Guida IBAN - BIC Lazio

Transcript

Guida IBAN - BIC Lazio
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
a
GUIDA BREVE DEL BUSINESS ANGEL
INTRODUZIONE ALLE PRINCIPALI TEMATICHE LEGALI E FISCALI DEL
RAPPORTO TRA INVESTITORE PRIVATO DI CAPITALE DI RISCHIO E
PROPONENTE DI PROGETTO
(APRILE 2010)
A cura di:
Avv. Marco Gubitosi, Partner, e Avv. Federico Botta e Avv. Fabio Chiarenza, Senior Associates,
Studio Legale Gianni, Origoni, Grippo & Partners
1
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
2
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
AVVERTENZA
Scopo del presente lavoro è meramente quello di offrire, in chiave divulgativa, una breve introduzione
ad alcune delle principali tematiche legali e fiscali sottese agli investimenti compiuti da Business
Angels in start-up e piccole imprese.
Il presente testo non pretende quindi di essere la sede per un’illustrazione organica e sistematica di
tutti gli istituti, le normative e le tematiche sottese a tale attività di investimento, quanto piuttosto
semplicemente fornire una prima illustrazione dei principali strumenti giuridici funzionali allo
svolgimento della predetta attività ed una rapida panoramica sulle questioni legali e fiscali di maggior
rilievo che possono presentarsi nel corso della medesima.
In tal senso, ogni e qualsiasi analisi o considerazione dei risvolti legali e dei profili fiscali di fattispecie
concrete, tutte comportanti specifici temi e peculiarità, non potrà prescindere da un adeguato supporto
di relativi professionisti di fiducia.
In particolare, nulla di quanto contenuto nel presente documento potrà essere utilizzato od interpretato
come consulenza legale o fiscale in merito ai temi trattati.
Per qualsiasi informazione o eventuale segnalazione, si prega di contattare:
Avv. Marco Gubitosi
Email [email protected]
Tel.
+39 02 7637 41; +39 06 475751
Cell.
+39 335 6252260
3
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
INDICE DEI CONTENUTI.
1.
INTRODUZIONE ....................................................................................................................................5
2.
PROCEDIMENTO DI INVESTIMENTO E STRUMENTI GIURIDICI. ............................................14
2.1
L’inizio della negoziazione: lettere di intenti, patti d’esclusiva ed accordi di riservatezza...................16
2.2
Il processo di due diligence. ...................................................................................................................20
2.3
La scelta dello strumento giuridico con cui effettuare l’investimento....................................................24
2.4
La struttura del contratto di investimento. .............................................................................................32
2.5
La gestione dell’investimento. ................................................................................................................36
2.6
La fase di disinvestimento.......................................................................................................................51
3.
PROFILI FISCALI. ................................................................................................................................62
4
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
1.
INTRODUZIONE
I Business Angels.
I Business Angels, ovvero secondo la definizione italiana, gli investitori privati ed “informali” nel
capitale di rischio di imprese e start-up di piccola o media dimensione, possono farsi risalire alla
“filantropia” tardo-ottocentesca o dei primi del novecento, ove alcuni soggetti di spicco della società
statunitense, dotati di ingenti capitali e di una fitta rete di contatti sociali, si dedicarono alla
promozione, soprattutto finanziaria, di spettacoli e produzioni teatrali (proprio per merito di tali
iniziali propositi ed attività detti soggetti furono comunemente indicati come “Business Angels”).
Successivamente, i mutamenti del contesto economico spinsero tali soggetti ad indirizzare il proprio
supporto finanziario verso iniziative imprenditoriali di carattere prettamente industriale, che trovavano
difficoltà ad ottenere i capitali necessari per il finanziamento dell’avvio delle proprie attività d’impresa
attraverso le tradizionali fonti di reperimento.
Il Business Angel divenne quindi uno dei maggiori attori soddisfacente il bisogno delle start-up e
dell’impresa di piccole e medie dimensioni di reperire i capitali necessari, colmando dunque il ben
noto fenomeno del “funding gap” ed assumendo la veste di investitore privato informale.
Oggi, il Business Angel è un investitore privato non inquadrato in istituzioni che esercitano
professionalmente l’attività di investimento (e.g. fondi chiusi di investimento o altre entità giuridiche
attive nel private equity o nel venture capital), il quale effettua l’investimento in capitale di rischio
mediante l’apporto di capitali propri (e non di sottoscrittori/investitori come nel caso dei menzionati
fondi chiusi) ad una o più nascenti o recenti iniziative imprenditoriali presentanti caratteri di
innovazione e forti capacità di crescita. Tali investimenti risultano generalmente meno strutturati e
formali nei loro processi rispetto alle usuali operazioni effettuate da fondi chiusi di private equity o
venture capital quanto a documentazione contrattuale ed accordi concernenti le diverse fasi
dell’operazione, con la caratterizzazione di una certa elasticità nelle tempistiche e modalità di
investimento, gestione dello stesso, e disinvestimento (di qui la definizione per tali investimenti di
“informal venture capital”).
In tal senso la cooperazione fra Business Angels e venture capital è molto importante per entrambi.
Infatti i fondi di venture capital e di private equity beneficiano del lavoro dei Business Angels in
quanto i primi sono i finanziatori principali delle imprese in cui hanno investito i Business Angels una
volta che tali imprese abbiano raggiunto la fase della maturità e dell’espansione, ed intervengono
5
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
quindi a rilevare la partecipazione dei Business Angels consentendo agli stessi di monetizzare il
proprio investimento.
Inquadrare e definire il Business Angel non è tuttavia semplice, specialmente in Italia ove tale figura
non è espressamente presa in considerazione da norme specifiche ma, così come oggi la conosciamo
ed identifichiamo, discende prevalentemente da una ricognizione della casistica delle operazioni
effettuate da tali investitori offerta dalla realtà economica ed è quindi suscettibile di adattamenti a
differenti contesti.
Possiamo comunque preliminarmente osservare che in genere si tratta di soggetti facoltosi che in
passato sono stati imprenditori, banchieri, professionisti o manager di impresa e che a seguito del loro
investimento svolgono un ruolo attivo nello sviluppo del progetto, sfruttando la propria esperienza
manageriale o professionale nonché la propria rete di contatti.
Quali sono gli obiettivi del Business Angel?
L’intervento del Business Angel viene generalmente effettuato a seguito di un combinato di diverse
motivazioni che possono essenzialmente ricomprendersi in:
(i) aspettative di un alto tasso di rendimento sul proprio investimento, che possa adeguatamente
ricompensarlo dell’altrettanto elevato rischio che assume. Pertanto, il Business Angel mira ad
ottenere, nel medio-lungo periodo, un ritorno sul proprio investimento mediante la contribuzione
alla crescita del valore dell’impresa partecipata (anche mediante il proprio “apporto” di
conoscenze professionali, manageriali e personali) e la successiva dismissione della partecipazione
in essa detenuta;
(ii) interessi personali ed affinità elettive nei confronti di particolari progetti innovativi o tecnologie e
di più ampi programmi di sviluppo di un territorio o settore.
L’obiettivo perseguito e le caratteristiche alla base dell’investimento aiutano a comprendere le
aspettative (e le esigenze) del Business Angel nell’ambito dell’operazione svolta.
A fronte, infatti, della minore presenza, o in molti casi assenza, di garanzie patrimoniali, ed in
considerazione della volontà di ottenere un elevato tasso di rendimento sul proprio investimento, il
Business Angel interviene nella gestione dell’impresa, al fine di contribuire attivamente e
concretamente alla crescita della stessa e di controllare direttamente il proprio investimento.
Per permettere al Business Angel di operare attivamente nell’ambito dell’attività d’impresa è
essenziale un quadro di pattuizioni contrattuali che ponga delle regole chiare e precise per il rapporto
tra investitore e imprenditore, al fine di organizzare al meglio l’approccio di investimento e l’ingresso
dell’investitore in un progetto imprenditoriale.
6
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
In sintesi, si tratta di trovare una soluzione equilibrata che consenta di contemperare in maniera
adeguata e funzionale le esigenze del Business Angel con quelle del socio imprenditore, e quindi di
ottimizzare il rapporto tra le esigenze di capitalizzazione della nuova iniziativa imprenditoriale e di
mantenimento di una forma di controllo sulle decisioni dell’impresa, delle quali è portatore il socio
imprenditore, e le esigenze di massimizzare la liquidabilità dell’investimento e di partecipare alle
decisioni strategiche ed alla gestione dell’impresa, di cui è invece portatore il Business Angel.
Come si può diventare un Business Angel?
Atteso che in Italia non esistono specifici registri o albi ufficiali per la qualificazione formale di
Business Angel, tale qualifica discende principalmente dall’aver perfezionato alcuni investimenti
riconducibili a tale attività nonché dall’essere parte attiva nei network di Business Angel e nel settore
di riferimento.
In altre parole la qualifica di Business Angel appare oggi essere una conseguenza pratica della propria
attività privata ed informale di investimento.
In tal senso il fenomeno dell’angel investing ha creato vere e proprie “reti” di contatti tra soggetti che
intendono intraprendere la strada dell’investimento imprenditoriale informale e dunque di Business
Angel.
Tali “reti” sono meglio conosciute come Business Angel Networks o “BAN”. Il loro compito primario
è quello di mettere i Business Angel in contatto tra loro e contribuire, allo stesso tempo, a creare ed
intensificare i rapporti tra i Business Angel ed i neo-imprenditori.
Ma la funzione ed il ruolo svolto dalle reti nazionali ed internazionali di Business Angel non si limita a
tale compito.
Esse, infatti, svolgono anche un’importante funzione di screening delle idee imprenditoriali presentate
come candidate ad un possibile investimento nonché di ricerca sul territorio di progetti dotati di buone
potenzialità.
Le reti nazionali ed internazionali forniscono, infine, anche utili strumenti di coordinamento
dell’iniziativa, che sempre più spesso (quanto meno nei mercati più maturi) viene svolta in
associazione tra più investitori sotto forma di “sindacato” di Business Angel, ciò al precipuo scopo di
ridurre i costi di analisi delle iniziative e condividerne i relativi rischi.
E’ dunque opportuno conoscere il settore di attività ed essere conosciuti dagli altri investitori e dagli
imprenditori ed una di queste vie è l’associazionismo e l’entrare in contatto con altri Business Angel o
club di investitori.
7
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Ad ogni modo, è opportuno segnalare che la costituzione di un “sindacato” di Business Angel al
precipuo scopo di ripartire i rischi ed i costi associati ad un investimento è un’ipotesi che apporta
notevole complessità alla procedura di investimento, e che è quindi opportuno gestire con l’assistenza,
sin dall’inizio, di professionisti esperti.
Tra le molteplici tematiche sottese a tale vicenda possiamo qui accennare, in particolare, alle modalità
operative del “sindacato”: è consigliabile, in queste ipotesi, che i Business Angel formino un veicolo
con il quale poi effettuare l’investimento. Sebbene ciò possa rappresentare un costo iniziale maggiore,
le ricadute positive in termini di semplicità di gestione dei rapporti con l’imprenditore superano
senz’altro il suddetto costo. Difatti, qualora tutti i Business Angels decidessero di investire
direttamente nel veicolo societario di cui è socio l’imprenditore, si lascerebbe comunque aperta la
porta a comportamenti individualistici anche in violazione del patto parasociale aggiuntivo che
immancabilmente dovrebbe essere sottoscritto tra i soci investitori.
In alternativa, si potrebbe individuare un soggetto (il c.d. Champion) che riceva mandato dagli altri a
gestire l’investimento comune in un determinato modo, fermo restando che ciò comporterebbe in capo
al Champion non pochi oneri informativi e gestionali e, in capo agli investitori per c.d. “follower” una
visibilità molto minore sulla gestione del veicolo societario costituito con l’imprenditore. Anche in
questo caso poi, come nel caso di intestazione fiduciaria delle partecipazioni in capo al Champion,
potrebbero sorgere i problemi di coordinamento in fase deliberativa che la costituzione di un apposito
veicolo tende ad eliminare.
L’esperienza italiana ed il contesto di riferimento.
In Italia il mercato dell’informal venture capital, dopo una fase pionieristica che si fa
convenzionalmente risalire come data di partenza al 1999, è un mercato che si può dire consolidato e
maturo.
Infatti, seguendo l’esempio di numerose altre nazioni europee, i Business Angels si stanno sempre più
organizzando, aumentando il reciproco scambio di informazioni e opportunità tramite la creazione di
diverse reti di collegamenti ed istituzionalizzando la loro presenza ed attività sul territorio italiano nel
marzo del 1999 mediante la costituzione di IBAN – Italian Business Angels Network ovvero
l’associazione italiana, senza scopo di lucro, che rappresenta e promuove gli investitori privati
informali nel capitale di rischio di piccole e medie imprese ed aderisce al circuito europeo EBAN –
European Business Angels Network, la relativa rete europea.
Ciò è risultato in concreto in un netto miglioramento delle best practices utilizzate in Italia nelle
operazioni di informal venture capital.
8
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Inoltre IBAN, in stretta collaborazione con AIFI, l’associazione italiana del private equity e del
venture capital, con cui concorre a sviluppare il sistema del capitale di rischio in Italia, ha colmato un
vuoto nella filiera degli interventi di capitale di rischio in Italia, atteso che i Business Angels svolgono
un’attività propedeutica e complementare a quella dei fondi di venture capital e successivamente a
quelli di private equity.
Invero, anche in Italia, spesso i Business Angels seguono, come detto, i primi passi dell’impresa e si
posizionano in uno stadio precedente rispetto all’attività tradizionalmente svolta dagli operatori di
venture capital, che intervengono in fasi successive di sviluppo, quando è necessario un ammontare di
capitali più elevato per permettere all’impresa di effettuare investimenti più sostanziali finalizzati alla
ulteriore sua crescita dimensionale.
Si assiste inoltre ad un generale favor legislativo rispetto all’informal venture capital che, tra le altre
innovazioni legislative, si è recentemente concretizzato, grazie agli uffici di IBAN, alla emanazione
della normativa sulla detassazione sul capital gain per tali operazioni mediante il D.L. 25 giugno
2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria, qualora questo venga reinvestito in altro start-up entro 24 mesi.
Il profilo del Business Angel in Italia può identificarsi in un soggetto benestante (ma non
necessariamente ricco) in termini di patrimonializzazione, con una solida rete di conoscenze ed
esperienze gestionali e manageriali e per larga misura impegnato in attività imprenditoriali,
dirigenziali o di consulenza aziendale, generalmente con età compresa tra i trenta ed i sessanta anni.
I principali canali informativi dei Business Angels italiani sono le reti locali composte da BAN e/o
club di investitori che promuovono incontri con gli imprenditori alla ricerca di investitori e supporto
manageriale così come i canali informali, cioè basati su ricerche personali effettuate all’interno dei
propri network conoscitivi costituiti da amici e partners, altri imprenditori, associazioni industriali e di
affari, eventi occasionali ed altri Business Angels.
Ulteriori canali di informazione e di comunicazione, forieri di opportunità di investimento per i
Business Angels si sono formati o sono in corso di formazione grazie alla cooperazione tra il sistema
universitario, incubatori, centri di ricerca scientifica ed il sistema imprenditoriale e finanziario.
La valorizzazione commerciale di molti progetti di ricerca scientifica necessita, infatti, di un adeguato
sostegno imprenditoriale e finanziario che la figura del Business Angel è in grado di offrire.
9
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Proprio per favorire lo sviluppo di tali progetti, molti centri di ricerca hanno istituito apposite strutture
di sviluppo economico progettate proprio per fornire risorse e servizi ad iniziative imprenditoriali nella
loro fase di avvio, mirando ad una futura autonomia e solidità finanziaria.
Cos’è l’associazione IBAN?
Come sopra accennato nel contesto italiano l’organizzazione di riferimento degli investitori informali
nel capitale di rischio è rappresentata dalla Italian Business Angels Network (IBAN), una associazione
senza scopo di lucro che ha l’obiettivo di sviluppare, incoraggiare e coordinare l’attività di
investimento nel capitale di rischio da parte degli investitori informali; incoraggiare lo scambio di
esperienze; e contribuire alla realizzazione di programmi locali, nazionali e comunitari finalizzati alla
creazione ed allo sviluppo di un ambiente favorevole all’attività dei Business Angels.
Generalmente fanno parte di questa associazione: manager, commercialisti, avvocati, imprenditori o
ex imprenditori e società, che hanno alte possibilità di avere contatti con gli imprenditori.
Sono, quindi, soci dell’associazione sia le persone fisiche che le persone giuridiche, gli studi
professionali, le società finanziarie, le banche, le università, i centri di ricerca, i singoli professionisti,
le associazioni ed organizzazioni che rappresentano un gruppo di interessi suscettibili di influenzare lo
sviluppo del mercato degli investitori informali.
Da un punto di vista organizzativo, IBAN si configura come un vero e proprio “web” volto a
coordinare e definire i parametri di azione entro cui le diverse strutture locali radicate nel territorio
possono muoversi.
Tali strutture giocano, infatti, un ruolo di primo piano nell’incontro tra la domanda e l’offerta di
capitale, rappresentando così il punto di contatto tra la rete dell’associazione e gli imprenditori che
necessitano dell’intervento del Business Angel.
Quale posto ha l’angel investing nel mercato dei capitali?
Come noto l’attività di finanziamento delle imprese da parte di investitori privati viene genericamente
e più frequentemente definita attività di private equity ed all’interno di tale definizione la letteratura
europea di settore distingue tra attività di private equity propriamente detta (comprensiva di tutte le
operazioni realizzate su fasi del ciclo di vita dell’impresa successive a quella iniziale, i.e. “fase di
sviluppo” e “fase di cambiamento”) ed attività di venture capital (comprensiva invece di tutte le
operazioni finalizzate al finanziamento delle fasi di avvio di impresa).
In tale contesto si è inoltre solito individuare tre differenti macrotipologie di investimenti a seconda
delle diverse fasi del ciclo di vita dell’impresa in cui essi intervengono:
10
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
•
finanziamento dell’avvio dell’impresa o “early stage” financing (i.e. venture capital):
finanziamenti erogati nei primissimi stadi delle attività d’impresa a partire dallo sviluppo iniziale
dell’idea d’impresa fino alle prime fasi di implementazione industriale e commerciale della
medesima.
Questa tipologia di finanziamenti comprende a sua volta due differenti sottocategorie.
Una prima fattispecie – comunemente denominata “seed financing” – comprende gli interventi
effettuati dall’investitore in una fase ancora sperimentale e di progetto ove esiste appunto un’idea
o un’invenzione, registrata o meno nelle forme richieste dalle norme in tema di proprietà
intellettuale, ma non ancora il prodotto realizzato e ancor meno una struttura aziendale e/o
societaria a servizio dell’idea di impresa (i.e. seed financing). In tali ipotesi, i mezzi finanziari
forniti dal Business Angel sono volti a consentire l’avvio materiale dell’attività basata su tale idea
e a finanziare le primissime fasi di avvio di impresa.
Una seconda fattispecie, comunemente denominata “start-up financing”, comprende invece gli
interventi effettuati dall’investitore in una fase dell’attività d’impresa in cui, sebbene ci si trovi di
fronte ad un prodotto realizzato, sperimentato e probabilmente brevettato, non è tuttavia ancora
facilmente prevedibile e stimabile l’efficacia commerciale del prodotto, che si trova appunto in
una fase di lancio. In tale fase, contrariamente a quanto avviene nel caso del seed financing, il
fondatore ed ideatore dell’impresa ha in genere già costituito una società veicolo, eventualmente
assieme al proprio management ed ha anche intrapreso le prime iniziative imprenditoriali. Gli
investimenti effettuati in questa prima fase di sviluppo dell’impresa mirano a porre l’impresa in
grado di formare le proprie strutture produttive e commerciali e testare il proprio prodotto o
servizio sul mercato;
•
finanziamento dello sviluppo o “expansion financing” (i.e. “private equity”): consiste nel
finanziamento erogato ad un’impresa già esistente, finalizzato a supportare l’implementazione di
programmi di sviluppo, tramite la crescita dimensionale diretta, la diversificazione produttiva,
l’acquisizione o l’integrazione con altre realtà imprenditoriali. In questa fase interviene il
cosiddetto “development capital” che va a finanziare, con somme generalmente molto elevate,
imprese la cui validità è stata già positivamente affermata nel mercato di riferimento, e che
presenta concrete possibilità di un ulteriore sviluppo. E’ in questa fase che tipicamente
intervengono i fondi di private equity;
•
finanziamento del cambiamento: buy-out financing – replacement capital – turnaround financing
(i.e. private equity): questi finanziamenti vengono erogati con obiettivi differenti, ma si collocano
tutti in una fase in cui l’attività di impresa è matura ovvero (rischia di entrare) in crisi.
11
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il buy-out financing ed il replacement capital sono difatti finanziamenti effettuati generalmente al
fine di consentire la sostituzione di tutta (buy-out) o parte (replacement) della compagine sociale
di un’impresa. Ciò può avvenire sia in una fase di ricambio generazionale (in cui ad es. i figli del
fondatore non intendono proseguire l’attività di impresa), sia in una fase di crescita dimensionale o
di ricambio manageriale, sia invece in una fase di riflessione, in cui lo sviluppo dell’attività di
impresa entra in sofferenza per un qualche motivo.
