Marzo 2016

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Marzo 2016
LA CARITÀ IN RETE
BOLLETTINO CURATO
DA FRANCO BARIGOZZI
VIA PRIVATA BELVEDERE, 5/B - 28887 OMEGNA (VB)
MARZO 2016 – NUMERO 40
COLTAN: I NOSTRI CELLULARI
E LE GUERRE NEL MONDO
Pensate ai vostri regali, pensate a quante volte dei genitori per far felici e
rendere più moderni i loro figli hanno regalato loro telefoni cellulari e video
giochi di ultima generazione. Ma qualcuno si è mai fermato a pensare a
quanto costa realmente quell’oggetto così normale oggi per noi? Non in
termini di denaro, ma in termini di vite umane e di distruzione.
Uno dei componenti fondamentali di tutti i nostri telefoni, video camere, video
giochi è un conduttore chiamato Coltan.
Che cos’è il
Coltan?
Diversi pensano
che molte guerre
Africane siano la
causa di conflitti
tribali, ma non è
così.
Quasi
nessuno lo sa,
ma
questo
minerale è la
causa principale
della guerra che dal 1998 ha ucciso più di 4 milioni di persone nella
Repubblica Democratica del Congo ed è oggi, uno dei componenti
fondamentali dei nostri cellulari, un metallo più prezioso dei diamanti.
Il coltan è la combinazione tra colombite e tantalite; la percentuale di
quest’ultima appunto è quella che determina il prezzo del Coltan e serve per
i nostri componenti tecnologici. Ha l’aspetto di sabbia nera e rappresenta un
elemento fondamentale in video camere, telefonini e in tutti gli apparecchi HI
TEC (come la playstation) serve a ottimizzare il consumo della corrente
elettrica nei chip di nuovissima generazione rendendo possibile un notevole
risparmio energetico.
E’ un minerale così prezioso da aver visto il suo prezzo sul mercato
aumentare di più del 600% in appena 4 anni: è un minerale sempre più
presente e sempre più ricercato. Il tantalio appunto, estratto dal Coltan,è un
metallo raro usato per aumentare la potenza degli apparecchi riducendo il
consumo di energia.
I nuovi telefoni cellulari sono così piccoli anche grazie all'utilizzo di questo
minerale, in particolare usato nella costruzione di condensatori e così la sua
richiesta da parte dei colossi della telefonia mobile ha spinto il prezzo ad
un'inarrestabile ascesa; i prezzi poi sono rimasti alti anche perché gli unici
sostituti a questi condensatori - quelli fatti in ceramica - non possono adattarsi
alle dimensioni ridotte desiderate.
Il tantalio mondiale veniva fornito da miniere brasiliane, canadesi e
australiane, ma in seguito all'improvviso aumento della sua richiesta, le
miniere esistenti non erano sufficienti a coprire l'improvvisa domanda e così
sono state cercate nuove fonti dal quale estrarlo. L'80% delle riserve
mondiali di coltan si trova in Africa : ecco perché la storia del coltan si lega in
maniera indissolubile alla Repubblica Democratica del Congo, unico paese al
mondo a possedere riserve di tantalio immediatamente utilizzabili.
Il
coltan
congolese
è
estratto
da
estemporanei
minatori
che
scavano, anche a
mani nude, per
estrarre
questa
preziosa sabbia e
quindi portarla a
spalla fino ai centri
di
raccolta.
Contiene una parte
di uranio, quindi è
radioattivo, provoca
tumori e impotenza sessuale, viene estratto dai minatori a mani nude.
Le miniere di Coltan hanno l’aspetto di grandi cave di pietra, il minerale si
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ottiene spaccando la roccia; spesso i guerriglieri del RDC (Rassemblement
Congolaise pour la Democrazie ) si divertono a terrorizzare i civili ed i
minatori uccidendoli nelle miniere, tanto che i lavoratori hanno dovuto
scavare delle buche in cui ripararsi ogni volta che arrivano i ribelli.
Ma come si lega il problema della guerra al coltan?
