Sentire musica classica può aiutarti a raggiungere la noia costruttiva

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Sentire musica classica può aiutarti a raggiungere la noia costruttiva
Sentire musica classica può aiutarti a raggiungere la noia costruttiva, o pensieri rumorosi
0. Di cosa parla questo articolo, nella forma di quegli universi linguistici a parte che sono i
sottotioli degli scritti filosofici
Sui motivi per cui un giovane che non sa assolutamente nulla di musica classica, e che finora si è
nutrito principalmente di musica leggera del secondo Novecento, dovrebbe andare a un concerto del
Caro Felice; ovvero, studio antropologico-sociale delle particolari tribù che partecipano a certe
Occasioni Speciali.
1. Chi sono io, che cosa ci faccio qui, e l’Occasione Speciale a cui non potevo mancare
Il vostro Autore è un ragazzo sprovvisto di qualunque competenza musicale che vada oltre pochi
album di musica leggera, con un interesse vago ma entusiasta per la musica da camera. Non ho mai
studiato musica, non suono 1, non so nulla della storia della musica ante-1967 2 se non le periodizzazioni
vaghe e le idee generali che uno può farsi leggendo gli approfondimenti sul libro di letteratura. Per dire,
so che Beethoven è romantico, ma non so cosa voglia dire essere romantico, in musica.
Per cui non ho nessuna preparazione culturale-concettuale che possa aiutarmi ad ascoltare musica
classica, e quindi nessun vantaggio su di voi. Eppure, ciò che sosterrò in questo saggio è che ascoltare
musica da camera, o perlomeno andare a un concerto di musica da camera, di propria spontanea
volontà, non sia solo piacevole, ma utile; e che per ricavare questo piacere e questa utilità non serva
avere alcuna preparazione. Per ascoltare musica classica non serve averla studiata, come per apprezzare
Calvino non serve averlo prima analizzato in classe. Non è nemmeno necessario avere più di
cinquant’anni o aver vissuto la maggior parte della vita in un millennio diverso, nonostante il fatto che il
campione sociale presente al Carlo Felice risponda al 98% a questi requisiti 3.
L’Occasione Speciale e assolutamente irrinunciabile è un concerto qualunque. Uto Ughi e Bruno
Canino (e se questi nomi non vi dicono niente, benvenuti nel club) suonano le sonate di Beethoven per
pianoforte e violino, che non dovrebbero essere pesanti. B. è il prototipo di genio romantico4,
tormentato, pazzo, oscuro, spettinato, solitario, titanico. Mi aspetto che la sua musica sia all’altezza.
Il Carlo Felice mette a disposizione i biglietti per i giovani 5 dalle 20:15 della sera del concerto. Arrivo
alle otto e dieci e c’è già una fila lunga e ordinata di coniugi in cappotti scuri e pellicce davanti a una
porta. Sembra più che altro la coda per la conferma dei voti matrimoniali alle nozze d’oro, ma ciò che è
peggio è che di porte ce ne sono tre, e le altre due sono deserte. Mi fermo davanti alla porta centrale (di
un vetro così pulito da lasciarti sospirare il caldo sontuoso che trasuda dall’interno), e mi guardo
intorno, aspettando che qualcuno mi faccia gentilmente notare che la fila per i biglietti è già formata una
porta accanto, e se gentilmente posso aspettare in fondo alla fila, per favore, e di non fare il solito
stronzo che vuole superare a tutti i costi. Nessuno si avvicina. Le maschere all’interno 6 non mi
guardano come un rifiuto spaziale. Non ci sono cartelli d’avviso, per esempio che non te ne sei
accorto 7, forse, ma questa porta è rotta e non si aprirà, per cui, gentilmente, puoi metterti in fila con gli
Lasciando perdere le canzoni per chitarra imparate su YouTube. Davvero, non parliamone.
Anno del primo album dei Pink Floyd, che ho dovuto controllare.
3 Quello che voglio dire è che sapere un po’ di teoria musicale è d’aiuto, ma non necessario. L’unica cosa davvero
necessaria è essere curiosi e farlo di propria iniziativa a.
a Anche se può servire del coraggio ad affrontare quell’esercito di homo sapiens senex che si raduna fuori dal teatro, e
un po’ vi tremeranno le gambe.
