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Note sulla storia dell’automazione.
Dall’impatto sociale dell’automazione alla
progettazione congiunta di tecnologia,
organizzazione e sviluppo delle persone1
di Federico Butera2
Executive summary
Nell’articolo vengono esplorate le applicazioni e le conseguenze sociali
dell’automazione nelle fabbriche e negli uffici bancari, commerciali, di viaggi, di
sicurezza e altri. In questo contributo l’automazione non viene visto come il puro e
semplice spostamento di attività dagli uomini alle macchine, ma come una serie di
tappe nel processo verso sistemi integrati di processi, tecnologia, organizzazione,
ruoli e cultura dove la tecnologia svolge una grande varietà di attività esistenti e
nuove e dove è stata progettata e realizzata una modalità specifica di interazione tra
gli esseri umani e i sistemi tecnici con l’obiettivo di ottenere prodotti e servizi,
organizzazioni e sistemi sociali ottimali.
La tecnologia sconvolge l’organizzazione e il lavoro, ma solo la progettazione
li riconfigura generando risultati economici e sociali nuovi. Non esistono effetti
sociali dell’automazione, ma essi sono materia di progettazione. La convergenza di
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Differenti versioni di questo contributo sono state pubblicate: a) in Butera, F., Thurman,
J.E., (Eds.) (1984), Automation and Work Design, North-Holland, Amsterdam; b) negli atti
del convegno internazionale “Joint design of Technology, Organization and People
Growth” organizzato dall’Istituto Irso nel 1988 alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia
a cui parteciparono oltre 50 relatori e oltre 300 partecipanti; c) in Smelser, N.J., Baltes, P.B.
(Eds.) (2001), International Encyclopedia of the Social and Behavioral Sciences,
Pergamom, Amsterdam-New York, e d) (nella sua riedizione aggiornata in corso di stampa)
Wright, J. (Eds.), International Encyclopedia of Social and Behavioral Sciences 2nd Edition
Elsevier, Oxford. Un contributo sostanziale sulla tematica dell’automazione non industriale
è stato assicurato da Federica Persico, ricercatrice e consulente alla Fondazione Irso e
Dottore di Ricerca all’Università di Milano Bicocca.
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Università Milano Bicocca e Fondazione Irso.
Studi organizzativi n. 1, 2014 – Sezione progetti e politiche organizzative
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metodologie sociali e tecniche dovrebbe cogliere il “margine di manovra” sempre
esistente per la progettazione e sperimentazione di sistemi organizzativi e sociali:
ciò che abbiamo chiamato 25anni fa Joint design of Technology, Organization and
People Growth. Ma questa convergenza da allora si è realizzata sono in alcuni casi
virtuosi. Quali le prospettive nei prossimi 25 anni di progettare insieme tecnologie
digitali, organizzazioni a reti organiche e professioni aperte che producano
prosperità economica e sviluppo sociale e umano?
Parole chiave: Automazione, innovazione tecnologica, effetti sociali
dell’automazione, disoccupazione tecnologica, qualità della vita lavorativa, sistemi
socio tecnici.
Abstract
Applications and social consequences of automation are explored in factories
offices, travel, banking, retail, safety and others. Automation is not sheer
displacement of tasks from men to machines but a stage in the process towards
integrated systems of processes, technology, organization, roles and values, where
technology performs a large variety of existing and new tasks, and where
interaction is designed among human beings and technical systems.
Technology upsets work and organization but only design resets them. Social
and technical methodologies take the opportunity of the always existing “room of
manoeuvre” for planning, design, and experimentation of systems. Social
dimensions in technological development are not effects but instead matter of
design.
Keywords: Automation, technical innovation, social effects of automation,
technologic unemployment, quality of working life, sociotechnical systems design,
human centred design.
1. Il concetto di automazione
Il termine automazione nasce come contrazione dell’espressione
automatic production ed è stato impiegato per la prima volta nel 1952, sia
da John Diebold - autore del libro Automation: the advent of automatic
factory - che da D.S Harder, vice-presidente della produzione presso Ford
Motor Company.
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Secondo Gallino (2006), automazione, come termine corrente, «indica
diverse situazioni in cui il lavoro fisico ed intellettuale umano è sostituito
da macchine e da servomeccanismi meccanici, idraulici, pneumatici,
elettrici, elettronici che possono eseguire automaticamente sequenze di
operazioni».
Come risultato di 50 anni di discussioni intorno a questo mutevole
fenomeno, io definisco l’automazione come una serie di tappe nel processo
verso sistemi integrati di processi, tecnologia, organizzazione, ruoli e
valori, dove la tecnologia svolge una grande varietà di attività esistenti e
nuove e dove è stata progettata e realizzata una modalità di interazione tra
gli esseri umani e sistemi tecnici con l’obiettivo di ottenere prodotti e
servizi, organizzazioni e sistemi sociali ottimali.
Gli autori che si sono occupati di automazione in realtà hanno indicato
di volta in volta tre diversi e talvolta coesistenti livelli di automazione: a)
sistemi di controllo basati sul meccanismo di closed-loop control (sistemi
di controllo ad anello chiuso di retroazione) sia rispetto a standard
(feedback) sia rispetto a obiettivi o segnali (feed forward) eseguiti da
qualsiasi tipo di dispositivo tecnologico; b) l’integrazione di diversi
dispositivi, elaborata in un’architettura unitaria a livello di fabbrica,
azienda, rete organizzativa, ottenendo continuità nei processi produttivi e
nella gestione; c) sistema di adattamento e innovazione, attraverso la rapida
rilevazione sia dello stato interno di un sistema che dell’ambiente (tecnico,
economico, commerciale, ecc.).
Le principali tipologie distinguono anche l’automazione in base a: i) la
quantità di operazioni incorporate nel sistema tecnico e nelle attività
umane; ii) le forme e gradi di interazione tra gli esseri umani e la tecnologia
e il modo in cui dovrebbero cooperare; iii) lo stadio di sviluppo
nell’integrazione nei sistemi aziendali.
Le applicazioni e la letteratura indicano che l’automazione non è un
dispositivo tecnico da acquistare, ma un processo dinamico di concezione e
realizzazione di tecnologia, organizzazione e lavoro.
