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PRIN
ONTOLOGIA
DIMENSIONI DELLA
SPECIAL EDUCATION
Lemmi
1
CAPITOLO I
DIMENSIONE EPISTEMOLOGICA
2
LEMMI ONTOLOGIA DIMENSIONE EPISTEMOLOGICA
di Marina Santi, Donatella Camedda e Eleonora Zorzi (Università di Pa dova)
LIMITE
OGGETTO
DIVERSITA‟
PROBLEMATICITA‟
SPECIAL EDUCATIONAL NEEDS-SEN
APPROCCI
EDUCATION FOR ALL - EFA
DISABILITY STUDIES - DS
CAPABILITY - CA
BIO-MEDICO
MODELLI
SOCIALE
PRASSEOLOGICO
ECOLOGICO
DIMENSIONE EPISTEMOLOGICA
DESCRITTIVE
TEORIE
NORMATIVE
ERMENEUTICHE
METAFISICHE
SPERIMENTALI
METODI
NARRATIVI
SPECULATIVI
3
PARTECIPATIVI
DIMOSTRATIVE
PROCEDURE
EMPIRICHE
INTERPRETATIVE
EMANCIPATIVE
VERITA‟
CRITERI
VALIDITA‟
VEROSIMIGLIANZA
RILEVANZA
CONDIZIONI
APPLICABILITA‟
SIGNIFICATIVITA‟
EFFICACIA
4
OGGETTO
D
DIVERSITA’
DEFINIZIONE:
Ciò che fa differenti, distingue cose e persone. Si fa riferiment o a differenze naturali,
biologiche, ma anche culturali, politiche e socio-economiche che radicalizzate e/o sedimentate
nella loro fenomenologia, si manifestano e vengono riconosciute come discriminanti.
CITAZIONE:
“L‟errore è di principio: nella dizione „diversamente abili‟, infatti, viene proposto come
prioritario il concetto di „diversità‟… La disabilità non è una diversità, ma una condizione di v ita.
Ogni individuo è diverso dall‟altro senza che per questo venga meno il valore, implicita una
inferior ità” (Silvia Galimberti, manoscritto non pubblicato, tratto da C. Arrigoni in
http://invisibili.corriere.it/2012/04/05/invalido-a-chi-disabilita-le-parole-corrette/)
NOTA:
Il valore e insieme rischio contenuto nella parola diversità come indicatore sia di unicità e
originalità della persona che come fattore di discriminazione e esclusione si ritrova tutto nel
dibattito cui la citazione fa riferimento in merito all‟adozione della dizione “diversamente abili”,
rivolta alle persone con disabilità proposta da Carlo Imprudente, animatore del noto Centro
Documentazione Handicap. Tale dialettica e tensione è ben riconoscibile anche nel gioco di
parole spesso proposto nella letteratura scientifica (es. D. Ianes) come pure nella cultura
formativa e associazionistica quando si adotta, anche a scopo provocatorio, l‟espressione
“normale diversità”. E‟ evidente comunque in queste espressioni l‟intenzione ormai assunta
come orientamento valoriale oltre che metodologico e epistemologico, a considerare la
diversità/differenza in termini positivi e come opportunità di arricchimento collettivo e
individuale.
BIBLIOGRAFIA
Bertolini, P. (1996). Dizionar io di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli
Sandri, P. Gaspari, P. (2010). Inclusione e diversità. Teorie e itinerari progettuali per una
rinnovata didattica speciale, Milano: F rancoAngeli.
5
L
LIMITE
DEFINIZIONE:
E‟ inteso come “confine”, ma anche come “ostacolo/barriera/impedimento” e fa dunque
riferimento a significati ambivalenti, nonché rimanda ad una diale ttica/antinomia che connette
il limite alla possibilità, l‟ostacolo al superamento, l‟azione educativa ai vincoli soggettivi e
sociali come pure alle potenzialità evolutive e ambientali. Il limite è invocato in ambito
pedagogico sia per richiamare al senso di realtà evitando il velleitarismo, che per evocare il
senso di sfida che ogni azione educativa volta a garantire e promuovere lo sviluppo di tutti e di
ciascuno porta con sé, rimuovendo barriere e introducendo facilitatori.
CITAZIONE:
“Se questa è la s ituazione per chi ha una sofferenza da malattia, da trauma, pensiam o invece
a chi non ha questo tipo di sofferenza e forse non ha neanche una sofferenza ma dei limiti,
lim iti che possono causare sofferenza. E‟ il caso della disabilità: una persona disabile ha
bisogno di vivere una situazione di benessere propriamente sociale perché conosce già, o
conosce in maniera diretta, quindi non forse come esperienza intellettuale ma conoscenza
esperienziale, che ha dei lim iti e ha bisogno di superare questi limiti no n con le sue sole forze
ma con le forze degli altri”. (A. Canevaro (2013), Scuola inclusiva e mondo più giusto. Trento:
Erickson, p.177)
“In questo modo di interpretare l‟autonomia ci troviamo appunto nel paradosso (… ) che è
quello di come sviluppare l‟aut onomia in soggetti che hanno dei limiti avendo scoperto o
sapendo, anche per quello che ciascuno di noi vive, che siamo nell‟epoca in cui la sfida
dell‟autonomia ha una delle più difficili ragioni per poter essere praticata che è la larga, diffusa
dipendenza” (A. Canevaro (2006), Le logiche del confine e del sentiero, Trento: Erickson, pag.
65)
NOTA:
Il concetto di limite è strettamente connesso, non solo nell‟ambito della pedagogia speciale,
alla coppia concettuale autonomia/dipendenza entro cui tale cost rutto trova un signif icato sia
teoretico che operativo, indicando il confine entro cui si giocano pe proprie libertà e bisogni, si
giustif icano gli aiuti e sostegni e si legittimano le pratiche di cura e le scelte di ogni progetto di
vita.
BIBLIOGRAFIA
M. Ceruti (1986), Il vincolo e la possibilità, Milano: Feltrinelli
A. Canevaro (2006), Le logiche del confine e del sentiero, Trento: Erickson.
6
P
PROBLEMATICITÀ
DEFINIZIONE:
Si dice di tutto ciò che risulta di difficile comprensione e/o di comportamenti e fenomeni che si
presentano in modo ambiguo, provocatorio, contraddittorio, indeterminato. Tutto ciò che
solleva incertezza, dubbio, perplessità nella relazione con le cose, le persone, le azioni è
problematico e in quanto tale condizione della ricerca e azione pedagogica e didattica, intesa
come risposta epistemica e pragmatica alle difficoltà generate dalla delusione psicologica e
dalla controversia fattuale alle nostre aspettazioni sul mondo e come richiesta di controllo delle
congetture elaborate per affrontarle e risolverle.
CITAZIONE:
“La scienza, possiamo dire in via di tentativo, comincia con la sf ida e l‟abbattimento di un
mito: comincia cioè quando alcune delle nostre aspettazioni sono state disilluse. Ma ciò
significa che la scienza comincia c on problemi: problem i pratici e problem i teorici”. K.R Popper
(1969), problemi, scopi e responsabilità della scienza. In Scienza e Filosof ia, Torino: Einaudi,
p.138)
NOTA:
Si tratta di un termine ambivalente, inteso in senso sia positivo che negativo e riconducibile
all‟ambivalente del costrutto stesso di “problema”. Individua da un lato una modalità
tipicamente umana di rapportarsi al mondo e all‟esistenza che ne alimenta la costruzione di
senso e di conoscenza, dall‟altro di una condizione che rischia di produrre stati e condurre
verso situazioni di paralisi e/o nevrosi del soggetto e che comunque chiama in causa e richiede
una decisione risolutiva e migliorativa attraverso un intervento educativo. Si trova in tal senso
attribuito ad altri termini per connotarne gli aspetti di criticità, come nell‟espressione
“comportamento-problema” o “alunno/bambino problematico”.
BIBLIOGRAFIA:
Zavalloni, R.. (1967), La pedagogia speciale e i suoi problem i, Brescia: La Scuola.
Antiseri, D., Bellerate, B.M., Selvaggi, F. (1976), Epistemologia e ricerca pedagogica, Roma:
LAS.
Ianes, D., Camerotti, S. (), Comportamenti problema e alleanze psicoeducative, Trento:
Erickson.
7
MODELLI
B
BIO-MEDICO
DEFINIZIONE:
E‟ un modello di salute riduzionista, nel senso che considera la salute come assenza di
malattia, intesa a sua volta come alterazione dalla norma di variabili biologiche misurabili, che
adotta procedure diagnostiche, mirate a definire la presenza di una patologia, e terapeutiche,
volte ad intervenire con strategie aventi dimostrata validità.
CITAZIONE:
«Il modello medico (o biomedico) considera la disabilità come un problema dell‟individuo che è
direttamente causato dalla malattia, una lesione, qualche altra condizione di salute e richiede
cure mediche in forma di trattamento o riabilitazione. Tale modello confronta la qualità della
vita e l‟abilità a partecipare nella società delle persone con disabilità a quella del
“funzionamento normale” ». (Ghedin, 2009; p. 46).
NOTA:
Si tratta di un modello “semplice” se non semp licistico che focalizza il suo interesse sul
malessere più che sul benessere, connettendolo direttamente, causalmente e
deterministicamente all‟evento malattia, a sua volta analizzato attraverso la sua scomposizione
in elementi minimi costitutivi ed esaust ivi. Nel modello biomedico, l‟approccio biologico
consente la riduzione di un fenomeno complesso, quale la malattia, a un rapporto semplificato
di causa (biologica) – effetto (patologico) che chiede un‟azione medica.
BIBLIOGRAFIA
Ghedin, E. (2009). Ben-essere disabili. Un approccio positivo all‟inclusione. Napoli: Liguori.
8
S
SOCIALE
DEFINIZIONE:
Il modello sociale della disabilità, d‟altro canto, vede la questione principalmente come un
problema creato dalla società e in primo luogo nei termini di una piena integrazione degli
individui nella società. La disabilità non è la caratteristica di un individuo, ma piuttosto una
complessa interazione di condizioni, molte delle quali sono create dall‟ambiente sociale. (Tratto
da ICF, versione breve, 2004; pp. 36-37).
CITAZIONE:
«Gli studiosi di disabilità hanno a lungo sostenuto che quello che viene chiamato disabilità
fisica o mentale non è semplicemente un attributo di una persona, ma un complesso insieme di
condizioni, attività e relazioni, molte delle quali sono create dall‟ambiente sociale. Questo
modo di considerare la disabilità viene definita prospettiva sociale o socio-politica in cui la
disabilità viene vista come un costrutto sociale o più incisivamente come una forma sof isticata
di oppressione sociale». (Ghedin, 2009; p. 49).
“Il modello sociale della disabilità, nella versione inglese e del minority group, evidenzia il ruolo
dell‟organizzazione sociale, soprattutto dei mezzi di produzione, nell‟impedire a determinate
categorie, fra le quali i disabili, la piena partecipazione alla società in termini occupazionali, di
diritti e di cittadinanza attiva”. (Medeghini, 2013; p. 54).
NOTA:
«Quanto vogliono affermare i teorici del modello sociale è che è necessario che siano le stesse
persone disabili a prendere decisioni che riguardano il loro ben-essere nelle sedi deputate a
fare questo». (Ghedin, 2009; p. 50).
BIBLIOGRAFIA
Ghedin, E. (2009). Ben-essere disabili. Un approccio positivo all‟inclusione. Napoli: Liguori.
Medeghini, R. (2013). Il linguaggio c ome problema. In R. Medeghini, S. D‟Alessio, A. D. Marra,
G. Vadalà, E. Valtellina. Disability Studies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale,
cittadinanza. Trento: Erickson.
Medeghini, R. et al. (2013). Disability Studies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale,
cittadinanza. Trento: Erickson.
9
P
PRASSEOLOGICO
DEFINIZIONE:
Basato sulla individuazione e definizione di “buone prassi” trasferibili e adottabili in contesti
analoghi e caratterizzati da problematicità comparabili per vincoli di contesto e soggetti
implicati e basate sull‟individuazione delle migliori pratiche, connesse ad esperienze
significative, controllate e positive.
CITAZIONE:
“Le buone prassi nella società complessa devono permettere di leggere le tracce non facendo
confusione, perché quando ci sono delle situazioni troppo affollate significa che si cancellano
tutte le tracce e la confusione confonde tutto e tutti” (A. Canevaro (2013), Scuola inclusiva e
mondo più giusto, Trento: Erickson, p.137)
NOTE:
Nell‟ambito della ricerca in pedagogia e didattica speciale italiana il modello prasseologico ha
sostanzialmente orientato l‟azione di integrazione sociale e soprattutto scolastica dell‟ultimo
trentennio, con un approccio ai problemi basato sul coinvolgimento di più atto ri in situazioni
autentiche e sull‟esigenza/emergenza di rispondere alle richieste di adattamento e
miglioramento dei sistemi istituzionali e dei contesti di vita delle persone con disabilità in
relazione allo sviluppo e realizzazione del loro progetto di vita e di comunità inclusive.
10
E
ECOLOGICO (BIOPSICOSOCIALE)
DEFINIZIONE:
«Il modello biopsicosociale tiene conto dei fattori psicosociali e ritiene che la diagnosi medica
debba considerare l‟interazione degli aspetti biologici, psicologici e sociali ne l valutare lo stato
di salute dell‟individuo e nel prescrivere un trattamento adeguato». (Ghedin, 2009; p.55).
CITAZIONE:
«L‟integrazione non è solo una finalità, ma un metodo di lavoro, un approccio ecologico che
connette contesti diversi per aiutare il soggetto disabile a viversi in diverse situazioni, luoghi e
ruoli. Per riprendere l‟approccio di Urie Bronfenbrenner, si può affermare che occorre una
ecologia dello sviluppo umano che crei le connessioni tra micro-contesto (il contesto familiare),
mesocontesto (il contesto intermedio di vita sociale a scuola e nel quartiere) e il macro
contesto che può essere quello della dimensione regionale o anche nazionale dell‟esperienza di
vita» (Guossot, 2007; p. 203).
«L‟approccio ecologico del processo di apprend imento è alla base di quello che Gregory
Bateson ha chiamato una ecologia della mente, cioè una mente che funziona come un
ipertesto, in grado di connettersi a situazioni nuove per trovare le strategie di adattamento
senza perdersi, pur continuando ad essere se stesso nel cambiamento». (Goussot, 2007; p.
203).
«L‟approccio che vede la costruzione di una rete integrata, dove l‟integrazione è fatta di
risorse, competenze, ruoli e linguaggi diversi, può essere considerato come un approccio
ecologico allo sviluppo umano. Un approccio globale che si basa sulla collaborazione cooperazione per produrre una cultura dei servizi alla persona disabile, e/o con bisogni speciali,
che sappia produrre una cultura della relazione di aiuto e sappia promuovere
l‟autoconsapevolezza, l‟autocontrollo e la capacità di decidere. Questo approccio deve
considerare la persona disabile come un insieme di relazioni sociali che funziona grazie ad un
insieme di mediazioni e di collegamenti tra scuola, famiglia, servizi, società civile e
associazionism o». (Goussot, 2007; p. 245).
BIBLIOGRAFIA
Ghedin, E. (2009). Ben-essere disabili. Un approccio positivo all‟inclusione. Napoli: Liguori.
Goussot, A. (2007). Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale . Roma:
ARACNE.
11
METODI
S
SPERIMENTALI
DEFINIZIONE:
«É destinata a centrare il bersaglio dell‟investigazione sul campo. Il suo compito è quello di
assicurare rigorosi vincoli descrittivi (a elevato coefficiente di formalizzazione) all‟osservazione,
interpretazione e verifica dei processi formativi, scolastici e non, mediante l‟uso di strumenti di
indagine altamente formalizzati, dotati di rigorosi e affidabili protocolli descrittivi e
interpretativi, nonché di prove oggettive di misurazione e valutazione dei rendimenti cognitivi e
delle dinamiche relazionali degli allievi». [tratto da “ricerca in pedagogia”, di F. Frabboni, in
Frabboni, 2007; p. 322].
«Nell‟ambito della ricerca in scienze dell‟educazione, indica quel processo per cui una
determinata ipotesi viene sottomessa a verifica attraverso la costruzione di un setting le cui
componenti e relative relazioni sarebbero del tutto controllabili dal ricercatore. Il ricercatore
introduce variazioni sistematiche (per esempio, somministrando un certo stimolo come un
brano letto attraverso una modalità definita dal ricercatore) in modo da misurarne gli effetti
(per esempio sul comportamento di un soggetto, il ricordo del brano)
ma
contemporaneamente controllerebbe tutti quei fattori, differenti da quelli di cui si vuole
misurare l‟incidenza, che potrebbero introdurre variazioni sul fenomeno oggetto di indagine
(per esempio il livello di istruzione, l‟età dei soggetti considerati…)» [tratto da
“sperimentazione”, in Bertolini, 1996].
CITAZIONE:
«Per questo, il concetto di metodo sperimentale o la prospettiva della sperimentazione
richiama, anzi implica ed esige, una continua attività di ricerca ad un tempo empirica e teorica,
che non può prescindere da un im pegno metodologico ed anche tecnico estremamente
puntuale: ciò che appunto vuol dire rif iuto dell‟arbitrario, dell‟improvvisato e
dell‟ideologicamente gratuito». [tratto da “sperimentazione” in Bertolini, 1996]
NOTA:
«La ricerca sperimentale in senso stretto è caratterizzata da una manipolazione da parte del
ricercatore di alcune variabili concernenti un determinato fenomeno, allo scopo di provocare
quest‟ultimo ad arte o comunque di influenzarne lo svolgimento». (Baldacci, 2001; p. 102).
BIBLIOGRAFIA
Baldacci, M. (2001). Metodologia della ricerca pedagogica. Milano: Mondado ri.
Frabboni, F. (a cura di)(2007). Le parole della pedagogia. Torino: Bollati Boringhieri.
12
S
SPECULATIVI
DEFINIZIONE:
Indagine meta-teorica di tipo riflessivo, volta a giustificare razionalmente tesi connesse
all‟assiologia pedagogica e agli assunti delle teorie educative, utilizzando procedure
argomentative razionali e coerenti
CITAZIONE:
«Il metodo speculativo è caratterizzato da forme di conoscenza che non hanno fondamento
nell‟esper ienza, ossia che non trovano giustif icazione nel riferimento a una base empir ica;
conformemente alla dottrina kantiana dell‟ideale della ragione pura, per “speculazione” si
intende una forma di indagine che consente di accedere ai significati conoscitivi attraverso la
mera riflessione, la pura ragione ». (Baldacci, 2001; p. 31).
NOTA:
«Non è all‟esperienza che si riferisce la ricerca teorica, ma alla tradizione di pensiero
concernente un certo campo di esperienza. In altri termini, come riconosciuto anche da Dewey,
in essa i dati non hanno carattere empirico, bensì sono i n qualche modo rappresentati dalle
conclusioni dei pensatori del passato, e poiché queste sono costituite da pensieri, la
speculazione appare come una forma di indagine appropriata alla loro natura». (Baldacci,
2001; p. 31).
BIBLIOGRAFIA
Baldacci, M. (2001). Metodologia della ricerca pedagogica. Milano: Mondadori.
Mantovani, S. (a cura di) (1998). La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi.
Milano: Mondadori.
13
N
NARRATIVI
DEFINIZIONE:
Metodi di indagine che si focalizzano sulla comprensione del modo in cui individui e gruppi
danno significato alle loro esperienze intese come narrazioni, racconti su di sé e il proprio
rapporto con gli eventi, in forma auto-biografica e sotto forma di storie di vita. Nel framework
della narrative inquiry la narrazione è sia fenomeno oggetto di studio sia il metodo di studio
(Clandinin, Connelly, 2000).
CITAZIONE/ESEMPLIF ICAZIONE:
«Ovvero: tranne rarissime eccezioni che fortunatamente, in per iodi recenti sono in aumento,
nel corso del tempo il disabile non ha m ia scritto la propria storia e, per alcune situazioni – ad
esempio nel caso di persone con deficit mentale gravissimo – bisogna ammettere che ciò
risulta effettivamente complicato. Ci sarebbe tuttavia, la possibilità di esam inare le
testimonianze che queste persone possono lasciare come segno del proprio vivere: tracce,
ovviamente che non coincidano esclusivamente con la scrittura o con altre forme raziocinanti,
ma che valorizzino le multimodalità espressive di ciascuno e ne esaltino gli elementi
emozionali; oppure, si potrebbero analizzare, con maggiore impegno e rigore scientifico, le
modalità biografiche tese a ricostruire la v ita dei disabili e di quanti trascorrono la propr ia con
loro; o investigare sui procedimenti con i quali vengono raccolte le narrazioni offerte dagli
stessi» (Caldin, 2001; p.20)
«Séguin propone il metodo biografico e lo studio di casi, affermando che l‟educatore deve
essere insieme ottimista e realista per quanto riguarda le possibilità del bambino ». (Goussot,
2007; p.79)
NOTA:
«Nel lavoro educativo con i bambini disabili Séguin consigliava la razionalità del metodo, ma
anche il dubbio sperimentale nonché il riso e l‟humour per saper cogliere la vita nel suo
sviluppo e nella sua ricchezza; soprattutto nelle piccole cose della vita quotidiana. Consigliava
agli educatori di leggere Descartes e Molière: il primo, per acquisire il metodo, e il secondo,
per impregnarsi della sua fantasia». (Goussot, 2007; p.80).
BIBLIOGRAFIA
Bruner, J. (1996), La cultura dell‟educazione . Nuovi orizzonti per la scuola, Saggi Universale
Economica Feltrinelli, Milano, 2001.
Clandinin J.D., Connelly M., (1997). Il curriculum come narrazione, Napoli: Loffredo
Clandinin J.D., Connelly M.,(2000). Narrative inquiry, San Francisco: Jossey-Bass.
Striano M. La narrazione come dispositivo di riflessione sull‟esper ienza educativa in Gamelli I.
(a cura di), Il prisma autobiografico. Rif lessi interdisciplinari del racconto di sé , Unicopli,
Milano, 2003
Auerbacher, E. (1991). Babette. Handicappata cattiva. Bologna: Dehoniane.
Caldin, R. (2001). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: CLEUP.
Bauby, J.D. (1997). Lo scafandro e la farfalla. Firenze: Ponte alle Grazie.
Giusti, M. (1999). Il desider io di esistere. Pedagogia della narrazione e disabilità . Firenze: La
Nuova Italia.
14
Goussot, A. (2007). Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale . Roma:
ARACNE
Imprudente, C. (1990). Vita!. Bologna: Thema.
Pontiggia, G. (2002). Nati due volte. Milano: Mondadori.
15
P
PARTECIPATIVI
DEFINIZIONE:
I metodi partecipativi – come la ricerca-azione o il community based research- intendono
cercare nuove forme di collaborazione fra chi opera e chi fa ricerca, che garantiscano al tempo
stesso l‟aderenza ai problemi e ai contesti concreti e la loro verifica in campo da un lato e la
rigorosità dei procedimenti e dei risultati della ricerca dall‟altro (Mantovani, 1998). Al metodo
partecipativo dell‟indagine si connettono i caratteri attivo, emancipativo, trasformativo (cfr.
Orefice, in Scurati Zanniello 1993, p. 62)
CITAZIONE:
“Per partecipazione si intende il coinvolgimento in una situazione di vita” (ICF, Internatonal
Classification of Functioning, 2002)
“La ricerca partecipativa contribuisce in maniera significativa a sviluppare una coscienza
partecipativa che è presupposto fondamentale della vita democratica. In questo senso
ha implicazioni politiche” (Mortari, L. Cultura della ricerca e pedagogia, Roma: Carocci, 2006,
pag. 47).
NOTA:
La partecipazione come strumento metodologico implica un coinvolgimento affet tivo-emotivo
degli individui alle situazioni oggetto di indagine (partecipazione emotiva) come pure una
dimensione di appartenenza degli individui ad una comunità di indagine e culturale
(partecipazione sociale) così come una disponibilità a collaborare su problematiche comuni
(partecipazione politica). La dimensione partecipativa assume anche particolare rilievo nel
modello bio-psico-sociale di salute e benessere, come dominio proprio del funzionamento
umano e connesso alla sua attività.
BIBLIOGRAFIA
Mantovani, S. (a cura di) (1998). La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi.
Milano: Mondadori.
Bertolini, P. (1996). Dizionar io di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli
Denzin N., Lincoln Y. (2005), Handbook of Qualitative Research, Third Ed., Sage, Thousand
Oaks (CA)
Corbetta, P. (2005). La ricerca sociale: metodologia e tecniche – III. Le tecniche qualitative. Il
Mulino, Bologna
16
TEORIE
D
DESCRITTIVE
DEFINIZIONE:
«È la capacità di dare un‟idea compiuta di cose persone o v icende rappresentandole mediante
parole o scritti (talvolta anche mediante disegni, musiche, ecc. che, spesso, accompagnano le
più consuete descrizioni)» [tratto da “descrivere” in Bertolini, 1996].
CITAZIONE:
«La r icerca descrittiva ha lo scopo di rispondere a domande circa le caratteristiche di un
determinato fenomeno così come esso si presenta in maniera “naturale”, sul campo. Pertanto
essa nasce da un‟esigenza di informazioni circa un fenomeno di cui si ha ev identemente scarsa
conoscenza o di cui si ritiene che ciò che si sa su di esso sia per qualche motivo insufficiente
(…)». (Baldacci, 2001; p. 92).
NOTA:
«In questo ambito, la descrizione dei fatti o delle proprietà di certi eventi non prevede una
manipolazione di variabili da parte del ricercatore, ossia un suo intervento nel provocare in
qualche modo determinati fenomeni o nel tentare di influenzarne il corso». (Baldacci, 2001; p.
92).
BIBLIOGRAFIA
Baldacci, M. (2001). Metodologia della ricerca pedagogica. Milano: Mondadori.
17
M
METAFISICHE
DEFINIZIONE:
Le teorie metafisiche sono “visioni sulla natura delle cose” e appartengono al dibattito
scientifico come “idee regolative” che forniscono dei quadri per la scienza (frameworks for
science): se il quadro si fa troppo stretto, lo si supera, dando luogo al progresso scientifico
(Agassi J., 1983)
CITAZIONE/ESEMPLIF ICAZIONE:
«Bergson ha voluto dimostrare che proprio partendo da quelli che non capiscono è possibile
elaborare una metafisica della vita, cioè una concezione dell‟uom o che trascende le
particolarità dell‟anatomia e dell‟organizzazione cerebrale per andare verso una concezione
unitaria capace di congiungere attività cerebrale, attività motoria, vissuti, percezioni e attività
mentale» (Goussot, 2007; p. 42).
NOTA:
Come fa notare Popper (, le interconnessioni psicologiche e storiche fra teorie metafisiche e
teorie scientifiche, ovvero la f unzione propulsiva esercitata di fatto dalla metafisica nei
confronti della scienza, sono evidenti. Infatti, dal punto di vista psicologico la ricerca empiric a
risulta impossibile senza idee metafisiche generali, mentre dal punto di vista storico è noto a
tutti come idee che prima f luttuavano nelle regioni della metafisica si sono poi trasformate in
importanti teorie scientifiche. Infine, aggiunge il nostro aut ore, è bene tener presente che le
dottrine metafisiche, pur non essendo empiricamente controllabili, sono pur sempre
razionalmente criticabili e discutibili (e quindi sono ben lungi dal ridursi a semplici espressioni
emotive e soggettive).
BIBLIOGRAFIA
Agassi, J. (1983), Le radici metafisiche delle teorie scientifiche, Milano: Borla
Goussot, A. (2007). Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale . Roma:
ARACNE.
Antiseri, D., Bellerate, B.M., Selvaggi, F. (1976), Epistemologia della ricerca pedagogica,
Roma: LAS
18
E
ERMENEUTICHE
DEFINIZIONE:
Trattasi di teorie generali che individuano, determinano e giustif icano regole
dell‟interpretazione. Nate in riferimento all‟interpretazione di testi biblici, si sono via via
connotate come teorie della traduzione fino a indicare anche corpus teorici connessi
all‟elaborazione delle informazioni nell‟ambito dell‟intelligenza artificiale. In ambito pedagogico
si riferiscono soprattutto alla pedagogia ermeneutica di sfondo sia fenomenologico che
esistenzialista e comunque post -empirista che riconduce il significato dell‟esper ienza educativa
a maglie dialogiche e interpretative essenzialmente linguistiche.
CITAZIONE:
“Un modo di esprimere con parole diverse la dottrina comune all‟ermeneutica e al
pragmatismo è dire che la loro enfasi circa il carattere linguistico dell‟esperienza sia un‟enfasi
sulla mera contingenza del linguaggio che usiamo, il linguaggio nel quale, per esempio,
poniamo e rispondiamo a domande del tipo “cos‟è la verità?” e “cos‟è l‟educ azione?” (Acone, G.
(2002), Razionalità filosofica e razionalità scientifico-tecnologica in pedagogia, in Sola, G.,
Epistemologia pedagogica, Milano: Bompiani, pp.95-96).
NOTE:
In ambito pedagogico speciale le teorie ermeneutiche si sono definite nel loro rapporto
autentico con i vissuti e le storie di vita e con strumenti narrativi, si sono contrapposte alle
teorie esplicative che intendono spiegare i fenomeni funzionali nei termini propri delle scienze
naturali e con metodologie di controllo sperimentale. Ci si riferisce anche con l‟espressione
“idiografiche”, in cui l'oggetto di studio è unico (idios=particolare), irripetibile.
BIBLIOGRAFIA
Sola, G., Epistemologia pedagogica, Milano: Bompiani.
19
N
NORMATIVE
DEFINIZIONE:
Si tratta di teorie def inite anche come “nomotetiche”, eminentemente prescrittive, concettuali,
formalizzatrici, che def iniscono leggi generali e categorie scientifiche universali; traggono
dall'esperienza una serie di dati verificabili e confrontabili quantitativamente al fine di
approdare a teorizzazioni che aspirano alla certezza e convergenza, tali da operare una
semplificazione delle singole variazioni di stato dei fenomeni, oppure in grado di misurare e
regolare in forme computazionali le variabili di un fenomeno, di un processo, d i una relazione.
CITAZIONE:
“Così, peò, il fare-epistemologia (qui pedagogica) si è orientato con forza nella direzione del
comprendere: cioè dell‟interpretare e non dello spiegare, dell‟accompagnare e non del guidare,
dell‟accogliere e non del ridurre, del bordeggiare e attraversare e non del normativizzare”
BIBLIOGRAFIA
Acone, G. (1994), La pedagogia italiana contemporanea, Cosenza: Pellegrini
Mortari, L. Cultura della ricerca e pedagogia, Roma: Carocci, 2006
20
PROCEDURE
E
EMPIRICHE
DEFINIZIONE:
«Il metodo empirico si distingue da altre procedure di indagine perché è basato sulla
giustif icazione delle asserzioni che vengono avanzate in qualità di formulazioni teoriche e/o di
ipotesi, attraverso il riferimento a una base empirica, a dati concernenti fa tti, fenomeni, eventi,
inerenti all‟esperienza educativa». (Baldacci, 2001; p. 30).
CITAZIONE:
«Attualmente, dal punto di vista della metodologia di ricerca, il punto di partenza dei
pedagogisti sperimentali è il riferimento al concetto di ricerca empiric a, intesa come ricerca che
utilizza dati (relativi a fatti, comportamenti, atteggiamenti) raccolti là dove si producono (in
situazioni «naturali», ovvero sul campo; in situazioni artificiali, come in laboratorio)». [tratto
da “pedagogia sperimentale”, di E. Lodini, in F. Frabboni, 2007; p. 295]
«Per fissare una prima distinzione relativamente al secondo aspetto (le modalità procedurali) si
può affermare schematicamente che la ricerca empirica utilizza il metodo empirico (si perdoni
la tautologia), mentre la ricerca teorica si avvale del metodo speculativo ». (Baldacci, 2001; p.
30).
NOTA:
«In particolare si deve chiarire che “ricerca empirica” non significa ricerca “de teorizzata”, priva
di elementi teorici e quindi ricerca di un sapere attraverso la pura pratica, secondo un mero
meccanismo di tentativi ed errori; ricerca teorica e ricerca empirica possiedono entrambe
proprie forme peculiari di relazione con apparati di carattere teorico. Piuttosto, esse si
distinguono per il genere di teoria con cui si rapportano e per il tipo di teorizzazione che
praticano». (Baldacci, 2001; p. 29).
BIBLIOGRAFIA
Baldacci, M. (2001). Metodologia della ricerca pedagogica. Milano: Mondadori.
Frabboni, F. (a cura di) (2007). Le parole della pedagogia. Torino: Bollati Boringhieri.
21
D
DIMOSTRATIVE
DEFINIZIONE:
Per procedure dimostrative, espressione con la quale si intendono tutti quei sistemi formali di
calcolo che sono in grado di produrre tutte e sole le formule di un linguaggio logico. In senso
lato si tratta di procedura che adotta una struttura logica basata sul ragionamento
argomentativo, volta a provare la validità di un asserto/ipotesi/comportamento, o a confutarli,
attraverso l‟apparato deduttivo.
CITAZIONE:
“Una cosa è dimostrare a un uomo che è in errore, un'altra metterlo in possesso della verità”.
John Locke, Saggio sull'intelletto umano, 1690
“Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un inv ito
permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate.” John Stuart Mill, Sulla libertà, 1859
“Via via che la logica si perfeziona, dim inuisce il numero delle cose che si possono dimostrare .”
Bertrand Russell, in Alan Wood, Bertrand Russell, lo scettico appassionato, 1957
22
I
INTERPRETATIVE
DEFINIZIONE:
Orientate all‟ermeneutica del fenomeno educativo che si pone come “testo” aperto e al
contempo oscuro, la cui comprensione passa attraverso la ricerca e costruzione di molteplici
significati, che emergono dalla dinamica del “circolo ermeneutico”, ovvero nell‟indagine e
interrogazione che anticipa il disvelarsi della verità e che presuppone sempre un‟anticipazione
di senso, una sorta di „pre-comprensione‟, essenzialmente congetturale e basata su ipotesi,
che è al tempo stesso il segno della sua intrinseca storicità e la quale esige un proces so
continuo di controllo e correzione un orizzonte indefinito e mai concluso del senso possibile di
ogni traduzione.
CITAZIONE:
“Si tratta di un or ientamento (… ) che si caratterizza per un approccio, peraltro non specifico al
fatto educativo, per cui anziché puntare su una analisi di tipo strutturato, se non propriamente
causale, in modo da ricavare utili indicazioni per una sua migliore im postazione tecnica, si
contenta di procedere ad una analisi storico-evolutiva-comparata dei fatti stessi, visti però nel
loro contesto anche teorico” (Bellerate, B., Tipologia della ricerca pedagogica, in Antiseri, D.,
Bellerate, B.M., Selvaggi, F. (1976), Epistemologia della ricerca pedagogica, Roma: LAS.
“…Mira alla elaborazione di resoconti scientifici definiti “desc rizioni interpretative”. (Mortari, L.
Cultura della ricerca e pedagogia, Roma: Carocci, 2006, pag. 6).
NOTA:
A fondamento dell‟orientamento ermeneutico in pedagogia, e in particolare nella pedagogia
fenomenologica, “la prospettiva dell‟interpretazione assume una particolare importanza in
quanto consente di sottolineare il carattere costruttivo, dinamico oltre che intersoggettivo
dell‟attività educativa, caratterizzata non soltanto dalle interpretazioni offerte dall‟educatore
nella sua capacità intenzionale, ma anche da quelle proprie dell‟educando, da cui ne emerge la
dimensione di interazione come dialettica costitutiva della mediazione educativa. Come
procedura metodologica di ricerca e didattica si manifesta nella veste di atto valutativo di
natura qualitativa.
BIBLIOGRAFIA
Ricoeur, P. (1963), Dell‟interpretazione, Milano: Il Saggiatore.
Antiseri, D., Bellerate, B.M., Selvaggi, F. (1976), Epistemologia della ricerca pedagogica,
Roma: LAS
Malavasi, P.L. (1992), Tra ermeneutica e pedagogia, Firenze: La Nuova Italia.
Pagano, R. (2004), Educazione e interpretazione, Brescia: La Scuola.
23
E
EMANCIPATIVE
DEFINIZIONE:
Che innescano processi di liberazione da particolari situazioni di inferiorità, emarginazione,
dipendenza che ledono e/o compromettono l‟autonomia di individui e comunità e il principio di
autodeterminazione, connesso sia a relazioni di paternalismo e iperprotettività, che a azioni di
annichilimento e impoverimento delle opportunità di crescita e attuazione del proprio progetto
di vita.
CITAZIONE:
“Quando, invece, la stessa alterità si gioca in chiave emancipativa (Oliver, 1997; Skakespeare
& Watson, 1997; Barnes, 1996; Morris, 1992; Abber ley, 1992) si aprono scenari nuovi e di
resistenza (Foucault, 1976) sui versanti epistemologici, linguistici, discorsivi e di pratiche; e, in
questa prospettiva, la presenza dei Disability Studies (Finkelstein, 1988) nel panorama
letterario, scientifico e politico offre un contributo fondamentale al dibattito relativo alla
rappresentazione della disabilità e al ruolo intellettuale e attivo dei soggetti disabili.”
(Medeghini, R., Vadalà G., (2012), I Disability Studies nel panorama integrativo italiano, paper
presentato al Convegno “Alterità: rappresentazioni, politiche e pratiche di resistenza, Torino
12-14 Aprile)
NOTA:
In ambito pedagogico speciale l‟adozione di procedure emancipative è connesso al
riconoscimento della necessità di rispondere ai bisogni delle persone con disabilità nei termini
della garanzia dei diritti e entro la logica dell‟empowerment, inteso c ome potenziamento delle
capacità e della consapevolezza della persona “che permette di educarci alla resilienza (la
capacità di far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la
propria vita nonostante l‟aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare ad un esito
negativo)”. (A. Canevaro, Scuola inclusiva e mondo più giusto. Trento: Erickson, p.138).
BIBLIOGRAFIA
Medeghini R. (2006). Le pratiche inclusive come presupposto di cittadinanza. Animazione
Sociale, 10, pp.70-80, Gruppo Abele, Torino
D‟Alessio S., Vadalà G., Marra A. (2010) Italian Journal of Disability Studies - Editoriale, in
Italian Journal of Disability Studies, Rivista online
Finkelstein V., Emancipating Disabling Studies, in Shakespeare, T. (Ed.) (1998) The Disability
Reader: Social Sciences Perspectives, Cassell, London.
Oliver, M. (1997) Emancipatory research: realistic goal or impossible dream?, in: C. Barnes &
G. Mercer (Eds) Doing disability research, Disability Press,
Leeds
24
CRITERI
V
VERITA’
DEFINIZIONE:
“Pur essendo stati affermati diversi criteri di verità (…) si può sostenere che questo termine si
utilizza per indicare il carattere proprio di affermazioni (giudizi, preposizioni) e teorie (asserti )
sulle quali l‟assenso è dato da vincoli logici e fattuali, connessi alle procedure dimostrative
adottate e dalle verifiche sperimentali attuate.
CITAZIONE:
“Se possono sussistere verità pedagogiche (non delle discipline afferenti e collegate) in senso
non epistemico è questione che meriterebbe un adeguato approfondimento, il quale
risulterebbe utile non solo per una più rigorosa concettualizzazione della pedagogia (in termini
di quella che fu definita alcuni decenni orsono “analisi logica dell‟educazione”) ma anche a una
miglior definizione, in generale, dell‟istanza e della disciplina epistemologica e del significato
stesso dei termini razionalità e verità.” (Granese, A. (2002), Valori e limiti dell‟approccio
epistemologico in pedagogia, in Sola G. (a cura di), Epistemologia pedagogica, Milano:
Bompiani, pp.171/172)
NOTA:
In senso lato il criterio di verità è utilizzato in termini di corrispondenza alla realtà, ovvero
indipendente da stati, convinzioni soggettive e oggettivamente riconoscibili in senso universale
attraverso processi razionali.
BIBLIOGRAFIA
Sola G. (a cura di), Epistemologia pedagogica, Milano: Bompiani, pp.171/172)
Bertolini, P. (1996). Dizionar io di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli
Lemmon, E.J. (2014), Elementi di logica, Bari: Laterza
25
V
VALIDITA’
DEFINIZIONE:
Si tratta di una nozione secondo un argomento può dirsi logicamente valido quando la
connessione tra l'insieme delle premesse e la conclusione è di natura esclusivamente logica.
Perciò, un argomento è logicamente valido se e solo se tra l'insieme delle premesse e la
conclusione dell'argomento sussiste una connessione logica.
CITAZIONE:
“Peraltro lo stesso Dewey, nella fondamentale opera del 1938, Logic: The Theory of Inquiry,
sostiene il carattere strumentale (e perciò non veritativo) di ogni conoscenza, la quale – dopo
essere stata posta sotto il vaglio scientifico – è considerata solo valida e non piuttosto vera”
(Gennari, M. (2002), Metafisiche della conoscenza e filosofie della formazione, in Sola G. (a
cura di), Epistemologia pedagogic a, Milano: Bompiani, p.145)
BIBLIOGRAFIA
Sola G. (a cura di), Epistemologia pedagogica, Milano: Bompiani, pp.171/172)
Lemmon, E.J. (2014), Elementi di logica, Bari: Laterza
26
V
VEROSIMIGLIANZA
DEFINIZIONE:
Deducendolo dalle premesse della epistemologia falsificazionista, si può formulare un duplice
criterio logico di verisimiglianza, che può guidare il ricercatore nella scelta fra due teorie,
ipotesi e decisioni : posto infatti che una teoria è se mpre falsa di principio, si potrà solo cercare
di minimizzare l'errore, cercando teorie sempre più verosimili, in un cammino inf inito di
approssimazione alla verità. In senso statistico ciò implica l‟individuazione di procedure
probabilistiche in grado di rendere sempre più certo un esito incerto.
CITAZIONE:
“Ciò che importa per l‟educazione, sostiene Gadamer, non è la scienza, ma qualcosa d‟altro,
cioè la formazione del sensus communis, che si nutre non del vero, ma del verosimile” H.G.
Gadamer, Verità e metodo, tr. it., Fabbri, Milano 1972, p. 44.
“La pedagogia, allora, si configura come una scienza dello spirito che mira a teorizzare l‟ideale
della saggezza da raggiungere con la parola, l‟eloquenza, senza trascurare l‟immaginazione e
la fantasia che permettono di spalancare le porte al verosimile.” (Pagano, R. (2009), Atti
Convegno SIPED, p. 71)
NOTA:
“Non sarà inutile ricordare allora il fatto che lo stesso Popper evita di parlare di “verità”,in
ambito scientifico, e preferisce parlare di “verisimigl ianza”, Paul Virilio (2000) si domanda
addirittura se la scienza, nella sua versione più recente, e cioè come cibernetica, non rischi di
diventare ≪ scienza dell‟inverosimiglianza≫ : ≪ Solo alcuni secoli dopo essere stata, con
Copernico e Galileo, scienza dell'appar izione di una verità relativa, la ricerca tecnoscientifica
diventa ormai una scienza della sparizione di questa verità, grazie all'avvento di un sapere
cibernetico più che enciclopedico, il quale nega ogni realtà oggettiva. Così, dopo aver
ampiamente contribuito ad accelerare i diversi mezzi di rappresentazione del mondo, con
l'ottica, l'elettroottica, fino alla recente realizzazione dello spazio della realtà virtuale, le
scienze contemporanee s‟impegnano a contrario nell‟eclissi del reale, nell'estetica della
sparizione scientifica. Scienza della verosimiglianza ancora legata alla scoperta di una verità
relativa? Oppure scienza dell'inverosim iglianza, impegnata oggi nella ricerca e nello sviluppo di
una realtà virtuale aumentata? E questa l'alternativa proposta≫ . (Stella, A. (2012) Questioni
di psicologia del pensiero, Pensiero Verissimo, Researchgate, p.199).
Una delle conseguenze dell‟adozione di questo criterio/principio è quello di ridurre la verità a
criterio orientativo.
BIBLIOGRAFIA
D. C. Boes, F. A. Graybill, A. M. Mood (1988 ), Introduzione alla Statistica, McGraw-Hill Libri
Italia
27
ATTENZIONE
LEMMI AGGIUNTIVI UTILI, MA NON INC LUSI NELL’ONTOLOGIA DELLA DIMENSIONE
EPISTEMOLOGIC A
DISABILITÀ
De finizione
È il termine ombrello per menomazioni, limitazioni dell‟attività e restrizioni della (alla)
partecipazione. Esso indica gli aspetti negativi dell‟interazione tra un individuo (con una
condizione di salute) e i fattori contestuali di quell‟individuo (fat tori ambientali e personali)
(Tratto da ICF, 2004, p.181).
La conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un
individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive
l‟individuo. A causa di questa relazione, ambienti diversi possono avere un impatto diverso
sullo stesso individuo con una certa condizione di salute (Tratto da ICF-CY, 2007, p.da
aggiungere)
Citazione
Per persone con disabilità si intendono coloro che present ano durature menomazioni fisiche,
mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono
ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli
altri (Convenzione delle Nazio ni Unite sui diritti delle persone con disabilità, articolo 1.2, 1997,
p. 5).
Nel contesto delle conoscenze e delle esperienze sanitarie si intende per disabilità qualsiasi
restrizione o carenza (conseguente a una menomazione) della capacità di svolgere un ‟attività
nel modo o nei limit i ritenuti normali per un essere umano. La disabilità è caratterizzata da
scostamenti, per eccesso o per difetto, nella realizzazione dei compiti e nell‟espressione dei
comportamenti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atte so. Le disabilità possono avere
carattere transitorio o permanente ed essere reversibili o irreversibili, progressive o regressive.
Le disabilità possono insorgere come conseguenza diretta di una menomazione fisica,
sensoriale o di altra natura. La disabilità rappresenta l‟oggettivazione della menomazione e
come tale riflette disturbi a livello della persona (Canevaro, 1999, p.11).
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, nell‟ultima ICIDH-2, invita all‟uso della parolaombrello disabilità preferibile a quello, ormai connotato negativamente, di handicap [...]
Ovviamente le modificazioni terminologiche e concettuali non cambiano automaticamente la
forma mentis o l‟approccio culturale al tema della disabilità, anche se possiamo coglierne il
tentativo, ma permettono alla pedagogia speciale di assumere un carattere ampio e
pluralistico, per mezzo del quale si svela una maggiore oculatezza, una rinnovata attenzione
nei confronti dell‟altro e un enorme impegno della disciplina stessa tesa ad un incessante
ricerca e ad una laboriosa auto-critica (Caldin, 2001, p.12)
La disabilità è un misto di unità e contradditorietà: la sua presenza è il segno evidente di un
«vai e vieni» permanente tra la norma e il fuori norma, l‟equilibrio e il disequilibrio, la salute e
la malattia, e confonde i nostri riferimenti mi metici, le nostre visoni standardizzate e le nostre
certezze prestabilite (Gardou, 2006, p.31)
Nota
Il concetto di disabilità viene declinato ed interpretato a seconda del modello paradigmatico di
riferimento; tra i modelli storicamente affermatisi si ricorda quello medico, sociale e
28
biopsicosociale. “Diverse definizioni operazionali sono state utilizzate in circostanze cliniche e
programmi amministrativi, e sono stati sviluppati numerosi modelli teorici. Perché è stato
dedicato così tanto sforzo nel cercare di definire la disabilità? A livello teorico, definire la
disabilità non è semplicemente un esercizio semantico: modif icare la def inizione teorica di
disabilità può avere importanti implicazioni sociali, economiche e politiche”. (Ghedin, 2009; 43)
“[…] la disabilità è un esempio paradigmatico delle derive, degli slittamenti lessicali e
semantici, delle etichettature, dei tentativi di ridenominazione, delle dispute tra teorie, degli
occultamenti di discorsi: una storia mai conclusa che ha in sé storie di persone, di movimenti,
di associazioni, di politica, di pensieri e teorizzazioni tendenti a ridare parole e voce alla
disabilità, decostruendone termini e discorsi prodotti dai sistemi di esclusione.” (Medegh ini,
2013, p.53)
Si rimanda alla lettura dei lemmi “medico”, “sociale”, biopsicosociale”, nella sezione dei
“modelli”.
Bibliografia
Caldin, R. (2001) Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup
Canevaro, A. (1999) Pedagogia Speciale. La riduzione dell‟handicap. Milano: Bruno Mondadori
Canevaro, A., Balzaretti, C., Rigon, G. (1996) Pedagogia Speciale dell‟Integrazione. Handicap:
conoscere e accompagnare. Firenze: La Nuova Italia
D‟Alonzo, L., Caldin Populin, R. (2012) Questioni, sfide e prospettive della pedagogia speciale.
Napoli: Liguori Editore
Gardou, C. (2006), Diversità, vulnerabilità e handicap. Per una nuova cultura della disabilità .
Trento: Erickson
Ghedin, E. (2009). Ben-essere disabili. Un approccio positivo all‟inclusione. Napoli: Liguo ri.
Medeghini, R., D‟Alessio, S., Marra, A. D., Vadalà, G., Valtellina, E. (2013). Disability Studies.
Trento: Erickson
Ministero della Solidarietà sociale (1997). Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone con disabilità, Roma
Organizzazione
Mondiale
della
Sanità
(2004).
Classif icazione
Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Trento: Erickson
29
Internazionale
del
DEF IC IT
De finizione
Il def icit (sensoriale, motorio, intellettuale, ecc.) rappresenta una mancanza „oggettiva‟ e cioè
facilmente verif icabile (tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero
Bertolini, 1996, p.128).
Sono i dati irreversibili che un soggetto può avere a seguito di un trauma (che può verif icarsi
prima o dopo la sua nascita, nella prima infanzia, nell‟arco della vita). Può essere un trauma di
varia natura, provocato da agenti chimici, fisici o psichici (più complicati certamente da
diagnosticare e da valutare), può essere il seguito di una malattia invalidante. I deficit sono
elementi prec isi o che tendono ad essere tali. (Tratto da Andrea Canevaro, in “Le parole della
pedagogia” a cura di Franco Frabboni, 2007)
Citazione
La deficienza, o def icit, indicata come mancanza permanente, anomalie che riguardano la
fisicità o la parte psichiatrica ma che hanno un carattere di irreversibilità, nelle condizioni
normali in cui si svolge la vita oggi, senza prevedere il futuro e le possibili scoperte e le
possibilità di intervento sulle alterazioni. Ll‟incapacità è la conseguenza di un deficit: sul pia no
singolare, individuale, è la mancanza di alcune capacità derivata dal deficit. [...] L‟handicap è
l‟incontro dell‟incapacità, e quindi del deficit, con l‟organizzazione ambientale in un senso
ampio, storico, culturale, e anche in un senso più localizzat o, più ridotto, più circoscritto
(Canevaro, 1996, p.42)
Nello specifico della disabilità possiamo soffermarci sul rischio che l‟identificazione totale con il
deficit comporti la categorizzazione, la perdita cioè di identità originale e l‟assunzione di
un‟identità di categoria. È possibile che questo avvenga se le condizioni di vita portano a dover
raggiungere la risposta ai propri bisogni in istituzioni separate. Ma il pericolo di ridurre
l‟individuo con def icit al solo deficit, di identificarlo con esso, s ussiste anche nelle condizioni di
apparente integrazione. (Canevaro, 1999, p.59)
Nota
È opportuno ricordare la distinzione tra deficit ed handicap, due concetti spesso confusi . Il
termine handicap si riferisce allo svantaggio che si crea dall‟interazione della persona con
disabilità con l‟ambiente circostante, con le barriere fisiche e intellettuali, con situazioni che
provocano una riduzione delle capacità personali, cognitive e sociali dell‟individuo. “L‟handicap
[…] è piuttosto una variabile relativa all‟organizzazione dei contesti e ai processi adattivi”.
OMS/Canevaro
Bibliografia
Bertolini, P. (1996) Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli
Canevaro, A. (1999) Pedagogia Speciale. La riduzione dell‟handicap. Milano: Bruno Mondadori
Canevaro, A., Balzaretti, C., Rigon, G. (1996) Pedagogia Speciale dell‟Integrazione. Handicap:
conoscere e accompagnare. Firenze: La Nuova Italia
Frabboni, F. (a cura di) (2007). Le parole della pedagogia. Torino: Bollati Boringhieri.
Goussot, A. (2007). Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale . Roma:
ARACNE
30
Devianza
Def inizione
[…] Il termine viene usato sia in sociologia sia in pedagogia per definire in modo assai più
ampio quel comportamento […] per il quale un individuo o un gruppo viola le norme sociali in
una direzione disapprovata dalla comunità e con una intensità tale da superare il limite di
tolleranza della comunità stessa. È da chiarire che si parla di un comportamento deviante non
solo quando esso si oppone alle norme del codice vero e proprio, ma anche quando esce dal
quadro di riferimento culturale della società in cui l‟individuo vive. (tratto dal “Dizionario di
Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996, p.137)
Citazione
“I «devianti» sono coloro che sembrano estranei alla comunità in quanto lontani dalla
conformità. Howard S. Becker, in Outsiders, ha cercato di dimostrare i limiti di questi approcci.
Per alcuni, che si basano solo sulla statistica, è deviante chi si stacca troppo dal la media, e
devianza è ciò che differisce da ciò che è più comune: «I mancini e i rossi sono devianti poiché
la maggior parte della gente è destrimane e ha i capelli castani» e i soggetti disabili sono
devianti poiché gli esseri umani sono in maggioranza «normali». Le concezioni che si fondano
sull‟analogia medica definiscono la devianza come essenzialmente patologica, rivelatrice della
presenza di un male che è il prodotto di una malattia e di uno stato di disordine e disfunzione.
[…] Le persone affette da un def icit sono devianti perché disfunzionali. Inf ine, vi sono le
concezioni sociologiche, che caratterizzano la devianza tramite la mancata obbedienza alle
norme del gruppo dominante.[…] Di conseguenza, benché i devianti e i disabili abbiano in
comune il fatto di sconvolgere l‟ordine prestabilito, le loro situazioni non sono per nulla
comparabili. […] Ridurre la disabilità a una devianza o farne una sottocategoria di quest‟ultima
rafforza gli elementi segreganti della «validocrazia».” (Gardou, 2006).
“È la perdita di capacità di adattamento nell‟orizzonte della realtà sociale e culturale; è una
rigidità di impostazione della propria organizzazione. Essa può avere cause sociali di
marginalità e cause endemiche individuali; può portare a essere considerati minaccia sociale o
problema sociosanitario, e di conseguenza può condurre verso strutture di contenimento o
verso sistemi di cura. Chi è in tale situazione ha uno scarso controllo sulla propria prospettiva
esistenziale e sul progetto di vita.” (Canevaro, 20 07, p.)
Nota
Il termine devianza viene in letteratura spesso associato a quello di marginalità. La lettura
approfondita del fenomeno della devianza, avanzata da Piero Bertolini e Letizia Caronia (1993),
ripercorrendo le tappe storiche che hanno contribuito attraverso i diversi paradigmi, da quello
positivista a quello interazionista e costruttivista, restituisce un concetto di devianza e di
ragazzo difficile basato sull‟interazione di fattori esterni (contesto sociale) con fattori individuali
(intenzionalità personale). “Descrivere il comportamento deviante non più come l‟effetto
determinato di una individuabile e permanente configurazione di cause ma come frutto di un
insieme di interazioni simboliche e pratiche intersoggettive situazionate, significa infatti
indirizzare la riflessione verso la ricerca del contributo soggettivo nella costruzione della
devianza.” Nello specifico ambito della disabilità, come ad esempio in presenza di deficit o
disturbi psichici, la capacità di consapevolezza e l‟intenzionalità individuale del soggetto
potrebbero essere compromesse a causa del deficit o della disabilità stessa. In pedagogia
speciale, dunque, è necessario trattare l‟istanza pedagogica della devianza con le dovute
precisazioni.
Si rimanda alla lettura del lemma
epistemologica”, dedicata agli “oggetti”.
“marginalità”,
31
nella
sezione
della
“dimensione
Bibliografia
Bertolini, P. (1996). Dizionar io di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli.
Gardou, C. (2006). Diversità, vulnerabilità e handicap. Trento: Erickson.
Frabboni, F. (a cura di) (2007). Le parole della pedagogia. Torino: Bollati Boringhieri.
32
MARGINALITA’
De finizione
Riferito agli individui, indica lo stato di colui che si trova ai bordi, agli estremi della vita sociale,
che è o che si sente secondario, non importante, escluso dai centri di interesse e di vita di una
comunità. Soprattutto riferito alle condizioni sociali e materiali (povertà, degrado ambientale e
relazionale, disoccupazione) lo stato di marginalità può anche essere riferito alla posizione di
un individuo rispetto ad un gruppo. Un individuo marginale, in questo senso è colui che non
partecipa, per una scelta deliberata o imposta da altri, alla vita di quel gruppo, che ne è
escluso o che si sente tale (tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di
Piero Bertolini, 1996, p.334).
Citazione
“Poiché nelle società moderne vi è la tendenza alla moltiplicazione delle interazioni, e
contemporaneamente alla crescita dell‟isolamento degli individui, la solidarietà e le modalità di
integrazione non sono più l‟esito di una struttura stabile e ordinata, ma vanno continuamente
generate e ricostruite in quanto soggette a una progressiva usura. Non è più sufficiente
assicurare alle persone un posto all‟interno della strut tura sociale, ma occorre anche garantire
forme di accordo che sostengano il legame sociale e consentano agli individui di evolvere nel
tempo. In caso contrario il rischio è quello dell‟anonimia e della possibile marginalizzazione
dalla comunità.” (Dovigo, 2007, p.52)
Nota
“Neanche la marginalità può essere la caratteristica principale della pedagogia speciale. Vi
possono essere persone con deficit che sono devianti, vi possono essere persone con deficit
che possono essere marginali, ma non possiamo pensare ad una pedagogia speciale che si
occupi della devianza in generale, non è il suo compito; può contribuire, può per analogia
suggerire, con le dovute distinzioni.” (Canevaro, 2001,p.547)
Si rimanda alla lettura del lemma “devianza”, nella sezione della “di mensione epistemologica”,
dedicata agli “oggetti”.
Bibliografia
AA.VV (2001) Pedagogia Speciale. Numero monografico di Studium Educationis. Padova:
Cedam
Bertolini, P. (1996) Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanichelli
Booth, T., Ainscow, M. (2008). L‟index per l‟inclusione. Trento:EricksonDovigo, F. (2007) Fare
differenze. Indicatori per l‟inclusione scolastica degli alunni con Bisogni Educativi Speciali.
Trento: Erickson
33
CAPITOLO II
DIMENSIONE FENOMENOLOGICA
34
Coordinamento Prof. Luigi d‟Alonzo.
A cura di:
Anna Debé
Ilaria Folci
Antonella Semerano
Elena Zanfroni
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Ambiti (della Special Education)
A
Istanze del concetto di Ambiti (della Special Education)
DEFINIZIONE:
“AMBITO s. m. [dal lat. ambĭtus-us, propr. “l'andare attorno”, der. di ambire: v. ambire].
1. (non com.) [luogo nel quale uno si muove o compie determinate funzioni] ≈ circuito,
giro, perimetro, spazio.
(fig.) [tema delimitato a cui si fa riferimento: dottissimo nell'a. della sua m ateria] ≈
campo, dominio, ramo, settore, sfera, terreno.” (Da “ambito” in Vocabolario Treccani
online – http://www.treccani.it/vocabolario/ambito/ ).
Il termine “a mbito” fa riferimento a uno spazio circoscritto entro cui si sviluppa e si
determina una certa azione o situazione. Gli ambiti della Special Education sono aree in cui
la riflessione disciplinare trova il proprio spazio peculiare d‟indagine. Nello specifico della
disciplina succitata, si individuano i seguenti ambiti: educativo, familiare, culturale,
partecipativo, religioso, normativo.
CITAZIONI: “La dinamica in cui si muove la Pedagogia speciale è quella di non rinunciare a
dare risposte speciali (e da qui il suo nome) a problemi specific i in contesti ampi e non in
contesti separati. […] Di qui la valorizzazione della Pedagogia speciale non come scienza
stabilita una volta per tutte, ma come scienza di ricerca” (Canevaro, 1999, p. 3).
La Special Education è def inita quale “Scienza prepost a allo studio delle modalità più idonee
a vincere le resistenze alla riduzione di asimmetria tra l‟essere e il poter-dover essere delle
singole personalità in situazione di disagio, sia esso derivante da un deficit fisico, sensoriale
o psichico, sia da deprivazione socio-culturale” (Larocca, 1999, p. 133).
NOTE: la Special Education non si riferisce esclusivamente al contesto delle disabilità, siano
esse intellettive, sensoriali, motorie, ma anche alle situazioni di marginalità non forzatamente
legate a un def icit. In tale ottica, questa disciplina pone al centro dei suoi studi temi inerenti
alla disabilità, alla devianza, al disagio e alla marginalità. La Special Education è legata alla
Pedagogia generale, poiché entrambe traggono origine e significato dal la necessità di fornire
risposta ai caratteri di educabilità della persona.
Il termine “ambito” può riferirsi sia alla dimensione collettiva che, al contempo, a quella
individuale: pensare ed agire possono sottendere istanze singole e/o comuni, “l'uomo è
contemporaneamente un essere sociale e un individuo a sè”
in http://www.simonescuola.it/areadocenti/s463/glossario_scienze_umane.pdf .
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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http://www.treccani.it/vocabolario/ambito/ (Vocabolario Treccani online)
36
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Familiare (Ambito della Special Education)
F
Istanze del concetto di Familiare (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE:
FAMIGLIA - “Istituzione fondamentale in ogni società umana, attraverso la quale la società
stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale. Le f unzioni
proprie della f. comprendono il soddisfacimento degli istinti sessuali e dell'affettività, la
procreazione, l'allevamento, l'educazione e la socializzazione dei f igli, la produzione e il
consumo dei beni. Tuttavia, malgrado la sua universalità, la f. assume nei diversi contesti
sociali e culturali una straordinaria varietà di forme, sì da rendere problematico individuare
un tratto distintivo che la caratterizzi in ogni circostanza.” (Da “famiglia” in Enciclopedia
Treccani online - http://www.treccani.it/enciclopedia/famiglia/ ).
Dal punto di vista giuridico, la famiglia è tenuta ad assolvere ai compiti di educazione,
istruzione e mantenimento economico della prole. Sul versante pedagogico, il compito
principale delle figure parentali è l'educazione: si realizza in un quadro di riconoscimento dei
ruoli asimmetrici, quando le relazioni familiari sono vissute come risorsa e i figli sono soggetti
attivi della relazione educativa.
Tale istituzione sottende valori etici, morali e religiosi che concorro no alla formazione della
persona (in quanto essere individuale) e del nucleo (in quanto entità sociale), che devono
essere trasmessi, esplicitati ed insegnati mediante un progetto educativo condiviso e
finalizzato a raggiungere il principale obiettivo educ ativo, la libertà della persona.
Nella dimensione pedagogica, le attività rivolte all'educazione familiare rappresentano -in
un'ottica di empowement- un reale progetto sociale e di cittadinanza consentendo
all'individuo di costruire la sua identità nel processo di socializzazione continua.
Le competenze genitoriali arricchiscono la qualità delle relazioni e concorrono a promuovere il
benessere di tutto il nucleo contribuendo al miglioramento della qualità di vita, attraverso lo
sviluppo di un signif icativo sistema relazionale interno, caratterizzato da diversi elementi
pregnanti, quali i ruoli, la comunicazione, le regole, le reciproche aspettative, che la
qualificano come luogo unico e potenzialmente facilitante la crescita personale dei suoi
componenti. Le relazioni identificative della famiglia sono quelle di coppia e quella generativa
(biologica e sociale).
FAMILIARE - Ciò che concerne la famiglia, quale istituzione centrale della società, che ne
permette la riproduzione e perpetuazione.
CITAZIONE: “La famiglia come istituzione fondamentale, come primo pilastro [...], uno
spazio pedagogico fondamentale per crescere e maturare come persone chiamate ad
apportare alla società il proprio contributo” (d'Alonzo, 2006, p. 9). Nel corso dei decenni il
concetto di famiglia ha subito notevoli mutamenti, tanto che oggi non è possibile individuare
un unico modello di vita familiare. Come osserva Norberto Galli, “abbiamo di fronte non la
famiglia, bensì una costellazione di famiglie” (Galli, 1998, p. 39). La famiglia è l‟ambito
fondamentale “dell‟umanizzazione della persona”, il luogo privilegiato della cura e
dell‟educazione (Simeone, 2008).
Nell‟approccio sistemico, la famiglia è vista come una “unità interattiva che agisce all‟interno
del suo contesto sociale e temporale” (Walsh, 1982).
NOTA: la nascita di un bambino disabile rappresenta un evento traumatico e potenzialmente
disadattivo nella vita di una famiglia, che è chiamata a individuare risorse interne ed esterne
per affrontarlo al meglio. Il processo di riorganizzazione cui si trova a far fronte dovrebbe
trovare supporto nei servizi educativi, nelle istituzioni scolastiche e sociali, nella comunità
locale, che possono aiutarla nel delineare un adeguato e positivo progetto di vita del figlio
37
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Familiare (Ambito della Special Education)
disabile. È necessario che il sostegno e le cure poste al nucleo parentale si concretizzino su
diversi piani: su quello individuale, come elaborazione dei vissuti personali e ricerca delle
risorse interne; su quello coniugale, come consolidamento del rapporto di coppia; su quello
genitoriale, per la costruzione di un positivo attaccamento figlio-genitori; su quello familiare,
come incremento dell‟empowerment; sul piano extra familiare, per l‟attivazione delle risorse
formali e informali (cfr. L. Senno in Causin, De Pieri, 20 06, p. 44). Le difficoltà
ineludibilmente associate a condizioni di disabilità portano con sé situazioni di rischio
familiare, le quali possono incidere sul funzionamento positivo dello stesso ambiente
domestico. Ci sono casi in cui subentrano nel clima fa miliare ostacoli che mettono alla prova
l‟equilibrio parentale e la capacità di coping dei suoi componenti. Non si tratta solo di
situazioni di disabilità, ma anche di povertà, separazioni, affidamenti, dipendenze e, più in
generale, condizioni di emarginazione sociale.
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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http://www.politichefamiglia.it/home.aspx (sito del Dipartimento governativo per le
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http://www.anffas.net/Page.asp (sito dell‟Associazione Nazionale di Famiglie di Persone
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http://www.treccani.it/enciclopedia/famiglia/ (Enciclopedia Treccani online)
38
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Partecipativo (Ambito della Special Education)
P
Istanze del concetto di Partecipativo (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE: il termine “partecipativo” riguarda la possibilità di prendere parte a una
costruzione condivisa dei processi di sviluppo delle comunità. Particolare rilevanza possono
assumere i fattori culturali, sociali, economici, etnici etc. nel prendere parte, nell'intervenire
insieme agli altri, nel collaborare a qualcosa con un determinato fine ed obiettivo (es.
condivisione d'intenti). Partecipare assume anche un'accezione di condivisione emotiva (es.
sentimenti) e materiale (es. monetaria).
Dal punto di vista pedagogico, si rintraccia un duplice livello di concettua lizzazione:
partecipazione come coinvolgimento attivo dei soggetti nei processi di sviluppo comunitari e
partecipazione come pieno coinvolgimento del soggetto nel suo stesso processo formativo.
La pratica educativa dà una direzione di senso e accompagna a scoprire la dimensione
partecipativo/relazionale del progetto di vita di ciascuno, che implica la promozione piena di
una cittadinanza attiva (empowerment), ossia la possibilità di diventare protagonisti dei
cambiamenti in ogni condizione dell'essere uomo, nelle diverse circostanze personali e sociali
in tutte le età della vita. A tal proposito, John Dewey, nella sua opera My pedagogic creed
(1897), sosteneva che l‟educazione derivasse dalla partecipazione del singolo alla coscienza
sociale della propria specie.
CITAZIONE: “Partecipare è un verbo che qualifica i suoi significati in rapporto all‟attività e
alla funzione a cui si „prende parte‟. Il partecipare a certi tipi di attività è spesso condizione
di felicità per i singoli ed è aumento delle probabilità di riuscita, come diceva
eudemonisticamente il Rapporto Faure (Unesco, 1972); ma può anche essere un ‟occasione
di ostacolo e di rallentamento dell‟attività stessa; e può, per i singoli, aumentare la
sofferenza e il senso dell‟impotenza, anziché la soddisfazione. I processi di partecipazione
nascono spesso dalle rivendicazioni di chi considera il proprio stato di marginalità o di
emarginazione come un‟ingiustizia” (Corradini, 2008, p. 844).
“La dimensione della «partecipazione» è sempre stata strettamente collegata all'idea di
emancipazione e di empowerment e nell'ambito della riflessione pedagogica questo ha
comportato che di partecipazione si trattasse prevalentemente in relazione a contesti di
emarginazione sociale, politica, culturale.” (Del Gobbo G., 2010).
NOTA: le situazioni di marginalità sono caratterizzate da una “non partecipazione” a una o
più aree di attività sociali e, pertanto, a una conseguente esclusione ed emarginazione della
persona da certi ambiti di vita. L‟International Classif ication of Functioning, Disability and
Health (ICF, 2001) definisce la partecipazione come coinvolgimento del soggetto in una
particolare situazione di vita e le restrizioni alla partecipazione, di conseguenza, come
problemi che un individuo può sperimentare nel c oinvolgimento alle stesse situazioni. La
Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (2006) riconosce il diritto delle
persone disabili a una vita sociale autodeterminata e, pertanto, evidenzia la necessità di
assicurarne la piena partecipazione alla vita politica e pubblica, a quella culturale e
ricreativa, agli svaghi e allo sport (cfr. in particolare artt. 29 e 30).
BIBLIOGRAFIA
CORRADINI L. (2008). Partecipazione scolastica. In J.M. Prellezo, G. Malizia, C. Nanni
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Partecipativo (Ambito della Special Education)
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SITOGRAFIA
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http://www.fupress.net/index.php/sf/article/viewFile/10102/9340 (DEL GOBBO G.
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materiali e immateriali.)
40
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Culturale (Ambito della Special Education)
C
Istanze del concetto di Culturale (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE: ciò che concerne la cultura. Il termine “cultura” deriva dal latino colere, che
significa “coltivare”, “attendere con cura”. Esso indica il complesso di conoscenze e di
pratiche che denotano il bagaglio formativo di una persona (es. uom o di grande c.) o di un
popolo (in tal caso è sinonimo di civiltà, es. c. greca). Secondo un‟accezione antropologica,
cultura indica anche tutte le credenze, idee, conoscenze, costumi, norme sociali che
identif icano una società, o una parte di essa, in un certo periodo storico (es. c. industriale,
c. dell‟Illum inismo).
Il termine “cultura”, mai atemporale, nella lingua italiana denota più signif icati: dal punto di
vista istituzionale, essa è vista come strumento di formazione di base e di preparazione al
lavoro. Oltre ai diversi significati derivanti dall'appartenenza geograf ica, all'interno di una
stessa società, la cultura si distingue in: egemone, sub-cultura e controcultura. Con l'avvento
della globalizzazione nell'epoca contemporanea la cultura viene studiata in una prospettiva
relazionale e reticolare.
Anche la disabilità, la devianza e la marginalità sono fenomeni che vanno interpretati tenendo
in considerazione la cultura di riferimento: lo status della persona, l'esclusione o la
partecipazione ai processi societari, i pregiudizi, gli stereotipi, le categorizzazioni, le
istituzioni e i principi che le regolano (siano essi politici e concettuali) sono propri della
cultura d'appartenenza. Per queste ragioni la pratica educativa non può essere scissa dai
riferimenti culturali dell‟ambiente di vita.
CITAZIONE: “In quanto sistemi collettivi di significato le culture appartengono innanzitutto
alle relazioni sociali e ai network di queste relazioni. Appartengono ai luoghi solo
indirettamente e senza una necessità logica” (Hannerz U., 1998).
“La cultura è parte costitutiva della natura umana, perché solo la cultura «fa di noi degli
esseri specificamente umani, razionali e critici ed eticamente impegnati. Grazie alla cultura
discerniamo i valori ed effettuiamo delle scelte. L'uomo si esprime per mezzo della cultu ra,
prende consapevolezza di se stesso, si riconosce come un progetto incompiuto, rimette in
questione le sue realizzazioni, ricerca instancabilmente nuovi significati e crea opere che lo
trascendono» (Unesco, 1982)” (“La cultura come visione globale dell'esistenza umana”, in
Dizionario di Scienze dell'Educazione, p. 285).
“La rivoluzione culturale […] consiste nell‟audacia prometeica di posizionarsi contro i
benpensanti per avere il coraggio di stabilire dei principi di vita nuovi per e a partire dalle
persone più vulnerabili, e restituire il diritto di espressione a questi umiliati della parola,
spesso sminuiti a misura della patologia di cui soffrono. […] La rivoluzione culturale consiste
dunque in una desacralizzazione dell‟individuo, che si vorrebbe perfetto, immortale e
autosufficiente” (Gardou, 2006, pp. 24-26).
NOTA: Charles Gardou pone la sua attenzione sul contesto culturale, che, per essere
caratterizzato da un clima armonioso, deve riconoscere le diversità e le minoranze e deve
promuovere l‟inclus ione comunitaria dei più deboli. La rivoluzione culturale da lui prospettata
richiede coscientizzazione, contestazione e riforme, volte a rivedere il modo di concepire la
disabilità, contro gli stereotipi e i pregiudizi a essa legati. Ogni uomo nel corso d ella sua
esistenza può incontrare o vivere in prima persona condizioni di disabilità. Di conseguenza,
promuovere una cultura dell‟inclusione signif ica concepire la disabilità come parte della
normalità e della quotidianità, favorendo una costruzione più umana della società. Il
concetto di cultura inclusiva promuove una visione sociale in cui si attui il passaggio dalla
cultura di massa alla cultura delle differenze, valorizzando, e non emarginando, le specificità
41
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Culturale (Ambito della Special Education)
di ogni persona. La pedagogia delle differenze promuove, pertanto, il rispetto della diversità,
da intendersi come “speciale normalità” (Ianes, 2006).
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SITOGRAFIA -
42
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Religioso (Ambito della Special Education)
R
Istanze del concetto di Religioso (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE: per “ambito religioso” si fa genericamente riferimento alle questioni che
riguardano la relazione dell‟uomo con Dio, a livello individuale e/o comunitario. L‟etimologia
del termine “religione” è incerta: alcuni la associano a relegere (osservare con attenzione,
curare con riguardo), con riferimento all‟osservanza delle norme e dei rituali divini; altri a
religare (legare, vincolare), in associazione al termine re-eligere (scegliere nuovamente),
richiamando l‟adesione personale al credo. La religione riveste particola re interesse in
campo pedagogico, in quanto espressione della cultura umana e agente formativo della
persona e della società. A livello individuale, difatti, la religione inf luenza la strutturazione
della personalità, l‟organizzazione della mentalità e il modo di guardare alla realtà e alla
storia.
CITAZIONE: “La pedagogia, con la sua convinta apertura ai molteplici contributi scientifico disciplinari, ha nondimeno il compito di promuovere criticamente l‟unità dell‟educazione e
custodirne il senso religioso” (Malavasi, 2002, p. 14).
“Senza dubbio le persone disabili, svelando la radicale fragilità della condizione umana, sono
una espressione del dramma del dolore e, in questo nostro mondo, assetato di edonismo e
ammaliato dalla bellezza effimera e fallace, le loro difficoltà sono spesso percepite come uno
scandalo e una provocazione e i loro problemi come un fardello da rimuovere o da risolvere
sbrigativamente. Esse, invece, sono icone viventi del Figlio crocifisso. Rivelano la bellezza
misteriosa di Colui che per noi si è svuotato e si è fatto obbediente sino alla morte. Ci
mostrano che la consistenza ultima dell‟essere umano, al di là di ogni apparenza, è posta in
Gesù Cristo. Perciò, a buon diritto, è stato detto che le persone handicappate sono testimoni
privilegiate di umanità” (Papa Giovanni Paolo II, 2004).
“Specificatamente per quanto riguarda l'analisi dei processi interiori e degli itinerari
educativi, le connessioni fra esperienza di fede e maturazione personale, studi interessanti
sono venuti dalla psicologia, soprattutto da quella di impronta umanista, molto conosciuti in
Italia (Allport, Erikson, Vergote, Godin). Più recentemente sono in atto ricerche circa le
condizioni e i processi di maturazione specifica della fede a partire dall'idea di motivazione,
dalla ricerca di signif icato sia in ambito psicologico che sociologico (Piaget, Keagan, Moran,
Fowler, Oser, Nipkow).” (AA.VV., 2008, pag. 988).
NOTA: l‟educazione alla fede nell‟epoca odierna può trovare senso “nel rispetto della dignità
del pensiero che liberamente si interroga sul senso ultimo delle cose” (Malavasi, 2002, p.
236). La Dichiarazione Universale dei diritti dell‟uomo (1948) riconosce il diritto di ogni
individuo alla libertà di pensiero, coscienza e religione. In attinenza a ciò, le Standard Rules
on the Equalization of Opportunities for Persons with Disabilities promosse dall‟ONU nel
1993 hanno evidenziato come debbano essere incoraggiate misure di partecipazione delle
persone con disabilità alla vita religiosa delle loro comunità di appartenenza. In particolare,
il documento prevede, tra i diversi altri punti, che gli Stati aderenti incoraggino il
superamento di condizioni discriminative e rendano accessibili le attività religiose alle
persone disabili; diffondano informazioni che estendano la conoscenza sulla questione delle
disabilità alle istituzioni e organizzazioni religiose; curino l‟accessibilità della letteratura
religiosa a persone con deficit visivi.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. (2008). Dizionario di Scienze dell'Educazione. Roma: LAS.
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Simposio internazionale su “Dignità e
diritti della persona con handicap mentale”, Città del Vaticano, 5 gennaio 2004.
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Normativo (Ambito della Special Education)
N
Istanze del concetto di Normativo (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE: “NORMA /'nɔ rma/ s. f. [dal lat. norma “squadra” (come strumento) e, fig.,
“regola”]. - [tenuta di condotta stabilita d'autorità o convenuta di comune accordo:
osservare, infrangere una n.] ≈ canone, (lett.) dettame, direttiva, disposizione, legge,
precetto, prescrizione, principio, regola.” (Da “norma” in Vocabolario Treccani online –
http://www.treccani.it/vocabolario/norma/ ).
“NORMATIVO agg. [dal fr. normatif, der. di norme “norma”]. - Che stabilisce, o ha per fine di
stabilire norme, che mira ad assoggettare a regole (di comportamento, d'azione, di
procedura, ecc.) più o meno cogenti: attività n., potere n., facoltà, funzione n.” (Da
“normativo”
in
Vocabolario
Treccani
online
–
http://www.treccani.it/vocabolario/normativo/ ).
Il termine normativo rimanda alla prescrizione di regole e norme. La Special Education
condivide l‟ambito normativo con la Pedagogia generale, caratterizzata da una duplice
natura: quella normativa (educazione quale dover essere) e quella descrittiva (educazione
come fatto).
Diversamente dalle altre Scienze descrittive, la Pedagogia non si limita a descrivere i fatti,
ma ne stabilisce la norma, il precetto regolativo, il dover essere.
La pedagogia è, infatti, una scienza normativa con riferimenti empirici, è costituita da una
forte relazione tra normatività ed empiria: le norme pedagogiche sono ispirate al carattere
progettuale del processo educativo che ha come fine la realizz azione del progetto di vita della
persona. L'aspetto normativo della riflessione pragmatica è legato all'individuazione di una
finalità assunta idealmente come universale. Sul piano pragmatico, infatti, un modello
corrisponde ad una scelta educativa determinata e possiede una precisa valenza normativa:
è capace di ispirare e guidare la concreta organizzazione dell'esperienza educativa.
CITAZIONE: “La pedagogia ha storicamente assolto la funzione di sapere eminentemente
pratico-deontologico, di disciplina normativa, di discorso prescrittivo. Essa, infatti, assume
quale proprio oggetto l‟educazione, cosicché si rivolge a indicare azioni da compiere in vista
della realizzazione di scopi e valori (…). L‟educazione è ,infatti, un processo che si propone
finalità morali, un evento che trae la propria ragion d‟essere dall‟intenzionalità etica che gli è
connaturata, dal suo essere, cioè, momento strumentale rispetto alla realizzazione di un
qualche complesso valoriale e ideale” (Colicchi, 2001, p. 95).
NOTA: Wolfgang Brezinka fa coincidere la crisi della società moderna con la crisi della cultura
normativa. La situazione sociale di attuale e profonda incertezza esistenziale e disordine
sociale derivano, difatti, da insicurezze negli ambiti della religione, della visione del mondo,
dell‟educazione e della moralità. Pertanto, la pedagogia è chiamata a proteggere gli ideali
comuni e a promuoverne la trasmissione intergenerazionale. Il concetto di educabilità
dell‟uomo, che si compie nell‟attuazione della più completa u manità dell‟educando tramite il
passaggio dall‟essere al dover essere, è centrale nella riflessione della Special Education Un
positivo percorso di crescita della persona può essere garantito solamente nel rispetto del
bisogno di qualsiasi uomo di vivere la dimensione sociale del suo essere, nell‟ottica della
valorizzazione degli aspetti inclusivi. In questo senso, dunque, compito della Special
Education è rimuovere gli ostacoli e le barriere, promuovere mentalità che contrastino le
resistenze sociali, al fine di sollecitare la riduzione dello scarto fra l‟essere e il dover essere
della persona in situazione di disabilità e marginalità.
BIBLIOGRAFIA
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Educativo (Ambito della Special Education)
E
Istanze del concetto di Educativo (Ambito della Special Education)
DEFINIZIONE: ciò che concerne l‟educazione, intesa come strumento volto a favorire la
promozione fisica, intellettuale e morale della persona, ai fini del cosciente e libero sviluppo
del sé, in interazione e relazione con gli altri. L‟etimologia del termine “educazione” rimanda
sia a educare (alimentare, nutrire) sia a educere (trarre fuori, sviluppare) Il termine,
pertanto, ha assunto diversi significati nel corso della storia, divenendo sinonimo di crescita,
apprendimento, insegnamento, socializzazione. Protagonisti del processo educativo sono
l‟educando e l‟educatore, che diviene “coscienza anticipante” del primo. (Bloch, 2005).
CITAZIONE: “L‟educatore è innanzitutto un testimone di verità, una virtù vivente che si
incarna come abitudine a perseguire con coerenza un f ine prefissato. L‟educatore è colui che
sa e vuole cogliere lo spirito dell‟educazione anche negli anfratti più inti mi e nascosti della
personalità sua e degli altri …. È sorretto, attingendo da E. Bloch, dalla “coscienza
anticipante” […] che sta in ambito educativo come costante e intenzionale capacità di sintesi
tra la memoria e il futuro, come anticipazione dinamica di un ideale educativo e di una
possibilità di pesnare in termini di liberazione e non di incapsulamento nella cultura
dell‟autofrustrazione e dell‟autoripiegamento per la caduta di ideali intorno ai quali si
diffondono disaffezione e distrazione” (Vico, 1995, p.70).
L‟educazione speciale è intesa “come lettura delle potenzialità e dei bisogni individuali, e
come formulazione degli obiettivi per il recupero e l‟integrazione dei soggetti in situazione di
handicap, determinato da disabilità sensoriali, fisiche, intellettive e psichiche. In senso più
lato è da riferirsi anche all‟approccio pedagogico nei confronti dei soggetti in situazione di
grave svantaggio socio-culturale” (Augenti, 2008, p. 401).
NOTA: nel linguaggio pedagogico odierno si parla di Bisogni Educativi Speciali (BES) a
indicare “qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un
funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell‟Organizzazione
mondiale della sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o
stigma sociale, indipendentemente dall‟eziologia, e che necessita di educazione speciale
individualizzata” (Ianes, 2005, p. 33). L‟International Classification of Functioning, Disability
and Health (ICF) dell‟Orga nizzazione mondiale della sanità (2001) si pone come cornice
concettuale entro cui leggere i BES, proponendo un modello biopsicosociale di classificazione
delle componenti della salute. Il funzionamento di una persona è determinato da un
complesso sistema di connessioni, frutto dell‟influenza reciproca esercitata da condizioni
fisiche e fattori contestuali.
BIBLIOGRAFIA
AUGENTI A. (2008). Educazione speciale. In Prellezo J.M., Malizia G., Nanni C. (Eds.),
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Educativo (Ambito della Special Education)
SITOGRAFIA
http://www.who.int/en/ (sito dell‟Organizzazione Mondiale della Sanit à)
48
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Luoghi (della Special Education)
L
Istanze del concetto di Luoghi (della Special Education)
DEFINIZIONE: la storia personale di ciascun individuo si costruisce attraverso i luoghi di vita
nei quali si vivono e sperimentano le risorse umane, culturali, economiche e psicologiche e i
valori a esse connessi. In riferimento all‟educativo, il concetto di “luogo” è da collegarsi agli
ambiti e ai contesti in cui le pratiche e le attività dell‟educazione prendono forma. Luoghi di
educazione sono tutti quegli ambiti formali, informali e non formali, di natura reale o
virtuale, nei quali la persona si trova a vivere la propria esistenz a.
CITAZIONE: lo spazio “è elemento imprescindibile dell‟accadere educativo, sua qualificazione
primaria”. La sua importanza nel caratterizzarsi della relazi one educativa è data dal fatto che
lo spazio “si riempie di comportamenti e di immaginario, genera vissuti posizionali e riceve
attribuzioni di senso determinanti per le interazioni educative” (Iori, 2003, p. XVIII, 60).
"L'ambiente fisico e umano rappresenta una risorsa potente per l'approccio pedagogico
globale alla disabilità. [...] Curare l'ambiente in cui si vive è fondamentale per creare i
presupposti della buona riuscita di un'esperienza educativa. Si potrebbe dire che ogni attività
proposta dovrebbe trovare svolgimento in un ambiente con caratteristiche idonee, ma anche
che saper cogliere le caratteristiche di un ambiente permette di poterlo scegliere per attività
specifiche”. (Girelli, 2011, pag. 87-88).
NOTA: sin dai primi decenni del XX secolo l‟identif icazione dello spazio quale elemento
vincolante nell‟elaborazione di signif icativi eventi educativi è stata stimolata dalla rif lessione
di f ilosofi, psicologi e pedagogisti di orientamento fenomenologico-esistenziale. Nella visione
fenomenologica lo spazio si carica di vissuti emotivi, diviene campo di incontro e di scambio
fra l‟educatore e l‟educando, produce intenzionali processi di trasformazione, di sviluppo, di
crescita. L‟ambiente in cui è calato ogni destinatario di eventi educativi, pertanto , non è solo
spazio oggettivo, ovvero regolato esclusivamente da leggi fisiche e geometriche, bensì è
soprattutto spazio vissuto, influenzato dal soggetto che vi dimora e nel contempo inf luente
sullo stesso. La rilevanza dei luoghi educativi si amplifica notevolmente in situazioni di
disabilità, in quanto “è l‟ambiente in cui vive il disabile, è il contesto sociale dove è chiamato
a maturare le sue abilità, è il Paese in cui si trova a risiedere che aiuta od ostacola il corretto
sviluppo delle sue potenzialità” (d‟Alonzo, 2008, p. 73).
BIBLIOGRAFIA
AUGÉ M. (1999). Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità . Milano:
Elèuthera.
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SITOGRAFIA -
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Luoghi reali (della Special Education)
L
stanze del concetto di Luoghi reali (della Special Education)
DEFINIZIONE: i luoghi reali sono caratterizzati da uno spazio f isico in cui la persona vive
esperienze attraverso la sua corporeità: nello spazio e nel tempo l ‟esperienza assume una
dimensione f isica e, attraverso di essa, si preserva la relazionalità e la reciprocità dettata
dalla co-presenza. I luoghi reali dell‟educazione interessano ogni persona senza alcun tipo di
distinzione e si sperimentano quotidianamente lungo tutto il corso della vita.
CITAZIONE: “I luoghi insegnano e plasmano uomini e valori; si impara dai luoghi; le culture
ascoltano quello che i luoghi insegnano di diverso a coloro che li abitano. I luoghi radicano ed
escludono, creano attaccamento ed ostilità nei confronti di altri luoghi. I luoghi sono, come
sosteneva Spengler, i „paesaggi materni di una cultura‟, la allevano e la nutrono. I luoghi,
come le c ulture, dovrebbero conservare perciò una loro diversità rispetto alle spinte
universalizzanti e unificanti” (Regni, 2002, pp. 9-10).
NOTA: diversi sono i luoghi reali che ospitano e permettono lo sviluppo di esperienze
educative. La scuola non è unico luo go adibito ai processi formativi: esiste un sistema
formativo per cui in diversi spazi si ritrovano altrettante istanze e modalità educative.
All‟ambiente scolastico si affiancano, pertanto, strutture territoriali e, più in generale, risorse
ambientali dove la persona costruisce il proprio sé attraverso le esperienze che vive. Il
sistema funziona in maniera ottimale nel momento in cui le sue parti comunicano e
condividono i propri percorsi e le proprie competenze, permettendo alla persona di accedere
ai servizi autonomamente e in funzione delle necessità personali.
