Responsabilità su trasporti in unità naviganti

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Responsabilità su trasporti in unità naviganti
IL CONTRATTO DI TRASPORTO DI PERSONE NELLA NAVIGAZIONE INTERNA (*)
Marco Seppi
Avvocato in Venezia
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La disciplina dei contratti di utilizzazione della nave nella
navigazione interna. – 3. La responsabilità del vettore marittimo di persone per sinistri
occorsi al passeggero. – 4. La responsabilità del vettore marittimo di persone per perdita
od avaria al bagaglio. – 5. La disciplina degli impedimenti (riferibili al vettore) alla
regolare esecuzione del trasporto.
1. – Il punto di partenza da cui occorre muovere per esaminare il 1trasporto di persone
nella navigazione interna è costituito, a livello della disciplina nazionale, dall’art. 468 c.nav.,
il quale pone al centro del sistema dei contratti di utilizzazione della navigazione interna –
come esaminerò in seguito – gli usi che, addirittura, prevalgono sulla legge. Dal punto di vista
internazionale, pur mancando convenzioni di diritto pattizio vigenti sul piano nazionale, va
rammentato un importante principio di creazione dottrinale in base al quale le convenzioni di
diritto internazionale marittimo si applicano, se non altrimenti previsto, soltanto alle c.d.
seagoing vessel, cioè alle navi della navigazione marittima, anche quando impegnate nella
navigazione interna, ma non invece alle imbarcazioni destinate alla (sola) navigazione interna.
Al riguardo, deve precisarsi che la distinzione tra navi destinate alla navigazione marittima e
navi della navigazione interna si fonda esclusivamente su un dato formale: ossia l’iscrizione
delle prime, e non delle seconde, in particolari registri tenuti dagli Ispettorati di porto e dagli
Ispettorati compartimentali (ex art. 67 reg. c.nav.).
2. – Focalizzando ora l’attenzione sulla disciplina interna, si rileva che il nostro
ordinamento – diversamente da altre esperienze giuridiche in cui la navigazione interna è stata
assoggettata alla disciplina del trasporto terrestre (come, ad esempio, in Francia ed in Belgio)
– prevede l’applicazione delle norme sancite per la navigazione marittima ai contratti di
utilizzazione delle navi nella navigazione interna, con una peculiarità unica nell’intero
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(*) Relazione al Convegno «L’uso del demanio della navigazione interna e la circolazione nautica in Lombardia
- Novità normative» organizzato dall’Associazione Italiana di Diritto della Navigazione Interna il 22 giugno
2016 a Como.
panorama normativo: ossia la prevalenza degli usi sulle norme di legge. L’art. 468 c.nav.
prevede infatti che «ai contratti di utilizzazione delle navi addette alla navigazione interna si
applicano le norme di questo Titolo, in quanto gli usi non dispongano diversamente». Gli usi
formatisi (o che si formeranno) in materia di navigazione interna, pertanto, sono destinati a
trovare applicazione non soltanto in mancanza di fonti sovraordinate (c.d. usum praeter
legem), ovvero in materia pur disciplinata da leggi o regolamenti (c.d. usum secondum
legem), ma addirittura in contrasto con le disposizioni di legge, persino inderogabili, con
conseguente deroga al divieto di diritto comune di applicazione dell’usum contra legem.
Va segnalato, tuttavia, che le raccolte di usi non evidenziano la presenza di disposizioni
consuetudinarie in materia di trasporto di persone in acque interne. Se ne rinvengono, invece,
in materia di trasporto di merci; le raccolte camerali della Provincia di Venezia, ad esempio,
hanno codificato molte disposizioni consuetudinarie in tema di perfezionamento del contratto
di trasporto di cose ovvero di obblighi del caricatore e del ricevitore nelle fasi di caricazione e
scaricazione della merce che divergono dalla disciplina codicistica.
Ne consegue che la regolamentazione del trasporto di persone per acque interne rimane
affidata essenzialmente alle disposizioni previste dal codice della navigazione in materia di
trasporto marittimo di persone (artt. 396-418 c.nav). Alla disciplina codicistica si affianca poi
la recente normativa europea introdotta con il Regolamento 24.11.2010 n. 1177, ove vengono
contemplati i diritti dei passeggeri che viaggiano per mare e per le vie navigabili interne, al
fine di garantire a questi ultimi un livello di protezione simile a quello previsto per i
passeggeri che utilizzino altri mezzi di trasporto.
