Le poesie - Revue Notos

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Le poesie - Revue Notos
COMPAGNIA DELLE POETE
“Madrigne” al Forte Fanfulla (Roma)
Il titolo è un neologismo trasversale che vuole riunire in una sola immagine i ruoli diversi che si
trova a ricoprire ogni donna, per ricomporre il quadro di un universo femminile in cui ognuna è se
stessa e insieme tutte le altre, in un gioco a incastro di anti-bambole solidali, matrioske sorelle.
Madri, matrigne, madrine… – caustiche, tenere, ilari, voraci, assorte – tutte ad esprimere la
propria femminilità attraverso una parola poetica che non conosce frontiere né distanze, ma nel
cuore pulsante dell’esistenza condivisa supera lingue e confini.
In scena Livia Bazu, Adriana Langtry, Mia Lecomte, Sarah Zuhra Lukanic, Vera Lúcia de
Oliveira, Helene Paraskeva, Brenda Porster, Sally Read, Francisca Paz Rojas, Candelaria
Romero, Jacqueline Spaccini con poesie proprie e di:
Begonya Pozo, Eva Taylor.
Video/scenografia: Janine Von Thüngen
Racconto musicale: Andrea Colella (contrabbasso), Emanuele Melisurgo (fiati), Mejrema
Reuter (flauto dolce)
Luci-audio: Paolo Dal Canto
A cura di: Vesna Stanic
Ménage (Mia Lecomte)
Le pulizie dell’universo
possono durare anche un giorno
la mattina dedicata a spostare
il pomeriggio approfittando del vuoto
e la sera la sera la sera
dopo un giorno niente sarà più come prima
quel tal giorno
1
… (Vera Lúcia de Oliveira)
costruire una casa è come rassettare il mondo
sistemo un mattone lui resta dove lo metto
sono io che scelgo il mattone io che preparo la calce
se potesse che tutto io potessi sistemare
non avrei questa stretta al cuore no
rassetterei il mondo che Dio mi perdoni
perfino meglio di lui
Traslocare (Helene Paraskeva)
Traslocare fa un effetto goffo,
scatole chiuse, lettere non lette,
libri creduti, appunti persi,
e polvere al posto del respiro.
E quei fiori vogliosi sulle tende
sudice patacche,
colpe d'acciaio mai ammesse.
Come si fa a trasferire quel divano?
Chiamalo piuttosto catafalco,
un Gòlgota imbottito di rimpianti
stupido, sgraziato, difettoso.
Non si alza mai in piedi,
non accoglie gli ospiti,
non ha maniere.
Ora di buttarlo.
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… (Candelaria Romero)
Non so perché questo filo che lega stringe.
No deja a vecez dormir/non lascia a volte dormire.
Diviene corda che tutto rammenda
hilo que no deja caer/filo che non lascia cadere
ett snöre runt livet/un filo attorno la vita.
Ecco come si vive da sopravvissuti
ancorati
come le scarpe di Magritte
i tus imàjenes son las mias/ e le tue immagini sono le mie.
Nella notte non distinguo ciò che fu
mi sueno, tu sueno/mio sogno, tuo sogno
mi estar/mio stare.
Così passano i giorni en la distancia/nella distanza
som barn när dom leker/come bambini quando giocano
senza accorgersi.
Nel gioco del stare o non stare.
abbiamo scelto la cosa più probabile.
Nel cielo
gli stormi
non eravamo noi.
Da tempo abbiamo smesso di viaggiare
stanchi.
Ma ecco la corda di nuovo si tende, stringe
chiede
vad är du? Hur dör man utan skugga?
Chiede. Dove sei? Come si muore senza l’ombra?
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… (Livia Bazu)
Sarò
ceneri libere
e nessun frammento saprà più degli altri,
sarò nell’aria e nella terra
a nord e a sud
nel bianco
nel nero
nell’azzurro e nell’oro
scenderò
sempre più antica
fino all’inizio del mondo
Qui e là II (Adriana Lengtry)
La alegría estaba
en algún lugar real
però distante,
en un sitio lejano
y a la vez
-como dirían aquía portata di mano,
-como dirían alláespacio
inalcanzable.