L’evoluzione dell’automazione deriva dal concetto di “controllo
automatico”. Questo concetto è stato sviluppato come una disciplina
accademica e come un insieme di tecnologie applicate in una grande varietà
di dispositivi umani intelligenti, cioè macchine in grado di leggere dati
complessi, segnali, simboli, di attivare circuiti di feed-back e meccanismi di
feed-forward, di interpretare variabili esterne e interne regolando la propria
condotta in relazioni a tali variabili. In molti casi questi dispositivi agiscono
senza intervento umano, possono trovare nuove soluzioni, possono fare
qualcosa che assomiglia al pensare.
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Viviamo in un ambiente in cui la maggior parte dei manufatti
presentano diversi gradi di queste caratteristiche: servomeccanismi, robot,
laminatoi completamente automatizzati, sistemi automatici di controllato a
distanza dei treni, aeromobili auto-pilotati, i personal computers diffusi
ovunque e molti altri. L’introduzione di tecnologie automatizzate in vari
settori riduce sempre l’ammontare di lavoro umano richiesto. I ricercatori e
tecnologi, tuttavia, hanno riconosciuto negli ultimi 50 anni che queste
tecnologie non devono essere sviluppate senza considerare gli operatori
umani. Si è sviluppata una corrente progettuale chiamata human-centred
automation tesa a creare un ambiente in cui gli esseri umani e le macchine
possono lavorare insieme in modo cooperativo (tra gli iniziatori di tale
approccio: Sheridan, Hennessy, 1984; Noble, 1987; Rasmussen, 1987;
Billings, 1997). I principi alla base di tale corrente progettuale evidenziano,
tra gli altri, criteri come l’usabilità delle interfacce tecnologiche, il
controllo umano delle attività automatizzate, la diffusione di opportune
informazioni, la professionalizzazione, la partecipazione dei lavoratori e dei
clienti nel miglioramento continuo e molto altro.
Il concetto di automazione presentato, quindi, non è solo di dominio di
progettisti di tecnologia perché comprende una larga area di: 1) attività
umane (guida, controllo, manutenzione, logistica, ecc.); 2) forme di
progettazione della collaborazione tra esseri umani e macchine nelle attività
correlate e la loro interazione attraverso le interfacce; 3) forme integrate di
progettazione del sistema tecnologico, organizzativo, sociale.
Nella discussione che segue ci si concentrerà soprattutto sul concetto di
automazione industriale, ma cenni verranno fatti alle applicazioni non
industriali che in questi anni sono diventate più numerose e pervasive della
originaria automatic production di Diebold e Harper.
2. Applicazioni
Il concetto, la ricerca, il dibattito sull’automazione si sono sviluppati
dal 1952 partendo dalla evoluzione delle tecnologie e dalle applicazioni.
L’automazione di fabbrica fu la prima applicazione, quando
l’ingegneria meccanica insieme con l’ingegneria della produzione
svilupparono prima le macchine utensili e i trasportatori nel settore
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automobilistico, dando luogo a quel tipo primitivo, ma seminale di
automazione chiamato Detroit Automation, cioè linee di montaggio in
motori e scocche, sono realizzati e movimentati senza impegno umano. Nel
1913 Henry Ford infatti aveva condotto il primo esercizio di flusso
automatizzato di fabbricazione e movimentazione dei motori.
L’ingegneria elettromeccanica da allora ha sviluppato dispositivi
ingegnosi per il controllo automatico delle industrie di trasformazione
continua - come industrie di petrolio, prodotti chimici, cemento - e nelle
industrie di processo a flusso discontinuo - come acciaierie, laminatoi.
Questi dispositivi sono stati inoltre applicati al controllo del traffico dei
flussi fisici intermittenti - come le sale di controllo ferroviarie.
L’automazione ha introdotto sostanziali rivoluzioni nelle attività di
montaggio, confezionamento, imbottigliamento in varie industrie
manifatturiere, in realtà trasformando i processi discontinui in processi
continui.
Negli anni ‘60, gli sviluppi dell’elettronica e delle scienze informatiche
fecero esplodere qualitativamente e quantitativamente le innovazioni di
controllo automatico in tutti i settori.
I computer negli anni ‘70 hanno anche esteso il controllo automatico a
tutte le macchine operative individuali come macchine a controllo
numerico, robot avanzati (CNC, sistemi a controllo numerico), sistemi
integrati e robot in sistemi di produzione flessibile (FMS). CNC e FMS
furono una svolta: ogni sorta di operazione di produzione è stata
automatizzata e allo stesso tempo è stato possibile produrre piccoli lotti a
costi competitivi con quelli di economia di scala, in quanto l’ottimizzazione
dei processi di programmazione era incorporata nel sistema. Le aziende
inoltre hanno introdotto una vasta gamma di applicazioni, come la
pianificazione della produzione (Manufacturing Planning - MRP), il
disegno e la progettazione (Computer-Aided Design - CAD). La fase
successiva è rappresentata dall’Enterprise Resource Planning (ERP)
incentrato sulla condivisione delle informazioni tra individui diversi e le
aree funzionali di una singola azienda.
Il recente sviluppo di stampanti, software e hardware per le stampanti
3D ha esteso tale possibilità di realizzare prodotti finali a costi competitivi
anche per i consumatori finali, attraverso makerspaces, ossia impianti di
macchine 3D in comune.
Negli ultimi decenni i processi di Ricerca e Sviluppo, produzione,
logistica, distribuzione sono stati fortemente integrati lungo processi
interfunzionali e interaziendali senza soluzione di continuità. Prima il
ridisegno dei processi ha iniziato a superare le classiche organizzazioni
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industriali gerarchico-funzionali. Architettura delle telecomunicazioni e dei
sistemi informativi e reti organizzative hanno poi dato le ali a una
integrazione organizzativa ignota ai modelli classici di organizzazione.
