Chioggia nel Medioevo Arti e Mestieri in Clugia

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Chioggia nel Medioevo Arti e Mestieri in Clugia
Chioggia nel Medioevo
Arti e Mestieri in Clugia
Direzione Didattica 5 Circolo – Chioggia
Scuola Elementare "B. Caccin"
a.s. 2001/2002
Progetto Marciliana
Classi 4^ A-B-C-D
La Marciliana, antica nave destinata al piccolo commercio, detta magna quando raggiungeva
tonnellaggi considerevoli, è il simbolo della manifestazione e ne dà il nome. Costruita
prevalentemente nei cantieri medievali della nostra città, divenne sinonimo del coraggio e dello
spirito di adattamento dei nostri marinai. Centinaia di marciliane percorsero l'Adriatico ed il
Mediterraneo orientale per tutto il medioevo sino alla fine del 700. Per due giorni (il terzo sabato e
la terza domenica di Giugno) viviamo e facciamo vivere un'atmosfera medioevale. La piazza si
anima dei vari personaggi come se fossero ritornati in vita da un lontano passato: gli artigiani intenti
alle loro occupazioni, le lavandaie a far bucato con la cenere per sbiancare i panni, il fornaio a
cuocere il pane, le ricamatrici, gli osti con gli avventori rumorosi, i monelli intenti ai loro semplici
giochi, gli armati a fare esercizio d'armi, i contadini ad accudire all'orto ed ai loro attrezzi.
E' giorno di fiera, la fiera del sale, ed i salinai decantano la purezza del loro prodotto; i musici
rallegrano i visitatori venuti dalle terre di Lombardia per acquistare il sale, il popolo festeggia con
balli e musiche per la nuova ricchezza che arriva in città.Il cerusico promette miracolose guarigioni
e qualche ladruncolo approfitta della confusione, il precone informa ad alta voce cittadini e
forestieri sulle disposizioni per l'ordine pubblico, contro le sofisticazioni, sulla pulizia della
piazza…ma gli armati sono vigili perché i nemici sono sempre vicini…
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Arti e Mestieri
FORNAIO “PISTOR”
Il mestiere del fornaio o pistor era sicuramente diverso da quello degli attuali panettieri. Diverse
erano le qualità di pane e diverso l’impasto che, oltre al frumento, conteneva altri cereali come il
miglio e il sorgo. Il pistor, cuoceva l’impasto preparato dalle donne a casa, ma qualche volta,
preparava egli stesso alcune pagnotte per i viaggiatori o per chi non poteva prepararsele da solo.
L’abilità del fornaio consisteva nel saper mantenere la giusta temperatura durante la cottura; non
dimentichiamo che non aveva a disposizione né orologio né termometro. Possedeva quest’arte solo
chi aveva molta esperienza perché aveva fatto fin da giovane il “putto” di bottega. Il calore del
forno era ottenuto bruciando fascine di canne palustri essiccate.
I Tipici prodotti da forno erano “i papini” (le
squisite ciambelline pasquali che ancor oggi si
possono trovare in qualche forno), ”i bossolai”,
“le roscane” (grossi ciambellotti di pane secco a
lunga conservazione).
Nel Medioevo l’impasto per il pane era preparato
due volte il mese, preferibilmente di giovedì, e
portato a cuocere il sabato in modo d’avere,
almeno per qualche domenica, del pane morbido.
Il pane era solitamente secco e nero, quello
bianco era solo per le grandi occasioni. Pochi
erano i dolci e destinati solitamente alle famiglie
ricche; erano a base di frutta e al posto dello
zucchero che non esisteva si usava il miele o la
zucca. Il dolce natalizio dei poveri era la
“smegiassa” preparata con l’economica melassa
di barbabietola.
IL FALEGNAME “MARANGON”
Uno dei mestieri più antichi è quello del
falegname. Il legno, infatti è sempre stato un
materiale facilmente reperibile e versatile. I
falegnami, detti a Chioggia “marangoni”,
producevano: imposte , porte, mobilia,
suppellettili, attrezzi da lavoro e pesino mezzi di
trasporto terrestre. Purtroppo non c'è rimasto
niente degli oggetti di legno prodotti ai tempi
della guerra con i Genovesi perché tutti i
principali edifici furono rasi al suolo. Si suppone,
però, che in quel periodo i falegnami avessero
contribuito alla bellezza di molte chiese. Nella
bottega dei marangoni lavoravano il maestro,
alcuni operai specializzati e gli apprendisti detti
“putti”. I maestri davano le direttive; i
Nella bottega del falegname gli oggetti venivano
dipendenti, per ottenere la qualifica superiore,
progettati in relazione al materiale disponibile
dovevano superare la prova d’arte. I pochi
perché non venisse sprecato legno. Erano i
attrezzi metallici del falegname medievale erano
“segantini”
che sgrossavano i pezzi con delle
molto preziosi perché fatti a mano da abili fabbri.
grandi seghe dotate di manici contrapposti.