4 In realtà di qualunque genio. Sapendo questo, confido nel fatto che la sua musica tocchi anche me.
5 Che sono praticamente regalati: costano un quarto del prezzo intero. Vi do tutte queste informazioni su prezzo e orari
ovviamente sperando di convincervi a venire.
6 Tutte giovani, bellissime, circonfuse di un’aura di Professionalità e Preoccupazione Per Te, persone che mai, mai
urterebbero in qualche modo il tuo intelletto, e così disponibili e gentili che puoi chiedere loro qualunque cosa, e come
prima risposta, puoi starne certo, avrai un sorriso, ma un sorriso sincero, e solo per te.
7 I classici terrore e insicurezza che ti stringono e paralizzano quando entri in un ambiente che ti è estraneo, di cui non
conosci le regole e in cui nessuno può farti da guida, qui è ancora peggiore, perché sai che le persone che partecipano a certe
serate sono così eleganti, di classe, istruite e cortesi che non ti faranno mai notare quando stai facendo una cazzata (come
mettersi ad aspettare davanti alla porta sbagliata), ma aspetteranno che il destino ti prenda e ti rovini, perché quando avrà
finito con te, tu sarai uno di loro. È come essere Dante che attraversa il Paradiso, ma senza Beatrice che ti spiega tutto e ti fa
1
2
altri, per favore? Ci sono solo io davanti a una porta che apriranno fra cinque minuti. Per cui deduco
che fare la fila davanti alla prima porta sia solo una convenzione o un’abitudine e che in quanto tale
possa infischiarmene 8, e sto lì, fischiettando per convincermi di stare facendo se non la cosa giusta
comunque una cosa logica e legittima, anche se il terrore che qualcuno venga e mi porti via striscia nelle
mie viscere, e i miei nemici, ne sono sicuro, lo possono sentire.
Fatto sta che non mi muovo, aspetto il mio Amico del Cuore, e quando le maschere alzano con il
piede il chiavistello che tiene chiuse le porte, arrivo per primo alla biglietteria 9.
INTERPOLAZIONE: l’importanza di un AC
Una cosa che non vi ho detto è che mi sembra importante, almeno le prime volte, farsi
accompagnare dal proprio Amico del Cuore, o, nel caso si rifiutasse di venire con voi in questa
spedizione antropologica, da qualcuno di abbastanza divertente con cui passare una serata. Questo
perché nel momento in cui subentrerà la noia (e succederà, ne sono abbastanza certo, anche solo negli
intervalli fra un pezzo e l’altro – a meno che non vogliate fare come la maggior parte delle persone sole
in platea, che leggono con un interesse mortale la paginetta di presentazione che vi porge la maschera
all’ingresso) avrete qualcuno con cui fare due chiacchiere e fare quelle cose stupide e senza senso che
facciamo quando siamo annoiati.
C’è anche un altro motivo, fondamentale. Ogni Antropologo Coraggioso che si sia avventurato da
solo nei luoghi sacri di tribù di cui non conosceva lingua e costumi è finito per diventare un bocconcino
rosolato male nel piatto di qualche Antico Capotribù. Sappiatelo. Se voi siete l’Antropologo
Coraggioso, avete bisogno di un Assennato Compagno 10.
2. In territorio nemico. Tutte le convenzioni che abbiamo infranto
Nel caso non fosse chiaro, il Carlo Felice è un posto pieno di Gentilezza e Professionalità, ed è
inquietante il modo radicale con cui aderisce a questi principi. E io, in jeans e maglietta (l’unico, anche
fra i giovani), mi sento come un corpo estraneo pronto ad essere fagocitato ed espulso da un grosso
linfocita-poliziotto. Ovvero: qualcosa che l’organismo riconosce come alieno, diverso, e di cui vuole
liberarsi il prima possibile.
Ma ciò che davvero mi manda fuori di testa ed è più che inquietante, è terrificante e psicotico, è che
tutto questo è una mia paranoia. Nessuno mi guarda male o mi rivolge parole scortesi. Nessuno mi
scontra mentre cammina o non mi lascia passare o mi risponde come si trattano i servi. Per cui a un
certo punto non posso fare a meno di credermi pazzo, e se non fossi con il mio AC e non avessi già
pagato il biglietto scapperei per non farmi vedere mai più. Credo che questo disagio sia la base di gran
parte degli sguardi fra la diffidenza e il panico che mi hanno rivolto i miei amici quando ho rivelato
dove avrei passato la serata.
