SoStegNo Alle Attività DiDAttiCo-eDuCAtive

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SoStegNo Alle Attività DiDAttiCo-eDuCAtive
Comune di
Ozzano dell’Emilia
sostegno alle attività didattico-educative:
accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Progetto di qualificazione scolastica 3/5 anni - Ambito 6
Documentazione percorso formativo a.s. 2011 - 2012
riflessioni sulle linee guida per il diritto allo studio degli alunni DSA
e discussioni di gruppo su storie di bambini della scuola d’infanzia
Dr. Nicola Corazzari
Progetto di Ambito realizzato grazie al contributo della Provincia di Bologna
Comune di
Monghidoro
Comune di
Pianoro
indice
Riflessioni sulle linee guida per il diritto allo studio degli alunni DSA accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Documentazione percorso formativo a.s. 2011 / 2012
pag 3
Illustrazione linee guida sui Disturbi Specifici di Apprendimento
Incontro di plenaria rivolto a tutte le insegnanti della scuola dell’infanzia dell’Ambito 6
martedì 17 Gennaio 2012 c/o Sala Eventi della Mediateca - Comune di San Lazzaro di Savena pag 4
Discussioni di gruppo su storie di bambini della scuola d’infanzia pag 9
Il bambino affetto da epilessia
Primo incontro laboratoriale - martedì 6 Marzo 2012 c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
pag 10
Il bambino che si masturba Secondo incontro laboratoriale - martedì 3 Aprile 2012 c/o Sala Giunta - Comune di San Lazzaro di Savena pag 13
Linguaggio, sviluppo e ritardo Terzo incontro laboratoriale - martedì 8 Maggio 2012 c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
pag 15
Il bambino che non si tiene Quarto incontro laboratoriale - martedì 22 Maggio c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
pag 18
Riflessioni sulle linee guida
per il diritto allo studio degli alunni DSA
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
ILLUSTRAZIONE LINEE GUIDA SUI DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO
martedì 17 gennaio 2012 c/o Sala Eventi della Mediateca - Comune di San Lazzaro di Savena
Il percorso dello scorso anno è stato dedicato all’approfondimento delle abilità di base sottese all’apprendimento della lettura e della scrittura e per questo motivo abbiamo individuato come destinatari
dei nostri pensieri e del nostro lavoro il bambino e la bambina di 5 anni. Il nostro obiettivo è stato
quello di allenare il bambino al potenziamento dei pre-requisiti per fare in modo che il primo giorno di
scuola primaria fosse ben predisposto verso tali apprendimenti. Ma non solo.
Nel passato anno scolastico abbiamo trattato una serie di temi più o meno direttamente connessi a
questo come il gioco simbolico, inteso come competenza centrale che ha ricadute positive su ambiti
come il linguaggio, la cooperazione, la pianificazione ed il dialogo, quest’ultimo inteso come strumento indispensabile che permette all’insegnante di entrare in un contatto, umano oltre che tecnico, con
il bambino.
Ovviamente la fonologia (capacità di analizzare, riconoscere e riprodurre i suoni della propria lingua
e delle parole “Come comincia la parola Mare?”), la narrazione, la cura e la conoscenza degli aspetti
grafo motori sono stati centrali nella trattazione complessiva dell’argomento che, come abbiamo
visto, non si può limitare ad una analisi settoriale di una area di competenza come la coordinazione
occhio-mano, piuttosto che il riconoscimento dei suoni tipici della propria lingua, ma richiede all’insegnante la capacità di una visione personale e complessiva del bambino in questione.
Detto ciò ora ci dedicheremo all’illustrazione delle linee guida sui Dsa emanate il 12 Luglio 2011
relative al diritto allo studio degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento.
Per trattare questo argomento dobbiamo agire in coerenza e continuità con il progetto dell’anno
scorso e dargli una conclusione. Avevamo cominciato illustrando la legge 170/2010 che si proponeva
di fornire entro 4 mesi dalla sua promulgazione delle linee guida per la predisposizione di protocolli
regionali per le attività di identificazione precoce, dove, ricordiamocelo bene, per identificazione
precoce non si intende diagnosi visto che, è sempre bene ricordarlo, la diagnosi di Dsa viene fatta al
termine della seconda elementare (e della terza per la discalculia).
Tuttavia è ormai abbastanza condiviso il pensiero che, se alla base del disturbo c’è una anomalia
neurobiologica, i segnali di una difficoltà e di un rallentamento fuori dalla norma siano già individuabili alla scuola d’infanzia nelle aree che si avvicinano come competenze a quelle che poi verranno
richieste alla scuola primaria, quando verranno insegnati il calcolo, la lettura e la scrittura.