3. – Il trasporto marittimo di persone, meglio noto come contratto di passaggio, è stato
codificato dal Legislatore del c.nav. come autonomo contratto di utilizzazione della nave.
Mentre il codice del commercio del 1882 aveva ricondotto la fattispecie del trasporto
marittimo di merci e di persone alla unitaria figura del noleggio, il c.nav. ha inquadrato il
trasporto marittimo di persone nell’ambito di una autonoma categoria contrattuale. In realtà, i
contratti di trasporto di persone e quello di cose non costituiscono contratti distinti, bensì
negozi riconducibili ad un'unica categoria il cui oggetto è rappresentato, in entrambi i casi,
dalla prestazione di un servizio, consistente nel trasferimento di cose o di persone da un luogo
all’altro.
Il contratto di trasporto di persone, appartenente allo stesso genus del contratto di trasporto di
cose, se ne differenzia non tanto per l’oggetto della prestazione, quanto piuttosto per il bene
che costituisce oggetto dell’attività di trasporto (persone anziché cose). Ulteriore ed
importante elemento idoneo a differenziare le due fattispecie negoziali è rappresentato
dall’obbligo di vigilanza sul bene oggetto del servizio che, se nel trasporto di cose si atteggia
a dovere di custodia; in quello di persone assume i caratteri del “dovere di protezione”.
L’obbligo di protezione posto a carico del vettore di persone e le regole che definiscono il
regime della sua responsabilità per i sinistri occorsi al passeggero durante l’esecuzione del
trasporto costituisce, senza dubbio, il nucleo fondamentale della disciplina del contratto di
passaggio. L’art. 409 c.nav. stabilisce che «il vettore è responsabile per i sinistri che
colpiscono la persona del passeggero dall’inizio dell’imbarco sino al compimento dello
sbarco, se non prova che l’evento è derivato da causa a lui non imputabile».
A tal riguardo, la giurisprudenza ha precisato che il regime di responsabilità vettoriale si
estende ai sinistri occorsi al passeggero durante le operazioni preparatorie ed accessorie alla
fase dell’imbarco, con ciò aderendo alla dottrina più accreditata secondo cui la nozione di
viaggio non può ritenersi limitata alla sola fase del trasferimento materiale della persona,
dovendo, invece, comprendere anche l’espletamento delle operazioni strumentali al
compimento del trasporto. In particolare, la Corte di Cassazione, con riferimento al trasporto
terrestre, ha osservato che «per operazioni accessorie o preparatorie al trasporto, possono
intendersi – a titolo esemplificativo – la salita o la discesa dal mezzo, il carico dei bagagli,
l’obliterazione del titolo di viaggio che avvenga sul veicolo, l’apertura e la chiusura elle
porte o dei finestrini, lo spostamento all’interno del mezzo, la sistemazione ai posti» (cfr.
Cass., 17.7.2003, n. 11198). Quanto al trasporto marittimo, le soluzioni accolte dai giudici di
legittimità non si discostano dall’orientamento testé ricordato. La Suprema Corte, infatti, ha
rilevato che «la responsabilità del vettore marittimo copre i sinistri verificatesi durante il
trasferimento del passeggero dal pontile di attracco all’interno del natante» (cfr. Cass.,
10.6.1968, n. 1795).
A conclusioni analoghe i Giudici di legittimità sono pervenuti anche in tempi recenti, in
relazione ad una controversia sorta a seguito della morte di due passeggeri il cui veicolo era
precipitato in mare durante la fase dell’imbarco sulla nave. In quella fattispecie la Suprema
Corte ha affermato che l’obbligo di protezione del vettore marittimo di persone si estende fino
a comprendere le fasi in cui il passeggero, anteriormente o posteriormente alla permanenza a
bordo della nave, effettui una sosta nell’area portuale in attesa di avviare o ultimare la
fruizione del servizio di trasporto, con la conseguenza che l’armatore o il comandante devono
intendersi gravati dall’obbligo di controllo e di protezione non solo a bordo della nave, ma, al
di fuori della stessa, nel luogo ove – nelle immediate vicinanze del mezzo nautico – sono
espletate le operazioni di imbarco e di sbarco. Su tali premesse, i Giudici di legittimità hanno
dichiarato responsabile il comandante della nave per la morte dei due passeggeri precipitati in
mare, poiché egli aveva ignorato le direttive impartite dalla locale Autorità marittima e
dall’armatore di predisporre adeguati sistemi protettivi idonei a delimitare le banchine onde
consentire una sicura circolazione del veicolo in ambito portuale (cfr. Cass., 19.2.2004, n.
