano Arangio-Ruiz sottolineava come i recenti provvedimenti governativi fossero destinati ad «intaccare i vantaggi che col pareggiamento del 1901 si erano conseguiti» e, soprattutto, rischiassero di far ripiombare l’Ateneo maceratese in quella condizione d’incertezza e di insostenibile precarietà già troppo a lungo sperimentata prima dell’ottenimento del pareggiamento: «Comunque – concludeva con una nota di speranza il rettore – auguro ai colleghi attuali che non ne abbiano danno nella carriera; all’Istituto non soltanto vita rigogliosa per numero di studenti, ma anche la possibilità di conservare i vantaggi del pareggiamento; attraendo buoni insegnanti da altre Università minori senza vedere di molto accresciuto l’esodo dei professori»85. In effetti, l’auspicio formulato da Arangio-Ruiz era destinato a non trovare riscontro nella realtà. L’anno accademico 1909-1910, infatti, fu l’ultimo nel quale l’Ateneo maceratese poté contare su un organico di docenti di ruolo stabile e in grado di garantire il buon andamento dell’attività didattica e la piena funzionalità dei corsi, il 83 Art. 29 della Legge 19 luglio 1909, n. 496 – Provvedimenti per l’Istruzione Superiore, cit., p. 2298. Cfr. R.D. 20 agosto 1909, n. 703 – che approva il regolamento per l’esecuzione della legge 19 luglio 1909, n. 496, nella parte riguardante il personale insegnante delle Università, degli Istituti superiori e degli Istituti superiori femminile di Magistero, ANNUARIO (1910), pp. 107-117. 85 XIV Novembre MCMIX. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1909-1910. Relazione del Rettore Prof. Gaetano Arangio-Ruiz, ANNUARIO (1910), pp. 10-11. 84 168 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale quale comprendeva, secondo quanto previsto dalla convenzione del 1900, otto professori ordinari (Niccolò Lo Savio per l’Economia politica, Raffaelle Pascucci per Procedura civile ed ordinamento giudiziario, Pio Barsanti per Diritto e procedura penale, Lodovico Zdekauer per Storia del diritto italiano, Alberto Zorli per Scienza delle finanze e diritto finanziario, Gaetano Arangio-Ruiz per Diritto costituzionale, Giuseppe Messina per Diritto civile e Umberto Borsi per Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione) e tre professori straordinari, di cui due stabili (Giuseppe Leoni per Istituzioni di diritto romano e Ageo Arcangeli per Diritto commerciale) ed uno in attesa di essere stabilizzato (Pier Paolo Zanzucchi per Diritto romano). Dei sette insegnamenti non ricoperti da docenti di ruolo e affidati per incarico, sei erano stati attribuiti a professori incardinati nella Facoltà e uno, quello di Medicina legale, era tenuto da un esterno, il dott. Attilio Ascarelli86. A seguito dei provvedimenti introdotti dalla legge 19 luglio 1909, n. 496, erano invece cessati i corsi liberi tenuti da professori ufficiali, inaugurati nell’anno accademico 1903-190487. Già a partire dall’anno accademico successivo, a questo riguardo, il paventato «esodo dei professori» presso altre sedi universitarie era destinato a divenire una costante per la vita dell’Ateneo. Lo denunciava con forza già nel novembre 1910 il neoeletto rettore Raffaele Pascucci, tornato a ricoprire la massima carica accademica per la terza volta, a distanza di dodici anni dall’ultimo mandato rettorale: Avendo la legge 19 luglio 1909 posto i docenti di questo Ateneo fuori del ruolo unico per tutte le università governative – notava Pascucci –, ritorna ad essere sensibile quell’esodo di Professori che con la stessa qualifica di oggi io ebbi a deplorare nell’inaugurazione del 17 novembre 1889. […] Quindi consules provideant se vuolsi fermamente che Macerata conservi questo già celebrato centro di cultura superiore88. 86 Cfr. Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1910), pp. 29-30. Si tratta dei corsi di Esegesi di diritto romano (prof. Siro Solazzi), di Esercitazioni pratiche di diritto civile e commerciale (prof. Alfredo Rocco), di Pratica di diritto civile e commerciale (prof. Giuseppe Messina), di Legislazione civile comparata (prof. Giuseppe Leoni) e di Questioni di diritto amministrativo (prof. Umberto Borsi). A partire dall’anno accademico 1903-1904, i corsi liberi tenuti presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Macerata erano stati complessivamente 19, e avevano registrao il coinvolgimento di sei docenti incardinati (S. Solazzi, A. Rocco, G. Messina, G. Leoni, U. Navarrini e U. Borsi) e di due incaricati esterni (T. Giannini e G. Carato-Donvito). Sulla programmazione di tali corsi liberi e sulle motivazioni alla base della loro attivazioni si vedano i verbali delle adunanze della commissione amministrativa del Consorzio del 23 e 25 gennaio 1904, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 544. 88 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1910-1911. Considerazioni del Rettore Raffaele Pascucci (lette nella cerimonia inaugurale del 20 novembre 1910), ANNUARIO (1911), pp. 8-9. 87 169 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Solamente nell’anno accademico 1910-1911, l’Università di Macerata dovette rinunciare, a seguito del loro trasferimento ad altra sede, all’apporto di docenti d’indiscusso valore come l’ex rettore Gaetano Arangio-Ruiz, Giuseppe Messina e Pier Paolo Zanzucchi. Queste defezioni costrinsero la Facoltà di Giurisprudenza a ridefinire in tutta fretta il proprio organico, puntando a consolidare la cerchia degli ordinari e, nel contempo, a chiamare a Macerata taluni giovani studiosi. Richiesto il concorso a professore ordinario per Ageo Arcangeli (Diritto commerciale), e la nomina a straordinari per Donato Donati (Diritto costituzionale) e Antonio Cicu (Diritto civile)89, fu chiamato, in qualità di straordinario vincitore di concorso, Mario Falco per il Diritto ecclesiastico90. Al fine di colmare le lacune nell’organico inoltre, dopo aver sollecitato a più riprese il ministero, l’Università di Macerata ottenne di poter chiamare, quali professori straordinari, anche Antonio Marchi per il Diritto romano91 e Giovanni Bortolucci per le Istituzioni di diritto romano92. L’insegnamento, per incarico, della Medicina legale, infine, fu attribuito a Orazio Modica93. In realtà, si era solo al principio di una lunga fase caratterizzata da una crescente mobilità del personale docente, tale da rilanciare con forza, nell’immaginario collettivo, l’impressione già in auge nell’ultimo ventennio dell’Ottocento dell’Università di Macerata come «sede di passaggio» per giovani studiosi, talora assai brillanti, destinati poi a proseguire altrove, e con ben altre garanzie giuridiche ed economiche, la loro 89 Entrambi diventeranno ordinari, previo superamento del relativo concorso, a partire dall’anno accademico 1914-1915. 90 Tale disciplina, rimasta vacante nell’Ateneo dal 1871 al 1881, era rifiorita a Macerata, ma anche in buona parte degli altri atenei italiani, solo sul finire del secolo, a seguito della nomina prima a straordinario e poi ad ordinario del prof. Domenico Schiappoli. Con il successivo trasferimento di tale docente all’Università di Pavia, tuttavia, l’insegnamento di Diritto ecclesiastico era stato assegnato per circa un decennio per incarico, dapprima a Lodovico Zdekauer, in seguito a Oreste Ranelletti e a Gaetano Arangio-Ruiz. Il concorso per professore straordinario fu bandito il 1° giugno 1910 e la relazione finale della commissione incaricata, della quale era relatore proprio lo Schiappoli, giunse soltanto il 23 dicembre 1910. Cfr. Relazione della Commissione giudicatrice del concorso per professore straordinario di diritto ecclesiastico nella R. Università di Macerata, BUMPI (1911), I, pp. 2027-2033. Il prof. Mario Falco rimase a Macerata soltanto per un biennio. 91 Antonio Marchi divenne professore straordinario stabile già nell’anno accademico 1912-1913, mentre il 17 marzo 1913 ottenne la promozione a professore ordinario. Cfr. Relazione della Commissione giudicatrice della promozione del professore A. Marchi a ordinario di diritto romano nella R. Università di Macerata, BUMPI (1913), II, p. 2649. 92 L’insegnamento di Istituzioni di diritto romano era stato fino a quel momento impartito dal prof. Giuseppe Leoni, il quale tuttavia, ammalatosi gravemente all’improvviso, era morto l’8 settembre 1911. Il successivo 6 ottobre si era spento anche il prof. Nicolò Lo Savio e così, nell’anno accademico 1911-1912, l’insegnamento di Economia politica fu affidato temporaneamente, per incarico, al prof. Alberto Zorli. Dall’anno accademico 1912-1913 il prof. Umberto Ricci diverrà titolare della disciplina. 93 Per un riscontro circa la correttezza delle informazioni riportate si rinvia a Inaugurazione dell’Anno Accademico 1911-1912. Considerazioni del Rettore Raffaele Pascucci (lette nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1911), ANNUARIO (1912), pp. 7-9. 170 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale carriera universitaria. Una fase caratterizzata peraltro non solo da profonda instabilità, ma anche da improvvise carenze nell’organico docente difficili da colmare in tempi brevi e, come tali, destinate a pesare notevolmente sull’organizzazione dei corsi e sullo stesso andamento dell’attività didattica dell’Ateneo. Così, ad esempio, dopo un decennio caratterizzato da grande instabilità e da un andamento incerto, nell’anno accademico 1920-1921, il corpo docente dell’Università di Macerata risultava costituito da appena quattro professori ordinari (Pio Barsanti per Diritto e procedura penale, Lodovico Zdekauer per la Storia del diritto italiano, Alberto Zorli per Scienza delle finanze e Diritto tributario e Riccardo Beniamino Bachi per la Statistica) e tre straordinari, mentre ben quattordici insegnamenti ufficiali della Facoltà risultavano attribuiti per incarico, la maggior parte dei quali a docenti esterni94. In questi anni, la quasi totalità dei giovani studiosi chiamati ad insegnare all’Università di Macerata rimase nella cittadina marchigiana solo il tempo necessario – mediamente non più di un quinquennio – a maturare le condizioni per accedere all’ordinariato, ottenuto il quale ritenne più vantaggioso trasferirsi in un altro ateneo. E’ il caso, ad esempio, di giovani e brillanti studiosi, destinati poi a compiere carriere prestigiose altrove, quali Ageo Arcangeli95, Donato Donati96, Antonio Cicu97, Antonio Marchi98, Giovanni Bortolucci99, Mario Falco100, Manfredo Siotto Pintor101, Giovanni 94 Cfr. Personale insegnante, amministrativo e di servizio, ANNUARIO (1921), pp. 45-46. Ageo Arcangeli, in realtà, insegnò a Macerata già a partire dal 1907-1908 e fino al 1912-1913, per un triennio in qualità di straordinario e per un analogo periodo come professore ordinario di Diritto commerciale. 96 Donato Donati fu professore straordinario di Diritto costituzionale per un quadriennio, a partire dal 1910-1911, e in seguito ordinario fino al 1916-1917, prima di trasferirsi all’Università di Parma (1° gennaio 1918). Poco prima di lasciare Macerata scrisse una lettera di addio molto commovente agli studenti maceratesi conservata in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. Donati Donato. 97 Antonio Cicu fu professore straordinario di Diritto civile all’Università di Macerata per un quadriennio, a partire dal 1910-1911 e, dopo il conseguimento dell’ordinariato, per un ulteriore biennio. 98 Antonio Marchi rimase all’Università di Macerata complessivamente per un quinquennio, dal 19111912 al 1915-1916, e fu titolare di Diritto romano dapprima come straordinario, poi come straordinario stabile e, infine, come professore ordinario. 99 Giovanni Bortolucci giunse all’Università di Macerata come titolare di Istituzioni di diritto romano nell’anno accademico 1911-1912 e vi rimase fino al 1918-1919. Divenuto ordinario nel 1915, a decorrere dall’anno accademico 1917-1918 si trasferì sulla cattedra di Diritto romano. 100 In realtà, Mario Falco (Diritto ecclesiastico) e Umberto Ricci (Economia politica) lasciarono l’Università di Macerata per trasferirsi in quella di Parma prima del passaggio all’ordinariato, che conseguirono presso quell’ateneo. 101 Un caso a parte è rappresentato da Manfredi Siotto-Pintor (Diritto costituzionale) che era stato chiamato a Macerata dall’Università di Catania già come professore ordinario e che nell’ateneo marchigiano insegnò soltanto per un biennio (1917-1919), prima di trasferirsi anch’egli Parma. 95 171 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Lorenzoni102 e Riccardo Beniamino Bachi103, taluni dei quali, nella loro breve permanenza a Macerata, furono anche chiamati a ricoprire l’ufficio di rettore dell’Università104. Le accresciute difficoltà dell’Ateneo maceratese si collocavano, in realtà, in un quadro universitario nazionale caratterizzato, in quegli anni, da una crisi più generale, legata certamente alle mancate riforme e alla controversa e frammentaria gestione della formazione superiore operata dai governi nazionali nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, ma anche, come ponevano in luce diversi interventi105, alla mancata razionalizzazione del sistema universitario nel suo complesso e al sostanziale fallimento dei tentativi di operare un’organica ristrutturazione degli atenei e delle singole facoltà al fine di porre fine agli sprechi di risorse e di favorire l’ammodernamento degli apparati amministrativi e una maggiore efficienza delle strutture scientifiche e didattiche106. In questo contesto, non stupisce il riemergere con forza, nell’infuocato dibattito sviluppatosi sui temi della riforma dell’università italiana, della vecchia proposta di procedere alla soppressione, o alla trasformazione in istituzioni di altro tipo, degli atenei minori, giudicati sotto molteplici aspetti il vero e proprio anello debole del sistema, la 102 Trasferitosi all’Università di Macerata a partire dall’anno accademico 1915-1916, in qualità di titolare di Economia politica, Giovanni Lorenzoni vi rimarrà per un quinquennio, fino all’anno accademico 19191920. 103 Riccardo Beniamino Bachi insegnò all’Università di Macerata dall’anno accademico 1915-1916 al 1923-1924, per un quadriennio in qualità di straordinario e, successivamente, come ordinario di Statistica. 104 E’ il caso, ad esempio, di Ageo Arcangeli, rettore dell’Università di Macerata dal 1° novembre 1912 al 31 dicembre 1913; di Antonio Marchi, che ricoprì tale ufficio dal 1° novembre 1915 al 15 ottobre 1916; di Donato Donati, rettore dal 16 febbraio 1917 al 31 dicembre 1917; di Giovanni Bortolucci, in carica dal 1° settembre 1918 al 15 ottobre 1919; e di Riccardo Beniamino Bachi, che tenne il rettorato dal 1° agosto 1923 al 30 novembre 1924. 105 Si vedano in particolare: C. Manenti, A proposito di riforme universitarie, Siena, Lazzeri, 1910, pp. 48-54; N. Fornelli, Studiando la questione universitaria, Torino, Paravia, 1911; A. Monti, La questione del numero delle università, «L’Università italiana», X (1911), pp. 25-26; G. Ghillini, Sulla riforma universitaria, «L’Università italiana», X (1911), pp. 61-69; E. Pascal, La crisi nelle università italiane. Discorso letto il dì 4 novembre per la solenne inaugurazione dell’anno accademico 1912-1913 nella Regia Università di Napoli, Napoli, Tipografia dell’Università, 1912. 106 Nel 1908, a questo proposito, era stata istituita una Regia Commissione d’inchiesta per la Pubblica Istruzione, insediatasi dopo i vari scandali che negli anni precedenti avevano coinvolto anche i vertici politici del ministero. La Commissione, che era composta da quattro senatori, tre deputati, due consiglieri di Stato e due consiglieri di Cassazione, svolse i suoi lavori nell’arco di un biennio e nella sua relazione finale denunciò una situazione praticamente generalizzata di irregolarità e abusi di carattere amministrativo e finanziario. Cfr. Regia Commissione d’inchiesta per la Pubblica Istruzione, Relazione finanziaria, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1910. Per un’attenta analisi dell’operato della Commissione e delle osservazioni formulate nella Relazione si vedano: G. Tosatti, L’inchiesta del 1908 sulla Pubblica Istruzione, in G. Melis (a cura di), Etica pubblica e amministrazione. Per una storia della corruzione nell’Italia contemporanea, Napoli, CUEN, 1999, pp. 111-123; e M. Moretti, L’istruzione superiore fra i due secoli: norme, strutture e dibattiti, in A. Casella, A. Ferraresi, G. Giuliani, E. Signori (a cura di), Una difficile modernità. Tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia (1890-1940), Pavia, Università degli Studi, 2000, pp. 351-387. 172 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale causa prima delle disfunzioni, degli sprechi e delle inadeguatezze dell’istruzione superiore nella penisola. Con il R.D. 30 gennaio 1910, n. 84, com’è noto, il nuovo ministro della Pubblica Istruzione Edoardo Daneo, subentrato a Luigi Rava nel dicembre dell’anno precedente107, aveva istituito una Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, il cui compito avrebbe dovuto essere quello di «presentare proposte motivate e concrete al Governo» in ordine al «riordinamento organico dei nostri studi superiori», il quale avrebbe dovuto tenere conto «non solo delle nostre più alte tradizioni storiche e dei molteplici precedenti legislativi sull’argomento, ma anche, e soprattutto, delle odierne intime esigenze della funzione della scienza». Più in particolare, sottolineava Edoardo Daneo: Occorre una sagace e paziente disamina che approfondisca e affermi se e come sia didatticamente opportuna una rielaborazione del contenuto degli alti studi: se le intime necessità della scienza moderna reclamino un aggruppamento più omogeneo delle varie discipline; […] se il magistero didattico dell’Università debba avere una finalità prevalentemente scientifica o professionale, o come meglio si possa contemperare ed equilibrare l’una esigenza con l’altra. […] E attorno a queste questioni centrali altre ne germogliano non meno importanti, né meno degne di studio: la questione dell’ordinamento amministrativo delle Università, quella delle Università libere, quella dell’ordinamento dell’insegnamento libero rispetto all’insegnamento ufficiale, quella dell’ordinamento disciplinare 107 108 . Edoardo Daneo fu ministro della Pubblica Istruzione nel II governo presieduto da Sidney C. Sonnino, dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910, e, successivamente, nel I governo presieduto da Antonio Salandra, dal 21 marzo al 5 novembre 1914. 108 [E. Daneo], Relazione al R. Decreto n. 84 del 30 gennaio 1910 col quale è nominata una Commissione per il riordinamento degli studi superiori, in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, Roma, Tipografia Operaia Romana Cooperativa, 1914, pp. V-VIII. Nell’art. 2 del R.D. 30 gennaio 1910, n. 84, erano indicati quali membri della Commissione Reale il vicepresidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione sen. Ulisse Dini, che la presiedeva, Guido Baccelli, Leonardo Bianchi, Paolo Boselli, L. Brusasco, L. Camerano, G. Chironi, G. Colombo, L. Credaro, P. Del Giudice, I. Del Lungo, F. Durante, P. Del Pezzo, G. Fusinato, M. Kerbaker, G. Manna, E. Maragliano, V. Masi, L. Pigorini, A. Piutti, V. Polacco F.L. Pullè, S. Riccobono, A. Tonelli, A. Torre (ivi, pp, IX-X). A seguito delle dimissioni di I. Del Lungo, con R.D. 15 maggio 1910 fu nominato membro della Commissione Reale A. Galletti; inoltre, dopo le dimissioni di M. Kerbaker, con R.D. 24 ottobre 1910 fu chiamato a far parte del consesso L. Ceci. A lavori già avviati, il dimissionario A. Tonelli fu sostituito da A. Roiti (R.D. 15 ottobre 1911). Al contrario. L. Bianchi, anch’egli dimissionario nel marzo 1913, non fu rimpiazzato, stante l’ormai imminente conclusione dei lavori del consesso. Sulla Commissione Reale e sulle proposte formulate nella relazione generale predisposta da L. Ceci si vedano ora: Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 377-402; e Moretti, La questione universitaria a cinquant’anni dall’unificazione. La commissione reale per il riordinamento degli studi superiori e la relazione Ceci, cit. 173 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale In realtà, pur non indicata esplicitamente dal ministro della Pubblica Istruzione tra le questioni oggetto di studio e di proposta da parte della Commissione Reale, la «riduzione delle Università», e più precisamente il problema dell’eventuale soppressione o trasformazione degli atenei minori, avrebbe finito per essere messo a tema dalla stessa Commissione e per divenire argomento di un apposito e articolato capitolo della Relazione generale sui lavori della medesima predisposta da Luigi Ceci e data alle stampe nel 1914109. Prima ancora di una diretta presa di posizione su tale questione da parte della Commissione Reale, tuttavia, a rilanciare fin dal 1910 l’ipotesi della soppressione delle università minori erano stati diversi organi di stampa e talune tra le più note e prestigiose riviste culturali dell’epoca, prima fra tutte la fiorentina «Il Marzocco», la quale, riprendendo numerosi interventi in materia apparsi nei mesi precedenti, nell’ottobre 1910 si faceva promotrice di una vera e propria campagna per l’abolizione dei piccoli atenei, sottolineando come un simile provvedimento rappresentasse La pregiudiziale necessaria per la riforma delle Università, e come fosse precipuo compito della Commissione Reale, insediata nei mesi precedenti, raccomandare con forza, e in via preliminare, prima ancora cioè di entrare nel merito delle altre complesse questioni sul tappeto, questa soluzione110. Il vivace dibattito avviato su tale questione a livello nazionale era destinato ad avere riflessi significativi anche in ambito locale, ossia nel contesto maceratese e marchigiano, tanto più che l’Università di Macerata, per la sua peculiare situazione amministrativa e per l’altrettanto eccezionale condizione di essere l’unico ateneo della penisola a disporre di una sola facoltà, appariva indubbiamente come uno dei principali destinatari di un eventuale provvedimento in senso abolizionista. Non a caso, fin dal maggio 1910, interpretando con una certa lucidità i preoccupanti segnali che provenivano dal mondo politico e dall’opinione pubblica su tale materia, Domenico Spadoni, consigliere comunale e segretario dell’Università di Macerata, era intervenuto sul neonato «Bollettino universitario», l’organo di stampa dei 109 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). Questioni pregiudiziali: I: Riduzione delle Università, in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., pp. 1721. 110 La pregiudiziale necessaria per la riforma delle Università, «Il Marzocco», XV (23 ottobre 1910), 43, pp. 61-69. Ma si vedano anche gli altri interventi sul tema apparsi nella stessa annata de «Il Marzocco». 174 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale segretari delle università italiane111, opponendo ai fautori della mera soppressione dei piccoli atenei un’ipotesi assai più articolata di razionalizzazione dell’intero sistema112. Nel focalizzare l’attenzione su quelle che egli considerava le soluzioni volte a migliorare realmente le sorti dell’Università italiana, ormai ridotta ad «Università degli Esami» per la trascuratezza e la mancanza di serie politiche di sviluppo da parte dei governi nazionali e per il progressivo venir meno della tensione ideale che in passato aveva animato gli organi di governo degli atenei e lo stesso corpo docente, Domenico Spadoni sottolineava come fosse opportuno procedere alla riduzione delle Facoltà senza ridurre le Università, appuntando i rami più vigorosi e fecondi, come già fu spontaneamente fatto da qualche Ateneo. In ogni modo non mai sopprimere senza compensi: non sopprimere, ma trasformare e sostituire. Quando una pianta non ha buon frutto non la si abbatte, ma si innesta con un buon virgulto. I bisogni della vita moderna, le specializzazioni e gli sviluppi scientifici si sono così moltiplicati, che il riformatore non ha che l’imbarazzo di una scelta opportuna, a seconda degli ambienti e dei mezzi 113 . Valorizzare le necessità culturali ed economico-produttive dei territori, assecondare la tendenza già in atto in alcuni atenei a razionalizzare e a introdurre opportune modifiche all’offerta didattica e formativa e all’organizzazione delle facoltà e dei corsi di laurea, favorire tutte le possibili forme di coordinamento e d’integrazione tra università: questa era, ad avviso del segretario dell’Ateneo maceratese, la strategia più efficace da perseguire a tutti i livelli, piuttosto che procedere in maniera indiscriminata all’abolizione di istituzioni universitarie che apparivano, nella maggior parte dei casi, non solamente ricche di tradizione, ma anche funzionali alla crescita culturale e civile e allo sviluppo economico e sociale delle città e dei territori nelle quali erano collocate. In questo quadro, naturalmente, non poteva mancare il riferimento alla realtà maceratese e marchigiana, evocata da Spadoni non soltanto per meglio precisare gl’indubbi vantaggi della soluzione da lui proposta, ma anche per dare il giusto indirizzo 111 Il «Bollettino universitario. Organo delle segreterie», mensile, era edito dalla Tip. Galati di Catania. Il primo fascicolo (a.I/n.1) vide la luce nel maggio 1910, edito dalla 112 [D. Spadoni], Soppressione o trasformazione?, «Bollettino Universitario. Organo delle segreterie», I (giugno 1910), 2, pp. 6-7. L’articolo di Spadoni apparve in realtà anonimo. La paternità dello stesso è rivendicata dallo stesso Spadoni in un altro articolo, apparso diciassette anni dopo, dal titolo Il problema universitario nelle Marche, «Terra nostra. Rivista mensile marchigiana», I (1927), 1, p. 5. 113 [D. Spadoni], Soppressione o trasformazione?, cit., p. 6. 175 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale ad un dibattito che, a suo avviso, si era indirizzato su una china pericolosa e assolutamente controproducente. Se era certamente vero, affermava Spadoni, che la compresenza di un elevato numero di atenei, tra statali e non statali, nel territorio marchigiano (Macerata, Camerino e Urbino), per tacere di quelle collocate fuori regione, ma in realtà assai vicine, di Perugia e Ferrara, appariva sotto tutti i profili poco funzionale e del tutto incompatibile con una seria politica di razionalizzazione del sistema, era altrettanto vero che la soluzione al problema non poteva considerarsi quella di «tagliare qualche ramo secco» o di «sopprimere con leggerezza qualche sede», quanto piuttosto di promuovere un’adeguata politica universitaria territoriale, puntando all’integrazione e ad un più incisivo coordinamento operativo tra gli atenei esistenti114. In realtà, la proposta avanzata da Domenico Spadoni non era del tutto nuova e originale o, per meglio dire, essa recuperava e rilanciava con ulteriori argomentazioni quella formulata una trentina d’anni prima sulle colonne de «La Rassegna provinciale di Macerata», il settimanale fondato e diretto da Ghino Valenti, più tardi professore di Economia politica nell’Ateneo maceratese115. Al riguardo, con un articolo pubblicato anonimo nell’aprile 1880, «La Rassegna provinciale di Macerata» si era espressa a favore di una sorta di integrazione o federazione delle due antiche università che insistevano nel territorio provinciale, quella «libera» di Camerino e la «regia» di Macerata, in base alla quale ciascuno dei due atenei avrebbe dovuto adottare una propria specializzazione per evitare un’inutile quanto deleteria concorrenza e rispondere in modo più mirato ed efficace alle esigenze scientifiche e culturali del territorio, eliminando i doppioni e, soprattutto, qualificando in modo differente la rispettiva offerta formativa e didattica: Fra due paesi posti così vicino – concludeva il settimanale diretto da Ghino Valenti – e che su per giù offrono le medesime condizioni di vita non potrà mai esercitarsi una valida concorrenza. […] In certe questioni di ordine superiore la passione di campanile non deve mai fare capolino, ed è per questo che noi ci permettiamo di rammentare come sarebbe molto più utile alle due città interessate il venire ad 114 Ibidem, p. 7. «La Rassegna provinciale di Macerata» (a. I/n.1 (1879) – a. II/n. 15, 1880), settimanale, si fuse poi con il foglio politico locale d’orientamento liberale-moderato «L’Ordine». Su tale periodico si veda ora D. Giaconi, «Lezioni sulla teoria economica della proprietà». Note sull’esordio accademico del prof. Ghino Valenti, in Bini, Spalletti (a cura di), Dalle Accademie Agrarie all’Università. L’istituzionalizzazione dell’economia politica a Macerata e nelle Marche, cit., pp. 458-461. 115 176 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale un comune accordo, facendo vivere a Camerino la Facoltà di Medicina e Chirurgia, e lasciando a Macerata la Facoltà di Giurisprudenza 116 . All’inizio degli anni Ottanta questa proposta era stata lasciata cadere, ma ora, dopo il suo rilancio da parte di Domenico Spadoni, essa era destinata a tornare in auge e a conoscere ulteriori e autorevoli estimatori. Nel marzo 1912, a questo proposito, sulle pagine dell’autorevole rivista fiorentina «La Voce», lo scrittore Piero Jahier, dopo avere denunciato la vera e propria «degenerazione» che nell’ultimo decennio sembrava caratterizzare il sistema universitario italiano («Gli studenti accorrono ove la merce diploma è a miglior mercato. Coll’aumento delle tasse universitarie lo Stato si riprometteva di sfollare le aule universitarie e diminuire il numero dei cosiddetti spostati. Ha fornito l’effetto opposto»), sottolineava come il vero grande male che affliggeva l’istruzione superiore fosse rappresentato da quelle «università provinciali», le quali, «equiparate alle Regie pel valore legale dei diplomi, libere di mantener le tasse entro limiti modestissimi, gravate di minori spese generali e di stipendio», si erano di fatto «impadronite del mercato», accrescendo enormemente la spesa per l’istruzione superiore senza peraltro favorire la riqualificazione e l’indispensabile razionalizzazione del sistema: il «caso marchigiano», a questo riguardo, appariva esemplare, non solamente per la compresenza di ben tre atenei in un territorio regionale di dimensioni indubbiamente modeste, ma anche per il fatto che l’offerta formativa di tutti e tre risultava in larga misura sovrapponibile e, per ciò stesso, destinata a produrre scarsi vantaggi ai territori e inutili sprechi di risorse117. Proprio il «caso marchigiano», a detta di Piero Jahier, poteva rappresentare il punto di partenza di una nuova politica universitaria, la quale, attraverso processi di aggregazione e di accorpamento degli atenei minori, avrebbe consentito di dare un assetto più razionale all’intero sistema e di assicurare una sua maggiore funzionalità: Tre facoltà di giurisprudenza di questo genere nelle Marche son troppe. I redditi patrimoniali di cui dispone ciascuna potrebbero convergere, con immenso beneficio della regione, in un’unica università, dove sarebbe possibile aver professori meglio pagati, stabili e affezionati al natio luogo, un insegnamento veramente superiore, come deve essere quello universitario118. 116 Le Università di Macerata e Camerino, «La Rassegna provinciale di Macerata», II (aprile 1880), 56, pp. 467-468. 117 P. Jahier, Urbino, la città delle scuole, «La Voce», IV (1912), 11-12, p. 780. 118 Ibidem, pp. 776 e 780. 177 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale La peculiare attenzione dedicata da Piero Jahier al «caso marchigiano» non rappresentava peraltro un fatto isolato, anche se la soluzione da lui proposta al problema dell’eccessiva proliferazione di sedi universitarie – ossia una vera e propria fusione degli atenei esistenti per dare vita ad un’unica grande Università di carattere regionale – era destinata a riscuotere scarsissimi consensi. Nel novembre dello stesso 1912, a questo riguardo, sulle pagine della «Nuova Antologia», nell’ambito di un ampio studio dedicato a La questione delle università libere, Filippo Vassalli riproponeva con ricchezza di argomentazioni l’ipotesi – già caldeggiata due anni prima da Domenico Spadoni – di una sorta di «coordinamento» degli atenei marchigiani, comprendendo dunque, oltre che Macerata e Camerino, anche Urbino119. L’intervento di Vassalli sottolineava la necessità di andare oltre i campanilismi e le logiche di tipo localistico per approdare ad un accordo tra gli atenei marchigiani che, non solo avrebbe garantito stabilità e certezza di futuro per ciascuno di essi, ma anche un effettivo potenziamento dell’offerta didattica e formativa complessiva all’interno del territorio regionale: Pare che una soluzione su cui le Università e le città marchigiane dovrebbero accordarsi – era la conclusione dello studio apparso sulla «Nuova Antologia» – sia quella di ripartire fra le sedi universitarie le Facoltà e le Scuole che con le presenti risorse si possono mantenere. E certo le Marche non avrebbero che da avvantaggiarsene: poiché da tale accordo potrebbero derivare una completa Facoltà di Medicina che oggi manca. Più facile sarebbe anche l’accordo perché due delle tre Università, e le più dotate, sono nella sola Provincia di Macerata. Camerino e Macerata […] potrebbero ripartire fra le due sedi le Facoltà di Medicina e Legge, secondo quei criteri che fossero più appropriati dai punti di vista finanziario e didattico 120 . Deve essere segnalato che, sulla dibattuta questione dell’abolizione degli atenei minori, nei mesi precedenti, si era autorevolmente espressa anche l’Associazione nazionale fra i professori universitari nel corso del suo III Congresso svoltosi a Roma dall’11 al 13 aprile 1912. In quella sede, il presidente dell’Associazione, Pietro Bonfante, non solamente aveva manifestato la sua netta contrarietà all’ipotesi abolizionista, giudicandola un mero palliativo destinato ad aggravare inutilmente, 119 F. Vassalli, La questione delle università libere, «Nuova Antologia», CLXII (1912), 982, pp. 242-261. Sul dibattito sviluppatosi intorno alle università libere nei primi due decenni del XX secolo, si veda Moretti, Piccole, povere e “libere”: le università municipali nell’Italia liberale, cit., pp. 533-562. 120 Vassalli, La questione delle università libere, cit., pp. 259-260. 178 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale piuttosto che a dare soluzione alla crisi in cui si dibatteva il sistema universitario nazionale, ma si era mostrato persuaso del fatto che alla radice delle gravi disfunzioni e dei tanti mali che affliggevano l’università italiana dovesse essere posto in primo luogo il rigido centralismo che caratterizzava gli ordinamenti universitari vigenti, in virtù di una normativa che lasciava ben pochi spazi all’autonomia dei singoli atenei e, per ciò stesso, rendeva vani tutti i tentativi e gli sforzi di favorire la differenziazione della loro attività didattica e formativa e un più incisivo radicamento nei contesti in cui operavano: Dovrebbe pertanto essere evidente – sottolineava al riguardo Pietro Bonfante –, che le nostre Università non sono troppe, ma sono troppo uniformi, arcaiche, irrigidite, stereotipe; che non l’eccessivo numero degli Atenei ci nuoce, ma l’impossibilità di procedere a qualunque differenziazione, perché, dati gli ordinamenti attuali, queste apparirebbero una intollerabile menomazione della dignità accademica 121 . Nel corso dello stesso congresso romano dell’Associazione nazionale fra i professori universitari, furono anche dibattute altre importanti questioni, prima fra tutte quella relativa all’ipotesi, da più parte ventilata, di una differenziazione dei corsi e dei relativi titoli di studio rilasciati dalle università, in base alla quale, ai tradizionali corsi di elevato spessore scientifico, destinati a culminare con il conseguimento della laurea dottorale, se ne sarebbero dovuti affiancare altri di carattere più pratico-professionale, destinati a sfociare nell’acquisizione di diplomi universitari122. Una diversificazione dei percorsi e dei titoli accademici, quella sopra richiamata, che aveva l’indubbio pregio di ampliare il ventaglio dell’offerta formativa universitaria e di fornire risposta ad un mercato del lavoro intellettuale che proprio negli anni dell’età giolittiana aveva conosciuto, nella pubblica amministrazione come nel settore delle imprese e del commercio, l’emergere di una pluralità di nuove figure professionali intermedie123, ma che rischiava, ad avviso di molti tra gli stessi membri dell’Associazione nazionale fra i professori universitari, di creare forti squilibri nel sistema universitario italiano, avvantaggiando le grandi università, che avrebbero potuto articolare al meglio la loro offerta formativa, offrendo percorsi differenziati per le diverse esigenze; e, per converso, penalizzando fortemente gli atenei minori, la cui 121 Cfr. Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, Atti del Congresso universitario. Roma 1113 aprile 1912, Pavia, Tip. Cooperativa, 1913, p. 6. 122 Cfr. Moretti, L’«Associazione Nazionale fra i Professori Universitari» e la politica universitaria nell’età giolittiana. Note e osservazioni, cit., pp. 586-587. 123 Cfr. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit., pp. 133-138. 179 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale cronica carenza di risorse e la ben nota impossibilità di garantire un’offerta formativa altrettanto ampia ed articolata avrebbero finito, alla lunga, per condannarli a tenere pressoché esclusivamente corsi di tipo pratico-professionale. Tra coloro che nel corso del congresso romano dell’Associazione nazionale fra i professori universitari manifestarono forti perplessità nei riguardi dell’ipotesi di diversificazione dei percorsi e dei titoli accademici c’era proprio il rappresentante dell’Università di Macerata, il prof. Ageo Arcangeli, ordinario di Diritto commerciale, il quale, dopo aver premesso che interveniva su «preciso mandato» dei colleghi del suo ateneo per «proporre una questione grave», sottolineava le ambiguità e i rischi di una prospettiva che rischiava di mettere in crisi irreversibilmente gli atenei minori: Le lauree – si chiedeva Arcangeli – dovranno esser date solo da alcune Università, cioè dalle maggiori e meglio fornite d’insegnamenti, o da tutte? E’ favorevole alla seconda soluzione, perché in ogni Università possono essere cultori eminenti di una scienza, perché le lauree dottorali saranno numerose; infine, se a talune Università si toglie il diritto di dar lauree, l’insegnamento finirà col perdere ogni valore scientifico. […] Soprattutto teme che di fatto avvenga una sperequazione troppo evidente nel trattamento delle varie Università 124 . Con la pubblicazione, nel 1914, della cosiddetta Relazione generale predisposta da Luigi Ceci e delle proposte messe a punto dalla Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori insediata quattro anni prima, come si è già accennato, le aspettative dei fautori dell’abolizione dei piccoli atenei erano destinate a rimanere deluse. La Commissione infatti, come sottolineava il relatore, non riteneva di potere accogliere in alcun modo la tesi della «riduzione delle Università», tanto più, si faceva notare, che «se guardiamo a quello che oggi avviene in Europa e in America, dovremmo quasi vergognarci di vedere ancora tra noi agitata una questione che non ci onora. Negli ultimi cento anni l’Italia è cresciuta di popolo, di forza economica e morale: e il numero delle sue università è rimasto quale era cento anni fa!». Nel seguito della sua analisi Ceci, dopo aver richiamato, a titolo di esempio, le numerose fondazioni di nuove università registrate negli ultimi decenni in paesi quali la Svizzera, l’Inghilterra e la Francia, si mostrava convinto del fatto che «la questione non è il numero delle Università, ma il numero dei professori. Le Università sono pagine 124 Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, Atti del Congresso universitario. Roma 11-13 aprile 1912, cit., p. 15. 180 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale viventi della nostra storia; mentre il numero dei professori oltrepassò la potenzialità scientifica del paese e i bisogni didattici della Università». La stessa posizione a suo tempo espressa dall’allora ministro della Pubblica Istruzione Ferdinando Martini, secondo il quale poteva riconoscersi «come legittimo solo il sistema tradizionale italiano, quello della Università completa» e, dunque, si rendeva necessario procedere «colla soppressione di alcune Università» allo scopo di reperire le risorse necessarie al «completamento di quelle conservate, che complete già non fossero», non priva di una sua logica, almeno in astratto, appariva concretamente difficile da realizzare e, soprattutto, rischiava di creare più problemi di quanti, in realtà, ne avviasse a soluzione: «L’ideale – notava Luigi Ceci – dev’essere per noi la Universitas litterarum et artium. Ma la forza delle cose c’impone di attenerci all’adagio: le mieux c’est le plus grand ennemi du bien». Se era vero, infatti, che «le Università non complete, di sole due o tre Facoltà – e, peggio ancora, le Facoltà isolate –, non rispondono all’ideale di scienza e di cultura che noi vagheggiamo», era altrettanto vero che «nulla varrebbe a modificare direttamente lo statu quo» attraverso un mero intervento volto a sopprimere qualche sede universitaria125. E’ un delitto di lesa scienza e di lesa patria – veniva sottolineato nella Relazione generale – suscitare, tra noi, le piccole contro le grandi Università. Tutte, Università di Stato, possono e debbono compiere il loro dovere a servizio dello Stato e del sapere. […] Le grandi Università debbono ingrandirsi ancora sotto pena di decadenza; e le piccole niuno pensa che possan diventare une quantité négligeable. Sbarazzate dal fardello che pesa sulle loro spalle e sul loro orgoglio, tutte le Università resteranno degne della loro missione 126 . E tuttavia, il problema di una razionalizzazione del sistema universitario nel suo complesso e della ricerca di un diverso e più funzionale assetto per gli atenei minori e non completi si poneva e richiedeva una soluzione che, senza cedere ad astratte semplificazioni ed evitando di creare inutili allarmismi riguardo al destino delle istituzioni esistenti, potesse far compiere un reale passo avanti all’università italiana e recare un sicuro vantaggio all’insegnamento superiore. 125 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). II. Questioni pregiudiziali, in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., pp. 16-22. 126 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). V. La Università e lo Stato, cit., p. 63. 181 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale A questo riguardo, la Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori presentava un’articolata proposta la quale, facendo soprattutto riferimento ad iniziative già realizzate in altri paesi europei ed extraeuropei (Francia, Spagna, Inghilterra e Scozia, Stati Uniti ecc.), era imperniata sul principio dell’affiliazione/fusione tra atenei con la conseguente distribuzione territoriale, in diverse sedi, delle relative facoltà universitarie: Parma e Modena, Cagliari e Sassari sono tutte Università incomplete. E poiché completarle non si può, sarebbe opportuno che gli alti poteri dello Stato e gli enti locali esaminassero la questione che qui ci limitiamo a porre sul tappeto: «Due Università incomplete della medesima regione potranno riunirsi in una medesima circoscrizione accademica, costituendo un’unica Università con ripartizione e trasformazione delle Facoltà esistenti in guisa che in una città abbiano sede la Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali e di medicina e nell’altra le Facoltà di Filosofia e Lettere e di Giurisprudenza» 127 . La proposta, come si vede, riguardava nello specifico le sedi universitarie dell’Emilia (Parma e Modena) e della Sardegna (Cagliari e Sassari), mentre ignorava del tutto il caso marchigiano, molto probabilmente perché delle tre università esistenti nelle Marche (Macerata, Camerino e Urbino), solo quella maceratese era statale e si configurava, dunque, come potenziale destinatario di un simile provvedimento. E’ pur vero tuttavia che, in prospettiva, una simile ipotesi avrebbe potuto divenire suscettibile di un utilizzo più generale, destinato ad interessare direttamente l’Ateneo maceratese, specie laddove fosse stata recepita dal governo la proposta, fortemente caldeggiata dalla medesima Commissione Reale, di introdurre la possibilità del «pareggiamento» per le università libere. A questo riguardo, nello Schema di proposte deliberate dalla Commissione Reale come linee direttive per la compilazione di un disegno di legge di riforma degli studi superiori, posto a corredo della Relazione generale di Luigi Ceci, nei due capitoli dedicati proprio alle università libere, la Commissione articolava in tal modo la sua istanza: XXXVII. Le Università libere di Camerino, Ferrara, Perugia e Urbino, per le quali sia constatato da apposita commissione nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione, che offrono serie garanzie 127 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XXVI. Questioni varie, cit., p. 396. 