Stiamo parlando quindi di aree come la coordinazione motoria fine e larga, l’orientamento nello spazio
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Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
e nel tempo, lo schema corporeo, la capacità di giocare con i suoni, di fare rime, inventare filastrocche, la presenza di una comprensione e di una espressione linguistica decorosa, i tempi di attenzione
e le autonomie ecc. che possiamo già monitorare nei bambini di 5 anni, ottenendo così un profilo
abbastanza preciso di come arriveranno equipaggiati alla scuola primaria.
Analizziamo la legge per sommi capi.
La legge n° 170 dell’8 Ottobre 2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” avvalora l’importanza dei DSA rispetto ad altre categorie diagnostiche
anche perché, come sappiamo, è una segnalazione alla quale non corrisponde una certificazione che
dia diritto al sostegno in classe, ma solo a suggerimenti su come dispensare o compensare l’attività
didattica del bambino. Tale legge riconosce la validità delle forme di tutela e di sostegno che le scuole
e le famiglie hanno individuato per promuovere il successo formativo.
Sappiamo che sono state attivate da anni una serie di azioni da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale
E.R. volte al sostegno e alla promozione dell’integrazione scolastica dei soggetti con DSA e tra le varie
competenze richieste alle insegnanti c’è quella di utilizzare il proprio occhio clinico per individuare
difficoltà in questo senso. Tale occhio clinico deve essere implementato con una formazione adeguata
e continuativa del personale, visti i recenti consensi scientifici sulla materia.
Con questo progetto abbiamo cercato di agire in linea con questa legge ed in particolare con le sue
finalità e con il tema della formazione:
Art. 2 sulle finalità: “Preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA”.
Art. 3 sulla diagnosi: “E’ compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole d’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei
ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali (…). L’esito
di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA”.
Art. 4 sulla formazione nella scuola: “Per gli anni 2010 e 2011, nell’ambito dei programmi di formazione del personale docente (…) comprese le scuole dell’infanzia (…), è assicurata una adeguata
preparazione riguardo alle problematiche relative ai DSA, finalizzata ad acquisire la competenza per
individuarne precocemente i segnali e la conseguente capacità di applicare strategie didattiche
adeguate (…)”.
Art. 7 sull’attuazione: “(…) entro 4 mesi dall’entrata in vigore (…) si provvede ad emanare linee
guida per la predisposizione di protocolli regionali, da stipulare entro i 6 mesi successivi per le
attività di identificazione precoce di cui art. 3 (…)”.
In conclusione anche nella scuola d’infanzia dobbiamo cominciare a prestare attenzione a questo tema.
Abbiamo cercato di rimanere nell’ambito dello sviluppo del potenziamento di autonomie; spesso infat5
Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
ti è presente una buona capacità attentiva, ma è necessario allenarsi ad avere i ritmi ed i tempi della
scuola primaria, quindi, se il bambino è abituato ad andare 10 volte in bagno durante una attività, sarà
importante cominciare a farlo andare un po’ meno di frequente, perché alla scuola primaria dovrà modificare radicalmente le proprie abitudini. Oppure, pensiamo all’uso del temperino: è una competenza
non scontata, perché implica una coordinazione occhio-mano: c’è invece chi ne vieta l’uso alla scuola
d’infanzia perché lo considera troppo scolastico.
Linee guida per la Scuola d’Infanzia - 12 luglio 2011
“Il processo di concettualizzazione della lingua scritta non costituisce un obiettivo della scuola dell’infanzia,
ma nella scuola dell’infanzia deve trovare i necessari prerequisiti”. La Scuola dell’Infanzia ha il compito
di “rafforzare l’identità personale, l’autonomia e le competenze dei bambini”, promuovendo la “maturazione dell’identità personale,… in una prospettiva che ne integri tutti gli aspetti (biologici, psichici,
motori, intellettuali, sociali, morali e religiosi)”, mirando a consolidare “le capacità sensoriali, percettive, motorie, sociali, linguistiche ed intellettive del bambino”.
“È importante identificare precocemente le possibili difficoltà di apprendimento e riconoscere i
segnali di rischio già nella scuola dell’infanzia”.
La didattica trae orientamento da considerazioni di carattere psicopedagogico: ci interessiamo quindi
dei fenomeni e dei comportamenti manifesti del bambino, senza però trascurare come lo stesso vive
l’esperienza di avvicinamento alla lettura e alla scrittura.