BIBLIOGRAFIA
CHIOSSO G. (Ed.). (2009). Luoghi e pratiche dell‟educazione. Milano: Bruno Mondadori.
MARTINI, B. (2011). Pedagogia dei saperi: problemi, luoghi e pratiche per l‟educazione .
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SITOGRAFIA -
50
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Formativi (Luoghi reali della Special Education)
F
Istanze del concetto di Formativi (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: il concetto di “luogo formativo” rimanda ai contesti di educazione, di
apprendimento e di istruzione dell‟individuo. Se per lungo tempo la Scuola è stata ritenuta
l‟unico spazio dedicato al compito formativo, oggi si protende a considerare luoghi di
formazione anche l‟Extrasc uola e il Postscuola. Tale “triplice via” permette la formazione
della persona lungo tutto il corso della sua vita (cfr. Frabboni, 2013).
CITAZIONE: i luoghi formativi sono quegli spazi che promuovono formazione, intesa quale
“processo attraverso cui le potenzialità soggettive pervengono a maturazione o si apprende
quanto è necessario per svolgere un ruolo particolare, a seguito dell‟interazione con
l‟ambiente, la partecipazione al patrimonio sociale di cultura e la mediazione e il sostegno di
figure e istituzioni appositamente deputate (famiglia, scuola, chiese, gruppi, associazioni,
mass- media, organizzazione sociale dello sport e del tempo libero)” (Nanni, 1989, p. 5041).
NOTA: la formazione della persona inizia fin dalla sua prima infanzia. Secondo una
prospettiva ecologica, lo spazio, i contesti di vita e le relazioni inf luiscono profondamente
sulla crescita del bambino. Luoghi come i nidi e le ludoteche, nonché servizi come quello
della Tagesmutter, permettono al piccolo di esprimersi in un sistema d i relazioni, rispondendo
al suo primario bisogno di sviluppo tra pari. Il sistema scolastico, invece, è momento
nevralgico, ma come già detto non esclusivo, del processo formativo negli anni successivi di
vita della persona, fino alla sua giovinezza. La sc uola d‟infanzia, quella primaria e la
secondaria forniscono conoscenze e competenze agli studenti, preparandoli all‟avviamento
professionale o al percorso universitario. Lungo la storia, la scuola è stata caricata di oneri
sempre più vasti, nei quali si ricomprendono il compito di istruire, di allenare alla
socializzazione, di preparare all‟esperienza lavorativa, di garantire esperienze culturali e
ricreative. La scuola italiana ha scelto ormai da lungo tempo la via dell‟integrazione
scolastica degli alunni disabili, arrivando oggigiorno a rif lettere e lavorare sulle strategie che
permettono una sempre maggior cura, reale inclusione e valorizzazione di tutti quei soggetti
con Bisogni Educativi Speciali (BES). Il percorso è stato attuato sia sul versante peda gogico,
sia su quello legislativo (in particolare oggi la scuola fa riferimento alla L. 5 febbraio 1992, n.
104, “Legge quadro per l‟assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate”).
Al di fuori dell‟ambito scolastico, diversi sono gli spazi e i servizi pensati per i bisogni dei
disabili. Tra questi, si ricordano in particolari i centri diurni, i CSE (Centri Socio Educativi) e
gli SFA (Servizi di Formazione all'Autonomia). Essi permettono l‟organizzazione di “un
contesto educativo in grado di promuovere e di coordinare attività riabilitative e
specialistiche indispensabili alla loro crescita e sono inserite in un campo affettivo, sociale ed
educativo capace di dare senso compiuto agli sforzi profusi, alla luce di un progetto di vit a”
(d'Alonzo, 2008, p. 15). In un‟ottica bio-psico-sociale, l‟intervento formativo rivolto alle
persone con disabilità pone al centro l‟educabilità e ha come obiettivo la realizzazione del
soggetto come cittadino e come lavoratore attraverso l‟acquisizione di abilità e conoscenze
che sviluppino l‟autonomia e rispondino al bisogno di autodeterminazione.
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA -
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Domestici (Luoghi reali della Special Education)
D
Istanze del concetto di Domestici (Luoghi della Special Education)
DEFINIZIONE: Il termine “domestico” deriva dal latino domestĭcus che, a sua volta, richiama
il sostantivo domus, che significa “casa”. Pertanto, con domestico si fa riferimento a un
qualcosa che appartiene alla casa. In particolare, un luogo domestico è uno spazio
caratterizzato da un clima familiare, intimo, privato.
CITAZIONE: “L‟importanza pedagogica del nucleo domestico risiede proprio nei suoi aspetti di
unità relazionale e continuità temporale. […] Nello spazio educativo familiare si manifestano
in modo originario le due essenziali modalità costitutive dell‟umana presenza: l‟essere-nelmondo (In-der-Welt-Sein) ed il suo correlato imprescindibile: l‟essere-con-gli-altri (Mit-Sein).
Nella condivisione di uno spazio comune (spazio della casa e dell‟abitare), questo non è da
intendere come una realtà fisico-geometrica „sommativa‟, costituita dal semplice insieme di
più soggetti presenti l‟uno accanto all‟altro, ma è un‟unità relazionale in cui i legami affettivi
qualificano l‟appartenenza ad un mondo comune” (Iori, 2003, p. 272)
NOTA: possiamo identificare quali luoghi domestici, oltre alla casa, spazi come le comunità,
le case famiglia, le case alloggio e i gruppi appartamento. Questi sono ambienti
pedagogicamente caratterizzati dalla residenzialità: attraverso, infatti, l‟organizzazione di
spazio e tempo c ondivisi, l‟interiorizzazione delle norme, i codici simbolici comunicativi e le
relazioni che si instaurano, vengono promosse le potenzialità dei soggetti coinvolti. Tali luoghi
domestici rispondono all‟articolo 1 della legge n. 328 del 2000, con il quale “La Repubblica
assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali,
promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione
e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di
disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e
condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”. Essi
nacquero in parallelo al processo di deistituzionalizzazione, sviluppatosi in Italia alla fine degli
anni Sessanta e, soprattutto, negli anni Settanta del secolo scorso, che criticava le forme di
emarginazione tipiche degli istituti in favore di prime forme di intervento alternat ive. Una di
queste fu rintracciata nella comunità di tipo familiare, caratterizzata da un limitato numero di
ragazzi accolti, favorente l‟instaurarsi di un clima intimo e positivo. Dagli anni Sessanta
furono avviate anche le case famiglia, contraddistinte dalla presenza di figure parentali; le
comunità alloggio, luoghi con una ricettività estremamente limitata per permettere la
massima personalizzazione degli interventi; i gruppi appartamento, volti alla sperimentazione
di stili di vita autonomi.
BIBLIOGRAFIA
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Domestici (Luoghi reali della Special Education)
SITOGRAFIA
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http://www.politichefamiglia.it/home.aspx (sito del Dipartimento governativo per le
Politiche della Famiglia)
http://www.anffas.net/Page.asp (sito dell‟Associazione Nazionale di Famiglie di Persone
con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale)
54
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Residenziali (Luoghi reali della Special Education)
R
Istanze del concetto di Residenziali (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: l‟aggettivo “residenziale” indica un luogo adibito a residenza. La residenza è il
luogo di abitazione di una persona.
CITAZIONE: per “assistenza residenziale” è da intendersi il “il complesso integrato di
prestazioni socio-sanitarie erogate a persone non autosufficienti non assistibili a domicilio
all‟interno di nuclei accreditati per la specifica funzione” (Ministero della Salute, 2007).
NOTA: Nel 2006 l‟ISTAT ha condotto una rilevazione sull‟assistenza residenziale e socio assistenziale in Italia, individuando le seguenti tipologie di strutture: il centro di pronta
accoglienza, dedicato alle situazioni di emergenza; il centro di accoglienza notturna, per
persone con grave disagio economico, familiare e sociale; la c omunità familiare, per soggetti
con limitata autonomia personale, per i quali si ritenga opportuno sperimentare modelli di
vita comunitaria secondo il modello familiare; la comunità socio educativa per minori,
perlopiù rivolta a bambini, preadolescenti e adolescenti con difficoltà familiari; la c omunità
socio riabilitativa, per anziani con limitata autosufficienza, portatori di handicap fisici, ps ichici
o sensoriali, tossicodipendenti, alcolisti ecc.; la c omunità alloggio, per persone non
economicamente indipendenti e prive di sostegno familiare; l‟istituto per minori, presidio
residenziale socio-educativo, in grado di accogliere un alto numero di persone; la residenza
assistenziale per anziani autosufficienti; la residenza socio sanitaria per anziani non
autosufficienti; la Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA), per anziani non autosufficienti o
persone disabili che necessitano di un supporto med ico, infermieristico, riabilitativo; il Centro
di accoglienza per immigrati.
BIBLIOGRAFIA
RABBONI M. (2003). Residenzialità: luoghi di vita, incontri di saperi. Milano: Franco Angeli.
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SITOGRAFIA
www.istat.it (sito dell‟Istituto nazionale di statistica)
55
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Ricreativi (Luoghi reali della Special Education)
R
Istanze del concetto di Ricreativi (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: l‟aggettivo “ricreativo” indica ciò che è att o a ricreare, a svagare, a divertire,
a ritemprare. I luoghi ricreativi, quali le discoteche, le palestre, gli stadi e i bar ecc., sono
spazi di aggregazione aperti a iniziative di animazione sociale, di svago e di divertimento,
con riferimento a un modello animativo-ricreativo del tempo libero.
CITAZIONE: “La presa d‟atto di un progressivo ampliamento del sistema formativo, con il
riconoscimento del ruolo educativo svolto non solo dalla scuola ma anche da tutti i soggetti
educativi presenti nel territorio, ha portato studiosi, ricercatori, esperti e operatori a
considerare il sistema della formazione in una sua forma „allargata‟. Un tale sistema
formativo allargato presuppone il pieno riconoscimento dei processi educativi all‟interno di
differenti servizi presenti nel territorio: agenzie formative (istituzioni scolastiche, università,
agenzie di formazione professionale, centri di educazione degli adulti ecc.); servizi ludico ricreativi (associazioni sportive, campi gioco, spazi e centri di aggregazione giovanile,
ludoteche, ecc.); servizi culturali (biblioteche, musei, laboratori teatrali o musicali, ecc.);
associazionismo e terzo settore (associazioni, organizzazioni di volontariato, organizzazioni di
utilità sociale, organizzazioni non governative, ecc.); organismi politici (partiti, sindacati,
movimenti, ecc.); servizi sociali e di assistenza sanitaria” (Catarci, 2013, pp. 98-99).
NOTA: i luoghi ricreativi rivestono un‟importante rilevanza educativa, in quanto
rappresentano momenti elettivi in cui la pe rsona esprime la propria identità. Chi vive
condizioni di disabilità o di marginalità trova in tali luoghi occasione di implementare e
condividere le proprie risorse, confrontarsi con gli altri, sviluppare la propria individualità in
maniera spontanea e in relazione con gli altri. Gli spazi ricreativi dovrebbero permettere
l‟espressione libera di ogni persona, nella garanzia di porsi quali contesti inclusivi. Essi sono
altresì luoghi in cui vivere il proprio tempo libero: la ricerca di occasioni di svago risponde al
bisogno di uscire da situazioni di emarginazione e sviluppare se stessi in situazioni di
autonomia, finalizzate al divertimento e senza obiettivi terapeutici da perseguire. Il tempo
libero è spazio nel quale si creano opportunità di incontro, sca mbio, integrazione. Al pari
dell‟istruzione, della non discriminazione, della libertà di pensiero ecc., anche il tempo libero
è un diritto che deve essere garantito a ogni persona.
BIBLIOGRAFIA:
CATARCI M. (2013). Le forme sociali dell'educazione: servizi, territori, società. Milano:
Franco Angeli.
FAVA S. (2005). Disabilità e tempo libero: metodologie, strategie e buone prassi di un
servizio per il tempo libero. Tirrenia: Edizioni del Cerro.
MILANI L., Azzolini O. (2004). Un, due, tre... liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi tra
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SITOGRAFIA:
http://www.atlhaonlus.eu/ (sito di ATLHA - Associazione Tempo Libero per l‟integrazione
dei disabili)
http://www.aiasmilano.it/area-sociale/tempo-libero-aias-di-milano/ (sito di AIAS –
Associazione Italiana Assistenza Spastici – Onlus Milano, Servizio Tempo Libero)
56
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Riabilitativi (Luoghi reali della Special Education)
R
Istanze del concetto di Riabilitativi (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: con il termine “riabilitativi” si fa riferimento agli spazi dedicati ai processi
della riabilitazione. La riabilitazione viene storicamente considerata il terzo elemento del
percorso sanitario, insieme alla prevenzione e alla terapia.
Si tratta dell'insieme delle conoscenze, degli studi e dei provvedimenti rieducativi e
terapeutici rivolti a realizzare la riabilitazione dei soggetti disagiati, marginali e/o con
disabilità.
Nella pratica della riabilitazione, ma anche nei modelli teorici, si possono individuare due aree
principali di intervento riabilitativo: la casa e il lavoro.
In generale si può osservare che qualsiasi discorso riabilitativo si muove, per la persona in
riabilitazione, secondo un continuum che va da un massimo di dipendenza a un massimo di
autonomia (modellato sui suoi reali bisogni e continuamente regolato) coinvolgendo per
quanto possibile quelle figure che costituiscono per essa un rinforzo e un riferimento.
Sono progetti terapeutico-riabilitativi funzionali al piano di trattamento individuale
complessivo. Le strutture, di esclusiva competenza sanitaria, dove tali programmi hanno
luogo sono: ospedali, ambulatori, consultori.
CITAZIONE: “La riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel
corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano
fisico, funzionale, sociale ed emozionale con la minore restrizione possibile delle sue scelte
operative” (Linee guida del Ministro della sanità per le attività di riabilitazione, 1998).
NOTA: il processo riabilitativo della persona con deficit neurologici o neuropsicologici, con
menomazioni ortopedico-degenerative o affetta da complicanze incorse in un secondo
momento dalla patologia iniziale, prevede trattamenti medici di carattere motorio,
neuropsicologico, occupazionale e strumentale. A seconda del soggetto e della disabilità, gli
interventi riabilitativi si sviluppano con differenti modalità e in differenti luoghi. I trattamenti
sono erogati nelle fasi di riabilitazione intensiva; di riabilitazione intensiva ad alta
specializzazione; di riabilitazione estensiva. Possono essere attuati in regime di assistenza
ospedaliera in ricovero ordinario diurno (Day Hospital); di Day Service, di assistenza
extraospedaliera a carattere residenziale a ciclo continuativo, semiresidenziale o diurno; d i
assistenza ambulatoriale o domiciliare. Lo scopo della riabilitazione è far raggiungere alla
persona, nell‟ottica ICF (International Classif ication of Functioning, Disability and Health), le
condizioni di massimo livello possibile di funzionamento individuale e di partecipazione alla
vita sociale. Il Percorso Assistenziale Integrato coniuga gli aspetti sanitari e sociali,
permettendo la complessità dell‟intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto Riabilitativo
Individuale è lo specifico strumento definito dal medico specialista in riabilitazione e
condiviso con gli altri professionisti coinvolti, nonché con il paziente, ove possibile, e con la
sua famiglia.
BIBLIOGRAFIA
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per la Riabilitazione. Roma.
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Legislazione di riferimento:
Linee guida del Ministro della sanità per le attività di riabilitazione , G.U. n. 124 del
57
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Riabilitativi (Luoghi reali della Special Education)
30/05/98.
SITOGRAFIA -
58
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Lavorativi (Luoghi reali della Special Education)
L
Istanze del concetto di Lavorativi (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: il lavoro indica un impiego di energie finalizzato al raggiungimento di un
determinato scopo. Può anche riferirsi a un‟occupazione specifica, che prevede una
retribuzione e che diviene esercizio di una.
Con il termine “lavorativo” si fa riferimento a quei luoghi predisposti per lo svolgimento di un
lavoro. professione.
CITAZIONE: “Per la persona con deficit l‟inserimento lavorativo assume un ulteriore
significato, rappresenta una meta fondamentale per mostrare al mondo e a s e stessi la
propria „normalità‟. Significa „urlare‟ a tutti di essere un individuo capace, in grado di
apportare un proprio contributo al benessere sociale, [...] di essere una persona come tutti
finalmente libera" (d‟Alonzo, 2003, p. 80).
NOTA: l‟inserimento nel complesso mondo lavorativo e la conseguente autonomia economica
sono fattori estremamente rilevanti ai fini dell‟integrazione sociale delle persone con
disabilità. La legislazione italiana in t ema di inserimento lavorativo dei disabili ha avuto
un‟evoluzione signif icativa con la legge 68/99, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Tale
legge, finalizzata alla promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle
persone disabili tramite servizi di sostegno e di collocamento mirato, si è inserita in uno
scenario concettuale importante, che ha assunto un‟ottica incentrata non meramente sulla
gestione amministrativa delle graduatorie degli iscritti, bensì sull‟informazione,
l‟orientamento e il supporto di un signif icativo inserimento lavorativo delle persone. Difatti,
la legge sostiene l‟inserimento individualizzato nel mondo del lavoro delle persone disabili
secondo un‟analisi delle capacità lavorative del singolo soggetto, con at tenzione alle
caratteristiche del posto di lavoro. Con il concetto di “collocamento mirato” si intende una
“serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le
persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inse rirle nel posto adatto, attraverso
analisi dei posti, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli
ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di
relazione” (art.2 della 68/99).
Ai fini di un incremento dell‟occupazione dei lavoratori disabili, un ruolo importante è giocato
dalle cooperative sociali di tipo B, che svolgono attività volte all‟inserimento lavorativo di
persone svantaggiate.
BIBLIOGRAFIA
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Legislazione di riferimento:
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SITOGRAFIA -
59
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Servizi ed Infrastrutture (Luoghi reali della Special Education)
S
Istanze del concetto di Servizi ed Infrastrutture (Luoghi reali della
Special Education)
DEFINIZIONE: i servizi ai cittadini rappresentano strumenti di agevolazione della vita
quotidiana di ogni persona. In tale categoria sono inclusi, ad esempio, i mezzi di trasporto,
gli enti locali, le banche, le poste, i negozi.
CITAZIONE: “L‟inserimento e l‟integrazione sociale della persona handicappata si realizzano
mediante: a) interventi di carattere socio-psico-pedagogico, di assistenza sociale e sanitaria
a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico ai sensi della normativa vigente, a
sostegno della persona handic appata e del nucleo familiare in cui è inserita; b) servizi di
aiuto personale alla persona handicappata in temporanea o permanente grave limitazione
dell‟autonomia personale; c) interventi diretti ad assicurare l‟accesso agli edifici pubblici e
privati e ad eliminare o superare le barriere fisiche e architettoniche che ostacolano i
movimenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico; d) provvedimenti che rendano effettivi il
diritto all‟informazione e il diritto allo studio della persona handicappata, con p articolare
riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle
prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non
docente; e) adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di
tempo libero e sociali; f ) misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in
forma individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi
diversificati; g) provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e
privato e la organizzazione di trasporti specifici […]” (Legge 104/92, art. 8).
NOTA: partendo dal presupposto che a ogni persona deve essere garantita la possibilità di
accedere ai servizi della comunità in cui vive, esistono ancora numerosi impedimenti che
ostacolano la vita quotidiana delle persone con disabilità. Pensando, ad esempio, ai trasporti
pubblici, si sente forte l‟esigenza di migliorare le possibilità di mobilità delle person e in
difficoltà, incentivando gli interventi di sistemazione delle infrastrutture e la funzionalità dei
mezzi. I problemi di f ruizione dei servizi pubblici da parte della persona con disabilità
riguardano, innanzi tutto, la questione dell‟accessibilità agli edifici e agli spazi pubblici. Ai
soggetti più deboli deve essere garantita la sicurezza e la vivibilità dei contesti in cui opera e
si muove. Il tema della progettazione accessibile degli spazi trova nel Design for all e nella
Progettazione universale due importanti riferimenti: essi sono modalità di affrontare la
progettazione nell‟ottica del diritto di ogni persona di vivere in un ambiente sano, sicuro, che
ne permette lo svolgimento di attività in maniera autonoma. Difatti, l‟eliminazione di ostacoli
“è stata identificata come il fattore chiave dell‟uguaglianza delle opportunità dei disabili”
(Verso un‟Europa senza ostacoli per i disabili, 2000).
La Convenzione ONU per i dir itti delle persone con disabilità (2006) sollecita gli Stati ad
adottare appropriate misure per “(a) Sviluppare, promulgare e monitorare l‟applicazione
degli standard minimi e delle linee guida per l‟accessibilità delle strutture e dei servizi aperti
o offerti al pubblico; (b) Assicurare che gli enti privati, i quali forniscono strut ture e servizi
che sono aperti o offerti al pubblico, tengano conto di tutti gli aspetti dell‟accessibilità per le
persone con disabilità; (c) Fornire a tutti coloro che siano interessati alle questioni
dell‟accessibilità una formazione concernente i problemi di accesso con i quali si confrontano
le persone con disabilità; (d) Dotare le strutture e gli edifici aperti al pubblico di segnali in
caratteri Braille e in formati facilmente leggibili e comprensibili; (e) Mettere a disposizione
forme di aiuto da parte di persone o di animali addestrati e servizi di mediazione,
specialmente di guide, di lettori e interpreti professionisti esperti nel linguaggio dei segni allo
scopo di agevolare l‟accessibilità a edifici ed altre strutture aperte al pubblico; (f )
Promuovere altre appropriate forme di assistenza e di sostegno a persone con disabilità per
60
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Servizi ed Infrastrutture (Luoghi reali della Special Education)
assicurare il loro accesso alle informazioni; (g) Promuovere l‟accesso per le persone con
disabilità alle nuove tecnologie ed ai sistemi di informazione e comunicazione , compreso
Internet; (h) Promuovere la progettazione, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di
tecnologie e sistemi accessibili di informazione e comunicazioni sin dalle primissime fasi, in
modo che tali tecnologie e sistemi divengano accessibili al minor costo” (art. 9).
BIBLIOGRAFIA
ARENGHI A. (Ed.). Design for all. Progettare senza barriere architettoniche , Torino: Utet,
2007.
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato
economico e sociale e al Comitato delle regioni (2000). Verso un'Europa senza ostacoli per i
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vent‟anni dalla legge n. 104 del 1992. (pp. 56-63). Milano: Franco Angeli.
Legislazione di riferimento:
Legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate”.
SITOGRAFIA
http://www.designforalleurope.org/ (sito della rete europea EIDD - Design for All
Europe)
www.un.org (sito dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite)
61
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Culturali (Luoghi reali della Special Education)
C
Istanze del concetto di Culturali (Luoghi reali della Special Education)
DEFINIZIONE: i luoghi culturali sono ambienti in cui si manifesta il sapere di un popolo e la
sua cultura di riferimento, in cui sono esplicitati i confini valoriali e etici, in cui sono raccolte
le conoscenze letterarie, artistiche, scientifiche e politiche delle persone.
CITAZIONE: “L‟ambito/contesto in cui si situa l‟educazione al tempo libero costituisce una
realtà che dà significato e valorizza l‟azione stessa: l‟ambito definisce i contorni dell‟azione, i
vincoli e le possibilità che sono, di fatto, i fattori con i quali si misura la messa in atto della
competenza pedagogica. Prendere coscienza dei limit i e delle risorse che ogni ambito offre in
relazione alla possibilità di liberare il tempo della persona in difficoltà è questione essenziale
per esercitare un intervento a valenza professionale e per valorizzare al meglio ogni
esperienza. […] La prima condizione per liberare l‟uomo è la restituzione della parola intesa
come l‟accesso alla cultura sia nell‟aspet to della comprensione e della fruizione sia in quello
della riflessione critica e del contributo personale” (Milani, Azzolini, 2004, p. 64, 70).
NOTA: la cultura si pone quale strumento di dialogo fra le persone, fra i gruppi sociali e le
diverse etnie, a mbito di crescita personale e di sviluppo comunitario. L‟animazione culturale,
quale esperienza di fruizione di beni e linguaggi culturali e di espressioni artistiche come
quelle del cinema, teatro, musei e biblioteche, è strettamente connessa alla partecipazione
civica e alla democrazia. Oltre a essere luoghi di divertimento e di arricchimento personale,
tali spazi permettono lo svolgimento di una progettualità educativa. Per esempio, il teatro,
nell‟educazione di soggetti in difficoltà, è strumento partic olarmente significativo, poiché
permette alla persona di guardarsi dentro, di interpretare un ruolo e di diventare
protagonista, di condividere emozioni con gli altri. Anche il museo stimola la partecipazione
della persona, sollecitandone l‟immaginazione e la creatività, l‟osservazione e l‟attenzione. Le
società contemporanee devono impegnarsi a garantire il rispetto di ogni persona, e
soprattutto di chi si trova in condizione di debolezza, alla vita culturale, alla ricreazione e al
tempo libero. Di conseguenza, alle persone disabili bisogna assicurare tutte le misure
appropriate affinché possano accedere ai materiali culturali e ai luoghi sede di attività
culturali, quali teatri, musei, cinema e biblioteche. Inoltre, devono poter essere liberi di
esprimere e realizzare il loro potenziale in campo artistico e intellettuale, a vantaggio
personale e collettivo.
BIBLIOGRAFIA
FAVA S. (2005). Disabilità e tempo libero: metodologie, strategie e buone prassi di un
servizio per il tempo libero. Tirrenia.:Edizioni de l Cerro.
MILANI L., AZZOLINI O. (2004). Un, due, tre... liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi
tra disabilità e tempo libero. Torino: SEI.
SITOGRAFIA -
62
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Cittadinanza e culto (Luoghi reali della Special Education)
C
Istanze del concetto di Cittadinanza e culto (Luoghi reali della Special
Education)
DEFINIZIONE: i luoghi di cittadinanza e culto sono quegli spazi, deputati alla formazione
personale politica e religiosa oltre che alla condivisione dei propri credo, in cui la persona
esercita i diritti e i doveri connessi al suo essere cittadino.
Dalla Costituzione Italiana:
Art. 2
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale."
Art. 3
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica,
economica e sociale del Paese."
CITAZIONE: “La cittadinanza è lo status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno
diritto di una comunità” (Marshall, 1976, p. 24).
“Un‟educazione corretta ha bisogno di essere orientata su due direttive: una via porta il
soggetto handicappato a diventare e a concepirsi come „cittadino‟ a pieno titolo nella società;
l‟altra sollecita il disabili ad acquisire le abilità sufficienti, se ne ha le potenzialità, per
diventare un „lavoratore‟, una persona, cioè, che produce ed opera nel mondo economicoproduttivo odierno” (d‟Alonzo, 1997, p. 30).
NOTA: a ogni persona deve essere garantito il diritto di partecipazione alla vita politica e
culturale del proprio Paese che, a sua volta, deve garantire a ogni cittadino i diritti politici e
l‟opportunità di goderne. In conseguenza a ciò, alle persone con disabilità deve essere
assicurata la possibilità di partecipare alla vita pubblica e politica, direttamente o attraverso
rappresentanti liberamente scelti. La Convenzione ONU per i dir itti delle persone con
disabilità (2006) sollecita gli Stati a “Promuovere attivamente un ambiente in cui le persone
con disabilità possano effettivamente e pienamente partecipare alla condotta degli affari
pubblici, senza discriminazione e su base di eguaglianza con gli altri, e incoraggiare la loro
partecipazione agli affari pubblici, includendo: (i) la partecipazione ad associazioni e
organizzazioni non governative legate alla vita pubblica e politica del Paese e alle attività e
all‟amministrazione dei partiti politici; (ii) la formazione di organizzazioni di persone con
disabilità e l‟adesione alle stesse al fine di rappresentare le persone con disabilità a livello
internazionale, nazionale, regionale e locale” (art. 29). Tutto ciò, sempre facendo r iferimento
alla Convenzione, nel rispetto dalla libertà di ogni uomo di movimento e cittadinanza: “1. Gli
Stati Parti dovranno riconoscere il diritto delle persone con disabilità alla libertà di
movimento, alla libertà di scelta della propria residenza e della cittadinanza, su base di
eguaglianza con altri, anche assicurando che le persone con disabilità: (a) abbiano il diritto
di acquisire e cambiare la cittadinanza e non siano privati della cittadinanza arbitrariamente
o a causa della loro disabilità; (b) non siano privati a causa della disabilità, della capacità di
ottenere, mantenere il possesso e utilizzare la documentazione relativa alla loro cittadinanza
o di altra documentazione di identificazione, o di utilizzare processi relativi quali gli atti di
63
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Cittadinanza e culto (Luoghi reali della Special Education)
immigrazione, che si rendano necessari per facilitare l‟esercizio del diritto alla libertà di
movimento; (c) siano liberi di lasciare qualunque Paese, incluso il proprio; (d) non siano
privati, arbitrariamente o a motivo della loro disabilità, del diritto di entrare nel proprio
Paese. 2. I bambini con disabilità dovranno essere registrati immediatamente dopo la nascita
e avranno diritto dalla nascita a un nome, al diritto di acquisire una cittadinanza, e, per
quanto possibile, al diritto di conoscere i propri genitori e di essere da questi curati” (art.
18). A questi diritti si lega indissolubilmente quello in garanzia alla libertà di pensiero,
coscienza e religione. Tale diritto include la possibilità di manifestare la propria religione o il
proprio credo, attraverso il culto, le pratiche e l‟osservanza dei riti.
BIBLIOGRAFIA
BARATELLA P., LITTAMÉ. (2009). I dir itti delle persone con disabilità. Dalla Convenzione
Internazionale ONU alle buone pratiche. Trento: Erickson.
D'ALONZO L. (2014). Handicap: obiettivo libertà, Brescia: La Scuola.
ICF e Convenzione ONU sui dir itti delle persone con disabilità: nuove prospettive per
l'inclusione. In Borgnolo G., De Camillis R., Francescutti C., Frattura L., Troiano R., Bassi G.,
Tubaro E. (Eds.). Trento: Erickson.
LATTI G. (2010). I dir itti esigibili. Guida normativa all'integrazione sociale delle persone con
disabilità, Milano: Franco Angeli.
MARSHALL T.H. (1976). Cittadinanza e classe sociale, Torino: UTET.
SITOGRAFIA -
64
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Luoghi virtuali (della Special Education)
L
Istanze del concetto di Luoghi virtuali (della Special Education)
DEFINIZIONE: il termine “virtuale” rimanda a qualcosa che esiste solo in potenza e che non
è ancora stato tradotto in atto. Di conseguenza, nei luoghi virtuali si assiste al superamento
dei limit i dello spazio; la virtualizzazione consiste nell'essere svincolati da una presenza e i
media sono gli strumenti attraverso i quali questo processo si realizza. Nel mondo del
virtuale cadono le categorie dello spazio e del tempo: lo spazio si dilata e il tempo non ha più
una sequenza cronologica. In ambito tecnico-scientifico, il luogo virtuale simula quello reale,
attraverso l'utilizzo di strumenti elettronici, con la finalità di fornire a chi lo sperimenta
l'impressione di trovarsi effettivamente in quell‟ambiente.
CITAZIONE: “Contrariamente al possibile, statico e già costituito, il virtuale è come il
complesso problematico, il nodo di tendenze e di forze che accompagna una situazione, un
evento, un oggetto o un‟entità qualsiasi e che richiede un processo di trasformazione:
l‟attualizzazione” (Lévy, 1997, pp. 6-7).
“Educare al virtuale come forma particolare del reale, cioè educare libertà, desiderio e
responsabilità, online e offline; e, con questo lavoro, sostenere la formazione di identità e
personalità autentiche: ecco il banco di p rova dell‟educazione per i prossimi anni” (Aroldi,
2012, p. 59).
NOTA: le odierne tecnologie virtuali caratterizzano, ormai stabilmente, la società
contemporanea e influiscono inevitabilmente sulla vita dell‟uomo, poiché ne segnano la
quotidianità. La pedagogia, pertanto, è chiamata a interessarsi della questione, riflettendo
sulle modalità e le conseguenze legate al processo per cui il “virtuale” si fa reale, in quanto
capace di modificare, influire, trasformare la concretezza del quotidiano. Nella societ à
odierna, l‟accesso e la fruizione delle tecnologie da parte di ogni persona, comprese dunque
anche quelle con disabilità, è considerato fattore di esercizio della cittadinanza attiva. Lo
sviluppo di una società dell‟informazione accessibile a tutti richiede iniziative politiche volte a
rinforzare le possibilità d‟azione dei soggetti più deboli. L‟utilizzo equo delle tecnologie può,
difatti, facilitare l‟abbattimento delle barriere all‟integrazione sociale delle categorie
svantaggiate. Diversi sono gli ost acoli che non permettono l‟adozione sistematica dei mezzi
tecnologici da parte di ogni persona; per superare tali ostacoli è necessaria la collaborazione
tra istituzioni pubbliche, associazioni e privati, volta ad accrescere la generale
consapevolezza del valore delle tecnologie e a diffondere un sempre maggior uso dei criteri
di accessibilità. Di contro, si sottolinea che la società dell‟informazione, basata appunto sulle
tecnologie che danno accesso a luoghi virtuali, può incorrere nel rischio di rapprese ntare
un‟ulteriore forma di discriminazione e di esclusione, in quanto gli strumenti informatici,
sebbene sempre maggiormente disponibili, non sono ancora sufficientemente intuitivi.
“I luoghi reali sono pertanto il setting entro cui si costituisce l'identità personale, in un
costante processo di lifelong education. Oggigiorno accade spesso, però, che il virtuale
irrompa nel reale, ma: "Mentre siamo in Internet non smettiamo di trovarci nell'ambiente da
cui ci stiamo connettendo: le relazioni che nella Ret e intratteniamo non possono non
interferire con le relazioni che contemporaneamente stiamo intrattenendo nello spazio
domestico o lavorativo in cui ci troviamo”. (Rivoltella, 2003)
BIBLIOGRAFIA
AROLDI P. (2012). Dall‟antitesi reale-virtuale alla continuità tra esperienza online e offline.
Quali sfide per l‟educazione?. In Scholé. L‟educazione tra reale e virtuale. (pp. 51-60). Atti
del 50° convegno. Brescia: La Scuola.
65
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Luoghi virtuali (della Special Education)
LÉVY P.(1997). Il virtuale. Milano: Raffaello Cortina.
MALDONATO T. (1992). Reale e virtuale. Milano: Feltrinelli.
RHEINGOLD H. (1994). Comunità virtuali. Milano: Sperling & Kupfer, (tit. orig. The virtual
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RIVOLTELLA P.C. (2001). Media Education. Modelli, esperienze, profilo disciplinare. Roma:
Caroc ci.
RIVOLTELLA P.C. (2003). Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line.
Socialità e didattica in Internet . Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
http://www.mediaeducationmed.it/ (Associazione italiana per l‟educazione ai media e
alla comunicazione)
66
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Attività (della Special Education)
A
Istanze del concetto di Attività (della Special Education)
DEFINIZIONE: “ ATTIVITÀ [dal lat. tardo activĭtas -atis]. –
1. L‟essere attivo, operosità […].
2. Lavoro; esplicazione di lavoro, di energia (anche non materiale) da parte di singoli o
di gruppi […].
3. In pedagogia, a. spontanea, principio educativo che propugna il libero svolgimento
delle facoltà dell‟alunno, il quale diventa così l‟artefice della propria educazione.” (Da
“attività”
in
Vocabolario
Treccani
online
http://www.treccani.it/vocabolario/attivita/ ).
CITAZIONE: “In generale si def inisce “azione” la capacità umana orientata, non a osservare
e classificare la realtà, ma a modific arla a fini economici, politici ed etici. L‟azione esprime
perciò il concretarsi della volontà, considerato nel suo svolgimento o nella sua conclusione.
Nell‟uso comune il termine azione può indicare qualsiasi manifestazione variamente
valutabile di una determinazione della volontà (atto), oppure il processo attraverso cui tale
determinazione si realizza (attività).”
NOTA: BIBLIOGRAFIA
FLORES D'ARCAIS G. (Ed.). (1982). Nuovo Dizionario di Pedagogia, Roma: Edizioni
Paoline.
SITOGRAFIA
http://www.treccani.it/vocabolario/attivita/ (Vocabolario Treccani online)
67
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Educativa (Attività della Special Education)
E
Istanze del concetto di Educativa (Attività della Pedagogia speciale)
DEFINIZIONE: l‟attività educativa, influenzata nei diversi periodi storici dalle varie culture, è
una pratica volta allo sviluppo e alla formazione di conoscenze, facoltà relazionali, abilità
sociali e comportamentali in un individuo. Il termine “attività” rimanda al processo
attraverso cui si realizza un determinato obiettivo. Con il termine “educativa”, invece, si fa
riferimento all‟atto dell‟educare, quale processo di crescita, apprendimento, sviluppo e
formazione della persona. In un‟ottica di lifelong education, ovvero di educazione che dura
tutta la vita, le attività possono assumere connotazioni differenti e svilupparsi in contesti
formali, non formali o informali e rispondere così ai bisogni educativi speciali di tutte le
persone.
CITAZIONE: “Le attività definite „educative‟ non sono altro che tentativi di influenzare altre
persone, in modo che cambino nel senso desiderato, ossia che conseguano quel dover
essere della personalità posto come ideale. Dal punto di vista linguistico -analitico, „educare‟,
„insegnare‟ e „istruire‟ sono innanzi tutto „verbi-compito‟ (task verbs), non „verbi-risultato‟
(achievement verbs). Essi corrispondono a verbi come „curare‟, nel senso della cura medica,
che è ben lungi dal significare „guarire‟; o a „cercare‟: non è detto che chi „cerca, „trovi‟; chi
„spara‟ non deve inevitabilmente „colpire‟” (Brezinka, 2002, p. 169).
NOTA: le attività studiate specificatamente dalla Special Education sono rivolte alle persone
con disabilità o in situazione di marginalità. Esse riguardano la lettura delle potenzialità e
dei bisogni individua li, alla quale segue la definizione degli obiettivi per la crescita e
l‟integrazione della persona. Nell‟epoca contemporanea la Special Education si colloca nel
più ampio bacino della Pedagogia generale, proclamando la necessità che le differenze
individuali siano sempre valorizzate nei luoghi formativi dell‟umano. Pertanto, essa si
occupa di elaborare strumenti e stimolare riflessioni per educare ogni uomo, in condizione
temporanea o permanente di disabilità o di marginalità, in modo che possa vivere un pieno
sviluppo e partecipare attivamente alla vita sociale.
BIBLIOGRAFIA
AUGENTI A. (2008). Educazione speciale. In Prellezo J.M., Malizia G., Nanni C. (Eds.)
Dizionario di scienze dell‟educazione. (pp. 401-402). Roma: LAS.
BREZINKA W. (2002). Obiettivi e lim iti dell'educazione. Roma: Armando.
Gelati M. (2004). Pedagogia speciale e integrazione. Roma: Carocci.
LAROCCA F. (1999) Nei frammenti l‟intero. Una pedagogia per la disabilità. Milano: Franco
Angeli.
SITOGRAFIA -
68
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Formale (A ttività educativa della Special Education)
F
Istanze del
Education)
concetto
di
Formale
(Attività
educativa
della
Special
DEFINIZIONE: “Quando parliamo di educazione formale intendiamo, […] il sistema scolastico
gerarchicamente strutturato e cronologicamente distribuito, che va dalla scuola primaria fino
all‟università e include, oltre agli studi accademici generali, una variabilità di programmi e di
istituti specializzati per la formazione tecnica e professionale a tempo pieno” (Coombs, 1973,
p.288).
“Quando si parla di Attività Educativa Formale si sposta l'oggetto di indagine verso
un'importante pratica educativa: l'apprendimento. E' definito “formale” quando si svolge in
contesti strutturati, deputati alla formazione (es. scuole, istituti...), presenta un piano
didattico definito e un corpo docente istituzionale. Porta all'ot tenimento di diplomi e di
qualifiche riconosciute. Rientra nella logica dei processi di apprendimento intenzionale da
parte del soggetto” (Petti L., 2011, p.35).
Il CEDEFOP (Centro Europeo per lo sviluppo della Formazione professionale) ha definito con il
termine Formal learning un “apprendimento erogato in un contesto organizzato e strutturato
(per esempio, in un istituto d‟istruzione o di formazione o sul lavoro), appositamente
progettato come tale (in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per
l‟apprendimento). L‟apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Di
norma sfocia in una convalida e in una certificazione” (CEDEFOP, 2008, p. 86).
La classificazione ICF riserva un ampio spazio all‟identificazione di indicat ori relativi
all‟inclusione nella realtà dell‟educazione formale.
Nelle versione ICF-CY l‟istruzione viene descritta come la possibilità di: “Avere accesso
all'istruzione scolastica, impegnarsi in tutte le responsabilità e i privilegi correlati alla scuola,
e apprendere il materiale del corso, gli argomenti e le altre richieste del curriculum in un
programma educativo della scuola primaria o secondaria, incluso frequentare regolarmente la
scuola, lavorare in maniera cooperatica con altri studenti, ricevere istruzioni dagli insegnanti,
organizzare, studiare e completare i compiti e i progetti assegnati, e avanzare a livelli
successivi di istruzione.” (ICF-CY, 2007, pag. 173)
CITAZIONE: “L‟apprendimento si realizza […] in molteplici spazi sociali, che genera no forme
educative differenti: tener conto di tutto ciò dovrebbe essere sufficiente a indurre a
riconsiderare nel suo complesso la stessa dicotomia tra un apprendimento formale ed uno
informale” (Catarci, 2013, p. 126).
NOTA: gli studi di Special Education mirano a promuovere l‟inclusione dei soggetti con
bisogni educativi speciali nei processi di apprendimento formale e non formale, ponendo
attenzione alle differenze individuali, alla progettazione e alle pratiche educative.
Realizzare interventi di sostegno educativo alle persone con disabilità o in condizione di
svantaggio signif ica riconoscere le potenzialità formative di ognuno, costruendo, in
collaborazione con la famiglia e gli altri attori coinvolti, un disegno di integrazione sociale. A
livello legislativo, diverse sono le norme che supportano il diritto inclusivo delle persone con
bisogni educativi speciali, tra le quali si ricordano le fondamentali L. 104/1992, Leggequadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handica ppate; la L.
68/1999, "Norme per il diritto al lavoro dei disabili; la L. 328/2000 Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; la L. 53/2003 Delega al
Governo per la definizione delle norme generali sull‟istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale; la L. 170/2010 Nuove norme
69
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Formale (A ttività educativa della Special Education)
in materia di disturbi specifici dell‟apprendimento in ambito scolastico ; la D.M. 27 dicembre
2012 Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione
territoriale per l‟inclusione scolastica.
BIBLIOGRAFIA
CATARCI M. (2013). Le forme sociali dell‟educazione: servizi, territori, società, Milano:
Franco Angeli.
CEDEF OP. (2008). Terminology of European education and training policy. A selection of
100 key terms. Luxembourg: Off ice for Official Publications of the European Communities.
Coombs P.H.. (1973), Should One Develop Non-Formal Education?. (pp. 288-290), Vol.III,
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MAGGIAN R. (2001). Il sistema integrato dell'assistenza: guida alla legge 328-2000.
Roma: Carocci.
PETTI L. (2011). Apprendimento informale in rete. Milano: Franco Angeli.
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Trento: Erickson.
Legislazione di riferimento:
L. 104/1992, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate
L. 68/1999, "Norme per il dir itto al lavoro dei disabili
L. 328/2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali
L. 53/2003 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull‟istruzione e dei
livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale
L. 170/2010 Nuove norme in materia di disturbi specifici dell‟apprendimento in ambito
scolastico
D.M. 27 dicembre 2012 Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e
organizzazione territoriale per l‟inclusione scolastica.
SITOGRAFIA
http://www.cedefop.europa.eu/ (sito CEDEFOP - European Centre for the Development
of Vocational Training)
70
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Informale (Attività educativa della Special Education)
I
Istanze del concetto di
Education)
Informale (Attività educativa della Special
DEFINIZIONE: attività che si svolgono fuori dalle princ ipali strutture deputate all'istruzione e
alla formazione. In questa categoria vengono inserite le attività a completamento dei sistemi
formali (corsi di formazione, percorsi facoltativi o di approfondimento). Questa tipologia di
apprendimento rientra nella logica di tipo intenzionale.
Il CEDEFOP (Centro Europeo per lo sviluppo della Formazione professionale) ha def inito con
il termine informal lear ning un “apprendimento risultante dalle attività della vita quotidiana
legate al lavoro, alla famiglia o al t empo libero. Non è strutturato in termini di obiettivi di
apprendimento, di tempi o di risorse dell‟apprendimento. Nella maggior parte dei casi
l‟apprendimento informale non è intenzionale dal punto di vista del discente” (CEDEFOP,
2008, p. 94).
CITAZIONE: per “educazione informale” si intende: “il processo che dura realmente tutta la
vita, per il quale ogni individuo acquisisce attitudini, valori, abilità e conoscenze
dall‟esperienza quotidiana e dalle inf luenze e risorse educative nel suo ambiente: dalla
famiglia e dal vicinato, dal lavoro e dal gioco, dal mercato, dalla biblioteca, dai mass media”
(Coombs P.H. (1973, p 289).
L‟attività informale viene descritta da Tramma come “quell‟educazione che, la gran parte
delle volte, pur non dichiarandosi esplicitamente e non essendo percepita come tale, è
rintracciabile pressoché in ogni piega della società, in ogni episodio delle storie individuali e
collettive. È un insieme di esperienze che incide fortemente nella vita delle persone,
contribuisce a formarle, pur essendo meno evidente e decodificabile, meno progettabile e
governabile delle altre esperienze educative, cioè quelle più intezionali e/o organizzate”
(2009, pp. 7-8).
“Una delle più grandi illusioni sulla quale si fonda il sistema scolastico è che la maggior parte
dell‟apprendimento derivi dall‟insegnamento. Quasi tutto ciò che si impara lo si apprende
casualmente, e anche l‟apprendimento più intenzionale non è il risultato di un ‟istruzione
programmata” (Illich, 2010, p. 21).
NOTA: gli esiti degli a pprendimenti informali solitamente non prevedono una certificazione,
per questo sono altresì definiti “esperienziali” o “casuali”. L‟educazione informale, pertanto,
può accadere in qualsiasi luogo di vita quotidiana della persona e riguarda tutte le età e
tutte le condizioni esistenziali. Essa si lega al lavoro, al tempo libero, al gioco, all‟arte, al
cinema, ai mass media ecc. Nelle situazioni educative speciali, come quelle delle persone
con disabilità o svantaggio socio-culturale, la rif lessione sull‟educazione informale chiama in
causa innanzi tutto il diritto di ogni individuo ad accedere a ogni luogo di crescita e
educazione. Affinché le esperienze risultino significative e positive servono strumenti che
sostengano le persone nell‟elaborazione e nella gestione delle esperienze di apprendimento
informale.
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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of Vocational Training)
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Non-formale (Attività educativa della Special Education)
N
Istanze del concetto di Non-formale (Attività educativa della Special
Education)
DEFINIZIONE: Il CEDEFOP (Centro Europeo per lo sviluppo della Formazione professionale)
ha definito con il termine non-formal learning un “apprendimento erogato nell‟ambito di
attività pianificate non specificamente concepite come appre ndimento (in termini di
obiettivi, di tempi o di sostegno all‟apprendimento). L‟apprendimento non formale è
intenzionale dal punto di vista del discente” (CEDEFOP, 2008, p. 135).
CITAZIONE: “Occorre evidentemente che il settore formale riconosca il valore
dell‟apprendimento non formale e informale. […] Per generare una cultura
dell‟apprendimento è necessario incrementare le opportunità di apprendimento, accrescere i
livelli di partecipazione e stimolare la domanda di apprendimento. Inf ine, si suggeriscono
meccanismi per l‟assicurazione di qualità, la valutazione e il monitoraggio in un‟ottica di
costante aspirazione all‟eccellenza” (Commissione delle Comunità Europee, 2001, p. 4).
Per “educazione non formale” si intende “ogni attività educativa organizzata al di fuori del
sistema formale stabilito – che operi separatamente o come elemento importante di
un‟attività più ampia – il cui intento è quello di servire ben individuabili clientele e
determinati obiettivi nel campo dell‟apprendimento” (Coombs, 1973, p. 290).
NOTA: gli esiti dell‟apprendimento non formale, denominato anche “apprendimento semistrutturato”, possono essere convalidati e sfociare in una certificazione. Le attività educative
non-formali, come corsi di formazione, percorsi facoltativi o di approfondimento, vengono
svolte a completamento dei sistemi formali. Nel 2009 il CEDEFOP ha elaborato le “ European
guidelines for validating non-formal and informal learning”, quali punti di riferimento per lo
sviluppo di metodi e sistemi di validazione degli apprendimenti non formali e informali nei
diversi Stati europei. Tali Linee Guida def iniscono le modalità tramite cui la validazione
dell‟apprendimento non formale ed informale si connette con il processo dell‟apprendimento
di tipo formale. Negli ultimi anni l‟attenzione posta ai sistemi di certificazione delle
competenze ha posto in essere una rif lessione intorno al pari valore dell‟apprendimento
formale, di quello informale e non formale, specialmente a riguardo dei soggetti più deboli
(giovani poco qualificati, non occupati, persone socialmente svantaggiate, disabili, lavoratori
a rischio e con professioni con pericolo di obsolescenza professionale). Per tal ragione, si
rende necessario garantire “un accesso universale e permanente alle azioni d‟istru zione e
formazione per consentire l‟acquisizione o l‟aggiornamento delle competenze necessarie ad
una partecipazione attiva ai progressi della società della conoscenza; […]costruire una
società d‟integrazione che offra a tutti le stesse opportunità di accedere ad un
apprendimento di qualità lungo l‟intero arco della vita e nella quale l‟offerta d‟istruzione e di
formazione si basi innanzitutto sui bisogni e le esigenze del singolo” ( Commissione delle
Comunità Europee, 2000, pp. 3-4).
Il Rapporto Mondiale sull‟educazione del 2000 sostiene che l‟educazione formale e non
formale si assomiglino in quanto entrambe sono state ideate per incrementare il processo
informale di apprendimento, ovvero per permetterne l‟accesso rapido da parte di coloro che
non sono in grado di acquisirlo con la semplice esposizione all‟ambiente. È palese a questo
proposito il riferimento alla classif icazione ICF che ha evidenziato l‟influenza degli aspetti
ambientali contestuali sui processi di inclusione sociale.
BIBLIOGRAFIA
CATARCI M. (2013). Le forme sociali dell‟educazione: serv izi, territori, società . Milano:
Franco Angeli.
CEDEF OP, Terminology of European education and training policy. A selection of 100 key
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SITOGRAFIA
http://www.cedefop.europa.eu/ (sito CEDEFOP - European Centre for the Development
of Vocational Training)
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Rieducativa (Attività della Special Education)
R
Istanze del concetto di Rieducativa (Attività della Special Education)
DEFINIZIONE: un‟attività rieducativa è caratterizzata dalla volontà di condurre la persona a
riattivare funzioni, operazioni, capacità compromesse parzialmente o totalmente. Tale
tipologia di attività può riguardare diversi ambiti: fisico, neurologico, sensoriale, cognitivo e
sociale.
“Nel senso più stretto ed esatto, s'intende quel complesso di attività educative che mirano a
riportare, quanto è possibile, a condizioni normali di sviluppo e di formazione morale soggetti
che da carenza o difetti gravi d'educazione da influenze nocive dell'ambiente ecc. si
presentino moralmente compromessi e socialmente inadatti o pericolosi. In sens o lato, la r.
comprende ogni forma di educazione speciale che tende a superare o correggere particolari
anormalità e deficienze organiche, fisiologiche, mentali proprie del soggetto, così da
assicuragli, nei limit i del possibile, i risultati conseguibili mediante l'educazione del fanciullo
normale”.
(Da
"Rieducazione",
Enciclopedia
Treccani
online
–
http://treccani/enciclopedia/rieducazione/ ).
Fondamentale per gli interventi di natura rieducativa sono le competenze di ogni figura
professionale e l'unitarietà d'intenti di tutta l'equipe psico-pedagogica.
Gli interventi rieducativi di natura pedagogica hanno altresì lo scopo di formare le abilità
socio-lavorative, competenze utili all‟inserimento nella società: manualità fine e grossolana,
coordinamento motorio generale, capacità di tenuta fisica, capacità di tenuta mentale,
responsabilità, resistenza alle influenze avverse per l‟ambiente etc. (d‟Alonzo, 2006, p.82).
CITAZIONE: “Nel contesto sociale si parla [….] di rieducazione intendendo tutta una serie di
interventi ritenuti necessari per riportare il soggetto a riappropriarsi del suo itinerario di
crescita in modo più adeguato” (Ferraroli, 2008, p. 984).
NOTA: un contesto fortemente segnato dalla valenza rieducativa delle attività ivi promosse è
quello carcerario. Con la L.354/1975 viene affermato che “nei confronti dei condannati e
degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i
contatti con l‟ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è
attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei
soggetti” (art. 1). Tale legge diede attuazione ai principi costituzionali, con particolare
riferimento all‟articolo 27, comma 3: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione”. La Special Education rif lette sul
valore rieducativo della pena, studiando il carcere quale luogo di reinserimento sociale e di
riattivazione del soggetto, non solo quindi contesto di emarginazione e reclusione.
L‟approccio rieducativo del detenuto prevede una presa in carico del soggetto, chiamato a
impegnarsi nella riflessione sulla propria persona e sulla propr ia storia, su bisogni e
aspettative, sulle sue abilità e potenzialità.
Gli aspetti rieducativi assumono una valenza pedagogica ancora più forte quando i
destinatari sono i minorenni e i giovani adulti. Per loro le attività all‟interno degli istituti
penali sono personalizzate in base alle attitudini del singolo e sono attuate in vista del
reinserimento sociale dei giovani. Nello specifico, le attività espressive, culturali e sportive
sono ritenute canali efficaci per migliorare le competenze relazionali e c omunicative dei
ragazzi. A queste si affiancano l‟istruzione e la formazione professionale, volte a consentire
ai giovani, una volta terminata la detenzione, di trovare lavoro e riscatto sociale.
BIBLIOGRAFIA
CALAPRICE S. (2010). Si può ri-educare in carc ere? Una ricerca sulla pedagogia
penitenziaria: core competences pedagogiche e core compentences professionali
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SITOGRAFIA
http://www.osservatorioantigone.it/ (sito dell‟associazione Antigone - per i diritti e le
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http://www.giustiziaminorile.it/ (sito del Dipartimento per la Giustizia Minorile del
Ministero della Giustizia italiano)
http://treccani/enciclopedia/rieducazione/ (Enciclopedia Treccani online)
76
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Ricreativa (Attività della Special Education)
R
Istanze del concetto di Ricreativa (Attività della Special Education)
DEFINIZIONE: le attività ricreative riguardano l‟animazione del tempo libero. La loro
conformazione varia a seconda dei destinatari a cui sono rivolte e dei luoghi in cui sono
sviluppate. In linea generale, è possibile individuare attività centrate sulla condivisione di
tempo e spazi con un gruppo; iniziative di valenza culturale; occupazioni a carattere
sportivo.
CITAZIONE: “Il tempo libero da impegni quotidiani relativi alla scuola o al lavoro, agli
obblighi individuali e sociali, deve trasformarsi in tempo libero per il sollievo ma anche per la
formazione. L‟interrogativo specifico dell‟educatore verte perciò sui modi in cui agire,
affinché un più alto numero di giovani fruisca di ripetute occasioni per il maturare della
personalità in sviluppo” (Galli, 1993, p. 58).
NOTA: i luoghi dove la persona trascorre il suo tempo libero sono spazi di libera espressio ne
del sé, di socializzazione e di definizione della propria personalità. Nelle situazioni di
disabilità e di marginalità essi rivestono un‟importante rilevanza educativa, perché ivi la
persona può fare esercizio delle proprie risorse e implementare le pro prie capacità. Perché
ciò sia possibile, è necessario che gli ambienti siano accessibili e che siano garantiti i
caratteri inclusivi del contesto.
A tale proposito l‟ICF enuclea alcuni indicatori di natura contestuale che concorrono al
miglioramento della qualità della vita relativi all‟ambito educativo-ricreativo (d920):
“Impegnarsi in qualsiasi forma di gioco o di attività ricreativa e legata al tempo libero, come
giochi e sport informali o organizzati, programmi per migliorare la forma fisica, rilassamento
divertimento o svago, visitare gallerie d‟arte, musei, cinema o teatri; impegnarsi in
artigianato o hobby, leggere per piacere personale, suonare strumenti musicali; fare visite
turistiche, turismo e viaggi di piacere”. (Da “Ricreazione e tempo libero d920” in ICF-CY,
Classificazione del Funzionamento, della disabilità e della salute, 2007).
BIBLIOGRAFIA
CATARCI M. (2013). Le forme sociali dell'educazione: servizi, territori, società. Milano:
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SITOGRAFIA
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Associazione Italiana Assistenza Spastici – Onlus Milano, Servizio Tempo Libero)
77
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Comunitaria (Attività ricreativa della Special Education)
C
Istanze del concetto di Comunitaria (Attività ricreativa della Special
Education)
DEFINIZIONE: le attività ricreative comunitarie sono quelle attività che la persona svolge
durante il suo tempo libero e in contesti di interazione sociale.
CITAZIONE: “L‟uomo è un animale che per natura deve vivere in una città e […] chi non
vive in una città, per la sua propria natura e non per caso, o è un essere inferiore o è più
che un uomo. […] Chi non può entrare a far parte di una comunità o chi non ha bisogni di
nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma una belva o un dio” (Aristotele, La
Politica, 328 a.C.).
NOTA: negli anni Cinquanta del secolo scorso Abraham Harold Maslow ideò una gerarchia
dei bisogni umani, la cosiddetta piramide dei bisogni di Maslow. Tra ques ti bisogni lo
studioso incluse anche quello di appartenenza, per cui ogni uomo, nella sua corsa verso
l‟autorealizzazione, sente forte la necessità di affetto, di amore, di condivisione del proprio
percorso con gli altri. Nelle situazioni di disabilità e marginalità questo cammino è segnato
da diversi ostacoli. L‟integrazione sociale è diritto esigibile da ogni persona: compito
dell‟odierna Special Education è promuovere il passaggio dall‟integrazione come diritto da
rivendicare al riconoscimento dell‟integrazione come bisogno insopprimibile dell‟uomo.
Occorre, dunque, parlare di integrazione come bisogno di tutti gli uomini, a prescindere
dalla loro condizione personale, familiare, sociale. Per tali ragioni, le attività ricreative
comunitarie devono essere garantite a ogni persona, quali forme di soddisfazione dei loro
bisogni.
BIBLIOGRAFIA
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Mondadori.
SARRACINO V. (2011). Pedagogia e educazione sociale: fondamenti, processi, strumenti,
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SERRANO PÉREZ G. (2010). Pedagogia sociale, educazione sociale: costruzione scientifica
e intervento pratico. Roma: Armando.
SITOGRAFIA -
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GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Culturale (Attività ricreativa della Special Education)
C
Istanze del concetto
Education)
di
Culturale
(Attività
ricreativa
della
Special
DEFINIZIONE: le attività ricreative culturali riguardano tutto ciò che è relativo alla cultura,
ovvero al complesso di conoscenze, idee, costumi e norme che identificano una società o
una parte di essa.
CITAZIONE: “Gli Stati provvederanno affinché le persone con disabilità siano integrate e
possano partecipare in attività culturali su basi paritarie. 1. Gli Stati dovrebbero garantire
che le persone con disabilità abbiano l‟opportunità di organizzare il loro potenziale creativo,
artistico ed intellettuale, non solo a proprio beneficio, ma anche per portare un
arricchimento alla loro comunità, sia che vivano in aree urbane che in aree rurali. Esempi
di tali attività sono la danza, la musica, la letteratura, il teatro, le arti plastiche, la pittura e
la scultura. Specialmente nei Paesi in via di Sviluppo, bisognerebbe porre l‟attenzione sulle
forme d‟arte tradizionali e contemporanee, con le marionette, la recitazione e il racconto di
storie. 2. Gli Stati dovrebbero promuovere l‟abilità e la disponibilità di s pazi per
manifestazioni e servizi culturali come il teatro, i musei, i cinema e le biblioteche per le
persone disabili. 3. Gli Stati dovrebbero stimolare lo sviluppo e l'utilizzo di tecniche speciali
per rendere la letteratura, i film e il teatro accessibile alle persone con disabilità” (ONU,
Regole per le par i opportunità delle persone disabili, 1993, norma 10).
NOTA: le attività ricreative di stampo culturale non permettono solamente il divertimento e
l‟agio della persona, ma sono altresì spazi di proget tualità educativa. Affinché tali attività
possano porsi quali momenti di libera espressione e di arricchimento di ogni persona, esse
devono essere organizzate secondo criteri di totale accessibilità.
BIBLIOGRAFIA
MILANI L., AZZOLINI O. (2004). Un, due, tre... liberi tutti. Rif lessioni e percorsi educativi
tra disabilità e tempo libero, Torino: SEI.
FAVA S. (2005). Disabilità e tempo libero: metodologie, strategie e buone prassi di un
servizio per il tempo libero, Tirrenia: Edizioni del Cerro.
SITOGRAFIA -
79
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Sportiva (Attività ricreativa della Special Education)
S
Istanze del
Education)
concetto
di
Sportiva
(Attività
ricreativa
della
Special
DEFINIZIONE: le attività ricreative sportive sono attività fisiche eseguite per f ini salutistici,
formativi, educativi, ricreativi, competitivi.
“Attraverso lo sport è possibile confrontarsi con se stessi, soffrire, gioire, perdere o vincere,
ma soprattutto è importante imparare ad affrontare le sfide della vita nel rispetto dei propri
limit i e degli avversari qualsiasi siano le differenze in campo. L'importanza di sv olgere
l'attività sportiva per le persone disabili ha diversi significati [...]. Lo sport può essere
considerato a tutti gli effetti anche come una vera e propria terapia all'interno dei diversi
percorsi riabilitativi a prescindere dalla disabilità che sia fisica, intellettiva o sensoriale. […] di
considerarlo un ottimo e valido strumento per sconfiggere pregiudizi, stereotipi e superare
barriere che l'ignoranza crea ed amplifica, permettendo ad ognuno di noi di superare i propri
limit i e di migliorare le proprie condizioni f isiche, psichiche e sensoriali” (Consulta Provinciale
dello Sport per Persone con Disabilità, 2007).
CITAZIONE: “Lo sport e le attività motorie […] sono straordinari contenitori sociali, ambienti
privilegiati delle relazioni umane, strumenti efficaci per la lotta ai fenomeni di devianza,
luoghi capaci di trasferire valori e regole utilizzando una modalità stimolante, attiva e
partecipata” (Sibilio, 2005, p. 5).
NOTA: il valore educativo delle attività sportive è oggigiorno universalmente riconosciuto. Lo
sport è efficace strumento per la crescita psicologica, emotiva, sociale e fisica della persona.
Esso permette all‟individuo di trovare in sé e in condivisione con gli altri le strategie utili per
affrontare le proprie difficoltà. È anche strumento di superamento delle situazioni di
marginalità, in quanto favorisce l‟inclusione sociale delle fasce più deboli. A livello
internazionale, negli ultimi anni si è sviluppato un importante movimento sportivo che
coinvolge migliaia di atleti disabili provenienti da tutte le parti del mondo. Lo sport per i
disabili non è solo strumento di recupero psicofisico ma anche canale facilitatore del
percorso di inclusione sociale.
"L'elemento differenziale delle entità sportive a scopo educativo risiede nella peculiarità delle
azioni e iniziative improntate, al di là degli evidenti contenuti tecnico-sportivi, al
perseguimento di valori culturali, etici e sociali, alla piena tutela e integrazione del disabile
nello sport e nella vita civile. In questo senso l'azione della FISD (Federazione italiana sport
disabili) è anche tesa a promuovere l'attività sportiva quale strumento riabilitativo e di
risocializzazione tra tutte le forme di disabilità e a divulgare in tutti i settori e a tutti i livelli la
cultura della disabilità” (Da “Paraolimpiadi” in Enciclopedia dello sport, Enciclopedia Treccani
Online).
L‟attività sportiva agonistica è disciplinata dal Decreto Ministeriale del 18 febbraio 1982,
mentre la regolamentazione dell‟attività amatoriale ludico-motoria e dell‟attività non
agonistica è stata recentemente riformata dal Decreto Ministeriale del 24 aprile 2013 e
dall‟art. 42-bis della Legge 09/08/2013 n. 98. Inoltre sono da tenere in considerazione anche
i chiarimenti del Ministero della Salute del 11/09/2013.
“La manifestazione delle Paraolimpiadi nasce con l‟obiettivo di promuovere l‟attività sportiva
e la competizione agonistica fra persone disabili a livello internazionale. Inizialmente il
coinvolgimento dei disabili in attività sportive aveva finalità dive rse: Sir Ludwig Gutt man,
direttore del National Spinal Injuries Centre di Stoke Mandeville (Inghilterra) avvicinò al tiro
con l‟arco i veterani della Seconda Guerra Mondiale con lesioni alla colonna vertebrale, allo
scopo di favorire la fase terapeutico-riabilitativa, puntando soprattutto al miglioramento delle
condizioni psicologiche dei suoi pazienti”. ( http://www.edusport.it/web/guest/leparalimpiadi)
80
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Sportiva (Attività ricreativa della Special Education)
BIBLIOGRAFIA
ARRIGONI C. (2012). Paralimpici: lo sport per disabili: personaggi, storie, discipline.
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SITOGRAFIA
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Intellettiva
Relazionale)
http://www.comitatoparalimpico.it/index.aspx (sito del Comitato Italiano Paralimpico)
http://www.edusport.it/web/guest/le-paralimpiadi
http://www.monzaebrianzainrete.it/UserFiles/File/News/guida_disabili07.pdf
(CONSULTA PROVINCIALE DELLO SPORT PER PERSONE CON DISABILITÀ. (2007). Guida
all'attivita' sportiva per persone con disabilità, pp. 17-18)
81
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Economica (Attività della Special Education)
E
Istanze del concetto di Economica (Attività della Special Education)
DEFINIZIONE: l‟attività economica è l‟insieme delle operazioni che l‟uomo compie per entrare
in possesso dei beni materiali atti a soddisfare i suoi bisogni. Essa include, in sens o lato, la
produzione, lo scambio e il consumo di beni e di servizi.
CITAZIONE: “Nelle moderne società complesse - caratterizzate da elevato tasso di sviluppo
industriale, da innovazione tecnologica e da squilibri occupazionali - è sempre più ricorrente
la trasposizione all'area educativo-formativa di lessemi terminologici, che hanno diretto
riferimento alle discipline economiche: risorsa umana e investimento nell'educazione,
domanda e offerta formativa, bisogno e fabbisogno educativo -formativo, produttività e
indicatori di qualità educativo-formativa, valore aggiunto dell'educazione, managerialità nella
conduzione delle istituzioni educative, e quant'altro” (Ransenigo, 2008, p. 358)
NOTA: la produzione, lo scambio e il consumo di beni e servizi sono strettamente connessi
all‟attività lavorativa. Il lavoro è un attivatore dello sviluppo delle persone con disabilità, a
condizione che l‟impegno connesso a tale esperienza sia compatibile con le condizioni psico fisiche dell‟individuo. In situazioni positive, esso permette la realizzazione della persona e la
sua crescita armonica e autonoma.
BIBLIOGRAFIA
D'ALONZO L. (2003). Pedagogia speciale per preparare alla vita, Brescia: La Scuola.
MAZZONIS G. et al. (2005). Dal miraggio al percorso: l'integrazione lavorat iva delle
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SITOGRAFIA
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buona nella società attiva. Libro Bianco sul futuro del modello sociale, 2009)
82
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Politica (Attività della Special Education)
P
Istanze del concetto di Politica (Attività della Special Education)
DEFINIZIONE: con “attività politica” ci si riferisce a ciò che attiene alla città (il termine
“politica” deriva dal greco πολιτ ικος, politikós che deriva da polis, ovvero città). Essere attivi
sul piano politico significa interessarsi del contesto sociale in cui si vive e dalla collettività,
nonché partecipare a iniziative di interesse comune.
CITAZIONE: “Vi è connessione tra esercizio del potere politico e processo educativo. L'azione
politica implica necessariamente una concezione dell'uomo e della società [...]. La
formazione non può sfuggire a quei modelli politici con cui nella prassi deve misurarsi [...].
L'esercizio del potere può assumere due aspetti nei riguardi dell'universo educativo. Si può
parlare di una politica educante oppure di una politica educativa. Nel primo caso, la politica
stessa, in quanto ordinamento della società secondo un orientamento valoriale, po ne le
premesse dell'educazione, intesa come iniziazione etica e civile. [...] La politica educativa,
almeno così come viene intesa comunemente in senso riduttivo, si occupa di quelle
particolari istituzioni sociali che, insieme a vari apparati di supporto, hanno per scopo
l'istruzione di vario livello ed indirizzo. [...] La scienza politica dell'educazione rappresenta un
netto progresso rispetto alla politica educativa, genericamente intesa. Essa studia la funzione
educativa degli atti politici e i risvolti politici dei fenomeni educativi” (Izzo, 2008, pp. 893895).
NOTA: il concetto di attività politica è strettamente legato a quello di partecipazione. Nelle
situazioni di disabilità e marginalità vi è il rischio che la persona non sia nelle condizioni
idonee per esercitare il suo diritto e dovere di partecipazione alle diverse aree di attività
sociali. La Special Education sostiene la necessità di inclusione sociale delle persone con
difficoltà di diversa natura, indispensabile per permettere loro la partec ipazione alla vita
politica, pubblica, ricreativa, culturale e sociale del Paese in cui risiedono.
BIBLIOGRAFIA
IZZO D. (2008). “Politica”. In J.M. Prellezo, G. Malizia, C. Nanni (Eds.), Dizionario di scienze
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SITOGRAFIA -
83
GLOSSARIO DIMENSIONE FENOMENOLOGICA. Associativa (Attività della Special Education)
A
Istanze del concetto di Associativa (Attività della Special Education)
DEFINIZIONE: l‟attività associativa è quella svolta da un gruppo di persone che si riuniscono
per perseguire uno o più scopi comuni. L‟operato delle associazioni è vincolato da legami di
solidarietà fra i suoi componenti e fondato su un sistema decisionale democratico.
CITAZIONE: “È sufficientemente chiara una crescente rilevanza dell‟adesione associativa
come possibile risposta a bisogni soggettivi di tipo post materialistico e alla crescente
domanda di „qualità sociale‟, soprattutto sul piano relazionale e comunicativo. In tal modo la
partecipazione associativa diventa un potente canale di socializzazione e di relazioni,
fornendo a chi vi è coinvolto l‟occasione di avviare e stabilire rapporti personali la cui portata
va oltre la sfera strumentale, pure forte, dall‟attività associativa” (Simone, 1996, p. 187).
NOTA: dal punto di vista della Special Education, si individua una duplice valenza dell‟attività
associativa. Da un lato, associazioni di varia natura e finalità possono essere luogo di
espressione e socializzazione della persona in condizione di disabilità o marginalità.
Dall‟altro, alcune associazioni nel corso degli anni hanno promosso una particolare
attenzione e un‟azione di tutela verso le situazioni di particolare vulnerabilità. Si ricordano,
tra quelle di più antica costituzione, la FIAS (Federazione Italiana delle Associazioni fra
Sordomut i), l‟AIAS (Associazione Italiana per l‟Assistenza degli Spastici), l‟ANMIC
(Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili). In contemporanea si sono sviluppate, in
Italia come nel resto del mondo, associazioni di accompagnamento e sostegno alle famiglie
con componenti in condizioni di disabilità, tra cui la ANFFAS (Associazio ne Nazionale di
Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
BIBLIOGRAFIA
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dell'associazionismo al processo di integrazione delle persone disabili. In A. Canevaro (Ed.).
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http://www.aiasnazionale.it/ (sito dell‟AIAS)
http://www.anmic.it/ (sito dell‟ANMIC)
http://www.disabilitaliani.org/home.htm (sito
dell‟ANDI-
Assoc iazione
Nazionale
Disabili Italiani)
84
R
Istanze del
Education)
concetto
di Ricerca/Scientifica
(Attività
della
Special
DEFINIZIONE: la ricerca scientifica è un'attività avente lo scopo di scoprire e interpretare
fatti, eventi, comportamenti e teorie relative ad ambiti della conoscenza e dell'esperienza
umana, tramite l‟utilizzo di metodi condivisi e rigorosi. La ricerca scientifica è usata per
accrescere la conoscenza ed è una delle condizioni imprescindibili per il progresso della
società, in virtù della sua potenziale capacità di fornire innovazione. Nello specifico, la ricerca
in ambito pedagogico è la riflessione teorica sui fini educativi, per la definizione del pensiero
pedagogico, delle pratiche e dei sistemi educativi.
CITAZIONE: “La diversità alla quale guarda la Pedagogia Speciale è dunque quella
comprensibile su un piano genetico-funzionale, come risultante di processi mentali,
psicologici e/o comportamentali che, per la presenza di una condizione handicappante,
hanno avuto una loro strutturazione che si è allontanata dalla normalità, cioè si è discostata
dalle linee con le quali tali processi evolvono e si strutturano nel soggetto considerato
normo-dotato” (Gelati, 1996, p.14).
NOTA: la Special Education è un‟area di ricerca specifica della Pedagogia. Il suo oggetto
d‟indagine è l‟educabilità della persona con bisogni particolari. La ricerca in tal ambito
disciplinare é andata sempre più approfondendosi, coinvolgendo realtà locali (es. scuole,
fondazioni, servizi socio-sanitari) che rappresentano interlocutori privilegiati per la
produzione di un sapere condiviso. Gli studi da essa promossi sono indispensabili per
individuare percorsi educativi efficaci e per orientare la prospettiva pedagogica secondo
un‟ottica inclusiva dei bisogni speciali.
BIBLIOGRAFIA
CANEVARO A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell'handicap, Milano:Bruno
Mondadori.
D'ALONZO L., Caldin R. (Eds.) (2012), Questioni, sfide e prospettive della pedagogia
speciale: l'impegno della comunità di ricerca. Napoli: Liguori.
GELATI M. (1996). Pedagogia speciale: problem i e prospettive. Ferrara: Corso.
GENOVESI G. (2005). Scienza dell‟educazione e pedagogia speciale. Roma: Carocci.
SITOGRAFIA -
85
CAPITOLO III
DIMENSIONE METODOLOGICA
(Dario Ianes)
86
DIMENSIONE METODOLO GICA LEMMI
S
1 STUDIO DI CASO
DEFINIZIONE:
La ricerca basata sullo studio di caso (case study) si può considerare una strategia di ricerca
che ha come obiettivo lo studio di unità di analisi ristrette, quali possono essere singoli
soggetti, piccoli gruppi o istituzioni, denominate appunto casi.
Lo studio di caso parte da un obiettivo conoscitivo preciso e viene condotto attraverso la
raccolta e l‟analisi, più complete possibili, degli elementi riguardanti il caso sotto esame che
possono fornire evidenze e mpiriche utili a rispondere alle domande che conducono lo studio
stesso.
Lo studio avviene in un intervallo ben definito. Gli studi di caso sono spesso studi longitudinali,
che prevedono cioè una rilevazione ripetuta dei dati sugli stessi referenti, più c he la rilevazione
su più referenti in un arco temporale ristretto (studi trasversali).
Il disegno di ricerca non è rigido ma viene costruito sulla base dello specifico caso da studiare.
Esso parte dalla def inizione degli obiettivi conoscitivi, ovvero le domande che il ricercatore si
prefigge e che deve tenere sempre presente durante la raccolta dei dati.
L‟approccio olistico sottende spesso lo studio di caso, nel senso che esso mira a considerare il
caso nella sua unica e irripetibile complessità.
Lo studio di caso può essere condotto a fini esplorativi, finalizzati a migliorare la conoscenza di
una data realtà (non vi sono ipotesi di partenza e nemmeno la strutturazione degli strumenti di
raccolta dei dati), descrittivi o esplicativi, che perseguono le funzioni di descrizione e
spiegazione di una data realtà.
Le tecniche di raccolta dati utilizzate negli studi di caso sono molteplici e hanno natura
qualitativa e/o quantitativa. La raccolta deve essere focalizzata su quanto effettivamente utile
per rispondere alle domande iniziali e le tecniche devono essere utilizzate in modo combinato
per giungere a una conoscenza più ampia e approfondita possibile del caso in esame.
Per quanto riguarda la validità e attendibilità degli studi di caso, esso innanzitutto non prevede
una validità esterna, ovvero non prevede a priori generalizzazioni di tipo statistico per i risultati
che verranno prodotti. Una critica mossa allo studio di caso è che la dipendenza dei risultati da
un singolo caso rende la ricerca incapace di produrre conclusioni generalizzabili. Il
raggiungimento di tale validità empirica, però, non è uno degli obiettivi primari degli studi di
caso, che per definizione mirano a studiare in modo approfondito il caso specifico per coglierne
appieno la singolarità. Per dimostrare l‟attendibilità, invece, deve essere sviluppato un disegno
di ricerca relativo all‟intero processo, che descriva dettagliatamente tutte le procedure con cui
vengono raccolti e interpretati i dati. Il disegno di ricerca deve rendere esplic iti gli obiettivi, le
finalità, i bisogni conoscitivi da cui essa ha origine, gli argomenti oggetti di studio, così come
anche gli strumenti utilizzati (questionari, interviste, griglie di osservazione ecc.). Tale disegno
di ricerca deve essere creato prima di iniziare lo studio sperimentale.
CITAZIONE:
«Il metodo dello studio di caso è diventato uno degli strumenti della ricerca qualitativa più
utilizzati, specialmente in campo educativo. Esso, tuttavia, non va considerato
necessariamente come un metodo esclusivamente qualitativo; come forma di ricerca, è
87
definito più dal suo interesse specifico per i casi singoli che dalla natura dei metodi d‟indagine
utilizzati». [Stake R.E., Case studies, in Denzin N.K. e Lincoln Y., Handbook of Qualitative
Research, Thousand Oaks, Sage, 2000, p. 435].
NOTA:
Lo studio di caso è particolarmente indicato per quelle situazioni in cui è impossibile separare
le variabili del fenomeno indagato dal contesto di riferimento. Tale metodo di ricerca si
caratterizza infatti per la sua capacità di entrare in profondità nelle situazioni studiate e di
favorire quindi la comprensione delle interrelazioni esistenti al suo interno. [Cecconi C. (a cura
di), La ricerca qualitativa in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2002].
BIBLIOGRAFIA:
Cecconi C. (a cura di), La ricerca qualitativa in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Stake R.E., Case studies, in Denzin N.K. e Lincoln Y., Handbook of Qualitative Research,
Thousand Oaks, Sage, 2000.
Trinchero R., I metodi della ricerca educativa, Laterza Editore, Roma, 2004.
Yin R.K., Pinelli S. (a cura di), Lo studio di caso nella ricerca scientifica: progetto e metodi,
Armando, Roma, 2005.
88
E
2 EVIDENCE BASED EDUCATION/INSTRUCTION
DEFINIZIONE:
L‟insoddisfazione verso il panorama offerto dalla ricerca educativa contemporanea ha
rappresentato il punto di partenza di uno stimolante dibattito, avviatosi nel 1996 con un
intervento di Hargreaves presso la Teaching Training Agency, il quale muoveva una critica alle
insuff icienze della ricerca accademica in ambito educativo rispetto ai bisogni dei professionisti e
auspicava una ricerca maggiormente basata sui criteri correnti di scientificità. Grazie a questo
intervento e alla pubblicazione nel 1998 di due rapporti sullo stato della ricerca in educazione
commissionati rispettivamente dal Depart ment for Education and Employment (The Hillage
Report, 1998) e dall‟Office for Standars in Education (Tooley e Darby, 1998), si è iniziata a
sentire la necessità di stabilire una nuova relazione tra pratica e teoria in ambito educativo.
Da questa importante discussione è nata l‟ Evidence Based Education (EBE, termine poi
ammorbidito in Evidence Informed Education o Ev idence Aware Education), l‟orientamento che
negli ultimi anni ha rappresentato l‟esigenza di orientare la ricerca educativa a favore di
conoscenze affidabili, trasferibili, spendibili nella pratica. Il presupposto fondamentale è che
ogni ricerca, anche in ambito educativo, debba basarsi su una completa esplicitazione dei
propri assunti scientifici, delle metodologie e criteri impiegati, in modo da presentarsi del tutto
trasparente alla valutazione esterna e consentire anche forme di comparazione e
generalizzazione dei risultati.
L‟EBE sottolinea quindi la necessità di promuovere una «cultura dell‟evidenza» o d ella «prova»
anche in ambito educativo, affinché sia i professionisti dell‟educazione che i decisori politici
possano effettuare scelte o attuare strategie basate su delle «prove» scientifiche.
Il più grande centro statunitense che si occupa di EBE è il WWC (What Works Clear ing House),
il quale afferma che l‟evidenza è garantita solo dagli RCT (Randomized Controlled Trials), cioè
da esperimenti con soggetti assegnati casualmente a un gruppo sperimentale e a uno di
controllo.
In Europa, invece, l‟istituzione più nota che si occupa di EBE è l‟EPPI (The Evidence for Policy
and Practice Information and Coordinating Centre), che mira a produrre systematic review,
ovvero un‟analisi esaustiva e argomentata della documentazione già esistente, dimostrando la
sua attendibilità impiegando sia tecniche quantitative, quali meta-analisi, sia qualitative, come
sintesi narrative o meta-etnografiche.
L‟EBE si occupa dunque di raccogliere e documentare evidenze sperimentali circa cosa funziona
e cosa non funziona.
Per quanto riguarda le critiche all‟EBE, si riconosce che in qualsiasi settore ci si può avvalere di
conoscenza formale solo in parte. In ambito educativo poi, solo in alcuni casi, probabilmente
limitati, è lecito aspettarci indicazioni supportate da procedure vere e proprie. In molte
circostanze queste potrebbero avere il carattere di semplici orientamenti da seguire oppure ci
si potrebbe trovare dinanzi ad un campo poco noto, in cui mancano conoscenze fondate e in
cui conviene procedere cautamente per tentativi: ma ciò nulla toglie alla legittimità della
domanda e al dovere professionale che la ricerca ha di cimentarsi con essa e rendere evidente
lo stato dell‟arte.
CITAZIONE:
«[… ] un educatore [… ] può avere necessità di conoscere quali strategie d‟intervento si son o
rivelate più efficaci dinanzi ad un problema di integrazione o di inclusione, o se l‟uso del
computer possa agevolare un tipo di apprendimento in bambini con difficoltà cognitive, quando
89
sia più o meno adatto un ambiente di apprendimento o un curriculum più o meno aperto o
strutturato in sotto-unità o un approccio didattico più o meno direttivo, esplorativo o
collaborativo, quando sia utile im piegare comunicazione multimediale e quando invece questa
diventi controproducente, cosa si sappia circa i modi per ottimizzare il rapporto costo/benefici
nell‟e-learning e via dicendo. In casi come questi le domande che vengono rivolte alla ricerca
sono: «Cosa sappiamo? Cosa dice la ricerca a questo riguardo»?» [Calvani A., «Decision
Making» nell‟istruzione. «Evidenc e based Education» e conoscenze sfidanti, ECPS Journal, 3,
2011, p. 78].
NOTA:
Stabilire «che cosa si sa già» su un certo argomento e renderlo accessibile può offrire vantaggi
a diversi soggetti: il ricercatore può individuare le aree lacunose, i temi o gl i argomenti rispetto
ai quali la ricerca non si è interrogata o si è risposta in modo poco chiaro, incompleto o
ambiguo; il professionista può basarsi su conoscenze affidabili, attraverso cui indirizzare la
propria pratica; il decisore politico può, se lo vuole, fondare le politiche educative sulla base
della miglior evidenza disponibile in letteratura. [Ranieri M., Evidence Based Education: un
dibattito in corso, Je-LKS, Journal of e-Learning and Know ledge Management, 3, pp. 147-152,
2007].
BIBLIOGRAFIA:
Biesta G., Why «w hat works» won‟t work: evidence-based practice and the democratic deficit,
Educational Research, Educational Theory, 57, 1, pp. 1-221, 2007.
Calvani A., «Decision Making» nell‟istruzione. «Ev idence based Education» e conoscenze
sfidanti, ECPS Journal, 3, pp. 77-99, 2011.
Calvani A., Evidence-Based Education: Ma «funziona» il «che cosa funziona»?, Je-LKS, Journal
of e-Learning and Know ledge Management, 3, pp. 139-146, 2007.
Calvani A., Per un'istruzione evidence based. Analisi teorico-metodologica internazionale sulle
didattiche efficaci e inclusive, Erickson, Trento, 2012.
Davies P., What is evidence-based education?, British Journal of Educational Studies, 47, 2,
pp. 108-121, 1999.
Hammersley M., Educational research and evidence-based practice, Sage, London, 2007.
Ranieri M., Evidence Based Education: un dibattito in corso, Je-LKS, Journal of e-Learning and
Knowledge Management, 3, pp. 147-152, 2007.
Slavin R.E., Education research can and must address «what works» questions , Educational
Researcher, 33, 1, pp. 27-28, 2004.
90
F
3 FOCUS GROUP
DEFINIZIONE:
Il focus group (intervista focalizzata di gruppo) è una tecnica di rilevazione per la ricerca
sociale, basata sulla discussione tra un piccolo gruppo di persone, alla presenza di uno o più
moderatori, focalizzata su un argomento che si vuole indagare in profondità.
Tale metodologia di ricerca risale agli anni Quaranta, quando R.K. Merton mise a punto una
nuova tecnica per la rilevazione delle opinioni e degli atteggiamenti. Nel corso degli an ni
questa tecnica ha subito numerosi cambiamenti, tanto che oggi ne esistono diversi tipi, a
seconda della composizione del gruppo, del grado di strutturazione e del ruolo del moderatore.
Nel focus group la rilevazione avviene sulla base della discussione di un piccolo gruppo di
persone, invitate a parlare tra loro di un dato argomento che il ricercatore vuole studiare.
Diversamente dall‟intervista, i partecipanti non devono rispondere individualmente a una serie
di domande, ma devono discutere e confrontarsi sul tema oggetto d‟indagine.
Il gruppo può essere composto da individui estranei tra loro o, al contrario, da persone che già
si conoscevano. La formazione del gruppo può essere omogenea o eterogenea, esso può
essere condotto da un moderatore ma anche da due o più, i quali possono seguire una guida di
intervista oppure limitarsi a proporre ai partecipanti il tema su cui discutere.
Nella fase preliminare di introduzione al focus group, il ricercatore deve sempre includere:
- un benvenuto ai partecipanti e i ringraziamenti per aver preso parte alla ricerca;
- una presentazione del moderatore e delle sue funzioni;
- una descrizione delle modalità di registrazione che verranno utilizzate;
- la definizione della tecnica del gruppo di discussione focalizzata (in che cosa consiste un focus
group) e una presentazione degli scopi del dibattito;
- un‟introduzione all‟argomento di cui si discuterà e un chiarimento dei concetti che potrebbero
essere poco chiari;
- l‟affermazione che non esistono risposte giuste o sbagliate e la consegna di ascoltare le
opinioni altrui;
- una presentazione dei partecipanti alla ricerca.
La costruzione collettiva delle opinioni diventa l‟unica fonte di informazione: i dati non pre esistono alla rilevazione, ma sono l‟esito del confront o continuo tra i partecipanti, tanto che
ogni pensiero individuale è sempre messo in relazione con quello degli altri e in alcuni casi può
addirittura mutare o formarsi durante la discussione.
Nei focus group si instaura un processo di negoziazione con il ricercatore che conduce a una
visione condivisa del problema sotto esame, in un rapporto di parità tra gli attori coinvolti.
CITAZIONE:
«Non è possibile parlare di focus group come tecnica di raccolta delle informazioni senza
tenere in giusta considerazione quello che rappresenta il cuore stesso dello strumento, ossia il
dialogo con e tra gli attori sociali. La tecnica, infatti, prevede non solo di dare loro voce, ma di
assistere alla costruzione collettiva delle asserzioni e alla negoziazione dei significati in una
91
dimensione che si avvicina notevolmente a quella tipica del mondo della vita ». [Cataldi S.,
Come si analizzano i focus group, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 13].
NOTA:
L‟utilizzo del focus group è opportuno quando si vuole indagare temi multidi mensionali e
complessi, perché con questo strumento si riescono ad individuare motivazioni latenti, che
vanno oltre alla sfera dei comportamenti e degli atteggiamenti del singolo individuo,
coinvolgendo valori, conoscenze di base, pregiudizi, rimozioni, pa ure, ecc. [Acocella I., Il focus
group. Teoria e tecnica, FrancoAngeli, Milano, 2008].
