Pesaro 13/04/2000 Relatore: Stefano Gambelli “Il pre

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Pesaro 13/04/2000 Relatore: Stefano Gambelli “Il pre
Pesaro 13/04/2000
Relatore: Stefano Gambelli
“Il pre-cinema e la riproduzione del movimento”
Dovendo avere a che fare con procedimenti e anche con strumenti parenti più o meno lontani del
cinema dei Fratelli Lumière, le immagini dovrebbero in questo caso giocare un ruolo importante.
L’ideale sarebbe stato quello di potervi mostrare il funzionamento meccanico di questi strumenti e
anche le immagini che essi sono in grado di ricreare; questo non è possibile poiché questi oggetti
sono ormai conservati nei musei del cinema. In Italia troviamo il Museo del cinema di Torino, il
Museo curato, a Padova, da Zotti-Minici, e un Museo a Vignola dedicato al pre-cinema. Nel corso
della mia relazione ricorrerò a materiale video:
- Una videocassetta a carattere illustrativo-didattico “Dalla lanterna magica ai pionieri del
cinema”
- L’inizio di un film di Wim Wenders “I fratelli Skladanowsky” (1996): sono quelli che,
secondo alcuni, avrebbero in realtà inventato il cinema, in quanto organizzarono una
proiezione pubblica qualche mese prima di quella, poi fatidica, dei Fratelli Lumière. Questo
è un film ambientato nel mondo del cinema, cioè un certo tipo di cinema che parla di sé
stesso; accanto a quello di Wenders dovrei citarne almeno altri due “I magnifici uomini della
manovella” (Jirì Menzel, 1978) e “Vecchia America” (Peter Bogdanovich, 1976) ambientato
quando il cinema era stato già inventato, ma prima della presentazione del film di David
Griffith “Nascita di una nazione” (1915); in realtà a parte i film ambientati nel mondo del
cinema, il cinema ha anche offerto omaggi e citazioni di questo primo periodo: ad esempio
nell’ultimo film di Tim Burton “Il mistero di Sleepy Hollow” Johnny Depp ad un certo
punto si diletta con uno strumento ottico, il “taumatropio”, uno degli antenati del
cinematografo; Bergman in “Fanny e Alexander” mostra una lanterna magica che i due
ragazzi guardano affascinati; la stessa lanterna magica viene riproposta ne “Il mondo nuovo”
di Ettore Scola; nel film “I quattrocento colpi” di Truffaut il giovane protagonista entra in un
parco di divertimenti e vede un cilindro che ruota su sé stesso; questo cilindro girando
vorticosamente su sé stesso crea l’illusione del movimento che poi è all’origine del cinema.
La scelta di questo film di Wenders si basa anche sul fatto che Wenders è un regista
particolarmente interessato e affascinato dagli elementi meccanici del funzionamento degli
apparecchi cinematografici; un suo film è intitolato “Falso movimento” (19759 che è
proprio quello che il cinema produce, e in “Nel corso del tempo” (1975) uno dei protagonisti
di mestiere ripara i proiettori cinematografici, per cui anche qui Wenders ha modo di
illustrare il funzionamento del proiettore e anche di soffermarsi sull’importanza della croce
di Malta che è un meccanismo che i Fratelli Lumière hanno inventato, creando il cinema. Il
film “I Fratelli Skladanowsky” ricostruisce quel periodo fatidico dell’inizio del 1895; in
realtà ci permette di vedere all’opera alcuni degli strumenti (ricostruiti da Wenders) che
hanno anticipato il cinema e soprattutto, al di là del funzionamento degli strumenti, quella
che era l’atmosfera e l’ambiente in cui il cinema è nato.Vedremo alternare visioni ancora
basate sulla lanterna magica a giochi di prestigio; questa è un’unione che all’inizio della
storia del cinema sicuramente è presente; l’intento non è poi tanto quello di mostrare
dettagliatamente come funzionino certi strumenti oppure come si è arrivati all’invenzione
del Cinematografo dei Lumière; Wenders inserisce un altro elemento molto importante:
come vedrete a narrare la storia dei Fratelli Skladanowsky è la figlia di Max Skladanowsky,
una ragazzina, Gertrud, di tenera età; lei propone, ovvero è Wenders a proporlo attraverso la
voce della piccola, il perché della nascita del cinema: il cinema è nato perché questa
ragazzina si è intestardita a voler delle immagini che raffigurassero lo zio, uno dei tre
fratelli, che aveva dovuto abbandonare la famiglia per andare a lavorare in un circo; la sua
ferma volontà di riuscire ad avere qualche cosa dello zio che rimanesse, ha fatto sì che il
padre, dopo qualche tentativo, mettesse a punto questa macchina cinematografica, il
bioscopio, che era in grado di mostrare immagini riferite allo zio non presente, che era
dovuto partire. Questa non è una tesi, ma un filone di studi che cerca di spiegare perché il
cinema è nato; al di là dell’evoluzione tecnica il cinema cerca di rispondere ad un desiderio
arcaico dell’uomo: il desiderio di vincere la morte, di opporsi alla irreversibilità del tempo;
ed è questo che emerge dall’inizio del film. Prima di proseguire per cercare di ricostruire
come si è arrivati all’invenzione dei Lumière, vi mostrerò le immagini iniziali del film di
Wenders. Il film prosegue alternando momenti di ricostruzione di questo passato, rimettendo
in scena i primi filmati realizzati dai Fratelli Skladanowsky, con delle immagini del
presente; esso mette a fuoco alcuni elementi importanti per partire in questo nostro viaggio a
ritroso; viene ben reso l’entusiasmo dell’invenzione, che poi subirà una altrettanto grande
disillusione; i Fratelli Skladanowsky, nel novembre del 1895 realizzarono a Berlino
effettivamente delle proiezioni con il bioscopio, mentre i Lumière fecero la loro prima
rappresentazione pubblica più tardi, la sera del 28 dicembre del 1895. Quando però i Fratelli
Skladanowsky assistettero alle proiezioni dei Lumière riconobbero che non c’era paragone
tra le proprie proiezioni e quello che erano stati in grado di realizzare i Lumière; in realtà
non ci fu neanche una lotta per un primato anche se una certa storiografia del cinema, quella
tedesca, attribuisce l’invenzione del cinema ai Fratelli Skladanowsky. Una storiografia
cinematografica statunitense è propensa ad individuare in Edison e Dixon gli inventori del
cinema. Il film ci mostra alcuni degli strumenti che hanno preceduto l’invenzione del
cinema; la piccola Gertrud la chiama la “scatola delle meraviglie”, questo cilindro con delle
fessure ruotante su un perno, all’interno della quale è disposta una serie di immagini;
facendolo girare e osservando da queste fessure le figure sembrano animarsi; è uno
strumento inventato già da parecchio tempo lo zootropio. Come ci fa anche vedere lo
spettacolo di quegli anni, in cui si mescolano giochi di prestigio con proiezioni di immagini
in qualche modo animate; sono proiezioni che avvengono ancora tramite la lanterna magica,
ormai evoluta, rispetto a quella descritta nel Seicento da Athanasius Kircher, che pur
proiettando immagini fisse, con un gioco di dissolvenze e di sovrapposizioni riusciva a
creare un barlume di movimento.