Il turnaround financing invece interviene nei casi in cui l’impresa attraversa una fase di crisi e
l’operatore finanziario interviene con l’obiettivo di invertire la tendenza negativa e risollevare le
sorti dell’impresa attuando un’iniezione di nuove risorse finanziarie ed un mutamento della
gestione.
Tra tali forme di finanziamento, l’early stage financing è una delle più complesse dal punto di vista
industriale.
Si tratta, infatti, di investire nello sviluppo di una nuova idea imprenditoriale (di fatto ancora allo stato
embrionale), che non dispone di concreti riscontri sul mercato tali da consentire di calcolare
preventivamente le possibilità di successo o di insuccesso ovvero di offrire certezze in merito ad una
possibile redditività (e, quindi, con un alto tasso di “mortalità”).
Tuttavia, quelli che per gli investitori istituzionali rappresentano elementi di “debolezza” e motivi di
rinuncia, diventano, invece, per il Business Angel punti di forza che gli consentono, più facilmente
rispetto ad altri investitori, di erogare finanziamenti alle imprese nei primi stadi di vita.
Tale circostanza si giustifica per un triplice ordine di ragioni: in primo luogo, il Business Angel ha
solitamente (grazie anche alle specifiche competenze professionali e/o manageriali di cui è dotato) gli
strumenti tecnici per valutare le concrete potenzialità di una nuova idea imprenditoriale, riducendo
così al minimo il margine di “incertezza” in merito al risultato dell’investimento; in secondo luogo, il
Business Angel dispone di capitali propri e non incontra, quindi, la difficoltà di dover giustificare agli
occhi dei terzi la scelta di investire in idee altamente rischiose; in terzo ed ultimo luogo, il Business
Angel predilige, proprio in ragione del fatto che utilizza capitali propri, investimenti dalle dimensioni
più piccole.
L’assenza di strutture rivolte a fornire “assistenza” finanziaria a nuove imprese, lo scarso interesse da
parte degli investitori istituzionali in operazioni di seed financing o di start-up financing e le
caratteristiche stesse del Business Angel, sono tutti elementi che hanno contribuito a conferire a
quest’ultimo un ruolo da protagonista nel mercato dei capitali, rendendolo l’investitore “ideale” nel
capitale di rischio di imprese nascenti.
12
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il Business Angel opera quindi generalmente nel finanziamento dell’avvio dell’impresa, e lo fa in
modo “destrutturato”, ossia non inserito in una struttura che esercita professionalmente l’attività di
investimento in capitale di rischio, ed agisce impiegando capitali propri e non di terzi sottoscrittori.
Con riferimento all’attività del Business Angel si parla quindi di “informal venture capital”, per
differenziare l’attività svolta da soggetti che possano essere classificati come Business Angel dal
“venture capital” in senso stretto: ovvero attività di investimento “temporaneo”, realizzato da parte di
investitori qualificati formali o informali, mediante finanziamento ed apporto di capitali di rischio
propri, in nascenti iniziative imprenditoriali o comunque in imprese di recente costituzione (“target”),
generalmente attive in settori ad alto contenuto tecnologico (e.g. le biotecnologie) e/o comunque ad
elevata rapidità di sviluppo e crescita (rispettivamente anche conosciute come imprese “high-tech” o
“high-growth”, secondo la sempre più diffusa terminologia anglosassone).
13
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
2.
PROCEDIMENTO
GIURIDICI.
DI
INVESTIMENTO
E
STRUMENTI
Successivamente all’individuazione da parte del Business Angel (o viceversa) di un possibile
investimento iniziano i colloqui e le trattative tra investitore e imprenditore sulla base di proposte
informali e ipotesi di massima.
Tali colloqui danno così inizio a quel procedimento di natura privatistica (in quanto prevalentemente
strutturato secondo gli accordi dettati dalle parti) scandito da una coordinata e sequenziale serie di atti
(ciascuno con propri effetti giuridici) ben tipizzati dalla prassi e che oggi declinano un’operazione di
informal venture capital.
In estrema sintesi tale procedimento può essere convenzionalmente suddiviso, dal punto di vista
dell’investitore, in tre differenti fasi in relazione allo stadio di vita dell’investimento:
(i) fase di ingresso: include l’analisi preliminare da parte dell’investitore della bontà dell’operazione
da un punto di vista industriale, finanziario e legale fino all’ingresso stesso dell’investitore nel
capitale sociale della società target quale nuovo socio dell’imprenditore, sia essa una società già
esistente o di nuova costituzione, generalmente mediante aumento di capitale della società
partecipata;
(ii) fase di gestione dell’investimento: consiste nel monitorare la società partecipata, prendere parte
alla gestione ed amministrazione della stessa attraverso le deliberazioni dell’assemblea dei soci e,
se del caso, del consiglio di amministrazione;
(iii) fase di disinvestimento: attiene alla fase cruciale di tutta l’operazione di investimento, ovvero la
cessione della propria partecipazione all’imprenditore o a terzi investitori finanziari o industriali o
ancora attraverso la quotazione su un mercato regolamentato.
Ciascuna di tali fasi è disciplinata da norme contrattuali giuridicamente vincolanti appositamente
negoziate tra le parti, ed in cui le medesime hanno formalizzato la propria collaborazione.
Tali accordi sono spesso estrinsecati in diversi atti e documenti giuridici necessari od opportuni al fine
di ordinare il procedimento di investimento e, conseguentemente, ben regolare i rapporti economici ed
aziendali tra investitore ed imprenditore che in estrema sintesi possono essere individuati come segue:
(i) fase di ingresso: essa viene disciplinata da documenti preliminari, generalmente non vincolanti
fatta eccezione per alcuni accordi specifici quali i patti di esclusiva nelle trattative e accordi di
riservatezza:
14
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
•
accordo di riservatezza ed esclusiva (anche noto come confidentiality agreement, secrecy
agreement o non-disclosure agreement);
•
lettera di intenti (anche nota come letter of intent o “LOI”, memorandum of understanding,
term sheet);
•
lista della documentazione richiesta per lo studio della bontà dell’investimento (anche
nota come due diligence check list), utile per avviare il processo di indagine dell’attività di
impresa comunemente denominato “due diligence” che verrà più ampiamente descritto in
seguito; e
•
contratto (o accordo quadro) di investimento la sottoscrizione della documentazione
contrattuale, generalmente composta di un contratto quadro di investimento cui vengono
allegate le bozze di statuto e di patti parasociali per la gestione della società ed una serie di
contratti accessori per il coinvolgimento dell’imprenditore o di altri soggetti nella vita
societaria (ad es. i manager, si pensi al caso delle famose stock option o altri piani di
incentivazione), segna il termine delle negoziazioni e rappresenta la formalizzazione
giuridicamente vincolante delle intese raggiunte. Dopo la sottoscrizione di tale accordo le parti
(rectius il finanziatore) procedono alla vera e propria effettuazione dell’investimento,
momento in cui si conclude la fase di ingresso e si inizia la vera e propria fase di cooperazione
gestionale.
(ii) fase di gestione e di disinvestimento: le fasi di gestione e di disinvestimento sono interamente
regolate dalle pattuizioni parasociali (spessissimo riflesse nella nuova versione dello statuto
sociale), cui si accompagnano documenti di monitoraggio (management account etc.), verbali
assembleari e del consiglio di amministrazione ed in cui a volte si possono inserire altri documenti
collaterali, separati o meno dal patto parasociale o dall’accordo di investimento, quali:
•
contratti accessori con amministratori o dirigenti (finalizzati principalmente ad
incentivarne la partecipazione all’attività di impresa, e spesso anche funzionali all’apporto da
parte del management di particolari prestazioni a favore dello sviluppo dell’impresa);
•
contratti di servizi e/o consulenza con il Business Angel o finanziatore (accordi ancillari
funzionali all’apporto da parte del finanziatore / Business Angel delle proprie conoscenze e
competenze in relazione al possibile sviluppo dell’impresa);
•
patti di opzione, mandati irrevocabili o depositi vincolati (che spesso si inseriscono nella
fase di exit al fine di garantirne l’effettività).
15
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
2.1 L’inizio della negoziazione: lettere di intenti, patti d’esclusiva ed accordi
di riservatezza.
Cosa si intende per fase di “ingresso”?
Come sopra brevemente accennato, la fase di ingresso rappresenta la fase dell’analisi, valutazione e, in
caso positivo, dell’investimento vero e proprio, ossia la fase al termine della quale, qualora l’iter si sia
concluso positivamente, l’investitore informale apporta materialmente i capitali all’impresa, con le
modalità tecniche prescelte.
Nell’ambito di tale fase avvengono i primi contatti tra imprenditore e Business Angel (generalmente
iniziati con l’analisi da parte di quest’ultimo del business plan sottoposto alla sua attenzione
dall’imprenditore), si svolgono le verifiche che il Business Angel ritiene utili al fine di verificare i
presupposti alla base del business plan e la situazione complessiva dell’impresa (la c.d. due diligence).
Al termine di, o durante le, suddette attività si procede alla sottoscrizione con l’imprenditore della
documentazione contrattuale vincolante, a partire dagli accordi di riservatezza ed esclusiva per poi
proseguire con la sottoscrizione del contratto di investimento (o di acquisto della partecipazione) ed i
patti parasociali. Generalmente la documentazione contrattuale contiene tutte le disposizioni atte a
disciplinare le modalità di esecuzione dell’investimento, le obbligazioni ed i diritti delle parti in
relazione alla gestione della società (con particolare riferimento alla condivisione dei processi
decisionali ed all’attribuzione dei diritti di controllo e monitoraggio dell’andamento dell’impresa), le
modalità di circolazione della partecipazione o interessenza nonché, infine, le modalità di dismissione
da parte dell’angel investor del proprio investimento.
Occorre
sottolineare
che
la
stipulazione
di
idonea
documentazione
contrattuale
prima
dell’effettuazione dell’investimento rappresenta un essenziale strumento di tutela concreta per
l’investitore, che, come detto, interviene senza chiedere in cambio che venga prestata una garanzia
patrimoniale a protezione del proprio apporto finanziario.
Quanto tempo occorre per la conclusione di un’operazione di investimento strutturata in tal modo?
Generalmente i tempi per la conclusione di un’operazione di investimento dipendono da numerose
variabili, tra cui la complessità della documentazione contrattuale che si vuole porre in essere,
l’ammontare complessivo dell’investimento, il tempo che richiede il trovare un accordo sulle
pattuizioni principali sulle quali incardinare la collaborazione futura tra imprenditore e Business
Angel, il numero di investitori che partecipano all’operazione ed il dettaglio di analisi preliminare
dell’impresa (la c.d. due diligence) che si intende intraprendere.
16
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
E’ indispensabile sottoscrivere una lettera di intenti?
Naturalmente la sottoscrizione di una lettera di intenti non costituisce un presupposto imprescindibile
della fase di investimento.
Essa rappresenta, ciononostante, un caposaldo della trattativa tra Business Angel e imprenditore in
quanto contribuisce innanzitutto a definire, ex ante, i limiti entro i quali si intende condurre la
trattativa, ed in secondo luogo rende espliciti i presupposti sulla base dei quali si intraprende una
determinata negoziazione.
Spesso avviene, infatti, che ciascuna parte avvii i contatti con l’altra senza averle manifestato (tutti) gli
elementi senza i quali essa non è disposta a proseguire oltre nella trattativa, ossia i cosiddetti “deal
breakers”.
Cosa deve contenere una lettera di intenti?
Il contenuto di una lettera di intenti non è disciplinato normativamente, e le parti sono pertanto libere
di determinarne il contenuto in piena autonomia negoziale, nel solo rispetto dei principi generali del
diritto in materia di obbligazioni e contratti.
La prassi ha tuttavia individuato una serie di contenuti tipici di una lettera di intenti, tra cui, ad
esempio, l’indicazione dei presupposti dell’interesse dell’acquirente/investitore (nel caso del Business
Angel il presupposto potrebbe essere la titolarità da parte dell’imprenditore di un brevetto
particolarmente innovativo) e del venditore/imprenditore, la descrizione della struttura basilare
dell’operazione e l’elencazione dei capisaldi della trattativa, ossia delle esigenze od aspettative
fondamentali delle parti, l’indicazione delle attività prodromiche all’effettuazione dell’investimento o
comunque condizionanti il medesimo (in primis l’effettuazione della due diligence) nonché, infine, un
impegno alla riservatezza (generalmente reciproco) ed un impegno, da parte del venditore /
imprenditore, a condurre le trattative in esclusiva con l’acquirente/investitore per un determinato
periodo di tempo (in modo da sgombrare temporaneamente il campo da possibili concorrenti).
Occorre sottolineare che nella quasi totalità dei casi le parti hanno cura di specificare, nella lettera di
intenti, che le uniche pattuizioni vincolanti sono quelle relative agli impegni di riservatezza e di
esclusiva, chiarendo che le altre previsioni non debbano avere carattere vincolante.
La lettera di intenti è difatti, secondo una definizione ripresa anche dalla Corte di Cassazione, un
documento che esprime i propositi dei futuri contraenti nella fase delle trattative precontrattuali, che
precede la stipulazione di un negozio soltanto eventuale e mostra l’esclusivo intento di predisporre le
clausole da recepire nel futuro contratto nell’eventualità della positiva conclusione delle trattative
stesse.
17
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
E’ fondamentale quindi distinguere quali previsioni, nella lettera di intenti, si ritiene debbano essere
giuridicamente vincolanti e quali non lo siano. Anzi, è possibile affermare che soltanto nelle clausole
tipicamente qualificate come giuridicamente vincolanti, ossia le clausole di esclusiva e riservatezza, è
dato cogliere il reale potenziale interesse di un investitore nella redazione di una lettera di intenti, dal
momento che solo queste clausole sono in grado di attribuire alla trattativa il necessario livello di
serietà e di inquadrare, almeno psicologicamente, la trattativa tra due soggetti ed entro limiti di tempo
determinati.
E’ consigliabile in tale ottica che le suddette clausole siano assistite da sanzioni atte a scongiurarne la
violazione. Tuttavia il contesto operativo del Business Angel ed il particolare rapporto che egli mira ad
instaurare con l’imprenditore possono in qualche caso militare contro l’inserimento di tali strumenti di
difesa in una lettera di intenti.
Sembra opportuno, da ultimo, sottolineare che proprio la natura giuridicamente non vincolante della
maggior parte delle disposizioni generalmente inserite in una lettera di intenti conduce comunque a
consigliare di non soffermarsi troppo a lungo nella negoziazione del relativo documento.
Se da un lato il tempo speso nella discussione dei temi sottesi ad una lettera di intenti può favorire la
maturazione, da parte di entrambi i soggetti coinvolti, di una maggiore consapevolezza dei propri
obiettivi e delle proprie esigenze, dall’altro si rischia che il prolungarsi di questa fase faccia irrigidire
la controparte e riduca indebitamente i futuri spazi negoziali.
Quali obblighi discendono dall’aver sottoscritto una lettera di intenti?
Come detto nel paragrafo precedente, la sottoscrizione di una lettera di intenti, di per sé, non fa sorgere
alcun obbligo particolare a carico di nessuna delle parti, ad eccezione, naturalmente, degli obblighi
specificamente previsti nelle pattuizioni vincolante della stessa (i.e., generalmente, clausole di
esclusiva e riservatezza).
Si deve piuttosto porre l’attenzione sulle responsabilità che la legge ricollega all’inizio di trattative
volte alla stipula di un contratto, a prescindere che esse siano precedute o accompagnate dalla
stipulazione di documenti (ivi inclusa una lettera di intenti) che diano atto di tale inizio o riportino lo
stato raggiunto dalle trattative medesime.
La legge prevede, infatti, che nello svolgimento di trattative precontrattuali e nella formazione
progressiva del contratto le parti debbano comportarsi secondo “buona fede”. Nel tentativo di
individuare il significato corretto e concreto da attribuire a questo binomio ricorrente nella normativa
italiana, la giurisprudenza si è profusa nella produzione di numerosissime pronunce, tutte di varie
sfumature.
18
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Basti qui dire che tale principio in ambito contrattuale si risolve nell’obbligare le parti della trattativa a
comportarsi secondo i dettami della lealtà e della correttezza media del settore economico e sociale cui
il contratto si riferisce. Nel concreto svolgersi della trattativa poi, potranno essere molteplici le ipotesi
in cui un determinato comportamento possa contravvenire ai dettami della buona fede e quindi dar
luogo a responsabilità precontrattuale, che costringerebbe al risarcimento del danno causato dalla
violazione del dovere di buona fede (nei limiti dell’interesse negativo, cioè delle spese sostenute, dalle
perdute occasioni di concludere un altro valido contratto, nell’attività inutilmente adoperata nelle
trattative e sottratta ad altre utili applicazioni).
L’ipotesi più frequentemente presa in considerazione dalla giurisprudenza è l’interruzione
ingiustificata delle trattative. Essa, tuttavia, non è l’unica ipotesi da tenere in considerazione, dato che
la regola posta dal legislatore (art. 1337 del codice civile) ha carattere generale, il cui contenuto non
può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi
da comportamenti negligenti o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o
conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Affinché, quindi, possa
ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che: (i) tra le parti siano in corso
trattative; (ii) le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui
responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; (iii) pur nell’ordinaria
diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo
ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; e (iv) che l’autorità giudiziaria riscontri nei
fatti che si sia verificata una violazione del dovere di buona fede.
E’ possibile prevedere una clausola di recesso dalle trattative?
E’ chiaro che nel corso delle trattative sia il Business Angel che l’imprenditore svolgono attività utili a
consentire loro una valutazione della convenienza o meno a concludere l’affare.
Occorre tuttavia tener presente che, una volta intrapreso l’inizio della negoziazione, ciascuna parte non
è più completamente ed assolutamente libera di recedere dalle trattative. Difatti, alla libertà negoziale
delle parti si contrappone il legittimo affidamento della controparte sulla possibile futura stipula del
contratto, tutelato dalla legge, che prevede, come abbiamo visto, una responsabilità precontrattuale a
carico della parte che receda “ingiustificatamente” dalle trattative (ossia al di fuori dei limiti posti dal
rispetto del principio di buona fede).
Nella generalità dei casi la giurisprudenza ha, infatti, inteso per recesso ingiustificato dalle trattative;
tuttavia la regola della buona fede non si riferisce a questa sola ipotesi avendo valore generale, il cui
contenuto implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o
19
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria
diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
La “buona fede” si concretizza quindi nell’obbligo di tenere un comportamento connotato da
correttezza, tale da non ledere l’interesse della controparte alla valida conclusione del contratto dopo
avere suscitato nella stessa un ragionevole affidamento su tale conclusione.
In considerazione di quanto detto, è opportuno per l’investitore provare a ricavare spazi di legittimo
recesso dalle trattative, indicando proprio nella lettera di intenti specifiche e dettagliate ipotesi di
recesso dalle stesse. Tuttavia, il contenuto di tali clausole non potrà mai essere tale da consentire al
potenziale investitore di interrompere le trattative senza giustificato motivo in violazione del principio
di buona fede.
Una delle ipotesi più ricorrenti potrebbe essere (e nella prassi spesso è) naturalmente rappresentata
dall’esito delle verifiche di due diligence, che, se negativo, potrebbe dunque legittimamente condurre
l’investitore ad un ripensamento sull’opportunità dell’affare. Altre ipotesi normalmente applicate
nell’ambito di operazioni di private equity non sembrano, invece, adattabili al caso del Business Angel
(si pensi ad esempio all’ipotesi in cui si preveda il diritto di recedere dalle trattative in caso di mancata
approvazione del deal da parte del comitato investimenti).
2.2 Il processo di due diligence.
Cos’è la “due diligence”?
Per compiere un’indagine conoscitiva sulla società destinataria del potenziale investimento, al fine di
valutarne in maniera approfondita il business ed individuare gli eventuali rischi che potrebbero
determinare il fallimento dell’investimento, il Business Angel ha a sua disposizione lo strumento della
due diligence.
La due diligence, termine mutuato dall’esperienza anglosassone, è un’attività di indagine preliminare
volta a verificare, più o meno analiticamente, tematiche di particolare rilievo per l’investitore, al fine
di valutare in maniera approfondita il business, i punti di forza e di debolezza del potenziale
investimento ed individuare gli eventuali rischi sottesi.
Le relative verifiche possono esser svolte direttamente dal Business Angel o, come avviene
generalmente, tramite professionisti con competenze specifiche in determinate aree aziendali e di
business.
20
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
E’ sempre consigliabile svolgere una due diligence, anche solo sommaria, prima di effettuare
l’investimento atteso che, attraverso di essa, si diviene maggiormente in grado di assumere decisioni
informate circa l’opportunità e le modalità del proprio investimento.
Per tramite di tale indagine il Business Angel, può inoltre acquisire maggiori informazioni in relazione
alle aree di criticità ed ai punti di forza della società e comprendere al meglio le potenzialità
dell’operazione d’investimento.
Più nello specifico, la due diligence assolve, generalmente, tre diverse funzioni: (i) conoscitiva
(verifica in ordine alla sussistenza o meno di problematiche di rilievo che possano rivelarsi ostative
all’investimento ed individuazione delle eventuali aree di rischio); (ii) costruttiva (definizione degli
obiettivi da raggiungere con l’investimento); e (iii) manageriale (verifica dell’idoneità del
management con il quale si dovrebbe cooperare dopo l’investimento).