L’ 80 % del Coltan in circolazione si trova solo in Congo, alcune delle più
grosse multinazionali sfruttano queste miniere ed i congolesi che vengono
pagati 200 dollari al mese (la paga di un normale lavoratore in Congo è di 10
dollari al mese).Questo scatena una vera e propria corsa alle miniere da
parte dei guerriglieri che se ne vorrebbero impadronire, non solo dal Congo
ma anche dalla vicina Uganda e Rwuanda. Ma come è facile prevedere
estrarre questo prezioso minerale ha i suoi effetti indesiderati, solo per i
minatori ovviamente. I soldi che le multinazionali spendono per estrarre il
Coltan come sempre non servono per alimentare la popolazione, costruire
scuole o ospedali, tutt’altro, servono a finanziare la guerra, comprare Armi,
dar
da
mangiare
ai
soldati.
Pochi sanno quali sono esattamente le società che comprano il Coltan. Non è
facile scoprirlo, perché ci sono decine di intermediari che passano
dall’Europa, in particolare dal Belgio (si sospetta che anche l’ex compagnia
aerea di bandiera belga la “Sabena” trasportasse illegalmente il minerale).
Ma i principali fautori di questo che sta diventando un genocidio sono Nokia,
Eriksson e Sony; non basta, sotto c’è anche un mercato nero del coltan che
viene rubato dai guerriglieri e poi rivenduto attraverso altri mediatori
ugandesi, rwuandesi, e spesso europei ed americani.
Ci sono rapporti che dimostrano che Rwuanda,Uganda e Burundi sono
coinvolti nel traffico di coltan in Congo, e utilizzano i profitti generati dal suo
prezzo elevato per continuare la guerra.
Si stima che l'esercito rwuandese riceva almeno 250 milioni dollari in 18 mesi
dalla vendita di coltan, anche se il Ruanda non ne ha.
Tutti i paesi coinvolti nel conflitto negano di avere sfruttato le risorse
naturali del Congo.
Le responsabilità
Le responsabilità sono evidenti. Questo traffico sarebbe impossibile senza la
partecipazione delle autorità locali, che invece di pensare al bene comune,
permettono lo scempio del loro territorio e sono complici delle milizie. Inoltre
abbiamo le autorità nazionali che non intervengono, le compagnie minerarie
straniere che sfruttano il territorio , ma non pagano le tasse al Paese e
trasformano altrove i minerali, gli stati confinanti che fomentano il caos per
arricchirsi.
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E’ la popolazione locale a pagare il prezzo più alto di questa illegalità per lo
sfruttamento e le violenze inaudite.
Le miniere sono gironi infernali; se le persone non muoiono lavorando,
spesso si ammalano di malattie linfatiche a causa della radioattività del
terreno.
Il costo sociale è elevatissimo.
Migliaia
di
ragazzi
non
frequentano la scuola , molte
donne sono vittime di violenze
fisiche e sessuali; spesso le
ragazze sono avviate alla
prostituzione.
Chi può se ne va, emigra
verso altre regioni del Congo o
all’estero.
I
proventi
delle
risorse
minerarie vanno a finire nelle
mani delle milizie
che
continuano ad alimentare il
conflitto, invece di finanziere il
sistema di infrastrutture locali,
le scuole,gli ospedali.
Che cosa possiamo fare?
Informare meglio, denunciare
questa realtà, diffondere
quello che già sappiamo.
Abbiamo bisogno di un telefono nuovo ogni anno?
Abbiamo bisogno di consumare così tanto?
Vale la pena l'usa e getta?
Fairphone: il primo telefono “etico”
E’ uscito un nuovo smartphone che si dichiara “giusto”, sia nei confronti dei
diritti dei lavoratori sia dell’ambiente. Di fatto non lo è al 100%, ma ha grandi
meriti e discrete attenzioni verso l'ambiente e il sociale. Dal punto di vista
tecnico, invece, non ha molto da invidiare a Samsung ed Apple. Il nome la
dice lunga: Fairphone. Letteralmente significa telefono “equo”, “giusto”.La sua
caratteristica principale è infatti, proprio quella di dichiararsi uno smartphone
“responsabile” nei confronti dei diritti umani e dell’ambiente. L’obiettivo
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rimane quello di realizzare telefonini che non utilizzino coltan proveniente da
miniere controllate da signori della guerra e che siano assemblati da
lavoratori ai quali vengono riconosciuti i diritti sindacali.