Assorbimento dei compiti umani nella tecnologia e processi di
integrazione organizzativa hanno perseguito due modelli distinti. Il primo è
rappresentato dalla unmanned factory, la fabbrica senza uomini che con
l’obiettivo di sbarazzarsi delle persone, avrebbe dovuto tagliare i costi del
lavoro e le controversie sindacali attraverso la meccanizzazione avanzata e
l’uso di robot. Sono i casi senza successo dei tentativi degli anni ‘70
patrocinati dalle Forze Armate degli Stati Uniti e in Italia l’esperimento
Fiat Cassino degli anni ‘80. Il secondo modello è rappresentato dalla
fabbrica integrata che mantiene una porzione significativa di attività
umane insieme ad una forte automazione, come negli sviluppi della Toyota
e della Fiat Melfi. I notevoli risparmi sui costi e i guadagni di produttività
ottenuti con diverse applicazioni di fabbrica integrata nelle imprese
giapponesi hanno fermato l’idea di una fabbrica senza uomini, anche
quando tecnicamente possibile. Nella fabbrica integrata ha luogo una
distribuzione ottimale di lavoro qualificato e di controllo automatico, i cui
vantaggi non sono legati solo alla riduzione di manodopera diretta, ma
anche all’integrazione di diverse funzioni e unità in modo da realizzare la
massima continuità e flessibilità nei processi aziendali.
Grazie ai robot industriali, macchine a controllo numerico, nuove
tecnologie digitali, taglio laser, stampanti 3D a iniezione, produzione
attraverso processi additivi di materiali, le produzioni possono essere
automatizzate al punto che possono operare per settimane senza alcun
intervento operativo umano. Ma questo non significa che le persone non
siano necessarie: tutte queste macchine automatizzate hanno bisogno di
qualcuno che le monitorizzi, che si occupi della manutenzione e soprattutto
le programmi. Gli operatori di macchina diventano così supervisori di
macchina, con nuove competenze, conoscenze estese a tutto il processo e
all’ambiente di lavoro (Karsvall et al., 2003). Questo è evidente soprattutto
nei casi in cui gli operatori umani devono garantire che il sistema
automatizzato funzioni correttamente rilevando e assorbendo varianze,
ossia stati indesiderati del processo o del prodotto (ad esempio il caso
Dalmine, in Butera, 1984), o devono sorvegliare le situazioni che si
discostano da quanto atteso (The Economist, 2012). Al giorno d’oggi, i
software, i nuovi materiali, i robot più abili, i nuovi processi, la stampa
tridimensionale e tutta una serie di servizi web-based hanno contribuito alla
diffusione di una nuova idea di automazione di fabbrica al di là delle linee
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di produzione: macchine stand-alone collegate insieme in processi integrati
interaziendali.
Un diverso tipo di automazione è l’office automation. Lo sviluppo di
grandi mainframe, di sistemi di Electronic Data Processing (EDP) negli
anni ‘80 ha automatizzato grandi quantità di operazioni di raccolta,
conservazione e trasformazione dei dati, sia in amministrazioni pubbliche
che private, dissolvendo grandi quantità di lavoro operativo d’ufficio. Ma
anche il lavoro e l’organizzazione della contabilità, della pianificazione e
controllo, degli uffici commerciali sono stati profondamente influenzati.
L’Electronic Data Exchange (EDI) ha sostenuto la comunicazione tra i
diversi dipartimenti e diverse imprese. I videoterminali prima e i personal
computer collegati in rete dopo, (negli anni ’90) hanno rivoluzionato le
tipiche operazioni amministrative e professionali di calcolo, dattilografia,
editing, copia, stampa, archiviazione. La posta elettronica infine ha
cambiato radicalmente il lavoro di ufficio. I social media sono ora la nuova
frontiera, che fonde la comunicazione personale e di lavoro.
L’automazione per il lavoro professionale è stato concepita per
automatizzare compiti di routine, accelerare e supportare le attività di
scienziati e professionisti. Computer Grafics e Multimedia in un primo
momento e poi Internet non hanno solo automatizzato operazioni di routine,
ma soprattutto hanno creato opportunità per informare e comunicare
(Zuboff, 1988). Negli anni 2000, e-mail, VoIP, tagging, video-conferenze,
instant messaging e social media (Facebook, Twitter, Linkedin, Instagram
e altri) hanno costruito piattaforme su cui i professional possono scambiarsi
informazioni, pensieri, attivare discussioni, riconfigurare la loro
conoscenza. Queste piattaforme sono esempi di condivisione e
combinazione e sviluppo di conoscenze che generano nuova conoscenza
(Haigh, 2006).
L’automazione dei compiti di routine, le tecnologie dell’informazione, i
nuovi ruoli professionali, le comunità di pratiche e i gruppi di lavoro, negli
anni ’90, hanno dato luogo a nuovi approcci al knowledge management
(Nonaka, Takeuchi, 1995; Brown, Diguid, 1991).
L’automazione dei servizi è un’altra area di sviluppo relativamente
recente. Processi automatizzati hanno trasformato la fornitura di servizi in
molti settori (Karmarkar, 2004), ma i servizi non sono completamente
automatizzati poiché nella maggior parte dei casi si tratta di servizi ibridi.
Essi combinano capacità umane e capacità dei sistemi informativi per
fornire e personalizzare i servizi.
Nel settore bancario è possibile individuare due diversi paradigmi di
automazione. Il primo paradigma (automazione di back-office, 1951-1980)
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mira principalmente a rendere più efficienti le attività interne. In questo
contesto, il sistema di gestione di database (database management system DBMS) può essere considerato come il primo dispositivo tecnico
sviluppato per fini bancari. A causa del contesto competitivo degli anni ‘70,
le banche hanno sfruttato ulteriormente i vantaggi dell’automazione
adottando sistemi di compensazione nei flussi finanziari e modalità di
trasferimento di denaro al dettaglio. Barclays - la banca che ha emesso la
prima carta di credito del Regno Unito nel 1966 e, pochi anni dopo, ha
aperto i primi sportelli automatici - è stato un tipico pioniere
dell’automazione dei servizi. Questo tipo di automazione porta con sé
alcuni vantaggi come una maggiore capacità di stoccaggio e di
trasformazione per soddisfare la crescente domanda per le transazioni
bancarie.