Ci soffermeremo nel prosieguo sui risvolti pratici che l’effettuazione di un’attività di due diligence
può avere a livello contrattuale, ed in particolare nella predisposizione delle misure a tutela
dell’investimento del Business Angel.
La varietà delle possibili esigenze investigative impone un insieme di analisi specialistiche che danno
quindi vita a diversi aspetti e campi di applicazione del processo di due diligence, che possono essere
così schematizzati:
•
due diligence industriale: consiste nell’analisi della società sulla quale il Business Angel intende
investire con particolare riferimento ai suoi prodotti, alle sue quote di mercato, al suo
posizionamento competitivo nei settori di appartenenza;
•
due diligence finanziaria: consiste nell’analisi storica e prospettica dei dati economico-finanziari
della società sulla quale il Business Angel intende investire;
•
due diligence legale: consiste nell’analisi dei libri sociali, dei patti parasociali, dei contratti
commerciali ed assicurativi; lo stato dei brevetti e dei marchi; il quadro normativo del settore in
cui la società sulla quale il Business Angel intende investire;
•
due diligence fiscale: consiste nell’analisi delle problematiche fiscali, sia nell’ottica della
negoziazione del contratto, sia in quella di ottimizzazione fiscale della struttura societaria da
applicare per l’investimento;
•
due diligence ambientale: consiste nell’analisi delle relazioni tra la società sulla quale il Business
Angel intende investire e l’ambiente nonché nell’identificazione di eventuali passività potenziali
connesse al rischio ambientale.
21
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
L’attività di due diligence si risolve tipicamente nella revisione della documentazione messa a
disposizione dall’imprenditore (spesso su richiesta specifica dell’investitore); in alcuni casi particolari
(ad es. tematiche immobiliari, ambientali o tecniche) potrebbe anche essere consigliabile un
sopralluogo delle aree interessate o una verifica diretta del funzionamento o meno di un particolare
prodotto.
Quali aspetti di un’impresa debbono necessariamente essere oggetto di due diligence?
Nelle operazioni di venture capital, a differenza di quanto accade generalmente nelle operazioni di
private equity, si preferisce svolgere un’attività di due diligence abbastanza ridotta, che si concentri su
poche tematiche rilevanti per l’investitore e non copra necessariamente tutte le aree in cui si svolge
l’attività di impresa (ad es. documentazione societaria, bilanci, principali contratti, polizze
assicurative, forza lavoro, tematiche ambientali, aspetti relativi alla proprietà intellettuale, etc.).
Naturalmente, data la diversa tipologia del target di investimento (trattandosi di società o imprese
comunque in fase di start-up), la minore disponibilità dei Business Angel (a causa della modicità degli
importi investiti) a sostenere costi rilevanti per l’analisi iniziale e l’opportunità (rectius necessità) di
ricorrere a consulenti specializzati nei vari campi oggetto di indagine, è consigliabile che anche un
Business Angel, proprio come un operatore di venture capital, si limiti a selezionare aree di interesse
particolari su cui concentrare la propria attività di due diligence.
Le società o imprese in fase di start-up, infatti, non hanno alle spalle una storia imprenditoriale
particolarmente lunga e complessa, né dispongono di rilevanti quantità di beni o di personale, e non
sono parti di molti rapporti contrattuali, amministrativi (licenze, permessi, autorizzazioni) o
contenziosi.
Pertanto, la fase di negoziazione e redazione della lettera di intenti può anche fondersi senza soluzione
di continuità con la fase di negoziazione e redazione della documentazione contrattuale necessaria
all’attuazione dell’investimento, o al limite essere interrotta esclusivamente dal tempo necessario a
svolgere le verifiche essenziali sulle potenzialità del business, passando poi rapidamente alla
negoziazione del contratto di investimento.
Spesso, una delle aree su cui il Business Angel potrebbe maggiormente concentrare la propria attività
di due diligence è quella legata alla proprietà intellettuale, cioè ai frutti dell’attività creativa ed
inventiva come, quali in particolare, brevetti, diritti di design ed altri, dato che le imprese in fase di
start-up trovano generalmente in un diritto di esclusiva tecnologico il loro asset cruciale.
Individuare ed ottenere un’adeguata tutela della proprietà intellettuale potrebbe risultare per il
Business Angel fondamentale, non solo al fine di evitare che eventuali società concorrenti possano
22
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
liberamente usufruire delle innovazioni della società oggetto del finanziamento, ma anche al fine di
verificare se i diritti di proprietà intellettuale detenuti da terzi possano risultare strategicamente
rilevanti per le attività svolte dalla società finanziata ed, in tal caso, quali rischi essa correrebbe
nell’utilizzarli e sfruttarli.
L’attività di due diligence svolta dal Business Angel potrebbe, quindi, riguardare:
(i)
l’individuazione dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dalla società, inclusi i brevetti ed i
marchi registrati o ancora da registrare, il materiale protetto da copyright, i diritti di design e le
informazioni riservate (ed, in particolare, le informazioni tecniche che la società ha scelto di
tenere riservate);
(ii)
l’eventuale policy adottata o adottanda dall’imprenditore in materia di proprietà intellettuale, con
particolare riferimento alle tecniche di registrazione e protezione di marchi e brevetti nonché
alle modalità di gestione delle informazioni riservate fornite alla società o fornite dalla società a
terzi;
(iii) i limiti geografici entro cui opera la tutela della proprietà intellettuale;
(iv)
la rilevanza di un determinato diritto di proprietà intellettuale e l’opportunità, ai fini dell’attività
svolta dalla società e del suo core business, di tutelarlo;
(v)
l’esistenza di controversie effettive o minacciate per presunta violazione di diritti di proprietà
intellettuale ovvero eventuali richieste di risarcimento danni da parte di inventori;
(vi)
i costi di mantenimento dei marchi già registrati;
(vii) le eventuali restrizioni da parte della società nell’utilizzo di diritti di proprietà intellettuale
riconducibili a terzi;
(viii) il rispetto della legge sui marchi e brevetti.
Cosa accade se non si dovesse dar luogo ad una due diligence?
Il mancato svolgimento di un’adeguata procedura di due diligence, oltre alle conseguenze pratiche
facilmente individuabili, può avere anche conseguenze da un punto di vista strettamente legale.
Da un lato è d’uopo segnalare che parte del dovere di comportarsi secondo buona fede nelle trattative
precontrattuali è proprio, secondo la giurisprudenza e la dottrina, il dovere di informazione di una
parte nei confronti dell’altra: ciascuna ha, infatti, l’obbligo di segnalare all’altra fatti e circostanze di
cui essa non sia a conoscenza e che possano essere determinanti del suo consenso (e quindi, sia della
determinazione a concludere il contratto, che della decisione di concluderlo a condizioni differenti).
La mancata informazione del Business Angel da parte dell’imprenditore potrebbe quindi comunque
costituire causa di responsabilità precontrattuale o contrattuale (nel caso in cui il contratto di
23
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
investimento sia concluso ma il Business Angel riesca con successo ad esperire un’azione di
annullamento per dolo) a suo carico.
D’altro canto il Business Angel potrebbe avvalersi (per lo meno nelle ipotesi in cui acquisti una
partecipazione alla società del neo imprenditore) delle azioni previste dal codice civile in tema di
compravendita, esperendo le azioni di garanzia per vizi della cosa venduta, le quali incontrano tuttavia
il limite della conoscenza da parte del Business Angel (acquisita magari proprio in occasione della due
diligence) dei vizi per i quali chiede il risarcimento. Riprenderemo tuttavia questo discorso nel
prosieguo, quando tratteremo le dichiarazioni e garanzie.
2.3 La scelta dello strumento giuridico con cui effettuare l’investimento.
E’ possibile utilizzare lo strumento del contratto di compravendita di partecipazioni per effettuare il
mio investimento?
Abbiamo visto più sopra come gli elementi essenziali di un’operazione di investimento portata avanti
da un Business Angel siano l’apporto dei capitali e delle competenze specifiche necessarie allo
sviluppo dell’impresa, al fine di acquisire una partecipazione alla gestione di quest’ultima e di ottenere
la possibilità di beneficiare del ritorno sull’investimento che potrà essere offerto dall’aumento di
valore di tale partecipazione.
Questi pochi semplici tratti caratteristici dell’operazione aiutano ad individuare un ristretto novero di
strumenti giuridici che possano essere utilizzati per perseguire gli obiettivi sopra descritti.
Innanzitutto sembra quindi necessario escludere, in questo tipo di operazioni, l’utilizzo dello
strumento rappresentato dal contratto di compravendita di partecipazioni al capitale di società di
capitali ovvero di quote o interessenze in società di persone.
L’effettuazione di un investimento tramite acquisto di una partecipazione in una società può difatti
essere consigliabile nel caso in cui sia necessario un ricambio in seno alla compagine sociale (e quindi
l’ingresso del Business Angel avviene contemporaneamente all’uscita di soci preesistenti) ovvero nel
caso in cui gli originari proprietari intendano ridurre il proprio coinvolgimento nel rischio di impresa.
E’ evidente quindi che tale soluzione non risulta preferibile nell’ambito di un’operazione standard di
investimento da parte di un Business Angel in quanto da un punto di vista strettamente economicofinanziario, è chiaro che tale tipo di operazione comporta un trasferimento di risorse finanziarie non a
favore dell’impresa (che non acquisisce ulteriori mezzi propri) ma soltanto a favore dell’imprenditore,
e quindi una “sostituzione” di risorse (quanto meno in parte) piuttosto che un incremento delle
medesime.
24
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Inoltre, il fatto che sia necessario un ricambio (totale o parziale) nella compagine sociale, o che i soci
originari intendano ridurre il proprio coinvolgimento nel rischio di impresa certamente non
rappresenta un indice positivo della fiducia nell’impresa da parte di coloro che probabilmente l’hanno
creata o che comunque al suo sviluppo hanno collaborato sinora, o quanto meno è indice di
un’instabilità della compagine societaria che può nuocere al Business Angel piuttosto che giovargli.
Infine l’acquisto di partecipazioni rischia di costituire un disincentivo allo sviluppo dell’attività da
parte dell’imprenditore il quale ha così già parzialmente monetizzato il proprio investimento.
Al limite, l’acquisto di partecipazioni potrà essere impiegato assieme all’aumento di capitale, in
proporzioni variabili.
Quale può essere la forma di apporto di capitali da parte del Business Angel più conveniente per
l’attività di impresa?
Nella maggior parte delle operazioni di investimento da parte di Business Angel, quindi, come detto,
viene preferito l’aumento di capitale.
La patrimonializzazione della società attraverso un aumento di capitale sociale è, infatti,
indubbiamente la forma più conveniente sia per il Business Angel sia per l’impresa, dato che questa
operazione è l’unica che incrementa le risorse finanziarie a disposizione dell’impresa, non comporta
l’esborso di interessi passivi, non obbliga al rimborso, aumentando il patrimonio netto, aumenta anche
la possibilità di reperire ulteriori risorse di debito sul mercato dei capitali (tutti motivi per cui
l’imprenditore preferisce ricorrere ad un investitore piuttosto che ad un finanziatore per finanziare la
crescita dell’impresa).
A quanto sopra detto può aggiungersi che, dal punto di vista dell’investitore Business Angel, il
conferimento a capitale dell’impresa, ed il corrispettivo acquisto di una partecipazione a fronte di tale
conferimento, rappresenta l’unico strumento (o quanto meno il più efficace) per consentirgli di
acquisire una posizione all’interno dell’impresa in grado di dirigerne ed orientarne lo sviluppo e le
strategie.
Può il Business Angel finanziare un’impresa senza ricorrere ad un aumento di capitale?
Premesso che non vi sono ragioni per sconsigliare, almeno in fase di ingresso iniziale, l’effettuazione
di un’operazione di aumento del capitale, occorre evidenziare, per amor di completezza, che un
Business Angel potrebbe (quanto meno nel caso di investimento in società di capitali, che come
vedremo sono il veicolo di gran lunga utilizzato) finanziare l’impresa anche senza ricorrere alla
procedura formale di modifica statutaria necessaria per aumentare il capitale sociale, anche tenuto
conto del fatto che l’aumento di capitale rappresenta una destinazione duratura del capitale al
25
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
patrimonio dell’azienda, che tendenzialmente rimarrà ad essa e non può essere più distolto se non
mediante apposita procedura di riduzione del capitale per esuberanza ovvero in sede di liquidazione.
Il Business Angel potrebbe ad es. operare versamenti in conto capitale, ossia effettuare apporti di
somme di danaro (o anche di altre entità conferibili) i quali hanno la caratteristica di rappresentare un
incremento patrimoniale della società (vanno, infatti, a costituire una riserva, non di utili ma di
capitale, soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo) non fruttifero per il socio che li
effettua e non restituibile a quest’ultimo, se non con determinate formalità1.
Il Business Angel potrebbe inoltre effettuare un “finanziamento soci” a favore della società, qualora ne
ricorrano le condizioni previste dalla normativa regolamentare in materia, fornendo all’impresa risorse
di debito, potenzialmente produttive di interessi in favore del socio ed oggetto di un obbligo di
restituzione a carico dell’impresa. La legge tuttavia dispone che il rimborso dei finanziamenti dei soci
a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società deve essere restituito.
Il codice civile, con evidente intento antielusivo, ha altresì disposto che si intendono per finanziamenti
tutti quelli, in qualsiasi forma effettuati, in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento
rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato
ragionevole un conferimento.
Queste disposizioni, mirano a porre rimedio ad un problema cronico dell’impresa italiana: la
sottocapitalizzazione e la prassi di dotare la società dei mezzi necessari al suo funzionamento mediante
finanziamento e non mediante conferimento. Spesso, dunque, attività anche molto rilevanti sono
condotte da società con capitali sociali minimi, e ciò non è corretto nei confronti dei creditori della
società e di tutti quelli che entrino in contatto con la medesima, che potrebbero, in caso di default della
società, non trovare alcun asset su cui soddisfarsi.
Entrambe queste modalità possono essere tuttavia utilizzate soltanto da chi è già socio della società, e
non sono quindi disponibili come strumenti tramite i quali avviare un rapporto di investimento.
Tra gli strumenti disponibili per effettuare l’investimento, alternativi all’aumento di capitale, il
panorama italiano offre ora numerose alternative, soprattutto nelle società per azioni: è possibile,
infatti, provvedere all’erogazione di risorse finanziarie a fronte dell’emissione di obbligazioni
convertibili o di strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali e/o amministrativi particolari,
1
Ad es. nel caso di scioglimento della società (nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione) o in caso
di saturazione della riserva legale (mediante delibera dell’assemblea ordinaria e in misura corrispondente a quanto da ognuno
versato).
26
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
costituire patrimoni destinati ad uno specifico affare ovvero effettuare finanziamenti destinati ad uno
specifico affare (emettendo o meno a fronte di tali apporti strumenti finanziari particolari).
Tuttavia, tali opzioni, se da un lato consentono una limitazione del rischio da parte dell’investitore (in
quanto ad es. le obbligazioni potrebbero essere convertite soltanto in caso di performance positive
dell’impresa) hanno limiti intrinseci che ci sembra le rendano inadatte ad un’operazione di
investimento portata avanti da un Business Angel.
Infatti, lo strumento obbligazionario (quanto meno sino al momento della conversione in azioni) non
consente di partecipare alle scelte gestionali dell’impresa, rappresentando un apporto di debito e non
di capitale, cui possono essere correlati strumenti di controllo dell’andamento dell’impresa, ma non
decisionali.
Ugualmente, gli strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali e/o amministrativi particolari, non
potendo attribuire il diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti (che dà tra l’altro diritto a
nominare l’organo amministrativo), rappresentano uno strumento che consente esclusivamente una
partecipazione limitata alla vita sociale. Nel caso di finanziamenti o apporti patrimoniali destinati ad
uno specifico affare poi, la limitazione della partecipazione alla vita dell’impresa è ancor più marcata
in quanto l’interesse dell’investitore è limitato allo specifico affare e non a tutto l’andamento
dell’impresa (ammesso che, nelle fasi iniziali della vita dell’impresa in cui solitamente interviene il
Business Angel, sia dato individuare nettamente affari “particolari” e distinti dalla generale attività
d’impresa cui il Business Angel possa partecipare).
Peraltro, la possibilità di ricorrere a tali alternative è sostanzialmente limitata ai casi in cui
l’investimento venga effettuato in una società per azioni – la cui struttura finanziaria può essere più
flessibile e complessa di quanto non lo sia quella di una società a responsabilità limitata – e la società
per azioni non rappresenta, nella maggioranza dei casi, il veicolo più adatto ad un’operazione di
investimento da parte di un Business Angel, per le ragioni che vedremo.
Come funziona l’associazione in partecipazione?
Tra gli altri strumenti giuridici che possono consentire un apporto di capitale occorre anche escludere
l’associazione in partecipazione.
Difatti, se è vero che con tale contratto si può ottenere lo scopo di apportare capitali ad un’impresa
ricevendone in cambio la possibilità di partecipare agli utili della medesima (nonché alle perdite),
come per l’emissione di uno strumento obbligazionario, così anche per l’associazione in
partecipazione è vero che tale fattispecie non consente all’investitore / Business Angel di partecipare
alla gestione, ma soltanto di controllarla.
27
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Con il contratto di associazione in partecipazione, l’associante attribuisce all’associato una
partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato
apporto (che può essere di qualsiasi natura ed assumere diverse forme: beni in natura, danaro, lavoro,
etc. purché strumentale per l’esercizio dell’impresa).
L’associazione in partecipazione non dà, infatti, luogo ad una gestione in comune dell’impresa, che
viene esercitata interamente dall’associante/imprenditore, mentre all’associato non rimane che la
facoltà di esercitare un controllo sulla gestione mediante lo strumento del rendiconto di gestione.
Pertanto, tale modello contrattuale non sembra prestarsi in modo efficace alla regolamentazione dei
rapporti tra il Business Angel e l’impresa designata per l’investimento a causa della rigida
configurazione del ruolo dell’associato.
Il fatto che la gestione spetti all’associante non significa che l’associato non possa svolgere un’attività
nell’impresa dell’associante, ma è comunque un aspetto che incide profondamente sulla possibilità di
configurare il rapporto imprenditore-Business Angel in modo che quest’ultimo possa contribuire
efficacemente all’andamento dell’impresa; egli potrà prestare la sua opera, ma solo sotto la direzione
dell’associante e potrà anche svolgere attività di amministrazione ma solo nei limiti dei poteri a lui
conferiti dall’associante.
Rimangono quindi a disposizione due percorsi differenti: il primo, rappresentato da un apporto o
conferimento in danaro ad una società di persone (ossia una società in nome collettivo ovvero in
accomandita semplice), ed il secondo, rappresentato da un conferimento al capitale di una società di
capitali (tipicamente società per azioni e società a responsabilità limitata).
Quali sono le conseguenze se si costituisce una società di persone?
La principale ragione che milita contro la scelta del primo tipo di percorso (costituzione di una società
di persone) è rappresentata dalla responsabilità illimitata dei soci di una società di persone per le
obbligazioni assunte dalla società: essi non godono, infatti, del beneficio della limitazione di tale
responsabilità a quanto conferito al patrimonio della società, ma rispondono di tali obbligazioni con
l’intero proprio patrimonio, solidalmente e illimitatamente.
Nella sola società in accomandita semplice è possibile limitare la propria responsabilità per le
obbligazioni sociali, ma al costo di accettare di non partecipare alla gestione della società.
Come funziona la società in accomandita semplice?
Come appena accennato, nella società in accomandita semplice vi sono due tipi di soci, i soci
accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali ed i soci
28
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita. Tuttavia la veste di socio accomandante
non sembra adatta ad un Business Angel.
Nelle società in accomandita semplice, infatti, l’amministrazione della società può essere attribuita
soltanto a soci accomandatari, mentre ai soci accomandanti è vietato compiere atti di amministrazione,
nonché trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli
affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale
verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso dalla società a norma dell’articolo
2286 del codice civile.
Ricoprendo la qualifica di socio accomandante pertanto, il Business Angel non partecipa alla gestione
della società (il che è contrario alla filosofia di investimento propria di tale tipo di investitore).
Né del resto risulta soddisfacente per il Business Angel il fatto che i soci accomandanti possano –
senza perdere il beneficio della responsabilità limitata – prestare la loro opera sotto la direzione degli
amministratori, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni, compiere atti di ispezione e di
sorveglianza e in ogni caso hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio del conto dei
profitti e delle perdite, e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della
società. Si consideri, infatti, che la giurisprudenza è piuttosto sfavorevole al socio accomandante e
tende con molta ampiezza a sanzionarne la responsabilità illimitata, in particolare quando tale
ingerenza è pattuita expressis verbis in accordi intercorsi tra i soci.
Risulta quindi preferibile, anche per ragioni di maggiore stabilità della struttura finanziaria e
presentabilità sul mercato, il conferimento di risorse finanziare al capitale di una società di capitali.
Difatti, nella quasi totalità dei casi di investimenti da parte di Business Angel in impresa in fase di
start-up, l’investimento viene effettuato mediante l’acquisizione di una partecipazione al capitale di
una società a responsabilità limitata ovvero di una società per azioni per mezzo di un aumento di
capitale a titolo oneroso riservato all’investitore (a meno che la società non debba essere ancora
costituita, nel qual caso si apportano le risorse finanziarie direttamente in sede di costituzione).