BIBLIOGRAFIA:
Acocella I., Il focus group. Teoria e tecnica, FrancoAngeli, Milano, 2008.
Albanesi C., I focus group, Carrocci, Roma, 2004.
Baldry A.C., Focus group in az ione. L'utilizzo in campo educativo e psicosociale, Carrocci,
Roma, 2005.
Bloor M., I focus group nella ricerca sociale, Erickson, Trento, 2001.
Cataldi S., Come si analizzano i focus group, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Corrao S., Il focus group, FrancoAngeli, Milano, 2005.
Frisina A., Focus Group. Una guida pratica, Il Mulino, Bologna, 2010.
Krueger R.A. e Casey M.A., Focus Groups: A Practical Guide for Applied Research, Sage,
London, 2000.
Lehoux P., Blake P. e Genevieve D., Focus group research and “the patient's v iew”, Social
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Morgan D.L. e Scannell A.U., Planning Focus Groups, Sage, London, 2003.
Vaughn S., Schumm S.J. e Sinagub J.M.,
Sage, London, 1996.
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Zammuner V.L., I focus group, Il Mulino, Bologna, 2003.
92
V
4 VIDEO RICERCA
DEFINIZIONE:
Il termine «video ricerca» deriva da «etnograf ia visuale e multi-vocale», che si riferisce al
metodo originariamente introdotto alla fine degli anni Ottanta dall‟antropologo Joseph J. Tobin
in ambito educativo. Tale metodo consisteva nella videoregistrazione di una giornata in un
contesto educativo e nel suo uso come stimolo per la discussione delle pratiche e dei
comportamenti educativi.
La video ricerca ha lo scopo non solo di fornire materiali di analisi rispetto alle domande
conoscitive della ricerca, ma anche di offrire la possibilità di convalidare e/o di fornire nuove
congetture utili alla ricerca stessa, attivando un circolo ermeneutico che, mostrando nuove
possibilità di significato e di senso, permette di lasciare il disegno aperto.
La video ricerca si basa su un metodo di osservazione sul campo e non va confusa con il
reportage giornalistico. Nella video ricerca non è sufficiente raccogliere una videoregistrazione,
bensì essa deve essere anche interpretata. Oltre all‟interpretazione da parte del ricercatore,
questo metodo prevede il confronto e la discussione con i partecipanti alla ricerca e tra i
partecipanti e i rappresentanti di istituzioni analoghe a quella indagata.
CITAZIONE:
La video ricerca è un «[… ] metodo vicino a quello dell‟osservazione partecipante, con la
differenza che al posto del (o accanto al) tradizionale taccuino o del registratore hanno la
camera». Faccioli P. e Losacco G., Manuale di sociologia visuale, FrancoAngeli, Milano, 2003, p.
62.
NOTA:
Questo approccio di ricerca offre una dimensione dialogica su tre livelli: la sequenza di
immagini e la storia raccontata nel video, le reazioni dei protagonisti della video r icerca e le
reazioni e i commenti degli stessi protagonisti a quelle di rappresentanti di altre comunità.
[Faccioli P. e Harper D., Mondi da vedere. Verso una sociologia più visuale , FracoAngeli,
Milano, 1999].
BIBLIOGRAFIA:
Frisina A., Focus Group. Una guida pratica, Il Mulino, Bologna, 2010.
Faccioli P. e Harper D., Mondi da vedere. Verso una sociologia più visuale, FracoAngeli, Milano,
1999.
Faccioli P. e Losacco G., Manuale di sociologia visuale, FrancoAngeli, Milano, 2003.
93
O
5 OSSERVAZIONE SISTEMATICA DIRETTA
DEFINIZIONE:
Lo sviluppo dell'etologia, ovvero la branca della zoologia che si basa sull'osservazione diretta
del comportamento, ha contribuito a ridare fiducia negli ultimi anni ai ricercatori in pedagogia e
psicologia per quanto concerne la pertinenza di questa modalità di comprensione dei
comportamenti oggetto di studio.
L'osservazione diretta del comportamento consiste nell'identificare, nominare, confrontare e
infine descrivere il comportamento stesso. L‟applicazione dell'osservazione diret ta del
comportamento prevede la chiara definizione iniziale delle unità di osservazione e dei campi di
esplorazione, in modo da costituire delle regolarità che l'osservatore può riconoscere
fedelmente.
L‟osservazione sistematica, ossia in modo continuo e durante lunghi periodi, del
comportamento, viene utilizzata se il numero delle unità è molto elevato. L'addestramento è
allora molto lungo, i tempi di reazione sono elevati, gli errori frequenti e l'attenzione centrata
più sull'aspetto tecnico che sui fatt i da osservare. Nel momento in cui il ricercatore procede
all'analisi dei dati, le osservazioni devono essere raggruppate in unità più globali, da costituire
a posteriori, se vuole ricavare in esse qualche regolarità. In alcuni casi, può essere più efficac e
raggrupparle al momento stesso dell'osservazione.
Prima di intraprendere l'osservazione, un'attenzione particolare deve essere orientata verso le
scelte delle unità di comportamento da riconoscere e da annotare, così come alla loro
definizione, che deve essere il più possibile chiara, in modo da non provocare né
interpretazioni né applicazioni troppo variabili a seconda degli osservatori. Una volta scelta,
un‟unità comportamentale deve quindi essere definita in modo da assicurare la fedeltà sia per
l'osservatore sia tra gli osservatori. I comportamenti devono essere def initi chiaramente, con
l'aiuto di criteri precisi. Lo scopo della definizione è di assicurare la fedeltà dello strumento di
misura per l'osservatore e la fedeltà inter-osservatori. Def inire consiste dunque nell'assegnare
un‟etichetta o un termine che riunisca varie informazioni essenziali.
La registrazione dei comportamenti deve essere rigorosamente pianif icata. Per assicurare la
validità della ricerca, infatti, il piano di osservazione dovrà indicare le modalità secondo le quali
le misure e le osservazioni verranno registrate e verrà stabilito il modo di controllare alcune
variabili. La costruzione del piano deve:
- stabilire quali comportamenti osservare, sulla base degli obiettivi della ricerca e delle ipotesi
da analizzare;
- scegliere se registrare la loro frequenza e durata;
- definire quale modalità di registrazione utilizzare (dal vivo, ovvero nel momento stesso in cui
si svolge l‟azione, o in differita, utilizzando registrazioni audio o video);
- precisare quale sistema di codifica e annotazione impiegare;
decidere il periodo di tempo durante il quale queste osservazioni saranno effettuate.
CITAZIONE:
94
«[… ] attraverso tecniche di osservazione sistematica, le operazioni di rilevazione e m isurazione
sono predisposte in modo da sapere cosa e dove cercare (in tempi/durate e spazi/luoghi
predefiniti)». [F iorini T., Metodologia e didattica dell‟insegnamento secondario, Armando,
Roma, 2002, p. 209].
NOTA:
Quando il numero di unità da osservare è molto elevato è consigliabile l‟utilizzo
dell‟osservazione sistematica. Più il numero delle unità è elevato, più lo è il numero delle
osservazioni richieste per rispettare i postulati di base di certe prove statistiche. D‟altro canto,
però, se le unità sono troppo poco numerose o troppo vaghe, è molto probabile che i risultati
siano grossolani. [ Beaugrand J.P., Osservazione diretta del comportamento, in La ricerca
scientifica in psicologia, Robert M. (a cura di), Laterza, Roma, pp. 187-243, 1989].
BIBLIOGRAFIA:
Alt mann J., Observational study of behavior: sampling method, Behaviour, 49, pp. 227-265,
1974.
Beaugrand J.P., Osservazione diretta del comportamento, in La ricerca scientifica in psicologia,
Robert M. (a cura di), Laterza, Roma, pp. 187-243, 1989.
Bonetti P. e Jacopino F.R.,
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tecniche per la rilevazione
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Fiorini T., Metodologia e didattica dell‟insegnamento secondario, Armando, Roma, 2002.
Lis A. e Venuti P., L‟osservazione nella psicologia dello sviluppo, Giunti, Firenze, 1996.
95
A
6 AUTOBIOGRAFIA
DEFINIZIONE:
Nelle scienze umane emerge l‟attenzione alla dimensione storica, soggettiva, qualitativa e
narrativa del conoscere. La ri-elaborazione biograf ica delle vite individuali rappresenta una
possibile modalità di accesso all‟umano.
E‟ stato per primo Schleiermacher a porre l‟accento sull‟importanza di utilizzare la
comprensione narrativa autobiograf ica, seguito da Heidegger, che pose le basi per una
valorizzazione del tema della biografia e del racconto di sé.
Con l‟avvento del metodo autobiograf ico nell‟ambito della ricerca, il soggetto studiato diventa
attivo, capace di produrre conoscenza. Il ricercatore si pone in un atteggiamento di ascolto,
generando un sapere condiviso. Si assiste dunque a uno spostamento da una prospettiva
biografica, in cui il ricercatore tiene le distanze dal soggetto, a una prospettiva autobiografica,
in cui la conoscenza viene costruita ed è frutto dell‟interazione tra due individualità, ciascuno
portatore di una sua storia e attribuzioni di signif icato.
L‟autobiografia è da considerarsi come una tecnica della «cura di sé» e di pratica di autoanalisi,
oltre che una strategia di ricerca e formazione. Il metodo autobiografico viene infatti spesso
utilizzato per restituire la parola a insegnanti, educatori, mettendo l‟accento sulla loro
esperienza, professionale e di vita, e sulla situazione che si vuole studiare.
L‟approccio autobiograf ico in pedagogia rientra all‟interno dei percorsi metodologici di tipo
qualitativo, in cui l‟attenzione si sposta dal prodotto (la storia) al processo (il racconto), perché
in esso è insito il valore formativo ed euristico. Gli strumenti della ricerca autobiog raf ica
possono essere individuali (ad esempio la scrittura di un diario) oppure può essere utilizzata
una relazione dialogica (colloqui individuali o di gruppo).
Il ricercatore deve mantenere un atteggiamento che manifesti un ascolto attento, attivo,
interessato, autentico ed empatico. A livello verbale deve porre domande chiare, semplici,
brevi, aperte a molte possibilità di risposta, evitare invece quelle in stile negativo, ambigue,
troppo dirette, che richiedono più di una risposta.
CITAZIONE:
«L‟approccio autobiografico in educazione si fonda sulla possibilità di autoformarsi, attraverso
un lavoro interiore legato alla rivisitazione e narrazione delle proprie esper ienze remote,
recenti e attuali. La formazione di sé deriva dall‟acquisizione di una magg iore consapevolezza
(di sé, degli altri, del mondo) e dalla possibilità di prospettare opportunità di scelta e di
cambiamento per la propria vita, alla luce di una nuova v isione e di una diversa disposizione
d‟animo». [Moroni I., Bambini e adulti si raccontano. Formazione e r icerca autobiografica a
scuola, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 21].
NOTA:
L‟auto-referenzialità è la chiave d‟accesso al vissuto interiore del sistema -uomo e del suo
rapporto conoscitivo con l‟ambiente. Legittimare scientificamente la soggettività signif ica
attribuire un ruolo primario, nel processo di conoscenza, alla costruzione e al racconto della
storia personale dell‟individuo. [Minichiello G. (a cura di), Autobiografia e didattica, La Scuola,
Brescia, 2003].
BIBLIOGRAFIA:
96
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Duccio D., Per una didattica dell'intelligenza: il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo,
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Minichiello G. (a cura di), Autobiografia e didattica, La Scuola, Brescia, 2003.
Moroni I., Bam bini e adulti si raccontano. Formazione e ricerca autobiografica a scuola ,
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Schettini B., Il lavoro autobiografico come ricerca e formazione in età adulta , in Sarracino V. e
Strollo M.R. (a cura di), Ripensare la formazione, Napoli, Liguori, 2000.
97
I
7. INDAGINI ESPLORATIVE E COMPARATIVE
DEFINIZIONE:
Nello studio esplorativo (sia su caso singolo che multiplo) il lavoro sul campo e la raccolta dei
dati sono intrapresi prima della definizione dell‟oggetto d‟indagine, dei quesiti dello studio e
delle ipotesi interpretative, come preludio ad altri studi.
L‟indagine esplorativa e comparativa solitamente non presenta ipotesi di partenza precise da
confermare, ma solo alcuni interessi guida. L'obiettivo è quello di descriv ere ed esplorare il
fenomeno in questione. La comparazione tra realtà diverse ha poi lo scopo di comprendere più
in profondità l‟oggetto di studio.
La ricerca esplorativa è volta a chiarire la natura di un problema, ad acquisire maggiore
comprensione di una situazione, a fornire indicazioni per indagini future. Grazie alla ricerca
esplorativa e comparativa, il ricercatore accresce la propria familiarità con il problema ed è
generalmente in grado di formulare ipotesi e congetture in merito a questo. Il dato di ricerca è
trattato in modo qualitativo: i risultati di tale ricerca sono perciò privi della capacità di
rappresentare un fenomeno generale. Comunemente si afferma che il risultato ottenuto da tale
analisi è profondo ma non esteso. I metodi più utilizzat i sono: i focus group, le interviste in
profondità, i metodi proiettivi, i metodi codificati da Jerry Zalt man, l'osservazione partecipata.
CITAZIONE:
L‟indagine esplorativa ha «lo scopo di “metter alla prova di realtà”, i concetti o variabili di
ipotesi da controllare poi sper imentalmente.» [Lumbelli L., Costruzione dell‟ipotesi ed
astrazione nella pedagogia sperimentale, in Bondioli A. (a cura di), Fare ricerca in pedagogia,
Angeli, Milano, 2006, p. 45].
NOTA:
L‟indagine esplorativa e comparativa deve verificare, ristrutturare o anche respingere le ipotesi
di partenza. [Erdas F.E., L‟educazione interminabile. Un viaggio nell‟utopia, Armando, Roma,
1996].
BIBLIOGRAFIA:
Erdas F.E., L‟educazione interminabile. Un v iaggio nell‟utopia, Armando, Roma, 1996.
Husén T., Ricerca comparativa ed empirica in educazione. Mutamenti di prospettive in
cinquanta anni di personale esperienza, Scuola e città, 8, 1993.
Lumbelli L., Costruzione dell‟ipotesi ed astrazione nella pedagogia sperimentale , in Bondioli A.
(a cura di), Fare ricerca in pedagogia, Angeli, Milano, pp. 25-60, 2006.
Lumbelli L., La ricerca esplorativa in pedagogia, Ricerche pedagogiche, pp. 60-77, 1980.
Lumbelli L., Pedagogia sper imentale e ricerca esplorativa, Scuola e città, 3, pp. 97-104, 1989.
R
8 REVIEW DELLA LETTERATURA
DEFINIZIONE:
98
Con il termine «review o revisione della letteratura» si intende una sintesi critica dei lavori
pubblicati su uno specifico argomento. L‟obiettivo è di offrire una rassegna della letteratura
finalizzata all‟aggiornamento su un determinato argomento.
Le revisioni della letteratura sono l‟esempio più classico di quelle che sono definite
«pubblicazioni secondarie», così chiamate in quanto chi le redige ricava i dati da studi svolti in
precedenza, ne riassume i risultati e trae le proprie conclusioni.
La selezione e la raccolta delle ricerche esistenti, la loro valorizzazione e la loro sintesi sono
operazioni che vanno sotto il nome di «systematic reviews» (SR). Le SR consistono in una
meta-ricerca, volta a individuare, valutare criticamente e sintetizzare i risultati di ricerche
primarie rilevanti su un determinato argomento attraverso protocolli d‟analisi espliciti e
rigorosi. Le revisioni sistematiche prendono in considerazione un insieme di studi, relativi a un
determinato argomento, condotti in momenti e luoghi differenti e con metodologie
confrontabili. Tali studi vengono sottoposti ad un processo sistematico di analisi e valutazione
critica e sono raccolti in un unico documento comprendente la raccolta della migliore evidenz a
disponibile. Tale raccolta è dunque il risultato della selezione attiva, effettuata seguendo i
principi predefiniti, dei migliori articoli scientifici pubblicati sull‟argomento.
Le fasi della review della letteratura sono le seguenti:
- definizione del protocollo di studio (scopo e argomento della review, strumenti, parole chiave
ecc.);
- individuazione di tutti gli studi (pubblicati e non pubblicati) rilevanti per l‟argomento;
- selezione degli studi ritenuti rilevanti, sulla base di criteri di inclusio ne/esclusione esplicitati
nel protocollo di studio;
- indagine e (se possibile) riduzione dell‟eterogeneità tra gli studi;
- risultati;
- conclusioni.
CITAZIONE:
«Per l‟analisi della letteratura è [… ] importante seguire alcuni passaggi:
1. definire il problema della ricerca nel modo più dettagliato possibilie;
2. visionare risorse secondarie rilevanti;
3. selezionare alcuni lavori presenti nelle opere di consultazione generale;
4. formulare delle parole-chiave pertinenti al problema di ricerca;
5. cercare delle opere di consultazione generale utili a trovare delle risorse primarie;
6. leggere risorse primar ie rilevanti.» [Corradi F., Bambini e insegnanti a scuola. Modelli
educativi, relazioni intergenerazionali e interculturali in Italia e in Francia , Nuova Cultura,
Roma, 2011, p. 90].
NOTA:
La revisione della letteratura costituisce un aspetto importante dell‟attività di ricerca: fornisce
un aiuto per raccogliere idee intorno al tema della ricerca, analizzando i risultati di altri studi
simili.
BIBLIOGRAFIA:
99
Corradi F., Bambini e insegnanti a scuola. Modelli educativi, relazioni intergenerazionali e
interculturali in Italia e in Francia, Nuova Cultura, Roma, 2011.
Petticrew M. e Roberts H., Systematic Reviews in the Social Sciences: A Practical Guide ,
Blackwell, Oxford, 2006.
100
R
9 RICERCA AZIONE
DEFINIZIONE:
La ricerca-azione è stata molto utilizzata dagli anni Sessanta, in particolare nel campo del
lavoro sociale e medico-sanitario. Nel 1986, in occasione di un convegno all‟I.N.R.P. (Istituto
Nazionale Ricerche Pedagogiche), essa è stata definita come un tipo di ricerca in cui vi è una
deliberata azione di trasformazione della realtà, con l‟obiettivo di produrre delle conoscenze
concernenti questa trasformazione.
Secondo questa metodologia di ricerca, un ricercatore distaccato non potrebbe raggiungere
una condizione di empatia con i soggetti indagati, poiché, non condividendo la stessa realtà
quotidiana, il rischio sarebbe quello di adottare categorie interpretative non adeguate per la
comprensione di quella realtà. Il ricercatore dovrebbe dunque immergersi completamente
(fisicamente, culturalmente ed emotivamente) nella realtà studiata. I ricercatori adatti
all‟utilizzo di tale tecnica dovrebbero essere quindi gli operatori sul campo che abitualmente
sono coinvolti nella realtà da studiare (chiamati «stakeholders», che significa «coloro che
hanno una posta in gioco»), ovvero gli insegnanti, gli educatori, i formatori, ecc.
Secondo questa metodologia di ricerca, il ricercatore assume dunque una nuova pos izione nella
società e a ciò consegue il riconoscimento a chi opera nel sociale di una certa competenza nella
ricerca.
Esiste una classificazione delle differenti ricerche-azione:
- la ricerca-azione d‟ispirazione lew iniana o neo-lewiniana: i ricercatori, distinti dagli attori,
mettono a disposizione le proprie conoscenze e l‟esperienza professionale, non sotto forma di
conclusione, ma mettendosi a disposizione del gruppo per offrire una metodologia scientifica
applicabile a un problema d‟azione;
-
la consultazione-ricerca d‟ispirazione analitica o socio-analitica: la reazione tra il
ricercatore/analista e gli attori è caratterizzata da un coinvolgimento reciproco in un processo
di analisi che permette la scoperta delle dimensioni inconsce della vita di gruppi e di
organizzazioni;
- l‟azione-ricerca: è utilizzata e concepita come mezzo per favorire dei cambiamenti volontari
decisi dal ricercatore;
- la sperimentazione sociale: l‟espressione si riferisce a esperienze di vita costruite al di
rappresentare in se stesse una ricerca in atto.
CITAZIONE:
«Secondo la visione della r icerca azione, parlare di r icercatore distaccato dalla realtà studiata
non ha senso: il ricercatore è inserito in un contesto di rapporti sociali, politici, economici,
quindi, anche quando pensa di essere distaccato dalla realtà che studia, è comunque parte di
un sistema che condiziona la scelta dei temi su cui opera la sua attività, dei paradigm i che
adotta e delle concrete procedure di ricerca, arrivando a influenzare anche i risultati»
[Trinchero R., Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002, p. 74].
NOTA:
Solitamente la ricerca-azione non è provocata dal ricercatore, piuttosto egli l‟accoglie. Si può
trattare di un gruppo con una serie di difficoltà risultanti dalla vita quotidiana, che richiede un
101
aiuto esterno (dei ricercatori professionisti in ricerca-azione). [Barbier R., La ricerca-azione,
Armando, Roma, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Barbier R., La ricerca-azione, Armando, Roma, 2007.
Elliott J., Giordan A., Scurati C., Pozzo G. e Zappi L., La ricerca-azione: metodiche, strumenti,
casi, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Orefice P., La ricerca azione partecipativa. Teoria e pratiche, Liguori, Napoli, 2006.
Pourtois J.P., La ricerca-azione in pedagogia, in Manuale critico della sperimentazione e della
ricerca educativa, Becchi E. e Vertecchi B. (a cura di), FrancoAngeli, Milano, 1986.
Trinchero R., Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002.
102
A
10
AMICO CRITICO
DEFINIZIONE:
Il termine «amico critico» nasce nell‟ambito delle sperimentazioni e della ricerca-azione, con la
necessità di avere un osservatore esterno “partecipativo”. La figura dell‟amico critico riveste il
ruolo di osservatore distaccato che garantisca quella (relativa) oggettività, quella ricchezz a di
punti di vista e quell‟impulso alla sistematicità che il singolo ricercatore non può assicurare.
Egli deve essere scelto per una condivisione di intenti, di attitudini, di atteggiamenti di fronte
ai principi fondamentali della sperimentazione.
La figura dell‟amico critico può essere utilizzata in ambito didattico. Due sono però i possibili
rischi connessi alla presenza di una persona esterna in classe: da un lato l‟amico critico può
essere vissuto come un‟«invasione di campo» che si manifesta nell‟as sumere funzioni e compiti
che competono ad altre figure, dall‟altro, il suo scarso coinvolgimento nella prassi scolastica
quotidiana può fargli sfuggire le dinamiche manifeste e latenti che sottendono il gruppo, con
conseguente allentamento della propria funzione.
CITAZIONE:
«Per ovviare alla cogente autoreferenzialità di cui soffrono le reti didattiche, è stata introdotta
la figura dell‟amico critico. È un soggetto particolarmente capace di giocare il ruolo di
contestatore che rimette continuamente in discussione processi e itinerari curricolari,
facendone rilevare le “criticità”, suggerendo nel contempo soluzioni plausibili e a volte
alternative rispetto a quanto viene intrapreso. [… ] Deve essere un osservatore esterno con
funzioni di controllo rispetto alla soggettività della stessa ricerca-azione , preferibilmente un
docente di ampia esperienza didattica e metodologica e di forte buonsenso ». [Calvani A.,
Tecnologia, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell'apprendere , FrancoAngeli, Milano,
2007, P. 90].
NOTA:
L‟amico critico ha un ruolo di responsabilità, deve mettere in gioco tutta la sua persona e la
sua apertura al contesto in cui si trova a lavorare. Cavagnoli S. e Passarella M, Educare al
plur ilinguismo. Rif lessioni didattiche, pedagogiche e linguistiche, FrancoAngeli, Milano, 2011.
BIBLIOGRAFIA:
Calvani A., Tecnologia, scuola,
FrancoAngeli, Milano, 2007.
processi
cognitivi.
Per
una
ecologia
dell'apprendere ,
Stroobants H., Critical Friends for Comfort and Growth, Worcester Papers in Education,
University College Worcester, 5, 2005.
103
C
11. COMMUNITY BASED RESEARCH
DEFINIZIONE:
La community based research può essere tradotta letteralmente in italiano con «ricerca basata
sulla comunità» o «ricerca di comunità», ma non va confusa con l‟ambito decisamente diverso
degli «studi di comunità». Essa può rie ntrare nella più vasta famiglia della ricerca-azione e, più
in generale, tra le esperienze definibili come «con-ricerca».
Questo tipo di ricerca ha l‟obiettivo di porre l‟attenzione sulle esigenze e modalità specifiche
delle singole comunità.
La community based research viene condotta all‟interno di comunità di persone, le quali
vengono coinvolte in un ruolo attivo nella ricerca. La modalità di partecipazione dei membri
della comunità può avere diversi livelli.
CITAZIONE:
«La community based research è un tipo di ricerca che viene generalmente condotta con le
comunità e le persone, invece che su di esse». [Vargiu A., La ricerca sociologica tra
valutazione e im pegno civico, FrancoAngeli, Milano, 2012, p.186].
NOTA:
Le ricerche basate sulla comunità pongono l‟accento sui bisogni di specifiche popolazioni in
spazi (come quartieri o città) o categorie, sempre ben definiti. Queste popolazioni sono spesso
sottorappresentate, isolate o deboli. [Johnson M.P. e Smilow itz K., Community-Based
Operations Research, in Klastorin T., Tutorials In Operations Reasearch, Informs, Hannover,
pp. 102-123, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Johnson M.P. e Smilow itz K., Community-Based Operations Research, in Klastorin T., Tutorials
In Operations Reasearch, Informs, Hannover, pp. 102-123, 2007.
Stoecker R., Comm unity-Based Research: from practice to theory and back again, Michigan
Journal of Community Service Learning, 9, 2, pp. 35-46, 2003.
Strand K.J., Cutforth N., Stoecker R., Marullo S. e Donohue P., Community-Based Research
and Higher Education: Principles and Practices, Jossey-Bass, San Francisco, 2003.
Vargiu A., La ricerca sociologica tra valutazione e impegno civico, FrancoAngeli, Milano, 2012.
104
D
12. DISEGNI SPERIMENTALI A SOGGETTO SINGOLO
DEFINIZIONE:
La ricerca applicata riguarda nte persone con disabilità grave e/o multiple è spesso basata
disegni sperimentali a soggetto singolo. Nell‟ambito delle disabilità, essi permettono
costruire un quadro delle aree più compromesse e delle specifiche disabilità della persona
esame, e dà inoltre la possibilità di misurare le evoluzioni degli stati patologici e
modificazione dei comportamenti in relazione agli interventi terapeutico -riabilitativi.
su
di
in
la
I disegni sperimentali a soggetto singolo si utilizzano soprattutto per valutare l‟ef ficacia di
trattamenti lungo un periodo di tempo. Viene spesso utilizzato il disegno sperimentale A -B-A-B
(ripetizione delle condizioni) che prevede le seguenti fasi:
- (A) effettuare la «misurazione basale», ovvero la registrazione della frequenza con la quale
prestazione e comportamento si manifestano prima dell‟inizio di qualsiasi intervento;
- (B) intraprendere il trattamento previsto, mantenendo però costante la situazione in modo
che non vi siano differenze tra la prima e la seconda fase (altrimenti i risultati potrebbero
essere inf luenzati);
- (A) sospendere il trattamento o invertirlo: l‟operatore in relazione con la persona analizzata si
astiene dall‟uso della procedura precedentemente utilizzata;
- (B) ripristinare il trattamento, che consiste nell‟utilizzare nuovamente la strategia impiegata
in precedenza.
Numerosi sono i vantaggi che i disegni a soggetto singolo off rono a livello applicativo, poiché
favoriscono l‟identif icazione della relazione causale tra variabili indipendenti (quali possono
essere le procedure educative utilizzate) e quelle dipendenti (ovvero la modificazione del
comportamento). Dai disegni a soggetto singolo si conseguono ulteriori vantaggi a livello
metodologico, garantendo un rigoroso controllo delle fonti di variabilità. Questo rigore
metodologico viene raggiunto grazie all‟utilizzo di due forme di controllo:
1. Controllo preventivo, che comprende:
- la costanza del setting sperimentale;
- l‟accuratezza delle osservazioni;
- l‟introduzione di una variabile indipendente per volta;
- l‟alternanza delle fasi sperimentali.
2. Controllo a posteriori, che si concretizza tramite l‟analisi statistica dei dati in serie temporali.
CITAZIONE:
«E‟ un procedimento rigoroso che ha il pregio di aiutare a correggere errori od omissioni n egli
interventi e di consentire una valutazione su base osservativa degli esiti confrontandoli con dati
empiricamente osservabili» [Causin P. e De Pieri S., Disabili e rete sociale. Modelli e buone
pratiche di integrazione, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 112].
NOTA:
I disegni sperimentali a soggetto singolo, oltre a consentire una maggior precisione nel
valutare la performance individuale, rispetto a modalità che la inferiscono dalle medie del
105
gruppo, godono di maggior f lessibilità nel piano sperimentale in funzione delle modificazioni
indotte e osservate nel comportamento a seguito del training riabilitativo. Essi mettono dunque
in maggiore evidenza gli effetti principali di un intervento per il maggior controllo esercitato
sulle cause della variabilità del comportamento. [Perini S. e Rollo D., Applicazione educativa
del disegno a soggetto singolo per serie temporali: un caso di mutismo elettivo , Psicoterapia
cognitiva e comportamentale, 2, 1, pp. 19-29, 1996].
BIBLIOGRAFIA:
Causin P. e De Pieri S., Disabili e rete sociale. Modelli e buone pratiche di integrazione ,
FrancoAngeli, Milano, 2006.
Lancioni G., Groeneweg J., Bosco A. e Basili G., Significatività statistica e significatività clinica
in r icerca applicata con persone con disabilità gravi e multiple , Psicologia clinica dello sviluppo,
pp. 261-272, 2008.
Lancioni G.E., Metodi di r icerca educativa: Caratteristiche e uso dei disegni sperimentali a
soggetto singolo, Insegnare all‟handicappato, 1995.
Perini S. e Rollo D., Applicazione educativa del disegno a soggetto singolo per serie temporali:
un caso di mutismo elettivo, Psicoterapia cognitiva e comportamentale, 2, 1, pp. 19-29, 1996.
106
M
13. MULTIPLE PROBE E MULTIPLE BASELINE
DEFINIZIONE:
I disegni «multiple baseline » (linee di base multiple) e «m ultiple probe» (a prove multiple)
vengono utilizzati per gli studi di caso. Essi hanno la finalità di verif icare l‟efficacia della
variabile indipendente sul comportamento. Questi disegni di ricerca permettono di vedere, ad
esempio, l'effetto di un singolo trat tamento su diversi comportamenti, setting o soggetti.
Dato che negli esperimenti su singoli casi non ci sono gruppi di controllo, è necessario disporre
di un termine di paragone per verificare l‟efficacia del trattamento. Perciò si misura la
caratteristic a che si intende modif icare del soggetto prima di introdurre il trattamento. La serie
di misure prima del trattamento è detta linea di base (baseline).
Il disegno multiple baseline si utilizza dunque per verif icare se la modif icazione della variabile
coincide con l‟introduzione di un dato trattamento. Esso prevede:
– la misurazione di base di più comportamenti emessi da uno stesso soggetto o di un
comportamento manifestato da più soggetti;
– la predisposizione di una modalità di intervento dello stesso tipo per tutti i comportamenti (o
i soggetti);
– la sequenzialità nella implementazione del trattamento cioè applicazione dell'intervento
inizialmente al primo comportamento (o soggetto) mentre gli altri rimangono nella
condizione di linea di base, dopo un certo tempo al secondo, poi anche al terzo, ecc.
CITAZIONE:
«[…] nei disegni "m ultiple baseline" è necessario formulare una ipotesi dettagliata sperimentale
che predice come le variabili dipendenti varieranno durante e attraverso le diverse fasi
dell‟esper imento». [Cioffi R. e Vidotto G., Esper imenti su soggetti singoli. Testo disponibile al
sito: http://zip2002.psy.unipd.it/pdf/Cioffi-pdf/9_soggsing.pdf (verif. 23.09.2013)].
NOTA:
Il disegno a prove multiple si avvicina alla logica del disegno a linee di base multiple, poiché
procede con prove che valutano gli effetti di trattamenti sul caso singolo per insegnare una
sequenza o catena di risposte. [Cecconi L. (a cura di), La ricerca qualitativa in educazione,
FrancoAngeli, Milano, 2002].
BIBLIOGRAFIA:
Cecconi L. (a cura di), La ricerca qualitativa in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Cioffi
R.
e
Vidotto
G.,
Esperimenti
su
soggetti
singoli.
Testo
disponibile
http://zip2002.psy.unipd.it/pdf/Cioffi-pdf/9_soggsing.pdf (verif. 23.09.2013).
al
sito:
Poling A., Methot L.L. e Mark G., Fundamentals of Behavior Analytic Research, Spring,
New York, 1995.
107
G
14. GRUPPI SPERIMENTALI E DI CONTROLLO
DEFINIZIONE:
Il disegno sperimentale prevede la presenza di un gruppo speriment ale e di un gruppo di
controllo.
Nell'esperimento il gruppo sperimentale a cui viene somministrato un determinato intervento
(ad esempio uno specifico trattamento) è un gruppo identico al gruppo di controllo, al quale
invece non viene somministrato.
Fare ricorso a un gruppo di controllo signif ica garantire risultati credibili e affidabili. Un gruppo
di controllo si definisce come un gruppo di soggetti selezionati in modo che siano confrontabili
con i soggetti del gruppo sperimentale, tranne per il fatto che , diversamente da questi ultimi,
essi non sono esposti al trattamento sperimentale.
I gruppi di controllo possono essere di diverso tipo: no-treatment, nei quali i soggetti coinvolti
nella ricerca non ricevono il trattamento al quale sono invece sottopost i i soggetti del gruppo
sperimentale, né alcun‟altra forma di trattamento;
La prima tipologia di gruppo di controllo può avere delle varianti. Il gruppo di controllo può
essere costituito da un waiting-list group, in cui vengono impiegati come membri del gruppo i
pazienti in lista di attesa per essere sottoposti allo stesso trattamento al quale sono sottoposti i
soggetti del gruppo sperimentale. Una seconda variante è il placebo control group, il quale
viene solitamente utilizzato per verificare se gli effetti riscontrati nel gruppo sperimentale sono
dovuti alle componenti non specifiche del trattamento, cioè ai cosiddetti «fattori terapeutici
non specifici». Tale metodologia consiste in altre parole nel chiedersi se l‟efficacia terapeutica
dipenda da fattori specifici del trattamento oppure da fattori non specifici, come ad esempio il
rapporto di fiducia, il coinvolgimento emotivo ecc.
CITAZIONE:
«Vi può [… ] essere una lieve differenza tra il gruppo sperimentale e quello di controllo dovuta
alle aspettative generate nel gruppo sperimentale dal fatto di sentirsi osservati; tale situazione
può indurre nel campione un maggior interesse o attivismo rispetto al solito, ma questi sono
elementi di cui il r icercatore può tenere conto». [Gattico E. e Mantovani S. (a c ura di), La
ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 61].
NOTA:
Nella ricerca sperimentale il ricercatore può manipolare o riprodurre intenzionalmente il
fenomeno da studiare. Affinché si possa attribuire alla manipolazione, ovvero alla variabile
indipendente, la causa del cambiamento riscontrato, è necessario confrontare le variazioni
avvenute, ovvero le variabili dipendenti, del gruppo sperimentale a quelle del gruppo di
controllo in cui non vi è stata alc una manipolazione. L‟esperimento si caratterizza per la
manipolazione e il controllo delle variabili e per l‟assegnazione casuale dei soggetti al gruppo
sperimentale ed al gruppo di controllo. [Camaioni L. e Di Blasio P., Psicologia dello sv iluppo, Il
Mulino, Bologna, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Camaioni L. e Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2007.
Gattico E. e Mantovani S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi,
Bruno Mondadori, Milano, 1998.
Memoli R., Strumenti e strategie della ricerca sociale, FrancoAngeli, Milano, 2005.
108
V
15. VALUTAZIONE DI IMPATTO
DEFINIZIONE:
Per valutazione di impatto si intende la valutazione di una determinata pratica pedagogica o di
un programma di intervento, con la f inalità di stabilire quali esiti e impatto ha avuto sul
campione studiato.
La valutazione può essere condotta con qualsiasi metodologia che stimi l‟efficacia e l‟impatto di
un processo di apprendimento, i cui risultati possono essere utilizzati per migliorare l‟offerta di
studio e determinare se gli obiettivi di apprendimento sono stati raggiunti.
Molto spesso la valutazione di impatto viene utilizzata per verificare gli effetti di un‟azione
formativa. Essa valuta il cambiamento a distanza di tempo e se lo stesso è durato, indagando
se i partecipanti al progetto formativo hanno trasferito le conoscenze apprese e se vi è stata
una ricaduta organizzativa.
CITAZIONE:
«La valutazione delle conseguenze, o dell‟im patto (sociale, organizzativo) di un programma è
[… ] l‟elemento decisivo per chi vuole giudicare l‟effettiva funzionalità di un‟azione formativa.
Un‟azione formativa è ritenuta valida se i suoi risultati rafforzano la capacità di performance
degli individui coinvolti o dei sistemi di azione di cui fanno parte [… ]». [Lichtner M., La qualità
delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità e costruzione del
significato, FrancoAngeli, Milano, 2002, p. 16].
NOTA:
La valutazione di impatto può essere utilizzata per verificare il conseguime nto degli obiettivi
formativi. I dati raccolti e le analisi effettuate possono servire a riconsiderare e ridefinire i
mezzi impiegati, ma possono anche servire a riorientare gli stessi obiettivi. [Cairo M. (a cura
di), Pedagogia e didattica speciale per educatori e insegnanti nella scuola, V&P, Milano, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Cairo M. (a cura di), Pedagogia e didattica speciale per educatori e insegnanti nella scuola ,
V&P, Milano, 2007.
Cerri R. (a cura di), Valutare i progetti educativi. Percorso di riflessio ne verso una mentalità
valutativo-progettuale, FrancoAngeli, Milano, 2004.
Lichtner M., La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità
e costruzione del signif icato, FrancoAngeli, Milano, 2002.
109
I
16. INTERVISTE
DEFINIZIONE:
L‟intervista è uno scambio verbale tra due o più persone, nel quale uno o più esperti (gli
intervistatori) cercano, ponendo domande più o meno prefissate, di raccogliere informazioni su
dati personali, comportamenti, opinioni e atteggiamenti degli intervistati.
Rispetto al questionario, l‟intervista libera o semi-strutturata consente di raccogliere
informazioni molto più ricche e articolate. Essa è quindi utile per indagini in profondità più che
in estensione, ovvero su un grande numero di soggett i.
Le tipologie di intervista maggiormente utilizzate sono l‟intervista uno a uno o faccia a faccia,
l‟intervista di gr uppo, in cui l‟intervistatore pone domande a più di un soggetto e più di un
soggetto risponde, e l‟intervista in gruppo, in cui l‟interv istatore pone le domande ad una
persona per volta, di f ronte all‟intero gruppo, e solo quella persona risponde. I gruppi possono
essere naturali (ad esempio una classe) o costruiti appositamente per l‟intervista, secondo i
criteri di ragionamento considerato.
L‟intervista può avvenire in ambiente artif iciale o naturale e la situazione può essere formale o
informale. Quando l‟intervista si svolge in un contesto di interazione informale nell‟ambiente
naturale dell‟intervistato, si parla di intervista sul campo non strutturata. Se l‟intervista si
svolge in un contesto di interazione preorganizzato nell‟ambiente naturale dell‟intervistato, si
parla di intervista sul campo strutturata.
Il ruolo dell‟intervistatore può essere direttivo o non direttivo, in base ag li obiettivi della
ricerca: può puntare a portare il focus dell‟intervista su argomenti definiti o lasciare
l‟intervistato libero di parlare su un certo tema.
La conduzione di un‟intervista richiede la conoscenza di apposite tecniche che mirano a evitare
le distorsioni, le inf luenze (anche inconsapevoli), che l‟intervistatore può esercitare
sull‟intervistato, condizionandone le risposte.
L‟intervista può avere diversi gradi di strutturazione. Il grado di strutturazione minimo
corrisponde all‟intervista libera o non direttiva, in cui è deciso solo il tema da indagare ma non
le domande che l‟intervistatore farà (guidato solo da una scaletta con i punti da toccare). Il
massimo grado di strutturazione si trova nell‟intervista completamente strutturata, in cui
l‟intervistatore pone delle domande prefissate (prevalentemente chiuse). Tra questi due poli ci
sono diversi altri gradi di strutturazione.
Un vantaggio dell‟intervista è rappresentato dalla sua f lessibilità: gli intervistatori possono
sollecitare specifici approfondimenti, articolare meglio la domanda e cercare la completezza
della risposta, osservare il comportamento non verbale dell‟intervistato e via dicendo. Per
contro le interviste possono rappresentare la fonte più impegnativa, in termini economici,
temporali, organizzativi e logistici. Lo stesso intervistatore, inoltre, può condizionare i risultati
dell‟intervista o interpretare erroneamente i dati.
CITAZIONE:
110
«L‟intervista è sempre una relazione partecipata: il modo di essere, di presentarsi, di “sentire”,
dell‟uno si r ipercuote sul modo di essere, di presentarsi, di “sentire”, dell‟altro. » [Trinchero R.,
Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002, p. 217].
NOTA:
Attraverso le sue diverse forme, il ricercatore può:
- stimolare i partecipanti alla ricerca a esporre punti di vista personali sull‟oggetto di studio o
su eventi ritenuti significativi;
- confermare o approfondire fatti già stabiliti o noti;
- registrare il punto di vista di un ampio campione di soggetti utili per lo studio.
[Cecconi L. (a cura di), La ricerca qualitativa in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2002].
BIBLIOGRAFIA:
Banaka W.H., L‟intervista in profondità, FrancoAngeli, Milano, 1981.
Cecconi L. (a cura di), La ricerca qualitativa in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Fideli R. e Marradi A., L‟intervista, in Enciclopedia delle scienze sociali, vol. 5, pp. 71-82,
Istituto dell‟Enciclopedia Italiana, Roma, 1996.
Guala C., Posso farle una domanda? L‟intervista nella ricerca sociale , Carocci, Roma, 1993.
Kahn R.L. e Cannel C.F., La dinamica dell‟intervista, Marsilio, Bologna, 1968.
Kanizsa S., Che ne pensi? L‟intervista nella pratica didattica, Carocci, Roma, 2001.
Kvale S., Interviews, Sage, Thousand Oaks (CA), 1996.
Losito G., L‟intervista nella ricerca sociale, Laterza, Roma- Bari, 2004.
Lucisano P. e Salerni A., Metodologia della r icerca in educazione e formazione, Carocci, Roma,
2007.
Mantovani S. (a cura di), La r icerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Bruno
Mondadori, Milano, 2006.
Trentini G. (a cura di), Manuale del colloquio e dell‟intervista, Utet, Torino, 1995.
Trinchero R., Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Zammuner V.L., Tecniche dell‟intervista e del questionario, Il Mulino, Bologna, 1998.
111
Q
17 QUESTIONARI
DEFINIZIONE:
Il questionario è una delle tecniche di rilevazione dei dati più utilizzate nelle scienze umane.
Esso rileva dati caricabili in una matrice casi per variabili, detta «matrice dei dati», e trattabili
con tecniche di elaborazioni statistiche e dell‟analisi dei dati in generale.
Il vantaggio principale del questionario è la rapidità con cui è possibile ottenere informazioni su
un grande numero di soggetto, ovvero in estensione, e su un determinato argomento. Le
informazioni sono poi facilmente sintetizzabili con le tecniche di elaborazione dati, grazie
all‟alto grado di strutturazione con cui il dato viene raccolto. Lo svantaggio di questa
strutturazione è però di non riuscire a cogliere aspetti e sfumature del problema in questione,
le quali potrebbero essere utili per una migliore comprensione della realtà indagata.
Il questionario può essere autocompilato dal soggetto o compilato da un intervistatore che
pone le domande all‟intervistato in presenza o per via telefonica. Se la compilazione de l
questionario avviene con l‟ausilio di un intervistatore si parla di «intervista completamente
strutturata». Se invece esso è autocompilato, deve sempre essere accompagnato da una
lettera di presentazione che spieghi le finalità dell‟indagine e assicuri a ll‟intervistato che i suoi
dati non verranno usati in modo improprio o diffusi a terzi. Il questionario autocompilato può
essere anonimo o nominativo.
La costruzione di un questionario prevede alcune fasi:
- la precisazione dello scopo e del tema su cui è centrato il questionario e conseguentemente
l‟esplicitazione dei costrutti che intende rilevare;
- la definizione delle variabili di sfondo o ascrittive, che comprendono le caratteristiche
demograf iche e socio-ambientali dell‟intervistato (età, genere, zona di residenza ecc.);
- uno studio teorico e/o esplorativo sulla popolazione di soggetti a cui è destinato il
questionario, per raccogliere informazioni qualitative della realtà in esame;
- la formulazione più adeguata per le domande del questionario, ovv ero la def inizione di uno o
più quesiti (item);
- la definizione dell‟ordine delle domande;
- la predisposizione delle modalità di presentazione del questionario, la scelta della forma di
somministrazione (diretta, per posta, telematica ecc.), la preparaz ione della lettera di
presentazione e del modulo per la dichiarazione di assenso dell‟intervistato al trattamento dei
dati;
- la somministrazione pilota o pretest del questionario su un gruppo ristretto di soggetti, simili
a quelli che saranno i soggetti della ricerca, allo scopo di calibrare il linguaggio con cui le
domande sono formulate e verificandone la comprensibilità.
Il questionario può utilizzare domande aperte, che non prevedono alternative predefinite di
risposta, o domande chiuse, che consentono all‟intervistato di scegliere tra alternative
prefissate di risposta.
112
La formulazione delle domande è importantissima perché può influenzare pesantemente la
risposta. E‟ importante dunque porre molta attenzione al linguaggio, alla sintassi e al
contenuto delle domande.
Il questionario può trovarsi di f ronte al fenomeno dell‟acquiescenza, che si riferisce alla
tendenza di scegliere risposte che esprimono accordo, dalla tendenza a rispondere in modo
socialmente desiderabile, e dall‟inevitabile distorsione causata dalla memoria. Bisogna tenere
conto infine dell‟effetto contaminazione, cioè del fatto che in certi casi la risposta a una
domanda può essere influenzata dalle domande che l‟hanno preceduta.
CITAZIONE:
«E‟ opportuno che la lunghezza del questionar io sia calibrata in modo da r ichiedere al massimo
mezz‟ora di lavoro. Questionari più lunghi stancano l‟intervistato e portano a risposte poco
accurate». [Trinchero R., Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002, p. 198].
Nota:
Nella costruzione di un questionario il linguaggio deve essere semplice; le domande corte e
concise; le alternative di risposta non devono essere troppo numerose; non è consigliabile
utilizzare espressioni gergali; sono da evitare le definizioni ambigue e le parole dal forte
connotato negativo, così come le domande con risposta non univoca (domande in cui ne sia
inclusa un‟altra) e le domande tendenziose (viziate o a risposta pilotata); è da evitare di dare
per scontati comportamenti che non lo sono; le domande devono es sere formulate il più
possibile concretamente per evitare risposte normative (fenomeno della desiderabilità sociale
delle risposte); sono da evitare le domande imbarazzanti; cercare di non indirizzare
l‟intervistato, anche in maniera indiretta o inconsapevole. [Corbetta P., Metodologia e tecniche
della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1999].
BIBLIOGRAFIA:
Berdie D.R., Andersen J.F. e Niebuhr M.A., Questionnaires, The Scarecrow Press, London,
1986.
Bosco A., Come si costruisce un questionario, Carocci, Roma, 2003.
Corbetta P., Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1999.
Dautriat H., Il questionar io. Guida per la preparazione e l‟impiego nelle r icerche sociali di
psicologia sociale e di mercato, FrancoAngeli, Milano, 1997.
Gattico E. e Mantovani S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi,
Bruno Mondadori, Milano, 1998.
Lucisano P. e Salerni A., Metodologia della r icerca in educazione e formazione, Carocci, Roma,
2007.
Manganelli Rattazzi A.M., Il questionario. Aspetti teorici e pratici, Cleup, Padova, 1990.
Palumbo M. e Bezzi C., Questionario e dintorni, Arnaud, Firenze, 1995.
Trinchero R., Manuale di ricerca educativa, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Zammuner V.C., Tecniche dell'intervista e del questionar io, Il Mulino, Bologna, 1998.
113
T
18 TEST
DEFINIZIONE:
Fra gli strumenti di ricerca più noti nelle scienze umane troviamo i test. Essi consistono nella
somministrazione controllata di stimoli a soggetti per provocare reazioni che verranno
classific ate e misurate.
I test, siano essi individuali o di gruppo, cognitivi o non cognitivi, sono strumenti di misura che
puntano all‟oggettività, affidabilità e validità.
Alcuni test si servono di tecniche come l‟osservazione, i questionari, le interviste, le scale di
valutazione. Talvolta il test adatto all‟indagine esiste già, mentre altre volte è necessario
inventarlo. I test hanno lo scopo di misurare:
2.
l‟abilità intellettiva in generale;
3.
gli atteggiamenti della persona;
4.
il rendimento o i risultati ottenuti;
5.
le caratteristiche della personalità;
gli interessi di una persona.
I test vengono, inoltre, somministrati allo scopo di selezionare, classificare e indirizzare, oltre
che per valutare i programmi educativi e terapeutici.
Il test standardizzato è un test per cui sono state fissate norme precise di somministrazione e
di assegnazione dei punteggi e una serie fissa di domande. Esso deve essere stato collaudato
mediante l‟uso di campioni rappresentativi scelti all‟interno della popolazione cui il test è
destinato, allo scopo di stabilire le nome per la sua applicazione. Il procedimento e il contenuto
standard permettono di somministrare lo stesso test in luoghi diversi e in tempi diversi.
I test possono essere classif icati in molti modi diversi. I test di gr uppo vengono progettati per
poter essere somministrati a molti soggetti contemporaneamente. Sono utili quando è
necessario esaminare contemporaneamente un gran numero di soggetti come, ad esempio,
tutti gli alunni. I test individuali vengono impiegati in situazioni molto simili a quelle delle
interviste, in cui l‟intervistatore pone le domande e di solito registra anche le risposte. Essi
hanno lo scopo di ottenere informazioni precise e dettagliate su un singolo soggetto. I test
“carta e matita” pongono delle domande sotto forma di f rasi o di disegni: il soggetto deve
rispondere sottolineando, segnando o circondando con un tratto di penna una delle risposte
alternative che gli vengono presentate, oppure scrivendo una parola, una frase o un giudizio
nello spazio bianco lasciato a tale scopo. I test di manipolazione di oggetti consistono nella
presentazione concreta delle prove: il soggetto deve rispondere manipolando degli oggetti, per
esempio pezzi di legno o schede.
I test possono contenere aspetti sia di tipo quantitativo che qualitativo.
CITAZIONE:
«La scelta dei test e degli strumenti per la rilevazione dei dati può essere particolarmente
impegnativa, data l‟importanza ricoperta dall‟acquisizione di tali informazioni. Gli strumenti
devono essere validi e attendibili, in f unzione dei soggetti e del contesto generale della ricerca
114
e dell‟ipotesi». [Boncori G., La ricerca pedagogica. Metodo, antologia, esercizi, Nuova Cultura,
Roma, 2013, p. 48].
NOTA:
L‟impiego dei test è molto diversificato. Esso va dallo s tudio delle capacità cognitive, alla
classificazione scolastica, alla selezione del personale, allo studio della personalità e alla
diagnosi delle turbe psichiche, e così via. Da ciò scaturiscono alcune tipologie fondamentali, a
partire anzitutto da quella che distingue fra i test costituiti da stimoli o domande per i quali
viene presupposta una risposta «giusta» e quelli che forniscono uno stimolo indirizzato a
suscitare una risposta «aperta», a partire dalla quale è possibile sviluppare una parte del
profilo psicologico di un individuo (ad esempio i test proiettivi). [Zanichelli online, La ricerca
nelle scienze umane. Testo disponibile al sito: http://online.scuola.zanichelli.it/ [verif.
29.09.2013].]
BIBLIOGRAFIA:
Baldassarre V.A., Metodologia della r icerca sperimentale in educazione, Herbita, Palermo,
1982.
Boncori G., La ricerca pedagogica. Metodo, antologia, esercizi, Nuova Cultura, Roma, 2013.
Moro V., L‟agire educativo nella riabilitazione neuropsic ologica, FrancoAngeli, Milano, 2005.
Passolunghi M.C. e De Beni R., I test per la scuola. La valutazione psicologica ed educativa
degli apprendimenti scolastici, Il Mulino, Bologna, 2001.
Viganò R., Metodi quantitativi nella r icerca educativa, V&P, Milano, 1999.
Zanichelli
online,
La
ricerca
nelle
scienze
umane.
http://online.scuola.zanichelli.it/ [verif. 29.09.2013].
115
Testo
disponibile
al
sito:
C
19 CHECKLIST
DEFINIZIONE:
La checklist o lista di controllo serve per annotare la presenza o assenza e/o la frequenza di
una serie di item in un determinato contesto o di comportamenti che un soggetto manifesta in
una situazione. La lista comprende soltanto la descrizione delle categorie prestabilite che
l‟osservatore deve prendere in esame.
La cheklist viene utilizzata durante momenti di osservazione strutturata, seguiti da una fase di
registrazione e catalogazione dei dati raccolti.
Nella costruzione di una cheklist è da tenere presente che:
- il numero degli item tra cui scegliere deve essere limitato e organizzato secondo una
sequenza logica;
- è da curare la formulazione di ogni item, eliminando i termini non necessari e tali da
generare confusione;
- gli item sono da formulare in base all‟informazione c he interessa rilevare.
Nell‟ambito dell‟osservazione di situazioni naturali la checklist è uno degli strumenti più idonei,
in quanto maneggevole e poco invasiva. E‟ tuttavia consigliabile usarla in concomitanza ad
altre forme di osservazione, poiché affidarsi solo alle liste di controllo può indurre l‟osservatore
a trascurare fattori o aspetti importanti.
Per quanto riguarda l‟area della pedagogia speciale, l‟ICF (Classif icazione Internazionale del
Funzionamento, Disabilità e Salute), elaborato dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS,
2004), ha realizzato una checklist che permette di delineare il prof ilo funzionale di una
persona.
CITAZIONE:
Le liste di controllo o check-list sono «elenchi di comportamento o di descrizioni predefinite
(detti anche inventari) di cui si può registrare la presenza/assenza e/o frequenza ». [Lucisano
P. e Salerni A., Metodologia della r icerca in educazione e formazione, Carocci, Roma, 2007, p.
184].
NOTA:
La sistematicità nell‟utilizzo delle checklist rende l‟osservazione più attendibile rispetto
all‟osservazione “occasionale”. [Pesci G., La diagnosi pedagogica. Il metodo dell‟insegnante per
conoscere l‟allievo, Armando, Roma, 2008].
BIBLIOGRAFIA:
Lucisano P. e Salerni A., Metodologia della r icerca in educazione e formazione, Carocci, Roma,
2007.
Mantovani S. (a cura di), La r icerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Bruno
Mondadori, Milano, 2006.
OMS Organizzazione Mondale della Sanità, Checklist ICF, Erickson, Trento, 2004.
Pesci G., La diagnosi pedagogica. Il metodo dell‟insegnante per conoscere l‟allievo, Armando,
Roma, 2008.
116
Viganò R., Pedagogia e sper imentazione. Metodi e strumenti per la ricerca educativa , V&P,
Milano, 2002.
117
M
20. Metodi per la conoscenza della persona e dei contesti –
OGGETTO
20.a. PERSONA/SOGGETTO
DEFINIZIONE:
La persona, il soggetto può diventare oggetto di conoscenza, con la finalità di progettazione di
un intervento individualizzato.
Al fine di una corretta programmazione, sono da considerare numerose variabili e
caratteristiche della persona, da esaminare in senso descrittivo e interpretativo sulla base di un
modello antropologico globale..
CITAZIONE:
«Abitualmente adottiamo espressioni come uomo, indiv iduo, soggetto per indicare qualcuno
preso nella sua unicità.» [Toscano A.M. (a cura di), Introduzione alla sociologia, FrancoAngeli,
Milano, 2006, p. 107.]
NOTA:
La persona costruisce ed elabora attivamente la propria personale biografia, in cui «realtà
storica» e «realtà psichica» s‟incontrano e s‟intersecano senza fine. [ Quadrio A. e Ugazio V., Il
Colloquio in psicologia clinica e sociale. Prospettive teoriche e applicative , FrancoAngeli, Milano,
1992.]
BIBLIOGRAFIA:
Quadrio A. e Ugazio V., Il Colloquio in psicologia clinica e sociale. Prospettive teoriche e
applicative, FrancoAngeli, Milano, 1992.
Toscano A.M. (a cura di), Introduzione alla sociologia, FrancoAngeli, Milano, 2006.
118
20. b.CONTESTI - LUOGHI E ISTITUZIONI
DEFINIZIONE:
La vita delle persone si svolge in diversi contesti, definibili come luoghi e istituzioni. Essi st essi
diventano dunque oggetto di analisi, al fine di un‟approfondita conoscenza e di una migliore
progettazione.
Se per luoghi intendiamo spazi fisici dove si svolge la quotidianità delle persone, con il termine
«istituzione» possiamo anche intendere una forma rappresentativa di un insieme di regole,
procedure e comportamenti socialmente rilevanti che esprimono un‟appartenenza orientata da
un valore.
Citazione:
«[… ] l‟attore sociale con la sua esperienza quotidiana trasforma gli spazi di vita (località) in
luoghi, ossia in campi d‟azione possibili, dove le intenzioni e le aspirazioni prendono corpo
[… ].» [Cesare V. (a cura di), Sociologia: concetti e tematiche, Vita e Pensiero, Milano, 2006, p.
217]
Nota:
Le istituzioni sono da considerare come un insieme di norme socialmente rilevanti. [Cesare V.
(a cura di), Sociologia: concetti e tematiche, Vita e Pensiero, Milano, 2006]
Bibliografia:
Cesare V. (a cura di), Sociologia: concetti e tematiche, Vita e Pensiero, Milano, 2006.
Colozzi I., Sociologia delle istituzioni, Liguori, Bologna, 2009.
119
20.c. CONTESTI - DINAMICHE: MEDIAZIONI, RELAZIONI,
PROCESSI, ORGANIZZAZIONI
DEFINIZIONE:
Il focus di conoscenza in determinati contesti, può essere rivolto alle dinamiche tra individui,
ovvero alle mediazioni, relazioni, processi e organizzazioni. Per l‟analisi di tali situazioni
possono essere utilizzati strumenti specifici di analisi, come questionari, interviste ecc.
CITAZIONE:
«Non è possibile studiare una determinata comunità, sia pure di piccole dimensioni, senza f ar
riferimento alle relazioni personali che si instaurano tra individui. » [Burla F., Capozzi S. e
Lozupone E., Elementi di psicologia, pedagogia, sociologia per le professioni sanitarie ,
FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 83.]
NOTA:
Una criticità dei metodi conoscitivi per l‟analisi delle dinamiche di gruppo, è rappresentata dal
fatto che il loro uso non può che risolversi tendenzialmente in applicazioni di tipo fotografico,
che cristallizzano cioè staticamente lo stato dell‟interazione del gruppo in un determi nato
momento, e anche laddove vengano applicati ripetutamente per cogliere i cambiamenti
avvenuti, possono al massimo offrire all‟osservazione una sorta di successione di fotogrammi
in sequenza e mai una piena rappresentazione della realtà di quella intera zione, relazione,
processo, dinamica. [Venza G., Dinam iche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo
e formativo, FrancoAngeli, Milano, 2007.]
BIBLIOGRAFIA:
Bruscaglioni M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, FrancoAngeli, Milano,
1991.
Burla F., Capozzi S. e Lozupone E., Elementi di psicologia, pedagogia, sociologia per le
professioni sanitarie, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Venza G., Dinam iche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo ,
FrancoAngeli, Milano, 2007.
120
M
21. Metodi per la conoscenza della persona e dei contesti –
MODALITA’
21.a DIRETTA
DEFINIZIONE:
Per conoscere la persona e i suoi contesti è necessario riuscire ad ottenere delle misure,
oggetto di studio, da poter poi valutare e confrontare in maniera obiettiva e affidabile. Per il
raggiungimento di questo scopo esistono modalità, dirette o mediate, e metodologie e
strumenti specifici.
La modalità diretta per conoscere la persona e i contesti è rappresentata dall‟osservazione.
Tale metodologia si definisce «diretta», poiché non ci sono espedienti che si frappongono tra
l‟osservatore e il fenomeno da studiare e i dati vengono registrati immediatamente.
Il problema principale da affrontare quando si utilizza la modalità diretta, è legato all‟ef fetto
dell‟osservatore sui soggetti da conoscere, alle distorsioni provocate dallo stesso sul contesto
che sta studiando e quindi alla validità e rappresentatività dei dati raccolti.
CITAZIONE:
Nella modalità diretta «i dati sono raccolti attraverso l‟uso di abilità percettive e cognitive della
persona che li sta rilevando. Tali dati costituiscono la base da cui il ricercatore trarrà le proprie
conclusioni e corrispondono a quelle caratteristiche della realtà che il ricercatore stesso ha
ritenuto opportuno rilevare e misurare.» [Venuti P., L‟osservazione del comportamento.
Ricerca psicologica e pratica clinica, Carocci, Roma, 2001, p. 46].
NOTA:
La modalità di conoscenza diretta può aiutare, nel contesto scolastico, a raccogliere
informazioni dettagliate per mettere a punto un intervento educativo individualizzato. [Resico
D. e Scaffidi A. (a cura di), Le professioni educative. Riflessioni e prospettive occupazionali,
FrancoAngeli, Milano, 2011].
BIBLIOGRAFIA:
Resico D. e Scaffidi A. (a cura di), Le professioni educative. Riflessioni e prospettive
occupazionali, FrancoAngeli, Milano, 2011.
Venuti P., L‟osservazione del comportamento. Ricerca psicologica e pratica clinica , Carocci,
Roma, 2001.
121
21b . MEDIATA DA PERSONE
DEFINIZIONE:
La conoscenza della persona o dei contesti può essere mediata da persone, ciò significa che
l'analisi non viene condotta direttamente da un tecnico, ma da persone prive di una formazione
specifica (ad esempio: un genitore che compila un questionario sul proprio figlio).
In molti casi tale metodo di conoscenza di una determinata realtà viene applicato in contesto
«naturale», nel senso che il ricercatore non effettua nessun controllo.
Tale metodo è da considerare con grande cautela: i diari intimi, ad esempio, sono spesso colmi
di fantasie di ogni genere, le biograf ie possono mancare di completezza, ecc.
Per migliorare la validità di tale modalità conoscitiva, è utile mettere a disposizione degli
osservatori non specialisti delle rating-scale, o scale di stima. I tipi più semplici di scale di
stima sono quelle basate su decisioni dicotomiche, cioè sull‟alternativa «sì/no» (ad esempio
«Giudica vivace il bambino?». Risposta: sì/no).
CITAZIONE:
«E‟ tutt‟altro che infrequente il caso in cui a raccogliere il materiale psicologico da analiz zare
siano dei non specialisti o addirittura dei profani di psicologia; si pensi ad esempio ai diar i
intim i, biografie ed autobiografie, diar i di malattia, diar i di famiglia ed altre consimili
registrazioni di fatti avvenuti.» [Selg H. e Bauer W., I metodi di ricerca della psicologia, Giunti,
Firenze, 1976, p. 73].
NOTA:
I metodi conoscitivi mediati da persone portano con sé la soggettività di colui che ferma
l‟immagine. [Palumbo M. e Garbarino E., Ricerca sociale: metodo e tecniche, FrancoAngeli,
Milano, 2006.]
BIBLIOGRAFIA:
Palumbo M. e Garbarino E., Ricerca sociale: metodo e tecniche, FrancoAngeli, Milano, 2006.
Selg H. e Bauer W., I metodi di ricerca della psicologia, Giunti, Firenze, 1976.
122
21c MEDIATA DA STRUMENTI/TECNOLOGIE
DEFINIZIONE:
Le persone e i contesti possono essere indagati mediante strumenti e tecnologie che fungono
da mediatore tra chi vuole conoscere e chi viene studiato.
La modalità conoscitiva mediata da strumenti/tecnologie presuppone l‟attendibilità dello
strumento stesso. Non esiste però uno strumento valido in assoluto: il metodo deve essere
scelto in relazione agli obiettivi dell‟indagine. Se esso non è infatti adatto ai fini della
rilevazione, anche le informazioni raccolte saranno poco significative. Ad esempio, un metodo
di racc olta dei dati che ha la f inalità di conoscere una determinata persona, quale quello
diaristico/narrativo, può essere molto indicato per condurre osservazioni di tipo qualitativo su
un campione ristretto, ma può essere inadeguato se l‟analisi è di tipo esclusivamente
quantitativo e viene condotta su un campione molto esteso. Per questo genere di rilevazione
sarebbe infatti più opportuno ricorrere a una griglia di categorie predeterminate che facilita la
codifica dei dati.
CITAZIONE:
«I questionar io costituisce gli stati attraverso l‟interazione dell‟intervistatore, mediata dallo
strumento, con l‟intervistato». Palumbo M. e Garbarino E., Strumenti e strategie della ricerca
sociale. Dall‟interrogazione alla relazione, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 176.
NOTA:
La modalità conoscitiva mediata da strumenti/tecnologie può essere maggiormente efficace se
i dati vengono raccolti con tecniche diverse, ricorrendo cioè all‟uso di tecniche combinate. Ad
esempio, si confrontano i dati raccolti mediante una tecnica automat ica (video) e una manuale
(«carta e matita»). Al di là dei vantaggi legati all‟arricchimento del materiale osservativo, il
ricorso di tecniche combinate fornisce, in sede di analisi dei dati, preziosi spunti di discussione
sulla metodologia osservativa e sull‟utilità del confronto intersoggettivo. [Mantovani S. (a cura
di), La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Bruno Mondadori, Milano, 2006].
BIBLIOGRAFIA:
Bruschi A., Metodologia delle scienze sociali, Mondadori, Milano, 1999.
Mantovani S. (a cura di), La r icerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Bruno
Mondadori, Milano, 2006.
Palumbo M. e Garbarino E., Strumenti e strategie della ricerca sociale. Dall‟interrogazione alla
relazione, FrancoAngeli, Milano, 2004.
123
M
22. Metodi per la conoscenza della persona e dei contesti –
STRUMENTI
22.a CHECKLIST
DEFINIZIONE:
Le checklist sono degli elenchi di comportamenti o costrutti già selezionati e preparati prima di
iniziare l‟osservazione. Si parte quindi dal presupposto di voler osserv are e studiare degli
aspetti pre-scelti, che corrispondo a ciò che solitamente un soggetto o un contesto può
manifestare in quella determinata situazione.
L‟osservatore annota su queste liste ogni qualvolta si manifesta uno degli item segnati.
La checklist ha il vantaggio di essere poco intrusiva e di rendere il compito osservativo più
semplice.
La predef inizione degli item deve avvenire dopo un‟attenta fase preparatoria, in cui sono
studiati i comportamenti che possono aver luogo in una data situazione o ciò che di specifico
può manifestarsi in un determinato contesto.
Le modalità di costruzione di una checklist sono simili a quelle per costruire i codici di codifica.
Nella fase preparatoria la checklist deve essere formulata nella maniera più completa possibile.
Gli item osservati devono poi essere raggruppati in categorie e def initi in maniera descrittiva e
operativa.
CITAZIONE:
«[… ] le osservazioni sistematiche [… ] privilegiano l‟indicazione dei fenomeni da tenere sotto
controllo. Queste ultime si basano sulle operazioni che si devono compiere per la registrazione
e la codifica dei dati e sull‟indicazione delle modalità di utilizzo di liste di r ilevamento
strutturate, ovvero check-list che propongono una gamma di repertori, articolati in gruppi di
abilità, valutate attraverso altrettante serie di singoli item da sottoporre in maniera sistematica
[… ]» [Pesci G., La diagnosi pedagogica. Il metodo dell‟insegnante per conoscere l‟allievo ,
Armando, Roma, 2008, p. 29].
NOTA:
La checklist è composta da un ele nco di comportamenti o altro; essa è uno strumento
osservativo di tipo strutturato, poiché la lista degli item è preselezionata e rigorosa.
[Mantovani S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Mondadori,
Milano, 2006].
BIBLIOGRAFIA:
Lucisano P. e Salerni A., Metodologia della r icerca in educazione e formazione, Carocci, Roma,
2007.
Mantovani S. (a cura di), La r icerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Bruno
Mondadori, Milano, 2006..
Pesci G., La diagnosi pedagogica. Il metodo dell‟insegnante per conoscere l‟allievo, Armando,
Roma, 2008.
124
Venuti P., L‟osservazione del comportamento. Ricerca psicologica e pratica clinica , Carocci,
Roma, 2001.
Viganò R., Pedagogia e sper imentazione. Metodi e strumenti per la ricerca educativa, V&P,
Milano, 2002.
125
22.b. TEST
DEFINIZIONE:
I test sono strumenti di misura costituiti da una o più prove standardizzate e obiettive, che
hanno la f inalità di rilevare campioni di comportamento sintetizzabili in una misura, al fine di
valutarli confrontandoli con una popolazione. Essi misurano, dunque, obiettivamente,
all‟interno di una condizione controllata, un campione di comportamento o varie capacità
(come la memoria, l‟attenzione, l‟orientamento spaziale e temporale ecc.).
I test per la conoscenza della persona o di una realtà sono molteplici, essi possono essere
individuali o collettivi, verbali o non verbali, strutturati o non strutturati, e si va da test
cognitivi a quelli attitudinali, da test proiettivi a test di personalità e via dicendo. I test non
devono sempre essere somministrati tutti, rigidamente. Il clinico valuterà infatti caso per caso
se e quali test somministrare, guidato dalle sue ipotesi.
Un requisito importante per un test è la sua standardizzazione. Essa implica u niformità sia
nelle procedure di somministrazione delle prove che nell‟attribuzione del punteggio e nella
valutazione dei dati. A tale scopo, per ogni test sono fornite precise istruzioni sui materiali da
utilizzare, i limit i di tempo, le disposizioni verbali da impartire ai soggetti, le dimostrazioni
preliminari e ogni altro dettaglio relativo alla somministrazione. La standardizzazione del
punteggio consiste invece nella determinazione di norme statistiche e di «valori normali» del
test, in modo da poter interpretare il punteggio di ogni individuo in rapporto a quello della
popolazione di riferimento.
BIBLIOGRAFIA:
Barbaranelli C. e Natali E., I test psicologici: teorie e modelli psicometrici, Carocci, Roma,
2005.
Beizmann C., Le Rorschach chez l‟enfant de 3 à 10 ans, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel, 1961.
Boncori L., Teoria e tecniche dei test , Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Burla F., Burla C., Capozzi S. e Lozupone E., Elementi di psicologia, pedagogia, sociologia per
le professioni sanitarie, Franc oAngeli, Milano, 2007.
Codispoti O., Bastianoni P. e Taurino A., Dinam iche relazionali e interventi clinici. Teorie,
contesti e strumenti, Carocci, Roma, 2008.
Mucciarelli G., Chattat R. e Celani G., Teoria e pratica dei test, Piccin Nuova Libraria, Padova,
2002.
Pedrabissi L. e Santinello M., I test psicologici: teorie e tecniche, Il Mulino, Bologna, 2000.
Venuti P., L‟osservazione del comportamento. Ricerca psicologica e pratica clinica , Carocci,
Roma, 2001.
126
22.c. COLLOQUIO
DEFINIZIONE:
Etimologicamente il termine colloquio deriva dal latino colloquium, che indica il parlare di due o
più persone fra loro.
Il colloquio è definibile come un particolare strumento caratterizzato da uno scambio verbale in
una situazione dinamica di interazione psichica che permetta lo svilupparsi di un processo di
conoscenza. Esso deve basarsi sul consenso, tra conduttore e partecipante, a discutere
parlare, trattare insieme un tema o un argomento.
Il colloquio è un utile strumento per stabilire un efficace contatto con il soggetto.
Una differenziazione tra colloqui può seguire molteplici criteri: focus di indagine (l‟individuo, la
coppia, l‟individuo nel gruppo, la comunità ecc.), prospettive di applicazione (psicologica,
educativa, sociale), livello e tema di approfondimento, struttura dell‟interazione (a due, in
pubblico, collettiva, di gruppo ecc.), modalità di conduzione (direttiva, semidirettiva, non
direttiva), via formale di comunicazione (verbale telefonica, verbale diretta, risposta diretta e
immediata a questionario, o scritta per via mediata ecc.), carattere intrinseco o estrinseco
della motivazione.
Le finalità del colloquio sono molteplici; si può trattare solo di un incontro conoscitivo del
soggetto o dei soggetti, oppure può trattarsi di un colloquio psicolo gico o psichiatrico,
motivazionale, didattico, valutativo, o ancora di un colloquio diagnostico.
Il primo colloquio, a cui solitamente ne seguono altri, solitamente è scandito da tre fasi: un
primo momento in cui i due protagonisti si presentano e si rico noscono reciprocamente,
specificando chiaramente i motivi della consultazione e creando le premesse per l‟accordo
iniziale; un secondo momento dedicato alla narrazione di sé da parte dell‟utente, che inizierà a
sentirsi libero di parlare di sé, di aprirsi; un terzo momento, finale, in cui il colloquio si
conclude e avviene la progettazione dei colloqui successivi e la ridef inizione del contratto
inizialmente preso.
Un elemento molto importante da tenere in considerazione è il setting del colloquio, che non
deve essere considerato come una mera cornice, ma come parte integrante del colloquio
stesso.
CITAZIONE:
«Il colloquio con i genitori è parte integrante della professione dell‟insegnante; pensare che
possa esaurirsi in una conversazione lim itata al rendim ento scolastico degli alliev i vuole dire
non saper cogliere il significato che può assumere sul piano della comunicazione. In un
«incontro» dalle forti risonanze emotive si trasmette più di quel che si espr ime a parole:
sapere quali messaggi s‟inviano e ci sono inv iati diventa dunque condizione essenziale per
condurre un colloquio efficace». [Quaglia R. e Longobardi C., Il colloquio didattico.
Comunicazione e relazione efficace con le famiglie degli alunni, Erickson, Trento, 2011, p.10].
NOTA:
L‟ambiente nel quale avviene il colloquio deve essere caratterizzato da un intenso holding in
cui possano albergare e circolare reali esperienze di interesse, supporto, condivisione, fiducia.
Solo così si può creare un‟alleanza di lavoro. [Fontecedro L., Psicologia clinica in età evolutiva,
MIMESIS, Milano, 2009].
BIBLIOGRAFIA:
Bastianoni P., Simonelli A. e Taurino A., Il colloquio psicologico, Carocci, Roma, 2010.
127
Fontecedro L., Psicologia clinica in età evolutiva, MIMESIS, Milano, 2009.
Kopp R.R., Le metafore nel c olloquio clinico. L‟uso delle immagini mentali del cliente, Erickson,
Trento, 1998.
Lis A., Venuti P. e De Zordo M.R., Il colloquio come strumento psicologico, Giunti, 1998.
Miller W.R. e Stephen R., Il colloquio motivazionale. Preparare la persona al cam biamento,
Erickson, Trento, 2004.
Montesarchio G. (a cura di), Colloquio in corso, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Quaglia R. e Longobardi C., Il colloquio didattico. Comunicazione e relazione efficace con le
famiglie degli alunni, Erickson, Trento, 2011.
Salomé J., La relazione di aiuto e la formazione al colloquio, Liguori, Napoli, 1996.
Semi A.A., La tecnica del colloquio, Cortina, Torino, 1985.
Serenella M., Nuzzo A. e Reati A., Il colloquio nella pratica educativa, Carocci, Roma, 2006.
Trentini G., Manuale del colloquio e dell‟intervista, UTET Libreria, Torino, 2004.
128
22d AUTOVALUTAZIONE ISTITUZIONALE
DEFINIZIONE:
Per «autovalutazione istituzionale» si intende la valutazione interna ad un‟istituzione, condotta
dagli stessi individui che la compongono, che sono al tempo stesso i protagonisti dell‟azione
che viene valutata e i soggetti preposti alla valutazione.
In fine ultimo della valutazione interna è il miglioramento dell‟istituzione. Fare chiarezza sugli
scopi, i destinatari e gli agenti dell‟istituzione dà un appoggio più solido all‟autovalutazione.
Nel contesto scolastico, l‟autovalutazione può determinare degli effetti positivi sullo sviluppo
della scuola, che produrrà conseguentemente un impegno più intenso degli alunni verso
l‟apprendimento. Lo strumento di autovalutaizone ha il vantaggio di riuscire a coinvolgere più
categorie di persone interessate alla qualità dell‟istituto, migliorando i rapporti professionali e
interpersonali tra i gruppi coinvolti. Consente inoltre alla scuola di esamina re il suo stato
attuale di «salute» come organizzazione.
CITAZIONE:
«Se un pr imo passo verso l‟autovalutazione consiste nel preparare il terreno e favorire un
clima atto alla riflessione sincera, tuttavia, l‟autovalutazione non è fine a se stessa. È un
mezzo, e come tale, è soggetto al giudizio dell‟istituto negli effetti prodotti: «Quale impatto ha
avuto sull‟efficacia dell‟istituto?», «L‟istituto è migliorato per effetto del processo
autovalutativo?». L‟autovalutazione è una premessa all‟azione di cambiam ento.» [Schratz M.,
Jakobsen L.B., Macbeath J. e Meuret D., Autovalutazione e cambiamento attivo nella scuola,
Erickson, Trento, 2003, p. 279.]
NOTA:
Si dovrebbe guardare all‟autovalutazione come a qualcosa di «incorporato» all‟istituzione,
come una parte integrante della vita quotidiana che si sviluppa nel tempo. La valutazione
interna dovrebbe diventare un‟abitudine. [MacBeath J. e McGlynn A., Autovalutazione nella
scuola. Strategie per incrementare la qualità dell'offerta formativa, Erickson, Trento, 2006.]
BIBLIOGRAFIA:
Ansaloni D. e Rizzo U., Autovalutazione d'istituto: metodo, procedure, strumenti, Pensa
Multimedia, Lecce, 2003.
Barzanò G., Mosca S. e Scheerens J. (a cura di), L'autovalutazione nella scuola. Teorie,
strumenti, esempi, Mondadori, Milano, 2000.
MacBeath J. e McGlynn A., Autovalutazione nella scuola. Strategie per incrementare la qualità
dell'offerta formativa, Erickson, Trento, 2006.
Schratz M., Jakobsen L.B., Macbeath J. e Meuret D., Autovalutazione e cambiamento attivo
nella scuola, Erickson, Trento, 2003.
129
M
23. Metodi per il cambiamento e lo sviluppo – OGGETTO
23.a PERSONA/SOGGETTO
DEFINIZIONE:
Le azioni psicopedagogiche sulla persona hanno come obiettivo la tensione verso il
cambiamento e lo sviluppo. L‟intervento psicologico, educ ativo, formativo può infatti favorire,
sostenere o promuovere il cambiamento, lo sviluppo della persona, del soggetto per il quale si
svolge il lavoro educativo.
Per tendere verso lo sviluppo, sono necessari strumenti e modalità di lavoro, come training
specifici, materiali ecc.
CITAZIONE:
Un intervento psicoeducativo, «quale che sia l‟obiettivo specifico che persegue, e quali che
siano i contenuti proposti, dovrebbe sempre costituire un‟occasione di “crescita”, di
cambiamento [… ].» [Lichtner M., La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra
esigenze di funzionalità e costruzione del significato, FrancoAngeli, Milano, 2002, p. 226.]
NOTA:
Nel concetto di «cambiamento della persona» sono insite due definizioni: da una parte vi è il
concetto di «evoluzione», assimilabile al concetto di crescita e sviluppo, dall‟altra quello di
«transizione», assimilabile al concetto di mutazione. [Greco S., La psicologia del cambiamento.
Riflessioni, risorse e strategie per governare gli eventi della vita , FrancoAngeli, Milano, 2007.]
BIBLIOGRAFIA:
Greco S., La psicologia del cambiamento. Riflessioni, risorse e strategie per governare gli
eventi della vita, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Lichtner M., La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità
e costruzione del signif icato, FrancoAngeli, Milano, 2002.
130
23.b. CONTESTI - LUOGHI E ISTITUZIONI
DEFINIZIONE:
I luoghi e le istituzioni sono strettamente connesse ai singoli individui che ne fanno parte,
motivo per il quale essi st essi possono diventare oggetti su cui operare interventi diretti allo
sviluppo e quindi al cambiamento.
CITAZIONE:
«Una comunità è tanto più sensibile al cambiamento quanto più le persone e le istituzioni sono
in grado di raccogliere i bisogni e le emozioni degli appartenenti alla comunità e di impostare
meta riflessioni sugli stessi.» [Bertani B. e Manetti M. (a cura di), Psicologia dei gruppi. Teoria,
contesti e metodologie d‟intervento, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 108.]
NOTA:
Per tendere verso il cambiamento, è necessario avere come punto di riferimento non solo
l‟attività mentale e materiale degli esseri umani, ma anche il contesto sociale, le istituzioni, i
luoghi e così via. [Sensales G. (a cura di), Percorsi teorico-critici in psicologia sociale,
FrancoAngeli, Milano, 2003.]
BIBLIOGRAFIA:
Bertani B. e Manetti M. (a cura di), Psicologia dei gruppi. Teoria, contesti e metodologie
d‟intervento, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Licciardello O. (a cura di), Umanizzare il sociale, guidare il cambiamento. L'intervento
psicosociale come risorsa nelle istituzioni e nelle organizzazioni, Cuem, Catania, 1990.
Sensales G. (a cura di), Percorsi teorico-critici in psicologia sociale, FrancoAngeli, Milano, 2003.
131
23.c. CONTESTI - DINAMICHE: MEDIAZIONI, RELAZIONI,
PROCESSI, ORGANIZZAZIONI
DEFINIZIONE:
Il cambiamento e lo sviluppo concernente le dinamiche tra individui è caratterizzato dall‟utilizzo
di metodi di intervento finalizzati alle modif icazioni degli atteggiamenti degli individui nel
gruppo e della fisionomia del gruppo stesso.
Ad esempio, possono essere attuate delle mediazioni per ristabilire la comunicazione tra due
persone, al fine di pervenire a un cambiamento concreto, cioè la realizzazione di un progetto di
ri-organizzazione delle relazioni.
CITAZIONE:
Per operare un cambiamento «[… ] sulle dinam iche psicosociali dei gruppi si deve
costantemente fare esplicito riferimento anche al livello individuale ed a quello organizzativo
perché è nella relazione di interdipendenza con questi altri soggetti della soc ialità [… ] che la
concreta dinamica, di un concreto gruppo, ed in una data situazione storia ed ambientale,
prende forma.» [Venza G., Dinam iche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e
formativo, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 22.]
NOTA:
Dopo un‟attenta osservazione delle dinamiche intersoggettive, si può intervenire su di esse
considerando sia le esigenze specifiche del singolo (dimensione micro), sia la necessità di
connettersi con la dimensione del sociale (livello macro). [Bramati D., Sociologia della
mediazione. Teorie e pratiche della mediazione di comunità, FrancoAngeli, Milano, 2005.]
BIBLIOGRAFIA:
Burla F., Capozzi S. e Lozupone E., Elementi di psicologia, pedagogia, sociologia per le
professioni sanitarie, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Luison L. (a cura di), La mediazione come strumento di intervento sociale. Problem i e
prospettive internazionali, FrancoAngeli, Milano, 2006.
Venza G., Dinam iche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo ,
FrancoAngeli, Milano, 2007.
132
P
24. PIANI EDUCATIVI E DIDATTICI INDIVIDUALIZZATI E
PERSONALIZZATI
DEFINIZIONE:
Per un‟efficace integrazione scolastica di alunni con Disabilità, Bisogni Educativi Speciali e DSA
è indispensabile l‟attivazione di un Piano Educativo e Didattico Individualizzato e
Personalizzato.
Nel Piano Educativo Individualizzato (PEI), gli insegnanti elaborano strategie operative per
favorire il raggiungimento degli obiettivi definiti nel Profilo Dinamico Funzionale (PDF).
All‟interno del PEI si specificano gli spazi, i tempi, le risorse umane e quelle materiali materiali,
organizzative, strutturali e metodologiche che serviranno per realizzare attività didattiche,
educative e di stimolazione per l‟alunno in questione. Si stabiliscono i materiali specifici da
utilizzare, l‟adattamento dei testi scolastici e dei materiali didattici, l‟uso di luoghi (ad esempio,
le uscite in ambienti reali del quartiere), le tecniche didattiche (ad esempio quelle
metacognitive) che in alcuni casi sono necessarie per superare determinate difficoltà di
apprendimento.
Il modello proposto dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità (2007) nella classificazione ICFCY/Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute , risponde
all‟esigenza degli insegnanti di avere una modalità conoscitiva della situazione globale
dell‟alunno, che aiuti realmente e concretamente alla progettazione individualizzata.
Il Piano Educativo Individualizzato è costituito da alcune componenti, che corrispondono ad
altrettante fasi di programmazione e di lavoro:
a) la diagnosi funzionale educativa e il Profilo Dinamico Funzionale che comprende un
momento conoscitivo del reale funzionamento dell‟alunno secondo il modello antropologico
dell‟ICF, e un momento di definizione degli obiettivi e delle scelte progettuali;
b) la definizione di attività, materiali e metodi di lavoro, che include l‟esplicitazione delle
tecniche e delle risorse per l‟insegnamento-apprendimento;
c) la verifica e la valutazione, ovvero la fase di revisione della diagnosi, del prof ilo dinamico e
della attività e materiali.
CITAZIONE:
«Il Piano educativo individualizzato e la sua applicazione concreta non dovrebbero essere
delegate unicamente all‟insegnante di sostegno, coinvolgendo al massimo qualche suo
volenteroso collega: tutti gli insegnanti dovrebbero esserne partecipi, perché l‟integrazione
degli alunni in difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della v ita scolastica e non essere solo
una presenza limitata a qualche ora o a qualche attività svolta con l‟insegnante di sostegno in
qualche aula di sostegno». [Ianes D. e Cramerotti S., Gli alunni
con Bisogni Educativi
Speciali: dal Piano educativo individualizzato al Progetto di v ita, 2003. Testo disponibile al
sito: http://www.darioianes.it/slide/Bisogni.pdf [verif. 09.11.2013], p. 407].
NOTA:
L‟art. 12, comma 5, della legge n. 104/1992 prevede che il Profilo Dinamico Funzionale,
necessario per formulare il Piano Educativo Individualizzato, ponga in rilievo, f ra l‟altro, le
capacità del soggetto, che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate
133
e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata. [Nocera S., Il diritto
all'integrazione nella scuola dell'autonomia. Gli alunni in situazione di handicap nella normativa
scolastica italiana, Erickson, Trento, 2002].
BIBLIOGRAFIA:
Ianes D. e Cramerotti S., Gli alunni
con Bisogni Educativi Speciali: dal Piano educativo
individualizzato
al
Progetto
di
vita,
2003.
Testo
disponibile
al
sito:
http://www.darioianes.it/slide/Bisogni.pdf [verif. 09.11.2013].
Ianes D. e Cramerotti S., Il piano educativo indiv idualizzato. Progetto di vita, vol. 1-2-3,
Erickson, Trento, 2009.
Ianes D., La diagnosi funzionale secondo l'ICF. Il modello OMS, le aree e gli strumenti,
Erickson, Trento, 2004.
Nocera S., Il diritto all'integrazione nella scuola dell'autonomia. Gli alunni in situazione di
handicap nella normativa scolastica italiana, Erickson, Trento, 2002.
Pesci G. e Sbrana R., Piano educativo indiv idualizzato: formulazione degli obiettivi operativi,
Bulzoni, Roma, 1990.
Romano V., Gli alunni con difficoltà di apprendimento e il Piano Educativo Individualizzato , UNI
Service, Trento, 2010.
134
T
25. TRAINING INTENSIVI
DEFINIZIONE:
Le evidenze scientifiche a sostegno dell‟efficacia dei training intensivi, che possono interessare
le diverse aree di funzionamento della persona (area cognitiva, motoria, del linguaggio ecc.),
sono molteplici.
I training intensivi mirano a insegnare abilità e competenze in diversi settori (cognitivo,
sociale, delle autonomie personali, ecc.), migliorare i comportamenti adattivi e ridurre quelli
problematici.