Il primo lotto di 25 mila pezzi è stato realizzato nel 2013 e i telefonini sono
stati consegnati nel 2014.La Fondazione sta trattando con Vodafone e la
telefonia mobile per vendere il telefonino anche attraverso le loro reti
commerciali.
Di cosa si tratta e
come funziona
A gennaio del 2013
l’azienda
olandese
Fairphone ha avviato
una campagna di
raccolta di fondi per
capire se ci fosse
mercato
per
uno
smartphone di questo
tipo,
con
elevati
standard
etici
sia
nell’approvvigioname
nto
della
materia
prima,
che
nelle
condizioni di lavoro e
nelle
politiche
ambientali: chi voleva
poteva già comprare
sul sito dell’azienda, al costo di 325 euro, il suo Fairphone. Una volta
raggiunte le 25mila prenotazioni (in soli sei mesi), si è dato inizio alla
produzione della prima edizione, ora già inviata ai primi acquirenti. In questo
momento si stanno raccogliendo le prenotazioni (ad ora oltre 34mila) per la
seconda messa in produzione.
Il produttore è sempre in Cina, ma a certe condizioni.
La produzione dei Fairphone avviene in Cina, presso l’azienda A’Hong.
Anche in questo caso, quindi, si esternalizza verso paesi a basso reddito, ma
la sua selezione – quantomeno – sarebbe avvenuta secondo una serie di
rigidi criteri: comprensione e adesione ai valori di Fairphone, impegno nel
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miglioramento delle proprie pratiche, dialogo con i dipendenti, trasparenza in
ogni fase della produzione, utilizzo di materie prime che non derivino da zone
di sfruttamento, garanzia di un prodotto eccellente. Fairphone ha valutato tutti
questi aspetti prima di iniziare la produzione, collaborando anche con
un’organizzazione locale, TAOS. In questo modo, è potuta intervenire con
alcuni cambiamenti fondamentali, come il miglioramento delle misure antiincendio, dell’illuminazione nelle aree di lavoro o l’introduzione del pranzo
gratuito per i dipendenti.
Per ogni smartphone, 22 euro alle iniziative etiche
Delle 325 euro del costo finale, 22 euro - secondo quanto sostiene Fairphone
– sono destinati alle attività che garantiscono e migliorano gli standard etici
della produzione. Ecco quali sono.
“Materie prime responsabili”. L’approvvigionamento di stagno e titanio
avviene solo in siti liberi da conflitti e sfruttamento della Repubblica del
Congo.
“Fatto con cura”. Fairphone sta conducendo uno studio sugli stipendi
nell’area in cui si trova il suo produttore, per essere certo che i lavoratori
vengano pagati con un salario dignitoso per vivere (e non solo minimo).
“Un fondo per i lavoratori”. Fairphone ha creato un fondo per i lavoratori,
gestito dagli stessi: per ogni telefono venduto, 1.93 euro vanno a questo
fondo. Sta ai lavoratori decidere che uso farne, se utilizzarlo per premi in
denaro extra, attività di aggiornamento o di svago.
Impatto ambientale. L’azienda attua dei programmi per il riciclo sia dei
Fairphones che dei rifiuti elettronici in generale. Ha messo in piedi delle
strutture per la raccolta di questi avanzi in Ghana, favorendo l’economia
locale. Questi rifiuti vengono poi riacquistati da Fairphone e riciclati secondo
elevati standard da un’organizzazione europea riconosciuta, Umicore. Grazie
a questo sistema Fairphone può essere beneficiaria di tutti i proventi derivanti
dal riciclo, nonché riutilizzare i minerali senza sprechi né danni per
l’ambiente.
VI PRESENTO JOHNN MPALIZA
John Mpaliza ,ingegnere informatico di 45 anni, nato a Bukavu, nella parte
orientale della Repubblica Democratica Del Congo, da 21 vive anni in Italia,
di cui è diventato cittadino.
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Mpaliza ha lasciato il suo
paese per via della dittatura
di Mobutu, trasferendosi in
Italia, seguendo il percorso
comune a molti migranti: il
lavoro sotto caporalato nel
Sud Italia , per poi giungere
in Emilia dove ha conseguito
una laurea in ingegneria
informatica.