Tra le società di capitali quale veicolo societario conviene scegliere?
Le società di capitali rappresentano i veicoli ideali per l’intervento finanziario da parte di un
investitore in quanto consentono di godere di vantaggi quali la limitazione della responsabilità
all’apporto, la flessibilità delle forme di partecipazione alla gestione, la duttilità della struttura
societaria e la facile liquidabilità della partecipazione. Ciò premesso, l’effettiva scelta del veicolo
societario da utilizzare (società a responsabilità limitata o società per azioni) dipende dal
contemperamento che le parti riescono a raggiungere tra le proprie contrapposte esigenze.
29
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Ciascuna di esse presenta pro e contro che possono rendere l’una piuttosto che l’altra più adatta al tipo
di investimento che si vuole effettuare.
Non è questa la sede per analizzare in dettaglio tutte le differenze tra i due tipi societari, ma si può
comunque rilevare che, per quanto qui concerne, le diversità si riducono sostanzialmente alle seguenti
tematiche:
(i)
la maggiore complessità della struttura finanziaria della società per azioni che consente, rispetto
alla società a responsabilità limitata, una maggiore articolazione di strumenti finanziari per
effettuare l’investimento (i.e. le categorie di azioni, le azioni correlate, le azioni riscattabili, le
obbligazioni convertibili, warrant, patrimoni destinati);
(ii)
la minore onerosità dell’apporto di capitale minimo richiesto in una società a responsabilità
limitata (Euro 10.000) in fase di costituzione rispetto a quello richiesto per una società per azioni
(Euro 120.000). Occorre tener presente inoltre che il livello di capitale minimo richiesto dalla
legge rileva anche ai fini della distribuibilità di utili e riserve (possibile solo, in linea di
massima, qualora il patrimonio netto ecceda il livello del capitale sociale);
(iii) la maggiore flessibilità della struttura gestionale di cui è dotata la società a responsabilità
limitata rispetto alla società per azioni, anche a livello delle previsioni statutarie, potendo
addirittura scegliersi un modello gestorio simile a quello delle società di persone (in cui i soci
gestiscono la società in modo disgiunto);
(iv)
la maggiore “presentabilità” di una società per azioni rispetto ad una società a responsabilità
limitata (anche alla luce del maggiore capitale iniziale richiesto, 120.000 euro contro i 10.000
euro della società a responsabilità limitata), tradizionalmente utilizzata per iniziative più
“private” e meno istituzionali;
(v)
il maggior costo in termini di organi sociali di una società per azioni rispetto ad una società a
responsabilità limitata (ad es. per le società a responsabilità limitata non è obbligatorio, sino al
raggiungimento di determinati livelli dimensionali, nominare il collegio sindacale. Inoltre, nelle
società a responsabilità limitata l’amministrazione potrebbe anche essere affidata ai soci, ferme
restando le conseguenze in termini di responsabilità personale che ne discenderebbero, v. infra);
e
(vi)
il maggior grado di informazione e di monitoraggio dei soci in una società a responsabilità
limitata rispetto a quello di cui godono i soci di una società per azioni (i.e. in una società per
azioni il socio non gode di un diritto soggettivo all’informazione, e deve quindi ottenere tale
diritto o negozialmente o mediante la facoltà di nominare suoi rappresentanti in seno agli organi
30
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
sociali; in una società a responsabilità limitata invece il socio è titolare di un vero e proprio
diritto ad ottenere dagli amministratori informazioni sulla gestione della società, a prescindere
dall’entità della partecipazione al capitale e da qualsiasi previsione negoziale).
Ciò detto, la scelta dipenderà quasi sempre dalle esigenze delle parti nel caso concreto.
Tuttavia, dall’analisi fino ad ora svolta sugli elementi che delineano la figura del Business Angel e
dalle citate caratteristiche di flessibilità della struttura gestionale, di informalità e di basso livello di
capitale, è possibile affermare che generalmente la società a responsabilità limitata rappresenta,
almeno nelle fasi iniziali dell’investimento e dell’attività d’impresa, il veicolo preferibile per
l’intervento finanziario da parte del Business Angel.
Naturalmente ciò non toglie che la società per azioni possa rappresentare la più opportuna forma
giuridica per l’investimento del Business Angel in alcuni specifici casi, come ad esempio nel caso di
angel syndacate, magari utilizzando una struttura a doppio livello per evitare deleterie
contrapposizioni tra i Business Angel partecipanti indebolendone la forza relativa nei confronti
dell’imprenditore.
Occorre infine tener presente che mentre nella società per azioni è possibile conferire a capitale
soltanto danaro, crediti o beni (anche intangibili) in natura, i conferimenti nelle società a responsabilità
limitata possono essere costituiti da “tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione
economica” e quindi anche da prestazioni d’opera e servizi ovvero da altre entità suscettibili di
valutazione economica, purché il conferente presenti l’attestazione di un esperto secondo cui il valore
delle attività oggetto di conferimento è almeno pari a quello ad esse attribuito ai fini della
determinazione del capitale sociale e del sovrapprezzo.
Per quanto concerne i conferimenti d’opera e di servizi, questa espressa possibilità di conferimento
potrebbe essere molto interessante per i Business Angels, che in più di un’occasione desiderano
apportare, in alternativa o in aggiunta all’investimento, la propria conoscenza e la propria esperienza.
Addirittura è stato sostenuto che persino l’apporto della “fama” legata ad un certo nome potrebbe
essere quantificato e conferito in una società a responsabilità limitata.
In tal caso tuttavia sono necessari alcuni adempimenti previsti dal legislatore a tutela dell’integrità del
capitale sociale. Difatti, come per i conferimenti di beni in natura e di crediti, è richiesta la
presentazione di una relazione giurata di stima da parte di un esperto (nominato dal tribunale nel caso
delle società per azioni, ovvero dallo stesso socio conferente nel caso di società a responsabilità
limitata) così nel caso di conferimento di opere e servizi è richiesto che il conferimento sia
accompagnato da una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria di ammontare pari al valore
31
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
attribuito al conferimento (in termini di entità della partecipazione assegnata al socio conferente a
fronte del medesimo).
In alternativa alla stipula della polizza o della fideiussione, viene prevista la possibilità per il socio di
optare (purché l’atto costitutivo lo consenta) per il versamento presso la società di un corrispondente
importo in denaro a titolo di cauzione.
Si segnala per completezza che, nel solo caso di società per azioni sono ora previste delle ipotesi in cui
è possibile fare a meno della relazione giurata di stima predisposta da un esperto nominato dal
Tribunale, quali ad es. le ipotesi in cui il valore del bene oggetto di conferimento sia pari o inferiore al
valore equo ricavato da un bilancio approvato da meno di un anno e sottoposto a revisione legale
ovvero risultante da valutazione effettuata da meno di sei mesi in conformità a principi e criteri
generalmente riconosciuti da parte di un esperto indipendente e dotato di adeguata e comprovata
professionalità.
2.4 La struttura del contratto di investimento.
Cos’è un contratto di investimento?
Abbiamo accennato più sopra al fatto che la modalità più congrua per avviare un rapporto tra il
Business Angel e l’imprenditore sembra essere l’ingresso dell’investitore all’interno della compagine
di un veicolo societario formato dall’imprenditore o dal Business Angel assieme all’imprenditore per
mezzo di un aumento del capitale sociale.
Tale ingresso avviene di regola mediante la stipula (e la conseguente esecuzione) di un contratto di
investimento che si compone, quasi invariabilmente, di tre tipologie di clausole differenti: (i) clausole
relative all’acquisto della partecipazione; (ii) pattuizioni parasociali relative alla gestione
dell’investimento ed alla regolamentazione dei rapporti tra soci; e (iii) disposizioni relative alle
modalità di disinvestimento della partecipazione dell’investitore (c.d. exit).
Quali sono le principali pattuizioni contenute in un contratto di investimento?
Il contratto o accordo di investimento viene solitamente stipulato tra l’imprenditore e l’investitore
all’esito della due diligence con una procedura che si compone normalmente di due fasi distinte: una
prima fase (c.d. signing o della sottoscrizione) in cui le parti sottoscrivono il contratto (ed eventuali
patti accessori), all’esito delle verifiche preliminari che il Business Angel avrà voluto svolgere (tra cui
principalmente la due diligence, per cui v. supra), ed una seconda fase (c.d. closing o dell’esecuzione)
in cui le parti danno attuazione all’operazione descritta nel contratto, adempiendo i relativi obblighi.
32
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Più in particolare, e senza scendere eccessivamente nel dettaglio, un tipico contratto di investimento si
compone delle seguenti parti:
(i)
intestazione e premesse: vi si indicano le parti del contratto (generalmente il socio finanziatore
ed il socio imprenditore, nonché eventuali veicoli societari) e si descrivono i punti principali su
cui si basa l’operazione (ivi inclusa la tipologia dell’investimento, il perimetro dell’operazione,
lo status di alcuni fatti, etc.);
(ii)
clausole preliminari: contengono le definizioni dei principali termini utilizzati nel contratto, ed
altre disposizioni di rilevanza marginale (regole di interpretazione, etc.);
(iii) oggetto dell’operazione: queste clausole delineano gli impegni reciproci delle parti in ordine alla
realizzazione dell’operazione (ad es. un impegno a costituire congiuntamente la società, ovvero
un impegno del socio industriale a costituire un veicolo societario e successivamente a far
deliberare da quest’ultimo un aumento del capitale sociale riservato alla sottoscrizione da parte
dell’investitore, etc.);
(iv)
condizioni sospensive: sono clausole che descrivono le condizioni alle quali è subordinata
l’esecuzione (comunemente detta closing) dell’operazione;
(v)
clausole relative al closing (ovvero esecuzione) dell’operazione: disciplinano le modalità con cui
si perviene all’effettuazione dell’investimento, descrivendo in dettaglio tutti i principali passi da
compiere a tal fine;
(vi)
dichiarazioni e garanzie: come vedremo meglio in seguito, sono le clausole in cui l’imprenditore
dichiara e garantisce all’investitore alcune determinate situazioni di fatto, su cui l’investitore fa
affidamento per effettuare l’operazione;
(vii) disciplina dell’exit: sono clausole che disciplinano le modalità di dismissione dell’investimento.
Come avremo modo di vedere maggiormente in dettaglio, tali modalità consistono
prevalentemente nella quotazione della società target in un mercato regolamentato o meno, nella
cessione dell’intero veicolo societario ad un terzo, nella cessione della partecipazione
dell’investitore ad un terzo o anche al medesimo imprenditore ed infine la messa in liquidazione
della società;
(viii) procedura di indennizzo: regola la procedura con la quale ciascuna delle parti del contratto (ma
principalmente l’investitore) può chiedere all’altra il risarcimento dei danni subiti a causa
dell’inadempimento di quest’ultima ad obbligazioni contrattuali, ovvero alla non corrispondenza
al vero di alcune dichiarazioni e garanzie rese;
33
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
(ix)
clausole di chiusura: esse generalmente pongono regole varie come la clausola di riservatezza,
gli impegni di non-concorrenza a carico dell’imprenditore, la scelta del foro competente a
dirimere le eventuali controversie insorte tra le parti ovvero clausola arbitrale, etc.
A tali previsioni se ne possono accompagnare naturalmente molte altre, qualora esse non siano state
incluse nel patto parasociale (ad es. le clausole relative alla governance della società, e quindi alla
partecipazione dell’investitore o di suoi rappresentanti agli organi sociali, nonché la previsione di
regole per la condivisione di scelte gestionali di determinata rilevanza, le clausole relative alla
circolazione delle partecipazioni sociali, quali lock-up o divieto di trasferimento, tag-along e dragalong ovvero clausole di co-vendita).
Quali sono le principali clausole relative alla fase di ingresso?
Generalmente le clausole relative alla fase dell’ingresso dell’investitore nel capitale sociale del veicolo
societario prescelto per l’investimento sono quelle che riguardano le modalità con le quali viene
effettuata l’acquisizione della partecipazione. Come abbiamo visto, il veicolo prescelto per
l’investimento è più spesso una società a responsabilità limitata: per tale motivo faremo precipuo
riferimento alle peculiarità presentate da questo modello sociale piuttosto che a quelle presentate dalla
società per azioni.
Tra queste si possono quindi annoverare quelle che descrivono la valutazione dell’impresa da parte del
Business Angel e le premesse su cui la valutazione medesima è stata basata nonché quelle che
disciplinano le modalità di acquisizione della partecipazione (ossia quante azioni o quote vengono
attribuite all’investitore a fronte del proprio apporto, sia esso rappresentato da somme di denaro, da
beni in natura o crediti, ovvero, nelle società a responsabilità limitata, da altre entità suscettibili di
valutazione economica).
Indicare le basi su cui viene effettuata la valutazione ha rilievo primario in un’operazione di venture
capital perché potrebbe essere l’unica possibilità di ricavare una way-out nel caso in cui le premesse su
cui il Business Angel decide di basare la propria decisione di investimento si rivelino errate.
L’inserimento nel contratto di una clausola che chiarisca le basi della valutazione effettuata dal
Business Angel ha anche l’innegabile pregio di fornire un’utile difesa contro quei creditori dello stesso
Business Angel i quali sostengano che questi abbia consistentemente ridotto la propria garanzia
patrimoniale investendo delle somme rilevanti in un’impresa a rischio tanto elevato.
Talvolta, nel tempo intercorrente tra la sottoscrizione del contratto e la sua esecuzione, occorrerà
svolgere alcune attività, quali costituire il veicolo societario, conferire in un veicolo societario già
costituito un ramo d’azienda, registrare brevetti o marchi, ovvero svolgere altre attività di
34
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
riorganizzazione o altrimenti propedeutiche a creare le condizioni alle quali il Business Angel è
disposto ad investire.
Non sembra invece che possano sorgere, date le dimensioni delle operazioni di investimento da parte
dei Business Angel, problematiche a livello antitrust, posto che queste vanno valutate soltanto qualora
il valore dell’operazione ovvero il fatturato del target della medesima eccedono soglie rientranti
nell’ordine di parecchi milioni di euro.
Tra le clausole relative all’acquisto della partecipazione occorre poi fare menzione di tutte quelle
disposizioni comunemente denominate “closing mechanics” ossia volte ad attribuire ad una piuttosto
che all’altra parte obblighi il cui adempimento è richiesto prima (ed al fine) di dare esecuzione al
contratto (ossia, principalmente, deliberare, sottoscrivere e liberare l’aumento di capitale riservato
all’ingresso dell’investitore).
Le disposizioni aventi ad oggetto l’esecuzione del contratto (il c.d. closing) comprendono
generalmente un obbligo da parte dell’imprenditore di far sì che l’assemblea dei soci del veicolo
prescelto per l’investimento deliberi un aumento del capitale riservato all’investitore ed un obbligo, a
carico dell’investitore, di sottoscrivere e liberare l’aumento del capitale: ciò può avvenire in una o più
fasi successive, in quanto l’assemblea dei soci può deliberare un aumento di capitale con termine
finale anche molto lungo. In tal modo sarebbe possibile per il Business Angel, ad esempio, valutare se
incrementare la propria partecipazione dopo un primo periodo di “prova”, magari condizionando gli
ulteriori ingressi al raggiungimento di specifici obiettivi (di fatturato, di market share, etc.).
Contestualmente all’ingresso dell’investitore nella compagine sociale, gli organi sociali del veicolo
vengono generalmente nominati nuovamente: ciò consente all’investitore che lo desideri di avere
propri rappresentanti in seno a tali organi tramite i quali controllare ed indirizzare la gestione della
società o anche semplicemente monitorarla.
Le concrete modalità con cui tali obiettivi possono essere perseguite saranno oggetto di approfondita
disamina nel successivo paragrafo 2.5, in cui verranno esaminate anche le possibilità ora offerte dal
diritto societario per legare direttamente alla persona di un socio (ovvero ad una particolare categoria
di azioni nell’ambito delle società per azioni) particolari diritti o privilegi.
Infine, tra le disposizioni relative all’acquisizione della partecipazione, una speciale attenzione, per la
delicatezza della materia trattata, va assegnata alle clausole contenenti le c.d. “dichiarazioni e
garanzie”, generalmente rese dall’imprenditore a favore dell’investitore per rassicurarlo in merito ad
alcuni aspetti dell’impresa che possono essere di particolare rilievo per l’investitore stesso.
Cosa sono le dichiarazioni e garanzie?
35
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Con l’espressione “dichiarazioni e garanzie”, mutuata dall’esperienza anglosassone, si intende fare
riferimento a quel complesso di statuizioni di fatto, rientranti nel novero delle dichiarazioni di scienza,
con cui l’imprenditore intende assumersi il rischio relativo al verificarsi di un determinato evento
ovvero alla non corrispondenza al vero di quanto rappresentato in contratto.
Non è certamente questa la sede più appropriata ad una rassegna delle opinioni espresse sul tema da
dottrina e giurisprudenza, svoltesi soprattutto in merito all’applicabilità o meno a tali “garanzie” della
normativa prevista dal codice civile in materia di compravendita, con particolare riferimento
all’applicabilità del termine di prescrizione annuale (previsto dall’art. 1495 del codice civile).
In via sintetica possiamo dire che, con le dichiarazioni e garanzie, l’imprenditore si assume il rischio
del verificarsi di determinati eventi ovvero della non corrispondenza al vero di alcune affermazioni.
Ciò comporta che il Business Angel potrà ottenere il risarcimento dei danni subiti (anche in termini di
perdita del valore della propria partecipazione all’impresa) qualora si verifichino eventi o circostanze
dedotti in contratto come oggetto di garanzia: si pensi ad es. all’imposizione di una sanzione da parte
di un’autorità per il mancato rispetto da parte dell’impresa di alcune prescrizioni normative, ovvero
all’inizio di un procedimento legale a carico dell’impresa che possa obbligare quest’ultima a risarcire
dei danni nei confronti di terzi.
Naturalmente, nell’ambito di un’operazione di investimento portata avanti da un Business Angel il
valore generalmente attribuito alle dichiarazioni e garanzie è notevolmente ridotto rispetto alle
operazioni di private equity o di acquisto di partecipazioni societarie.
La ragione di ciò può essere trovata, anche in questo caso, come visto in tema di due diligence, nel
fatto che assume valore preminente, in questo genere di operazioni, la collaborazione che l’investitore
mira ad instaurare con l’imprenditore, piuttosto che una maggiore tutela del valore finanziario
dell’investimento.
E’ quindi consigliabile limitare le dichiarazioni e garanzie ad ipotesi che possano seriamente
compromettere le basi sulle quali poggia la decisione di investimento del Business Angel, quali la
ragionevolezza del business plan, l’assenza di diritti di terzi sulle partecipazioni al capitale della
società, l’effettiva titolarità dell’asset chiave per il business, sia esso una concessione amministrativa
od un brevetto.
2.5 La gestione dell’investimento.
La fase relativa alla gestione dell’investimento è quella cui si dedica la maggior parte dell’attività di
ogni investitore, e quindi anche del Business Angel.
36
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Per questo motivo anche le disposizioni contrattuali dedicate a tale fase sono quelle maggiormente
rilevanti, in quanto ad esse è precipuamente richiesto di individuare l’equilibrio ideale che possa
consentire la collaborazione tra imprenditore ed investitore e, soprattutto, consentire l’intervento
dell’investitore nella gestione dell’impresa partecipando alla creazione di valore.
In realtà, in funzione di alcune variabili, l’investitore può assumere un atteggiamento più o meno
incisivo e presente nella conduzione aziendale, partecipando in misura maggiore o minore alla vita
della stessa.
Tutte queste disposizioni possono essere contenute nell’accordo di investimento ovvero trasfuse in un
apposito patto, che prende il nome di “patto parasociale” proprio alle luce del fatto che esso mira a
regolare lo svolgimento del rapporto sociale in misura a volte parzialmente difforme da quanto
previsto dalla legge e/o dallo statuto sociale.
Cosa sono i patti parasociali?
I patti parasociali come detto contengono prevalentemente pattuizioni tra i soci in ordine alla c.d.
governance societaria (ossia l’insieme di norme che regola l’attività degli organi sociali ed i rapporti
tra i medesimi) e alla gestione degli assetti proprietari.
L’intervento di un legale nella redazione dei patti parasociali riveste grande importanza, in quanto è
indispensabile potersi rendere conto di quali siano le materie su cui le parti possono legittimamente
intervenire, e soprattutto quale possa essere la concreta portata dei patti e dell’equilibrio raggiunto
tramite i medesimi sui principali punti di incontro delle diverse esigenze delle parti.
Il codice civile, a seguito della riforma del diritto societario, ha esplicitamente preso in considerazione
i patti parasociali per le società per azioni, definendoli come quei patti, in qualsiasi forma stipulati, che
abbiano lo scopo di “stabilizzare gli assetti proprietari o il governo delle società”, ed i quali:
(i) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le
controllano;
(ii) pongono limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni rappresentanti il capitale di
società che controllano società per azioni; ovvero
(iii) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali
società.