Dalla lettura di libri riguardanti l’invenzione del cinematografo si riscontrano due tendenze: a)
Una tendenza che cerca di ricostruire questa invenzione come evoluzione tecnico-scientifica e
che fa iniziare questo processo con i primi decenni dell’Ottocento, quando iniziano gli
esperimenti e le osservazioni sul fenomeno della persistenza retinica; b) Un’altra tendenza, più
idealista più umanista, rappresentata da André Bazin, per cui il desiderio del cinema si perde
nella notte dei tempi, fin dal complesso della mummia degli antichi Egizi; questa da un lato
evidenzia la tendenza tutta umana ad opporsi alla irreversibilità del tempo, alla morte, mentre
pur non negando una patente di scientificità all’invenzione del cinema mette in secondo piano il
ruolo svolto da diversi scienziati che, nel corso dell’Ottocento, si occuparono della persistenza
retinica e delle immagini in movimento. È difficile individuare un punto preciso dal quale
partire: ma sicuramente due eventi importanti vanno considerati nel precinema: essi sono
costituiti da teatro delle ombre e dalla lanterna magica. Il teatro delle ombre ha origini
antichissime, ma in realtà si è in qualche modo perpetuato ed è arrivato proprio alla vigilia
dell’invenzione del Cinematografo; in un filmato dei Fratelli Lumière “Una partita a carte”
vediamo il padre dei Fratelli Lumière con altre persone, tra cui un illusionista, un
prestidigitatore che operò fino al 1894-95, la cui specialità era costituita dai giochi di ombre che
riusciva a creare; egli organizzava spettacoli di ombre che riusciva a far assomigliare ad
importanti personaggi dell’epoca o storici; egli passerà immediatamente dal teatro delle ombre
al cinema vero e proprio, poiché il padre dei Fratelli Lumière affidò proprio a lui la diffusione
del Cinematografo sul suolo inglese. È una tradizione, questa del teatro delle ombre, che ritorna
nel corso dei secoli, conoscendo momenti di maggiore sviluppo ed altri in cui sembra
dimenticato; è una forma di spettacolo basato sull’ombra e sulla luce, sulla presenza di uno
schermo e sulla bidimensionalità.
Accanto al teatro delle ombre importanza fondamentale ha la lanterna magica; studiata e
messa a punto nel Seicento dal Padre Gesuita Athanasius Kircher. L’importanza della lanterna
magica si avvicina in modo consistente al cinema, nel senso che possiamo considerarla una
specie di proiettore; infatti ha alla base una fonte luminosa che illumina una lastra di vetro
trasparente dove c’è un disegno e proietta questa immagine su uno schermo; padre Athanasius
Kircher che studiò, mise in pratica e organizzò spettacoli di lanterna magica, si avvaleva di
queste immagini nel corso delle sue prediche creando una serie di immagini atte a colpire e ad
emozionare lo “spettatore”; egli proiettava il disegno dell’Ascensione di Cristo al cielo verso il
soffitto o faceva comparire ai lati della stanza le immagini del demonio; in realtà la lanterna
magica nasce proprio con questa funzione, cioè di ausilio alle predicazioni. Poi la storia della
lanterna magica è molto più complessa, il suo utilizzo non verrà limitato a questo ambito, ma è
sempre accompagnato dalla voce, è cioè uno spettacolo costituito da immagini, ma immagini
che vengono raccontate, spiegate; la sua importanza sta nel fatto che sebbene all’inizio viene
utilizzata come semplice ausilio di un discorso verbale costituisce una forma di comunicazione,
basata sulle immagini ed essenzialmente popolare, perché i Lanternisti, giravano dappertutto, in
Italia, in Europa e in tutto il mondo; le immagini che inizialmente la lanterna magica proietta
sono sì immagini fisse, ma anche immagini in sequenza, cioè mai una sola immagine ma una
serie di immagini che si riferiscono allo stesso soggetto, allo stesso tema; in pratica raccontano,
per successioni di immagini statiche, una storia e i soggetti di queste storie sono di vario genere;
molti di questi vetrini sono a soggetto edificante-religioso, storie del Vecchio e del Nuovo
Testamento, ma spesso hanno anche a che fare con la storia recente o passata, o con l’attualità; a
volte raccontano episodi comici e divertenti, altre illustrano aspetti della fisiologia e della
anatomia umana; in ogni caso si tratta di uno spettacolo che trova in un primo tempo grande
diffusione geografica, come spettacolo itinerante, poi nel corso degli anni la lanterna magica
viene usata in sedi fisse, ma solo quando subì una evoluzione tecnica, si è riusciti a creare con
queste immagini fisse una sorta di movimento; sarà in Inghilterra, con il “dissolving views”, nel
corso dell’Ottocento, utilizzando più lanterne magiche o una lanterna ma dotata di più obiettivi,