Come carta vetrata veniva usata la pelle essiccata
di alcuni pesci come lo squalo smeriglio.
IL RETAIO
La rete veniva realizzata filando e intrecciando fibre
naturali come la canapa, usando la “linguetta” di legno
per ottenere le maglie della rete, lavorando in modo simile
a quello che si fa con l’uncinetto. Poi veniva fatto un
trattamento “antiputrescente”: la “intenta”, cioè la rete
veniva trattata in un bagno di gemme di pino.Le reti
antiche non erano molto grandi perché pochi andavano a
fare la pesca d’altura e, visto che non si poteva conservare
il pesce se non con il sale, non serviva pescarne grosse
quantità.Le reti erano fabbricate dalle donne, dagli
anziani, da tutti quelli che, pur appartenendo a famiglie di
pescatori, non potevano andare in mare. Alla produzione
delle reti si dedicavano le persone più deboli e più povere.
I retai godevano ingiustamente del minor prestigio e
avevano basse retribuzioni. Ma con la crisi dell’attività
cantieristica e navale dell’età napoleonica, ebbe un
notevole calo anche l’attività dei canevini che si ridusse
di molto (nel1847 erano solo 11).
L’attività, comunque, si mantenne viva fino a pochi anni
fa e gli ultimi canevini sono stati i fratelli Voltolina che
ereditarono il mestiere nel 1927 dal padre. Le zone in
cui si svolgeva l’attività erano principalmente: Campo
Marconi (chiamato “Cava”), calle Cipolla, calle Forno
Filippini e il “Fossò”, la zona di fronte al cimitero di
Chioggia.
IL CORDAIO “CANEVIN”
Uno
degli antichi mestieri più interessanti dal
punto di vista manifatturiero era l’arte dei
“canevini” (cordai). I “filacanevi” avvolgevano
sottili fili di canapa fino a farli diventare robuste
corde per l’attracco dei bragozzi o reti da pesca.
Per attorcigliare i fili venivano usate grandi ruote
di legno o di ferro (fusolere) che venivano girate
a mano o mediante un paio di “masiole”
(manovelle) portatili, fissate al petto dei “putti”
(ragazzini) che le manovravano allontanandosi
sempre più dal padrone che lasciava sfilare
lentamente il canapo.Tutto questo avveniva
mentre i fili scorrevano su rudimentali cavalletti
di legno. Molti erano i ragazzini impegnati in
questa attività, e la frase “Te mando dai canevini
se ti sta cativo”, era diventata un detto
popolare.Fino al ‘700 i “canevini” erano un
numero discreto, ma non tale da soddisfare tutte
le richieste di cordame dell’epoca
SARTO “SARTORE”
Chi ha detto che l’abito non fa il monaco?A
Chioggia l’abito era una vera e propria carta
d’identità e nessuno avrebbe osato cambiare il
vestiario usato dalla propria “casta”. Pochi, però
potevano permettersi il “sartore” (sarto); inoltre i
ricchi preferivano acquistare i propri abiti a
Padova o a Venezia, snobbando i sarti clodiensi.
Le donne chioggiotte, piuttosto che spendere
soldi in vestiti, si davano da fare per rattoppare e
riciclare i vestiti passandoli dal marito al figlio
fino alla totale usura.Gli ortolani si distinguevano
per le calze azzurre, il saio lungo fino ai lombi e
il berretto di colore diverso dagli altri. I marinai
usavano il "giacheton" (giaccone pesante) più
corto. I pescatori usavano vestiti di flanella o di
panno grezzo, calze grosse di lana fino a metà
coscia, fascia di lana al collo e berretto rosso con
fiocco blu, come cintura una cordicella girata più
volte in vita.
Oltre ai vestiti da lavoro, c’erano i vestiti “ da
tera” (da passeggio), ma spesso erano lo stesso
tipo di abiti. Le donne vestivano tutte allo stesso
modo: “tonda” (grembiule), “polacca” (busto),
“traverson” e fazzoletto colorato. Il censimento del
1896 a Chioggia conta 12 sarti e 28 “calegheri” (calzolai).