Data questa definizione, la norma pone poi il suo contenuto precettivo, stabilendo che tali patti, al fine
di non porre eccessivi limiti alla contendibilità del controllo delle imprese, non possano avere una
durata superiore ai cinque anni, pur essendo rinnovabili alla scadenza. Tale disposizione è
37
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
inderogabile, e prevede altresì che, qualora manchi il termine di durata del patto, ciascun contraente
possa recedere con un preavviso non superiore ai 180 giorni.
Non esiste una norma analoga per le società a responsabilità limitata, anche a causa del fatto che il tipo
di organizzazione, più personalistico, e le ampie possibilità di trasfondere nello statuto sociale
pattuizioni che sarebbero invece relegate al campo parasociale in caso di società per azioni, rendono
superflue tali limitazioni. Ad ogni buon conto, occorre tener presente che esistono anche per le società
a responsabilità limitata alcune limitazioni poste da singole norme a previsioni tipicamente contenute
nei patti parasociali (ne è un esempio il limite di due anni posto dalla legge al divieto di trasferimento
delle quote sociali di una società a responsabilità limitata).
Altre pattuizioni poi, come le clausole di co-vendita e le opzioni put e call, non sembra abbiano
trovato ancora piena cittadinanza nell’atto costitutivo di società a responsabilità limitata.
Per attribuire all’investitore diritti amministrativi e partecipativi nel veicolo societario in cui egli
investe è quindi consigliabile utilizzare sia lo strumento del patto parasociale che lo statuto, in cui
spesso sono riflessi molti dei contenuti già inclusi nel patto parasociale.
Le differenze fondamentali tra i due documenti attengono sia al profilo dell’effettività della tutela
fornita da ciascuno, sia al profilo della flessibilità dello strumento, con sostanziali diversità, per quanto
riguarda quest’ultimo profilo, riscontrabili tra patti parasociali e statuti utilizzati per società per azioni
e quelli impiegati per società a responsabilità limitata.
Per quanto riguarda l’effettività della tutela, occorre ricordare che i patti parasociali hanno per loro
natura efficacia esclusivamente tra le parti contraenti (non essendo quindi opponibili ai terzi) e hanno
inoltre un’efficacia meramente obbligatoria, ossia si limitano a consentire alla parte adempiente di
esperire un’azione di risarcimento del danno o di adempimento nei confronti della parte inadempiente,
ma non di accedere ad una tutela reale. Essi hanno inoltre, come accennato, una durata
necessariamente limitata nel tempo (5 anni per le società per azioni, un tempo più lungo per le società
a responsabilità limitata, in quanto per queste ultime non è previsto normativamente un limite
temporale).
Per contro lo statuto ha un’efficacia reale, è opponibile erga omnes e non è sottoposto a limiti di
durata che non siano quelli della durata della società. Esso inoltre vincola chiunque diventi socio della
società, mentre il patto parasociale vincola soltanto chi se ne assuma gli obblighi con autonoma
sottoscrizione.
38
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Ciò costituisce un indubbio vantaggio nei casi in cui il Business Angel intenda includere nel valore di
cessione della società un assetto di governance conveniente per il socio finanziatore che possa
eventualmente in futuro sostituirlo.
Sotto il profilo della flessibilità dello strumento statutario piuttosto che parasociale, occorre rilevare
che mentre lo statuto di una società per azioni deve avere un carattere più astratto, simile ad una legge
e valevole nel tempo per un numero indeterminato di soci, data l’irrilevanza della persona del socio
per la società, lo statuto di una società a responsabilità limitata, dato il carattere personalistico di
queste, non ha di questi limiti.
È difficile descrivere quale possa essere il contenuto “tipico” di un patto parasociale.
Esemplificando, costituiscono in generale oggetto di pattuizioni parasociali la nomina degli
amministratori (prevedendosi per esempio il voto di lista, o la nomina di uno o più amministratori
riservata ad un socio), le limitazioni al trasferimento delle partecipazioni ed in particolare la previsione
di diritti di prelazione in favore degli aderenti al patto, il metodo di risoluzione delle controversie tra
soci, siano esse relative alla gestione della società o alla determinazione del valore di una
partecipazione in sede di uscita dalla compagine societaria, diritti di co-vendita o obblighi di covendita degli altri soci.
E’ per il tramite di questi strumenti, quindi, che il Business Angel può (e deve) assicurarsi la propria
partecipazione alla gestione dell’impresa in cui ha investito e approntare i mezzi di tutela dei propri
interessi qualora questi si trovassero ad essere compromessi.
Come vengono prese le decisioni nelle società di capitali (società a responsabilità limitata o società
per azioni)?
Per comprendere appieno l’importanza dell’inclusione negli accordi di investimento delle pattuizioni
sopra delineate, è forse opportuno premettere alcuni cenni in relazione alle modalità con cui vengono
assunte, nell’ambito delle società di capitali (sia società a responsabilità limitata che società per
azioni), le decisioni relative alla gestione dell’impresa.
Diversamente da quanto avviene in un’impresa individuale, in cui è l’imprenditore medesimo ad
organizzare nel modo più opportuno le risorse produttive necessarie all’attività economica, nelle
società di capitali, dotate di personalità giuridica, l’“imprenditore” ossia il soggetto cui è imputabile lo
svolgimento dell’attività economica, è un’entità astratta (la società appunto) la quale agisce per mezzo
dei propri organi sociali.
Tali organi adottano le proprie decisioni su materie rimesse alla loro competenza da norme di legge e
dallo statuto sociale.
39
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
In linea di massima l’organo amministrativo è responsabile per la gestione dell’impresa, mentre
l’organo assembleare è competente sulla nomina degli organi sociali, le modifiche dello statuto,
l’approvazione del bilancio e (come previsto specificamente per le società a responsabilità limitata) la
decisione di compiere operazioni che modifichino in maniera sostanziale l’oggetto sociale o che
comportino una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci.
Tuttavia, mentre nelle società per azioni la ripartizione di competenze è rigida (tant’è che anche
l’autorizzazione da parte dei soci al compimento di un determinato atto non esime gli amministratori
da responsabilità) nelle società a responsabilità limitata è possibile che lo statuto modifichi questa
rigida ripartizione delle competenze, per affidare ai soci la competenza a deliberare in ordine ad altre
materie.
E’ chiaro tuttavia che non sarà possibile comprimere le iniziative manageriali degli amministratori
sino a renderli dei meri esecutori delle decisioni dei soci. Per esempio, la legge chiarisce che la
redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o scissione, nonché la decisione di aumento
di capitale – nei casi in cui è riservata agli amministratori – sono in ogni caso di competenza
dell’organo amministrativo.
Ad ogni modo tale flessibilità potrà consentire, fermo restando il principio di compartecipazione alla
responsabilità degli amministratori nel caso in cui i soci decidano od autorizzino atti dannosi per la
società, per i soci o per i terzi, che alcune decisioni di particolare rilievo ricadano nella esclusiva
competenza dei soci, che decideranno con le maggioranze tra essi pattuite.
Gli organi sociali generalmente si riuniscono per deliberare in merito alle decisioni da adottare, poste
all’ordine del giorno dal presidente del consiglio di amministrazione (nel caso di riunioni dell’organo
amministrativo) ovvero dall’intero consiglio di amministrazione (nel caso di riunioni dell’organo
assembleare). Per i soci di una società a responsabilità limitata vi è la possibilità di adottare alcune
decisioni senza bisogno di riunirsi in assemblea, mediante consultazione scritta (fermo restando che le
modificazioni dell’atto costitutivo e la decisione di compiere operazioni che comportino una
sostanziale modificazione dell’oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci
debbono comunque essere prese in assemblea).
In ogni caso le decisioni sono adottate a maggioranza: la legge detta una disciplina di default,
stabilendo dei quorum per la valida costituzione dell’organo deliberante e per la valida adozione delle
delibere, che varrà nel caso in cui le parti non si accordino diversamente.
Le parti ben possono accordarsi per richiedere maggioranze più elevate, e ciò può essere di interesse
per i Business Angels, che legittimamente si aspettano di giocare un ruolo determinante, partecipando
alle decisioni di vitale importanza per la vita della propria società.
40
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Inoltre, mentre una società per azioni può scegliere tra un organo amministrativo costituito da un solo
soggetto (amministratore unico) ovvero da più soggetti (consiglio di amministrazione), la legge
prevede che le società a responsabilità limitata possano scegliere anche tra amministrazione
disgiuntiva (in cui sono nominati più amministratori, ciascuno con poteri indipendenti, che non
debbono formare le proprie decisioni collegialmente) o congiuntiva (in cui le decisioni degli
amministratori, ciascuno con poteri indipendenti, devono essere assunte in tutto o in parte in via
congiuntiva).
L’atto costitutivo può stabilire che anche gli amministratori decidano mediante consenso espresso per
iscritto ovvero mediante consultazione scritta, e anche in questo caso se ne ha il beneficio della
snellezza e velocità.
La legge lascia alla fantasia dei soci anche la determinazione di come il consiglio di amministrazione,
se nominato, debba funzionare: convocazione, quorum costitutivo e quorum deliberativo. Si potranno
per esempio pattuire maggioranze diverse a seconda della materia da trattare, e potrà essere convenuta
finanche l’unanimità per determinate questioni.
Inoltre, rimane da notare che il metodo disgiuntivo e quello congiuntivo possono essere combinati,
richiedendo il consenso di tutti gli amministratori per alcune categorie di operazioni e consentendo di
agire disgiuntamente per altre.
E’ possibile infine la nomina di amministratori delegati, dotati di particolari poteri di decisione
individuale (sempre che l’atto costitutivo contempli questa possibilità), eventualmente limitati.
In quale veste il Business Angel può svolgere un attività gestionale nell’impresa?
Abbiamo detto che Business Angel, oltre ad essere socio della società, può (e deve) assumere un ruolo
chiave nella gestione della stessa.
Il suo rapporto di collaborazione con la società può essere formalizzato come rapporto di lavoro
dipendente, assumendo ad esempio un ruolo dirigenziale, ma ciò potrebbe porlo in condizioni poco
favorevoli rispetto al socio imprenditore che diverrebbe formalmente il superiore gerarchico del socio
investitore.
In alternativa (ed è questo il caso di gran lunga più frequente) il Business Angel può assumere, o far
assumere da persona di sua fiducia, una carica sociale: più spesso il Business Angel potrà rivestire la
carica di amministratore, lasciando magari la gestione operativa al socio industriale. Naturalmente
potrà anche darsi il caso in cui il Business Angel voglia avere suoi rappresentanti in più organi sociali
(ad es. qualora investa in una società per azioni, in cui il collegio sindacale è obbligatorio, ovvero
41
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
qualora la società a responsabilità limitata in cui abbia investito superi quei limiti dimensionali oltre i
quali la legge richiede la costituzione del collegio sindacale).
Esistono responsabilità per il Business Angel che assume la carica di amministratore?
Naturalmente l’assunzione da parte del Business Angel di una carica sociale quale quella di
amministratore, comporta parallelamente l’assunzione di responsabilità nei confronti della società,
degli altri (eventuali) soci, nonché dei terzi creditori della società.
In particolare, gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti
dall’inosservanza dei doveri derivanti dalla legge o dall’atto costitutivo per l’amministrazione della
società e rispondono altresì verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (una tale norma, pur non essendo esplicitamente
prevista per gli amministratori delle società a responsabilità limitata, è ritenuta applicabile
analogicamente anche a questi ultimi secondo la dottrina più preferibile).
Ciò comporta quindi che anche il Business Angel amministratore possa essere tenuto a risarcire i danni
subiti dalla società o da un creditore sociale nel caso in cui uno degli amministratori abbia violato i
suoi doveri, ovvero non vi abbia adempiuto con la diligenza professionale richiesta dalla natura
del’incarico; la responsabilità solidale obbliga, infatti, ciascun amministratore a risarcire il danno,
anche per l’intero, salvo poi esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri amministratori
qualora riesca a dimostrare di essere immune da colpa e di aver fatto annotare il proprio dissenso in
relazione all’atto che ha causato i danni.
Tale rischio può essere limitato dal Business Angel nominando una persona di sua fiducia quale
proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione della società (con i costi e gli inconvenienti
che ciò può comportare), ovvero, come sopra detto, limitando il proprio operato alla discussione in
seno al consiglio di amministrazione della società delle questioni strategiche e/o di maggior rilievo,
lasciando l’operatività ordinaria al socio industriale.
Difatti, qualora l’organo amministrativo si sia avvalso dello strumento della delega di gestione, si
avranno due categorie di amministratori: amministratori investiti di funzioni esecutive (c.d.
amministratori delegati) e amministratori non investiti di tali funzioni (quali potrebbero ben essere i
Business Angels).
In tal caso, l’assetto del consiglio di amministrazione viene a determinare una differente ripartizione
dei doveri tra amministratori delegati ed amministratori deleganti, la quale a sua volta si riflette sulle
rispettive responsabilità.
42
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Difatti, senza alterare in linea di principio la regola della responsabilità solidale degli amministratori,
la legge, in tema di società per azioni (art. 2392 del codice civile), dispone che tale solidarietà è
esclusa tra amministratori delegati e deleganti nel caso in cui la violazione dei doveri è ricollegata ad
una funzione in concreto attribuita ad uno o più amministratori.
Ciò significa che in caso di delega di poteri la posizione di ciascun amministratore va valutata
distintamente in relazione ai diversi obblighi che a ciascuno fanno capo: gli amministratori delegati
devono esercitare la delega (cioè svolgere le funzioni delegate) con diligenza professionale e nel
rispetto dei doveri imposti dalla legge, curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile
sia adeguato e riferire al consiglio di amministrazione sull’andamento della gestione (prevedibile
evoluzione, operazioni di maggior rilievo, etc.). Gli amministratori deleganti devono invece agire in
modo informato, valutare l’andamento della gestione e l’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile della società sulla base di quanto riferito dai delegati ed esaminare i piani strategici e
industriali della società.
Sebbene quindi tale ripartizione delle competenze sia adeguata a società di maggiori dimensioni (non a
caso le norme relative si trovano nella parte del codice civile dedicata alle società per azioni) anche
nelle società a responsabilità limitata è possibile, data l’estrema flessibilità della relativa governance,
prevedere un sistema nel quale un amministratore sia più coinvolto nella gestione ordinaria e l’altro
più concentrato sul controllo dell’andamento generale della gestione sulla base delle informazioni
riferite dall’amministratore “operativo”.
Infine, occorre per completezza segnalare che esiste la possibilità di assicurarsi per la responsabilità
degli amministratori: le maggiori imprese di assicurazione oggi offrono polizze adeguate.
Vi sono responsabilità penali degli amministratori?
I reati in cui possono incorrere gli amministratori possono essere in generale distinti in due categorie:
reati cd. societari (alcuni dei quali depenalizzati e quindi ormai sanzioni amministrative) e reati cd.
concorsuali.
Tra i primi, le false comunicazioni sociali, per le quali sono previste due fattispecie distinte, a seconda
che la condotta del soggetto attivo del reato abbia cagionato un danno o meno, punite rispettivamente
con la reclusione e con l’arresto, l’impedito controllo, punito alternativamente con una sanzione
amministrativa o con la reclusione (a seconda che la condotta del soggetto attivo del reato abbia
cagionato un danno o meno), indebita restituzione dei conferimenti (reclusione), illegale ripartizione
degli utili e delle riserve (arresto), illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società
controllante (reclusione), operazioni in pregiudizio dei creditori (reclusione), omessa comunicazione
del conflitto di interessi (se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi) (reclusione),
43
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (sanzione amministrativa), omessa
convocazione dell’assemblea (sanzione amministrativa), formazione fittizia del capitale, infedeltà
patrimoniale, infedeltà patrimoniale a seguito di dazione o promessa di utilità, illecita influenza
sull’assemblea, aggiotaggio, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
(reclusione per gli ultimi sei).
Per i reati cd. societari, peraltro, il codice civile espressamente equipara al soggetto formalmente
investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile chi è tenuto a svolgere la
stessa funzione, diversamente qualificata e chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri
tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Ulteriori reati societari sono specificamente previsti per gli amministratori di società che emettono
strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di
ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri paesi dell’Unione
Europea (in particolare, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato).
Relativamente ai reati concorsuali vengono in considerazione innanzitutto i reati di bancarotta
(bancarotta semplice e fraudolenta, rispettivamente punite con la reclusione da sei mesi a due anni e da
tre a dieci anni). Per ciascuno dei due reati il legislatore ha previsto molteplici condotte, di cui quelle
relative alla bancarotta fraudolenta connotate da intenzionalità. Ulteriori reati concorsuali che possono
essere commessi dagli amministratori sono, in particolare, il ricorso abusivo al credito (reclusione) e la
denuncia di crediti inesistenti (reclusione).
Come si vede, è necessario valutare con cura se accettare la carica di amministratore, anche in una
start-up: sarà necessario sincerarsi di poter esercitare un effettivo controllo sulla gestione e sarà
fondamentale un rapporto di fiducia anche con gli altri amministratori.
Come può il Business Angel garantirsi un controllo sull’operatività della società in via alternativa
od ulteriore rispetto al ricoprire la carica di amministratore?
Il monitoraggio dell’investimento viene effettuato su gran parte degli aspetti che caratterizzano la vita
aziendale, sia attraverso l’analisi costante di alcuni indicatori economico-reddituali, sia attraverso la
partecipazione alle riunioni del consiglio di amministrazione, alle quali, di norma, partecipano
rappresentanti dell’investitore di norma.
E’importante ricordare che l’investitore non si sostituisce all’imprenditore e quasi mai pretende di
partecipare alle scelte operative del management, mentre vuole essere parte attiva nell’ambito delle
scelte di carattere strategico e nella verifica dell’andamento, tramite la presenza nel consiglio di
amministrazione.
44
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
In alternativa è possibile comunque, anche non ricoprendo una carica all’interno dell’organo
amministrativo, controllare l’andamento della gestione.
Per quanto riguarda le società a responsabilità limitata, il codice civile dispone che i soci che non
partecipano all’amministrazione hanno uno specifico diritto all’informazione.
Tale diritto spetta al socio a prescindere dall’entità della partecipazione al capitale, essendo lo stesso
attribuito a tutti i soci che non partecipano all’amministrazione, e comprende non solo il diritto di
avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, ma anche il diritto di
consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi
all’amministrazione.
I libri sociali sono il libro decisioni amministratori, il libro decisioni soci e il libro delle decisioni del
collegio sindacale (ove esistente). Sono ispezionabili i documenti sulla base dei quali vengono prese le
scelte gestionali (come contratti particolarmente importanti per la vita della società, atti giudiziari e
amministrativi, corrispondenza, pareri redatti da professionisti incaricati dalla società). Pare anche
fondato ritenere che il suddetto diritto dei soci si estenda alla possibilità di visionare i libri e le
scritture contabili e i registri IVA.
Nell’ambito delle società per azioni invece, il socio ha diritti meno incisivi, in quanto può soltanto
prendere visione del libro delle deliberazioni assembleari (a meno che egli non sia anche
amministratore della società), denunciare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale
dovrà tenere conto della denuncia nella relazione all’assemblea, ovvero nei casi più gravi, quando un
socio rilevi nell’amministrazione gravi irregolarità o inadempimenti degli amministratori che possono
arrecare danno alla società, denunziare i fatti al tribunale, sempreché da solo o congiuntamente con
altri soci detenga una partecipazione pari ad almeno il decimo del capitale sociale (o la minore
percentuale prevista dallo statuto).
L’assenza in una società per azioni di un diritto soggettivo all’informazione in capo al socio non
consente al Business Angel che non ricopra cariche sociali nell’ambito di una società per azioni di
essere investito di speciali diritti di informazione e di monitoraggio.
Nel caso di investimento in una società per azioni, pertanto, è utile ed opportuno che tale diritto formi
oggetto di apposita negoziazione tra il Business Angel e la compagine sociale, al fine di prevedere, nel
contratto di investimento, che al Business Angel spettino diritti speciali di informazione (ad es.:
relazioni periodiche con criteri di redazione, contenuti informativi e cadenze temporali pre-concordati
e/o diritto di chiedere informazioni specifiche ed ulteriori su determinate operazioni o sulla gestione in
generale), che tendono a raccogliere non soltanto informazioni di “carattere generale”, ma anche
specifiche informazioni tali da permettere di individuare facilmente eventuali inadempimenti
45
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
contrattuali ovvero di attivare eventuali diritti di veto, sia in seno all’assemblea dei soci sia in seno
all’organo amministrativo (qualora il Business Angel abbia in seno a quest’ultimo un seggio ovvero un
proprio rappresentante).
Un’ulteriore alternativa che viene offerta dalla struttura della società di capitali (i.e. società a
responsabilità limitata e società per azioni) in ordine al controllo sulla gestione da parte del Business
Angel è la possibilità di prevedere, come consentito dalla legge, che l’organo amministrativo (magari
impersonato dal socio imprenditore in qualità di amministratore unico) per il compimento di
determinati atti debba richiedere il necessario e preventivo consenso dell’assemblea dei soci.
Occorre tuttavia sottolineare che, in tal caso, mentre nelle società per azioni l’organo amministrativo
resterebbe l’unico responsabile dell’atto compiuto, anche in presenza di un’espressa autorizzazione
assembleare (art. 2364, comma 1, n. 5, del codice civile), nelle società a responsabilità limitata ciò
comporterebbe la responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che abbiano deciso o
autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi (art. 2476, comma 7, del codice
civile).