… (Francisca Paz Rojas)
Come chi trascina la radice di notte
sulla strada ho visto papaveri luminosi,
verso l’uscita,
non ho accettato di caricare
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la sacca con le morte,
perché mi si chiede di farlo?
Cercavo una voce non padrona
per farla sedere dentro, a suo agio,
cercavo null’altro,
avrei condotto
i passanti alla festa
lungo la città in cui provavo timore
luce quagliata da eclisse
persistenza delle regioni fredde.
Senza contare uno a uno i testamenti
– ciascuno è solo a immaginarsi –
l'aria era frivola e funerea,
la terra e il mare giacevano
come ripiegati.
Questa nausea dopo il sogno
e l’andare senza padre
questa nausea ad altezza d’albero
sopra nidi d’uomini
la nausea del dominio
l’aratro che non ci renderà ricchi
l’azione urgente della notte
– e tu che chiedi quello che io
non posso fare!-
veglia: non coprirai per sempre
questa estinzione di senso,
questi uomini e donne tappezzati
di nero nella fuga,
dovunque.
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Sulla punta delle mie scarpe (Sarah Zuhra Lukanic)
Sulla punta delle mie scarpe
C’è un mondo intero.
Lo osservo incredula
E mi chiudo sotto le stringhe
Slacciate.
Sulla punta delle mie scarpe
Ci sono le tracce del dolore
Quotidiano.
Lo conservo come muschio
Sotto il cipresso verde.
Sono ferma con la mia pala.
Immobile.
Scruto le condoglianze dei famigliari.
Sulla punta delle mie scarpe
Ci sono le gocce di rugiada
Mattutina.
Come se le mie scarpe piangessero
Un altro morto.
Identità nascosta (These are pearls that were his eyes) (Helene Paraskeva)
Sulla roccia sgretolabile,
apro drappo di gloria distesa
ad asciugare addosso
a creature salmastre.
Lì ho nascosto il cuore,
sotto una lastra,
fra i mostri mitici di marmo,
delle grotte marine.
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Con un fucile occultato
dalla Storia scopro
nel cervello, ogni volta,
- maledetta intuizione nel viaggio di ricognizione
a spirale, ogni volta,
trovo
che gli occhi del poeta
si disfanno, si sciolgono.
Solo per diventare perle.
Quercus robur (Jacqueline Spaccini)
Aspetto primavera
per correre all'ombra merlettata,
maestosa pianta e longeva
che con le sorelle germane
imperi nel Maksimir zagabrese.
Accanto al mio acero un giorno
forse ti scoprirò
ché l'humus calcareo (ugualmente)
za vas è venefico.
L'amore mutò in rivelazione
quando la manina diletta
la lunga foglia bruna mi donò:
È per te, mammina cara...
Ora che ti vedo nel traffico
quotidiano, alla mia destra
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raggiante,
- nuda, ma imperterrita orgogliosa -
ti dico: attendi anche tu l'estate
che viene
de mon herbier tu es la reine.
Spezzare il collo ai pesci (Sally Read)
Lungo Camden High Street ci si attaccò un polposo marciume,
grumi scuri di fragole, birra, bile a spruzzi sul pavimento.
La luna, sussurravi. La mia chioma bagnata un cespo di ricci nella calura.
Un litro d’acqua mi sciaguattava dentro.
La tua pelle è come la luna; una madonna seducente nel tramonto.
Il tuo viso inzuppava il sole.
Biascicavi senza posa parole che la mia mente schivava
come un pugno indeciso.
Vicino al pub, i treni sferragliavano per Euston, urlo rovente di pistone e freni.
Volevi brindare, non mi mossi, la lingua grossa,
costole cerchiate di metallo: Ai treni.
Vedo ancora il tuo leggero ritrarsi, sento il tuo dolce canto incurante
Ti amo da morire,
e una lucertola di sudore mi sfrecciò improvvisa tra le spalle, ignara.
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Qui e là I (Adriana Langtry)
Estoy un poco aquí
un poco allá,
come sciami d’api
intorno a fiori di carta
me alimento de aquello
que no está.