182 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale didattiche, amministrative e scientifiche, verranno per Decreto Reale, udito il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, pareggiate per gli effetti legali alle Università Regie. E inoltre: XXXVIII. Tale pareggiamento non potrà effettuarsi se non dopo che le Università medesime si saranno uniformate alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti, per tutto ciò che riguarda la nomina dei professori e l’ammissione degli studenti, l’ordinamento degli studi e il pagamento delle tasse universitarie, le quali andranno a loro vantaggio, ad eccezione di quella per l’esame di Stato. Le Università libere dovranno regolare la posizione dei loro insegnanti, in guisa da garantire ad essi un minimo di stipendio nella misura che vigeva per le Università regie prima della legge 19 luglio 1909, n. 128 496 . Indubbiamente l’ipotesi del «pareggiamento» delle università libere a quelle regie, così com’era prospettata dalla Commissione Reale, finiva di fatto per accentuare ulteriormente la già elevata concorrenza da queste esercitata – non fosse altro che per contiguità geografica e per l’esistenza in ognuna di esse di una Facoltà di Giurisprudenza – sull’Università di Macerata. Se a questa aggiungiamo l’altra proposta, anch’essa fortemente caldeggiata dalla medesima Commissione, della «fondazione di una Università a Bari», ovvero in un’area – quella pugliese – che tradizionalmente rappresentava uno dei principali bacini di reclutamento degli studenti dell’Ateneo maceratese, da realizzare eventualmente anche in virtù «dell’abolizione di una delle minori Università dell’Italia centrale o delle isole»129, si comprende bene come la valutazione formulata dai vertici dell’Ateneo maceratese in ordine ai risultati e alle proposte della Commissione Reale fosse tutt’altro che favorevole e positiva. A questo proposito occorre sottolineare che, mentre nel novembre 1912 il nuovo rettore Ageo Arcangeli si era mostrato moderatamente ottimista riguardo agli esiti della Commissione Reale («Qualora la riforma sia contenuta nei giusti limiti – egli affermava –, e nulla tenda a far rivivere, per via traversa, la distinzione fra Università di diverso 128 Schema di proposte deliberate dalla Commissione Reale come linee direttive per la compilazione di un disegno di legge di riforma degli studi superiori, cit., p. 422. Va ricordato che la Legge 19 luglio 1909, n. 496, alla quale si fa riferimento nel testo è quella riguardante i Provvedimenti per l’Istruzione Superiore predisposta a suo tempo dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava. 129 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XXV. Per la Università di Bari, cit., pp. 375-389 (la citazione riportata nel testo è a p. 375). Ma si veda anche Voti formulati dalla Commissione Reale in merito a varie questioni di carattere speciale o contingente, ivi, p. 425. 183 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale grado, impedendo alle minori di tendere agli scopi scientifici con pari dignità delle grandi, la riforma potrà raggiungere risultati considerevoli»130); a distanza di due anni il giudizio espresso dal suo successore Umberto Borsi non lasciava adito a dubbi circa il radicale mutamento d’opinione intervenuto: La numerosa Commissione nominata quattro anni addietro dal Governo per lo studio di nuovi ordinamenti dell’istruzione superiore – affermava il rettore dell’Università di Macerata – ha in primavera terminato il lavoro, esponendone i risultati in una voluminosa relazione, che S.E. il Ministro ha comunicato alle varie Università. La nostra Facoltà l’ha presa in attento esame e su alcune considerazioni e conclusioni contenutevi, che parvero non ben giustificate o poco opportune, ha espresso in ampia deliberazione i suoi apprezzamenti e le sue vedute. Se e come stia maturando il frutto dei laboriosi studi commissariali non mi è noto; sembra, però, difficile che nelle proposte della relazione possano trovarsi ben coordinati tutti gli elementi concreti necessari all’attesa riforma 131 . Già precedenza, peraltro, la pubblicazione degli atti della Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori aveva suscitato un certo allarme in ambito locale. Nel corso dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 28 settembre 1914, al riguardo, taluni consiglieri si erano mostrati assai preoccupati non solamente perché la Commissione Reale aveva fatto propria e fortemente caldeggiato la proposta di istituire un nuovo ateneo a Bari, sacrificando magari una delle sedi universitarie minori dell’Italia centrale o delle isole (e appariva chiaro che l’indicazione circa l’eventuale sede che poteva essere soppressa, nell’Italia centrale, era riferibile proprio a Macerata), ma anche riguardo alle critiche palesi e alle affermazioni tendenziose formulate nella Relazione generale, laddove era approfondita la questione delle tasse studentesche: Il primato dell’Italia centrale – si affermava nel testo predisposto da Luigi Ceci – nella studentesca di giurisprudenza si lascia facilmente dichiarare: vi è, tra l’altro, la capitale coll’esercito degli impiegati che trasmettono per li rami la nostalgia del rond de cuir; e vi sono le Università libere che colla 130 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1912-1913. Relazione del Rettore Ageo Arcangeli letta nella cerimonia inaugurale del 10 novembre 1912, ANNUARIO (1913), p. 9. 131 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1914-1915. Relazione del Rettore Umberto Borsi letta nella cerimonia inaugurale del 15 novembre 1914, ANNUARIO (1915), p. 11. 184 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Facoltà regia di Macerata tengono basse le tasse universitarie, quando pur non abbassino cose non abbassabili 132 . Tutto ciò, come veniva ribadito da più parti nel corso del dibattito in seno al Consiglio provinciale, sembrava prefigurare uno scenario tutt’altro che roseo per l’ateneo cittadino, soprattutto nel caso che le valutazioni e proposte avanzate dalla Commissione Reale, «che intendeva fossero applicate qui tutte le tasse scolastiche», fossero state recepite e rese esecutive dal governo nazionale133. Deve essere ricordato, inoltre, che rimaneva ancora irrisolta l’annosa questione del mancato inserimento dei professori dell’Università di Macerata nel ruolo unico della docenza universitaria nazionale e la loro anomala collocazione nel cosiddetto «ruolo speciale» che continuava a generare incertezza e confusione riguardo allo stesso status governativo dell’ateneo marchigiano. Relativamente a quest’ultimo e delicato problema, fin dal febbraio 1912, in esecuzione di un’apposita delibera assunta dal Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza, il rettore dell’Ateneo maceratese Raffaele Pascucci aveva trasmesso al ministero della Pubblica Istruzione un nuovo schema di convenzione, nell’ambito del quale l’art. 4, relativo alla docenza di ruolo incardinata nell’Università di Macerata, era così ridefinito: «I professori ordinari e straordinari della R. Università di Macerata rimarranno compresi per tutti gli effetti nel ruolo unico dei professori universitari e si applicheranno sempre integralmente ad essi le norme dello stato giuridico ed economico in vigore per i professori di ugual grado delle altre Regie Università»134. Si trattava, in sostanza, di una soluzione ponte, la quale, accantonando provvisoriamente la discussione circa i numero complessivo e la qualifica dei membri del corpo docente incardinato nell’Ateneo maceratese, mirava ad ottenere l’inclusione degli attuali professori nel ruolo unico nazionale. La risposta inviata il successivo 12 luglio dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Credaro, pur non chiudendo le porte ad un’eventuale futura soluzione positiva della questione, aveva escluso per il momento l’assenso del ministero, rinviando ogni decisione su tale materia ad un’«occasione propizia». 132 Relazione Generale (relatore prof. Luigi Ceci). XVII. Studenti e tasse, in Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, Relazioni e proposte. Parte I. Relazione generale (rel. Prof. L. Ceci) e schema delle proposte, cit., p. 257. 133 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 28 settembre 1914, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1914, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1915, p. 77. 134 Sia la delibera del Consiglio di Facoltà del 4 febbraio 1912 sia lo schema della convenzione sono conservati in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715. 185 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Il forte disagio per la scarsa sensibilità dimostrata da Luigi Credaro nei riguardi delle richieste formulate dall’Ateneo maceratese si era peraltro mutato in vero e proprio sconcerto allorché, nei mesi seguenti, lo stesso ministero della Pubblica Istruzione aveva emanato una serie di provvedimenti destinati a dare soluzione ad un problema analogo a quello che caratterizzava la sede marchigiana riscontrato in un altro istituto universitario della penisola. Il caso era stato segnalato, in una lettera inviata al ministro Credaro il 18 dicembre 1912, dal successore di Pascucci, Ageo Arcangeli, il quale non aveva mancato di rilevare polemicamente come, in questa occasione, il ministero avesse usato due pesi e due misure, discriminando immotivatamente l’Università di Macerata: Intanto – scriveva fra l’altro il neo rettore Arcangeli –, mentre con apposito recente progetto di legge, si provvedeva a sistemare la posizione della regia Accademia scientifico-letteraria di Milano, nella quale gl’inconvenienti accennati si erano manifestati in una delle forme più tipiche, nulla si fa per Macerata. […] La nostra Università attende fidente […] il riconoscimento della legittimità delle sue aspirazioni 135 . Nella primavera del 1914, approfittando del ritorno alla guida del ministero della Pubblica Istruzione di Edoardo Daneo136, l’allora rettore dell’Università di Macerata Umberto Borsi137 inviava al ministro un ampio e articolato memoriale nel quale, oltre a ripercorrere le vicende della mancata approvazione parlamentare della nuova convenzione per il pareggiamento stipulata il 13 novembre 1908, in sostituzione di quella in vigore dall’inizio del secolo, proponeva una serie di emendamenti al testo, i quali, a suo dire, oltre a rimuovere gli ostacoli che ne avevano impedito a suo tempo la trasformazione in legge, avrebbero finalmente posto fine alla vera e propria anomalia rappresentata dal «ruolo speciale» riservato ai docenti dell’ateneo maceratese rispetto ai loro colleghi di tutte le altre università italiane. A questo riguardo, l’art. 1 del nuovo schema di convenzione predisposto dal rettore Borsi recitava: «Il ruolo organico 135 Copia della lettera inviata dal rettore dell’Università di Macerata Ageo Arcangeli al ministro della Pubblica Istruzione Luigi Credaro il 18 dicembre 1912 è conservata in ibidem. 136 Come ricordato Edoardo Daneo tornò nuovamente alla guida della Minerva con la costituzione del I governo presieduto da Antonio Salandra, dal 21 marzo al 5 novembre 1914. 137 Umberto Borsi fu rettore della Regia Università di Macerata dal 1 gennaio 1914 al 31 ottobre 1915. Docente straordinario di Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione dal 1905-1906, divenne ordinario dal 1909-1910 e rimase a Macerata fino al 1914-1915 prima di trasferirsi a Siena. Nell’Ateneo marchigiano tenne anche il corso libero di Diritto sanitario per tre anni (dal 1906-1907 al 1908-1909) e quello di Diritto internazionale, per incarico, dal 1910-1911 al 1914-1915. 186 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale annesso alla convenzione 6 maggio 1900, approvata con legge 22 dicembre 1901 n. 541, è soppresso»138. Ottenuta la piena disponibilità da parte del ministro Daneo a recepire le istanze avanzate dall’Ateneo marchigiano, inaugurando, in novembre, l’anno accademico 19141915, il rettore Borsi manifestava un cauto ottimismo circa l’esito della vicenda che si trascinava ormai da troppi anni con grave nocumento per la sede universitaria, pur lamentando l’eccessiva lentezza con cui le trattative con il ministero procedevano a causa della grave situazione creata dal conflitto mondiale: Sia il Ministro – affermava il rettore dell’Università di Macerata –, che sino a pochi giorni addietro fu in carica, sia i funzionari del Ministero chiamati ad esaminare le nostre richieste, mostrarono di essere persuasi del loro buon fondamento, ma la lentezza consueta di simili affari è ora, purtroppo, accresciuta dalle straordinarie occupazioni e preoccupazioni del Governo centrale 139 . In realtà, le forti tensioni e polemiche dei mesi successivi e, soprattutto, l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, erano destinate a far passare in secondo piano le questioni di politica universitaria, ivi compresa la trattativa relativa alla convenzione con l’Università di Macerata. Con il D.Leg. 18 novembre 1915, n. 625, che introduceva il divieto di nuove nomine e la sospensione a tempo indeterminato dei concorsi universitari, si accentuò notevolmente, peraltro, la mobilità per trasferimento dei docenti dagli atenei minori verso le grandi sedi, e ciò accrebbe a dismisura – con ripercussioni gravissime soprattutto in quegli atenei minori che, come nel caso di Macerata, disponevano di un organico già ridotto all’osso – il ricorso ad incarichi esterni al fine di garantire la necessaria copertura delle numerose cattedre resesi vacanti a seguito dei trasferimenti o del richiamo alle armi dei professori più giovani140. 138 Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1914, p. 14. L’originale manoscritto è conservato in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Riforma dell’Università di Macerata, b. 693, f. 10. 139 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1914-1915. Relazione del Rettore Umberto Borsi letta nella cerimonia inaugurale del 15 novembre 1914, cit., p. 10. Deve essere ricordato che, a seguito della caduta del I governo Salandra, il ministro Edoardo Daneo aveva lasciato, proprio una decina di giorni prima, l’incarico ministeriale. Nel nuovo governo insediatosi in quei giorni, e presieduto dallo stesso Salandra, al dicastero della Pubblica Istruzione era stato nominato Pasquale Grippo. 140 Per un quadro delle complesse vicende verificatesi nell’ambito dell’istruzione superiore nel periodo tra il 1915 ed il 1918 si veda l’interessante e documentata ricostruzione fornita dal direttore generale dell’Istruzione superiore A. Filippi in Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la 187 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale L’Università di Macerata, al pari delle altre, dovette fare i conti con la situazione di profonda incertezza e con le notevoli difficoltà prodotte dalla guerra141. I corsi dell’anno accademico 1914-1915, infatti, furono chiusi anticipatamente il 22 maggio e, appena due giorni dopo, iniziarono gli esami di profitto nelle aule concesse dalla Deputazione provinciale, dal momento che la sede dell’Ateneo era stata requisita dalle autorità militari per dare alloggio alle truppe142. A seguito della già ricordata sospensione dei concorsi e della difficoltà di ottenere il trasferimento da altri atenei, diverse cattedre, anche di primaria importanza, come quelle di Diritto civile e di Diritto commerciale, rimasero prive di titolare e dovettero essere ricoperte per affidamento a docenti esterni durante l’intero periodo bellico; complessivamente, furono ben 41 gli insegnamenti attribuiti per incarico143. Anche il numero degli studenti risentì, ovviamente, del contesto tutt’altro che favorevole, facendo registrare una notevole flessione: dai 343 iscritti dell’anno accademico 1912-1913, infatti, si passò ai 218 del 1918-1919144. Un calo di iscrizioni che, se da un lato confermava il trend negativo fatto registrale a livello nazionale dalle facoltà di Giurisprudenza, le quali tra il 1913-1914 e il 1917-1918 passavano da 9.382 a 8.627 unità145, dall’altro, per la sua particolare ampiezza (oltre un terzo degli iscritti), sembrava riflettere uno stato di disagio e di crisi che andava ben oltre le pur notevoli vicissitudini legate alla situazione bellica. Dal punto di vista del reale andamento dell’attività didattica, occorre fra l’altro precisare che i dati ufficiali degli iscritti relativi agli anni accademici dal 1915-1916 al 1917-1918146, ovvero il triennio che coincise con il diretto coinvolgimento del nostro paese nella prima guerra mondiale, rappresentavano una realtà per molti versi fittizia, stante l’elevato numero delle cosiddette iscrizioni d’ufficio degli studenti richiamati al fronte e stante, in particolare, il generale rilassamento nella frequenza dei corsi che guerra. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Roma, Tipografia Operaia Romana Cooperativa, 1920. Cfr. anche Porciani, Moretti, La creazione del sistema universitario nella Nuova Italia, pp. 355-373. 141 Cfr. Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la guerra. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, cit., p. 25. 142 Una dettagliata analisi della situazione è offerta in Inaugurazione dell’Anno Accademico 1918-1919. Relazione del Rettore Prof. Giovanni Bortolucci letta nella cerimonia inaugurale del 2 dicembre 1918, ANNUARIO (1919), p. 12. 143 Al riguardo, si rinvia alle informazioni contenute, per gli anni relativi, in ANNUARIO. 144 Cfr. Elenco degli studenti iscritti, ANNUARIO (1919), p. 97. 145 Dati desunti da Istat, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico 1945-1946, Roma, Tip. Failli, 1948. 146 Cfr. Elenco degli studenti iscritti, ANNUARIO (1917), p. 101; ANNUARIO (1918), p. 130; ANNUARIO (1919), p. 98. 188 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale anche a Macerata, al pari degli altri atenei della penisola fece sentire i suoi effetti. Lo poneva in evidenza, fin dal novembre 1916, l’allora pro-rettore dell’Ateneo maceratese Pio Barsanti147, il quale sottolineava: Certo non si può affermare che altrettanto numerosi fossero coloro che frequentarono le scuole; questi si ridussero a meno del terzo; dacché dai nostri registri risulta che, per ragioni militari furono iscritti d’ufficio, e però esonerati per legge dalla frequenza, 256 alunni; ma ciò non tolse, come ho detto, che i corsi si svolgessero ugualmente, con beneficio anche di quelli che furono sotto le armi, ai quali l’iscrizione d’ufficio valse per la validità dell’anno in corso 148 . Nonostante fosse garantita la regolare erogazione dei corsi, le vicende belliche incisero assai negativamente sull’andamento dell’attività didattica e formativa dell’Ateneo, come testimoniano in particolare i dati relativi agli esami di profitto e di laurea. Per comprendere appieno il senso delle difficoltà sopra richiamate, basti dire che, rispetto ai circa 1.086 esami di profitto e ai 42 esami di laurea sostenuti nel corso dell’anno accademico 1913-1914149, i dati registrati relativamente all’anno accademico 1917-1918 fecero segnare un vero e proprio crollo, attestandosi rispettivamente a 362 per gli esami di profitto, con la riduzione di quasi due terzi, e a 20 per gli esami di laurea, ovvero meno della metà150, e ciò nonostante il fatto che, al pari di quanto accadde nella maggior parte degli atenei della penisola, anche a Macerata i docenti mostrarono nelle sessioni d’esame una particolare indulgenza nei confronti dei tanti studenti e laureandi reduci dall’esperienza del fronte151. Il coinvolgimento e il sacrificio di vite umane che la Grande Guerra comportò per l’Università di Macerata furono assai rilevanti. Come attestano i dati ufficiali, nel 147 Il prof. Pio Barsanti tenne la relazione inaugurale in qualità di pro-rettore, non essendo ancora stato nominato il successore del prof. Antonio Marchi, il quale aveva lasciato l’incarico il 15 ottobre 1916 a seguito del trasferimento all’Università di Parma. 148 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1916-1917. Relazione del Pro-Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1916, ANNUARIO (1917), p. 8. Nell’anno accademico 1916-1917 gli studenti inviati al fronte o, comunque, impegnati nel servizio militare furono addirittura 300 su 359. Si veda quanto riportato in Inaugurazione dell’Anno Accademico 1917-1918. Relazione del Rettore Prof. Donato Donati letta nella cerimonia inaugurale del 18 novembre 1917, ANNUARIO (1918), p. 11. 149 Si vedano i dati riportati in Prospetto degli esami, ANNUARIO (1915), pp. 89-90. 150 Prospetto degli esami, ANNUARIO (1919), p. 101. 151 Se, infatti, in passato il numero dei respinti si era attestato intorno al 10%, in perfetta sintonia con la media nazionale, nel periodo in oggetto la percentuale dei respinti non superò mai il 6% , scendendo in talune circostanze anche al 3,4% (in particolare nell’anno accademico 1916-1917, allorché sul totale dei 361 sostenuti si registrano solo 19 esami che hanno avuto un esito negativo). Si veda Prospetto degli esami, ANNUARIO (1918), p. 133. 189 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale corso del periodo bellico furono richiamati alle armi 3 docenti, 1 assistente universitario e 164 studenti dell’Ateneo. Tra questi ultimi, 36 furono i caduti sui diversi fronti della prima guerra mondiale e 15 i feriti, mentre 53 universitari maceratesi ricevettero una medaglia al valor militare152. Il dramma di tanti giovani studenti scomparsi prematuramente o resi inabili dalla guerra suscitò, com’è comprensibile, un’ondata di commozione non solo all’interno dell’Ateneo maceratese, ma anche nell’opinione pubblica e sulla stampa locale, come si evince dalle cronache e dai vividi resoconti riportati dai giornali dell’epoca153. Proprio per ricordare tutti gli studenti maceratesi caduti in guerra, il 24 maggio 1919 nell’Aula magna dell’Ateneo si tenne una solenne commemorazione alla presenza delle autorità civili e militari e dell’intero corpo accademico, alla quale parteciparono, assieme ai familiari delle vittime, i reduci e i mutilati di guerra, nonché una folta rappresentanza studentesca154. Negli anni della Grande Guerra comunque, nonostante le accresciute difficoltà e i notevoli disagi prodotti dagli eventi bellici, i rettori che si avvicendarono alla guida dell’Università di Macerata continuarono la loro battaglia per giungere alla revisione della convenzione per il pareggiamento approvata nel 1901, la quale, come è già stato a più riprese sottolineato, collocava di fatto l’Ateneo in una condizione di disparità e di oggettivo svantaggio. Fin dal 1916 era stato il rettore Antonio Marchi a sollecitare dal ministero della Pubblica Istruzione una rapida e positiva conclusione delle trattative in corso. Il Marchi, inoltre, facendo propria un’iniziativa già sperimentata dal suo predecessore Umberto Borsi, aveva ritenuto opportuno sensibilizzare l’opinione pubblica sia locale sia nazionale sul problema, dando alle stampe un opuscolo dal titolo Per l’abolizione del 152 Cfr. Le Università e gl’Istituti di istruzione superiore in Italia durante la guerra. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, cit., pp. 39-57, che riporta però erroneamente un totale di 34 morti. In realtà, gli studenti maceratesi caduti in guerra furono 36, come si deduce dall’opuscolo Regia Università di Macerata, Solenne cerimonia per il conferimento delle lauree ad honorem degli studenti della R. Università di Macerata caduti in guerra 1915-1918. Macerata XXIV maggio 1918, Macerata, Stab. Tip. Bianchini, 1919. Il medesimo dato emerge anche dall’analisi dei documenti conservati in ASMc, Università, Studenti caduti in guerra. Laurea ad honorem (1909-1919), b. 59. 153 In particolare, il foglio locale «L’Unione» dedicò ampio spazio alla cerimonia per il conferimento delle lauree ad honorem agli studenti caduti in guerra che si tenne presso l’Università di Macerata il 24 maggio 1919. Cfr. La commemorazione degli studenti universitari caduti per la patria, «L’Unione», 19 (21 maggio 1919), 18, p. 3; e La solenne commemorazione degli studenti universitari caduti in guerra, «L’Unione», 19 (28 maggio 1919), 19, pp. 1-2. Deve essere anche ricordato il numero unico dal titolo In memoria degli studenti universitari morti in guerra, pubblicato il 10 novembre 1921 a cura del Comitato maceratese della Corda Frates. 154 Cfr. Visconti, L’Università di Macerata nel passato e nel presente, cit., p. 53. 190 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale ruolo particolare annesso alla convenzione di pareggiamento dell’Università155 nel quale, dopo aver ricostruito puntigliosamente i termini della querelle, illustrava le nuove proposte da lui messe a punto con il contributo del corpo accademico maceratese e fatte pervenire all’allora titolare del dicastero della Pubblica Istruzione Pasquale Grippo156. Secondo il rettore Marchi, l’accoglimento delle proposte di revisione della convenzione era ormai una priorità alla quale il ministero non avrebbe potuto sottrarsi, stante il fatto che da un lato esse non implicavano un aggravio degli oneri a carico dello Stato e dall’altro che la situazione vigente aveva già creato notevoli disagi ai «professori singoli» e danneggiato pesantemente il «buon funzionamento dell’istituto in genere»157. A questo proposito, tra i «non lievi inconvenienti» con i quali l’Università di Macerata si era trovata a dover fare i conti, Marchi segnalava: l’inferiorità morale dei docenti di Macerata rispetto ai colleghi loro pari grado; la sostanziale impossibilità di costituire un organico adeguato di professori di ruolo e di coprire le cattedre vacanti mediante la chiamata di ordinari e straordinari; la difficoltà dei docenti maceratesi di competere alla pari con i colleghi degli altri atenei italiani per quel che concerneva i trasferimenti e i concorsi universitari, in quanto la sede di Macerata non era nella condizione di poter soddisfare le disposizioni fissate dall’art. 44 del vigente Regolamento generale universitario158; in ultimo, l’aggravio di lavoro che lo status speciale dell’Ateneo maceratese comportava per gli stessi uffici amministrativi e contabili del ministero della Pubblica Istruzione, chiamati costantemente a farsi carico delle complesse questioni che discendevano dalla frammentaria ripartizione delle competenze tra gli enti locali e lo Stato159. 155 Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione, Roma, Tipografia del Senato, 1916. 156 Tali proposte furono inviate al ministero della Pubblica Istruzione una prima volta il 24 aprile 1916 e, in seguito, pochi giorni dopo le dimissioni del governo Salandra, il successivo 29 giugno, ovvero all’indomani dell’insediamento del nuovo gabinetto presieduto da Paolo Boselli. Si veda al riguardo la documentazione conservata in ASMc, Università, Statuti-Leggi-Regolamenti, Riforma dell’Università di Macerata, b. 693, f. 10. 157 Regia Università di Macerata, Per l’abolizione del ruolo particolare annesso alla convenzione di pareggiamento dell’Università. Proposte del Rettore a S.E. il Ministro della pubblica istruzione, cit., pp. 2-3. 158 Secondo il rettore Marchi, «il pericolo di non poter aspirare a cattedre più importanti, senza rinunziare in qualche caso al proprio posto di ordinario, allontana da Macerata molti insegnanti, creando una situazione di inferiorità, che assolutamente contrasta colla convenuta condizione di pareggiamento» (ibidem, p. 2) 159 Ibidem, p. 3. 191 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Per risolvere le suddette questioni si rendeva necessario modificare in alcuni punti quanto stabilito con la convenzione approvata nel 1901. La bozza di revisione predisposta dal rettore Marchi, a questo proposito, interveniva, riscrivendoli in larga misura, sugli artt. 2, 6, 7 e 12; era introdotto ex novo, inoltre, l’art. 11 bis, mentre rimaneva inalterato il resto dell’articolato. La ratio di fondo era ovviamente quella di sopprimere il ruolo organico particolare previsto dalla convenzione del 1901 (ex art. 2) per ricomprendere i docenti maceratesi nel ruolo unico nazionale, con la conseguente applicazione, anche per loro come per i professori degli altri atenei italiani, delle medesime norme concernenti lo stato giuridico ed economico (ex art. 11 bis). Tutto questo escludendo ovviamente ogni possibile aggravio per il pubblico erario, il quale, anzi, dalla soluzione prospettata avrebbe addirittura potuto trarre vantaggio. Il ruolo vigente – sottolineava al riguardo il rettore Antonio Marchi – assegna all’Università di Macerata dodici professori; quattro straordinari e otto ordinari; i rimanenti sei insegnamenti vengono conferiti a professori incaricati. Lo Stato provvede al pagamento degli stipendi dovuti ai professori titolari; ma gli enti locali (Provincia, Comune e Consorzio) concorrono alla relativa spesa con un annuo contributo di lire 40.000 e hanno diritto a rimborso durante le eventuali vacanze che si verificano nei posti di ordinario e di straordinario. Al pagamento della retribuzione dovuta ai sei professori incaricati provvede direttamente il Consorzio universitario. Includendo il ruolo dell’Università di Macerata nel ruolo generale, gli enti locali continuerebbero a pagare il medesimo contributo, che attualmente pagano per i professori ordinari e straordinari; […] e il Consorzio universitario potrebbe versare allo Stato l’importo della spesa occorrente per il pagamento della retribuzione dovuta ai sei professori incaricati. […] Altro non si avrebbe che una fusione tra il ruolo particolare di Macerata e quello generale, restando fermi e inalterati tutti gli attuali oneri a carico degli enti locali. […] Lo Stato non avrebbe verun aggravio, e che anzi potrebbe avere un qualche vantaggio in seguito a tale fusione, è addirittura evidente ove per 160 avventura avvenisse che a Macerata fossero destinati meno di dodici titolari . Raccogliendo la sollecitazione del rettore Marchi, tanto la commissione amministrativa del Consorzio universitario, quanto il Consiglio comunale e quello provinciale di Macerata si attivarono affinché le proposte di modifica alla convenzione del 1901 fossero rapidamente approvate al fine di consentire un’azione sinergica nei riguardi del ministero161. 160 Ibidem, pp. 3-4. Si vedano i verbali della seduta del Consiglio comunale di Macerata del 31 maggio 1916 e dell’adunanza del Consiglio di Facoltà dell’Università di Macerata dell’8 maggio 1916, in ASMc, 161 192 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale La risposta del nuovo titolare della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini162 alle istanze avanzate dal rettore Marchi, datata 12 settembre 1916163, fu alquanto evasiva e deludente. Da un lato, infatti, il ministro contestò l’esattezza dei conteggi effettuati dal Consorzio universitario maceratese riguardo all’ammontare della cifra annua da versare nelle casse dello Stato, sollecitando il rettore e gli organi amministrativi del Consorzio a fare proprio il prospetto economico appositamente predisposto dagli uffici ministeriali; dall’altro lasciò intendere che l’esame del nuovo schema di convenzione, stanti le difficoltà prodotte dallo stato di guerra, avrebbe dovuto essere necessariamente rinviato ad una fase successiva. Inaugurando l’anno accademico 1916-1917, il pro-rettore Pio Barsanti informava l’intera comunità accademica delle vigorose pressioni esercitate nei mesi precedenti sugli organi ministeriali ai fini della ripresa delle trattative e del pieno accordo raggiunto dall’Ateneo con gli enti locali maceratesi riguardo alle modifiche da apportare alla convenzione vigente, non mancando di tuttavia di rilevare gli scarsi risultati ottenuti: Insistente è stata da parecchi anni – affermava Barsanti – l’opera di tutte le attività preposte a curare gli interessi di questo Istituto per conseguire questo risultato, e non meno operosa e zelante fu quella del Rettore cessato, del Consorzio, degli Enti Locali nell’anno ora chiuso; ma purtroppo tanta attività non è stata coronata dal successo desiderato, onde dovremo tuttavia lottare per il conseguimento di quest’ultimo passo 164 . Nei mesi successivi, comunque, a riaccendere le speranze di un rapido superamento di quella che ormai negli ambienti del ministero veniva definita «l’anomalia maceratese», contribuì l’elezione al rettorato del prof. Donato Donati, amico di vecchia data del titolare della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, con il quale ebbe diversi colloqui finalizzati a sbloccare le trattative e a rimuovere le residue Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916), b. 715; nonché i verbali delle riunioni della commissione amministrativa del Consorzio universitario svoltesi il 7 maggio e del 7 ottobre 1916), in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, regg. n. 545-546. 162 Francesco Ruffini fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Paolo Boselli, dal 18 giugno 1916 al 29 ottobre 1917. 163 La lettera del ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, datata 12 settembre 1916, è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Riforma Università di Macerata (1879-1916). Rettorato Marchi, b. 715. 164 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1916-1917. Relazione del Pro-Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1916, cit., p. 9. 193 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale resistenze ministeriali al nuovo accordo. Forte della disponibilità manifestata da Ruffini165 e dei pressanti appelli fatti pervenire a Roma nelle settimane precedenti dai vertici degli enti locali maceratesi166, il 16 settembre 1917 il rettore Donati inviava al ministro della Pubblica Istruzione una lunga lettera, nella quale, facendo eco ai voti indirizzati dagli enti locali al Ministero nei mesi precedenti, inviò una lettera al ministro nella quale illustrava la situazione di gravissima difficoltà nella quale versava ormai da anni l’Università di Macerata, situazione che, in tempi recenti era divenuta «addirittura intollerabile», come egli scriveva, «in seguito al provvedimento eccezionale, attuato con decreto luogotenenziale 18 novembre 1915, n. 1625, che sospendeva ogni specie di concorsi». A questo proposito, Donati sollecitava il rapido intervento del ministro, sottolineando come, in assenza del rinnovo della convenzione per il pareggiamento, l’ateneo si sarebbe trovato a breve nella penosa condizione di non potere assicurare neppure il regolare svolgimento dell’attività didattica ordinaria: Per tutte queste ragioni – concludeva il rettore dell’Università di Macerata –, che insieme si riassumono in una suprema ragione di buona amministrazione dell’istituto superiore in questa Università, ho assoluta fiducia che Vostra Eccellenza, mentre per tante provvidenze ha dimostrato illuminati propositi a favore della coltura superiore, tali propositi vorrà tradurre in atto anche a favore di questa Università, dando vita a un provvedimento, che, da molto e troppo tempo atteso, riuscirà tanto più gradito 167 . Il 18 settembre 1917, prima ancora di ricevere la missiva del rettore Donati, il ministro Ruffini aveva dato risposta alla lettera inviatagli nelle settimane precedenti dal sindaco di Macerata168, fornendo i chiarimenti richiesti in merito all’atteggiamento tenuto nella vicenda dal ministero della Pubblica Istruzione. Nella lettera, dopo aver 165 Come si legge nel verbale del Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza del 28 giugno 1917, fu lo stesso rettore Donati ad informare il corpo docente dell’ateneo maceratese della ripresa delle trattative con il ministero della Pubblica Istruzione per la modifica della convenzione, anche «in seguito a conferenze avute con S.E. Ruffini» (in ASMc, Università, Miscellanea, Adunanze del Consiglio di Facoltà 1916-1917, b. 695). 166 Cfr. il verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 13 agosto 1917, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1917, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1918, pp. 21-22. Ma si veda anche la lettera inviata dal sindaco di Macerata al ministro della Pubblica Istruzione il 5 settembre 1917, dietro sollecitazione del Consiglio comunale, in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Donati, b. 715. 167 Copia della lettera del rettore dell’Università di Macerata Donato Donati al ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, datata 16 settembre 1917, è conservata in ibidem. 168 Ci si riferisce alla già ricordata lettera inviata il 5 settembre 1917 dal sindaco di Macerata, dietro sollecitazione del Consiglio comunale, al ministro della Pubblica Istruzione Ruffini il 5 settembre 1917, in ibidem. 194 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale ribadito la sua ferma intenzione di esaminare senza pregiudizi e con la massima disponibilità le proposte avanzate dall’Università di Macerata, Francesco Ruffini giudicava tuttavia opportuno, in ragione delle incertezze e difficoltà create dalle vicende belliche, procrastinare l’adozione di provvedimenti concreti: Debbo far presente alla S.V. – concludeva il ministro della Pubblica Istruzione – che una grave difficoltà si oppone per il momento a che il nuovo progetto di convenzione venga approvato, è cioè la deliberazione di massima adottata dal Consiglio di Ministri di non procedere, per la durata della guerra, ad alcuna modificazione di ruoli organici di personale 169 . Con l’avvento, nell’ottobre 1917, del nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e la chiamata di Agostino Berenini alla guida della Minerva170 la situazione era destinata a mutare nuovamente. Proprio il nuovo titolare della Pubblica Istruzione, rispondendo poche settimane dopo il suo insediamento, il 19 novembre 1917, alla lettera inviata al ministero due mesi prima dal rettore Donato Donati manifestava la volontà di addivenire in tempi rapidi alla soluzione dell’annosa querelle sul rinnovo della convenzione, facendo pervenire a sua volta, al rettore dell’Università di Macerata, una bozza con alcune modifiche al testo messe a punto dal suo gabinetto: Questo Ministero – scriveva Agostino Berenini – ha esaminato lo schema della nuova convenzione universitaria e, pur approvandola in massima, ha apportato ad essa alcune modificazioni, indicate in rosso nella copia dello schema di convenzione che si allega alla presente. […] Prego ora la S.V. di voler sottoporre lo schema di convenzione così modificato all’approvazione dei Corpi ed organi competenti,e, ottenuto su di esse il loro benestare, restituirlo, insieme con le deliberazioni adottate al riguardo, a questo Ministero, che comunicherà la proposta a quello del Tesoro, la cui adesione è indispensabile, facendo presenti tutte le ragioni di opportunità e convenienza che ne consigliano l’accoglimento 171 . Merita di essere rilevato che le modifiche richieste dal Ministero altro non erano che semplici e formali precisazioni burocratiche e, in quanto tali, non necessitavano in 169 La lettera di risposta del ministro del ministro della Pubblica Istruzione al sindaco di Macerata, datata 18 settembre 1917, è conservata in ibidem. 170 Agostino Berenini fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando dal 29 ottobre 1917 al 23 giugno 1919. 171 Si veda la lettera del ministro della Pubblica Istruzione Agostino Berenini al rettore dell’Università di Macerata Donato Donati, datata 19 novembre 1917, in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Donati, b. 715. 195 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale realtà di un nuovo placet degli enti locali maceratesi. Nella riunione del 30 novembre 1917, comunque, la commissione amministrativa del Consorzio universitario approvò all’unanimità il testo della convenzione così com’era stato modificato dal ministero172, e altrettanto fecero nelle rispettive adunanze del 3 e del 15 dicembre la Deputazione provinciale e il Consiglio comunale di Macerata173. L’11 gennaio 1918 gli uffici dell’Università di Macerata provvidero a trasmettere tempestivamente al ministero della Pubblica Istruzione le relative delibere. La strada da percorrere prima del raggiungimento del traguardo, tuttavia, sarebbe stata ancora lunga e non priva di ulteriori ostacoli e di nuove difficoltà. Con una nota datata 20 marzo 1918, ad esempio, il ministero della Pubblica Istruzione faceva presente all’Università di Macerata che il Tesoro aveva sollecitato un’ulteriore e indispensabile modifica al testo della convenzione, subordinando alla ricezione della stessa l’eventuale parere positivo. Oggetto della modifica era, in questo caso, l’art. 11, nel quale, secondo la richiesta formulata dal ministero del Tesoro, l’affermazione «La presente convenzione avrà la durata di 30 anni a decorrere dal 1° luglio 1900», avrebbe dovuto essere così emendata: «La presente convenzione avrà vigore dal primo giorno dell’anno accademico 1918-1919 fino al 30 giugno 1930»174 . Ancora una volta, come si vede, si trattava di una modifica di natura puramente formale e di scarso rilievo, la quale sembrava avvalorare la tesi di coloro che attribuivano al governo l’intenzione di prendere tempo e di cercare di rinviare sine die – pur senza disporre di solidi argomenti contrari – il varo della nuova convenzione. Anche in quest’occasione, comunque, l’Ateneo e gli enti locali maceratesi manifestarono la loro piena disponibilità a recepire le nuove richieste avanzate da Roma, tanto che il 28 aprile 1918 l’ulteriore documentazione richiesta veniva fatta pervenire al ministero della Pubblica Istruzione175. A complicare la situazione, già resa difficoltosa dalle lungaggini burocratiche e dai temporeggiamenti ministeriali, contribuì indubbiamente la ripresa, a livello 172 Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio universitario del 30 novembre 1917, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546. 173 Copia delle delibere in oggetto è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Donati, b. 715. 174 La nota inviata dal ministero della Pubblica Istruzione in data 20 marzo 1918 è conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Pascucci, b. 715. 175 Si veda copia delle delibere approvate rispettivamente dalla commissione amministrativa del Consorzio universitario (27 marzo), dal Consiglio comunale (6 aprile) e dalla Deputazione provinciale (8 aprile) in ibidem. 196 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale nazionale, del dibattito sull’abolizione degli atenei minori, innescato questa volta da un brillante quanto polemico articolo apparso nel novembre 1918 sulla neonata rivista torinese «Energie Nove», fondata e diretta da Piero Gobetti. L’articolo dal titolo Appunti di taccuino, firmato dallo stesso Gobetti, dopo aver formulato una serie di critiche al sistema universitario italiano nel suo complesso, rivolgeva un pesante attacco ad alcuni atenei minori della penisola, fra i quali figurava anche quello maceratese, chiedendone l’immediata soppressione o la trasformazioni in istituti d’istruzione di altro genere: Bisogna che il Governo – scriveva Gobetti – si decida ad abolire le università di Urbino, Perugia, Macerata, Camerino, Modena, che oggi non hanno studenti e in tempo di pace si sa perché li hanno. E’ ora di sostituirli con organi nuovi e forti di insegnamento professionale, industriale ed agricolo, con università popolari, società di cultura, ecc. 176 . E che la drastica presa di posizione di «Energie Nove» su questo tema fosse tutt’altro che accidentale ed episodica lo testimoniano gli interventi dello stesso tenore apparsi sul medesimo quindicinale gobettiano e su altre riviste culturali e politiche nei mesi seguenti177. Inaugurando l’anno accademico 1918-1919, il nuovo Rettore dell’Università di Macerata Giovanni Bortolucci non mancava di sottolineare le difficoltà del momento e il riacutizzarsi di vecchie polemiche giornalistiche che, oltre a non apportare alcuna reale soluzione ai tanti problemi che assillavano il sistema universitario italiano, apparivano assolutamente in controtendenza con lo spirito unitario e la festosa euforia patriottica per il conseguimento della vittoria e per il ritorno della pace dopo i lunghi e terribili anni del conflitto mondiale. Bortolucci, comunque, si mostrava moderatamente ottimista riguardo al futuro dell’ateneo maceratese, in particolare per quel che concerneva gli esiti della trattativa «già felicemente avviata» con il ministero della 176 P. Gobetti, Appunti di taccuino, «Energie Nove», 2 (15-30 novembre 1918), pp. 30-32 (la citazione riportata è a p. 31). 