La cosa peggiore è la sensazione che tutti siano troppo gentili e professionali per mostrare i loro Veri
Sentimenti nei tuoi confronti, da cui deriva quella reazione allergica all’ipocrisia che ho appena entro 11.
Ma la verità è più sottile: qui tutti sono gentili e professionali, e non nascondono proprio niente. Non
provano un disgusto nascosto 12 per te. È che le persone vengono qui per essere belle, in buona
compagnia, allegre, e in generale coccolate e trattate bene. E in questo non c’è nulla di male: è un
da balia, evita che tu faccia delle cazzate e ripara quelle che le sono sfuggite. Una catena dopo l’altra di figuracce e offese di
fronte a una marea di persone che hanno Dio e tutto l’Universo dalla loro parte: l’Inferno dev’essere così.
8 Non è così per tutte le convenzioni, ovviamente. Di solito le convenzioni sociali sono cose meravigliose che ti evitano
tonnellate di imbarazzo. È per questo che sono così sospettoso, mentre infrango la convenzione più inutile del mondo:
probabilmente sto facendo una cosa estremamente imbarazzante, e neanche me ne rendo conto.
9 Il che ovviamente mi fa sentire un verme sleale. Ma un verme sleale trionfante.
10 Che fine avrebbe fatto Han Solo, senza il suo Chewbecca?
11 Questa reazione allergica di diffidenza e panico credo che sia uno dei motivi principali per cui i miei coetanei non
vogliono passare vicino al Carlo Felice il lunedì sera. Ma ciò che sembra ipocrisia non lo è, e in fondo questo è l’analogo
delle discoteche, in qualche modo (musica, gruppo generazionale omogeneo, voglia di stare insieme e rilassarsi ed essere
notati e amati, in modi diversi); per cui la reazione che abbiamo in realtà è conseguenza del fatto che vediamo un mondo
uguale al nostro dove invece dovrebbe essere l’opposto. Ma ancora: perché venire a un concerto? E la mia risposta è la
bellezza.
12 Perché dovrebbero? Di certo non saranno un paio di jeans e una maglietta a rovinare la loro serata.
desiderio infantile nel senso che deriva dalla nostra infanzia, è radicato in noi, e l’abbiamo tutti, senza
contare che se uno paga quello che si paga per venire qui, il dovere di chi lavora per loro è coccolarli e
trattarli bene 13. Eccone una prova:
Salendo dal foyer al bar passiamo davanti al guardaroba dove due ragazze vanno dal banco agli
appendiabiti al banco con una grazie elfica e un sorriso splendido (più un ragazzo con i capelli afro più
sferici che abbia mai visto). Lo schifiamo, anche se il mio AC ha un ombrello molto, molto verde, e
molto grande. Arriviamo al bar e un altro ragazzo autoctono si avvicina e con fare dicapriesco dice al
mio AC: “Mi scusi, potrebbe gentilmente lasciare l’ombrello al guardaroba?”
Vorrei ripeterlo per chiarezza: mi scusi. Gentilmente.
AC ha diciannove anni, la maschera ne avrà venticinque con l’aggiunta di due lauree, e quello vestito
da incutere un rispetto da terza persona femminile è lui, non noi.
Mentre ci allontaniamo, penso a quanto dev’essere gentile 14 una maschera per essere gentile e dare
del lei a due ragazzetti che poi ti prendono in giro per quanto sei stato gentile con loro mentre si
allontanano, senza correre a spaccargli la faccia.