I mestieri (Livia Bazu)
Io cucitrice
Di umile rango
Di casta invisibile
Sconosciuta
Ancora
Io cucitrice
di pezze perdute dai viandanti
nel folto della nuova foresta
Lasciando cadere tra le dita troppo mobili
Briciole di sé
Per riconoscersi
Nelle mie vesti arcobaleno
ancora
Io icaro
Mastro curioso nella bottega
sull’isola nascosta tra i petali
della rosa dei venti
incollo
con linfa d’alberi e acqua di mare
Le piume degli uccelli che passano
Da un orizzonte all’altro
Lasciando cadere
Briciole di sé
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Per ritrovarsi
Sull’isola nascosta tra i petali
della rosa dei venti
Ancora
Io chirurgo (s)comunicato
con incerta, somma perizia
adesso pratico la dolceacuta ferita
Incido
La pelle
Minuscolo foro incunea
La piuma d’altrove
Innesto feroce e sottile
Che s’infiltra appena esistente
Nella creatura terrestre
per sostenere
oltre
volo
Su Santa Gianna (1922-62) che morì dopo aver rifiutato le cure mediche a lei necessarie per
salvare la vita della sua bambina non ancora nata (Sally Read)
Tornando a casa nel Suffolk sono gli alberi d’inverno che
mi colpiscono: cartilaginei e intricati come bronchi in sezione.
Nessun ribollire di verde o piume. Ci vorrebbe
un brulicante calore per far germogliare la fede
di Giovanna, gli stormi di angeli surrogati
che immagino abbia convocato. Penso a lei
mentre entro in casa, e, in punta di piedi,
sistemo un barattolo sullo scaffale più alto in cucina. Così in alto –
così fuori dalla mia portata – che quasi scivola indietro
e cade a terra con fragore. Penso che lasciare un bambino
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dev’essere così: sollevarlo verso
il futuro – lontano – oltre i confini possibili
dei polpastrelli impotenti. I neonati separati
dalle madri non hanno una casa in cui tornare;
l’aria può avere sempre l’odore di una casa altrui.
La mia bambina dorme, sebbene incubi nuovi
la sveglieranno, prove necessarie della perdita.
Fuori alberi dalle forme incostanti nel crepuscolo viscido;
una mente pronta potrebbe vederci un volto. Ma solo il mio
appare sul vetro, bianco ed esangue come fiamma.
Casa di bambola (Mia Lecomte)
Sezione della casa.
Frontale. Mezza in ombra.
Il terzo piano è soffitta.
Si svuota.
Rotola una palla, costante, e la polvere è viola.
Il secondo piano si flette.
Tutti i passi dei figli, a migliaia. Dei gatti.
Si flette.
Al primo piano comincia il dolore.
Lei è tutta sul letto, decomposta.
Lui la aspetta nella vasca da bagno.
Al piano terra è cominciato da giorni.
Lei ora è in cucina. Ha già pianto e si affretta.
Lui l’ha seguita con le sue lenti tabacco.
Fuori un groviglio di spade. Il prato col box.
C’era il nome.
La sezione non mostra le scale.
Si passa da dietro, tra i piani.
I figli lo sanno tutti in fila.
In salotto lei ha perso l’età. Lui la ragione.
Scricchiola un osso qualunque, un molare.
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La polvere si è fatta celeste e riflette.
Non si aspettano strade
…(Francisca Paz Rojas)
quel che resta
è cambiare percorso alle vie
entrare nell’azione
che denigra se stessa
quel che resta
è ballare
proprio quando non si può
più
trattenere la morte al tramonto
ascoltare a quell’ora la notizia
e fingere di lasciarla scivolare
deporre il perdono
dentro una piccola barca
e farlo scorrere
in acque senza canne
senza fede nell’io risponderò
urtare contraffare
entrare ancora in un inizio,
annaspando al risveglio sfocati,
arrestare ogni falsa preghiera
per dire sì
questo resta
la mobile coscienza sull’orizzonte lento
dove si sta con piedi di maiale
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e collo di cigno
dove s’impara una lingua
che benda la prima
con il suo corpo di lupa;
dove l’unico dono è Qui
inarrestabile altero
a tiro di curva,
libero di non eleggere
l’altro,
un nodo a cappio, silenzioso,
appeso a un muro esterno
(Sarah Zuhra Lukanic)
Sono sicura che sarei stata felice
Con te.