che lo spettatore potrà assistere a repentini cambiamenti (ad esempio di un paesaggio dal giorno
alla notte) di situazioni; prima di arrivare alla lanterna magica modificata va segnalata accanto
all’utilizzo che ne fece il Padre Gesuita, un altro utilizzo da parte di un personaggio che, a
seconda di quale strada si preferisce scegliere, è o non è considerato uno dei pionieri del
cinematografo, si tratta di Robertson, attivo in Francia alla fine del Settecento; egli concepisce
la sua attività come uno spettacolo: modifica la lanterna magica tradizionale nel senso che la
rende mobile, cioè la posiziona su un carrello con ruote di gomma perché spostandosi la
lanterna magica non faccia rumore; il più delle volte usa uno schermo trasparente per cui la
proiezione (l’apparecchio di proiezione) non è alle spalle dello spettatore, ma è nascosta allo
spettatore, dietro lo schermo, così che le immagini che lui mostra le fa in qualche modo passare
per apparizioni magiche, unendo alle immagini effetti sonori particolari e creando strane
atmosfere. Con i suoi spettacoli di lanterna magica Robertson fa rivivere noti personaggi della
rivoluzione Francese (Marat, Robespierre) e l’effetto che produceva nel pubblico era un effetto
di magia, (è stato paragonato al celebre Cagliostro, per la dimensione magica fortemente
presente nel suo spettacolo). La lanterna magica proseguirà nel suo sviluppo con momenti di
splendore per regredire a oggetto di uso domestico, per il divertimento dei bambini; la sua
presenza è riscontrabile fino all’invenzione del cinema ancorché modificata.
Un filone più scientifico di studi sulle origini del cinematografo, tralasciando l’importanza del
teatro delle ombre e della lanterna magica, si sofferma sulle ricerche e gli esperimenti che
ebbero inizio attorno al 1820, portati avanti da fisici e matematici, quindi legati alla scienza.
Una figura di spicco è quella del fisico belga Plateau il quale creò uno strumento, il
fenachistoscopio, e studiò il fenomeno della persistenza retinica (che è alla base del cinema,
anche se, in tempi non recentissimi, si è visto che è l’effetto film che interverrebbe a rendere
possibile la visione di immagini in movimento continuo; in studi più recenti si è tornato a
parlare della persistenza retinica come fenomeno fondante della visione cinematografica).
Plateau descrive una proprietà della visione umana: “se molti oggetti gradatamente diversi per
forma e per posizione si presentano all’occhio, uno dopo l’altro, a intervalli brevissimi e
sufficientemente ravvicinati, le impressioni suscitate sulla retina si collegheranno tra loro e si
avrà l’illusione di vedere un solo oggetto che cambia gradatamente forma e posizione”. Quello
di cui parla Plateau è l’illustrazione del procedimento ottico che renderà possibile l’invenzione
del cinematografo; i suoi studi danno origine ad uno strumento, il fenachistoscopio, che consiste
in un cerchio ruotante disegnato: questi disegni raffigurano vari fasi di una stessa azione;
facendo girare questo cerchio, e osservandolo attraverso una serie di fessure (sedici) si vedranno
queste varie fasi del movimento ricompattarsi; è quello che succederà ai fotogrammi scattati
dalla cinepresa quando verranno proiettati attraverso un’altra macchina. Una prima
applicazione, ancora antecedente al fenachistoscopio, si ha con il taumatropio (il cui
funzionamento, molto semplice, è illustrato nel film di Tim Burton “Sleepy Hollow”). Il
taumatropio è un disco di cartone disegnato sulle due facce: su un lato può essere disegnato un
uccello, mentre sull’altro può essere disegnata una gabbia; questo disco di cartone è legato alle
due estremità da uno spago, e facendo girare questo spago si fa girare velocemente questo disco,
alternando in maniera velocissima le due facce: il risultato, proprio grazie alla persistenza
retinica, è che questi due disegni danno vita ad un terzo disegno, che contiene
contemporaneamente sia l’uccello che la gabbia, cioè l’uccello in gabbia. La differenza tra il
taumatropio e gli strumenti che verranno in seguito (il fenachistoscopio o lo zootropio) è che
attraverso il taumatropio non si ha la visione di un’immagine in movimento, ma soltanto di
un’immagine diversa dalle prime due, la terza immagine infatti è ancora un immagine statica;
invece gli strumenti successivi daranno l’impressione del movimento; Plateau non fu l’unico ad
occuparsi di questo aspetto, ricerche analoghe furono portate avanti da altri scienziati come
Horner che creò lo zootropio, cioè un cilindro ruotante su un perno, all’interno del quale è
presente una banda di cartone con una successione di disegni, fasi ravvicinate di un movimento.