Il Business Angel può avere garantiti diritti particolari?
Il codice civile prevede che nelle società a responsabilità limitata si possano attribuire a singoli soci
diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili.
Al riguardo va opportunamente premesso, come già detto, che il modello di governance della società a
responsabilità limitata può significativamente diversificarsi da quello delineato dal legislatore per la
società per azioni. L’autonomia negoziale può significativamente modificare la tipica strutturazione
della società, quale astrattamente prefigurata dal legislatore.
Un socio di una società a responsabilità limitata può quindi avere diritti particolari riguardanti
l’amministrazione della società (ad esempio pattuendo che alcune decisioni di particolare importanza
vengano sottoposte al previo placet di un determinato socio, ovvero che la nomina di un
amministratore avvenga ad opera di un certo socio, o che un socio abbia automaticamente diritto di
sedere nel consiglio di amministrazione) ovvero beneficiare di una ripartizione degli utili difforme
dalle percentuali di capitale sociale detenuto.
Si potrebbero inoltre prevedere altri tipi di privilegi e/o diritti, seppur nel rispetto di determinati limiti
imposti dal codice civile.
Tra i diritti generalmente attribuiti al Business Angel, figurano: (i) diritti speciali di informazione e
reportistica da parte del management; (ii) attribuzione di uno o più seggi (di minoranza) all’interno di
46
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
uno o più organi sociali di amministrazione e/o di controllo; e/o (iii) diritti di veto in relazione a
decisioni del consiglio di amministrazione e dell’assemblea.
Per quanto riguarda i primi, è chiara la necessità di una tale previsione ad hoc nel contratto di
investimento qualora l’operazione abbia ad oggetto una società per azioni. Tuttavia, anche nelle
società a responsabilità limitata, ove non esistono limiti legali all’esercizio del diritto all’informazione
ed il Business Angel può chiedere tali informazioni semplicemente facendo valere la sua qualità di
socio, non può escludersi che una specifica negoziazione possa comunque rivelarsi utile e
nell’interesse sia del Business Angel che della compagine sociale (magari chiedendo diritti anche più
incisivi e dettagliati di quelli sopra ricordati spettanti ai soci di società a responsabilità limitata per
legge).
Per quanto concerne, invece, il diritto del Business Angel di avere una rappresentanza in seno
all’organo amministrativo e/o all’organo di controllo, ed il diritto di veto del Business Angel o dei suoi
rappresentanti in relazione all’assunzione di determinate decisioni, ciò rientra nella disciplina della
corporate governance, che abbiamo visto costituire uno dei pilastri principali (se non il pilastro
principale) della concreta strutturazione contrattuale dei patti parasociali e dello statuto.
I meccanismi negoziali di attribuzione al Business Angel di tale diritto cambiano a seconda che la
società finanziata sia una società per azioni o una società a responsabilità limitata, alla luce della già
ricordata differente flessibilità, nei due tipi societari, dello strumento statutario.
Per quanto riguarda l’attribuzione di diritti particolari a soci di società per azioni, sebbene non sia
questa la sede più appropriata per un’approfondita disamina dell’argomento, segnaliamo solo per
completezza che anche nel caso di una società per azioni è possibile, mediante lo strumento delle
categorie di azioni, strutturare in qualche modo un assetto della corporate governance la cui
flessibilità sia molto vicina a quella delle società a responsabilità limitata.
Come viene disciplinata la corporate governance?
Il legislatore lascia ampia libertà ai soci delle società a responsabilità limitata per quanto concerne il
governo societario, vale a dire la ripartizione tra amministratori e soci delle competenze relative alla
gestione sociale e ai controlli. Ciò implica, e si tratta di un’innovazione di non poco momento rispetto
al sistema precedente, che i soci possono decidere di mantenere un ampio controllo sul management:
la legge cioè valorizza il ruolo dei soci.
Il termine corporate governance indica l’insieme delle norme volte a disciplinare l’attribuzione delle
prerogative decisionali e gestionali nell’ambito di una società.
47
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il Business Angel tende a strutturare l’operazione tentando di catturare il maggior valore offerto dalla
stessa, a parità di rischio. Tutto ciò, nei fatti, significa: (i) ridurre il rischio di fallimento della società
sulla quale si intende investire; (ii) catturare il prima possibile i flussi di cassa della società al fine di
ripagare più in fretta possibile l’investimento; e (iii) ottenere che non vengano posti tetti al massimo
ritorno dello stesso.
In aggiunta, il Business Angel tende a porre in essere soluzioni che rendano possibile sia incentivare il
management sia trovare sistemi per incoraggiare lo stesso a lavorare per garantire la miglior uscita
dall’investimento, evitando fenomeni di freno (hold-up).
Tali norme includono quindi anche l’attribuzione ai vari soci di diritti e doveri nell’ambito della
gestione dell’azienda e rivestono un’importanza cruciale per la decisione di investimento del Business
Angel, che mira soprattutto ad avere la possibilità di intervenire nel governo societario sia per
sorvegliare (o meglio monitorare) l’andamento del proprio investimento sia per contribuire
concretamente allo sviluppo dell’impresa, avendo egli affidato le proprie aspettative di ritorno
economico sull’operazione alle prospettive di capital gain sul capitale di rischio apportato.
Tali diritti, ed in particolare la rappresentanza in seno all’organo amministrativo e/o all’organo di
controllo nonché il novero di materie riservate (ovverosia l’estensione dell’ingerenza dell’investitore
nella gestione dell’impresa), dovranno naturalmente tener conto dell’entità della partecipazione
(normalmente, ma non sempre, minoritaria), del livello effettivo di coinvolgimento dell’organo
collegiale nelle decisioni gestorie nonché delle competenze specifiche di cui il Business Angel sia
eventualmente portatore.
Il Business Angel richiede quindi normalmente che il contratto di investimento preveda in suo favore,
in tema di corporate governance strictu sensu, ossia limitandosi alle previsioni concernenti la nomina
dei membri degli organi sociali e la loro operatività:
(i) speciali diritti di informazione (relazioni periodiche, informative a cadenze predeterminate e/o
diritto di ottenere dall’imprenditore ulteriori informazioni su semplice richiesta), in modo da
essere in grado di monitorare la gestione, intervenire per correggerla o anche solo individuare
inadempimenti contrattuali;
(ii) l’attribuzione del diritto di nominare uno o più membri all’interno di uno o più organi sociali di
amministrazione e/o di controllo; e
(iii) l’attribuzione di diritti di veto in relazione a decisioni dell’organo amministrativo e
dell’assemblea, sia mediante l’innalzamento dei quorum con cui vengono approvate determinate
decisioni di maggiore rilevanza, sia mediante l’attribuzione di diritti particolari in relazione
all’amministrazione della società (come sopra indicato).
48
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Naturalmente, tali previsioni possono essere inserite sia in un patto parasociale che nello statuto. Come
detto, quest’ultimo risulta di gran lunga preferibile, soprattutto nelle società a responsabilità limitata,
in cui esso è maggiormente flessibile, in quanto i patti parasociali, come detto, hanno efficacia
meramente obbligatoria ed esclusivamente tra le parti contraenti (ossia si limitano a consentire
l’esperimento di un’azione di risarcimento del danno) ed hanno una durata necessariamente limitata
nel tempo. Per contro, lo statuto ha un’efficacia reale, è opponibile erga omnes, vincola
automaticamente chiunque divenga socio e non è sottoposto a limiti di durata che non siano quelli
della durata della società.
Prendiamo ad esempio la pattuizione avente ad oggetto l’assunzione di delibere di aumento del
capitale sociale (che possono comportare una diluizione della partecipazione detenuta dai soci attuali e
l’ingresso nella compagine sociale di un nuovo soggetto): se si prevede in un patto parasociale che
esse debbano essere adottate con il consenso di entrambi i soci (imprenditore e Business Angel), il
socio di maggioranza potrebbe comunque, in violazione del patto, adottarla, essendo in tal caso
obbligato al solo risarcimento del danno. Qualora una simile previsione sia invece inserita nello
statuto, il socio di maggioranza non potrebbe affatto adottare da solo una tale delibera, per mancanza
del “quorum” decisionale statutariamente previsto (tutela reale).
Nel caso di una società a responsabilità limitata è poi possibile, come detto, attribuire direttamente e
nominativamente ad un socio particolari diritti, anche e soprattutto amministrativi. Sarà quindi
possibile prevedere, direttamente in statuto, che il Business Angel debba necessariamente approvare
l’adozione di determinate delibere ed abbia il diritto di nominare – ad esempio – un terzo dei membri
del consiglio di amministrazione ed alcuni membri dell’eventuale collegio sindacale. Tale diritto,
tuttavia, non passerebbe al soggetto terzo che possa rendersi acquirente della partecipazione del
Business Angel.
In una società per azioni, invece, una previsione nominativa può trovare spazio soltanto nel patto
parasociale. Essa può tuttavia essere utilmente riflessa a livello statutario mediante lo strumento delle
categorie di azioni, con l’ulteriore vantaggio che il diritto incorporato nello speciale strumento
azionario passerebbe all’acquirente delle azioni medesime, al contrario di quanto avviene in relazione
ai particolari diritti di soci delle società a responsabilità limitata.
In ogni caso, anche prescindendo dall’attribuzione di particolari diritti nominatim, lo statuto può
contenere meccanismi che consentano di attuare la “riserva” a favore del Business Angel del diritto di
veto su alcune decisioni e del diritto di nominare suoi rappresentanti in seno agli organi sociali.
Per quanto riguarda la nomina degli organi sociali è, infatti, sufficiente prevedere un meccanismo di
voto di lista, attribuendo a ciascun socio la facoltà di presentare liste di candidati amministratori da cui
49
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
poi tutti i soci scelgano gli amministratori, formulando la disposizione in modo che i consiglieri siano
nominati dall’imprenditore e dal Business Angel nelle proporzioni desiderate.
Per quanto riguarda invece il diritto di veto, è possibile prevedere determinati quorum qualificati per
l’adozione di delibere inerenti materia particolarmente delicate, e calibrare la percentuale del quorum
medesimo in maniera da richiedere il consenso dell’investitore per l’adozione di determinate decisioni
(generalmente si tratta delle decisioni maggiormente rilevanti, quali acquisizioni di altre aziende o
società, adozione di piani strategici o industriali, etc.).
Non possiamo esimerci dal sottolineare che tale conformazione della corporate governance comporta
la possibilità dell’insorgere di casi in cui il quorum deliberativo (i.e. l’accordo tra i soci in ordine
all’assunzione di una determinata decisione) non venga raggiunto, determinando quelle che vengono
comunemente chiamate “ipotesi di stallo”, e per la risoluzione delle quali la pratica ha elaborato
numerosi strumenti.
Essi possono essere modulati a seconda dei reciproci rapporti di forza tra le parti, ma consistono
essenzialmente in tre tecniche: (a) la risoluzione amichevole della contrapposizione, mediante
conciliazione, anche con l’aiuto di un terzo, al di fuori delle normali sedi societarie; (b) la sospensione
temporanea del diritto di voto dell’una o dell’altra parte, consentendo in tal modo l’adozione della
delibera dalla parte che possa esprimere il voto; o (c) l’esercizio di diritti di opzioni put e call che
consentano ad uno dei due soci di estromettere l’altro – seppur a costo di un esborso finanziario – dalla
compagine sociale, rimuovendo così in radice l’“ostacolo” all’adozione o meno della delibera alla base
dello stallo.
La disciplina della circolazione delle partecipazioni.
Oltre alle sopra descritte disposizioni in tema di corporate governance, il patto parasociale e, in parte
minore, lo statuto, contengono anche generalmente disposizioni relative alla circolazione delle
partecipazioni sociali.
Dato che l’impresa si trova in fase di start-up, l’accordo tra le parti prevede generalmente un divieto di
trasferimento (o lock-up) delle partecipazioni sociali per un periodo di tempo determinato: qualora il
divieto sia inserito nello statuto sociale, esso è generalmente fissato, in aderenza ai limiti normativi, in
due anni per le società a responsabilità limitata ed in cinque per le società per azioni; qualora invece il
limite sia inserito nel solo patto parasociale, è possibile, secondo la dottrina, prevedere un periodo di
tempo maggiore.
Tale divieto ha l’effetto di impedire (generalmente all’imprenditore, ma anche ad entrambe le parti) il
trasferimento della partecipazione detenuta nel capitale sociale ad un terzo, per tutto il tempo in cui la
50
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
clausola può dispiegare la propria efficacia; ciò indirettamente costringe l’imprenditore a profondere
nell’impresa tutto il proprio impegno, non potendo egli liberarsi della propria partecipazione, e tutela
l’interesse dell’investitore a collaborare con una determinata persona.
Più in generale, la clausola ha l’obiettivo di consentire alla compagine sociale quella stabilità che
viene percepita come componente indispensabile per l’impostazione di piani di sviluppo di mediolungo termine.
Altre cautele in questo senso sono rappresentate dalle clausole di prelazione o di gradimento (che non
commenteremo in questa sede data la loro notorietà), nonché le clausole di co-vendita, ossia le
clausole di “tag-along” o “drag-along”.
La clausola “tag-along” rappresenta il diritto, attribuito ad una parte di “seguire” il socio che intenda
vendere la propria partecipazione ad un terzo, facendo in modo che esso non possa vendere se non
procurando che il terzo si renda anche acquirente della partecipazione del socio che eserciti il diritto di
seguito, ai medesimi termini e condizioni.
La clausola “drag-along” attribuisce invece al socio che intenda vendere la propria partecipazione, il
diritto di costringere anche gli altri soci (ovvero alcuni di essi) a vendere le proprie quote,
generalmente alle medesime condizioni.
Posto che tali clausole, pur essendo in effetti delle limitazioni alla circolazione delle partecipazioni,
esplicano la loro funzione precipua in un momento in cui viene a concretizzarsi l’uscita
dell’investitore dal capitale della società target, proseguiremo l’analisi delle relative fattispecie nella
successiva sezione, dedicata alla dismissione dell’investimento da parte del Business Angel.
2.6 La fase di disinvestimento.
L’investimento del Business Angel nell’impresa è, come sopra accennato, per sua natura temporaneo:
ed è dunque fisiologico che, decorso un determinato periodo di tempo, generalmente compreso tra i tre
ed i cinque anni, sia necessario per l’investitore dismettere la propria partecipazione nella società.
Il disinvestimento consiste dunque nella cessione totale o parziale della partecipazione detenuta
dall’investitore, che, in alcuni casi, può anche decidere di conservare una minima quota di capitale
nell’impresa in via più duratura.
Il momento dell’uscita dell’investitore dal capitale dell’impresa non è quasi mai predeterminato, ma è
funzione dello sviluppo della società. Sempre più spesso tuttavia gli investitori cercano di prevedere,
al momento dell’acquisto della partecipazione, gli eventuali canali di uscita ed i tempi di realizzo, al
fine di pianificare al meglio anche questa fase dell’operazione.
51
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il Business Angel può procedere a tale disinvestimento secondo le modalità pattuite contrattualmente
con l’imprenditore, e quindi, ancora una volta, secondo le modalità che più riescono a contemperare le
contrapposte esigenze delle parti, e cioè, tipicamente:
(i) l’interesse del Business Angel ad una rapida e proficua liquidazione del suo investimento che
consenta di realizzare il rendimento atteso; e
(ii) l’interesse dell’imprenditore a non “perdere” completamente la propria impresa.
Una volta che l’investimento del Business Angel nell’impresa è giunto al termine, come può il
Business Angel monetizzare l’incremento di valore che l’impresa ha realizzato?
La valorizzazione dell’investimento effettuato dal Business Angel si ottiene generalmente mediante la
cessione a terzi della partecipazione detenuta al capitale dell’impresa target, secondo le modalità
pattuite o comunque concordate con il socio imprenditore.
Tali modalità devono naturalmente soddisfare (se non del tutto, quanto meno in gran parte) gli
interessi – sopra indicati – del Business Angel e dell’imprenditore, ma è chiaro che comunque la
dismissione deve avvenire in modo da tendenzialmente massimizzare il valore di cessione; come detto,
infatti, una delle principali motivazioni che possono spingere un Business Angel ad investire è
l’aspettativa di un elevato ritorno sull’investimento.
La pratica ha individuato varie modalità con le quali giungere alla valorizzazione della partecipazione
dell’investitore finanziario:
(a) la quotazione della società target su di un mercato regolamentato o meno (quotazione per la quale
è richiesta la trasformazione in società per azioni);
(b) cessione dell’intero capitale sociale a terzi (ossia il socio imprenditore cede la propria
partecipazione assieme al Business Angel, in modo da poter massimizzare il valore di cessione):
questo tipo di cessione integra la c.d. procedura di trade sale, che può anche essere il risultato
dell’attuazione delle clausole sopra indicate di co-vendita (tag-along e drag-along);
(c) cessione della sola partecipazione detenuta dal Business Angel a terzi o allo stesso socio
imprenditore; ovvero
(d) qualora concretamente possibile, recesso del Business Angel dalla società in cui egli ha investito
e/o liquidazione del veicolo societario.
Qual è la modalità di dismissione dell’investimento preferibile?
Per un investitore finanziario la modalità “principe” con cui addivenire alla cessione ad un terzo della
propria partecipazione rappresentativa di una porzione del capitale sociale della società, è sicuramente
rappresentata dalla quotazione in borsa o su altro mercato (regolamentato o meno) delle azioni della
52
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
società medesima, sia nell’ambito di un’offerta al pubblico collegata al processo di prima quotazione
(initial public offering), sia realizzata in momenti successivi rispetto alla fase di collocamento.
I principali vantaggi riconducibili a tale forma di dismissione sono la possibilità di ottenere un prezzo
più alto, la facilità di incontrare le preferenze del management della società e la possibilità di un
guadagno ulteriore derivante dall’incremento del valore, post quotazione, delle azioni eventualmente
rimaste nel portafoglio del Business Angel.
Naturalmente la procedura di quotazione è anche lunga, costosa, e di esito incerto, data la volatilità dei
mercati finanziari: essa è perciò non sempre la scelta in concreto perseguita nella fase di uscita da un
investimento in una piccola impresa, il cui fatturato, nonostante una crescita prodigiosa, potrebbe
comunque non arrivare ai livelli richiesti per l’ammissione alla quotazione.
Se a ciò si aggiunge la presenza di clausole di lock up, che impediscono agli investitori presenti nella
compagine azionaria prima della quotazione di cedere immediatamente tutte le partecipazioni detenute
e la necessità di attrarre un vasto numero di investitori per formare il flottante necessario alla
quotazione, ne risulta che tale ipotesi potrebbe essere in effetti difficilmente percorribile per alcune
delle imprese oggetto di investimento da parte di Business Angel.
Infine, è opportuno ricordare che, quanto meno per l’ammissione alla quotazione nei principali mercati
regolamentati, sono richiesti livelli dimensionali e di fatturato non indifferenti, che di fatto potrebbero
impedire al Business Angel, che interviene nella primissima fase dello sviluppo dell’impresa, di
arrivare a dismettere la propria partecipazione per mezzo della quotazione.
Quali soluzioni possono adottarsi nel caso in cui non si riesca a pervenire alla quotazione della
società target sul mercato?
Per le difficoltà sopra delineate che possono riscontrarsi nell’addivenire alla quotazione, il contratto di
investimento e/o patto parasociale contempla generalmente altre modalità di dismissione della
partecipazione, in subordine all’ipotesi di quotazione, che possono ridursi essenzialmente alle ipotesi
delineate più sopra, e cioè:
(i) la cessione delle partecipazioni rappresentanti la totalità del capitale sociale ad un nuovo socio di
natura finanziaria o industriale (il c.d. trade sale), ivi inclusa la cessione ad un fondo di venture
capital di maggiori dimensioni (o, in casi più rari, di private equity);
(ii) la retrocessione della partecipazione, in maniera volontaria od obbligata, al socio imprenditore;
ovvero
(iii) la liquidazione della partecipazione detenuta dal Business Angel mediante la procedura di recesso
ovvero mediante la liquidazione volontaria del veicolo societario.
53
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Viene generalmente preferita la modalità di trade sale, i cui principali vantaggi consistono nella
possibilità di spuntare un prezzo più alto riconducibile al premio attribuibile all’importanza strategica
che per l’acquirente ha l’acquisto della partecipazione nella società finanziata, nella maggiore
economicità e velocità dell’operazione rispetto alla vendita delle azioni sul mercato borsistico e nella
circostanza per effetto della quale è necessario coinvolgere un solo soggetto acquirente, anziché
l’intero mercato.
Di fatto in alcuni casi la cessione delle quote dell’impresa partecipata a nuovi soci industriali è l’unica
opzione percorribile. Tale strada però incontra spesso l’opposizione dell’imprenditore che si vede così
sottratto tutto ciò che ha creato.
Nella pratica la vendita della partecipazione ad un soggetto portatore di interessi industriali può
avvenire secondo diverse modalità, quasi sempre regolate preventivamente al momento
dell’investimento.
Le modalità più frequenti sono rappresentate da un conferimento, a partire da una certa data, di un
mandato ad una primaria banca d’affari per raccogliere offerte del mercato aventi ad oggetto l’acquisto
delle quote della partecipata, ovvero da una proposta direttamente rivolta agli altri azionisti di vendita
della partecipazione.