Nella verde aiuola della nostra casa
Mai costruita.
Nelle passeggiate in giornate di festa
malinconiche e sottobraccio.
Nella nostra città borghese e vecchia
Dove le lucine delle vetrine si
Confondono con le lacrimucce dei bimbi
Frastornati.
Sono sicura che sarei stata felice
Con te.
Ascoltando la Cavalcata delle Walkirie
Nella platea del nostro teatro
Mai edificato.
Sono sicura che sarei stata felice
Con te.
Nel tirare a indovinare chi di
Noi due sarebbe morto per primo.
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Note per una breve commedia sentimentale (Brenda Porster)
loro si vogliono bene ma
lui talvolta sta male perché
insoddisfatto di sé
lei si dispiace
che lui stia male
e scrive una poesia sul male di lui
gliela fa vedere.
lui sta veramente male
quando legge la poesia di lei
dice che lei è ipersensibile
e decide di rompere il rapporto
così
alla fine
stanno male tutti e due
the end
Palabras (Adriana Langtry)
De los escombros
nacen
otras palabras.
Spuntano come germogli
tra i mattoni crollati
colmando ogni fessura
di radici,
spaccano le macerie
con la fragilità
incombente
dei fili d’erba,
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inquietas y
sinuosas
come stelle filanti.
No son ésas
de ayer
né quelle del passato.
ambiguas,
incrociate,
le parole sono altre.
Nascono
dalle rovine
di una lingua
bifolca,
de la mirada
bifronte
di un Giano stanco.
Si affannano,
balbettano, tambalean,
si rincorrono
nel doppio destino
che le affligge,
doble como
el espejo
que refleja
y observa,
doppio come
le rive
opposte
dell’oceano.
Nacen
de los escombros
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le altre parole.
Afloran redundantes
picchiettando fra i denti
la loro melodia
di suoni disparati.
Sorgono dalle macerie
rellenando el olvido,
dando voz
al silencio
nella lingua
sbagliata.
Si scontrano,
se mezclan, se contagian,
su verdor primigenio
copre di simboli
alterati
los restos mudos
del derrumbe.
Sorgono dalle macerie
con un recuerdo antiguo
di partenze e addii.
Esplenden
come stelle filanti
nell’ibrido cangiante
dell’occaso.
De los escombros
nacen
otras palabras.
Ni ésas ni aquellas,
altre.
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Ricetta per il pesce fuor d’acqua (Eva Taylor)
La maggior parte dei pesci è muto
per cui lasciatelo bollire qualche istante
fatelo raffreddare nell’acqua di cottura
infine versatelo nell’alfabeto.
Imparerà a nuotare, a respirare e a parlare
ma avrà sempre l’impressione
di essere qualcos’altro.
Il suo lieve sapore amarognolo
che alcuni apprezzano
altri trovano nauseante
vi suonerà come accento.
Si può togliere con un filo d’olio d’oliva.
Extra vergine, macinato a freddo.
Meglio freddissimo. Quasi come d’acqua.
Quando verrò (Jacqueline Spaccini)
Mihaljevac è il luogo dell'attesa, la mia
e di Romain
contando e ricontando gli otto, i quindici
ed i quattordici che non ti riportano a casa.
È la visione dei soffietti - solo per l'otto;
due vagoni - è il quattordici, mammina?
e quello piccolo che sbaglia rotaia è il quindici,
non ci interessa e si vede
- subito -.
La salita per me inizia dal market di Lovćenska:
dico a tutti è facile, uguale ad amore, ma
solo per le prime tre lettere...
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Al cimitero certo a piedi non ci arrivo e
sto attenta alla curva cieca, alle sue
macchine
e medito su di noi, mentre sento la fatica
nelle gambe (spesso anche sulle spalle,
scimmietta oblige).
Disperazione e speranza sono strane
compagne di strada
cui nemmeno la magnitudo dei
cedri atlantici dà sollievo.
Annuso tendine trasparenti e gatti imprigionati
di altre case,
altrui ricordi.