Fino a maggio 2014 ha
lavorato
come
programmatore
per
il
Comune di Reggio Emilia
quando ha deciso di lasciare
l’impiego. Oggi John è
diventato un camminatore
per la pace.
“Mi piace pensare che
cammino per portare un
messaggio di pace a tutte le
persone che incontro lungo
la mia strada, per spiegar
loro che, nonostante tutto il
marcio, le guerre, le carestie,
le ingiustizie che ogni giorno
viviamo o conosciamo, il
mondo non è condannato. Sono convinto che proprio grazie alla ricerca della
pace, si possa arrivare ad un mondo caratterizzato da una maggiore giustizia
sociale.”
Essere camminatore per la pace significa sofferenza fisica, morale e
psicologica; significa camminare col caldo e col freddo, col bello e brutto
tempo; significa continuare a camminare anche quando non hai più un soldo
in tasca o quando sei stanchissimo, perché devi arrivare in un posto dove ti
aspettano tante persone che vogliono sentire quel messaggio che ti porta a
marciare decine di chilometri al giorno come un matto.” L’obiettivo è quello di
sensibilizzare sul tema della pace, in particolare di quella della sua terra, la
Repubblica Democratica del Congo, una terra ‘ricca da morire’”. Un Paese
definito uno “scandalo” per la quantità di ricchezze presenti nel suo
sottosuolo, dall’oro ai diamanti, dal rame allo stagno, dal cobalto al
manganese ed al coltan, che lo configurano come uno dei più ricchi al mondo
dal punto di visto minerario e geologico ma al contempo agli ultimi posti
dell’Indice di sviluppo umano, tra i più poveri del pianeta, come condizioni di
vita della popolazione.
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John ha deciso di
avviare
questo
percorso,
per
sensibilizzare
l’opinione pubblica e
i media, ma anche
gli investitori e i
politici. Camminare
affrontando
e
parlando ogni giorno
dei problemi del mio
Congo, crede possa
aiutare i giovani a
capire
meglio
il
mondo e le ingiustizie che li circondano, con la speranza che domani, quando
saranno loro a prendere le decisioni, agiscano per il bene di tutti, del Congo,
dell’Africa, dell’Italia, dell’Europa, di Madre Terra.
Un problema che gli sta a cuore riguarda il coltan la cui ignoranza attorno a
tale questione è ancora tanta nel mondo occidentale,per cui la sua
campagna non è finalizzata alla raccolta fondi, ma alla cooperazione ed alla
consapevolezza in modo da fornire i mezzi alle nuove generazioni per non
sbagliare più.
La marcia della speranza che lui ha avviato mira alla sensibilizzazione contro
lo sfruttamento umano per l’estrazione del coltan .
Le finalità sotto il profilo politico sono state in parte raggiunte, perché a
Bruxelles la tracciabilità dell’intera filiera delle materie prime è ora d’obbligo ,
grazie all’emendamento del gruppo parlamentare Ue guidato da Shultz.
Al voto del parlamento manca ora la ratifica dei 28 paesi dell’Europa , tra cui
l’Italia.
Servizio a cura di Franco Barigozzi
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LE VIGNETTE DI GIOBA
don Giovanni Berti
Le vignette sono tratte da www.gioba.it
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DALL’AIFO DI BORGOMANERO:
INTERVISTA AL SIGNOR SERGIO VERCELLI
NUOVO PRESIDENTE DEL CISS
Rivolgiamo al signor Sergio Vercelli, nota figura per il suo forte impegno nel
volontariato e nel sociale, una serie di domande che lo toccano direttamente
nella veste di nuovo presidente del CISS di Borgomanero.
Essendo membro dell’Aifo locale (Associazione Italiana Amici di Raoul
Follereau) le sue risposte sono permeate di quella sensibilità ed attenzione
verso il mondo dei poveri e degli esclusi per i quali con tanto vigore si era
battuto il giornalista francese R. Follereau.
1) Che cos’è il CISS e quali sono i suoi compiti specifici?
Il C.I.S.S.: Consorzio Intercomunale per la gestione dei Servizi Socioassistenziali di Borgomanero è nato il 1° gennaio 1998, ai sensi della Legge
Regionale n.62 del 13 aprile 1995, come ente strumentale degli enti locali per
la gestione delle funzioni socio-assistenziali. Il territorio del Ciss comprende
26 comuni dell’area nord della provincia.