1681).
Passando ad esaminare i criteri di imputazione della responsabilità per i sinistri occorsi al
passeggero ed alla conseguente distribuzione degli oneri probatori, la soluzione adottata dal
c.nav. è, almeno in apparenza, semplice e lineare. L’art. 409 c.nav. dispone infatti che il
vettore marittimo di persone è responsabile per i sinistri che colpiscono la persona del
passeggero «se non prova che l’evento è derivato da causa a lui non imputabile». Si tratta di
un tipico caso di responsabilità per colpa presunta, analogo a quello previsto in via generale
dall’art. 1218 c.c. nel quale la prova liberatoria, comprensiva in primo luogo della
individuazione della causa del sinistro, fa carico al debitore della prestazione.
Le decisioni giurisprudenziali, tuttavia, divergono in modo eclatante dalla regula iuris di cui
s’è appena dato conto, proponendo un’interpretazione che ha attenuato sensibilmente il rigore
del regime di responsabilità del vettore marittimo enucleato dall’art. 409 c.nav. Attenuazione
che, nel pensiero dei giudici, troverebbe la sua giustificazione nella circostanza che il vettore
non è in grado di esercitare sui passeggeri – i quali possono muoversi liberamente all’interno
del mezzo nautico- un efficace e costante controllo equiparabile a quello che compete al
vettore di cose, il quale sopporta un regime di responsabilità (per la perdita o l’avaria delle
merci) che per certi versi, è addirittura meno rigoroso di quello dell’art. 409 c.nav.
I giudici, sin dalle prime decisioni in materia, hanno infatti ritenuto che il sistema delineato
dall’art. 409 c.nav. non integri un regime di responsabilità per colpa presunta, in quanto è
onere del viaggiatore dimostrare, non soltanto la sussistenza dell’infortunio subito, ma anche
la causa specifica che ne è stata all’origine. Cosicché il passeggero, oltre a dover fornire la
prova dell’infortunio e dell’entità dei pregiudizi sofferti, è tenuto ad indicare pure la causa
produttiva del danno lamentato. Così la S.C. ha affermato che «sotto il profilo costitutivo
della responsabilità del vettore, è posto a carico del passeggero colpito da sinistro non solo
l’infortunio subito (nei limiti temporali che vanno dall’inizio dell’imbarco fino alla fine delle
operazioni di sbarco) ma anche la causa specifica del sinistro quale inerente al trasporto,
cioè quale accidente o anomalia allo svolgimento delle operazioni di trasporto, accidente o
anomalia rapportabile alla condotta del vettore o dei suoi dipendenti» (cfr. Cass., 9.8.1972,
n. 2658).
Tuttavia, ponendo a carico del passeggero l’onere di provare il nesso di causalità materiale, la
giurisprudenza finisce per richiedere a questi la dimostrazione non tanto della responsabilità
contrattuale del vettore (come dovrebbe essere a termini dell’art. 409 c.nav.), quanto piuttosto
la sua responsabilità extra-contrattuale! Il dettato dell’art. 409 c.nav., in realtà, non contiene
alcun elemento da cui evincere l’intento del Legislatore di allontanarsi dal principio generale
in materia di inadempimento e tale per cui grava sul debitore-vettore (che intenda sottrarsi alla
presunzione di responsabilità) l’onere di provare che l’inadempimento od il ritardo non sono
stati determinati da causa a lui non addebitabile.
Seguendo l’oramai consolidato orientamento pretorio, invece, si rischia di cadere in
contraddizione, là dove, per un verso, si sostiene che in presenza di un sinistro verificatosi
durante un viaggio il vettore incorre in responsabilità contrattuale ma, per altro verso, si
richiede al passeggero di fornire la dimostrazione dei presupposti di una responsabilità
aquiliana del vettore. A ciò si aggiunga che, nel dare credito a questa impostazione, si incorre
nell’ulteriore inconveniente di ritenere irrisarcibili i danni derivanti da causa ignota.