Purtroppo alla scuola d’infanzia non possiamo distinguere rallentamento da disturbo, possiamo identificare dei percorsi che aiutino i bambini che presentano una difficoltà in queste aree e sperare che
con l’aiuto delle insegnanti possano migliorare certe competenza e compensare in maniera funzionale
le proprie carenze.
Possiamo inoltre riconoscere precocemente i segnali di rischio.
“…la Scuola dell’Infanzia svolge un ruolo di assoluta importanza sia a livello preventivo, sia nella
promozione e nell’avvio di un corretto e armonioso sviluppo (…) del bambino in tutto il percorso
scolare, e non solo”.
“…occorre tuttavia porre attenzione a non precorrere le tappe nell’insegnamento della letto-scrittura, anche sulla scia di dinamiche innestate in ambiente familiare o indotte dall’uso di strumenti
multimediali”: la Scuola dell’Infanzia, infatti, “esclude impostazioni scolasticistiche che tendono a
precocizzare gli apprendimenti formali”.
Ricordiamoci che dopo qualche mese di prima elementare circa il 20% dei bambini presenta una
difficoltà in questi apprendimenti, e circa il 4-5% un vero e proprio DSA che sarà diagnosticato da
specialisti. Quindi nella popolazione della scuola dell’infanzia potremo immaginarci circa 1 bambino
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Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
in ogni classe da 25 che potrebbe essere diagnosticato in futuro, mentre tutti gli altri potrebbero
rientrare nella macro categoria dei rallentamenti dovuti ai più diversi fattori.
Cominciamo ad avere qualche sospetto quando il bambino di 5 anni confonde suoni, non completa
le frasi, utilizza parole non adeguate al contesto o le sostituisce, omette suoni o parti di parole, sostituisce suoni o lettere ( p/b…) e ha un’espressione linguistica inadeguata. Può essere goffo, avere
poca abilità nella manualità fine o a riconoscere la destra e la sinistra, può avere difficoltà in compiti
di memoria a breve termine, ad imparare filastrocche, a giocare con le parole: va supportato con
attività personalizzate all’interno del gruppo.
Per agevolare l’intervento delle insegnanti si citano ad esempio alcune attività che potrebbero essere
proposte: la narrazione o l’invenzione di storie, il loro completamento, la loro ricostruzione, la memorizzazione di filastrocche, poesie e conte, nonché i giochi di manipolazione dei suoni all’interno delle
parole. Ricordiamoci che le abilità si possono allenare!
Schede pre-stampate
Considerate che nel disegnare una forma sul foglio, il bambino fa riferimento ad un tracciato immaginativo interno, frutto di una rappresentazione mentale: la forma grafica, che poi diverrà segno
grafico della scrittura, viene costruita mediante una pluralità ed una complessità di atti che portano
alla raffigurazione di una immagine mentale: la scrittura quindi è frutto del nesso tra evocazione ed
esecuzione, memoria uditiva e visiva del segno, fonema e grafema. Le esercitazioni su schede
prestampate dove compaiono lettere da ricalcare o da completare non giovano all’assunzione di tale
compito, mentre sarà positivo proporre schede finalizzate alla saturazione del colore, al controllo
dell’impulso nei margini, al potenziamento della muscolatura fine della mano.
Ricordiamo che un alunno con DSA potrà venire diagnosticato solo alla scuola primaria, qualora le
difficoltà eventuali interferiscano in modo significativo con gli obiettivi scolastici o con le attività
della vita quotidiana che richiedono capacità formalizzate di lettura, di scrittura e di calcolo.
Durante la scuola dell’infanzia l’insegnante potrà osservare l’emergere di difficoltà più globali, ascrivibili ai quadri di DSA, quali:
difficoltà grafo-motorie,
difficoltà di orientamento e integrazione spazio-temporale,
difficoltà di coordinazione oculo-manuale e di coordinazione generale,
dominanza laterale non adeguatamente acquisita,
difficoltà nella discriminazione e memorizzazione visiva sequenziale,
difficoltà di orientamento nel tempo scuola,
difficoltà nell’esecuzione autonoma delle attività della giornata,
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
difficoltà ad orientarsi nel tempo (ieri, oggi e domani).
Se vengono proposte attività di pregrafismo sarà importante prestare particolare attenzione a:
accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Documentazione percorso formativo a.s. 2011 / 2012
lentezza nella scrittura,
pressione debole o eccessiva esercitata sul foglio,
discontinuità nel gesto,
ritoccatura del segno già tracciato,
direzione del gesto grafico,
occupazione dello spazio nel foglio,
assunzione dello schema motorio (determina la coordinazione dei movimenti e l’organizzazione
dell’azione sul piano fisico).