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Il C.I.S.S. finalizza i suoi servizi e i suoi interventi alla tutela e alla promozione
di un sufficiente benessere psico-fisico-sociale delle singole persone e delle
comunità, attraverso politiche per le famiglie, per la tutela materno infantile,
per le persone disabili, per le persone anziane e per altri soggetti deboli, nello
specifico persone detenute ed ex detenute, persone senza fissa dimora,
persone con problemi di dipendenza.
2) Qual è in particolare il ruolo che devi esercitare?
Il ruolo del Presidente è quello indicato nello Statuto, ma nei fatti deve
rappresentare l’ente, avere cura che vengano rispettati gli indirizzi dei sindaci,
avere attenzione al territorio, a tutte le realtà sociali, dal terzo settore, al
variegato mondo del volontariato.
3) Questo organismo , per le funzioni che svolge, su quali
finanziamenti si regge?
Il Ciss è finanziato per quasi il 90% dalle entrate di trasferimenti della
Regione Piemonte e dalle quote dei comuni , dai rimborsi delle Asl e in parte
minima dalla provincia, e da altri enti.
4) Nella fase dei tagli compiuti dal Governo, i “servizi essenziali “ che
dovete assicurare ne hanno risentito?
I servizi essenziali ne hanno risentito molto marginalmente, non abbiamo
operato con tagli tali da pregiudicare i servizi; abbiamo agito con cautela,
razionalizzando più che tagliare. Almeno sinora siamo riusciti e mi auguro
che sia così anche in futuro; certo c’è stato un aumento dei contributi versati
dai comuni, che malgrado i pesanti tagli hanno concorso al finanziamento del
Ciss.
5) Quali sono le diverse forme di povertà su cui intervenite ed in che
misura sono sostenute?
Le misure che mettiamo in campo contro le povertà sono un aspetto per il
quale dobbiamo trovare e sperimentare azioni più incisive ed efficaci. Quasi
tutti i comuni hanno mantenuto loro le risorse che vengono destinate a
supporto e sostegno dei contributi economici per le diverse situazioni di
povertà, ( pagamento di bollette arretrate, affitti e altri interventi immediati). Io
sono dell’avviso che dobbiamo istituire un tavolo che coraggiosamente
affronti questo aspetto, che sia l’ente ad assumere un ruolo di regia, che
comprenda e coinvolga tutte le associazioni, gli enti, la Caritas, per affrontare
al meglio un aspetto che non è marginale nè secondario rispetto ad altri
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settori. Sinora per non eludere la domanda, con l’esiguità delle risorse
destinate cerchiamo di attivarci confrontandoci con le amministrazioni locali, e
soprattutto con le assistenti sociali e il segretariato sociale che sono in prima
linea in aggiunta al servizio professionale; a volte si inventano risposte,
coinvolgendo ambiti e risorse attraverso reti locali, che collaborano per
distribuire alimenti, vestiario, prodotti per l’infanzia, evitando di lasciare in
ulteriori difficoltà famiglie o persone.
6) Che cosa ti preoccupa di più in questo momento?
Quello che mi preoccupa di più in Italia è che non ci sia nessun sostegno ai
redditi più bassi. In Italia si parla di reddito minimo garantito, di reddito di
cittadinanza, di inclusione sociale, di aiuto alle famiglie più bisognose. In
Europa , solo la Grecia e l’Italia, non offrono misure di reddito minimo
garantito. Proprio in questi giorni l’Istat ha diffuso il rapporto sulla povertà; nel
2014 il numero di residenti nel paese a rischio esclusione sociale è stimato
intorno al 28,3% , ciò vuol dire che una persona su quattro è a rischio
povertà. Nel rapporto Istat si legge che "l'indicatore del rischio povertà o
esclusione sociale rimane stabile rispetto al 2013: la diminuzione della quota
di persone in famiglie gravemente deprivate (la stima passa dal 12,3%
all'11,6%) viene infatti compensata dall'aumento della quota di chi vive in
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famiglie a bassa intensità lavorativa (dall'11,3% al 12,1%); la stima del rischio
di povertà e' invece invariata".