REMAIO “REMERO”
Gran parte delle attività artigianali a Chioggia
erano incentrate sulla pesca. Lo scafo della barca
veniva fatto in squero, mentre tutti gli accessori
venivano fatti da artigiani appositi. Il “remero”
(remaio) era l’unico in grado di costruire i remi
secondo regole ben precise e tecniche tramandate di
generazione in generazione. Quella del “remero”
era proprio un’arte che affascinava i giovani
garzoni che volevano apprendere il mestiere anche
se malpagati.Il legno usato poteva essere il
rovere, il pino, il larice e l’abete. Lo strumento più
usato era la “dalavora” o “sgheldura”, una piccola
scure per il taglio del legno; altri strumenti
venivano usati per l’intaglio.Il “remero”
costruiva anche le “forcole” (scalmi), i
Fino alla seconda guerra mondiale, il remero era “paternostri” (corone che legavano l’antenna
un lavoro ancora in voga a Chioggia. L’ultimo
all’albero), le “bigòte” (bozzelli per tirar su con le
laboratorio è stato quello di Aldo Camuffo in calle corde le vele), gli ”scassadiavoli” e i “torcoli”
Luccarini.
(aggeggi per spingere a fondo la rete).
FABBRO “FRAVO”
Si diceva a Chioggia: ”Arcùsene e martelo svele
el bon fravo” (l’incudine e il martello svelano il
buon fabbro).
E infatti il fabbro, detto “pestafero”, lavorava
piegando il ferro rovente usando esclusivamente
incudine e martello. Il “pestafero” costruiva tutta
la ferramenta necessaria per l’interno delle
imbarcazioni, inoltre faceva chiavi, chiavistelli,
serrature, qualche spada e ferri da cavallo. Le
botteghe dei fabbri erano soffocanti per il gran
caldo provocato dai fuochi alimentati dal soffio
della “fòla” (mantice), che servivano a
surriscaldare il ferro. Nel 1896 a Chioggia si
contano 18 fabbri.
CALEGHERO” CALZOLAIO
I “calegheri”, cioè i calzolai, facevano le
calzature con legno e cuoio. Gli uomini
portavano pesanti pantofole, le donne
usavano le pianelline appuntite che
coprivano solo la punta del piede.
I calzolai di Chioggia erano riuniti
nella confraternità di S.Marco con
altare nella chiesa di S.Giacomo.
CESTAIO “SESTARO”
Il mestiere del cestaio, oggi praticamente
scomparso,era un tempo assai diffuso. Il
giunco intrecciato era, infatti, considerato la
materia prima più duttile (cioè facilmente
lavorabile) ed economica.
La professione di cestaio è ricordata nei
cognomi Cester e Cestari. Le fascine di giunco
(detto venco, in dialetto) provenivano
solitamente, dalle campagne circostanti. Le
portavano in città i contadini che qui si
recavano per vendere le loro cose. Grandi
quantità ne arrivavano a Clugia, attraverso i
canali, anche da Lauretum (Loreo) e da Caput
Aggeris (Cavarzere).Questo materiale, che
abili mani intrecciavano con gran rapidità
nelle diverse forme, era utilizzato per la
realizzazione di tutti i contenitori destinati
all’uso domestico, perché costavano molto
meno di quelli in legno, e per i contenitori
destinati ai lavori legati al mare e alla
campagna. I “cestari “ chioggiotti erano però
specializzati nella produzione di vivai per
pesci e crostacei e dei “vieri“ in particolare.
Quest’attività è sopravvissuta fino agli anni
sessanta. L’ultimo intrecciatore di venchi lo si
poteva ammirare fino a pochi anni fa davanti
al suo magazzino in calle Malanni.
I carpentieri, consapevoli della loro maestria e
CARPENTIERE “SQUERARIOLO”
della loro importanza, ne approfittavano e
A Chioggia, in epoca medievale, una delle categorie costruivano imbarcazioni sotto casa e perfino
che godeva maggior prestigio e potenza era quella in piazza, senza badare alle proteste dei vicini
dei costruttori navali, detti “squerarioi”. A Chioggia o ai danni causati alle proprietà altrui quando
c’erano molti cantieri navali dove carpentieri e
le barche venivano varate. Il Comune dovette
calafati (coloro che tappavano con la pece le fessure intervenire e stabilire che i “squeri”
delle imbarcazioni per renderle impermeabili),
(cantieri)venissero trasferiti sul Canal Vena.