Il secondo paradigma è stato incentrato sull’automazione del servizio
clienti (front-office automation, dal 1981) e la proliferazione della
costruzione di canali di erogazione dei servizi partendo dall’esperienza
dello sportello automatico. Portali per i clienti online si sono poi
rapidamente diffusi come un’opportunità per coinvolgere attivamente il
front office ed i clienti nei processi bancari, nel linguaggio corrente la home
banking.
Nel settore dei viaggi il sistema di prenotazioni alberghiere e di
ristoranti e le prenotazioni aeree hanno consentito l’automazione dei
sistemi di informazione, prenotazione e acquisto. Questa automazione
consente ora agli agenti di viaggio di non chiamare la compagnia aerea per
effettuare prenotazioni. Ormai gran parte dei clienti finali è in grado di
comprare online viaggi e posti aerei pur rimanendo alcuni casi complessi
che richiedono assolutamente operatori umani. Ma anche l’industria
turistica non è completamente automatizzata: richiede un servizio ibrido in
cui esseri umani e tecnologia lavorano insieme.
Nel settore delle vendite al dettaglio, i dispositivi di codici a barre e i
RFID (radio frequency identification) consentono la forte riduzione delle
attività di riassortimento, la gestione degli scaffali, l’emissione di ordini, il
lavoro di cassa, ecc. Ma, oltre a questo, l’atto di acquisto in un
supermercato o presso un negozio non è più solo una semplice transazione
economica, ma anche un’attività generatrice di dati di ogni genere.
All’inizio, le applicazione delle ICT alla vendita al dettaglio servivano solo
per monitorare le scorte. Poi, le informazioni sono state gestite al fine di
catturare le preferenze dei consumatori e dei modelli di consumo, così
come per gestire la logistica delle catene di approvvigionamento. Man
mano che la gamma di prodotti e servizi si espande e aumenta la domanda
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dei clienti, i sistemi di supporto tecnologici diventano il principale fattore
di integrazione del business. L’infrastruttura consente di fornire i dati sia
all’operatore di front office che agli operatori di marketing che si occupano
di customer profiling e di segmentazione dei consumatori. Interfacce Web,
multimedia, strumenti di monitoraggio sono oggi in grado di tracciare
passo passo il movimento dei prodotti e collegare le operazioni di front
office con le azioni di service management.
In settori critici per la sicurezza come l’aviazione, il controllo del
traffico aereo, l’assistenza sanitaria, i sistemi automatizzati vengono
utilizzati per eseguire una grande varietà di compiti prima svolti dalle
persone. Sistemi automatizzati sono stati introdotti principalmente al fine di
ridurre l’errore umano ed hanno dimostrato la loro utilità nel migliorare le
prestazioni e nel rilevare conflitti e possibili rischi nel settore del traffico
aereo, nel fornire la possibilità di prendere decisioni più velocemente e in
modo accurato nel settore militare e nel migliorare le prestazioni dei piloti
in condizioni estreme. Nel settore sanitario, l’automazione può aiutare a
scambiare dati e file in diversi formati tra diversi dipartimenti o strutture e a
ridurre gli errori. L’automazione consente alle organizzazioni sanitarie di
ottimizzare le operazioni superando i confini dipartimentali, riducendo
l’errore umano e i ritardi.
Il Networking sta diventando il modo normale di lavorare: reti di
imprese e reti di persone per la gestione delle operazioni, delle
informazioni, delle relazioni sociali si stanno diffondendo sempre più
frequentemente. Ciò che ci chiediamo è: Internet è automazione?
Sicuramente una quantità enorme di funzioni sono gestite automaticamente
dalla tecnologia internet. Oltre alla comunicazione istantanea e globale di
testi, immagini, suoni, internet sta includendo funzioni e strutture, che in
passato erano svolte dai sistemi organizzativi, e potenziando la conoscenza
distribuita tra gli esseri umani e le macchine (Bagnara, 2010).
3. Effetti sociali dell’automazione
La letteratura sugli effetti sociali dell’automazione ha avuto un
andamento discontinuo. Alla fine degli anni ‘50, gli sviluppi
dell’automazione in varie industrie hanno dato luogo ad un ampio
programma di ricerche, finanziato dal governo americano e dai governi di
altri paesi industrializzati, sugli effetti sociali dell’automazione. Sotto la
pressione dei sindacati queste ricerche sono state motivate dalla previsione
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di una larga diffusione imminente dell’automazione. I vantaggi
comunemente attribuiti all’automazione includevano produttività più
elevata, utilizzo più efficiente dei materiali, migliore qualità del prodotto,
maggiore sicurezza, orari di lavoro più brevi, riduzione dei tempi di
consegna. Ma erano molto forti anche i timori di potenziali conseguenze in
termini di disoccupazione, dequalificazione, cattive condizioni di lavoro,
organizzazione del lavoro e relazioni sindacali. L’automazione veniva
accusata di aumentare il carico di lavoro mentale dell’operatore quando
esso non riusciva a comprendere come funzionava il sistema automatizzato
o come si produceva il prodotto.
Molte ricerche tentarono di esplorare questi potenziali vantaggi e
svantaggi e generarono una buona parte di ciò che sappiamo in questo
campo, ma nel bel mezzo degli anni ‘60 queste ricerche giunsero a un
arresto improvviso quando la Commissione Nazionale Americana per la
Tecnologia, Automazione e Progresso Economico giunse alla conclusione
che l’occupazione non sarebbe stata colpita a causa della limitata diffusione
dell’automazione nella maggior parte delle industrie.
L’automazione negli anni ‘70 al contrario ebbe una diffusione
continua senza alcun drastico calo di posti di lavoro, ma piuttosto con un
brusco cambiamento nella composizione professionale della forza lavoro,
ossia meno operai e più lavoratori della conoscenza. Negli anni ‘80
l’automazione si diffuse a un ritmo più veloce e riemersero le
preoccupazioni sugli effetti sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro.
Nella anni ’90 la discussione e la ricerca si focalizzarono più sulle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sul loro impatto sul
settore dei servizi. All’inizio del 2000 nasce un grande interesse su Internet
e nel 2010 l’automazione rientra ormai nella più ampia categoria di quelle
innovazioni capaci di creare crescita economica e nuove competenze per
nuovi posti di lavoro (Cedefop, 2010).