.
7) Ci sono delle realtà sociali che si stanno sempre più acuendo per
la crisi economica?
Dal mio punto di vista in questi anni di crisi sono aumentate le persone e le
famiglie vulnerabili ; ciò impone ai servizi sociali di misurarsi con nuove
fragilità che coinvolgono non più solamente la fascia di marginalità estrema,
ma una fetta ampia di popolazione appartenente al ceto medio. Accanto alle
cronicità sono aumentate le persone che arrivano per la prima volta ai servizi
sociali.
Per
capire
quanto
sia
profonda
la
persistenza del
disagio sociale
che
investe
molte persone e
famiglie
che
indicano
il
carattere
strutturale
del
disagio
economico
e
sociale
basta
guardarsi
attorno, lo
Sergio Vercelli nel centro di accoglienza di Borgomanero
vediamo ogni giorno girando nei territori delle nostre comunità.
Le realtà sociali che più hanno risentito delle cause della crisi sono le
persone che hanno perso il lavoro, le famiglie che sono passate da due
stipendi a monoreddito, lavoratori precari ed a bassa qualifica, lavoratori
immigrati, giovani che non trovano lavoro, ma anche persone che sono state
espulse dal mondo del lavoro ultra cinquantenni che non trovano più
possibilità di reinserimento lavorativo.
La perdita del posto di lavoro, gli sfratti, le difficoltà a pagare le bollette, la
rinuncia ad alcune cure mediche, l’aumento delle persone che chiedono la
borsa spesa alla Caritas od altre associazioni, denotano una carenza della
rete di protezione sociale.
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8) La tua consolidata esperienza nel mondo del volontariato
e
dell’amministrazione pubblica in che misura ti è di aiuto nello
svolgimento dei tuoi compiti istituzionali?
Sono diversi i contesti del Volontariato e del Pubblico: nel primo c’è
ancora spazio per cercare delle risposte che altre istituzioni non sempre
sono in grado di affrontare, ma che possono essere riconosciute dall’ente
pubblico. Entrando nella rete di servizi, in questo caso con la regia del
pubblico, si ha indubbiamente una visione generale delle situazioni. Nel
mio caso, come hai chiesto nella domanda, se mi è stato di aiuto
l’esperienza del volontariato (che continua anche se ritmi meno intensi),
rispondo di sì avendo in questi anni conosciuto molte persone nei diversi
servizi che hanno raccontato le loro storie. Questo mi porta a pensare che
un aspetto da tenere sempre in considerazione è l’ascolto delle persone, è
dall’esperienza vissuta che ho imparato quanto sia importante creare
legami e relazioni in contesti informali, senza diminuire la validità
dell’ascolto professionale. Un giorno mi piacerebbe che invece di ricevere
le persone
nei luoghi istituzionali si potesse andare nei luoghi dove
vivono le persone, (diverso è in un ufficio), ascoltandole magari seduti a
consumare un pranzo insieme, insomma svolgendo un ascolto di strada.
9) Ci sono delle situazioni in cui avverti una certa impotenza?
Sì, di fronte ad una significativa crescita del numero dei poveri, delle
situazioni di famiglie o persone che hanno perso il lavoro, la casa, la crisi di
questi anni ci consegna un aumento consistente di persone in situazioni di
povertà. E’ una situazione avvertita anche nel nostro territorio, ci sono
persone senza tetto, famiglie sfrattate e bisognose di aiuti che si rivolgono ai
servizi sociali. Io credo che scontiamo in Italia una situazione politica che
non mette ai primi posti la lotta alla povertà, e i contesti locali , in assenza di
una efficace politica nazionale, sono spesso chiamati a far fronte al
fenomeno con strumenti deboli ed insufficienti .
10 Quale nuova politica sociale bisogna avviare ( tipo di welfare) per
essere più incisivi di fronte ai bisogni ?
Io non so francamente cosa mettere in campo, certo questo modello di
welfare non è assolutamente in grado di affrontare questa situazione. Io
penso a modelli di welfare generativo, e non redistributivo,ad un progetto di
costruzione condivisa e partecipata, attivando capacità e risorse dalle
persone. Tutto sarebbe più facilitato se si assumessero stili di vita con
maggiore sobrietà, a volte anche nella gestione di bilanci familiari si
riscontrano carenze notevoli, perché si seguono più inviti a consumare che
non una attenta e responsabile gestione familiare.