Un esempio di intervento intensivo è rappresentato dall‟approccio ABA ( Applied Behav ior
Analysis), che prevede 40 ore di training di tipo comportamentale a settimana. Nel 1987 Ivar
Lovaas, psicologo presso l'UCLA (University of California Los Angeles), sperimentò tale
approccio con uno studio molto famoso. Lo studio valutava gli esiti di due anni di trattamento
comportamentale in 38 bambini con autismo in età precoce (meno di 41 mesi all'inizio della
sperimentazione), a confronto con un gruppo di 21 bambini che non avevano ricevuto alcun
trattamento (gruppo di controllo 2). Dei bambini trattati, 19 ricevevano un trattamento
intensivo in rapporto 1:1 per 40 ore alla settimana (gruppo sperimentale), mentre 19 venivano
trattati con le stesse modalità per 10 ore alla settimana (gruppo di controllo 1). Il tipo di
trattamento somministrato consisteva in un approccio educativo comportamentale definito
come Discrete Trial Training (insegnamento in Sessioni Singole). Il trattamento intensivo
veniva somministrato a scuola, a casa e nel centro da terapisti formati. I ge nitori venivano
istruiti a somministrare il trattamento a casa e prendevano parte all'intervento. I risultati della
sperimentazione furono i seguenti: il 47% dei bambini appartenenti al gruppo sperimentale,
che avevano ricevuto 40 ore di training intensivi individuali alla settimana, aveva raggiunto un
«funzionamento normale», def inito tale sulla base di punteggi di QI nella norma, e un successo
dell'inserimento in prima elementare in classi nomali senza alcun sostegno, mentre il 43%
mostrava comunque di aver raggiunto, se non un funzionamento «normale», progressi
sostanziali.
CITAZIONE:
«Le nuove strategie terapeutiche danno, oggi, grande im portanza ad un training strutturato e
spesso intensivo, adattato al bambino in modo indiv iduale, in cui i terapisti la vorano con lui per
aiutarlo a sviluppare capacità sociali e di linguaggio ». [Cattelan L., Autismo. Manuale operativo
per docenti e operatori, Industrialzone, Vicenza, 2010, p. 34].
NOTA:
Fu Lovaas il primo a sottolineare l‟assoluta importanza di training intensivi finalizzati a
permettere al bambino di apprendere con condizionamento operante. [Xaiz C. e Micheli E., I
primi passi del percorso verso la comunicazione: insegnare le abilità di relazione sociale ,
Autismo
Oggi.
Testo
disponibile
al
sito:
http://www.fondazioneares.com/uploads/media/E._Micheli___C._Xaiz__I_primi_passi.pdf [verif. 03.11.2013]].
BIBLIOGRAFIA:
Cattelan L., Autismo. Manuale operativo per docenti e operatori, Industrialzone, Vicenza, 2010.
135
Mazzucchi A. (a cura di), La riabilitazione neuropsicologica. Premesse teoriche e applicazioni
cliniche, Elsevier Masson, Milano, 2012.
Xaiz C. e Micheli E., I pr imi passi del percorso verso la comunicazione: insegnare le abilità di
relazione
sociale,
Autismo
Oggi.
Testo
disponibile
al
sito:
http://www.fondazioneares.com/uploads/media/E._Micheli___C._Xaiz__I_primi_passi.pdf [verif. 03.11.2013].
136
P
26 PARENT TRAINING
DEFINIZIONE:
Il parent training è un modello di intervento nato più di quarant‟anni fa nell‟ambito della clinica
applicata ai disturbi del comportamento infantile. I genitori vengono coinvo lti in prima persona
nella crescita dei figli, offrendo un supporto specialistico atto a promuovere lo sviluppo di
comportamenti positivi. Il parent training rientra all‟interno di un modello di intervento di tipo
comportamentale che coinvolge, appunto, i genitori quali agenti di inf luenza sociale e di
modificazione dei comportamenti problematici dei figli.
La nascita di un f iglio disabile comporta la ridefinizione dell‟assetto familiare ed ha sui genitori
e sull‟intera famiglia delle inevitabili ripercussioni psicologiche, emotive e sociali. La crescita di
un figlio con disabilità impone l‟acquisizione di competenze specifiche, fondamentali per evitare
involontari errori educativi che potrebbero generare nei genitori stessi sentimenti di
inadeguatezza e frustrazione. Le difficoltà sia di tipo pratico-gestionale che psicologiche,
possono mettere in crisi la coppia coniugale o il singolo genitore. Lo stress, inteso come
condizione fisiologica che scaturisce dalla troppa pressione provocata da eventi drammatici o
angoscianti, si può facilmente trasformare in questi genitori in distress, termine che indica la
condizione di stress che la persona non riesce più a gestire da sola, diventando patologico. Il
parent training ha anche la finalità di fornire ai genitori informazioni, formazione e supporto
per ridurre lo stress.
Durante un percorso di parent training, l‟attenzione va rivolta all‟incremento delle abilità
genitoriali nel gestire i comportamenti problematici del figlio, migliorando il loro senso di
efficac ia e competenza come genitori, con l‟obiettivo di renderli indipendenti nella gestione
quotidiana del figlio.
Il parent training non si deve però limitare all‟insegnamento di modelli psicoeducativi: lo
specialista deve tenere in considerazione i bisogni della coppia e dei singoli membri della
famiglia, le loro emozioni e la percezione che hanno del figlio disabile. Gli stati emotivi, se non
elaborati, possono diventare un ostacolo allo sviluppo e ai progressi del figlio e della famiglia
stessa.
Il parent training può essere individuale, svolto a domicilio della famiglia, oppure di gruppo,
svolto in ambiente clinico. Un punto di forza del parent training di gruppo, rispetto a quello
individuale, è la possibilità che i genitori hanno, di conoscere altre famiglie nella loro stessa
situazione, condividendo paure e preoccupazioni, trovando dunque un punto di riferimento e di
scambio importante. Spesso capita che questi genitori mettano in piedi vere e proprie
associazioni o gruppi informali di sostegno, creando una rete amicale e di mutuo-aiuto.
Seppur il parent training si differenzi a seconda degli obiettivi, è comunque possibile
individuare alcune linee comuni:
- migliorare la relazione e la comunicazione tra genitori e figlio;
- insegnare metodi educativi basati sull‟osservazione sistematica del comportamento;
- aumentare la conoscenza del genitore sullo sviluppo psicologico del figlio e sui principi che lo
regolano.
CITAZIONE:
137
«I parent training, anche se finalizzati all‟insegnamento di abilità (funzionali e sociali) e al
contenimento dei comportamenti patologici (ecolalie, aggressività ecc.), non trascurano il
punto di vista dei genitori e la loro sofferenza». [Benedetto L., Il parent training: counseling e
formazione per genitori, Carocci, Roma, 2005, p. 50].
NOTA:
Il bisogno principale della famiglia dopo aver avuto la diagnosi del figlio è di non sentirsi sola e
abbandonata. Se rimane racchiusa nel suo dolore, la famiglia può trovarsi invischiata in
pericolosi circoli viziosi che non le permette di affrontare le necessità quotidiane e di
rispondere in modo adeguato alle esigenze speciali del f iglio. In questo modo il processo di
adattamento del bambino può subire un arresto e il disagio psicologico della famiglia può
aumentare.
Il parent training aiuta i genitori a diventare responsabili del processo di
cambiamento, sviluppando in loro la capacità di resilienza, ovvero di far fronte, superandole, le
difficoltà. [Menazza C., Bacci B. e Vio C., Parent training nell‟autismo. Programma per la
formazione e il supporto dei genitori, Erickson, Trento, 2010].
BIBLIOGRAFIA:
Benedetto L., Il parent training: counseling e formazione per genitori, Carocci, Roma, 2005.
Covati K., Giuberti V., Miselli G., Pellegri E., Santelli E. e Gallo M.L., Parent training di gruppo:
un percorso di consapevolezza, condiv isione e impegno genitoriale , Autismo e disturbi dello
sviluppo, 11, 2, 2013, pp. 171-191.
Di Pietro M., Scollo E. e Tarantino V., Favorire la resilienza nei genitori di bambini con
disabilità, AJMR, 4, 3, 2006.
Helm D.T. e Kozloff M.A., Research on parent training: Shortcomings and remedies, Journal of
Autism and Developmental Disorders, 16, 1, 1986, pp. 1-22.
Menazza C., Bacci B. e Vio C., Parent training nell‟autismo. Programma per la formazione e il
supporto dei genitori, Erickson, Trento, 2010.
Robiati S., Il parent-training. Metodologie e tecniche per la formazione dei genitori, Cittadella,
Assisi, 1996.
138
I
27. INTERVENTI PSICO-EDUCATIVI
DEFINIZIONE:
L‟intervento psico-educativo si caratterizza per:
- la collaborazione tra operatori e familiari;
- il miglioramento dell‟adattamento al mondo circostante qui ed ora: incremento delle abilità,
accomodamento dell‟ambiente;
- vari tipi di assessment: valutazioni di tipo formale (test, strumenti di osservazione) o di tipo
informale (conoscenza del soggetto attuata con osservazioni dirette o riferite dagli adulti
significativi);
- l‟insegnamento strutturato, ovvero sapere come e cosa insegnare;
- la priorità data all‟incremento delle abilità;
- il riferimento teorico e metodologico che sta alla base, ovvero la teoria del comportamento e
dello sviluppo;
- l‟avere presente che per tutta la vita ciascuno di noi interagisce con l‟ambiente e che la
relazione è reciproca (fasi evolutive e ciclo di vita): i cambiamenti sono dunque continui sia
nell‟assetto biologico dell‟individuo che cresce (maturazione) e che invecchia (declino), così
come nell‟ambiente fisico e in quello sociale (mutamento delle condizioni di vita della famiglia
e dei suoi bisogni).
In un individuo in età evolutiva o con disabilità, l‟intervento, per essere efficace, deve
necessariamente essere condiviso in alleanza con la famiglia. L‟intervento psico -educativo deve
dunque considerare quanti più fattori e interazioni possibile: coinvolgere i familiari e gli adu lti
significativi che ruotano attorno al nucleo. Ciò significa insegnare ai genitori a gestire le
situazioni educative con il figlio, sintonizzarsi sui suoi bisogni; è quindi necessario modulare
l‟intervento psico-educativo sulle risorse emergenti dei familiari.
CITAZIONE:
«L‟intervento psicoeducativo:
- si rivela una valida strategia di ingaggio in un‟ottica di trattamento integrato e multimodale;
- permette di ottenere una migliore gestione del problema da parte del familiare;
- modifica il carico emotivo;
- rende più comprensibili i comportamenti e aumenta le abilità di coping, migliorando le
conoscenze sul problema;
- valorizza il ruolo del familiare che riconosce come risorsa attiva;
- diminuisce fortemente i sentimenti negativi di disperazione e solit udine, e talvolta di autocolpevolizzazione;
- aumenta la speranza di miglior adattamento.»
139
[Di Furia P. e Mastrangelo F., Famiglia e handicap. L‟intervento psicoeducativo, FrancoAngeli,
Milano, 1998, p. 92].
NOTA:
Nel contesto internazionale, l‟intervento psico-educativo è uno dei più applicati e studiati,
perché da un lato risponde alle esigenze dei servizi di salute mentale di fornire assistenza
territoriale, e dall‟altro lato permette di sostenere concretamente le famiglie, dando risposta
alle loro numerose domande e difficoltà. L‟intervento psico-educativo ha la finalità di
responsabilizzare la famiglia e renderla partecipe nel percorso terapeutico -riabilitativo del
figlio. [Ba G., Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale , FrancoAngeli,
Milano, 2001].
BIBLIOGRAFIA:
Ianes D. e Cramerotti S. Comportamenti problema e alleanze psicoeducative, Erickson, Trento,
2002
Di Furia P. e Mastrangelo F., Famiglia e handicap. L‟intervento psicoeducativo, FrancoAngeli,
Milano, 1998.
Falloon I., Intervento psicoeducativo familiare in psichiatria, Erickson, Trento, 1992.
Falloon I., Intervento psicoeducativo integrato in psichiatria. Guida al lavoro con le famiglie ,
Erickson, Trento, 1993.
Vio C., Autismo. Dalla diagnosi all‟intervento psicoeduc ativo, Vannini, Gussago (BS), 2006.
140
F
28. FORMAZIONE MEDIATORI
DEFINIZIONE:
Il mediatore ha il compito di far evolvere la situazione in cui le due parti, che possono rimanere
fisse sulla propria posizione, nella direzione della f lessibilità e del cambiame nto. Per riuscirci, il
mediatore deve prima aver appreso e sperimentato su di sé le regole della gestione costruttiva
del conflitto, ma deve anche essere capace a non rimanere un mero esecutore. Deve saper
«sentire» le persone che ha di fronte, mettersi ne i loro panni. La sua formazione, pertanto, è
molto complessa e articolata e deve fornirgli molteplici strumenti.
La responsabilità del mediatore è grande e il suo compito delicato. Non ci si può improvvisare
mediatori, occorre infatti seguire un approfond ito percorso di formazione, improntato
dall‟alternanza di teoria e pratica, per riuscire ad acquisire competenze reali che consentano di
agire e impediscano di danneggiare.
Il mediatore competente e formato, riesce a non sovrapporsi o sostituire l‟altro, bensì lo spinge
verso l‟autonomia.
Il percorso di formazione del mediatore comprende tre fasi:
1) l‟apprendimento dello specifico significato della Mediazione;
2) l‟apprendimento del modo di relazionarsi con l‟altro;
3) la scoperta e l‟uso dell‟intelligenza emotiva che pilota la mediazione e la relazione con
l‟altro.
Per il buon esito della mediazione, sarebbe opportuno condurre l‟azione della mediazione in più
mediatori. Lavorando in équipe il mediatore riesce a individuare i suoi limit i e integrarli con la
ricchezza proveniente dagli altri.
CITAZIONE:
Per rappresentare la figura dei mediatori possiamo utilizzare la metafora di chi vuole
attraversare un corso di acqua che separa due sponde e non vuole bagnarsi: mette dunque i
piedi sulle pietre che affiorano. Forse butta una pietra per costruirsi un punto di appoggio dove
manca. Questi appoggi sono i mediatori, coloro che forniscono sostegno e che si collegano uno
all¹altro. Un mediatore è come un semplice sasso su cui appoggiare il piede per andare
all¹altra riva. L¹importante è costruire collegamenti e andare avanti. Se un mediatore non
invitasse a quello successivo, non sarebbe più tale. Potrebbe trasformarsi in feticcio, in
prigione, in sosta forzata, in illusione di paradiso raggiunto
[Canevaro A., Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la «logica del domino ,
Erickson, Trento, 2008]
NOTA:
Ai principi della Mediazione è in pr imis la formazione che può dare qualità al lavoro. E‟
importante predisporre un percorso di formazione che miri a rendere protagonisti i
partecipanti, affinché, sperimentando e sperimentandosi, diventino capaci di rendere in seguito
protagonisti gli attori del conflitto. [Martello M., L‟arte del mediatore dei conflitti. Protocolli
senza regole: una formaizone possibile, Giuffrè, Milano, 2008].
BIBLIOGRAFIA:
141
Canevaro A., Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la «logica del domino ,
Erickson, Trento, 2008
Martello M., L‟arte del mediatore dei conflitti. Protocolli senza regole: una formaizone possibile,
Giuff rè, Milano, 2008.
Martello M., La formazione del mediatore: una pericolosa illusione , Consumatori, diritti e
mercato, 3, 2011. Testo disponibile al sito: http://www.consumatoridirittimercato.it/wpcontent/uploads/2011/12/2011-3-formazione-del-mediatore.pdf [verif. 02.10.2013].
Martello M., Mediazione dei conflitti e counselling umanistico. Lo spazio della formazione ,
Giuff rè, Milano, 2006.
142
C
29 COMPUTER ASSISTED INSTRUCTION
DEFINIZIONE:
Per alunni con bisogni educativi speciali, il CAI (Computer Assisted Instruction) offre un grande
aiuto per lo sviluppo delle potenzialità personali. Inoltre, i programmi basati sul Computer
Assisted Instruction possono essere in grado di insegnare nuovi comportamenti, fornire abilità
pratiche, consentire la registrazione automatica delle informazioni per il successivo recupero e
l'analisi.
Il CAI può fornire modifiche didattiche che hanno dimostrato di essere vantaggiose per gli
studenti con ADHD, come ad esempio step-by-step di elaborazione dei compiti, modelli di
completamento delle attività, esempi concreti e consegne più brevi.
Alcuni studi hanno dimostrato il miglioramento nelle prestazioni di bambini con ADHD che
utilizzano il CAI. In particolare lo studio di Ford, Poe e Cox (1993) e quello di Kleiman,
Humphrey e Lindsay (1981), i quali hanno esaminato gli effetti di diversi tipi di CAI su bambini
con ADHD.
CITAZIONE:
«Il CAI è in grado di fornire un ambiente didattico molto stimolante, in cui gli studenti ricevono
frequentemente feedback rispetto le loro prestazioni, rinforzi immediati e continue opportunità
di rispondere agli stimoli accademici.»
[Chunzhen X., Reid R. e Steckelbe rg A., Technology applications for children w ith ADHD:
assessing the em pir ical support , Education & Treat ment of Children, 2002. Testo disponibile al
sito: www.thefreelibrary.com/_/print/PrintArticle.aspx?id=88128540 [verif. 18.10.2013],
p. 2].
NOTA:
Recentemente sono stati introdotti vari tipi di hardware e una rassegna della letteratura
mostra un crescente interesse tra i docenti di lingua straniera e ricercatori nei benef ici di
istruzione del Computer Assisted Instruction. [Stenson N., Downing B., Smith J. e Smith K.,
The Effectiveness of Computer-Assisted Pronunciation Training, CALICO Journal, 9, 4, 1992].
BIBLIOGRAFIA:
Chambers J.A. e Sprecher J.W., Com puter-assisted i
, U.S., 1983.
Chunzhen X., Reid R. e Steckelberg A., Technology applications for children w ith ADHD:
assessing the em pir ical support , Education & Treat ment of Children, 2002. Testo disponibile al
sito: www.thefreelibrary.com/_/print/PrintArticle.aspx?id=88128540 [verif. 18.10.2013].
Dyer C.A.,
U.S., 1971.
, Educational Technology Publications,
Ford M., Poe V. e Cox, J., Attending behaviors of ADHD children in math and reading using
various types of software, Journal of Computing in Childhood Education, 4, 183-196, 1993.
Kleiman G., Humphrey M. e Lindsay P.H., Microcomputers and hyperactive children, Creative
Computing, 7, 93-94, 1981.
143
Molholt G., Computer-assisted instruction in pronunciation for Chinese speakers of American
English, TESOL Quarterly, 22, 91-112, 1988.
Stenson N., Downing B., Smith J. e Smith K., The Effectiveness of Computer-Assisted
Pronunciation Training, CALICO Journal, 9, 4, 1992.
144
M
30. MATERIALI EDUCATIVI SPECIFICI
DEFINIZIONE:
Per bambini e ragazzi con Bisogni Educativi Speciali (BES) sono necessari materiali educativi
specifici che mirino allo sviluppo di tutte le loro potenzialità. Una didattica speciale deve quindi
avvalersi di materiali educativi specifici per il raggiungimento di determinati obiettivi. Tali
materiali possono quindi essere creati ad hoc , sulla base delle necessità soggettive, oppure
possono essere preesistenti.
Lo sviluppo delle tecnologie web e l‟affermarsi dei modelli pedagogici costruttivisti-sociali
hanno contribuito a determinare un incremento esponenziale del numero di materiali educativi
in rete.
Anche i software educativo-didattici permettono agli insegnanti di creare materiali innovativi
per gli alunni con BES.
Un nuovo
permette
avvalersi
scaricabili
supporto tecnologico è costituito dalla Lavagna Interattiva Multimediale (LIM), che
al docente (o all‟alunno), interagendo direttamente attraverso lo schermo, di
rapidamente di una molteplicità di materiali digitali depositati nel computer o
da internet, o anche di costruirli o modificarli attivamente.
CITAZIONE:
Ultimamente sta crescendo «la disponibilità di materiale specifico di lavoro per alunni con
disturbi dell‟apprendimento e con altre situazioni di difficoltà dovute a cause diverse [… ]. Tutti
questi materiali danno sostanza tecnica al miglioramento – da generalizzare a tutti gli alunni –
della qualità dell‟offerta formativa che è stato stimolato energicamente dalla presenza nella
scuola italiana di alunni in situazione di handicap» [Ianes D. e Tortello M., Handicap e risorse
per l'integrazione. Nuovi elementi di qualità per una scuola inclusiva , Erickson, Trento, 2002,
p. 11].
NOTA:
Per un‟efficace inclusione di bambini con Bisogni Educativi Speciali è utile modif icare, arricchire
o semplificare il normale materiale educativo-didattico in uso per il resto della classe,
rendendolo specifico e accessibile anche all‟alunno con BES. [Ianes D., Bisogni Educativi
Speciali e inclusione. Valutare le reali necessità e attivare tutte le risorse , Erickson, Trento,
2005].
BIBLIOGRAFIA:
Bonaiuti G., Didattica attiva con la LIM. Metodologie, strumenti e materiali con la Lavagna
Interattiva Multimediale, Erickson, Trento, 2009.
Ianes D. e Cramerotti S., Il piano educativo indiv idualizzato. Progetto di vita, vol. 1-2-3,
Erickson, Trento, 2009.
Ianes D. e Tortello M., Handicap e risorse per l'integrazione. Nuovi elementi di qualità per una
scuola inclusiva, Erickson, Trento, 2002.
Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione. Valutare le reali necessità e attivare tutte le
risorse, Erickson, Trento, 2005.
Vizzari A.R., Come usare i materiali LIM, in Brusa A., Web-book de L‟Atlante delle storie,
Palumbo, Palermo, 2010.
145
A
31. ADATTAMENTO OBIETTIVI
DEFINIZIONE:
Nel progetto educativo e/o riabilitativo, o più in generale nel progetto di vita di una persona,
l‟adattamento degli obiettivi comprende sia l‟identificazione di nuovi obiettivi, sia la loro
ristrutturazione e trasformazione. Adattare gli obiettivi sulla singola persona è fondamentale
per facilitare l‟apprendimento e la partecipazione.
La progettazione degli obiettivi deve infatti adeguarsi di volta in volta alla situazione del
soggetto che apprende, ai suoi bisogni, ai vincoli e alle risorse che caratterizzano ogni
situazione educativa.
Gli obiettivi sono i traguardi, a breve, medio e lungo termine, che devono sempre essere tenuti
a mente e rivalutati in itinere nel percorso del soggetto. Essi vengono def initi sulla base di
osservazioni e valutazioni fatte a priori dall‟inizio del progetto e devono essere coerenti con gli
elementi ricavati dall‟analisi delle finalità.
La formulazione degli obiettivi, inoltre, è adattata alle specif iche aree di bisogno della persona:
area psico-fisica, area cognitiva, area della espressività e della creatività, area dell‟affettività,
area della socialità, ecc.
Gli obiettivi vengono poi integrati nelle attività e nella programmazione. Ciò significa che
verranno organizzate delle sequenze di obiettivi a breve termine, con incrementi graduali di
difficoltà, utilizzando le metodologie di adattamento (traduzione in codici diversi, facilitazione e
semplificazione), di analisi del compito e altre tecniche di aiuto.
CITAZIONE:
«L‟im portanza degli obiettivi è riposta non solo nella appropr iata individuazione dei bisogni
educativi delle persone, ma anche nel fatto che ciascun obiettivo posto costituisce il riferimento
nella fase successiva (sempre necessaria) dalla valutazione dei percorsi compiuti e dei r isultati
conseguiti. Solo la def inizione di obiettivi coerenti con le finalità e rispondenti ai bisogni rilevati
è presupposto di fattibilità e di efficacia del progetto.» [Lazzarini G., L‟educatore professionale.
Per concorsi pubblici e percorsi formativi, Maggioli, Santarcangelo
di Romagna (RN), 2013, p.
41].
NOTA:
I vari percorsi educativi possono essere adattati e personalizzati alle singole esigenze, in base
alle diverse informazioni in nostro possesso, agli scopi che ci siamo prefissati, alle priorità degli
obiettivi stabiliti e all‟impostazione che abbiamo scelto di dare al nostro PEI. [ Ianes D. e
Cramerotti S., Il piano educativo individualizzato. Progetto di v ita, vol. 3, Erickson, Trento,
2009].
BIBLIOGRAFIA:
Ianes D. e Cramerotti S., Il piano educativo indiv idualizzato. Progetto di vita, vol. 1-2-3,
Erickson, Trento, 2009.
Ianes D. e Cramerotti S., Il piano educativo individualizzato. Progetto di vita, Erickson, Trento,
2007.
Scataglini C. e Giustini A. L‟adattamento degli obiettivi, Erickson, Trento, 2005.
146
Papparella N., Il progetto educativo. Prospettive, contesti, signif icati, vol. 1, Armando, Roma,
2010.
147
T
32 TASK ANALYSIS
DEFINIZIONE:
La task analysis o analisi del compito si rivolge all‟obiettivo prefissato, sia nelle diverse fasi che
lo compongono in sequenza, sia nei prerequisiti necessari a evidenziare le diverse abilità
basilari per eseguire un compito. La task analysis permette quindi di scomporre un obiettivo
sia in senso sequenziale-descrittivo, elencando le serie di risposte singole che compongono
quel compito, che in senso strutturale-gerarchico, individuando le abilità più semplici e i
prerequisiti che costituiscono la struttura di base di quel obiettivo e che vanno a costruire un
ordine gerarchico. Entrambi questi elementi consentono di individuare le componenti e le
sotto-componenti dell‟obiettivo stesso, rendendolo più graduale in termini di difficoltà e perciò
più facilitante.
Sul piano operativo-didattico, l‟analisi del compito può fornire spunti e indicazioni sia per la
progettazione curricolare (formulazione degli obiettivi), sia per la realizzazione dei momenti di
insegnamento (unità didattiche, unità formative ecc.).
La metodologia della task analysis prevede due momenti distinti. La prima fase è di descrizione
del compito, che consiste nella rappresentazione sistematica delle singole azioni e dei
comportamenti necessari per eseguire correttamente e adeguatamente un compito. Essa si
distingue a sua volta in descrizione razionale, in cui l‟insegnante osserva e trascrive
dettagliatamente l‟ordine di esecuzione dei singoli comportamenti e risposte che provvedono
all‟esecuzione del compito, e in descrizione empirica, in cui il compito stesso viene eseguito allo
scopo di verif icare l‟adeguatezza della sequenza dei comportamenti annotati nella fase
precedente.
Il secondo momento è l‟analisi delle abilità componenti, che consiste nell‟individuazione delle
abilità necessarie e imprescindibili da un determinato compito. Dopo aver suddiviso in
sequenze gli obiettivi di insegnamento, si procede dunque con l‟identificazione e descrizione
delle diverse abilità, il cui possesso è requisito indispensabile per l‟apprendimento di altre
abilità più complesse che riguardano, appunto, gli obiettivi specifici.
I vantaggi che l‟insegnante o l‟educatore può ricavare dalla task analysis sono molteplici:
- definire con precisione la sequenza, le risposte, il tempo necessario per lo svolgimento di un
compito;
- individuare i punti critici, quelli cioè che esigono comportamenti decisionali da parte del
soggetto;
- delineare con esattezza gli indizi percettivi che controllano gli stessi processi decisionali.
Questo lavoro di scomposizione e descrizione scrupolosa delle varie sotto-componenti di un
compito fornisce all‟insegnante tutti gli elementi necessari per formulare gli obiettivi didattici
del proprio lavoro.
La task analysis risulta molto utile quando l‟intervento da predisporre è rivolto a soggetti con
disabilità cognitive, difficoltà di apprendimento o con disabilità multiple. Le attività così
condotte consentono all‟insegnante o all‟educatore di programmare specifiche sessioni di
apprendimento mirate all‟eventuale deficit riscontrato nel destinatario del progetto.
148
La teoria cui fa riferimento la task analysis, è il modello HIP ( Human Information Processing),
centrato sull'analogia mente-computer, secondo cui la mente è definibile come un'istanza che
filtra, seleziona, riorganizza e trasforma i dati che le provengono dall'esterno attraverso
operazioni prevalentemente di tipo computazionale, unitamente al modello cognitivo di Gagné,
che prevede una tassonomia, ovvero una classificazione, degli obiettivi educativi e didattici.
CITAZIONE:
«Il ricorso all‟analisi del compito consente di dare una valutazione quantitativa, non soggettiva,
del gradi di difficoltà dei diversi c ompiti che il bambino deve apprendere. Permette infatti di
individuare variabili quali il numero dei passaggi cognitiv i necessari per il raggiungimento del
risultato e il numero e la tipologia delle abilità che devono essere ancora apprese per eseguire
il compito». [Fabio R.A. e Pelegatta B., Attività di potenziamento cognitivo. I contenuti.
Percorsi su area linguistica e matematica, Erickson, Trento, 2005, p. 8]
NOTA:
La task analysis è la procedura che consente di realizzare, per ogni singola abilità, una
specifica ricerca delle componenti (fattori-chiave). Questo modo di operare permette
all‟insegnante o all‟educatore non solo di porre in gerarchia i diversi obiettivi di un progetto o
curricolo didattico, ma consente anche di costruire la gerarchia dei co nseguenti passi
istruzionali (step) all‟interno delle varie unità didattiche (e/o unità di apprendimento).
[Pascoletti C., Imparare a scrivere, Vannini, Gussago, 2005].
BIBLIOGRAFIA:
Fabio R.A. e Pelegatta B., Attività di potenziamento cognitivo. I contenuti. Percorsi su area
linguistica e matematica, Erickson, Trento, 2005.
Lancioni G., Facilitare l'apprendimento. Metodologie e tecniche di «apprendimento senza
errori» per alunni con ritardo mentale, Erickson, Trento, 2002.
Meazzini P., Handicap. Passi verso l‟autonomia. Presupposti teorici e tecniche di intervento,
Giunti, Firenze, 1997.
Pascoletti C., Imparare a scrivere, Vannini, Gussago, 2005.
149
R
33. RETI INFORMALI DI AIUTO TRA PARI
DEFINIZIONE:
Il gruppo dei pari rappresenta il primo vero banco di prova nella transizione verso il sé adulto.
L‟amicizia viene indicata sia dagli adolescenti sia dai giovani come il valore più importante nella
loro vita, subito dopo la famiglia.
L‟importanza del gruppo dei pari si afferma in modo complementare alla crisi d elle agenzie
educative tradizionali che faticano sempre più a essere un reale riferimento per i giovani.
La modalità di frequentazione durante l‟adolescenza e la prima giovinezza è quasi
esclusivamente quella del gruppo informale, della compagnia. La relazione tra pari passa
pertanto attraverso i gruppi informali, i quali si formano in modo spontaneo sulla base di criteri
di somiglianza sociale e culturale e di condivisione di stili di vita.
Le reti informali di aiuto tra pari si costituiscono sulla base di relazioni tra persone che
appartengono alla stessa coorte di età e implicano una conoscenza personale profonda, un
rapporto di aiuto in caso di difficoltà e un‟aspettativa di forte fiducia.
Fare parte di reti informali di aiuto dà la possibilità ai raga zzi stessi di diventare «agenti di
cambiamento», dal momento che i bambini, ma soprattutto gli adolescenti, preferiscono
parlare delle loro difficoltà, frustrazioni e preoccupazioni con un compagno o un amico,
piuttosto che con i genitori, gli insegnanti o gli psicologi.
Le reti informali di aiuto tra pari nascono dall‟esigenza di soddisfacimento di bisogni comuni,
cercando di superare collettivamente gli ostacoli incontrati, di risolvere i problemi che rendono
faticosa l‟esistenza quotidiana e di favorire i cambiamenti desiderati sul piano personale e
sociale, incoraggiando le interazioni e il coinvolgimento dei membri.
Questi interventi si basano sulla capacità dei ragazzi stessi di offrire un valido sostegno ai
compagni in difficoltà, grazie alle loro naturali abilità di dare e ricevere aiuto, di provare
empatia e di mettersi nei panni dell‟altro. All‟interno di una classe, dunque, il ruolo
dell‟insegnante dovrebbe essere fondamentale per favorire e stimolare le condizioni di aiuto tra
pari.
CITAZIONE:
Le reti informali di aiuto tra pari «sostituiscono spesso le reti umane di supporto che sono state
perse o volutamente abbandonate anche a causa di m utamenti sociali [… ] » [Carrozza P.,
Principi di riabilitazione psichiatrica. Per un sistema di servizi or ient ato alla guarigione,
FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 407].
NOTA:
Le reti informali di aiuto tra pari non si devono sostituire all‟azione educativa e di supporto
emotivo e affettivo svolto dagli adulti, bensì servono a favorire una «cultura di solidarietà e di
aiuto» nella comunità sociale a partire dal gruppo dei pari. [Filippi A., Il bullismo scolastico, Uni
Service, Trento, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Carrozza P., Pr incipi di riabilitazione psichiatrica. Per un sistema di servizi orientato alla
guarigione, Franc oAngeli, Milano, 2006.
150
Filippi A., Il bullismo scolastico, Uni Service, Trento, 2007.
Menesini E., L'aiuto tra pari: percorsi operativi e modelli teorici, Scuola e città, 3, 42-57, 2002.
151
C
34. COOPERATIVE LEARNING
DEFINIZIONE:
Il cooperative learning o apprendimento cooperativo è una modalità didattica che si realizza
attraverso l‟organizzazione della classe in piccoli gruppi di alunni che interagiscono nello
svolgimento di un compito di apprendimento.
Il cooperative learning prevede che, attraverso la cooperazione, gli alunni possano raggiungere
migliori risultati nell‟apprendimento e nel rapporto tra di loro. Gli elementi che permettono il
miglioramento sono sia di tipo motivazionale che sociale e cognitivo. Il primo nasce dal fatto
che il bambino riceve una spinta dal gruppo (desiderio di sentirsi parte attiva), il secondo è
favorito dalla discussione, dalla critica costruttiva e dal confronto.
Il riferimento teorico del modello è il costruttivismo di Vygotskij, che sosteneva l‟idea dello
sviluppo c ognitivo come processo sociale, poiché la capacità di ragionare aumenta
nell‟interazione con i propri pari e con persone maggiormente esperte.
Il cooperative learning non è da confondere con il «lavoro di gruppo». Il cooperative learning si
basa infatti su precise condizioni, come:
- il principio della leadership distribuita: non si sceglie né si assegna un leader, bensì tutti i
membri del gruppo esercitano la leadership quando è appropriato e necessario;
- il principio del raggruppamento eterogeneo: la selezione dei gruppi è casuale o scelta dagli
insegnanti seguendo il criterio dell‟eterogeneità;
- il principio dell‟interdipendenza positiva: tutti i membri del gruppo devono ascoltarsi
reciprocamente, mettere in comune conoscenze, abilità e materiali didatt ici per il
raggiungimento di un obiettivo comune.
In tale contesto il ruolo dell‟insegnante cambia totalmente: da colui che trasmette il sapere
diventa un facilitatore e mediatore del piacere di apprendere. Cambia altresì il ruolo
dell‟alunno, che da recettore delle conoscenze trasmesse dal docente diviene soggetto attivo
nel processo di apprendimento.
E‟ evidente come questo contesto educativo-didattico riesce a promuovere l‟integrazione di
quegli alunni che, per limitazioni personali, rischierebbero altrimenti di rimanere isolati.
Il cooperative learning ha dunque diversi vantaggi: facilita l‟aiuto reciproco e le relazioni
interpersonali, favorisce la soddisfazione personale sdrammatizzando l‟insuccesso, permette la
condivisione delle responsabilità.
CITAZIONE:
«Il cooperative learning è un approccio metodologico che applica particolari tecniche di
cooperazione all‟interno della classe, dirette a piccolo gruppi di alunni. Per l‟importanza che
esso attribuisce al rapporto interpersonale nell‟apprendimento, è stato definito come uno dei
metodi a mediazione sociale.» [Perrini R., Pianeta scuola. Dalla A come apprendimento alla V
come valutazione, Armando, Roma, 2002, p. 67].
NOTA:
Molti studi condotti in ambito scolastico hanno rilevato che una valida opportu nità per
un‟effettiva integrazione viene offerta dal cooperative learning, poiché permette di organizzare
152
le attività in modo tale da rispondere alle differenze di ciascuno e da coinvolgere attivamente
tutti gli alunni in un clima di lavoro non competitivo. L‟efficacia risiede nel fatto che ogni
alunno può imparare a lavorare insieme agli altri, riconoscendo e rispettando le diversità e
affinità di ognuno. [ Benedan S. e Faretta E., Pluridisabilità e vita scolastica. Manuale per la
prima accoglienza e la programmazione integrata, Erickson, Trento, 2008].
BIBLIOGRAFIA:
Benedan S. e Faretta E., Plur idisabilità e vita scolastica. Manuale per la prima accoglienza e la
programmazione integrata, Erickson, Trento, 2008.
Cacciamani S., Imparare cooperando. Dal cooperative learning alle comunità di ricerca,
Carrocci, Roma, 2008.
Comoglio M. e Cardoso M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative learning, LAS,
Roma, 1998.
Comoglio M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il cooperative learning, LAS, Roma,
1999.
Comoglio M., Il cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Gruppo Abele, Torino,
1999.
Ellerani P.G. e Pavan D., Cooperative Learning: una proposta per l'or ientamento formativo ,
TECNODID, Napoli, 2003.
Ellerani P.G. e Pavan D., Il Cooperative Learning, Scuola Italiana Moderna, 28–32, 2001.
Johnson D.W., Johnson R.T. e Holubec E.J., Apprendimento cooperativo in classe. Migliorare il
clima emotivo e il rendimento, Erickson, Trento, 2000.
La Prova A., Apprendimento cooperativo e differenze individuali. Attività ed esper ienze per la
scuola primaria e secondaria di primo grado, Erickson, Trento, 2008.
Lamberti S., Cooperative learning. Lineamenti introduttivi, QuiEdit, Verona, 2010.
Perrini R., Pianeta scuola. Dalla A come apprendiment o alla V come valutazione, Armando,
Roma, 2002.
Polito M., Comunicazione positiva e apprendimento cooperativo. Strategie per intrecciare
benessere in classe e successo formativo, Erickson, Trento, 2004.
Scheriani C., Bambini «sopra le righe». Bambini affetti da Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività. Ricerca e trattamento nella scuola dell'obbligo , Armando, Roma, 2007.
Slavin R.E., Cooperative Learning, Review of Educational Research, 50, 2, 315-342, 1980.
153
T
35. TUTORING
DEFINIZIONE:
Il tutoring o insegnamento reciproco è definibile come un mutuo insegnamento che consiste
nel proporre agli studenti di utilizzare le competenze che possiedono per insegnarle ai propri
compagni.
Gli obiettivi del tutoring sono:
- imparare ad imparare;
- imparare a lavorare con gli altri.
L‟insegnante assume il ruolo di regista: motiva, organizza e orienta verso un determinato
compito le potenziali risorse di apprendimento dei singoli alunni.
Il tutoring è dunque un metodo basato su un approccio cooperativo dell'apprendimento. Un
programma di tutoring tra pari può essere svolto nel modo che segue:
- l‟insegnante decide per quale ambito disciplinare utilizzare le procedure;
- gli alunni vengono selezionati in coppie (un tutor, colui che assume il ruolo di insegnante, e
un tutee, colui che apprende) secondo specifici criteri oppure in maniera casuale;
- prima di iniziare il tutoring viene data dall‟insegnante una spiegazione rispetto le dinamiche e
le regole (possono essere anche fatte delle simulazioni);
- viene stabilita la cadenza degli incontri di tutoring e la durata (solitamente 20-30 minuti);
- negli incontri vengono poste al tutee delle domande sugli argomenti appresi: se le risposte
sono corrette, egli guadagna dei punti, se la risposta è errata, il tutor fornisc e quella corretta;
- dopo 10-15 minuti viene fatto uno scambio di ruoli nella coppia;
- l‟insegnante che segue il lavoro attribuisce una quantità di punti superiore se la coppia lavora
in sintonia;
- al termine del lavoro i punti che ciascuna coppia ha guadagnato vengono registrati
dall‟insegnante e le coppie vengono premiate secondo parametri stabiliti prima dell‟inizio
dell‟attività.
Il tutoring prevede dunque un passaggio di competenze tra tutor e tutee. Il tutoring promuove
le conoscenze metacognitive attraverso modeling (consiste nell‟osservare un modello
competente, ad esempio un compagno, che esegue il compito che si vuole insegnare al
bambino mediante l‟imitazione dello stesso), dialogo e discussione.
Tale attività fornisce all‟alunno con particolar i difficoltà o con disabilità una possibilità in più
nell‟ambito dei rapporti con i compagni e nell‟apprendimento. La collaborazione tra pari crea
infatti delle opportunità straordinarie per l‟educazione di tutti gli alunni, compresi quelli
classificati «a rischio» o con disabilità. Oltre a permettere un‟educazione individualizzata, il
tutoring persegue contemporaneamente degli obiettivi sociali di integrazione.
CITAZIONE:
154
«Il tutoring può funzionare, come dimostrano in modo inequivocabile le ricerche in ma teria, ma
il suo successo non è però scontato, come pure emerge dalle r icerche e un suo fallimento
dovrebbe essere accuratamente evitato. Perché un progetto centri i suoi obiettivi è necessaria
una pianificazione accurata [… ]» [Topping K., Tutoring. L'insegnamento reciproco tra
compagni, Erickson, Trento, 2003, p. 35].
NOTA:
Il tutoring rappresenta una modalità collaborativa di apprendimento e nello stesso tempo
favorisce gli scambi verbali e la collaborazione in coppie di bambini: ad uno viene assegnata la
funzione di tutor (che esplica le funzioni dell‟insegnante) e all‟atro di tutee (allievo).
Generalmente il primo si impegna per migliorarsi, con un conseguente incremento di abilità, e
il secondo ha l‟opportunità di avere un insegnamento individualizzato anche attraverso una
revisione dei rit mi di apprendimento. [Scheriani C., Bambini «sopra le r ighe». Bambini affetti
da Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività. Ricerca e trattamento nella scuola dell'obbligo ,
Armando, Roma, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Barbieri M., Storie e ritratti di studenti. Relazioni, narrazioni e tutoring di adolescenti nella
scuola, Gruppo Albatros, Viterbo, 2010.
Scheriani C., Bambini «sopra le righe». Bambini affetti da Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività. Ricerca e trat tamento nella scuola dell'obbligo, Armando, Roma, 2007.
Topping K., Peer-tutoring, School Psychology Quarterly, 10, 1, 29-40, 1995.
Topping K., Tutoring. L'insegnamento reciproco tra compagni, Erickson, Trento, 2003.
155
A
36
ABA
DEFINIZIONE:
Le origini de ll‟analisi comportamentale applicata (Applied Behavior Analysis/ABA) risalgono alla
fine degli anni Cinquanta e durante gli anni Sessanta, grazie al contributo innanzitutto di
Skinner (che ha coniato il termine «condizionamento operante») e di altri innume revoli
ricercatori, come Pavlov (che ha definito il paradigma sperimentale del «condizionamento
classico o rispondente») e Bandura. In questo periodo storico venne dimostrato come i principi
del comportamento studiati in laboratorio con animali potessero e ssere replicabili con soggetti
umani. Queste prime ricerche pioneristiche costituiscono le basi per lo sviluppo dell‟analisi
comportamentale applicata.
Nel 1968 il termine Applied Behavior Analysis viene utilizzato per la prima volta nella rivista
statunitense «Journal of Applied Behavior Analysis (JABA)».
L‟analisi comportamentale applicata nasce come approccio riabilitativo per le disabilità
intellettive ed evolutive, per essere in seguito adottata con successo per il trattamento
dell‟autismo. Fu Lovaas il primo a scoprire l‟efficacia di un intervento comportamentale precoce
e intensivo (programma conosciuto come «Young Autistic Project», 1980), conducendo una
ricerca su un campione di bambini con autismo confrontati con un gruppo di controllo.
L‟analisi comportamentale applicata è finalizzata a impiegare i dati che derivano dall‟analisi del
comportamento per comprendere e migliorare le relazioni che intercorrono fra determinati
comportamenti e le condizioni esterne. L‟ABA ha lo scopo ultimo di aumentare i comportamenti
adattivi e diminuire i comportamenti problematici. Nella ricerca applicata, i comportamenti da
osservare, misurare e modif icare vengono scelti sulla base del valore ecologico -sociale. Essi
devono inoltre essere misurabili secondo i parametri di durata, latenza, frequenza e intensità.
L‟ABA si avvale di osservazioni sia occasionali che sistematiche che hanno come obiettivo lo
svolgimento di un‟Analisi Funzionale (ABC) che definisce chiaramente quali sono gli
Antecedenti (A), i comportamenti (B) e le conseguenze (C). L‟Analisi F unzionale offre utili
informazioni per comprendere su cosa rinforziamo (più o meno consapevolmente) il soggetto.
Le caratteristiche principali dell‟ABA sono:
- la programmazione dell‟intervento al f ine di aumentare i c omportamenti adattivi e controllare
quelli disfunzionali;
- l‟inizio precoce dell‟intervento (in genere prima dei 4 anni di età del bambino);
- la generalizzazione degli apprendimenti ai contesti naturali: insegnare al bambino ad
emettere il comportamento desiderato in contesti diversi fra loro, con persone differenti e
mantenendolo nel tempo;
- il programma deve essere intensivo, coinvolgendo il bambino e la sua famiglia in molti
momenti della giornata.
I luoghi privilegiati dove svolgere l‟intervento sono la casa, la scuola e gli ambienti dove il
bambino trascorre gran parte del proprio tempo. L‟obiettivo è quello di aiutare il bambino a
vivere in un mondo reale e non artificiale.
156
Tra i principi di base dell‟ABA troviamo innanzitutto il rinforzo o rinforzamento, processo
mediante il quale le conseguenze di un‟azione hanno un effetto positivo sul comportamento.
Per essere efficace il rinforzo deve essere immediato e contingente. Un altro principio
fondamentale è il prompting, ovvero il suggerimento (fisico, gestuale, visivo) che viene dato al
soggetto perché giunga a una corretta emissione del comportamento. Il fading o attenuazione
significa attenuare in modo graduale il prompt, fino ad arrivare all‟emissione autonoma del
comportamento. L‟errorless learning o apprendimento senza errori è una tecnica di
insegnamento che usa uno stimolo aggiuntivo con funzione di aiuto ( prompt) che serve,
inizialmente, per impedire che il soggetto sbagli durante una sessione di apprendimento
strutturata. Lo shaping o modellaggio si riferisce all‟insegnamento di un comportamento
complesso attraverso passi intermedi, con la finalità di arrivare a una corretta esecuzione dello
stesso. Il chaining o concatenamento consiste nel scomporre l‟insegnamento di abilità
particolarmente complesse per la persona, collegandole in seguito tra loro all‟interno di una
catena di azioni. Il modeling o modellamento consiste nell‟osservare un modello competente
(es.: un adulto) che esegue il comportamento che si vuole insegnare al bambino mediante
l‟imitazione dello stesso. Con il termine estinzione ci si riferisce alla diminuzione di un
comportamento problema che fino a quel mo mento è stato rinforzato: la mancanza di
conseguenze, ignorando totalmente il comportamento in questione, conduce alla lunga alla sua
eliminazione.
L‟ABA ricorre inoltre all‟Insegnamento in Sessioni Separate o per Prove Discrete (DTT –
Discrete Trial Training), che procede scomponendo l‟insegnamento delle diverse aree di abilità
in parti più semplici per il soggetto, insegnando una parte di abilità per volta. Tale metodologia
comprende tre elementi fondamentali: lo Stimolo Discriminativo (SD), che precede il
comportamento (nel lavoro strutturato consiste nella richiesta da parte dell‟operatore), la
Risposta (R), ovvero il comportamento che il bambino deve emettere in seguito a uno stimolo
discriminante, e lo Stimolo di Rinforzo (SR), cioè la conseguenza che segue il comportamento.
CITAZIONE:
L‟analisi comportamentale applicata è l ‟«applicazione dei principi del comportamento per
incrementare specifici comportamenti e contemporaneamente valutare i cambiamenti
attribuibili a tale processo. L‟ABA enfatizza la valutazione continua del trattamento
comportamentale attraverso una sistematica raccolta dei dati, affinché i risultati non siano
inficiati da variabili estranee al trattamento». [Baer D., Wolf M. e Risley R., Some current
dimensions of applied bahavior analysis, Journal of Applied Behavior Analysis, 1, pp. 91-97,
1968, citati in Moderato P. e Copelli C., L‟analisi comportamentale applicata, Autismo e disturbi
dello sviluppo, 8, 1, 2010, p. 31].
NOTA:
Il comportamento in sé, nella sua descrizione statica, non è oggetto di interesse: l‟attenzione
della Behavior Analysis è posta sulla definizione dinamica delle interrelazioni tra classi di
stimoli che rappresentano la situazione antecedente, la risposta o comportamento e una classe
di stimoli che costituiscono la situazione conseguente. [Skinner B.F., Science and human
bahavior, McMillan, New York, 1953, trad. it. Scienza e comportamento, FrancoAngeli, Milano,
1971].
BIBLIOGRAFIA:
Bear D., Wolf M. e Risley R., Some current dimensions of applied bahav ior analysis, Journal of
Applied Behavior Analysis, 1, pp. 91-97, 1968.
Cooper J., Heron W. E Heward W., Applied Behav ior Analysis, Prentice-Hall, Englewood Cliffs,
2007.
157
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Lovaas O.I., Behavioral Treatment and Normal Educational and Intellectual Functioning in
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Maurice C., Green G. e Luce S.C. (con la collaborazione di), Behavioral Intervention for Young
Children with Autism: A manual for Parents and Professionals , Texas, Austin,1996, trad. it.
Intervento precoce per bambini con autismo. Un manuale per genitori e specialisti, Junior,
Azzano S. Paolo, 2005.
Moderato P. e Copelli C., L‟analisi comportamentale applicata, Autismo e disturbi dello
sviluppo, 8, 1, 2010, pp. 9-36.
Skinner B.F., Science and human behavior, McMillan, New York, 1953, trad. it. Scienza e
comportamento, Franco Angeli, Milano, 1971.
158
T
37 TEACCH
DEFINIZIONE:
Il programma TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication
Handicapped Children) è nato nella Carolina del Nord ad opera di Eric Schopler e della sua
équipe (1971) e rappresenta una modalità di presa in carico globale della persona con disturbo
dello spettro autistico. Tra gli approcci che, negli ultimi trent‟anni, si sono posti l‟obiettivo di
rispondere ai bisogni delle persone con autismo e delle loro famiglie, il programma TEACCH si
è distinto per rigore metodologico ed efficacia.
Tale intervento prevede un‟organizzazione degli spazi, dei tempi e delle attività mediante una
chiara strutturazione visuo-spaziale che rende maggiormente prevedibile il contesto.
L‟organizzazione concreta della sequenza di azioni o attività che si svolgono nel tempo si
traduce nella costruzione di uno schema della giornata, composto da oggetti, immagini,
fotografie, scritte, o anche vere e proprie agende, a seconda delle abilità della persona. Le
persone con disturbo dello spettro autistico o con ritardo mentale grave necessitano di un
ambiente coerente e prevedibile, poiché hanno difficoltà a tollerare qualsiasi ca mbiamento
improvviso generato dall‟ambiente circostante. La strutturazione visiva aiuta il soggetto a
comprendere cosa ci si aspetta da lui in un dato momento, in un dato luogo, dove dovrà
impegnarsi, per quanto tempo, cosa succederà dopo. Gli ausili utilizzati sono solitamente di
tipo visivo: fotograf ie, disegni, oggetti o etichette scritte. È bene, inoltre, eliminare o ridurre
stimoli potenzialmente in grado di distrarre la persona e preparare attività che «parlino da sé»,
suggerendo cosa fare e come, poiché una delle difficoltà fondamentali delle persone con
disturbo autistico è quella di riconoscere alle attività un signif icato socialmente condiviso,
significato che normalmente costituisce la molla dell‟apprendimento.
Il programma dovrebbe essere impiegato non solo a casa del soggetto, bensì in tutti i suoi
ambienti di vita, dalla scuola al centro riabilitativo, dal laboratorio protetto alle strutture o
case-famiglia per adulti, e in senso sia «orizzontale» che «verticale», cioè in ogni momento
della giornata, in ogni periodo dell‟anno e della vita.
Poiché il disturbo autistico è da ritenere come organico e irreversibile, il programma non si
prefigge il raggiungimento della «normalità», ma piuttosto il potenziamento delle autonomie
personali della persona, migliorando la sua qualità di vita e di adattamento nella società. Il
TEACCH ha proprio lo scopo di favorire lo svolgimento indipendente di compiti e azioni
quotidiane.
I genitori vengono coinvolti nel programma di intervento, svolgendo un lavoro parallelo a
quello dei terapisti.
CITAZIONE:
«I terapisti della Division TEACCH hanno [… ] cominciato a sperimentare modi di insegnare che,
per aggirare le difficoltà del ragazzo autistico, sfruttavano una organizzazione di spazi, compiti
e materiali visivo-spaziale. Di qui l‟attenzione alle componenti v isive che potevano aiutare i
bambini a comprendere le sequenze di compiti nel tempo, la ricerca di uno schema di lavoro
adatto alle caratteristiche di funzionamento di ogni ragazzo ». [Micheli E. e Zacchini M., Verso
l‟autonomia. La metodologia TEACCH del lavoro indipendente al serv izio degli operatori
dell‟handicap, Vannini, Gussago, 2007, p. 18].
NOTA:
159
Ogni bambino con autismo è unico e per questo l‟intervento dovrà essere altamente
personalizzato: l‟approccio TEACCH non propone un percorso rigido da applicare passo per
passo a tutti i bambini, ma fornisce linee e strumenti per individuare i punti di forza, gli stili di
apprendimento, le difficoltà, gli obiettivi e le priorità di ciascuno. [Arduino G., Avagnina N.,
Danna E., Destefanis L., Gonella E., Peirone S. e Terzuolo C., L'approccio TEACCH: esperienze
ambulatoriali, domiciliar i e scolastiche con un gruppo di bambini autistici, Difficoltà di
apprendimento, 8, 1, 2002, pp. 85-102].
BIBLIOGRAFIA:
Arduino G., Avagnina N., Danna E., Destefanis L., Gonella E., Peirone S. e Terzuolo C.,
L'approccio TEACCH: esperienze ambulatoriali, dom iciliar i e scolastiche con un gruppo di
bambini autistici, Difficoltà di apprendimento, 8, 1, 2002, pp. 85-102.
Mesibov G.B. e Shea V., The TEACCH program in the era of evidence-based practice, Journal of
Autism and Developmental Disorders, 40, 2010, pp. 570-579, trad. it. Il programma TEACCH
nell‟era della pratica basata sull‟evidenza, Autismo e disturbi dello sviluppo, 11, 1, 2013, pp. 930.
Mesibov G.B., Shea V. e Schopler E., The TEACCH Approach to Autism Spectrum Disorders,
Springer, New York, 2004.
Micheli E. e Zacchini M., Verso l‟autonom ia. La metodologia TEACCH del lavoro indipendente al
servizio degli operatori dell‟handicap, Vannini, Gussago, 2007.
Schopler E., Mesibov G.B. e Hearsey K., Insegnamento strutturato nel sistema TEACCH,
Apprendimento e cognizione nell‟autismo, McGraw-Hill, Milano, 1998, pp. 277-306.
Sepe D., Onorati A., Zeppetella L., Folino F., Totino M.G. e Manga naro V., L‟intervento precoce
nell‟autismo: integrazione tra TEACCH e contenimento emotivo. Uno studio su caso singolo ,
Autismo e disturbi dello sviluppo, 8, 2, 2010, pp. 235-252.
Visconti P., L‟approccio TEACCH, in M.M. Formica (a cura di), Trattato di Neurologia
Riabilitativa, Cuzzolin, Napoli, 2003, pp. 951-986.
160
C
38 CAA
DEFINIZIONE:
La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è definita come quell‟area di intervento che
cerca di compensare la menomazione o la disabilità di persone con gravi dis ordini espressivi,
attraverso l‟uso di modalità di comunicazione non verbali. Viene detta «aumentativa» perché
ha la finalità di accrescere e potenziare le preesistenti modalità comunicative, e «alternativa»
perché si riferisce a codici sostitutivi al sist ema verbale.
La Comunicazione Aumentativa Alternative nasce a Toronto, presso il Crippled Children‟s
Centre, agli inizi degli anni Settanta, per offrire opportunità comunicative a bambini
tatraparetici. L‟acronimo «CAA» è stato coniato negli Stati Uniti nel 1983 con la costituzione
dell‟ISAAC ( International Society Augmentative Alternative Communication), un‟associazione
internazionale che riconosce ad ogni individuo il diritto di comunicare anche in situazioni di
grave impedimento verbale.
Rientrano quindi nella CAA qualsiasi strumento, dispositivo, immagine, parola, oggetto,
simbolo o gesto che compensa le diff icoltà di comunicazione espressiva e recettiva. La
comunicazione, infatti, non avviene necessariamente sempre sotto forma di linguaggio
verbale: essa è uno scambio di informazioni che può avvenire tramite qualsiasi mezzo.
La CAA prevede sempre due o più individui: la persona con difficoltà di linguaggio e il partner
comunicativo. La CAA deve essere utilizzata da entrambi i partner comunicativi, poiché
consiste in uno scambio.
Tra gli strumenti maggiormente utilizzati per la CAA troviamo il programma PECS ( Picture
Exchange Communication System), le tabelle comunicative in materiale cartaceo per
l‟indicazione manuale, il linguaggio dei segni, le tavole di comunicazione con emissione vocale
di messaggi pre-registrati (VOCA – Vocal Output Communication Aid) e i comunicatori con
uscita in voce sintetica.
Poiché la CAA è uno strumento di comunicazione visivo, essa viene spesso utilizzata con
persone con disturbo dello spettro autistico, il cui canale visivo è una fonte importantissima per
ricevere informazioni.
Le strategie di CAA non vengono sostituite al verbale, se esso è presente o se può emergere,
ma servono al contrario per arricchire il linguaggio r icettivo ed espressivo. La persona, infatti,
tende ad usare il mezzo comunicativo più veloce, più efficace e più accessibile per far fronte ai
propri bisogni, quindi, essendo il linguaggio verbale una forma di comunicazione immediata e
pratica, se il soggetto è in grado di sviluppare tale forma di comunicazione tenderà
probabilmente a preferire questa a qualsiasi altra forma. Evidenze scientifiche hanno rilevato
come la CAA non impedisca l‟uso del linguaggio verbale, ma anzi ne implementi l‟evoluzione,
aume ntando le abilità di comunicazione e l‟interazione.
CITAZIONE:
«Gli strumenti, gli ausili e le strategie di CAA servono ad aumentare, mantenere o migliorare la
capacità di una persona di comunicare, ampliando le abilità che già possiede o fornendo un
mezzo alternativo laddove necessario». [Cafiero J.M., Comunicazione Aumentativa Alternativa.
Strumenti e strategie per l‟autismo e i deficit di comunicazione , Erickson, Trento, 2010, p. 20].
NOTA:
161
Ultimamente
nell‟espressione
Comunicazione
Aumentativa
Alternativa,
l‟aggettivo
«alternativa» viene usato sempre meno, perché può rimandare alla «sostituzione» del
linguaggio verbale con altri sistemi. La filosofia della CAA, al contrario, è di integrare e
supportare le diverse modalità comunicative della persona. [ Rivarola A., Pr incipi e pratica in
Comunicazione Aumentativa Alternativa, Atti del seminario Autismo e Comunicazione
Aumentativa e Alternativa, Milano 7 ottobre 2005].
BIBLIOGRAFIA:
Cafiero J.M., Meaningful Exchanges for People with Autism. An Introduction to Augmentative
and Alternative Communication, Woodbine House Inc., U.S., 2005, trad. it. Comunicazione
Aumentativa Alternativa. Strumenti e strategie per l‟autismo e i deficit di comunicazione ,
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Fronticelli G., Finalità e strumenti della comunicazione aumentativa alternativa con bambini
con ritardo mentale, in Vianello R., Mariotti M. e Serra M. (a cura di), Ritardo mentale e
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Frost L. e Bondy A., The Picture Exchange Communication System Training Manual, Cherry
Hill, New Jersey, 1994.
Frost L. e Bondy A., The Picture Exchange Comm unication System (PECS), Pyramid
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Gava M.L., La Com unicazione Aumentativa Alternativa tra pensiero e parola. Le possibilità di
recupero comunicativo nell‟ambito delle disabilità verbali e cognitive , FrancoAngeli, Milano,
2007.
Hodgdon L.A., Strategie visive per la comunicazione, Vannini, Brescia, 2004.
National Commitee for the Communication Needs of Persons with Severe Disabilities, Carta dei
diritti della comunicazione, trad. it. A cura del Servizio di Comunicazione Aumentativa e
Alternativa del Centro Benedetta d‟Intino di Milano, testo disponibile al sito:
http://www.isaacitaly.it/pdf/cartadiritticomunicazione.pdf
Visconti P., Peroni M. e Ciceri F., Immagini per parlare. Percorsi di comunicazione aumentativa
alternativa per persone con disturbi autistici, Vannini Editrice, Gussago, 2007.
162
L
39 LIS
DEFINIZIONE:
La LIS (Lingua dei Segni Italiana) è la lingua che le persone sorde utilizzano per comunicare e
che molti di loro considerano come lingua naturale, anche se usata in prospettiva di un
bilinguismo, nel senso che conoscono sia i segni che l‟italiano parlato e scritto. La lingua dei
segni può infatti tranquillamente convivere con la lingua parlata.
Non si sa quando siano nate le lingue dei segni, ma sicuramente esistono da quando è sorta la
prima comunicazione umana. Linguisti e ricercatori affermano che vi sono testimonianze di
lingue segnate presenti già nelle antiche civiltà in Cina, India, Mesopotamia, Egitto, Maya.
La lingua dei segni è considerata una lingua a tutti gli effetti, con proprie regole grammaticali,
sintattiche, morfologiche e lessicali. Ogni comunità ha la propria lingua dei segni: in Italia
abbiamo la Lingua dei Segni Italiana (LIS), negli USA troviamo l‟American Sign Language
(ASL), in Gran Bretagna il British Sign Language (BSL) ecc., e ciascuna ha le proprie specifiche
varianti territoriali e un forte legame con le rispettive culture di appartenenza.
Grazie alle ricerche linguistiche condotte dal gruppo dell‟Istituto di Psicologia del CNR
coordinato da Virginia Volterra, sulla scia degli studi effettuati negli USA da William Stokoe e
da Klima e Bellugi, anche in Italia, a partire dal 1980, viene dimostrato che la comunicazione
visivo-gestuale usata dai sordi italiani è una vera e propria lingua dotata di tutti i requisiti per
essere considerata tale.
Nella LIS l‟ordine de lle parole è diverso rispetto alla lingua italiana, al contrario di ciò che
avviene invece nell‟IS (Italiano Segnato) e nell‟ISE (Italiano Segnato Esatto), da considerare
non come una lingua ma solo come un supporto gestuale all'interno di un modello riabilitativo.
La LIS utilizza sia componenti manuali (ad esempio la configurazione, la posizione, il
movimento delle mani) che non-manuali, quali l‟espressione facciale, la postura ecc. I segni
utilizzati dalla LIS sono scomponibili in cheremi, ovvero delle unità minime che comprendono:
- il luogo, cioè lo spazio in cui viene eseguito il segno con il movimento delle mani, che va dal
capo alla cintola;
- la configurazione, ovvero la forma che la mano assume nell‟eseguire il segno;
- il movimento che le mani fanno per eseguire il segno;
- l‟orientamento, ossia la posizione del palmo della mano rispetto a sé o rispetto all‟altra mano.
L‟alfabeto manuale, o dattilologia, è la rappresentazione manuale delle lettere utilizzate nella
scrittura. Viene in genere utilizzato per «scrivere nello spazio» parole della lingua parlata o
scritta, ad esempio per vocaboli stranieri, nomi (di città, di persone) o termini che non
possiedono un corrispettivo in segni.
Per un bambino nato sordo o con una sordità acquisita nei primi a nni di vita, apprendere la
lingua parlata e scritta è un processo complesso e che richiede anni di terapia logopedica, una
precoce protesizzazione e un lungo e faticoso percorso educativo, per il bimbo e per la sua
famiglia. Non sentire i suoni, soprattutt o le frequenze su cui viaggia il linguaggio parlato,
ostacola l‟acquisizione spontanea della lingua verbale, così come avviene nel bambino udente,
che al contrario impara a parlare in modo naturale e spontaneo. Per il bambino sordo è
163
fondamentale innanzitutto far propri gli strumenti della comunicazione, per garantire il suo
sereno e completo sviluppo socio-affettivo e cognitivo. Per anni si è commesso l‟errore di
mettere in competizione e antitesi la lingua parlata e la lingua dei segni. È fondamentale al
contrario che alla persona sorda siano rese accessibili tutte le opportunità comunicative e
linguistiche funzionali alla sua crescita, educazione e autonomia personale, in una prospettiva
che promuova il bilinguismo: lingua parlata/scritta e lingua dei seg ni. La LIS non «uccide la
parola», ma costituisce anzi una modalità linguistica complementare estremamente preziosa
quale supporto didattico alla terapia logopedica e all‟insegnamento della lingua
parlata/scritta.
CITAZIONE:
«La plurim inorazione sensoriale e cognitiva rende ancora più complesso l‟accesso
all‟apprendimento della lingua orale, pertanto la LIS diventa in tali contesti l‟unico sistema
simbolico che potrà consentire al bambino una comunicazione autonom a e lo sviluppo delle
altre sue potenzialità. Inoltre troppo spesso gli interventi tendono a concentrarsi solo sul deficit
uditivo e sulle sue conseguenze sull‟acquisizione del linguaggio verbale, mentre vengono
trascurate le esigenze psicologiche del bamb ino, che possono trasformarsi in disagi relazionali
nella vita adulta della persona sorda». [Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A. (a
cura di), I segni raccontano. La Lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e
metodologie, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 17].
NOTA:
La lingua dei segni risponde ai criteri di un autentico linguaggio, che consistono essenzialmente
nella capacità di combinare in modo regolare e sistematico i vari elementi della lingua in unità
di livello superiore, dai fonemi ai morfemi e dai morfemi alle frasi. [Bagnara C., Fontana S.,
Tomasuolo E. e Zuccalà A. (a cura di), I segni raccontano. La Lingua dei Segni Italiana tra
esperienze, strumenti e metodologie, FrancoAngeli, Milano, 2009].
BIBLIOGRAFIA:
Bagnara C., Corazza S., Fontana S. e Zuccalà A., I segni parlano. Prospettive di ricerca sulla
Lingua dei Segni Italiana, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A. (a cura di), I segni raccontano. La Lingua
dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Cardinaletti A., Cecchetto C. e Donati C. (a cura di), Grammatica, lessico e dimensioni di
variazione nella LIS, FrancoAngeli, Milano, 2011.
Caselli C. e Corazza S., LIS. Studi, esperienze e ricerche sulla lingua dei segni in Italia, Edizioni
Del Cerro, Pisa, 1997.
Caselli M.C, Maragna S. e Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sv iluppo
e nell‟educazione, Il Mulino, Bologna, 2004.
Maiorano M., Manuale di insegnamento del c odice Braille, Laterza, Bari, 2006.
Romeo O., Dizionar io dei segni: la lingua dei segni in 1400 immagini, Zanichelli, Bologna,
2003.
Volterra V. (a cura di), I segni come parole. La comunicazione dei sordi, Bollati Boringheri,
Torino, 1981.
Volterra V. (a cura di), La lingua dei segni italiana: la comunicazione visivo-gestuale dei sordi,
Il Mulino, Bologna, 2004.
Volterra V., La Lingua Italiana dei Segni, Il Mulino, Bologna, 1987.
Zuccalà A. (a cura di), Cultura del gesto e cultura della parola: viaggio antropologico nel
mondo dei sordi, Meltemi, Roma, 2001.
164
B
40 BRAILLE
DEFINIZIONE:
Il codice Braille è un tipo di scrittura a punti in rilievo usato dalle persone non vedenti per
leggere e scrivere. Si legge mediante i polpastrelli delle dita e si scrive utilizzando specifici
ausili tiflotecnici.
Questa scrittura fu inventata in F rancia, nel 1829, dal non vedente Louis Braille, e si diffuse in
tutto il mondo. Nel 1878, al Congresso Internazionale di Parigi, il Braille f u dichiarato
universalmente la scrittura dei non vedenti, usata in tutto il mondo e per tutte le lingue.
Il Braille è il frutto di un‟intuizione geniale, quella che anche senza gli occhi sia comunque
possibile leggere e scrivere. Prima di arrivare al codice Braille, numerosi furono i tentativi volti
a dare la possibilità ai ciechi di poter leggere e scrivere. Un esempio è l‟esperimento di Valentin
Haüy (Francia, 1745-1822), che ideò un sistema di lettura che consisteva nell‟imprimere sul
foglio di pergamena lettere in caratteri normali legger mente ingrandite, da leggere mediante il
tatto. Il Braille fu il risultato del perfezionamento e della rielaborazione delle precedenti
sperimentazioni. A differenza degli altri sistemi di lettura per ciechi, però, il metodo Braille
utilizza segni graf ici c ompletamente diversi da quelli per la scrittura per vedenti, perché
specificamente studiato per adattarsi alla sensibilità tattile del polpastrello.
Il sistema Braille è racchiuso in un rettangolino immaginario, formato da due f ile parallele di
tre puntini ciascuna, poste in senso verticale: uno in alto, uno al centro e uno in basso nella
fila sinistra, uno in alto, uno al centro e uno in basso nella fila destra. A seconda della quantità
e della posizione che i puntini andranno ad assumere all‟interno di questo rettangolino
immaginario, si ottengono i diversi segni della scrittura Braille. Ogni segno rappresenta una
lettera, un numero, un segno di interpunzione, un simbolo arit metico e così via. Combinando in
tutti i possibili modi i sei puntini si possono ottenere 64 combinazioni, che costituiscono i 64
segni del sistema Braille.
Ad oggi il codice Braille è stato applicato in tutte le discipline, compresa l‟informatica e la
matematica superiore.
Per la produzione della scrittura in rilievo, si possono usare diversi ausili: strumenti di tipo
manuale (ad esempio la tavoletta Braille, composta da un piano rettangolare in plastica o
metallo, solcato orizzontalmente da delle scanalature regolari, su cui poggia una cornice, sopra
la quale si posiziona un righello formato da 24 casellini, e su cui si scrivere con un punteruolo),
ausili meccanici (la macchina Dattilobraille), ausili elettronici a scrittura permanente (come la
stampante Braille), strumenti elettrici che non utilizzano un supporto cartaceo (il display
Braille, che agisce esattamente come lo schermo di un computer).
CITAZIONE:
«Quello messo a punto da Louis Braille rappresenta il primo esempio compiuto ed efficace nella
storia di codice non visivo per rappresentare simboli pensati per il canale visivo. Fino ad allora,
a parte alcuni lodevoli tentativi, leggere e scrivere veniva automaticamente associato con la
vista [… ]. Braille partì non dalla forma esteriore del segno, ma dalla sostanza ». [Biblioteca
Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", L'alfabeto Braille come fondamento
dell'emancipazione culturale e sociale dei ciechi, Biblioteca Italiana per i Ciechi, Monza, 2002,
pp. 25-26].
NOTA:
165
La scrittura Braille può essere affiancata, ma mai sostituita dal solo uso del computer o dalla
lettura da parte di altri. Questo tipo di mediazione priva la persona non vedente delle
possibilità di produrre autonomamente un pensiero scritto, di esaminare l‟ortograf ia, la
punteggiatura, e di fatto rimarrà in uno stato di analfabetismo, poiché dovrà sempre dipendere
da un computer o da un‟altra persona per poter leggere, istruirsi, esprimersi e comunicare per
iscritto. [Maiorano M., Manuale di insegnamento del codice Braille, Laterza, Bari, 2006].
BIBLIOGRAFIA:
Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", L'alfabeto Braille come fondamento
dell'emancipazione culturale e sociale dei ciechi, Biblioteca Italiana per i Ciechi, Monza, 2002.
Bongi M., Sulla punta delle dita. Il metodo Braille, l‟alfabeto dei non vedenti, Morea, Torino,
1999.
Henri P., La vita e l'opera di Louis Braille, Monza, Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2000.
Maiorano M., Manuale di insegnamento del codice braille, Laterza, Bari, 2006.
Quatraro A. e Ventura E., Il braille: un altro modo di leggere e di scrivere, Bulzoni, Roma,
1992.
Zappaterra T., Braille e gli altri. Percorsi storici di didattica speciale, Unicopli, Milano, 2003.
166
T
41. TRAINING COGNITIVI
DEFINIZIONE:
I training cognitivi sono definibili come interventi che forniscono una pratica strutturata ed
estensiva su compiti rilevanti in aspetti del funzionamento cognitivo (memoria, attenzione,
linguaggio o funzioni esecutive), mediante esercizi direttamente volti a modificare il
funzionamento o il deterioramento cognitivo. I training cognitivi mirano dunque alla
riabilitazione delle singole abilità cognitive compromesse nella persona.
I training cognitivi hanno inoltre il fine di migliorare il livello della prestazione nel problem
solving, diminuendo l‟impulsività e aumentando la concentrazione sul compito.
I numerosi protocolli riabilitativi che fanno riferimento a training cognitivi, differiscono per
molte variabili: la durata e la frequenza delle sessioni, il grado di specificità (alcuni si
focalizzano su abilità e strategie specifiche, mentre altri assumono un approccio olistico e
multimodale), il setting (sessioni individuali o di gruppo) e la modalità di somministrazione
(carta e matita, training computerizzato ecc.).
L‟efficacia del trattamento dovrebbe essere valutata mediante strumenti che considerino il
miglioramento nei punteggi ottenuti al compito specifico utilizzato durante il training e a uno
strumento di indagine delle abilità nella vita quotidiana.
CITAZIONE:
«Sono stati messi a punto programmi di intervento non farmacologico, denominati
riabilitazione cognitiva o p iù correttamente “training cognitivo”, aventi come obiettivo i deficit
delle funzioni cognitive dei pazienti affetti da schizofrenia. Studi recenti hanno m ostrato
l‟efficacia di questi interventi nel migliorare le f unzioni cognitive e/o l‟esito funzionale » [Piegari
G., Galderisi S., Mucci A. e Maj M., La riabilitazione cognitiva e psicosociale nei pazienti affetti
da schizofrenia, Aggiornamenti in psichiatria, 15, 3, 223-238, 2009, p. 224].
NOTA:
Partendo da materiale standardizzato, i training cognitivi danno la possibilità di graduare il
livello di difficoltà degli esercizi sulla base delle modif icazioni individuali. [Clare L., Woods R.T.,
Moniz Cook E.D., Orrell M. e Spector A., Cognitive rehabilitation and cognitive training for
early-stage Alzheumer‟s disease and vascular dementia, Cochrane Database Syst Rev, 4,
2003]
BIBLIOGRAFIA:
Bornas X. e Servera M., Cognitive training programs to reduce impulsivity-related achievement
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Clare L., Woods R.T., Moniz Cook E.D., Orrell M. e Spector A., Cognitive rehabilitation and
cognitive training for early-stage Alzheumer‟s disease and vascular dementia, Cochrane
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Cristini C., Porro A. e Cesa-Bianchi M., Le capacità di recupero dell'anziano. Modelli, strumenti
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Fabio R.A., Brain f itness. Training per il potenziamento delle capacità cognitive degli adulti,
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167
Piegari G., Galderisi S., Mucci A. e Maj M., La riabilitazione cognitiva e psicosociale nei pazienti
affetti da schizofrenia, Aggiornamenti in psichiatria, 15, 3, 223-238, 2009.
Powell T. e Malia K., Training di riabilitazione cognitiva. Esercizi di memor ia, abilità di pensiero
e funzioni esecutive dopo una lesione cerebrale, Erickson, Trento, 2009.
168
T
42. TRAINING METACOGNITIVI
DEFINIZIONE:
Verso la f ine degli anni Settanta, nell‟ambito della psicologia cognitiva sono apparsi i primi
studi relativi alla metacognizione. Dalla semplice analisi dei processi cognitivi, i ricercatori
hanno iniziato a interessarsi allo studio delle modalità che portano alla consapevolezza, da
parte della persona, dei processi mentali messi in atto.
Metacognizione significa «pensare sul pensiero» e si compone di due fattori:
- la consapevolezza che la persona possiede relativamente alla attività di pensiero, propria e in
generale (conoscenza metacognitiva);
- la sua capacità cognitiva di regolare e influenzare tale attività, elaborando e scegliendo
strategie di soluzione di problemi, controllandone la correttezza di applicazione e valutandone
l‟efficacia (processi metacognitivi di controllo).
E‟ importante che il bambino abbia un ruolo attivo nel costruire le proprie conoscenze
metacognitive.
Nei bambini con difficoltà specifiche di apprendimento o ritardo mentale è solitamente presente
una carente competenza metacognitiva, un importante fattore che può causare la cattiva
prestazione del bambino.
I training metacognitivi hanno l‟intento di sviluppare l‟autoregolazione dei processi mentali e
l‟automonitoraggio delle varie fasi di un compito o di qualunque situazione problematica. Sono
strutturati al fine di potenziare le abilita cognitive, migliorare l‟efficacia dei processi ment ali e
favorire l‟autonomia negli apprendimenti.
Molti studi hanno evidenziato il ruolo fondamentale dei training metacognitivi per la
promozione delle abilità di studio. Ciò signif ica che intervenire sugli aspetti metacognitivi,
promuove un atteggiamento strategico consapevole che ha dei risvolti significativi sulla
prestazione di studio, con la possibilità di generalizzare le competenze acquisite anche ad altre
discipline o ad altri contesti di apprendimento.
CITAZIONE:
Il ruolo del docente nei training metacognitivi «diventa quello della guida esperta che stimola
l‟alunno a progredire attraverso diversi livelli di competenza fino alla completa e consapevole
padronanza delle abilità. In particolare, se inizialmente il docente funge da modello e trasmette
all‟alunno tutte le spiegazioni necessarie a fargli conoscere le strategie, successivamente,
attraverso l‟esercizio guidato stimola l‟autonom ia dello studente, fornendogli feed -back sulla
sua prestazione e incoraggiandolo. » [Albanese O., Doudin P.A. e Mart in D. (a cura di), in
Metacognizione ed educazione. Processi, apprendimenti, strumenti, FrancoAngeli, Milano,
2003, p. 213].
NOTA:
I training metacognitivi si propongono di:
-
fare in modo che gli alunni sviluppino
d‟apprendimento;
rif lessioni più mature sul proprio proce sso
169
- rendere gli alunni capaci di identif icare e utilizzare le strategie più adeguate, di monitorare
l‟apprendimento e di usare le proprie conoscenze in maniera consapevole.
[Lucangeli D. e Cornoldi C., Metacognizione e matematica, in Metacognizione ed educazione,
Albanese O., Doudin P.A. e Martin D. (a cura di), FrancoAngeli, Milano, 1995].
BIBLIOGRAFIA:
Albanese O., Doudin P.A. e Martin D. (a cura di), in Metacognizione ed educazione. Processi,
apprendimenti, strumenti, FrancoAngeli, Milano, 2003.
Borkowski J.G. e Muthukrishna N., Didattica metacognitiva. Come insegnare strategie efficaci
di apprendimento, Erickson, Trento, 2011.
Donfrancesco R., Il training metacognitivo nei disturbi della scrittura: un‟esperienza clinica , in
Psichiatria dell‟infanzia e dell‟adolescenza, n. 63, pp. 705-712, 1996.
Ianes D. (a cura di), Ritardo mentale e apprendimenti complessi. Teorie e ricerche su
autoregolazione, metacognizione e generalizzazione, Erickson, Trento, 1998.
Lucangeli D. e Cornoldi C., Metacognizione e matematica, in Metacognizione ed educazione,
Albanese O., Doudin P.A. e Martin D. (a cura di), FrancoAngeli, Milano, 1995.
Pazzaglia F. e Rizzato R., Efficacia dei trattamenti metacognitivi nel m igliorare la comprensione
della lettura, Età Evolutiva, 68, 104-117, 2001.
Vio C., Offredi F., Marzocchi G.M., Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività:
sperimentazione di un training metacognitivo, Psicologia clinica dello sviluppo, 2, 241-262,
1999.
170
T
43. TRAINING DI AUTOREGOLAZIONE
DEFINIZIONE:
L‟autoregolazione sostiene l‟individuo nell‟aff rontare tutti gli eventi della vita, dalle sfide più
piccole a quelle più grandi. La mancanza di tale capacità comporta conseguenze invalidanti per
la persona.
Carenti capacità di autoregolazione semb rano caratterizzare numerose patologie dell‟età
evolutiva, tra cui i disturbi di comportamento, il disturbo da def icit di attenzione e iperattività,
il disturbo oppositivo provocatorio, il disturbo della condotta, i disturbi di apprendimento e i
disturbi pervasivi dello sviluppo.
I training di autoregolazione hanno la funzione di stimolare dall‟esterno il soggetto nel suo
sforzo di autoregolarsi. I processi esterni aiutano e sostengono la persona in una fase iniziale,
a cui deve seguire la volontà autonoma e consapevole, che permette alla persona una
interiorizzazione delle strategie autoregolative.
Per sviluppare l‟autoregolazione Zimmerman (2000) propone un training a quattro fasi:
a) Il primo esercizio è l‟osservazione o modeling, in cui la persona osserva un altro soggetto
abile nell‟autoregolazione che funge quindi da modello di comportamento e permette a chi lo
osserva di acquisire strategie efficaci.
b) La seconda fase è l‟emulazione: la persona imita il modello osservato, cercando di applicare
a sua volta quanto appreso durante il modeling.
c) Nella fase successiva la persona interiorizza progressivamente il modello di riferimento: è la
fase dell‟autocontrollo.
d) Infine la persona arriva all‟autoregolazione vera e propria: le strategie sono state
perfettamente integrate e il soggetto riesce a trasferirle anche in ambiti diversi.
Accanto all‟insegnamento di nuove abilità, può essere utile prevedere un sistema per motivare
il bambino a utilizzare tali abilità spontaneamente, ad esempio lodare, gratif icare i
comportamenti positivi oppure usare strategie di rinforzo che prevedano l‟uso di premi.
I training di autoregolazione devono sempre essere preceduti da una valutazione delle capacità
autoregolative del bambino: accertare i suoi punti di forza e di debolezza, al fine di fornire un
supporto adeguato allo sviluppo delle competenze e garantirgli la possibilità di trarre il
massimo beneficio dalle esperienze educative.
CITAZIONE:
I training di autoregolazione hanno «l‟obiettivo di cambiare le capacità del bambino, aiutandolo
a sviluppare o rafforzare le abilità alla base dei processi di autoregolazione » [Usai M.C.,
Traverso L., Viterbori P. e De Franchis V., Diamoci una regolata! guida pratica per promuovere
l'autoregolazione in casa e a scuola, FrancoAngeli, Milano, 2012, p. 85].
NOTA:
Per lo sviluppo dell‟autoregolazione sono importanti più aspetti: le funzioni deputate al
controllo cognitivo, come la capacità di tenere di tenere a mente delle informazioni ed
elaborarle, le abilità mentalistiche, come l‟abilità di riconoscere l‟esistenza di punti di vista
171
diversi, utili nelle relazioni sociali, e i processi di regolazione emotiva. [Liebermann D.,
Giesbrecht G.F. e Müller U., Cognitive and emotional aspects of self-regulation in preschoolers,
Cognitive Development, 22, 511-529, 2007].
BIBLIOGRAFIA:
Caponi B., Clama L. Re A.M. e Cornoldi C., Sviluppare la concentrazione e l'autoregolazione.
Giochi e attività sul controllo attentivo, Erickson, Trento, 2008. .
Cornoldi C., Iperattività e autoregolazione cognitiva. Cosa può fare la scuola per il disturbo da
deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento, 2001.
Ianes D. (a cura di), Ritardo mentale e apprendimenti complessi. Teorie e ricerche su
autoregolazione, metacognizione e generalizzazione, Erickson, Trento, 1998.
Liebermann D., Giesbrecht G.F. e Müller U., Cognitive and emotional aspects of self-regulation
in preschoolers, Cognitive Development, 22, 511-529, 2007.
Steer J. e Horst mann K., Aiutare gli alunni con ADHD a scuola. Strategie per promuovere
l'autoregolazione e il benessere in classe, Erickson, Trento, 2012.
Usai M.C., Traverso L., Viterbori P. e De F ranchis V., Diamoci una regolata! guida pratica per
promuovere l'autoregolazione in casa e a scuola, FrancoAngeli, Milano, 2012.
Zimmerman B.J., Attaining self-regulation: A social cognitive perspective, in Boekaerts,
Pintrich P.R. e Zedner M. (a cura di), Handbook of self-regulation, San Diego, Academic Press,
2000.
172
T
44. TRAINING COMPUTER ASSISTED
DEFINIZIONE:
La tecnica CAT (Training Computer Assisted) rientra nel campo della didattica lineare,
metodologia la cui matrice è data dalle teorie computazionali e dalla logica binaria. Sorse negli
anni „50 ed è una didattica tecnomorfa, legata alle premesse della rivoluzione informatica e
all‟utilizzo di tecnologie informatiche.
Il Training Computer Assisted ha diversi vantaggi: è interattivo, la presenza del tutore è
necessaria ma non indispensabile, è trasportabile e collegabile a qualunque supporto
informatico fisso o portatile. Inoltre, il Training Computer Assisted offre la possibilità di
produrre programmi di trattamento individualizzati, tenendo conto dei deficit specifici del
bambino.
Gli strumenti operativi del Training Computer Assisted sono:
1. CAI: Computer Assisted Instruction;
2. CBT: Computer Based Training.
Il Training Computer Assisted offre un supporto molto utile agli studenti con ADHD, che
generalmente dimostrano scarsa capacità di organizzazione cognitiva e deficit di abilità sociali.
CITAZIONE:
«Il Training Computer Assisted è un approccio utile per studenti con ADHD, che acquisiscono
grazie ad essi autocontrollo sui loro comportamenti.» [Chunzhen X., Reid R. e Steckelberg A.,
Technology applications for children w ith ADHD: assessing the empirical support , Education &
Treatment
of
Children,
2002.
Testo
disponibile
al
sito:
www.thefreelibrary.com/_/print/PrintArticle.aspx?id=88128540 [verif. 18.10.2013], p.
4].
NOTA:
Nell‟ambito specifico della riabilitazione neuropsicologica, l‟uso dei computer ha consentito
l‟esercizio di training impensabili precedentemente, come ad esempio la batteria di programmi
per il recupero dell‟afasia, che include una serie di procedure innovative, che non trovano un
corrispondente in programmi manuali o basati su carta e matita. [Del Corno F. e Lang M. (a
cura di), Elementi di psicologia clinica, FrancoAngeli, Milano, 2005]
BIBLIOGRAFIA:
Chunzhen X., Reid R. e Steckelberg A., Technology applications for children w ith ADHD:
assessing the em pir ical support , Education & Treat ment of Children, 2002. Testo disponibile al
sito: www.thefreelibrary.com/_/print/PrintArticle.aspx?id=88128540 [verif. 18.10.2013].
Del Corno F. e Lang M. (a cura di), Elementi di psicologia clinica, FrancoAngeli, Milano, 2005.
Günther V.K. et al., Long-term improvements in cognitive performance through computer assisted cognitive training: a pilot study in a residential home for older people, Aging Ment
Health, 7, 3, 2003.
Günther V.K., Schäfer P., Holzner B.J. e Kemmler G.W., Long-term improvements in cognitive
performance through computer-assisted cognitive training: A pilot study in a residential home
for older people, Aging & Mental Health, 7, 3, 200-206, 2003.
173
Kotwal D.B., Burns W.J. e Montgomery D.D., Computer-assisted cognitive training for ADHD: A
case study, Behavior Modification, 20, 1, 85-96, 1996.
Neri A., Cucchiarini C., Strik H. e Boves L., The Pedagogy-Technology Interface in Computer
Assisted Pronunciation Training, Computer Assisted Language Learning, 15, 5, 441-467, 2002.
Stenson N., Downing B., Smith J. e Smith K., The Effectiveness of Computer-Assisted
Pronunciation Training, CALICO Journal, 9, 4, 1992.
174
T
45. TRAINING SUI COMPORTAMENTI ADATTIVI
DEFINIZIONE:
Per comportamento adattivo si intende l‟insieme delle abilità adattive cognitive, sociali e
pratiche, apprese dalle persone per funzionare nella vita quotidiana.
Le limitazioni nel comportamento adattivo influenzano sia la vita quotidiana che
l‟apprendimento, così come anche le abilità di corrispondere ai cambiamenti esistenziali ed alle
richieste ambientali. La conseguenza è dunque la limitazione nell‟acquisizione di abilità
intellettive, nella partecipazione e interazione sociale.
I training sui comportamenti adattivi sono interventi psicoeducativi orientati a promuovere lo
sviluppo, l‟istruzione, gli interessi e il benessere personale del soggetto, con la finalità di
migliorare il funzionamento individuale.