Ma i “galafadi” più orgogliosi trasgredivano
lavoravano dall’alba al tramonto .
volentieri la legge e portavano le loro barche
in processione da Vigo a Santa Maria prima di
vararle. Quello degli “squerarioi” era un’arte e
ognuno di loro possedeva proprie tecniche
segrete e aste con annotate misure
indecifrabili.Una volta che i “segantini”
avevano tagliato le tavole, i carpentieri,
seguendo un preciso disegno, costruivano
l’imbarcazione usando per lo più un sistema di
incastri e di uciture catramate, anche perché
non era facile trovare i chiodi metallici. Alla
fine della costruzione della struttura,
l’imbarcazione veniva resa impermeabile
riempiendo le fessure di stoppa saturata di
pece. La “pegola” nera veniva usata al posto
della vernice. Molto importante era anche il
lavoro di manutenzione del fondo e della
.
struttura che i calafati facevano. Senza una
buona manutenzione, le imbarcazioni,
costruite senza chiodi, si sarebbero ben presto
smembrate.
ORAFO
L’oro era un simbolo di potere, di condizione
sociale agiata, e spesso per i ceti più umili, era un
modo per eguagliarsi ai ricchi. A Chioggia il culto
dell’oro è sempre stato ben radicato e le mogli dei
pescatori non rinunciavano al passeggio al braccio
del marito, con qualche anello e qualche collanina,
anche se di poco valore. Naturalmente erano i nobili
a far sfoggio per piazza, soprattutto nei giorni di
festa, di gioielli preziosi. Gli orafi usavano varie
tecniche per lavorare il prezioso metallo, ottenuto
mediante fusione con altri metalli per migliorarne la
consistenza.
La tecnica della “Filigrana” consisteva
Tuttavia le tecniche più comuni erano quella
nell’intrecciare e schiacciare uno o più fili d’oro per
classica dell’ ”Incisione” ottenuta grazie al
creare delle decorazioni: questa tecnica era usata in
bulino, strumento che cambiava forma a
particolare per gli oggetti sacri; la “Granulazione”
seconda delle esigenze dell’orafo, e quella
veniva ottenuta con minuscole perline saldate su
dello “Sbalzo e Cesello” che permetteva di
una superficie liscia. Famosa era anche la tecnica
dare rilievo a gioielli e oggetti preziosi (calici,
della “Cera persa” con la quale il gioiello veniva
tabernacoli, candelabri) Insomma l’arte orafa
realizzato all’internodi uno stampino di cera,
si presentava, fin dalle sue origini, anche a
colando all’interno l’oro fuso.
Clugia, in tutto il suo splendore e difficoltà di
tecniche.
SCALPELLINO
lI mestiere dello scalpellino non era molto
diffuso nella Chioggia medievale. La gente del
luogo aveva difficoltà a procurarsi
comodamente la pietra. La trachite dei Colli
Euganei era molto cara perché i Padovani vi
imponevano pesanti dazi, la candida pietra
d’Istria, invece, acquistata sull’altra sponda
dell’Adriatico e trasportata, via mare, correva
il rischio di essere rubata dai pirati che allora
infestavano i mari in grande numero.
I blocchi di pietra erano utilizzati solo per i
lavori in cui non si poteva usare un altro
materiale.
I pochi scalpellini dovevano, perciò, lavorarlo
con maestria per non sprecarlo. La preziosità
della pietra e del marmo ne imponeva un uso
parsimonioso e d’altissima specializzazione.
I pochi pezzi disponibili erano destinati alle
chiese e al palazzo del Governo.Gli scalpellini
dell’epoca dovevano essere, così, dei veri e
propri scultori. Tracce di realizzazioni d’epoca
medievale si trovano sparse per la città. Sono
statuette e particolari decorativi. Ne sono
esempio i piccoli simulacri di santi collocati in
nicchie esterne sulla parete settentrionale della
cattedrale. Sembra siano state salvate dalla
distruzione, a causa di un incendio, del
precedente duomo romanico.
IL SALINAIO
Chioggia divenne famosa nel medioevo grazie
alla produzione del sale in laguna.
L’estrazione del sale richiedeva impianti
idraulici complessi costruiti grazie alla
collaborazione di un gran numero di lavoratori.
Tali strutture si chiamavano fondamenti ed
erano costituiti da decine di vasche di raccolta
chiamate saline.
Un fondamento era di forma rettangolare,
molto grande (poteva essere lungo 700m. e
largo 300m.) e la manutenzione degli argini
esterni richiedeva forti spese che venivano
ripartite fra i proprietari delle saline.La
raccolta si svolgeva da giugno a settembre, poi
la porta principale veniva aperta e le acque
invadevano tutte le saline. I salinai, per
raccogliere il sale, usavano un grande rastrello
chiamato “gavarro”.