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Io partirei dal presupposto che i problemi sociali di una comunità non sono
relegabili solo ai servizi sociali, ma riguardano la comunità nel suo insieme.
E dall’intera comunità vanno affrontati mediante un ruolo attivo e partecipe di
tutti gli attori (istituzioni, associazioni cooperative enti non profit, ma anche
cittadini e famiglie), per dare vita a un nuovo modello comunitario basato sul
criterio
opportunità/responsabilità, oltre che sul senso di solidarietà,
appartenenza, rigore e rispetto nell’utilizzo dei beni comuni e nell’osservanza
delle regole.
Non mi spaventa questo cambiamento, dobbiamo pensare senza farci
travolgere dal pessimismo, che si può uscire da questa crisi lavorando nel
territorio per promuovere e valorizzare la capacità di auto-promozione già
presenti nella società civile. Il ruolo dell’ente pubblico dovrà essere in grado,
senza sostituirsi a nessuno, di assumere una funzione di regia, verifica e
monitoraggio che gli sono propri.
LA PAROLA AI MISSIONARI
AFFINCHE’ NON PARTANO
Il Papa in Centrafrica, a Bangui, ha detto ai giovani: “Non partite; amate il
vostro Paese”. Noi, missionari comboniani a Bambilo, in Congo, siamo
impegnati coi giovani, affinché restino al villaggio e trovino una vita che è
bello vivere, con semplicità e coraggio. Ci impegniamo seguendo alcune
piste: rendere possibili la scuola, la salute, il lavoro, le strade.
In una Assemblea
dei
Missionari
Comboniani
in
Congo, nel 1980,
avevamo
considerato l’esodo
rurale:
i
giovani
abbandonano
i
villaggi cercando la
città. Anche l’Italia
del
dopoguerra
aveva visto vallate e
campagne svuotarsi:
tanti
cercavano
lavoro in periferia. E
ci
siamo
detti:
dobbiamo rendere buona la vita nei villaggi per stabilizzare i giovani. L’acqua
va sempre in discesa, i giovani vanno dove pensano che la vita sarà migliore.
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Le famiglie devono trovare scuole per i figli, cure per la salute, smercio dei
prodotti agricoli, un po’ di denaro per rispondere ai nuovi bisogni.
Siamo gli unici missionari presenti all’interno. A Bambilo ci siamo trovati nel
Congo profondo, dove la vita antica non ha più il sapore buono della
tradizione, ma il sapore amaro dell’umiliazione. La vita che cambia li ha
lasciati indietro, il movimento non li ha presi dentro, il progresso li ha
dimenticati. I giovani dicono: Non vogliamo essere il fungo che muore sotto
l’albero dove è nato. Arrivando a Bambilo mi sono guardato attorno: il 60%
dei giovani era partito. No, non per l’estero: andavano in villaggi improvvisati
di foresta dove era stato trovato l’oro, o andavano in piccole città della
regione. Ragazzi senza scuola e senza mestiere, nei quali l’illusione
prendeva il posto della speranza. Amare i giovani significa ascoltare i loro
bisogni e i loro sogni.
La
missione
di
Bambilo
è
vasta, la gente è
dispersa,
la
regione è isolata
tra foreste e
fiumi.
Prima
urgenza:
rompere
l’isolamento,
aprire un varco
alla vita che
scorre.
Padre
Senen
della
Spagna, e fr.
Toni
della
Valtellina,
Padri comboniani a Bambilo ( Repubblica Dem. Del Congo )
hanno costruito ponti, reso percorribili piste chiamandole strade. Abbiamo
cominciato a costruire delle scuolette, abbiamo messo in piedi un Centro
Sanitario, insegnato a fare mattoni, fondato un scuola tecnica che prepara i
muratori.