177 Una tesi per certi versi analoga, ad esempio, era sostenuta in un commento apparso anonimo (e redatto, probabilmente, dallo stesso Gobetti) in calce ad un articolo pubblicato sulla medesima rivista e firmato questa volta da F. Cuonzo, dal titolo L’Università a Bari. In tale nota si legge: «E siccome poi un’Università costa e il Governo spende già troppo e male negli insegnamenti superiori sarebbe bene (ripetiamo) che in cambio si abolissero, senza paura, sei o sette delle inutili università dell’Italia centrale e dell’Emilia». Cfr. F. Cuonzo, L’Università a Bari, «Energie Nove», 5 (1-15 gennaio 1919), p. 68. 197 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Pubblica Istruzione, per giungere all’indispensabile rinnovo della convenzione per il pareggiamento: Nel rinnovamento fervido d’ogni attività – affermava il rettore dell’Università di Macerata –, che segua la pace, il nostro Ateneo saprà mantenere le sue gloriose tradizioni. Dipenderà in gran parte da noi se esso potrà divenire centro di coltura e di studi per le popolazioni della Dalmazia ormai nostra. Ma sarà necessario tener conto dei nuovi bisogni e delle nuove tendenze, e soprattutto, presupposto essenziale, procedere alla sollecita conclusione della nuova convenzione di pareggiamento, la quale già felicemente avviata, giova sperare che sarà condotta a compimento mercé la illuminata assistenza delle rappresentanze politiche ed amministrative della città 178 . Nei mesi successivi, in effetti, dopo le lungaggini e i ripensamenti che avevano contrassegnato la fase precedente, le trattative con il ministero per il rinnovo della convenzione registrarono un’indubbia accelerazione. Il 10 febbraio 1919, e poi ancora il 20 marzo dello stesso anno, furono trasmesse all’Università di Macerata ulteriori richieste di revisione del testo a suo tempo predisposto e più volte emendato. In questo caso, le modifiche prospettate su indicazione del ministero del Tesoro riguardavano l’art. 6 della bozza di convenzione, ai sensi del quale gli enti locali si obbligavano a garantire la rispettiva quota di contributo con il rilascio delle delegazioni sulla sovraimposta, e l’art. 13, con il quale era determinato l’onere delle spese contrattuali delle quali si sarebbe dovuto far carico per metà il Consorzio universitario maceratese. Ovviamente avrebbe dovuto essere nuovamente modificata anche la prima parte dell’art. 11, dal momento che la nuova convenzione sarebbe entrata in vigore dal primo giorno dell’anno accademico 1919-1920 e non più a partire dal 1918-1919, come precedentemente stabilito. Laddove le modifiche richieste fossero state accolte dall’Ateneo e dagli enti consorziati, il ministero della Pubblica Istruzione, si precisava nella nota del 20 marzo 1919, avrebbe dato il via libera definitivo al varo della legge speciale per l’approvazione della nuova convenzione179. Pur non mancando di manifestare talune perplessità circa le reali intenzioni del ministero e circa il mantenimento dello speciale regime di cui l’Ateneo maceratese aveva goduto fino a quel momento in materia di tasse universitarie, al fine di evitare 178 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1918-1919. Relazione del Rettore Prof. Giovanni Bortolucci letta nella cerimonia inaugurale del 2 dicembre 1918, ANNUARIO (1919), p. 12. 179 Si veda la relativa documentazione in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715. 198 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale «ulteriori lungaggini che potrebbero riuscire di danno all’approvazione della nuova convenzione che assicura la vita al nostro Ateneo»180, la commissione amministrativa del Consorzio, il Consiglio comunale e la Deputazione provinciale di Macerata deliberarono all’inizio di aprile l’approvazione della nuova bozza di convenzione181. Nei mesi seguenti, tuttavia, si manifestò a più riprese lo spettro di ulteriori rinvii e di nuove richieste di modifica del testo, come testimoniano la fitta corrispondenza intercorsa, tra giugno e settembre, tra il rettore Bortolucci e i ministri della Pubblica Istruzione e del Tesoro182, e i reiterati interventi del parlamentare marchigiano Anselmo Ciappi, sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici, presso il capo del governo al fine di scongiurare eventuali ritardi nell’iter di approvazione del provvedimento183. In realtà, a dispetto delle incertezze e dei timori dell’ultima fase, il 6 ottobre 1919 veniva finalmente emanato il R.D. n. 2048, con il quale era approvata la nuova convenzione fra Governo, Comune, Provincia e Consorzio universitario di Macerata che sostituiva quella del 1901184. In forza di tale provvedimento l’Università di Macerata era pareggiata a tutti gli effetti di legge alle altre università indicate dall’articolo 12 del Testo unico promulgato con il R.D. 9 agosto 1910, n. 795 (art. 1). La nuova convenzione, che sarebbe rimasta in vigore fino al 30 giugno 1930 (art. 11), era costituita da 13 articoli, in virtù dei quali si stabiliva, fra l’altro, il conferimento allo Stato dell’onere della retribuzione degli insegnamenti obbligatori affidati per incarico (art. 2), l’aumento del contributo consorziale a favore dello Stato da 40.000 a 48.000 lire (art. 6), la soppressione dell’obbligo per lo Stato di rimborsare al Consorzio le cifre non spese per i posti da professori ordinari e straordinari che fossero risultati vacanti (art. 6) e, infine, l’inserimento dei professori ordinari e straordinari della Regia Università di 180 Si veda il verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 24 marzo 1919, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1919, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1920, pp. 47-49. 181 Le relative delibere del Consiglio comunale, della commissione amministrativa del Consorzio e della Deputazione provinciale furono approvate rispettivamente il 2, il 6 e il 7 aprile 1919. Se ne veda copia in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715. 182 Nel giugno 1919, fra l’altro, il governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando si presentava dimissionario e, di lì a poco, con l’avvento del nuovo gabinetto presieduto da Francesco Saverio Nitti, cambiavano sia il ministro della Pubblica Istruzione (ad Agostino Berenini subentrava Alfredo Baccelli), sia il titolare del dicastero del Tesoro (Bonaldo Stingher era sostituito da Carlo Schanzer). 183 In ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715, sono presenti diverse lettere, le quali testimoniano la fitta corrispondenza intercorsa tra giugno e settembre tra il rettore Bortolucci, e i ministri della Pubblica Istruzione Berenini e Baccelli, e quelli del Tesoro Stringher Schanzer, nonché tra lo stesso rettore deell’ateneo maceratese e il parlamentare marchigiano Anselmo Ciappi, sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici. 184 Si veda il testo della nuova convenzione approvata con il R.D. 6 ottobre 1919, n. 2048, in ASMc, Università, Miscellanea, Nuova convenzione consorziale. Rettorato Bortolucci, b. 715. 199 Capitolo quarto. L’età giolittiana e la prima guerra mondiale Macerata nel ruolo unico nazionale dei professori universitari, con la conseguente applicazione ai medesimi delle norme sullo stato giuridico ed economico in vigore per i docenti delle altre università regie della penisola (art. 12). Con la definitiva approvazione del R.D. 6 ottobre 1919, n. 2048, giungeva a conclusione la battaglia ultradecennale condotta dall’Università di Macerata per il conseguimento di un’effettiva parificazione con gli altri atenei governativi. Nel corso del lungo e travagliato iter che aveva portato all’adozione del provvedimento, l’Ateneo marchigiano aveva potuto fare conto costantemente sulla solidarietà e il fattivo appoggio degli enti locali e delle istituzioni maceratesi, impegnate ad assicurare il sostentamento finanziario dell’istituto e a sollecitare con forza, nei riguardi del governo centrale, il superamento della condizione di «immotivata e grave minorità» nella quale era tenuta «la principale istituzione Cittadina», la quale, per le sue «alte tradizioni scientifiche» e «gloriose tradizioni patriottiche» rappresentava l’«autentico centro della vita spirituale» di Macerata e il «focolaio prezioso del suo sviluppo civile e intellettuale». Quella che si apriva, come sottolineava il nuovo rettore Pio Barsanti inaugurando solennemente il 23 novembre l’anno accademico 1919-1920, avrebbe dovuto rappresentare per l’Università di Macerata la stagione del vero e proprio rilancio. Il pareggiamento di questa Università a tutte le altre – affermava Barsanti – costituì il voto e l’attività costante di più che un ventennio di tutte le autorità preposte alla vita di questo Istituto. […] Debbo alla sorte che a me sia toccato l’onore di darvene contezza, perché proprio all’inizio del mio rettorato questo avvenimento si è verificato, mentre non all’opera mia esso è dovuto, ma sì a tutti i Rettori che mi hanno preceduto, e in special modo all’ex Rettore Donati e da ultimo al cessato Rettore professore Bortolucci che ebbe l’onore di mettere le firma alla nuova convenzione; […] con la nuova convenzione è riportato nel ruolo unico dei professori universitari il ruolo speciale che v’era prima pei professori di questa Università; il che significa che ogni materia o disciplina che costituisce insegnamento obbligatorio può avere un titolare, mentre, fino ad oggi i titolari non potevano essere che dodici. Il che accresce non solo lustro e decoro all’Istituto, ma è anche una garanzia degli insegnamenti che si danno. Senza dire, per essere breve, del maggiore concorso per parte dei più valenti Professori 185 185 . Inaugurazione dell’Anno Accademico 1919-1920. Relazione del Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 23 novembre 1919, ANNUARIO (1920), pp. 14-15. 200 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista CAPITOLO QUINTO IL PRIMO DOPOGUERRA, LA RIFORMA GENTILE DEL 1923 E IL VENTENNIO FASCISTA All’indomani della prima guerra mondiale, la sempre più accentuata crisi economica e produttiva e le accresciute difficoltà della vecchia classe dirigente liberale a far fronte alle nuove e complesse sfide, rappresentate dal sorgere di nuovi movimenti politici e sociali e dalla rimessa in discussione dei tradizionali assetti istituzionali della fase pre-bellica1, fecero emergere da più parti l’esigenza di porre mano ad un’organica riforma dello Stato e della pubblica amministrazione, nell’ambito della quale avrebbero dovuto trovare definitiva soluzione anche le irrisolte questioni del riordinamento del sistema scolastico e dell’università2. In un quadro caratterizzato dalla sempre maggiore carenza di risorse finanziarie da destinare agli enti locali e dalla conseguente necessità, per questi ultimi, di procedere alla razionalizzazione della spesa e alla riqualificazione degli investimenti sul territorio, al pari di quanto verificatosi in altre regioni della penisola, anche le istituzioni locali marchigiane deliberarono di affrontare il delicato e complesso nodo della presenza sul territorio regionale di ben tre atenei di antica tradizione (Macerata, Camerino e Urbino): una condizione, quest’ultima, che se da un lato collocava le Marche al secondo posto in Italia, subito dopo l’Emilia-Romagna, per quel che concerneva il numero di sedi universitarie, dall’altro le conferiva una sorta di ‘primato’ con riferimento alla percentuale di istituti d’istruzione superiore in rapporto alla popolazione3. La questione, tuttavia, si faceva ancora più complessa laddove si prendevano in esame le facoltà e i corsi di studio attivati nei singoli atenei marchigiani: tanto la Regia Università di Macerata quanto le Libere Università di Camerino e Urbino, infatti, 1 Cfr. P. Frascani, Politica economica e finanza pubblica in Italia nel primo dopoguerra (1918-1922), Napoli, Giannini, 1975; V. Castronovo, La storia economica, in Storia d’Italia. IV. Dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi, 1975, pp. 206-247; E. Ragionieri, La storia politica e sociale, ivi, pp. 2059-2120; G. Sabbatucci (a cura di), La crisi italiana del primo dopoguerra. La storia e la critica, Roma-Bari, Laterza, 1976; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. VIII. La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 222-335. 2 Cfr. Commissione Reale per il Dopoguerra, Studi e proposte della Prima Sottocommissione presieduta dal sen. Vittorio Scialoja. Questioni giuridiche, amministrative e sociali, Roma, Tip. Artigianelli, 1920. Sui lavori della Commissione Reale, con particolare riferimento ai temi del riordinamento dell’istruzione pubblica, si veda C. Ghizzoni, Educazione e scuola all’indomani della Grande Guerra, Brescia, La Scuola, 1997, pp. 101-121. 3 Cfr. A. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, in Aspetti della società marchigiana dal Fascismo alla Resistenza, Urbino, Argalia, 1979, pp. 203-204. 201 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista vantavano una propria Facoltà di Giurisprudenza, tradizionalmente in concorrenza con le altre due, mentre Camerino e Urbino disponevano ciascuna di una Scuola di Farmacia e di una Scuola di Ostetricia, anch’esse destinate, dunque, a farsi concorrenza. Una simile articolazione interna, com’è stato notato, faceva sì che mentre «a livello di atenei le Marche coprivano l’11,1% del totale, a livello di facoltà tale percentuale scendeva al 3,4%, ponendosi agli ultimi posti della graduatoria nazionale, prima soltanto della Puglia e di altre regioni del Mezzogiorno prive di università»4. Occorre aggiungere che la scarsa differenziazione delle facoltà e dell’offerta formativa universitaria regionale nel suo complesso, da un lato finiva per generare un’anomala concorrenza tra le sedi, costrette tutt’e tre ad attingere allo stesso limitato bacino di utenti, dall’altro vanificava l’indubbio vantaggio di disporre di ben tre atenei nella medesima regione, in quanto i limitati sbocchi universitari offerti ai diplomati marchigiani facevano sì che una parte consistente di essi si recasse in altri atenei della penisola per frequentare corsi di laurea non attivati nelle università marchigiane5. Proprio per porre rimedio alle anomalie e contraddizioni di un sistema universitario regionale che, a distanza di poco più di mezzo secolo dall’unificazione nazionale, appariva scarsamente funzionale alla crescita sociale e produttiva e allo sviluppo culturale e scientifico del territorio marchigiano e ormai insostenibile dal punto di vista economico, il 22 dicembre 1919 il prof. Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino e consigliere della Provincia di Macerata6, presentava nell’adunanza straordinaria del Consiglio provinciale del 22 dicembre 19197, un suo progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche8, il quale prevedeva un profondo e organico riassetto delle università marchigiane sotto il profilo amministrativo e didattico e un’altrettanto incisiva ridefinizione dell’offerta formativa universitaria regionale. Il progetto, valutato positivamente nelle sue linee generali dalla 4 Ibidem, pp. 205-207. Ibidem, pp. 209-212. 6 Giovanni Gallerani, nativo di Badia Polesine (Rovigo), si era laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova e aveva conseguito nel 1889 la libera docenza in Fisiologia. Incaricato nello stesso anno dell’insegnamento di Fisiologia sperimentale presso la Libera Università di Camerino, nel 1890 divenne straordinario e poi, nel 1892, ordinario della medesima disciplina. Nell’ateneo camerte il Gallerani svolse tutta la sua carriera ricoprendo anche l'incarico di preside della Facoltà di Medicina e, in diversi momenti, l’ufficio di rettore. Su di lui: A. Porro, Gallerani Giovanni, in DBI, 51 (1998), pp. 557559. 7 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 19 dicembre 1919, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1919, cit., pp. 123-125. 8 Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, Camerino, Tip. F.lli Marchi, 1920. 5 202 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Deputazione provinciale9, fu illustrato nei dettagli dallo stesso Gallerani nella seduta del Consiglio del 21 gennaio 1920 e, su richiesta di alcuni consiglieri10, successivamente sottoposto ad una commissione costituita ad hoc, della quale facevano parte i consiglieri provinciali Arturo Ciotti e Milziade Cola, oltre allo stesso rettore della Libera Università di Camerino, per la valutazione degli aspetti tecnici e delle condizioni di fattibilità. Nella delibera approvata dal Consiglio provinciale si stabiliva di: A) approvare in massima relazione stessa e la progettata riforma; B) di sottoporla al giudizio degli altri Consigli provinciali della regione invitandoli a pronunciare analoghe deliberazioni; C) di comunicarla inoltre a tutti i Sindaci delle Marche perché tutti i Comuni edotti delle valide ragioni della proposta e della utilità che ne deriverebbe per la Regione intiera, preparino quella azione cooperante che è indispensabile alla facile e pronta realizzazione del progetto; D) di comunicarla ai Senatori e Deputati della Regione11. Il 30 gennaio, lo stesso Consiglio, acquisito il parere favorevole al progetto Gallerani espresso dalla commissione tecnica, diede mandato alla Deputazione provinciale di richiedere alla Provincia di Pesaro-Urbino e ai comuni interessati di Urbino e di Macerata di esprimere «il loro parere di massima sulla progettata riforma, riservata ogni discussione sulle eventuali modalità della esecuzione»12. Il successivo 8 marzo la Deputazione provinciale di Macerata trasmise agli altri enti locali coinvolti la richiesta di far pervenire in tempi brevi un parere il più possibile definitivo in ordine al progetto di riorganizzazione delle università marchigiane, in modo tale da poter procedere speditamente e in forma unitaria nella realizzazione della «riforma quale è reclamata dai tempi»13. Indubbiamente, il progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore Giovanni Gallerani rappresentava un serio tentativo di uscire dalla prospettiva localistica e di guardare al «caso marchigiano» non solamente alla luce delle anomalie e disfunzioni da tempo riscontrate o, per altri versi, delle sopravvenute difficoltà economiche e finanziarie degli enti locali, ma anche, e soprattutto, tenendo 9 Cfr. A. Trifogli, Le Marche e l’istruzione universitaria, «Rivista di Ancona», IV (1961), 6 (suppl.), pp. 13-15. 10 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 21 gennaio 1920, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1920, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1921, pp. 39-41. 11 Ibidem, pp. 39-40. 12 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 30 gennaio 1920, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1920, cit., pp. 73-74. 13 La lettera inviata dalla Deputazione provinciale al Consiglio comunale di Macerata, datata 8 marzo 1920, è conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 203 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista conto delle più generali tendenze del dibattito nazionale e delle prospettive di rinnovamento degli studi superiori che andavano prendendo piede nel Paese: Fra le questioni del dopoguerra – scriveva Gallerani nell’introduzione al suo Progetto – che si impongono anche alle provincie e particolarmente alla nostra, v’ha quella della Istruzione pubblica superiore. Le mie qualifiche di insegnante universitario e di rettore dell’Università di Camerino mi danno, più che il diritto, il dovere di interessarmi dell’elevato problema. […] E’ vanto invidiato delle Marche di possedere tre Università, […] tanto che, pur lottando con grandi difficoltà materiali, vissero di vita veramente dignitosa, fonti di sapere e vivai fecondi di eletti ingegni che vanta l’Italia. Ora, supremo interesse, amoroso studio deve essere quello di conservarle all’altezza della loro fama, […] di esaminare quali siano le loro condizioni attuali, quali le eventuali deficienze e di proporne, nel caso, i rimedi, considerando l’Istituto universitario nei suoi rapporti non solo con la città che lo accoglie, ma con la regione intera a cui appartiene. […] Giacché, o Signori, non v’ha Istituto che, pur conservando la sua essenza, non debba, come qualsiasi organismo, evolversi nella lotta per l’esistenza, pena il regresso e la morte14. Il «caso marchigiano», a detta di Gallerani, lungi dal potere essere semplicisticamente liquidato sulla base delle tante ipotesi di soppressione dei piccoli atenei periodicamente agitate nei decenni precedenti, necessitava di un approccio originale, che tenesse presente l’indicazione recentemente formulata dal nuovo titolare della Pubblica Istruzione Alfredo Baccelli circa l’opportunità di favorire un assetto più razionale e una più funzionale organizzazione delle università minori15. Le università, sottolineava il rettore della Libera Università di Camerino, riprendendo un’affermazione contenuta nella Relazione generale predisposta nel 1914 dalla Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori, «non sono mai troppe […] e chi ha la gloria di averle deve custodirle gelosamente e farle rifiorire, e, se occorre, modificarle, sia pure sacrificando qualche preconcetto personale»16. Del resto, la stessa Commissione Reale che, oltre a sostenere l’opportunità della parificazione delle tasse universitarie tra atenei regi e atenei liberi, aveva anche auspicato per questi ultimi una riduzione del numero delle facoltà, o almeno una loro 14 Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, cit., pp. 3-5. 15 Alfredo Baccelli fu ministro delle Pubblica Istruzione nel primo governo presieduto da Francesco Saverio Nitti, dal 23 giugno 1919 al 14 marzo 1920. Sul più complessivo dibattito sviluppatosi su tale materia in questa fase si vedano le sintetiche riflessioni offerte in Porciani, Moretti, La creazione del Sistema Universitario della Nuova Italia, cit., pp. 354-373. 16 Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, cit., pp. 5-9. 204 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista più razionale distribuzione al fine di giungere all’indispensabile superamento «dei duplicati e dei triplicati di esse»17, forniva elementi utili alla messa a punto di un’ipotesi seria ed efficace di riordinamento del sistema universitario marchigiano. A questo proposito, il rettore Gallerani richiamava la già ricordata proposta avanzata dalla Commissione Reale per le università emiliane e sarde, sottolineando come essa, con gli opportuni adattamenti, potesse essere applicata anche alle Marche: Le forze sparse ed incoordinate, sono la debolezza e i raggi non raccolti in un unico fuoco non scaldano ed illuminano. […] O le cose restano come sono e i nostri Atenei sono destinati a perire, non rimanendo che il ricordo del loro fulgido passato; o lo Stato e le Province, perpetuando lo statu quo e contribuendo pur generosamente sanciscono una condizione di vita non perfetta e destinata ad essere discussa più in là, dilazionando soltanto la razionale riforma; o questa riforma razionale è coraggiosamente affrontata fin d’ora, con vantaggio morale, con alto decoro, con relativa economia. E’ quest’ultima proposta, o Signori, che io intendo propugnare. Sulla base di tali indicazioni e della personale riflessione sulle peculiarità della realtà universitaria regionale, il rettore della Libera Università di Camerino delineava, «sommessamente, ma pienamente convinto», il progetto di una «Federazione delle Università marchigiane in una medesima circoscrizione accademica»: Riduzione della Facoltà e Scuole duplicate e triplicate nelle tre Università marchigiane, con completamento razionale delle incomplete e aggiunta delle mancanti, da distribuirsi in tre gruppi d’insegnamenti affini per ciascuna di esse Università. Ognuna delle tre Università suddette, che non deve perdere la propria individualità, sarà federata con le altre due in una medesima circoscrizione accademica; in modo che la Regione abbia il proprio Istituto di Studi superiori completo, con esistenza relativamente più economica e assolutamente più florida e dignitosa18. La progettata «Federazione delle Università marchigiane» avrebbe dovuto essere sostenuta attraverso il concorso finanziario dello Stato e degli enti locali; relativamente a questi ultimi, peraltro, la razionalizzazione dell’offerta formativa, attraverso la soppressione di due delle tre facoltà di Giurisprudenza esistenti e delle scuole speciali di Farmacia e di Ostetricia in esubero, peraltro, avrebbe consentito da subito un notevole risparmio di risorse economiche, da reinvestire eventualmente per completare l’offerta formativa regionale: 17 18 Ibidem, pp. 25-26. Ibidem, pp. 28-29. 205 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Nelle Marche – egli sottolineava – esistono tre Facoltà legali, due scuole di Farmacia, due scuole di Ostetricia per le levatrici, una Facoltà incompleta di Medicina e Chirurgia, un solo biennio di Veterinaria e mancano le Scienze sociali, le Lettere e Filosofia, Le Matematiche e la Ingegneria nei vari suoi rami, le Scienze naturali, le Scienze chimiche e fisico-matematiche e una Scuola superiore commerciale19. Occorreva altresì sciogliere il nodo della riconversione dei professori di ruolo le cui cattedre, a seguito della progettata razionalizzazione delle facoltà e delle scuole speciali, avrebbero dovuto essere soppresse. Al riguardo, il rettore della Libera Università di Camerino si mostrava persuaso che il problema potesse essere superato, grazie alla «buona volontà degli uomini, degli Enti e dello Stato», in virtù della «ricollocazione di pochi giovani valenti, a cui sorride un sicuro avvenire universitario» all’interno delle nuove strutture universitarie, come nel caso di Giurisprudenza, riguardo alla quale egli scriveva: L’unica Facoltà legale che rimarrebbe, potrebbe meglio completarsi con cattedre fin qui date per incarico da affidarsi agli insegnanti che, per l’attuazione della riforma, rimanessero senza posto, togliendo così anche l’inconveniente del cumulo; oppure dovrebbero provvisoriamente istituirsi cattedre in parallelo. Prima di prospettare la sua ipotesi di ridistribuzione delle facoltà e dei corsi di laurea nelle diverse sedi universitarie marchigiane, Giovanni Gallerani illustrava quelli che, a suo avviso, sarebbero stati gli indiscussi vantaggi che la riforma avrebbe prodotto. A questo proposito, oltre a garantire «la vita prospera e dignitosa dei nostri gloriosi Istituti», la progettata «Federazione delle Università marchigiane» avrebbe reso possibile «un altro immenso vantaggio d’ordine morale: patriottico, nazionale», quello di favorire la costituzione di un polo universitario completo in grado, per la sua collocazione geografica, di porsi come punto di riferimento culturale e scientifico non solo per le altre regioni della penisola collocate sulla dorsale adriatica, ma anche per i territori frontalieri dell’area balcanica: «Se le Marche – egli notava –, che siedono a specchio dell’Adriatico mare, possedessero la loro Università completa, attirerebbero a sé, con sicuro richiamo, le genti, i fratelli dell’altra sponda»20. 19 20 Ibidem, p. 27. Ibidem, pp. 30-32. 206 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Una grande realtà universitaria su base regionale, dunque, capace di spogliarsi della dimensione localistica e del tradizionale radicamento nel modesto e un po’ asfittico orizzonte urbano e provinciale, per divenire un polo scientifico e culturale internazionale e uno spazio di formazione superiore di riferimento per l’intera «regione adriatica». Di qui i notevoli vantaggi anche per la crescita economico-produttiva e commerciale non solo delle Marche, ma dell’intero Paese, la quale avrebbe trovato «una forza eccitatrice feconda nella scienza e nell’arte medesima»; nonché la possibilità di sviluppare più intense e feconde relazioni con i paesi frontalieri, «che legherebbero validamente le popolazioni d’oltre Adriatico»: «La nostra Università completa e federata – concludeva enfaticamente Gallerani – potrebbe essere proprio l’Università nazionale dell’Adriatico e per essa noi potremmo fare del patriottismo incruento e pacifico, degno veramente della scienza e dei popoli civili»21. Indubbiamente, il capitolo più delicato e complesso del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore della Libera Università di Camerino era quello che riguardava la ridistribuzione tra le tre sedi esistenti delle facoltà e dei corsi di laurea. A questo riguardo, in un’apposita appendice al piano di riforma, dal titolo Schemi di distribuzione delle Facoltà nelle tre Università federate, veniva sottolineato come, stante la complessità della questione e i molteplici interessi in gioco, si era ritenuto opportuno prospettare quattro diversi scenari piuttosto che una soluzione unica, anche al fine di favorire il più ampio confronto riguardo all’«ubiquità più opportuna della sede» delle Facoltà e Scuole speciali e di tenere adeguatamente presenti tutte le «prerogative scientifiche, artistiche, istituzionali», le «tradizioni locali» e le necessità derivanti dalla «facilità maggiore o minore della istallazione». La prima soluzione individuata, quella che appariva a tutti gli effetti più razionale ed efficace, prevedeva il raggruppamento di facoltà, scuole speciali e corsi di laurea appartenenti ad un ambito omogeneo nella medesima sede universitaria. A questo riguardo, erano individuate tre diverse aree scientifico-disciplinari – scienze giuridiche e filologiche, scienze biologiche e scienze fisico-matematiche-chimiche –, ciascuna delle quali avrebbe dovuto fare capo ad un’apposita sede universitaria. Una simile ripartizione tuttavia, come lo stesso Gallerani rilevava, avrebbe cozzato inevitabilmente con «difficoltà che derivano dalla consuetudine e dall’affetto 21 Ibidem, pp. 33-34. 207 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista stesso alle istituzioni già possedute» (due delle sedi marchigiane, ad esempio, avrebbero dovuto rinunciare alla loro antica Facoltà di Giurisprudenza). Era pur vero che un simile ostacolo, ancorché molto gravoso, avrebbe potuto essere superato in nome «dell’alta finalità che deve essere raggiunta», sulla base di considerazioni legate ai vantaggi più generali offerti dal nuovo scenario e «dimenticando concetti e prevenzioni particolaristici»: Per fare qualche esempio – affermava Giovanni Gallerani –, la Facoltà di lettere e filosofia potrebbe trovare degna e opportuna sede ad Urbino, gloriosa per la immanente figura fulgidissima di Raffaello e per i suoi Istituti artistici. La Facoltà di Medicina e chirurgia parrebbe dovesse meglio fiorire a Macerata per la importanza e grandezza della Città, per la presenza del Manicomio, per la preventiva istituzione di un grande Ospedale, resosi indispensabile per la centralità nella provincia della Città; per le più facile e molteplici vie di comunicazione, necessarie al trasporto degli ammalati, per il più facile accesso alle consultazione dalle diverse parti delle Marche. La Scuola di veterinaria troverebbe la sua migliore esplicazione pratica pure a Macerata per analoghe ragioni, per il materiale zootecnico di studio, a disposizione, e per la presenza stessa di una Scuola di Agricoltura, fiorente nel suo territorio. Ma Urbino ha pure un’ottima tradizione per gli studi di matematica e Macerata d’altronde possiede già la sua Facoltà legale reificata, mentre Camerino vanta per la medicina i nomi di Federici, Murri, Guarnieri, Ceci, Colasanti, Lachi, De Toni, Berlese, Benedicenti, Foderà etc. per parlare solo di tempi relativamente recenti. Ecco qui la base per un'altra distribuzione22. Le altre tre soluzioni alternative che venivano prospettate prevedevano una serie di varianti capaci di tenere in maggior conto le «tradizioni locali» e di ridurre l’impatto comunque traumatico che qualunque intervento di razionalizzazione avrebbe prodotto su ciascuno dei tre centri urbani che ospitavano le antiche università della regione: Faccio seguire altri tre schemi – scriveva il rettore dell’Università di Camerino –, con proposta anche di sede, cui oggi non è a dirsi l'ultima parola, giacché, mi sembra, pur se sarà per essere caldeggiato da Voi il presente Progetto di massima da me proposto, dovremo sempre riferirci al parere degli Enti locali, a cui spetta decisiva parola per le distribuzioni delle Facoltà nelle singole Università federate. II°: Macerata = Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze Naturali; Camerino = Legge, Lettere e filosofia; Urbino = Matematiche, Ingegneria, Scienze fisico-matematiche. III°: Macerata = Legge, Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze Naturali; Camerino = Ingegneria, Scienze fisicomatematiche; Urbino = Lettere e filosofia. IV°: Macerata = Legge, Lettere e Filosofia; Camerino = 22 Ibidem, pp. 35-36. 208 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Medicina completa, Farmacia, Veterinaria, Scienze naturali; Urbino = Matematiche, Ingegneria, Scienze fisico-matematiche. Affinché l’offerta formativa universitaria regionale fosse realmente organica e capace di fornire adeguata risposta alle esigenze del territorio, concludeva Gallerani, era necessario altresì prevedere nelle Marche l’istituzione di una serie di «Scuole superiori, Commerciale, Industriale ed Agricola, delle quali la Commerciale dovrebbe indiscutibilmente aver sede in Ancona accanto alla fiorente Scuola Nautica, la Industriale nella provincia di Ascoli che ha già alto titolo per l’ottima Scuola di Fermo; la Agricola a Pesaro nella fertile regione che si estende verso l’ubertosa Romagna»23. Espressione di un approccio competente ed equilibrato ai problemi del sistema universitario regionale, il progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore dell’Università di Camerino era destinato a suscitare forti reazioni nell’opinione pubblica e in seno agli ambienti politici e amministrativi marchigiani e a innescare un vivace dibattito sulla stampa locale. Un dibattito, deve essere sottolineato, caratterizzato, nel suo complesso, da una sostanziale incomprensione della posta in gioco e da un esasperato quanto sterile localismo, solo parzialmente celato dietro l’anacronistico riferimento alle «gloriose tradizioni» da salvaguardare ad ogni costo e al velleitario richiamo alla capacità dei singoli territori e centri urbani di fronteggiare la crisi in atto sulla base delle sole proprie forze. Così, se il 6 marzo 1920 il periodico camerte «Chienti e Potenza» prendeva spunto dalla proposta Gallerani per denunciare l’atteggiamento di sostanziale immobilismo della città e degli amministratori nei riguardi dei problemi e delle necessità che caratterizzavano il locale Ateneo, paventando il rischio che, dietro le ipotesi di razionalizzazione a livello regionale degli assetti universitari, si celasse la volontà di ridimensionare proprio l’Ateneo cittadino24, in altri casi le osservazioni formulate in merito al progetto e le prese di posizione espresse in ordine alla sua praticabilità e all’opportunità della sua attuazione lasciavano trasparire una scarsa consapevolezza degli orientamenti prevalenti nell’ambito della politica universitaria nazionale e, soprattutto, il forte peso dei condizionamenti di tipo campanilistico e lo spirito di diffidenza e di sospetto che caratterizzava le diverse amministrazioni locali e provinciali della regione. 23 24 Ibidem, p. 37. E. Filippi, La questione Universitaria, «Chienti e Potenza», XXXIV (6 marzo 1920), 5, p. 1. 209 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Sulle pagine de «La Provincia Maceratese» del 7 marzo 1920, ad esempio, pur riconoscendo la bontà delle intenzioni che avevano mosso il rettore Giovanni Gallerani, si evitava accuratamente di esaminare la parte relativa alle ipotesi di razionalizzazione dell’esistente avanzate nel suo progetto di riordinamento delle università marchigiane e, prendendo spunto dalle proposte formulate riguardo ad un eventuale completamento dell’offerta formativa in sintonia con le indicazioni a suo tempo avanzate dalla Commissione Reale, si liquidava come poco realistico – in quanto destinato ad aumentare le spese in un momento di grave crisi per il pubblico erario – l’intero progetto: Il buon prof. Gallerani – affermava l’autore dell’articolo, che si firmava con lo pseudonimo di Civis –, malgrado le buone intenzioni, a un certo punto pare dimentichi le ragioni che l’hanno mosso e le attuali gravissime condizioni finanziarie dello Stato italiano, e invece di far proposte pratiche di nuove scuole superiori, diciamo così a scartamento ridotto, più adatte cioè ai moderni bisogni e all’ambiente, e più alla portata della nostra potenzialità, si lascia andare al progetto inattuabile di un assetto universitario più completo e quindi assai più dispendioso del presente, aggiungendovi inoltre l’istituzione ex novo di tre altri Istituti superiori. […] Ma dove pensa l’egregio professor Gallerani si possano trovare le annue centinaia di migliaia di lire all’uopo indispensabili? L’articolista de «La Provincia Maceratese», peraltro, non si limitava ad ironizzare sul carattere velleitario delle proposte formulate da Gallerani, ma si spingeva a chiedere l’abolizione delle università marchigiane le quali, a suo avviso, avrebbero dovuto essere sostituite da istituzioni scolastiche di carattere tecnico-professionale maggiormente rispondenti alle necessità economiche e produttive dei territori regionali: Per fare che i nostri istituti superiori vivano ed abbiano il diritto a vivere, occorre ch essi non siano inutili e brutte copie dei molti esistenti in ben altre condizioni e in ben altri ambienti, anche poco lontani da noi. E occorre anche che siano alla portata della nostra potenzialità economica. E’ chiaro? Una volta convinti di queste verità, non rimane che rinunciare alla vana boria di Università, condannate a sparire, e contentarsi di sostituirvi appropriate Scuole superiori, anche con criteri pratici e lungimiranti25. In realtà, indifferente alle prospettive di un riordinamento del sistema universitario regionale che aveva ispirato il rettore dell’Ateneo camerte, l’autore che si 25 Civis, La questione universitaria, «La Provincia Maceratese», XXII (7 marzo 1920), 9, pp. 1-2. 210 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista celava dietro lo pseudonimo Civis26 si mostrava preoccupato solo della realtà maceratese («per Macerata nostra»), per la quale prospettava, in luogo di quella che egli liquidava come la «sua inutile Facoltà di Legge, male in gamba», una vera e propria Scuola superiore di Lingue straniere o «Facoltà di Filologia moderna» di nuova impostazione, destinata a promuovere la conoscenza delle lingue slave e orientali e a proporsi come un laboratorio culturale per ampliare l’influenza politica e i rapporti commerciali con i paesi dell’area balcanica e del vicino oriente: Per Macerata nostra – scriveva l’articolista de «La Provincia Maceratese» –, in luogo della sua inutile Facoltà di Legge, male in gamba, persistiamo nel caldeggiare la Scuola superiore di Lingue straniere – unica del genere in Italia, dove questi studi così importanti sono stati finora trascuratissimi, deficientissimi e in parte senza quasi possibilità. Basti dire che le sole lingue che si insegnano, sono le solite lingue maggiori: francese, inglese e tedesco, e in qualche scuola lo spagnolo. Il greco, il turco, l’arabo e tutta l’importante famiglia delle lingue slave, una parte delle quali si parla all’altra sponda adriatica e ai nostri attuali confini, e dentro i confini stessi, sono come non esistessero!27. Un giudizio indubbiamente più complesso e articolato venne formulato, nei riguardi del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore Giovanni Gallerani, dagli organi di governo dell’Ateneo maceratese. A questo proposito, nell’adunanza del 9 aprile 1920, la commissione amministrativa del Consorzio universitario maceratese affidò ai professori Giovanni Lorenzoni e Lodovico Zdekauer l’incarico di formulare un’organica valutazione del progetto, la quale comunque, come espressamente richiesto dal prof. Alberto Zorli, rappresentante designato dall’Università a far parte del Consorzio, avrebbe dovuto esplicitamente ribadire il «primato» che occorreva riconoscere all’Ateneo maceratese in quanto «unico ateneo regio» della regione, e l’assoluta impraticabilità di ogni ipotesi destinata ad alienare da Macerata la sua storica Facoltà di Giurisprudenza: L’Università di Macerata – precisava fra l’altro Zorli – è Ente di Stato regolato da convenzione recente (6 Ottobre che ha durata sino al 1931) e che da secoli alimenta una scuola di diritto mai venuta 26 Dietro lo pseudonimo Civis si celava il fondatore e direttore de «La Provincia Maceratese» Domenico Spadoni, il quale, alcuni anni più tardi (D. Spadoni, Il problema universitario nelle Marche, cit., pp. 3-4), avrebbe rivendicato la paternità di tale intervento. Al riguardo, si veda anche la documentazione conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1931-1940, b. 3475. 27 Civis, La questione universitaria, cit., p. 2. 211 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista meno alle sue alte tradizioni, che intende mantenere e sempre più elevare, e non può in alcun modo venire modificata da ulteriori riforme sostanziali28. In realtà, a fronte della rigida posizione assunta da Alberto Zorli, l’atteggiamento manifestato dagli enti locali direttamente coinvolti e dagli organi di governo degli atenei di Macerata, Camerino e Urbino fu quello di un’adesione di massima alle linee generali del progetto di riordinamento e della disponibilità al confronto. Un atteggiamento attendista e improntato alla massima prudenza, dunque, al quale facevano da contrappunto sia il pieno sostegno all’iniziativa espresso dai parlamentari marchigiani, persuasi dell’ineluttabilità di un diverso assetto delle università operanti nella regione, sia l’altrettanto convinto appoggio all’iniziativa intrapresa dal rettore Gallerani da parte dei presidenti delle Deputazioni provinciali di Ancona e di Ascoli Piceno, ovvero delle due province marchigiane prive di istituti universitari, i quali, pur non essendo stati interpellati e direttamente coinvolti nel confronto, avevano voluto comunque manifestare la loro piena adesione ai nuovi scenari delineati dal progetto. Allo scopo di ottenere il sostegno del ministero e degli ambienti parlamentari alla sua iniziativa, lo stesso Gallerani aveva giudicato opportuno illustrare le sue proposte a diversi esponenti della disciolta Commissione Reale, ottenendone la piena adesione29. Alla luce di tali premesse, il 23 agosto 1920 il Consiglio provinciale di Macerata dava mandato alla locale Deputazione di convocare un’assemblea dei rappresentanti dei consigli provinciali delle Marche, della quale avrebbero fatto parte anche i parlamentari della regione, per avviare il vero e proprio confronto sulle soluzioni operative da adottare; nel contempo, istituiva una commissione consiliare incaricata di predisporre la bozza della delibera da sottoporre al voto della stessa assemblea regionale30. La commissione, costituita dai consiglieri Micciani, Galanti, Cola, Ciotti e Gallerani, si riunì il 18 ottobre dello stesso anno e mise a punto un testo articolato in due soli punti: «1. Federazione delle tre Università marchigiane in un’unica circoscrizione accademica (interprovinciale) togliendo duplicati e triplicati e distribuendone le diverse facoltà nelle tre Università; 2. Istituzione di tre Scuole Superiori di Commercio in Ancona, di 28 Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 9 aprile 1920, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546. 29 Si veda al riguardo la documentazione conservata in ASCa, Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390. 30 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 23 agosto 1920, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1920, cit., p. 175. 