I training sui comportamenti adattivi sono sempre preceduti da un‟osservazione
comportamento del bambino, allo scopo di individuare i comportamenti più disadattivi.
del
Secondo la prospettiva comportamentale, l‟uso delle tecniche di co ndizionamento operante
permette la riduzione dei comportamenti non adattivi (elevata distraibilità, impulsività,
comportamenti dirompenti) e l‟aumento dei comportamenti adattivi (maggiori capacità di
concentrazione, miglioramento dell‟autocontrollo, miglio ramento delle relazioni sociali)
mediante l‟erogazione di rinforzi in risposta ai comportamenti del bambino. I limiti di tali
tecniche a indirizzo comportamentale sono riscontrabili nelle difficoltà di mantenimento e di
generalizzazione dei risultati.
CITAZIONE:
Un esempio di training sui comportamenti adattivi è l‟utilizzo della Token Economy, in cui
«gettoni, bollini premio, gadget adesivi rappresentano simbolicamente i premi per l‟em issione
di comportamenti adattivi. Quando il bam bino avrà accumulato un determinato numero di
punti, essi potranno essere utilizzati per accedere a ricompense o privilegi » [Lo Sapio G.,
Manuale sulla disabilità. Dai bisogni educativi speciali ai programmi di integrazione scolastica,
Armando, Roma, 2012, p. 92].
NOTA:
Gli interventi basati sulla modificazione del comportamento sono adattabili anche ai casi di
grave disabilità, con un benef icio a livello di acquisizione delle capacità delle autonomie
personali. [Braddock D., Hemp R. e Rizzolo M.C., The State of the States in Developmental
Disabilities, AAIDD, Washington, 2008].
BIBLIOGRAFIA:
Braddock D., Hemp R. e Rizzolo M.C., The State of the States in Developmental Disabilities,
AAIDD, Washington, 2008.
Kozloff M.A., Il bambino handicappato. Problem i di apprendimento e di com portamento: un
intervento psicologico programmato, Giunti, Milano, 1981.
Lo Sapio G., Manuale sulla disabilità. Dai bisogni educativi speciali ai programmi di
integrazione scolastica, Armando, Roma, 2012.
Lumachi S., L‟intervento precoce nell‟autismo: il lavoro a casa con le famiglie, Autismo e
disturbi dello sviluppo, n.3, 2010.
175
T
46. TRAINING PERCETTIVI E SENSORIALI
DEFINIZIONE:
Il processo sensoriale è la capacità del cervello di elaborare correttamente l‟informazione
pervenuta attraverso i sensi.
Attualmente si ritiene che le percezioni con i diversi sensi non siano separate,
utilizziamo infatti più sensi contemporaneamente. Si parla infatti di
intermodali», riferendoci proprio alla capacità di mettere insieme le informazio ni
più canali percettivi, creando un‟unica rappresentazione mentale implicita.
sensoriale è un processo che avviene a livello inconscio.
comunemente
«coordinazioni
provenienti da
L‟integrazione
Quando viene alterata la complessa rete integrativo-sensoriale, subentrano deficit in nu merose
funzioni e vengono compromesse abilità ed attività. Il disordine funzionale può tradurs, per le
persone che hanno un def icit sensoriale-percettivo, in una riduzione della percezione (iposensibilità) oppure nel suo aumento (iper-sensibilità), ma spesso lo stesso bambino o ragazzo
può essere iposensibile per alcuni stimoli ed ipersensibile per altri.
I training o allenamenti percettivi e sensoriali consentendo spesso di riorganizzare la funzione
integrativa neurosensoriale. Essi possono essere effett uati attraverso giochi, attività o
mediante il supporto di software, per allenare e stimolare il sistema vestibolare, uditivo, visivo,
propriocettivo ecc.
CITAZIONE:
Migliorando la qualità della integrazione neurosensoriale aumenta la qualità della vision e, della
coordinazione motoria globale e oculo- manuale, della masticazione e delle prassie buccofacciali, della vocalizzazione, del linguaggio, della comprensione, quindi i processi di
apprendimento possono aver luogo e/o procedere speditamente. [ Disordine sensoriale. Testo
disponibile al sito: http://www.lesmomd.com/sensoriale.htm [verif. 13.10.2013].
NOTA:
Prendendo ad esempio in considerazione un training percettivo che va ad allenare l‟udito, si
andrà a lavorare su: detezione, discriminazione, identif icazione, riconoscimento e
comprensione; gli stimoli saranno di vario tipo: toni puri, rumori ambientali, fonemi, sillabe,
parole e sequenze di parole. [Nicastro R., Training percettivo-uditivo. Attività di detezione,
discriminazione, identif icazione, Erickson, Trento, 2011].
BIBLIOGRAFIA:
Basoli M., Ferraboschi A. e Tagliapietra S., Stimolare le abilità percettivo-uditive. Storie e script
per bambini ipoacusici, Erickson, Trento, 2008.
Disordine sensor iale. Testo disponibile al sito: http://www.lesmomd.com/sensoriale.htm
[verif. 13.10.2013.
Knill C., Contatto corporeo e comunicazione. La stimolazione f isica per lo sv iluppo relazionale
della persona con handicap, Erickson, Trento, 1994.
Nicastro R., Training percettivo-uditivo. Attività di detezione, discriminazione, identificazione ,
Erickson, Trento, 2011
Sher B. (2011). Prim i giochi per lo sviluppo sociale e le abilità motorie dei bambini autistici e
con disturbi sensoriali. Roma: Armando Editore.
176
S
47. SFONDO INTEGRATORE
DEFINIZIONE:
Il concetto di «sfondo integratore» si è sviluppato in ambito sistemico, partendo dalle
rif lessioni di Gregory Bateson e di tutta la scuola di Palo Alto. In Italia tale concetto è stato
introdotto da Andrea Canevaro e Paolo Zanelli.
Lo sfondo integratore è una metodologia di lavoro pedagogico e didattico. Esso non è uno
strumento per «motivare» i bambini ad apprendimenti già prestabiliti dagli adulti, bensì ha la
finalità di creare le condizioni necessarie a orientare il percorso formativo, procedendo in un
continuo processo di verif ica, valutazione e autovalutazione. L‟educatore ha dunque il compito
di sostenere gli autonomi processi di organizzazione cognitiva dei bambin i attraverso la
disposizione di elementi di «sfondo» che facilitino l‟attività degli alunni stessi, senza però
sostituirsi ad essi. Il rapporto educativo prevede una continua mediazione tra insegnante e
alunno, in modo che quest‟ultimo possa divenire attore del proprio percorso educativo.
Nello sfondo integratore anche gli alunni con disabilità trovano facilmente il proprio spazio di
espressione: tale strumento didattico, infatti, possiede un ampio potere relazionale, è cioè
capace di favorire il raccordo, la relazione tra abilità, spazi, momenti e linguaggi diversi.
Lo sfondo è uno strumento di lavoro che rende i bambini i veri protagonisti del processo
educativo. La programmazione in questo ambito ha dunque l‟obiettivo di essere di tipo
evolutivo, poiché la predisposizione da parte dell‟insegnante di uno sfondo integratore può
facilitare l‟autonoma organizzazione degli alunni. La programmazione, dunque, non è fissa, ma
è flessibile, si sviluppa in itinere e si costruisce sui bisogni dei bambini.
Nella pratica la programmazione si sviluppa in diverse fasi, partendo dall‟individuazione di un
tema che crei intrecci e collegamenti tra i diversi contenuti disciplinari e che favorisca un
apprendimento significativo nel rispetto delle intelligenze plurime degli al unni. Il collegio
docenti si occupa di trovare tali collegamenti disciplinari, attraverso i quali si realizza una rete
concettuale che favorisca l‟apprendimento di competenze e abilità. Questa fase deve sempre
essere preceduta da un periodo di osservazione e conoscenza reciproca tra insegnanti e alunni,
identif icando i possibili scenari in cui è possibile attuare determinati percorsi didattici.
Si procede poi con la def inizione dello sfondo, il quale ha un ruolo prioritario. Esso è formato
da spazi, tempi, regole e molto altro, e condiziona inevitabilmente il modo di apprendere e di
pensare delle persone coinvolte nel processo educativo. Lo sfondo ha una duplice valenza
connotativa: quella «istituzionale», che è costituita dall‟ambiente, e quella «narrativa », che
può essere una fiaba, un fatto particolarmente significativo, una ricerca, un laboratorio o
quant‟altro l‟insegnante possa pensare per raggiungere un determinato scopo.
La definizione degli obiettivi è un‟altra fase importantissima per la programma zione: gli
obbiettivi sono strettamente connessi con lo sfondo di riferimento. Nella programmazione si
passa poi all‟elaborazione dei «nuclei» (detti anche «nodi progettuali»), che sono le unità di
lavoro, mai rigidamente definite bensì aperte. La valutazione, in seguito, consiste nel mettere
in atto forme di monitoraggio continuo, come ad esempio l‟osservazione partecipante. Inf ine,
la documentazione ha lo scopo di far emergere la tipologia del percorso didattico.
CITAZIONE:
«Il modello appare molto appropriato per la scuola dell‟infanzia, grazie al carattere di
flessibilità del quale è portatore, ma è adatto anche per gli altri gradi di scuola; spicca
177
l‟interesse per il contesto relazionale ed in modo particolare per il piccolo gruppo. [… ] Il ruolo
del doc ente è assimilato a quello del regista, “facilitatore dell‟apprendimento”, colui che
allestisce i contesti d‟azione ed osserva gli alliev i ed i loro processi di auto -organizzazione
cognitiva. [… ] L‟imprevisto è ben accetto; il docente ha il compito di rendere significativo anche
ciò che non è atteso». [Bonazza V., Programmare e valutare l‟intervento didattico. Fondamenti
epistemologici, Guida Editori, Napoli, 2012, p. 95].
NOTA:
Nello sfondo integratore l‟insegnante, seppur non si porrà mai come f igura emer gente, sarà
sempre parte dello «sfondo» di apprendimento dei bambini, quindi non sarà nemmeno mai una
figura neutra. [Perrini R., Pianeta scuola. Dalla A come apprendimento alla V come valutazione ,
Armando, Roma, 2002].
BIBLIOGRAFIA:
Bonazza V., Programmare e valutare l‟intervento didattico. Fondamenti epistemologici, Guida
Editori, Napoli, 2012.
Boselli P., Animare i contesti scolastici 10 progetti a sfondo integratore per costruire una
convivenza formativa, Brescia, La Scuola, 2001.
Canevaro A., Lippi G. e Zanelli P. (a cura di), Una scuola uno sfondo. Sfondo integratore,
organizzazione didattica e complessità, Nicola Milano Editore, Bologna, 1988.
Nicolini P. e Scoccia F., La fiaba come sfondo integratore. Contesti strutturati per
l‟osservazione e lo sviluppo delle intelligenze nella scuola dell‟infanzia, Editore Junior,
Bergamo, 2008.
Perrini R., Pianeta scuola. Dalla A come apprendimento alla V come valutazione , Armando,
Roma, 2002.
Zanelli P., Uno sfondo per integrare. Esperienze di programmazione d i situazioni educative,
Cappelli Editore, Padova, 1986.
178
A
48. ADAPTIVE DEVICES
DEFINIZIONE:
Gli adaptive devices o ausili adattivi rientrano nella categoria delle tecnologie assistive per le
disabilità, le quali contribuiscono a semplificare la vita del le persone disabili, grazie all‟utilizzo
di strumenti tecnologici in grado di sopperire alle difficoltà che si presentano spesso in tali
soggetti. Il termine “assistive” indica l‟impiego che questa tecnologia ha nell‟aiutare i disabili a
esprimere appieno il loro potenziale, sopperendo alle loro difficoltà e permettendo loro un
maggior margine di autonomia.
Le tecnologie assistive sono strumentazioni tecniche che permettono alla persona disabile,
superando o riducendo le condizioni di difficoltà, di accedere alle informazioni e ai servizi
erogati dai sistemi informatici. Ciò è possibile attraverso l‟utilizzo di particolari strumenti
hardware e software che consentono di convertire l‟informazione non accessibile all‟utente in
un particolare formato, in un alt ro formato a lui accessibile (ad esempio: la barra Braille, la
sintesi vocale, il riconoscitore vocale ecc.) o che offrono un modo d‟uso dei dispositivi di input
adeguato alle speciali necessità dalla persona (mouse speciali, tastiere speciali, ingranditor i del
testo sullo schermo).
Le tecnologie assistive per la disabilità giocano un ruolo fondamentale nella scuola e
nell‟apprendimento in generale, poiché è proprio sugli studenti disabili che i nuovi supporti
tecnologici hanno trovato maggior impiego.
Gli adaptive devices estendono le abilità nelle attività quotidiane: si tratta di ausili, come anche
carrozzine o posate a impugnatura facilitata, che permettono la piena partecipazione alle
attività della vita, creando i presupposti per un ambiente che faciliti e non ostacoli la piena
autonomia del soggetto.
Molti sono i provvedimenti legislativi a supporto delle tecnologie assisstive, considerate come
uno straordinario strumento di eguaglianza.
CITAZIONE:
Per tecnologie assistive si intende «qualsiasi oggetto, equipaggiamento, prodotto o sistema,
anche modificato o personalizzato, che viene usato per aumentare, mantenere o migliorare le
abilità funzionali delle persone disabili». [Caf iero J.M., Comunicazione Aumentativa Alternativa.
Strumenti e strategie per l‟autismo e i deficit di comunicazione, Erickson, Trento, 2010, pag.
12]
NOTA:
Le tecnologie assistive assumono un ruolo compensativo essenziale nei confronti della
disabilità, consentono infatti al disabile di apprendere compensando le sue limitazioni o deficit.
[Firpo E., Le tecnologie assistive: superare le difficoltà causate dalla disabilità grazie agli ausili.
Testo disponibile al sito: http://studiopedagogico.altervista.org/assistive.pdf [verif.
15.10.2013]].
BIBLIOGRAFIA:
Besio S.,
, Pensa Multimedia, Lecce, 2005.
-
179
Cafiero J.M., Comunicazione Aumentativa Alternativa. Strumenti e strategie per l‟autismo e i
deficit di comunicazione, Erickson, Trento, 2010.
Capecchi V., Innovazione tecnologica a favore di persone anziane e disabili, Economia Italiana,
n. 1, 2004.
Diodati M., Accessibilità. Guida completa, Apogeo, Milano, 2007.
Firpo E., Le tecnologie assistive: superare le difficoltà causate dalla disabilità grazie agli ausili.
Testo disponibile al sito: http://studiopedagogico.altervista.org/assistive.pdf [verif.
15.10.2013].
Gitlin L.N., Levine R. e Geiger C., Adaptive dev ice use by older adults with mixed disabilities,
Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 74, 149-152.
180
S
49. STRUMENTI COMPENSATIVI
DEFINIZIONE:
Gli strumenti compensativi permettono al bambino di compensare le carenze funzionali
determinate da uno specifico disturbo e facilitare l‟apprendimento e lo studio attraverso
particolari attrezzature o strategie. Sono soprattutto gli alunni con DSA (Disturbo Specifico di
Apprendimento) a fruire maggiormente di strumenti compensativi, ma non bisogna
dimenticare gli alunni ipovedenti, ciechi, sordi o autistici. Le difficoltà manifestate da questi
alunni richiedono agli insegnanti di riflettere sul proprio modo di insegnare, ripensando la
didattica in modo tale da renderla più flessibile e più rispondente ai bisogni di ciascun
studente.
Gli strumenti compensativi aiutano il bambino/ragazzo a raggiungere un livello sufficiente per
l‟adattamento sociale e professionale.
La diffusione di tale consapevolezza nel mondo della scuola è recente, ovvero da quando, a
partire dal 2004, si sono avviati alcuni interventi normativi. Con la Nota Min. n. 4099/2004
viene per la prima volta evidenziata la necessità di adottare forme specifiche di diagnosi e di
tenere conto delle difficoltà di apprendimento degli alunni con DSA, attraverso l‟elaborazione di
specifici percorsi didattici. La Nota prot. n. 26/2005 ha poi stabilito che gli strumenti
compensativi devono essere utilizzati in tutte le fasi del percorso scolastico, compresi i
momenti di valutazione finale.
Gli strumenti compensativi svolgono la parte «automatica» della consegna e permettono alla
persona di concentrare l‟attenzione sui compiti cognitivi più complessi. Essi dunque non
incidono sul contenuto cognitivo, ma possono avere importanti ripercussioni sulla velocità e/o
la correttezza dell‟esecuzione della consegna e quindi sul risultato.
Tra gli strumenti compensativi comunemente utilizzati troviamo:
- computer con programmi di video-scrittura con correttore ortografico ed eventualmente
sintesi vocale;
- audiolibri, libri parlati;
- calcolatrice;
- registratore;
- tabella delle misure e delle formule geometriche;
- tavola pitagorica;
- tabelle grammaticali per l‟analisi dei verbi (per l‟italiano e le lingue straniere);
- tabella dei mesi, dell‟alfabeto e dei vari caratteri;
- uso di mappe durante le interrogazioni.
CITAZIONE:
«Non sempre tali strumenti sono accolti positivamente dal bambino/ragazzo. Il senso di disagio
vissuto, l‟angoscia e la frustrazione dei fallimenti, hanno ricadute sull‟autostima e sul senso di
autoefficacia personale; il soggetto potrà vivere tali aiuti come ulteriore segno di
181
emarginazione e di discriminazione dal resto della classe. Sarà pertanto cura degli insegnanti,
in stretta collaborazione con i genitori e gli specialisti, valutare quali possono essere le
strategie migliori per aiutare l‟alunno senza incidere sulla sua autostima e sul rapporto con i
compagni». [Benso E., Dislessia. Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e
giochi, Il Leone Verde, Torino, 2011, p. 70].
NOTA:
Se necessario, le tecnologie didattiche devono assumere il ruolo di strumenti compensativi, per
fare, per abilitare, per svolgere e rendere normali attività altrimenti precluse. [Parmigiani D. (a
cura di), Tecnologie per la didattica. Dai fondamenti dell‟antropologia multimediale all‟azione
educativa, FrancoAngeli, Milano, 2004].
BIBLIOGRAFIA:
Avon A., La legislazione scolastica: un sistema per il servizio di istruzione. Contenuti, significati
e prospettive tra riforme e sfide quotidiane, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Benso E., Dislessia. Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e giochi, Il Leone
Verde, Torino, 2011.
Bonaiuti G., Didattica attiva con la LIM. Metodologie, strumenti e materiali con la Lavagna
Interattiva Multimediale, Erickson, Trento, 2009.
Fogarolo F. e Scapin C., Com petenze compensative. Tecnologie e strategie per l'autonom ia
scolastica degli alunni con dislessia e altri DSA, Erickson, Trento, 2010.
Meloni M., Dislessia. Strumenti compensativi, Libri Liberi, Firenze, 2004.
Meloni M., Galvan N., Sponza N. e Sola D., Dislessia: strumenti compensativi, LibriLiberi,
Firenze, 2004.
Parmigiani D. (a cura di), Tecnologie per la didattica. Dai fondamenti dell‟antropologia
multimediale all‟azione educativa, FrancoAngeli, Mila no, 2004.
Zambotti F., Didattica inclusiva con la LIM. Strategie e materiali per l‟indiv idualizzazione ,
Erickson, Trento, 2010.
182
CAPITOLO IV
DIMENSIONE REFERENZIALE
- a cura di Mariateresa Cairo -
183
A
Altissimo potenziale intellettivo
DEFINIZIONE:
Un‟alta dotazione mentale si può manifestare nel possesso di un alto livello di intelligenza
generale, oppure in un alto livello di abilità specifica come la musica, la pittura, la meccanica,
la capacità di rapporti sociali. In entrambi i casi l‟aggett ivo alto pone il problema della
valutazione e permette di raggiungere un accordo solo se inteso nel senso della f requenza
scolastica (Gallagher J.J. , L‟educazione dei ragazzi dotati. Firenze: La Nuova Italia, 1970 e
Howe M.J.A., Bam bini dotati. Le radici psicologiche del talento, Raffaello Cortina, Milano, 1993)
Questa definizione rimanda ad un‟ importante distinzione f ra bambini globalmente molto
intelligenti, in cui è possibile parlare di dotazione multipla (multipotenziality), in quanto dotati
di una varietà di interessi, attitudini, abilità e capacità e bambini con un talento particolare,
una passione specifica (early emergence), in quanto contraddistinti da un interesse e da un
impegno quasi
“monomaniacale”
verso un argomento e/o una attività.
Ino ltre, tale
definizione ci permette di sottolineare come sia possibile riferirsi, parlando di dotazione, non
soltanto a prestazioni intellettive (abilità/capacità linguistiche e logico – matematiche,
ragionamento deduttivo e induttivo, capacità mnestiche, percettive, problem – solving), ma
anche artistiche (espressività e creatività nell‟ambito della danza, della musica, della pittura,
della scultura) psicomotorie (abilità fisiche utilizzate nell‟ambito dell‟arte, dello sport, delle
tecnologie) e inter/intra personali (abilità comunicative, decisionali, gestionali, capacità
empatica ed assertiva, capacità di spiegazione e comprensione).
La letteratura e la ricerca ( Cairo M.T., Supertotati e dotati. Itinerari educativi e didattici, Vita e
Pensiero, Milano, 2001 e Zanetti M.A. e Miazza D. – a cura di -, Piccoli ma geniali, ETS, Pisa,
2008) tende
ormai a presentare in modo concorde quelle che sembrano essere le
caratteristiche che accomunano i bambini ed i ragazzi superdotati. Fra di esse segnaliamo:
l‟asincronia nello sviluppo, ovvero la presenza di livelli di sviluppo disomogenei nell‟ambito
fisico, mentale, sociale e comportamentale (etico); la precocità, che può coinvolgere diverse
aree dello sviluppo. La precocità comporta l‟anticipo delle proprie prestazioni dai 2 ai 4 anni
rispetto ai compagni e, nei casi di superdotazione, la comparsa di competenze tipiche dell‟età
adulta con rit mi molto accelerati fra l‟infanzia e la fanciullezza; l‟ intensità, che va intesa come
desiderio e forte motivazione ad approfondire lo studio, la competenza e l‟esperienza in un
certo ambito, concentrandosi per lunghi periodi di tempo su un argomento e su una attività
che interessa ed incuriosisce; il pensiero complesso ed astratto formale, che raggiunge livelli
molto elevati. La capacità di saper far fronte alla complessità attraverso strategie adeguate e
pertinenti può essere ritrovata in diversi campi, nella teoria e nella pratica; l‟elevata creatività
porta i bambini e i ragazzi dotati ad evitare le attività ripetitive e strutturate, preferendo
sperimentare, mettere alla prova se stessi, trovare soluzioni originali e mostrare disponibilità
ad assumere rischi e a tollerare l‟ambiguità.
184
CITAZIONE:
“L‟individuo „grandioso‟ viene ammirato ovunque, e ha bisogno di questa ammiraz ione, non
può vivere senza di essa. Deve compiere in modo eccellente tutto ciò che fa, ed è anche in
grado di farlo (altrimenti non incomincia nemmeno). E‟ lui stesso ad ammirarsi per la propria
bellezza, intelligenza e genialità, come pure per i successi e i risultati ottenuti. Guai però se
qualcosa di tutto ciò gli viene a mancare: allora è la catastrofe, ed egli f inirà preda di una
grave depressione. […] esistono persone molto dotate che soffrono di gravi depressioni. Come
mai? Perché si è liberi dalla depressione quando l‟autostima si radica nell‟autenticità dei propri
sentimenti e non nel possesso di determinate qualità” (Miller A., Il dramma del bambino dotato
e la ricerca del vero sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 46).
“Eppure dovrebbe essere facile comprendere il disagio dei bambini iperdotati in una classe
normale: basterebbe chiederci come ci troveremmo alla loro età, costretti ogni giorno, per la
stragrande maggioranza del tempo, a seguire dei corsi insieme a una piccola folla di bambini
con un modo di pensare e un rit mo di ideazione diversissimi dal nostro. Basterebbe chiederci
come ci sentiremmo se non potessimo porre le domande che ci vengono in mente, perché noi
disturbiamo, gli altri no. Se dovessimo stare ad ascoltare cose già capit e e ripetute un numero
imprecisato di volte. Se fossimo costretti ad eseguire compiti per noi troppo facili. Se
avvertissimo che ci stanno limitando, che ci stanno impedendo di „andare oltre‟” (Mormando F.,
I bambini ad altissimo potenziale intellettivo. Guida per insegnanti e genitori, Erickson, Trento,
2011, p.30).
NOTA:
Fra le teorie più note dell‟intelligenza, che sono state utilizzate per spiegare la plusdotazione
ricordiamo: la teoria degli stili cognitivi (Cornoldi C., De Beni R., MT Gruppo, Imparare a
studiare, Erickson, Trento, 1993), la teoria triarchica (Sternberg J.R. e Spear – Sweling L., Le
tre intelligenze, Erickson, Trento, 1997), la teoria delle intelligenze multiple (Gardner H.,
Formae mentis, Feltrinelli, Milano, 1988), il modello dei t re anelli (Renzulli J.S., The Three Ring
Conceptions of Giftedness: a Developmental Model for Creative Productivityi in Sternberg R.J.
e Davinson J.E. – eds –Conceptions of Giftedness, University Press, Cambridge, 1986). Ad esse
se ne aggiungono altre che, oltre a considerare gli aspetti neuropsicologici e cognitivi, vanno
ad indagare l‟inf luenza dell‟ambiente e della personalità e l‟incidenza delle caratteristiche dei
compiti proposti (Cadamuro A., Stili cognitivi e stili di apprendimento: da quello che pe nsi a
come lo pensi, Carocci, Roma, 2004).
Un bambino prodigio è un bambino che raggiunge il livello intellettuale di un adulto prima che
siano trascorsi gli anni normalmente dedicati all‟istruzione dell‟obbligo. Questa anticipazione a
volte anche di vari anni nello sviluppo e nella maturazione di una o più aree della personalità o
del soma, in riferimento ai parametri che sono ritenuti nella norma, è una precocità. Questa
precocità è una superdotazione transitoria che resta aperta ad una duplice prospettiv a: può
trasformarsi in una superdotazione stabile, in una o più aree, oppure quello che si rivela un
vantaggio cronologico può venire riassorbito, fino al suo completo livellamento nella norma.
I bambini dotati in genere sono più veloci degli altri ad apprendere, ma hanno comunque un
proprio rit mo di apprendimento. Spesso compiono scoperte da soli e riescono ad intuire la
soluzione di un problema senza passare attraverso una serie di riferimenti logici lineari. I
bambini dotati sono spinti da una sorta di frenesia di imparare. Hanno un profondo interesse
per i campi in cui dimostrano grande abilità (per esempio la matematica o l‟arte) ed è facile
che si concentrino a tal punto su di essi da perdere la percezione del mondo esterno (interesse
ossessivo per l‟apprendimento).
185
I ragazzi superdotati presentano in famiglia e a scuola una serie di caratteristiche associate
alla loro intelligenza, quali la curiosità, la creatività, l‟inventiva, l‟anticipazione sugli altri.
Queste caratteristiche in genere mettono in c risi l‟adulto il quale sente minacciata la propria
sicurezza.
Una scuola troppo livellata crea le condizioni per una progressiva frustrazione di questi alunni, i
quali, mortificati nelle loro aspettative e nelle loro motivazioni profonde, cadono in ansia e
diventano preda di conflitti interiori. Si chiudono nell‟isolamento, trovano rifugio nella lettura,
diventano impopolari, si fanno introversi, non partecipano alla vita ludica degli altri.
BIBLIOGRAFIA
Fabio R.A. e Mainardi M.C., Geni e iperdotati mentali. Dinamiche psicologiche e interventi di
realizzazione del potenziale, Franco Angeli, Milano, 2008; Luzzo D., Un problema di
intelligenza: uno studio sui bambini intellettualmente precoci, Erickson, Trento, 2010
SITOGRAFIA
http://www.eurotalent.it
http://www.labtalento.unipv.it
http://www.unesco.it
http://www.plusdotazionetalento.it
186
A
Autismi/Disturbi pervasivi della sviluppo
DEFINIZIONE:
Il termine autismo deriva dal greco autùs, che significa “se stesso”, e fu utilizzato per la prima
volta nel 1908 da Eugen Bleuer, psichiatra svizzero, a indicare la difficoltà di socializzazione dei
soggetti schizofrenici. Negli anni Trenta e Quaranta del Novecento si svilupparono gli studi di
Leo Kanner e Hans Asperger, ritenuti i pionieri delle ricerche sull‟autismo, che utilizzarono il
termine autismo per descrivere una condizione psichiatrica precoce distinta dalla schizof renia e
contrassegnata da forti problematicità nell‟adattamento sociale, stereotipie motorie e
linguistiche, attività isolate e mal disposizione al cambiamento. Nel corso degli anni Settanta
iniziò a farsi spazio l‟idea che non si potesse parlare di autismo come un‟unica sindrome, ma
che esso rappresentasse uno spettro di disturbi caratterizzato da manifestazioni sintomatiche
molto varie. Oggi si riconosce che il disturbo autistico è genericamente caratterizzato da
difficoltà nell‟interazione sociale, da alterazioni delle competenze comunicative e da
comportamenti ripetitivi, dovuti alla presenza di alcune anomalie dello sviluppo cognitivo ed
emotivo (Cottini L., Che cos'è l'autismo infantile, Carocci, Roma 2013 e Peeters T., Autismo.
Dalla conoscenza teorica alla pratica educativa, Uovonero, Crema 2012).
In riferimento alla teoria della mente, nei soggetti autistici sarebbe presente un‟incapacità di
comprendere gli stati mentali personali e altrui. Per rendere ragione dell‟incapacità dei bambini
con autismo di interpretare il pensiero delle altre persone è stata proposta anche la teoria della
simulazione mentale, basata sul funzionamento dei cosiddetti neuroni-specchio, che
nell‟autistico presenterebbero un ipofunzionamento, rendendolo privo della capacità di
immedesimazione. Inoltre, gli studi hanno evidenziato aspetti deficitari nelle funzioni
esecutive, fondamentali per pianificare un‟iniziativa f inalizzata, e debolezza della “coerenza
centrale”, che permette di sintetizzare adeguatamente le esperienze sensoriali (Cohen D. J.,
Volkmar F. R., -a cura di-, Autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo, Vannini, Brescia
2004; Frith U., L‟autismo, Laterza, Bari 2003).
Sotto la denominazione Disturbi Pervasivi dello Sviluppo vengono raggruppate le sindromi che
si caratterizzano per un‟alterazione globale delle capacità comunicative, per anomalie delle
interazioni sociali e per un repertorio ristretto, stereotipato e ripetitivo di interessi e di attività.
Come sostiene Peeters (Peeters T., Autismo infantile, Phoenix, Roma, 1998) l‟espressione
disturbo generalizzato è migliore rispetto alla semplice parola autismo per spiegare quale sia il
problema di queste persone, che soffrono di una combinazione di disturbi che riguardano lo
sviluppo della comunicazione, della vita sociale e dell‟attività immaginativa, per cui la
definizione autistico nel senso di „rinchiuso in se stesso‟ o isolato non è più sufficiente: le vere
difficoltà sono molto più grandi rispetto al solo ritirarsi dalla vita sociale. Infatti, il termine
generalizzato implica che la persona abbia un disturbo che la riguarda nella sua globalità. I
soggetti con autismo incontrano difficoltà maggiori nel comunicare con gli altri, capire il loro
comportamento, rapportarsi con gli oggetti, le situazioni e le persone in modo creativo.
CITAZIONE:
“Gli autistici vivono in uno stato quasi permanente di conflitto motivazionale (emotivo) in cui
domina la tendenza a ritirarsi (e quindi l‟ansia). Questo stato motivazionale anormale n on è
187
soltanto uno tra i tanti aspetti dell‟autismo, ma è proprio il nucleo dell‟intera sindrome”
(Tinbergen N. e Tinbergen E.A., Bambini autistici. Nuove esperienze di cura, Adelphi, Milano,
1989, p. 96).
“Spostare l‟attenzione dalle problematiche del disordine affettivo a quelle delle manifestazioni
comportamentali sia nel contesto familiare che in quello sociale, attraverso la rilevazione della
frequenza concomitante di segni e di sintomi nella storia del bambino, e le loro modificazioni
nel tempo, ha stimolato clinici e ricercatori nel considerare non irrilevante l‟intervento
educativo nella „cura‟ del disturbo” (Vio C., Autismo. Dalla diagnosi all‟intervento psicoeductivo,
Vannini, Gussago – Brescia -, 2005. p. 13).
“L‟autismo infantile rappresenta sicuramente una delle sindromi più angoscianti e difficilmente
spiegabili dell‟età evolutiva. La sua fenomenologia, infatti, si presenta mediante una gamma
vasta ed articolata di sintomi, che ne rendono complessa anche la classificazione diagnostica. Il
disturbo […] interessa lo sviluppo percettivo e discriminativo, dell‟attenzione, della motricità,
dell‟intelligenza, della memoria, del linguaggio, dell‟imitazione e, più in generale,
dell‟adattamento all‟ambiente. In vari casi comunque, anche in quadri di carenza generalizzata,
possono coesistere „isole‟ di abilità affinate” (Cottini L., Educazione e riabilitazione del bambino
autistico, Carocci, Roma, 2002, p.7).
NOTA:
La ricerca di Kanner su 11 casi clinici, pubblicata nel 1943, permise al medico di origine ucraina
di individuare una specifica sindrome, da lui descritta come autismo infantile precoce. I
bambini osservati presentavano una forte chiusura in se stessi, un desiderio ossessivo e
ansioso per la perseverazione dell‟identicità e alcune isolette di abilità (es. notevole memoria
meccanica, capacità di ricordare strutture e sequenze complesse ecc.). Kanner ritenne che la
causa dell‟autismo di questi bambini fosse da ricondurre all‟atteggiamento freddo e distaccato
dei genitori, soprattutto della madre. Negli stessi anni, le ricerche di Asperger evidenziarono
risultati simili a quelli di Kanner, differenziandosi su alcuni punti: i bambini di Asperger, al
contrario di quelli di Kanner, avevano un eloquio scorrevole e ricco; erano impacciati non solo
nei compiti di motricità complessa ma anche in quelli di motricità fine; ottenevano prestazioni
meno elevate nell‟apprendimento meccanico.
Nei decenni a seguire maturò l‟interesse scientifico verso l‟autismo e fu promossa la distinzione
tra il disturbo di Kanner (autismo classico) e la sindrome di Asperger. La maggior parte delle
teorie a riguardo ricondussero, rifacendosi a Kanner, l‟eziologia dell‟autismo a un cattivo
funzionamento del rapporto madre-bambino (es. la teoria di Bruno Bettelheim, esponente della
tesi psicanalitica della “fortezza vuota”) (Bettelheim B., La fortezza vuota: l‟autismo infantile e
la nascita del Sé, Garzanti, Milano, 1976).
Tali idee furono criticate in maniera sempre più forte a partire dagli anni „60, specialmente in
seguito alla fondazione di associazioni famigliari (es. l‟inglese National Autistic Society e
l‟americana American National Society for Autistic Children).
In quello stesso periodo cominciarono a essere avanzate alcune proposte di trattamento
dell‟autismo: nel 1972 Eric Schopler avviò il programma statale TEACCH - Treatment and
Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children, che riteneva
imprescindibile il coinvolgimento attivo della famiglia nel percorso educativo del bambino. A
questo si contrappose il programma di stampo comportamentista ABA - Applied Behavioral
Analysis di Ivar Lovaas (Società Italiana di Neuropsichiatria dell‟Infanzia e dell‟Adolescenza,
Linee guida per l‟autismo, SINPIA, Roma 2005). Le linee guida per l‟autismo elaborate dal
188
Ministero della salute italiano nel 2011 rappresentano un ulteriore tentativo di condividere al
livello nazionale alcuni punti di riferimento (indicazioni, raccomandazioni e/o suggerimenti)
utili ai genitori, ai medici di famiglia, ai pediatri di base, ai neuropsichiatri infantili, agli
psicologi, ai terapisti, agli educatori/insegnanti e ricavati dalla letteratura internazionale
(Ministero della Salute, Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli
adolescenti. Linee Guida, ottobre 2011). Attraverso tali studi alle metodologie cognitivo comportamentali ed a quelle psico – educative se ne sono affiancate altre in cui il gioco, la
comunicazione verbale e non verbale, l‟imitazione e la drammatizzazione, il racconto di fiabe,
la musica ed altre forme artistiche, lo sport rappresentano utili strumenti e strategie per
creare opportunità di relazione interpersonale ed educativa con la persona con autismo
(Greenspan S.I., Wieder S. e Sindelar M.T., Trattare l‟autismo. Il metodo Floortime per aiutare
il bambino a rompere l‟isolamento e a comunicare, Raffaello Cortina, Milano, 2007; Rogers S.,
Dawson G. e Vivanti G., Early Start Denver Model. Intervento precoce per l‟autismo:
linguaggio, apprendimento e reciprocità sociale, Omega, Torino, 2 010).
BIBLIOGRAFIA
AAVV, Autismo a scuola: strategie efficaci per gli insegnanti. Con contributi dei maggiori
esperti nel campo dell‟autismo, Erickson, Trento, 2013; Caputo A. e d‟Angelo G., Autismo e
iniziazione cristiana, CVS, Roma, 2013; Scialdone N., Le mappe concettuali. Strumenti per il
disturbo del linguaggio e autismo. Vol 1-2, Omega, Torino, 2012-2014.
SITOGRAFIA
http://www.angsaonlus.org/
http://www.autismeurope.org/
http://www.autism.org.uk/
http://www.fantasiautismo.org/
http://www.autismo33.it
http://www.bambiniautismo.org
http://www.specialeautismo.it
189
B
Bisogni educativi speciali/Difficoltà
DEFINIZIONE:
Il termine bisogni educativi speciali (BES) è stato affrontato dal punto di vista concettuale a
livello internazionale e nazionale (Italia).
A livello internazionale nel 1978 Il Rapporto Warnock introdusse l‟espressione di “bisogno
educativo speciale” e sostenne che in media il 15/20% degli studenti in un momento o
nell‟altro della loro scolarità sono destinati ad incontrare particolari difficoltà. Ovvero in ogni
classe circa quattro o cinque allievi – e non solo quelli con def icit – hanno prima o poi bisogno
di sostegni particolari per poter accedere ai programmi di studio.
La Conferenza di Salamanca sui principi e le pratiche in materia di educazione e di esigenze
educative speciali (UNESCO, 1994) sostenne e riformulò il diritto delle persone con bisogni
educativi speciali a frequentare le scuole normali e a poter godere di un‟educazione inclusiva
caratterizzata dal rispetto e dal riconoscimento della loro diversità.
Due recenti ricerche dell‟OCSE (Centre for Educational Research and Innovation, Equity in
Education: Students with Disabilities, Learning Diff iculties and Disa dvantages, Statistics and
Indicators, OECD, Paris, 2004 e Centre for Educational Research and Innovation, Student with
Disabilities, Learning Difficulties and Disadvantages, Statistics and Indicators , OECD, Paris,
2005) hanno indagato quanto il concetto di BES venga utilizzato nei sistemi scolastici dei paesi
europei ed extra europei giungendo alla conclusione che con la categoria learning disability
(disabilità) si intendono tutti gli alunni con problemi di natura medica attribuibili a patologie
e/o disturbi organici (deficit sensoriali, motori, f isici, neurologici, psichici, bambini malati e
ospedalizzati, pluridisabilità), con
learning difficulties (difficoltà di apprendimento) si
intendono gli alunni con difficoltà e/o disturbi di apprendimento il cui bisogno nasce dalla loro
interazione con il contesto scolastico, ambiente che richiede determinate competenze che non
rientrano nel loro repertorio di abilità e capacità, con disadvantage (svantaggio) ci si riferisce
a studenti con problemi socio-economici (povertà e marginalità sociale), culturali e/o linguistici
(famiglie con genitori analfabeti o con titoli scolastici molti bassi), bambini nomadi, bambini
maltrattati ed emotivamente disturbati, bambini provenienti da contesti migratori, con gifted
(dotati/superdotati) si intendono gli studenti con prestazioni curricolari al di sopra della
norma.
In Italia i BES sono stati oggetto di attenzione in quanto in essi si sono comprese tre situazioni
particolari: gli alunni con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale, gli alunni
borderline, gli alunni provenienti da contesti migratori. La segnalazione delle loro difficoltà
avviene quando il rendimento scolastico risulta sotto le aspettative rispetto all‟età e il bambino
presenta segnali di disagio e d isadattamento anche temporaneo. In questi casi avviene la
compilazione del Progetto Didattico Personalizzato (PDP). Il riferimento è al documento MIUR,
Strumenti d‟intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per
l‟inclusione scolastica, 27 dicembre 2012, alla Circolare Ministeriale n. 8, Strumenti
d‟intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per
l‟inclusione scolastica. Indicazioni operative, 6 marzo 2013 e al documento MIUR, St rumenti di
intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali, a.a. 2013/2014. Chiarimenti, 22 novembre
2013.
190
CITAZIONE:
“…gli alunni con bisogni educativi speciali vivono una situazione particolare, che li ostacola
nell‟apprendimento e nello sviluppo: può essere a livello organico, biologico, oppure familiare,
sociale, ambientale, contestuale.[…] “Cercare di definire i bisogni educativi speciali non
significa ‟fabbricare‟ alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo, anche
nuovo e sottile. Significa invece rendersi ben conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per
sapervi rispondere in modo adeguato.”
Bisogni educativi speciali “non è una etichetta discriminante perché è amplissima, non fa
riferimento solo ad alcuni tipi di c ause e non è stabile nel tempo: la si può togliere, infatti, in
alcuni casi. […] Gli alunni con bisogni educ ativi speciali hanno bisogno di interventi
individualizzati, tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori
che la originano e/o mantengono. Questi interventi possono essere ovviamente i più vari nelle
modalità (molto tecnici o molto informali), nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel
grado di „mimetizzazione‟ all‟interno delle normali attività scolastiche (in questo caso si parla di
„speciale normalità‟: una normalità educativa didattica resa più ricca, più efficace dalle misure
prese per rispondere ai bisogni educativi speciali” (Ianes D., Celi F. e Cramerotti S., Il Piano
Educativo Individualizzato. Progetto di Vita, Erickson, Trento, 2003).
“…si richiama l‟attenzione sulla distinzione tra ordinarie difficoltà di apprendimento, gravi
difficoltà e disturbi di apprendimento. Nella quotidiana esperienza didattica si riscontrano
momenti di difficoltà nel processo di apprendimento, che possono essere osservati per periodi
temporanei in ciascun alunno. E‟ dato poi riscontrare difficoltà che hanno un carattere più
stabile o comunque, per le concause che le determinano, presentano un maggior grado di
complessità e richiedono notevole impegno affinché siano correttamente affrontate. Il disturbo
di apprendimento ha invece carattere permanente e base neurobiologica. La scuola può
intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali e strutturati, sec ondo i
bisogni e la convenienza; pertanto la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non
dovrebbe indurre all‟attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un
Piano Didattico Personalizzato” (Documento MIUR, Strumenti di intervento per alunni con
Bisogni Educativi Speciali, a.a. 2013-2014. Chiarimenti, p.2).
NOTA:
Il rendimento scolastico non è solo legato a processi cognitivi e intellettivi, ma anche ad aspetti
affettivi, emotivo - motivazionali e sociali.
L‟influenza della famiglia e dell‟ambiente socio-culturale di appartenenza è fondamentale: la
situazione economica della famiglia, il livello di istruzione dei genitori, la zona di residenza e
l‟eventuale appartenenza a minoranze culturali e linguistiche sono dimens ioni che possono
stimolare o meno il bambino, arricchirlo di esperienze
o limitarlo, sensibilizzarlo
all‟apprendimento e all‟istruzione o renderlo indifferente. A un basso livello socio -culturale
corrispondono maggiori difficoltà scolastiche e i dati confermano che gli alunni delle classi
sociali meno abbienti hanno tipicamente una carriera scolastica meno fortunata: interrompono
più precocemente gli studi o, se proseguono l‟iter scolastico, questo è solitamente di minor
prestigio.
Un secondo fattore impo rtante è la personalità dell‟allievo: il carattere, la motivazione,
l‟emotività, la bassa autostima possono influenzare negativamente l‟apprendimento portando il
bambino ad incontrare dei blocchi nell‟apprendimento o delle inibizioni intellettive. Il bass o
rendimento scolastico che ne consegue mina il senso di autoefficacia e i criteri di attribuzione
191
del proprio successo e del proprio fallimento portando il soggetto ad avere costantemente la
sensazione di aver perso il controllo sul corso degli eventi e s ulla sua capacità di pensare,
reiterando gli insuccessi scolastici.
Infine, i problemi di socializzazione con i coetanei e gli adulti possono incrementare le difficoltà
di apprendimento a causa della natura relazionale che l‟apprendimento ha. La difficolt à di
socializzazione è molto spesso compresente ai DSA e si manifesta nei problemi di espressione
e di ascolto, di empatia ed assertività, di condotta e di comprensione delle convenzioni sociali.
BIBLIOGRAFIA
Collacchioni L., L‟inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali: dalla normativa alla
relazione educativa, Aracne, Roma, 2013; Ianes D. e Cramerotti S. – a cura di -, Alunni con
BES: bisogni educativi speciali. Indicazioni operative per promuovere l‟inclusione scolastica
sulla base della D.M. 27.12.2012 e della C.M. 86.3.2013, Erickson, Gardolo – Trento -, 2013;
Pegoraro D., Bisogni educativi speciali: per una scuola a misura di allievo, SEI, Torino, 2014.
SITOGRAFIA
www.istruzione.it
www.edscuola.eu
192
D
Devianza
DEFINIZIONE:
Devianza è un termine usato per definire in modo assai ampio quel comportamento per il quale
un individuo o un gruppo viola le norme sociali in una direzione disapprovata dalla co munità e
con una intensità tale da superare il limite di tolleranza della comunità stessa. Non si parla di
comportamento deviante solo quando esso si oppone alle norme del codice vero e proprio, ma
anche quando esce dal quadro di riferimento culturale della società in cui l‟individuo o il gruppo
vive.
Si parla di costruzione sociale della dev ianza in quanto nessun comportamento è deviante in
sé, ma lo è in seguito ad un processo di definizione sociale.
La devianza minorile, in particolare, si realizza poiché si innesca una spirale, una relazione
circolare deviante fra il minore ed il contesto di appartenenza che produce effetti prolungati.
Non si può partire dall‟assunto che determinati fattori individuali (temperamento difficile,
disturbi della condotta) o sociali determinino la delinquenza, ma è necessario collocare questi
fattori all‟interno di uno schema concettuale che prenda in considerazione le diverse interazioni
sociali (famiglia, scuola, gruppo di pari, mezzi di comunicazione…) che condizionano la
costruzione e l‟evoluzione del complesso processo di definizione del comportamento in un
determinato momento ed in un determinato ambiente.
In tal senso non si può sostenere che esistono condizioni psicologiche, sociali e familiari di base
in grado di determinare la delinquenza, ma che esiste tutta una serie di situazioni a rischio
(educative, psico-sociali, socio-culturali, economiche…) anche fra loro molto diverse, che
espongono il soggetto ad entrare in meccanismi di azione-reazione, che hanno termine in una
criminalizzazione.
La devianza m inor ile è un‟azione umana comunicativa. Tale prospettiva pone al centro dell‟
attenzione i ruoli del soggetto e delle agenzie di controllo formale e informale.
La devianza si delinea come l‟esito di un complesso rapporto interattivo tra le azioni del
soggetto ed i messaggi del controllo sociale. I ragazzi vengono considerati all‟interno dei propri
ambienti v itali: famiglia, scuola, amici e territorio. La devianza viene esaminata nelle cause e
nelle conseguenze che produce in questi sistemi di comunicazione.
Questa prospettiva tenta di cogliere il significato interno all‟azione: ci si interroga su che cosa il
ragazzo deviante voglia comunicare attraverso la sua azione ed a quali sistemi di riferimento si
dirige il messaggio.
Un‟azione deviante può avere effetti: a) strumentali: (es. prendo un ombrello perché piove,
rubo una macchina perché mi serve) sono effetti anticipati in maniera consapevole e cosciente
dal soggetto. Molte azioni hanno in parte o prevalentemente un eff etto strumentale, che però
raramente si presenta isolato da altri effetti; è molto più probabile che si trovi mescolato con
altri aspetti, soprattutto in casi di devianza minorile; b) comunicativi: è possibile rinvenire
anticipazioni spesso appartenenti a una sfera cognitiva definibile in termini di latenza.
193
Attraverso l‟azione vengono comunicate prevalentemente esigenze di organizzazione del Sé e
dei contesti relazionali signif icativi.
Anche il controllo sociale può essere inteso come forma di comunicazione. Parte di questa
comunicazione ritorna al soggetto deviante attraverso un processo circolare: il ragazzo ha
provato a mandare messaggi e riceve da parte del controllo sociale dei messaggi, delle risposte
che riguardano la sua azione, il significato sociale della sua azione, lui stesso ed il significato
sociale di se stesso (De Leo G., La devianza minorile, Carocci, Roma, 2001)
Quando si attiva una relazione circolare deviante fra controllo sociale e soggetto, il controllo
sociale riduce la comunicazione in messaggi di svalutazione, di def inizione negativa, di
attribuzione di significati esclusivamente devianti, stereotipati, costringendo l‟attore e l‟azione
in una rete relazionale che impedisce la comprensione e può favorire interventi paradossali.
Dobbiamo invece ricordare che la singola variabile, fattore, risposta, condotta ha poco
significato al di fuori della costellazione che essa contribuisce a mantenere e a sviluppare. E‟
perciò lo studio longitudinale delle relazioni e dei cambiamenti che può rendere ragione dei
fattori e dei meccanismi di rischio a livello individuale, familiare e sociale (Priore R. e Lavanco
G. – a cura di -, Adolescenti criminali. Minori in organizzazioni mafiose: analisi del fenomeno e
ipotesi di intervento, Franco Angeli, Mila no, 2007; Zara G., La psicologia criminale minorile,
Carocci, Roma, 2006).
CITAZIONE:
“Un temperamento diff icile sembra dare un forte contributo al rischio di esiti antisociali,
altamente correlati con il fallimento scolastico e i comportamenti violenti. Caratteristiche come
iperattività, instabilità, ostinazione, distraibilità e limitate capacità attentive comportano gradi
significativi di mal adattamento, scarsa capacità di controllo e impulsività. Questi individui
mostrano una maggiore difficoltà nella localizzazione dell‟attenzione sul compito richiesto e una
predisposizione a „ribellarsi‟ in situazioni che richiedono una struttura comportamentale rigida o
semi-rigida, o particolari restrizioni. Inoltre presentano una maggiore facilità nel „cambiare‟ le
figure di riferimento e mostrano un attaccamento alle figure genitoriali di tipo „insicuro‟ […].
Alcuni importanti studi hanno focalizzato l‟attenzione sulla fase prescolare di tali
comportamenti, con l‟intento di migliorare lo sviluppo cognitivo e il funzionamento del
bambino. I risultati di tali programmi di prevenzione hanno mostrato vantaggi relativi al
successo scolastico e ad altri aspetti del f unzionamento psicosociale” (Ingrascì G. e Picozzi M.,
Giovani e crimini violenti. Psicologia, psicopatologia e giustizia, MacGraw-Hill, Milano, 2002, p.
153).
“Gli adolescenti antisociali sono ragazzi che manifestano più frequenti e più gravi
comportamenti trasgressivi, lungo un continuum di gravità (anche se non necessariamente
finiscono per essere intercettati dal sistema penale), nei quali il comportamento trasgressivo è
indice di una più ampia difficoltà d‟inserimento sociale e di sviluppo di un‟identità adulta. E‟
ormai accertato che vi sono diversi modi
attraverso i quali si può sviluppare un
comportame nto antisociale, inteso come una tendenza a commettere atti trasgressivi in modo
ripetuto, ad avere difficoltà di inserimento sociale e ad accettare le regole socialmente
condivise […] La sequenza nello sviluppo dei problemi di comportamento dall‟infanzia
all‟adolescenza è abbastanza tipica: all‟inizio si manifestano i problemi d‟attenzione, che
precedono la comparsa di comportamenti aggressivi e/o ritirati e la manifestazione di un
umore depresso; si passa, quindi, in adolescenza, all‟uso di sostanze ed ad un comportamento
sessuale precoce, fino al comportamento antisociale vero e proprio e al sorgere della
delinquenza…” (Maggiolini A. – a cura di -, Adolescenti delinquenti. L‟intervento psicologico nei
Servizi della Giustizia minorile, Franco Angeli, Milano, 2002, p.31).
194
NOTA:
Elementi importanti in un discorso pedagogico sulla devianza m inor ile sono: a) la devianza è
un processo dinamico in corso, è cioè caratterizzato da un iter fra disagio, disadattamento e
devianza, che coinvolge più fattori e meccanis mi e che diviene nel tempo; b) la devianza è un
concetto sociale, ovvero è determinato dalla percezione che gli altri hanno della persona in
difficoltà, che devia/trasgredisce norme convenzionali/civili/giuridiche accettate dalla comunità
di appartenenza; c) esiste una devianza in negativo ed una in positivo. Il controllo sociale
scatta quando il soggetto si allontana dalla conformità alle norme, ai valori ed ai ruoli della
collettività che per sopravvivere conserva la sua identità culturale. Si ha devianza in positivo
quando il soggetto esprime una divergenza, una presa di posizione diversa, espressione di
creatività e di speranza ; d) esiste una „libertà da‟ ed una „libertà di‟: non è sufficiente
garantire la libertà da…vincoli, mancanze, carenze, ma è nec essario dare strumenti per essere
intenzionali, propositivi, costruttivi per sé e per la società in cui si vive; e) occorre distinguere
fra soggetto deviante e atto deviante: il minore non coincide con l‟azione deviante (reato),
anche grave, che ha compiut o, poiché in età evolutiva all‟adolescente va garantito un margine
di „sperimentazione‟. Per questo è necessario cogliere il „senso‟ dell‟atto deviante (Vico G.,
Educazione e devianza, La Scuola, Brescia, 1988).
Rimane ancora da approfondire tutto l‟ambito della dev ianza in età adulta e delle prospettive
rieducative e riabilitative che essa richiede di mettere in atto. L‟età adulta è caratterizzata da
dimensioni quali l‟identità e la relazionalità, ma anche da sentimenti ed esperienze che
attraversano l‟es istenza e punteggiano la vita e che nel contesto culturale attuale possono dare
sensazioni di incompiutezza, frammentazione e disorientamento. Le caratteristiche della
società post moderna hanno forti effetti sulla costruzione e sulle possibilità di cambiamento in
età adulta, svuotando spesso di signif icati le esperienze, le relazioni, le opere e g li studi. Il
problema rimanda a meccanismi sociali di depersonalizzazione e individualizzazione, di caduta
di equità e coesione sociale, di deresponsabilizzazio ne e indifferenza (vedi marginalità).
BIBLIOGRAFIA
Ferraris V., Immigrazione e criminalità, Carocci, Roma, 2012; Lupidi V. e Lusa V. – a cura di -,
Gioventù fragile: i nuovi contorni della devianza e della criminalità minorile, F ranco Angeli,
Milano, 2014; Seraf in G., L‟interpretazione del crimine: criminologia, devianza e controllo
sociale, Tangram Edizioni Scientif iche, Trento, 2012.
SITOGRAFIA
http://www.giustizia.it
http://www.minori.it
http://www.azzurro.it
195
D
Differenze umane
DEFINIZIONE:
Esistono diversità oggettive fra le persone legate alla costituzione fisica, al sesso, alla razza,
alla personalità, all‟apprendimento, alla vita affettiva, al temperamento, al livello di istruzione,
ai ruoli ricoperti nella vita privata e professionale. Tali caratteristiche fanno parte di quelle
differenze umane che rimandano a fattori endogeni (interni alla persona) ed a fattori esogeni
(legati al contesto e alle esperienze fatte, ai ruoli sociali ed alla loro rappresentazione) e che
determinano la nostra maturazione e crescita (ovvero il nostro sviluppo).
Il nostro cervello, la nostra mente e la nostra vita psichica non evolvono secondo un piano
prestabilito, un codice genet ico innato che pianifica ciascuna connessione sinaptica. Al
contrario, il nostro sviluppo corporeo e psichico è il prodotto congiunto della maturazione e
dell‟ esperienza (una danza fra due partner‟). L‟età evolutiva rappresenta una „finestra di
opportunità‟ in cui il modellamento ha luogo e lo sviluppo avviene in modo sincronico
(relazionale) e diacronico (continuità temporale).
Uno specifico contributo utile per affrontare correttamente il problema delle differenze umane
viene dalla „ecologia dello svilu ppo umano‟ di Bronfenbrenner (Bronfenbrenner U., Ecologia
dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1979 e Bronfenbrenner U. – a cura di -, Rendere
umani gli esseri umani, Bioecologia dello sviluppo, Erickson, Trento, 2010), che conferma
l‟importanza della diversità degli ambienti formativi e della complessità dei rapporti tra
l‟individuo (in particolare il bambino e l‟adolescente) e il suo ambiente al fine di individuare le
condizioni per un equilibrato sviluppo. Le modalità di crescita e maturazione e di azione di una
persona, infatti, non possono venire comprese prescindendo dagli ambienti entro cui si svolge
la sua vita.
Secondo la prospettiva ecologica è possibile individuare quattro livelli nei sistemi di vita delle
persone: microsistema, mesosistema, ecosistema e macrosistema. Fenomeni come, ad
esempio, quello della dispersione scolastica, possono essere interpretati attraverso tale
prospettiva, che permette di comprendere il comportamento dell‟alunno attraverso più letture,
più piani che influiscono sul progressivo allontanamento dalla scuola.
Alcuni concetti rilevanti in una prospettiva ecologica sono: a) la relazione fra gli individui e il
loro ambiente implica una coevoluzione fra i soggetti implicati nella relazione e nei gruppi; b)
esiste una perc ezione oggettiva e soggettiva dell‟ambiente: la rappresentazione che i singoli si
costruiscono circa ruoli, situazioni, eventi e relazioni ha una importanza cruciale; c) lo sviluppo
individuale umano implica processi di trasformazione che, attraverso il flusso delle interazioni
tra gli aspetti attuali della persona e i suoi attuali contesti e quelli passati, producono una
successione di cambiamenti relativamente duraturi e tali da incrementare o rendere più
complessa l‟articolazione dell‟identità del singolo e dei paradigmi con cui interagisce con
l‟ambiente (Ford D.H. e Lerner R.M., Teoria dei sistemi evolutivi, Raffaello Cortina Ed., Milano,
1995): “lo sviluppo umano […] inserito entro un sistema di relazioni fra persona e contesto
implica la probabilità di trovare, in un qualsiasi momento nell‟arco della vita, strumenti tali da
modificare in maniera signif icativa le caratteristiche strutturali e funzionali di una persona”(
pag. 105).
196
La prospettiva diacronica è longitudinale e osserva l‟evoluzione nel te mpo della persona. Il
soggetto osservato (non importa se def inito normale o „patologico‟) è visto in quanto soggetto
di un processo educativo in evoluzione. Sono importanti il vissuto, il senso, il valore che la
persona dà ai diversi elementi o soggetti con cui è in relazione. E‟ rilevante cogliere non tanto
il disturbo oggettivo presente nell‟individuo preso in esame, ma anche e soprattutto il „senso‟
che per quest‟ultimo ha il disturbo rispetto al sistema complessivo di cui fa parte (Bertolini P.,
L‟esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze, 1988). E‟ attraverso il contatto non effimero
con le „cose‟ e le persone che il campo di esperienza esistenziale del soggetto si espande: il
soggetto, cioè, è messo nelle migliori condizioni per costruirsi una dive rsa o una sempre più
ricca ed ampia visione del mondo (Bertolini P.e Caronia L., Ragazzi difficili, La Nuova Italia,
Firenze, 1993).
Lo sviluppo di una persona non si configura come una „pura e semplice successione di parti‟,
ma come una sequenza di stadi, peraltro non rigidamente intesi all‟interno dei quali si
delineano differenze ed emergenze. Le diverse dimensioni della persona – cognitiva, fisica,
motoria, sociale, affettiva, emotivo – motivazionale, etica – sono presenti sempre e correlate
in ogni momento ed in ogni età. Esistono particolari momenti critici e di emergenza evolutiva.
Queste fasi di transizione corrispondono alla presenza di quelli che Havighurst ha chiamato
compiti di sviluppo.
Per compito evolutivo si intende un compito che si trova a mezza strada tra un bisogno
individuale e una richiesta sociale. Ogni compito ha la funzione di mettere alla prova e di
stimolare la persona a superare positivamente la fase di sviluppo in cui si trova, preparandola
ad affrontare le fasi successive (Havighurst R.J., Developmental Tasks and education, Davis
McKay, New York, 1952; Havighurst R.J., Human development and education, Longman, New
York, 1993). Gli individui man mano che procedono lungo l‟arco della vita si trovano a dover
risolvere una serie di c ompiti particolari, caratteristici di un certo periodo dell‟esistenza, che
derivano dalla interazione tra la maturazione fisiologica, le nuove capacità cognitive e
relazionali, le aspirazioni/aspettative individuali e l‟insieme delle influenze, delle richieste e
delle norme sociali. Il superamento dei compiti di sviluppo caratteristici di ogni età conduce ad
una condizione di benessere, di rapporto armonioso e di buon adattamento tra l‟individuo e il
suo contesto sociale, aumenta il senso di autostima e pone le basi per il successo nel
raggiungimento dei compiti di sviluppo delle età seguenti. Il fallimento porta invece
insoddisfazione, difficoltà nelle tappe successive e disapprovazione sociale.
Oggi siamo soliti parlare di educazione permanente ( long life education) per sottolineare come
le possibilità di apprendimento (funzionali ad un miglior adattamento) vanno cercate e
promosse in tutto l‟arco della vita.
CITAZIONE:
I geni influenzano la psicologia individuale: la genetica ci da informazioni su ciò che è e non su
ciò che potrebbe essere o su quello che dovrebbe essere una persona. Questi ambiti sono
pedagogici: “l‟essenza di una democrazia è che tutte le persone dovrebbero avere gli stessi
diritti nonostante le loro differenze genetiche. La conoscenza da sola in nessun modo deve
rendersi responsabile di decisioni sociali e politiche. I valori sono i soli criteri importanti nel
processo decisionale” (Plomin R. e DeFries J.C., McClearn G.E. e McGuffin P., Genetica del
comportamento, Raffaello Cortina, Milano, 2001, p.331)
“La componente „aperta‟ del programma genetico […] imprime con la sua crescente importanza
una direzione all‟evoluzione così come le stimolazioni provenienti dall‟ambiente imprimono una
direzione allo sviluppo del soggetto: con l‟aumento delle capacità di risposta agli stimoli
aumenta il grado di apertura lasciato all‟individuo nella scelta delle risposte (Fraunfelder E. e
Santoianni F. –a cura di -, Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli,
2002, p. 47)
197
“…alcune caratteristiche umane sono specie-specifiche, altre sono rinvenibili solo in alcuni
gruppi all‟interno della specie, altre ancora sono del tutto peculiari del singolo individuo. […] il
bravo clinico deve essere in grado di riconoscere anche l‟unicità del qua dro sintomatologico
presentato da un paziente, ma è altrettanto vero che il progresso scientifico in ambito
psicopatologico clinico poggia sul riconoscimento di quelle modificazioni di mezzo delle
caratteristiche proprie dei gruppi all‟interno della nostra specie. Se non fosse così, il lavoro del
clinico si ridurrebbe al trattamento delle problematiche esistenziali che ogni essere incontra o
al ristabilimento di una dimensione esistenziali individuale” (Pennington B.F., Sviluppo della
psicopatologia. Eredità e ambiente, Fioriti, Roma, 2004, p. 17-18)
NOTA:
Il modello O.C.E.A.N. di Goldberg off re un‟interessante spiegazione delle differenze di
personalità fra gli esseri umani. O.C.E.A.N. è l‟acronimo di Openness to exper ience,
Conscientiousness, Extraversion, Agreeabless, Nevroticism .
Openness to experiences (apertura vs. chiusura) rappresenta il livello di ricerca di novità di
una persona e il suo atteggiamento intellettivo verso tutto ciò che è cultura. Persone con alta
apertura hanno molta immaginazione, possono non essere convenzionali la dove le persone
con bassa apertura sono più conservatrici. Conscientiousness (coscienziosità vs negligenza) è
la capacità di organizzazione e di perseveranza di una persona verso uno scopo. E‟
l‟atteggiamento che manteniamo verso il lavoro che ci viene affidato, che possiamo svolgere in
modo costante, organizzato, puntuale o , al contrario disimpegnato, pigro e trascurato.
Extraversion (estroversione vs. introversione) si riferisce allo stile di interazione preferito da
una persona, all‟esperienza del piacere di apprendere e alla ricerca di stimoli rivolta
all‟ambiente di appartenenza (reattività). Le persone con alta estroversione tenderanno ad
essere più socievoli, vivaci e preoccupate del bene altrui, mentre le person e con bassa
estroversione saranno più riservate, indipendenti, calme, ma non necessariamente meno
amichevoli. Tale dimensione def inisce la nostra capacità di leadership e il nostro rapporto con il
potere e l‟autorità. Agreeableness (disponibilità vs. ostilità) rappresenta le qualità del rapporto
che abbiamo con gli altri. Le persone con alta disponibilità hanno fiducia nel prossimo, sono
empatiche e accoglienti, laddove le persone a bassa disponibilità sono più ciniche, sospettose,
irritabili e meno dispost e all‟aiuto. Tale dimensione rimanda alla capacità di amare in modo
altruistico e disinteressato. Nevroticism (stabilità emotiva vs instabilità emotiva) è il livello di
adattamento che riusciamo a raggiungere in rapporto con gli altri, a noi stessi e al mondo. Le
persone con altro punteggio in questa dimensione sperimentano spesso malessere psicologico,
vivono esperienze di ansia e depressione, rabbia e angoscia, hanno manie di persecuzione –
nei casi più gravi -. L‟aspetto di personalità implicato è l‟affetto, come spontaneità, tenerezza,
capacità di apprezzare „le piccole cose‟ quotidiane (Goldberg L.R., An alternative description of
personalità: the big f ive factors structure, Journal of Personality and Social Psychology, 59,
1990, pp. 1216-1229 e Digman J.M., Personality Structure: Emergence of the Five Factors
Model, Annual Review of psychology, 41, 1990, pp. 417-440)
BIBLIOGRAFIA
Biancheri R. – a cura di -, La rivoluzione organizzativa: differenze di genere nella gestione delle
risorse umane, PLUS- Pisa University press, 2012; Di Mauro M., Organizzazioni e differenze:
pratiche, strumenti e percorsi formativi, Franco Angeli, Milano, 2010; Refrigeri L., Sport e
razzismo. Il ruolo dell‟educazione, Pensa Multimedia, Lecce – Brescia, 2011.
198
SITOGRAFIA
http://pariopportunità.gov.it/index.php/unar
http://www.lecosecambiano.org/index.php
http://www.telefonorosa.it
199
D
Disabilità
DEFINIZIONE:
Nel 1981, a quattro anni, in Italia, dalla legge 517 e a dieci anni dalla legge 118, nell‟Anno
Internazionale per la Persona Disabile, l‟Organizzazione Mondiale della Sanità diffondeva un
modello interpretativo per conoscere i problemi della disabilità.
La Classif icazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap così
presentava alcune categorie interpretative: la malattia, la menomazio ne, la disabilità e
l‟handicap. La malattia, il disturbo, l‟evento lesivo, la causa prima della disabilità è un fatto
morboso e/o traumatico, in qualsiasi caso anomalo che si verifica nell‟individuo, in un
momento della sua vita e che altera la sua condizione di salute. La menomazione è qualsiasi
perdita o anormalità di tipo strutturale e/o funzionale nell‟area psicologica, fisiologica o
anatomica. È un def icit, una anomalia, un difetto, una perdita a livello strutturale (arti, organi,
tessuti...) e/o funzionale (processi, meccanismi di tipo corporeo e/o mentale). La disabilità è la
conseguente limitazione della capacità di compiere un‟attività nel modo e nell‟ampiezza
considerati normali per l‟età del soggetto e per il ruolo sociale che ha. Le prestazioni del
soggetto nell‟apprendimento (capacità e abilità) e nel comportamento deviano dalla norma.
L‟handicap è la situazione socializzata che nasce dall‟incontro f ra la consapevolezza del singolo
del proprio deficit e dalla percezione sociale della sua disabilità. L‟handicap quindi è un
concetto sociale, poiché la situazione di svantaggio che ne può conse guire è data dalla
dissonanza fra la condizione dell‟individuo e le attese del gruppo sociale di cui fa parte.
L‟handicap dipende strettamente dalla relazione della persona disabile con il proprio ambiente
di vita. Lo stato di handicappato è tale in relazione alle altre persone: gli atteggiamenti, le
reazioni i valori dei non disabili giocano un ruolo centrale nel modellare il concetto di Sé di un
disabile e le sue potenzialità di integrazione sociale (Vico G., Handicappati, La Scuola, Brescia,
1984; Vico G., Handicap, diversità, sc uola, La Scuola, Brescia, 1994). L‟handicap è tale in
relazione alla situazione sociale e culturale. La situazione di handicap è maggiore o minore a
seconda dell‟ambiente che circonda l‟individuo e delle modalità di considerare l ‟handicappato
da parte delle persone con cui egli entra in rapporto. L‟handicappato non è necessariamente un
emarginato o un disadattato. Può diventare tale quando i contesti familiare, scolastico e sociale
in cui vive non mettono in atto quella serie di interventi di sostegno, compensazione e
potenziamento necessari a favorire il completo sviluppo della sua personalità. L‟intera società è
coinvolta dai processi di emarginazione ed integrazione. La persona con disabilità può divenire
un disadattato quando vive in situazioni caratterizzate da carenze strutturali e funzionali che
ostacolano i suoi processi maturativi. Per questo l‟OMS evidenziava la necessità di creare
alcune condizioni indispensabili per una buona integrazione: la diagnosi precoce, interventi
educativi e riabilitativi precoci, la creazione di protesi, sussidi, apparecchiature studiate per
ogni singola esigenza, la necessità di vivere normali rapporti sociali, metodologie e didattiche
differenziali per favorire i processi di apprendimento, la f ormazione dell‟intera personalità
insieme all‟opportunità di educare singole funzioni deficitarie o scarsamente esercitate,
l‟orientamento ad un progetto di vita e ad una professionalità.
In quegli anni l‟esperienza italiana evidenziava la differenza fra i nserimento ed integrazione.
L‟inserimento come semplice fatto, come presenza del soggetto disabile in un contesto, come
passaggio da un ambiente ad un altro. L‟integrazione come processo di cura e di costante
200
comunicazione, di educazione e di relazione fra le persone, in cui può non apparire raro il fatto
che una persona con disabilità sviluppi una qualità di vita o un atteggiamento esistenziale
migliore di un soggetto normale. A livello legislativo, il percorso di integrazione sociale delle
persone con disabilità avviato negli anni Settanta ha avuto la sua espressione più ampia nella
Legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge quadro per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate”. Tale norma sostiene il diritto delle persone disa bili a essere
pienamente integrate in famiglia, a scuola, a lavoro e nella società. A livello scolastico, essa
stabilisce che l‟istruzione della persona con disabilità avvenga “nelle classi comuni delle
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nel le istituzioni universitarie” (art. 12, comma
2), riconoscendo pertanto il primato educativo delle scuole comuni rispetto a quelle speciali.
Nel panorama internazionale, l‟Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 ha proposto l‟ ICF
– Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute , nel quale il
riferimento principale non è più alle menomazioni o alle disabilità, bensì alle funzioni/strutture
corporee e alle attività. L‟ICF, attuando un modello biopsicosociale di classif icazione delle
componenti della salute, determina il funzionamento di una persona attraverso un sistema di
connessioni, frutto dell‟influenza reciproca esercitata da condizioni f isiche e fattori contestuali.
Tale classificazione si differenzia da quella di inizio anni Ottanta perché si concentra sulle
componenti della salute e non sulle conseguenze delle malattie; in essa il termine handicap è
scomparso e si parla invece di restrizioni alla partecipazione. Il termine disabilità nel corso
degli anni ha quindi vissuto una signif icativa evoluzione concettuale. La più recente riflessione
in materia ha def inito la disabilità quale “il risultato dell‟interazione tra persone con
menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed
effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri” ( Convenzione ONU per
i dir itti delle persone con disabilità, 2006).
CITAZIONE:
“Chi è normale? Nessuno. Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di
accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non
esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente
sarcastico. Si usano, nel linguaggio orale, i segni di quello scritto: „I normali, tra virgolette‟.
Oppure:
„I
cosiddetti
normali‟.
[...]
La normalità – sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità – rivela incrinature,
crepe, deficienze, ritardi f unzionali intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il
bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile alla finestra. Si
finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. Non è
negando le differenze che lo si combatte, ma modif icando l‟immagine della norma” (Pontiggia
G., Nati due volte, Mondadori, Milano, 2000, pp. 41-42).
“Normalizzazione significa …. un rit mo normale del giorno.
Ti alzi dal letto al mattino,
anche se hai una gravissima disabilità,
ti vesti ed esci
per andare a scuola o al lavoro: non resti a casa.
Al mattino prevedi quello che farai nella giornata,
alla sera ripensi a quello che sei riuscito a fare.
Il tuo giorno non è 24 ore sempre uguali,
minuti monotoni, pomeriggi senza fine.
Mangi in ore normali ed in modo normale
non solo con il cucc hiaio, se non sei più un bambino,
non mangi a letto o in poltrona, ma a tavola
e non ceni presto nel pomeriggio, per la comodità del personale.
201
Normalizzazione significa …. un rit mo normale nella settimana.
Abiti in un posto e vai a lavorare in un altro,
in un altro ancora passi il tuo tempo libero.
Programmi i divertimenti del fine settimana
E “non vedi l‟ ora” di tornare a scuola o al lavoro,
il lunedì mattina.
Normalizzare signif ica …. un rit mo normale dell‟ anno.
Una vacanza per rompere la routine
con il cambiamento delle stagioni che porta con sé cambiamenti nel lavoro,
nei cibi, nello sport, nello svago e in tante altre cose della tua vita.
Normalizzare signif ica …. le esperienze normali di sviluppo nel ciclo di vita.
I bambini, e solo i bambini, vanno in colonia.
Nell‟ adolescenza ti curi molto del tuo aspetto,
dei tuoi capelli,
pensi alla musica, ai ragazzi e alle ragazze.
Da adulto lavori e ti senti responsabile.
Da vecchio hai i tuoi ricordi da rivivere
e la saggezza dell‟ esperienza.
Normalizzare signif ica …. avere desideri e fare scelte rispettate dagli altri.
Gli adulti hanno la libertà di decidere
dove vogliono vivere, che lavoro preferiscono
e che amici frequentare.
Se stare in casa a guardare la televisione
o andare a concerto, o a passeggiare in città.
Normalizzare signif ica …. vivere in un mondo di due sessi diversi.
I bambini e gli adulti hanno relazioni con l‟ altro sesso, o con lo stesso,
da adolescente cerchi di avere il ragazzo o la ragazza,
da adulto puoi decidere di sposarti o di avere figli.
Normalizzare signif ica …. il diritto a una situazione economica normale.
Tutti abbiamo il nostro reddito e le nostre responsabilità,
anche se abbiamola pensione di invalidità,
dobbiamo avere i nostri soldi
e decidere come spenderli: nel superfluo e nel necessario.
Normalizzare signif ica vivere in una casa normale
in un quartiere normale e non in una grande istituzione
con 100 persone disabili o anziane .
Signif ica non essere isolato dalla società.
(Nirje B., citato in Ianes D., La Speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusione per la
disabilità e i Bisogni Educativi Speciali, Erickson, Gardolo – Trento -, 2006, p. 12)
NOTA:
La pedagogia che si è occupata della disabilità ha assunto nomi differenti nel tempo:
pedagogia emendativa, pedagogia curativa, pedagogia correttiva, pedagogia differenziale,
ortopedagogia e, infine, pedagogia speciale. Il tema cruciale con cui si è dovuta da sempre
confrontare è stato quello della normalità e della patologia. Fino agli anni Settanta si è assistito
ad una idea di normalità come normalizzazione (in negativo) ovvero alla considerazione della
diversità come vincolo, impedimento, inciampo e quindi alla volontà di allontanamento ed
202
esclusione del „diverso‟ e del differente dalla società (istituzionalizzazione). Oggi parliamo,
invece, di speciale normalità come condizione di sintesi fra specialità e normalità, che permette
alla normalità di arricchirsi attraverso esperienze come l‟eterogeneità delle classi, l‟utilizzo di
risorse aggiuntive, l‟interdipendenza dei ruoli istituzionali (insegnante curricolare, insegnante di
sostegno, educatore…). Parliamo oggi di normalizzazione in positivo come offerta di pari
opportunità a tutti i cittadini anche a quelli portatori di disabilità e di deistituzionalizzazione e
community care. (Folgheraiter F- a cura di
- Il servizio sociale post moderno. Modelli
emergenti, Erickson, Gardolo – Trento -, 2004)
BIBLIOGRAFIA
Borgnolo G. e coll., ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove
prospettive per l‟inclusione, Erickson, Trento, 2009; Croce L. e Pati L. (a cura di), ICF a scuola.
Riflessioni pedagogiche sul funzionamento umano, La Scuola, Brescia, 2011; De Polo G., Pradal
M., Bortolot S. (a cura di), ICF-CY nei servizi per la disabilità. Indicazioni di metodo e prassi
per l‟inclusione, Franco Angeli, Milano, 2011; Grasso F., L‟ICF a scuola. L‟applicazione agli
adempimenti della legge 104/1992: Diagnosi Funzionale, PDF e PEI, Giunti O.S., Firenze,
2011; Ianes D., La diagnosi funzionale secondo l‟Icf. Il modello OMS, le aree e gli strumenti,
Erickson, Trento, 2004; Leonardi M., Nuovi paradigmi nella def inizione di salute e disabilità: la
Classificazione ICF e la Convenzione ONU, Vita e Pensiero, Milano, 2010; OMS, Classif icazione
internazionale delle me nomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali, 1980; OMS,
ICF- Classif icazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, 2001;
OMS, ICF-CY – Classif icazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della s alute.
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Bologna, 2007.
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http://www.aniepnazionale.it
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204
D
Disabilità intellettiva/ritardo mentale
DEFINIZIONE:
Perché si possa parlare di disabilità intellettiva è necessario che siano confermati i
seguenti tre criteri: 1. funzionamento intellettivo significativamente inferiore alla media:
un Q.I. di circa 70 o inferiore ottenuto con un test di Q.I. somministrato individualmente
(in età infantile, un giudizio clinico di funzionamento intellettivo signif icativamente al di
sotto della media); 2. concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento adattivo
(cioè, la capacità del soggetto di adegua rsi agli standard propri della sua età e del suo
ambiente culturale) in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura della propria
persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità,
autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute e
sicurezza; 3. l‟esordio prima dei 18 anni di età. (American Psychiatric Association, Criteri
diagnostici per il ritardo mentale in DSM-IV, Guida alla diagnosi dei disturbi dell‟infanzia e
dell‟adolescenza, Masson, Milano, 2000)
Un secondo ambito di considerazione della disabilità intellettiva è dato dai livelli di gravità con
cui si presenta: “…il ritardo mentale è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo
psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante
il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive,
linguistiche, motorie e sociali. Il ritardo può presentarsi con o senza delle patologie psichiche o
somatiche. Comunque, gli individui mentalmente ritardati possono presentare tutta la gamma
delle sindromi psichiche , e la prevalenza di tali sindromi è almeno tre o quattro volte maggiore
in questo gruppo che nella popolazione generale.” La disabilità intellettiva può essere
classificata in livelli di gravità lieve, medio, grave, profondo, di altro tipo, non specificato
(OMS, Ritardo mentale in Classif icazione multiassiale dei disturbi psichici del bambino e
dell‟adolescente- ICD-10-, Masson, Milano, 1997).
La più recente concezione della disabilità intellettiva è comunque di tipo ecologico, ovvero è
rappresentata dal rapporto fra il deficit cerebrale e il sistema dei sostegni (tipi, intensità e
fonte), che circonda la persona: la disabilità mentale è un concetto dinamico che non implica
uno stato permanente, ma una condizione che può modif icarsi nel tempo. I limit i presenti nel
funzionamento cognitivo, comunicativo, sensoriale, motorio e comportamentale vanno
considerati in relazione alla comu nità in cui il soggetto vive, alle sue specificità linguistiche e
culturali e alle modalità e risorse di supporto e sostegno. Inoltre assume una cruciale rilevanza
per la qualità della vita della persona disabile la possibilità di costruirsi un proprio progetto di
vita.
In am bito scolastico rispetto all‟ acquisizione delle competenze curricolari, quali lettura,
scrittura, matematica, comprensione e produzione del testo l‟insegnante può decidere a
seconda del tipo di gravità della disabilità intellettiva di: a) non insegnare nessuna di queste
competenze, concentrandosi invece sulle aut onomie personali e sociali. Questa decisione viene
spesso presa nei casi di disabilità mentale molto grave; b) insegnare solo una o due di queste
competenze, generalmente la lettura e/o la scrittura, tralasciando la matematica in quanto
questa è caratterizzata da un livello maggiore di simbolismo e di astrazione e presenta di
conseguenza maggiori problemi di apprendimento; c) insegnare tutte le competenze con
obiettivi diversificati. Questo dovrebbe portare l‟allievo al possesso di quelle conoscenze
concrete che gli consentono di rispondere in modo corretto alle sollecitazioni ambientali; d)
205
insegnare tutte le competenze facendo ricorso ad un curricolo analogo a quello che viene
generalmente impiegato nell‟insegnamento ad allievi privi di problemi di ordine cognitivo. Si
opterà per questa scelta nei casi di allievi con disabilità lieve, per i quali gli obiettivi verranno
leggermente semplif icati. Si parlerà quindi di curricoli funzionali (alla qualità della vita) e di
curricoli strumentali (con accesso alle competenze comuni).
CITAZIONE:
“Il ritardo mentale è una disabilità caratterizzata da limitazioni signif icative, sia nel
funzionamento intellettivo c he nel comportamento adat tivo, che si manifestano nelle abilità
adattive concettuali, sociali e pratiche. Tale disabilità insorge prima dei 18 anni. Per
l‟applicazione di questa definizione sono necessari i seguenti cinque assunti: 1. le limitazioni
nel funzionamento presente devono essere considerate all‟interno del contesto degli ambienti
comunitari tipici per età e cultura del soggetto; 2. una valutazione efficace deve considerare
sia le diversità culturali e linguistiche, sia le differenze nella comunicazione e nei fattori
sensoriali, motori e comportamentali; 3: in una stessa persona le limitazioni spesso coesistono
con i punti di forza; 4. un obiettivo fondamentale nella descrizione delle limitazioni è quello di
sviluppare un prof ilo dei sostegni necessari; 5. con un adeguato sistema individualizzato di
sostegni, forniti per un certo periodo di tempo, il funzionamento della persona con ritardo
mentale tende a migliorare” ( AAMR, Ritardo mentale. Definizione, Classif icazione e Sistemi di
sostegno. Manuale, Vannini, Gussago – Brescia-, 2005, p. 36)
“…nel campo della psicologia e del ritardo mentale si [è] solo recentemente iniziato ad
utilizzare il contestualismo come costrutto trainante per la ricerca e la pratica clinica, ponendo
l‟accento su come lo studio e la valutazione del comportamento adattivo possano benef iciare
dell‟utilizzo di una prospettiva contestuale, utilizzando , ad esempio, l‟intelligenza sociale…”(p.
101) . Assunti contestuali sono: “a) la preminenza della plasticità umana […] rif lesso della
considerazione ottimistica che gli individui affetti da ritardo mentale possano uscire dalla loro
condizione; b) l‟importanza della modularità del funzionamento […] considerato che chi è
affetto da ritardo mentale può esser usualmente competente in numerose aree di
funzionamento; c) […] la presentazione della gravità della disabilità in termini di sostegni
necessari (contesti adatti) piuttosto che di deficit decontestualizzati (Schalock R.L., Il
comportamento adattivo e la sua misurazione. Implicazioni nel campo del ritardo mentale,
Vannini, Gussago – Brescia, 2002, p. 105).
NOTA:
Affermare che gran parte delle problematiche di integrazione e di autorealizzazione delle
persone con disabilità siano causate dalla società di appartenenza signif ica sostenere che le
difficoltà che la persona disabile incontra nel vivere appieno la propria vita
non sono
esclusivamente provocate dal deficit, ma piuttosto dalle convinzioni e dai pregiudizi che le
persone „normali‟ hanno. In questi ultimi anni l‟attenzione degli operatori e delle famiglie è
stata rivolta a tutte quelle pratiche che hanno permesso alle persone con disabilità anche
mentale di trovare percorsi in cui lavorare sulla propria autosufficienza, autonomia ed
autodeterminazione. La possibilità di dare la parola alle persone con disabilità per partecipare
maggiormente alle decisioni che le riguardavano, raccontarsi e raccontare la loro vita
(autobiografie), e collaborare con gli operatori per progetti di integrazione ed emancipazione
ha permesso uno sguardo diverso, più maturo e realistico. Si segnala a questo proposito il
tema del dopo di noi …che coinvolge ormai tutte le famiglie con un figlio disabile ed ha aiutato i
genitori ad essere più consapevoli rispetto alle vicende che li riguardano e che li aspettano con
il sopraggiungere della loro vecchiaia. L‟allontanamento dal proprio figlio con disabilità è un
206
evento con cui tutte le famiglie devono confrontarsi ed abituarsi; per questo è fondamentale
sostenerle e creare servizi adeguati sin dall‟infanzia
(comunità, sollievo, ass istenza
domiciliare).
BIBLIOGRAFIA
Baldi P.L., Sviluppare il pensiero della disabilità intellettiva: dal ragionamento induttivo alla
meta cognizione, Erickson, Gardolo – Trento -, 2014; Castelli G., Cereda P. e Crotti M.E.,
Educare alla sessualità. Percorsi di educazione alla vita affettiva e sessuale per persone con
disabilità intellettiva, Franco Angeli, Milano, 2013; Zambotti F. – a cura di -, Disabilità
intellettiva a scuola. Strategie efficaci per gli insegnanti: con contributi dei maggiori esperti
nel campo della disabilità intellettiva, Erickson, Trento, 2014.
SITOGRAFIA
http://www.disabilitaintellettuale.it
http://www.anffas.net
http://www.airim.it
http://segretariatosociale.rai.it
207
D
Disabilità sensoriali
DEFINIZIONE:
Le disabilità sensoriali più note sono la disabilità visiva e la disabilità uditiva. Esse sono
conosciute attraverso parametri che ne definiscono la gravità (ciechi vs. gravemente miopi e
sordi vs. sordastri) La disabilità visiva è studiata dalla tiflologia e si riferisce ad un deficit
presente nell‟organo dell‟occhio che ne impedisce il normale f unzionamento (secondo i criteri di
acuità visiva e campo visivo): vengono studiate le cause della disabilità, i problemi di
apprendimento e adattamento e le possibili soluzioni. La disabilità uditiva è studiata dalla
logopedia e si riferisce ad un deficit presente nell‟organo dell‟orecchio che ne impedisce il
normale funzionamento (secondo i criteri di percezione dell‟altezza e dell‟intensità dei suoni):
vengono studiate le cause della disabilità, gli impedimenti a livello scolastico e sociale e le
modalità di sostegno e recupero.
CITAZIONE:
“ma quale contegno tenere allorché per ragioni di contingenza o per scelta ci si accosta al
disabile visivo? Una condotta che si ispirasse unicamente a delle regole codificate sarebbe già
di per sé distaccata e non farebbe che accentuare il senso di disuguaglianza implicito nella
minorazione, la quale diversif ica dalla „norma‟ chi ha un def icit compiendo a suo carico
un‟effettiva sottrazione di opportunità della cui carenza egli è o diverrà consapevole; d‟altro
canto, sarebbe a dir poco improvvido ravvisare nella sola disabilità delle persone che ne sono
colpite la ragione fondante di relazioni interpersonali proficue con esse. Diciamo allora che
nell‟entrare in contatto con i disabili della vista è si opportuno atteners i ad alcuni principi
basilari, tuttavia la proficuità dei rapporti possibili con essi viene raggiunta allorché ne vengono
comprese e condivise le modalità di comunicazione, la qual cosa non signif ica rinunciare alle
proprie, bensì integrare queste ultime c on le loro.” (Fiocco A., Cecità e ipovisione: differenze e
affinità in Caldin R. –a cura di -, Percorsi educativi nella disabilità visiva. Identità, famiglia e
integrazione scolastica e sociale, Erickson, Gardolo – Trento -, 2006, p. 63).