Sotto il profilo tecnico, la cessione della partecipazione mediante trade sale può avvenire sia a seguito
di una trattativa privata, sia attraverso un vero e proprio processo di asta.
Nel primo caso è generalmente il Business Angel, sia direttamente, sia per il tramite di un advisor
esterno, che si occupa di individuare uno o più soggetti potenzialmente interessati all’acquisto della
partecipazione e di stabilire con essi il contatto in via esclusiva. Dopo un primo preliminare contatto e
la firma dei relativi accordi di riservatezza, viene concessa all’acquirente la possibilità di effettuare
una più approfondita due diligence, al fine di giungere, qualora sussista un concreto interesse, alla
formulazione di un’offerta. Da questo momento in poi iniziano le trattative, alle quali seguirà la firma
dell’atto di cessione.
Anche nell’ipotesi di asta si procede ad individuare e ad affidare l’incarico ad un advisor specializzato,
che si dovrà occupare della gestione dell’intero processo. Questo provvederà a redigere un primo
documento informativo e ad identificare la rosa dei potenziali acquirenti, a cui inviarlo al fine di
verificare il loro interesse. Contemporaneamente, verrà avviata la redazione dell’information
memorandum contenente le caratteristiche dettagliate della società, del mercato di riferimento, delle
strategie attuabili e delle prospettive economico-finanziarie.
54
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
A questo punto viene inviato ai soggetti individuati dall’advisor il documento preliminare ed a coloro i
quali dovessero manifestare interesse a proseguire il processo, viene fatta firmare una lettera di
riservatezza ed inviato l’information memorandum. Successivamente all’analisi della documentazione
ricevuta, i potenziali acquirenti devono riconfermare all’advisor l’interesse verso l’operazione di
cessione ed inviare delle primissime bozze di offerta.
Durante quest’ultima fase avviene la selezione dei concorrenti per definire a quali di loro sarà offerta
l’opportunità di svolgere una due diligence e di procedere, in alcuni casi, ad un confronto diretto con il
management della società.
Sulla base delle offerte finali, il più delle volte vincolanti, viene effettuata una prima negoziazione e
viene infine individuato il soggetto vincitore.
Qualora poi l’opposizione del socio imprenditore alle ipotesi di trade sale non sia superabile, si passa
all’ipotesi di retrocessione delle quote all’imprenditore.
Ciò può avvenire sia prima di avere l’accesso alla modalità trade sale, in quanto l’imprenditore
preferisce avere la possibilità di evitare la perdita dell’azienda anche a costo di sopportare l’onere
finanziario di riacquistare tutte le quote, sia una volta fallita l’ipotesi del trade sale per mancanza di
acquirenti, come ultima chance.
Tali operazioni possono non avvenire, come è facile intuire, a seguito di un pacifico accordo tra le
parti; anzi, è probabile che, qualora vi siano dei conflitti in relazione all’uscita del Business Angel
dalla compagine sociale, occorra utilizzare qualche meccanismo contrattualmente previsto che
consenta un automatismo della procedura di uscita o che comunque non rimetta l’intera operazione ad
una libera manifestazione di volontà dell’imprenditore o all’accordo tra le parti.
Tale scopo è normalmente raggiunto mediante la previsione, ed il successivo esercizio, da parte
dell’investitore, di un “opzione di vendita” nei confronti dell’imprenditore; con tale strumento il
Business Angel può, mediante una semplice dichiarazione unilaterale, “obbligare” il socio
imprenditore a riacquistare la partecipazione ed a pagarne il corrispettivo.
Dal punto di vista strettamente giuridico, con il contratto di opzione le parti convengono che una di
esse offra all’altra, nel caso di specie, di acquistare la partecipazione da questi detenuta a termini e
condizioni predeterminati, e si impegni a non revocare tale offerta sino alla scadenza di un certo
termine. Quando l’altra parte “esercita” l’opzione, in sostanza accetta l’offerta, provocando così
automaticamente la conclusione del contratto di compravendita della partecipazione, ed obbligando la
parte offerente al pagamento del prezzo.
55
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Pare opportuno precisare che il prezzo non potrà essere determinato in anticipo, sia a causa delle
difficoltà che si possono incontrare nel prevedere quale possa essere il valore della partecipazione del
Business Angel al momento della cessione, sia a causa del divieto del c.d. “patto leonino”. Senza
scendere troppo nel dettaglio della questione, come non si conviene al tenore della presente
trattazione, sarà sufficiente specificare che il prezzo di cessione della partecipazione dovrà essere
determinato da un terzo arbitratore sulla base di criteri convenuti tra le parti, ma non predeterminato in
un ammontare fisso ovvero, secondo parte della dottrina, in un prezzo tale da consentire all’investitore
un certo tasso di rendimento fisso.
Naturalmente in tali casi si corre il rischio di insolvenza, per lo sforzo finanziario sopportato, del
soggetto imprenditore, con potenziali ricadute negative anche sugli introiti eventualmente incassati dal
Business Angel (revocatoria ordinaria, revocatoria fallimentare, etc.).
Cosa si intende per clausole “drag along” e “tag along”?
Abbiamo visto come la cessione della partecipazione rappresentante l’intero capitale sociale apporti al
Business Angel indubbi benefici sotto molteplici profili, ma anche come tale ipotesi possa,
comprensibilmente, incontrare l’opposizione del socio imprenditore.
Al fine di superare tale opposizione la pratica ha elaborato anche in questi casi meccanismi che
consentono di usufruire di un certo automatismo che possa supplire alla mancanza di accordo in ordine
ai termini della cessione.
La clausola “drag along” (in italiano, “obbligo di co-vendita”) attribuisce, come sopra accennato, al
socio che intenda vendere la propria partecipazione, il diritto di costringere anche gli altri soci (ovvero
alcuni di essi) a vendere le proprie quote, normalmente alle medesime condizioni.
Verranno naturalmente pattuite le modalità di esercizio di tale diritto (ad esempio possono essere
previste delle soglie relative al prezzo di vendita, in assenza del superamento delle quali i soci non
possono essere obbligati a vendere) e il metodo di risoluzione delle controversie nel caso che il valore
attribuito alle quote non sia ritenuto equo da una o più parti.
Clausole di questo tipo vengono pattuite perchè molti sono i casi in cui potenziali acquirenti di società
sono disposti a comperare quote a patto di poter entrare in possesso del 100% della società (si veda in
proposito anche quanto detto in relazione alle ipotesi di trade sale), ovvero almeno di una
partecipazione di maggioranza.
Una clausola “drag along” darebbe quindi al Business Angel una garanzia di poter liquidare in
maniera ottimale il proprio investimento, nel senso che, ove questi intenda vendere la propria
partecipazione, ma il potenziale acquirente fosse disposto ad acquistarla solo acquisendo la
56
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
maggioranza o la totalità delle azioni, il Business Angel potrebbe soddisfare la richiesta del terzo
potenziale acquirente pur non detenendo egli stesso una partecipazione maggioritaria o di controllo, in
virtù dell’obbligo di co-vendita imposto agli altri soci aderenti al patto.
Clausole di questo tipo sono normalmente previste a favore del socio di maggioranza, in quanto
pattuite per consentire la liquidazione della partecipazione ad un prezzo premiale nel caso in cui
potenziali acquirenti siano intenzionati all’acquisto solo a condizione di poter entrare in possesso del
100% della società.
Esse possono naturalmente essere previste anche a favore del socio di minoranza o comunque del
socio investitore, per favorirne lo smobilizzo e la liquidazione della partecipazione.
La clausola “tag along” (in italiano “diritto di co-vendita”) costituisce in qualche misura l’ipotesi
inversa a quella del “drag along” sopra esaminata, rappresentando il diritto, attribuito ad una parte di
“seguire” il socio che intenda vendere la propria partecipazione ad un terzo, facendo in modo che esso
non possa vendere se non procurando che il terzo si renda anche acquirente della partecipazione del
socio che eserciti il diritto di seguito, ai medesimi termini e condizioni.
Tali previsioni dovranno essere redatte con cura, e il consulente legale saprà inserire, per esempio,
meccanismi che disciplinino il caso in cui il terzo acquirente non voglia acquisire anche le quote del
socio che esercita il proprio diritto di “tag along” (si potrà per esempio pattuire che sia lo stesso socio
venditore a dovere acquistare le quote del socio che esercita il proprio diritto di “tag along”).
Per i Business Angels clausole “tag along” possono essere interessanti, atteso che l’investitore può
avere interesse a rimanere in società con i propri soci originari, ma non con nuovi soci che non
conosce.
Ciononostante occorre tener presente che normalmente la prassi tende a prevedere clausole di “tag
along” a favore del solo socio di minoranza, in quanto si presume che esso sia meno in grado del socio
di maggioranza di reperire sul mercato potenziali acquirenti della propria partecipazione o comunque
della società, ma non ci sono motivi ostativi alla previsione della possibilità di utilizzare tale strumento
anche da parte del socio di maggioranza.
Quali sono le formalità per la cessione di partecipazioni?
Se la società in cui il Business Angel ha investito è una società a responsabilità limitata o una società
per azioni, la cessione della partecipazione al capitale non richiede l’approvazione da parte degli altri
soci (fatta salva l’eventuale esistenza di patti in tal senso o regole statutarie che prevedano
l’incedibilità delle quote ovvero il preventivo gradimento del soggetto acquirente da parte dell’organo
amministrativo o dei soci della società); la cessione di quote sarà efficace nei confronti della società se
57
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
redatta per atto pubblico o scrittura privata autenticata e se depositata al Registro imprese, dalla data
del deposito della relativa documentazione.
Le quote di società a responsabilità limitata sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per
successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo (si veda quanto detto
sopra in ordine alle clausole limitative della circolazione delle partecipazioni sociali).
Sembra opportuno sottolineare che non è più obbligatoria la presenza del libro soci. È evidente quindi
che farà fede solo il deposito presso il registro delle imprese, a nulla valendo una ipotetica iscrizione
limitata al (solo facoltativo) libro soci.
Se la medesima quota è alienata con successivi contratti a più persone, farà fede l’iscrizione presso il
registro delle imprese effettuata per prima, anche se il suo titolo risulta stipulato in data posteriore.
Se invece il Business Angel avesse investito in una società per azioni, le azioni potranno essere
trasferite mediante girata autenticata del titolo rappresentativo delle azioni (i.e. il certificato azionario),
annotata poi sul libro soci a cura degli amministratori. Non è previsto in questo caso il deposito
dell’atto di trasferimento al Registro delle imprese.
Quali sono i casi in cui un socio può recedere dalla società?
Come si è visto più sopra, i tentativi del Business Angel di uscire dalla compagine sociale possono
essere frustrati sia da condizioni di mercato sfavorevoli, che di fatto si risolvono nell’assenza di
potenziali acquirenti della partecipazione, sia dall’opposizione (o anche incapienza finanziaria) del
socio industriale.
A volte si preferisce quindi accompagnare le previsioni sopra indicate in merito a trade sale e
retrocessione all’imprenditore, con la facoltà, per il Business Angel, di procedere alla messa in
liquidazione della società partecipata, per tentare di recuperare quanto possibile dell’importo investito,
ovvero di recedere dalla società medesima, in modo da ottenere la liquidazione della propria quota.
Sulla prima ipotesi sarà sufficiente in questa sede specificare che in alcuni casi la prassi ha elaborato
meccanismi che consentano al socio investitore di disporre della maggioranza dei voti necessari a
deliberare la messa in liquidazione volontaria della società (prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 6) del
codice civile).
Rientra tra le competenze dell’assemblea dei soci deliberare lo scioglimento anticipato della società,
con le maggioranze previste dalla legge o concordate tra i soci (in particolare, nella società per azioni
sarà necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria adottata almeno con il voto favorevole della
maggioranza del capitale sociale e nelle società a responsabilità limitata la decisione dovrà esser presa
58
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
in forma assembleare, con il voto favorevole della maggioranza del capitale sociale, salva diversa
disposizione statutaria).
L’assemblea dovrà poi, sempre in assenza di diversa previsione statutaria, nominare i liquidatori e
stabilire i criteri secondo i quali procedere alla liquidazione della società (criteri che, in massima parte,
potranno naturalmente essere concordati tra Business Angel e imprenditore).
Per quanto riguarda invece la possibilità di prevedere un diritto di recesso ad hoc dalla società, che
consenta quindi all’investitore di liquidare il proprio investimento in maniera differente da una
cessione della propria partecipazione, occorre segnalare che la riforma del diritto societario ha fatto in
modo di ampliare l’autonomia delle parti nonché la valorizzazione di strumenti di exit predeterminati,
e per questo motivo in più di una occasione accorda al socio il diritto di recedere dalla società.
Ecco i principali casi in cui un socio può recedere dalla società (con le dovute differenze tra società
per azioni e società a responsabilità limitata):
(i) il cambiamento dell’oggetto sociale;
(ii) la fusione o la scissione della società nella società a responsabilità limitata, la trasformazione nella
società per azioni;
(iii) la revoca dello stato di liquidazione;
(iv) l’eliminazione di una o più delle cause di recesso già previste nell’atto costitutivo; e
(v) il trasferimento della sede all’estero.
Altre ipotesi sono specifiche per la società per azioni, come l’introduzione o rimozione di vincoli alla
circolazione delle partecipazioni, ovvero specifiche per le società a responsabilità limitata, quali il
compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società o
una rilevante modificazione dei particolari diritti attribuiti ai soci.
Il socio può poi recedere dalla società in ogni momento con un preavviso di 180 giorni qualora essa sia
contratta a tempo indeterminato, nonché in altre ipotesi specificamente previste dalla legge.
In aggiunta alle ipotesi che precedono, la legge consente che i soci, sia di una società per azioni che di
una società a responsabilità limitata, prevedano statutariamente altri casi in cui sia consentito il recesso
dalla società.
Le cause di recesso convenzionali possono essere liberamente determinate nell’atto costitutivo dai
soci, e potrebbero in linea di massima essere anche collegati al mancato raggiungimento di obiettivi di
crescita predeterminati. Tali ipotesi devono comunque essere formulate in modo da potersi applicare a
tutti i soci e sufficientemente specifiche da non poter rappresentare un’ipotesi di recesso per giusta
59
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
causa ovvero ad libitum, posto che in tali casi la relativa clausola potrebbe essere affetta da nullità per
indeterminatezza.
Come viene valutata la partecipazione del socio uscente a seguito di recesso nelle società a
responsabilità limitata?
Qualora il socio eserciti il diritto di recesso attribuitogli dall’atto costitutivo o dalla legge, egli acquista
il diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della propria partecipazione secondo il valore della
medesima determinato in linea di massima tenendo conto del valore di mercato al momento della
dichiarazione di recesso.
In particolare, per le società a responsabilità limitata la legge prevede specificamente (art. 2473 del
codice civile) che la quantificazione del valore di rimborso della quota sia proporzionale al patrimonio
sociale, il cui valore dovrà essere determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento
della dichiarazione di esercizio del diritto di recesso, valore che si presuppone il più vicino a quello
reale.
Pur non essendo espressamente previsto dalla legge si ritiene che, quanto alle fattispecie di recesso
inderogabili, lo statuto possa liberamente formulare i criteri con i quali addivenire alla valutazione
della partecipazione, e che, quanto alle fattispecie previste dallo statuto medesimo, esso ben possa
prevedere che la valutazione della partecipazione avvenga con modalità che si discostino dal valore di
mercato.
In ogni caso queste previsioni rappresentano una significativa novità rispetto al passato, e comportano
la necessità di determinare il valore di recesso della quota sociale tenendo conto dell’avviamento e, più
in generale, di tutti gli eventuali maggiori valori economici (c.d. “plusvalenze latenti”) riferibili ai beni
che formano il patrimonio sociale.
Per le società per azioni la relativa previsione in materia (art. 2437-ter del codice civile) ha una
formulazione più complessa, prevedendo, con riferimento ad azioni che non siano quotate in mercati
regolamentati, che il valore di liquidazione sia determinato dagli amministratori sentito il parere del
collegio sindacale e dell’eventuale soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della
consistenza patrimoniale della società, delle sue prospettive reddituali e dell’eventuale valore di
mercato delle azioni.
Anche in questo caso, la legge specifica che lo statuto possa prevedere criteri diversi di
determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio
che possono essere rettificati rispetto ai valore risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica
nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.
60
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
E’ chiaro quindi che l’accordo tra Business Angel e imprenditore dovrà cercare di raggiungere un
equilibrio anche su tali aspetti del rapporto, che corrono spesso il rischio di essere quelli più
controversi, in quanto è plausibile che la dismissione dell’investimento da parte del Business Angel
con modalità che non consentano la parallela valorizzazione della partecipazione dell’imprenditore
avvengano in un clima di scarsa cooperazione tra le parti.
Le modalità per il rimborso possono consistere o nell’acquisto da parte degli altri soci o di terzi da
questi individuati della partecipazione del socio recedente, ovvero, qualora ciò non avvenga,
utilizzando riserve disponibili della società o, in mancanza, riducendo il capitale sociale in misura
corrispondente alla partecipazione da rimborsare; qualora la riduzione del capitale non sia possibile
per legge, la società verrà posta in liquidazione.
61
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
3.
PROFILI FISCALI.
Le seguenti considerazioni relative al trattamento fiscale applicabile ai redditi prodotti da società o da
persone fisiche, nell’esercizio o meno di una attività commerciale, devono intendersi di carattere
generale e non esaustive. Non sono prese in considerazione, ad esempio, le specifiche disposizioni
applicabili ai soggetti che adottano i principi contabili internazionali né tanto meno le specifiche
disposizioni che regolano la fiscalità di particolari settori industriali o commerciali come, a titolo
esemplificativo, quello bancario, assicurativo e finanziario.
Quali sono le principali imposte applicabili al reddito prodotto da una attività di impresa?
Il reddito derivante dall’attività commerciale esercitata abitualmente si qualifica come reddito di
impresa, soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche, cioè all’IRPEF (Imposta sul Reddito
delle Persone Fisiche), per le imprese esercitate in forma individuale o tramite società di persone,
ovvero all’IRES (Imposta sul Reddito delle Società) per le attività commerciali e industriali esercitate
tramite società di capitali o altri enti giuridici espressamente indicati all’articolo 73 del testo unico
delle imposte sui redditi (TUIR).
L’esercizio di un’impresa commerciale comporta anche l’assoggettamento ad IRAP (Imposta
Regionale sulle Attività Produttive) del c.d. valore della produzione netta.
Come si calcola il reddito prodotto da un’attività di impresa esercitata in forma societaria?
Il reddito di impresa (reddito complessivo), da assoggettare a IRPEF o a IRES (a seconda che si tratti
di società di persone o di capitali), è determinato apportando all’utile o alla perdita di esercizio le
variazioni in aumento o in diminuzione in ossequio alle norme che disciplinano l’IRES (es. all’utile
civilistico devono essere sommati quei costi che, pur essendo deducibili civilisticamente, non sono
deducibili fiscalmente o lo sono in misura limitata).
Che differenze vi sono per le società sotto il profilo fiscale tra l’alternativa di corrispondere al
Business Angel uno stipendio e quella di corrispondere al medesimo un emolumento come
amministratore?
Le somme corrisposte al Business Angel che svolga un ruolo all’interno della società, sia che rivesta il
ruolo di impiegato/dirigente sia che agisca quale amministratore, rappresentano un costo deducibile
per la società ai fini dell’IRES. Le medesime somme, invece, sono indeducibili per la società, salvo
talune eccezioni, ai fini dell’IRAP.
Talvolta il Business Angel può essere sia socio di una società che rivestire un ruolo al suo interno.
62
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il vincolo contrattuale che lega il Business Angel alla società comporta la necessità di un’attenta
analisi delle disposizioni contenute negli articoli 50 e 51 del TUIR.
L’articolo 51 del TUIR prevede che ogni somma o valore riconosciuto a soggetti legati da un rapporto
di lavoro dipendente o assimilato, in ragione del medesimo, si qualifica come reddito di lavoro
dipendente ed è pertanto soggetto all’imposta sulle persone fisiche con applicazione dell’aliquota
progressiva. Ciò premesso, la particolare ampiezza della disposizione così come formulata ha
consentito all’amministrazione finanziaria una lettura molto estensiva della medesima.
Ne consegue, a titolo di esempio, che un’eventuale operazione volta a riconoscere a soggetti legati da
un rapporto di lavoro dipendente o assimilato una partecipazione al capitale della società potrebbe
essere ricompreso nell’ambito di applicazione del richiamato articolo 51 TUIR ove sia riconosciuto al
sottoscrittore della partecipazione un vantaggio rispetto a quanto sarebbe stato applicato ad un
investitore privo del legame contrattuale sopra indicato.
E’ possibile per la società compensare i redditi di un anno con le perdite realizzate negli anni
precedenti?
Le perdite realizzate dalla società in un determinato periodo d’imposta sono computate in diminuzione
del reddito degli esercizi successivi ma non oltre il quinto.
Le perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta a partire da quello di costituzione della società,
sempre che le medesime si riferiscano ad una nuova attività produttiva, possono essere computate in
diminuzione del reddito degli esercizi successivi senza limiti di tempo.
Come viene tassato e dichiarato il reddito di impresa prodotto da una società di persone?