Questi studiosi hanno gettato le basi per l’invenzione del cinematografo, ma prima di arrivare al
cinematografo serviranno altri passaggi, primo fra tutti l’invenzione della fotografia, che è
comunque coeva a questi studi sulla persistenza retinica, databili dal 1820 in poi, ma in questa
fase non vi è nessun collegamento tra loro. La prima fotografia è del 1826, di Niépce, e ci
mostra una prospettiva dei tetti di Parigi; qualche anno dopo, nel 1830, Daguerre proseguirà gli
studi di Niépce e realizzerà i primi dagherrotipi; le prime fotografie hanno per soggetto le nature
morte, perché i tempi di posa necessari perché l’immagine potesse impressionarsi sulla lastra
fotografica erano lunghissimi (12-8 ore); in seguito i tempi di posa si ridurranno, grazie alle
sostanze chimiche utilizzate sulla lastra, sino ad arrivare alla fotografia istantanea. Nel corso
dell’Ottocento, dal 1870 in poi, inizia la ricerca legata alla ripresa del movimento, si iniziano
cioè a costruire degli strumenti (il revolver fotografico di Yanssen, il fucile fotografico di
Marey) che possono essere considerati degli antecedenti della macchina da presa: degli
apparecchi in grado di scattare una serie di fotografie in una successione più o meno rapida.
Essi rappresentano il tentativo di realizzare una serie di fotografie che fossero in grado di
riprendere in tempi ravvicinatissimi le varie fasi di un movimento; chi si distinse per primo in
questa operazione fu un astronomo francese di origine norvegese, Yanssen, il quale nel 1874,
cercò di documentare il passaggio del pianeta Venere davanti al sole, cioè documentare una
parziale eclissi; per fare questo egli mise a punto uno strumento fotografico che prese il nome di
revolver fotografico, una macchina fotografica, o meglio un embrione di cinepresa, in grado di
scattare in tempi abbastanza ravvicinati una serie di fotografie. In realtà quello che Yanssen
riuscì ad effettuare furono 48 riprese (scatti) realizzate in 72 secondi, una foto ogni secondo e
mezzo. Gli altri artefici di questa ricerca sono principalmente Muybridge (l’unico fra questi
ricercatori non scienziato, ma semplice fotografo) che riuscì a fermare in varie fotografie la
corsa di un cavallo(si racconta che all’origine di questa impresa vi fu una scommessa sul fatto
che potesse esistere un momento, durante la corsa del cavallo, in cui nessuna delle zampe
toccasse terra); in ogni caso Muybridge riuscì a fissare i momenti della corsa del cavallo, non
con un unico apparecchio che in un breve lasso di tempo scattasse numerose fotografie, ma
allestendo una sorta di marchingegno composto da varie macchine fotografiche, ognuna delle
quali posizionata in un luogo diverso per poter fissare un momento della corsa del cavallo;
queste fotografie, una volta sviluppate, erano in grado di mostrare tutte le fasi della corsa, anche
se realizzate non con un unico apparecchio; in quanto esperto fotografo Muybridge riuscì ad
effettuare queste foto con un tempo di posa brevissimo. Queste ricerche furono sviluppate da un
fisiologo, Jules Marey, di cui i Fratelli Lumière riconoscono l’importanza (pur non
riconoscendo il valore di altri contributi essenziali alla loro scoperta); Marey era un fisiologo
che si interessava allo studio del movimento sia animale che umano e le sue ricerche andavano
nella direzione di colmare una lacuna dei sensi: ci sono dei movimenti che l’occhio umano non
può percepire e quindi studiare, ecco allora l’istanza di riuscire a fermare le varie fasi del
movimento. Lavorando in tal senso egli riesce a mettere a punto il fucile fotografico,
assomiglia alla cinepresa in quanto in grado di scattare in un secondo 12 fotografie, cioè fermare
il movimento di un secondo in 12 foto diverse. L’aspetto più rilevante di questi studi, sviluppati
a partire dal 1870, che proseguirono fino all’invenzione del cinematografo, è che in realtà questi
ricercatori erano interessati a solo una delle operazioni che renderanno possibile il
cinematografo, cioè alla fase dell’analisi del movimento, della scomposizione; Yanssen, Marey,
Muybridge, non si occupavano poi della ricomposizione del movimento, cioè dell’operazione di
sintesi, ma soltanto dell’analisi. Fu soltanto parziale il tentativo di ridare vita a queste fotografie
avvalendosi, nella ricostruzione del movimento, di strumenti rudimentali rispetto a quelli messi
a punto per la ripresa del movimento stesso (il fenachistoscopio di Plateau, o lo zootropio di
Horner) che non restituivano l’impressione della realtà. Uno dei due processi alla base del
cinema, quello della analisi e della scomposizione del movimento, procede quindi in maniera
autonoma, senza collegarsi in maniera concreta all’altra fase che è quella della sintesi e della
ricostruzione; la cronofotografia di Marey trovò un piano di applicazione concreta in campo
medico: fra i primi ad usare il suo strumento furono dei medici interessati a studiare le crisi di
epilessia dei malati, che potevano così analizzare i vari momenti, distinti, che componevano la
crisi.