“La protesi acustica è la protesi del bambino, l‟impianto cocleare è la protesi della coclea. […]
Con la protesi acustica il bambino sordo profondo non diventa, nemmeno parzialmente udente,
ma diventa totalmente senziente e, soprattutto, la protesi acustica non modif ica il feedback
della comprensione e dell‟articolazione. […] Considerando il ruolo dell‟udito nell‟apprendimento
della lingua credo indiscutibile che sia preferibile che il bambino sordo prelinguare sia
totalmente „senziente‟ con la protesi invece che minimamente e „elettricamente „ udente con
l‟impianto.” (Gitti G., sordo o Sordo?, Franco Angeli, Milano, 2013, p. 44) .
NOTA:
Quando parliamo di disabilità sensoriali è importante ricordare che esse colpiscono due
importanti organi di percezione, ma che lasciano intatte le facoltà mentali corrispondenti a
208
livello cerebrale. Ciò significa che se anche una persona non vede ha comunque intatta la
capacità di orientamento spaziale e quella immaginativa e che se una persona non sente ha
comunque intatta la sua capacità linguistica e comunicativa. Il lavoro abilitativo e riabilitativo
consiste nell‟offrire strumenti vicarianti i canali deficitari : con la persona cieca si potrà
lavorare attraverso altri sensi come il tatto e quindi l‟udito, con la persona sorda attravers o la
corporeità e la vista. La persona cieca può accedere alle immagini mentali (così come un
normodotato) attraverso le mani, le forme e altro materiale didattico specifico. Il suo
linguaggio alternativo scritto è il Braille. La persona sorda può comunic are attraverso i segni
che possono anche essere combinati con il linguaggio orale . Il suo linguaggio alternativo è la
LIS o il metodo bimodale (oralità più gestualità). L‟utilizzo ottimale dei resti sensoriali e la
supplenza sensoriale rapprendano infine due azioni fondamentali.
Scopo dell‟intervento
educativo è di portare la persona con disabilità sensoriale il più vicino possibile a fare tutto ciò
che fanno coloro che non hanno deficit sensoriali.
BIBLIOGRAFIA
Cappanera M., Psicologia della sordità, Aracne, Roma, 2012; Lascioli A e Saccomani R. –a cura
di -, Un‟introduzione all‟educazione speciale, Raffaello Cortina, Milano, 2009; Maragna S., La
sordità: un percorso educativo dalla scuola, al lavoro alle leggi dell‟integrazione sociale, Hoepli,
Milano, 2008; Marcantoni M., Vivere al buio: la cecità spiegata ai vedenti, Erickson, Trento,
2014; Mesiti D., Handicap, cecità e sordità, Giuffré, Milano, 2012; Sebastiani M.M. – a cura di , Processi pedagogici e sordità. Ipotesi di interventi autenticamente educativi, Aracne, Roma,
2014.
SITOGRAFIA
http://www.ens.it
http://www.sordionline.com
http://www.fiadda.it
http://www.icare-cro.com
http://www.audika.it
http://www.logogenia.it
http://www.assistentecomunicazione.it
http://www.uiciechi.it
http://www.istciechimilano.it
http://www.prociechi.it
http://www.bibciechi.it
http://www.libroparlato.org
http://www.fondazioneroberthollman.it
209
D
Disabilità motorie e fisiche
DEFINIZIONE:
Lo studio sulle disabilità motorie ha avuto una evoluzione che a partire dall‟ approcc io
neurofisiologico degli anni Sessanta in cui la lesione (pci - paralisi cerebrale infantile) dava
origine a moduli di comportamento motorio patologici (risposte a stimoli ambientali) ha portato
a letture più complesse del problema. Attraverso gli studi di Milani Comparetti (approccio
motoscopico) e di Ferrari (dal concetto di paralisi dello sviluppo a quello di sviluppo della
paralisi) si è giunti a considerare la pci non solo come alterazione del tono muscolare o come
un insieme di pattern motori patolo gici, ma come problema di organizzazione funzionale del
bambino
nella sua interazione con l‟ambiente. I concetti di plasticità neuronale e di
modificabilità cognitiva rappresentano in età evolutiva due presupposti fondamentali attraverso
i quali educare il bambino con paralisi cerebrale infantile (Boccardi G. et all. – a cura di -,
Uomini e donne con paralisi Cerebrale Infantile: il corpo e la mente, Del Cerro, Tirrenia – Pisa , 2000; Ferrari A. e Cioni G. –a cura di -, Paralisi Cerebrali infantili. Storia naturale e
orientamenti riabilitativi, Del Cerro, Tirrenia – Pisa -, 1993).
La disabilità fisica può essere rappresentata da danni funzionali e organici che possono essere
presenti sin dalla nascita o essere acquisiti successivamente (mancanza/amputaz ione di un
arto, problemi ortopedici gravi, malattie congenite (diabete, problemi al cuore, alla
respirazione, epilessia, problemi auxologici,…) o acquisite (malattie cronico - degenerative o
causate da traumi o incidenti). Da questo punto di vista il set tore delle disabilità fisiche è in
aumento anche a causa della transizione demograf ica a cui stiamo assistendo (aumento
dell‟età media della popolazione – e quindi di un maggior numero di anziani - e delle
possibilità di sopravvivenza anche in condizioni di malattia).
CITAZIONE:
Nel primo anno di vita i segni d‟allarme della presenza di disordini dello sviluppo motorio sono
“rappresentati in primo luogo dalla povertà di iniziativa e di movimenti, dalla presenza di
posture o patterns motori stereotipi e asimmetrici, di tremori in condizioni di quiete, dalla
persistenza di opistotono o di grave ipotonia assiale, di deviazioni dello sguardo, dall‟assenza di
reazioni ai suoni, e dall‟assenza di movimenti di fissazione ed inseguimento oculare. In
presenza di questi segni si impone l‟esigenza di ulteriori indagini strumentali per ricercare la
presenza e l‟origine di un eventuale lesione del sistema nervoso e comunque l‟opportunità di
un follow – up regolare e, se necessario, di un intervento riabilitativo” (Fe drizzi E., I disordini
dello sviluppo motorio, Piccin, Padova, 2004, p.84)
NOTA:
Due sono le tematiche più importanti che riguardano le disabilità motorie e f isiche: la prima è
rappresentata dall‟ accessibilità, che non signif ica soltanto abbattimento delle barriere
210
architettoniche, e di quelle psicologiche e culturali, ma anche possibilità di comunicare - anche
in modo alternativo - e di accedere alle informazioni riguardanti lo studio, il lavoro, la salute,
la previdenza: “al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera
indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli stati Parti adottano
misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri,
l‟accesso all‟ambiente fisico, ai trasporti, all‟informazione e alla comunicazione, compresi i
sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti
o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali” (art. 9 della Co nvenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ONU, 2006). Citiamo a questo proposito
anche l‟art. 20 sulla mobilità personale: “Gli stati Parti adottano misure efficaci a garantire alle
persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile, provvedendo
in particolare a: a) facilitare la mobilità personale delle persone con disabilità nei modi e nei
tempi da loro scelti ed i costi accessibili; b) agevolare l‟accesso da parte delle persone con
disabilità ad ausili per la mobilità, apparati ed accessori, tecnologie di supporto, a forme di
assistenza da parte di persone o animali e servizi di mediazione di qualità, in particolare
rendendoli disponibili a costi accessibili; c) fornire alle persone con disabilità e al personale
specializzato che lavora con esse un formazione sulle tecnologie di mobilità; d) incoraggiare i
produttori di ausili alla mobilità, apparati e accessori e tecnologie di supporto a prendere in
considerazione tutti gli aspetti della mobilit à delle persone con disabilità.”
Il secondo tema rilevante è quello di garantire a persone con disabilità motoria e f isica qualità
della vita e benessere psicologico e sociale. Persone malate e sottoposte a frequenti
trattamenti farmaceutici, terapeutici e riabilitativi hanno necessità di vedere la propria qualità
della vita salvaguardata attraverso consigli medici e sostegni : pratiche infermieristiche ed
assistenziali che si protraggono nel tempo, con gli inevitabili adattamenti personali e familiari,
sono spesso difficili da realizzare e mantenere. E‟ necessario attuare una presa in carico
globale della persona malata e/o disabile che consideri vari domini di qualità della vita (
benessere emozionale, relazioni interpersonali, benessere materiale, sviluppo personale,
benessere f isico, autodeterminazione, inclusione sociale e diritti) (Schalock R.L. e Verdugo
Alonso M.A., Manuale di qualità della vita. Modelli e pratiche di intervento, Vannini, Gussago –
Brescia -, 2006)
BIBLIOGRAFIA
Bertini L., Attività sportive adattate, Calzetti – Mariucci, Ponte San Giovanni – Pescara -, 2005;
Sheridan M.D., Dalla nascita ai cinque anni: le tappe fondamentali dello sviluppo, Raffaello
Cortina, Milano, 2009; Zappaterra T., Special Needs a scuola. Pedagogia e didattica inclusiva
per alunni con disabilità, ETS, Pisa, 2010.
SITOGRFIA
http://www.disabilitaacquisita.it
http://www.spinabifidaparma.it/index.htm
http://www.afpci.it
http://www.aiasnazionale.it
http://www.asphi.it
http://www.anastasis.it
http://www.portale.siva.it
211
D
Disturbo/Difficoltà dell’apprendimento
DEFINIZIONE:
I disturbi di apprendimento a scuola (DSA) sono tutte quelle difficoltà che si possono
incontrare durante l‟apprendimento delle competenze scolastiche e sono rappresentate da una
categoria ampia e variegata di impedimenti di natura neuropsicologica, ma anche contestuale
(es. se un bambino non dovesse imparare a leggere, nessuno si accorgerebbe della sua
dislessia). Tra le conseguenze dei DSA ricordiamo il basso rendimento scolastico seguito dalla
lentezza nei processi di acquisizione delle informazioni rispetto all‟area di studio in cui l‟alunno
incontra difficoltà.
I DSA possono presentarsi come:
a) ritardi o disturbi di apprendimento;
b) difficoltà specifiche e aspecifiche;
c) difficoltà primarie o secondarie;
d) difficoltà in bambini ed in adulti;
e) difficoltà evolutive o acquisite.
a) Con il termine ritardo di apprendimento si intende sottolineare i tempi di apprendimento
più lenti del bambino. In particolare ci si riferisce a un rallentamento nel rit mo di
sviluppo, ma con una progressione in tappe di acquisizione simili a quelle di uno
sviluppo normale: le prestazioni del soggetto sono qualitativamente analoghe a quelle
di bambini „normali‟ più piccoli. Il ritardo di apprendimento si definisce in assenza di un
danno organico e in soggetti con un quoziente intellettivo nella norma. Il caso più
frequente è quello dei ritardi di linguaggio, che appaiono sin dall‟età prescolare e che
vanno individuati precocemente, perchè non abbiano conseguenze nei processi di
apprendimento della lettura, della scrittura e delle abilità di studio. Un altro ambito
importante è quello delle abilità psicomotorie: la motricità, la lateralizzazione,
l‟orientamento spazio-temporale sono aspetti che possono presentarsi „immaturi‟ in
alcuni bambini. L‟osservazione del gioco e del disegno può essere un utile strumento di
valutazione. Con il termine disturbo di apprendimento si intende, invece, sottolineare la
presenza di atipie e deviazioni sia nel rit mo sia nella forma di sviluppo delle abilità e
capacità del bambino. Il disturbo di apprendimento implica alterazioni nelle prestazioni
cognitive, neuropsicologiche e/o metacognitive;
b) la difficoltà di apprendimento può essere specifica, cioè interessare un singolo
settore/ambito di abilità (la lettura, la scrittura, l‟espressione orale, l‟espressione
scritta, la matematica, il movimento...) ed inserirsi in un quadro generale di buone
capacità intellettive. Essa è in genere una difficoltà isolata, in contrasto con un livello
212
scolastico globale normale. Rientrano in questa categoria la dislessia, la disortografia, la
discalculia e la disortografia. Le diff icoltà di apprendimento aspecifiche rinviano, invece,
a cause ambientali, relazionali ed emotivo- motivazionali. Esse possono essere legate a
situazioni familiari particolari, ad un metodo di insegnamento scorretto, a svantaggi
economici e culturali, a modalità di comunicazione e di educazione inadeguate (vedi
Bisogni Educativi Speciali);
c) si definisce difficoltà di apprendimento primaria un disturbo selettivo e limitato, non
riconducibile a patologie maggiori. In questo caso il disturbo va interpretato come
sindrome. Le difficoltà di apprendimento secondarie si manifestano, invece, a seguito di
una patologia organica a carico di un organo o di un apparato (es. sordità, cecità,
ritardo mentale, pci...) della quale sono le conseguenze. In questo secondo caso il
disturbo è un sintomo che si associa a specifiche e diverse sindromi;
d) difficoltà di apprendimento possono manifestarsi in ogni età della v ita ed essere
conseguenza di fattori e meccanismi organici e/o ambientali. Il processo di sviluppo di
un soggetto è caratterizzato da disomogeneità e discontinuità, che richiedono
progressivi adattamenti; a questi si alternano momenti di stabilità e costanza.
L‟adattamento richiede l‟apprendimento di conoscenze e strategie nuove a livello
intellettivo, sociale e fisico e il raggiungimento di un rinnovato equilibrio utile nel
fronteggiare eventi prevedib ili ed imprevedibili. Nell‟ arco della v ita di una persona tali
cambiamenti possono verif icarsi a causa di difficoltà e traumi di natura endogena e/o
esogena, che in personalità vulnerabili, possono dare origine a patologia;
e) nei disturbi evulutivi si evidenziano difficoltà nell‟apprendimento di competenze (lettura,
scrittura, calcolo)
che normalmente dovrebbero essere apprese nel corso dello
sviluppo. Sono disturbi che emergono nel corso della crescita del soggetto e in genere
con l‟entrata nella scuola. Nel caso dei disturbi acquisiti, dopo uno sviluppo normale, a
seguito di una lesione neurologica (trauma) o di una malattia si determina un danno e
la perdita delle competenze precedentemente esistenti. La riabilitazione ha l‟obiettivo di
portare a riac quistare la capacità perduta e/o le altre abilità e competenze a questa
collegate.
La natura specifica dei DSA è neuropsicologica e neuro-fisiologica, anche se spesso esiste una
circolarità fra problemi di apprendimento e problemi di comportamento e disag io (Cairo M. e
Sidoli R. – a cura di -, Diff icoltà di apprendimento in preadolescenza ed adolescenza, Vita e
Pensiero, Milano, 1995; Cornoldi C. – a cura di-, I disturbi dell‟apprendimento. Aspetti
psicologici e neuropsicologici, il Mulino, Bologna, 1991; Cornoldi C. – a cura di -, Difficoltà e
disturbi dell‟apprendimento, il Mulino, Bologna, 2007; Mazzoncini B. e Musatti L., La strada
maestra. I disturbi dell‟ apprendimento e la formazione degli insegnanti, NIS, Roma, 1993;
Stella G., Sviluppo cognitivo, Mondadori, Milano, 2000; Stella G., In classe con un allievo con
disordini dell‟apprendimento, Fabbri, Milano, 2001).
Le difficoltà/disturbi di apprendimento hanno, in genere le seguenti tre caratteristiche: a)
discrepanza: nella valutazione del Q.I. c‟è una differenza tra la stima delle abilità intellettive
generali del soggetto e l‟effettivo successo scolastico (underachievement); b) disomogeneità: il
profilo di competenze dimostrato dal soggetto può risultare disomogeneo nei diversi ambiti di
apprendimento. Il soggetto presenta punti di forza e punti di debolezza secondo un andamento
discontinuo f ra materie/discipline; c) specificità: il funzionamento cognitivo si presenta carente
all‟interno di una singola area di sviluppo (es. deficit linguistico, de ficit attentivo...) e/o
competenza (lettura, scrittura, calcolo). Va valutata attentamente la qualità del disturbo.
213
CITAZIONE:
“I disturbi specifici di apprendimento (learning disabilities) costituiscono un termine di
carattere generale che si riferisce a un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con
significative diff icoltà nell‟acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale,
espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica. Questi disordini sono
intrinseci all‟individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del sistema nervoso centrale e
possono essere presenti lungo l‟intero arco di vita. Problemi relativi all‟autoregolazione del
comportamento, alla percezione e interazione sociale possono essere assoc iati al disturbo di
apprendimento ma non costituiscono, per se stessi, disturbi specifici di apprendimento. Benché
possono verificarsi in concomitanza con altre condizioni di handicap (per esempio, danno
sensoriale, ritardo mentale, serio disturbo emotivo) o con inf luenze esterne come le differenze
culturali, insegnamento insufficiente o inappropriato, i disturbi specifici dell‟apprendimento non
sono il risultato di queste condizioni o influenze” (Cornoldi C., Le difficoltà di apprendimento a
scuola, il Mulino, Bologna, 1999, p. 30).
La Legge 170 dell‟8 ottobre 2010, Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico “riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortograf ia e la
discalculia, quali disturbi specifici di apprend imento, […] denominati „DSA‟ che si manifestano
in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit
sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività di vita
quotidiana.”
Le Linee Guida per il Diritto allo Studio degli Alunni e degli Studenti con DSA del Ministero della
Pubblica Istruzione del 2011 affermano che i disturbi specifici di apprendimento “interessano
alcune specifiche abilità dell‟apprendimento scolastico, in un contesto d i funzionamento
intellettivo adeguato all‟età anagrafica. Sono coinvolte in tali disturbi: l‟abilità di lettura, di
scrittura, di fare calcoli. Sulla base dell‟ abilità interessata dal disturbo, i DSA assumono una
denominazione specifica: dislessia (lettura), disgrafia e disortografia (scrittura), discalculia
(calcolo). Secondo le ricerche attualmente più accreditate, i DSA sono di origine
neurobiologica; allo stesso tempo hanno matrice evolutiva e si mostrano come un‟atipia dello
sviluppo, modificabili att raverso interventi mirati. Posto nelle condizioni di attenuare e/o
compensare il disturbo, infatti, il discente può raggiungere gli obiettivi di apprendimento
previsti. E‟ da notare, inoltre (e ciò non è affatto irrilevante per la didattica), che gli alunn i con
DSA sviluppano stili di apprendimento specifici, volti a compensare le difficoltà incontrate a
seguito del disturbo.”
NOTA:
Con il termine abilità si intendono quelle attitudini e funzioni di base (memoria, attenzione,
percezione, linguaggio, motricità) che ci permettono di agire e di adattarci alla realtà. Esse
rappresentano i prerequisiti necessari perché si verifichino i processi di apprendimento e
socializzazione: sono innate – basi organiche -, ma crescono e maturano grazie all‟interazione
con l‟ambiente. Con il termine competenza si intende la prestazione (lettura, scrittura, calcolo,
movimento) usata in modo corretto e contestualizzato, cioè in modo adeguato rispetto alle
richieste dell‟ambiente. La competenza è differente dalla performance, dove la prestazione è
svincolata dalle richieste dell‟ambiente, è riferita unicamente al raggiungimento del risultato
corretto (es. svolgimento di un esercizio) ed eseguita meccanicamente (automatismio). Con il
termine capacità si intende la disposizione all‟ elaborazione mentale di abilità e competenze,
che diventano oggetto di riflessione (capacità meta cognitiva) a livelli sempre più elaborati e
214
complessi (consapevolezza), fino ad arrivare alla produzione di idee, oggetti, situazioni nuove e
piacevoli per qualcuno (creatività).
BIBLIOGRAFIA
Esposito A. e Chiappetta Cajola L. – a cura di -, I disturbi specifici di apprendimento: aspetti
giuridici, clinici, psicologici e didattico – metodologici, Anicia, Roma, 2012; Stella G., Termine
C., AID, La diagnosi della dislessia e degli altri disturbi specifici dell‟apprendimento, Omega,
Torino, 2013; Vio C., Tressoldi E., Le Presti G., Diagnosi dei disturbi specifici
dell‟apprendimento scolastico, Erickson, Trento, 2012.
SITOGRAFIA
http://www.airipa.it
http://www.dsanotizie.org
http://www.istruzione.it
http:/www.retegenitoridsa.it
http://tuttodsa.it
http://www.sinpia.it
http://www.psicopedagogika.it
http://unicatt.it/spaee
215
D
Dislessia
DEFINIZIONE:
La dislessia evolutiva
(alessia nei casi di estrema gravità) consiste in un d isturbo di
automatizzazione dai fonemi ai grafemi e viceversa ed emerge all‟inizio del processo di
scolarizzazione in soggetti che, a fronte di una intelligenza nella norma o anche superiore alla
norma, non presentano patologie o traumi a cui riferire il def icit. Spesso sono bambini che
hanno avuto ritardi di linguaggio orale e presentano o hanno presentato difficoltà nella
lateralizzazione e nell‟organizzazione spazio – temporale. Gli errori più frequenti nella lettura
sono: confusione nel riconoscimento dei segni diversamente orientati (es. p-q; b–d; u– n);
difficoltà a distinguere fonemi dal suono simile (f -v; t-d; d-g; m-p-b); inversione nella
successione di grafemi; omissione e aggiunta di lettere, sillabe o parole; salto di righe;
punteggiatura e tono inesistente; mancata distinzione di parole simili tra loro.
CITAZIONE:
“la dislessia è un disturbo che ostacola il normale processo di interpretazione dei segni grafici
con cui si rappresentano per iscritto le parole [...] viene definito un dist urbo della capacità di
leggere. La dislessia evolutiva si manifesta [...] all‟inizio del processo di apprendimento della
lettura. Il bambino mostra subito diff icoltà a riconoscere le lettere dell‟alfabeto, a fissare le
corrispondenze fra segni graf ici e suoni e ad a utomatizzarle, cioè a compierle in modo rapido e
senza sforzo apparente. Il primo segno riconoscibile della dislessia evolutiva è il lento e
faticoso apprendimento della lettura ad alta voce. Bisogna tuttavia subito sottolineare che la
lentezza nell‟apprendere la lettura non è un elemento sufficiente per def inire un bambino
dislessico, poiché i tempi di apprendimento sono diversi da soggetto a soggetto e quindi, in
alcuni casi, il ritardo di un bambino nell‟imparare la lettura potrebbe essere riconducibile alle
caratteristiche di un sistema che ha bisogno di tempi lunghi per completarsi.” (Stella G., La
dislessia, Il Mulino, Bologna, 2004).
“…la dislessia è il disturbo specifico di lettura che si caratterizza per la difficoltà ad effettuare
una lettura accurata e fluente in termini di velocità e correttezza; tale difficoltà si ripercuote,
nella maggioranza dei casi, sulla comprensione del testo” (Stella G. e Grandi L., Come leggere
la dislessia e i DSA, Giunti, Firenze, 2007, p. 7).
NOTA:
E‟ importante ricordare che difficoltà di lettura si possono avere non solo in caso di dislessia,
ma anche in situazioni di svantaggio socio – culturale, in cui, per esempio, il dialetto è la
lingua parlata in famiglia, in caso di italiano come L2, in cui l‟alunno proviene da contesti
migratori, e in caso di disabilità intellettiva . Ognuna di queste situazioni è particolare e come
tale va considerata non confondendola con i disturbi specifici dell‟apprendimento (DSA).
216
BIBLIOGRAFIA
Brembati F. e Donini R., DSA e compiti a casa: strategie per rendere efficace lo studio e lo
svolgimento dei compiti, Gardolo – Trento -, Erickson, 2013; Grenci R., Capire la dislessia:
attività meta cognitive per la scuola primaria, Erickson, Trento, 2013; Marotta L. e Varvara P.
– a cura di -, Funzioni esecutive nei DSA. Disturbo di lettura: valutazione e intervento,
Erickson, Trento, 2013.
SITOGRAFIA
http://www.aiditalia.org
http://www.dislessia_genitori.org
http://www.libriliberi.it
http://libroparlato.org
http://www.erickson.it
http.//www.giuntiscuola.it
217
D
Disortografia
DEFINIZIONE:
Un bambino presenta difficoltà nella competenza ortografica, quando fa fatica ad acqu isire le
regole fonologiche fondamentali e le irregolarità ortografiche della sua lingua madre. Molti
errori di ortografia sembrano riflettere un‟ incapacità del bambino ad analizzare bene i suoni
della lingua e a scomporli (segmentarli) nei fonemi costitutivi e nelle lettere e sillabe
corrispondenti (consapevolezza fonologica) (Cornoldi C., Le difficoltà di apprendimento a
scuola, il Mulino, Bologna, 1999). Il bambino disortograf ico commette numerosi errori nella
parola, nella frase, nel periodo analoghi a quelli commessi nella lettura (dislessia). I tipi di
errori più frequenti sono: elisioni, sostituzioni, inversioni, assenza di doppie, alterazioni della
struttura sintattica, cattivo uso delle preposizioni e congiunzioni, errori nei tempi e modi dei
verbi, elisioni di parole, disordine temporale nella descrizione degli eventi. Esistono spesso
correlazioni fra disortografia e disgraf ia.
CITAZIONE:
“Il ruolo dei processi fonologici è molto evidente nella scrittura dato che questo richiede una
corretta analisi fonologica delle parole e tale analisi può essere realizzata solo se il soggetto
possiede rappresentazioni fonologiche stabili e facilmente accessibili” (Camaioni L., Psicologia
dello sviluppo del linguaggio, il Mulino, Bologna, 2001, p. 272).
La disortografia “è un disturbo specifico dell‟apprendimento che riguarda la scrittura, non
connesso a deficit sensoriali, motori o neurologici. Il bambino che è affetto da disortografia non
segue le regole di trasformazione della lingua parlata in lingua scritt a, non riesc e a tradurre
senza errori i suoni che compongono le parole in simboli graf ici. I sintomi possono essere
omissioni di grafemi o parti di parola, sostituzioni di grafemi o loro inversioni. La disortograf ia
può provenire da difficoltà di linguaggio, da una cattiva organizzazione tempo – spaziale o da
un lento processo nella simbolizzazione grafica. La disortografia di solito viene associata a
disturbi di linguaggio” (D‟Amico A., Lettura, scrittura, calcolo. Processi cognitivi
dell‟apprendimento, Carlo Amore, 2002).
NOTA:
La letteratura evidenzia l‟esistenza di tre tipi ricorrenti di errori ortografici: 1. disortograf ia
vera e propria: scarto nella corrispondenza suono – segno; 2. disortograf ia di ordine
concettuale: uso errato delle capacità logic he che permettono di praticare determinate scelte e
di ragionare in modo analogico (es. lascia – l‟ascia; ha – ah! – a -); 3. disortografia di ordine
culturale: difficoltà dovute al dialetto o a svantaggi socio – culturali.
218
Un‟altra distinzione importante riguarda il tipo di testo che chiediamo al bambino di scrivere. Si
ha quindi:
a. la scrittura sotto dettatura, che richiede la capacità di discriminazione e analisi fonetica
della associazione fonema – grafema e il recupero della forma ortografica;
b. la scrittura spontanea, che richiede pianif icazione verbale, recupero lessicale e morfo sintattico, competenza argomentativa, capacità di revisione del testo scritto;
c. la copia, in cui il bambino attraverso movimenti coordinati e programmati riproduce
singole parti – grafemi – rispettando rapporti spaziali predef initi.
(Sabbadini G. – a cura di – Manuale di neuropsicologia dell‟età evolutiva, Zanichelli, Bologna,
1995)
L‟insegnante deve saper differenziare tutte queste situazioni, poiché in esse vengono all‟alunno
richieste abilità e capacità differenti di tipo cognitivo e neuropsicologico.
BIBLIOGRAFIA
AID e Comitato promotore Consensus Conference – a cura di -, Erickson, Gardolo – Trento -,
2009; Di Filippo G. e Zoccolotti P. – a cura di -, Dislessia, disortograf ia, discalculia: uno o più
disturbi?, Erickson, Gardolo, Trento, 2009; Mugnaini D., Doppie e accenti: schede per
disortografia e dislessia, LibriçLiberi, Firenze, 2006.
SITOGRAFIA
http://www.erickson.it
http.//www.giuntiscuola.it
http://www.libriliberi.it
219
D
Disgrafia
DEFINIZIONE:
Nella scrittura è richiesta la capacità di coordinazione oculo – motoria, correlata ad una
corretta percezione dello spazio (passaggio da l sistema topologico al sistema euclideo – Piaget
-) ed alla capacità di trasporre il fonema in grafema. Dal punto di vista dell‟apprendimento
l‟alunno deve saper cogliere la differenza che caratterizza i diversi segni grafici non solo
visivamente, ma anche nell‟atto motorio, che è necessario realizzare. L‟allievo deve, inoltre,
avere ben presenti le regole ortograf iche.
La disgraf ia è un disturbo specifico dell‟apprendimento, ove non vi siano deficit intellettivi e
neurologici, che incide sulle f unzioni basilari della scrittura. Si può rilevare in vari modi: scarsa
leggibilità, lentezza, disorganizzazione delle forme e degli spazi grafici, confusione, rigidità o
esagerata accuratezza. Va riconosciuta precocemente perché è incline ad aggravarsi nel
tempo. Si può prevenire già alla scuola dell‟infanzia attraverso lo studio della grafomotricità e
la proposta di esercizi ed attività ludiche preparatorie al gesto grafico nonché durante il primo
ciclo della scuola primaria attraverso un adatto metodo d‟insegnamento e potenziamento della
scrittura.
CITAZIONE:
“la disgrafia è un disturbo della scrittura che si caratterizza come una difficoltà specifica nella
riproduzione dei segni alfabetici e numerici, il cui tracciato appare incerto, irregolare nella
forma e nella dimensione e comunque inadeguato – del tutto o in parte – ai modelli. Parlando
di disgraf ia intendiamo riferirci alla scrittura come puro graf ismo (riproduzione di segni per
copia, per scrittura sotto dettatura, per scrittura spontanea) e non alla scritt ura come
linguaggio e comunicazione […] Si tratta in sostanza di un problema che investe gli aspetti
formali della scrittura e non il contenuto” (Brotini M., Le difficoltà di apprendimento, Del Cerro,
Tirrenia – Pisa, 1995, p. 25).
“la calligrafia e la velocità di produzione, dipendono dall‟efficienza prassica e dall‟efficienza
oculo – motoria, la sintassi e la scelta del lessico dipendono dallo sviluppo delle funzioni
sintattiche e lessicali del linguaggio, mentre il rispetto delle regole di punteggiatura deriva
dalla comprensione del rapporto tra pause del linguaggio parlato e la loro rappresentazione
grafica e dalla conoscenza di alcune convenzioni come l‟uso del punto e virgola o l‟uso della
lettera maiuscola dopo il punto. Infine l‟organizzazione del contenuto dipende
sia
dall‟efficienza dei processi di ragionamento che dallo sviluppo delle diverse fasi del processo di
produzione, ideazione, programmazione e trasformazione” (Tressoldi P. e Vio C., Diagnosi dei
disturbi dell‟apprendimento scolastico, Erickson, Trento, 1997, p. 77).
“Nel percorso di apprendimento della lettura, che procede unitamente a quello della lettura,
l‟allievo impara non soltanto a produrre lettere e parole con segni grafici corretti, ma anche a
220
collocare ciascun segno alfabetico al giusto posto nello scrivere ogni singola parola. A ciò si
aggiunge l‟acquisizione delle principali regole ortografiche, come l‟uso degli accenti, degli
apostrofi, dei segni di interpunzione, delle preposizioni, della lettera „h‟, delle congiunzioni,
delle concordanze maschile-femminile, ecc…” (Pascoletti C., La scrittura e i suoi errori, Giunti
O.S., Firenze, 2010, p. 75).
NOTA:
E‟ importante ricordare che la disgraf ia può essere un sintomo di disprassia. In questi casi è
necessario analizzare lo svilu ppo motorio e la coordinazione motoria. La qualità del gesto
grafico viene innanzitutto influenzata dall‟organizzazione motoria e dalle strutture
neurofisiologiche deputate alla motricità e dipendenti dal sistema nervoso centrale. In questo
ambito riveste un‟importanza specifica anche la dominanza laterale e di conseguenza indagini
volte a esaminare il tono e l‟armonia cinetica. Queste indagini servono proprio ad evidenziare
eventuali disturbi dell‟esecuzione e del controllo motorio, che influiscono sulla grafia rendendo
difficoltosa la corretta riproduzione delle lettere e delle loro congiunzioni e la successione
ordinata del tracciato. Scrivere è in primo luogo saper tracciare segni grafici più o meno
complessi e per fare questo occorre possedere un‟adeguata abilità manuale, insieme ad una
capacità di coordinazione, che permette di eseguire segni precisi e rapidi. Bambini che
mostrano problemi di coordinazione, di rit mo, di equilibrio nel rapporto oculo – manuale,
avranno difficoltà nei movimenti dello schema mano-dita-polso e avambraccio.
BIBLIOGRAFIA
Basagni C. – a cura di -, La disgraf ia senza dislessia: dalla diagnosi alla riabilitazione, De l
Cerro, Pisa, 2007; Pascoletti C., La scrittura e i suoi errori, Giunti, Firenze, 2010; Zoccoletti P.,
I disturbi evolutivi di lettura e scrittura. Manuale per la valutazione, Carocci, Roma, 2005.
SITOGRAFIA
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http://www.a-g-i.it
http://www.angris.it
221
D
Discalculia
DEFINIZIONE:
La discalculia evolutiva è un disturbo d i origine congenita e di natura neuropsicologica che
impedisce a soggetti normodotati di raggiungere adeguati livelli di rapidità e di correttezza
nelle operazioni di calcolo (a mente e/o per iscritto), nei fatti numerici (tabelline), nei
ragionamenti arit metici e di problem solving matematico (concetti matematici e soluzione di
problemi). Il bambino che ha problemi di discalculia in genere presenta difficoltà nel cogliere
lo spazio e le relazioni spaziali, nel percepire correttamente il tempo e nella cost ruzione di un
adeguato schema corporeo. Può presentare inoltre: difficoltà di astrazione e generalizzazione;
difficoltà a lavorare attraverso i fondamenti logici della materia (es. classificazione, seriazione,
conservazione della quantità, del peso, del volume, della superficie...); difficoltà di tipo
linguistico; difficoltà nella memoria a breve e a lungo termine; deficit di progettazione
dell‟azione; deficit di elaborazione e automatizzazione di procedure per la manipolazione dei
simboli numerici; difficoltà a costruire sistemi di simboli più astratti (es. fare rappresentazioni
grafiche, utilizzare la statistica, problemi nel leggere le carte geografiche...).
CITAZIONE:
“la discalculia (acalculia nei casi di estrema gravità) si presenta come una difficolt à specifica
nell‟apprendimento del calcolo, nello stadio elementare, nel quadro di uno sviluppo intellettivo
normale e in assenza di disturbi di natura affettiva, anche se in certi casi questi ultimi possono
ritrovarsi fra i fattori eziologici. In tali sit uazioni però gli effetti negativi sono qualitativamente
generalizzati, estesi cioè anche ad altri settori dell‟apprendimento e non semplicemente limitati
all‟apprendimento matematico. Più f requentemente questa difficoltà specifica si rileva in
soggetti colpiti da lesioni organiche precisamente localizzate (come si verif ica spesso nei
traumi cranici) (Brotini M., Le difficoltà di apprendimento, del Cerro, Tirrenia – Pisa - 1990, p.
149).
“[…] effettivamente il numero si organizza, una tappa dopo l‟altra, in stretta solidarietà con
l‟elaborazione graduale dei sistemi di inclusione (gerarchia delle classi logiche) e delle relazioni
asimmetriche (seriazioni qualitative), la successione dei numeri viene così a sostituirsi in
quanto sintesi operante della classificazione e della seriazione” (Piaget J., La genesi del numero
nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1968, pp. X).
NOTA:
Parlare di discalculia implica la necessità di affrontare il tema della intelligenza numerica.
Butterworth sostiene la tesi innatista del „cervello matematico‟ per cui nel nostro cervello
esistono circuiti specializzati per categorizzare il mondo in termini di numerosità (numero degli
oggetti di un insieme) ; egli paragona la visione del mondo in termini di numerosità a quella in
termini cromatici: “entrambi i processi sono automatici: non possiamo evitare di vedere che le
222
mucche in un campo sono bianche e marroni, né possiamo evitare di vedere che ce ne sono tre
[…] la mia tesi è che il fenomeno umano contenga le istruzioni per costruire circuiti cerebrali
specializzati che chiamerò m odulo numerico. La funzione del modulo numer ico è quella di
classificare il mondo in termini di quantità numerica o di numerosità, cioè del numero di
oggetti di un insieme (Butterworth B., Intelligenza matematica: vincere la paura dei numeri
scoprendo le doti innate della mente, Rizzoli, Milano, 1999).
Al contrario Lucangeli afferma che le abilità matematiche non sono un dono di natura, un
requisito immutabile, ma possono essere efficacemente sviluppate attra verso un‟ adeguata
metodologia didattica (Lucangeli D., Psicologia dell‟apprendimento matematico, UTET, Torino,
1995).
Tra le varie aree di apprendimento scolastico quella della matematica sembra essere cruciale
per la propria influenza sullo sviluppo di u n atteggiamento e di una generale sensazione di
competenza di sé. La percezione della propria competenza influenza il senso di soddisfazione
intrinseca del bambino e accresce la sua motivazione a intraprendere successivi
comportamenti di padronanza.
BIBLIOGRAFIA
Biancardi A., Mariani E., Pieretti M. – a cura di -, Intervento logopedico nei DSA. La discalculia.
Diagnosi e trattamento secondo le raccomandazioni della Consensus Conference, Erickson,
Trento, 2013; Genovese E., Ghidoni E., Guaraldi G. –a cura di -, Discalculia nei giovani adulti:
indicazioni e strumenti per uno studio efficace, Erickson, Gardolo – Trento -, 2013; Imperiale
R., Pesci A., Sandri P., Vighi P. – a cura di -, Il senso dell‟educazione matematica. Valorizzare
valutando, Pitagora, Bologna, 2011.
SITOGRAFIA
http://www.ma-pes.it
http://www.grimed.it
http://www.pitagora.it
http://www.libriliberi.it
http://www.erickson.it
223
D
Disturbo/difficoltà di comprensione e di produzione del testo scritto
DEFINIZIONE:
Il disturbo di comprensione si presenta nei bambini definiti „cattivi lettori‟; essi hanno un livello
normale di intelligenza, ma prestazioni inferiori alla media nella comprensione del testo
scritto.
La difficoltà di comprensione implica problemi legati a) alla costruzione della rappresentazione
mentale del contenuto del testo (integrazione fra le informazioni che il lettore già possiede e le
informazioni contenute nel brano – ruolo delle conoscenze precedenti, familiarità con
l‟argomento e con il lessico usato nel testo -; b) alla poca efficienza nei meccanismi di memoria
di lavoro – le informazioni importanti rimangono meno attive e non diventano significative e le
informazioni meno importanti vengono inibite con più lentezza; c) alle premesse meta
cognitive assenti o carenti circa le conoscenze che il lettore ha sullo scopo della lett ura, sulle
strategie che adotta per raggiungere questo scopo e sul controllo che esercita per monitorare
la propria comprensione; d) alla istruzione precedente inadeguata al tipo di intelligenza e allo
stile cognitivo del bambino; e) a situazioni di svant aggio socio-culturale familiare; f) a
presenza di problemi emotivi e/o affettivo – relazionali (De Beni R. e Pazzaglia F., La
comprensione del testo. Modelli teorici e programmi di intervento, UTET, Torino, 1995).
I problem i di produzione del testo scritto, invece, rimandano principa lmente a due ordini di
fattori: a) la distinzione fra scrittore inesperto e scrittore esperto. Lo scrittore inesperto utilizza
la strategia di dire tutto quello che sa su un argomento, non valuta i contenuti e la loro
adeguatezza, non rilegge. Il testo che viene progressivamente scritto non è qui ndi oggetto nè
di rif lessione nè di verifica. Lo scrittore esperto, invece, utilizza la strategia della selezione
delle informazioni da trasmettere, dell‟organizzazione, della pianificazione, della trascrizione e
revisione dei contenuti; b) la demotivazione dovuta principalmente al poco piacere provato nei
confronti di tutto ciò che è scritto a cui non viene attribuito alcun significato sociale e/o
creativo. Essa ha un ruolo determinante nel favorire o inibire l‟alunno nel compito dello
scrivere.
CITAZIONE:
“Molti studiosi insistono sul fatto che la comprensione richiede la costruzione di modelli mentali
della situazione, talvolta immagini vere e proprie, talvolta rappresentazioni schematiche dello
stato delle cose […] Non sorprendentemente, i bambini con disturbo specifico di
apprendimento relativo alla comprensione del testo scritto hanno anche difficoltà di
espressione scritta. […] Sussiste un notevole rapporto fra disturbo di co mprensione del testo e
difficoltà di studio…” (Cornoldi C., Le difficoltà di apprendimento a scuola, il Mulino, Bologna,
1999, p. 95-96).
224
“…varie ricerche hanno ormai documentato la possibilità di dissociare fra le abilità che
predicono la decodifica da quelle che predicono la comprensione del testo […], dimostrando,
quindi, una certa indipendenza fra le due componenti di lettura. Naturalmente se pensiamo ad
un bambino che impara a leggere, l‟abilità di decodificare un testo è strumentale all‟abilità di
comprensione: non potrebbe esistere la comprensione se prima il lettore non fosse in grado di
decifrare il testo e viceversa la comprensione facilita la decodifica “ (Cornoldi C. – a cura di -,
Difficoltà e disturbi dell‟apprendimento, il Mulino, Bologna, 2007, p. 143).
NOTA:
I cattivi lettori si distinguono non tanto per la presenza di una scorretta codifica e decodifica
fonologica, ma per problemi di compromissione e produzione del testo scritto. Tali situazioni
non sono completamente assimilabili nella d iagnosi di dislessia. Infatti quest‟ultima viene
valutata secondo tre parametri fondamentali: accuratezza, rapidità e comprensione del testo
scritto. I cattivi lettori aggiungono ai problemi di lettura anche quelli di organizzazione delle
informazioni, di memorizzazione e di recupero delle conoscenza. I cattivi scrittori hanno
difficoltà a programmare un testo scritto in modo logico e formalmente corretto (costruzione e
sequenzialità delle frasi e dei periodi) e non rileggono ciò che hanno scritto.
BIBLIOGRAFIA
De Beni R. e Pazzaglia F., La comprensione del testo: modelli teorici e programmi di
intervento, Liviana, Torino, 1992; De Cagno A.G., Riccardi Ripamont i I., Savelli E. – a cura di Intervento logopedico nei DSA: la scrittura. Diagnosi e trattamento secondo le
raccomandazioni della Consensus Conference, Erickson, Trento, 2013; Sarti D. e Zardini G. – a
cura di -, Sillabando si impara: disordini dello sviluppo e apprendimento della lingua scritta,
Franco Angeli, Milano, 1999; Zanetti M.A. e Miazza D., La comprensione del testo: modelli e
ricerche di psicologia, Carocci, Roma, 2004.
SITOGRAFIA
http://www.erickson.it
http.//www.giuntiscuola.it
http://www.ediomega.com
225
D
Disturbi prassici e della coordinazione visuo-motoria
DEFINIZIONE:
Rientrano in questo ambito la disprassia evolutiva (aprassia nei casi più gravi) e altri problemi
correlati come le alterazioni della lateralizzazione, la disgraf ia, l‟impaccio motorio e i ritardi
psicomotori. La disprassia evolutiva è una compromissione più o meno grave dello sviluppo
della coordinazione motoria, che non è spiegabile in termini di ritardo intellettivo generale o di
una specifica patologia congenita o acquisita. L‟intelligenza di questi bambini è, infatti, nella
norma. Il quadro è caratterizzato da: difficoltà di coordinazione, presenti sin dalle prime fasi di
sviluppo e non dipendenti da deficit neurosensoriali e neuromotori; entità della
compromissione variabile e modif icabile in funzione dell‟età; ritardo – non costante – di
acquisizione delle tappe di sviluppo neuromotorio (difficoltà ad accedere a livelli più complessi
del movimento), a volte accompagnato da ritardo di sviluppo del linguaggio (componenti
articolatorie); goffaggine nei movimenti; ritardo nell‟organizzazione del gioco e del disegno –
tipo deficit costruttivo -; presenza – non costante – di segni neurologici sfumati, privi di sicuro
significato; presenza – non costante – di difficoltà scolastiche e di problemi socio-emotivocomportamentali.
CITAZIONE:
“…gli ambiti in cui si manifesta il disturbo della coordinazione motoria o la goffaggine sono
molto diversi e non tutti i bambini presentano le stesse difficoltà prattognosiche, avendo a
volte una goffaggine generalizzata e un più marcato deficit in un settore specifico […] rispetto
all‟uso del termine disprassia abbiamo sempre operato secondo una logica evolutiva, mettendo
soprattutto in evidenza la mancata acquisizione di funzioni adattive, in r iferimento al concetto
di prassia inteso come un sistema di movimenti intenzionali, coordinati in serie e compiuti in
funzione di uno scopo. Riteniamo in questo senso impossibile distinguere, nel corso dello
sviluppo, gli aspetti motori da quelli percettivo – gnosici, e concordiamo quindi con le ipotesi
che la disprassia, oltre al disturbo esecutivo, metta in evidenza disordini dello schema
corporeo, dispercettivi e agnosici oltre che costruttivi e spaziali” (Sabbadini L., La disprassia in
età evolutiva: c riteri di valutazione ed intervento, Springer – Verlag, Milano, 2007, p. 7-8).
NOTA:
Un concetto particolarmente rilevante nei disturbi e nelle difficoltà di tipo motorio è quello di
arco prassico, sistema funzionale su base neuro – motoria e cognitivo – percettiva che
permette la realizzazione di una attività. Esso implica tre momenti fondamentali di lavoro da
parte del soggetto: a) integrazione sensoriale: recezione e percezione corretta degli stimoli
propriocettivi ed esterocettivi – vicini e lontani -; b) ideazione e programmazione dell‟azione,
per cui le informazioni vengono organizzate e l‟atto motorio viene programmato (es. vengono
coordinate le informazioni visive relative alla localizzazione spaziale, alla forma, al
movimento…, al tempo di esecuzione – orientamento spazio – temporale -, all‟equilibrio…); c)
esecuzione in un continuo processo di feedback con l‟ambiente e con se stessi e di verifica (es.
controllo della muscolatura, orientamento del corpo, mantenimento di una posizione….).
226
BIBLIOGRAFIA
Kirby A., Disprassia: un disturbo nascosto, La Scuola, Brescia, 2003; Kurtz L.A., Disturbi della
coordinazione motoria: come aiutare i bambini goffi a casa e a scuola, Erickson, Trento, 2006
SITOGRAFIA
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http://www.metodoterzi.org
http://www.anupi.it
http://www.fiscop.it
http://www.fipm.it
227
D
Disturbo di attenzione con o senza iperattività
DEFINIZIONE:
E‟ questo un deficit in cui i problemi di apprendimento si presentano molto correlati ai problemi
di comportamento.Tre i gruppi di sintomi rilevanti: a) la disattenzione: difficoltà a terminare
ciò che si è iniziato, difficoltà di ascolto, facile distraibilità, problemi di concentrazione…. I
problemi attentivi dei bambini con DDAI (Deficit di Attenzione ed Iperattività) so no
principalmente caratterizzati dalla difficoltà a mantenere l‟attenzione nel tempo e a passarla
rapidamente da un compito all‟altro; si tratta quindi di bambini che presentano difficoltà nel
gestire adeguatamente la loro attenzione secondo le richieste dell‟ambiente (autoregolazione
dell‟attenzione); b) l‟im pulsiv ità: acting-out, passaggio da una attività ad un‟altra, difficoltà ad
organizzare il lavoro, necessità di una supervisione costante, comportamento disturbante in
classe – grida, difficoltà ad aspettare il turno nel gioco e nelle situazioni di gruppo... -; c)
l‟iperattività: continua attività motoria – es. corsa... -, difficoltà a rimanere seduto nel banco,
frequente nervosismo, sonno irregolare...Si intende con DDAI un eccessivo ed inadeguato
livello di attività che si manifesta con una continua irrequietezz a e con la necessità del
bambino di essere sempre in movimento, di passare rapidamente da un‟attività ad un‟altra e
con la difficoltà quindi di stare tranquillo.
Alcuni studiosi hanno riconosciuto il fondamento neurologico ed evolutivo dell‟iperattività e ne
hanno evidenziato gli aspetti motivazionali. Altri hanno suggerito come il DDAI sorga da una
insensibilità alle conseguenze del comportamento – es. rinforzi, punizioni...-. Altri ancora
hanno sottolineato che il problema è almeno in parte socialmente definito: se un modello di
comportamento è chiamato iperattivo ed è considerato un problema, dipende non soltanto da
fattori interni al bambino, ma anche dalle richieste di prestazione, dai compiti e dalle
aspettative sociali presenti nella situazione (Marzocchi G.M., Bambini disattenti e iperattivi, Il
Mulino, Bologna, 2003).
I bambini DDAI hanno difficoltà nel fare amicizie, presentano difficoltà di apprendimento e
spesso possono evolvere il loro comportamento in disturbi di tipo oppositivo provocatorio che,
se non curati per tempo, rischiano di trasformarsi in problemi di devianza sociale.
CITAZIONE:
Il deficit di autoregolazione caratterizza la sindrome DDAI “non solo da un punto di vista
comportamentale, ma anche in relazione al funzionamento difetto so dei meccanismi che
governano l‟attenzione e l‟impegno sostenuto, il controllo inibitorio e la modulazione dei livelli
di arousal in grado di soddisfare le richieste situazionali o del compito” (Cornoldi C. et all. – a
cura di -, Impulsività e autocontrollo, Erickson, Trento, 1996, p. 25).
NOTA:
La letteratura individua diverse componenti dell‟attenzione, che vanno considerate nella
valutazione di un deficit attentivo: attenzione selettiva, attenzione focalizzata, attenzione
mantenuta o prolungata, attenzione divisa, shift di attenzione. Tali abilità cambiano a seconda
228
dell‟età del bambino, della salienza del compito, della qualità della relazione educativa
instaurata, della condizione di salute del bambino e del contesto.
BIBLIOGRAFIA
Daffi G. e Prando lini C., ADHD e compiti a casa: strumenti e strategie per bambini con difficoltà
di pianificazione, di organizzazione e fragilità di attenzione, Erickson, Trento, 2013; Fedeli D.,
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Carocci, Roma, 2012; Mo nteduro F. – a cura di
-, Percorsi pro sociali per iperattività, deficit di attenzione e disturbi della condotta: il
trattamento multilivello, Franco Angeli, Milano, 2012.
SITOGRAFIA
http://www.aidaiassociazione.com
http://www.aifa.it
http://www.iss.it/adhd/
229
D
Disturbi e ritardi del linguaggio
DEFINIZIONE:
I problemi di linguaggio possono essere suddivisi in: a) sindromi dismaturative: alterazioni
dell‟articolazione - dislalie funzionali -, ritardo linguistico – ritardo della parola, ritardo semplice
di linguaggio -; b) disturbi di linguaggio secondari o associati a situazioni di sordità, ritardo
mentale, psicosi, cerebro lesioni, svantaggio socio-culturale e disturbi di linguaggio specifici afasie e disfasie, dislessia – disortografia, balbuzie, mut ismo elettivo (Bickel J., Il bambino con
problemi di linguaggio. Diagnosi, intervento, prevenzione a casa e a scuola, Belforte Editore,
Livorno, 1989 e Minuto I., Le patologie del linguaggio infantile, La Nuova Italia, Firenze, 1994).
E‟ necessario tenere presente che il linguaggio come ogni apprendimento è il risultato di più
componenti: eredità biologica, maturazione del substrato neurale e ambiente, cioè le
esperienze che ogni soggetto ha modo di effettuare, tramite persone e cose che interagiscono
con lui. L‟acquisizione delle competenze linguistiche è un processo complesso, che vede
coinvolti da una parte l‟organizzaz ione cerebrale nelle aree e nei meccanismi deputati a questo
specifico compito e dall‟altra l‟esperienza, che modella le architetture neurali, durante tutto
l‟arco dello sviluppo. La plasticità neurale e la modificabilità cognitiva rappresentano due
importanti principi in ambito educativo e terapeutico (Caselli M.C., Mariani E. e Pieretti M. – a
cura di -, Logopedia in età evolutiva. Percorsi di valutazione ed esperienze riabilitative, Del
Cerro, Tirrenia – Pisa -2003; Sidoli R., Incontri felici con le parole. Il linguaggio f ra educazione
e disabilità, La Scuola, Brescia, 2001).
CITAZIONE:
“Il ruolo relativo del linguaggio rimane un problema molto dibattuto, come è dimostrato dalle
molte discussioni centrate sul problema se il linguaggio sia o meno necessa rio per lo sviluppo
cognitivo. Questo problema teorico è stato particolarmente controverso in relazione ai primi
stadi dello sviluppo (pensiero pre-operatorio e stadio delle operazioni concrete); la posizione
specifica di Piaget in questo caso era che il linguaggio non fosse né necessario né sufficiente
[…] Secondo Vygoskij […] invece, tra lo sviluppo del linguaggio e lo sviluppo cognitivo ci sono
delle interazioni continue tali che il pensiero non è autonomo dal linguaggio né casualmente
precedente ad esso” (Fletcher P. e Garman M. – a cura di -, L‟acquisizione del linguaggio. Studi
sullo sviluppo della lingua materna, Raffaello Cortina, Milano, 1991, p. 26-28) .
Il linguaggio è “un sistema di suoni dotati di signif icato che possono combinarsi tra loro p er
costruire signif icati più complessi. E‟ un sistema altamente produttivo che, a partire da un
numero finito di suoni e di regole di combinazione, può produrre un numero infinito di
enunciati, di f rasi o di discorsi…” (Di Blasio P., Contesti relazionali e dinamiche di sviluppo,
Cortina, Milano, 1995, p. 213)
230
NOTA:
In fase di osservazione è importante distinguere il livello della comprensione del linguaggio
(ascoltare, leggere) dal livello di produzione del linguaggio (parlare, scrivere). Un‟analisi di
questi due aspetti deve avvenire tenendo in considerazione le componenti del linguaggio: a)
fonologica; b) lessicale e semantica; c) morfosintattica e testuale; d) relazionale e pragmatica.
La competenza fonologica è la capacità di cogliere il fatto che le parole sono composte da
sillabe e fonemi. Quando ci sono disturbi di linguaggio si lavora su una maggiore
consapevolezza fonologica. A questo livello problemi nel linguaggio orale sono la dislalia
(incapacità di articolare o pronunciare correttamente il fonema singolo o il gruppo di fonemi) e
la disfasia (difficoltà di controllare nella produzione verbale la sequenza delle sillabe e dei
fonemi); mentre nel linguaggio scritto avremo la dislessia, la disgrafia e la disortograf ia. Gli
errori più f requenti in questa area sono: omissione di fonemi, confusione delle più importanti
opposizioni fonologiche (t/d, p/b, m/n, f/v, s/z, r/l), inversione di fonemi e di sillabe, presenza
di una pronuncia difettosa di fonemi e di una non corretta pronuncia delle parole, rip etizione
dell‟ultima parte delle parole, sostituzione di lettere. La competenza lessicale e semantica è la
capacità di esatta attribuzione di significati alle parole. Implica la capacità di organizzare la
realtà in campi lessicali e semantici attraverso la ricerca di tratti comuni, di differenze e di
classificazioni. Gli errori più frequenti in questa area saranno: difficoltà o incapacità a
denominare oggetti e persone con precisione, sostituzione del nome di un oggetto ricorrendo
ad una definizione funzionale dell‟oggetto (“è quella cosa che serve a ...”) o descrittiva (“è
quella cosa fatta di... lunga, bianca...”) o relativa alla classe di appartenenza (“è un mobile, è
un frutto...”), difficoltà ad usare aggettivi e avverbi (modificatori), scarso uso di espressioni
particolari, un po‟ creative, ma efficaci (“è un mega-super regalo!”), possesso di un vocabolario
povero ed insufficiente, incapacità di cogliere il signif icato di una parola inscritta nel contesto di
una frase. Quando ci sono disturbi di ling uaggio a questo livello si lavora sulla capacità di
creare categorie, di differenziare sul piano semantico e sull‟a rricchimento lessicale. La
competenza morfo – sintattica e testuale riguarda le regole ed i meccanismi attraverso i quali
si organizza il linguaggio. E‟ la capacità di produrre testi che abbiano una coerenza e coesione
semantica interna. La logica interna rimanda ai rapporti scopo – finalità, alle relazioni di causa
– effetto, ai rapporti di tempo e spazio. Gli errori più frequenti in questa area sono: non utilizzo
o difficoltà nell‟utilizzo di indicatori spazio-temporali (es. avverbi, tempi dei verbi), di avverbi e
locuzioni di luogo, di pronomi (io, tu, egli...) di pronomi di completamento (gli, le, lo ci, vi...);
non seguire il filo del disc orso, difficoltà a rivedere e cambiare la propria esposizione (es.
correggere, sopprimere, invertire l‟ordine delle frasi...), non articolare il discorso usando
rapporti causali o di negazione, difficoltà ad utilizzare strutture passive e riflessive, comun icare
con la parola – f rase, comunicare con frasi essenziali, non comprendere la narrazione di una
storia, o di un avvenimento, fare fatica a raccontare una storia. Quando ci sono disturbi di
linguaggio a questo livello si lavora sulla capacità di controllo della struttura morfo-sintattica e
sulla espansione della capacità logico – linguistica.
La competenza relazionale e pragmatica riguarda lo sviluppo sociale, la competenza
comunicativa nell‟uso dei linguaggi non verbali e l‟uso integrato di linguaggi. La competenza
pragmatica degli alunni è la capacità di produrre atti linguistici pertinenti alla situazione
comunicativa attraverso il rispetto delle regole sociali a cui il linguaggio deve riferirsi.
La maturità relazionale degli alunni è la capacità (e o lo sforzo) di usare il linguaggio come
strumento per stabilire e/o mantenere una relazione. Problemi in questa area riguardano il non
utilizzo del linguaggio per mantenere la relazione con il/i compagno/i, per dichiarare la propria
disponibilità al confront o, rifiuto nel prendere la parola per primo, scarsità di interventi in
pubblico oppure f requenti interventi senza tener conto del contesto linguistico (ad es. di ciò
che gli altri hanno detto, delle domande a cui si deve rispondere...), non rispettare il p roprio
turno di intervento, non saper interagire in un dialogo conversazionale riprendendo
affermazioni di altri, non usare frequentemente tratti soprasegmentali per dare efficacia al
proprio discorso (es. tono della voce, pause...), non considerare il linguaggio non verbale nel
proprio repertorio comunicativo (Corno D. – a cura di -, Vademecum di educazione linguistica,
231
La Nuova Italia, F irenze, 1993 e Cornoldi C. – a cura di -, I disturbi dell‟apprendimento, Il
Mulino, Bologna, 1991).
BIBLIOGRAFIA
Cipriani P. et all. – a cura di -, Ma come parla Paperino? Come individuare i disturbi del
linguaggio nel primo ciclo della scuola elementare, Del Cerro, Tirrenia – Pisa -, 1999;
Commodari E., Disturbi del linguaggio: i deficit della comunicazione orale. Strume nti di
valutazione e riabilitazione, Città Aperta, Troina, 2002; Società Italiana di audiologia e
foniatria, Percezione uditiva e patologie del linguaggio. XXXIIII Congresso nazionale, Omega,
Torino, 2013.
SITOGRAFIA
http://fli.it
http://logopedista.info
http://logopedisti.org
http://sifel.net
232
D
Disturbi emozionali
DEFINIZIONE:
Con la terminologia “Disturbi e mozionali” si indicano una serie di disturbi di natura psicologica,
che possono essere causati, e nel contempo causare, difficoltà a livello comportamentale e
somatizzazioni più o meno gravi. Essi, inoltre, possono avere un ruolo fondamentale nel
compromettere il processo di apprendimento dell‟alunno. Ricordiamo fra i disturbi emozionali
più diffusi lo scarso senso di autoefficacia e il basso livello di autostima, che possono portare
problemi nella costruzione di una immagine positiva di sé, del senso di competenza, difficoltà
di autoregolazione e di controllo obiettivo e costante delle proprie azioni, accesso all‟autonomi a
ed alla f iducia in se stessi. La demotivazione influisce sul processo e sull‟esito
dell‟apprendimento. L‟intensità ottimale della motivazione deve essere tale da sollecitare
efficacemente il soggetto senza tuttavia disturbare emotivamente il processo c on una
eccessiva urgenza. Fra le emozioni che maggiormente emergono nel processo di
apprendimento è possibile individuare l‟ansia. L‟ansia è un normale meccanismo psichico che
ricopre una funzione protettiva nelle situazioni difficili. Solitamente l‟ansia è legata a stimoli
scatenanti (determinati oggetti, situazioni o argomenti di conversazione) e la sua intensità e
durata sono connesse al valore reale dello stimolo scatenante. Quando questo rapporto si
spezza e gli stati d‟ansia oltrepassano per intensità e durata i limit i dello stimolo che li ha
causati o compaiono anche in assenza di questo evento allora si ha a che fare con gli effetti d i
esperienze passate o di problemi psichici. Rispetto ai processi di apprendimento scolastico,
l‟ansia si configura come esperienza che insorge quando l‟allievo di fronte ad un compito
avverte il rischio di insuccesso e quindi ha paura di non essere all‟altezza delle aspettative che
gli altri hanno di lui. Quando all‟ansia è associato il rifiuto della scuola si parla di fobia scolare.
Chi si occupa di educazione deve essere consapevole che la scuola è per il bambino una
situazione nuova, carica di aspettative e di timori (anche per i genitori); come ogni situazione
contraddistinta da qualche carattere di novità, anche la scuola crea ansia che, se presente in
misura moderata, diviene stimolo per lo sviluppo e per la crescita intellettuale ed emotiva; al
contrario se l‟ansia è presente in misura eccessiva può inibire i comportamenti della persona
ed impedire di sf ruttare tutte le potenzialità che quella persona ha a disposizione. Molto spesso
i bambini somatizzano il propr io disagio e la propria sofferenza: mal di pancia, mal di testa,
insonnia sono sintomi di una difficoltà di adattamento ad un ambiente dove non si sentono
bene, dove provano una bassa tolleranza alla frustrazione e una bassa stima di sé. La realtà
scolastica impone in generale al bambino di aff rontare situazioni in cui frequentemente si
verif icano emozioni negative. Il protrarsi nel tempo di tali situazioni può inficiare l‟applicazione
e l‟impegno sui compiti di apprendimento. Quando un bambino sperimenta un senso di
inadeguatezza o di inferiorità ha bisogno di essere rassicurato: solo l‟interessamento
dell‟insegnante può sbloccare la situazione e portare l‟alunno ad una condizione di maggior
serenità.
L‟inibizione è un fattore di consultazione psicologica molto diffuso fra i bambini della scuola
primaria e può riguardare solo la scuola o anche l‟extrascuola. Si parla di inibizione delle
condotte sociali per indicare bambini che presentano dei limiti sul piano delle interazioni
sociali: sono bambini sempre calmi, facilmente sottomessi, che non fa nno mai parlare di sé e
preferiscono giocare solo con pochi compagni avendo paura di assumere un ruolo attivo nelle
233
situazioni sociali. L‟inibizione intellettiva si presenta come un blocco della capacità di pensare.
Il bambino è al limite della riuscita sc olastica, interviene poco nelle attività scolastiche, teme di
essere interrogato. Talvolta il problema può essere limitato ad alcune materie, altre volte
diventa più pervasivo, soprattutto col crescere dell‟ordine di scuola. Circa le cause
dell‟inibizione sociale ed intellettiva il riferimento va ai primi anni di vita del bambino.
Ultimamente è progressivamente aumentato l‟interesse nei riguardi dei disturbi depressiv i in
età evolutiva. I bambini manifestano la depressione in modo analogo a quello degli adu lti, con
alcune differenze evolutive e caratteristiche peculiari di ciascuna età. La natura ed il grado di
queste differenze non sono tutt‟oggi chiari e costituiscono un campo d‟indagine ancora aperto.
La sindrome da depressione infantile tende comunque a trascendere il singolo sintomo della
tristezza e si manifesta attraverso aspetti cognitivi, emotivi, fisici e neurovege tativi. La
connessione fra difficoltà di apprendimento e depressione mette in evidenza come quest‟ultima
sia anche la conseguenza della c aduta dell‟autostima derivante dai continui insuccessi
scolastici; altri autori rilevano la connessione opposta, per cui i problemi di apprendimento
sono la conseguenza di un quadro psicopatologico di tipo depressivo. L‟anedonia, in
particolare, è la perdita della risposta del piacere di fronte ad attività ludiche o ricreative o a
degli eventi di cui il bambino godeva prima che avesse inizio la depressione (Bandura A., Il
senso di autoefficacia, Erickson, Trento, 1997; Blandino G. e Granieri B., La disponib ilità ad
apprendere: dimensioni emotive nella scuola e formazione degli insegnanti, Raffaello Cortina,
Milano, 1995; Boscolo P., Psicologia dell‟apprendimento scolastico: aspetti cognitivi e
motivazionali, UTET; Firenze, 1997; D‟Alonzo L., Demotivazione alla scuola. Strategie di
superamento, La Scuola, Brescia, 1999; Dweck C.S., Teorie del Sé: intelligenza, motivazione,
personalità e sviluppo, Erickson, Trento, 2000; Salzberger – Wittenberg, Polacco W.G. e
Osborne E., L‟esperienza emotiva nel processo di insegnamento e apprendimento, Liguori,
Napoli, 1993).
CITAZIONE:
“Come si identif icano quelle azioni dei bambini che dovrebbero preoccupare? Loro hanno
diversi modi per esprimere disagio: alcuni piangono, altri sono depressi e ansiosi, altri ancora
aggressivi, non cooperativi o piccoli delinquenti. Possono verif icarsi un ritardo nello sviluppo o
una regressione e inspiegabili cambiamenti comportamentali. A volte compaiono sintomi f isici
che incidono sul sonno o provocano disturbi psicosomatici o, più signif icativamente,
impediscono un sano sviluppo anche in assenza di una causa medica. Tutti questi elementi
indicano che un bambino è disturbato” (Smith H., Bambini infelici. Quali le ragioni? Quali i
rimedi?, Armando, Roma 2000, p. 15).
NOTA:
I disturbi emotiv i possono avere basi scolastiche , familiari e/o personali.
La scuola gioca un ruolo fondamentale nel sapersi proporre come ambiente educativo attento e
capace di regolarsi sulle capacità e sulle difficoltà dell‟alunno, dosando richieste e stimoli sulla
sua disponibilità recettiva reale e sui suoi bisogni. Le modalità con cui un bambino affronta le
prestazioni richieste dalla scuola dipendono fortemente dalla sua stabilità interna e dall‟esito
delle sue esperienze passate. Bambini che, durante l‟infanzia, hanno vissuto esperienze di
cambiamenti frequenti nel ricevere le cure materne, oppure che hanno vissuto lunghe
separazioni dai genitori e, quindi, hanno sviluppato scarsa fiducia verso gli altri, verso
l‟affidabilità e la protezione delle altre persone, generalmente hanno maggiori problemi a
scuola e presentano un sentimento scolastico negativo. In queste situazioni le frustrazioni, e le
delusioni che il bambino vive, anche a livello scolastico, non migliorano la sua situazione
interiore, anzi, confermano la scarsa fiducia sia negli altri, sia in se stesso.
234
La famiglia e le prime relazioni di cura rappresentano, quindi, il luogo mentale in cui si formano
le basi della futura capacità di astrazione, generalizzazione, creazione, iniziativa e curiosità del
bambino. Aver avuto la possibilità di esprimere i propri sentimenti positivi e negativi, buoni e
cattivi, averli potuti esplicitare e riconoscere, aver vissuto relazioni accoglienti, connotate dalla
disponibilità e dalla trasmissione di fiducia rappresentano delle condizioni indispensabili ad
aiutare il bambino nella capacità di affrontare le frustrazioni che provengono dall‟esterno e di
conservare il desiderio di conoscenza. A livello personale aspetti come il tono dell‟umore, il sé
sociale, l‟iniziativa e l‟industriosità, la fiducia nella propria autonomia di apprendimento, la
capacità di controllo dell‟ansia e dell‟aggressività, il mantenimento della curiosità e del piacere
di imparare rappresentano fattori protettivi e promozionali.
BIBLIOGRAFIA
Di Pietro M., Giochi e attività sulle emozioni: nuovi materiali sull‟educazione razionale
emotiva, Erickson, Gardolo – Trento -, 2007; Muratori F. et all., Manuale di psicoterapia breve
per i disturbi emozionali nei bambini, F ioriti, Roma, 2008; Wells A., Disturbi emozionali e meta
cognizione: nuove strategie di psicoterapia cognitiva, Erickson, Trento, 2002.
SITOGRAFIA
http://www.simpia.eu
http://www.educazione-emotiva.it
http://www.erickson.it
235
D
Disturbi del comportamento e della relazione
DEFINIZIONE:
Rientrano in questo ambito tutti i comportamenti ostili e aggressivi, passivi e aggressivi,
ribelli e provocatori rivolti dai bambini e dai ragazzi agli educatori ed agli adulti, ma anche
ai compagni. Il comportamento di questi ragazzi è caratterizzato da difficoltà a pensare
prima di agire, aggressività verso gli altri, bassa stima di sé, ansia ed insicurezza,
mascherate da comportamenti prepotenti, resistenza all‟autorità e alle regole, carenza di
motivazione verso lo studio e la scuola.
Fra le cause ricordiamo: modelli educativi genitoriali inefficaci, cattivo esempio di fratelli più
grandi o di amici più grandi, un temperamento aggressivo, iperattività ed impulsività, difficoltà
di comunicazione, deficit di volontà e immaturità sociale (Brophy J., Insegnare a studenti con
problemi, LAS, Roma, 1999).
Fanno parte di questo ambito anche i comportamenti underachievement e di bullismo.
L‟underachievement si accompagna spesso alla sindrome da impotenza appresa ( lear ned
helplessness) e ad altri disturbi emozionali, che compromettono la capacità di apprendere
dell‟alunno. In questo caso gli studenti considerano gli insuccess i come prove della loro
inadeguatezza e scarsa abilità, manifestano stati emotivi negativi, sono pessimisti, tendono al
peggioramento del loro comportamento sfiduciato, mancano di efficacia (Cornoldi C. – a cura
di -, Difficoltà e disturbi dell‟apprendime nto, il Mulino, Bologna, 2007). Nel bullismo la
prepotenza del bullo è intenzionale e orientata a creare un danno, è continuativa nel tempo
verso una stessa vittima, che è palesemente inferiore di forze rispetto al bullo quindi incapace
di difendersi (Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti,
Firenze, 1996; Caravita S., L‟alunno prepotente. Conoscere e contrastare il bullismo nella
scuola, La Scuola, Brescia, 2004). Gli studi e le ricerche in questo ambito sono aumentati negli
ultimi anni, poiché il fenomeno è crescente dalla scuola primaria alla scuola secondaria, dentro
e fuori la scuola. Esso inoltre sta assumendo sempre più i tratti di un bullismo discriminatorio
(es. razzismo, omofobia…) (Elamé E., Bullismo discriminante e pedagogia interculturale,
Franco Angeli, Milano, 2013).
Una seconda forma in cui si esprimono i disturbi del comportamento e della relazione riguarda
le new addiction (dipendenza da internet, da attività sportiva, da lavoro, dal sesso, dalla
televisione, dal telefonino, dal gioco d‟azzardo, dallo shopping). Ci si riferisce a comportamenti
che producendo le stesse conseguenze delle cosi dette tossicodipendenze (l‟escalation, la
tolleranza, l‟astinenza, l‟evoluzione progressiva del quadro…) si costruiscono e si
autoalimentano in assenza di qualsiasi sostanza: non trovando un oggetto chimico esterno, la
dipendenza viene costruita su comportamenti, abitudini, usi del tutto legittimi e socialmente
incentivanti. Vengono definite, così, dipendenze sociali perché non si collocano nella
dimensione della trasgressione, del vietato, del disapprovato e nemmeno nell‟uso di sostanze
legali (es. alcool, tabacco); al contrario si costruiscono all‟interno della quotidianità , facendo
perdere la dimensione del limite fra ciò che è lecito e ciò che è illecito, fra ciò che fa bene e ciò
che fa male (Lavanco G. e Croce M., Psicologia delle dipendenze sociali. Mondo interno e
comunità, MacGraw – Hill, Milano, 2008).
Una riflessione a parte merita l‟uso di sostanze stupefac enti, che ha trovato nel traffico
dell‟illegalità e nel supporto di internet il modo di diffondersi in tutti gli strati sociali e in tutte le
età. Tali sostanze vengono usate per scopi ricreativi, sportivi, sedativi e anestetici,
antidepressivi e spesso vengono combinate fra loro e/o con alcool in micidiali cocktail creando
236
poli- tossicodipendenza. Il confine fra uso ed abuso e difficilmente definibile e quando si crea la
dipendenza questa spesso si accompagna a stili di vita che diventano gradatamente marginali
a causa di comportamenti come la prostituzione, lo spaccio, il furto, le malattie contratte, i
danni neurologici…
La dipendenza da alcool è da tempo considerata il terzo più importante fattore di rischio per la
salute dopo il tabacco e l‟ipertensione. Oltre ad essere una sostanza psicotropa che può dare
dipendenza, esso è causa di molte patologie (l‟alcool danneggia il fegato, il cervello, i reni, i
muscoli e i tessuti grassi in cui si deposita), nonché causa di gravi eventi traumatici come
incidenti, disordini mentali e comportamentali (Guerreschi C., New addictions. Le nuove
dipendenze, San Paolo, 2005; Vanni A., Adolescenti tra dipendenze e libertà. Manuale di
prevenzione per genitori, San Paolo, Milano, 2009).
Infine, fra i disturbi della relazione e del comportamento, c‟è la sfera del rapporto con il cibo, in
cui esistono vari disturbi estremamente diversif icati durante l‟età evolutiva. Da una parte
troviamo i disturbi della nutrizione della prima infanzia e della fanciullezza che si riflettono ne l
ripetuto rigurgito e rimasticamento del cibo, nell‟ingestione di sostanze non commestibili,
oppure nell‟incapacità di consumare adeguatamente il cibo e quindi di crescere. Dall‟altra
troviamo i severi disturbi dell‟alimentazione, caratterizzati dall‟ingestione di cibo
eccessivamente scarso (anoressia nervosa) o eccessivamente abbondante (bulimia nervosa),
in assenza di ragioni mediche che giustifichino il problema: questi disturbi sono presenti in
tutte le età della vita e in entrambi i sessi, ma compaiono con particolare frequenza nelle
ragazze fra i 14 e i 18 anni. Vi sono casi di esordio tardivo, intorno ai 20 o 30 anni e al tri
ancora in cui veri e propri disturbi dell‟alimentazione compaiono intorno ai 70 anni.
CITAZIONE:
“…il disadattamento nella ac cezione più completa è un „processo dinamico in corso‟
condizionato dal progressivo venir meno di esperienze, di possibilità di comunicazione e di
espressione fra persone. […] Il disadattamento può essere il risultato di “un mancato
orientamento produttivo, inteso come „attiva e creativa relazione dell‟uomo con i suoi simili,
con se stesso, con la natura. Nel regno del pensiero , l‟orientamento produttivo è espresso da
una piena comprensione del mondo attraverso la ragione. Nel regno dell‟azione questo
orientamento produttivo è espresso dal lavoro produttivo, il cui prototipo è l‟arte e
l‟artigianato. Nel regno del sentimento l‟orientamento produttivo è espresso dall‟amore, che è
l‟unione con un‟altra persona, con tutti gli uomini e con la natura…” […] Socie tà e condizione
umana stanno di fronte, come contrapposte, pronte allo scontro e non alla collaborazione
costruttiva…” (Vico G., Disadattamento, La Scuola Brescia, 1979, pp. 10-12).
“Il bullismo […] si manifesta quando un ragazzo o un gruppo di ragazzi prende di mira
insistentemente e continuamente un „debole‟, umiliandolo, rendendogli la vita impossibile,
facendolo soffrire per il gusto di farlo soffrire, e creandogli un danno fisico o psicologico
irreversibile. Per fare questo, in genere il bullo si nasc onde e opera nell‟ombra, in quanto il suo
comportamento è talmente riprovevole che non può assolutamente manifestarlo dove è visibile
dagli adulti, benché spesso cerchi una platea nel gruppo di pari” (Novara D. e Regogliosi L., I
bulli non sanno litigare. L‟intervento sui conflitti e lo sviluppo di comunità, Carocci, Roma,
2007, p. 16-17).
“La differenza tra normalità e patologia, rispetto ai disturbi di personalità, non è una questione
qualitativa legata a criteri descrittivi, ma piuttosto ai livelli di d isfunzionalità relazionale e
sociale (di cui il soggetto non percepisce la natura patologica e che vive invece come adeguate
e coerenti rispetto al proprio stile di vita) confrontati con le autovalutazioni del soggetto stesso
237
e con quelle delle persone significative e del contesto sociale. La percezione soggettiva e
gruppale della disfunzionalità è, naturalmente, relativa ai codici di natura culturale prevalenti
in un determinato momento storico. Ciò che appare disfunzionale in un contesto culturale può
infatti risultare funzionale in un altro e, dunque, un soggetto che in un determinato contesto
sia portatore di una componente, ad esempio, antisociale, in un altro contesto socioculturale o
in un‟altra epoca storica potrebbe sentirsi ed essere perfettament e integrato” (Galanti M.A.,
Sofferenza psichica e pedagogia, Educare all‟ansia, alla fragilità e alla solitudine, Carocci,
Roma, 2007, p. 58).
“Soltanto nelle società ricche in cui esiste una pronta disponibilità e offerta di cibo possono
verif icarsi questi „giochi con il cibo: di fatto nei paesi in cui il reddito procapite è generalmente
basso e la disponibilità di cibo è limitata, è improbabile che si possano trovare disturbi i cui
sintomi principali sono l‟astensione volontaria dal cibo (o lo spreco bul imico del cibo)” (Gordon
R.A., Anoressia e bulimia: anatomia di una epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2004,
p. 82).
NOTA:
Mantenere stili di vita sani può essere considerato nella società attuale un buon prerequisito
per riuscire anche in situazioni di rischio a proteggere se stessi da comportamenti scorretti,
inadeguati e patologici. Flessibilità e mantenimento della motivazione al benessere, raccolta di
informazioni sulla propria salute, costruzione di reti sociali soddisfacenti possono aiutare le
persone in qualsiasi età della vita. Oggi viviamo in una società dove possediamo tutto, i nostri
bisogni fondamentali sono soddisfatti, ma è in crisi la nostra capacità di desiderare, di
esprimere obiettivi, di progettare e quindi la costruzione della nostra identità è continuamente
esposta a potenziali comportamenti devianti legati ad atteggiamenti compulsivi nella ricerca
del piacere. In questa prospettiva una corretta educazione del desiderio dovrebbe svolgere una
funzione di sostegno, soprattutto nei casi in cui esiste una mancanza di desiderio, una
incapacità a formularlo e quindi a dare senso alla propria esistenza. Aiutare le persone signif ica
mettere in atto strategie educative che lavorino sul differimento del piacere e sulla capacità di
esprimerlo all‟interno di una progettualità esistenziale attraverso l‟esercizio di espressione della
propria identità e quindi del proprio benessere. La mancanza di desiderio , determinata da una
totale disponibilità di tutto ha, inoltre, un altro problematico aspetto: l‟incapacità di tollerare il
dolore con cui si è poco abituati a fare i conti perché non lo si è mai sperimentato essendo
cresciuti nella massima assenza di frustrazioni e nella relativa incapacità a distinguere il
privilegio dalla ovvietà. Da questo punto di vista è importante ricordare che esiste un disagio
evolutivo, che permette se superato attraverso la volontà ed il cambiamento di raggiungere
condizioni di benessere fisico, psicologico e sociale migliori e un disagio sociale, che quando
cronico porta a disadattamento e a patologia (Goldwurm G.F., Baruffi M. e Colombo F., Qualità
della vita e benessere psicologico. Aspetti comportamentali e cognitivi del vivere felice,
McGraw Hill, Milano, 2004; Iavarone M.L., Educare al benessere, Mondadori, Milano, 2008 e
Rollnick S., Mason P. e Butler C., Cambiare stili di vita non salutari. Strategie di counseling
motivazionale breve, Erickson, Gardolo – Trento -, 2003).
BIBLIOGRAFIA
Benoglio A.M. e Regoliosi L., Ripensare la prevenzione. Vecchie e nuove d ipendenze: è
possibile una prevenzione specifica?, Unicopli, Milano, 2002; Caretti V. e La Barbera D., Le
nuove dipendenze: diagnosi e clinica, Carocci, Roma, 2009; Kernberg P.F., Weiner A.S.,
Bardenstein K.K., I disturbi della personalità nei bambini e ne gli adolescenti, Fioriti, Roma,
238
2001; Kernberg O.F., Narcisismo, aggressività
psicoterapeutica, Raffaello Cortina, Milano, 2006.
SITOGRAFIA
http://www.miur.it/ElencoSSPWeb/
http://www.psy.it
www.aipsimed.org/
239
e
auto
distruttività
nella
relazione
D
Disturbo delle competenze visuo - spaziali e visuo – costruttive o sindrome
dell’emisfero destro
DEFINIZIONE:
La sindrome dell‟em isfero destro è caratterizzata dalla presenza di sintomi non verbali (DDAI,
discalculia, difficoltà emotivo-relazionali) e da problemi di integrazione sensoriale (carenti
abilità visuo-spaziali, difficoltà di organizzazione visuo-percettiva, problemi di coordinazione
psico-motoria). Sembra cruciale il fatto che in questi soggetti sia carente la memoria di lavoro
visuo-spaziale. In altre parole questi bambini si trovano in difficoltà quando a livello di
memoria di lavoro devono operare su delle immagini. Parlando di sindrome non verbale si
evidenzia l‟associazione con difficoltà emotivo-sociali, che possono se non prese in carico in
tempo avere gravi conseguenze comportamentali soprattutto in adolescenza (Gagliardi C., “La
compromissione delle competenze visuospaziali e visuocostruttive in età evolutiva”, in Vicari S.
e Caselli M.C., I disturbi dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2002).
CITAZIONE:
“Il termine „spazio‟, non diversamente da „memoria‟ o „linguaggio‟, è un concetto complesso,
con il quale vengono descritti, solo per comodità, attività cognitive e comportamentali molto
diverse fra loro […] Le attività spaziali possono essere classificate in vario modo [....] “ Esse
possono essere distinte in base alle strategie senso – motorie che vengono messe in atto
quando i soggetti si muovono nel loro ambiente. Nelle strategie di posizione (o egocentriche) il
soggetto usa il suo corpo come riferimento. Sono azioni di questo tipo girarsi verso destra,
verso sinistra o muovere una parte del corpo. Non è necessario un riferimento esterno per
eseguire l‟azione: sono sufficienti le informazioni chinestesiche e vestibolari […]. Il
comportamento, una volta appreso viene eseguito quasi automaticamente, senza controllo
cosciente. Nelle strategie indirizzate i movimenti sono basati su un riferimento esterno: ad
esempio avvicinarsi o allontanarsi da un oggetto. In questo caso l‟azione è guidata dal
gradiente di stimolazione e dipende principalmente da informazioni uditive e olfattive (il suono
e l‟odore diventano più intensi quando ci avviciniamo alla fonte che li emette). Le strategie
localizzate sono invece quelle che conducono la persona ad un particolare luogo o oggetto sulla
base di relazioni reciproche fra riferimenti esterni, nessuno dei quali è tuttavia indispensabile
per guidare il movimento. L‟esecuzione di questo tipo di strategie si basa soprattutto su
informazioni visive. E‟ questo il caso, ad esempio, di chi abbia sistemato la sua auto in un
parcheggio vuoto e cerchi di ritrovarla fra molte altre che la nascondono alla vista” (Nichelli P.,
I disturbi spaziali e visuo-immaginativi in Denes G., Pizzamiglio L. – a cura di - Manuale di
neuropsicologia. Normalità e patologia nei processi cognitivi, Zanichelli, Bologna, 1996, p.609).
NOTA:
L‟apprendimento umano è caratterizzato dal rapporto circolare fra conoscenza e prassi, fra
osservazione ed intervento, fra motivazione e volontà. La teoria della cognizione nota come
embodied cognition sostiene che tutti gli aspetti della cognizione siano plasmati sul s istema
percettivo del corpo, che si muove ed interagisce con l‟ambiente. La embodied cognition si
discosta dal cognitivismo e supera il dualismo mente - corpo, in quanto sostiene che mente e
240
corpo sono uniti in modo inscindibile e modellano tutti gli aspe tti della conoscenza, idee,
pensieri, concetti, categorie, paradigmi attraverso un attivo rapporto dialettico con l‟ ambiente
esterno. Noti studiosi come Rizzolati, Damasio e Gallese (Rizzolati G. e Sinigaglia C., So quel
che fai, Raffaello Cortina, Milano, 2006; Damasio A., L‟errore di cartesio, Adelphi, Milano,
1995; Damasio A., Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 1999; Damasio A., Alla ricerca di
Spinoza, Adelphi, Milano, 2003) hanno studiato il collegamento tra corpo, zone cerebrali e
aspetti come la coscienza, l‟emozione, la consapevolezza di sé e la volontà. Per questi studiosi
la cognizione è „incorporata‟ (embodied‟), perché si fonda su esperienze corporee, ed è
„situated‟, in quanto i processi mentali non possono essere studiati indipendentemente dal
contesto in cui vengono usati. Questa teoria si discosta quindi dalla visione cognitivista,
secondo la quale la mente è un congegno per manipolare i simboli. La critica ai cognitivisti
concerne soprattutto il loro isolazionismo: essi si riferiscono ai processi cognitivi interni
all‟organismo e non considerano i fattori ambientali, che sono essenziali per lo sviluppo
cognitivo. I teorici dell‟embodied cognition considerano il corpo, l‟ambiente e l‟azione come
intrinsecamente legate fra loro. Il rapporto fra corpo e contesto non solo ha un ruolo
importante nella costruzione della conoscenza, ma l‟interazione f ra mondo interno e mondo
esterno determina lo sviluppo di specifiche capacità mentali e psicologiche e la loro natura. Da
questo punto di vista la c apacità di apprendere e comunicare dipende da esperienze che
iniziano proprio dall‟avere un corpo con capacità percettive e motorie particolari, unite in modo
inseparabile che formano la matrice per memoria, emozioni, linguaggio, ma anche personalità,
relazionalità e pensiero. (Cairo M.T. – a cura di -, Percezione, corporeità e apprendimento, Vita
e Pensiero, Milano, 2012 e Carboni M., Le tracce del corpo i riflessi dello sguardo. Pratiche e
gesti dell‟aiuto educativo, Pensamultimedia, Lecce-Brescia, 2012)
BIBLIOGRAFIA
Grossi D. e Lepore M., Amnesie e disturbi della cognizione spaziale: un approccio razionale alla
riabilitazione neuropsicologica, Franc o Angeli, Milano, 2002; Resnick S., Ferite, cicatrici e
memorie: i precursori dello spazio e del tempo, Bo rla, Roma, 2009; Risoli A., a cura di, La
riabilitazione spaziale. Il metodo SAM, Carocci, Roma, 2013.
SITOGRAFIA
http://www.spazialmente.it/metodo-sam/
http://www.anupi.it
241
M
Marginalità
DEFINIZIONE:
Possiamo individuare la marginalità sociale (nuove povertà e povertà estreme) e la marginalità
scolastica (dispersione scolastica). La marginalità è lo stato di colui che si trova ai bordi, agli
estremi della vita sociale, che è o che si sente secondario, non importante, escluso dai centri di
interesse e di vita di una comunità. Riferito alle condizioni sociali e materiali (povertà , degrado
ambientale e relazionale, disoccupazione) lo stato di marginalità può anche e ssere riferito alla
posizione di un individuo rispetto ad un gruppo. Da questo punto di vista, uno stato di
marginalità può trasformarsi in un processo di stigmatizzazione il cui valore simbolico può
tradursi nella progressiva costruzione di sé come indivi duo marginale, ossia in un processo di
costruzione identitaria che rispetta, corrisponde a conferma l‟altrui attribuzione o collocazione
in uno stato di marginalità (Goff man E., Asylums: la condizione sociale dei malati di mente e di
altri internati, Einaudi, Torino, 1968; Goff man E., Stigma. L‟identità negata, La Terza, Bari,
1970). La marginalità sociale è considerata anche un fattore di rischio nello sviluppo
dell‟individuo a causa della presenza di altri fattori: esposizione a modelli di comportamento
devianti, carenza di modelli o strutture educative, povertà di stimoli e di esperienze, di modelli
vari e alternativi di vita, difficoltà di accesso al mondo del lavoro e/o della cultura scolastica.
Per emarginazione si intende la mancata integrazione nel s istema sociale da parte di soggetti o
gruppi che vengono discriminati sulla base della loro diversità. I motivi della emarginazione
possono essere di ordine etnico, culturale, religioso, economico, comportamentale.