Fra le altre cose che facciamo e penso che non dovremmo fare: avvicinarci due volte alla coda per lo
scontrino al bar (è uno di quei posti in cui primo fai lo scontrino alla cassa e poi ti fai servire al banco)
per poi denunciare l’immoralità di far pagare un caffè un euro e cinquanta, girovagare per tutte le scale 15
possibili e infilarsi in tutte le porte non chiuse a chiave che troviamo, sotto lo sguardo sospettoso di
cazzutissime maschere 16; in generale non facciamo che muoverci e curiosare sul confine dei posti in cui
non possiamo andare; ci avviciniamo (ma in questo caso ci accorgiamo in tempo che l’Atto sarebbe
troppo grave) con chiare intenzioni sperimentali a un pianoforte a coda in un angolo del secondo foyer,
parliamo con tutte le maschere che incontriamo, cercando di alleviare la stretta di Professionalità che
attanaglia il loro cuore, e che sono decisamente più carine di quelle dello Stabile; beviamo acqua dal
rubinetto in bagno sotto lo sguardo orripilato di signore distinte 17, continuando a fare analisi sul
campione sociale presente, analisi non molto lusinghiere 18; in generale ci comportiamo come due
normali giovani curiosi. Il che è estremamente fuori luogo, e alla fine entriamo nella platea, che è
davvero bella (è la prima cosa davvero bella che vediamo, oltre le persone), e ci sediamo, e cazzeggiamo
finché non entrano i musicisti e con l’applauso cominciamo il concerto.
3. Che cosa ho sentito, descritto al meglio delle mie conoscenze tecniche
Delle sonate ci Beethoven. Che è un genio.
4. § che introduce alla seconda parte di questo saggio, in cui si parla della musica classica
come paradigma della noia costruttiva (con delle citazioni in apertura)
Così ognuno fugge se stesso, ma a questi di certo, come accade,
non riesce a sfuggire e, suo malgrado, vi resta attaccato e lo odia,
poiché malato non afferra la causa del male.
Se potesse distinguerla con chiarezza, lasciata da parte ogni cosa,
in primo luogo cercherebbe di conoscere le leggi della natura,
poiché non di un’ora soltanto è posto in questione
lo stato,
ma del tempo perpetuo nel quale i mortali dovranno passare,
qualunque sia, dopo morti, l’età che li attende.
De Rerum Natura, Lucrezio (Trad. L. Canali)
“Quando l’uomo non ha sentimento di alcun bene o male particolare sente in generale l’infelicità nativa
dell’uomo e questo è quel sentimento che si chiama noia”
13 E questo lo fanno, e così bene che sono Gentili e Professionali anche con due antropologici in incognito che hanno
uno sconto gargantuesco sul biglietto.
14 Proporzionalmente a quanto lo pagano, immagino; quindi a sacchi.
15 E non immaginate quante scale ci siano, al Ducale
16 Questo è il secondo tipo di maschera, che non accoglie gli ospiti: sono anziani come veterani, sembrano passeggiare
ma controllano che tu non faccia nulla contro le regole, e sono un incrocio fra un nobile milionario e un bodyguard.
17 In realtà questo lo faccio solo io.
18 Stavolta siamo entrambi colpevoli.
Leopardi
"No, it's um ... I mean, there's a difference, though, I think, between being mildly bored and but then there's
another kind of boredom that I think you're talking about which is um: reading, reading requires sitting alone, by
yourself, in a quiet room. And I have friends, intelligent friends, who don't like to read because they get -- it's not
just bored -- there's an almost dread that comes up, I think, here about having to be alone and having to be
quiet. And you see that when you walk in. When you walk into most public spaces in America it isn't quiet
anymore; they pipe music through. And the music's easy to make fun of 'cause it's usually really horrible music.
But it seems significant that we don't want things to be quiet, ever, anymore. And, to me, I don't, I don't know
that I can defend it, but that seems to me to have something to do with when you feel like the purpose of your
life is to gratify yourself and get things for yourself and go all the time, there's this other part of you that's the
same part that can kind of, is almost hungry for silence and quiet and thinking really hard about the same thing
for maybe half an hour instead of thirty seconds, that doesn't get fed at all. And it makes itself felt in the body in
a kind of dread, in here. And I don't know whether that makes a whole lot of sense.”
