Un modello dialettico di ricerca di una definizione: il

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Un modello dialettico di ricerca di una definizione: il
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Platone
Un modello dialettico di ricerca di una definizione:
il pescatore con la lenza
Sofista (217c - 221c)
Socrate: “E dunque, straniero, non rifiutarci il primo favore che ti domandiamo, ma dicci piuttosto: che cosa preferisci di solito? Trattare da solo in un lungo discorso la tesi che vuoi dimostrare o usare il metodo interrogativo? Quel metodo che in un giorno ormai lontano Parmenide
stesso usò, sviluppando meravigliosi argomenti alla mia presenza; ero giovane allora mentre lui
era avanti negli anni.”
Lo straniero: “Con un interlocutore attento e docile, Socrate, il metodo più facile è
quest’ultimo, quello con l’interlocutore. Altrimenti è meglio argomentare da soli”.
Socrate: “In questo caso potrai scegliere chi vorrai tra tutti i presenti, perché tutti saranno interlocutori docili. Ma se vuoi darmi ascolto, scegli un giovane, questo Teeteto, o anche chiunque altro a tua scelta”.
Lo straniero: “Io sono un po’ confuso, Socrate, in questo nostro primo incontro in cui dobbiamo conversare scambiandoci le nostre riflessioni attraverso brevi frasi, piuttosto che venir
sviluppando ampiamente una lunga argomentazione, sia da solo, sia discutendo con un interlocutore, come se facessi una dimostrazione oratoria. In realtà la questione che noi dobbiamo trattare non è così semplice come si potrebbe sperare formulandola come fai tu; esige, al contrario,
un discorso assai ampio. D’altra parte non fare un favore a te e ai tuoi amici soprattutto dopo le
parole che tu hai pronunciato sarebbe, in tutta franchezza, un comportamento poco civile e cortese. Quindi, se Teeteto mi risponde, acconsento molto volentieri soprattutto dopo i discorsi che
ho già avuto con lui e dopo la tua esplicita richiesta”.
Teeteto: “Fai dunque così straniero; come ha detto Socrate farai un favore a tutti noi”.
Straniero: “E poi, forse, molte parole in più sarebbero davvero superflue; ma sembra che sia
tu ormai a dover sostenere la discussione. Se dunque questo lavoro prolungato ti peserà, non
prendertela con me ma con i tuoi amici qui presenti”.
Teeteto: “Ma conto di non stancarmi tanto presto. Se poi accadesse, assoceremo a noi Socrate che è qui presente. Omonimo di Socrate, ha la mia età e si esercita con me nella filosofia.
Prendere molta parte ai miei lavori non è cosa che non gli sia familiare”.
“Ben detto. Del resto tocca a te decidere questo e lo farai nel corso dell’argomentazione. Ma
è buona cosa per entrambi, per intraprendere questa indagine cominciare subito dal sofista, io
credo, cercando di trovare e definire chiaramente chi egli sia. Per ora infatti tu e io non siamo
d’accordo che sul suo nome, ma la funzione che questo nome indica in lui potrebbe essere per
ciascuno di noi una nozione del tutto personale. Ora, è necessario sempre in tutte le ricerche intendersi sulla cosa stessa per mezzo di ragioni che la definiscano piuttosto che intendersi soltanto sul nome senza preoccuparsi di una definizione. Quanto alla razza che è oggetto della nostra
indagine, certo non è un compito tra i più facili comprendere chi sia un sofista! Ma quando si
devono condurre a buon fine grandi opere, è buona regola di solito ammessa da tutti, e da molto
tempo, cominciare con esempi ristretti e facili, prima di affrontare in se stesse le questioni più
gravi. E quindi, Teeteto, in questa occasione io consiglio a entrambi di agire così: prima di questa difficile e sfuggente caccia che sarà necessaria, lo sappiamo bene, per afferrare il genere sofistico, sarà bene partire da qualche soggetto più facile come saggio di un metodo che è possibile applicare alla nostra ricerca. A meno che naturalmente tu non abbia da proporre una via diversa.”
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“No, non saprei farlo. Vuoi dunque che indagando su qualche soggetto semplice proviamo a
trovare un modello per affrontare la nostra difficile questione?”
“Sì.”.
“Che cosa potremmo quindi proporre di ristretto e facile da conoscere, ma che implichi una
definizione non meno laboriosa di quella necessaria a soggetti più importanti? Il pescatore con
la lenza, per esempio, non è forse un soggetto ben noto e che non richiede un’attenzione troppo
grande?”
“Sì.”
“E quindi per il metodo che implica, per la sua definizione, noi non mancheremo, spero, di
trarne profitto per il fine che ci proponiamo.”
“Sarebbe molto bello.”
“Ebbene ecco da dove cominceremo. Dimmi, c’è una arte o, se non un’arte, qualche altra facoltà che possiamo attribuirgli?”
“Che non possegga un’arte è certo la risposta meno ammissibile.”
“Ma tutto ciò che è veramente arte si riassume in definitiva sotto due forme.”
“Quali?”
“L’agricoltura e tutte le altre arti dedicate alla cura dei corpi mortali; ogni lavoro relativo a
ciò che è composto e forgiato e compreso sotto il nome di manufatto e infine l’arte medica; tutto
questo non sembra avere pienamente diritto a un nome unico?”
“Come, che nome?”
“Di tutto ciò che prima non c’era e poi viene portato all’essere diciamo che si tratta di un
produrre; ciò che è portato all’essere lo chiamiamo prodotto.”
“Bene.”
“Ora, questo potere è proprio di tutte le arti che abbiamo enumerato.”
“Sì, è così.”
“Produzione, ecco dunque il nome sotto cui possono essere comprese.”
“Certo.”