A partire dalla fine degli anni Novanta ci si avvicina al cinema; mentre le ricerche di questi
sperimentatori vanno nella direzione dell’analisi del movimento, altri studiosi seguono una
strada diversa, sebbene queste due strade ancora non si incontrino; negli anni Novanta, Reynaud
lavora sul processo di sintesi del movimento, mettendo a punto uno strumento con cui realizza
spettacoli pubblici in sala, il teatro ottico (un’evoluzione dello zootropio e del praxinoscopio
stesso, brevettato da Reynaud) che riesce a ricreare il movimento; questo movimento è però
composto non da fotografie, ma da una serie di disegni (una sorta di cartoni animati),
avvalendosi poi di procedure che verranno utilizzate dal cinematografo, cioè dipinge e disegna
questa serie di figure su una pellicola trasparente, forata e facilmente trascinabile; egli
ricostruisce il movimento, ma l’impressione di realtà è ancora difficile da rendere trattandosi di
disegni e non di fotografie. Compie comunque un salto decisivo nella fase della proiezione. Chi,
per una certa storiografia, è considerato l’inventore del cinematografo è Edison, che riesce a
mettere a punto sia uno strumento di ripresa, in grado di scattare una serie di fotogrammi al
secondo, sia un apparecchio di proiezione per ridare vita e movimento a quelle immagini: il
chinetoscopio. La differenza tra il chinetoscopio di Edison e quello che sarà il cinema dei
Lumière è che la visione che offre questo strumento è una visione non collettiva, ma singola;
non si tratta quindi di un pubblico spettacolo ma la riproduzione del movimento la si può
osservare soltanto guardando dentro una sorta di scatola, attraverso cui si vedono immagini
costituite da fotografie animate; con gli anni il chinetoscopio divenne non soltanto qualcosa di
pubblico, ma si aprirono negli Stati Uniti, poi in Francia, delle sale adibiti a questa forma di
spettacolo individuale. Comolli, in Tecnica e ideologia, (Pratiche Editrice, 1982) assegna
all’invenzione di Edison un’importanza fondamentale non solo per i procedimenti tecnici da lui
messi in atto, ma perché il successo del chinetoscopio ha fatto intravedere agli altri la possibilità
che le immagini in movimento sarebbero diventate qualcosa di popolare e di remunerativo; le
sale aperte da Edison ebbero un grande successo di pubblico, mettendo in evidenza una
domanda, da parte del pubblico, che andava in tale senso; parte quindi la corsa a brevettare una
serie di strumenti allo scopo di perfezionare lo strumento di Edison per renderlo qualcosa di
collettivo e di pubblico.
Chi in realtà vinse questa corsa contro il tempo furono i Fratelli Lumière e la loro prima
proiezione pubblica a pagamento, la cui data si identifica con la data dell’invenzione del
cinematografo, venne realizzata la sera del 28 dicembre 1895, quando al Salon Indien du Grand
Café un pubblico pagante assistette alla proiezione di questi filmati. Nel novembre dello stesso
anno, a Berlino i Fratelli Skladanowsky avevano ugualmente offerto uno spettacolo pubblico,
ma tra i due spettacoli effettivamente era notevole la differenza, nel senso che i Fratelli
Skladanowsky con il bioscopio davano il movimento a 10-12 fotogrammi al secondo, mentre i
Fratelli Lumière riuscivano con 16 fotogrammi al secondo, e la qualità delle immagini così
come l’impressione di realtà erano notevolmente diversi. La proiezione dei filmati realizzati dai
Fratelli Skladanowsky duravano circa 10 secondi, mentre i filmati proiettati dai Lumière la sera
del 28 dicembre duravano circa un minuto; come poi riconobbero gli stessi Fratelli
Skladanowsky, la loro invenzione era destinata a soccombere rispetto a quella dei Fratelli
Lumière. Parlando dell’invenzione del cinema dei Fratelli Lumière, Antonio Costa mette
giustamente in evidenza che i Fratelli Lumière sono gli inventori, essendo stato il loro
contributo tecnico importante, essi riuscirono infatti a trasformare quello che è un movimento
circolare e ininterrotto in un movimento lineare, con delle interruzioni; il procedimento
meccanico non era nuovissimo, non troppo dissimile da quello proprio della macchina da cucire,
(essi inventarono inoltre un trascinamento della pellicola che consentiva al fotogramma di
fermarsi per un istante davanti alla fonte luminosa e poi di ripartire, creando l’impressione di
movimento e della realtà); i Fratelli Skladanowsky non disponevano di una pellicola perforata,
essi fecero sulle pellicole delle perforazioni a mano che non garantivano la stessa fluidità di
scorrimento della pellicola, provocando inconvenienti di vario genere. Tornando alle
osservazioni di Costa i Lumière furono sì importanti in quanto inventori dell’apparecchio
cinematografico, però furono più importanti come innovatori, nel senso che furono i primi ad
arrivare a qualcosa che “era già nell’aria”, ma al loro cinematografo essi seppero assicurare una
diffusione quasi capillare: non si limitarono a mettere a punto l’apparecchio di proiezione ma si
occuparono anche di reperire il materiale da mostrare al pubblico, occupandosi così di tutte le
fasi della struttura cinematografica (giravano film, li distribuivano, crearono una rete di mercato
per questa invenzione), in pratica lo inventarono e lo diffusero. Fra i tanti che si dedicarono
all’invenzione del cinematografo o anche agli studi relativi alla persistenza retinica, i Lumière
furono i più borghesi, nel senso che furono i più concreti.