L’indagine interpretativa condotta dalla giurisprudenza si è soffermata altresì sulla
identificazione dei fatti impeditivi che il vettore marittimo di persone è ammesso a
provare al fine di superare la presunzione di responsabilità posta a suo carico (la c.d. prova
liberatoria). Secondo l’orientamento assolutamente prevalente in giurisprudenza, il contenuto
della prova liberatoria a carico del vettore di persone si atteggia diversamente a seconda che si
tratti di sinistri occorsi in occasione del trasporto, ovvero di sinistri a causa del trasporto.
Trattasi, si badi, di una distinzione di pura creazione pretoria, non trovando essa alcun
riscontro nel dettato normativo.
I sinistri in occasione del trasporto si configurano quando il danno non deriva da un fatto
proprio della navigazione, ma è il prodotto di pericoli generici che si concretizzano nel corso
del viaggio nautico. La Corte di appello di Napoli, ad esempio – nel pronunciarsi in merito
alla domanda svolta da un passeggero che, accingendosi a salire sulla passerella mobile tra la
nave e la banchina del molo, aveva subito lo schiacciamento del piede a causa delle
oscillazioni del mezzo nautico – ha inquadrato il sinistro non come sinistro verificatosi a
causa del trasporto (come propugnava il danneggiato), ma come sinistro verificatosi in
occasione del trasporto. La Corte di appello ha affermato, infatti, che nell’evento in esame
non era ravvisabile alcuna anomalia del servizio di trasporto, in quanto rientra nell’ordine
naturale delle cose che la passerella sia assoggettata ai movimenti ed alle oscillazioni della
nave, dovuti alla risacca. Una anomalia del servizio si sarebbe potuta configurare, concludeva
la Corte, in presenza di un movimento particolarmente forte e repentino dovuto ad
un’operazione errata compiuta a bordo della nave oppure a causa, ad esempio, di una
incomposta ressa di viaggiatori che non fossero stati irreggimentati dagli addetti all’imbarco
(cfr. App. Napoli, 27.2.1981).
I sinistri a causa del trasporto, invece, derivano proprio dalla navigazione, di cui sono una
diretta conseguenza. La risalente pronuncia del Tribunale di Napoli d.d. 19.11.1959 può
contribuire a chiarirne il significato rispetto alla figura esaminata in precedenza. Nel caso
sottoposto all’attenzione del Giudice partenopeo, un’onda di consistente portata formatasi a
causa del graduale peggioramento delle condizioni meteomarine in corso di navigazione,
abbattendosi con violenza sulla murata della nave, invadeva i saloni di una veranda,
rompendo le vetrate e provocando il ferimento di molti passeggeri che rimanevano colpiti dai
frantumi delle vetrate e dagli arredi scardinati dalla forza degli eventi atmosferici.
Il Giudice di merito ha riconosciuto in quel caso che i danni fossero susseguenti ad un evento
(la tempesta abbattutasi sul mezzo nautico) non estraneo alla sfera di controllo del vettore e,
dunque, al servizio di trasporto in sé, in quanto derivante da un comportamento negligente
dell’impresa di navigazione la quale non aveva tempestivamente avvertito i passeggeri
dell’approssimarsi della situazione di pericolo che era stato reso evidente dalla
strumentazione di bordo.
Orbene, la giurisprudenza è costante nell’affermare che riguardo ai sinistri verificatesi a
causa del trasporto «la prova liberatoria incombente al vettore consiste nel dimostrare che
l’evento dannoso fu conseguenza di un fatto da lui non prevedibile (caso fortuito) ovvero da
un fatto non evitabile nonostante l’uso dell’ordinaria diligenza (forza maggiore) ovvero di
una condotta colposa del passeggero; per gli incidenti, invece, semplicemente in occasione
del trasporto, la prova liberatoria consiste nel dimostrare di aver posto in essere quanto
necessario per assicurare –secondo una normale diligenza che non esclude un ragionevole
affidamento su un minimo di prudenza e di senso di responsabilità del passeggero – la
incolumità di quest’ultimo» (cfr. Cass. 7.2.1962 n. 244).