Questi rappresentano gli ambiti da allenare nel caso in cui si osservi un lieve ritardo.
Sarà opportuno ricordare che il linguaggio viene considerato uno tra i migliori predittori di difficoltà di lettura. Per questo è bene proporre ai bambini esercizi linguistici - ovvero operazioni meta
fonologiche - sotto forma di giochi. Le operazioni metafonologiche richieste per scandire e manipolare
le parole a livello sillabico sono accessibili a bambini che non hanno ancora avuto un’istruzione formale ed esplicita del codice scritto.
“L’operazione metafonologica a livello sillabico (scandire per esempio la parola cane in ca-ne)
consente una fruibilità del linguaggio immediata, in quanto la sillaba ha un legame naturale con la
produzione verbale essendo coincidente con la realtà dei singoli atti articolatori (le due sillabe della
parola ca-ne corrispondono ad altrettanti atti articolatori nell’espressione verbale ed è quindi molto
facilmente identificabile)”.
Discussioni di gruppo
su storie di bambini della scuola d’infanzia
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
il bambino affetto da epilessia
Sintomi
martedì 6 Marzo 2012 c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
Ipereccitabilità del sistema nervoso dove tutti i gruppi di neuroni, o alcuni gruppi che sono più eccitati
di altri, improvvisamente cominciano a scaricare. Si tratta una scarica elettrica sincrona dei neuroni
che sono collegati con una fitta rete per cui, l’area celebrale in cui scaricano improvvisamente, per esempio l’area celebrale deputata al linguaggio, al movimento o all’attenzione, salta, va in
cortocircuito.
Quando ci troviamo ad aver a che fare con le problematiche neurologiche, è molto importante essere
informati sulle caratteristiche di una malattia come l’epilessia perché è una malattia complessa che
ha ripercussioni sul piano neurologico, sul piano linguistico, sul piano sociale, sul piano psicologico.
Quando si ha a che fare con un bambino che ha una diagnosi di epilessia può essere utile sapere che
cosa, in linea di massima, implica essere epilettici. Tutti noi, bene o male, conosciamo qualcuno che
soffre di questa malattia, o conosciamo qualcuno che conosce qualcuno, infatti, moltissimi italiani
soffrono di epilessia, è una delle più diffuse malattie neurologiche in età pediatrica, anche se può
insorgere anche in terza età: di prassi, insorge in età pediatrica, salta la parte centrale del ciclo di vita
e, a volte, si può manifestare nella terza età.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’epilessia si manifesta nei primi 3-4 anni di vita, è un tipo
di malattia neurologica sulla quale, soprattutto in epoca antica, si erano fatte diversissime ipotesi:
fino agli anni Cinquanta, nella campagna bolognese e ferrarese, il bambino epilettico veniva ancora
considerato come indemoniato. Quindi, la struttura sociale di riferimento in cui si inserisce la malattia
dell’epilessia è fondamentale. Oggi, nel 2012, non si parla più di possessioni demoniache, però, c’è
ancora tantissima ignoranza o, per essere più precisi, una non conoscenza.
Esistono più di 40 tipi di sindromi epilettiche: si va dalla tipica grande male caratterizzata dalle note
convulsioni, con perdita di conoscenza, a crisi focali dove il bambino rimane vigile e cosciente ma
ha delle assenze, assenze di cui non si rende conto. Questo già ci fa intuire che in una situazione di
apprendimento tipico il bambino potrebbe avere una risposta epilettica nel corso della giornata, senza
stare male in modo evidente, ma solo grazie all’utilizzo di un esame strumentale (elettroencefalogramma) potremmo scoprire che nel bambino si è manifestato un disturbo dell’attenzione dovuto ad
una crisi epilettica non visibile.
È importante avere ben presente che l’epilessia non lede le capacità intellettive e dunque i bambini epilettici sono intelligenti come tutti gli altri.
Diagnosi
La diagnosi viene fatta da un medico neurologo e/o neuropsichiatra infantile e spesso, grazie alla cura
farmacologica che viene prescritta ed intrapresa, le crisi si interrompono.
Purtroppo, però, potrebbero verificarsi effetti collaterali nella cura farmacologica con ripercussioni
sul piano della memorizzazione e della capacità di concentrazione.