Le discussioni circa la natura e la portata dell’automazione possono
essere raggruppate in due spartiacque fondamentali.
Il primo grande spartiacque fu quello tra continuità e discontinuità
dello sviluppo tecnico: meccanizzazione e automazione sono un continuum
oppure una disruptive innovation? Bright (1958) propose una
classificazione dei tipi di meccanizzazione basati su un livello di
distribuzione dei compiti tra uomini e macchine, tra cui l’automazione. Per
alcuni economisti automazione non era altro che un caso particolare di
sviluppo tecnico e non implicava specifici e differenziati effetti sociali:
«l’automazione è un termine usato in modo popolare e non c’è alcun
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vantaggio nel distinguere l’automazione da forme avanzate di cambiamento
tecnico» (Buckingam, 1961).
Una rottura nel modello tecnologico al contrario era stata sostenuta da
Diebold (1952) che vedeva l’automazione come una nuova concezione di
sistemi integrati che permettono il flusso continuo del processo di
produzione. Quando i computer non erano ancora diffusi come ora, Pollock
aveva già definito l’automazione come «l’integrazione dei processi continui
e discontinui sotto il coordinamento di sistemi elettronici».
Crossman (1960) aveva anch’egli sostenuto il carattere di innovazione
radicale dell’automazione che considerava la seconda maggiore tappa nella
sostituzione del lavoro umano, poiché automazione è «governare,
controllare, far funzionare una macchina, calcolare, risolvere problemi,
prendere decisioni, discutere…attività che possono essere svolte sia da
macchine che dal cervello umano». L’intelligenza artificiale infatti, più
avanti, ha reso i computer in grado di affrontare i problemi più complessi.
Lo sviluppo di robotica avanzata ha dato alle macchine abilità sensomotorie sofisticate (Sheridan, Hennessy, 1984).
Secondo i sociologi come Touraine, Woodward, Blauner, Meissner,
Braverman, l’automazione causa massicci spostamenti di lavoro qualificato
e non qualificato dall’uomo alle macchine, superando sia l’idea delle
organizzazioni basate sull’artigianato sia il modello di produzione di massa.
Vengono creati nuovi compiti, ruoli e organizzazioni mentre la quantità di
forza lavoro necessaria per unità di prodotto diminuisce bruscamente. La
maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che gli esseri umani si
spostano principalmente su compiti di controllo. Questo è poi ampiamente
avvenuto degli ultimi 20 anni, con lo sviluppo del supervisory control, dei
sistemi completamente controllati dai computer, mentre il lavoro umano si
distribuisce lungo una catena ai cui estremi abbiamo, da un lato
l’operazione di “accendere e spegnere un bottone” dall’altro l’operazione di
“controllare come il computer controlla un altro computer”.
L’automazione, nella visione prevalente tra gli scienziati sociali, risulta
quindi essere una rivoluzione, non solo per la sostituzione di qualsiasi tipo
di lavoro umano, ma a causa della generazione di nuove attività che non
potrebbero essere svolte dall’essere umano. L’automazione appare come
qualcosa che prima, con la meccanizzazione, non esisteva, ossia
l’integrazione di sistemi tecnologici ed umani. Il lavoro umano non
scompare, ma cambia la sua natura di interazione. I lavoratori della
conoscenza aumentano e si concentrano sulla progettazione, lo sviluppo e
la supervisione di “macchine intelligenti” (Butera, Bagnara, Cesaria, Di
Guardo, 2008).
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Il secondo grande spartiacque fu quello fra visione ottimistica e
pessimista dell’automazione.
Era chiaro fin dall’inizio che i diversi livelli di ripartizione dei compiti
attribuiti alle macchine influenzassero in modo diverso la quantità e la
qualità del lavoro operativo e gestionale con un effetto potenziale sulla
disoccupazione. Rifkin, Forester, De Masi hanno sostenuto che lo sviluppo
tecnologico porta grande disoccupazione. Ma molti economisti hanno
notato che le perdite di posti di lavoro sono dovute non solo allo sviluppo
tecnologico, ma in maggiore proporzione al commercio internazionale, al
business process reengineering, alla riorganizzazione. L’innovazione
tecnica distrugge alcuni posti di lavoro, ma ne crea di nuovi e crea nuove
imprese. Anche se le nuove tecnologie richiedono meno manodopera,
dovrebbero aumentare il ciclo di espansione, dando vita a nuove imprese e
nuove professioni (Freeman, 1998). Recentemente Moretti (2012) ha
trovato che ogni posto di lavoro ad alta tecnologia genera cinque posti di
lavoro ordinario nel settore dei servizi.
Brynjolfsson e McAfee (2011) recentemente hanno sostenuto che gli
uomini non possono vincere la gara contro le macchine, soprattutto perché i
computer continuano a diventare sempre più potenti e capaci. Ma possono
imparare a competere meglio attraverso le loro organizzazioni servendosi
delle macchine, utilizzandole come alleati piuttosto che avversari.
Dequalificazione e riqualificazione professionale sono un altro tema
chiave dell’automazione. La visione pessimistica sostiene che un nuovo
tipo di taylorismo è in corso, il taylorismo tecnologico. L’“intelligenza del
sistema” nel suo complesso si sposterebbe verso l’alto. I risultati sarebbero
una nuova ondata di dequalificazione tra operatori e dipendenti che
diventeranno transitional ancillary workers, lavoratori ausiliari di
transizione e lavoratori di data entry.
Il punto di vista opposto - la visione ottimistica - vede la tecnologia
come un modo di liberare i lavoratori da compiti monotoni o pericolosi e
dalla fatica fisica. Le macchine faranno il lavoro e gli esseri umani le
sorveglieranno (Blauner, 1964).
La composizione della forza lavoro è un altra materia di divisione. La
“polarizzazione della forza lavoro” è stata indicata come la crescente
divergenza tra le masse non qualificate e una élite di super-qualificati
(Braverman, 1974). Kern e Shuman (1984) pur correggendo la tesi della
dequalificazione, hanno sostenuto una potenziale polarizzazione della forza
lavoro. Rifkin (1995) ha accusato la tecnologia moderna di avere la
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responsabilità di cambiare il lavoro umano, favorendo l’emergere di gruppi
selezionati di individui privilegiati.