Quando vedo la catasta di legna ci siamo:
(se vecchi frigoriferi e caldaie arrugginite
ostacolano i margini vuol dire che è mercoledì)
i Karlušic sono - al solito - invisibili.
Sommersa da pacchi e scatoloni, lo odio
quel
cancelletto e sbaglio sempre le chiavi
di casa.
Ma ho tutto il tempo di correggermi,
ché tanto nessuno viene ad aprirmi mai
Memento (Livia Bazu)
Mai perdere l’attenzione, mai la cura,
piccola e leggera come sono
e quasi trasparente per giunta
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non perdermi tra gli angoli senz’anima
del labirinto armato
in cui si nascondono ingannevoli
invisibili e inavvertiti
orchi buchi neri
avidi di oblii e sfiducie
ruminando sempre le nostre impassioni
non assolvermi
ogni giorno
per non condannarmi
per tutti i giorni
rimproverami
fino ad allungare l’orecchio
alla goccia sottile della clessidra
la vaga clessidra nascosta tra i vicoli della mia architettura
che versa lacrime e sangue quando si sente mancare
e acque allegre fiotti di danza
per com’è la voglia e il mistero
cercare il mio abito
e il portatore da vestire con la mia pelle aperta
redimere insieme
cucire insieme una musica ignota
labirinto e uscita
Amante missionario (Candelaria Romero)
Entra
distenditi
gioca con la mia pelle d’asina
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la nonna dorme accasciata sul tavolo
il marito frettoloso russa
ma tu entra
fai di me la tua speranza
gridami dentro
prega che non ci sentano
muri accolgono carezze ladre
ama
e fai quello che vuoi
… (Sarah Zuhra Lukanic)
La sua pelle era morbida
Come lo zucchero a velo dei
Croissant appena sfornati.
Sul pube rasato e tirato come
Pelle di tamburo.
Prendimi così calda e spumosa
Sussurravo io con la faringe sfiancata.
Impugnava i miei polpacci
Come il lievito di birra
Un poco intiepidito per un
Impasto bianco e scivoloso.
E fissavo quel vassoio di silverplate
Pensando di fermare nella mente
Quelle lenzuola
Macchiate e attorcigliate
Dai nostri corpi boccheggianti.
Quei guanciali candidi
Cosparsi sulla moquette azzurrina.
Quella litografia color seppia
Che rappresentava un’immagine di caccia.
In caduta libera
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I nostri corpi.
Una sosta per respirare.
Un sorso d’acqua di sfuggita.
Per sentirsi vivo e pulsante.
Quello che ricordo meglio è il numero
Del servizio in camera.
Neanche il tuo nome vero, come un souvenir
Cetriolo cool (Brenda Porster)
Eravamo entrambi in un sonno profondo quando,
a un'ora incongrua, abbiamo sentito lo squillo.
Tu hai risposto lo stesso e, riconoscendo la voce,
hai preso a parlare con un’amica lontana:
no, non era troppo tardi (lo era);
nel dormiveglia ascoltavo frammenti filtrati
… un bambino, preoccupazioni politiche …
sonnecchiando, giusto per passare il tempo,
ti presi nella mano -- non ti dispiaceva
e sei diventato grande mentre chiacchieravi ancora
… no, meglio non isolare l’Austria, ma Haider si,
speriamo ... ho sentito, mentre parlavi
e parlavi, interfacciando attraverso il continente,
con un orecchio attaccato a lei, con una mano a me
tu eri un cetriolo proprio dritto e così cool
-
a far stare nel letto tutti i tre!
Spezzare il collo ai pesci (Sally Read)
La sera dopo, provammo il sesso anale
e mentre mi blandivi il collo con i pollici
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pensavo al Wolf’s Creek
e ai pesci che non prendevi,
colli di grasse trote che non ti sentivi di spezzare
per portare i pesci morti da tua madre.
Nel calore sapevo che il mio culo
era morbido, la buccia di una pesca.
Ma era quello che c’era oltre che ti attirava:
un nucleo sensibile, duro
il nocciolo di una pesca –
le ruvide creste, fini filamenti
imprigionati nei solchi
dove la polpa è strappata via.
Qui, al seme della spina,
gomitolo di muscolo,
hai provato a disfarmi, tenendo fermi i fianchi
con le mani, spezzandomi paziente.