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Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
Implicazioni psicosociali
È una malattia che può interferire con il regolare sviluppo psicosociale del bambino: il bambino epilettico ritiene di avere scarso controllo del proprio comportamento. Le caratteristiche di imprevedibilità
e incontrollabilità della malattia espongono il bambino ad un senso di vulnerabilità ed inadeguatezza
con conseguente sviluppo di scarsa autostima, isolamento sociale e problemi di comportamento.
Improvvisamente si sente mancare, oppure, se ha una crisi epilettica generalizzata, quando si risveglia
percepisce solo le conseguenze di ciò che gli è capitato, quindi, per esempio, si accorge che è caduto
per terra, si è rotto il naso perché è caduto frontalmente e vede tutti intorno a sé preoccupati.
È una sensazione davvero spiacevole e inquietante per un adulto, figuriamoci per un bambino!
Questa imprevedibilità, la consapevolezza che “improvvisamente mi può succedere qualcosa di brutto”, può portare il bambino a tenere un ipercontrollo sulle proprie relazioni e a evitare tutte quelle
situazioni che potrebbero portare ad un’estrinsecazione della crisi epilettica, evitando conflitti ed
innalzamenti della tensione nervosa.
I bambini potrebbero così preferire l’isolamento sociale rispetto al vivere la conflittualità con i pari in
modo spontaneo. Le indagini mostrano un profilo locus of control particolare: tendenzialmente il
bambino epilettico per gli eventi negativi è interno, si colpevolizza se le cose vanno male e
attribuisce alla fortuna o agli altri la responsabilità delle cose quando vanno bene.
Di norma è il profilo di chi ha un’autostima a zero.
Anche quando le crisi sono ben controllate i bambini rischiano di sviluppare problemi emotivi e comportamentali: ciò può essere dovuto al significato di malattia che viene trasmesso loro dalla famiglia.
Infatti frequentemente troviamo nel bambino atteggiamenti passivi e sottomessi nell’adattarsi alle
richieste dell’ambiente, provando senso di inferiorità, timidezza e bassa autostima.
È importante capire se il bambino è così perché la malattia gli ha creato una serie di preoccupazioni
rispetto alle sue normali attività sociali, per cui è sempre più passivo per non provocare una fonte di
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
stress, oppure perché la famiglia attribuisce specifici significati alla malattia perché il bambino si
auto infanga prendendo significati di malattia dalla famiglia stessa. È molto importante comprendere
che valore attribuisce la famiglia all’epilessia del proprio figlio.
il bambino che si masturba
La famiglia resistente può minimizzare l’esistenza della malattia: “Mio figlio ha un’epilessia con pochi
episodi”, “Ha avuto delle crisi in passato, ma si sta risolvendo”.
La masturbazione infantile rappresenta un fenomeno particolarmente diffuso nella Scuola d’Infanzia
tuttavia poco studiato dagli operatori del settore. Solo in rari casi è stato trattato dai vari ambiti
formativi, ragion per cui quando l’insegnante si trova di fronte a questo imbarazzante comportamento,
deve ricorrere al proprio buon senso, alle prassi consolidate nella sua esperienza e alla propria teoria
in materia.
In realtà, la malattia si può risolvere in modo stabile e continuativo, ma solo da quando il neurologo
decide assieme alla famiglia e insieme anche al bambino che si può interrompere la cura. Talvolta
invece il farmaco va preso per tutta la vita.
Suggerimenti
Per concludere: gli studi ci dicono che è molto importante proporre il più possibile delle attività che
abbiano come scopo il potenziamento della rappresentazione di sé del bambino. Quindi, ovviamente,
tutto ciò che va nella direzione dell’aumento dell’autostima.
Parallelamente è fondamentale creare una buona alleanza scuola-famiglia-medico di riferimento, in cui le maestre possano comprendere il bambino caratterizzato dalla sua malattia ma soprattutto
dalle sue capacità e abilità che possono e devono, nonostante tutto, essere sviluppate e potenziate.
Il raccordo con la famiglia è indispensabile per comprendere che tipo di messaggio viene trasmesso
al bambino rispetto alla malattia mentre quello con il medico lo è per le nozioni di base sulla malattia
che è importante possedere per interpretare correttamente e comprendere i fatti sociali ed educativi
osservati nel bambino.
martedì 3 Aprile 2012 c/o Sala Giunta - Comune di San Lazzaro di Savena
Come si manifesta?
Spesso avviene in mezzo agli altri bambini, anche a pranzo, oppure da soli e può essere messa in
atto sia da maschietti che da femmine. Può assomigliare ad uno strofinio che viene praticato dalla
bambina sugli spigoli delle panche, delle sedie, nella brandina prima di dormire, con le mani (durante
la pipì, ecc.) o senza. Nei maschi si manifesta in diversi modi che vanno dal toccamento del pene da
fuori, quindi attraverso i pantaloni, o da dentro associandolo allo scoperchiamento del glande.