L‟emarginazione è un processo sociale e relazionale che tende a spingere gli individui al confine
della normalità e della legalità (vedi Devianza). La categoria dell‟emarginazione si riferisce a
quelle che sono le presenze deboli della società – poveri, delinquenti, anz iani, disabili, senza
dimora…-.
In età evolutiva, marginale è colui che non partecipa, per una scelta deliberata o imposta dagli
altri alla vita del gruppo, che ne è escluso o che se ne sente tale e che spesso soffre di
disadattamento rispetto alle regole, alle aspettative e ai comportamenti attesi. Lo stato di
marginalità affettiva, sociale o relazionale è spesso fonte di sofferenza, soprattutto per i
soggetti più giovani e può produrre vissuti di non accettazione e svalorizzazione del Sé. Il
vivere una condizione di marginalità all‟interno della scuola rappresenta un valido indicatore
dell‟ estraneità dell‟alunno rispetto all‟istituzione e alle sue regole. La marginalità scolastica, da
inizialmente provvisoria, può diventare un processo con andamento circolare, soprattutto nel
momento in cui l‟istituzione reagisce, chiedendo conformità alle norme e prestazioni adeguate.
L‟esito di questo gioco interattivo può andare in due direzioni: o verso l‟integrazione e
l‟adattamento, corrispondendo alle aspettative e alle pressioni istituzional i; o verso una
conferma sempre più marcata della condizione di marginalità, con la conseguente messa in
atto di meccanismi di difesa reciproci e di tentativi di espulsione da parte della scuola.
CITAZIONE:
“In questi anni è mutata soprattutto la tipologia dei bisogni: accanto a quelli di tipo economicomateriale, tipici delle situazioni di povertà, ed ai bisogni di tipo istituzionale, che si riferiscono a
tutta una serie di servizi sociali (indispensabili per la promozione personale e la cui attivazione
242
è garanzia di uguaglianza di opportunità), si sono affacciati con prepotenza i bisogni di tipo
relazionale, bisogni di tipo immateriale, il cui bene di rife rimento è il rapporto umano […] Le
situazioni di marginalità sociale, dunque, quelle estreme, presenta no nel loro insieme
l‟intreccio delle tre tipologie di bisogni cui abbiamo accennato (economici, istituzionali,
immateriali); ciò induce gli studiosi a parlare di povertà transmateriali, perché pur inserendosi
in una situazione materiale, sono proiettate all‟esterno di questa. Basti pensare alla posizione
degli immigrati clandestini, degli anziani poveri, dei senza fissa dimora, che si caratterizzano
come nuclei marginali che denunciano i tre tipi di bisogni, accentuando primariamente quello
relazionale, in cui si colloca, naturalmente, quello di tipo educativo” (De Natale M.L., Devianza
e pedagogia, La Scuola, Brescia, 1998, p. 43-44).
“…la persona in condizione di disagio subisce un vincolo emarginante determinato da: scarsa
pro-socialità utilizzabile nel proprio contesto abitativo: forme e modalità dell‟abitare le quali
escludono relazioni di vicinato; ridotta competenza relazionale: il soggetto in difficoltà, senza
capacità di veicolare su di sé l‟attenzione, subisce il danno del disagio e l‟isolamento d alle
possibili reti di protezione locale; esclusione dai circuiti di protezione sociale – welfare system
– per l‟insufficienza degli strumenti di conoscenza delle modalità d‟accesso, ma anche per le
strategie subite […] (p. 157) . Il processo di emarginazione corrisponde alla progressiva
esclusione dai circuiti di partecipazione e responsabilità: “Il processo di emarginazione è
dinamico e non statico; la persona vive una situazione d‟emarginazione, ma non è da essa
caratterizzata in modo univoco e definitivo; questo processo ha una componente personale,
legata alla struttura del soggetto e al suo particolare stato di disagio o sofferenza, e una
componente sociale; quest‟ultima si caratterizza come ambigua, poiché può essere occasione
di riconoscimento e supporto per un obiettivo di miglioramento – dinamica emancipativa –
oppure caratterizzarsi come pratica escludente e giudicante. In sintesi l‟emarginazione è un
vincolo sociale, ma contemporaneamente umano e soggettivo; il suo sviluppo si basa sulla
condizione di esclusione di cui sono vittime le persone le quali, per motivi diversi, non possono
competere con la – essere alla pari della – maggioranza della popolazione (Gnocchi R.,
Pedagogia del disagio adulto. Dialogo interdisciplinare e accompagnamento educat ivo,
UNICOPLI, Milano, 2008, p.164).
NOTA:
Alla luce di quanto detto due azioni risultano cruciali da un punto di vista pedagogico: la
prevenzione dei fattori e meccanismi di rischio e la promozione di fattori e meccanismi
protettivi e promozionali a livello sia individuale sia psicosociale. La prevenzione in educazione
si differenzia in: a) prevenzione pr imaria: è volta a rimuovere o diminuire i fattori ed i
meccanismi di rischio presenti nell‟ambiente fisico e sociale, attraverso interventi di politica
sociale, educativa e urbanistica, al fine di promuovere benessere in determinate aree. E‟ rivolta
a tutti i ragazzi indistintamente, e consiste nelle politiche sociali per l‟infanzia e l‟adolescenza
messe a punto dagli enti territoriali attraverso i servizi sociali ed educativi, i servizi sanitari e i
servizi scolastici, affiancati dalle associazioni di volontariato; b) prevenzione secondar ia: è
diretta all‟individuazione precoce delle situazioni e dei comportamenti a rischio. Questo tipo di
prevenzione è rivolto in particolare ai soggetti in età evolutiva, che trovandosi in condizioni di
deprivazione sociale, risultano più esposti a comportamenti antisociali. Si rivolge a certe fasce
di minori, che sono comunemente definiti a rischio, ed è costituita dalle attività degli enti
territoriali miranti a interrompere i meccanismi di rischio; c) prevenzione terziaria: interviene
quando il comportamento problematico si è già manifestato ed è finalizzata ad evitare la
recidiva. Viene svolta dai servizi territoriali e da quelli del Ministero di Giustizia, che prendono
in carica il minore non appena denunciato. Questa prevenzione si rivolge ai ragazzi già entrati
nel circuito penale, con l‟obiettivo di evitare che ricadano nel crimine, cioè nella recidiva
(Guetta S. – a cura di -, Saper educare in contesti di marginalità: analisi dei problemi ed
243
esperienze di apprendimento mediato, Koiné, Roma, 2010; Regoliosi L., La prevenzione del
disagio giovanile, Carocci, Roma, 2010).
La promozione rimanda ad azioni multilivello che possiamo così sintetizzare nell‟offerta e
stimolazione di conoscenze, atteggiamenti e competenze: a livello della singola persona
(soddisfazione per la propria immagine corporea e percezione positiva di sé, stili di vita sani,
interesse per lo studio e per gli aspetti religiosi della vita, disapprovazione dei comportamenti
devianti), a livello della famiglia (esempio dei genitori e modelli educativi autorevoli, capacità
di decisione, ma anche di sostegno familiare, supervisione genitoriale dei comportamen ti dei
figli fuori casa), a livello scolastico (aspettative positive verso la scuola e verso le proprie
capacità, percezione dell‟utilità delle conoscenze e delle competenze apprese per il futuro,
successo scolastico) a livello del gruppo di pari (buoni amici, modelli di comportamento non
trasgressivo presenti nel gruppo, capacità di autoregolare il proprio comportamento attraverso
il confronto con i compagni), a livello del tempo libero (occasioni di responsabilizzazione e
consapevolezza del valore di sé, progettualità ed impegno e apprendimento di coping
strategies) (Bonino S., Cattelino E. e Ciairano S., Adolescenti a rischio. Comportamenti,
funzioni e fattori di protezione, Giunti, Milano, 2003). Prevenzione e promozione dovrebbero
proteggere il minore da situazioni di rischio o comunque permettergli di f ronteggiarle con
efficacia, attivando resilienza.
BIBLIOGRAFIA
Barone P., Pedagogia della marginalità e della devianza: modelli teorici, questione minorile,
criteri di consulenza e intervento, Guerini Sc ientifica, Milano, 2011; Ferrarotti F., Spazio e
convivenza: come nasce la marginalità urbana, Armando, Roma, 2009; Izzo D., Mannucci A. e
Mancaniello R.M., Manuale di pedagogia della marginalità e della devianza, ETS, Pisa, 2003
SITOGRAFIA
http://www.caritasitaliana.it
http://www.avvocatodistrada.it
http://www.cnca.it
http://www.pedagogika.it
http://www.lavoro.gov.it
244
P
Pluridisabilità
DEFINIZIONE:
Parliamo di pluridisabilità quando abbiamo la presenza di più deficit insieme (visivo e uditivo,
sensoriale e mentale, motorio e mentale). Il concetto di gravità rimanda a problemi quali la
non autosufficienza e la mancanza di autonomie, la costante necessità di assistenza, la
dipendenza pressoché totale e l‟impossibilità di accedere al mondo della vita attiva da parte
della persona con disabilità.
CITAZIONE:
«Il dolore ci interroga ed esige una risposta. Nessuna risposta è però possibile. Non c‟è
risposta umana soprattutto al dolore innocente. Una sola replica è possibile: la croce. Non
siamo dinnanzi ad una banalità. C‟è un preciso motivo. Se Dio assume il male, se Dio,
innocente, soffre, allora è naturale che soffra anche la creatura innocente. Così non possiamo
indicare la ragione per la quale Dio a scelto di soff rire. Non la scopriremo mai.. “ (Bianchini L.,
Mariani V. e Valentini A., La persona disabile: dignità e promozione integrale , Editrice Nuove
Frontiere, Roma, 2009, p.23).
“La disabilità intellettiva grave in età adulta è una disabilità di difficile definizione. A monte
occorre comunque fare almeno due considerazioni molto importanti: la prima è che in nessun
altro caso, come in quello della persona con grave disabilità intellettiva, è necessario tenere
presente l‟unità della persona, visti i rischi di frammentazione insiti nella gravità; la seconda è
che per intraprendere strade riabilitative occorrono soluzioni nuove, nuovi st rumenti. […] è
realistico dire che di f ronte alla persona con disabilità intellettiva grave il disagio è molto forte,
non si sa letteralmente che cosa fare. Si sperimenta spesso un senso di angoscia perché ci si
sente costretti in un ruolo custodialistico inaccettabile che riporta ai paradigmi di
assistenzialismo e di irrecuperabilità” (Alberti G. e Mariani V. – a cura di -, Progettualità di vita
delle perso ne con diverse disabilità, Del Cerro, Tirrenia - Pisa - , 2012, p.40 – 41).
NOTA:
Cannao e Moretti individuano quattro sfere di bisogno centrali per la persona con disabilità
grave: 1. la necessità di essere contenuto: la concezione di gravità comporta una difficoltà a
concepirsi come unità. L‟incapacità di gestire le proprie parti funzionali implica la
manifestazione di comportamenti ansiogeni, di chiusura autistica e di aggressività. Tali
atteggiamenti sono spesso interpretati come espressioni di una impossibilità ad agire in altro
modo. In realtà, essi sono sintomi di frustrazione ed evidenziano richieste di aiuto: il soggetto
necessità di una presenza o di una situazione che raccolga e tenga unite le sue parti. Questa
funzione di contenitore può compiersi sia a livello di interazione fra soggetto ed educatore,
mediante il contenimento fisico e mentale, sia a livello ambientale, grazie all‟ampiezza e
vivacità delle relazioni e alla cura dell‟ambiente; 2. la necessità di essere ricomposto: la
persona disabile grave o gravissima fatica a ricomporre la propria unità e tende a frammentare
la propria persona. Gli effetti più visibili di tale carenza sono rappresentati da comportamenti
ossessivi e compulsivi, nei quali la dinamica della ripetizione è f inalizzata ad evitare imprevisti
destabilizzanti. In tal modo, la persona si estranea dalla realtà temporale richiudendosi in un
245
circolo di azioni ripetitive e monotone, che aumentano la fragilità della sua esistenza. E‟
necessario offrire la possibilità di ridurre la disorganizzazione e la f rammentazione, osservando
quali situazioni favoriscono la riorganizzazione di sé e stimolano a mantenere il più a lungo
possibile la ricomposizione di sé; 3. la necessità di avere un complemento – amplif icatore:
debolezza ed incompletezza dei messaggi non signif ica che essi siano assenti: è necessario
trovare le condizioni migliori, affinché tali messaggi possano essere amplificati ed esplicitati.
Chi interagisce con il soggetto deve assumere la funzione di mediatore ed interprete, in modo
da permettere una comunicazione che, seppur limitata, costituisca un‟occasione fondament ale
di sviluppo ed espressione di sé; 4. la necessità di un collegamento verso lo sviluppo sociale : è
importante, per ogni essere umano, raggiungere una buona convivenza con le persone, tale da
aumentare le occasioni di partecipazione. Esse possono essere rappresentate da semplici
elementi (es. ausili, tecnologie multimediali…) che permettono alla persona di raggiungere una
stabilità sufficiente per aprirsi all‟incontro con l‟altro in contesti noti e meno noti, senza
rischiare di essere inglobato o f ramment ato (Cannao M e Moretti G., Il grave handicappato
mentale, Armando, Roma, 1983).
BIBLIOGRAFIA
Benedan S., Pluridisabilità e vita scolastica: manuale per la prima accoglienza e la
programmazione intergrata, Erickson, Gardolo – Trento -, 2008; Visentin S., Pluridisabilità tra
famiglia e servizi: l‟aver cura nel vissuto dei genitori, Liguori, Napoli, 2009; Goussot A. – a
cura di – Le disabilità complesse: sofferenza psichica, presa in carico e relazione di cura,
Maggioli, Santarcangelo di Romagna, Rimini, 201 1.
SITOGRAFIA
http://www.lanostrafamiglia.it
http://www.dongnocchi.it
http://www.sacrafamiglia.org
http://www.legadelfilodoro.it
246
S
Svantaggio
DEFINIZIONE:
Possiamo identificare tre tipologie di svantaggio: lo svantaggio economico, lo svantaggio socio
– culturale e lo svantaggio linguistico.
Lo svantaggio economico ha, in genere, importanti ricadute sui processi di apprendimento dei
bambini e dei ragazzi: povertà di stimoli educativi, carenza di condizioni abitative e di cure
igienico-sanitarie, assenza di risposte ai bisogni primari (fame, sete, sonno, …), mancanza di
sollecitazioni e di attenzione all‟apprendimento, regolare f requenza scolastica, mancanza di
sussidi e di opportunità sociali, stili educativi inadeguati…sono tutti fattori che favoriscono la
presenza di problemi di apprendimento. Lo svantaggio economico fa riferimento a situazioni di
povertà.
Con il concetto di povertà relativa si considera un bambino povero se il reddito disponibile per
lui, presupponendo un‟equa distribuzione delle risorse all‟interno della famiglia e tenendo conto
della sua dimensione e composizione, è inferiore alla metà del reddito mediano disponibile per i
bambini nella società in cui vive. Valutare la povertà relativa significa misurare le risorse
economiche di ognuno rispetto a quelle possedute da tutti gli altri. Questo concetto si riferisce
alla situazione in cui una persona, pur riuscendo a procurarsi i mezzi di sostentamento
essenziali, non è in grado di mantenere il tenore di vita al livello considerato normale in una
certa società. Con il concetto di povertà assoluta si intende l‟incapacità di acquistare una certa
quantità di beni e di servizi ritenuti indispensabili per la vita e la salute. La nozione di povertà
assoluta, si fonda sull‟idea che sia possibile individuare un paniere di beni e servizi essenziali
che assicura il soddisfacimento dei bisogni minimi umani (cure mediche, alimentazione,
vestiario, abitazione): i poveri sono coloro il cui potere di acquisto è inferiore a quello richiesto
dal paniere, opportunamente espresso in termini monetari. E‟ importante però ricorda re che i
bambini possono essere ricchi o poveri, ma questo non determina necessariamente la qualità
della relazione genitoriale. La relazione di attaccamento può essere sana o patologia a
prescindere dalla condizione economica della famiglia.
Lo svantaggio sociale e culturale fa riferimento al particolare ambiente di vita in cui si trova a
vivere il soggetto: bambini e ragazzi provenienti da situazioni „ghettizzanti‟, tendono ad avere
una minor riuscita sociale e ad abbandonare la scuola, perché meno preparati a rispondere
alle sue richieste e a far fronte al confronto con i coetanei: queste differenze che si presentano
sin dall‟infanzia tendono, se il bambino non è aiutato, ad accentuarsi e a peggiorare in modo
cumulativo. Vivere in un quartiere ghetto significa vivere in un ambiente degradato
caratterizzato dall‟assenza di servizi informali per il tempo libero (parchi, giardini, palestre,
cinema…) e formali (servizi socio –sanitari, scuole, edilizia regolamentata, fognature,
allacciamenti per luce e gas…) e da un contesto insalubre (sovraffollamento, inquinamento
acustico, mancanza di igiene, insetti e topi nelle case, immondizia per le strade…). Tali
situazioni incidono sulle abilità della famiglia a investire risorse sul futuro e quindi anche sullo
sviluppo dei figli. A volte si accompagnano a svantaggio relazionale: famiglie monoparentali,
famiglie con genitori adolescenti, famiglie con genitori problematici (per tossicodipendenza,
disturbi psichici, delinquenza…), famiglie immigrate e con basso livello di istruzione…
Lo svantaggio linguistico rappresenta una situazione transitoria che vivono le persone e le
famiglie immigrate e che può essere superato attraverso corsi intensivi e la frequenza a scuole
diurne o serali per adulti per il recupero e l‟insegnamento della lingua del Paese ospitante. La
247
lingua madre rappresenta sempre un importante punto di riferimento per chi lascia la propria
terra d‟origine e va a vivere in un altro luogo; l‟apprendimento di una L2 e di una cultura
diversa rappresenta un passaggio fondamentale per l‟integrazione e l‟inclusione sociale,
scolastica e lavorativa. Apprendere una seconda lingua implica però molti fattori e meccanismi
psicologici complessi. La condizione di bilinguismo infatti può costruirsi con varie modalità:
bilinguismo „sotrattivo‟ vs bilinguismo „aggiuntivo‟, bilinguismo „simultaneo‟ vs. bilinguismo
consecutivo, bilinguismo „composito‟ vs. bilinguismo coordinato (Favaro G., Insegnare l‟italiano
agli alunni stranieri, La Nuovo Italia, Firenze, 2002; Martinazzoli C., Due volte speciali. Quando
gli alunni con disabilità provengono da contesti migratori, Franco Angeli, Milano, 2012).
CITAZIONE:
“Il bambino con un deficit di maturazione in atto, derivante dalla passata condizione di
deprivazione, è meno capace di trarre profitto, in termini di sviluppo, da livelli di stimolazione
ambientale nuovi e più avanzati. Perciò a prescindere dalla adeguatezza di tutti gli altri fattori
– sia interni che esterni – il suo deficit tende ad aumentare cumulativamente ed a port are ad
un ritardo permanente […] Se, come risultato di un ambiente in condizioni di costante
deprivazione durante i primi anni formativi, non si è realizzata una dotazione intellettuale
superiore, il deficit di capacità funzionale raggiunto limita significativamente la misura in cui
la successiva
stimolazione ambientale, perf ino se normale in quantità e qualità, potrà
accrescere l‟indice di maturazione cognitiva. Quindi, il successo o l‟insuccesso antecedente
nello sviluppo delle capacità individuali di un individuo, tende a mantenere relativamente
costante il rit mo f uturo della sua maturazione” (Ausubel D.P., in Passow A.H., Goldberg M. e
Tannenbaum A.J. – a cura di -, L‟educazione degli svantaggiati, Franco Angeli, Milano, 1971,
p.205).
“La situazione di generale impoverimento è sia economica sia relazionale ed è collegata
all‟intreccio di eventi sempre più numerosi. Pertanto non è più sufficiente una lettura mono o
bidimensionale della povertà (cioè la considerazione del solo essere economico oppure d el
binomio materiale/relazionale) bensì diventa necessaria una sua analisi multifattoriale. Da una
prima osservazione emergono tre fattori prevalenti: 1. cambiamento delle leggi di mercato: la
delocalizzazione dei contesti produttivi e la globalizzazione i mplicano nuovi scenari e nuove
logiche commerciali; tali contesti sono spesso lontani dai luoghi di residenza e postulano la
rescissione del rapporto fra luoghi di vita, di produzione e consumo; 2. cambiamento delle
competenze: età, titolo di studio, abilità comunicative e relazionali paiono sempre più
inadeguati e inutilizzabili; si assiste a un analfabetismo di ritorno e alla negazione dei „diritti di
quinta generazione‟ [es. diritti alla comunicazione]; 3. cambiamento dei processi di consumo:
la gestione economica di molte famiglie si collega strettamente all‟incapacità di far fronte ai
costi sostenuti per l‟acquisizione di beni inutili” (Caritas Ambrosiana, Persone senza dimora. La
dimensione multipla del fenomeno, Carocci, Roma, 2009, p. 15-16)
NOTA:
I bambini in situazioni di svantaggio presentano delle caratteristiche nell‟apprendimento delle
competenze scolastiche abbastanza ricorrenti: a) difficoltà nella comprensione del linguaggio e
nelle capacità di comunicazione: quando un bambino svantaggiato entra a scuola si trova
immerso in una situazione diversa rispetto a quella vissuta in famiglia: a scuola sente discorsi
caratterizzati da una sintassi più complessa, un ordine grammaticale più preciso, un maggior
numero di congiunzioni e di proposizioni subordinate; il lessico utilizzato dagli insegnanti e dai
compagni può risultare nuovo… ha difficoltà a capire e a farsi capire. Per questo sembra un
alunno con problemi di comprensione o con DSA. Quando la conversazione si sposta dal piano
concreto (dei bisogni primari, delle indicazioni pratiche) i problemi sembrano superati; b)
difficoltà di astrazione e concettualizzazione: il bambino deprivato è abituato a ragionare e
248
rispondere sul pratico, sull‟immediato, sui bisogni primari magari con l‟aiuto dei fra telli. La
scuola chiede capacità di pensiero formale, logica formale, non sempre „buon senso‟….; c)
iperattività e disattenzione: spesso gli alunni svantaggiati sono accomunati dalla difficoltà a
mantenere un‟ attenzione costante. Questa caratteristica è dovuta alla qualità delle esperienze
educative prescolastiche e degli stimoli ricevuti in famiglia, che non portano il bambino a
soffermarsi, ad osservare, a riflettere, ad ascoltare, a pensare; d) disadattamento scolastico:
l‟alunno svantaggiato può sentirsi estraneo alla scuola, sente che frequentarla significa venir
meno al senso di lealtà e di appartenenza che ha verso il gruppo familiare e sociale di cui fa
parte. I valori della scuola sono in conflitto con quelli della sua famiglia (le modalità di rapporto
con adulti e coetanei sono impostate in modo diverso, sono importanti alcuni aspetti della
realtà e non altri, l‟ambiente è „normato‟ da regole, tempi, spazi che non sono condivisi in
famiglia, la lingua è differente…); e) la relazione con gli adulti ed i coetanei è all‟insegna della
problematicità. La forte attitudine alla cooperazione e alla tendenza ad assumersi
responsabilità e compiti impegnativi è presente nei f igli di famiglie svantaggiate dove è, in
genere, carente la presenza dei genitori e degli adulti. I bambini si trovano così a gestire
situazioni in cui viene richiesta loro una maturità superiore rispetto a quella che normalmente
viene raggiunta alla loro età. I bambini imparano a gestire in maniera autonoma problemi che
incontrano e ad accudire i fratellini più piccoli ma questo può portarli a chiedere l‟intervento
degli adulti, insegnanti compresi, con meno f requenza e minor fiducia. Per minori che
provengono da un ambiente culturale dissimile da quello della scuola è certamente più d ifficile
identif icarsi con un insegnante che poco ha a che fare con il loro mondo; f) basse aspettative e
carente motivazione al successo scolastico: gli adulti trasmettono ai figli la propria visione della
scuola e il valore che attribuiscono ad essa. Non sempre i genitori delle classi sociali più povere
possiedono un‟immagine positiva dell‟istituzione scolastica, anzi spesso tale realtà viene
caricata di signif icati negativi, legati alle proprie esperienze negative pregresse. Inoltre,
difficilmente si instaura tra genitori e insegnanti un rapporto positivo e collaborativo. In questa
situazione la famiglia non stimola nel bambino sentimenti che lo spingano ad investire energie
nella scuola, ma è portata facilmente a vivere la scuola come costrizione. Tutto ciò favorisce
l‟insorgere di atteggiamenti passivi, se non addirittura ostili, nei confronti delle attività
proposte dagli insegnanti; g) scarsa stima di se: l‟ambiente in cui crescono i bambini
svantaggiati non sempre favorisce l‟autostima. Questo si ver ifica perché, nelle famiglie
svantaggiate, prevale la punizione dei comportamenti sbagliati, rispetto al premio ed alla
gratificazione per i comportamenti positivi. Tutto ciò può portare i piccoli ad assumere un
atteggiamento passivo per evitare di commett ere errori e, soprattutto, non facilita la
percezione positiva della propria persona. Spesso la propria fragile identità è nascosta dietro „la
maschera del cattivo‟, attraverso un comportamento aggressivo e violento; h) la mancanza di
un progetto: l‟obiettivo principale della scuola rimane quello di preparare gli individui ad
affrontare il futuro. E‟ indispensabile che alunni e famiglie ne siano consapevoli e siano disposti
ad impegnarsi in questa prospettiva, cioè che vedano la scuola come uno strumento pe r la
costruzione di una società migliore. Questo risulta, però molto difficile in situazioni di
svantaggio, non solo perché spesso i genitori non ritengono che la scuola possa cambiare le
condizioni sociali dei propri figli, ma anche perché è quasi totalme nte assente nei gruppi
marginali, il senso del progetto: assume importanza l‟immediato, il presente, il fare più che il
pensare. La famiglia è così presa dai problemi contingenti che fatica a formulare progetti e a
compiere scelte. I figli non colgono l‟importanza di lavorare e spendere energie per un risultato
che non è immediatamente evidente (Cairo M., Problemi di apprendimento a scuola: disabilità,
difficoltà, svantaggi e dotazioni, Vita e Pensiero, Milano, 2008).
BIBLIOGRAFIA
Moro F., Famiglia e scuola: il recupero dello svantaggio come antidoto contro la dispersione
scolastica e il disagio giovanile, Franco Angeli, Milano, 2003; Paugman S., Le forme elementari
della povertà, il Mulino, Bologna, 2013; Ulivieri S., Franchini G. e Macinai E., La scuola
secondaria oggi: innovazioni didattiche e emergenze sociali, ETS, Pisa, 2008.
249
SITOGRAFIA
http://savethechildren.it
http://www.unicef.it
http://www.caritasitaliana.it
http://www.fondazionezancan.it
250
CAPITOLO V
DIMENSIONE ASSIOLOGICA
251
Dimensione
1
Assiologica
1
Il presente lavoro è stato condiviso interamente da tutti gli autori con il coordinamento di Roberta Caldin; nello specifico, i Principi sono
stati scritti da Giusi Zamarra (pp. 1-12), le Norme da Valeria Friso (pp. 13-23); i Valori da Alessia Cinotti (pp. 24-45) e i Fini da Roberto Dainese (pp.
46-55)
252
PRINC IPI
di Giusi Zamarra
2
P
PRINCIPIO
DEFINIZIONE:
In generale si parla di principio quando ci si riferisce ad un‟affermazione e/o proposizione
generale che si pone a fondamento di una scienza o di una parte di essa orientandone, in tal
modo, lo sviluppo e la realizzazione pratic a.
I principi vanno però sempre interpretati e compresi in rapporto alla situazione storica e alla
realtà con cui interagiscono; tale interazione avviene in modo da non imporre, da un lato,
principi rigidi e validi universalmente e, dall‟altro, qualificandosi come estremamente precisi
nella misura in cui emergono da un‟analisi approfondita dell‟esperienza educativa.
Gli stessi principi della Pedagogia Speciale si sono infatti sviluppati a partire da precise istanze
educative nel mo mento in cui si ipotizzava come necessario il superamento di una visione che
imponeva una netta separazione di coloro i quali avevano bisogni speciali. L‟abbandono di
questa visione ha fatto sì che si giungesse a costruire una base solida necessaria per
indirizzare e sostenere lo sviluppo e l‟articolazione di quelle politiche e quelle pratiche valide
per l‟avvio di un effettivo percorso di inclusione.
CITAZIONE:
“Nell‟ottica pedagogico-speciale si pone […] un problema: facendo salvo il principio per cui a
ogni bambino spetta di diritto un‟attenzione educativa individualizzata e personalizzata (che
miri a coglierne i bisogni specifici e che vi risponda in modo efficace), la realizzazione della
“Inclusive Education” richiede particolare cura affinché nella scuola non vengano mai me no le
condizioni (di diritto e di fatto) che fanno di questa istituzione un luogo aperto e accessibile a
tutti. La realizzazione del modello inclusivo, richiede un percorso di consapevolezza personale e
istituzionale che va affrontato con grande serietà e rigore scientifico.
Diversamente, si corre il rischio di operare soluzioni semplicistiche e – seppure in buona fede –
contribuire ad alimentare le nefaste tendenze di un sistema che, nell‟incapacità di rinnovarsi e
di generare al suo interno specifiche competenze, finisce per fare “di ogni erba un fascio”
(Lascioli, 2011, p.27).
NOTA:
Sostenere i principi della Pedagogia Speciale vuol dire rafforzare ipotesi pedagogiche e
politiche che si qualificano come intenzionali, ben def inite e che siano effettivamente
coniugabili con la pratica quotidiana, al fine di facilitare l‟affermazione di comportamenti e
realtà che siano a loro volta improntate al cambiamento. Tale percorso va realizzato, però,
sempre in un‟ottica che vede nel confronto diretto e continuo uno stimolo costante, una
provocazione anziché un elemento di conflittualità.
BIBLIOGRAFIA
Bocci F. (2011). Una m irabile avventura. Storia dell‟educazione dei disabili da Jean Itard a
Giovanni Bollea. Firenze: Le Lettere.
Caldin R. (2007). Introduzione alla Pedagogia Speciale. Padova: Cleup.
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. Milano: Bruno Mondatori.
Goussot A. (2007). Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale . Roma:
Aracne.
2
Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna
253
Lascioli A.(2011). Educazione speciale. Dalla teoria all‟azione. Milano: Franco Angeli.
Mura A. (2012). Pedagogia speciale. Riferimenti storici, temi, idee. Milano: Franco Angeli.
SITOGRAFIA
http://www.s-sipes.it/
http://www.siped.it/
254
E
EQUITÀ
DEFINIZIONE:
Si tratta di un principio da annoverare tra i dir itti fondamentali sanciti nelle Carte
internazionali, riferendosi all‟accesso ad un‟educazione di qualità lungo l‟intero arco della vita
ed in particolar modo ad una formazione equa nel contesto formale della scuola e della società
in generale.
Il concetto di equità richiama, dunque, quelle interdipendenze che sussistono tra l‟educazione,
nella sua accezione generale, e il funzionamento dei sistemi educativi. Cosa possa essere
ritenuto equo dipende da svariati elementi: a partire dai fini generale dell‟educazione,
attraversando il sistema di valori dominante in una società, fino ad arrivare alle teorie della
giustizia e al tema dei diritti in campo educativo.
L‟equità ha dunque una conNOTAzione fortemente etica, rinviando al tema della scelta e della
decisione, collocandosi in una prospettiva più ampia comprendente le politiche educative di
una società, le quali sono chiamate a promuovere una differenziazione individualizzata degli
interventi e dei servizi al posto di una pretesa uniformità distributiva.
CITAZIONE:
“Sembra utile segnalare alcuni punti di riflessione (non in ordine di importanza), dai quali
possono dipendere scelte di criteri e di prospettive:
[…]
2. la dinamica dell‟inclusione è soprattutto strutturale, questo significa che le risorse non sono
da conteggiare in una per numero di soggetti con bisogni speciali. Può accadere che un solo
soggetto permetta di realizzare un intervento strutturale di cui potranno beneficiare molti
soggetti ed è evidente che un intervento strutturale che parta da una specificità individuale,
allarga i benefici a un ventaglio di bisogni che va oltre la singola specificità;
3. le valutazioni di qualità e di efficienza che tengono conto unicamente del percorso normale
per normali, possono generare conseguenze negative per i soggetti con bisogni speciali. Può
nascere una compensazione assistenziale, che porti a risorse conteggiate sui numeri dei
soggetti con disabilità, ma questa che può apparire una misura di equità, potrebbe in realtà
costituire un pericoloso motivo di sconfitta della prospettiva inclusiva.” (Canevaro, 2007,
pp.23-24).
NOTA:
Il principio di equità contiene in sé un approfondimento dell‟idea di uguaglianza (vedi
DEFINIZIONE), superandone l‟inadeguatezza quando la si interpreta in maniera assoluta e
omologante e giungendo ad una scelta più aperta e modificabile. Una simile scelta fa sì che,
nel momento in cui si evoca l‟equità, ci si possa riferire ad un‟uguaglianza plurale e complessa
che sollecita un pensiero altrettanto plurale e complesso, capace di orientarsi nella varietà
evolutiva dei processi formativi.
BIBLIOGRAFIA
Benadusi L. , Giancola O. , Viteritti A. (Ed.). (2008). Scuole in azione tra equità e qualità.
Pratiche di ricerca in Sociologia dell‟Educazione. Milano: Guerini scientifica.
Bonetta G. (2007). Dall‟integrazione all‟inclusione: il modello italiano (1907-2007). Pedagogia
Oggi, 3, 6-14.
Canevaro A. (Ed.). (2007). L‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent‟anni di
inclusione nella scuola italiana. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
http://www.siped.net/sezione1/Rivista/pedagogia_3_2007.pdf
255
L
LIBERTÀ
DEFINIZIONE:
Il principio di libertà si riferisce a quella situazione in cui il soggetto può compiere delle scelte
ed esercitare la propria volontà indirizzando le proprie azioni verso quelle stesse scelte e quelle
stesse volontà.
Assumendo una prospettiva più ampia e considerando tale principio in rapporto ai contesti
sociali, esso non va inteso come assoluto perché vincolato dall‟ambiente, dall‟educazione
ricevuta, nonché dalla situazione reale entro la quale viene prodotto. Con ciò diviene chiaro
come l‟acquisizione della libertà avvenga attraverso un percorso durante il quale l‟individuo è
posto di fronte alla limitatezza della propria libertà, comprendendo i limiti soggett ivi, oggettivi
ed intersoggettivi che caratterizzano il suo essere-nel- mondo-con-gli-altri.
Nell‟ottica inclusiva, la libertà educativa, dunque, diviene libertà di sviluppo, crescita ed
emancipazione e viene resa possibile attraverso l‟eliminazione di tutt i quei vincoli f isici,
psichici, sociali, economici, politici che rallentano o impediscono lo sviluppo delle potenzialità
individuali.
CITAZIONE:
“l‟efficacia naturale della formazione in quanto apprendimento e la sua globalità […] non
avrebbero alcun se nso al di fuori di una libertà del soggetto nell‟apprendere […] tanto questa
libertà appare costitutiva della natura umana e di essa non in quanto umana, ma proprio in
quanto natura del vivente, che è anche quella della nostra specie” (Laporta, 1996, p.40) .
“Le politiche sociali […] devono situarsi oltre la compensazione degli svantaggi effettuata
attraverso l‟offerta di beni e servizi, ampliando e garantendo le capacità/facoltà di scelta
individuali e collettive (capabilities) che non concernono solament e i bisogni primari come
alimentarsi, curarsi, istruirsi, ma anche le libertà, i diritti fondamentali correlati a tutte le
dimensioni della vita umana. Non è più tempo, infatti, della esclusiva profusione solidaristica:
nella prospettiva inclusiva, diritti e giustizia costituiscono un impegno inalienabile, anche
quando si scontrano con l‟incertezza del risultato e l‟esperienza dello scacco” (Caldin, 2012,
p.253).
NOTA:
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sancisce l‟i mportanza
del pieno riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali di ciascun individuo in favore
del benessere generale e della diversità nella comunità. La piena partecipazione nella società
da parte delle persone con disabilità può condurre solo ad un accresciuto senso di
appartenenza e a significativi progressi per lo sviluppo umano, sociale ed economico della
società.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. (2009). ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove
prospettive per l‟inclusione. Trento: Erickson.
Caldin R. (2012). Verso dove? L‟abitare familiare e insolito Pedagogia Speciale. In L. D‟Alonzo,
R. Caldin (Eds.), Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia Speciale. L‟impegno della
comunità di ricerca (pp. 247-269). Napoli: Liguori Editore.
Laporta R. (1996). L‟assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione. Firenze: La Nuova
Italia.
256
Laporta R. (1996). Il processo formativo interpretato. In F. Cambi, P. Oref ice (Eds.),
Fondamenti teorici del processo formativo. Contribut i per un‟interpretazione (pp. 33-59).
Napoli: Liguori Editore.
Borghi L. (1992). Educare alla libertà. Firenze: La Nuova Italia.
Elia G. (2012). Questioni di pedagogia speciale. Itinerari di ricerca, contesti di inclusione,
problematiche educative. Bari: Progedit.
SITOGRAFIA
http://www.governo.it/backoffice/allegati/42085-5202.pdf
257
G
GIUSTIZIA
DEFINIZIONE:
Il principio di giustizia richiama una delle virtù principali che caratterizzano la convivenza
umana che si riferisce alla volontà e alla capacità di riconoscere a ciascun individuo ciò che gli
è dovuto.
La società in generale, e l‟ambito educativo in particolare, non possono esimersi dall‟evitare
qualsiasi tipo di trattamento non egualitario, fonte primaria di disagio e contrasti
interpersonali, che finisce molto spesso per ripercuotersi inevitabilmente sul piano
psicoaffettivo e sui processi di apprendimento.
Proprio rispetto all‟ambito educativo andrebbero rievocati tutti quei processi educativi di
discriminazione e marginalizzazione attuati in situazioni in cui si riscontrano procedure e
metodi di etichettatura e categorizzazione della disabilità che altro non fanno se non minare la
possibilità, per ciascun individuo, di avere un ruolo nella società e di contribuire alla crescita
reale e allo sviluppo sociale.
CITAZIONE:
“….per trattare tutti allo stesso modo bisogna, prima di tutto, riconoscere che ciascuno è
diverso dagli altri. La giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo”
(Claudio Imprudente, 2006)
“Questo nuovo approccio identif ica una nuova idea di giustizia per le persone con disabilità. La
Convenzione ONU – anche se in maniera non esplicita – introduce un nuovo modello di
disabilità, basato sul rispetto dei diritti umani, che rielabora il modello sociale, inquadrandolo in
una prospettiva universalistica, basata appunto su un approccio centrato sui diritti. […]
È evidente che questo approccio culturale impone una profonda modif ica della lettura della
condizione delle persone con disabilità e una conseguente trasfor mazione su cosa si debba fare
per garantire il rispetto dei loro diritti umani. Alla base della Convenzione, infatti, vi è unnuovo
modello di giustizia, non più “giustizia metafisica” (“sarai ricompensato nell‟aldilà”), né della
semplice cura e assistenza, né tanto meno quella esclusivamente risarcitoria, oppure quella
protettiva. Il nuovo paradigma – basato sull‟uguaglianza e la non discriminazione, sulla
valorizzazione delle diversità umane, sull‟em powerment delle persone discriminate e
svantaggiate – si fonda sulla rimozione di ostacoli e discriminazioni, sul sostegno
appropriato alle persone, su servizi e benefìci finalizzati all‟ inclusione dei soggetti esclusi e
marginalizzati. Si tratta, in conclusione, di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. […]
Pertanto, il modello di giustizia legato alla Convenzione ONU modif ica profondamente la lettura
politica della nostra condizione di persone con disabilità. Se prima eravamo persone fragili e
vulnerabili, a causa della nostra condizione di minorazione fu nzionale, la Convenzione ci
restituisce alla titolarità dei diritti come Cittadini, a cui la società deve dare risposte in termini
di eguaglianza di opportunità e di non discriminazione.” (Griffo, 2012)
“Si tratta di imparare a pensare la persona disabile come soggetto di diritti e non più solo
come oggetto di protezione: la persona disabile cioè è soggetto di diritti (non speciali) che
spettano a chiunque; si tratta di diritti (civili, culturali, economici, politici e sociali) indivisibili e
interdipendenti che possono assicurare un armonico sviluppo della persona umana” (Caldin,
2012, p.252)
NOTA:
Il principio di giustizia pone inevitabilmente l‟accento sul ruolo delle politiche e dei servizi nel
garantire pari opportunità (vedi DEF INIZIONE) a tutti i c ittadini. Praticare, dunque, la giustizia
rappresenta un‟importante sfida che spinge e provoca l‟individuo a cercare tutte le strade
258
possibili che siano in grado di condurre a quel difficile traguardo che esige impegno, volontà e
soprattutto la scoperta e la consapevolezza di non costituire un assoluto ma di essere in un
continuo e costante dialogo con l‟altro.
Solo in questo modo la giustizia può divenire essa stessa rapporto, spingendo l‟“io” ad aprirsi
al “tu”.
BIBLIOGRAFIA
Caldin R. (2012). Verso dove? L‟abitare familiare e insolito Pedagogia Speciale. In L. D‟Alonzo,
R. Caldin (Eds.), Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia Speciale. L‟impegno della
comunità di ricerca (pp. 247-269). Napoli: Liguori Editore.
Griffo G. (2012). La crisi mondiale e le politiche di inclusione: il welfare. Consultato l‟11 Marzo,
2014, da http://www.superando.it/2012/08/30/la-crisi- mondiale-e-le-politiche-di-inclusione-ilwelfare/
Raw ls J.(1995). La giustizia come equità. Napoli: Liguori Editore.
Raw ls J. (2002). Una teoria della giustizia. Milano: Feltrinelli.
Walzer M. (1987). Sfere di giustizia. Milano: Feltrinelli.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
259
Istanze spec ifiche del Princ ipio di Equità : “ Pari opportunità”, “ Ugua glianza”
P
PARI OPPORTUNITÀ
DEFINIZIONE:
Condizione in cui i diversi sistemi della società, quali i servizi, le attività, le informazioni,
nonché le possibilità di formazione professionale e di successo scolastico e professionale
vengono messi a disposizione di tutti, senza distinzioni di genere, di appartenenza
socioculturale, di condizioni economiche ecc.
Questa condizione va garantita proprio allo scopo di controllare innanzitutto le situazioni sociali
in cui le differenze vanno ad incidere negativamente sulla vita e sul destino dei singoli e, in
secondo luogo, per far sì che nell‟organizzazione sociale si operi tenendo sempre conto di
quella prospettiva.
Una società che persegue, oggi, “le pari opportunità” é una società che “ottimizza” le
differenze; lo fa esternamente, riconoscendone e sost enendone il valore, e internamente,
realizzando dei percorsi differenziati e molteplici, senza sottrarsi mai alla complessità e
promuovendo le capacità di ciascuno.
CITAZIONE:
“È chiaro sintomo di miopia non riconoscere che riducendo le occasioni di scola rizzazione di
certe categorie di soggetti si toglie loro la possibilità di realizzare quegli obiettivi che una
società civile deve porsi per tutti i suoi membri. Se ripetutamente dichiariamo che in una
società avanzata la partecipazione dei singoli è legat a al livello culturale posseduto da
ciascuno; all‟acquisizione di competenze selettive che si è avuto modo di far proprie; alla
capacità di valutazione; all‟uso delle strategie di riorganizzazione che si sono apprese, allora
non è certamente in una scuola che offre meno “strumenti culturali” che dovremo porre le
nostre speranze” (Gelati, 2004, p. 9).
NOTA:
Si è parlato a lungo esclusivamente di uguaglianza ma è ormai improrogabile l‟adozione, da
parte di tutte le istituzioni e della società in generale, di misure specifiche che nascono dalla
necessità di porsi il problema della distribuzione delle opportunità formative. Tale distribuzione
deve essere in grado di avviare, a sua volta, una reale e concreta “modernizzazione” dei
sistemi formativi al fine di ga rantire a tutti i cittadini la possibilità di poter disporre di attività di
istruzione e formazione in grado di adattarsi alle esigenze e ai bisogni di tutti i destinatari.
Solo in questo modo si svolge un ruolo importante per la promozione di un sentiment o di
cittadinanza attiva, delle pari opportunità, appunto, e di una durevole coesione sociale.
BIBLIOGRAFIA
Arneson, R. J. (1997). Equality and Equality of Opportunity for Welfare. Pojman L. and
Westmoreland R.(Eds.), Equality: Selected Readings. New York: Oxford University Press, 22941.
Gelati M. (Ed.). (2004). I percorsi dei dispersi. Milano: Franco Angeli.
Roemer J. (1998). Equality of Opportunity. Cambridge: Harvard University Press.
SITOGRAFIA
http://www.onuitalia.it/diritti/disabili1.ht ml
260
U
UGUAGLIANZA
DEFINIZIONE:
L‟uguaglianza nasce, dal punto di vista etico e politico, come aspirazione dell‟individuo ad
abbattere tutti i privilegi che le gerarchie sociali e politiche hanno costituito nel tempo con
l‟intento specifico di soffocarne l‟autonomia e la specificità.
Il principio di uguaglianza ha altresì insito in sé il principio della differenza, cioè di quella
capacità di riconoscersi nell'altro diverso da sé e riconoscere l'altro in se stesso. Uguaglianza e
differenza diventano, così, due esige nze, due prospettive che rinviano l‟una all‟altra.
Per far sì che tale concezione abbia una concreta e soprattutto duratura incidenza in campo
sociale e ed educativo bisogna potenziare la conoscenza della realtà umana, per poi aumentare
il valore dell‟autentica diversificazione della natura di ciascun individuo.
CITAZIONE:
“Sono profondamente convinto che l'eguaglianza non è qualcosa che viene determinato dalla
legge o dal diritto, cose importanti certo, ma è soprattutto un apprendimento della relazione
io-tu, noi-loro, sé-altro, dentro-fuori, un apprendimento del fatto che chi è diverso da me
stesso è tuttavia simile a me; che la similitudine dell'altro sta anche nel fatto che mi vede
come diverso e che è anche diverso.” (Goussot, 2008)
NOTA:
Affrontare il tema dell‟uguaglianza di f ronte alla complessità che caratterizza la società odierna
impone un riferimento all‟ineliminabile diversità che caratterizza l‟individuo al fine di realizzare
e concretizzare una progettualità educativa che sia libera da ogni pregiudizio. Per far ciò è
necessario impegnarsi nella conoscenza della realtà umana, per poi valorizzare la naturale
diversificazione che è congenita in tutti gli uomini che nascono uguali.
BIBLIOGRAFIA
Bottani N., Benadusi L. (2006). Uguaglianza e equità nella scuola. Trento: Erickson.
Carter I.(2001). L‟idea di eguaglianza. Milano: Feltrinelli.
Coleman J.S. (1996). Equality of Educational Opportunity. Washington D.C.: U.S.
Governement Printing Office.
Goussot A.(2011). Pedagogie dell'uguaglianza. Sagg i di pedagogia politica e filosofica. Foggia:
Edizioni del Rosone.
Goussot A. (2008), Per una pedagogia dell‟eguaglianza: (Parte Prima), Sintesi Dialettica per
l‟identità democratica – Rubrica di Pedagogia, consultata il 4 Marzo, 2014, da
http://www.sintesidialettica.it/pedagogia/
SITOGRAFIA
http://servizi.psice.unibo.it/uploads/luci_nrzmmupqmzndctnxsovarrllydjxhw.doc
261
Istanze spec ifiche del Princ ipio di Libe rtà: “Autodeterminazione”, “Scelta”
A
AUTODETERMINAZIONE
DEFINIZIONE:
Si parla di autodeterminazione riferendosi a quel principio secondo il quale l‟individuo ha il
diritto di agire da protagonista nelle azioni della propria vita e di prendere le proprie decisioni
senza condizionamenti o influenze non appropriate.
Il diritto all‟autodeterminazione c omporta, da un lato, che ciascuno sia libero di porsi i propri
fini e, dall‟altro, esclude che tali fini siano realizzabili e raggiungibili sempre e comunque.
Ciò avviene in quanto le decisioni e le azioni dei singoli si trovano sempre su un terreno
condiviso, fatto di incontri e scontri, in cui ciascuna decisione individuale deve fondarsi sul
riconoscimento dell‟altro nonché sul suo possibile coinvolgimento. L‟altro va così considerato
come soggetto con idee, opinioni, sistemi di credenze e scale di valor i che si discostano dalle
proprie e pertanto non può subire la negazione del diritto di esercizio dell‟autodeterminazione
né sua propria né può essere ridotto a strumento delle realizzazioni altrui.
CITAZIONE:
“L‟autodeterminazione, […], può assumere un ruolo decisivo nella promozione della
mondializzazione del volto umano solo se le comunità, i singoli, i gruppi saranno formati e
educati a considerarla e a viverla come valore d‟ordine etico, sociale e civile, oltre che umano”
(Venza, 2002, p. 47).
“L‟autonomia riguarda […] il campo delle competenze che attengono allo sviluppo della
persona. L‟autonomia è il risultato di un processo di apprendimento e di crescita che, partendo
da un uso corretto e proficuo di interventi educativi familiari, scolastici e sociali, sviluppa
capacità di autodeterminazione per la propria esistenza, attraverso la rappresentazione e la
costruzione di un personale progetto di vita, con chiara identità personale percepita.
Tutto ciò implica la capacità di dotarsi di obiettivi, di fare delle scelte, di prendere iniziative, di
avere orientamenti e piaceri a cui tendere, di stabilire, esercitare e sviluppare relazioni sociali.”
(Giancateria, 2007, p.96)
NOTA:
Il diritto all‟autodeterminazione richiama più in generale i diritti umani che consentono la
realizzazione del proprio progetto di vita quando questo è conforme al principio di tolleranza.
Pertanto diventano nemici dell‟autodeterminazione tutti quei principi, come l‟autoreferenzialità
o la rigidità, che non consentono l‟applicazione di quel diritto il quale, proprio sulla base delle
modalità con cui viene messo in atto, configura i rapporti relazionali e la crescita della persona
in tutte le sue valenze.
BIBLIOGRAFIA
Giancaterina F. (2007). Come evitare il giro dell‟oca dell‟assistenza. Rif lessioni Rif lessioni in
forma di glossario sugli interventi per le persone disabili. Milano: Franco Angeli
Venza M. (2002). L‟etica come fondamento della pedagogia interculturale. Soveria Mannelli:
Rubbettino.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
262
S
SCELTA
DEFINIZIONE:
Il soggetto deve avere, in una società ampia e complessa quale quella odierna, la possibilità di
un‟autentica educazione alla scelta.
Essa consiste nella capacità di optare liberamente per qualcosa invece che per un‟altra, o d i
assumere un comportamento piuttosto che un altro; la scelta contiene in sé il rischio e
l‟incertezza poiché non rappresenta mai una decisione sicura.
In questo modo appare chiaro come la scelta si pone a fondamento della responsabilità, cioè
dove c‟è sc elta, c‟è responsabilità; la costruzione di tale senso di responsabilità deve però
passare, innanzitutto, attraverso la costruzione di contesti che permettano all‟individuo di
scegliere, di assumere le conseguenze della propria scelta e di accettare anche la dimensione
di irreversibilità che caratterizza l‟azione e la relazione sociale.
La capacità di scelta richiama, infatti, anche la necessità di rendere conto agli altri delle
conseguenze di determinate scelte, azioni o comportamenti e dunque rinvia alla dimensione
fortemente sociale dell‟azione umana.
CITAZIONE:
“Sosterrò che il miglior approccio […] è fornito da un atteggiamento che si concentra sulle
capacità umane, vale a dire su ciò che le persone sono realmente in grado di fare e di essere,
avendo come modello l‟idea intuitiva di una vita che sia degna della dignità di un essere
umano” (Nussbaum, 2002, p.19).
“Aver sottolineato l‟importanza che la persona disabile sia educata ed istruita in modo da far
propri i “linguaggi speciali” esistenti e più adeguati alle sue necessità mostra la
consapevolezza, […], di quanto sia grande il ruolo giocato dagli strumenti, dagli ausili, dai
“linguaggi” nello sviluppo delle potenzialità della persona disabile, nella realizzazione del più
alto grado di autonomia che può realizzare, nella volontà di diventare protagonista della
propria vita.
Non sono i linguaggi diversi che dividono gli uomini, ma piuttosto i pregiudizi agiti nei confronti
di coloro che li utilizzano. Usare strategie compensatorie non può, né deve essere considerato
un limite, ma, anzi, l‟espressione di un uso intelligente delle risorse esistenti” (Gelati, 2012,
p.141).
“Dal punto di vista del soggetto fragile, lo scopo ultimo dell‟ integrazione scolastica è la
promozione della persona a scoprire, realizzare e valorizzare la propria identità e ad espandersi
progressivamente verso sbocchi che si chiariscono strada facendo, senza indebite preclusioni o
indirizzi predestinati.” (Pavone, 2012, p.148).
NOTA:
La libertà di scegliere fra una serie di vit e possibili richiama l‟espressione “capacità” o
“capability” di Amartya Sen che, sintetizzando, rappresenta la libertà individuale di acquisire lo
star bene. La conclusione cui lo studioso è pervenuto è che il grado di eguaglianza di una
determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una
serie di capabilities, di acquisire funzionamenti fondamentali, ossia un‟adeguata qualità della
vita che non sia circoscritta a parametri strumentali o economici.
BIBLIOGRAFIA
Canevaro A., Goudreau J. (2002). La difficile storia degli handicappati. Roma: Carocci.
D‟Alonzo L. (2006). Pedagogia speciale per preparare alla v ita. Brescia: La Scuola.
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Gelati M. (2012). Alla ricerca delle tracce disattese. In L. D‟Alonzo, R. Caldin ( Eds.), Questioni,
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Nussbaum M. (2002). Giustizia Sociale e Dignità Umana. Bologna: il Mulino.
Pavone M (2012). Inserimento, Integrazione, Inclusione. In L. D‟Alonzo, R. Caldin (Eds.),
Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia Speciale. L‟impegno della comunità di ricerca
(pp. 145-158). Napoli: Liguori Editore.
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Sen A.K. (2000), Lo sviluppo è libertà. Milano: Mondadori.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
264
Istanze spec ifiche del Princ ipio di Giustizia: “Emancipazione”, “ Rispetto”
E
EMANCIPAZIONE
DEFINIZIONE:
Processo che nasce e si sviluppa a partire dal compito, assunto dalla pedagogia speciale e
dall‟educazione in generale, di ravvisare tutte quelle forme di condizionamento che ostacolano
lo sviluppo di ciascuna persona per poter creare quelle opportunità educat ive in grado di
sollecitare processi positivi
Tale processo va assunto, dunque, come obiettivo e scopo primario dell‟educazione per far sì
che al soggetto-persona venga offerta la possibilità di risolvere le problematiche che attengono
alla sua situazione specifica con una tensione verso contesti valoriali più ampi e comprensivi
della cultura e del gruppo di appartenenza, cioè comuni al maggior numero di persone al di là
della propria specificità culturale e/o genetica
L‟educazione, l‟istruzione possono dunque divenire un grande strumento di emancipazione e
uno strumento per la conquista consapevole dei diritti di cittadinanza.
CITAZIONE:
In altri termini, la soggettività della persona si forma all‟interno dei momenti di conformazione,
emancipazione, riconoscimento identitario e vincolo esterno o interno nella situazione specifica.
Essa si forma nel tempo, nello spazio e nei luoghi della vita, si esprime tra l‟inconscio e il
conscio, in modo interpretativo e simbolico, e presenta alcune caratteristiche di d iversità
contestualizzate nelle situazioni specifiche familiari, scolastiche e sociali. (Spadafora, 2010, p.
13)
NOTA:
Il processo di emancipazione richiama i Disability Studies che rappresentano un esempio di
ricerca partecipativa-emancipativa che utilizza un approccio multidisciplinare che guarda alla
disabilità come un fenomeno unitario complesso avvalendosi di più discipline e che, nel
contempo, vede nelle persone con disabilità non l‟oggetto di studio, bensì soggetti attivi.
Porre il soggetto al cent ro dei processi di studio e di analisi richiama, dunque, il concetto di
empowerment riguardando l'acquisizione di competenze e capacità individuali ma, soprattutto,
il conseguimento di una nuova consapevolezza del proprio spazio e ruolo nella società a cui si
accompagna il sostegno all'emancipazione attraverso appropriate competenze e saperi.
BIBLIOGRAFIA
Canevaro A. et al. (2006). Le logiche del confine e del sentiero. Una pedagogia dell‟inclusione
(per tutti, disabili inclusi). Trento: Erickson.
Medeghini R., D'Alessio S., Marra A., Vadalà G., Valtellina E. (2013). Disability studies.
Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza. Trento: Erickson.
Spadafora G. (2010). Formazione, persona, democrazia: una questione aperta. Education,
Sciences & Society, 2, 10-21.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
265
R
RISPETTO
DEFINIZIONE:
Il rispetto è innanzitutto un atteggiamento o un sentimento di stima, deferenza che si rivolge
nei confronti di qualcuno o qualcosa, investita di valore per le caratte ristiche o il significato che
essa ha per il soggetto.
Si può parlare anche di rispetto di sé che va a costituire l‟integrità dell‟identità del soggetto
che a sua volta è legata all‟apprezzamento e alla conferma intersoggettiva proveniente dai
rapporti di riconoscimento che permettono all‟individuo di sviluppare, appunto, sentimenti di
stima di sé, rispetto e fiducia. La persona con disabilità alla quale non si riconosce una propria
identità da esprimere, sperimenta inevitabilmente un sentimento di frustrazione e di
umiliazione e, di conseguenza, è incapace di fare riferimento a sé in maniera equilibrata.
Il rispetto di sé è un' acquisizione che procede dalla relazione educativa e si può dire che ha
inizio a partire dalla costruzione della fiducia e dall'autostima nella relazione madre bambino e
continua, o in alcuni casi va proprio inaugurata, nel rapporto con l‟educatore.
Si può parlare anche di r ispetto dell‟educando per richiamare quell‟insieme di accorgimenti con
cui l‟educatore dà segno di prendere in considerazione le specificità del singolo educando, con i
suoi tempi di comprensione,
la pluralità dei suoi stili cognitivi e delle strategie di
apprendimento, la varietà delle sue forme espressive e comunicative a cui va dato il giusto
valore integrandoli nella relazione educativa. In questo caso, appunto, il sentimento di rispetto,
soprattutto se ci si riferisce alle persone con disabilità deve trovare una sua effettiva
realizzazione attraverso un‟attenzione totale nei confronti del soggetto.
CITAZIONE:
“Il conseguimento dei diritti ha bisogno degli studi e delle ricerche, per far emergere con
sempre maggiore consapevolezza e competenza tecnica e politica, che l'inclusione delle
persone con disabilità è un problema di rispetto di diritti umani […]” (Gr iffo, 2011, p.13-21)
“Assumere come modello di uomo da educare quello di persona piuttosto che quello di un
fascio di sensazioni, o di un numero nel collettivo, o di un bell‟animale, o altro ancora, signif ica
rispetto assoluto d‟ogni uomo, […], che, in quanto è persona, va aiutato a perseguire le
caratteristiche peculiari della sua natura e cioè la sua personalità libera. Libera di darsi un
proprio progetto di vita” (Larocca, 2003, p.337)
NOTA:
L‟adulto come educatore deve sempre tener conto degli aspetti etici e viverli come impegno
educativo per far sì che l‟educando possa raggiungere dei traguardi, nessuno escluso.
Tale processo esige che a monte ci sia il rispetto del soggetto nella sua originalità e nella sua
diversità; lo statuto del singolo va sempre visto nella pluralità dei soggetti e nella loro
originalità.
BIBLIOGRAFIA
Bertolini P. (1996). Dizionario di Pedagogia e scienze dell‟educazione. Bologna: Zanichelli.
Griffo G. (2011). Le nuove sfide alla ricerca che la Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità propone. Italian Jour nal of Disability Studies. Rivista italiana di Studi sulla Disabilità
(pp.13-21) Roma: Edizioni Anicia.
Larocca F. (2003). Nei frammenti l'intero. Una pedagogia per la disabilità. Milano: Franco
Angeli.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
266
NORME
di Valeria F riso
3
N
NORME
DEFINIZIONE:
“Modello o regola cui ci si deve conformare per realizzare un determinato fine: essa fa ovvio
riferimento al mondo e ai giudizi di valore; in questo senso si parla di norme logiche, etiche,
sociali, educative, ecc. È ben chiaro, peraltro, che il concetto di norma, dipendendo dalle idee e
dalle convenzioni degli appartenenti ai vari gruppi sociali è essenzialmente relativistico, come
dimostrano gli innumerevoli modi in cui essa è stata riempita di contenuto nel corso della
storia. Nelle scienze che si occupano dell‟uomo da diversi punti di vista, il termine indica anche
il complesso dei tratti via via caratteristici della maggior parte dei membri di un determinato
gruppo sociale”.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996, p. 379).
CITAZIONE:
“L‟uomo, nel desiderare, deve saper discernere cosa è meglio, f in dove è possibile e fin dove è
lecito il soddisfacimento. Il limite sicura mente dice disciplina, dice norma, esige motivata
finalizzazione e adeguata rispondenza al bene umano nella sua totalità. Senza una norma,
giustif icata e motivata, non si crea soltanto disordine nella convivenza, ma anche dentro lo
stesso soggetto per la mancata scompaginazione interiore.” (Di Agresti, p. 290)
NOTA:
I topics della pedagogia speciale si intrecciano sovente con la disciplina giuridica. In certe
occasioni la pratica educativa che mira all‟inclusione delle persone disabili anticipa la
normativa, altre volte si adegua alla normativa vigente scontrandosi o traendone forza e
tutela. È proprio questo continuo intreccio che permette un‟evoluzione costruttiva di quel
processo che ha portato alla conquista di diritti riconosciuti come fondamentali e irrinunciabili.
Tanto più il cammino della pratica prosegue pari passo con l‟evoluzione normativa tanto più il
percorso sarà armonico e in continua crescita favorendo un progresso e un miglioramento
politico e sociale.
BIBLIOGRAFIA
Di Agresti C. (2004). Modelli di socializzazione e forme di marginalità. Problematiche
educative. In De Natale M.L. (2004) (a cura di). Pedagogisti per la giustizia. Milano: Vita e
Pensiero, pp. 287-302
Guido C., Stellacci L. (2001). Manuale per il sostegno scolastico: l‟integrazione del disabile
nella cultura pedagogica e nell‟assetto normative: dalla scuola dell‟infanzia alla secondaria
superiore con modelli di diagnosi, profili. Roma: PEI.
Nocera S. (2001). Il diritto all'integrazione nella scuola dell'autonomia. Gli alunni in situazione
di handicap nella normativa scolastica italiana. Trento: Erickson.
Canevaro A. (2007) (a cura di). L'integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent' anni
di inclusione nella scuola italiana. Trento: Erickson.
Montobbio E., Navone Anna M. (2003). Prova in altro modo. L'inserimento lavorativo socio
assistenziale di persone con disabilità marcata. Pisa: Edizioni del Cerro.
3
Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna
267
SITOGRAFIA
Diversi siti dedicati a tematiche relative alla disabilità hanno sezioni dedicate alle norme vigenti come:
- banca dati contenente norme di carattere nazionale, Gazzetta Ufficiale, news e approfondimenti sugli
aspetti legislativi connessi alla disabilità: http://www.handylex.org/ (consultato il 01/08/2014)
- http://www.disabili.com/legge-e-fisco (consultato il 01/08/2014)
- http://www.diversamenteabili.info/Engine/RAServePG.php/P/25641DIA0203/T/per-andare-alla-paginaIndice-Normative (consultato il 01/08/2014)
268
D
DIRITTI
DEFINIZIONE:
“Di solito si intende per diritto l‟insieme delle norme che regolano la convivenza degli
appartenenti ad un gruppo sociale. Esso si distingue in dir itto naturale (quando quelle norme
sono considerate implicite ella natura dell‟uomo e quindi come esistenti anche al di fuori i ogni
oro precisa formulazione) e in dir itto positivo (quando quelle norme si traducono nelle leggi
giuridiche in vigore in ciascuno Stato). Si parla poi di dir itto educativo per indicare sia il diritto
di ogni fanciullo di ricevere un‟appropriata educazione (tale da non essere handicappati od
emarginati nei confronti degli altri membri della comunità sociale), sia il diritto di impartire
l‟educazione (con riferimento soprattutto alla famiglia, ma anche allo Stato, alla Chiesa, ecc)”.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996, p. 146).
CITAZIONE:
“Individuazione e rispetto dello status morale e giuridico della persona, universalmente intesi”
(Mura, Zurru, 2013, p.43)
“La cittadinanza attiva si articola tra diritti e responsabilità laddove, mentre i diritti sono
ratificati su base legislativa, la responsabilità è difficilmente codificabile e regolabile secondo
parametri condivisi e condivisibile (…). (Striano, p.21)
NOTA:
Diritti e normativa sono due aspetti molto presenti nella letteratura della pedagogia speciale.
In particolare modo questi concetti vengono sviluppati e approfonditi soprattutto in quella
parte che riguarda da una parte le convenzioni internazionali e dall‟altra l‟inserimento
scolastico. L‟intreccio dei contributi dei pedagogisti speciali si lega molto alle discipline
giuridiche che entrano nel tema della disabilità.
BIBLIOGRAFIA
Mura A., Zurru A.L. (2013). Elementi per una rilettura pedagogico-speciale di un “serious
philosophical problem”, in Italian Journal of Special Education for Inclusion, I, n.1
Striano M. (2010) (a cura di). Pratiche educative per l‟inclusione sociale, Franco Angeli.
Marchisio S., Cera R., Della Fina V. (a cura di) (2010). La Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle
persone con disabilità: commentario. Roma: Aracne.
SITOGRAFIA
http://europa.eu/legislation_summaries/employment_and_social_policy/disability_and_old_age/em0029_
it.htm (consultato il 01/08/2014)
269
C
CONVENZIONI
DEFINIZIONE:
“Dicesi di un istituto educativo (collegio) o rieducativo (casa di rieducazione; focolare; istituto
medico-psico-pedagogico); ma anche asilo-nido o scuola materna; ecc. privati con i quali lo
Stato o un altro Ente pubblico: Comune , Provincia, Regione abbia stipulato una sorta di
contratto (convenzione).
Per effetto di una convenzione da un lato, l‟istituto offre delle prestazioni educative che per
legge dovrebbero essere di competenza dell‟Ente; dall‟altro, quest‟ultimo versa all‟istituto una
certa retta giornaliera per ogni minore ricoverato o ospitato.
Si procede ad una convenzione anche tra un Ente e una persona (un esperto) o un altro Ente
(per es. una società di ricerca) quando il primo affida al secondo taluni compiti che gli
interessano o un lavoro che gli è necessario ma che non ha le competenze e quindi la
possibilità di svolgere in proprio: anche in questo caso si tratta di un contratto con gli stessi
effetti di cui s‟è detto in precedenza”.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996, pp.
110-111)
CITAZIONE:
“La convenzione è uno strumento (…) la cui ratifica da parte di un Paese ha chiare
conseguenze giuridiche. (…) gli esperti di diritto sono convinti che avrà degli effetti diretti ed
evidenti sui progetti politici” (Bickenbach, 2009, p. 29).
“Le convenzioni sui diritti umani già esistenti non sono bastate a garantire i diritti umani delle
persone con disabilità, e aiuta a chiarire cosa signif ichi promuoverli. Si capisce, per esempio,
che per sostenere i diritti umani delle persone con disabilità non basta eliminare gli ostacoli ma
serve un‟azione positiva per fornire loro tutte le opportunità e i mezzi pratici necessari per
vivere” (Crowther, 2009, p. 67)
NOTA:
La Convenzione non è solo font e di ispirazione, ma fornisce una mappa pratica che aiuta
direttamente gli Stati a compiere delle scelte politiche che interessano una gran parte della
loro popolazione. Nella pedagogia speciale la Convenzione di cui si è molto scritto e su cui si
concentra l‟attenzione è in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone con disabilità che “stabilisce un quadro importante e completo dei diritti fondamentali
degli adulti e dei bambini con disabilità, oltre ad affrontare alcuni impo rtanti diritti relativi
all‟istruzione. Pur ribadendo la dignità intrinseca, l‟autonomia, e la parità di valore morale delle
persone con disabilità, la Convenzione sottolinea l‟importanza di promuovere, tutelare e
garantire le libertà fondamentali delle pe rsone con disabilità” (Terzi, 2009, p. 64).
BIBLIOGRAFIA
Bickenbach J. E., L‟uso dell‟ICF per il monitoraggio della Convenzione delle Nazioni Unite:
alcuni suggerimenti prelim inari, pp. 25-44 in AAVV (2009). ICF e Convenzione ONU sui dir itti
delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l‟inclusione. Trento: Erickson.
Crowther N., Dalla compensazione alla capacità: persone con disabilità, lavoro e benessere ,
pp. 67-80 in AAVV (2009). ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l‟inclusione. Trento: Erickson.
Terzi L., L‟approccio delle capacità applicato alla disabilità: verso la giustizia nel campo
dell‟istruzione, pp. 55-66, in in AAVV (2009). ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone
con disabilità. Nuove prospettive per l‟inclusione. Trento: Erickson.
270
SITOGRAFIA
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:023:0035:0061:IT:PDF
(consultato il 20/03/2014)
271
D
DICHIARAZIONI
DEFINIZIONE:
“È il momento in cui qualcuno cerca di rendere chiaro, ma anche di interpretare apertamente,
un testo, un vissuto, un‟intenzione o una decisione. Così accanto alla dichiarazione di guerra si
parla di una dichiarazione d‟amore quando si confessa verbalmente o per iscritto il proprio
amore verso una persona”.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996, p. 140).
CITAZIONE:
Ci piace citare in questa sede quant o Andrea Canevaro indica a suggello del veloce excursus di
decisioni legislative degli anni Settanta nel suo testo Pedagogia speciale. Ci ricorda che “Nel
1975 viene siglata dalle nazioni Unite la Dichiarazione dei diritti delle persone handicappate. È
un documento importante, che conclude un percorso iniziato nel 1948 con la Dichiarazione dei
diritti dell‟uomo, proseguito nel 1959 con quella del bambino, e nel 1971 con la Dichiarazione
dei diritti dell‟insufficiente mentale. Si potrebbe dire che la prima Dichiarazione – quella
relativa ai diritti dell‟uomo – poteva essere sufficiente, comprendendo, questa dizione, tutti gli
uomini e le donne, e quindi anche le persone handicappate. La necessità di arrivare a una
proclamazione di diritti per le persone handicappate è pertanto indicativa del punto d‟arrivo del
lungo cammino compiuto dalle idee e dalle pratiche: la necessità di avere un‟indicazione di
statuto positivo per gli handicappati”. (A. Canevaro, 1999, p.20).
NOTA:
Molte le dichiarazioni internazionali che la riflessione pedagogica è chiamata a conoscere,
sostenere e – in certe occasioni – guidare, rispetto ai diritti delle persone disabili. In
particolare, ne ricordiamo alcune formulate dall‟Unesco quali: la Dichiarazione di Jomtien
(1990) che “promuove i principi dell‟Educazione per tutti secondo un orientamento pedagogico
centrato sul bambino che accetti le differenze individuali come una risorsa e non come un
problema, ribadendo la necessità di migliorare la qualità dell‟educazione primaria e della
formazione dei docenti riconoscendo l‟ampia diversità dei bisogni personali e dei modelli di
sviluppo dei bambini nella scuola primaria secondo un approccio olistico e integrato. (Pradal,
2011, p.21); la Dichiarazione di Salamanca (1994) che evidenzia i pri ncipi dell‟inclusione,
dell‟integrazione e della partecipazione incoraggiando l‟uguaglianza di accesso di coloro che
hanno bisogni speciali. È in questo contesto che si sottolinea come “l‟educazione può offrirsi
come fattore di partecipazione sociale se va lorizza la diversità degli individui e dei gruppi
sociali senza diventare essa stessa motivo di esclusione: in quest‟ottica l‟educazione inclusiva è
un diritto umano, ma anche un prerequisito economico per lo sviluppo delle nazioni” (Pradal,
2011, p.22).
BIBLIOGRAFIA
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell‟handicap. Milano: Bruno Mondatori.
De Polo G., Pradal M., Bortolot S., (2011) (a cura di). ICF-CY nei servizi per la disabilità.
Indicazioni di metodo e prassi per l‟inclusione. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
http://www.unesco.org/education/pdf/SALAMA_E.PDF (consultato il 20/03/2014)
http://www.fao.org/erp/erp-partners-en/erp-unesco-en/it/ (consultato il 20/03/2014)
272
L
LEGGI QUADRO
DEFINIZIONE:
“Detto di legge e complesso di leggi che contengono i principi fondamentali relativi
all‟ordinamento di una determinata materia” (Tratto da “Il Nuovo Zingarelli” a cura di Miro
Dogliotti e Luigi Rosiello, dodicesima edizione, 1996, p.962).
CITAZIONE:
“Quadro perché è una sorta di compendio e insieme di integrazione di tutta la normativa
precedente. Detta i principi dell‟ordinamento in materia di diritti (…)” (Grasselli, 2006, p. 196).
NOTA:
Primo riferimento in ambito di disabilità in Italia è la legge quadro per “l‟assistenza,
l‟integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” del 5 febbraio 1992 n. 104, più
NOTA come legge 104/92.
Principali destinatari di questa legge sono i disabili, ma non mancano riferimenti anche a chi
vive con loro. Il presupposto alla base è quello che l'autonomia e l'integrazione sociale si
possono raggiungere solo se viene garantito alla persona handicappata e alla sua famiglia un
adeguato sostegno. Il sostegno può avere diverse forme, da quello di servizi di aiuto personale
o familiare, a quello riferito all‟aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico.
Dopo l‟elenco delle finalità presentate all‟Art. 1 (“1. La Repubblic a: garantisce il pieno rispetto
della dignità umana e i diritti della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione
nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; previene e rimuove le condizioni
invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima
autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività,
nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; persegue il recupero funzionale e
sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e
le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela
giuridica ed economica della persona handicappata; predispone interventi volti a superare stati
di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata.”) vengono declinati gli
altri quarantatré articoli che riguardano:
d. principi generali,
e. soggetti aventi diritto,
f. accertamento dell‟handicap,
g. Princ ipi gene rali pe r i diritti de lla pe rsona handicappata,
h. Prevenzione e diagnosi precoce,
i. Cura e riabilitazione,
j. Inserimento ed integrazione soc iale,
k. Servizio di aiuto personale,
l. Interventi a favore di pe rsone con ha ndicap in situazione di gravità,
m. Soggiorno all'este ro per cure,
n. Diritto all'educazione e all'istruzione,
o. Integrazione scolastica,
p. Modalità di attuazione dell'integrazione,
q. Gruppi di lavoro pe r l'inte grazione scolastica,
r. Valutazione del rendimento e prove d'esame,
s. Formazione professionale,
t. Integrazione lavorativa,
u. Soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio,
v. Prove d'esame ne i concorsi pubblici e per l'abilitazione a lle professioni,
273
w. Precede nza nell'assegnazione di sede,
x. Accertamenti ai fini de l lavoro pubblico e privato,
y. Rimozione di ostacoli pe r l'ese rcizio di attiv ità sportive, turistiche e ric reative,
z. Eliminazione o supe ramento de lle ba rriere arc hitettoniche,
aa. Accesso alla informazione e alla comunicazione,
bb. Mobilità e trasporti collettiv i,
cc. Trasporti individuali,
dd. Facilitazioni per i veicoli delle persone handicappate,
ee. Esercizio de l diritto di voto,
ff. Partec ipazione,
gg. Riserva di alloggi,
hh. Agevolazioni fiscali
ii. Agevolazioni
jj. Protesi e ausili tecnic i.
kk. Ricovero de l minore handicappato.
ll. Aggravamento delle sanzioni pena li
mm. Procedime nto penale in cui sia inte ressata una persona handicappata
nn. Convenzioni
oo. Compiti de lle re gioni
pp. Compiti de i comuni
qq. Competenze de l Ministro pe r gli affari socia li e costituzione del Comitato
nazionale pe r le politiche dell'handicap; Art. 41-bis. Confe renza nazionale sulle
politic he de ll'handicap; Art. 41-ter. Progetti sperimenta li
rr. Copertura finanziaria
ss. Abrogazioni
tt. Entrata in v igore.
BIBLIOGRAFIA
Grasselli B. (2006) L'arte dell'integrazione. Persone con disabilità costruiscono percorsi sociali,
Roma: Armando Editore.
SITOGRAFIA
http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/5/200406081
34418_10-113-232-21.pdf (consultato il 20/03/2014)
D
274
DOVERI
DEFINIZIONE:
In ambito socio-psico-pedagogico, il termine viene usato come sinonimo di obbligo morale
ovvero di compito o responsabilità che una persona, in particolare un professionista, ha
nell‟esercizio delle sue funzioni. Per qualcuno, il dovere discende solo dalle leggi giuridiche che
un Paese si è dato (ed in questo senso esso viene inteso come un fatto storicizzato e dunque
non assoluto); per altri invece, il dovere discende da una norma razionale pura, naturale e
quindi universale. È legittimamente sostenibile che queste due posizioni anziché essere
reciprocamente escludenti, vadano intese come entrambe presenti nell‟esistenza dell‟uomo.
Il dovere dello scolaro, dello studente è costituito di solito dai compiti e dagli eserciz i che gli
vengono richiesti dagli insegnanti. Comunque, è sempre più frequente l‟insistenza con cui, a
fianco del concetto di dovere dello studente, si parla di dovere dell‟insegnante (più in generale,
della scuola) che ha il compito di dare a tutti gli sc olari il massimo delle opportunità possibili.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
“Il tema fondamentale non è, allora, eliminare la diversità, bensì salvaguardarla, valorizzarla,
accettarla, nello stesso momento in cui si accetta, si riconosce, si salvaguarda la diversità
dell‟altro da sé. Quali che siano, infatti, dal punto di vista ontologico -speculativo quelle che con
Kant potremmo definire le “condizioni di possibilità” della libertà, resta, infatti, che la libertà di
ciascuno non possa crescere, realizzarsi, attuarsi se non a patto che cresca, si realizzi e si attui
la libertà degli altri. Questo è del resto uno dei principi cardine della stessa convivenza, il
principio basilare cioè de lla morale e del diritto, nella misura in cui il riconoscere nell‟altro non
semplicemente un proprio simile, ma, ontologicamente, un altro se stesso, porta a concludere
che ogni rivendicazione avanzata da un qualsiasi individuo in nome dei diritti inaliena bili della
persona appare immediatamente una rivendicazione per tutti coloro che sono, prima ancora
che fisicamente, costitutivamente identici, e dunque identici sul piano dei diritti e dei doveri”
(pp.44-45).
NOTA:
Nei confronti delle persone disabili es istono leggi che ne garantiscono i diritti. A fronte di questi
esistono doveri cui ciascun cittadino, anche disabile, è chiamato a rispondere. In particolare
l‟istruzione e poi il mondo del lavoro sono tenuti ad osservare dei doveri al f ine di tutelare la
possibilità di ciascuno a poter vivere dignitosamente e secondo le proprie capacità. In materia
di inserimento lavorativo le aziende italiane sono chiamate a rispettare una legge di inclusione
nel proprio organico di persone disabili. La stessa UE nel luglio 2013 ha però bocciato il
Governo e il Parlamento italiani perché non vengono applicati i principi per favorire
l‟inserimento dei disabili nel mondo del lavoro, venendo meno agli obblighi derivanti dalla
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale
per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro dei disabili
BIBLIOGRAFIA
D‟Alonzo L. e Maggiolini S., Integrazione e preparazione alla vita, in Mulè P. (a cura di) (2013),
Pedagogia recupero e integrazione tra teorie e prassi, Armando editore, pp. 46-58.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
P
275
PIANI di AZIONE
DEFINIZIONE:
Il termine piano “interessa le scienze psico-socio-pedagogiche nel suo significato di progetto
e/o di progra mma. In linea generale questo temine appare meno rigido del termine pianificare
in quanto può fare riferimento, oltre che ovviamente alle finalità e alle metodologie proprie
della pianif icazione, allo sforzo di individuare tempi, modi, mezzi necessari all‟attuazione di un
progetto (ad esempio educativo) che tenga conto sia degli elementi per così dire oggettivi, sia
di quelli soggettivi. In questo senso, si può dire che un piano non è mai inteso (o non dovrebbe
esserlo) come definitivo, ma come sempre suscettibile di cambiamenti e revisioni”.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
“L‟anno 2003, dedicato dall‟Unione Europea alle persone con disabilità, è stato un momento di
trasformazione culturale e di nuovo slancio (…). Alla fine di quell‟anno la Commissione Europea
ha lanciato il Piano d‟Azione europeo sulla disabilità (2004-2010), che con cadenza biennale ha
identif icato alcune priorità su cui impegnare le politiche e le azioni degli Stati me mbri, del
Parlamento europeo e della stessa Commissione Europea (Unar, p.70)”.
NOTA:
Nell‟ambito scolastico un Piano d‟azione di indubbia importanza è il DPR 24/02 del 1994 che
segue la legge legge quadro n. 104 per “l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate” del 5 febbraio 1992. Si tratta di un "Atto di indirizzo e coordinamento
relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap".
La più recente direttiva riguarda il “Piano d‟inclusività dei BES”. Rispetto a questa materia nel
22 novembre 2013 al Prot. n. 2563, il Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca,
anche sulla base delle richieste pervenute dalle scuole e delle esigenze rappresentate dal
personale docente e dai dirigenti scolastici, facendo seguito alla NOTA prot. 1551 del 27 giugno
2013, ha fornito ulteriori indicazioni e chiarimenti relativamente all‟applicazione della Direttiva
27.12.2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione
territoriale per l‟inclusione” e della successiva C.M. n. 8 del 6 marzo 2013. I paragrafi che
vengono proposti esplicitano indicazioni rispetto ai Piani Didattici Personalizzati, alle situazioni
di alunni con cittadinanza non italiana, al Piano annuale per l‟inclusività, al gruppo di lavoro per
l‟inclusività
e
all‟organizzazione
territoriale
per
l‟inclusione
(http://www.istruzione.it/allegati/prot2563_13.pdf).
BIBLIOGRAFIA
UNAR (2011). Parità di trattamento e uguaglianza in Italia. Un anno di attività contro ogni
forma e causa di discriminazione. Roma: Armando Editore.
SITOGRAFIA
Piano
d‟azione
dell‟UE
a
favore
delle
persone
http://ec.europa.eu/social/home.jsp?langId=it (consultato il 20/03/2014)
disabili:
Strategia europea sulla disabilità (2010-2020):
http://europa.eu/legislation_summaries/employment_and_social_policy/disability_and
_old_age/em0047_it.htm (consultato il 20/03/2014)
Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, intitolata «Europa 2020: Una strategia
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva»:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:2020:FIN:IT:PDF
(consultato il 20/03/2014)
http://www.istruzione.it/allegati/prot2563_13.pdf (consultato il 20/03/2014)
276
L
LINEE GUIDA
DEFINIZIONE:
Le linee guida sono un insieme di indirizzi sistematici organizzati a partire da conoscenze
validate stilati al fine di rendere appropriato un comportamento atteso.
CITAZIONE:
“Stabilire punti fermi, ragionevoli linee-guida per l‟esplorazione della classe ed incoraggiare
condotte autonome è fondamentale per far f ronte al bisogno di indipendenza dei bambini ed
alla loro mancanza di giudizio maturo” (Cairo M., p. 226).
NOTA:
Nel 2009, la Direzione Generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la
comunicazione del Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca è uscita con le “Linee
guida per l‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità”: “ Le direttive impartite si
muovono nell'ambito della legislazione primaria e secondaria vigente e mirano ad innalzare il
livello qualitativo degli interventi formativi ed educativi sugli alunni portatori di disabilità
fisiche, psichiche e sensoriali.
Nel confermare con la massima forza il principio della piena integrazione nelle classi ordinarie
ed alla luce delle esperienze pluriennali f in qui condotte, il documento ripercorre le tappe degli
interventi come fin qui concretamente realizzati nella pratica ope rativa al f ine di valutarne la
reale corrispondenza ai principi e alle norme che disciplinano la materia.
L'obiettivo non è dunque quello di introdurre variazioni nelle disposizioni, fatto peraltro non
consentito, quanto di fornire agli operatori scolastic i una visione organica della materia che
possa orientarne i comportamenti nella direzione di una loro più piena conformità ai principi
dell'integrazione.” (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot4274_09).
BIBLIOGRAFIA
Cairo M. (2007). Teorie dell‟apprendimento, approcci metodologici e bambini con bisogni
educativi speciali. In Cairo M (2007) (a cura di) Pedagogia e didattica speciale per educatori e
insegnanti nella scuola. Milano: Vita e Pensiero (pp. 223-246).
Cudini S., Moranti M. (2003). Scuola e territorio: come attivare e promuovere progetti per le
comunità locali. Milano: FrancoAngeli.
Pavone M. (2001). Educare nelle diversità. Percorsi per la gestione dell‟handicap nella scuola
dell‟autonomia. Brescia: La Scuola.
SITOGRAFIA
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot4274_09
20/03/2014)
277
(consultato
il
P
PIANI DI ZONA
DEFINIZIONE:
“Il piano di zona è lo strumento ordinario con cui governare il sistema locale dei servizi e degli
interventi sociali.
Il piano di zona rifacendosi ai principi stabiliti, a livello nazionale dalla legge 328/00, al DPCM
23.11.2001 (L. 328/2000 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato de gli
interventi e dei servizi sociali", D.P.C.M. 29.11.2001 "DEFINIZIONE dei Livelli Essenziali di
Assistenza, "Piano Sanitario Nazionale 2003-2005") e a livello locale dalla LL.RR. n.56 del 14
settembre 1994 e n.5 del 3 febbraio 1996, è l'occasione offerta alle comunità locali per
leggere, valutare, programmare e guidare il proprio sviluppo e va visto e realizzato come piano
regolatore
del
funzionamento
dei
servizi
alle
persone”.
(http://www.ulss15.pd.it/nqcontent.cfm?a_id=211).
CITAZIONE:
“La funzione di pianif icazione a livello locale viene affidata ai Piani di Zona che, con il loro
lavoro di programmazione, dovrebbero promuovere, in qualche modo, il coordinamento anche
della rete dell‟unità di offerta. (…) È vero che il piano di zona provvede alla lettura del bisogno,
alla pianif icazione del territorio e alle diverse unità di offerta, ma è anche vero che l‟efficacia di
tale programmazione e coordinamento dipende anche da quanto il territorio è pronto a
lavorare in quest‟ottica, e cioè se è riconosciuto un intento comune (non solo a livello
istituzionale e formale) ed un reciproco rispetto tra le differenti risorse presenti sul territorio”.
(B. Iorio, 2012, p. 159).
“In sintesi i Piani di zona rappresentano un‟opportunità signif icativa per tutti i protagonisti delle
politiche sociali territoriali sia per i contenuti in gioco, sia per il processo politico -istituzionale
che possono innescare e rendere strutturale: la possibilità di coinvolgere in modo pieno e
formalizzato le realtà del terzo settore, il ruolo e la responsabilità di coordinamneto dell‟Ente
locale, la coerenza richiesta nella distribuzione e utilizzazione delle risorse rappresentano degli
elementi sicuramente propulsivi per la buona gestione e amministrazione di un Comune, di una
Provincia, di una Regione”. (Francia, 2007, p. 77).
“Il Piano di Zona contiene obiettivi realizzabili che toccano tutte le aree strategiche dei Servizi
Sociali, consolidando ed innovando gli interventi nei singoli settori, quali: minori e famiglie,
persone in difficoltà, anziani e domiciliarità disabili, fenomeni migratori, dipendenze.” (Garena,
Gerbo, 2010, p. 161).
NOTA:
Un piano di zona viene steso in genere dopo alcune fasi che prevedono la predisposizione di
strumenti, la lettura del territorio, l‟analisi delle risorse presenti, la rilevazione dei bisogni e
delle domande. Coinvolge generalmente il Sindaco o la Conferenza dei Sindaci e altri soggetti
istituzionali e sociali. La sua redazione prevede modelli diversi, ma con alcuni elementi in
comune quali: l‟individuazione di obiettivi generali e obiettivi specifici, la DEF INIZIONE dei
risultati attesi attraverso la stesura di indicatori e descrittori che saranno indispensabili per la
previsione di un intervento di monitoraggio e valutazione degli interi processi che il piano
permetterà di mettere in azione. Sempre nel piano di zona vengono comunemente definiti i
tempi di realizzazione dei servizi, gli oneri necessari, le azioni da compiere e i soggetti
responsabili. È grazie al Piano di zona che verrà approvato che sarà possibile prevedere la
stipula di singoli accordi tra comuni, enti, istituzioni e Asl di riferimento.
BIBLIOGRAFIA
Folgheraiter F. (2006). La cura delle reti. Nel welfare delle relazioni (oltre i Piani di zona).