Quando ci fermammo, mi sciolsi
ma rimasi integra
intorno a questa durezza,
nel busto delle tue braccia
finché ci separammo
e recuperai lentamente.
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Hai smesso di pescare anni fa.
Usavi l’immobilità,
la patina bronzea dell’acqua
per volere che il pesce fosse più a fondo.
Non potevi guardarli
soffocare o sentire lo schiocco
di ossa delicate
tra il pollice e l’indice.
O camminare verso casa
tracannando birra
col freddo umido sulle mani,
e bagliori di pelle d’argento
troppo agevolmente diventate
il peso morto di una carne
scagliata in fondo
al tuo retino.
Via Catalani (Mia Lecomte)
Della nostra stanza
è rimasta soltanto la stanza
dalla porta un passeggio felpato
lungo tutto l’addio e viceversa.
Nello specchio ha ceduto da tempo
il mercurio una linea bluastra
a toccare il riquadro del fondo
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dal fiorame del letto sopra i marmi
la visione scentrata dello squarcio
in cui crebbe il piacere e viceversa.
È rimasta soltanto la stanza
della stanza che fummo
rasa al cuore a partire
da un punto qualunque
molto meglio la notte
che scompare anche quello
e viceversa.
… (Begonya Pozo)
Ad occhi aperti
odori la stanza
antica. Siedi.
Con sguardo intimo
ti misuri, e taci.
… (Vera Lúcia de Oliveira)
disse che non sapeva se lo aveva amato
quando si sposò era stato per sfuggire alla fatica
poi restò incinta lui passava ore fuori casa
con gli amici al bar la madre di lui era una donna
amareggiata la insultava diceva che lei era una buona
a nulla il corpo si gonfiava pian piano
se si fosse gonfiato tanto chissà se lei non sarebbe salita come
quei palloni nella notte di San Giovanni e scomparsa lontano
nell’oscurità della notte
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La spogliazione delle poete (Jacqueline Spaccini)
Qualcuna
inizia sfilandosi le scarpe,
le calze e poi la gonna.
Qualcun'altra
si toglie il maglione,
la maglia e il reggiseno.
A tutte hanno sottratto
almeno un'ora.
E quella non ha avuto
il tempo di fare la spesa
in un'intera settimana.
Le colombine alla crema
recano la parola mattutina;
a una la spremuta d'arancia
dà un decimo motivo per esistere,
un'altra ha rubato il suo terzo caffè.
Qualcuna si sarà tolta la pelle
e qualcun'altra l'anima.
Un'altra s'è smarrita.
Dipende.
Sapete com'è, al buio, non sempre si capisce.
Del suo colore, le ha rivestite tutte
la luce nera. Come una coltre,
ma trasparente.
… (Begonya Pozo)
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Da su in giù levi
i pantaloni, lenta,
con cerimonia.
Rimani nuda sotto
le ossa croccanti.
La puttana (Candelaria Romero)
Primo cliente fu il cane
i cugini argentini
Milla la vergine finlandese del bagno domenicale
Il gatto Rodriguez
tutti gli uomini della sorella
prestati appestati
Mats e l'embrione strappato
il sesso perduto in bicchieri di vodka
seni aperti mani sorprese pronte ladre.
Mi gratifico mentre godono
non chiedo nome test nemmeno soldi.
Puttana d'onore
la Morte nel cuore
sputo nel buco Nero e prego
che si possa un giorno amare
senza la pelle tesa
ai quattro venti
Ifigenia (Helene Paraskeva)
Nel golfo di Aulide afono e piatto,
il vento strozzato ancora balbetta.
Prima di mezzanotte non si alzerà
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mai, prima del sacrificio
ha un impegno.
Ma Ifigenia ha fretta, non aspetta più.
Trascura lo scalino dell’altare,
inciampa, crolla
e cade sgranocchiando ossa di eroi.
Sgomita, scalpita l’armata epica
di sassi cavalieri e denti opliti
che ha in bocca.
E nell’orecchio la voce di Artemide,
rauca e soffocata dalle sigarette,
fioca, come le antiche fiamme sull’altare,
le sussurra maliziosa:
“Penso che ti dovrai fermare per un po’!”.