212 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Agricoltura in Pesaro, di Industria nella Provincia di Ascoli». Testo, quest’ultimo, che avrebbe dovuto essere approvato nel successivo Consiglio provinciale, chiamato anche a stabilire la data di convocazione dell’assemblea regionale31. Nei mesi seguenti, tuttavia, i timori dell’Ateneo maceratese di essere costretto a rinunciare alla Facoltà di Giurisprudenza e le più generali riserve manifestate da quello urbinate nei confronti di un riordinamento che rischiava di risolversi in un mero ridimensionamento della propria offerta formativa senza reali contropartite erano destinati a far slittare più volte la convocazione dell’assemblea regionale e, con essa, l’approdo alla fase decisionale vera e propria riguardo ai tempi e alle modalità di attuazione del progetto Gallerani. Il 14 novembre 1920, a questo proposito, inaugurando solennemente il nuovo anno accademico, il rettore dell’Università di Macerata Pio Barsanti ribadiva la posizione di cauta disponibilità già manifestata in precedenza dal suo Ateneo, non mancando tuttavia di sottolineare che qualsivoglia modifica e «ampliamento degli studi universitarii» a livello regionale avrebbe potuto compiersi solo a patto («fermo però il pensiero») che a Macerata rimanesse «e ampliata, se vuolsi, la Facoltà di giurisprudenza»32. Due giorni dopo, il 16 novembre, inaugurando a sua volta il nuovo anno accademico all’Università di Camerino, il rettore Gallerani provava a rilanciare la sua proposta, non mancando di rilevare, di fronte alle rigide condizioni poste dall’Ateneo maceratese e, ancor di più, al vero e proprio silenzio dietro al quale si era trincerato quello di Urbino, come occorresse andare al di là dei pur comprensibili interessi locali e porsi nella prospettiva di una soluzione in grado di soddisfare l’indispensabile opera di razionalizzazione dell’istruzione superiore e universitaria da più parti invocata: «Orbene – egli concludeva –, un’opera di altissima importanza è a noi riserbata, e il mio progetto appunto è ispirato anche a questo ideale patriottico. La confederazione universitaria suddetta, oltreché riuscirebbe a garantire la vita prospera e dignitosa dei nostri gloriosi Istituti, apporterebbe un altro immenso vantaggio d’ordine morale patriottico, nazionale»33. E quasi a rimarcare le grandi difficoltà che la sua iniziativa incontrava, il 31 Sui lavori della commissione si veda la documentazione conservata in ASCa, Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390. 32 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1920-1921. Relazione del Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 14 novembre 1920, ANNUARIO (1921), p. 13. 33 Relazione sull’anno accademico 1919-1920 del Magnifico Rettore Professore Comm. Giovanni Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1920-1921, in Annuario della Università degli Studi di Camerino. Anno accademico 1920-1921, Camerino, Tip. Mercuri-Miconi, 1921, pp. 20-23. 213 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista rettore dell’Ateneo camerte richiamava il celebre passo delle Satire oraziane: «Nihil sine magno vita labore dedit mortalibus»34. L’avvento di Benedetto Croce alla guida del ministero della Pubblica Istruzione, all’indomani della costituzione del quinto governo Giolitti, nel giugno 192035, portò di fatto al temporaneo accantonamento del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore Gallerani, stante lo scarso interesse manifestato dal nuovo titolare della Minerva nei confronti dell’iniziativa36 e stante, soprattutto, l’annuncio da lui fatto della presentazione, a breve, di un disegno di legge ministeriale «sull’autonomia universitaria» e sulla riorganizzazione degli atenei italiani destinato a rimettere in discussione gli assetti vigenti e ad introdurre nuove regole in materia37. Lo stesso Croce, alcuni mesi più tardi, avrebbe manifestato tutta la sua avversione nei riguardi delle università minori, pur mostrandosi scettico riguardo alla possibilità di giungere in tempi brevi, e in forza di un provvedimento di legge, alla loro abolizione. Il 26 gennaio 1921, a questo riguardo, rispondendo ad una serie di interpellanze parlamentari, tra cui quella del senatore Leonardo Bianchi e di altri che sollecitavano l’immediata soppressione degli atenei minori38, il ministro della Pubblica Istruzione affermava: Anche l’altra questione del decentramento dell’amministrazione universitaria, accennata dal senatore Maragliano, e quella delle condizioni delle Università minori, su di che ha parlato l’onor. Bianchi, sono state oggetto di provvidenza da parte mia, coadiuvato da una Commissione di tre valenti insegnanti universitari, che conoscevano tutto il materiale di studi e di proposte accumulato in proposito. […] Dunque presso il Ministero del Tesoro (che forse chiederà modificazioni su alcuni particolari finanziari), è già in esame un altro mio disegno di legge, che chiamerò, tanto per intenderci, e sebbene la parola abbia dato luogo in passato a molte critiche, «dell’autonomia universitaria». L’onor. Bianchi, ricordato il grave peso che recano al bilancio le Università minori poco frequentate, e l’impedimento che fanno al miglioramento delle maggiori, mi ha esortato: – Sopprimetele! –. E’ presto detto. Credo anch’io 34 Ibidem, p. 24. Sulle scelte operate da Benedetto Croce in qualità di ministro della Pubblica Istruzione si vedano: R. Fornaca, Benedetto Croce e la politica scolastica in Italia nel 1920-1921, Roma, Armando, 1968; e G. Tognon, Benedetto Croce alla Minerva. La politica scolastica italiana tra Caporetto e la marcia su Roma, Brescia, La Scuola, 1990, pp. 318-589. Di notevole interesse è anche B. Croce, Discorsi parlamentari, a cura di M. Maggi, Bologna, Il Mulino, 2002. 36 Si vedano le note redatte dallo stesso rettore Gallerani riguardo allo scarso interesse registrato in ambito ministeriale s.d. (ma 1920), in ASCa, Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390. 37 Cfr. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 403-423. 38 AP, Senato del Regno, Sessione 1921, Discussioni, Risposta all’interpellanza del senatore Maragliano sulla politica scolastica del Governo nei riguardi dell’istruzione pubblica, tornata del 26 gennaio 1921. 35 214 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista che converrebbe sopprimerle, e non solo per ragioni di economia, ma anche di serietà scientifica, non essendo possibile che un paese come l’Italia fornisca tanti insegnanti superiori, degni del nome, quanti ne richiederebbe il numero eccessivo delle sue Università39. Pur intimamente persuaso che l’esistenza delle università minori rappresentasse non solamente un inutile spreco di risorse, ma anche la più eloquente testimonianza della scarsa «serietà scientifica» che caratterizzava il sistema universitario italiano, Benedetto Croce, come si è accennato sopra, si mostrava tuttavia poco propenso a ripetere gli errori commessi in passato dai fautori della loro soppressione, preferendo adottare una strategia di lento e progressivo indebolimento di simili strutture, tale da costringerle, «condotte dai fatti stessi», a «domandare la loro trasformazione in scuole o Istituti meglio adatti ai bisogni locali»: Ma che il sopprimere le Università minori, prendendole di fronte, sia cosa quasi disperata per ragioni politiche, è venuto a confessarlo lo stesso onorevole Bianchi, col raccontare come il ministro Martini fosse tutto lieto di aver presentato il disegno di legge di soppressione e come poi dovesse ritirarlo. Io non voglio battere di nuovo a una porta che si sa che non si aprirà: non voglio, col ripetere questi tentativi, mostrarmi tutt’insieme ingenuo e avventato. Ma, se si darà una certa forma di autonomia alle Università, e, come nel mio disegno, si stabilirà che esse possano sotto certe condizioni trasformarsi in altri Istituti, si vedrà forse, dopo alcuni anni, le Università minori condotte dai fatti stessi a domandare la loro trasformazione in scuole o Istituti meglio adatti ai bisogni locali. In altri termini, non ci sarà bisogno di ammazzarle: esse avranno la loro «euthanasia», la loro dolce morte40. Destinata, com’è noto, a non avere seguito, come testimonia il fatto che il più volte richiamato disegno di legge sull’autonomia universitaria non sarebbe mai stato presentato41, la minaccia formulata dal ministro della Pubblica Istruzione suscitò, com’è comprensibile, un vero e proprio allarme negli ambienti maceratesi e marchigiani, specie a seguito della diffusione di una serie di indiscrezioni riguardo ai contenuti e alle misure previste dall’annunciato provvedimento di riforma. Ancora una volta fu «La Provincia Maceratese» a «lanciare un grido d’allarme per la nostra Università», sollecitando non solamente le autorità accademiche, ma anche le istituzioni locali a porre in essere quei «cambiamenti» che apparivano ormai «urgenti e indispensabili», in 39 B. Croce, Discorsi parlamentari, cit., pp. 119-120. Ibidem, p. 121. 41 F. Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 416. 40 215 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista assenza dei quali si sarebbe corso il rischio di giungere in breve tempo alla definitiva soppressione dell’Università di Macerata senza ottenere alcuna contropartita: Il Ministero della P. Istruzione conoscenza – si affermava in un articolo pubblicato il 27 febbraio 1921 – ha fatto approntare un progetto di legge per l’autonomia universitaria, evidentemente ispirato alle attuali ristrettezze finanziarie dello Stato e che, se approvato, segnerebbe la fine del nostro Ateneo. Secondo tale progetto infatti le Università dovrebbero per proprio conto provvedere allo stipendio dei professori mediante il provento delle tasse scolastiche che il Governo all’uopo loro lascerebbe, limitandosi esso per l’avvenire a conservare l’onere delle spese amministrative e degli assegni agli istituti universitari. […] Giungerà il porto il progetto di legge nell’autonomia universitaria? Non sappiamo. Certo, se in Italia fosse un Governo provvido e di polso, le Università, come tutta l’amministrazione dello Stato, nelle attuali difficilissime sue condizioni finanziarie, non dovrebbero rimanere quali sono tuttora, mentre urge imperiosamente sfrondare quanto è d’inutile o non necessario. Merita di essere rilevato, comunque, che il «grido d’allarme» de «La Provincia Maceratese», lungi dal risolversi in una sorta di difesa d’ufficio dell’Ateneo maceratese e in un appello affinché esso fosse conservato quale era, e semmai ulteriormente accresciuto e potenziato, assumeva nel prosieguo i toni e le caratteristiche di una vera e propria requisitoria nei riguardi della locale Facoltà di Giurisprudenza, giudicata obsoleta e inefficiente per più motivi, nonché scarsamente funzionale alla crescita economica e produttiva del territorio maceratese e alle peculiari esigenze del locale mercato del lavoro. Recuperando e rilanciando una proposta già sostenuta un anno prima, l’anonimo estensore dell’articolo, tornava a sollecitare la rapida chiusura della «vetusta Facoltà giuridica», in luogo della quale l’Ateneo maceratese avrebbe dovuto dotarsi di un «Istituto superiore di lingue straniere o Facoltà di Filologia moderna» impostata in modo totalmente differente rispetto a quelle già esistenti nella penisola e specializzata nell’insegnamento delle lingue slave e orientali, la quale, oltre a configurarsi come assai più rispondente «alle attuali necessità civili», era resa opportuna «dalle favorevoli condizioni del momento e dalla tradizione stessa della provincia nostra, dove più che insigni giuristi han veduto la luce filologi insigni da Annibal Caro al Leopardi, dal gesuita Matteo Ricci al gesuita Luigi Lanzi»42. E’ tutt’altro che semplice valutare il grado di consenso riscontrato da tale presa di posizione nell’opinione pubblica locale e verificare se essa rifletteva esclusivamente 42 Civis, Un grido d’allarme per la nostra Università, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 febbraio 1921), 8, pp. 1-2. 216 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista il punto di vista dell’autore, una sorta di «vox clamantis in deserto», come si accennava nell’articolo, o se, viceversa, essa fosse l’espressione di determinati ambienti culturali e politici maceratesi, come la sua pubblicazione sulle colonne de «La Provincia Maceratese» lascerebbe ipotizzare. Quel che è certo è che la netta contrarietà nei riguardi del mantenimento della Facoltà di Giurisprudenza e la richiesta di un radicale ripensamento della tradizionale offerta formativa dell’Università di Macerata erano destinati, nelle settimane seguenti, a trovare ulteriori consensi. Alla fine di marzo di quello stesso anno, infatti, sempre sulle pagine de «La Provincia Maceratese», il consigliere comunale socialista Concetto Machella si faceva a sua volta sostenitore della proposta di abolizione della Facoltà di Giurisprudenza, la quale avrebbe dovuto essere sostituita, com’egli scriveva, da un Istituto Superiore di Agricoltura dotato di moderni laboratori scientifici e di attrezzature sperimentali in grado di fornire un contributo incisivo all’ammodernamento e allo sviluppo delle imprese rurali della regione e di formare una nuova generazione di tecnici e di specialisti nell’innovazione agricola43. In polemica con le «estemporanee e sterili proposte» lanciate dalle colonne de «La Provincia Maceratese»44 prendeva posizione, nei mesi seguenti, l’altro periodico della provincia di Macerata, il settimanale «Chienti e Potenza», il quale esortava le istituzioni universitarie e gli amministratori locali a riprendere il confronto sul progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche predisposto dal rettore Gallerani, cercando di giungere in tempi brevi alla sua attuazione45. In realtà, nelle sedi istituzionali deputate si tornò a parlare del progetto Gallerani solo in occasione dell’adunanza del Consiglio provinciale di Macerata del 14 marzo 192246, allorché sulla delibera relativa ai finanziamenti annuali da assegnare alle due università di Macerata e Camerino si aprì un vivace dibattito, nel corso del quale molti degli intervenuti sottolinearono la necessità di giungere al più presto alla convocazione – costantemente rinviata per tutto il corso dell’anno precedente – della già ricordata assemblea di tutti i consigli provinciali della regione, la quale avrebbe dovuto approvare 43 C. Machella, Per la nostra Università, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 marzo 1921), 12, pp. 1-2. In polemica con la proposta di Machella interveniva nuovamente Civis, Per la nostra Università, «La Provincia Maceratese», XXIII (3 aprile 1921), 13, p. 1, che sollevava talune perplessità riguardo alla possibile realizzazione di tale progetto. 44 Cfr. Il problema universitario di Camerino, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 novembre 1921), n. 41. 45 Cfr. L’Università degli studi, «Chienti e Potenza», XXXVI (9 gennaio 1922), 1, pp. 1-2. 46 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1922, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1923, pp. 23-33. 217 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista in via definitiva il piano di riordinamento del sistema universitario marchigiano e determinarne i criteri e le modalità di attuazione47. Nel momento in cui, sia pure dopo avere accumulato un enorme ritardo, si trattava di dare il via alla convocazione per giungere entro breve ad una decisione definitiva, in seno al Consiglio provinciale iniziavano a manifestarsi una serie di perplessità e riserve riguardo all’attuazione del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Intervenendo nell’adunanza del 14 marzo 1922, ad esempio, il consigliere Milziade Cola, già sindaco del capoluogo provinciale e per lunghi anni, dal 1901 al 1914, autorevole membro della commissione amministrativa del Consorzio universitario maceratese, palesava i suoi dubbi riguardo all’opportunità di dare seguito al progetto Gallerani, sottolineando come esso, pur presentando molteplici aspetti positivi, stanti le forti ristrettezze economiche in cui versavano sia lo Stato sia gli enti locali, non aveva nessuna possibilità di essere attuato: I tempi – notava il consigliere Cola – sono mutati. Una volta si poteva forse intravedere una possibilità di realizzazione. Ora le spese di impianto sono enormemente aumentate: occorrerebbe un contributo dello Stato per molte centinaia di migliaia di lire: ma lo Stato – è risaputo – non dà nulla. In tali condizioni, è possibile sperare nell’attuazione di tale progetto?48. Nel prosieguo del suo intervento, dopo avere ribadito a più riprese come gli enti locali maceratesi, e gli stessi atenei della provincia si fossero prodigati fin dalla presentazione del progetto Gallerani per una sua rapida attuazione, Milziade Cola attribuiva la responsabilità del notevole ritardo accumulato sul piano decisionale all’atteggiamento di netta chiusura costantemente tenuto dall’Università di Urbino, il cui prolungato silenzio sull’iniziativa dimostrava eloquentemente il suo scarso interesse ad aderire alla federazione tra gli atenei marchigiani e, soprattutto, a rimettere in discussione i suoi assetti e la sua offerta formativa. A conferma dell’atteggiamento decisamente contrario al progetto assunto dell’Ateneo urbinate, Cola faceva riferimento ad un vero e proprio veto posto sul 47 Sulle posizioni emerse nel corso del dibattito consiliare si vedano gli ampi resoconti forniti dalla stampa locale: Consiglio provinciale, «La Provincia Maceratese», XXIV (18 marzo 1922), 9, p. 3; e La questione Università Marchigiana al Consiglio Provinciale, «Chienti e Potenza», XXXVI (1 aprile 1922), 7, p. 2. Il Consiglio provinciale di Macerata tornò ad occuparsi del progetto Gallerani anche nelle successive adunanze del 14 marzo e del 31 maggio 1922. Si vedano i relativi verbali in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1922, cit., pp. 26-33 e 39-49. 48 Verbale del’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1922, cit., pp. 23-24. 218 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista progetto Gallerani da quell’Università e fatto pervenire alla commissione tecnica istituita dalla Provincia di Macerata il 18 dicembre 1921. In realtà, di documenti ufficiali attestanti un simile veto (note rettorali, delibere degli organi di governo dell’ateneo, verbali ecc.) non è stata rinvenuta traccia di alcun tipo49, anche se non può escludersi a priori che l’opposizione al progetto da parte dell’Università di Urbino sia stata manifestata in occasione di riunioni o colloqui di carattere informale. L’impressione di fondo tuttavia è che, a prescindere dall’esistenza o meno di un veto da parte dell’Ateneo urbinate, dietro la decisa presa di posizione di Milziade Cola ci fosse la comune volontà dell’università e delle amministrazioni locali maceratesi di addivenire ad una sorta di revisione e di ridimensionamento del progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche, il quale, così com’era formulato, presentava il rischio per i due atenei della provincia, e in primis per quello di Macerata, di vedere stravolta la loro tradizionale offerta formativa senza peraltro – stante l’effettiva mancanza di risorse finanziarie da destinare all’uopo – ottenere concrete forme di compensazione attraverso l’istituzione di nuove facoltà e di ulteriori corsi di laurea50. Non a caso, nella parte conclusiva del suo intervento in Consiglio provinciale, Cola aveva proposto di prendere atto della rinuncia a far parte della federazione degli atenei marchigiani da parte di Urbino e di riformulare il progetto a suo tempo messo a punto dal rettore Giovanni Gallerani con esclusivo riferimento alle due università che operavano nel territorio provinciale, ossia Macerata e Camerino. E che la posizione di Milziade Cola fosse tutt’altro che isolata o estemporanea è testimoniato dalla decisione assunta a maggioranza dal Consiglio provinciale di Macerata, al termine dell’adunanza del 14 marzo 1922, di non deliberare nulla rispetto alla convocazione della più volte ricordata assemblea di tutti i consigli provinciali della regione, la quale avrebbe dovuto 49 Di tale delibera non si fa cenno neppure in F. Marra, L. Schirollo (a cura di), Relazioni dei rettori e discorsi inaugurali dei docenti nella Libera università degli studi di Urbino, 1864-1946, 3 vol., Urbino, Università degli studi di Urbino, 1997. 50 Non a caso, subodorando le riserve anche di Macerata, oltre che di Urbino, Il 20 maggio 1922 il periodico camerte «In cammino», che fin da principio aveva sostenuto a spada tratta il progetto Gallerani, attribuiva in un duro e polemico articolo la responsabilità della débacle «alle altre università marchigiane e agli enti della regione», senza fare però alcun riferimento specifico all’ateneo urbinate. Si veda Questioni universitarie, «In cammino», II (20 maggio 1922), 11, pp. 1-2. Nei mesi precedenti, del resto, con riferimento proprio all’atteggiamento costantemente tenuto in Consiglio provinciale da Milziade Cola nei riguardi del progetto Gallerani, «La Provincia Maceratese» aveva parlato di «acido campanilismo», denunciando l’ambiguo atteggiamento di Cola e la sua esclusiva preoccupazione per il futuro dell’ateneo maceratese. Cfr. Il problema universitario di Camerino, «La Provincia Maceratese», XXIII (27 novembre 1921), 41, pp. 1-2. 219 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista approvare in via definitiva il piano di riordinamento del sistema universitario marchigiano e determinarne i criteri e le modalità di attuazione51. Nei mesi seguenti, in un quadro caratterizzato ormai dal probabile rischio di un rinvio sine die della prospettiva di un riordinamento del sistema universitario regionale, fu proprio Giovanni Gallerani a rilanciare il suo progetto, sia pure in una versione profondamente modificata, e a cercare di coagulare attorno ad esso non solamente il consenso della Provincia e dell’Università di Macerata, ma anche quello degli ambienti professionali e degli enti locali anconetani che, fino a quel momento, erano rimasti ai margini della discussione. Il 18 luglio 1922, rispondendo all’on. Gustavo Fornari, che a nome dell’Associazione Pro-Camerino gli aveva sottoposto un articolato memoriale contenente una serie di proposte di riordinamento della Libera Università di Camerino in grado di assicurarne il rilancio, il rettore Gallerani si mostrava persuaso che, di fronte alle insormontabili difficoltà incontrate dal suo progetto di una riforma a livello regionale del sistema universitario, occorresse ripiegare realisticamente su ipotesi più circoscritte ma concretamente percorribili. Al riguardo, la soluzione più funzionale, come si legge nella risposta inviata all’on. Fornari, era quella che prevedeva il mantenimento a Camerino della Facoltà di Medicina con il relativo corso di laurea quadriennale, l’istituzione di un corso laurea in Chimica-farmaceutica, «conservando il diploma in Farmacia», l’abolizione della Scuola di Veterinaria e, soprattutto, della locale Facoltà di Giurisprudenza, i cui docenti attualmente in servizio avrebbero potuto essere assorbiti dalla vicina Università di Macerata «quale corrispettivo del beneficio che essa trarrebbe dalla soppressione della nostra facoltà di Giurisprudenza»52. Una proposta, come si vede, destinata indubbiamente a ridistribuire in modo razionale le facoltà e i corsi di laurea presenti sul territorio provinciale e a ridisegnare l’offerta formativa dei due atenei evitando inutili doppioni e puntando alla costituzione di un polo esclusivamente medico-scientifico a Camerino e di un unico polo giuridico a Macerata. Una proposta, si potrebbe aggiungere, volta a superare definitivamente tanto le perplessità e i timori manifestati nelle settimane precedenti nel Consiglio provinciale di Macerata, quanto il rigido atteggiamento da sempre tenuto dall’ateneo del capoluogo 51 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 14 marzo 1922, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1922, cit., pp. 27-28. 52 Sia il memoriale predisposto dall’on. Gustavo Fornari (Brevi cenni sulle condizioni finanziarie e per il riordinamento della Libera Università degli studi di Camerino), sia la lettera di risposta inviata dal rettore Giovanni Gallerani il 18 luglio 1922 sono conservati in ASCa., Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 913. 220 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista provinciale nei riguardi di una possibile rinuncia alla facoltà giuridica. E tuttavia, affinché il progetto ottenesse i più larghi consensi e divenisse praticabile anche senza il coinvolgimento degli enti locali e dell’Università di Urbino, era necessario, a detta di Gallerani, che esso suscitasse l’interesse dell’opinione pubblica e dell’amministrazione del capoluogo regionale, ovvero di Ancona, da sempre favorevole alla creazione di un proprio insediamento universitario. Si spiega alla luce di tali valutazioni l’ulteriore proposta formulata due mesi più tardi dallo stesso Gallerani, la quale, lungi dal rimettere in discussione il progetto definito a luglio, ne costituiva viceversa l’opportuna integrazione per favorire la convergenza su di esso dei più larghi e autorevoli consensi in ambito regionale. In occasione del Congresso medico-chirurgico marchigiano, tenutosi ad Ancona dall’11 al 13 settembre 1922, il rettore dell’Università di Camerino presentò una relazione dal titolo Riforma degli Istituti superiori nelle Marche, nella quale ripropose le linee di fondo del suo nuovo piano concernente il riordino degli atenei di Camerino e Macerata, aggiungendovi però una piccola ma estremamente significativa variazione, relativa proprio agli studi di Medicina. In sostanza, il nuovo prospetto di ridistribuzione delle facoltà e dei corsi di laurea predisposto per l’occasione da Gallerani prevedeva che l’Ateneo camerte conservasse la Facoltà di Medicina e il corso quadriennale che consentiva il conseguimento della relativa laurea, ma che una parte dei corsi e delle attività legate alla formazione dei futuri medici potessero essere collocate nelle strutture sanitarie (ospedale, manicomio ecc.) del capoluogo marchigiano: A completamento degli studi di Medicina – affermava al riguardo Gallerani –, se si dovessero mantenere i primi 4 anni a Camerino, che ha il diritto di laurea, potrebbero istituirsi per ora qui in Ancona, corsi di cliniche, prestandosi la presenza di un grande e ben dotato Ospedale, del Manicomio splendido e assai frequentato e di un Ospedale per bambini53. La proposta di Riforma degli Istituti superiori nelle Marche presentata dal rettore Gallerani al Congresso medico-chirurgico di Ancona era destinata a suscitare notevoli consensi54, tanto che da parte delle amministrazioni provinciali e locali di 53 G. Gallerani, Riforma degli Istituti superiori nelle Marche, in Atti del Congresso medico chirurgico marchigiano. Ancona, 11-13 settembre 1922, pubblicati per cura dei professori A. D’Alessandro e R. Fua, Ancona, Stab. Tip. Cooperativo, 1922, p. 16. 54 Si vedano, ad esempio, gli articoli pubblicati sul foglio locale «Chienti e Potenza», il 21 ottobre e il 6 novembre 1922. 221 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Ancona e di Macerata fu espresso un voto unanime affinché fosse costituita al più presto una commissione ad hoc incaricata di predisporre un piano operativo per l’attuazione del progetto di riordinamento dei due atenei che operavano nel territorio maceratese. Tale commissione, in realtà, dopo avere avviato una serie di riunioni preliminari tra la fine del 1922 e i primi mesi dell’anno seguente55, deliberò di sospendere i suoi lavori a seguito dell’annuncio che, da parte del ministero della Pubblica Istruzione, alla cui guida – all’indomani della costituzione del governo presieduto da Benito Mussolini – si era insediato Giovanni Gentile, si stava predisponendo un provvedimento di riforma della scuola che avrebbe interessato anche gli studi superiori e universitari e dettato norme specifiche riguardo all’ordinamento degli atenei italiani56. L’avvento di Giovanni Gentile alla Minerva e i suoi primi pronunciamenti in favore di una drastica riduzione delle sedi universitarie da realizzare attraverso la soppressione degli atenei minori, suscitarono, com’è comprensibile, crescenti preoccupazioni nell’ambiente maceratese e marchigiano, tanto più che, come affermava il ministro inaugurando nell’autunno del 1922 la nuova sessione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, il «sentimento generale e unitario della nazione» imponeva una svolta necessaria e urgente su tale versante, e a nulla sarebbe valso il far riferimento o l’appellarsi a «secoli di tradizioni, buone e cattive, ma tutte legate con la vecchia vita regionale dell’Italia divisa e serva perché divisa» per cercare di ostacolare una simile svolta57. Non sorprende, a questo proposito, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1922-1923, tanto il rettore della Libera Università di Camerino, Giovanni Gallerani, quanto quello dell’Ateneo maceratese, Pio Barsanti, manifestassero il più vivo allarme riguardo all’atteggiamento assunto dal nuovo titolare della Pubblica Istruzione e alla portata dei provvedimenti di riforma dell’università da lui annunciati 58. 55 Per quel che concerne l’operato di tale commissione si vedano i verbali conservati in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 56 Cfr. G. Gentile, Il Fascismo al governo della scuola (novembre ’22-aprile ’24). Discorsi e interviste raccolti e ordinati da Ferruccio E. Boffi, Palermo, Sandron, 1924, pp. 19-24. Sull’avvento di Giovanni Gentile alla guida del ministero della Pubblica Istruzione e sui suoi primi interventi in materia di riordinamento delle università si veda E. Signori, Università e fascismo, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., pp. 381-384. 57 Discorso di S.E. il ministro professor Giovanni Gentile all’inaugurazione della sessione del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, BUMPI (1922), II, pp. 2181-2185. 58 Cfr. Relazione sull’anno accademico 1921-1922 del magnifico rettore Professore Comm. Giovanni Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1922-1923, «Annuario della Università degli Studi di Camerino», 1923, pp. 19-22; e Inaugurazione dell’Anno Accademico 1922-1923. Relazione del Rettore Prof. Pio Barsanti letta nella cerimonia inaugurale del 12 novembre 1922, ANNUARIO (1923), pp. 1314. 222 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Allarme condiviso dall’amministrazione comunale e dal dinamico sindaco di Macerata Ettore Ricci, il quale, preoccupato che si arrivasse a breve alla soppressione dell’Ateneo cittadino, decise di ricorrere direttamente al ministro della Pubblica Istruzione, facendogli pervenire un memoriale riservato tramite l’autorevole deputato del Partito popolare di don Sturzo, Umberto Tupini, eletto nel collegio marchigiano di Ascoli-Macerata. Presentato a Gentile il 13 dicembre 192259, e successivamente dato alle stampe con il titolo La Università Regia del Piceno. MCCXC60, il memoriale predisposto dal sindaco Ettore Ricci conteneva – oltre ad un «Sommario storico della R. Università di Macerata», con le date dei principali avvenimenti che avevano caratterizzato la vita dell’Ateneo, e all’elenco delle più importanti pubblicazioni ad essa dedicate e dei docenti che vi avevano prestato il loro insegnamento nel corso dell’ultimo cinquantennio – un vero e proprio progetto di riforma degli studi superiori e del sistema universitario nelle Marche, il quale, recependo talune delle proposte formulate dal rettore Gallerani e quelle avanzate negli anni precedenti da alcuni studiosi maceratesi 61, mirava non solamente a scongiurare l’eventuale minacciata soppressione dell’Ateneo maceratese, ma anche a rilanciarne l’iniziativa, facendone il perno del riordinamento del sistema universitario marchigiano: Fidenti nella spirituale bontà e giustizia della causa – si affermava in apertura del documento –, abbiamo fatto, oggi, pervenire ed illustrare all’attuale moderatore della Pubblica Istruzione nel nostro Paese, all’illustre professore senatore Giovanni Gentile, il disegno schematico di estensione e riforma degli studi superiori da noi. Esso è il frutto del lungo studio e dell’intenso lavoro di uomini, che tutti chiamiamo maestri. […] Questo grande amore possa anche contribuire, nella sua modestia, alla vita, all’avvenire, alla gloria d’un Istituto più che sei volte secolare, cui è legato non indifferentemente, nei puri campi dello spirito e dello studio, il nome delle Marche dinanzi alla grande Patria comune, all’Italia62. Con riferimento all’originario progetto di Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche e alla più recente proposta di Riforma degli Istituti superiori nelle Marche, entrambi predisposti dal già più volte ricordato rettore dell’Università Libera di Camerino Giovanni Gallerani, il memoriale inviato a Giovanni Gentile dal sindaco di 59 Si veda la ricostruzione offerta in La Università Regia del Piceno, «L’Unione», XXIII (9 maggio 1923), 19, pp. 1-2. 60 Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, Macerata, Stab. Tip. Affede, 1923. 61 Si vedano l’ampio materiale raccolto per la predisposizione del memoriale e una copia manoscritta del medesimo in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1931-1940, b. 3475. 62 Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit., p. 3. 223 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Macerata manifestava un generico apprezzamento, pur lasciando intendere che si trattava di iniziative le quali, ancorché guardate con «profondo senso di rispetto» e «con serena simpatia», apparivano ben lungi dal corrispondere alle effettive attese ed ai bisogni propri dell’antico e glorioso ateneo regio e della stessa comunità cittadina: Macerata e il suo Studio – veniva sottolineato al riguardo – non hanno mai avuto intenzione, né colto occasione per prendere posizione contro questi disegni di riforma degli Studii superiori nella Regione, perché tutti rispettavano i loro diritti e i loro istituti, sei volte secolari, e per il profondo senso di rispetto e fratellanza regionale, cui Città e Università hanno sempre inspirato ogni loro atto; anzi, hanno considerato e studiato tali disegni con serena simpatia e piena lealtà63. E tuttavia, ben altra era l’ambizione che da tempo nutrivano la città di Macerata e il suo Studio, quella di vedere affiancato all’antica e prestigiosa facoltà giuridica anche un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la conoscenza e la penetrazione del Levante, dalle coste orientali Adriatiche (Dalmato-Epirote) al Mar di Levante, al mare Eritreo, alla Somalia-Benadir». Quest’ultima, lungi dal riproporre il tradizionale modello delle facoltà universitarie di lingue straniere già attive nella penisola, avrebbe dovuto essere impostata sulla base di un’organizzazione degli studi del tutto originale, al fine di caratterizzarsi come una «scuola viva, richiesta dai tempi, dalla necessità assoluta, per gli Italiani, specie del versante Adriatico-medio (di cui il Piceno, con la articolazione costiera del Cònero è il centro geografico vero), di espansione o penetrazione, ad un tempo culturale o spirituale e commerciale, nel Levante prossimo, Europeo (balcanico), Asiatico (pontico anatolico, ecc.), Africano (libico-eritreosomalo)»; un vero e proprio «centro di irradiazione verso il Levante», ma anche un «centro di attrazione dal Levante» in grado di valorizzare il ruolo di anello di congiunzione tra Europa occidentale e orientale e di collegamento tra i paesi delle diverse sponde dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale da secoli esercitato dalle Marche64. Infine, una volta realizzato il potenziamento degli studi giuridico-economici (la Facoltà di Giurisprudenza) e la creazione ex novo di un secondo polo didatticoscientifico incentrato sulle lingue e sulle culture dell’Europa balcanica e delle aree medio-orientale e africana, l’Ateneo maceratese avrebbe potuto costituirsi come «Università Regia del Piceno», divenendo di fatto un vero e proprio ateneo regionale, al 63 64 Ibidem, p. 4. Ibidem, pp. 11-12. 224 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista di là della realizzazione o meno delle ipotizzate federazioni e aggregazioni con le università libere esistenti sul territorio marchigiano65. Nel memoriale trasmesso nel dicembre 1922 dal sindaco di Macerata Ettore Ricci al ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, accanto alla descrizione particolareggiata dell’organizzazione amministrativa, delle strutture didattiche e scientifiche e delle risorse umane che avrebbero dovuto caratterizzare la prospettata «Università Regia del Piceno»66, era presentato un altrettanto analitico piano economico-finanziario, in base al quale le risorse annuali necessarie a garantire una «dignitosa esistenza» al nuovo polo universitario maceratese ammontavano complessivamente a circa 350.000 lire. Tale cifra sarebbe stata ripartita tra lo Stato – la cui quota parte sarebbe rimasta invariata rispetto a quella assegnata all’Università di Macerata nell’anno accademico 1921-1922 per la copertura degli emolumenti al personale docente e non docente, ovvero 188.000 lire – e un complesso di enti e istituti di carattere pubblico e privato operanti sul territorio regionale, i quali, attraverso quote differenziate, si sarebbero fatti carico ogni anno delle rimanenti 162.000 lire. Tra questi ultimi, destinati a «beneficiare a vario titolo» e in diverso modo del nuovo assetto organizzativo e scientifico-didattico conferito all’Università di Macerata, il memoriale fatto pervenire al ministro Gentile annoverava: Il Comune di Macerata, la Provincia di Macerata e il Consorzio in primo luogo; le altre 3 provincie Marchigiane, in virtù dei reciproci aiuti che si dovrebbero dare per le Università libere di Camerino e di Urbino (anche esse da rinnovare), in secondo luogo; i Comuni della Provincia di Macerata, in terzo luogo; gli Istituti di Credito, fiorentissimi in Macerata e Provincia, le Camere di Commercio della Regione, altri enti interessati ed i privati, infine. L’«Università Regia del Piceno», costituita quale polo universitario statale delle Marche in virtù del riordinamento e sviluppo dell’antico Ateneo maceratese, sarebbe stata dunque sostenuta economicamente in larga misura dagli enti e dalle istituzioni del territorio regionale destinati a beneficiare in larga misura della sua presenza e del suo operato. Lo Stato, oltre a continuare ad erogare il finanziamento annuo attribuito fino a quel momento all’Università di Macerata, avrebbe dovuto fornire alla rinnovata istituzione a forte vocazione internazionale un «aiuto morale» consistente in pratica nell’agevolare i necessari soggiorni di studio all’estero agli studenti, garantendo loro la 65 66 Ibidem, pp. 9-10. Ibidem, pp. 13-21. 225 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista possibilità di essere ospitati «a titolo gratuito, per le traversate e i viaggi marittimi, sulle Regie Navi, che si recano, per servizi statali, nei suddetti paesi e negli scali levantini; e farli accettare ad egual titolo […] sulle navi delle Compagnie marittime Nazionali sovvenzionate»67. Un simile progetto, come sottolineava nella parte conclusiva del memoriale fatto pervenire al ministro della Pubblica Istruzione il sindaco di Macerata Ettore Ricci, presentava indubbi vantaggi e nessuna evidente controindicazione: 1. utilissimo, per la Collettività nazionale, che deve rivolgere, per la sua vita prossima avvenire, necessariamente, le più fattive e giovani delle sue energie al Levante Mediterraneo ed Eritreo; 2. di facile attuazione, sotto l’aspetto finanziario, per virtù dei contributi locali o regionali; 3. di nessun aggravio per lo Stato68. Come si è già ricordato, a perorare la causa dell’Università di Macerata presso il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile fu l’on. Umberto Tupini. Il ministro, in una lettera inviata allo stesso Tupini il 2 gennaio 1923 diede ampie assicurazioni circa la sua volontà di tenere in debito conto la proposta e di farla «oggetto di accurato esame il giorno in cui dovrò accingermi allo studio della riforma delle Università e degli studi universitari»69. In quelle stesse settimane, al fine di scongiurare un’eventuale soppressione e di bloccare ogni proposta di trasformazione o declassamento dell’Ateneo maceratese da parte del ministero della Pubblica Istruzione, d’intesa con la commissione amministrativa del Consorzio universitario70, anche il rettore Pio Barsanti predispose un proprio Memoriale volto a documentare l’operato dell’Università di Macerata e l’elevata qualità scientifica dell’insegnamento in esso impartito, contenente una serie di motivazioni atte a dimostrare l’importanza e la validità scientifica dell’Ateneo che, proprio alla luce delle dettagliate spiegazioni offerte nel Memoriale, era meritevole di sopravvivere anche negli anni futuri. Nel documento, che il 20 gennaio fece pervenire a Giovanni Gentile, il rettore precisava, tra l’altro: 67 Ibidem, pp. 22-23. Ibidem, pp. 23-24. 69 Si veda la lettera inviata dal ministro Giovanni Gentile all’on. Umberto Tupini, datata 2 gennaio 1923, in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 70 Verbale dell’adunanza della commissione amministrativa del Consorzio del 4 gennaio 1923, in ASMc, Università, Commissione amministrativa Consorzio, Verbali delle adunanze, reg. n. 546. 68 226 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Da più e diverse parti anche autorevoli, raccolgo la voce che questo Ateneo Maceratese corra pericolo di essere soppresso; e tale voce è accreditata da un lato dall’accampato proposito di un nuovo ordinamento degli studi universitari, e dall’altro dalla urgente necessità di provvedere al deficit del bilancio dello Stato mediante i pieni poteri, di cui ora è investito il Governo. A presentare alla Vostra Superiore Autorità le ragioni che a suo avviso militano a favore della conservazione di questa Università ne conforta la fiducia che il Governo stesso prima di risolvere un tale problema desideri e voglia avere presenti tutte le considerazioni che si possono addurre in proposito. Per contrastare le argomentazioni dei sostenitori di un’eventuale soppressione del piccolo ateneo marchigiano, il rettore Barsanti indicava quattro diverse «ragioni» che, a suo avviso, giustificavano e, anzi, rendevano opportuno non solamente il mantenimento in vita, ma addirittura la valorizzazione e il potenziamento di un’Università come quella di Macerata. Vi era innanzi tutto una motivazione legata alla storia, ovvero al vetusto e glorioso passato dell’Ateneo, la quale finiva per riflettersi sulla stessa «psicologia collettiva», dal momento che una sua eventuale soppressione avrebbe suscitato, di fatto, una sorta di trauma nelle popolazioni maceratesi e marchigiane, le quali si sarebbero sentite «fortemente menomate nella loro vita civile perdendo il massimo Istituto d’istruzione e vedendo d’un tratto messi nel nulla, insieme coi molti e gravi sacrifici fatti per secoli per il mantenimento e la prosperità del loro Ateneo, i benefici di cultura che da esso derivano». Alle «ragioni storiche», Pio Barsanti faceva seguire i rilievi di carattere «giuridico», in base ai quali, egli notava, con un’eventuale soppressione dell’Ateneo quando era ancora in vigore la Convenzione a suo tempo sottoscritta dallo Stato con gli enti locali maceratesi, la quale sarebbe giunta alla sua naturale scadenza solo nel 1930, si sarebbe perpetrata un’incomprensibile e del tutto ingiustificata illegittimità, alla quale né l’ateneo né gli enti sottoscrittori della Convenzione, fra l’altro ratificata dal voto parlamentare e sancita da un regio decreto, avrebbero potuto sottostare pacificamente, senza cioè opporre legittimo ricorso. A questo proposito, il rettore dell’Ateneo poneva abilmente una serie di quesiti circa le eventuali conseguenze legali di un provvedimento che dai più sarebbe stato riguardato, senz’alcun dubbio, come un vero e proprio «atto d’imperio», difficilmente giustificabile sotto il profilo giuridico: Lo Stato – scriveva Barsanti – non verrebbe così a ferire il principio su cui si fondano le convenzioni annullando di un tratto un patto liberamente da esso assunto? E se anche ciò facesse per atto 227 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista d’imperio, non sussisterebbe forse il diritto di indennizzo per inadempimento dell’obbligo assuntosi? E inoltre non rimarrebbe allo Stato l’obbligo di restituire all’Università tutto quanto il patrimonio ad essa spettante che fu in altri tempi incamerato?71. Nel prosieguo, il Memoriale inviato al ministro della Pubblica Istruzione Gentile si soffermava su quelle che il rettore Barsanti indicava come le «ragioni morali» in base alle quali si rendeva opportuno salvaguardare e, anzi, sostenere con ulteriori mezzi e risorse l’esistenza e l’operato dell’Università di Macerata: in primo luogo il fatto che essa costituiva l’unico ateneo regio delle Marche e delle regioni adriatiche centromeridionali, collocato in una posizione centrale all’interno della regione e prossimo ad uno sbocco marittimo strategico per i rapporti con i Balcani e con i paesi del bacino mediorientale72. In secondo luogo, veniva posto l’accento sulle condizioni ottimali di studio offerte dall’università marchigiana, una sede tranquilla nella quale non era dato di riscontrare l’affollamento dei grandi atenei e, di conseguenza, la vera e propria spersonalizzazione dei rapporti tra professori e studenti caratteristica delle sedi universitarie maggiori; un ateneo, quello maceratese, da sempre caratterizzato dall’approdo, in qualità di docenti, di giovani studiosi di alto profilo, provenienti dalle migliori scuole di diritto della penisola, che nella sede marchigiana facevano il loro tirocinio accademico con entusiasmo, dedicando particolare attenzione sia allo studio sia all’attività didattica e alla formazione scientifica e professionale degli allievi: In riguardo agli insegnanti – precisava il rettore Barsanti – essa [l’Università di Macerata] costituì e costituisce ancora un vivaio di professori che qui iniziano la loro carriera di scrittori e di docenti, lavorando senza distrazioni per la scienza e per la scuola; e più tardi, dopo un tale preparazione, portano altrove in centri più larghi il frutto del loro sapere e delle loro attitudini scientifiche e didattiche. […] E nel riguardo dei discepoli essa, sia per disciplina, sia per il profitto, nulla lasciò e lascia desiderare; 71 [P. Barsanti], Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 72 Anche nel Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione redatto da Pio Barsanti veniva, dunque, sottolineata, come già nel progetto di riordinamento delle università marchigiane predisposto nel 1919 dal rettore Giovanni Gallerani, la necessità di stabilire un diretto collegamento con le popolazioni dell’altra sponda dell’Adriatico. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che in quello stesso periodo l’Università di Macerata fu invitata a partecipare alle riunioni romane del neonato Istituto interuniversitario italiano, il quale, presieduto dallo stesso Giovanni Gentile, si proponeva di «costituire corsi di cultura superiore per stranieri in Italia, di coordinare quelli già esistenti, di promuovere all’Estero la conoscenza della nostra attività accademica e in genere culturale, infine di facilitare anche con Borse di studio la iscrizione e la frequenza di studenti stranieri nelle nostre Scuole Superiori e nelle Università». Sulla partecipazione dell’ateneo maceratese all’attività dell’Istituto si veda la documentazione conservata in ASMc, Università, Miscellanea, Istituto interuniversitario italiano, b. 713. 228 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista il loro profitto sarebbe facile dimostrare, mettendo in rilievo la posizione sociale dei giovani che in questo Ateneo istruiti e educati hanno saputo più tardi prendere nelle professioni e nei pubblici uffici. Tra le ragioni di natura «economica» che, a detta del rettore dell’Università di Macerata, avrebbero dovuto persuadere definitivamente il ministero della Pubblica Istruzione riguardo alla bontà del progetto vi era, infine, la totale assenza di ulteriori oneri a carico dello Stato73. L’11 febbraio 1923, poche settimane dopo l’invio da parte del prof. Pio Barsanti del sopra ricordato Memoriale al ministro Gentile (20 gennaio), si tenne l’annunciata assemblea dei rappresentanti degli enti locali e degli atenei della regione marchigiana convocata dalla commissione istituita in occasione del Congresso medico-chirurgico svoltosi ad Ancona nel settembre dell’anno precedente per discutere della proposta di riordinamento degli studi superiori nelle Marche avanzata dal rettore dell’Ateneo camerte Giovanni Gallerani. Nel corso dell’incontro, al quale avevano aderito anche i parlamentari eletti nei collegi della regione, lo stesso Gallerani sollecitò i presenti ad abbandonare ogni remora e a procedere speditamente sulla via dell’autoregolamentazione e dell’adozione di misure di riordinamento condivise e ispirate a criteri di salvaguardia e di valorizzazione delle peculiarità regionali, anticipando i provvedimenti di riforma universitaria annunciati dal governo, i quali, egli notava, rischiavano di penalizzare duramente il sistema d’istruzione superiore marchigiano. Di fronte ai rischi insiti in un riordinamento ispirato da criteri essenzialmente economicistici e dettato dall’alto, egli sottolineava, le Marche debbono trovarsi preparate per mantenere vive le tradizioni dei propri centri di cultura e per svilupparli secondo le necessità, abolendo le facoltà duplicate o triplicate nella regione e completando quelle mancanti. Proprio la questione del destino delle facoltà e dei corsi di laurea presenti in diverse sedi universitarie avrebbe suscitato una vivace discussione tra i partecipanti all’assemblea e fatto emergere indirizzi e atteggiamenti invero poco conciliabili, stante la strenua difesa degli interessi locali e provinciali operata dai rappresentanti delle amministrazioni provinciali e cittadine e dei rispettivi atenei. Tant’è che, a fronte della riproposizione da parte del rettore Gallerani delle linee del progetto di riordinamento già 73 Memoriale a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, cit. 229 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista a suo tempo presentato al Congresso medico-chirurgico di Ancona del settembre 1922, l’assemblea si concluse senza l’approvazione di alcun provvedimento, ma con la sola deliberazione di costituire una commissione di 7 membri (4 rappresentanti dei consigli provinciali e 3 scelti tra i corpi accademici degli atenei della regione) alla quale venne assegnato il compito di predisporre un nuovo piano di riordinamento e di valorizzazione del sistema universitario marchigiano74. Ancora una volta, dunque, i tentativi di approdare ad una soluzione condivisa tra atenei ed enti locali per un riordinamento degli assetti universitari regionali erano destinati ad essere vanificati. A Macerata, peraltro, le notizie relative all’imminente varo di una serie di drastici provvedimenti nei riguardi delle università minori da parte del ministro Gentile avrebbero rinfocolato le polemiche e riacceso i timori circa l’eventuale soppressione dell’Ateneo maceratese. A lanciare l’allarme, questa volta, fu il periodico maceratese «L’Unione», sulle cui pagine trovarono accoglienza una serie di articoli dedicati alla questione universitaria, il primo, intitolato Per la R. Università di Macerata e firmato con uno pseudonimo, vide la luce nel maggio 1923. In esso, l’autore ripercorreva le vicissitudini che avevano contrassegnato la vicenda dell’Ateneo maceratese nella fase postunitaria, sottolineando come, a fronte della vera e propria latitanza e dello sprezzante disinteresse costantemente manifestati dal governo centrale, l’Università aveva potuto sopravvivere e continuare a svolgere la sua preziosa attività scientifica e formativa in virtù del costante e decisivo apporto degli enti locali. Di qui la necessità, a detta dell’articolista de «L’Unione», che gli stessi enti locali si facessero promotori di una vigorosa iniziativa nei riguardi del ministero della Pubblica Istruzione e dello stesso governo nazionale, sollecitando quell’attenzione e quel sostegno che, anche a causa dell’oggettiva debolezza da sempre manifestata dalle classi dirigenti locali, in passato erano sempre mancati: Oggi il problema conviene affrontarlo energicamente. Il primo magistrato della città ha l’obbligo di chiamare i cittadini di ogni partito per escogitare i mezzi che occorrono per la salvezza dell’istituto più grande e più onorifico che la città vanti. Conviene indagare il pensiero del Ministro della Pubblica Istruzione e prospettargli anche la convenienza di istituire in Macerata una completa Università. Non bisogna farsi piccoli, troppo piccoli, come purtroppo è il vezzo dei dirigenti maceratesi!75. 74 Cfr. La riforma degli Studi superiori nelle Marche, «Chienti e Potenza», XXXVII (23 febbraio 1923), 5, pp. 1-2. 75 Civis, Per la R. Università di Macerata, «L’Unione», XXIII (23 maggio 1923), 21, p. 1. 230 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Nelle settimane seguenti. «L’Unione» tornava nuovamente a parlare dell’Università di Macerata, questa volta pubblicando due articoli, uno nel fascicolo del 6 e l’altro in quello del 20 giugno, entrambi firmati dal prof. Alberto Zorli, ordinario di Scienza delle finanze e decano dell’Ateneo. Nel primo dei due articoli, Zorli poneva l’accento sulla condizione di estrema precarietà che da sempre caratterizzava l’operato delle università minori in Italia, fornendo una serie di ragioni che, a suo avviso, rendevano non solo auspicabile, ma anche per certi versi necessario assicurarne la stabilità e garantire il loro effettivo sviluppo. Tali atenei, notava in primo luogo lo studioso, gravavano solo assai parzialmente sull’erario che, sovente, come nel caso maceratese, elargiva un contributo economico di gran lunga inferiore al valore dei beni incamerati nel corso degli anni. Essi, inoltre, ubicati generalmente nei piccoli centri, dove il costo della vita era assai più contenuto che nelle grandi città, rendevano possibile anche alle famiglie meno abbienti di far continuare gli studi ai propri figli fino al raggiungimento del traguardo della laurea per i migliori di loro, operando come un formidabile strumento di riequilibrio delle possibilità di carriera e di ascesa sociale per la gioventù più dotata proveniente dai ceti meno abbienti, la quale peraltro trovava nelle piccole città di provincia un ambiente tranquillo e particolarmente adatto per lo studio, lontano cioè dalle innumerevoli distrazioni dei grandi centri. Infine, sottolineava ancora Alberto Zorli, occorreva tenere presente che gli atenei di provincia come quello Macerata rappresentavano un vero e proprio «semenzaio dei professori», un luogo cioè dove gli studenti potevano ricevere una formazione rigorosa da parte di docenti giovani ed entusiasti, all’inizio della propria carriera, la cui passione ancora intatta per lo studio e per la ricerca scientifica era destinata inevitabilmente a riverberarsi nella didattica e nella cura degli allievi, con indubbi vantaggi ai fini di una formazione universitaria delle giovani generazioni all’insegna del rigore e della qualità76. Nell’altro articolo apparso su «L’Unione» il 20 giugno 1923, e significativamente intitolato Per la R. Università, il decano dell’Ateneo maceratese non rinunciava, peraltro, a dire la sua riguardo alla ventilata ipotesi di soppressione, da parte del governo, delle università minori, sottolineando come, in un quadro segnato dalla necessità di apportare tagli consistenti alle spese per la pubblica amministrazione, non c’era da dubitare che l’Università di Macerata, stante la sua peculiare caratterizzazione 76 A. Zorli, La questione universitaria, «L’Unione», XXIII (6 giugno 1923), 23, p. 1. 231 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista di istituto dotato di una sola facoltà, sarebbe stata tra quelle che rischiavano la «chiusura» vera e propria o, nella migliore delle ipotesi, il declassamento a «libera università», a totale carico dei privati. Oltre a ribadire la sua totale contrarietà nei riguardi di un provvedimento ministeriale che, come già ribadito nell’articolo precedente, rischiava di danneggiare fortemente il sistema universitario nazionale, senza peraltro apportare effettivi vantaggi al pubblico erario, Alberto Zorli manifestava forti perplessità nei riguardi del già ricordato progetto, sottoposto nel dicembre 1922 al ministro Gentile dal sindaco di Macerata Ettore Ricci, di istituire presso l’Università di Macerata, accanto alla già esistente Facoltà giuridica, anche un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la conoscenza e la penetrazione del Levante, dalle coste orientali Adriatiche (DalmatoEpirote) al Mar di Levante, al mare Eritreo, alla Somalia-Benadir»77. Apprezzabile in se stessa e sostenuta da solide argomentazioni culturali e politiche, come riconosceva lo stesso Zorli, la proposta avanzata dal sindaco di Macerata al ministro della Pubblica Istruzione aveva, tuttavia, il limite di essere intempestiva e gravemente inopportuna, ovvero di giungere nel momento in cui non di potenziamento delle facoltà universitarie si discuteva, ma della soppressione delle sedi minori, nonché di fornire solidi argomenti a tutti coloro che intendevano rimettere in discussione l’esistente, ossia la Facoltà di Giurisprudenza e il regime convenzionale in vigore che vedeva lo Stato coinvolto assieme agli enti locali a sostegno della «Regia Università di Macerata». Sotto questo profilo, precisava il decano dell’Ateneo, ancorché affascinante e d’indubbio valore in senso astratto, l’ipotesi dell’«Istituto Levantino» rischiava di rivelarsi «un coltello a due tagli» in quanto se per certi versi poteva determinare il potenziamento e il vero e proprio rilancio dell’Università Macerata, per altri rischiava di mettere in crisi l’intero sistema universitario maceratese e, in particolare, di subordinare l’eventuale sopravvivenza della Facoltà giuridica alla costituzione del nuovo Istituto o, peggio ancora, di porre quest’ultimo in alternativa all’esistenza della prima: Se il Governo rispondesse: conservo in tutti i modi l’Università di Macerata rispettando l’attuale convenzione, ed invito le Autorità ed Enti locali di credito a formulare un progetto concreto per attuare l’Istituto Levantino, ciò vorrebbe dire che il progetto Ricci ha pesato sulla bilancia del Governo per conservare l’Università. Ma, ripeto, se mettesse come condizione alla conservazione dell’Università il 77 Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit., pp. 11-12. 232 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista sorgere o affermarsi di detto Istituto, sarebbe un grave pericolo pel nostro maggiore Istituto, essendo difficile, in poco tempo od in un limite fissato dal Governo, attuare detto progetto78. Nella conclusione del suo articolo, comunque, Alberto Zorli non mancava di manifestare un cauto ottimismo riguardo all’effettiva natura degli annunciati provvedimenti di riforma del governo relativi all’istruzione superiore e, in particolare, all’ipotesi da più parti ventilata della immediata soppressione delle università minori. Al riguardo, il decano dell’Ateneo maceratese richiamava il discorso tenuto poche settimane prima, il 1° giugno 192379, all’Università di Padova da Benito Mussolini, nel corso del quale il presidente del Consiglio, pur senza entrare nei contenuti specifici dell’imminente riforma della scuola e dell’università, aveva lanciato segnali rassicuranti al mondo accademico italiano: Il Governo, che ho l’onore di rappresentare – aveva affermato Mussolini –, ha in sommo apprezzamento le Università. Il Governo conta sulle Università, perché anche le Università sono dei punti fermi e gloriosi nella vita dei popoli. […] Il Governo farà tutto il possibile per le Università italiane. Il Governo comprende la loro enorme importanza storica, rispetta le loro nobilissime tradizioni, vuole portarle all’altezza delle necessità moderne. […] Come potrebbe un Governo di combattenti avere in dispregio le Università? Ciò sarebbe non solo assurdo ma delittuoso80. Ed invero, le rassicurazioni fornite dal capo del governo a Padova erano destinate a trovare conferma nel provvedimento sulla riforma universitaria emanato, qualche mese più tardi, dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile il quale, lungi dal procedere alla soppressione tout court delle università minori e dei piccoli atenei di provincia, procedeva, com’è noto, ad un organico e incisivo riassetto dell’istruzione superiore nella penisola. Con il R.D. 30 settembre 1923, n. 210281, infatti, il ministro poneva mano al riordinamento del sistema universitario, introducendo 78 A. Zorli, Per la R. Università, «L’Unione», XXIII (20 giugno 1923), 25, pp. 1-2. Nell’articolo Alberto Zorli datava erroneamente il discorso pronunciato da Mussolini a Padova al 1° maggio 1923. In realtà l’intervento del capo del governo di fronte agli studenti e al corpo docente dell’ateneo patavino si tenne il 1° giugno 1923, in occasione dell’inaugurazione della Fiera campionaria. 80 Il discorso è pubblicato in Scritti e discorsi di Benito Mussolini. L’inizio della nuova politica (28 ottobre 1922 I - 31 dicembre 1923 II E.F.), Milano, Hoepli, 1934, 3 voll., III, pp. 105-108. 81 R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento dell’istruzione superiore, in GU, 11 ottobre 1923, n. 239; edito anche in «Leggi e decreti», 7 (1923), p. 6028 e ss. 79 233 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista profonde modifiche agli istituti e alle norme vigenti e ridefinendo caratteristiche e finalità dell’istruzione superiore e della formazione universitaria82. Per quello che qui interessa, merita di essere ricordato che la riforma del 1923, pur confermando l’assetto policentrico del sistema universitario nazionale, introduceva una sorta di gerarchia tra gli atenei della penisola, suddividendo le università sulla base di tre distinte tipologie corrispondenti alla natura del contributo finanziario ad esse assegnato annualmente dallo Stato. A questo riguardo, tra le università statali di tipo A, interamente a carico del bilancio dello Stato, erano annoverate quelle di Bologna, Cagliari, Genova, Napoli, Padova, Palermo, Pavia, Pisa, Roma e Torino, nonché la Scuola di Architettura di Roma; tra le università statali di tipo B, solo in parte sostenute finanziariamente dallo Stato, e per il cui sostentamento avrebbero dovuto essere stipulate apposite convenzioni economiche tra il governo e gli enti locali, erano collocate quelle di Catania, Firenze, Macerata, Messina, Milano, Modena, Parma, Sassari, Siena e la neo costituita Università di Bari83, nonché la Scuola di Chimica industriale di Bologna, la Scuola di Ingegneria navale di Genova e le Scuole di Ingegneria di Milano e di Torino84; in ultimo, tra gli atenei di tipo C figuravano le cosiddette «università libere», ovvero le istituzioni di carattere privato (nel provvedimento predisposto da Gentile vi figuravano gli atenei di Camerino, Ferrara, Perugia85 e Urbino86), per le quali non era previsto l’intervento finanziario statale, e che, 82 Sulla riforma universitaria predisposta da Giovanni Gentile si vedano: M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981; G. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, in Porciani (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, cit., pp. 313-377; M.C. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Roma, Studium, 1992; Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., pp. 428-488; M. Moretti, Scuola e università nei documenti parlamentari gentiliani, in Senato della Repubblica, Giovanni Gentile, filosofo italiano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 77108; Signori, Università e fascismo, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., pp. 381-423. 83 Sulle origini e i primi sviluppi dell’Università di Bari si veda ora E. Bosna, Storia dell’Università di Bari, Bari, Cacucci, 2000. 84 Nell’elenco erano comprese anche le neonate Università degli Studi di Firenze e di Milano che, di fatto, furono attivate rispettivamente il 1° ottobre 1924, dalle ceneri dell’Istituto di studi superiori di Firenze, e il 28 agosto 1924. Cfr. S. Rogari, Università degli Studi di Firenze, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., III, pp. 183-192; N. Del Corno, Università degli Studi di Milano, ivi, pp. 425-434. 85 L’Università di Perugia fu annoverata tra gli atenei di tipo B in virtù del R.D. 29 ottobre 1925. Cfr. C. Frova, Università degli Studi di Perugia, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., III, pp. 133-164. 86 A questi quattro atenei liberi si sarebbe aggiunta, di lì a poco, anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ottenne il riconoscimento giuridico grazie al R.D. 2 ottobre 1924. Cfr. G. Rumi, Padre Gemelli e l’Università Cattolica, «Storia contemporanea», 2 (1971), 4, pp. 875-903; M. Bocci, L’Università Cattolica: il progetto di padre Gemelli, «Annali di storia moderna e contemporanea», 8 234 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista ai sensi dell’art. 112 del R.D. 30 settembre 1923, potevano essere soppresse qualora «l’insegnamento in esse impartito non [fosse] sostanzialmente informato al rispetto delle istituzioni e dei principi che governano l’ordine sociale dello Stato»87. Al riguardo, se era senz’altro vero che il testo della riforma universitaria varato nel 1923 smentiva tutte le ipotesi formulate nei mesi precedenti di una drastica e repentina riduzione del numero degli atenei italiani attraverso la soppressione di quelli minori e di quelle sedi che non disponevano di tutte le facoltà, era altrettanto vero che la collocazione nella fascia B di una parte significativa delle università più piccole e decentrate poneva non pochi problemi in ordine al loro futuro sostentamento economico e alla possibilità di integrare con risorse locali il limitato contributo messo a disposizione annualmente dallo Stato. Sotto questo profilo, la scelta operata dal ministro Gentile di recuperare, accentuandola, la distinzione già introdotta da Carlo Matteucci all’indomani dell’Unità tra atenei di prima e di seconda classe88, lungi dal rappresentare una vera e propria inversione di tendenza rispetto alla linea abolizionista più volte sostenuta in passato dal gruppo neoidealista, si limitava opportunisticamente a creare le condizioni affinché i piccoli atenei s’incamminassero autonomamente verso un lento, quanto inesorabile declino. Non era questa, del resto, la soluzione che aveva auspicato, qualche anno prima, l’allora ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce, allorché, come ha ricordato Floriana Colao, si era detto convinto che occorresse creare le condizioni per addivenire ad una vera e propria «eutanasia» degli atenei minori?89. E che tale fosse la strategia ministeriale, lo lasciava intendere lo stesso Gentile, allorché, presentando nel novembre 1923 di fronte al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione le linee del provvedimento di riforma universitaria, così si esprimeva: «Io non ho soppresso per decisioni violente, che avrebbe suscitato la ribellione di legittimi sentimenti locali, nessuna università. Ma quelle [le Università di Stato] ho divise in due classi: università a carico dello Stato, e università al cui mantenimento lo Stato concorre con un contributo»90. (2002), pp. 9-30; e i contributi raccolti in M. Bocci (a cura di), Storia dell'Università cattolica del Sacro Cuore. VI. Agostino Gemelli e il suo tempo, Milano, Vita e Pensiero, 2009. 87 Cfr. R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, Ordinamento dell’istruzione superiore, art. 112. 88 Cfr. Polenghi, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1848-1876), cit., pp. 240263. 89 Colao, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), cit., p. 461. 90 G. Gentile, La riforma della scuola. Discorso tenuto il 15 novembre 1923 al Consiglio Superiore della P.I., Bari, Laterza, 1924, p. 28. Lo stesso Gentile, qualche anno più tardi, avrebbe ribadito che uno dei 235 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista La linea del lento e costante ridimensionamento per mancanza di risorse fino all’inevitabile soppressione che aveva ispirato l’atteggiamento di Benedetto Croce e che sembrava ora caratterizzare la riforma universitaria di Giovanni Gentile, con il suo richiamo all’«interesse generale degli studi», in virtù del quale era giocoforza ridurre il numero degli atenei e qualificare ulteriormente quei pochi che apparivano in grado di rilanciare l’istruzione superiore e di porre le basi per «un ordinamento saldo, razionale e coerente, indirizzato al rinvigorimento del pensiero, del carattere e della cultura italiana»91, era destinata, tuttavia, a trovare un formidabile ostacolo nell’atteggiamento delle amministrazioni locali e delle élites urbane, tutt’altro che disponibili – come nel caso di Macerata – ad assecondare la logica della lenta «eutanasia» dei rispettivi atenei, la cui sopravvivenza veniva riguardata come essenziale non solamente per ragioni di prestigio e di salvaguardia dell’identità e delle tradizioni culturali cittadine, ma anche ai fini del mantenimento dei notevoli vantaggi economici che la presenza dell’istituzione universitaria assicurava alle rispettive sedi. Non a caso, le disposizioni ministeriali relative alla caratterizzazione degli atenei di tipo B, ossia quelli sostenuti finanziariamente sulla base di un regime convenzionale tra lo Stato e gli enti locali, apparivano particolarmente rigorose e, come lo stesso Gentile raccomandava al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, si rendeva indispensabile che gli schemi di convenzione proposti dai relativi atenei all’approvazione del governo fossero autenticamente rispondenti ai «fini dell’istruzione superiore»92. Il R.D. 30 settembre 1923, infatti, sanciva l’obbligatorietà per le università annoverate nel gruppo B di presentare, entro il mese di febbraio del 1924, lo schema dello statuto che intendevano adottare e un allegato piano finanziario adeguato al raggiungimento dei fini prefissi. Qualora gli atenei non avessero stipulato in tempo utile la relativa convenzione per il loro sostentamento, o nel caso tale convenzione si fosse rivelata carente e non avesse ottenuto la «superiore approvazione», si sarebbe proceduto automaticamente alla loro soppressione93. principali obiettivi dei provvedimenti emanati nel quadro della riforma universitaria del 1923 era quello di ridurre drasticamente il numero degli atenei: «Ero persuaso e sono persuaso – egli affermava – che troppe siano le Università italiane, troppe sopra tutto in quanto uniformi, incapaci di adempiere ciascuna un ufficio diverso» (G. Gentile, La riforma scolastica (Discorso pronunciato al Senato il 5 febbraio 1925), «Levana», IV (1925), 1, p. 2). 91 Lettera di Benedetto Croce sulla riforma Gentile, «Levana», II (1923), 6, p. 588. Si veda anche B. Croce, La riforma scolastica in pericolo, «Il Giornale d’Italia», 3 novembre 1923, p. 1. 92 Inaugurazione della sessione estiva del Consiglio superiore, «Levana», III (1924), 3, p. 419. 93 Si vedano, al riguardo, gli artt. 99, 141 e 142 del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento dell’istruzione superiore, cit. 236 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista La rigidità e perentorietà delle disposizioni ministeriali e i tempi indubbiamente ristretti per porre in essere le convenzioni e uniformare le università minori ai nuovi parametri stabiliti dalla riforma Gentile produssero, com’è noto, notevoli tensioni all’interno del mondo accademico e, soprattutto, scatenarono nei diversi centri universitari della penisola una vera e propria corsa contro il tempo per addivenire ad accordi con le amministrazioni locali in grado di assicurare la sostenibilità finanziaria dei rispettivi atenei94. Nella piccola ma assai variegata realtà universitaria marchigiana, le reazioni alla riforma universitaria e i provvedimenti adottati per far fronte agli obblighi imposti dal ministero furono in larga misura differenti, stante la diversa natura e collocazione giuridica dei tre atenei della regione. Se nel caso della Libera Università di Camerino, ad esempio, non mancarono spaccature e polemiche interne riguardo alle scelte operate dal rettore Giovanni Gallerani95, in quella di Macerata la strategia adottata dal neoeletto rettore Riccardo Beniamino Bachi ebbe il costante e unanime sostegno del corpo accademico e riuscì ad assicurare, sia pure non senza qualche difficoltà, il raggiungimento degli obiettivi prefissati. L’11 novembre 1923, in occasione della solenne inaugurazione del nuovo anno accademico, illustrando le linee di fondo della riforma universitaria predisposta dal ministro Gentile, il rettore Bachi poneva l’accento, innanzitutto, sui forti timori che avevano accompagnato, nei mesi precedenti, la stesura del provvedimento, destinato secondo voci insistenti a sancire la soppressione dei piccoli atenei, ivi compreso quello di Macerata: L’anno accademico che ora sta per aprirsi – affermava il rettore Bachi – sarà veramente memorabile nella storia del nostro Istituto come nella storia di tutte le Università italiane. […] Nella laboriosa, lunga e non certo agevole elaborazione di questo nuovo ordinamento, sembrò in qualche istante che la trasformazione di assetto dovesse importare la soppressione di molti fra i nostri Atenei. […]. La riforma, nel suo definitivo concretarsi, ha seguito direttive diverse da quelle prima pensate o supposte, e meglio conformi a quello spirito pertinace di intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno fra i decisivi caratteri del nostro Paese. Gli Atenei, che formalmente possiamo dire minori, tutti possono rimanere, e così può permanere questa nostra Università, e dopo le complesse vicende del passato, può vedere aprirsi ora una nuova fase di vita, che deve essere, che sarà indubbiamente di ascesa. 94 Cfr. U.M. Miozzi, Lo sviluppo storico dell’università italiana, Firenze, Le Monnier, 1993, pp. 67-75. Intendiamo riferirci, ad esempio, alla vivace polemica esplosa negli ultimi mesi del 1923 tra il rettore Giovanni Gallerani e il preside della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino Eugenio Di Carlo, alla quale diede ampio spazio il periodico locale «Chienti e Potenza» nei fascicoli del 24 novembre e dell’8 e 22 dicembre delo stesso anno. 95 237 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Se era vero peraltro, aggiungeva Bachi, che le condizioni create dalla riforma Gentile riguardo al futuro dell’Università di Macerata apparivano sotto tutti gli aspetti lontanissime dalle fosche previsioni circolate nei mesi precedenti, era altrettanto vero che il contributo annuo di 150 mila lire assegnato all’Ateneo – il più basso tra quelli erogati per le università di tipo B96 – era ben lungi dall’assicurare la copertura anche solo parziale delle spese relative al regolare funzionamento delle strutture a alla normale attività didattica e di ricerca: Il nuovo ordinamento per l’istruzione superiore – il quale è stato disposto col decreto del 30 settembre, recante il numero 2102 – prevede adunque il mantenimento in vita della nostra Università con la qualifica e i caratteri di Università di Stato. Però lo Stato – a partire dall’anno 1924-25 – concorre al funzionamento dell’Istituto non in una cifra mobile secondo il variare delle condizioni, ma mediante un contributo fisso, relativamente limitato, stabilito dal decreto nell’importo annuo di lire 150.000. Questo importo è lungi dal bastare alla vita dell’Università. Il contributo dello Stato deve essere integrato da altri elementi. Ciò significava, in sostanza, che occorreva reperire la maggior parte delle risorse necessarie «da enti locali, da sodalizi, da istituti, da privati», coinvolgendo tutte le istituzioni e gli organismi del territorio disponibili in un’impresa che avrebbe dovuto garantire non solamente la mera sopravvivenza finanziaria dell’Università, ma anche il suo rilancio, assicurando le basi economiche per «una nuova vita dell’istituto»97. A questo riguardo, sottolineava il rettore, era già stato costituito uno specifico comitato al quale era stato affidato il compito di definire il fabbisogno finanziario dell’Ateneo e di avviare con il Comune e la Provincia di Macerata «le complesse trattative all’uopo necessarie» per giungere in tempi brevi all’approvazione di un apposito consorzio destinato, ai sensi del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, a garantire i finanziamenti locali per il funzionamento dell’università. E tuttavia, aggiungeva Bachi, se si voleva realmente far compiere un salto di qualità all’istituzione universitaria maceratese, occorreva andare oltre e avvalersi di tutte le prerogative e degli accresciuti spazi di manovra concessi dalla riforma Gentile, 96 Il finanziamento annuo di 150.000 lire stabilito per l’Università di Macerata era, in effetti, il più basso tra quelli stabiliti per gli Atenei del gruppo B. Il più elevato risultava quello assegnato all’Università di Firenze, il quale ammontava a 2,4 milioni di lire l’anno. 97 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 13-14. 238 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista specie laddove, come nel caso dell’art. 79 del R.D. 30 settembre 1923, si sollecitavano i vertici degli atenei a «promuovere qualsiasi forma di interessamento e di contribuzione finanziaria da parte di enti e privati a favore delle Università cui sono preposti», nonché «di coordinare le iniziative nel modo più utile ed efficace ai fini del mantenimento e funzionamento delle Università»98. Si trattava, in sostanza, non solamente di riannodare i fili del rapporto con gli enti locali maceratesi, da sempre vicini e solidali nei riguardi dell’Ateneo cittadino, ma di lanciare una più ambiziosa sfida, proiettando l’Università di Macerata bel oltre gli stessi confini regionali e rivendicando un ruolo e una funzione scientifica e culturale che, fino a quel momento, erano stati essenzialmente misconosciuti dagli stessi governi nazionali. Se era vero, infatti, che l’istituzione della nuova Università di Bari99 ridefiniva in modo rilevante il potenziale bacino di utenza del piccolo Ateneo marchigiano, che fino a quel momento aveva rappresentato di fatto l’«Università Regia del versante Adriatico peninsulare», come testimoniavano i numerosissimi iscritti tradizionalmente provenienti dalle regioni adriatiche centro-meridionali e, in particolare, dalla Puglia e dalla stessa area barese100, era altrettanto vero che occorreva puntare, con ben maggiore determinazione e sistematicità di quanto si fosse fatto fino a quel momento, sulla funzione eminentemente sovra-regionale da sempre esercitata dell’Università di Macerata, facendo di tale caratteristica un’autentica risorsa e mirando a sensibilizzare le amministrazioni locali e gli enti pubblici e privati dei territori di 98 Si veda l’art. 79 del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 – Ordinamento dell’istruzione superiore, cit. «Agli Atenei esistenti – notava il rettore Bachi –, uno interamente nuovo si aggiunge, la Università di Bari, la quale sorgerà in una regione da cui sono affluiti molti discepoli alle nostre Aule. In questa opera di diffusione della cultura, non possono presentarsi malsani sentimenti di avida competizione, ma solo delinearsi dei reciproci stimoli al migliore svolgimento dell’alto compito che ci è affidato. E così oggi la Università Regia del medio Adriatico, invia un saluto alla nascente Università Regia dell’Adriatico inferiore, invia alla nuova Consorella un augurio di vita feconda» (Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, cit. pp. 15-16). 100 «Ho fatto raccogliere dal nostro scrupoloso Ufficio di Segreteria – affermava il rettore Bachi – alcune cifre statistiche intorno alla distribuzione della popolazione studentesca, secondo la provenienza, negli ultimi anni anteriori alla guerra e in questi anni successivi alla deposizione delle armi. Le cifre saranno indicate nell’Annuario e non vengono qui citate. […] Tali cifre, tradotte sotto forma di percentuali, rivelano delle notevoli regolarità in questa distribuzione territoriale dei nostri studenti, ma mostrano anche talune variazioni caratteristiche dal tempo anteriore al tempo posteriore alla guerra, variazioni le cui cause potrebbe essere interessante indagare. La quantità assoluta degli studenti provenienti dalle Marche è rimasta pressoché invariata in circa una sessantina per anno, affluenti qui dalle Provincie di Macerata, Ancona ed Ascoli: la quota proporzionale è però salita da circa il 18 al 45% Gli Abruzzi danno ora, così come davano prima del conflitto, all’incirca il 20% del complesso. La corrente dei nostri discepoli proveniente dalle Puglie si è invece enormemente ridotta, ed è a questa riduzione che si deve principalmente imputare la gran contrazione avvenuta nella massa totale: gli studenti pugliesi da circa 120 sono declinati a meno di 20 per anno: la quota proporzionale è così discesa da oltre un terzo a meno di un decimo» (ibidem, p. 17). 99 239 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista riferimento circa l’opportunità di sostenere economicamente il «loro» ateneo, della cui attività scientifica e di ricerca in materia giuridica ed economica, peraltro, essi avrebbero potuto largamente avvalersi sulla base di appositi accordi e convenzioni. Accanto alle pronte trattative svolte con le due Amministrazioni che più stretti vincoli hanno col nostro Istituto – osservava al riguardo il rettore Bachi –, altre azioni abbiamo ritenuto di svolgere per promuovere l’afflusso di mezzi complementari, azioni necessariamente a più lento decorso, cui si è voluto imprimere distinti caratteri e, in parte, speciali fini, così che lo svolgimento loro non dovesse ritardare la tempestiva stipulazione della convenzione. Io ho adoperato dianzi l’appellativo di «Università del medio Adriatico»: riferendomi al passato potrei parlare addirittura di «Università Regia del versante Adriatico peninsulare». […] Se i dati statistici raffigurano, come può supporsi, una nuova situazione consolidata, i due terzi degli studenti raccolti nelle nostre Aule sarebbero dati dalle Marche e dagli Abruzzi ed essenzialmente a noi giungerebbero dalle Provincie di Macerata, Ancona ed Ascoli e da quelle di Teramo, Chieti ed Aquila. Il circuito topografico delimitato da queste cifre conferma pel nostro Ateneo la qualità di Università Regia del medio Adriatico. Queste cifre statistiche sembrano additare anche il circuito rispetto al quale dovrebbe svolgersi logicamente ed equamente la provvista dei mezzi locali per la vita del nostro Ateneo. Sinora alla sussistenza dell’Istituto hanno contribuito solo le benemerite Amministrazioni della Provincia e del Comune di Macerata: io penso che le altre Amministrazioni provinciali e le maggiori Amministrazioni comunali delle Marche e degli Abruzzi dovrebbero sentire che questa Università non è solo Maceratese, ma è organismo pertinente a entrambe le regioni. E sull’opportunità di sfruttare al meglio i rilevanti spazi offerti dalla riforma gentiliana per una più ampia interazione e sinergia tra le istituzioni universitarie e le realtà economiche e produttive locali, sia pubbliche sia private, il rettore dell’Ateneo maceratese aggiungeva: Il nuovo decreto, come dianzi notavo, prevede che i mezzi di origine locale non provengano solo da enti di diritto pubblico: con uno stimolante richiamo, al sostegno pecuniario delle Università si ammette in via ordinaria anche il contributo privato. Le nostre due regioni albergano Istituti di credito cospicui i quali dovrebbero accogliere l’invito: essi dovrebbero sentire che la diffusione della coltura giuridica e della coltura economica, che noi curiamo, è, in varia guisa, fattore diretto e indiretto di incremento degli affari ed è, quel che è ancor più, strumento per la formazione di un personale capace per l'opera bancaria. L'invito è diretto dalla nuova legge anche ai privati singoli: le nostre due regioni ospitano cittadini facoltosi i quali dovrebbero sentire il dovere di fare sorgere anche qui quella nobile tradizione che già si è formata in altri paesi d’Italia e che è così estesa e feconda nel mondo Americano e nel mondo Britannico, per cui gli ottimati devolvono parte non piccola della loro dovizia a creare o dotare 240 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Istituti di alta cultura, a stabilire nuove cattedre, nuovi laboratori, a promuovere particolari indagini scientifiche101. L’esigenza di ripensare il ruolo e le forme di presenza e di interazione con i territori di riferimento e con le amministrazioni locali da parte dell’Università di Macerata si poneva in modo stringente, a detta del rettore Bachi, non solamente in virtù delle nuove prospettive di riordinamento del sistema universitario nazionale introdotte dalla riforma Gentile, ma anche – e soprattutto – a seguito dei profondi mutamenti che le vicende belliche e la gravissima crisi economica che aveva investito il paese nell’immediato dopoguerra avevano prodotto sulle condizioni di vita e sui costumi sociali e civili delle popolazioni. In sostanza, a fronte di trasformazioni che Bachi non esitava a definire «epocali», l’università italiana nel suo complesso, e i piccoli atenei in modo particolare, non potevano continuare a perseguire indirizzi e prospettive d’azione di tipo tradizionale, ovvero ad operare secondo il modello elitario di stampo ottocentesco a suo tempo delineato dalla legge Casati. Occorreva ripensare le stesse modalità di accesso all’istruzione superiore e universitaria e ridefinire la «funzione sociale» che le università erano chiamate ad esercitare alla luce di fenomeni in larga misura nuovi, che le vicissitudini socio-economiche e culturali del dopoguerra, peraltro, avevano acuito e reso più stringenti, primo fra tutti l’ascesa sociale e culturale dei ceti medi urbani, alla quale si accompagnava un’accresciuta propensione da parte delle famiglie ad investire sulla scuola e sull’istruzione per assicurare il futuro dei propri figli: Una ricerca statistica molto istruttiva ma disgraziatamente malagevole – sottolineava al riguardo Bachi –, potrebbe mirare ad accertare quale sia la condizione economica e sociale delle famiglie i cui figli si raccolgono nelle nostre Aule. Una tale ricerca quasi certamente mostrerebbe come la massima parte dei nostri studenti provenga dal medio ceto, anzi dalla piccola borghesia. La piccola borghesia dotata di mezzi pecuniari non cospicui, provvista di redditi fissi o non molto variabili, tratti sovente da pubblici impieghi, è la classe che più largamente concorre alla formazione dei lavoratori intellettuali; ed è quella classe sociale che la guerra ha più dolorosamente provata nei rispetti economici; è la classe sociale che più gravemente ha risentito gli effetti della svalutazione della moneta, dell’incremento dei tributi. Noi, docenti, conosciamo come la presenza di taluni nostri discepoli alle nostre lezioni rappresenti gravi sacrifici e sappiamo come molti nostri discepoli debbano volenterosamente abbinare lo studio con occupazioni retribuite, talora umili. 101 Ibidem, pp. 18-19. 