Mallet (1975) prevedeva, invece, differenziazione non polarizzazione
sostenendo che la natura del processo produttivo, in condizioni di semiautomazione o di automazione, avrebbe generato una nuova classe di
tecnici. Butera, Bagnara, Cesaria, Di Guardo (2008) hanno confermato
questa profezia scoprendo che l’automazione ha dato il segnale di partenza
per un cambiamento strutturale nel mercato del lavoro basato sullo sviluppo
dell’economia della conoscenza, in cui gli attori principali sono i lavoratori
della conoscenza. Manager, professionisti, tecnici sono lavoratori della
conoscenza e la loro presenza aumenta rapidamente nei paesi europei dal
2000 al 2008. Fondamentalmente, in paesi come Belgio, Olanda, Germania,
Svezia, Danimarca, Italia, Finlandia, Slovenia, Norvegia, Repubblica Ceca,
Austria, Regno Unito e Francia oggi non c’è una grande differenza fra il
numero di lavoratori della conoscenza e il resto della popolazione occupata:
i lavoratori della conoscenza sono circa il 45% della forza lavoro. In altri
paesi come l’Irlanda, l’Ungheria, la Croazia, la Grecia e la Slovacchia, i
lavoratori della conoscenza sono pochi, ma sono aumentati dal 2000 al
2008 dal 30% al 40%.
Con riferimento alla natura delle competenze dei lavoratori, le prime
ricerche furono prevalentemente concentrate sul cambiamento della natura
dei compiti. Ricerche empiriche hanno trovato che la manipolazione, le
competenze artigianali tradizionali, la destrezza e capacità operativa
(Bright, 1958) stavano scomparendo. Al contrario, i compiti di vigilanza
(Friedman, 1971), le “competenze di controllo” (Crossman, 1960), le
responsabilità e il rapporto con l’intero sistema produttivo (Touraine,
1955), i compiti mentali o visivi (Blauner, 1964), le competenze per
rispondere a eventi stocastici (Davis, Taylor, 1976) erano in aumento.
L’automazione cambia completamente il ruolo dell’operatore umano e
richiede un’adeguata conoscenza e competenza sullo specifico posto di
lavoro e, in particolare, sul processo di produzione.
Cambiamenti nella tecnologia (in particolare l’introduzione dei
computer e delle tecnologie ICT in generale) sono la principale fonte del
fabbisogno di lavoratori qualificati. Problem solving, competenze
comunicative, competenze di autoregolazione, competenze interpersonali,
ma anche capacità di utilizzare il capitale sociale per soddisfare desideri e
bisogni dell’organizzazione, sono le nuove competenze richieste ai
lavoratori della conoscenza (Kessels, 2001; Cedefop, 2010).
La maggior parte delle ricerche sugli impianti automatizzati hanno
evidenziato che i criteri di progettazione del lavoro si sono allontanati dalla
13
tradizione taylor-fordista e nuovi criteri stanno emergendo quali:
interdipendenza di ruolo, un minor numero di livelli di supervisione,
comportamento di gruppo, polivalenza e responsabilità condivisa, declino
di rigorose specifiche di lavoro, comunicazione, cooperazione, autonomia
del gruppo per far fronte alle incertezze. I recenti sviluppi dei sistemi
multimediali aumentano la capacità di lavorare in gruppo faccia a faccia e o
a distanza (Hoc, 2000) e la cooperazione uomo-computer è spesso costruita
magistralmente entro i dispositivi mobili come IPad o IPhone e simili.
Rischi ed effetti indesiderati possono essere legati al processo di
automazione del lavoro. Tali rischi sono stati analizzati e studiati con
particolare riferimento ai processi di automazione in contesti pericolosi e
consistono in: “caduta di consapevolezza”, “incidenti normali” (Perrow,
1984), errori umani e organizzativi (Reason, 1990), errata interpretazione e
creazione di senso degli eventi tecnologici (Weick, 1990). L’incidente di
Three Mile Island nel 1979, è un tipico esempio del modo in cui
l’automazione è in grado di ridurre la consapevolezza delle situazioni,
quindi l’operatore umano ha difficoltà ad avere una corretta comprensione
della situazione e non sa come agire in modo appropriato.
4. Effetti sociali o progettazione?
Alcune conclusioni e indicazioni di policy.
La tecnologia in sé ha un’influenza diretta sull’universo fisico del
lavoro (luce, rumore, calore, vibrazioni, radiazioni), e sull’universo
operativo del lavoro (condizioni psicosociali). La progettazione degli
impianti e dei software ha un effetto importante su: i) la quantità di lavoro
per unità di prodotto (lavoro assorbito dalla tecnologia); ii) i “compiti”
operativi (assegnazione compito uomo/macchina); iii) le funzioni di
coordinamento e controllo lasciate al sistema. La tecnologia ha un impatto
combinato con altri fattori sui sistemi professionali e organizzativi, quali
ruoli, strutture organizzative, sistemi di comunicazione, distribuzione dei
carichi di lavoro, sistemi di gestione del lavoro (quali retribuzione, orario di
lavoro, regolamenti), ed in particolare la cultura e i sistemi di valori, la
cooperazione e i conflitti (Butera, 1987).
L’automazione implica qualcosa in più che un puro spostamento di
attività umane operative alle macchine perché include la creazione di nuove
attività di progettazione, manutenzione e coordinamento, e genera nuove
forme di organizzazione della produzione e ristrutturazione del mercato del
14
lavoro. L’automazione è allo stesso tempo un processo di cambiamento
sociale e tecnico, una diversa distribuzione della conoscenza tra gli esseri
umani e le attrezzature tecniche, lo sviluppo di forme avanzate di sistemi
socio-tecnici nel settore manifatturiero e dei servizi.