I giovani hanno formato squadre di lavoro, alcuni hanno imparato a saldare, a
fare i meccanici, i falegnami, elettricisti. Nei corsi serali alcuni hanno imparato
a leggere e scrivere, altri hanno dato gli esami come maestri, altri hanno
imparato come prevenire e curare le malattie. Le giovani donne hanno
imparato taglio e cucito, a lavorare a maglia coi ferri, a riconoscere il proprio
valore. In quel Congo abbandonato, adesso dicono con fierezza: “Io sono di
Bambilo”. E a Bambilo restano.
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In comunità è arrivato un nuovo comboniano, è P. Didier Mbo, congolese. Ha
fatto il missionario per sei anni in Uganda, ha accolto la proposta di venire a
Bambilo. Il vescovo (Etienne Ung’eyowun, congolese) l’ha incaricato dei
giovani. Ha carica vitale, i giovani gli hanno dato fiducia, lui sa che per prima
cosa bisogna radunarli, partire dai valori che hanno dentro, far crescere una
vita che spinge come gemme a primavera. Mi dice: “Amano la musica, hanno
cominciato a imparare la chitarra e a fare il loro festival: cercheremo
strumenti e amplificazione”. P Didier è pure incaricato della scuola: vorrebbe
arrivare a una scuola
superiore
di
Costruzioni. Il futuro
preme, le capanne di
fango non bastano
più, il Congo di
domani
cerca
efficienza e dignità.
Ci siamo detti, in
comunità: “In questa
regione isolata e
sotto-popolata,
Bambilo
è
un
villaggio che cresce,
domani
sarà
un
centro; le giovani
famiglie sono fiere
dei loro bambini; ma
le mamme vanno al
mattino nei campi dentro la foresta e rientrano la sera; i bambini restano
lasciati a se stessi, anche se sanno inventare giochi; non sarebbe bello fare
un piccolo asilo dove radunarli, tirarli su con canti e danze, prepararli a
entrare a scuola?” Il desiderio c’è. Sarebbe anche una strada per educare al
valore della vita, alla finezza dei sentimenti. Qui pensano che i piccoli
diventeranno utili da grandi, intanto la mamma se ne occupa. C’è poca
stabilità, ma cresce il desiderio di offrire ai bambini una famiglia stabile che li
rassicuri. Partendo dai piccoli arriviamo ai grandi. E si può parlare coi genitori
di paternità e maternità responsabile, per poter educare ogni figlio che nasce.
La gente di Bambilo vive dei campi, e se vuoi uno sviluppo durevole devi
migliorare l’agricoltura. Fanno i campi tagliando la foresta, tutto a mano, e
dopo due anni cambiano posto perché il terreno si è impoverito. Non c’è la
fame, ma non riescono a vendere; aggiungi che ci metti dentro tanta fatica e
raccogli poco frutto.
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Abbiamo cominciato una nuova avventura; abbiamo coltivato tre ettari
secondo le regole dell’agronomia, moltiplicando sementi migliori di riso,
fagioli, arachidi; trasformiamo il prodotto sul posto, organizziamo la vendita.
Adesso abbiamo un trattore, una macchina che pulisce il riso, un mulino per
le farine, presse per olio di palma; sappiamo fare il sapone; cerchiamo di
ottenere lo zucchero dalla canna; coltiviamo caffè; e forse altro. La terra è
madre e la donna è quella che più ci lavora, a servizio della vita: vorremmo
migliorare davvero la condizione della donna.
Raccontata così, pare che noi missionari facciamo tante cose. No, la forza è
la gente. Siamo come un fiammifero che serve ad accende il fuoco, ma è la
legna del posto che cuoce il cibo. Comboni diceva e ce lo dice ancora:
“Salvare l’Africa con l’Africa”, rendere l’Africa protagonista della sua storia,
fiera della sua vita. E c’è di più: il dono più bello da condividere è l’esperienza
che abbiamo fatto con Gesù, la sua maniera di raccontarci Dio, la sua
maniera di raccontarci l’uomo. Magari mi è più difficile da spiegare, perché un
mattone si fa più presto a capirlo; però è lì la sorgente del buono della vita.
Con Papa Francesco che sa dirlo e mostrarlo, mi diventa più facile
condividere con voi questa parte più intima della vita missionaria.
P. Vittorio Farronato.
HANNO COLLABORATO:
FRANCO BARIGOZZI, DON GIOVANNI BERTI,
PADRE VITTORIO FARRONATO, SERGIO VERCELLI.
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