“E adesso viene tutto ciò che ha la forma dell’esercizio e della conoscenza, e poi il guadagno, la lotta, la caccia. Niente di tutto ciò produce qualcosa; ciò che preesiste, ciò che è già prodotto, alcune lo fanno proprio attraverso la parola o l’azione, altre lo difendono contro chi vuole
impadronirsene. La cosa migliore dunque, in definitiva, è di raccogliere insieme tutte queste
parti sotto il nome di arti di acquisizione.”
“Bene.”
“Acquisizione e produzione abbracciano così l’insieme delle arti; allora sotto quale titolo,
Teeteto, dobbiamo comprendere l’arte di pescare con la lenza?”
“Dalla parte dell’acquisizione, evidentemente.”
“Ma l’acquisizione non ha a sua volta due forme? Da una parte lo scambio volontario mediante doni, contratti, acquisti; tutto il resto in cui non si fa altro che impadronirsi di qualcosa
attraverso l’azione o la parola possiamo chiamarla arte dell’impadronirsi?”
“È evidente da quel che abbiamo detto.”
“Ebbene l’arte dell’impadronirsi non deve dividersi nuovamente in due?”
“In che modo?”
“Come appartenente alla lotta tutto ciò che si fa apertamente; come appartenente alla caccia
tutto ciò che si fa di nascosto.”
“Bene.”
“Ma quest’arte della caccia si deve, sotto pena di assurdità, dividerla ancora in due.”
“Dimmi come.”
“Da una parte la caccia al genere inanimato, dall’altra parte la caccia al genere animato.”
“Molto bene, la loro distinzione non si può negare.”
“Come sarebbe possibile farlo? Bisogna d’altronde lasciare da parte la caccia a ciò che è inanimato perché non ha nomi propri se non per alcuni aspetti dell’arte del tuffarsi e poche altre
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simili. L’altra è la caccia a ciò che possiede anima e vita: la chiameremo caccia ai viventi.”
“Bene.”
“Ma in questa caccia ai viventi non abbiamo forse il diritto di distinguere una doppia forma?
Per il genere degli animali di terra, che si distribuisce sotto una pluralità di forme e di nomi, la
caccia agli animali terrestri; per l’altra che comprende tutti i viventi che nuotano, la caccia alla
selvaggina d’acqua e d’aria.”
“Certo.”
“E ancora in quest’ultimo genere noi non distinguiamo forse la tribù degli animali che volano e da quella degli animali acquatici?”
“Certo.”
“Quanto alla caccia alle specie che volano non la chiamiamo forse caccia agli uccelli?”
“Sì è questo il nome che le diamo.”
“La caccia agli animali che vivono in acqua al contrario nella sua quasi totalità la chiamiamo
pesca.”
“Sì.”
“E ancora, in questa specie di caccia stessa non dobbiamo fare delle divisioni che seguano le
sue parti più importanti?”
“In che modo?”
“Distingueremo da una parte la pesca che si fa per mezzo di reti mediante cui ci si impadronisce della preda, dall’altra la pesca si fa con dei colpi.”
“Che vuoi dire? E come distinguere l’una e l’altra?”
“Da una parte tutto ciò che racchiude e blocca possiamo chiamarlo irretimento.”
“Bene.”
“Gabbie, reti, lacci, nasse e altre cose di questo tipo dobbiamo forse chiamarle con un nome
diverso da irretimento?”
“No, certo.”
“E dunque col nome di pesca per irretimento che noi designeremo questa parte della caccia o
con qualsiasi nome analogo.”
“Sì.”
“Ma quella che si fa a colpi di amo o di tridente è differente dalla prima; pesca mediante colpi, questo è il nome di insieme che gli diamo. Come potremmo chiamarlo meglio, Teeteto?”
“Non curiamoci del nome; questo d’altra parte va benissimo.”
“Questa pesca dunque quando si fa di notte, alla luce di un fuoco, quelli del mestiere la
chiamano credo pesca col fuoco.”
“Proprio così.”
“Quella che si fa di giorno, armati di ami sulla punta dei tridenti, ha come nome comune
quello di pesca con l’amo.”
“Si chiama così infatti.”
“Ma questa pesca quando si fa con l’amo dall’alto in basso fa soprattutto uso del tridente; da
qui il nome che essa ha, credo, di pesca col tridente.”
“Alcuni almeno la chiamano così.”
“Tutto il resto costituisce, si può dire, una forma unica.”
“Quale?”
“Quella che si fa colpendo in senso inverso della prima ha come propria arma l’amo e non
colpisce il pesce non importa in quale parte del corpo, come si fa col tridente, ma afferrando
sempre la sua preda in qualche parte della testa e della bocca la solleva dal basso in alto fino alla
superficie per mezzo di bastoni e canne. Con che nome, Teeteto, la chiameremo?”
“Ma credo che l’oggetto che ci eravamo proposti di trovare l’abbiamo proprio trovato.”
“Tu e io a proposito di pesca con la lenza siamo proprio d’accordo, non soltanto sul nome, ma
anche sulla definizione che abbiamo dato della cosa stessa. Dell’arte intesa nella sua totalità infatti una metà era l’acquisizione; dell’acquisizione abbiamo poi preso l’arte dell’impadronirsi;
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di quest’ultima, la caccia; della caccia, la caccia ai viventi; della caccia ai viventi, la caccia alla
selvaggina d’acqua e d’aria. Di quest’ultima, la sezione che ci interessava l’abbiamo chiamata
pesca; e della pesca, la pesca mediante colpi, e più esattamente la pesca all’amo. Di
quest’ultima, la pesca che si fa dando i colpi dal basso verso l’alto mediante una lenza ha dato il
nome a ciò che cercavamo: è la pesca con la lenza.”
“Ecco quindi una dimostrazione pienamente evidente.”