L’automazione è in sostanza, secondo Trist, un “sistema socio-tecnico”
ossia una combinazione, diversa da caso a caso, di processi di business,
tecnologia, organizzazione, lavoro. Diversi modelli di supervisory control
(Sheridan, Hennessy, 1984), l’interazione uomo-computer (Norman, 1986),
la collaborazione uomo-computer (Hoc, 2000) possono fare la differenza
nello stesso livello di automazione. La partecipazione degli stakeholders
nella progettazione del sistema e nel processo di introduzione della nuova
tecnologia può cambiare il modello finale dei sistemi socio-tecnici (Davis,
Taylor, 1976).
La tecnologia quindi sconvolge l’organizzazione e il lavoro, ma solo la
progettazione li riconfigura generando risultati economici e sociali nuovi.
Non esistono effetti sociali deterministici dell’automazione, ma essi sono
materia di progettazione. Progettare architetture integrate di sistemi sociotecnici, modelli di organizzazione e di lavoro, l’interazione tra esseri umani
e computer è un processo socio-tecnico e un artefatto composito che
dovrebbe, in linea di principio, essere questione di cooperazione tra diverse
discipline, come la tecnologia, l’economia, la scienza dell’organizzazione,
la sociologia, la psicologia. Dal momento che l’automazione è materia di
progettazione, diversi operatori dovrebbero essere coinvolti come
ingegneri, informatici, psicologi, sociologi, medici e molti altri attori
sociali come: imprenditori, manager, legislatori, governo, sindacati. In una
parola, lo sviluppo dell’automazione dovrebbe essere un evento
partecipativo.
Niente è maggiormente materia di progettazione congiunta di sistemi
tecnici, economici e sociali come l’automazione così come l’abbiamo
rappresentata. Ma nella sorprendente storia dell’automazione, gli approcci e
le metodologie socio-tecniche sono stati nella maggior parte dei casi
esclusi. La convergenza di metodologie sociali e tecniche dovrebbe
cogliere il “margine di manovra” sempre esistente per la progettazione e
sperimentazione di sistemi organizzativi e sociali: ciò che abbiamo
chiamato 25 anni fa Joint design of Technology, Organization and People
Growth al celebre convegno alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia
nel 1988. Ma questa convergenza nei 25 anni successivi si è realizzata solo
in alcuni casi virtuosi.
La questione è che l’automazione nelle sue diverse applicazioni è stata
per lo più vista come un fenomeno tecnologico puro. Di conseguenza,
15
insufficiente attenzione è stata prestata alle dimensioni organizzative e
umane, le cui aree hanno avuto una quota insignificante di ricerca e di
investimenti rispetto alla ricerca e agli investimenti sulla tecnologia. La
spinta tecnologica è stata così potente e dominante che gli scienziati e gli
operatori in tecnologia hanno preteso di essere esperti anche in
organizzazione, sistemi sociali, ruoli e professioni, usabilità, e si sono
arrogati il diritto di progettare sistemi socio-tecnici non richiedendo la
collaborazione di altri esperti e professionisti.
Come risultato, il percorso di automazione è stato pavimentato con una
innumerevole serie di disallineamenti tra tecnologia e organizzazione con il
risultato di scarsa produttività. Evitabili effetti negativi sulla qualità della
vita lavorativa sono stati molto frequenti. E’ noto come con lo sviluppo
della tecnica si sono avuti spesso anche disastri fisici e sconvolgimenti
sociali: fallimenti economici come l’illusione della fabbrica senza uomini;
disastri come l’evento di Three Mile Island; sconvolgimenti sociali, come
nel caso di Manhattan Highway progettata dall’architetto Moses (il
progettista, l’onnipotente architetto che ha progettato Manhattan) la cui
innovazione tecnica incontrollata ha trasformato il Bronx da un bel
quartiere della classe media in un ghetto come descritto da Marshall
Berman (1982). Berman paragona il caso di tecnologi ultrapotenti al caso
dell’ingegner Faust descritto da Goethe, che - avute le risorse materiali e
tecnologiche da Mefistofele - aveva scommesso la sua anima sulla
presunzione di essere in grado di progettare da solo un nuovo grande
insediamento tecnologico, ma Faust, per la resistenza a lasciare la propria
casa ad una coppia di anziani, dovette chiedere un aiuto aggiuntivo al
diavolo e perse l’anima.
Al contrario, molti casi positivi di successo di progettazione congiunta
intenzionale eseguita con la collaborazione di esperti delle diverse
discipline tecniche e sociali hanno dato luogo a risultati di grande successo
nella progettazione di sistemi complessi come l’aviazione civile o i sistemi
sanitari, i prodotti e le piattaforme come Apple o Google.
Ci sarà nel prossimo futuro una stagione di Joint design? Le capacità
delle nuove tecnologie di cambiare la società, l’organizzazione, e il lavoro
sono incomparabili con i tempi di Diebold e Ford: proprio per questo essa è
indispensabile come non mai.
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5. La drammatica attualità e il “margine di manovra” nella
progettazione dei sistemi produttivi e nelle professioni
A metà del 2014, lo spaventoso livello di disoccupazione e la forte
riduzione della popolazione occupata sono diventate il principale incubo e
il tema centrale delle politiche economiche e sociali dell’Europa e in
particolare dell’Italia.
Causa prossima di tale crisi senza precedenti dell’occupazione è la
crisi economica mondiale, ma vi sono cause remote ancora più rilevanti. La
prima è la concorrenza dei paesi emergenti in cui il costo del lavoro è di
gran lunga più basso. La seconda è il profondo cambiamento dei mercati e
dei sistemi d’impresa, che spazza via intere categorie di lavori e di
lavoratori: globalizzazione dei mercati, modifica dei modelli di consumo,
concentrazioni di impresa, finanziarizzazione. La terza è lo sviluppo
dell’economia criminale e lavoro nero. La quarta, e forse la più importante
perché ha carattere strutturale, che opera da oltre un cinquantennio e che ha
avuto recentemente una straordinaria accelerazione - è la disoccupazione
tecnologica, in cui la race against the machine - la gara degli uomini contro
le macchine, il lavoro che l’avanzamento dell’automazione lascia agli
uomini, per alcuni autori (Brynjolfsson e Mcafee, 2011) sta per essere
definitivamente persa perché le tecnologie sono in grado di sostituire quasi
tutti i compiti umani.