In buona sostanza, la giurisprudenza – nei sinistri occorsi in occasione del trasporto – ha
introdotto il medesimo regime di responsabilità previsto per il vettore aereo (art. 949-bis
c.nav.) e per quello terrestre (art. 1681 c.c.), i quali sono ammessi appunto a superare la
presunzione di responsabilità provando semplicemente d’avere adottato tutte le misure idonee
ad evitare il danno. Mentre, solo con riguardo ai sinistri a causa del trasporto, viene applicato
il principio di cui all’art. 409 c.nav. con coerenza e rigore, pretendendo che il vettore dia
dimostrazione della sussistenza di un fatto, a lui non imputabile, da cui sia derivato il danno
patito dal passeggero.
Tra gli eventi idonei ad interrompere il nesso di causalità materiale tra la condotta
dell’impresa di navigazione ed il pregiudizio, va ricordato il fatto del viaggiatore che, con la
propria condotta imprudente o distratta, abbia determinato l’evento dannoso. La
giurisprudenza, in più occasioni, ha chiarito infatti che il passeggero, durante il trasporto,
deve assumere un comportamento ispirato alla comune diligenza e che il vettore è legittimato
a fare affidamento su un grado di diligenza minimo e sul senso di responsabilità dell’utente
per la salvaguardia della propria incolumità.
Va osservato, in conclusione, che le soluzioni giurisprudenziali qui succintamente descritte
non appaiono condivisibili, poiché non trovano alcun riscontro nel dato normativo. Il
funzionamento dell’onere probatorio delineato dall’art. 409 c.nav. è infatti chiaro e lineare e
prevede che, se durante l’esecuzione del trasporto, si verifica un sinistro, il vettore è presunto
responsabile del danno subito dal passeggero e, così, della sua mancata protezione. Il
passeggero non è tenuto a dimostrare che il vettore è in colpa, cioè che il sinistro è dovuto alla
sua negligente condotta; né il vettore deve dimostrare di essersi comportato secondo
diligenza, essendo, invece, necessario che quest’ultimo offra la prova del perché non è
riuscito a far pervenire incolume il passeggero a destinazione.
Come s’è detto, sebbene si comprendano le ragioni che hanno condotto la giurisprudenza a
differenziare l’oggetto della prova liberatoria in ragione del tipo di sinistro, non si ritiene di
poter condividere la soluzione in quanto travisa completamente il dato normativo.
Se è vero infatti che, nel deliberare se il vettore è o meno responsabile del sinistro, non può
non tenersi nel debito conto che questi non è in grado di esercitare un efficace controllo sui
passeggeri (i quali, muovendosi liberamente sulla nave, possono contribuire con la propria
condotta a provocare il danno); è altrettanto vero che una tale evenienza dovrebbe essere
valorizzata diversamente senza deviare così sensibilmente dalle regole in tema di
responsabilità contrattuale del vettore. Era ed è sufficiente, a tale scopo, fare ricorso al
principio generale di cui all’art. 1227 c.c. disciplinante il concorso del fatto colposo del
creditore, per cui «se il fatto del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è
diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate».
Questo principio permetterebbe infatti di graduare la responsabilità del vettore in ragione
della eventuale corresponsabilità del passeggero, senza bisogno di ricorrere a ricostruzioni
assolutamente disallineate rispetto al chiaro dettato normativo.
La disciplina dettata dal c.nav. in materia di responsabilità del vettore marittimo di persone
non conosce un regime di limitazione della responsabilità vettoriale paragonabile al sistema
delle limitazioni risarcitorie introdotto dal Regolamento europeo n. 392/2009 sul trasporto
marittimo di passeggeri (inapplicabile ai trasporti nelle acque interne, in quanto riguardante
soltanto le navi destinate alla navigazione marittima).
Ciononostante, il concreto soddisfacimento delle pretese risarcitorie del passeggero
danneggiato può non trovare piena attuazione in ragione del diverso istituto della limitazione
della responsabilità armatoriale che, a norma dell’art. 275 c.nav., il vettore è autorizzato ad
invocare qualora egli rivesta altresì la qualifica di armatore.
La disposizione in parola (applicabile anche alle imprese che si occupano di navigazione
interna) prevede infatti che l’armatore possa limitare sino alla concorrenza di una somma pari
al valore della nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio, il debito
complessivo dallo stesso dovuto per le obbligazioni sorte durante il viaggio, comprese quelle
per il risarcimento del danno occorso a passeggeri, bagagli ed eventuali veicoli al seguito.