La vecchiaia delle stelle (Brenda Porster)
anche per i corpi celesti
c’è un tempo
lineare, ineludibile:
la giovane stella azzurra
è tersa, scattante,
attraversa poi la maturità
una bianca diamante
ma ciò che mi interessa ora
è la vecchiaia della stella
quando, mostruosamente grande,
in rarefatto decadimento
si adagia nel cielo,
anziana signora
stravaccata in poltrona
vestita di rosso, soddisfatta
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… (Vera Lúcia de Oliveira)
aveva imparato a osservare le rondini
sempre lì a partire sempre lì a migrare
poi tornano non le stesse magari altre
della stessa famiglia della stessa specie
si trasmettono l’odore dei luoghi
si trasmettono la dimensione delle cose
la memoria le misure dei pieni e dei vuoti
il ritorno era sempre una ricognizione
come se ognuna dovesse all’altra
la strada da fare e quella già fatta
Una lettera (Brenda Porster)
Sono ancora convinta, mio caro,
che è tutto questione di potere il tuo amico ‘Dio’
entra di nascosto nel nostro giardino
a spiarci quando e come gli piace,
senza un minimo di ritegno.
Ti pone divieti assurdi
poi si sente grande quando vede
come tu, da bravo ragazzo
obbediente, gli dai retta
sempre.
A dire il vero
a questo patto tra ‘uomini’
non ci ho mai creduto –
si capisce che con me
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non c’avrebbe mai provato.
Mi puoi spiegare, poi,
perché di tutti i frutti
è la conoscenza che ci è negata,
saper distinguere
il bene dal male,
poter scegliere
il giusto?
Avrai capito ormai
il serpente non c’entrava affatto.
Ero io che volevo dare
un taglio definitivo. Basta
al giardino recintato, l’aria profumata,
delizie comandate, il sesso
innocente, insipido, spiato.
Non riuscivo a prendere fiato.
Su, andiamocene di qua –
là fuori c’è il mondo: diviso, mortale,
e libero
Raperonzolo (Mia Lecomte)
Da questa finestra faccio la mia casa
con tutto quello che potrebbe essere
alle mie spalle dentro la sagoma di
una vera casa che non si stagliasse
verticale all’origine ma abbandonata
lungo il piano domestica non tutta
sguardo da un solo pertugio proprio
qui in cima da cui disfo e rifaccio
treccia per treccia la casa vera
quale sarebbe alle mie spalle
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portefinestre
ceste di zoccoli, galosce, ombrelli
una chaise longue col cappello fiorito
lui che rientra per levare il caffè
lei che riporta i biscotti sul prato
la tartaruga procede sicura
nell’orizzonte al livello del tempo
disfo e rifaccio intrecciando la casa
alle mie spalle rifaccio e disfo
mentre giù in fondo si perde in un’ombra
quello che là in alto è sembrato
Penelope (Candelaria Romero)
Penelope ha smesso di lavorare
non intreccia
non trama più
snoda fili Penelope
riavvolge matasse
protegge colori
custodisce tesori
la stoffa non più tesa come vela per portare a casa Ulisse
che i fili restino a riposo senza pretese di estetica
che torni la lana alla pecora al guanaco a coprire le mandrie
ed è finalmente silenzio
respiro lento
odore di onde lontane.
Penelope è tornata al mare a nuotare
… (Francisca Paz Rojas)
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Oggi non si lavora,
lo sai e io scrivo,
per tramandarti un paese
e dal suo grido umido
lasciar scorrere
le palme aperte
menzognere
la croce senza schienale
dei letti chiusi e lontani;
i verbi maledetti
di tutti i giorni,
il crudo naufragar
del nostro peso
di cotone oscuro,
di ago da ospedale
sul ciondolo di destino.
Avrai sempre il mio sangue
argilla torbida, seme
fulgido fertile in fuga,
tangibile per te,
il segno della mia fronte
ti riconoscerà ovunque.
Non spostare la coperta
di calce,
non spostare il pensiero
rimani, vivi!
È un ponte franato
questo paese,
è un ponte franato
questo paese,
ma io ti vedo
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