Questi “quattro cavalieri dell’apocalisse del lavoro” non sono in realtà
cause inevitabili della disoccupazione, ma sono condizioni che lasciano un
ampio margine di manovra per configurare nuovi sistemi produttivi e
professionali “antropocentrici”: rispetto alle pagine che precedono, è
possibile e necessario lo sviluppo di una automazione che abbia al centro
l’uomo produttore e consumatore, costituita da nuovi sistemi complessi
composti da una cangiante composizione di macchine e di uomini. Questi
sistemi che chiameremo socio-tecnici richiedono di essere progettati,
manutenuti, gestiti, controllati da organizzazioni di nuova concezione e da
una popolazione di lavoratori qualificati. E l’automazione di nuova
concezione può creare occupazione piuttosto che distruggerla.
L’automazione è - come abbiamo visto - componente essenziale dello
sviluppo travolgente della terziarizzazione dell’economia, non solo dei
servizi del terziario totale (ricerca, salute, scuola, telecomunicazioni,
previdenza, banche e assicurazioni, commercio, etc., come abbiamo visto
sempre più sostenuti dalle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione), ma anche e sopratutto dei servizi del terziario per il
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sistema produttivo (le attività interne alle imprese industriali relative allo
sviluppo dell’automazione, della fabbricazione e dell’informazione che
richiede più qualificate attività di Ricerca e Sviluppo, di ingegnerizzazione,
di manutenzione, di controllo dei prodotti e dei processi nonché di
pianificazione, organizzazione, vendite, management, etc.: ossia il new
manufacturing).
Tale “terziarizzazione totale e terziarizzazione del sistema produttivo”
(Momigliano e Siniscalco, 1982) sono alla base della forte crescita
proporzionale del lavoro e dei lavoratori della conoscenza (oltre il 42%
medio in Europa). Esso può generare una crescita assoluta (ossia generare
occupazione aggiuntiva) poiché ha assunto dinamiche sue proprie, di
portata potenziale simile a quella che ebbe il taylor-fordismo. Quest’ultimo
era un modo di produzione che “prese il volo” come paradigma innovativo
diffondendosi in tutto il mondo, anche perché valorizzò il lavoro che allora
era disponibile: quello della massa degli ex agricoltori che acquisivano una
cittadinanza industriale. L’automazione integrata che abbiamo descritto,
può prendere il volo valorizzando i lavoratori della conoscenza, costituendo
un nuovo modo di produzione che crei competitività e occupazione più di
quanto lo fece il taylor-fordismo.
Lo sviluppo di queste professioni è oggi la principale arma contro la
disoccupazione perché esse possono essere le “padrone dell’automazione”,
ribaltando la profezia degli uomini sospinti fuori dal processo produttivo o
ridotti ad appendici delle macchine (Butera, 2014). Le professioni dei
servizi nelle organizzazioni (service professions), svolte all’interno di
imprese e pubbliche amministrazioni grandi, medie e piccole, reti
organizzative, organizzazioni non profit, studi professionali, pubbliche
amministrazioni e altre forme di lavoro organizzato, includono sia il lavoro
della conoscenza (teorica e pratica in tutte le sue accezioni come il sapere
perché, il sapere che cosa, il sapere come, il sapere per chi, il sapere usare
le routine, il sapere usare le mani, etc.) sia sopratutto il lavoro di relazione
con il cliente esterno o interno. Pensiamo a progettisti di prodotto e servizi,
ingegneri di processo, esperti di marketing, esperti di controllo di gestione e
amministrazione, logistici e i tanti altri knowledge workers nelle
organizzazioni che oltre ad essere degli specialisti divengano erogatori di
servizi all’interno e all’esterno delle organizzazioni, avvalendosi delle
potenzialità delle tecnologie. Pensiamo a specialisti e funzionari pubblici
che, avvalendosi delle tecnologie ICT, operino come parte attiva di un ciclo
di servizio e si chiudano sulla soddisfazione del cliente interno ed esterno.
L’esercizio principale per utilizzare lo “spazio di manovra” di cui
abbiamo parlato sono i progetti nelle singole organizzazioni, progetti
18
grandi e piccoli di forme innovative di tecnologia, organizzazione del
lavoro e di professioni, ossia di sistemi socio-tecnici che siano capaci di
migliorare in modo significativo innovazione e produttività delle
organizzazioni e creare occupazione qualificata.
Da questi progetti dovranno essere diffusi, con opportune azioni di
pilotaggio e monitoraggio, nuovi servizi, nuove conoscenze, nuove regole,
nuovi sistemi e nuova cultura e soprattutto nuova occupazione. Vi sono casi
celebri. Le isole di produzione della Olivetti degli anni ‘70 salvarono una
azienda in crisi e diffusero un modello di produzione che superava il taylor
fordismo in produzione riqualificando il lavoro delle catene di montaggio
in tutta Europa; il Toyota Production System trasformò negli anni ‘70 una
azienda assistita che produceva prodotti di bassa qualità nel più grande
produttore di automobili del mondo sviluppando lavoratori che partecipano
all’innovazione continua, mentre contemporaneamente il JUSE diffondeva
quel modello a tutto il sistema industriale giapponese. La Google creò un
campus che superava le software factories e i laboratori universitari del
tempo e creò una impresa fenomenale con knowledge workers di grande
calibro.
Una seconda area di intervento è quella di una forte iniziativa di
politica industriale per il supporto all’attivazione della ricerca e della open
innovation che connettano professionisti che lavorano nelle organizzazioni
e liberi professionisti facendo circolare sul web liberamente innovazioni
grandi e piccole nelle tecnologie, nei prodotti, nei servizi, creando comunità
senza confini.
La terza area di intervento è la formazione dei professionisti dei
servizi che vanno formati da scuole e università migliori, regolati da
sistemi fiscali e regolativi che incentivino il loro impiego, inseriti in forme
di organizzazione del lavoro che ne potenzino produttività e creatività, in
sistemi professionali che riconoscano e sviluppino il loro emergente
paradigma. Occorre, in sintesi, concepire e rafforzare per le persone un
“futuro professionale”.
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