Colpisce, approfondendo la storia di questi pionieri, la loro passione: Plateau che aveva messo a
fuoco i principi generali sui quali verrà basato il cinematografo divenne cieco all’età di
quarant’anni, per gli esperimenti che faceva sulla persistenza retinica; Marey che mise a punto il
sistema della cronofotografia era soprannominato il matto di Posillipo dalla gente del luogo,
perché si recava in questi posti, particolarmente adatti per l’aria nitida e solare alle sue
fotografie, e con il suo fucile fotografico la gente lo vedeva mirare agli uccelli senza sparare un
colpo e poi tornare a casa tutto soddisfatto; altri pionieri come Edison (che nella mente aveva
già l’idea del cinema come riproduzione integrale della realtà, nel senso che pensava di giungere
di lì a poco a dotare le immagini di parola, il cinema sonoro), seppero sfruttare molto bene le
loro invenzioni conservando in mente un disegno complessivo di evoluzione. Questa idea
complessiva sembra mancare nei Lumière. Méliès, che per alcuni è l’inventore del cinema
inteso come spettacolo, come finzione, terminerà la propria vita vendendo giocattoli, senza
saper sfruttare in termini economici la sua abilità; raccontano che, poverissimo, utilizzasse la
poca legna di cui disponeva, per ottenere degli effetti speciali, piuttosto che per scaldarsi. In
molti di questi personaggi è presente un afflato che è difficile da riscontrare nei Lumière, che
sfruttarono in maniera sapiente il loro brevetto per poi ritirarsi dalla loro attività
cinematografica; Louis e Auguste Lumière erano già proprietari di una fabbrica di materiale
ottico e questo li aiutò a sviluppare il cinematografo; già dal 1881 la loro ditta aveva messo a
punto una pellicola, utilizzata in fotografia, ad emulsione ultrarapida, che poteva essere
impressionata in tempi brevissimi.
Giunti all’invenzione del cinematografo dei Fratelli Lumière vi mostriamo una videocassetta
realizzata con intenti didattici illustrativi che mostra con documenti e filmati queste tappe:
“E’ la sera del 28 dicembre 1895, a Parigi un manifesto annuncia la prima del cinematografo
Lumière, uno spettacolo di fotografie animate proiettate con un apparecchio di recente
invenzione; ad affittare il Salone Indiano del Grand Café sono stati due fratelli di Lione, Louis e
Auguste Lumière, figli di un fabbricante di lastre fotografiche; il prezzo del biglietto è fissato in
un franco; 35 parigini, incuriositi dalla novità, lo acquistano, diventando così il primo pubblico
pagante della storia del cinema. Finalmente in sala si fa buio, il proiettore si mette in moto
illuminando lo schermo; lo stupore dei presenti è immediato e vivissimo, su quella tela bianca si
materializza, muovendosi con sorprendente realismo, una piccola folla di operai colti al termine
di una giornata di lavoro, si tratta per l’appunto dei dipendenti della Ditta Lumière, ripresi
all’uscita dello stabilimento di Lione, in un luminoso pomeriggio d’estate; a catturare la scena è
stato lo stesso Louis Lumière, che aveva messo a punto la sua invenzione alla fine del 1894, per
poi brevettarla con il nome “Cinematografo”; le emozioni più intense le scatena però l’arrivo del
treno, girato nella stazione della località di villeggiatura in cui ogni estate si riunisce la famiglia
Lumière al completo; dal fondo dello schermo la locomotiva avanza verso l’obiettivo suscitando
qualche apprensione nel pubblico, più di uno spettatore si agita sulla sedia temendo di essere
travolto; il taglio dell’inquadratura, la profondità di campo e la vivacità del soggetto confermano
come Louis Lumière fosse prima ancora che un buon operatore, un ottimo professionista della
fotografia. Dieci le pellicole della durata di un minuto l’una, presentate al pubblico del Salone
Indiano il 28 dicembre; tra queste “La partita di carte”, in cui Louis riprende papà Antoine in
compagnia di due amici; l’uomo sulla destra è colui che diventerà il primo rappresentante dei
film Lumière a Londra. Ogni giorno il programma riserva qualche sorpresa come nel caso del
film “Il muro”, già inserito in cartellone la sera della prima: il soggetto, in sé piuttosto banale
doveva ottenere enorme popolarità all’inizio del 1896, una volta proiettato, con felice intuito, al
contrario; un effetto speciale elementare, ma capace di sbalordire le ingenue platee dell’epoca.
Fenomeno popolare per eccellenza, il cinematografo affonda le proprie radici negli spettacoli di
ombre cinesi e di illusioni ottiche che avevano furoreggiato, in Europa, lungo tutto il Settecento.
Capostipite di ogni gioco visivo la Lanterna Magica, un apparecchio non troppo dissimile da un
moderno proiettore di diapositive; una potente fonte di luce concentrata da un condensatore
colpisce un’immagine disegnata sopra una lastra di vetro e la proietta, ingrandita, su uno
schermo bianco. Sostituendo rapidamente un vetrino con un altro o facendolo scorrere davanti
all’obiettivo, i disegni sembrano animarsi, dando al pubblico l’illusione del movimento. A un
giovane fisico belga , Plateau, va il merito di aver formulato, per la prima volta, nel 1829, la
teoria della cosiddetta persistenza retinica, secondo la quale l’occhio umano trattiene sulla
retina, per una frazione di secondo, le immagini osservate, anche dopo che queste siano
scomparse; gli studi di Plateau e dei colleghi Faraday e Roget ispirano, nei primi decenni
dell’Ottocento la realizzazione di marchingegni più o meno complessi e fantasiosi; rapidamente
questi escono dai laboratori di fisica per diventare curiosità mondane a Vienna, Parigi e Londra.
Geniale nella sua semplicità il taumatropio, un disco di cartone che mostra da un lato una gabbia
e dall’altro un uccellino; facendolo ruotare si vede l’animale dietro le sbarre perché raggiunta
una certa velocità, il nostro occhio non percepisce più le due immagini separatamente; qualche
anno più tardi Plateau realizza un ventaglio circolare che battezza “fenachistoscopio”, basta
farlo ruotare davanti ad uno specchio per animare delle immagini che vi sono disegnate. Alcuni
di questi dischi sono stati dipinti dallo stesso Plateau e fanno del fisico belga un autentico
pioniere del cinema d’animazione. Un po’ più complesso è lo zootropio (Horner), inventato
attorno al 1860, un tamburo di cartone provvisto di fessure sui bordi: le immagini disegnate su
lunghe strisce di carta erano sistemate all’interno. Naturale evoluzione dello zootropio è il
praxinoscopio, brevettato nel 1877 da Reynaud: le fessure sono sostituite da un prisma di
specchi sistemato nel centro; per arrivare al Cinematografo non manca adesso che la fotografia.