IL PESCATORE
Il pescatore era uno dei lavori più diffusi a
Chioggia. La pesca si svolgeva in due forme:
vallicoltura e pesca vagantiva.
Nei fondamenti di saline abbandonati si allevavano
orate, anguille e molluschi.
La pesca vagantiva (con le barche) si svolgeva in
laguna e nelle acque costiere.
I pescatori usavano piccole imbarcazioni nelle quali
lavoravano due o tre persone. Venivano usate reti di
vario tipo: ostregheri, tratte… Dal 1400 si diffuse
anche la pesca notturna e sulla prora della barca
veniva posto un braciere con il fuoco acceso.
L’ORTOLANO
Nel medioevo a Chioggia molti salinai
si dedicavano anche al lavoro dei
campi. Finita la stagione della raccolta
del sale, molti uomini e donne
coltivavano i terreni adiacenti alle loro
case. Le proprietà erano divise in terreni
rettangolari fra di loro paralleli e
formavano una struttura simile a quella
dei fondamenti.Il territorio di Chioggia
non si prestava alla coltivazione dei
cereali,così si sviluppò l’orticoltura e la
viticoltura.
VASAIO - CERAMISTA
A Chioggia c’erano molti vasai e ceramisti che
lavoravano l’argilla reperibile nei pressi dei fiumi
che allora non avevano argini.Una volta eliminate le
impurità, il ceramista plasmava l’argilla con le sue
mani fino ad ottenere la forma voluta. Per fare vasi,
ciotole, piatti e altri oggetti di forma cilindrica, si
faceva girare la materia prima su di un tornio spinto
a piede. Altre forme si ottenevano comprimendo
l’argilla dentro degli stampini di gesso. Una volta
ottenuta la forma, si procedeva alla verniciatura con
sostanze vetrificanti e infine alla cottura che doveva
avvenire a temperatura elevatissima. Non essendoci
strumenti per misurarla il vasaio esperto sapeva
orientarsi osservando il colore che i minerali
assumevano durante la cottura. Quando un lavoro
non riusciva bene veniva gettato nei canali e, dai
cocci rinvenuti, abbiamo potuto constatare che i
ceramisti di Chioggia erano proprio bravi.
MURERO
Nel Medioevo i muratori formavano una
categoria potentissima in tutta Europa. Essi si
spostavano da un luogo all’altro per acquistare
gli appalti delle grandi opere: cattedrali,
palazzi, castelli e fortificazioni delle città-stato
e non volevano assoggettarsi al potere politico.
Non volevano lavorare come sudditi dei vari
principi, ma prestare la loro opera come liberi
imprenditori.
A Chioggia una delle più importanti opere
medioevali è la torre di S. Andrea, progettata
secondo precisi calcoli. Ma altre torri di
avvistamento erano state fatte costruire dal
governo di Clugia un po’ dappertutto, per
difendere le saline dalle aggressioni.Tra le più
importanti costruzioni sono da ricordare La
Torre di Bebe lungo la strada che congiunge
Chioggia a Cavarzere e il Castello della Lupa
nella fortezza di San Felice. Tali opere
testimoniano l’abilità dei “mureri” chioggiotti
specialmente nei calcoli delle fondamenta su
terreni instabili. Questa loro esperienza le rese
famosi e ricercati anche presso altre città.
IL MONACO
Il senso religioso a Chioggia era, in epoca
medievale, molto forte anche a causa delle difficoltà
della vita. Infatti carestie, epidemie, pestilenze,
burrasche erano molto frequenti e la gente sentiva il
bisogno di rivolgersi a Dio con la preghiera.
Testimonianza della vita religiosa erano le numerose
confraternite di laici e i monasteri e conventi che vi
erano.
Oltre al monastero benedettino di San Michele
(anteriore al 727) di Brondolo,furono costruiti i
seguenti conventi:
San Giovanni Battista fuori mura (Camaldolesi);
San Francesco fuori mura (Francescani); San
Nicolo’ (Agostiniani); San Domenico
(Domenicani).Esistevano anche due monasteri di
monache cistercensi: Santa Caterina nell’ isola
Saloni e Santa Caterina del deserto (nel luogo dove
ora è situata la scuola elementare Caccin). Dopo la
guerra di Chioggia rimasero intatti solo i monasteri
di San Domenico e San Nicolò.