Da un’intervista a David Foster Wallace
Siamo terrorizzati dalla noia. Passiamo buona parte del nostro tempo a cercare modi per non
annoiarci, e per il resto del tempo ci lamentiamo di quanto poco tempo abbiamo. Io preferisco di gran
lunga vagabondare su Internet che fissare il soffitto. O giocare a un videogioco, o fare zapping sui
canali più degradati della tv, o aspettare che qualcuno entri su Facebook. Odiamo dover aspettare in
coda al supermercato o al semaforo rosso, aspettare dal medico o in stazione o all’aeroporto, odiamo
studiare, perché ognuna di queste cose ci procura dosi incalcolabili di noia. Odiamo fare lavori
meccanici o ripetitivi, stare zitti, non fare niente. È chiaro che tutto questo ha a che fare con il tempo,
su come lo usiamo e quando invece ci convinciamo di non usare il tempo, di starlo sprecando (la prima
cosa che facciamo, quando ci annoiamo, è guardare l’orologio), ma non è questo il punto, ora. Il punto
è che ci annoiamo quando non abbiamo niente da fare, o quando ciò che facciamo non ci interessa,
non ci stimola. Quando siamo con le mani sul carrello aspettando che la cassiera smetta di fare due
chiacchiere con il cliente prima di noi e finalmente ci serva, ci accorgiamo che il tempo passa, sta
passando, e noi lo stiamo usando per non fare niente, e cazzo, ce n’è così poco, e dobbiamo fare così tante
cose.
La verità è che quando non facciamo niente stiamo semplicemente passando del tempo con noi
stessi, e questo preferiamo non farlo. È in questi momenti che subentra un altro tipo di noia, una cosa
che è più simile all’orrore e che da cui fuggiamo il più possibile. Non fare niente o fare sempre la stessa
cosa fa nascere una scarica di terrore puro. Siamo convinti di stare per morire, quando ci annoiamo, e in
un certo modo è così – questa cosa è una noia mortale. Perché quando ci annoiamo non c’è più niente
che ci difenda da noi stessi, e stare soli fa emergere zone piuttosto buie, cose che vogliamo tenere
segrete, che nemmeno noi vogliamo vedere.
Non so se sto dicendo cose che hanno senso. È tremendamente difficile anche solo parlare di noia, e
quando troviamo le parole sembra una cosa infantile e banale, mentre invece è una parte profonda e
vera e complessa di noi, qualcosa che viene così semplificata dalle parole che perde di significato.
L’unica parola adatta alla sensazione che provo quando mi annoio è terrore, e non si avvicina nemmeno
al desiderio isterico di fuga, all’orrore per qualcosa che non voglio nemmeno vedere, che provo quando
mi annoio. Per cui finiamola qui.
Ho due buone notizie da darvi. La prima è che la noia non è un’ossessione del nostro tempo, ma
risale almeno ai greci. Per cui state tranquilli: tutti si annoiano, e a nessuno piace. La seconda è che chi
vuole che noi, quando andiamo da loro, ci sentiamo sempre felici e coccolati e trattati bene in modo da
farci tornare il più possibile e comprare il più possibile 19 sa che siamo terrorizzati dalla noia, e ha
inventato una serie di metodi geniali per impedirci di annoiarci quando siamo da loro. Provate a contare
i posti a rischio noia che hanno casse nascoste che diffondono musica: i centri commerciali, i cinema
prima di entrare, gli aeroporti, le stazioni della metro, le librerie, praticamente tutti i negozi di vestiti di
via XX settembre, perfino i teatri, la Fiumara, al Carlo Felice prima dei concerti. Secondo i maggiori
19 Ecco un’altra cosa di cui è così difficile parlare senza sembrare dei complottasti o semplicemente paranoici o pazzi. La
pubblicità non ci seduce, ci coccola. E chi non farebbe un favore come un acquisto a chi ci tratta così bene?
esperti antinoia, quindi, la musica è un ottimo antidoto 20. Probabilmente perché ha a che fare con il
tempo: la musica scandisce il tempo in modo diverso rispetto a come faremmo noi. Possiamo fare
dell’altro, mentre ascoltiamo musica; ma la musica si mette in mezzo fra noi, il nostro io consapevole, e
quella parte invece che emerge quando ci annoiamo e che vogliamo tenere nascosta. È uno schermo,
una barriera fra noi e la nostra parte oscura.