Il reddito di impresa prodotto da una società di persone è dichiarato dalla società mediante il modello
“UNICO Società di Persone” e assoggettato ad IRPEF direttamente in capo ai soci persone fisiche
(con aliquota progressiva propria del singolo socio) che sono altresì obbligati a dichiarare il reddito
derivante dalla partecipazione. Inoltre, è applicabile l’IRAP in capo alla società.
Come viene tassato e dichiarato il reddito derivante da una società di capitali?
Il reddito prodotto da una società di capitali deve essere dichiarato mediante il modello “UNICO
Società di Capitali” dalla società e tassato in capo alla medesima.
Qual è l’aliquota applicabile ai redditi prodotti da una società di capitali?
63
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
L’aliquota IRES ordinaria è del 27,5%. La misura dell’aliquota è indipendente dall’entità totale del
reddito prodotto; non varia, quindi, al variare del reddito. Per alcuni particolari settori è prevista
un’aliquota maggiorata pari al 34%.
Le società di capitali scontano anche l’IRAP nella misura del 3,9% (tuttavia, le singole Regioni hanno
la possibilità di variare l’aliquota IRAP entro il limite dello 0,92%). L’IRAP si applica ad una base
imponibile tendenzialmente più ampia di quella applicabile all’IRES.
L’IRAP si applica in maniera differente alle società di persone e alle società di capitali?
Le società di persone e le società di capitali sono soggette ad IRAP con regole sostanzialmente
identiche. Anche le modalità di tassazione sono identiche, in entrambi i casi, infatti, l’imposta è
determinata e versata dalla società per ciascun periodo di imposta.
Come si determina il valore della produzione da assoggettare a IRAP per le società?
Il valore della produzione netta assoggettabile a tassazione ai fini IRAP è determinato come differenza
tra i componenti positivi e i componenti negativi, analiticamente indicati per ciascuna tipologia di
soggetti in base all’attività esercitata. Per le società di capitali e gli enti commerciali, il valore della
produzione netta è determinata con le seguenti modalità: si calcola la differenza tra il valore ed i costi
della produzione (di cui alle lettere A) e B) del Conto economico con esclusione di taluni costi tra cui
quelli per il personale e gli interessi passivi).
A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai fini IRES
un importo pari al 10% dell’IRAP pagata nel periodo d’imposta (forfetariamente riferita all’imposta
dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e
proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni
spettanti).
Come vengono tassati gli utili, distribuiti da società di capitali, percepiti dal Business Angel (socio
persona fisica)?
La tassazione degli utili distribuiti da società di capitali a persone fisiche muta in base a taluni
elementi.
In particolare, gli utili corrisposti a persone fisiche residenti ai fini fiscali in Italia su azioni/quote,
possedute al di fuori dell'esercizio d'impresa e non costituenti partecipazioni qualificate (come di
seguito definite), sono soggetti ad una ritenuta del 12,5% a titolo di imposta, con obbligo di rivalsa. Al
contrario, i dividendi corrisposti a persone fisiche fiscalmente residenti in Italia su azioni/quote,
possedute al di fuori dell’esercizio d’impresa e costituenti partecipazioni qualificate (come di seguito
definite), non sono soggetti ad alcuna ritenuta alla fonte o imposta sostitutiva a condizione che gli
64
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
aventi diritto, all’atto della percezione, dichiarino che gli utili riscossi sono relativi a partecipazioni
qualificate. Tali utili concorrono parzialmente alla formazione del reddito imponibile complessivo del
socio. Il Decreto ministeriale del 2 aprile 2008 – in attuazione dell’articolo 1, comma 38 della l. 24
dicembre 2007, n. 244 – ha rideterminato la percentuale di concorso alla formazione del reddito nella
misura del 49,72%. Tale percentuale si applica ai dividendi formati con utili prodotti dalla società a
partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Resta ferma l’applicazione
della precedente percentuale di concorso alla formazione del reddito, pari al 40%, per gli utili prodotti
fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007. Inoltre, a partire dalle delibere di distribuzione
successive a quella avente ad oggetto l’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007, agli effetti
della tassazione del percettore, i dividendi distribuiti si considerano prioritariamente formati con utili
prodotti dalla società fino a tale data.
Per partecipazioni qualificate, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c), del TUIR, devono intendersi
quelle aventi ad oggetto azioni/quote, diverse dalle azioni di risparmio, e ogni altra partecipazione al
capitale o al patrimonio delle società e degli altri enti commerciali individuati all’articolo 73 del
TUIR, nonché i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora
dette partecipazioni, diritti o titoli rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto
esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o
al patrimonio superiore al 5% o al 25%, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati
regolamentati o di altre partecipazioni. Per i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite
partecipazioni si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni.
Come vengono tassati gli utili distribuiti da società di persone, percepiti dal Business Angel?
Gli utili prodotti da società di persone sono assoggettati a tassazione (IRPEF) in capo al socio persona
fisica nel periodo di imposta in cui sono conseguiti dalla società (tassazione per trasparenza). Pertanto,
gli utili medesimi non sconteranno alcuna ulteriore tassazione (né dovranno essere indicati in
dichiarazione dal percipiente) nel momento in cui saranno effettivamente erogati al socio.
Come vengono tassati i dividendi, distribuiti da società di capitali, percepiti da società di capitali o
da persone fisiche esercenti attività di impresa?
Potrebbe accadere che il Business Angel investa in una società per il tramite di una società terza
ovvero acquisti una partecipazione in una società nell’ambito di un’attività di impresa (come
imprenditore individuale).
Nelle ipotesi sopra prospettate, il regime fiscale applicabile al dividendo distribuito dalla società nella
quale è stato effettuato l’investimento varierà a seconda della natura del soggetto giuridico che
percepisce il dividendo. In particolare, ove gli utili siano distribuiti ad una società di capitali, questi
65
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
concorreranno a formare il reddito imponibile complessivo della società percipiente limitatamente al
5% del loro ammontare.
Ove i dividendi siano corrisposti a persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che dichiarino, all’atto
della percezione, che i medesimi sono relativi all’attività d’impresa da esse esercitata, la società non
effettuerà alcuna ritenuta; in tale ipotesi, infatti, i dividendi concorreranno alla formazione del reddito
d’impresa tassabile in capo alla persona fisica limitatamente al 49,72% del loro ammontare.
Quale è il trattamento fiscale dei proventi percepiti dal Business Angel nel caso in cui sia stato
stipulato un contratto di associazione in partecipazione?
Sotto il profilo fiscale l’associazione in partecipazione riceve un trattamento differenziato a seconda
che l’apporto dell’associato abbia ad oggetto (i) lavoro (prestazioni d’opera o servizi) oppure (ii)
capitale o capitale e lavoro (c.d. apporto misto).
In particolare, la partecipazione agli utili spettante al Business Angel è considerata reddito di lavoro
autonomo se l’apporto all’associazione è stato di solo lavoro, oppure reddito di capitale se l’apporto
all’associazione è stato di capitale o misto.
Nel primo caso (reddito di lavoro autonomo) la partecipazioni agli utili costituisce reddito per l’intero
ammontare percepito nel periodo d’imposta.
Nel secondo caso (reddito di capitale) il reddito percepito sarà tassato in relazione al “peso”
dell’apporto, qualificato o meno, nella Società. Se l’apporto è qualificato (e quindi di ammontare
superiore al 5% o al 25% del patrimonio netto contabile dell’associante risultante dall’ultimo bilancio
approvato prima della data di stipula del contratto, a seconda che si tratti di una società quotata su
mercati regolamentati o meno) l’utile concorrerà alla formazione del reddito imponibile complessivo
dell’associato nella misura del 49,72%. Se l’apporto non è qualificato (ossia di ammontare inferiore
alla predetta soglia), gli utili percepiti dall’associato saranno invece assoggettati ad una ritenuta alla
fonte a titolo d’imposta del 12,50%, che dovrà essere effettuata dalla società con obbligo di rivalsa nei
confronti dell’associato.
Qualora il Business Angel percepisse l’utile derivante dall’investimento nella associazione in
partecipazione con apporto di capitale o misto nell’ambito della propria attività di impresa, il
compenso concorrerebbe alla formazione del reddito imponibile in misura pari al 49,72%
nell’esercizio di percezione. Qualora, invece, il Business Angel percepisse l’utile derivante
dall’investimento nella associazione in partecipazione con apporto di lavoro nell’ambito della propria
attività di impresa, il compenso concorrerebbe per intero alla formazione del reddito del percettore.
Per l’impresa, la quota di utili spettanti al Business Angel associato in partecipazione è deducibile?
66
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Per il corretto trattamento fiscale da parte dell’impresa del compenso spettante al Business Angel
bisogna distinguere tra (i) contratti che prevedono l’apporto di solo lavoro e (ii) contratti che
prevedono l’apporto di capitale o capitale e lavoro.
Nel primo caso gli utili spettanti al Business Angel sono deducibili ai fini IRES in base al criterio di
competenza, purché il contratto di associazione in partecipazione sia redatto nella forma di atto
pubblico o di scrittura privata autenticata. Ai fini IRAP, invece, gli utili spettanti al Business Angel
sono deducibili solo se il Business Angel è un imprenditore; diversamente gli utili spettanti al Business
Angel non sono deducibili.
Nel secondo caso gli utili spettanti al Business Angel sono sempre indeducibili sia ai fini IRES che ai
fini IRAP.
Come viene tassato il capital gain realizzato dal Business Angel (socio) nel momento in cui cede le
partecipazioni?
Se il Business Angel investe direttamente nella società al di fuori dell’esercizio di impresa e cede le
partecipazioni, l’eventuale plusvalenza realizzata costituisce un reddito diverso assoggettato ad
IRPEF.
Il regime fiscale applicabile alla plusvalenza varia a seconda delle caratteristiche della partecipazione
ceduta. In particolare:
• nel caso di partecipazioni qualificate, la plusvalenza concorre a formare il reddito complessivo del
Business Angel nella misura del 49,72% (soggetta all’aliquota progressiva IRPEF propria del
Business Angel); mentre
• nel caso di partecipazioni non qualificate, la plusvalenza è soggetta ad imposta sostitutiva delle
imposte sui redditi nella misura del 12,5% (e pertanto non è soggetta alle aliquote progressive
IRPEF).
Ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, il Business Angel può scegliere tra tre differenti
regimi: (i) il regime della dichiarazione; (ii) il regime del risparmio amministrato; e (iii) il regime del
risparmio gestito. Il regime della dichiarazione è il regime “normale” ed è obbligatorio nell’ipotesi in
cui il Business Angel non opti per il regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito.
Nel regime della dichiarazione, l’imposta sostitutiva è calcolata dal Business Angel con l’indicazione
delle plusvalenze nonché delle minusvalenze (che vengono portate in deduzione delle plusvalenze)
nella propria dichiarazione dei redditi. Le minusvalenze eccedenti possono essere portate in deduzione
delle relative plusvalenze dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto.
67
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Il regime del risparmio amministrato trova applicazione a condizione che le partecipazioni siano
depositate presso banche o altri intermediari autorizzati. L’imposta è determinata e versata
dall’intermediario su ciascuna plusvalenza. Le eventuali minusvalenze possono essere compensate
computando l’importo delle minusvalenze in diminuzione delle plusvalenze realizzate nelle successive
operazioni poste in essere nello stesso periodo d’imposta o nei periodi di imposta successivi, ma non
oltre il quarto.
A differenza dei regimi della dichiarazione e del risparmio amministrato, il regime del risparmio
gestito si fonda sul criterio di maturazione. L’opzione per questo regime presuppone il conferimento di
un incarico di gestione ad un intermediario autorizzato. In tale regime, l’imposta sostitutiva del 12,5%
è applicata dall’intermediario al termine di ciascun periodo di imposta sull’incremento del valore del
patrimonio gestito maturato nel periodo d’imposta di riferimento, anche se non percepito. L’intero
ammontare del risultato negativo della gestione conseguito in un periodo d’imposta può essere
computato in diminuzione del risultato (positivo) della gestione dei quattro periodi di imposta
successivi.
L’art. 68 del TUIR, come novellato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n.
133, riconosce un’agevolazione per le plusvalenze realizzate da soggetti non imprenditori che
investono in società neocostituite o in fase di avvio della loro attività. L’agevolazione consiste nel
riconoscimento, a certe condizioni ed entro certi limiti, di un’esenzione dalle imposte sui redditi delle
plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni (qualificate e non) in società costituite da non
più di sette anni, a condizione che (i) al momento della cessione le partecipazioni siano possedute da
almeno tre anni e (ii) entro due anni dal loro conseguimento, le plusvalenze siano reinvestite in società
che svolgono la medesima attività e siano state costituite da non più di tre anni. L’importo
dell’esenzione non può eccedere in ogni caso il quintuplo del costo complessivamente sostenuto dalla
società cui si riferiscono le partecipazioni cedute, durante i cinque anni antecedenti alla cessione, per
investimenti in beni strumentali (diversi dagli immobili) e in attività di ricerca.
Cosa accade se il Business Angel cede la partecipazione in una società di capitali a più riprese?
Per accertare se la cessione riguardi una partecipazione qualificata o non qualificata non è sufficiente
verificare solo i requisiti della partecipazione ceduta, ma occorre anche tener conto delle eventuali
cessioni di altre tranches della medesima partecipazione realizzate nel corso dei dodici mesi solari
antecedenti l’ultima cessione. Tali tranches cedute (anche a soggetti diversi) in precedenza si
sommano all’ultima cessione.
Questa regola si applica solo quando il Business Angel arriva a possedere una partecipazione
qualificata.
68
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
Es. il signor A possiede il 50% delle azioni della società Alfa e cede nel giugno del 2006 il 10% delle
azioni di tale società. La partecipazione ceduta valutata singolarmente non soddisfa i requisiti per
definirsi qualificata; tuttavia, nel gennaio 2006 il signor A aveva già ceduto il 16% delle azioni della
stessa società; in questo caso sommando la partecipazione ceduta a giugno 2006 con quella ceduta a
gennaio dello stesso anno il signor A avrà ceduto complessivamente il 26% delle azioni della società
Alfa. Pertanto, sia la partecipazione ceduta a giugno (il 10%) che quella ceduta a gennaio (il 16%)
possono considerarsi qualificate ai fini della tassazione delle eventuali plusvalenze realizzate dal
signor A.
Come si determina l’ammontare della plusvalenza derivante dalla cessione di partecipazione da
parte del Business Angel (socio)?
Le plusvalenze, tanto da cessione di partecipazioni qualificate che non qualificate, sono calcolate
come differenza tra:
•
il corrispettivo percepito in sede di cessione e
•
il costo (ovvero il valore di acquisto) della partecipazione. Il costo della partecipazione è dato dal
costo o valore di acquisto della stessa, cui vanno aggiunti gli oneri accessori all’acquisto. Non
sono invece compresi nel costo gli eventuali interessi passivi sostenuti dal cedente, nonché gli
oneri relativi al rapporto di custodia e amministrazione dei titoli in quanto non strettamente
inerenti all’operazione di compravendita.
Es.: il signor A acquista nel 2006 il 10% della società Beta ad euro 100; la rivende l’anno successivo
ad euro 150; la plusvalenza è pari alla differenza 150 - 100 = 50, e l’imposta sostitutiva da versare
(poiché si tratta di partecipazione non qualificata) è pari ad euro 6,25 (i.e. 50 x 12,5%).
Come viene tassata la plusvalenza realizzata quando la partecipazione viene ceduta se il Business
Angel ha investito tramite una sua società?
Nel caso in cui il Business Angel abbia acquistato la partecipazione tramite una sua società, la
plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione:
•
beneficia di un’esenzione quasi totale (attualmente il 95% del suo ammontare) se la partecipazione
ceduta soddisfa i requisiti per godere della participation exemption;
•
sconta l’imposizione ordinaria IRES se la partecipazione ceduta non soddisfa i requisiti per godere
della participation exemption.
Il regime della participation exemption risulta applicabile al verificarsi delle seguenti condizioni:
(i) la partecipazione ceduta è stata posseduta dal cedente ininterrottamente dal primo giorno del
dodicesimo mese precedente a quello della cessione;
69
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
(ii) la partecipazione ceduta è stata iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio
chiuso durante il periodo di possesso;
(iii) la società partecipata non è residente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata;
(iv) la società partecipata svolge attività commerciale (questo requisito non sussiste, per presunzione di
legge che non ammette prova contraria, in capo alle società il cui valore del patrimonio è
prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui
scambio è effettivamente diretta l’attività dell’impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati
direttamente nell’esercizio d’impresa).
Le condizioni sopra indicate al (iii) e al (iv) devono sussistere ininterrottamente, al momento del
realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso.
Se la partecipazione non avente i requisiti per beneficiare della participation exemption è stata iscritta
tra le immobilizzazioni finanziarie negli ultimi tre bilanci della società attraverso cui il Business Angel
ha effettuato l’investimento, la plusvalenza realizzata può essere tassata in quote costanti nell’esercizio
di realizzo e nei successivi ma non oltre il quarto.
Come si determina la plusvalenza se il Business Angel possiede la partecipazione tramite una sua
società?
La plusvalenza è determinata come differenza tra:
•
il corrispettivo percepito in sede di cessione; e
•
il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione ceduta.
A differenza che per le persone fisiche, la plusvalenza conseguita dalla società del Business Angel si
considera prodotta (e quindi viene tassata) nel periodo d’imposta nel quale è avvenuta la cessione,
indipendentemente dal momento in cui viene percepito il corrispettivo.
E’ più conveniente, quindi, in vista del realizzo di una plusvalenza significativa, che il Business
Angel acquisti la partecipazione direttamente e non tramite una società?
In termini generali, senza tener conto di possibili discipline agevolative, avremo che:
Plusvalenza da cessione di partecipazione non qualificata
Partecipazione
detenuta da :
Persona fisica
Società, senza beneficio Società, con beneficio
participation exemption
participation exemption
plusvalenza
100
100
100
imponibile
100
100
5
70
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
imposta
sul 12,5
reddito/sostitutiva
27,5
1,375
netto
72,5
98,62
87,5
Plusvalenza da cessione di partecipazione qualificata
Partecipazione
detenuta da :
Persona fisica
Società, senza beneficio Società, con beneficio
participation exemption
participation exemption
plusvalenza
100
100
100
imponibile
49,72
100
5
imposta sul reddito
21,37*
27,5
1,375
Netto
78,63
72,5
98,62
* Assumendo si renda applicabile l’aliquota marginale massima (attualmente pari al 43%). Non si considerano in questo
contesto le addizionali locali.
Come si vede dai suddetti esempi, in linea di massima, la detenzione diretta della partecipazione da
parte del Business Angel determina un livello di tassazione inferiore sulla plusvalenza derivante dalla
cessione; tale regola subisce un’eccezione nell’ipotesi in cui la partecipazione, detenuta per il tramite
della società dal Business Angel, presenti i requisiti per beneficiare della participation exemption.
Cosa accade se l’investimento del Business Angel non va a buon fine, e quando vende la
partecipazione realizza meno di quanto aveva investito?
Le eventuali minusvalenze realizzate dal Business Angel saranno soggette a regimi fiscali diversi a
seconda che (i) derivino dalla cessione di partecipazioni qualificate o non qualificate; e che (ii)
vengano realizzate nell’esercizio di attività di impresa o meno.
Le minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate detenute da persone fisiche
non esercenti attività di impresa sono assoggettate alle disposizioni applicabili al regime della
dichiarazione, del risparmio amministrato e del risparmio gestito sopra illustrate.
Le minusvalenze derivanti, invece, dalla cessione di partecipazioni qualificate detenute da persone
fisiche non esercenti attività di impresa sono analiticamente sommate alle plusvalenze (sempre su
partecipazioni qualificate) realizzate nel corso del medesimo anno. Tanto le plusvalenze quanto le
minusvalenze concorrono al calcolo annuale complessivo per la parte (il 49,72 %), rispettivamente,
imponibile ovvero deducibile. Se il risultato complessivo è una perdita, la stessa può essere utilizzata
71
Avv. M. Gubitosi – GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTNERS
nei quattro anni successivi per compensare le (eventuali) plusvalenze realizzate in occasione della
cessione di partecipazioni qualificate.
Le minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, qualificate ovvero non qualificate, realizzate
da persone fisiche nell’esercizio di imprese commerciali (i.e. imprenditori individuali) concorrono, per
il loro intero ammontare, a formare il reddito complessivo del cedente. Se la partecipazione oggetto di
cessione rispetta i requisiti fissati per fruire della participation exemption, la relativa minusvalenza
concorrerà alla formazione del reddito d’impresa nel limite del 49,72% del suo ammontare.
Infine, le minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, qualificate ovvero non qualificate,
realizzate da società commerciali, mediante le quali il Business Angel abbia effettuato il proprio
investimento, concorrono, per il loro intero ammontare, a formare il reddito complessivo della società
cedente. Se la partecipazione oggetto di cessione rispetta i requisiti fissati per fruire della participation
exemption, invece, la relativa minusvalenza sarà interamente indeducibile per la società cedente.
*****
Per qualsiasi informazione o eventuale segnalazione, si prega di contattare:
Avv. Marco Gubitosi
Email [email protected]
Tel.
+39 02 7637 41; +39 06 475751
Cell.
+39 335 6252260
72