Già nell’agosto del 1839 il francese Daguerre aveva prodotto le prime immagini fotografiche
sviluppandole con un complicato procedimento su una lastra di rame coperta d’argento (i
dagherrotipi). C’è però un inconveniente: gli interminabili tempi di posa non consentivano
ancora di riprodurre oggetti o figure in movimento. Entra in scena Stanford, un miliardario
californiano, grande appassionato di equitazione; è lui ad affidare ad un fotografo inglese,
Muybridge, l’incarico di analizzare i movimenti in corsa dei suoi purosangue. Nel corso del
1878 Muybridge ha l’intuizione giusta, sistema lungo la pista di un ippodromo, ventiquattro
apparecchi fotografici, a regolare distanza l’uno dall’altro, pronti a scattare automaticamente al
passaggio dei cavalli; le serie di fotografie così realizzate vengono poi stampate su una lastra
trasparente e proiettate con lo zoopraxinoscopio, una macchina in grado di mostrare anche
immagini rallentate. Durante il 1881 Muybridge incontra a Parigi Marey, un fisiologo
interessato allo studio del volo degli uccelli; Marey brevetta nei mesi successivi un curioso
apparecchio, il fucile fotografico, capace di eseguire dodici scatti al secondo. Sempre Marey
realizza a partire dal 1888 le prime riprese su pellicola, utilizzando un’altra sua brillante
invenzione, il cronofotografo.
Anche Edison, inventore negli anni Settanta del telegrafo automatico e del fonografo, aveva
deciso di cimentarsi con il problema della registrazione e della riproduzione del movimento;
dopo aver incontrato Marey a Parigi, Edison era rientrato nel suo laboratorio di West Orange e
si era messo al lavoro. Con l’aiuto dello scozzese Dixon, il più brillante dei suoi assistenti,
progetta un rudimentale marchingegno, un cilindro rivestito di una sostanza fotosensibile
collegato ad un obiettivo fotografico; l’apparecchio, azionato a mano, consente di fissare in
decine di fotogrammi un soggetto in movimento; dopo ulteriori aggiustamenti viene battezzato
col nome di “fonografo ottico”. Nel corso del 1888 questo progetto viene rimpiazzato da una
camera fotografica più complessa che utilizza le nuove strisce di celluloide, inventate e messe in
commercio da George Eastman. Per renderne più uniforme lo scorrimento la pellicola viene
dotata di perforazioni su uno dei lati. Nell’estate del 1891 Edison deposita il brevetto della sua
nuova invenzione: il kinetoscopio. Rispetto agli apparecchi già sperimentati in Europa, tutti
azionati da una manovella, il kinetoscopio si serve di un piccolo motore elettrico. Edison fa
costruire a questo punto un teatro di posa in grado di ruotare sulla propria base: il tetto dello
studio era dotato di lucernari per consentire ai raggi del sole di filtrare e illuminare il
palcoscenico; la pellicola impressionata viene quindi inserita in una grossa scatola di legno, il
kinetoscopio, nel cui interno scorre lungo un’interminabile catena di ingranaggi. Il kinetoscopio
è attivato da una moneta da cinque centesimi e consente la visione ad uno spettatore per volta.
La prima sala, attrezzata con dieci apparecchi, viene inaugurata a New York nell’aprile del
1894: i soggetti, della durata di una trentina di secondi ciascuno, sono quelli classici dello
zootropio, atleti, acrobati, animali ammaestrati. A filmare le prime brevi sequenze è Dixon, che
si occupa anche della messa in scena. Sempre all’interno della sala, la Black Mary, si esibisce il
campione del mondo dei pesi massimi allora in carica. Combinando poi fonografo e
kinetoscopio Edison affronta anche i problemi del cinema sonoro, ma il risultato non lo
soddisfa. Protetto dall’ennesimo brevetto il kinetoscopio attraversa l’Atlantico e debutta a
Londra, in Oxford Street, nell’autunno del 1894. ignaro di tutto ciò il pubblico di Parigi
applaude ancora negli stessi mesi all’artigianale Teatro Ottico di Emile Reynaud, che utilizza la
tecnica, ormai superata del praxinoscopio. “Attorno a una cabina”, questo è il titolo di uno
spettacolo di Reynaud che anima le sue avventure balneari sullo sfondo di scenografie
miniaturizzate e disegnate su vetro, così da poter essere proiettate; l’opera possiede tutte le
caratteristiche di un disegno animato, è sceneggiata con fantasia e una buona dose di humour e
associa le immagini a una musica sincronizzata. Reynaud è un poeta e un artista, ma nulla può
contro l’incalzare del nuovo. All’inizio del 1895 i Fratelli Lumière brevettano il loro
Cinematografo e iniziano una serie di sperimentazioni davanti a scienziati e uomini di cultura;
in giugno riprendono lo sbarco dei partecipanti al Congresso della Società Fotografica Francese
e ne proiettano l’immagine la sera stessa, al termine dei lavori, riscotendo enorme successo.
Quindi la storica decisione: trovare a Parigi un locale adatto e affrontare il giudizio del
pubblico.”