Ne segue che, in occasione dei sinistri di maggiore gravità suscettibili di coinvolgere molti
passeggeri, le aspettative di risarcimento degli utenti rischiano di non ricevere piena
soddisfazione. La limitazione risarcitoria, che deve essere invocata dall’armatore mediante la
proposizione del ricorso ex art. 621 c.nav., opera infatti per ciascun passeggero. In
applicazione di tale principio, quindi, l’armatore è ammesso a contenere la propria
obbligazione risarcitoria entro la somma limite, come individuata dal c.nav., moltiplicata per
il numero di passeggeri danneggiati e presenti a bordo ella nave al momento del sinistro.
Va precisato, a tal riguardo, che ove venga accertata la responsabilità per dolo o colpa grave
dell’armatore, quest’ultimo non è ammesso ad invocare la limitazione di responsabilità di cui
all’art. 275 c.nav., con conseguente pieno ed integrale riconoscimento delle aspettative
risarcitorie dei passeggeri.
4. – Con riguardo alla responsabilità del vettore marittimo di persone per la perdita od
avaria del bagaglio, va ricordato che il c.nav. prevede un regime differente a seconda che si
tratti di “bagaglio consegnato” ovvero “non consegnato”.
Solo nel primo caso il vettore assume, oltre all’obbligo di trasferimento, anche quello della
custodia. Nel caso della perdita od avaria del bagaglio consegnato, infatti, il vettore è
responsabile se non prova che il danno è derivato da causa a lui non imputabile. Il debito di
valore, in questo caso, è limitato ad Euro 6,19 per ogni Kg, salva la dichiarazione di maggior
valore effettuata dal passeggero. Le perdite o avarie, ove apparenti, devono essere fatte
constatare, a pena di decadenza, al momento della riconsegna; ove non apparenti, devono
essere denunciate entro tre giorni.
In relazione ai “bagagli non consegnati”, invece, il c.nav. prevede un’inversione dell’onere
probatorio, in quanto è il passeggero a dover dimostrare che il vettore è responsabile della
perdita od avaria del bagaglio. Non si applicano, inoltre, in questa seconda ipotesi, i limiti
risarcitori previsti dall’art. 412 c.nav. per la perdita o l’avaria del “bagaglio consegnato”.
5. – Venendo a trattare degli impedimenti (riferibili al vettore) circa la regolare
esecuzione del contratto di trasporto di persone, va innanzitutto ricordato che questi sono stati
oggetto di un recente provvedimento comunitario, il Regolamento d.d. 24.11.2010 n. 1177,
relativo ai diritti sui diritti dei passeggeri che viaggiano per mare e per le vie navigabili
interne: per mezzo di tale provvedimento, il legislatore comunitario ha inteso garantire anche
nel settore del trasporto per mare ed acque interne un livello di protezione dei passeggeri
simile a quello offerto nelle altre tipologie di trasporto.
Le norme del Regolamento hanno inciso, ma non soppresso, le norme interne contenute nel
c.nav. (in particolare gli artt. 403, 404 e 408) le quali, pertanto, continuano a trovare
applicazione, ad eccezione delle parti di queste in contrasto con la disciplina comunitaria a cui
è attribuito, ovviamente, un ruolo di preminenza2. In particolare, la normativa codicistica
interna continua a spiegare efficacia con riguardo ai trasporti esclusi dall’ambito di
applicazione del Regolamento europeo, concernente i servizi di trasporto commerciale di
passeggeri per una distanza superiore ai 500 metri effettuati secondo un orario pubblicato, il
cui porto di imbarco o di sbarco sia collocato nel territorio di uno Stato membro (sempre che
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Va rammentato, peraltro, che il Regolamento n. 1177/2010 stabilisce, all’art. 21, che le disposizioni in esso
racchiuse lasciano comunque impregiudicato il diritto dei passeggeri di rivolgersi ai tribunali nazionali, secondo
la legge nazionale, per ottenere il risarcimento connesso alle perdite dovute a cancellazioni o ritardi dei servizi di
trasporto.
il servizio sia effettuato da un vettore comunitario, ossia stabilito in uno Stato membro o che
offra servizi di trasporto da o verso il territorio di uno Stato membro).