La musica che viene diffusa nei luoghi pubblici, però, non è mai di alta qualità. A volte lo è da un
punto di vista compositivo (si sentono opere o sonate), ma la riproduzione è sempre pessima, per cui
anche musica pregevole diventa jingle o motivetto21. A parte che casse migliori costano di più, il fatto è
che noi come essere umani siamo molto simili negli impulsi e nei desideri più bassi. Non è qualcosa di
denigratorio; ma c’è chi preferisce l’analisi matematica a quella filosofica, chi è più vicino a una visione
plurale e chi a una monistica dell’esistenza, chi preferisce i film d’autore a una passeggiata, e così via; ma
tutti mangiamo, beviamo, andiamo in bagno, amiamo il ritmo, i colori accesi, i fiori. Siamo uguali nelle
cose semplici, e la musica più orecchiabile è la più facile da seguire.
Per cui dobbiamo fare una distinzione: musica di bassa qualità (nella riproduzione come anche
musicalmente bassa) e musica alta, nel senso di curata, fatta con competenza, suonata con passione. Il
primo tipo è fatto essenzialmente per venderci qualcosa, il secondo per comunicare. Questo è, secondo
me, un ottimo metodo per distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è: l’arte non vuole i nostri soldi,
ma vuole innanzitutto farci vedere qualcosa, dirci qualcosa. L’arte ti dice “Io mi sento così; lo senti
anche tu?”; l’arte bassa ti dice: “Accetto bancomat.”
Proprio perché l’arte bassa vuole raggiungere più tasche possibili fa leva sui nostri sentimenti
comuni, quindi quelli più bassi. E va a colpo sicuro. Ma questo tipo di arte non comunica nulla: evita di
annoiarci, facendoci sentire meno soli, ma non curandoci 22,23. Mentre l’arte, quando è vera, ci costringe
a stare soli, ma in un modo che ci fa stare meglio, dopo 24. Ci accompagna nelle zone oscure 25 di noi
stessi e ce le fa vedere, ma con gentilezza, in modo che noi guardiamo e non abbiamo paura. E
impariamo a stare soli.
L’arte, quando è vera, è sempre una conversazione sincera fra due amici, che non si conoscono ma
sanno parlarsi, che si confessano, e ci aiuta a vedere alcune cose di noi stessi che altrimenti non
vorremmo conoscere, perché fanno male. E in questo la musica classica aiuta.
5. su come sentire musica classica 26
Penso che ci siano due modi. Be’, in realtà probabilmente ci sono centinaia di modi, o forse
addirittura uno per ognuno, ma io ne ho sperimentati due, per cui vi racconto questi. Non sono
esattamente due metodi, quanto piuttosto due momenti di uno stesso processo di assimilazione, e il
primo evolve nel secondo. Credo. Più o meno.
Il primo 27 è il metodo astratto. So che è una parola che mette i brividi, ma in realtà è molto semplice,
almeno sulla carta: è ascoltare senza pensare. La musica agisce su dei livelli molto profondi (e quindi
molto semplici), su parti che abbiamo tutti in comune 28. Per cui agisce sui sentimenti: possiamo avere
Ottimoa = è economico ed efficiente.
a Lasciando perdere il fatto che, per venire incontro ai gusti di tutti, è musica davvero di bassa, bassa qualità, che
non piace a nessuno.
21 Nel migliore dei casi. La musica pop si trasforma in colpi.
22 L’unico modo efficace per non dover più rimanere solo con me stesso prevede l’autoannientamento. E, anche in
questo caso, non ne sono sicuro.
23 Il che sembra un atteggiamento tipico di noi occidentali, quello di prendere un antidolorifico per far passar passare il
dolore, ma non il motivo del dolore. Ci accontentiamo di questo: di sentirci meno soli, non già di esserlo. Ci fermiamo
presto, nella nostra ricerca.
24 Come lo sciroppo schifoso che prendevamo da bambini quando avevamo le placche. Stesso identico discorso.
25 So che è una forma così abusata da non aver praticamente più significato, ma non ci sono modi migliori o più originali
per chiamare quelle parti di noi stessi che non vogliamo vedere, che rinneghiamo, che ci fanno paura o disgusto, che non
vorremmo avere. Le teniamo all’oscuro = parti oscure di noi stessi.
26 Non che io abbia tutta questa esperienza in merito; ho solo delle teorie.
27 È il primo semplicemente perché è così che mi sono sentito la primissima volta che sono andato al Carlo Felice.