Normalmente si indicano i Fratelli Lumière come gli inventori del cinema e come coloro che
realizzarono dei film che mostravano la vita colta sul fatto; visioni di vita quotidiana
contrapposte a quelle di Gorge Méliès, il quale verrà immediatamente identificato con il cinema
di finzione, con la messa in scena; in realtà questa distinzione tra i Lumière e Méliès dall’altra
non è così netta perché come vedremo anche i Lumière mettono sempre in atto una sorta di
messa in scena, niente è così naturale come pure potrebbe sembrare a prima vista; inoltre i
Lumière realizzarono anche dei film comici, come d’altro canto Méliès, accanto ai suoi film di
viaggi immaginari, si rifece anche all’attualità: uno dei suoi film è dedicato all’affare Dreyfuss.
I Lumière suddivisero i loro film in tre categorie: i primi film sono “vedute quotidiane” (l’uscita
dalla fabbrica, la colazione del bebè, l’arrivo del treno, la partita a carte), un secondo gruppo,
apparentemente non dissimile dal primo, è dato dalle “vedute di viaggio”, perché i Lumière
mandavano una serie di loro operatori in giro per il mondo a riprendere monumenti, paesaggi
naturali, scene di vita quotidiane ma appartenenti ad altre realtà culturali; il terzo gruppo è
costituito dai “film comici”.
Le caratteristiche dei film dei Lumière: sono riprese fisse, film composti da un’unica
inquadratura, e la ripresa non è propriamente frontale, ma leggermente obliqua, forse per
sfruttare meglio la linea prospettica del movimento; in molti casi si cerca di sfruttare il
movimento dentro il quadro dell’immagine; l’arrivo del treno è per esempio uno dei soggetti più
sfruttati in questa fase del cinema, perché contiene in sé già l’elemento del movimento. Al di là
del soggetto questi film presentano delle differenze, anche se apparentemente si limitano a
registrare avvenimenti della vita quotidiana; questa registrazione comunque non è mai o quasi
mai neutra, anche quando siamo portati a percepirla come tale: il filmato dell’uscita dalla
fabbrica in realtà era stato sicuramente preparato, non è un documento di quel tempo su come
erano vestiti gli operai, ma i Fratelli Lumière avevano proprio ordinato a quegli operai di
mettersi il vestito della festa; c’è anche l’attenzione alla costruzione del movimento, cioè
vengono inserite azioni di movimento, come la bicicletta, e la presenza di un cane; alcuni di
questi film, quelli a soggetto comico, anche se sono composti di un’unica inquadratura,
costituiscono già una forma di narrazione cinematografica, pur avvenendo dentro un unico
fotogramma. In realtà raccontano una storia, cioè vengono messi in scena una serie di eventi
ognuno dei quali avrà una ripercussione su un altro evento e darà origine a qualcosa di nuovo:
una situazione di ordine e di equilibrio iniziale che viene interrotto da qualcosa, scatta quindi
una serie di conseguenze per tornare poi alla situazione di partenza o di equilibrio. Nessuno di
questi film è davvero la vita colta sul fatto poiché tutti sono costruiti e le riprese ben
organizzate.
Tra i 35 spettatori che assistettero alla prima proiezione dei Fratelli Lumière c’era anche Méliès
che a quel tempo dopo aver abbandonato l’impiego familiare (il padre era proprietario di una
fabbrica di scarpe) vendette la propria quota di proprietà della fabbrica per acquistare un teatro
dove lui stesso svolgeva la funzione di prestidigitatore, organizzando spettacoli di illusionismo e
di magia; venne quindi invitato ad assistere a quelle prime proiezioni e ne rimase affascinato;
cercò in tutti i modi di acquistare la macchina dei Lumière, senza riuscirci; poi ne acquistò una
in seguito e da un lato traspose i suoi trucchi e i suoi spettacoli teatrali, e li riprese, dall’altro si
appropriò di quel mezzo tecnico, sfruttando tutti i trucchi che il cinematografo rendeva possibili;
nel kinetoscopio di Edison abbiamo già assistito al primo trucco cinematografico (nel filmato
della esecuzione di Maria Stuarda), realizzato con l’interruzione della ripresa e la sostituzione di
un uomo con un manichino; lo spettatore di allora non si accorgeva di questo trucco.
Méliès darà vita ad una miriade di trucchi nei film realizzati negli anni successivi: “l’uomo
orchestra” (basato sulla sovrimpressione, cioè la pellicola cinematografica viene impressionata
per molte volte, e Méliès riesce a sdoppiarsi in tanti personaggi); “Il viaggio sulla luna” è il suo
più celebre film, della durata di dieci minuti circa, composto non più da un’unica inquadratura,
ma da una serie di inquadrature, ma la scena non viene ancora frantumata in più inquadrature da
più punti di vista; sono una serie di vedute tutte riprese con un totale, cioè viste dallo spettatore
dallo stesso punto di vista e alla stessa distanza e procedono una dietro l’altra; in realtà Méliès
fa qualcosa di più, crea un collegamento tra una inquadratura e l’altra avvalendosi della
dissolvenza incrociata (il cambio non avviene per stacco, ma c’è una frazione di tempo in cui
compaiono due immagini, poi una scompare lasciando il posto all’altra). Se i Lumière
proponevano, attraverso il cinema, dei viaggi reali, nel senso di esplorazioni dei diversi luoghi
del mondo, per mostrarle poi all’uomo, Méliès propone sì attraverso il cinema una forma di
viaggio, ma non in termini geografici, bensì in termini immaginari, nel regno della fantasia.
Niente sembra avere a che fare con la realtà ripresa dai Fratelli Lumière.