Il Regolamento si applica inoltre ai passeggeri che viaggiano in crociera, cioè un servizio di
trasporto via mare o per vie navigabili interne effettuato esclusivamente per fini di svago o
ricreazione (completato da alloggio o altri servizi di durata superiore a due giorni con
pernottamento a bordo), il cui porto di imbarco sia situato nel territorio di in uno degli Stati
membri3.
Quanto alla normativa interna, l’art. 402 c.nav. stabilisce che se la partenza è impedita per
causa di forza maggiore non imputabile al vettore, il contratto è risolto e il vettore deve
rimborsare il biglietto. Se invece il vettore sopprime la partenza, il contratto si risolve di
diritto, salvo che il passeggero non scelga di partire con un’altra nave dello stesso vettore.
In caso di mutamento di itinerario, il passeggero ha facoltà di chiedere la risoluzione del
contratto oppure di subire l’itinerario modificato.
In tali ipotesi, il passeggero ha comunque diritto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art.
408 c.nav, ma se la soppressione della partenza o il mutamento di itinerario sono dovuti ad un
giustificato motivo, il risarcimento non può eccedere il doppio del prezzo del biglietto (art.
403 c.nav).
Se la partenza è ritardata, il passeggero ha diritto – durante il periodo di attesa – all’alloggio e
al vitto, quando questo sia compreso nel prezzo di passaggio. Se si tratta di viaggi di durata
inferiore alle 24 ore, dopo 12 ore di ritardo, il passeggero può chiedere la risoluzione del
contratto. Se si tratta di viaggi di durata superiore alle 24 ore, invece, il viaggiatore può
chiedere la risoluzione dopo 24 ore di ritardo, nei viaggi tra porti del mediterraneo, o dopo 48
ore, nei viaggi che abbiano inizio o termine fuori da Europa o dei paesi bagnati dal
mediterraneo. Se non si avvale di tale facoltà, il passeggero, dallo scadere dei termini
suindicati, non ha diritto a ricevere l’alloggio e il vitto del vettore.
Se il ritardo nella partenza è dovuto a causa ascrivibile al vettore, il passeggero ha diritto
inoltre al risarcimento dei danni.
Va altresì precisato che ove il viaggio sia interrotto per causa di forza maggiore, il prezzo di
passaggio è dovuto in proporzione del tratto utilmente percorso; tuttavia il vettore ha diritto
all’intero prezzo se, in tempo ragionevole, procura al passeggero la prosecuzione (a sue spese)
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Sono esclusi i passeggeri che viaggiano su navi autorizzate a trasportare fino a dodici persone ovvero su quelle
del cui funzionamento è responsabile un equipaggio composto da non più di tre persone.!
del viaggio su nave di analoghe caratteristiche, fornendogli nell’intervallo alloggio e vitto, se
compresi nel prezzo di passaggio.
Quanto alla disciplina europea, sono previsti puntuali obblighi di informazione dei passeggeri
in caso di cancellazioni e di partenze ritardate, tra cui l’obbligo di garantire gratuitamente, in
caso di ritardo non eccedente i 90 minuti (purché non provocato da condizioni meteorologiche
che mettono a rischio il funzionamento sicuro della nave) pasti e bevande in congrua
relazione al periodo di attesa, nonché una sistemazione adeguata a terra o a bordo in caso di
cancellazione o ritardo alla partenza che renda necessario un soggiorno di una o più notti.
Nel caso in cui sia ragionevolmente prevedibile che un servizio passeggeri subisca una
cancellazione o un ritardo alla partenza superiore a 90 minuti, invece, il vettore è tenuto ad
offrire immediatamente al passeggero la scelta tra il trasporto alternativo verso la destinazione
finale (a condizioni di trasporto simili e non appena questa si renda possibile senza alcun
supplemento), ed il rimborso del biglietto.
Quanto infine alle conseguenze del ritardo all’arrivo nella destinazione finale, non cagionato
da condizioni meteorologiche che mettono a rischio il funzionamento sicuro della nave, i
passeggeri possono chiedere al vettore una compensazione economica del viaggio, fatta salva
in ogni caso la possibilità di prevedere contrattualmente compensazioni di importo più
elevato.