28 La differenza fra questo e dove agisce l’”arte commerciale” o “arte bassa” è fondamentalmente teleologica, ancora una
volta: la musica pop agisce sui nostri meccanismi di base per procurarci piacere immediato (abbastanza veloce perché
20
idee diverse, ma i sentimenti sono gli stessi. Il problema è che non si possono provare sentimenti a
comando: non si può produrre malinconia o gioia consapevolmente; bisogna sgombrare un po’ il
campo, lasciare che la musica fluisca in noi, raggiunga le nostre corde, e ci cambi. Questo richiede un
tipo di non-concentrazione tutto particolare, simile al torpore. È per questo che molta gente ha gli
occhi chiusi 29, ai concerti. È molto più difficile di quello che sembra, specie per la musica classica,
perché deve arrivare più in profondità della musica leggera; ma arriva a livelli in cui davvero può
cambiarci, e affinare la nostra sensibilità, per cui più musica classica si ascolta, più si è disposti ad
ascoltarla.
L’altro metodo è narrativo, o concreto. Gli uomini sono esseri narrativi e simbolici. La realtà diventa
simbolo, e per comprenderla dobbiamo prima di tutto comprenderne la storia. Per capire l’uomo
racconta: per spiegare i suoi comportamenti, le sue paure, i suoi desideri, l’uomo inventa
rappresentazioni che sono simboli di storie. L’arte è rappresentazione, correlativo oggettivo della nostra
interiorità, e, poiché siamo immersi nel tempo, la rappresentazione contiene sempre un movimento, un
prima e un dopo, un dinamismo. Storie.
La musica in quanto arte è rappresentazione narrativa. Per quanto si dica che la musica sia la più
pura di tutte le arti, perché non ha mai cercato di imitare la Natura (e questo, sotto molti aspetti, è
vero), la musica in quanto arte (e, quindi, comunicazione) deve rappresentare qualcosa.
Ma proprio perché la musica è più astratta di altre forme d’arte lo spazio lasciato all’immaginazione
dell’ascoltatore è più ampio, per cui, ascoltando un brano, si può immaginare la storia che l’ha evocato.
È un po’ come cercare di immaginarsi il film ascoltando la sua colonna sonora, ma l’effetto è molto più
potente. Dagli accordi scaturiscono sentimenti che si concretizzano in immagini: uomini che, in un
momento della loro vita, hanno provato quegli stessi sentimenti che ora sono nostri.
Ecco come ha agito su di me la musica classica. Magari, su qualcun altro evoca equazioni
trigonometriche, colori, frattali. Ma si tratta sempre di questo: rappresentazione, evocazione,
narrazione.
6. Sul perché ascoltare musica classica può essere non solo piacevole ma anche utile
Abbiamo già parlato della nostra tendenza a fuggire dalla noia e dai nostri pensieri, e di come la
musica influisca su questo. Abbiamo anche visto come si può ascoltare musica classica; quindi, eccoci al
nodo centrale di tutto questo: ma perché dovrei sentirla?
Ecco, è un’ottima domanda, e se rispondessi sinceramente, nessuno mi crederebbe: perché la musica
è arte e quindi è magia, è la magia vera, quella che non si può capire ma solo ammirare, vivere,
sperimentare. Ma come ho detto nessuno mi crederebbe. Per cui:
La prima risposta è la più ovvia; per lo stesso motivo per cui andiamo a una mostra, o leggiamo un
libro: per il piacere che ci dà l’arte. Per la bellezza che può mostrarci, per il desiderio di verità, per la
ricerca di senso che ha mosso l’artista, per le zone oscure di noi che l’arte può aiutarci a guardare.
Questa è la risposta poetica, e la principale, per me. L’arte ci fa scoprire una bellezza di cui troppo
spesso ci dimentichiamo. E questo è sia utile che piacevole.