241 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Se tale era «la condizione economica e sociale» di tanta parte degli studenti che riempivano le aule dell’Ateneo maceratese e degli altri atenei minori della penisola, era chiaro che qualunque prospettiva di crescita e di sviluppo dei suddetti atenei avrebbe dovuto passare per la creazione di nuove e più incisive forme di sostegno e di valorizzazione del merito capaci di favorire l’accesso e il proseguimento degli studi per i giovani migliori. Un obiettivo, questo, senza dubbio di fondamentale importanza, al quale, tuttavia, l’Università di Macerata non era in grado di far fronte con i propri ridotti mezzi finanziari, e che le stesse disposizioni emanate su tale materia dalla riforma Gentile sembravano poter soddisfare solo in minima parte: Vi è, anche qui, un’opera nobile da compiere – precisava Bachi –, un’opera di solidarietà sociale. Sinora l’Amministrazione dell’Università, ha in questa materia, adottato un provvedimento di portata generale e di efficacia individuale inadeguata al bisogno, la percezione di tasse scolastiche sensibilmente inferiori a quelle disposte per la generalità delle Università: il provvedimento, si presta a obbiezioni che non giova qui richiamare e che non si possono certo dire infondate. La recente legislazione ed anche la nuova riforma generale esclude questa minorazione di tasse. Il nuovo decreto – con intendimenti umanitari – ha apprestato istituzioni e mezzi di assistenza a pro’ degli studenti bisognosi, ma in misura necessariamente limitata e con un congegno ad azione immancabilmente lenta e tardiva. Una più radicale ed efficace soluzione del grave problema può derivare dalla creazione di borse di studio per i giovani più valorosi o scarsamente provvisti di mezzi di fortuna: la concessione di queste borse non solo sarebbe un atto di solidarietà umana, ma un efficacissimo mezzo di selezione dei migliori all'inizio stesso degli studi universitari: i titolari di queste borse sarebbero astretti a una assidua e controllata presenza alle lezioni, al regolare svolgimento degli esami e costituirebbero il corpo scelto dei nostri discepoli, oggetto per noi docenti di particolari cure e di più liete speranze sull’efficacia dell’opera nostra. Dato il costo relativamente non elevato della vita in questa Città, l'importo delle borse potrebbe essere meno vistoso di quanto sarebbe necessario altrove. Di qui la proposta di coinvolgere le amministrazioni locali e gli stessi enti pubblici e privati dei territori interessati – in primis quelli delle province marchigiane e abruzzesi – attorno ad un progetto di sostegno agli studi per i giovani «disagiati e meritevoli provenienti dalle circoscrizioni di ciascuna amministrazione» che avesse come perno proprio l’«Università del medio Adriatico»: Sulla base di queste varie considerazioni – concludeva il rettore dell’Università di Macerata –, è stata impostata la seconda parte della azione del nostro Comitato. Anzitutto sono state presentate memorie alle Amministrazioni provinciali di Ancona, Ascoli, Aquila, Chieti, Teramo e alle maggiori amministrazioni comunali delle due regioni, reclamando quell’appoggio che riteniamo doveroso alla vita 242 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista dell’Ateneo. Il concorso reclamiamo sotto la forma di un contributo annuo al bilancio dell’Università, ma anche lo reclamiamo sotto la forma di assegnazione di fondi per borse di studio a studenti disagiati e meritevoli provenienti dalle circoscrizioni di ciascuna amministrazione: per considerazioni ovvie, è probabile che questa seconda formula incontri maggiore favore; poiché, secondo essa, ciascun ente volgerebbe i fondi per favorire la diffusione della coltura superiore fra la parte meno abbiente della propria popolazione. Altro invito viene da noi rivolto ai privati – agli istituti di credito, alle maggiori società commerciali, alle persone facoltose102. Ma l’ambizioso piano di rilancio dell’Ateneo maceratese prospettato dal rettore Bachi nel corso della cerimonia inaugurale dell’anno accademico 1923-1924, andava ben oltre, individuando come compito precipuo di quella che poteva senz’altro definirsi a tutti gli effetti l’«Università del medio Adriatico» quello di farsi carico della formazione superiore delle giovani generazioni dei territori «italiani» dell’altra sponda dell’Adriatico, le cui ben note condizioni di disagio economico e sociale imponevano peraltro «un atto di nobile solidarietà nazionale» volto a sostenerne la crescita culturale e la concreta promozione civile e professionale: L’Ateneo nostro – affermava al riguardo il rettore dell’Università di Macerata –, oltre ad essere l’Università regia del Medio Adriatico, si confida debba essere, in qualche misura, l’Università di Stato per le popolazioni dell’altra sponda, della Dalmazia, di Fiume, della Venezia Giulia. Per circostanze ben note, molta parte delle popolazioni di tali contrade si trova in particolari condizioni di depressione economica, le quali rendono malagevole lo svolgimento della carriera scolastica ai giovani, soprattutto per la parte che dovrebbe svolgersi fuori del rispettivo territorio. Si propone pertanto che gli istituti privati, le società, i cittadini singoli concorrano per la costituzione di un fondo da distribuirsi sotto forma di borse di studio e sussidi ai giovani disagiati e meritevoli che, provenienti dall’altra sponda, vogliano seguire regolarmente gli studi presso la nostra Università103. L’ambizioso progetto avviato dal rettore Riccardo Beniamino Bachi per favorire l’adeguamento dell’Università di Macerata alle nuove disposizioni introdotte dalla riforma Gentile e rendere possibile la crescita e l’effettivo radicamento dell’ateneo sul territorio era destinato, come vedremo, a trovare una realizzazione solo parziale, in virtù degli scarsi consensi suscitati in seno a talune delle amministrazioni locali coinvolte e, nel contempo, degli altrettanto parziali sostegni ricevuti dalle imprese pubbliche e private e dagli enti creditizi operanti sul territorio. 102 103 Ibidem, pp. 20-21 Ibidem, p. 22. 243 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Nelle settimane immediatamente seguenti, a questo riguardo, il Comune e la Provincia di Macerata approvarono lo schema di convenzione predisposto dalla commissione sopra ricordata per il mantenimento economico dell’Ateneo cittadino104; contemporaneamente, il Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza, al termine di una serie di adunanze straordinarie svoltesi nei mesi di novembre e dicembre, approvò il nuovo ordinamento degli studi e procedette alla riorganizzazione dell’attività didattica secondo le norme stabilite dalla riforma universitaria del 1923105. Le nuove disposizioni, integralmente riprodotte sulle pagine del foglio locale «L’Unione» del 3 gennaio 1924 e destinate ad entrare in vigore, dopo aver ricevuto l’approvazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, a partire dall’anno accademico 1924-1925, prevedevano fra l’altro la creazione di «un Istituto o Seminario giuridico analogo e quelli che esistono presso molte Università italiane e forestiere»106, l’attivazione di nuovi insegnamenti complementari «volti a completare l’attuale quadro della Facoltà giuridica, così da dare maggiore e più moderno sviluppo a nozioni di diritto comparato, di storia economica, di economia e legislazione sociale»; e il potenziamento della biblioteca universitaria «per renderla pienamente efficiente e atta al servizio integrativo dell’insegnamento»; accantonata, almeno per il momento, stante la necessità di concentrare le scarse risorse disponibili sulle istituzioni esistenti, era invece la proposta avanzata dal Comune di costituire a Macerata, accanto alla facoltà giuridica, anche un «Istituto Levantino o una Scuola Levantina» per lo studio delle lingue e delle culture orientali107. Un fatto sembrava, tuttavia, incontrovertibile e scontato: con il varo, nel 1923, della riforma universitaria predisposta da Giovanni Gentile si era registrato, 104 Cfr. verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 12 gennaio 1924, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1924, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, pp. 5-7. 105 Si vedano al riguardo i verbali delle adunanze straordinarie del Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza di novembre e dicembre 1923 in ASMc, Università, Miscellanea, Riordinamento degli studi, b. 713. 106 Il nuovo Istituto giuridico, «del quale la Biblioteca universitaria sarebbe parte integrante – sottolineava il rettore Bachi –, avrà per oggetto sia gli studi giuridici che quelli economico-sociali. Esso potrebbe avere una funzione regionale particolarmente utile anche pei futuri studi sui problemi locali, poiché si potrebbe, senza soverchio sforzo e senza grave dispendio, in esso raccogliere in maniera sistematica tutto quanto il materiale, non solo librario, ma anche documentario, via via attinente alla vita economica delle Marche e dell’Abruzzo, materiale emanante da pubbliche Amministrazioni, da Istituti, Società, Sodalizi, Associazioni economiche ecc., materiale che di consueto manca alle Biblioteche e che costituirebbe l’Archivio per la storia economica delle due regioni. Questo Istituto di studi giuridici e sociali e questo Archivio per la storia economica marchigiana e abruzzese significheranno una azione dell’Università anche fuori dell’orbita limitata delle sue aule e dei suoi ordinari discepoli» (Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, cit., p. 23). Sulle origini e i significativi sviluppi di tale Istituto si veda ora P. Olivelli, Brevi note sull’Istituto di esercitazioni giuridiche, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 223-227. 107 Il nuovo ordinamento dell’Università, «L’Unione», XXIV (3 gennaio 1924), 1, pp. 1-2. 244 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista inevitabilmente, un vero e proprio accantonamento delle molteplici proposte e iniziative avviate in ambito marchigiano negli anni precedenti al fine di procedere ad un riordinamento del sistema universitario regionale che rendesse possibile l’accorpamento delle facoltà e dei corsi di laurea presenti in più sedi e sfociasse poi nella «federazione» o «fusione» – secondo le differenti prospettive volta per volta messe in campo dai diversi interlocutori – dei tre atenei (Macerata, Camerino e Urbino) presenti sul territorio. Le nuove disposizioni varate nel 1923, del resto, pur senza escludere forme di riorganizzazione su base regionale fondate sull’accorpamento degli atenei esistenti, avevano in sostanza stimolato le singole istituzioni universitarie, in particolare i piccoli atenei inseriti nel gruppo B e quelli non statali, a ricercare in ambito locale le risorse necessarie alla loro sopravvivenza e al mantenimento dei livelli operativi in grado di assicurare il perseguimento dei «fini dell’istruzione superiore», secondo la ben nota e un po’ generica formula gentiliana. In realtà, una serie di accadimenti verificatisi nella vicina Università di Camerino proprio nei mesi successivi all’emanazione del R.D. 30 settembre 1923 era destinata a rilanciare, a livello locale, la questione del superamento del sistema vigente e a favorire la ripresa del confronto sul riordinamento del sistema universitario marchigiano. Il 29 dicembre 1923 una commissione formata dal rettore dell’Ateneo Giovanni Gallerani, dal commissario prefettizio Noris e dal prof. Ugo Rocco era stata ricevuta a Roma dal capo del Governo Benito Mussolini, al quale aveva illustrato la gravissima situazione finanziaria in cui versava la Libera Università di Camerino, sollecitando un contributo statale di 200.000 lire per far fronte all’emergenza e consentire all’Ateneo camerte di continuare a svolgere regolarmente l’attività108. Mussolini si era mostrato da subito disponibile a soddisfare tale richiesta, tanto che, già all’indomani, in occasione del consiglio dei Ministri del 30 dicembre, aveva fatto approvare il decreto con il quale era autorizzata in via straordinaria la concessione del sussidio. Nel corso dell’incontro romano, tuttavia, il capo del Governo aveva posto come condizione imprescindibile, per l’attribuzione del sostegno finanziario richiesto, il rilancio da parte dell’Ateneo delle trattative tra gli enti locali e i tre atenei della regione al fine di giungere in tempi brevi al riordinamento del sistema universitario e degli studi superiori nelle Marche. In un 108 Cfr. Per la libera Università di Camerino, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 gennaio 1924), 1, pp. 1- 2. 245 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista telegramma trasmesso nei giorni seguenti al rettore dell’Università di Camerino, Mussolini annunciava al riguardo: «Nell’attesa coordinazione generale facoltà universitarie marchigiane odierno consiglio dei ministri accordava per anno in corso somma richiestami da V.S. e rappresentante codesta città»109. Alla generale soddisfazione per il finanziamento straordinario accordato dal governo110, seguirono i tentativi, da parte del rettore Gallerani, di riallacciare i contatti al fine di promuovere un incontro con tutti i soggetti interessati, in primo luogo con i vertici della vicina Università di Macerata. La situazione, tuttavia, si fece subito problematica, stante l’assoluta indisponibilità dell’ateneo maceratese a discutere qualsivoglia ipotesi di riorganizzazione su base federale delle università marchigiane che comportasse il venir meno, a Macerata, della Facoltà di Giurisprudenza. Già nelle settimane immediatamente precedenti, del resto, allorché per far fronte alle impellenti difficoltà di bilancio l’ateneo camerte si era rivolto alla Provincia di Macerata per ottenere un sussidio straordinario di 60 mila lire, le autorità municipali e i vertici dell’Ateneo del capoluogo avevano esercitato notevoli pressioni sull’amministrazione provinciale affinché la concessione di tale sussidio fosse subordinata alla rinuncia, da parte dell’Università di Camerino, alla propria Facoltà Giuridica111. L’iniziativa intrapresa dal rettore Gallerani e dall’Università di Camerino era destinata ad incontrare diffidenze e contrarietà anche ad Ancona, dove il Comune e la Provincia deliberarono di farsi essi stessi promotori di un convegno regionale destinato a fare il punto sulla situazione e a rimettere in moto il processo di riordinamento degli studi superiori e di federazione degli atenei delle Marche. Lo poneva in evidenza il docente camerte Ugo Rocco, in un polemico articolo apparso il 23 febbraio sul foglio locale «Chienti e Potenza», nel quale era duramente stigmatizzato l’atteggiamento «prevaricatore» degli enti locali dorici, il cui «protagonismo» su tale versante veniva giudicato espressione della palese volontà di anteporre gli interessi del capoluogo regionale a quelli delle altre città marchigiane sedi di università: 109 Il telegramma è riprodotto integralmente sul periodico locale «Chienti e Potenza», XXXVIII (12 gennaio 1924), 2, p. 1. 110 Cfr. Per la nostra Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (19 gennaio 1924), 3, pp. 1-2; e Cronaca cittadina, «Chienti e Potenza», XXXVIII (16 febbraio 1924), 7, pp. 1-2. 111 Si veda al riguardo G. Gallerani, A proposito del nuovo contributo Provinciale per la nostra Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (26 gennaio 1924), 4, pp. 1-2. 246 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Oggi – sottolineava Rocco –, Ancona ci toglie quella che doveva essere nostra iniziativa perché in seno alla nostra città è sorto e si è dibattuto il progetto dell’Università unica, Ancona che si fa promotrice di un convegno regionale per lo studio della questione. Per quanto possa essere umana la constatazione di giungere ultimi, quando eravamo i primi, noi accettiamo di buon grado l’invito, pronti, noi, a trattare con animo scevro da pregiudizi ed egoismi locali, ma altrettanto fermo di salvaguardare, senza compromessi e senza inutili evirazioni, gli interessi della Città112. Sia pure in un clima di forte sospetto e di sostanziale contrarietà ad ogni ipotesi di accordo destinata ad alterare gli equilibri esistenti e a penalizzare le singole sedi, il convegno regionale, svoltosi ad Ancona il 14 marzo 1924, vide la partecipazione dei rettori dei tre atenei marchigiani e dei rappresentanti degli enti locali, i quali, al termine di un lungo e poco fruttuoso confronto, riuscirono a trovare l’accordo solamente sulla nomina di una «commissione tecnica per lo studio e risoluzione della questione universitaria nelle Marche», la quale avrebbe dovuto riunirsi nei mesi seguenti per predisporre una bozza d’accordo da presentare alle parti nel corso di un nuovo convegno regionale fissato, sempre ad Ancona, per il successivo 17 luglio113. Dal marzo al luglio 1924 i lavori della commissione procedettero tra difficoltà crescenti e vivaci polemiche generate sulla stampa locale dalla fuga di notizie riguardo alle possibili soluzioni prospettate in ordine alle questioni più rilevanti via via sollevate nel corso del confronto114. Alla fine, non riuscendo a trovare un accordo sulle soppressioni e gli accorpamenti delle facoltà e dei corsi di laurea presenti su più sedi, la commissione tecnica sottopose all’approvazione dei rettori dei tre atenei e dei rappresentanti degli enti locali marchigiani, nuovamente convocati ad Ancona il 17 luglio, una proposta che, mentre da un lato richiamava genericamente la necessità di addivenire ad un’equa distribuzione «delle facoltà e scuole» tra le diverse sedi («Il comitato regionale marchigiano […] fa voti che nelle diverse sedi attuali vengano equamente distribuite tutte le facoltà e scuole che costituiscono una università completa, in modo che nessuno dei tre atenei debba soffrire nocumento o minorazioni»), dall’altro 112 U. Rocco, Il problema della Università nei suoi veri termini, «Chienti e Potenza», XXXVIII (23 febbraio 1924), 8, pp. 1-2. 113 Sull’incontro anconetano del 14 marzo 1924 e sui successivi lavori della «commissione tecnica per lo studio e risoluzione della questione universitaria nelle Marche» si veda la cospicua documentazione conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 114 Si vedano al riguardo i fascicoli del periodico «Chienti e Potenza» del 15, 22 e 29 marzo 1924. Ampie notizie sulle proposte discusse dalla commissione tecnica nel corso delle sue sedute è offerta in E. Di Carlo, Sul problema universitario, «Chienti e Potenza», XXXVIII (24 maggio 1924), 21, pp. 1-2; e in Riunione del Comitato provvisorio per la riforma universitaria, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 luglio 1924), 27, pp. 1-2. 247 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista sollecitava l’intervento del ministero della Pubblica Istruzione, affinché autorizzasse il completamento del corso di laurea in Medicina e Chirurgia esistente presso l’Università di Camerino (che all’epoca disponeva del solo ciclo quadriennale di base), con l’istituzione del terzo e ultimo ciclo biennale di studi che ancora mancava, e ne rendesse possibile la dislocazione nelle sede distaccata di Ancona115. Una tale soluzione, se da un lato era ben lontana dall’operare la razionalizzazione dell’esistente, a più riprese caldeggiata dal ministero, e dal risolvere i problemi relativi alla presenza di analoghi corsi di laurea e di facoltà dello stesso tipo nelle tre sedi universitarie operanti sul territorio, dall’altro soddisfaceva indubbiamente le attese di un po’ tutti i protagonisti della trattativa – ovvero le università e gli enti locali coinvolti –, nella misura in cui, evitando d’imporre sacrifici e rinunce di alcun tipo, assecondava le logiche campanilistiche e i vigorosi egoismi locali emersi nel corso del dibattito, favorendo altresì, con il completamento della Facoltà di Medicina a Camerino e la creazione del biennio di studi medici ad Ancona, il soddisfacimento di aspirazioni diffuse nel capoluogo marchigiano, ancorché indubbiamente poco in sintonia con il primitivo progetto di una razionalizzazione del sistema d’istruzione superiore regionale. Non a caso, nelle settimane seguenti, da parte dell’Università di Macerata ci si affrettava a ribadire con forza il «nessun interesse» nei riguardi del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, che avrebbe potuto dunque essere istituito nelle sedi di Camerino e di Ancona, a patto, naturalmente, che fosse preservata la propria Facoltà di Giurisprudenza e, con essa, la «secolare tradizione degli studi giuridici, gloria e vanto dell’ateneo maceratese»116. Il 21 agosto del 1924 il neo ministro della Pubblica Istruzione Alessandro Casati, dopo avere acquisito il parere favorevole del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, autorizzava ufficialmente il completamento e la dislocazione nelle sedi di Camerino e di Ancona della Facoltà di Medicina117. In realtà, quella che sembrava ormai costituire l’unica vera novità nell’ambito dell’istruzione superiore marchigiana 115 Riordinamento degli studi Universitari nelle Marche, «L’Unione», XXIV (23 luglio 1924), 30, p. 1. Per un definitivo assestamento delle Università marchigiane, «L’Unione», XXIV (3 settembre 1924), 36, pp. 1-2. 117 La lettera inviata dal ministro della Pubblica Istruzione Alessandro Casati al rettore della Libera Università di Camerino Giovanni Gallerani il 21 agosto 1924 è conservata in ASCa, Università, Riordinamento degli studi superiori delle Marche, b. 390. Si veda anche Relazione sull’anno accademico 1923-1924 del prorettore Professore Comm. Giovanni Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1924-1925, «Annuario della Università degli Studi di Camerino», (1925), pp. 16-17. 116 248 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista era destinata a naufragare anch’essa per l’insorgere di nuovi e inattesi contrasti tra l’Ateneo camerte e gli enti locali anconetani riguardo all’articolazione sulle due sedi del corso di laurea in Medicina118. Contravvenendo, infatti, agli accordi precedentemente stabiliti, che prevedevano il mantenimento a Camerino dei primi quattro anno del corso e l’attivazione ad Ancona del biennio di completamento degli studi, ossia del quinto e sesto anno, le autorità del capoluogo regionale proposero una distribuzione «paritaria» del corso di laurea sulle due sedi, ovvero il primo triennio a Camerino e il secondo ad Ancona119. A questo punto, il comprensibile irrigidimento dell’Ateneo camerte, tutt’altro che disposto a transigere su tale questione, portò alla vera e propria rottura con Ancona e all’accantonamento dell’ipotesi di costituire nel capoluogo di regione una sede distaccata della Facoltà di Medicina e Chirurgia. E non è casuale che proprio colui che era stato il principale artefice del progetto di costituzione del polo medico anconetano, ovvero il rettore Giovanni Gallerani, preso atto con rammarico delle «esorbitanti e indebite richieste» anconetane, decidesse di fare marcia indietro e di puntare ad istituire il corso di laurea completo in Medicina e Chirurgia, come richiesto dai nuovi ordinamenti in materia introdotti nel 1923, nella sola sede camerte120. Tramontata ingloriosamente, almeno per il momento, ogni prospettiva di riordinamento del sistema d’istruzione superiore delle Marche, i tre atenei regionali si ritrovarono, sul finire del 1924, a dover far fronte, ognuno in maniera autonoma, alle disposizioni previste per gli atenei di tipo B e C dalla riforma Gentile. L’Università di Macerata, dal canto suo, dopo avere condotto le trattative in sede regionale in modo tale da assicurarsi la conservazione della propria Facoltà di Giurisprudenza, doveva ora occuparsi di assicurarle l’adeguato sostegno economico per l’avvenire. Un primo e fondamentale passo su questo versante era già stato compiuto il 23 agosto 1924, allorché, come si è già accennato, era stata stipulata la nuova convenzione fra lo Stato e gli enti locali per il sostentamento finanziario dell’Università di 118 Cfr. Il Convegno di Ancona, «Chienti e Potenza», XXXVIII (6 settembre 1924), 36, pp. 1-2; e Per la istituzione del terzo biennio di Medicina in Ancona, «Chienti e Potenza», XXXVIII (13 settembre 1924), 37, pp. 1-2. 119 Cfr. Relazione sull’anno accademico 1923-1924 del prorettore Professore Comm. Giovanni Gallerani per l’inaugurazione dell’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 17-18. Ma si veda anche Per la nostra Università, «Chienti e Potenza», XXXVIII (8 novembre 1924), 45, pp. 1-2. 120 Si veda al riguardo la puntuale ricostruzione offerta da D. Aringoli, L’Università di Camerino, Milano, Giuffrè, 1951, pp. 205-210. 249 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Macerata121, ratificata poi, qualche mese più tardi, con il R.D. 19 ottobre 1924, n. 1676122. Il provvedimento, costituito da 11 articoli, ribadiva che l’Ateneo maceratese era costituito dalla sola Facoltà giuridica e, mentre da un lato aboliva il vecchio Consorzio universitario, dall’altro sanciva l’impegno della Provincia e del Comune di Macerata a sostenere annualmente parte delle spese per il mantenimento della sede universitaria con quote-parte che ammontavano, rispettivamente, a 88.000 e 70.000 lire, a fronte delle quali lo Stato s’impegnava ad assegnare all’ateneo un finanziamento fisso di 150.000 lire all’anno, ovvero l’assegnazione più bassa tra quelle attribuite agli atenei della categoria B123. La gestione amministrativa e le competenze di carattere economico e patrimoniale dell’Ateneo erano attribuite a un consiglio di amministrazione del quale facevano parte il rettore pro tempore, che lo presiedeva, un rappresentante dello Stato, l’intendente di Finanza della Provincia, i rappresentanti del Comune e della Provincia di Macerata e due membri eletti dal Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza tra i professori di ruolo della medesima. In base alla nuova convenzione veniva anche ridefinito il ruolo organico del personale docente dell’Università di Macerata, che risultava ora costituito da 12 unità complessive. Contestualmente alla convenzione finanziaria, nei primi mesi del 1924 era stato predisposto il nuovo Statuto della R. Università di Macerata124, il quale, dopo essere stato emendato in alcune parti a seguito dei rilievi formulati dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione125, nei mesi successivi ricevette l’approvazione in via provvisoria del ministero con l’O.M. del 31 ottobre 1924126. Lo Statuto recepiva il nuovo piano di studi al quale avrebbero dovuto attenersi, secondo la normativa introdotta nel 1923, tutti coloro che intendevano conseguire la laurea di dottore in 121 Cfr. La nuova Convenzione Universitaria stipulata tra lo Stato e gli Enti Locali, «L’Unione», XXIV (3 settembre 1924), 36, pp. 1-2. 122 Sulla nuova convenzione stipulata tra il Consorzio e lo Stato e resa operativa dal R.D. 19 ottobre 1924, n. 1676, si veda R. Sani, S. Serangeli, Per un’introduzione alla storia dell’Università di Macerata, in «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 22-23. 123 Riguardo all’esiguità del contributo versato dallo Stato nelle casse dell’Università di Macerata, così si esprimeva il rettore Alberto Zorli: «Oggi lo Stato concorre a mantenerla [Università di Macerata] con un fisso di L. 150.000 annue; meno del fisso concesso a ciascuna delle altre università di Cat. B. Per fortuna il nostro Municipio e la nostra Provincia hanno saputo tener alto il prestigio del nostro Ateneo, concedendo quanto occorreva, per non essere da meno delle più riputate facoltà del Regno» (Inaugurazione dell’Anno Accademico 1924-1925. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella cerimonia inaugurale del 7 dicembre 1924, ANNUARIO (1925), pp. 8-9). 124 Il nuovo Statuto all’Università, «L’Unione», XXIV (2 aprile 1924), 14, pp. 1-2. 125 La R. Università di Macerata, «L’Unione», XXV (1° gennaio 1925), 1, pp. 1-2. 126 Il testo del nuovo Statuto è riprodotto in Statuto della R. Università di Macerata per l’anno accademico 1924-1925, ANNUARIO (1925), pp. 81-92. 250 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Giurisprudenza127. Il corso di laurea era articolato sulla base di diciotto insegnamenti ripartiti in quattro anni e prevedeva la biennalizzazione di Diritto internazionale e di Diritto romano, nonché la triennalizzazione di Diritto civile, Diritto amministrativo e Diritto penale per un totale di ventisei corsi complessivi128. Merita di essere segnalato, tuttavia, che, contrariamente a quanto proposto dalla Facoltà di Giurisprudenza nella bozza di Statuto originariamente predisposta129, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione non ritenne di potere approvare – adducendo come motivo fondamentale il fatto che lo Statuto in esame era provvisorio e destinato a restare in vigore solo per un anno130 – talune proposte innovative avanzate dall’Ateneo maceratese, prima fra tutte quella concernente la creazione di un «Istituto di studi giuridici ed economico-sociali» finalizzato a funzionare come «scuola di perfezionamento per gli studenti della facoltà e di osservatorio della vita economica del medio Adriatico», la quale «avrebbe dovuto integrare, con una speciale Laurea in Scienze economiche e politiche», utile per un eventuale carriera nelle attività commerciali o bancarie, «il titolo di dottore in Giurisprudenza» che l’Università era tradizionalmente abilitata a rilasciare ai suoi laureati131. Torneremo a breve su tale proposta e sulla progettualità di alto profilo ad essa sottesa, destinata peraltro a conoscere ulteriori e importanti sviluppi negli anni successivi e a caratterizzare, pur tra alti e bassi, l’operato dell’Università di Macerata per tutto il corso del ventennio fascista. Sembra opportuno, ora, proseguire e completare l’analisi del processo di adeguamento amministrativo e didattico dell’Ateneo ai nuovi ordinamenti introdotti in ambito universitario dalla riforma Gentile del 1923. A decorrere dall’anno accademico 1924-1925, in attuazione degli artt. 56 e 58 del R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, furono istituite l’Opera universitaria, che aveva lo scopo di coordinare e gestire sotto il profilo amministrativo l’erogazione dei servizi e delle iniziative atte a garantire l’assistenza agli studenti132 e la Cassa scolastica, la quale, approvata dal consiglio di amministrazione nell’adunanza del 4 febbraio 1925, aveva lo scopo «di fornire ai giovani di disagiate condizioni economiche e più 127 Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., pp. 233-240. Cfr. Statuto della R. Università di Macerata per l’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 87-88. 129 Si vedano al riguardo i vari schemi provvisori e la bozza di Statuto originariamente predisposta dalla Facoltà di Giurisprudenza in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 130 Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1924-1925. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella cerimonia inaugurale del 7 dicembre 1924, cit., p. 9. 131 Statuto della R. Università di Macerata per l’anno accademico 1924-1925, cit., pp. 86-87. 132 Cfr. Regolamento per l’Opera dell’Università, ANNUARIO (1926), pp. 71-73. 128 251 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista meritevoli, i mezzi per fare fronte, in tutto o in parte, al pagamento delle tasse di immatricolazione e di iscrizione e delle sopratasse per gli esami di profitto, di laurea e delle tasse di diploma»133. Il definitivo accantonamento, in virtù della nuova convenzione approvata con il R.D. 19 ottobre 1924, del peculiare regime che consentiva all’Università di Macerata di ridurre in modo sensibile le tasse studentesche rispetto alla maggior parte degli altri atenei della penisola, inoltre, spinse il consiglio di amministrazione a varare un articolato piano di «borse di studio» da assegnare per concorso agli studenti più bisognosi e meritevoli, per la cui realizzazione si fece ricorso non solamente ai fondi disponibili, ma anche a nuove risorse messe a disposizione dagli enti creditizi del territorio. A partire dall’anno accademico 1924-1925, a questo proposito, furono erogate annualmente ben 53 borse di studio, 40 delle quali finanziate sui fondi del soppresso Consorzio universitario maceratese, 10 concesse dalla locale Cassa di Risparmio, 2 dalla Banca Cattolica Agricolo-Operaia e una dalla Banca Popolare di Macerata134. Ed è appena il caso di segnalare che, forse, proprio grazie all’erogazione di un numero indubbiamente elevato di borse di studio si riuscì a far fronte al sensibile calo di immatricolazioni e iscrizioni riscontrato già a partire dai primissimi anni Venti135 e, soprattutto, al vero e proprio crollo registrato su questo versante nell’anno accademico 1924-1925, all’origine del quale si poneva indubbiamente il repentino e pesante inasprimento delle tasse universitarie dovuto all’introduzione del nuovo sistema di tassazione che equiparava, anche sotto questo profilo, Macerata agli altri atenei italiani136. 133 Cfr. Regolamento per la Cassa Scolastica della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1926), p. 74. Si veda al riguardo Il nuovo Statuto all’Università, «L’Unione», XXIV (24 settembre 1924), 39, pp. 12. Per un’analitica illustrazione delle attività assistenziali sostenute e dei sussidi accordati dalla «Cassa Scolastica» e dall’«Opera dell’Università» si vedano i resoconti conservati in ASMc, Università, Opera universitaria. Contributi a favore, bb. 61 e 65. 135 Secondo i dati riportati nell’ANNUARIO per il periodo 1917-1923 l’andamento del numero degli iscritti registrava la seguente evoluzione: anno accademico 1917-1918 = n. 231; anno accademico 19181919 = n. 217; anno accademico 1919-1920 = n. 196; anno accademico 1920-1921 = n. 148; anno accademico 1921-1922 = n. 127; anno accademico 1922-1923 = n. 123. E che il calo degli iscritti fosse in larga misura un fenomeno locale correlato con il repentino e sensibile aumento delle tasse universitarie sembra confermato dal fatto che, in quello stesso periodo, gli iscritti alle facoltà di Giurisprudenza degli atenei italiani aumentarono in misura significativa, passando da 7.991 a 9.391 unità. Cfr. i dati relativi alle serie decennali precedenti riportati in Istituto Centrale di Statistica, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico 1945-1946, Roma, Tip. Failli, 1948. 136 Il dato relativo è il seguente: anno accademico 1923-1924 = n. 106; anno accademico 1924-1925 = n. 109. Cfr. Elenco degli studenti iscritti nell’anno accademico 1923-1924, ANNUARIO (1924), pp. 156159; e Elenco degli studenti iscritti nell’anno accademico 1924-1925, ivi (1925), pp. 75-78. 134 252 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Dalla metà degli anni Venti, comunque, all’opera destinata a favorire l’adeguamento degli ordinamenti e delle strutture amministrative dell’Ateneo alla normativa introdotta dalla riforma Gentile si accompagnò la realizzazione di una serie di iniziative a vasto raggio sul versante didattico e scientifico le quali, nelle intenzioni dei vertici dell’istituzione universitaria maceratese, avrebbero dovuto rilanciare l’immagine e potenziare ulteriormente il ruolo e la funzione che fino a quel momento erano stati esercitati in ambito locale dall’Ateneo, puntando a farne non solamente il centro della vita accademica e culturale cittadina, ma anche una sorta di volano per la crescita economica e produttiva dell’intero territorio provinciale e regionale. Se era vero del resto, come aveva rilevato il rettore Riccardo Bachi in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1923-1924, che la riforma Gentile aveva impresso alla vita universitaria un indirizzo conforme «a quello spirito pertinace di intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno fra i decisivi caratteri del nostro Paese», era altrettanto vero che occorreva ripensare la stessa vocazione dell’Ateneo maceratese, operando in stretto raccordo con le istituzioni e con le realtà produttive del territorio per la crescita e il potenziamento dell’economia locale e regionale. Di qui le linee di un vero e proprio programma di sviluppo dell’Ateneo destinato a trovare, negli anni seguenti, una pur parziale realizzazione tanto sul piano della presenza scientifica e culturale, quanto sul versante dell’attività didattica e della proposta formativa: È, anzitutto, mia ferma convinzione – aveva sottolineato al riguardo il rettore dell’Università di Macerata – che si debba […] dedicare ogni energia, ogni sforzo ad assicurare una migliore vita per questa nostra secolare scuola di diritto e di economia. E' convinzione questa che è appieno condivisa dagli altri docenti dell'Università e che so essere largamente accolta anche in altri ambienti. […] Per raggiungere la piena formazione presso il nostro Ateneo di un ambiente propizio alla ricerca scientifica giova la costituzione di un Istituto o Seminario giuridico analogo e quelli che esistono presso molte Università italiane e forestiere. […] L’Istituto, del quale la Biblioteca universitaria sarebbe parte integrante, avrà per oggetto sia gli studi giuridici che quelli economico-sociali. Esso potrebbe avere una funzione regionale particolarmente utile anche pei futuri studi sui problemi locali, poiché si potrebbe, senza soverchio sforzo e senza grave dispendio, in esso raccogliere in maniera sistematica tutto quanto il materiale, non solo librario, ma anche documentario, via via attinente alla vita economica delle Marche e dell’Abruzzo. […] Questo Istituto di studi giuridici e sociali e questo Archivio per la storia economica marchigiana e abruzzese significheranno una azione dell’Università anche fuori dell'orbita limitata delle sue aule e dei suoi ordinari discepoli. […] L’Università nostra potrà esercitare efficacemente la sua azione per la diffusione locale della coltura. Dovrebbe essere una attività didattica essoterica, concretantesi con il 253 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista pieghevole strumento delle serie di pubbliche letture, sistematicamente disposte secondo programmi definiti, e vertenti a volta a volta sulla economia delle due regioni nostre, su problemi attuali. […] Con intendimenti più strettamente pratici, questa azione essoterica potrebbe, volgersi anche rispetto a gruppi particolari di uditori, sempre fuori della cerchia degli ordinari studenti, con lo scopo di integrazione della coltura professionale per determinate funzioni137. Nell’autunno del 1925, l’Università di Macerata otteneva l’autorizzazione ministeriale ad istituire, in convenzione con la locale Camera di Commercio, una Scuola Superiore di Ragioneria e lingue estere, la quale, «oltre al Corso biennale di Ragioneria e lingue estere», alla cui frequenza erano ammessi i licenziati dalle scuole secondarie, prevedeva anche l’attivazione di «un Corso sui rapporti della Ragioneria col Diritto privato e pubblico» destinato in via prioritaria agli studenti della Facoltà di Giurisprudenza, i quali avrebbero potuto frequentarlo «e sostenere esami senza alcuna spesa, arricchendo la loro coltura giuridica di cognizioni contabili e linguistiche tanto necessarie a tutte le carriere alle quali potranno dedicarsi». Le finalità della Scuola Superiore di Ragioneria e lingue estere, in realtà, erano di gran lunga più ambiziose: essa, infatti, attraverso la graduale «istituzione di altri insegnamenti sui rapporti della ragioneria coll’agricoltura industria e commercio, ed altro col credito, che implica lo studio del banco modello, e colle assicurazioni che riguarda la contabilità attuariale», avrebbe dovuto assurgere a vero e proprio laboratorio di alta formazione per le nuove professioni contabili e finanziarie legate allo sviluppo e alla modernizzazione delle imprese agricole e manifatturiere, del commercio e delle attività creditizie della regione138. Con l’approvazione, in forza del R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228, del nuovo Statuto della R. Università di Macerata, che sostituiva quello adottato in via provvisoria nel 1924139, la progettualità dispiegata negli anni precedenti ricevette un ulteriore e significativo impulso, fornendo l’indispensabile legittimazione, dal punto di vista giuridico e amministrativo, al potenziamento della presenza sul territorio e alla 137 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 23-27. 138 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1925-1926. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella cerimonia inaugurale del 15 novembre 1925, ANNUARIO (1926), p. 6. 139 Cfr. Statuto della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1927), pp. 131-144. Si veda altresì il testo parzialmente modificato nell’ottobre 1928: Statuto della R. Università di Macerata approvato con Regio Decreto 13 ottobre 1927, n. 2228 e modificato con Regio Decreto 25 ottobre 1928, n. 3483, ANNUARIO (1929), pp. 81-96. Una prima bozza dello Statuto, approvata dagli organi di governo dell’Ateneo in data 23 maggio 1925, non ottenne l’approvazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. La si veda in ASMc, Università, Statuti-Leggi- Regolamenti, Riforma dell’Università di Macerata, b. 693. 254 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista diversificazione dell’attività didattica e scientifica che, come si è già accennato, costituivano ormai le due principali direttrici di marcia del piccolo ateneo marchigiano. Lo rilevava, nel novembre del 1927, l’allora rettore dell’Università di Macerata Bruno Breschi il quale, dopo aver ricordato come «il nuovo Statuto diverge[sse] notevolmente dallo Statuto provvisorio finora vigente», richiamava l’attenzione sul fatto che le nuove disposizioni rendevano finalmente possibile «una più precisa ed organica determinazione della struttura e del funzionamento generale dell’Università» e «una maggiore ampiezza e specializzazione» della sua proposta formativa e delle iniziative da promuovere per favorire il radicamento nella realtà locale e regionale e la crescita socio-economica e culturale del territorio140. In attuazione degli artt. 29-34 del nuovo Statuto, ad esempio, veniva istituito nei mesi seguenti quell’Istituto di esercitazioni giuridiche a lungo caldeggiato dai docenti della Facoltà141, il quale avrebbe dovuto costituire una sorta di seminario permanente «per lo sviluppo speciale della cultura dei giovani nelle scienze giuridiche, politiche e sociali e per il loro addestramento alla pratica forense»142, attraverso la promozione di «conferenze su argomenti speciali, esercitazioni pratiche, accessi e visite ad udienze giudiziarie, uffici pubblici e stabilimenti di pena, ma anche ricerche scientifiche, discussioni» e attività seminariali destinate ad affiancare e ad integrare la formazione teorica tradizionalmente fornita dai corsi ufficiali della facoltà143. E’ ormai dimostrato – sottolineava sul finire del 1927 il rettore Breschi, illustrando le finalità del neonato Istituto di esercitazioni giuridiche – che, per raggiungere una maggiore efficacia didattica, l’insegnamento cattedratico deve essere integrato da esercitazioni, discussioni, colloqui, che pongano in più diretto contatto la mente dei giovani con l’insegnamento del maestro, e sviluppino in essi quella facoltà critica, di osservazione, di controllo, il cui esercizio è indispensabile, sia per la indagine scientifica, sia per la pratica professionale. D’altra parte le recenti disposizioni sull’esercizio delle professioni di Avvocato e di Procuratore prevedono la possibilità che il periodo di pratica professionale, necessario per l’ammissione agli esami di Stato, sia compiuto nei seminari istituiti presso le Facoltà giuridiche. Per queste ragioni, è sembrato opportuno creare, accanto alla Facoltà di legge, un Istituto di 140 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), pp. 10-11. 141 Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 28-30. 142 Sull’Istituto di esercitazioni giuridiche dell’Università di Macerata si veda ora P. Olivelli, Brevi note sull’Istituto di esercitazioni giuridiche, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 261265. 143 Cfr. Regolamento per l’Istituto di esercitazioni giuridiche annesso alla Facoltà di Giurisprudenza (Riconosciuto con Decreto Ministeriale 26 marzo 1928), ANNUARIO (1928), pp. 111-118. 255 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista esercitazioni giuridiche, al quale potranno iscriversi, oltre agli studenti di questa Università, i laureati in legge da non oltre due anni144. Lo Statuto della R. Università di Macerata approvato con il R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228, rese altresì possibile l’istituzione della Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, anch’essa a lungo auspicata dalla Facoltà di Giurisprudenza, la quale era autorizzata dal ministero della Pubblica Istruzione a conferire, al termine di un biennio di studi altamente specialistici, al quale potevano accedere i laureati in Giurisprudenza e coloro che avevano conseguito la laurea «in altre Facoltà o Scuole, purché forniti del diploma di maturità classica», i «diplomi di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia statistica e agraria»145. E’ il caso di soffermarci sul peculiare ruolo che la Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, destinata ad avviare la sua attività a partire dall’anno accademico 1929-1930146, al pari della Scuola Superiore di Ragioneria e lingue estere istituita nel 1925, era destinata a svolgere. Com’è stato efficacemente sottolineato, infatti, nelle intenzioni dei vertici dell’Ateneo, le finalità di queste due istituzioni di alta formazione andavano ben oltre il pur auspicato ampliamento e l’opportuna diversificazione dell’offerta formativa, per rappresentare i capisaldi di un più complessivo progetto volto a «fare dell’Università di Macerata una vera e propria fucina di “professionisti di alto livello” e, insieme, il laboratorio per la formazione di una nuova classe dirigente locale capace di guidare – in virtù dello specifico bagaglio di competenze giuridiche ed economiche offerte dall’ateneo – la crescita non solo culturale, ma anche “industriale, agricola e commerciale” dell’intera regione»147. Un obiettivo, quest’ultimo, a più riprese 144 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), p. 12. 