Normalità
La scoperta di ciò che ci circonda avviene grazie alla curiosità e alla esplorazione. I bambini conoscono
gli oggetti, esterni ed interni, attraverso il contatto con la bocca o con le mani. L’esplorazione dei
genitali segue lo stesso principio, non è finalizzata ad una eccitazione sessuale ma al bisogno
di scoprirsi.
Nel naturale percorso di esplorazione del proprio corpo il bambino individua parti che danno più
piacere (bocca, sfinteri, genitali) di altre: per il bambino una zona vale l’altra quindi cerca quella che
gli dà più piacere. La finalità è dunque sia esplorativa che finalizzata a darsi sensazioni piacevoli.
Potremmo perciò osservare uno di questi comportamenti quando i bambini sono molto stanchi, annoiati o turbati, e grazie alla masturbazione riescono a provare un temporaneo sollievo o un contenimento.
In sintesi l’unico obiettivo è quello di procurarsi un sollievo fai da te, piacere fisico ma non erotico,
al quale il bambino ricorre nei momenti di stanchezza, solitudine o noia.
Nella normalità la gratificazione autoerotica è sotto il controllo del bimbo e gli garantisce una autonomia dal mondo esterno: tale comportamento permette al bambino di affrancarsi dalla assoluta
dipendenza dall’adulto. Sostituisce o ri-sperimenta le antiche manipolazioni materne, è un tentativo
di auto-consolazione e di separazione dalla madre o da chi ne fa le veci.
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
Quando diventa un problema?
lingua, sviluppo e ritardo
Diventa un problema in funzione della intensità, frequenza e durata nel tempo e se si associa ad
altri comportamenti che segnalano un disagio.
martedì 8 Maggio 2012 c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
In certi casi, come eventi esterni quali ad esempio la separazione conflittuale dei genitori, la masturbazione esordisce o si intensifica quando il bambino deve fare i conti con prolungate assenze,
psicologiche o concrete, delle figure significative. Come se dicesse: “Di fronte alla carenza educativa/
affettiva perseguo un tentativo auto-contenitivo di coccola!”.
La masturbazione diventa pertanto espressione di un disagio se utilizzata come modalità diffusa,
anche quando non turbativa, che conduce ad un pervasivo allontanamento dalla realtà.
Cosa fare?
Capire se si tratta di un momento di intimità che richiede il bambino o una richiesta di cura; non è
facile ma è importante provarci;
non fare confusione di lingue tra adulto e bambino, il comportamento messo in atto non è una
seduzione adulta in un bambino, ma l’espressione di un bisogno;
con delicatezza, distrarre;
accogliere il desiderio di coccola e dedicarsi ad un gioco da fare insieme;
avere reazioni coerenti e condivise tra gli attori che gravitano intorno al bambino: genitori, nonni,
maestre;
educare il bimbo a non farlo in pubblico, così come non si mettono le dita nel naso o si usa il water
- norma sociale.
Cosa non fare?
Impedire la masturbazione con rimproveri, punizioni o castighi;
evitare colpevolizzazioni/demonizzazioni che spesso rinforzano il comportamento, soprattutto se
segnalatore di disagio - vedi TIC;
evitare di porre una questione morale che non sarebbe compresa;
avere un atteggiamento rigido crea una distorsione su un atto spontaneo che poi porta un’associazione negativa col piacere.
Diverse variabili concorrono alla costruzione del linguaggio: tutti i bambini nascono con una predisposizione genetica all’acquisizione del linguaggio ma è solo grazie a fattori esperienziali che tali
strutture predisponenti hanno la possibilità di maturare.
Genetica + Esperienza = maturazione della competenza linguistica
È stato ipotizzato che lo sviluppo del linguaggio passi attraverso tre fasi convenzionalmente riconosciute:
1 Prelinguaggio (fino ai 18 mesi)
Il neonato passa, nel giro di qualche mese dal cinguettìo (suoni non specifici a stimoli non specifici) alla lallazione (coppia di vocale-consonante) e all’ecolalia, ovvero il primo dialogo tra il
bimbo e la figura adulta di riferimento, in cui il bambino risponde alla parola del genitore con una
specie di melodia continua. Parallelamente l’adulto adatta il suo discorso alla capacità di ricezione
del bambino, costruisce frasi semplici con suoni acuti.