Ma c’è anche un’altra risposta, più pragmatica. Perché noi possiamo anche andare a un concerto e
infischiarcene della musica, e non sarebbe per niente una cosa stupida o una perdita di tempo30. In
questo la musica è simile a un quadro: mentre un libro o un film chiedono la nostra attenzione, la
musica, come un dipinto, è lì, semplicemente disponibile; e noi possiamo girovagare per una mostra
pensando a quello che ci pare, e possiamo andare a un concerto con un libro, un cuscino, pensando alle
estraiamo il portafogli prima di esserci allontanati dalla fonte), mentre l’arte agisce sui nostri recettori della bellezza, sulla
nostra capacità di riconoscere forme fuori di noi che si accordino con il nostro sentire. Ma qui scantoniamo in Kant. Il
punto è, ancora una volta: l’arte commerciale mira al piacere, l’arte vera mira a trovare dei punti in contatto, a creare un
legame. Una cerca di raggiungere più persone possibile, l’altra di raggiungerci: per questo agiscono entrambe sul nostro
sentire comune. Ma se l’arte commerciale mira alle nostre basi, alle cose semplici di noi, che abbiamo tutti in comune, l’arte
vera cerca la profondità, scende dentro di noi, e lì trova un nocciolo umano che ci è comune. Una va alla base, l’altra in
profondità. Continuo a battere su questi concetti perché è una differenza importante.
29 Certo, molti invece dormono davvero.
30 Cioè: sarebbe perdere tempo proprio nel modo in cui ci serve, una sorta di noia autoimposta. Perdere tempo per il
piacere di farlo.
cose che dobbiamo fare il giorno dopo. E in questo non c’è nulla di male. Perché andare a un concerto
ci permette quel tipo di intimità con noi stessi da cui fuggiamo continuamente, ma lo fa con gentilezza,
in modo che lo accettiamo senza nemmeno accorgercene. Stiamo andando a un concerto di musica
classica, del resto: non ci stiamo mica annoiando. E intanto la musica s’infiltra in noi e porta a galla certi
pensieri che non avevamo da tempo, che avevamo dimenticato; e questo è utile, e lo fa in modo
piacevole.
Quindi ecco l’ultimo consiglio: non andare a un concerto di musica classica dopo aver letto questo
saggio. Perché così vi sembrerà che vi ci abbia trascinato io, che vi abbia convinto e un po’ imbrogliato.
Invece, perché andare a un concerto sia utile e bello serve che siate disponibili a lasciarvi toccare, a
lasciarvi guidare. Altrimenti, è come andare a vedere un film che sappiamo già che non ci piacerà, solo
perché un amico vuole qualcuno che lo accompagni: ci farà schifo, anche se mentre ci andiamo ci
convinciamo che in fondo potrebbe essere un film carino.
E non andateci da soli 31. Perché stare da soli è difficile, perché gli intervalli sono lunghi, e perché il
Carlo Felice ha proprio un mucchio di scale, e ogni Antropologo Coraggioso ha bisogno di un Assennato
Compagno e Amico del Cuore.
7. A cosa ho pensato, durante il concerto
Questi sono proprio bravi, toccante, *nulla*, tutta una serie di storie sulle rincorse e le gare e le
pacche sulle spalle e gli ammiccamenti e i giochi e la competizione fra il violino e il pianoforte, metà
delle cose che ho scritto qui, quel tipo assomiglia troppo al re degli Orchi de Lo Hobbit, quello dorme, la
prossima volta mi porto da scrivere, o da leggere, ho sonno anch’io, qui sono proprio tutti gentili,
decine di possibili acronimi di SB (San Babbaleo, Sono the Best, Sposa Bagnata, Stufato di
Barbabietole, Succo di Banana, Sono Bravo e Bello, Stefano Babbeo,...)32
Insomma: ho ascoltato musica, ma ho anche pensato ai fatti miei. E mentre mi tendevo dalla
poltroncina sul profumo della ragazza che stava seduta sotto di me, ho seguito anch’io quelle note, per
un po’, nella corsa pazza e storta del violino e fra le carezze dolci del pianoforte, sicuro che in quella
corsa si nascondesse il segreto della grazia, quel momento che ha dischiuso la mente dell’autore alla
bellezza...
E poi le ho lasciate andare, e si sono infilate dentro di me, mentre guardavo tutta quella umanità
racchiusa nella platea: persone gentilissime e professionali, in un’Occasione riservata soltanto a loro, che
si lasciavano coccolare dalle cortesie di persone pagate per farlo per sentirsi un po’ bambini e felici, e
dalla musica, che viene da lontano, e arriva fino a noi.
Edoardo D’Angelo
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Sì, lo so che quello prima doveva essere l’ultimo. Ma questo ve lo sto solo ricordando.
Non chiedete di più. Ma ve l’ho detto: è più divertente annoiarsi in due.