145 Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, artt. 3541, in Statuto della R. Università di Macerata approvato con Regio Decreto 13 ottobre 1927, n. 2228 e modificato con Regio Decreto 25 ottobre 1928, n. 3483, cit., pp. 94-96. 146 Cfr. Elenco degli studenti iscritti alla Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, ANNUARIO (1929), p. 72. 147 R. Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una fonte preziosa per la storia delle università, in L. Pomante (a cura di), L’Università di Macerata nell’Italia unita (1861-1966). Un secolo di storia dell’Ateneo maceratese attraverso le relazioni inaugurali dei rettori e altre fonti archivistiche e a stampa, Macerata, EUM, 2012 (in corso di pubblicazione). 256 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista sottolineato, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, dall’allora rettore Arnaldo De Valles148, e più volte ribadito dai suoi successori nel corso del decennio: Al nostro Ateneo – sottolineava nel 1932 il nuovo rettore Paolo Greco – competono due salienti caratteristiche, sulle quali bisogna far leva per intensificarne il progresso. Una è quella di essere costituito dalla sola Facoltà di giurisprudenza. Questa condizione, se da una parte lo priva della tradizionale varietà delle branche universitarie, gli consente dall’altra di concentrare tutti gli sforzi, e tutti i mezzi morali e materiali, nell’incremento degli studi giuridici ed economici, di così fondamentale importanza nell’ordinamento fascista. A questo scopo la vita dell’Ateneo deve intimamente accostarsi, e direi deve fondersi, con la vita della città, della provincia, della regione marchigiana. L’isolamento non è fatto per noi giuristi. […] L’Università deve operare all’unisono con l’attività non solo culturale, ma industriale, agricola e commerciale della nostra bella, laboriosa e fertile regione. […] L'altra nota saliente del nostro Ateneo gli è impressa, direi naturalmente, dagli stessi caratteri dominanti dell'economia marchigiana. Nell'armonico sviluppo della vita nazionale, nella grande varietà dei suoi aspetti, le facoltà giuridiche devono tendere, non dico a specializzarsi con criteri rigidamente esclusivisti, ma a cogliere talune loro caratteristiche nell’ambiente in cui hanno sede, sviluppando quegli indirizzi che ad esse si confacciano. Ora al nostro Ateneo queste caratteristiche sono offerte dall’importanza e dalla intensità della vita agricola marchigiana. Se altrove esistono gli istituti superiori di agricoltura, sia qui il centro maggiore della penisola per gli studi di diritto ed economia agraria. Lo stesso rettore Greco, peraltro, dopo avere ricordato come l’Ateneo maceratese avesse «saggiamente provvisto alla istituzione della scuola di perfezionamento in diritto ed economia agraria, scuola che, per quanto mi risulta, è unica del genere nelle università italiane», rilevava come fosse necessario non accontentarsi dei pur eccellenti risultati conseguiti sul piano didattico, ma compiere un ulteriore passo nella direzione di «perfezionare questa scuola, ravvivarne ed intensificarne al massimo grado l’attività, costituirne un centro ed un osservatorio, in cui convergano dati e notizie e statistiche economiche, in cui si raccolgano usi e pratiche di affari osservate nei rapporti agrari, valorizzare i suoi diplomi, diffondere anche fuori dalle lezioni cattedratiche lo studio dei problemi più importanti e attuali della vita economico-giuridica dell’agricoltura, richiamare su di essi l’attenzione del pubblico». Era opportuno, insomma, fare della Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria lo strumento per un vero e proprio rilancio 148 Cfr. Inaugurazione dell’Anno Accademico 1929-1930. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles letta nella cerimonia inaugurale del 17 novembre 1929, ANNUARIO (1930), pp. 7-10; e Inaugurazione dell’Anno Accademico 1931-1932. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1931, ivi (1932), pp. 8-10. 257 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista dell’economia rurale marchigiana, anche al fine di «dare all’Ateneo un nuovo impulso di vita, preparargli forse un impreveduto sviluppo avvenire»149. In realtà, com’è stato efficacemente sottolineato, «a ridimensionare in larga misura le aspettative e i progetti elaborati su questo versante dall’Università di Macerata e a ricondurre entro limiti ben precisi l’aspirazione a farne una sorta di laboratorio specializzato nella formazione e nella ricerca giuridica ed economica in campo agricolo sarebbe stato proprio il regime fascista, scarsamente interessato – se non addirittura diffidente – nei riguardi dell’eccessivo protagonismo messo in campo su questo versante dall’ateneo maceratese, e della sua aspirazione a giocare un ruolo di consulenza scientifica nell’ambito delle politiche di programmazione e di sviluppo della produzione agricola regionale»150. Le innovazioni e i mutamenti che, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, caratterizzarono l’Università di Macerata, modificandone in modo deciso la fisionomia e le caratteristiche di fondo del proprio operato rispetto alla fase precedente, erano destinati, come si è già accennato, a produrre ricadute significative sulla stessa attività scientifica del corpo docente, come pure ad accentuare notevolmente il tradizionale ruolo esercitato dal piccolo Ateneo marchigiano sul versante dell’animazione culturale della città e del suo territorio. A partire dal 1926, ad esempio, «per cura della Facoltà Giuridica» prendeva il via la pubblicazione degli «Annali della Regia Università di Macerata», editi fino al 1943 dalla casa editrice Cedam di Padova e poi, in una nuova serie, dal 1948 al 1964, dall’editore A. Giuffrè di Milano151. Diretti inizialmente dal prof. Guido Bonolis, titolare della cattedra di Storia del diritto italiano nella locale Facoltà di Giurisprudenza, gli «Annali della Regia Università di Macerata» si proposero di rappresentare uno specifico spazio di confronto scientifico e culturale e uno strumento di divulgazione, sul piano nazionale e internazionale, dei risultati delle ricerche giuridiche ed economiche 149 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1932-1933. Relazione del Pro-Rettore Prof. Paolo Greco letta nella cerimonia inaugurale del 20 novembre 1932, ANNUARIO (1933), pp. 11-13. 150 R. Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una fonte preziosa per la storia delle università, cit. 151 Gli «Annali della Regia Università di Macerata» furono stampati, a partire dal 1926 (anno I/n.1), dalla Tip. F. Filelfo di Tolentino e poi da altre tipografie locali. Dal 1926 al 1943 uscirono con il marchio editoriale della casa editrice Cedam di Padova. Dopo la forzata interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale, il periodico riprese le pubblicazioni nel 1948, in una nuova serie, e con un titolo leggermente modificato («Annali dell’Università di Macerata»), presso l’editore A. Giuffrè di Milano. Uscì con periodicità regolare fino al 1964. 258 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista condotte nell’ambito della comunità accademica maceratese152. A questo riguardo, nei fascicoli pubblicati con periodicità regolare fino al 1943 (e poi ancora, dopo l’interruzione dovuta alle vicende belliche, nel secondo dopoguerra) essi accolsero «articoli di carattere scientifico degli attuali docenti e di quelli che già qui insegnarono», nonché contributi di giovani studiosi formatisi nell’ateneo maceratese153 e «quei lavori di nostri studenti, che siano riconosciuti dalla Facoltà degni di stampa»154. Di lì a qualche anno, sulla scia del successo degli «Annali», e a completamento di un progetto destinato a diffondere e a valorizzare «l’intensa e proficua produzione scientifica dei nostri docenti», si decise di affiancare al periodico anche una collana di studi e ricerche, dal titolo «Biblioteca degli Annali della Regia Università di Macerata», destinata ad accogliere monografie e atti di convegni e seminari curati dai docenti della Facoltà di Giurisprudenza. La «Biblioteca», avviata ufficialmente all’inizio degli anni Trenta, accolse nell’arco di un quindicennio lavori scientifici di notevole spessore, destinati, in taluni casi, a riscuotere una vasta eco nella comunità accademica e negli ambienti giuridici nazionali155. Le iniziative destinate alla diffusione e valorizzazione dell’attività di ricerca condotta in ambito giuridico ed economico dal corpo docente maceratese rappresentarono, come si è già accennato, solo un aspetto, ancorché estremamente significativo, della più complessiva attività svolta dall’Ateneo sul versante scientifico e culturale. A tale riguardo, basterebbe qui far riferimento, ad esempio, al ciclo di Letture Leopardiane promosso dall’Università di Macerata nei primi mesi del 1927, in collaborazione con la locale sezione della Dante Alighieri, il quale registrò la 152 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1926-1927. Relazione del Rettore Prof. Alberto Zorli letta nella cerimonia inaugurale del 14 novembre 1926, ANNUARIO (1927), p. 8. 153 Si vedano al riguardo i resoconti pubblicati annualmente, dal 1926 al 1943, nella sezione Pubblicazioni scientifiche del professori della Facoltà Giuridica dell’ANNUARIO. 154 Il primo lavoro di uno studente pubblicato sugli «Annali della Regia Università di Macerata» fu quello del dott. Jalfon Filippo Cataldi, laureatosi brillantemente nell’anno accademico 1925-1926 con una tesi di laurea dal titolo Il voto plurimo nelle società anonime. 155 Al pari degli «Annali», la collana «Biblioteca degli Annali della R. Università di Macerata» fu edita originariamente, e fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, dalla casa editrice padovana Cedam; in seguito, uscì per i tipi dell’editore A. Giuffrè di Milano. Per quel che concerne i volumi pubblicati nel primo quindicennio di vita della collana (1931-1946), debbono essere segnalati in particolare: A. De Valles, Teoria giuridica delle organizzazioni dello Stato. Vol. I: Lo Stato – Gli uffici, Padova, CEDAM, 1931; D. Tolomei, I principî fondamentali del processo penale, Padova, CEDAM, 1931; M. Scerni, I principî generali di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili nella giurisprudenza della Corte permanente di giustizia internazionale, Padova, CEDAM, 1932; G. Forchielli, Il diritto patrimoniale della Chiesa, Padova, CEDAM, 1935; Studi di storia e diritto in onore di Carlo Calisse, Milano, Giuffrè, 1940; Studi di storia e diritto in memoria di Guido Bonolis, Milano, Giuffrè, 1942-1946, 2 voll.; P. Gismondi, Il nuovo giurisdizionalismo italiano. Contributo alla dottrina della qualificazione giuridica dei rapporti tra Stato e Chiesa, Milano, Giuffrè, 1946. 259 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista partecipazione di italianisti di chiara fama e fu solennemente inaugurato da Giovanni Gentile con una conferenza, tenutasi nell’Aula Magna il 13 febbraio di quell’anno sul tema Il concetto della vita in Giacomo Leopardi156. E che tali iniziative, destinate ad avere ulteriori e significativi sviluppi nel corso degli anni Trenta, s’inscrivessero a pieno titolo nella più complessiva strategia di rilancio della presenza e della funzione a livello locale dell’Ateneo marchigiano, e riflettessero la volontà di corrispondere appieno alle nuove finalità assegnate ai piccoli atenei di provincia dalla riforma Gentile del 1923, lo si coglie agevolmente nelle linee programmatiche enunciate dal nuovo rettore Arnaldo De Valles in occasione della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1930-1931. A questo riguardo, in continuità con le indicazioni già formulate nella seconda metà degli anni Venti dai suoi predecessori, Arnaldo De Valles rilevava l’importanza di perseguire, accanto alle tradizionali funzioni connesse con l’attività didattica e formativa e con la ricerca scientifica, caratteristiche di ogni «universitas studiorum», anche quella di fare dell’Università di Macerata il vero e proprio fulcro della crescita culturale della città e del territorio circostante, sottolineando come un simile obiettivo corrispondesse pienamente alle finalità assegnate dal regime fascista alle istituzioni scientifiche e di alta cultura: È mio vivo intendimento – precisava il rettore dell’ateneo maceratese – di intensificare sempre più queste forme di attività, che pur non rientrando strettamente nella sfera delle attività accademiche, devonsi considerare parte integrante delle funzioni attinenti alla vita universitaria. Ed è anzi mio intendimento che l’Università partecipi sempre più attivamente ad ogni manifestazione della vita cittadina, stabilendo quel proficuo collegamento fra la vita e la scienza, che è uno dei precipui compiti degli Atenei ed è altresì una delle più caratteristiche espressioni del Regime, il quale vuole non una scienza arida e astratta, ma una scienza in continuo ed intimo collegamento con la realtà157. In realtà, a fronte dell’indubbio dinamismo progettuale e delle significative realizzazioni che caratterizzarono la fase successiva al varo della riforma Gentile, al pari di tanta parte degli atenei minori della penisola158 l’Università di Macerata si trovò a 156 Si veda al riguardo Parole del Rettore Prof. Bruno Breschi, per l’inizio delle Letture Leopardiane inaugurate nella Università di Macerata dal Senatore Prof. Giovanni Gentile, il 13 Febbraio 1927, ANNUARIO (1927), pp. 67-70. 157 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1930-1931. Relazione del Rettore Prof. Arnaldo De Valles letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1930, ANNUARIO (1931), pp. 7-8. 158 Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’università italiana da Gentile a Bottai. Appunti e discussioni, cit., pp. 333-335. 260 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista fare i conti con una situazione economica tutt’altro che rosea: le risorse finanziarie resesi disponibili in virtù della convenzione fra lo Stato e gli enti locali approvata con il R.D. 19 ottobre 1924, n. 1676, infatti, se per certi versi erano risultate sufficienti ad assicurare il mero «sostentamento dell’ateneo» sulla base di una valutazione della spesa corrente basata sulle voci di bilancio essenziali, ovvero a garantire la copertura degli stipendi del personale e le uscite relative alla gestione amministrativa e all’organizzazione dell’attività didattica e dei servizi, per altri versi si erano rivelate abbastanza presto inadeguate a far fronte alle accresciute esigenze imposte dalla stessa normativa universitaria introdotta con la riforma del 1923 e, in particolare, con le aspirazioni e necessità sottese alla pur fondamentale strategia volta a rilanciare a tutti i livelli la piccola università marchigiana e ad assicurarle un più ampio raggio d’azione in ambito locale e regionale. Tant’è che, a fronte di una serie di gravi rilievi formulati dal ministero della Pubblica Istruzione con una nota del 19 novembre 1926, nella quale si faceva rilevare che le risorse finanziarie di cui l’Università di Macerata disponeva non erano tali «da consentirle 159 superiore» un’organizzazione rispondente a tutte le finalità dell’istruzione , l’Ateneo aveva sollecitato il Comune e la Provincia di Macerata ad aumentare in tempi brevi il già consistente contributo annuo che i due enti locali erogavano in favore dell’istituzione universitaria, non mancando di rilevare che, in assenza del richiesto incremento delle risorse, l’Università di Macerata si sarebbe trovata inevitabilmente nella condizione di dover chiudere i battenti. Proprio l’urgenza generata dall’intervento ministeriale e la pericolosità dell’esito prospettato avevano convinto gli enti locali maceratesi ad intervenire in tempi rapidi e a dare soluzione, com’era accaduto più volte tanto nel recente quanto nel più remoto passato, alla difficile situazione creatasi. A questo riguardo, il 17 dicembre 1926 il Consiglio provinciale di Macerata deliberava all’unanimità di aumentare sensibilmente la propria quota-parte, portandola da 88.000 a 148.000 lire160; allo stesso modo, il 23 dicembre dello stesso anno, anche il Comune procedeva ad adeguare il proprio contributo, innalzandolo da 70.000 a 100.000 lire161. 159 Si veda la nota ministeriale, datata 19 novembre 1926, in ASMc, Università, Miscellanea, Carte varie, b. 693. 160 Verbale dell’adunanza del Consiglio provinciale del 17 dicembre 1926, in Atti del Consiglio provinciale di Macerata: anno 1926, Macerata, Stab. Tip. G. Ilari, 1927, pp. 203-205. 161 Il Comune di Macerata portò il suo contributo a 100.000 lire con delibera del Regio Commissario datata 23 dicembre 1926. La si veda in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. 261 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Una scelta senza dubbio necessaria e urgente, quella compiuta dagli enti locali maceratesi, destinata inevitabilmente a pesare sui rispettivi bilanci finanziari, la quale, come sottolineava l’allora rettore Bruno Breschi, testimoniava una volta di più il forte attaccamento di tali istituzioni all’ateneo cittadino e la loro volontà di salvaguardarne l’operato: «Queste deliberazioni – egli notava –, giova rammentarlo, hanno consentito all’Università di superare un momento critico della sua vita; e mi piace segnalarne la portata alla riconoscenza di quanto portano amore al nostro Ateneo»162. E tuttavia, gli interventi straordinari operati dal Comune e dalla Provincia di Macerata, se da un lato si erano rivelati indispensabili ai fini del superamento della situazione di emergenza che si era venuta a creare, dall’altro apparivano ben lungi dal rappresentare una soluzione atta a garantire stabilità e sviluppo all’ateneo. Occorreva, infatti, assicurare l’erogazione stabile e costante nel tempo delle accresciute risorse finanziarie deliberate in via eccezionale dagli enti locali a partire dal 1926, in modo tale da consentire una programmazione sul lungo periodo delle attività e di rendere concreto il potenziamento di quelle che il rettore Arnaldo De Valles aveva definito le iniziative e opere «che pur non rientrando strettamente nella sfera delle attività accademiche, devonsi considerare parte integrante delle funzioni attinenti alla vita universitaria». Si spiega alla luce di tali considerazioni la decisione maturata negli anni immediatamente successivi di ridefinire gli accordi economici stabiliti con il R.D. 19 ottobre 1924, n. 1676, e di giungere alla stipula di una nuova convenzione fra lo Stato e gli enti locali «per il mantenimento della Regia Università di Macerata». Approvata al termine di laboriose e complesse trattative, nel corso delle quali si riuscì ad ottenere anche il coinvolgimento della locale Cassa di Risparmio di Macerata tra gli enti finanziatori, e resa esecutiva con il R.D. 18 febbraio 1929, n. 403, la nuova convenzione aveva durata decennale a partire dal 1° novembre 1928 e prevedeva che, ai fini del funzionamento dell’Ateneo e dell’attività della Facoltà di Giurisprudenza e dagli annessi Istituto di esercitazioni giuridiche e Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria, gli enti sottoscrittori s’impegnassero a stanziare annualmente un contributo che, per quel che concerneva lo Stato, ammontava a lire 137.330 lire, e risultava, dunque, d’entità inferiore a quello stabilito nel 1924 (lire 150.000); mentre, con riferimento agli enti locali, si recepivano gli aumenti delle quoteparte deliberati nel 1926. L’onere economico per la Provincia di Macerata passava, 162 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1927-1928. Relazione del Rettore Prof. Bruno Breschi letta nella cerimonia inaugurale del 13 novembre 1927, ANNUARIO (1928), pp. 9-10. 262 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista dunque, dalle 88.000 del 1924 a 148.000 lire, mentre la quota erogata dal Comune di Macerata, che nel 1924 era stata fissata in 70.000 lire, saliva ora a 100.000 lire; a queste, si aggiungevano le risorse messe a disposizione dalla locale Cassa di Risparmio, la quale s’impegnava annualmente a finanziare l’Università con un contributo di 25.000 lire163. In realtà, aldilà dell’indiscutibile risultato ottenuto con il rapido e vantaggioso rinnovo della convenzione «per il mantenimento della Regia Università di Macerata», una profonda inquietudine caratterizzava i vertici e l’intero corpo docente del piccolo Ateneo marchigiano; un’inquietudine che traeva alimento dall’accresciuta consapevolezza delle forti sperequazioni che l’ordinamento universitario introdotto da Gentile nel 1923, con la riproposizione del doppio binario amministrativo ed economico sotteso alla «distinzione tra Università di tipo A e Università di tipo B», aveva prodotto nel sistema universitario italiano, a danno soprattutto degli atenei minori come quello di Macerata, i quali, da un lato erano chiamati ad ottemperare alle stesse regole e disposizioni che, sul piano didattico e scientifico come su quello organizzativo, presiedevano al funzionamento di tutte le «regie università» della penisola, dall’altro risultavano inevitabilmente penalizzati dalla limitatezza dei proventi statali e dalla conseguente necessità di affidarsi in misura crescente, per far fronte agli obblighi imposti dalla legge, agli stanziamenti assicurati – non senza grandi sacrifici e difficoltà, stanti le ristrettezze di bilancio che li caratterizzavano – dagli enti locali, e alle aleatorie risorse messe a disposizione dalle strutture creditizie operanti sul territorio. Non a caso, a distanza di pochi mesi dall’approvazione della convenzione, il 15 gennaio 1930, il rettore Arnaldo De Valles faceva pervenire al nuovo ministro dell’Educazione Nazionale Balbino Giuliano164 un lungo e articolato Pro-Memoria in favore delle Università e degli Istituti di cui alla tabella B, allegata al R.D. 30 settembre 1923, n. 2102, la cui natura, al tempo stesso di misurata ma ferma denuncia delle sperequazioni insite nel sistema universitario vigente e di drammatica rappresentazione delle difficoltà e dei disagi in cui versavano gli atenei minori nel Paese, ne faceva una sorta di via di mezzo fra un j’accuse e un vero e proprio cahier de doléances. 163 Regio Decreto 18 febbraio 1929, n. 403 – Approvazione ed esecutorietà della convenzione per il mantenimento della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1929), pp. 97-105 (il testo della convenzione è alle pp. 101-105). 164 Balbino Giuliano era stato nominato ministro dell’Educazione Nazionale il 12 settembre 1929, in sostituzione di Giovanni Belluzzo, e sarebbe rimasto in carica fino al 20 luglio 1932. 263 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Prendendo spunto da un’intervista concessa dal nuovo ministro, nella quale questi aveva «annunciato il proposito di aiutare soprattutto le piccole università», il rettore De Valles sottolineava come «la riforma Gentile, attuando la distinzione tra Università di tipo A e Università di tipo B», e introducendo il doppio regime in base al quale il mantenimento delle prime era posto a totale carico dello Stato, mentre quello delle seconde dipendeva dalle convenzioni tra «lo Stato e altri Enti», avesse posto in essere un meccanismo che si era rivelato, di fatto, «a tutto discapito delle Università minori», le quali, oltre ad essere rimaste con le cattedre scoperte, si erano trovate a dover fronteggiare con proprie risorse i nuovi e crescenti oneri legati agli aumenti stipendiali e alle altre spese determinate dal ministero. Di qui «l’impressione» diffusa «tra le Università di tipo B di essere un po’ abbandonate a sé stesse» e di qui, dunque, la necessità e urgenza di un vero e proprio mutamento di rotta da parte «del Governo Nazionale» rispetto alle scelte operate in passato. Mutamento di rotta che avrebbe dovuto investire, sottolineava ancora De Valles, non solo l’aspetto finanziario, ma anche quello didattico, laddove era dato di rilevare sperequazioni altrettanto gravi e penalizzanti non direttamente attinenti alla distinzione «tra Università A) e B), ma tra quelle che con termini molto generici si chiamano maggiori e le minori; per quanto queste categorie, in massima, ed anche nell’intenzione del legislatore, corrispondano alle prime». Su questo versante, precisava il rettore dell’Università di Macerata, «la riforma Gentile prevedeva per tutte [le università italiane] la autonomia didattica: in pratica però la necessità di lasciare una facoltà di scelta del proprio ordine di studi allo studente obbligava ad aumentare il numero di materie d’insegnamento». Ora, se da un lato tutto ciò rendeva «prevedibile che a tale aumento di materie dovesse corrispondere un aumento di personale insegnante», dall’altro il nuovo sistema concorsuale e la nuova disciplina dei trasferimenti e delle nomine dei docenti avevano finito, di fatto, per penalizzare le sedi universitarie più piccole e disagiate e a creare una situazione di «enorme squilibrio» e di «grande ingiustizia a favore di alcune Università e a danno di altre». Di qui la sollecitazione finale rivolta dal rettore dell’Università di Macerata al nuovo ministro dell’Educazione Nazionale di intervenire in tempi celeri per sanare le 264 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista principali storture di un sistema che non sembrava in alcun modo garantire la tanto sbandierata «pari posizione delle Università di fronte allo Stato»165. Non si ha notizia di una risposta ufficiale del ministero al Pro-Memoria inviato a Roma dal rettore De Valles né, tantomeno, dell’adozione, da parte di Balbino Giuliano, di provvedimenti atti a sanare concretamente le «sperequazioni» e gli «squilibri» denunciati nel documento166. Nei mesi successivi, tuttavia, proprio le crescenti difficoltà economiche che caratterizzavano gli atenei marchigiani contribuirono a riaccendere il confronto in sede locale e a favorire la ripresa delle trattative per promuovere il riordinamento del sistema d’istruzione superiore della regione. A farsi promotore di tale ripresa fu il presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti, istituito nel 1924 ad Ancona ed eretto ad ente morale con R.D. 1° maggio 1925167, Giovanni Crocioni, il quale, in un articolato intervento pubblicato nel 1928 nei «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», facendo proprie e rilanciando talune proposte e indicazioni già emerse dal dibattito sviluppatosi in ambito locale negli anni precedenti, sottolineava: Le Marche, ignorate dal resto della Nazione […] hanno un solo modo di risollevarsi in effetto, cioè in sé e per sé, e nel concetto universale: creare entro il loro seno un centro di cultura e di attrazione; un convegno di dotti, dare a se stesse un Ateneo, l’Ateneo dell’Italia Media Orientale, che raccolga la gioventù studiosa di parecchie province, senza dire dei Dalmati e degli Slavi del vicino Oriente, mettendosi in grado di fornire la preparazione a tutti gli studi, l’avviamento a tutte le carriere. La sortita di Crocioni, come si vede, recuperava e riproponeva all’attenzione delle forze socio-economiche e politiche, degli atenei della regione e degli stessi enti locali marchigiani le proposte avanzate a suo tempo dal rettore camerte Giovanni 165 Copia manoscritta del Pro-Memoria è conservata in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. De Valles Arnaldo. Il testo a stampa è riprodotto in A. De Valles, Pro-Memoria a S.E. il Ministro della Educazione Nazionale in favore delle Università e degli Istituti di cui alla tabella B, allegata al R.D. 30 settembre 1923, ANNUARIO (1930), pp. 39-50. 166 Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit., pp. 333-338. 167 Cfr. L. Zoppi, Origini, costituzione e scopi dell’Istituto marchigiano di Scienze Lettere ed Arti con sede in Ancona, in Id. (a cura di), L’Accademia Marchigiana di Scienze Lettere ed Arti dal 1925 al 2000 nel settantacinquennio dalla sua costituzione, Ancona, Tip. Trifogli, 2000. Sulla figura e l’opera del presidente Giovanni Crocioni si veda M. Veltri (a cura di), Giovanni Crocioni, le Marche e la cultura del primo Novecento. Atti del convegno di studi di Ancona-Arcevia, 12-13 novembre 2005, Ancona, Tip. Aniballi, 2008. 265 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Gallerani168 e dal sindaco di Macerata Ettore Ricci169, sulle quali, sia pure con un’ottica particolaristica ed esclusivamente centrata sulle sorti dell’Ateneo maceratese, in virtù della quale quest’ultimo avrebbe dovuto costituire il principale promotore e beneficiario di una simile trasformazione, si era espresso con favore, nel 1923, anche l’allora rettore dell’università del capoluogo Riccardo Beniamino Bachi170. A detta del presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti era giunto il momento di lasciarsi definitivamente alle spalle i tradizionali campanilismi e gli atteggiamenti improntati ad uno sterile e cieco localismo che, fino a quel momento, avevano impedito di fatto l’approdo ad una qualche soluzione. Di qui il suo appello ai diversi interlocutori regionali a guardare oltre l’orizzonte cittadino e provinciale e a proiettarsi in una prospettiva capace di abbracciare il territorio dell’intera regione per dare una soluzione definitiva ad un problema che, alla lunga, rischiava di compromettere inevitabilmente il futuro: Il problema universitario marchigiano – scriveva al riguardo Giovanni Crocioni –, così scottante e complesso, collegato con tradizioni secolari e aspirazioni insoffocabili, potrebbe risolversi con innegabile vantaggio comune, creando nella Regione il mezzo ideale, più o meno completo, della Università degli studi, da spezzare poi in sezioni, da dislocare in vari centri, atti a sostenerle con vantaggio e decoro, ma conservando unità di spirito e di programma. L’esistenza di un complesso più o meno integrale delle Facoltà universitarie della Regione, non solo non danneggerebbe le Università esistenti, ma le avvalorerebbe, riducendole da unità solitarie, sparute e vacillanti, come sono oggi, a membra vigorose di un corpo vitale, parti di un organismo operoso, giovane e promettente171. Alla forte presa di posizione del suo presidente, si accompagnò, nei mesi seguenti, l’impegno diretto dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti per rilanciare le trattative tra i diversi enti e organismi coinvolti al fine di approdare alla costituzione di un unico grande ateneo regionale e per ottenere l’avallo e il sostegno del governo nazionale all’iniziativa. A questo riguardo, furono stabiliti, attraverso il canale della segreteria regionale del PNF, contatti diretti con Mussolini, il quale, come già si era verificato nel dicembre 1923 in occasione di un analogo tentativo di promuovere un 168 Si veda in proposito il già più volte ricordato Riordinamento degli Studi superiori nelle Marche. Progetto di riforma universitaria. Relazione del professore Giovanni Gallerani, rettore della Libera Università di Camerino, cit. 169 Cfr. Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit. 170 Si veda al riguardo Inaugurazione dell’Anno Accademico 1923-1924. Relazione del Rettore Prof. Riccardo Bachi letta nella cerimonia inaugurale dell’11 novembre 1923, ANNUARIO (1924), pp. 13-14. 171 G. Crocioni, Per l’Università Marchigiana, «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», IV (1928), p. IV. 266 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista coordinamento tra le università marchigiane poi lasciato cadere a seguito del varo della riforma gentiliana172, manifestava il proprio convinto sostegno al progetto, tanto che una commissione consultiva appositamente convocata dal segretario del PNF nell’autunno del 1929 prendeva decisamente posizione a favore della proposta di addivenire in tempi brevi alla «fusione delle Università di Macerata, Camerino e Urbino nel grande Ateneo marchigiano»173. Il 29 dicembre 1929 i rettori dei tre atenei della regione stabilivano di comune accordo di affidare all’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti la «formulazione di un programma per la risoluzione del problema marchigiano, con speciale riguardo alla istituzione di una […] Università marchigiana o adriatica», la quale avrebbe dovuto articolarsi in più facoltà e corsi di laurea dislocati nei principali centri urbani della regione sulla base, laddove era possibile, delle specifiche esigenze dei territori, e in primis nelle tre città che erano già sedi universitarie, e avere gli uffici di rappresentanza del rettorato e dell’amministrazione centrale ad Ancona174. Il lavoro avviato nei mesi seguenti dall’Istituto per cercare di mediare tra aspettative talora fortemente contrastanti e interessi assai spesso inconciliabili, cercando altresì di porre un argine ai tentativi di ridimensionare la portata del processo di riorganizzazione e di mantenere inalterati gli equilibri esistenti, si sviluppò in maniera faticosa e tutt’altro che lineare, coinvolgendo diversi docenti dei tre atenei della regione e dando luogo ad una nutrita serie di incontri tra gli amministratori locali delle provincie marchigiane nel tentativo di superare le resistenze e i contrasti che via via emersero nel corso delle trattative175. A distanza di un anno dall’avvio dei lavori, il 30 dicembre 1930, l’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti stabilì di dedicare un’intera tornata accademica all’analisi della situazione e alle prospettive che si erano delineate nei mesi precedenti, affidando al presidente Giovanni Crocioni il compito di introdurre l’incontro e a tre studiosi che avevano collaborato ai lavori dell’Istituto le relazioni destinate a favorire la riflessione e il dibattito: la prima, incentrata su Il riordinamento degli studi superiori 172 Cfr. G. Gallerani, Per la libera Università di Camerino, «Chienti e Potenza», XXXVIII (5 gennaio 1924), 1, pp. 1-2. 173 Copia del verbale della Commissione consultiva del PNF è conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1919-1930, b. 3474. Sulle deliberazioni assunte dalla Commissione consultiva si vedano altresì le considerazioni formulate in Riassunto del Discorso del Presidente Prof. Crocioni, «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», VI (1930), p. LI. 174 Cfr. Trifogli, Le Marche e l’istruzione universitaria, cit., p. 15. 175 Per un sintetico quadro delle vicende si veda ibidem, pp. 15-16. 267 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista nelle Marche e le aspirazioni di Ancona, fu tenuta dal prof. Luigi Nina, straordinario di Scienza delle finanze nell’Ateneo maceratese; la seconda, dal titolo Sulla proposta di un istituto agrario superiore per le Marche e Zara in Ancona, ebbe come relatore il prof. Giuseppe Carletti Giampieri, esperto di questioni agricole e membro dell’Istituto; la terza, infine, sul tema Per la creazione di una facoltà medica, venne affidata all’ex rettore dell’Ateneo camerte prof. Giovanni Gallerani176. Nella sua relazione introduttiva Giovanni Crocioni ripercorse le tappe che avevano contrassegnato la ripresa delle trattative e degli studi per giungere alla costituzione di un’unica grande «Università delle Marche», non tacendo le difficoltà e gli ostacoli incontrati fino a quel momento, ed esortando ulteriormente i soggetti coinvolti nell’iniziativa ad andare oltre gli «interessi di parte» e a cogliere, aldilà dei ristretti «orizzonti localistici», le notevoli prospettive che un unico ateneo regionale dotato di tutte le facoltà e capace di attirare studenti da ogni parte d’Italia e dai paesi dell’altra sponda dell’Adriatico avrebbe potuto rappresentare per lo sviluppo economico e sociale e la crescita culturale delle Marche. Ai fini della realizzazione di un simile progetto erano indispensabili, egli sottolineava, ben maggiore coraggio e lungimiranza di quelli messi in campo fino a quel momento: Occorreva – si legge nella trascrizione dell’intervento – un illuminato e ragionevole spirito regionale, che permettesse a singole città e province di non ostacolare alcune iniziative ma di favorirle, di non considerare come un torto fatto a se stesse una concessione fatta ad altre, e di ritenere vantaggio anche proprio ciò che tornava di vantaggio ad altre province o città della regione e, quindi, alla regione intera. Si trattava, aggiungeva il presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti, di non rinunciare ad una grande e quasi imperdibile occasione, stante il pieno assenso e il sostegno accordati dal governo nazionale e dai vertici regionali del PNF all’iniziativa, di fare uscire le Marche da quella storica marginalità e irrilevanza politica che proprio l’esasperato campanilismo e il costante prevalere degli interessi locali avevano contribuito a promuovere: Dando alle Marche il loro Ateneo – concludeva Crocioni –, senza dire che verrebbe risolta una grande questione di superiore giustizia distributiva, si favorisce il decentramento, si ostacola 176 Il testo completo di queste tre relazioni ed un riassunto della relazione del presidente Crocioni si trovano in «Rendiconti dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti», VI (1930), pp. XLV-LX. 268 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista l’urbanesimo, si obbedisce alla tendenza regionalistica, si raggiungono, insomma, tutti scopi conformi alle direttive del Governo e agli interessi nazionali. Molti stranieri del vicino Levante, inoltre, anziché accorrere ai grandi centri di Bologna e di Roma, si fermerebbero nelle scuole marchigiane, più comode, meno costose, meno perigliose ai costumi dei giovani177. Assai differenti furono le considerazioni espresse dai tre studiosi chiamati ad intervenire nella tornata accademica dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti riguardo al processo di fusione degli atenei esistenti e alla creazione di un’unica università marchigiana. Il prof. Giuseppe Carletti Giampieri, ad esempio, si limitò a perorare la causa della costituzione nel capoluogo marchigiano di un Istituto agrario superiore per le Marche e Zara, mostrandosi per altri versi scettico nei confronti di ogni ipotesi di riordinamento generale dell’istruzione superiore a livello regionale. Più possibilista, su questo versante, appariva, naturalmente, l’ex rettore Giovanni Gallerani, il quale, tuttavia, dopo avere ricordato come la sua proposta di riforma presentata nel 1919 fosse inopinatamente naufragata «nel mare piccolo, ma periglioso, del misoneismo, del campanilismo, dell’individualismo»178, si diceva convinto che, al fine di evitare un ulteriore fallimento, occorresse procedere con molta cautela e compiere un passo per volta, ovvero impegnandosi innanzi tutto per il completamento, nelle Marche, della Facoltà di Medicina, la quale, a suo avviso, avrebbe potuto essere istituita ad Ancona, in virtù delle risorse e delle strutture disponibili e, soprattutto, del fatto che il capoluogo di regione era l’unico grande centro ancora privo di istituzioni universitarie. Di gran lunga più scettico e problematico era il docente dell’Università di Macerata, Luigi Nina, per il quale, lungi dal rimettere in discussione equilibri consolidati, l’unica riforma praticabile al momento era quella di istituire ad Ancona un Istituto superiore di scienze economiche, commerciali e corporative, colmando in tal modo lo squilibrio per cui il capoluogo regionale risultava essere ingiustamente penalizzato dall’assenza di un polo universitario. Quanto al resto, ovvero alla proposta caldeggiata dal presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti, Giovanni Crocioni, di costituire un’unica grande «Università delle Marche», Nina la giudicava senza mezzi termini «sterile, quando addirittura non riuscisse dannosa», perché «potrebbe far nascere degli attriti in un momento in cui la concordia piena è da 177 Riassunto del Discorso del Presidente Prof. Crocioni, cit., pp. XLIX-LII. Relazione del Prof. Comm. Giovanni Gallerani. Per la creazione di una facoltà medica, ibidem, p. LVIII. 178 269 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista invocare». Di qui la vera e propria liquidazione di ogni ipotesi di fusione o aggregazione degli atenei esistenti: E’ appunto per non rompere questa armonia – sottolineava il docente dell’Università di Macerata –, che rinunzio a proporre qualsiasi riordinamento degli altri Istituti Superiori esistenti nelle Marche, e domando anzitutto che il nostro Istituto [l’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti], il quale ha opportunamente invitato le autorità politiche della Regione ed i Rettori delle Università Marchigiane, dichiari senz’altro che la discussione su l’argomento è chiusa, e che si tratta esclusivamente di passare alla fondazione in Ancona di un Istituto Superiore di Studi, senza toccare gli altri Istituti esistenti nelle Marche: si tratta di agire con chiarezza, rapidità e stile fascista179. La totale indisponibilità manifestata da Luigi Nina («la discussione su l’argomento è chiusa») era destinata a troncare sul nascere ogni reale prosecuzione delle trattative sul riordinamento del sistema universitario marchigiano. Non a caso, le conclusioni formulate al termine della tornata accademica dell’Istituto marchigiano di Scienze, Lettere e Arti del 30 dicembre 1930, si limitavano a prendere atto che, «per il momento» non era «possibile procedere oltre», nonché esprimere un generico richiamo alla necessità «di tenere sempre vivo e considerare immanente il problema universitario marchigiano, invitando a studiarlo e illustrarlo ulteriormente tutti coloro che abbiano da suggerire idee plausibili o addurre mezzi validi per l’attuazione»180. Negli anni successivi, a questo riguardo, non si sarebbero registrati progressi sul versante dell’integrazione e razionalizzazione del sistema d’istruzione superiore marchigiano. L’ipotesi di una «federazione» o «fusione» dei tre atenei esistenti per dare vita ad un’unica grande «Università delle Marche», del resto, sarebbe tramontata alla metà del decennio, in conseguenza della vera e propria svolta impressa alla politica universitaria dal nuovo ministro dell’Educazione Nazionale Cesare De Vecchi 181. Con il riassetto dell’istruzione superiore avviato da De Vecchi in forza del R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1071182, infatti, si giunse alla «centralizzazione assoluta» del sistema universitario nazionale: abolita la distinzione tra università regie di primo e di secondo grado, a suo tempo reintrodotta da Gentile, furono altresì cancellati gli spazi di 179 Relazione del Prof. Luigi Nina. Il riordinamento degli studi superiori nelle Marche e le aspirazioni di Ancona, ibidem, p. LIII. 180 G. Crocioni, Per l’Università degli Studi nelle Marche, ibidem, VI (1930), p. XLVII. 181 Cesare Maria De Vecchi subentrò a Francesco Ercole in qualità di ministro dell’Educazione Nazionale il 24 gennaio 1935 e rimase alla guida della Minerva fino al 15 novembre 1936. 182 Si tratta del R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1071 – Modifiche e aggiornamenti del T.U. delle leggi sull’istruzione superiore. 