In questa fase è di centrale importanza l’interazione tra neuromotricità, apparato fonoarticolatorio,
che c’è ma va allenato, e relazione.
2 Piccolo linguaggio (dai 18 mesi ai 3 anni)
Le prime parole compaiono in una situazione ecolalica, “mamma” e “papà” sono parole semplici
composte da sillabe identiche. Si passa dalle poche parole conosciute a 12 mesi ad un vocabolario
di 200 parole a 2 anni. La costante che incontriamo nonostante le differenze interindividuali, sta nel
fatto che la comprensione passiva precede (quasi) sempre l’espressione attiva.
Parola-frase: il bambino utilizza una parola che ha un significato legato a quello che l’adulto le
assegna. L’espressione “TO – TO” vuol dire “siamo in macchina” e cioè il linguaggio accompagna
l’azione che è dotata di significati relazionali.
Il parlare da bimbo piccolo dura pochi mesi, il ruolo della famiglia è considerevole e il bambino,
grazie al bagno linguistico in cui si trova immerso, apprende anche passivamente moltissimi suoni
che progressivamente riuscirà anche a riprodurre in modo attivo.
3Linguaggio (dai 3 anni)
La conquista del linguaggio è caratterizzata dall’abbandono del linguaggio infantile al quale si 14
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
sostituisce una costruzione simile a quella dell’adulto. Abbiamo un arricchimento qualitativo e
quantitativo (anche 1500 parole) che è legato ad una attività mimetico/imitativa shakerata con
concetti che emergono spontaneamente dentro di lui (“aprito” = “aprire”: intuisce il participio ma
non conosce l’eccezione alla regola però ci prova! gli piace parlare!).
Così arriviamo ai 5 anni con una capacità di organizzazione, comprensione ed espressione del linguaggio che diviene sempre più complessa: il linguaggio verbale è sufficiente a fare dialogare il
bambino nel suo ambiente e con sé stesso, diventa pensiero, guida dell’azione, manifestazione dei
bisogni e dei desideri, competenza preparatoria ai successivi apprendimenti.
Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
Riassumendo
Lo sviluppo linguistico è caratterizzato da una grande variabilità individuale;
intorno ai 30 mesi abbiamo un’esplosione linguistica, si estende il vocabolario e vengono costruite
frasi di 3 parole;
se comprende le consegne ma non si esprime, si possono aspettare tranquillamente i 3 anni, e nel
frattempo sarà opprtuno fornire indicazioni di massima ai genitori;
dopo i 3 anni si potrà cominciare a distinguere il parlatore tardivo dal possibile ritardo linguistico.
L’acquisizione del linguaggio permette di passare dall’indicazione all’evocazione, quindi dalla gestione della distanza alla tolleranza dell’assenza: la comunicazione mimica rimane parte dell’indicazione gestuale dove c’è un altro che pensa per te mentre l’uso del linguaggio permette di evocare
ciò che non c’è e procedere sulla strada che porta all’autonomia.
Il ritardo del linguaggio
È una condizione frequente in età prescolare ed è spesso transitoria: può essere caratterizzata da
difficoltà dell’articolazione dell’eloquio, del linguaggio espressivo e/o da problemi nella
comprensione del linguaggio.
I bambini che crescono in assenza di stimolazione linguistica non sviluppano il linguaggio, come i
sordi che faticano a sviluppare il linguaggio.
Cause possibili
Carenza qualitativa e quantitativa degli stimoli linguistici;
immaturità cerebrale;
qualità delle relazioni affettive in famiglia;
assenza del desiderio di comunicazione linguistica.
Cosa osservare (oltre al linguaggio)
Scarsa capacità di socializzazione;
difficoltà a mantenere l’attenzione su un gioco o su un oggetto;
preferenza per la comunicazione gestuale piuttosto che per quella vocale;
difficoltà nel gioco simbolico e nel riconoscimento delle sequenze di azioni.