270 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista autonomia didattica e organizzativa attribuiti ai singoli atenei dalla riforma del 1923183. A completamento di tale processo, con il successivo R.D. 28 novembre 1935, n. 2044 e con il R.D.L. 7 maggio 1936, n. 882184, De Vecchi procedette al riordinamento dei curricula e dei piani di studio delle facoltà, puntando ad una generale omologazione dell’offerta formativa universitaria che riduceva sensibilmente, anche su questo versante, i margini d’intervento e di autonoma caratterizzazione dell’attività didattica delle singole sedi185. Illustrando, sul finire del 1936, i provvedimenti emanati dal governo, il rettore dell’Università di Macerata Guido Bonolis ne sottolineava il carattere fortemente innovativo e gli indubbi vantaggi sul piano dell’assetto giuridico ed economico dell’ateneo, pur evitando prudentemente di formulare valutazioni e giudizi riguardo al nuovo ordinamento didattico, il quale, come si è detto, accentuava l’uniformità e la rigidità dei piani di studio, limitando fortemente gli spazi di autonomia attribuiti su tale versante dalla riforma Gentile alle singole sedi universitarie: Altri avvenimenti degni di nota si verificarono – affermava il rettore Bonolis – nel decorso anno per la nostra Università. Innanzi tutto, a decorrere dal 29 ottobre XV, essa è passata nella categoria A alla pari di altri Atenei, venendo così in tutto parificata, anche nell’ordinamento finanziario, agli altri Istituti di Istruzione Superiore. […] All’antica illimitata libertà di scelta fra le varie discipline, che era lasciata allo studente, è stato ora sostituito un sistema per il quale è fissato un certo numero di materie fondamentali, il cui studio è obbligatorio; oltre a queste, il giovane deve scegliere in un quadro determinato dalla Facoltà e approvato dal Ministero, un certo numero di materie complementari. Nella determinazione di queste ultime, la Facoltà ha avuto per guida e criterio di scelta sia le esigenze locali della regione, sia i nuovi indirizzi di studio che si presentano oggi nella vita del nostro Paese186. In ottemperanza alle disposizioni ministeriali, nei mesi seguenti si procedette alla modificazione dello Statuto della Regia Università di Macerata, il cui nuovo testo 183 Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit., pp. 338-346; Signori, Università e fascismo, cit., pp. 391-406; Colao, Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità ad oggi, cit., pp. 300-302. 184 Intendiamo riferirci al R.D. 28 novembre 1935, n. 2044 – Norme relative agli insegnamenti che devono essere impartiti nelle Università e negli Istituti superiori; e al R.D.L. 7 maggio 1936, n. 882 – Sostituzione delle tabelle allegate al R.D. 28 novembre 1935, n. 2044. 185 Cfr. A. Sandulli, Facoltà e ordinamenti didattici dal 1860 ad oggi, in Brizzi, Del Negro, Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, cit., vol. II, pp. 279-280. 186 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1936-1937. Relazione del Rettore Prof. Guido Bonolis, ANNUARIO (1937), p. 20. 271 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista fu approvato con il R.D. 1 ottobre 1936, n. 1974187. Merita di essere segnalato a questo riguardo che, aldilà della scontata riorganizzazione dell’ordinamento didattico e della nuova ripartizione degli insegnamenti previsti dal piano di studi di Giurisprudenza in fondamentali e complementari188, lo Statuto approvato nel 1936 conteneva una’importante novità: esso, infatti, mentre da un lato ridefiniva alla luce della nuova normativa il profilo e le funzioni dell’Istituto di esercitazioni giuridiche189, dall’altro sanciva la messa ad esaurimento della Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria istituita con il R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228190, la quale, di lì a poco, sarebbe stata definitivamente soppressa191. Autorizzata dal ministero della Pubblica Istruzione a conferire, al termine di un biennio di studi altamente specialistici, i «diplomi di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia statistica e agraria», tale Scuola, come si è già ricordato, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta aveva costituito il cardine di un più complessivo progetto volto a «fare dell’Università di Macerata una vera e propria fucina di “professionisti di alto livello” e, insieme, il laboratorio per la formazione di una nuova classe dirigente locale capace di guidare – in virtù dello specifico bagaglio di competenze giuridiche ed economiche offerte dall’ateneo – la crescita non solo culturale, ma anche “industriale, agricola e commerciale” dell’intera regione». La sua liquidazione nel quadro della nuova politica di «centralizzazione assoluta» del sistema universitario italiano varata da De Vecchi, sotto questo profilo, sanciva per molti versi la fine di quell’intensa e ambiziosa progettualità che, in continuità con l’ispirazione di fondo della riforma universitaria predisposta nel 1923 da Giovanni Gentile, l’Ateneo maceratese aveva faticosamente perseguito, nell’intento di imprimere alla propria attività un indirizzo conforme «a quello spirito pertinace di intensa e varia vita regionale, che costituisce pur sempre uno fra i decisivi caratteri del nostro Paese» e, più in particolare, di fornire il proprio contributo, in stretto raccordo 187 Si veda il testo del nuovo Statuto approvato con il R.D. 1° ottobre 1936, n. 1974 in Statuto della Regia Università di Macerata, ANNUARIO (1937), pp. 33-46. 188 Cfr. Tit. III – Ordinamento della Facoltà di Giurisprudenza, artt. 17-19, ibidem, pp. 37-39. 189 Cfr. Titolo IV – Istituto di esercitazioni giuridiche, artt. 27-32, ibidem, pp. 42-43. 190 Cfr. Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario ed in Economia e Statistica agraria, ibidem, pp. 43-44, che riporta in via provvisoria le norme già presenti nel precedente Statuto approvato con R.D. 13 ottobre 1927, n. 2228, modificato con R.D. 25 ottobre 1928, n. 3483. 191 A decorrere dall’anno accademico non si hanno più notizie dell’attività della Scuola di perfezionamento. Fra l’altro, nel Nuovo Statuto della R. Università di Macerata, ANNUARIO (1939), pp. 42-50, l’intero Titolo V – Scuola di perfezionamento in Diritto agrario e in Economia e Statistica agraria risulta omesso. 272 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista con le istituzioni e con le realtà socio-economiche e produttive del territorio, alla crescita e alla modernizzazione dell’economia locale e regionale. Paradossalmente – com’è stato notato –, il processo di centralizzazione del sistema universitario italiano avviato nel 1935-36 da De Vecchi, mentre da un lato, in virtù dell’equiparazione di tutti gli atenei statali, garantiva all’Università di Macerata continuità e stabilità dal punto di vista delle risorse e dei finanziamenti, dall’altro annullava i presupposti stessi della strategia di ampio respiro da essa tenacemente perseguita, in quegli anni, di assurgere a vero e proprio laboratorio specializzato nella formazione e nella ricerca giuridica ed economica in campo agricolo e, più in generale, di divenire l’istituzione guida, dal punto di vista culturale e scientifico, dello sviluppo economico e produttivo locale e regionale192. In uno scenario, quello della seconda metà degli anni Trenta, caratterizzato ormai dalla rigida centralizzazione della formazione superiore e dalla sostanziale omologazione degli ordinamenti e delle finalità del sistema universitario nazionale, il processo di “fascistizzazione integrale” degli atenei perseguito con piglio militaresco e indubbia efficacia dal ministro De Vecchi registrò anche nell’Università di Macerata esiti rilevanti. Soprattutto durante i rettorati di Guido Bonolis (1933-1937), Giuseppe Capograssi ((1937-1939) ed Enrico Bassanelli (1939-1940), a questo proposito, il piccolo Ateneo marchigiano si distinse per le iniziative di propaganda fascista e per le manifestazioni di consenso al regime mussoliniano193, in continuità peraltro con l’atteggiamento manifestato, in questo stesso periodo, dalla gran parte delle università italiane194. Alla ormai acquisita stabilità sotto il profilo giuridico ed economico si accompagnò, nella seconda metà degli anni Trenta, anche una lenta ma significativa crescita degli iscritti, dopo i notevoli cali e le costanti difficoltà riscontrate su questo versante a partire dalla fase del primo dopoguerra e per tutto il corso degli anni Venti. 192 Sani, Introduzione. Le relazioni annuali dei rettori per le inaugurazioni degli anni accademici: una fonte preziosa per la storia delle università, cit. 193 Si veda al riguardo il quadro delle iniziative promosse in tal senso dall’ateneo maceratese offerto nelle relazioni inaugurali: Inaugurazione dell’Anno Accademico 1935-1936. Relazione del Rettore Prof. Guido Bonolis, ANNUARIO (1937), pp. 3-9; Inaugurazione dell’Anno Accademico 1937-1938. Relazione del Rettore Prof. Giuseppe Capograssi, ivi (1938), pp. 3-5; e Inaugurazione dell’Anno Accademico 19381939. Relazione del Rettore Prof. Enrico Bassanelli (Riassunto), ivi (1939), pp. 3-4. Ma si vedano anche le relazioni dei segretari del GUF di Macerata per gli anni relativi: Relazione del Segretario del G.U.F. Anno Accademico 1935-36, ivi (1937), pp. 11-16; Relazione del Segretario del G.U.F. Anno Accademico 1937-1938, ivi (1938), pp. 6-17; Relazione del Segretario del G.U.F. Anno Accademico 1938-1939, ivi (1939), pp. 5-13. 194 Cfr. Ricuperati, Per una storia dell’Università italiana da Gentile a Bottai: appunti e discussioni, cit., pp. 338-350. 273 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista A questo riguardo, deve essere segnalato che, dopo avere registrato nell’anno accademico 1927-1928 il picco negativo di 92 iscritti, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo maceratese conobbe una graduale e costante ripresa, attestandosi su una media di 134 iscritti nel periodo compreso tra il 1934 e il 1940 (+51%)195, con un incremento medio di gran lunga superiore a quello fatto registrare, nello stesso periodo, dalle altre facoltà giuridiche della penisola (+29%)196. In controtendenza con la crescita complessiva degli iscritti sopra riferita si poneva il dato relativo alla presenza femminile nell’Università di Macerata, che nel corso del ventennio fascista, faceva registrare, al pari che in altri atenei italiani, un notevole calo, in sintonia del resto con le politiche di restrizione alle donne dell’accesso all’istruzione superiore e universitaria avviate dal regime197. A questo riguardo, le iscritte alla Facoltà di Giurisprudenza, che nell’anno accademico 1926-1927 ammontavano al 4,9% della popolazione studentesca complessiva, un decennio più tardi, e precisamente nel 1938-1939, scendevano all’1,6%, per approdare poi due anni dopo, nel 1940-1941, allo 0,6%198. Un fenomeno, quest’ultimo destinato a riverberarsi pesantemente anche sul numero complessivo delle laureate in Giurisprudenza del periodo199. Il dato relativo alla provenienza geografica degli iscritti attesta un significativo incremento, rispetto al passato, della componente studentesca di provenienza regionale, pur a fronte del persistere di una rilevante porzione di giovani reclutati nelle aree centromeridionali della penisola. A questo riguardo, deve essere segnalato che, tra la fine dell’Ottocento e la vigilia del secondo conflitto mondiale, la percentuale di iscritti all’Ateneo provenienti dalle province marchigiane registrava una dinamica all’insegna 195 Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., p. 424. Si vedano al riguardo i dati sugli iscritti alle Facoltà di Giurisprudenza negli atenei della penisola per il periodo relativo riportati in Istituto Centrale di Statistica, Annuario statistico dell’istruzione italiana, anno scolastico 1950-1951, serie I, vol. 4, Roma, Tip. Failli, 1953, p. 245. 197 Cfr. M.L. Bianco, Donne all’Università. Studentesse e docenti nell’accademia italiana contemporanea, «Annali di storia delle università italiane», 8 (2004), pp. 9-34; P. Govoni, Donne e scienza nelle università italiane, 1877-2005, in Ead. (a cura di), Storia, scienza e società. Ricerche sulla scienza in Italia nell'età moderna e contemporanea, Bologna, Dipartimento di filosofia, CIS, 2006, pp. 239-288. Sul periodo che dall’unificazione nazionale giunge fino alla prima guerra mondiale, oltre alla ricca messe di dati e notizie forniti da V. Rava, Le laureate in Italia. Notizie storiche, Roma, Cecchini, 1902, si veda anche la documentata ed efficace analisi proposta in M. Raicich, Liceo, Università, Professioni: un percorso difficile, in S. Soldani (a cura di), L'educazione delle donne: scuole e modelli di vita femminile nell'Italia dell'Ottocento, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 147-181. 198 Cfr. Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., p. 266. 199 Cfr. S. Serangeli, L. Pomante, L’inatteso dono di un abbandonato album fotografico: Iriade Tartarini e i suoi compagni d’Università del 1897, «Annali di storia delle università italiane», 13 (2009), pp. 175185. 196 274 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista della progressiva, seppure non costante crescita, passando dal 27% del 1896-1897, al 15% del 1914-1915 e al 45% del 1922-1923, fino al 63% dell’anno accademico 19381939200. Se si scompone quest’ultimo dato su base provinciale, emerge che, a fronte del 46% di iscritti proveniente dal maceratese, il 24% era originario dell’ascolano, il 22% apparteneva alla provincia di Ancona e il restante 8% a quella di Pesaro, il che conferma una distribuzione regionale particolarmente concentrata nei territori delle Marche centro-meridionali e assai meno rilevante nella parte settentrionale (provincia di Pesaro), in ragione non solamente della presenza dell’Ateneo urbinate, ma anche della peculiare e notevole capacità di attrazione della vicina Università di Bologna. Sempre con riferimento all’anno accademico 1938-1939, gli iscritti provenienti da fuori regione (ovvero il 37% del totale) erano così distribuiti: il 23% dall’Abruzzo e dal Molise, il 7% dalle Puglie, il restante 7% proveniva da diverse regioni, specie dell’Italia centrale e meridionale (Umbria, Lazio, Campania, Lucania e Calabria), e, in piccola parte, dai territori dell’altra sponda dell’Adriatico (Spalato, Zara ecc.)201. Sembra di poter dire, a questo proposito, che il processo di “regionalizzazione” dell’Ateneo maceratese ricevette un particolare impulso nel corso del ventennio fascista, contribuendo a modificare in profondità le caratteristiche di polo d’attrazione e di istituzione universitaria di riferimento di una popolazione universitaria fondamentalmente extra regionale, legata soprattutto ai territori dell’Italia centrale e meridionale, che avevano connotato essenzialmente l’Università di Macerata dall’unificazione nazionale alla prima guerra mondiale. Un processo, quest’ultimo, destinato a trovare conferma e a conoscere, anzi, ulteriori sviluppi negli anni del secondo dopoguerra. Per quel che concerne il corpo docente dell’Ateneo maceratese, nella seconda metà degli anni Trenta si accentuava ulteriormente la caratteristica, già riscontrata pressoché costantemente fin dagli ultimi due decenni del secolo XIX – e comune, del resto, a larga parte degli atenei minori della penisola –, dell’estrema mobilità e dello scarso radicamento dei professori di ruolo, la maggior parte dei quali considerava quella marchigiana come una mera “sede di passaggio”, nella quale compiere la fase iniziale della propria carriera accademica, per poi spiccare il volo verso i maggiori atenei della 200 Elaborazione, a cura dell’autore, sui dati statistici contenuti nell’ANNUARIO per gli anni relativi. Elenco nominativo degli studenti iscritti nell’anno accademico 1938-39, ANNUARIO (1939), pp. 2933. 201 275 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista penisola (Roma, Bologna, Napoli, Torino e Milano in particolare), o quanto meno verso sedi universitarie collocate in città più piccole, ma meno decentrate dal punto di vista geografico e dotate di migliori collegamenti (Pisa, Parma, Perugia, Pavia ecc.). Complessivamente, nel periodo fra le due guerre, e più in particolare tra il 1920 e il 1938, la percentuale dei professori di ruolo della Facoltà di Giurisprudenza maceratese che si trasferì annualmente presso un altro ateneo fu del 34%, con una particolare accentuazione del tasso di mobilità nel quinquennio 1934-1938202. Merita di essere sottolineato, peraltro, che il crescente avvicendamento dei professori di ruolo sulle cattedre dell’Università di Macerata, dovuto all’alto tasso di mobilità cui si è fatto cenno, rese particolarmente difficile il radicamento di studiosi di prestigio e, dunque, la creazione e il consolidamento di vere e proprie “scuole universitarie” e di autorevoli équipe di ricerca nei diversi settori scientifici e disciplinari. Estremamente significativa per la vera e propria centralità rivestita dalla disciplina, ma tutt’altro che particolare e isolata, è la vicenda della cattedra di Diritto civile sulla quale, nel breve arco del decennio 1931-1940, si avvicendarono ben cinque diversi titolari203. Il fenomeno cui si è fatto riferimento sopra, peraltro, era destinato a generare ulteriori problemi e a riverberarsi negativamente sull’attività didattica e sulla stessa qualità scientifica e culturale degli insegnamenti impartiti dalla Facoltà di Giurisprudenza. Basti dire che, nel corso del ventennio sopra richiamato, gli insegnamenti impartiti da professori ordinari furono mediamente il 28%, e quelli tenuti da professori straordinari il 25%, a fronte di una percentuale di insegnamenti coperti con l’attribuzione di incarichi a docenti esterni che raggiungeva il 47% del totale, ovvero quasi la metà di quelli previsti come obbligatori o facoltativi dalla tabella del corso di laurea in Giurisprudenza204. In buona sostanza, tra le difficoltà create dall’alto tasso di trasferimenti ad altra sede dei professori incardinati, e nelle more dell’eventuale “chiamata” di nuovi titolari per la copertura della cattedra resasi improvvisamente vacante, si poneva anche quella, tutt’altro che secondaria e marginale, di un abnorme numero di insegnamenti, talora di primaria importanza, attribuiti per incarico ad un personale docente non di ruolo e reclutato sovente in tutta fretta per far fronte agli obblighi di legge. 202 Il tasso di mobilità è ricavato dalla rielaborazione dei dati statistici contenuti in Trento, Le università marchigiane durante il fascismo, cit., pp. 268-269. 203 Si tratta di Giuseppe Stolfi, Paolo Greco, Mario Casanova, Enrico Bassanelli e Domenico Rubino. 204 Elaborazione, a cura dell’autore, sui dati statistici contenuti nell’ANNUARIO per gli anni relativi. 276 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista E’ pur vero che il carattere di “sede di passaggio”, nella quale i giovani studiosi compivano la fase iniziale della propria carriera accademica prima di trasferirsi nelle sedi universitarie più grandi e prestigiose, tradizionalmente rivestito dall’Università di Macerata, e consolidatosi ulteriormente nel periodo fra le due guerre, accanto alle controindicazioni sopra richiamate produsse anche taluni effetti positivi, che non possono essere sottovalutati o ignorati. Basterebbe qui accennare al fatto che l’avvicendamento continuo di giovani professori formatisi altrove e approdati a Macerata nella fase iniziale e più feconda della loro attività di ricerca contribuì, indubbiamente, a favorire la circolazione di idee nuove e il confronto tra orientamenti e tradizioni scientifiche differenti, evitando parimenti il rischio della stagnazione culturale e del ripiegamento in chiave localistica delle attività di ricerca e d’insegnamento, caratteristico delle piccole sedi e degli atenei di provincia. Non può essere taciuto inoltre che, anche circoscrivendo la nostra analisi al solo periodo compreso fra le due guerre, la Facoltà di Giurisprudenza di Macerata poté annoverare tra i suoi professori, fosse pure per un arco di tempo limitato, taluni giovani studiosi destinati in seguito a divenire veri e propri “maestri” nei diversi ambiti scientifici e disciplinari e ad imporsi a livello nazionale e internazionale per la qualità e lo spessore delle loro ricerche e dei loro studi. Basterebbe qui far cenno, a titolo meramente esemplificativo, a personalità del calibro di Giuseppe Capograssi nell’ambito della Filosofia del diritto205, Costantino Mortati sul versante del Diritto costituzionale206, Pietro Gismondi per il Diritto ecclesiastico207, Antonio Amorth per il Diritto amministrativo208, e Enrico Allòrio sul versante del Diritto processuale civile209. Nell’autunno del 1940, a distanza di pochi mesi dall’ingresso dell’Italia fascista nel secondo conflitto mondiale, il rettore Costantino Mortati non lesinava di attingere 205 Su Giuseppe Capograssi si vedano J. Ballesteros, La filosofia juridica de Giuseppe Capograssi, RomaMadrid, Consejo superior de investigaciones scientificas, 1973; e M.G. Esposito, Diritto e vita. La lezione di Giuseppe Capograssi, Milano, Giuffrè, 1997. 206 Su Costantino Mortati si vedano M. Galizia, P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè, 1990; M. Brigaglia, La teoria del diritto di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè, 2006; e M. Galizia (a cura di), Forme di Stato e forme di governo: nuovi studi sul pensiero di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè, 2007. 207 Su Pietro Gismondi si vedano i contributi a lui dedicati in J.I. Arrieta, G.P. Milano (a cura di), Metodo, fonti e soggetti del diritto canonico. Atti del Convegno internazionale di studi «La scienza canonistica nella seconda metà del '900: fondamenti, metodi e prospettive in D'Avack, Lombardia, Gismondi e Corecco» (Roma, 13-16 novembre 1996), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,1999. 208 Su Antonio Amorth si veda in particolare V. Gasparini Casari (a cura di), Il pensiero giuridico di Antonio Amorth nel quadro dell’evoluzione del diritto pubblico e amministrativo, Modena, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Modena e Reggio, 2005. 209 Su Enrico Allòrio si veda C. Consolo, L’opera di Enrico Allòrio fra teoria generale e sensibilità storica, Padova, Cedam, 2004. 277 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista alle più collaudate e colorite metafore della retorica bellicista del regime per inquadrare i nuovi scenari che caratterizzavano la vita del Paese e per delineare le prospettive sulle quali esso si era incamminato: La «Grande Proletaria» si è mossa – egli affermava –; le armi sono state impugnate in un durissimo cimento, che, mentre riafferma le virtù guerriere della nostra stirpe, mostra la maturità dell’Italia ad assumere una posizione direttiva, ad intraprendere quella missione mondiale, profetizzata dal vaticinio dei poeti e dei martiri del riscatto italico, inspirata dalla tradizione immortale di Roma, voluta dal genio del Duce, che di questa «itala gente dalle molte vite», di questo «popolo di navigatori, di poeti, di soldati e di santi», seppe fare una energia sola, e lanciarla alla conquista dell’avvenire. La sicurezza che ci arride dell’esito vittorioso dell’aspra impresa, affidata alla considerazione dei fattori che ho ricordati, oltre che esaltare il nostro sentimento patriottico, conforta e soddisfa il senso umano che è in ciascuno di noi, e ciò per l’intima convinzione della giustezza dei motivi che ci hanno costretto a scendere in campo, della necessità di dare al mondo assetato di pace un ordine stabile, che, per essere fondato nella giustizia, solo può soddisfare a quella aspirazione. L’enfatica apertura del discorso di Mortati non era fine a se stessa, ma mirava a definire il nuovo quadro entro il quale avrebbero dovuto collocarsi la vita universitaria nazionale nel suo complesso e, più in particolare, l’esperienza dell’Ateneo maceratese. Se era vero infatti, com’egli sottolineava, che «un Impero non è tale per l’ampiezza dello spazio su cui si estende, o per la moltitudine dei popoli su cui domina, e neppure in ragione della forza armata della quale dispone, bensì solo in virtù delle energie spirituali che da esso emanano, della missione di civilizzazione che è capace di adempiere», era altrettanto vero che tutto ciò comportava l’assunzione, da parte dei singoli docenti e della comunità universitaria nel suo complesso, di nuovi impegni e di nuove e più stringenti responsabilità. Si rendeva necessario, in sostanza, «trascendere gli interessi particolari», ed «operare per l’elevamento materiale e soprattutto per quello morale» del paese: Affinché dunque – egli precisava – la nostra espansione apra la via a quella nuova, più elevata civiltà che auspichiamo, è necessario armarsi di ferrea virtù, piegarsi ad una dura, insonne fatica, raggiungere il primato in ogni campo di attività. E se è vero che i valori della cultura sono quelli che promuovono e condizionano tutti gli altri, è all’Università che spettano in via principale il compito e la responsabilità di temprare le pacifiche, ma veramente invincibili armi, pei cimenti di oggi, e per quelli, forse ancora più gravi, di domani. […] Ci assiste la ferma convinzione che a questa necessaria intensificazione ed approfondimento dell’attività scientifica Macerata recherà il suo contributo. 278 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista E la «ferma convinzione» cui accennava il rettore Mortati traeva conforto e solidi argomenti dalla costante fedeltà alla propria funzione e ai nuovi compiti che ad essa erano stati assegnati dal governo nazionale della quale l’Università di Macerata aveva dato prova nel corso del suo recente passato. Una fedeltà che trovava riscontro negli indubbi risultati conseguiti sia sul piano della ricerca scientifica e della formazione superiore, sia su quello, non meno importante, del contributo recato alla crescita culturale e al rinnovamento della coscienza etico-civile e politica delle nuove generazioni: Che questa convinzione non sia attinta solo dal passato glorioso del nostro Ateneo, ma si radichi nel sodo terreno della realtà di oggi – notava innanzi tutto Costantino Mortati – sembra comprovato da confortanti indizi. Vi è anzitutto da rilevare l’andamento delle immatricolazioni, che da qualche anno segna una curva costantemente ascendente e che quest’anno ha toccato un massimo di 80, con previsione di ulteriore aumento, superando così di più del doppio il numero raggiunto nello scorso anno. Successo questo tanto più notevole, in quanto non è ottenuto attraverso la lusinga delle facili indulgenze, ma mantenendo costantemente agli studi un carattere di serietà. È nostra cura diuturna provvedere al mantenimento di questi criteri, che, mentre son diretti a dare ai giovani i mezzi per un efficace approfondimento della loro preparazione, assicurano una coscienziosa e rigorosa selezione delle migliori capacità210. Su un diverso piano, accanto al «contributo recato agli studi dal nostro Ateneo», alle «pubblicazioni accolte con sempre maggiore favore dagli studiosi» e ai «notevoli riconoscimenti degli elevati meriti dei docenti della nostra facoltà», non andava dimenticato l’imponente lavoro «culturale» e «politico» che aveva affiancato l’attività scientifica e didattica in senso stretto, nell’ambito del quale il rettore dell’Università di Macerata si limitava a richiamare, tra le iniziative di più elevato valore realizzate negli ultimi anni: L’iniziativa, promossa dal mio predecessore, in collaborazione con la Sezione provinciale dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, diretta a divulgare l'opera della nuova legislazione fascista. Due eminenti maestri di diritto, Arturo Carlo Jemolo e Francesco Carnelutti hanno in questa aula, nei mesi decorsi, illustrato alcuni fra gli aspetti più appassionanti dei rapporti fra Stato e cittadino; il primo parlando di essi nei riguardi della P.A., l’altro con riferimento alla giustizia civile, secondo la 210 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1940-1941 – XIX. Relazione del Rettore Prof. Costantino Mortati, ANNUARIO (1941), pp. 5-8. Nell’anno accademico 1940-1941, in realtà, si registrarono ben 87 nuove immatricolazioni, il che consentì all’ateneo maceratese di raggiungere il numero complessivo di 176 iscritti. Cfr. Elenco nominativo degli studenti iscritti nell’anno accademico 1940-41 XIX, ANNUARIO (1941), pp. 77-85. 279 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista predisposizione contenuta nel nuovo codice di procedura. Tali lezioni, sospese per il sopravvenire degli eventi bellici saranno riprese colla collaborazione di docenti di questo e di altri Atenei211. Questa sorta di bilancio in itinere della «meritoria attività» e delle «importanti realizzazioni» di cui si era resa protagonista l’Università di Macerata aveva fra l’altro lo scopo di richiamare l’attenzione del governo nazionale sulle ormai improcrastinabili esigenze di sviluppo del piccolo Ateneo marchigiano, il cui potenziamento sotto il profilo dell’offerta didattica e formativa e della caratterizzazione sul piano scientifico e culturale si rendeva necessario, a detta del rettore Mortati, non già ai fini di un mero «soddisfacimento di un interesse particolare», ma come efficace soluzione agli accresciuti problemi che travagliavano il sistema universitario nazionale e, nel contempo, come risposta alla «sempre più incalzante» necessità di fornire una preparazione adeguata alle giovani generazioni: Orbene – affermava il rettore –, quest’affluire crescente di giovani, quest’appassionata attività di docenti, questo fervore di iniziative, questo rivolgersi della munificenza privata (che amo considerare non puramente fortuito, né destinato a rimanere isolato), a favore del nostro antico Studio, sono elementi che devono imporre sempre più all’attenzione delle autorità di governo la soluzione del problema annoso del suo ampliamento. Nell’intento di prodigare tutti i nostri sforzi in questa direzione ci assiste la convinzione di non tendere solo al soddisfacimento di un interesse particolare. Ciò perché tale interesse noi lo valutiamo nella sua attitudine a inserirsi in una esigenza di carattere generale, quale è quella del riordinamento degli studi universitari. Io penso che, in occasione di questo riordinamento, dovrà essere riaffermata la vantaggiosa funzione delle piccole università, ai fini dell’incremento della cultura superiore. Lo stesso sdoppiamento delle cattedre nelle maggiori università – da alcuni vagheggiato – non potrà risolvere il problema della formazione culturale dei giovani, che diviene sempre più incalzante, via via che aumenta la popolazione scolastica. Le università dei centri minori, consentendo un più stretto contatto fra docenti e discenti, l’eliminazione delle cause di dispersione di energie e di sciupìo di tempo, insopprimibili nelle grandi città, il maggiore raccoglimento, offrono elementi assai vantaggiosi per la proficuità degli studi, a condizione però che esse siano dotate dei mezzi sufficienti per l’effettivo espletamento della loro missione. L’appello di Costantino Mortati al governo nazionale affinché, «in armonia a quei principi di giustizia distributiva ai quali il Regime fascista informa la sua azione», non fossero ancora una volta, come già a più riprese in passato, negate all’Università di Macerata «quelle provvidenze già largamente concesse ad altre Università» giungeva all’indomani di una serie di incontri avuti a Roma dal precedente rettore Enrico 211 Ibidem, pp. 8-9. 280 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Bassanelli e dallo stesso Mortati con il ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, legato da antichi vincoli di amicizia con l’Ateneo maceratese212, nel corso dei quali «il Ministro per l’Educazione Nazionale» aveva «riconosciuto in modo esplicito la necessità che a Macerata sia data una nuova facoltà» e si era impegnato personalmente a sostenere l’istanza avanzata al riguardo dall’ateneo marchigiano. Purtroppo, come sottolineava lo stesso Mortati, «lo stato di guerra, sopravvenuto dopo i colloqui avuti con il Ministro, non ha consentito finora che tale impegno di massima potesse essere concretato». Di qui la necessità di riprendere i contatti e di potenziare ulteriormente le pressioni sul ministero al fine di ottenere quanto promesso: «È mio intento riprendere senza indugio – sempre d’accordo con le autorità locali – l’iniziativa, allo scopo di ottenere che l’aspirazione della nostra Università si realizzi»213. Sul finire del 1940, a questo riguardo, il rettore dell’Università di Macerata faceva pervenire al ministro Bottai un memoriale dal titolo Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata214, nel quale, dopo avere ripercorso «i precedenti della questione» e documentato con dovizia di particolari l’«esistenza di condizioni favorevoli allo sviluppo dell’Università di Macerata», erano avanzate una serie di proposte specifiche relative alla «istituzione di una facoltà letteraria» dai tratti e dalle caratteristiche peculiari rispetto alle tradizionali facoltà di Lettere e Filosofia esistenti negli altri atenei della penisola, dotata cioè di un 212 Giuseppe Bottai, all’epoca sottosegretario di Stato al ministero delle Corporazioni, l’11 novembre 1928 era stato chiamato all’Università di Macerata a tenere il discorso celebrativo in occasione della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1928-1929. Si era trattato della prima e unica volta nella vicenda postunitaria dell’università marchigiana in cui un non togato, e in particolare un membro del governo in carica, aveva assolto ad un ufficio tradizionalmente ricoperto da un docente di ruolo della Facoltà di Giurisprudenza. Cfr. Fascismo e Cultura. Discorso inaugurale detto da S.E. l’On. Giuseppe Bottai Sottosegretario di Stato al Ministero delle Corporazioni l’11 novembre 1928, ANNUARIO (1929), pp.13-21. Anche in seguito Bottai aveva mantenuto ottime relazioni con i vertici dell’Ateneo, non mancando di sostenere con cospicui finanziamenti ministeriali le iniziative da esso promosse nel campo della promozione degli studi corporativi. I rapporti, com’è comprensibile, si erano intensificati all’indomani della nomina dell’esponente fascista alla guida del ministero dell’Educazione Nazionale (1936), anche in ragione dell’antica amicizia che legava Bottai al rettore Enrico Bassanelli. Si veda al riguardo il carteggio conservato in AUMc, Facoltà giuridica, Personale, f. Bassanelli Enrico. In ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1941-1953, bb. 3476-3477, sono presenti alcuni documenti dell’amministrazione comunale che fanno riferimento ai diversi incontri e agli accordi stabiliti, nei primi mesi del 1940, tra i rappresentanti dell’ateneo (Bassanelli e Mortati) e il ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, per l’istituzione a Macerata di una seconda facoltà accanto a quella “storica” di Giurisprudenza. 213 Inaugurazione dell’Anno Accademico 1940-1941 – XIX. Relazione del Rettore Prof. Costantino Mortati, cit., pp. 10-11. 214 Se ne veda ora il testo dato alle stampe nei primi mesi del 1941: Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata, Macerata, Stab. Tipografico Maceratese, s.d. (ma 1941). La memoria, predisposta quasi certamente dallo stesso rettore Costantino Mortati, era costituita da 7 brevi capitoli e arricchita da 11 allegati. 281 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista ordinamento particolare destinato a privilegiare la «specializzazione nelle lingue» e nelle culture e istituzioni «dell’Oriente europeo»215. Nelle Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata, come si vede, tornava prepotentemente alla ribalta, sia pure con una caratterizzazione dai tratti originali come vedremo, il progetto lungamente accarezzato dal sindaco di Macerata e dai vertici dell’Ateneo e dagli stessi vertici dell’amministrazione comunale maceratese fin dai primissimi anni Venti, e oggetto, come si ricorderà, di un apposito memoriale fatto pervenire nel dicembre 1922 dal sindaco di Macerata Ettore Ricci all’allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile. Intendiamo riferirci alla proposta di affiancare alla Facoltà di Giurisprudenza «Istituto Levantino o una Scuola Levantina per la conoscenza e la penetrazione del Levante», la quale, lungi dal riproporre il tradizionale modello delle facoltà universitarie di lettere o di lingue straniere già attive nella penisola, avrebbe dovuto essere impostata sulla base di un’organizzazione degli studi del tutto originale, al fine di caratterizzarsi come un «centro di irradiazione culturale verso il Levante» e fungere da anello di congiunzione tra l’Europa occidentale e orientale e di collegamento tra i paesi delle diverse sponde «dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale»216. L’estensore della memoria inviata a Bottai non mancava di sottolineare come l’Università di Macerata era rimasta l’unica nella penisola ad essere dotata di una sola facoltà, e ciò appariva tanto più grave in quanto, negli ultimi vent’anni, numerosi erano stati «i provvedimenti del Governo Fascista diretti – oltre che a creare nuove Università – ad ampliare, arricchendole di nuove facoltà, quelle esistenti, anche se libere (Urbino, Camerino, Ferrara)»; per di più, a conferma dell’incomprensibile e ingiustificata penalizzazione che era stata riservata all’ateneo marchigiano, era appena il caso di ricordare che «fu concesso a ben 16 facoltà di rilasciare lauree in discipline diverse da quelle proprie del loro ordine di studi. Anche da questa ultima forma di sviluppo Macerata fu esclusa»217. L’istituzione nell’antico centro universitario marchigiano di una «Facoltà letteraria» specializzata nell’insegnamento delle lingue e culture del vicino Oriente («in modo da fare della nuova facoltà un istituto di alta cultura unico in Italia»), oltre che in 215 Ibidem, pp. 1-2. Cfr. Comune di Macerata, La Università Regia del Piceno. MCCXC, cit. 217 Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata, cit., pp. 3 e 15-16. 216 282 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista virtù delle solide tradizioni umanistiche di Macerata e delle Marche, e dell’assenza di analoghe facoltà letterarie negli atenei della fascia adriatica centro-meridionale218, si rendeva non solo opportuna, ma anche urgente per più ragioni, non ultima quella di favorire la diffusione della cultura italiana tra le popolazioni dell’altra sponda dell’Adriatico e delle aree dell’Europa Orientale che proprio il nuovo corso impresso alla politica estera italiana dal regime fascista e l’evoluzione dei rapporti internazionali avevano reso strategiche per il Paese: I tempi – si affermava al riguardo nel memoriale inviato al ministro Bottai – appaiono maturi per l’esaudimento della antica aspirazione di ampliamento dello Studio maceratese, che è atteso come atto di giustizia riparatrice. La istituzione di una facoltà letteraria, con specializzazione per la conoscenza delle lingue, letterature ed istituzioni dell’Europa Orientale, che dovrebbe intitolarsi al nome di «Giacomo Leopardi», non solo sembra soddisfare a tale aspirazione, ma anche corrispondere ad urgenti esigenze di carattere nazionale. Le circostanze che sono state ampiamente illustrate sembrano esigere che l’apertura della facoltà non sia rinviata al dopo guerra, ma disposta senz’altro indugio, pel prossimo anno accademico, così come si è fatto per la facoltà di Agraria di Palermo. Infatti non prorogabile si presenta la necessità di iniziare quegli scambi culturali con i paesi dell’altra sponda dell’Adriatico, che sono condizione preliminare, indispensabile, per una più ampia ed intensa penetrazione nei medesimi dell’influenza italiana. La pace dovrà trovare già avviata tale opera di penetrazione ed è perciò che si confida che il Governo, in adempimento della promessa assunta, voglia soddisfare alle esigenze illustrate ed appagare l’antica e vivamente sentita aspirazione della regione maceratese, predisponendo quanto occorra per l’istituzione ed il funzionamento della nuova facoltà219. Le «urgenti esigenze di carattere nazionale» richiamate dai vertici dell’Ateneo maceratese affinché l’istituzione della nuova facoltà letteraria non fosse «rinviata al dopoguerra, ma disposta senz’altro indugio, pel prossimo anno accademico, così come si è fatto per la facoltà di Agraria di Palermo», erano destinate a non trovare adeguata attenzione negli ambienti del ministero dell’Educazione Nazionale, almeno nel residuo periodo in cui esso fu presieduto da Giuseppe Bottai220. 218 Ibidem, pp. 20-23. Ibidem, pp. 11-12. 220 Si veda al riguardo la documentazione conservata in ASMc, Archivio comunale, cat. 9 (Educazione nazionale), clas. 7 (Università), 1941-1953, b. 3477. 219 283 Capitolo quinto. Il primo dopoguerra, la riforma Gentile del 1923 e il ventennio fascista Un successivo interessamento favorevole all’iniziativa da parte del nuovo titolare della Minerva, Carlo Alberto Biggini221, riguardo al quale disponiamo di notizie frammentarie222, era destinato anch’esso a restare lettera morta. La drammatica evoluzione fatta registrare dagli eventi bellici e le vicende che, di lì a poco dovevano portare alla caduta del fascismo e all’occupazione della penisola erano destinate non solamente a favorire l’accantonamento del progetto formulato nelle Considerazioni e proposte per la istituzione di una nuova facoltà presso la R. Università di Macerata, ma anche a spostare forzatamente l’attenzione dell’Ateneo marchigiano verso altre impellenti necessità e verso i drammatici problemi prodotti dalla seconda guerra mondiale223. 221 Succeduto a Giuseppe Bottai nella fase più drammatica del secondo conflitto mondiale, nel momento in cui, cioè, sembrava ormai profilarsi all’orizzonte la sconfitta militare e il crollo del regime fascista, Carlo Alberto Biggini fu ministro dell’Educazione Nazionale dal 6 febbraio al 25 luglio 1943. 222 Per ragioni legate alle vicende belliche, tanta parte della documentazione archivistica è andata dispersa e gli archivi dell’Università di Macerata sono gravemente lacunosi rispetto alle attività amministrative e ai provvedimenti assunti dai vertici dell’Ateneo nel periodo 1942-1943. L’episodio a cui si è fatto cenno nel testo è ricavato da una testimonianza raccolta molti anni dopo sulle pagine locali del quotidiano «Il Resto del Carlino»: «Nel 1943 ci sembrò di aver raggiunto la mèta quando il ministro dell’Educazione prof. Biggini, in una memorabile riunione in prefettura, […] affermò solennemente di essere pienamente favorevole alla istituzione in Macerata della facoltà di lettere e lingue e terminò il suo dire all’incirca così: Ed ora vi attendo a Roma al più presto per la firma della Convenzione!» (Vivissimi consensi all’iniziativa dell’ORUM, «Il Resto del Carlino»(Cronaca di Macerata), 17 agosto 1956) . 223 Per un quadro d’insieme si veda Ministero della Pubblica Istruzione, La ricostruzione delle università italiane, Firenze, Le Monnier, 1951. 284 Bibliografia BIBLIOGRAFIA STUDI SULL’ISTRUZIONE SUPERIORE E SULLE UNIVERSITÀ ITALIANE Alvazzi Del Frate P., Università napoleoniche negli «Stati Romani». 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Calisse Carlo dal 1° marzo 1890 al 30 novembre 1892 9. Serafini Enrico dal 1° dicembre 1892 al 15 maggio 1895 10. Barsanti Pio dal 16 maggio 1895 al 31 ottobre 1896 11. Serafini Enrico dal 1° novembre 1896 al 31 dicembre 1896 12. Lo Savio Nicolò dal 1° gennaio 1897 al 15 novembre 1897 13. Pascucci Raffaele dal 16 novembre 1897 al 31 ottobre 1898 14. Tartufari Luigi dal 1° novembre 1898 al 30 novembre 1901 15. Ranelletti Oreste dal 1° dicembre 1901 al 15 gennaio 1905 16. Arangio Ruiz Gaetano dal 16 gennaio 1905 al 15 ottobre 1910 17. Pascucci Raffaele dal 16 ottobre 1910 al 31 ottobre 1912 18. Arcangeli Ageo dal 1° novembre 1912 al 31 dicembre 1913 19. Borsi Umberto dal 1° gennaio 1914 al 31 ottobre 1915 20. Marchi Antonio dal 1° novembre 1915 al 15 ottobre 1916 21. Donati Donato dal 16 febbraio 1917 al 31 dicembre 1917 22. Pascucci Raffaele dal 1° gennaio 1918 al 19 agosto 19181 1 Il mandato rettorale s’interruppe anticipatamente per l’improvvisa e prematura scomparsa del prof. Raffaele Pascucci. Il decano prof. Pio Barsanti assunse la funzione di prorettore nei giorni seguenti e, in 299 I rettori della Regia Università di Macerata dal 1861 al 1945 23. Bortolucci Giovanni dal 1° settembre 1918 al 15 ottobre 1919 24. Barsanti Pio dal 16 ottobre 1919 al 31 luglio 1923 25. Bachi Riccardo dal 1° agosto 1923 al 30 novembre 1924 26. Zorli Alberto dal 1° dicembre 1924 al 30 novembre 1926 27. Breschi Bruno dal 1° febbraio 1927 al 30 novembre 1927 28. De Valles Arnaldo2 dal 15 gennaio 1929 al 31 ottobre 1932 29. Greco Paolo3 dal 1° novembre 1932 al 30 novembre 1933 30. Bonolis Guido dal 1° dicembre 1933 al 31 ottobre 1937 31. Capograssi Giuseppe dal 1° novembre 1937 al 31 ottobre 1938 32. Bassanelli Enrico dal 1° novembre 1938 al 31 ottobre 1940 33. Mortati Costantino dal 1° novembre 1940 al 31 ottobre 1942 34. Coniglio Antonio dal 1° novembre 1942 al 31 ottobre 1945 tale veste, esercitò le funzioni di governo dell’ateneo fino alla nomina a rettore, il 1° settembre dello stesso anno, del prof. Giovanni Bartolucci. 2 Il prof. Arnaldo De Valles ricoprì l’incarico di prorettore dal 15 dicembre 1927 al 15 gennaio 1929. A partire da questa data assunse ufficialmente l’ufficio di rettore della R. Università di Macerata. 3 Per tutto il periodo del suo mandato, il prof. Paolo Greco non ebbe mai il decreto di nomina a rettore da parte del ministero della Pubblica Istruzione. Egli mantenne dunque l’ufficio in qualità di prorettore e, a tale titolo, firmò gli atti e i provvedimenti amministrativi dell’Ateneo. 300