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Accogliere e valorizzare le competenze esistenti
Documentazione Percorso Formativo a.s. 2011/2012
il bambino che non si tiene
Considerazioni sulla relazione
martedì 22 Maggio 2012 c/o Sala di Città - Comune di San Lazzaro di Savena
Il bambino che non si tiene è un bambino sempre in fuga da qualcosa o da qualcuno, che non riesce a
soffermarsi nelle attività perché quando lo fa gli sale un terremoto che possiamo chiamare angoscia:
il fatto di fermarsi significa iniziare a fare i conti con qualcos’altro che si muove dentro di lui e che lui
non tollera. A quel punto, solo grazie al movimento corporeo, la sua irrequietezza riesce a trasformare
quanto ha dentro in qualcosa di scaricabile. È un meccanismo molto naturale e non dobbiamo dimenticare che fino ai due o tre anni il bambino utilizza prevalentemente il corpo come veicolo delle sue
emozioni. Proprio per questa ragione all’interno della Scuola d’Infanzia si fanno moltissimi progetti
sull’alfabetizzazione emozionale, per far riconoscere e trasformare al bambino le sensazioni fisiche in
sensazioni mentali che hanno rappresentazioni visive (ad es. il bambino rosso in faccia, se parliamo
della rabbia).
Questo bambino ha continuamente bisogno di muoversi, si distrae facilmente e di conseguenza ha un
problema nel mantenimento dell’attenzione, passa da un gioco all’altro senza riuscire a dedicarsi ad
una singola attività per un tempo sufficiente, va sempre alla ricerca di stimoli nuovi che si esauriscono in fretta, non tollera l’attesa, ad esempio quando altri bambini parlano, si comporta generalmente
in modo impulsivo, che però non vuol dire violento. Le maestre si lamentano “non ascolta nulla”, “mi
sfinisce”, “è sempre distratto”...
Come mai negli ultimi anni sono aumentati i bambini con disturbo dell’attenzione, del controllo degli
impulsi, dell’istintività, che fanno fatica a rispettare il turno di parola, che sono impazienti?
Anna Oliverio Ferraris, psicologa infantile, prova a dare una risposta significativa riportando una ricerca del dottor Richard Louv, cui va il merito di avere coniato l’espressione disturbo da deficit di
natura, che ha studiato e osservato le abitudini di vita dei bambini, notando che sono profondamente
mutate negli ultimi 10 anni, in particolare con l’avvento del computer e di internet, determinando una
vita familiare sempre più sedentaria.
Il bambino che non si tiene è da intendersi nel suo duplice significato sia riferito ai suoi educatori, che
non sanno da che parte prenderlo, sia anche nell’accezione riflessiva. Il bambino non ha imparato
un modo per auto contenersi, non si tiene. Il non si tiene ci dice anche qualcosa che gli è mancato,
il fatto che lui non abbia interiorizzato la capacità di contenersi.
La diffusione sempre maggiore dei disturbi legati all’attenzione, alla concentrazione, al contenimento
fisico e poi psicologico, è da mettere in forte relazione con questi cambiamenti.
Abbiamo visto che le attività che hanno come obiettivo l’alfabetizzazione emotiva possono
rivelarsi molto utili nel medio periodo. Queste devono essere affiancate ad una buona relazione con
le famiglie nel tentativo di condividere con coerenza le prassi educative tra le varie parti: ci riferiamo
alla non soddisfazione immediata dei desideri, diversi dai bisogni, alla dilatazione del tempo, alla
creazione di uno spazio in cui il bambino viene ascoltato e non liquidato davanti alla televisione o al
computer. L’incontro con la famiglia ci può permettere di capire se ci troviamo di fronte ad una situazione reazionaria, cioè una reazione del bambino ad un particolare momento della sua vita, oppure ad
un contesto in cui il bambino, ci dicono i genitori, “è sempre stato così”.
Che implicazioni ha questa vita sedentaria nello sviluppo dei bambini?
Un tentativo di definizione
L’impulsività è messa sempre in relazione all’instabilità corporea, al bisogno di fare sempre qualcosa,
ai problemi connessi all’attenzione e alla concentrazione. È associata alla difficoltà del bambino
nel mettere un cuscinetto tra il bisogno e l’azione: se il bisogno sorge deve essere immediatamente
soddisfatto, eseguito in un’azione corporea.
Cosa poter fare
Come aiutare il bambino impulsivo
La pianificazione e la riflessione sulle sequenze di azioni sono due aspetti sui quali è importante
lavorare in modo più intenso e più mirato con i bambini impulsivi. In aggiunta si potrebbero pensare
situazioni che abbiano lo scopo di dilazionare il tempo di risposta del bambino, anche se normalmente,
all’interno di una Scuola d’Infanzia, le routines hanno implicitamente anche questo scopo.
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Si ringrazia la Dott.ssa Erica Romei per la collaborazione nella stesura del presente opuscolo
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Stampato su carta di pura cellulosa ecologica sbiancata senza l’utilizzo di cloro (ECF), prodotta da foreste gestite
correttamente dal punto di vista ambientale, sociale ed economico (FSC) con elevato contenuto di reciclo.