Trento: Erickson.
278
Francia M.G. (2007) Famig lia, ente locale e territorio: risorse essenziali per l‟integrazione. In
Cairo M (2007) (a cura di) Pedagogia e didattica speciale per educatori e insegnanti nella
scuola. Milano: Vita e Pensiero. (pp. 59-80)
Garena G., Gerbo A.M. Qualità e Accreditamento dei Servizi Sociali. Elementi per la costruzione
di un manuale di autovalutazione. Santarcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore.
Iorio B. (2012) Il coordinamento territoriale nella rete dei servizi per disabili, in D‟Alonzo L.,
Maiani V., Zampieri G., Maggiolini S. (2012) (a cura di). La consulenza pedagogica. Pedagogisti
in azione. Roma: Armando Editore
SITOGRAFIA
http://www.ulss15.pd.it/nqcontent.cfm?a_id=211 (consultato il 20/03/2014)
279
A
ACCORDI DI PROGRAMMA
DEFINIZIONE:
“L‟accordo di programma rientra nella tipologia degli accordi tra amministrazioni pubbliche.
Esso ha disciplina propria, descritta in modo dettagliato nell‟art 27 della l. n. 142/1990, ora
confluito nell‟art. 34 del d.lgs. n. 267/2000, cosiddetto Testo Unico delle leggi sull‟ordinamento
degli Enti Locali (TUEL). Si tratta di strumenti di semplificazione (e/o negoziazione) dell‟azione
amministrativa e di coordinamento tra amministrazioni appartenenti a diversi livelli di governo,
e rientrano nell‟ambito della categoria degli accordi organizzativi tra le pubbliche
amministrazioni. A essi è applicabile la disciplina generale degli artt. 15 e 11, co. 2, 3 e 5 della
l. n. 241/1990, ove non derogata dalla disciplina specifica; per es., non possono applicarsi le
norme relative alla forma né quelle relative ai controlli degli accordi sostitutivi del
provvedimento finale, in quanto vi è una disciplina specifica e dettagliata; possono, inv ece,
applicarsi la norma relativa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e quella di
rinvio ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e di contratti in quanto compatibili
(con l‟interesse pubblico che l‟accordo è sempre tenuto a perseguire)” (Tratto dal Dizionario
Treccani. Enciclopedia italiana).
CITAZIONE:
“La frustrazione e i conflitti nel rapporto scuola-sanità sono davvero inevitabili? Servono
davvero grandi “Accordi di programma”, che poi rischiano di rimanere castelli di carte a causa
di grandi difficoltà da parte della sanità? L‟avvicinamento di questi due mondi è estremamente
faticoso, e qualcuno pensa che la soluzione sia nell‟istituzione dei Servizi di psicologia
scolastica (…) e nel possibile ruolo dei pedagogisti (…). La scuola dovrà comunque fare un
passo avanti in termini di professionalità autonoma” (Ianes, Tortello, 1999, p. 11).
NOTA:
Gli accordi di programma sono strettamente legati al territorio. La Provincia di Bologna ad
esempio ha stilato un accordo di programma prov inciale per l'integrazione scolastica e
formativa dei bambini e alunni disabili per gli anni 2008-2013 (previsto all'Art. 13 della Legge
104/92) sottoscritto il 12 giugno 2008. Questo accordo è giunto al suo terzo rinnovo.
Esso ha, tra le sue f inalità, quella di "garantire le condizioni di ambiente, di strumenti e di
persone più idonee e facilitare il processo di piena integrazione scolastica, formativa e sociale
dei bambini e degli alunni disabili, attraverso il coordinamento costante, funzio nale e verificato
degli interventi di competenza degli Enti firmatari."
Il testo, che ha avuto come riferimento quello precedente, è frutto di un percorso ampiamente
partecipato ed è stato predisposto da un Gruppo tecnico interistituzionale nominato da una
specifica Conferenza di Programmazione che ha dato il via al percorso di rinnovo.
Insieme alla Provincia di Bologna, che ha promosso e coordina l'Accordo, sono firmatari l'Ufficio
Scolastico Provinciale, le Istituzioni Scolastiche Autonome statali e parit arie, il Nuovo
Circondario di Imola, i Com uni della provincia, le Aziende sanitarie di Bologna e di Imola;
aderiscono le Associazioni delle famiglie e i Centri di Formazione Professionale accreditati per
l'Obbligo Formativo.
L'Accordo provinciale si costit uisce come Accordo quadro, sulla base del quale si sono articolati,
anche in forma migliorativa, le esperienze e i lavori degli Accordi territoriali (sottoscritti a livello
di Ambiti Territoriali).
Nel 2011 si è concluso il percorso di monitoraggio interme dio dell'Accordo di programma
provinciale (previsto dall'articolo 6.2 dell'Accordo stesso) per rilevarne, in corso di vigenza, lo
stato
dell'applicazione.
(http://www.provincia.bologna.it/scuola/Engine/RAServePG.php/P/257211300908/T/Accordo di-programma-L104-92)
280
BIBLIOGRAFIA
Ianes D., Torte llo M. (1999)
disturbi dell'appre ndimento e diffe renze individuali. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
,
http://www.provincia.bologna.it/scuola/Engine/RAServePG.php/P/257211300908/T/A
ccordo-di-programma-L104-92 (consultato il 20/03/2014)
281
VALORI di Alessia C inotti
4
V
VALORI
DEFINIZIONE:
Ciò che ha per l‟uomo il carattere delle desiderabilità al di fuori della sua mera utilità. In questo
senso i valori (che possono essere morali, religiosi, sociali, conoscitivi, estetici, ecc.)
rappresentano dei fini o delle mete da raggiungere, capaci di orientare e di da re un senso a
tutta la vita di una persona (Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di
Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Il termine valor i non indica esclusivamente qualcosa che si conosca a priori; ma assume un
significato a seconda dell‟esperienza personale e del contesto culturale in cui l‟esperienza si
svolge. Possono essere considerati valori i modelli, espliciti o impliciti, acquisiti e trasmessi
mediante simboli, che costituiscono il risultato distinto di gruppi umani e di c ulture. Si può
affermare che ogni atteggiamento, ogni comportamento è un valore che, quando viene
trasmesso, assume la consistenza di un atto educativo (Trisciuzzi, 1998, p. 173).
NOTA:
In ambito della Pedagogia Speciale può essere considerato valore l‟inclusione, concetto che
richiama sia la persona che la comunità. A tal proposito, Stainback e Stainback (1990)
ritengono che la nozione di inclusione sia un imperativo morale che non dipende dai risultati e
dalle prove empiriche delle ricerche scientifiche: “[…] l‟inclusione è un modo di vivere
onestamente, eticamente e con equità”. I due studiosi propongono un paradigma etico
secondo il quale “tutti gli individui hanno il diritto morale di essere educati nella scuola comune
e l‟inclusione è il contesto ideale per realizzare questo obiettivo” (Stainback e Stainback, 1990,
pp. 71-87).
Si rimanda alla lettura del lemma “inclusione”, nella sezione della “dimensione assiologica”,
dedicata ai “fini”.
BIBLIOGRAFIA
Caldin R. (2007). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup.
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell‟handicap. Milano: Bruno Mondadori.
Trisciuzzi L., Fratini, C., Galanti M.A. (1998). Introduzione alla pedagogia speciale. Roma: GLF
Edizioni Laterza.
Trisciuzzi L., Fratini, C., Galanti M.A. (1998). Dimenticare Freud? L‟educazione nella società
complessa. Scandicci: La nuova Italia.
Stainback, W. & Stainback S. (1990). Support networks for inclusive schooling: interdependent
integrated education. Baltimore: Paul H. Brookes.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
4
Dipartimentpo di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna
282
P
PERSONA
DEFINIZIONE:
Il concetto di persona, proposto in primo luogo da Saverino Boezio e dalla Scolastica, ha subito
dei secoli varie interpretazioni a seconda che lo si guardasse da un punto di vista o da un a ltro
e a seconda degli orientamenti teorici di fondo.
In linea generale, possiamo tuttavia riassumere le varie posizioni affermando che il concetto di
persona serve a specificare quella indiv idualità nel caso dell‟uomo, rinviando infatti da un lato
la sua eccezionalità ed irripetibilità, alla sua capacità di agire secondo il principio di libertà
(purché si intenda quest‟ultima sempre come libertà condizionata) ed alla sua conseguente
capacità di percepire e di costruire determinati valori spirituali come la responsabilità,
l‟impegno, la consapevolezza, ecc.; dall‟altro lato, come la sua implicazione nel mondo intesa
sia come portatrice di condizionamenti* (peraltro mai assoluti) bio-fisiologici, socio-ambientali,
socio-culturali, educativi, ecc., sia come c apace di un‟autentica e fondamentale vita sociale.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Nel valore-persona si smorza la separazione tra normale e patologico e prende sempre più
consistenza il signif icato della personalità individuale […] L‟essere persona trascende il singolo
individuo legato al tempo e allo spazio: è presenza molteplice e multiforme ed è comunanza di
destino umano. Il concetto di persona è complesso e sistemico, in quanto vede compresenti
l‟individualità e la tensione verso l‟universale appartenenza alla specie umana (Pavone, 2004a,
p. 19).
NOTA:
* In Pedagogia Speciale, l‟espressione “portatrice di condizionamenti” non viene utilizzata
poiché richiama un‟espressione superata circa la categorizzazione della persona e la sua
identif icazione con il deficit.
A livello internazionale, l‟ICF (OMS, 2001) introduce – per la prima volta – il termine “persona
con disabilità” dove la disabilità (termine ombrello) è l‟interazione tra la condizione di salute di
un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano il contesto in cui vive. Si passa
da un approccio medico alla disabilità ad uno sociale basato sui diritti umani. La valenza socio culturale, nonché educativa dei c oncetti sottesi al modello sociale della disabilità ha cambiato
radicalmente il modo di pensare la “disabilità”.
BIBLIOGRAFIA
Galanti M. (2004). Affetti ed empatia nella relazione educativa. Napoli: Liguori.
Pavone M. (2004a). Personalizzare l‟integrazione. Brescia: La scuola.
WHO (World Health Organization), 2001, I.C.F.: International Classification of Functioning,
disability and health, Geneva; trad. it. O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità), 2002.
I.C.F.: Classificazione Internazionale del Fu nzionamento, della Disabilità e della Salute. Trento:
Erickson.
SITOGRAFIA
ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (versione
breve):
http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/42417/4/9788879466288_ita.pdf
(consultato il 20/03/2014)
283
Istanze de l concetto di Persona: “Diffe renza”, “Educabilità”, “ Inviolabilità”
D
DIFFERENZA
DEFINIZIONE:
E‟ ciò che distingue, fa diversi, discrimina cose e soprattutto persone. Ci sono delle differenze
di tipo naturale o biologico, come quella sessuale o razziale; ma ci sono anche e soprattutto
differenze economiche, culturali, politiche. Nei confronti delle une e delle altre, soprattutto in
passato, sono risultati assai frequenti atteggiamenti di incomprensione, di rif iuto, di
emarginazione e, quindi, di sfruttamento se non di implicita violenza (Tratto dal “Dizionario di
Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
La classe deve essere progettata come luogo educativo di incontro dei bisogni di tutti i suoi
componenti, poiché l‟integrazione non è una questione che emerge solamente quando viene
inserito un soggetto disabile, ma deve rappresentare un modello formativo integrato capace di
rispondere con significatività alle esigenze specifiche di ogni studente (d‟Alonzo, 2002, p. 22).
NOTA:
La differenza se “giocata” in termini culturali ed educativi - e non di potere economico e
politico - può trasformarsi in un fatto positivo per tutti. La scuola può svolgere un ruolo chiave
nel facilitare i processi inclusivi di tutti i bambini e le bambine essendo il luogo per eccellenza
atto a rispondere – attraverso l‟attivazione di didattiche rispondenti all‟eterogeneità dei gruppi
classe - ai bisogni di tutti i bambini (alunni disabili, provenienti da contesti socioculturali
svantaggiati, migranti, di eccellenza ecc.).
BIBLIOGRAFIA
Cottini L. (2004). Didattica speciale e integrazione scolastica. Roma: Carocci.
D‟Alonzo L. (2002). Integrazione e gestione della classe. Brescia: La Scuola.
Zappaterra T. (2010). Special needs a scuola. Pisa: Edizioni ETS.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
284
Istanze spec ifiche del concetto di Diffe renza: “Limiti” e “ Tale nti”
L
LIMITI
DEFINIZIONE:
Confine, ostacolo, barriera, impedimento. Il concetto di limite è centrale in ambito educativo in
quanto esso rinvia alla natura radicata, contestualizzata e relazionale della crescita
dell‟individuo nonché alla capacità di commisurare azioni o progetti d‟azione ai vincoli propri
della situazione passata, presente e futura. Ciò anche nel caso in cui tali progetti d‟azione
siano volti al superamento di quei limit i […]. Il concetto di limite è invocato in ambito
pedagogico per indicare la necessità che ogni intervento educativo, a meno di non rischiare il
velleitarismo, sia progettato secondo un principio di realtà: l‟esame della situazione, e dunque
dei limit i che essa pone all‟intervento educativo (possibilità materiali, finanziamenti, ambienti,
tempi), deve costantemente accompagnare la progettazione educativa (obiettivi, ma
soprattutto strumenti). All‟interno di questa prospettiva pedagogica la nozione di limite è parte
di una coppia concettuale antinomica, il cui secondo termine è c ostruito dal concetto di
possibilità. Ciò signif ica che ogni esame dei limit i deve essere costantemente accompagnato da
un parallelo esame delle possibilità (dell‟individuo, della situazione). (Tratto dal “Dizionario di
Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Un def icit è un danno irreversibile. Un handicap è la conseguenza, che può essere contenuta o,
viceversa, aggravata, dall‟impatto con l‟ambiente nelle sue diverse interpretazioni: ambiente
fisico, culturale, istituzionale, storico. Il singolo individuo, quindi, non “porta” un handicap
perché, prima di portarlo, ha “trovato” quel danno nell‟ambiente […] La distinzione tra deficit e
handicap impegna un rapporto interpersonale che implica il binomio di accettazione -rifiuto. In
una relazione vi sono elementi da accettare e accettabili, e altri da rifiutare. Anche in una
dimensione interpersonale, e quindi interna all‟individuo, accettazione e rifiuto è bene che
convivano, evitando di previlegiare uno solo dei due termini. E‟ facile immaginare la
conseguenza disastrosa di un simile privilegio. Se è bene conoscere un deficit per accettarlo –
ed è un compito difficile – accettare un handicap non è utile (Canevaro, 1999, pp. 17-18).
NOTA:
Si veda anche l‟espressione “situazione di handicap” dove si sottolinea l‟importanza di far
rif lettere su una situazione più complessa rispetto al singolo individuo che coinvolge anche il
contesto in cui ciascuno vive – sia per gli aspetti materiali e relazionali – e le questioni storicoculturali. In particolare, si richiamano queste tre dimensioni (Canevaro, 1999, pp. 58-61):
4. l‟individuo e l‟individuazione del suo deficit: vi è continuamente il rischio che il soggetto
si identifichi totalmente nel suo deficit. E‟ un rischio presente anche ne l linguaggio
comune: parlando di una persona che non vede noi diciamo “quel cieco”,
rappresentando il tutto con una parte […] Nello specifico, con la disabilità possiamo
soffermarci sul rischio che l‟identificazione totale con il deficit comporti la
categorizzazione, la perdita cioè di identità originale e l‟assunzione di un‟identità di
categoria;
5. il contesto e l‟individuazione degli ostacoli possibili: il pericolo è quello di vivere alla
giornata, accorgendosi degli ostacoli solo quando si incontrano, e ce rcando, se si è un
soggetto con deficit, una protezione, oppure offrendo una protezione se si è nel ruolo di
colui che accompagna (es. un educatore, un insegnante, una madre, un padre, un
fratello, una sorella ecc.);
285
6. le relazioni di aiuto: le relazioni d‟a iuto sono necessarie a ciascun essere vivente, e in
particolare per chi è in situazione di handicap. Chi è in situazione di handicap rischia
qualcosa di più: che la relazione d‟aiuto diventi una relazione di dominanza
permanente. Una riduzione dell‟handicap è anche quella di riflettere sulla relazione
d‟aiuto in modo tale da far evolvere anche l‟aiuto. Diventa necessario aiutare a
coevolvere negli apprendimenti, cioè a imparare in due, vale a dire chi ha un deficit e
chi non ha un def icit.
BIBLIOGRAFIA
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell‟handicap. Milano: Bruno Mondadori.
Canevaro A., Chieregatti A. (1999). L‟incontro con l‟altro nelle professioni d‟aiuto. Roma:
Carocci.
Gelati M. (2004). Pedagogia speciale e integrazione. Roma: Carrocci.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
286
T
TALENTI
DEFINIZIONE:
Capacità particolarmente spiccata o non comune ad eseguire determinate prestazioni
(sportive, intellettuali), spesso associata all‟idea di genia lità, creatività, ingegnosità. Un talento
(per la musica, lo sport, il disegno, ecc.) è in genere considerato (trattato) come se fosse un
sorta di dotazione naturale o innata di quell‟individuo, che ci si limiterebbe a constatare e – se
il caso – a sviluppare o esercitare ma che in sé sarebbe indipendente da ogni forma di
apprendimento o comunque non palesemente riconducibile ad un intervento educativo
intenzionale. Al di là dell‟ontogenesi di inclinazioni, disposizioni, o spiccate capacità verso
attività precise, la scelta di sviluppare, incentivare, esercitare i talenti di un bambino è in
genere regolata dall‟orientamento educativo dei genitori, dai loro progetti, dalle loro proiezioni
sul figlio e dalla loro volontà o capacità di mediare tra questo inevit abile ordine di fattori e le
scelte o tenenze proprie del bambino (Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze
dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Il fatto che, se è vero che ogni individuo che deve essere messo in condizione di sfrut tare al
meglio tutte le sue potenzialità, omettendo di mettere in condizione il superdotato [in questa
accezione, talento] di realizzare in modo completo le proprie, non si operava in linea con una
regola di uguaglianza, ma di ingiustizia (Gelati, 2001).
NOTA:
La diversità intesa come dotazione ed espressione di capacità individuali superiori alla media,
per non dire eccezionali, costituisce, per molti aspetti, un tema poco frequentato dal punto di
vista pedagogico. Se è vero che non mancano, infatti, studi e ricerche – soprattutto di
carattere psicologico – sul talento, sul genio, sulla precocità cognitiva ed espressiva e, più in
generale, sull‟intelligenza e sulle varie forme che essa può assumere, è altrettanto vero che i
pedagogisti non si sono dedicati, almeno non in maniera continuativa e sistematica, a
elaborare
un‟interpretazione
specificatamente
educativa
né
si
sono
soffermati
approfonditamente sulle implicazioni didattiche di tale, variegate, condizioni. Un pregiudizio
[rispetto ai talenti] riguarda il ritenere che, proprio in virtù delle caratteristiche eccezionali,
vale a dire della quantità e della qualità delle performance che il talento esprime
spontaneamente o a f ronte di sollecitazioni anche minime, non necessiti di educazione o,
comunque, di un‟attività educativa sistemica. Questo si ricollega alle ragioni che per lungo
tempo hanno impedito o rallentato l‟affermazione dell‟educazione come una necessità
universale, riguardante tutti (Marescotti, 2006).
BIBLIOGRAFIA
Gelati M., Marescotti E. (2001). Integrazione come cultura della diversità.
Tecomproject.
Marescotti E. (2006). Le parole chiave della pedagogia speciale. Roma: Carocci.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
287
Ferrara:
E
EDUCABILITA’
DEFINIZIONE:
In senso molto lato, il termine “educazione” serve per indicare il processo di formazione
dell‟uomo (inteso sia come individuo sia come gruppo) nella direzione di una lenta ma
autentica scoperta e chiarif icazione di sé, ovvero delle proprie peculiari caratteristiche fisiche,
mentali, spirituali. In senso più specifico, designa ogni azione intenzionale e perciò
consapevole e voluta dell‟adulto (e della società) per aiutare il bambino a crescere e svilupparsi
autonomamente, in vista di un progressivo arricchimento e potenziamento delle sue
dimensioni biologica, psicologica, sociale, spirituale, ecc. al fine di favorire una sua positiva e
quindi attiva e critica integrazione nell‟ambiente in cui si trova a dover vivere (Tratto dal
“Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Il principio basilare della pedagogia che si occupa di persone con bisogni specifici – pedagogia
speciale – rimane quello di intravedere, riconoscere e puntualizzare sempre e comunque,
anche in situazioni estremamente problematiche, la possibilità dell‟educabilità dell‟uomo (e
della donna), attribuendo una sconfinata e intensa fiducia alla sua umanizzazione, al di là delle
condizioni reali che possono apparire scoraggianti, disperate o prive di qualunque
progettualità. Nell‟ambito più generale della ricerca pedagogica-educativa, l‟oggetto privilegiato
rimane l‟attuarsi dell‟educabilità come possibilità dell‟uomo, anche attraverso la disamina di
quelle “forme” nelle quali si concreta la processualità dell‟evento educativo stes so (Caldin,
2007, p. 17).
NOTA:
In generale, tra i padri della pedagogia speciale italiana possiamo ricordare i seguenti studiosi:
Roberto Zavalloni (titolare della prima Cattedra di Pedagogia Speciale, istituita nel 1975, sulla
base di un insegnamento di Pedagogia Speciale, svolto fin dal 1964 presso l‟Università di
Roma), Ferdinando Montuschi (“Fare ed essere in educazione. Il prezzo della gratuita
nell‟educazione”), Leonardo Trisciuzzi (“Dimenticare Freud? L‟educazione nella società
complessa.”) e Andrea Canevaro (“Pedagogia Speciale. La riduzione dell‟handicap”).
BIBLIOGRAFIA
Bocci F. (2011). Una m irabile avventura. Storia dell'educazione dei disabili da Jean Itard a
Giovanni Bollea. Firenze: Le Lettere.
Caldin R. (2007). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell'handicap. Milano: Bruno Mondadori.
Itard J. (1970). Il ragazzo selvaggio. Roma: Armando.
Montuschi F. (1997). Fare ed essere. Il prezzo della gratuita nell'educazione. Assisi: Cittadella
Editrice.
Trisciuzzi L., Fratini, C., Galanti M.A. (1998). Dimenticare Freud? L‟educazione nella società
complessa. Scandicci: La nuova Italia.
Zavalloni R., Bertolini M.L. (1973). La metodologia dei fumetti applicata ai subnormali. Brescia:
La scuola.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
288
Istanze spec ifiche del concetto di Educabilità: “ Potenziamento” e “ Resilienza”
P
POTENZIAMENTO
DEFINIZIONE:
Partiamo da “potere” inteso come attitudine o capacità di influenzare in modo determinante
persone o situazioni; virtù, potenza; balia, possesso, potestà; autorità suprema nell‟ambito di
una comunità o di uno stato ecc. Alla parola di “potere” così intesa di contrappone poi la
“mancanza di potere”, la concreta impossibilità di opporsi a una determinata situazione che
sottomette e oggettivizza il soggetto, togliendoli ogni possibilità di azione. Potere signif ica
altresì anche grande capacità, forza, energia; capacità di produrre effetti concreti su qualcosa o
su qualcuno; disporre dei mezzi per, essere in condizione di, riuscire a fare, a ottenere, a
conseguire ecc. (Tratto dal Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli, anno 1999).
Considerando le differenti accezioni del lemma “potere”, e ritornando alla ricerca di un
concetto che spieghi in maniera precisa il significato di “potenziamento”, potremmo fare
riferimento ad “empowerment” che potrebbe essere tradotto con “potenziamento”,
“riappropriazione soggettiva del potere”, “valorizzazione di sè”, “aumento di responsabilità
personale”, “aumento di possibilità di azione”, nonché “ assumere la consapevolezza del
proprio valore e delle proprie potenzialità” (Putton, 1999).
CITAZIONE:
La scuola e la famiglia possono attivare atteggiamenti e sentimenti opposti, con conseguenti e
differenti ricadute sull‟apprendimento ma, prima ancora, sull‟Io del soggetto in età evolutiva,
sulla sua affettività e sulle sue capacità cognitive. Possono generare e incrementare la
speranza, che significa fiducia nelle proprie potenzialità, nel ritenere che esista qualcun o
capace di dare conforto e sostegno, nella possibilità di migliorarsi e di imparare in
cooperazione con i propri simili e condividendo con essi e con gli adulti di riferimento dei
progetti di crescita. Oppure possono attivare disperazione e odio; fomentando la competizione
con i simili e l‟autoaffermazione ad ogni costo. Possono incoraggiare o il conformarsi passivo
alle regole e ai contenuti trasmessi, o l‟autonomia, la differenziazione, la capacità di esprimere
desideri e istanze individuali, ma anche di mediarle con gli altri. Possono favorire ed ostacolare
il processo di individualizzazione, di formazione e consapevolezza di sé come essere che si
realizza nell‟interazione con i simili, ma che è dotato di dignità, autonomia e valori propri
(Trisciuzzi, 1998, pp. 194-195).
NOTA:
Il generale, il termine empowerment viene oggi utilizzato per indicare quei processi di
intervento educativo che mirano all‟emancipazione dei soggetti ai quali si rivolgono e che
intendono promuovere (potenziare) la capacità dei soggetti stessi di diventare risorsa,
trasformandosi progressivamente in protagonisti del proprio percorso di vita, e non soltanto
fruitori passivi.
BIBLIOGRAFIA
d‟Alonzo L. (2002). Disabilità e potenziale educativo. Brescia: La Scuola.
Putton A. (1999). Em powerment e scuola. Metodologie di formazione nell‟organizzazione
educativa. Roma: Carocci.
Trisciuzzi L., Fratini, C., Galanti M.A. (1998). Dimenticare Freud? L‟educazione nella società
complessa. Scandicci: La nuova Italia.
289
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
R
RESILIENZA
DEFINIZIONE:
In letteratura sono presenti molte definizioni del termine resilienza (dal latino resilio = tornare
indietro, rimbalzare). In generale, essa indica la capacità di attivare processi di
riorganizzazione positiva della propria esistenza e di comportarsi in modo appropriato,
relativamente al proprio contesto di vita, a dispetto di esperienze critiche, che di per sé
avrebbero potuto portare a esiti negativi. Essa è concepita, prevalentemente, come la capacità
di vivere e svilupparsi positivamente, in modo socialmente accettabile, nonostante alcune
forme di stress o di avversità che normalmente implicano l‟alto rischio di un esito negativo
(Vanistendael, 2001).
CITAZIONE:
Ciò che sembra importante sottolineare è che la resilienza umana non si limita ad un‟attitudine
di resistenza, ma permette la costruzione, meglio la ricostruzione di un percorso di vita nuovo
e positivo che non rimuove la sofferenza e le ferite, ma al contrario le utilizza come base dalla
quale ripartire (Milani e Ius, 2007).
Le componenti che contribuiscono al processo resiliente sono definite «fattori protettivi» e sono
suddivise in tre grandi dimensioni (Jourdan Ionescu, 2001): a) fattori individuali
(temperamento positivo, autoefficacia, socievolezza, senso di ottimismo, ecc.); b) fattori
familiari (calore, struttura educativa adeguata – equilibrio tra modalità educative affettive e
normative – attaccamento genitore/bambino, coesione familiare, ecc. ); c) fattori sociali (
supporto sociale, presenza di una rete significativa di relazioni, buone relazioni informali e
amicali; presenza di un adulto signif icativo al di fuori della famiglia, ecc.).
NOTA:
La prospettiva della resilienza favorisce la costruzione di un modello teorico che cerca dunque
di comprendere in quale modo una persona o un gruppo umano possa resistere a delle
aggressioni potenzialmente traumatiche e proseguire il suo sviluppo in modo sufficientemente
armonioso […] per ridefinire e ripensare il modello educativo di presa in carico e c ura. La
persona non corrisponde solo al suo trauma, alla sua vulnerabilità: è anche risorsa,
cambiamento, trasformazione. Esiste, dunque, una prospettiva che permette una via d‟uscita
da una visione che rischia di rinchiudere solo nella condizione di difficoltà e di descrivere
l‟intero sistema come in via di dissoluzione, al di là delle aspettative e della costruzione di
sistemi di aiuto, molti dei quali ancora centrati solo ed esclusivamente sulla vulnerabilità e
sulle poche occasioni per riconoscere le opportunità che, nonostante il trauma, esistono e
possono essere esercitate (Malaguti, 2005).
BIBLIOGRAFIA
Cyrulnik B., Malaguti E. (2006) (a cura di). Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva
della vita e la creazione di legami significativi. Trento Erickson.
Jourdan Ionescu C. (2001). Intervention écosystémique individualisée axée sur la résilience.
Revue québecoise de psychologie, n. 1, pp.163-186.
Malaguti E. (2005). Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi.
Trento: Erickson.
Milani P., Ius M. (2007). La storia di Erika: spunti di riflessione sui nessi tra educazione
familiare e resilienza. Rivista Italiana di Educazione Familiare, 1, pp. 47-64.
290
Vanistendael S. (2001). Umorismo e resilienza: il sorriso che fa vivere. Trad. it. In: Cyrulnik
B., Malaguti E. (2005), pp.159-180.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
291
I
INVIOLABILITA’
DEFINIZIONE:
Inviolabilità della persona: principio fondamentale degli ordinamenti giuridici moderni, in virtù
del quale nessuno può essere privato della libertà personale attraverso detenzioni, ispezioni o
perquisizioni personali se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria, nel rispetto del
generale diritto alla difesa e nei soli casi previsti dalla legge (Tratto dal Vocabolario della
Lingua Italiana Treccani).
Nessun intervento (educativo) può essere ritenuto corretto se viola la privacy di qualcuno
poiché in tal modo egli calpesta la libertà e persino la dignità personale di quest‟ultimo che
vanno sempre e comunque rispett ati (Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze
dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
La maggior parte dei bisogni di un bambino disabile riguardano quelli di qualunque altro
bambino: crescere, imparare, essere amato dalla propria fami glia e dalla comunità, giocare e
stare con gli altri coetanei […] Le politiche sociali devono situarsi oltre la compensazione dei
svantaggi effettuata attraverso l‟offerta di beni e servizi, ampliando e garantendo le
capacità/facoltà di scelta individuali e collettive (capabilities) che non concernono solamente i
bisogni primari come alimentarsi, curarsi, ma anche le libertà e i diritti correlati a tutte le
dimensioni della vita umana. Nella prospettiva inclusiva, diritti e giustizia costituiscono un
impegno inalienabile, anche quando si scontrano con l‟incertezza del risultato e l‟esperienza
dello scacco (Caldin, 2012, pp. 252-253).
NOTA:
L‟inviolabilità riconduce altresì al tema dei diritti: le persone con disabilità non hanno diritti
speciali, ma hanno gli stessi diritti di tutte le persone. Lo scopo della Convenzione sui diritti
delle persone con disabilità (ONU, 2006) è quello di promuovere, proteggere e assicurare il
pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani a tutte le persone con disabili, co me si legge
nell‟articolo 1:
Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno e uguale
godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con
disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità.
BIBLIOGRAFIA
d‟Alonzo L., Caldin R. (2012) (a cura di). Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia
Speciale. Napoli: Liguori
Larocca F. (2009). Nei frammenti l‟intero. Una pedagogia per la disabilità. Milano: Franco
Angeli.
Montobbio E. (1992) (a cura di). Il falso sé nell‟handicappato mentale. Pisa: Edizione del Cerro.
Montuschi F. (1997). Fare ed essere. Il prezzo della gratuità nell'educazione. Assisi: Cittadella
editrice.
ONU (2006), Convenzione delle Nazioni Unite sui d iritti delle persone con disabilità.
SITOGRAFIA
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità
http://www.ass4.sanita.fvg.it/ass4/servizi/allegati/Convenzione%20ONU%20sui%20d
iritti%20delle%20persone%20con%20disabilit.pdf
(consultato il 20/03/2014)
292
Istanze specifiche
Indipendente”
de l
concetto
di
Inviolabilità:
“Progetto
di
Vita”
e
“Vita
P
PROGETTO DI VITA
DEFINIZIONE:
E‟ un piano d‟azione (un‟intenzione) che richiede da chi lo predispone (o chi lo vive) una
capacità di valutare il futuro (anticiparlo nella coscienza) anche in base ad una valutazione del
passato e del presente, ed una conseguente capacità metodologica v olta alla scelta e alla
predisposizione dei mezzi necessari per la concreta realizzazione del piano stesso (Tratto dal
“Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Tracciare un progetto di vita non è impresa semplice. Gli impedimenti, gli ostacoli che
quotidianamente si presentano, ci fanno comprendere la difficoltà di poter progettare percorsi
orientati all‟autonomia (cognitiva, sociale, lavorativa) della persona disabile. Si evidenzia così
l‟emergere di quattro linee d‟azione: assumere una visione ecologica, togliere la disabilità da
un indifferenziato temporale, ripartire dalle capacità, collocare la progettazione nell‟ambiente di
vita (Medeghini, 2006).

Assumere una visione ecologica per abbandonare una sett orializzante basata
sull‟autoreferenzialità. Questo signif ica cercare di sviluppare un ambiente ecologico ovvero
un insieme di strutture incluse l‟una nell‟altra che influiscono sullo sviluppo e sulla vita di
una persona. Attraverso questo intreccio di ist ituzioni formali ed informali è possibile
ricercare l‟insieme delle interrelazioni che possono aiutare a chiarire la natura delle
situazioni critiche;

Togliere la disabilità da un indifferenziato temporale e dunque riconoscere le possibilità
evolutive ins ite nella persona disabile. In questo senso occorre da un lato orientare il
proprio intervento (degli insegnanti, dei medici, dei terapisti, degli educatori…)
specificandolo sia verso un particolare momento della vita della persona disabile; sia
mantenendo una linea di continuità tra ciò che si è fatto e ciò che si vuole realizzare;

Ripartire dalle capacità cercando di favorire condizioni sociali che permettano alla
persona disabile la garanzia dei processi di identità: questo obbliga ad interrogarsi sulle
possibilità di accrescere le esperienze istituzionali, sociali, lavorative e conseguentemente,
di arricchire l‟esistenza delle persone con disabilità di fasi di transizioni non
necessariamente normative. La qualità della vita di una persona disabile (e non) è possibile
rilevarla in relazione ad una organizzazione ugualitaria di elementi come: l‟ambiente,
l‟accesso all‟istruzione e al lavoro, le opportunità di tempo libero e via dicendo;

Collocare la progettazione nell‟ambiente di vita. Tutti gli elementi, le tracce d‟azione
sopra descritte permettono di comprendere come un intervento progettuale non possa
focalizzarsi esclusivamente sulla persona disabile, ma richiede di allargarsi alla ricerca delle
condizioni e delle possibilità che riguardano il contesto: in questa direzione ci si trova di
fronte al concetto di ambiente di vita attuale e possibile (Medeghini, 2006, p. 16-19).
NOTA:
Il “Progetto di Vita” e la scuola. Il tema del progetto di vita è poi una questione troppo
importante per non essere indicat a come prerequisito di qualità [dei processi di integrazione e
inclusione]. Le responsabilità della scuola al riguardo sono davvero grandi. Essa è l‟agenzia
formativa più importante e se lavora con qualità incide positivamente sul futuro dell‟individuo
tanto più se questi è un soggetto disabile. Le competenze dei suoi attori e le responsabilità
293
delle sue scelte devono essere impostate guardando al futuro dell‟allievo con problemi, e ciò
comporta avere ben presenti il progetto di vita della persona. Non è indifferente programmare
un‟azione educativo-didattica impostata solo su contenuti disciplinari (lingua, matematica,
cultura moderna), oppure programmare iniziative formative capaci di sollecitare abilità
personali e competenze fondamentali per la vita futura del soggetto (autonomia personale,
sociale, di movimento, manualità fine, capacità di tenuta, costanza sul compito, strategie di
pensiero ecc.) (d‟Alonzo, 2006, p.43).
BIBLIOGRAFIA
d‟Alonzo L. (2006). Gli indicatori di qualità per una buona integrazione . In N. Serio N. e P.
Moliterni (a cura di). Qualità della didattica, qualità dell‟integrazione. “Dal dire al fare” (pp. 3645). Vasto: Edizioni Didattiche Gulliver.
Medeghini R. (2006). Disabilità e corso di vita. Milano: Franco Angeli.
Medeghini R. (2006). La personalizzazione del progetto di vita. Fare spazio ai significati
costruiti dalla persona con disabilità, Animazione Sociale, 6, pp. 10-19.
Pavone M. (2009) (a cura di). Famiglia e progetto di vita. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
294
V
VITA INDIPENDENTE
DEFINIZIONE:
Le origini del concetto di “Vita Indipendente” risalgono ai primi anni settanta. Si tratta di un
movimento nato negli Stati Uniti attraverso l‟impegno e la forza propulsiva di u n gruppo di
studenti con disabilità dell‟Università della California. Tali azioni sono state portate avanti
dall‟organizzazione Disabled Peoples‟ International al fine di rivendicare e conquistare i diritti
fondamentali delle persone con disabilità, tra i quali: il diritto alla vita, i diritti sociali, i diritti
civili e il diritto all‟autodeterminazione.
CITAZIONE:
Al centro del principio di “Vita Indipendente” stanno i concetti di non discriminazione e di
empowerment, termine oggi molto diffuso, con cui si intende la presa in carico da parte del
soggetto di tutto ciò che lo riguarda, affinché gli venga riconosciuto dagli altri ed egli stesso
possa riconoscere in se stesso e il suo potere di “fare”: entriamo nella dimensione
dell‟autonomia, dell‟autoconsapevolezza e dell‟autodinamismo. […] Dobbiamo ammettere che
la condizione di disabilità ci introduce a una inusuale, oggi sempre più accettata convivenza, se
non addirittura co-appartenenza, tra i concetti di autonomia e di dipendenza; ci insegna cioè
che si può essere autonomi pur se dipendenti. Per inveterata tradizione culturale, nelle società
occidentali siamo abituati ad associare il traguardo dell‟autonomia all‟età adulta: entrare
nell‟adultità signif ica poter far valere in modo incondizionato il propr io punto di vista;
esercitare la propria libertà di scelta di vita come espressione di maturità; poter avere un ruolo
produttivo nel contesto sociale. L‟istanza dell‟autonomia – che per secoli abbiamo concepito in
contrasto con la situazione di minorazione, tanto da negare ai disabili il diritto di accesso ai
ruoli adulti – richiama essenzialmente la libertà di pensiero, di scelta e di partecipazione
sociale […] Le competenze in autonom ia e autodeterminazione non possono dirsi un traguardo
acquisito con l‟età adulta, in quanto sono suscettibili di incremento e maturazione lungo tutto
l„arco di vita di una persona. Certo, prima la famiglia e accanto a lei la scuola svolgono un
ruolo strategico rispetto alla sviluppo di queste conquiste […] Il traguardo della “Vita
Indipendente” non si risolve in un lavoro che chiama in causa esclusivamente la singola
persona con problemi, ma richiede una risposta-proposta di riadattamento altrettanto sollecita
da parte dei contesti interni ai singoli servizi territoriali (enti istituzionali, attori della società
civile), perché si assumano la responsabilità di formulare progetti generali e di servizio che si
coordinano con i progetti individuali dei singoli utenti (Pavone, 2010, pp. 84-86).
NOTA:
L‟articolo 19 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006) introduce il
tema della Vita indipendente.
Gli Stati Parte della Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere
nella società, con la stessa libertà di scelte delle altre persone, e adottano misure efficaci e
adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale
dritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che:
 le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con
gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a
vivere in una particolare sistemazione;
 le persone con disabilità abbiano accesso a una serie di servizi a domicilio o residenziali
e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l‟assistenza personale necessaria per
consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o
vittime di segregazione.
295
Si rimanda alla lettura integrale dell‟articolo 19 della Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità (ONU, 2006).
BIBLIOGRAFIA
ONU (2006), Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità .
Montobbio E., Lepri C. (2000). Chi sarei se potessi essere. La condizione adulta del disabile
mentale. Pisa: Edizioni del Cerro.
Pavone M. (2010). Dall‟esclusione all‟inclusione. Lo sguardo della Pedagogia Speciale . Milano:
Mondadori.
Sorrentino A.M. (2006). Figli disabili. La fam iglia di fronte all‟handicap. Milano: Raffaello
Cortina.
SITOGRAFIA
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità
http://www.ass4.sanita.fvg.it/ass4/serviz i/allegati/Convenzione%20ONU%20sui%20d
iritti%20delle%20persone%20con%20disabilit.pdf
(consultato il 20/03/2014)
296
C
COMUNITA‟
DEFINIZIONE:
Si intende per “comunità” quella particolare società che fonda la convivenza dei suoi membri
sui valori della reciproca accettazione e tolleranza e su uno spirito di effettiva collaborazione.
Per questo il concetto di comunità può essere inteso come una meta da raggiungere in un
processo di autentica socializzazione. Ecco perché appare di enorme importanza che gli
educandi facciano una diretta esperienza di vita comunitaria sia nell‟ambito della propria
famiglia, sia a scuola, sia nelle organizzazione del tempo libero (Tratto dal “Dizionario di
Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
Il sostegno alla famiglia con una persona disabile dovrebbe diventare un “movimento” il più
possibile ampio, che vede l‟azione sinergica di una molteplicità di fattori: servizi formali (con i
rispettivi operatori e tecnici) e varie fonti informali di supporto (altre famiglie, volontari,
cittadini). […] Questo “ambiente esteso di supporto” può essere immaginato come una serie di
stimoli, più o meno diretti, tecnici e intenzionali; una serie di “condizioni”, opportunità e
possibilità affinché si creino, si attivino, si rendano disponibili ed effettivamente agiscano delle
“forze” positive per l‟adattamento, forze che vengono “dal di fuori” della famiglia e si rivolgono
ad essa e forze che provengono “dal di dentro” e si dirigono alla famiglia oppure anche ad a ltre
famiglie che vivono una condizione analoga […] Il lavoro di supporto orientato alla community
focalizza due concetti strettamente collegati: la priorità ed il valore della relazione tra le
persone e la mutualità come scambio reciproco di azioni di aiuto. Potenziare le risorse di
adattamento di una famiglia significa cercare, prima di tutto, di aumentare la qualità e la
quantità delle relazioni significative che essa vive, dal momento che si ritiene che l‟essere in
relazione con altri sia un bene relaz ionale […] Le relazioni diventano, dunque, il fulcro
importante di tutto il movimento di supporto familiare e questo ci porta a contatto con il
modello del lavoro sociale di rete e dello scambio di risorse. Nel lavoro sociale di rete si
attribuisce primaria importanza allo sviluppo di una rete il più possibile solida di relazioni di
supporto sociale, rete che costituisce una fonte basilare di sostegno, ai più vari livelli, da quello
psicologico, sull‟identità personale e sui valori più intimi, fino a quello economico e pratico
(Ianes, 1991, pp. 172-176).
NOTA:
Inizialmente si poneva l‟enfasi principale sul fornire servizi inseriti “nella comunità”, che
fossero così in grado di prevenire l‟istituzionalizzazione, oltre che di riportare nella comunità le
persone ricoverate. In altre parole, vi era l‟indicazione di seguire il principio della
normalizzazione e dell‟integrazione nei contesti ordinari, evitando soluzioni segreganti,
separate e limitanti delle libertà personali (Ianes, 1991; Malin, 1987).
La prospettiva della “care by community”, invece, ha come l‟obiettivo la promozione e
l‟attuazione del sostegno svolte da reti amicali, di vicinato, tra gruppi organizzati che in vario
modo si prodigano per lo sviluppo e la promozione della comunità, assunta in qu esto caso
come soggetto del progetto nella sua globalità. Si tratta di un modello di sviluppo della
comunità autosostenuto basato sulla partecipazione, che si alimenta di flessibilità,
indeterminazione, incertezza (Milan, 2001; Bulmer, 1992).
Alcuni orientamenti pedagogici - a sostegno alla famiglia - basati sulle caratteristiche
metodologiche della “care by community”: l‟empowerment familiare e comunitario, il respite
care, i gruppi di mutuo aiuto, la relazionalità e la mutualità del supporto, la partners hip tra
formale e informale, la costruzione di reti sociali.
297
BIBLIOGRAFIA
Bulmer M. (1992). Le basi della community care. Sociologia delle relazioni informali di cura .
Trento: Erickson.
Ianes D (1991). Il sostegno alla famiglia con handicap nell‟ottica della community care. In F.
Folgheraiter e P. Donati (a cura di). Community Care. Teoria e pratica del lavoro sociale di rete
(pp. 145-218). Trento: Erickson.
Ianes D. (1992), La community care nel sostegno alla famiglia con handicap. Rassegna di
Servizio Sociale, 1, pp. 14-66
Malin N. (1987) (Ed.). Reassesing community care. London: Croom Helm.
Milan G. (2002). Disagio giovanile e strategie educative. Roma: Città nuova.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
298
Istanze de l concetto di Comunità: “Cultura”, “ Politiche”, “ Pratiche”
C
CULTURA
DEFINIZIONE:
Il termine viene usato sempre di più in senso antropologico, ovvero per indicare l‟insieme dei
saperi, delle convinzioni, delle mode, persino dei pregiudizi, che conNOTAno un determinato
gruppo sociale o un certo periodo storico. […] Da un punto di vista educativo è comunque
importante che ogni individuo, all‟interno della cultura di appartenenza, giunga al più alto
grado possibile di essa poiché ciò corrisponde e consente il massimo della sua valorizzazione: è
da NOTAre, peraltro, che essa si acquista non soltanto attraverso l‟istruzione ma anche
attraverso l‟inf lusso che l‟ambiente in senso lato esercita sul singolo (es. attraverso
l„educazione familiare o attraverso i moderni mezzi di comunicazione di massa: radio,
televisione, cinema ecc.); e che essa può (anzi, deve) perfezionarsi nel corso di tutta la vita
dell‟uomo (Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini,
1996).
CITAZIONE:
Il termine “cultura” è molto importante per l‟educatore, in quanto la cultura, oltre ad essere
l‟artefice di ogni di ogni forma di educazione, è una sorta di “collante” che tiene insieme la
realtà individuale all‟interno di una società. La cultura designa un modo di essere e di fare di
ogni membro di una data società, e una sua DEF INIZIONE e interpretazione deve tenere
presente anche gli aspetti funzionali e normativi di ogni processo che si leghi alla vita
quotidiana (Trisciuzzi, 1998, p 172).
L‟Index for Inclusion (Booth e Aiscow, 2002) propone di superare l‟espressione di “bisogni
educativi speciali” – che continuano a considerare la disabilità come un problema del singolo –
con quella di “ostacoli all‟apprendimento e alla partecipazione”. A tal proposito, due Linee
Guide per l‟inclusione che ritroviamo nell‟Index For Inclusion sono: ridurre gli ostacoli
all‟apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, non solo delle persone con disabilità
o con bisogni educativi speciali; apprendere – attraverso tentativi – a superare gli ostacoli
all‟accesso e alla partecipazione di particolari alunni, attuando cambiamenti che portino
beneficio a tutti gli alunni.
Si rimanda alla lettura integrale di: Booth T., Ainscow M. (2002). Index for Inclusion.
Developing learning and partecipation in schools. Bristol: CSIE. Trad It. Dovigo F., Ianes D.
(2008) (a cura di), L‟index per l‟inclusione. Promuovere l‟apprendimento e la partecipazione
nella scuola. Trento: Erickson.
NOTA:
Per quanto concerne la Pedagogia Speciale, il suo compito è quello di ribadire, o approfondire,
la non coincidenza delle attenzioni speciali con i luoghi separati: bisogna assumere l‟impegno
di una pedagogia speciale che sappia sviluppare l‟integrazione e non che si annulli e sparisca
perché vi è integrazione. Cambiano i profili dei p roblemi da affrontare e cambiano certamente
anche le risposte, senza però perdere quella specificità che deve essere la peculiarità della
Pedagogia Speciale e senza reinserirsi allo stesso tempo nella prospettiva della separatezza.
Specificità non vuol dire separatezza (Canevaro, 2004, 1999).
BIBLIOGRAFIA
Booth T., Ainscow M. (2002). Index for Inclusion. Developing learning and partecipation in
schools. Bristol: CSIE. Trad It. Dovigo F., Ianes D. (2008) (a cura di), L‟index per l‟inclusione.
Promuovere l‟apprendimento e la partecipazione nella scuola. Trento: Erickson.
299
Canevaro A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell'handicap. Milano: Bruno Mondadori.
Canevaro A., Mandato M. (2004). L' integrazione e la prospettiva inclusiva. Roma: Monolite.
Mura A. (2004). Associazionismo familiare, handicap e didattica. Milano: Franco Angeli.
Trisciuzzi L., Fratini, C., Galanti M.A. (1998). Dimenticare Freud? L‟educazione nella società
complessa. Scandicci: La nuova Italia.
SITOGRAFIA
L’Index per l’Inclusione
http://www.eenet.org.uk/resources/docs/Index%20Italian.pdf
(consultato il 28/07/2014)
300
Istanze specifiche del concetto
“Prossimità/accompagnamento”
di
Culture:
“ Relazione
di
aiuto/cura”
e
R
RELAZIONE DI AIUTO/CURA
DEFINIZIONE:
Il termine cura possiede tre ambiti semantici diversi che è possibile ritrovare: il primo arriva
direttamente dal latino cura che significa “amministrare, farsi carico, gestire”; il secondo
campo semantico si riferisce al termine tipicamente medico e richiama termini quali terapia,
trattamento o guarigione. Il terzo significato, invece, manifesta il sentimento di
preoccupazione, di ansia, ma anche di sollecitudine, di attenzione, di profondo interesse nei
confronti della sofferenza e del dolore dell'altro, di tutela verso le persone con disabilità,
escluse, vulnerate, “fragili” (Caldin, 2007). E ancora, prossimità, intreccio etico vissuto in
carne ed ossa, ma anche trascendenza, apertura ad un oltre, al supe ramento possibile di ciò
che pare irrimediabilmente confinato nell‟impossibilità di un deficit, nella stasi gridata o muta
di un disagio. Comprendere e comprendersi, ascoltare e ascoltarsi, rispondere e rispondersi,
interpretare e rischiare (Conte, 2000).
CITAZIONE:
Quando predominano le modalità difettive dell‟aver cura (estromissione dell‟altro, dominio,
dipendenza ecc.) si nega l‟alterità dell‟altro e la pratica educativa diventa violenta anche se
mascherata (lo faccio per te … per il tuo bene… ), una pratica unidirezionale declinata sulla
temporalità dell‟eterno presente come in una situazione stagnante, simbiotica, inattiva. La cura
autentica, invece, presuppone l‟apertura al tempo futuro, è progettualità educativa che evolve
in autoeducazione; l‟aver c ura di un'altra persona signif ica il facilitarne il poter-essere, la
propria unica e progettualità esistenziale, il protagonismo dell‟avventura di vivere (Caldin,
2007, p. 86).
NOTA:
Cura ed azioni educative: con “cura”, “aver cura” possiamo anche intende re il primo livello
dell‟azione educativa (a carattere preventivo), ossia il pre-occuparsi di situazioni
potenzialmente a rischio (es. la nascita di un/una figlio/a disabile) per contenere e ridurre gli
eventuali fattori di rischio e favorire il generarsi di fattori protettivi. Si rimanda anche alla
lettura dei lemmi “resilienza”, “progetto di vita” e “accompagnamento”.
Cura VS assistenzialismo: L‟assistenzialismo è un “troppo pieno di cure” per l‟altro. Nel gergo
della scuola italiana, e non solo, si parla di “copertura” dell‟orario scolastico con figure di
appoggio per una bambina o un bambino con bisogni particolari, come può essere una persona
con la sindrome di Down. “Coprire” tutto l‟orario, con la preoccupazione di fornire un aiuto il
più possibile completo a quella bambina o a quel bambino. La richiesta è formulata anche in
seguito, nella scuola superiore. Se ne possono capire le buone intenzioni; ma è discutibile,
perché rischia di produrre una situazione assistenzialistica (Canevaro, 1999, p. 22)
BIBLIOGRAFIA
Caldin R. (2007). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup.
Canevaro A., Chieregatti A. (1999). L‟incontro con l‟altro nelle professioni d‟aiuto. Roma:
Carocci.
Conte M. (2000). La cura: tema esistenziale e competenza pedagogica. In F. Antinori (a cura
di). Disagio, lavoro di cura e relazione d‟aiuto. Padova: Cleup.
Gardou C. (2006). Diversità, vulnerabilità e handicap. Trento: Erickson.
Gaspari P. (2002). Avere cura. Pedagogia speciale e territori di confini. Milano: Guerini.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
301
P
PROSSIMITA’/ACCOMPAGNAMENTO
DEFINIZIONE:
Accompagnare è una dimensione della cura educativa che supera le coordinate spazio temporali nell‟accoglienza e nell‟apertura all‟altro, che recupera le direzioni di crescita comune,
nelle quali costruire spazi co-evolutivi che trasformino i limit i in soglie, i vincoli in risorse, le
disabilità in potenzialità e aperture nelle quali narrare e ascoltare le storie di vita di ciascuno, e
da queste, imparare (Caldin, 2011). Accompagna re è anche apprendimento: occorre imparare
da chi si rivolge a noi [i cosiddetti “esperti”]; bisogna essere molto competenti per chiedere
aiuto a chi si presenta come bisognoso di aiuto e per farci indicare da lui qual è la strada per
arrivare a leggere bene, con lui, il suo bisogno; e per scoprire, anche, i bisogni della nostra
professionalità, i limit i e le soglie del nostro pensare, del nostro sapere, del nostro agire
(Canevaro, 2005).
CITAZIONE:
Chi aiuta può provare ad intravedere nell‟altro un‟identità che va oltre quella monocorde e
spersonalizzata del bisognoso e del disagiato (il disabile, il detenuto, il profugo ecc.): bisogna
cioè “credere per vedere”, nel senso indicato da H. von Foerster, con fiducia e attesa,
accettando la sfida educativa, perché altrimenti si vede solo ciò che già si conosce, che risulta
familiare, che si prevede o si paventa di vedere. Soprattutto, sono da promuovere relazioni
interpersonali che mettono in luce le molteplici identità dell‟altro (ad esempio, non solo colui
che appare come disabile dopo un incidente, ma anche quello che lui era prima del trauma e,
forse, è ancora: marito, padre, insegnante, musicista, viaggiatore ecc.), senza mutilare le
molteplici dimensioni nelle quali l‟identità personale si manifesta(va). (Caldin, 2007, p. 93).
NOTA:
La maggiore difficoltà consiste nello stabilire quando l‟aiuto diventa un “sostituirsi all‟altro”, e
quindi impedimento allo sviluppo dell‟altro […] Un aiuto improprio non permette lo sviluppo
delle competenze proprie del sogget to. Un buon tecnico della riabilitazione sa controllare il
proprio aiuto per permettere lo sviluppo di uno sforzo; sa distinguere lo sforzo che comporta
fatica dallo sforzo che dà sofferenza: non desidera la sofferenza dell‟altro, ma ammette la
fatica (Canevaro, 1999, p. 56).
Potremmo, per estensione, aggiungere al tecnico della riabilitazione, l‟educatore, l‟insegnante, i
genitori e così via dicendo.
BIBLIOGRAFIA
Caldin R., Serra F. (2011) (a cura di). Famiglie e bam bini/e con disabilità complessa.
Comunicazione della diagnosi, sistema integrato dei servizi. Padova: Fondazione Emanuela
Zancan.
Canevaro A. (2005). Prefazione. L‟orgoglio e la gioia di essere genitori. In M.R. Dal Molin e
M.G. Bettale (a cura di). Pedagogia dei genitori e disabilità. Pisa: Edizioni del Cerro.
Favorini A.M. (2007). Alleanze educative e alfabetizzazione affettiva con i genitori e insegnanti.
Verso il progetto di vita. In A. Canevaro (a cura di). L‟integrazione scolastica degli alunni con
disabilità. Trento: Erickson.
Tortello M. e Pavone M. (1999) (a cura di). Pedagogia dei genitori e disabilità. Handicap e
famiglia. Educare alle autonomie. Torino: Paravia Scriptorium.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
302
P
POLITICHE
DEFINIZIONE:
La politica si specifica come la capacit à di organizzare la prassi comunitaria in direzione
intersoggettiva e secondo una progettualità a scadenza non ravvicinatissima e quindi non
immiserita negli interessi particolari o di breve respiro. Una prassi quindi che, partendo dal
premere sugli individui della struttura e dal bisogno materiale, dovrebbe riuscire ad orientarsi e
ad orientare le diverse istituzioni sociali (che ne rappresentano in un certo senso l‟elemento
tecnico) secondo una prospettiva del massimo di libertà (naturalmente sempre condizionata)
per tutti i membri della comunità, al limite per tutti i cittadini del mondo (Tratto dal “Dizionario
di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
L‟obiettivo del legislatore, però, rimane quello di incoraggiare e sostenere, con strumenti
adeguati e legali, coloro che non hanno voce e che sono screditati o discriminati: sotto questo
profilo il dispositivo legislativo garantisce rispetto, promuove sensibilizzazione a livello socio culturale e sollecita all‟intervent o e alla partecipazione proprio coloro che tutela. La
legislazione, da sola, non può garantire la soluzione di una situazione complessa: in questo
senso l‟apporto degli strumenti legislativi è fondamentale, ma non risolutivo, così come non c‟è
nessuna assicurazione che l‟abbattimento o la non creazione di barriere architettoniche sia
equivalente al superamento, all‟abbattimento, alla rimozioni delle barriere psicologiche (Caldin,
2007, p. 206).
NOTA:
Il valore aggiunto dell‟approccio basato sui diritti uma ni è che ciascuno ha diritto di godere di
tutti i diritti fondamentali e lo Stato, la comunità, gli altri individui hanno il dovere di
adoperarsi per garantire al singolo, tenuto conto della sua specialità e della sua diversità, il
miglior godimento possibile. L‟approccio ai diritti umani ha come corollario la modularità della
risposta ai bisogni la cui soddisfazione determina l‟effettivo godimento del diritto […] Ogni
bambino ha gli stessi diritti, ma ogni bambino, non solo quello disabile, ha bisogni dive rsi, in
relazione alle proprie abilità, al luogo dove è nato, alla situazione politica, economica, sociale,
culturale, dove vive (Carazzone, 2006).
BIBLIOGRAFIA
Booth T., Ainscow M. (2002).Index for Inclusion. Developing learning and partecipation in
schools. Bristol: CSIE. Trad It. Dovigo F., Ianes D. (2008) (a cura di), L‟index per l‟inclusione.
Promuovere l‟apprendimento e la partecipazione nella scuola. Trento: Erickson.
Caldin R. (2007). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup.
Carrazzone C. (2006). Il bambino disabile come persona soggetto di diritti: cambiare
prospettiva. In Fondazione Paideia-Cepim Torino (a cura di). Nascere bene per crescere
meglio. Esperienze e percorsi nella comunicazione della disabilità. Torino: Fondazione Paideia.
De Anna L. (2001). Integrazione: la dimensione internazionale, Studium Educationis, 3, pp.
605-622.
De Anna L. (1992). Integrazione scolastica. Francia e Italia. Modelli operativi e sistemi a
confronto. Roma: LED.
SITOGRAFIA
Nascere bene per crescere meglio. Esperienze e percorsi nella comunicazione della disabilità.
Link: http://www.asl1.to.it/informahandicap/opuscoli/nascerebene.pdf
(consultato il 20/03/2014)
303
L’Index per l’Inclusione
http://www.eenet.org.uk/resources/docs/Index%20Italian.pdf
(consultato il 28/07/2014)
Istanze spec ifiche del concetto di Politiche : “Accessibilità” e “Citta dinanza”
A
ACCESSIBILITA’
DEFINIZIONE:
Accessibile [dal lat. tardo accessibĭlis, der. di accessum, supino di accedĕre «accedere»]: a cui
è possibile accedere, che è di facile accesso.
CITAZIONE:
Articolo 9 della Convenzione sui dir itti delle persone con disabilità (ONU, 2006).
l fine di consentire alle persone alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e
di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parte adottano misure adeguate
a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l‟accesso
all‟ambiente fisico, ai trasporti, all‟informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le
tecnologie di informazione e comunicazione, ed altre attrezzature e servizi aperti o forniti al
pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Queste misure, che includono
l‟identificazione e l‟eliminazione di ostacoli e barriere all‟accessibilità, si applicano, tra l‟altro:

edifici, viabilità, trasporti e altre strutture interne ed esterne, compresi scuole, alloggi,
strutture e luoghi di lavoro;

servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi informatici e quelli di
emergenza.
Si rimanda alla lettura integrale dell‟articolo 9 della Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità (ONU, 2006)
NOTA:
Il diritto all‟ac cessibilità è strettamente connesso con il tema della Progettazione Universale o
Universal Design. Per “Progettazione Universale” si intende qualsiasi progettazione relativa a
spazi e prodotti che tenga conto delle necessità di tutti i cittadini, comprese le persone con
disabilità. E‟ un approccio che considera a priori le esigenze di una pluralità di cittadini,
eliminando (riducendo) il successivo problema degli adattamenti (es. barriere architettoniche),
non sempre possibili e molto costosi. Elenchiamo, d i seguito, i sette principi della
"Progettazione Universale", applicabili alla realizzazione di qualsiasi ambiente (environment) e
prodotto: a) equità d‟uso; b) flessibilità d‟uso; c) uso semplice e intuitivo; d) informazione
percepibile; e) tolleranza dell‟errore; f) basso sforzo fisico; g) misure e spazi adatti
all‟avvicinamento e all‟uso.
BIBLIOGRAFIA
Baratella P., Littamè E. (2009). I diritti delle persone con disabilità. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità
http://www.ass4.sanita.fvg.it/ass4/servizi/allegati/Convenzione%20ONU%20sui%20d
iritti%20delle%20persone%20con%20disabilit.pdf
(consultato il 20/03/2014)
304
C
CITTADINANZA
DEFINIZIONE:
Vedi “cittadino”: il termine sta ad indicare colui che, appartenendo alla collettività di uno Stato,
risulta titolare di diritti e soggetto a doveri stabiliti dalla legge. In questo senso, diventare
cittadino equivale a diventare adulti e quindi autonomi e responsabili (Tratto dal “Dizionario di
Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
L‟inclusione implica il riconoscimento attivo e autentico, non retorico, né formale, di tutti i
cittadini, senza esclusioni, nelle varie fasi dei processi decisionali, attingendo a un sistema di
valori e di conoscenze condiviso e trasparente, frutto di produttivi momenti di effettiva
cooperazione. Educare alla cittadinanza significa accrescere nelle persone conoscenze,
responsabilità e valori, potenziando il personale senso di efficacia e di riconoscimento di sé, in
termini di competenze, limiti e risorse (Gaspari, 2012).
NOTA:
Si rimanda alla lettura degli articoli 5, 14 e 18 della Convenzione sulle Convenzione sui diritti
delle persone con disabilità (ONU, 2008) per quanto concerne il diritto alla cittadinanza: in
particolar modo, l‟uguaglianza, la partecipazione, la libertà e la sicurezza.
Cittadinanza e lavoro. Il lavoro è, insieme alla scuola, il mezzo più efficace per far sì che la
persona disabile socializzi, sia stimolato a migliorare, si senta utile, esca dal ruolo di
emarginato, acquisti fiducia in se stesso e negli altri, sottraendosi dai condizionamenti culturali
per riconoscere quella dignità umana tipica di ciascun essere vivente (Gaspari, 1990).
BIBLIOGRAFIA
Gaspari P. (2012). Pedagogia speciale. Questioni epistemologiche. Roma: Anicia.
Gaspari P. (1990). Il labir into dell‟handicap. Teramo: Lisciani e Giunti.
ONU (2006), Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
SITOGRAFIA
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità
http://www.ass4.sanita.fvg.it/ass4/servizi/allegati/Convenzione%20ONU%20sui%20d
iritti%20delle%20persone%20con%20disabilit.pdf
(consultato il 20/03/2014)
305
P
PRATICHE
DEFINIZIONE:
Come sostantivo, il termine “pratica” può essere considerato come un sinonimo di prassi. In
linea generale, il termine “prassi” definisce l‟attività pratica in quanto contrapposto a quella
teorica o teoretica. Così si usa l‟espressione di pratica educativa con riferimento all‟attività
rivolta intenzionalmente alla formazione di un individuo; e pratica pedagogica con riferimento
all‟attività formativa che segue (o si sforza di farlo) i principi o le indicazioni proprie della
pedagogia (Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini,
1996).
CITAZIONE:
Le “buone prassi” non sono le buone azioni, non sono neanche le azioni migliori. Una buona
prassi è un organizzazione che tiene conto: a) della pluralità dei soggetti, b) delle loro diversità
(di genere, di cultura, di età, delle eventuali disabilità). Una buona azione è quella azione che
permette ad un individuo di superare delle difficoltà dovute ad un deficit, grazie al buon aiuto,
alla buona disponibilità delle persone incontrate, che ha la possibilità di avvicina re. Diventa una
“buona prassi” quando questa azione individuale produce la riorganizzazione di un percorso
istituzionale che tiene conto di tutti, quindi con una valenza politica che non si può nascondere
o dimenticare. Seguire un percorso di “buone prassi” signif ica: dare avvio alla costruzione di
un modello che si perfeziona in itinere con il coinvolgimento di tutte le persone interessate.
Occorre che le persone disabili siano coinvolte nella progettazione delle “buone prassi”, nella
comprensione della logica che c'è sotto le “buone prassi”, e devono diventare protagonisti
competenti di una realizzazione che va un po‟ oltre la soddisfazione immediata del bisogno,
perché esige non tanto il superamento, in qualsiasi modo dell‟ostacolo, quanto l‟organizzazion e
che consenta di ridurre o eliminare gli ostacoli organizzativi (Canevaro e Ianes, 2001).
NOTA:
La logica della “buona prassi” ha bisogno di tutti: non ha bisogno solo degli specialisti, dei
professionisti che si occupano di disabilità, ma riguarda un‟organizzazione sociale nel suo
complesso, e quindi tutti coloro che ne fanno parte, con altre professioni che non ritenevano,
preventivamente, di doversi occupare di persone disabili e di riduzione dell‟handicap. La logica
delle buone prassi va nella linea di favorire un‟assunzione di responsabilità di ciascuno
(Canevaro e Ianes, 2001).
L‟Index for Inclusion (Booth e Aiscow, 2002): riformare le culture, le politiche educative e le
pratiche nella scuola affinché corrispondano alle diversità degli alunni; ac crescere la
partecipazione degli alunni – e ridurre la loro esclusione – rispetto alla cultura, ai curricoli e
alle comunità sul territorio.
Si rimanda alla lettura integrale di: Booth T., Ainscow M. (2002). Index for Inclusion.
Developing learning and partecipation in schools. Bristol: CSIE. Trad It. Dovigo F., Ianes D.
(2008) (a cura di), L‟index per l‟inclusione. Promuovere l‟apprendimento e la partecipazione
nella scuola. Trento: Erickson.
BIBLIOGRAFIA
306
Booth T., Ainscow M. (2002).Index for Inclusion. Developing learning and partecipation in
schools. Bristol: CSIE. Trad It. Dovigo F., Ianes D. (2008) (a cura di), L‟index per l‟inclusione.
Promuovere l‟apprendimento e la partecipazione nella scuola. Trento: Erickson
Canevaro A., Ianes D. (2001) (a cura di). Buone prassi di integrazione scolastica. 20
realizzazioni efficaci. Trento: Erickson.
d‟Alonzo L. (2008). Gestire le integrazioni a scuola. Brescia: La Scuola.
D‟Alessio S. (2001). Inclusive education in Italy. A critical analysis of the policy of Integrazione
Scolastica. Rotterdam: Sense Publishers.
SITOGRAFIA
L’Index per l’Inclusione
http://www.eenet.org.uk/resources/docs/Index%20Italian.pdf
(consultato il 28/07/2014)
307
Istanze spec ifiche del concetto di Politiche : “Fruibilità” e “ Partec ipazione”
F
FRUIBILITA’
DEFINIZIONE:
Il termine è comunemente associato alla possibilità anche per persone con ridotta o impedita
capacità sensoriale, motoria, o psichica (ovvero affette da disabilità sia temporanea, sia
stabile), di accedere e di muoversi autonomamente in ambienti fisici (per cui si parla di
accessibilità fisica), di fruire e accedere autonomamente a contenuti culturali (nel qual caso si
parla di accessibilità culturale) o f ruire dei sistemi informatici e delle risorse a disposizione,
tipicamente attraverso l'uso di tecnologie assistive o tramite il rispetto di requisiti di
accessibilità dei prodotti.
CITAZIONE:
La Pedagogia Speciale sta riflettendo sulla difficoltà che il disabile incontra ad essere
riconosciuto adulto, per poter adeguatamente intervenire come disciplina che studia una teoria
mirata a proporre un modello orientato alla formazione dei soggetti autonomi, di individui con i
quali si entra in un rapporto adulto […] Le risorse per il disabile, perché possa realizzare il suo
ruolo adulto, oggi sono tante, ma rischiano di essere inutili se i responsabili della sua
educazione ed istruzione non sapranno fare di lui un individuo autonomo, desideroso di vivere
da protagonista la propria esistenza (Gelati, 2001, pp. 595-604)
NOTA:
In questo lemma, in particolare, si sottolinea l‟importanza di poter “f ruire” i contenuti culturali
e ricreativi della/nella comunità di appartenenza, richiamando all‟attenzione l‟articolo 30 –
Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi e allo sport – della Convenzione sui
diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006).
Gli Stati Parte riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte, su base di
uguaglianza con gli altri,
alla vita culturale e adottano tutte le misure a garantire che le persone con disabilità:
 abbiano accesso ai prodotti culturali in formati accessibili;
 abbiano accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali,
in formati accessibili;
 abbiano accesso a luoghi di attività culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche, e
servizi turistici, e, per quanto possibile, abbiano accesso a monumenti e siti importanti
per la cultura nazionale;
 […]
Al fine di c onsentire alle persone con disabilità di partecipare su base di uguaglianza con gli
altri alle attività ricreative, agli svaghi e allo sport, gli Stati Parte adottano misure adeguate a:
 incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con
disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli;
 garantire che le persone con disabilità abbiano la possibilità di organizzare, sviluppare e
partecipare ad attività sportive e ricreative specifiche per le persone con disabilità e , a
tal fine, incoraggiare la messa a disposizione, su base di eguaglianza con gli altri, di
adeguati mezzi di istruzione, formazione e risorse;
 garantire che le persone con disabilità abbiano accesso a luoghi che ospitano attività
sportive, ricreative e turistiche.
Si rimanda alla lettura integrale dell‟articolo 30 della Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità (ONU, 2006).
308
BIBLIOGRAFIA
Gelati M. (2001). Handicap e vita adulta. Studium Educationis, 3, pp. 595-604.
ONU (2006), Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
SITOGRAFIA
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità
http://www.ass4.sanita.fvg.it/ass4/servizi/allegati/Convenzione%20ONU%20sui%20d
iritti%20delle%20persone%20con%20disabilit.pdf
(consultato il 20/03/2014)
309
P
PARTECIPAZIONE
DEFINIZIONE:
Sta per “prendere parte a…”. In psicopedagogia si usa questo termine per in dicare
l‟implicazione emotiva-affettiva di un individuo ad una certa situazione (così si parla di
partecipazione emotiva quando una certa esperienza colpisce in modo consistente la psiche di
un individuo ecc.); in secondo luogo, per indicare il rapporto positivo esistente tra un individuo
e il suo gruppo di appartenenza (così si parla di partecipazione quando un individuo vuole o sa
collaborare con gli altri membri di un gruppo; o di partecipazione politica e così via) (Tratto dal
“Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Piero Bertolini, 1996).
CITAZIONE:
La partecipazione è l‟interazione fra le menomazioni, le disabilità e i fattori contestuali, cioè le
caratteristiche dell‟ambiente fisico e sociale e i fattori contestuali. La partecipazione si riferisce
a tutte le aree o aspetti della vita umana, inclusa la completa esperienza di essere coinvolti in
una pratica, un costume o un comportamento sociale. Le sfere della partecipazione –
mantenimento personale, mobilità, scambio di informazioni, re lazioni sociali, vita familiare e
assistenza agli altri, istruzione, lavoro e impiego, vita economica, civile e comunitaria – sono
sociali nel senso che il carattere di questa esperienza complessa è modellata dalla società e
dall‟ambiente sociale (Caldin, 2007, p. 208).
NOTA:
Diventare cittadini, conquistare un‟identità sociale, raggiungere un‟autonomia adeguata,
acquisire competenze culturali di base, conseguire capacità di comunicazione idonee,
apprendere le abilità necessarie per un inserimento proficuo nel mondo del lavoro,
rappresentano certamente degli itinerari molto ardui da solcare, ma indispensabili se pensiamo
di favorire la formazione globale, integrale dell‟uomo (Pavone, 2010).
BIBLIOGRAFIA
Caldin R. (2007). Introduzione alla pedagogia speciale. Padova: Cleup.
Pavone M. (2010). Dall‟esclusione all‟inclusione. Lo sguardo della pedagogia speciale . Milano:
Mondadori.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
310
FINI di Robe rto Dainese
5
U
UNIVERSALITÀ
DEFINIZIONE:
1 caratteristica di ciò che è universale: l‟universalità di un concetto 2 (lett.) insieme di cose o
persone considerate nella loro totalità: l‟universalità degli uomini […] (Tratto dal “Dizionario
Garzanti”, 2000)
(Universale: è così definito ciò che può essere riferito a tutti gli appartenenti ad una classe; in
particolare, ciò che può essere attribuito a tutti gli uomini.
(Tratto dal “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione” di Bertolini P., 1996).
CITAZIONE:
“… la disabilità si connota come concetto trasversale e universale e come fenomeno
multidimensionale. La disabilità viene intesa come parte integrante dell‟essere umano, al di là
del tempo, dello spazio e delle differenze culturali e geografiche, nel senso che non può essere
una caratteristica che stigmatizza una persona rispetto ad un‟altra, piuttosto un‟angolazione
particolare di una teoria dell‟uguaglianza che prospetta il riconoscimento della nostra
condizione umana che per alcuni comporta disabilità nel presente, ma che per tutti può
comportarne in futuro (in seguito, per esempio, a un incidente o a una malattia senile)”.
(Caldin, 2009, pp. 85-89).
“È implicito nel concetto dei «diritti dell‟uomo» che li possiamo pensare solo come universali o
che non possiamo pensarli affatto. Contestare infatti l‟universalità dei diritti dell‟uomo signif ica
contestare i diritti dell‟uomo tout court. E del resto, chi ritiene che essi valgano solo
subordinatamente a determinati presupposti – ad es. soltanto in determinati ambiti culturali, o
solo se radicati nella metafisica occidentale, o nella teologia giudaico-cristiana, o unicamente in
una società individualistico-borghese –, in realtà non parla più dei diritti dell‟uomo, bensì dei
diritti degli europei, degli americani, dei cristiani, dei bianchi, o dei cittadini delle democrazie
occidentali”. ( Kriele,1992, p.3).
NOTA:
La disabilità si collega all‟universalità dei diritti umani che riguardano ciascuno e tutti.
La Pedagogia Speciale promuove la realizzazione di identità che possano godere di un
riconoscimento sociale che escluda prospettive di dipendenza e manipolazione della persona,
per garantirle, invece, il pieno ed autentico godimento dei diritti umani che acquisiscono così
una dimensione di totale universalità in quanto valgono per tutti gli uomini e per tutte le
donne.
Nel Preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, gli
stati riaffermano l‟universalità, l‟indivisibilità, l‟interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti
umani e le libertà fondamentali. La Convenzione ha, quindi, evidenziato una riformulazione dei
bisogni delle persone con disabilit à in termini di diritti umani, ponendo la “persona” in una
posizione di centralità attraverso l‟elaborazione di nuovi modelli culturali, in grado di modificare
5
Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna
311
la percezione sociale della disabilit à, collocando la diversità in una prospettiva inclusiva
superando l‟esclusivo interesse assistenzialista.
BIBLIOGRAFIA
Caldin R. (2009). La prospettiva inclusiva nella/della scuola. Percorsi di r icerca e nuove
questioni, " Studium Educationis", 3, pp. 85-89.
Kriele M.(1992). L‟universalità dei diritti umani, Rivista internazionale di f ilosof ia del dir itto, 69,
1992, p. 3.
NU (2006). Convenzione Internazionale sui Diritti delle persone con Disabilit à. New York: ONU.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile
312
P
PROGETTAZIONE UNIVERSALE
DEFINIZIONE:
“[…] per «progettazione universale » si intende la progettazione di prodotti, strutture,
programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il
bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La “progettazione universale” non
esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilit à ove siano
necessari” (Convenzione ONU 2006, art. 2).
CITAZIONE:
“Principi di progettazione secondo i quali si deve sempre tener conto della variet à di esigenze
di tutti gli utenti; nel campo informatico la progettazione universale è strettamente connessa al
problema dell‟accessibilità e ha come punti di riferimento principali l‟equità e la flessibilità, l‟uso
semplice ed intuitivo, l‟informazione accessibile, la tolleranza agli errori, lo sforzo fisico
minimo, lo studio di dimensioni e spazi adatti a qualsiasi utente, senza limit i per la capacit à di
movimento, la postura e la dimensione del corpo”. (DEFINIZIONE tratta dal Glossario curato
da F. Fogarolo, sul Portale Handitecno, http://www.indire.it/handitecno).
Il gruppo di lavoro del Center for Universal Design della North Carolina State University,
College of Design ha individuato sette “principi” dell‟Universal Design (progettazione
universale). Quest‟ultimo è definito come segue:
“Progettazione di prodotti e ambienti
utilizzabili da tutti, nella maggior estensione possibile, senza necessit à di adattamenti o ausili
speciali”.
Riportiamo, di seguito, il testo completo e originale (Versione 2.0 4/1/97):
Principio 1: UGUALE UTILIZZABILIT À (Equitable Use)
Il progetto è utile e commerciabile per persone con abilit à diverse.
1. Consente la stessa utilizzazione a tutti gli utenti: ident ica quando possibile, altrimenti
equivalente.
2. Evita l‟esclusione o la penalizzazione di qualsiasi utilizzatore.
3. Le condizioni di privacy, sicurezza e incolumit à dovrebbero essere equivalenti per tutti gli
utilizzatori.
4. Rende il progetto attraente per tutti gli utilizzatori.
Principio 2: FLESSIBILIT À D'USO (Flexibility in Use)
Il progetto consente una vasta gamma di preferenze e abilit à individuali.
1. Consente la scelta del metodo d‟uso.
2. Permette l‟accesso e l‟uso con mano sinistra e mano destra.
3. Facilita l‟accuratezza e la precisione dell‟utilizzatore.
4. Fornisce adattabilità alle caratteristiche dell‟utilizzatore.
Principio 3: SEMPLICE ED INTUITIVO (simple and intuitive)
L'uso del progetto è facile da capire, a prescindere dall'esperienza, dalle conoscenze, dalle
capacità di linguaggio o dal livello corrente di concentrazione dell'utilizzatore.
1. Elimina le complessità non necessarie.
2. Corrisponde alle aspettative e all'intuizione dell‟utilizzatore.
3. Fornisce una grande variet à di alternative di lettura e comprensione.
4. Struttura le informazioni coerentemente con la loro importanza.
5. Fornisce suggerimenti e segnalazioni durante e dopo le azioni dell ‟utilizzatore.
Principio 4: INFORMAZIONE PERCETTIBILE (Perceptible Information)
Il
progetto
comunica
effettivamente
le
informazioni
necessarie
all‟utilizzatore,
indipendentemente dalle condizioni ambientali o dalle abilit à sensoriali dell'utilizzatore.
313
1. Usa metodi diversi (visivi, verbali, tattili) per una presentazione ridondante delle
informazione essenziali.
2. Fornisce una adeguata differenziazione tra le informazioni essenziali e quelle di contorno.
3. Massimizza la leggibilit à delle informazioni essenziali.
4. Differenzia gli elementi in modo che possano essere descritti (facilitando l‟emissione di
istruzioni e direttive).
5. Fornisce compatibilit à con una varietà di tecniche e dispositivi usati da persone con
limitazioni sensoriali.
Principio 5: TOLLERANZA AGLI ERRORI (Tolerance for Error)
Il progetto minimizza i rischi e le consegue nze avverse di azioni accidentali o non intenzionali.
1. Sistema gli elementi per minimizzare i rischi e gli errori: gli elementi più utilizzati sono più
accessibili, gli elementi più rischiosi sono eliminati, isolati o protetti.
2. Fornisce avvertimenti su rischi ed errori.
3. Fornisce elementi di protezione.
4. Scoraggia azioni non intenzionali o che richiedono vigilanza.
Principio 6: BASSO SFORZO FISICO (Low Physical Effort)
Il progetto può essere usato efficientemente e in modo confortevole e con un min imo di fatica.
1. Permette di mantenere una posizione neutra del corpo.
2. Richiede un ragionevole sforzo di attivazione.
3. Minimizza le azioni ripetitive.
4. Minimizza lo sforzo fisico sostenuto.
Principio 7: DIMENSIONI E SPAZI PER L'APPROCCIO E L'USO (Size and Space for Approach
and Use)
Devono essere previsti dimensioni e spazi appropriati per l‟avvicinamento, il raggiungimento,
la manipolazione e l'utilizzazione a prescindere dalle dimensioni del corpo, dalla postura e dalla
mobilità dell‟utilizzatore.
1. Fornisce una chiara vista degli elementi importanti per qualsiasi utente seduto o in posizione
eretta.
2. Rende il raggiungimento di tutte le componenti confortevole per qualsiasi utente seduto o in
posizione eretta.
3. Consente variazioni nelle dimensioni delle mani e dell‟impugnatura.
4. Fornisce uno spazio adeguato per l‟uso di dispositivi assistivi o di assistenza personale.
(I SETTE PRINCIPI DELL‟UNIVERSAL DESIGN “Copyright © 1997 NC State University, The
Center for Universal Design”. Autori: Bet tye Rose Connell, Mike Jones, Ron Mace, Jim Mueller,
Abir Mullick, Elaine Ostroff, Jon Sanford, Ed Steinfeld, Molly Story, &Gregg Vanderheiden).
NOTA:
Il principio della progettazione universale (Universal Design o Design for All) è stato coniato
originariamente nel campo dell‟architettura, alla fine degli anni Ottanta dall‟architetto
americano Ronald Law rence Mace, fondatore del Center for Universal Design della North
Carolina State University ed oggi, questo modello, include ogni ambito in cui le Tecnologie
della Comunicazione e dell'Informazione sono utilizzate.
La Convenzione delle NU, ha diffuso una nuova prospettiva della progettazione universale, non
limitata all‟individuazione di una norma rivolta alla tutela dei bisogni e delle richieste di una
categoria “svantaggiata” di persone, ma, invece, in sintonia con una visione dell ‟accessibilità,
intesa come diritto di interesse universale.
In ambito Pedagogico è significativo l‟approccio inclusivo sottostante al principio della
progettazione universale: si tratta, infatti, di superare la logica della soluzione dedicata alla
persona con disabilità e dell‟adattamento dell‟esistente, per prospettare sistemi e metodi che
rendano accessibili e fruibili, al maggior numero possibile di persone, prodotti, conte sti e
servizi, ponendo notevoli novità in più campi e contesti.
BIBLIOGRAFIA
NU (2006). Convenzione Internazionale sui Diritti delle persone con Disabilit à. New York: ONU.
314
SITOGRAFIA
http://www.ncsu.edu/ncsu/design/cud/about_ud/udprinciples.htm (22/03/2014)
http://www.indire.it/handitecno (22/03/2014)
315
A
ACCOMODAMENTO [RAGIONEVOLE]
DEFINIZIONE:
“[…] per «accomodamento ragionevole» si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari
ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia
necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilit à il godimento e l‟esercizio,
su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà à fondamentali”
(Convenzione ONU, 2006, art. 2).
L'atto dell'accomodare (lat. commodus) dell'adattare; anche accomodazione.
(Treccani.it)
Accomodaménto [Der. del lat. commodus "adatto"] [LSF] Generic., l'operazione che un
sistema compie, o che si compie su un sistema, per adattarsi a condizioni esterne oppure per
effetto di azioni esterne (meno diffusa, con lo stesso signif icato, accomodazione). (Treccani.it,
dizionario delle Scienze Fisiche, 1996)
CITAZIONE:
“… significa impegnarsi co-responsabilmente affinché il deficit rimanga l‟unica variabile non
modificabile, lavorando contemporaneamente affinché l‟intervento educativo individui e agisca
su ogni altra variabile modif icabile (contestuale e personale)”.
(Caldin, 2009, p. 89)
Il Decreto Lavoro del 2013 dispone che all‟interno del Decreto Legislativo n. 13 del 2003 attuativo della direttiva 2000/78/CE – debba essere inserita la seguente disposizione:
“Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con
disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti
ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per
garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I
datori di lavoro pubblici devono provvedere all'attuazione del presente comma senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e
strumentali disponibili a legislazione vigente”.
NOTA:
Il contesto è una risorsa potenziale che può permettere il raggiungimento di livelli di
realizzazione e di autonomia delle persone con disabilità; la centralità del contesto, però,
esclude la discriminazione e per questo presuppone un adattame nto del contesto stesso ai
bisogni specifici della persona con disabilità.
Sono esempi di adattamento ragionevole la presenza di un insegnante di sostegno, in
riferimento al contesto scolastico, le rampe o altre soluzioni architettoniche necessarie al
superamento di barriere ambientali; accomodamento ragionevole è anche la fornitura di
informazioni in formato non esclusivamente cartaceo.
BIBLIOGRAFIA
NU (2006). Convenzione Internazionale sui Diritti delle persone con Disabilit à. New York: ONU.
Caldin R. (2009), La prospettiva inclusiva nella/della scuola. Percorsi di r icerca e nuove
questioni, " Studium Educationis", 3, pp. 85-89.
316
SITOGRAFIA
http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Senza_Barriere/Spazi_ed_Edifici/S
pazi_ed_edifici_privati/info2040122369.html (22/03/2014)
317
S
SOSTENIBILITA’
DEFINIZIONE:
Il concetto di s., rispetto alle sue prime versioni, ha fat to registrare una profonda evoluzione
che, partendo da una visione centrata preminentemente sugli aspetti ecologici, è approdata
verso un significato più globale, che tenesse conto, oltre che della dimensione ambientale, di
quella economica e di quella soc iale. […] la s. implica un benessere (ambientale, sociale,
economico) costante e preferibilmente crescente e la prospettiva di lasciare alle generazioni
future una qualità della vita non inferiore a quella attuale. Tale approccio può essere
formalizzato mediante funzioni di benessere sociale, ossia relazioni tra il benessere della
società e le variabili che concorrono allo stato economico e alla qualit à della vita. (Treccani.it)
CITAZIONE:
“L‟elaborazione di una cultura della sostenibilità educativa si configura come un obiettivo
fondamentale della pedagogia dell‟ambiente. Numerosi interventi e svariate iniziative per molti
aspetti esemplari sono oggi rivolti alla salvaguardia della biodiversità, alla progettazione di
ambienti rispettosi della persona, alla „formazione ecologica‟ delle comunità locali. […] La
selezione ragionata, la messa in opera di un repertorio di esperienze significative,
l‟informazione puntuale e accessibile contribuiscono allo sviluppo di una cultura della
sostenibilità educativa” (Malvasi P., 2006, p.113).
NOTA:
La sostenibilità riferita alla disabilità presuppone una sua nuova problematizzazione che supera
i limit i del determinismo ecologico, allargando lo sguardo su aspetti sociologici, per cui si
guarda alla persona con disabilità in un‟ottica inclusiva, avviando una partecipazione sociale,
un possibile e indispensabile coinvolgimento nelle varie situazioni di vita.
L‟Organizzazione Mondiale della Sanit à (2001) ha diffuso l‟ICF (International Classification of
Funfunctioning) in cui ogni soggetto è concepito quale intreccio di una dotazione biologica, di
fattori contestuali esterni (le relazioni, le culture, gli ambienti...) e della propria dimensione
psicologica (autostima, identit à, motivazione, autodeterminazione ...).
Questa classificazione ha promosso un cambiamento di prospettiva anche sul piano culturale
perché permette la correlazione fra stato di salute e contesto/ambiente e arriva, così, ad una
DEFINIZIONE di disabilità come una condizione di salute posta in un contesto sfavorevole.
Si evidenzia l‟importanza di un approccio integrato alla salute e alla disabilit à, che tenga conto
dei fattori ambientali, classificandoli in maniera sistematica, tutti indirizzati a favorire una
effettiva sostenibilità della disabilità.
BIBLIOGRAFIA
Malvasi P. (2006). La prospettiva ermeneutica. In Vico Giuseppe (a cura di). Pedagogia
generale e filosof ia dell‟educazione. Milano: Vita e Pensiero. p.113.
OMS (2001), Classificazione internazionale del Funzioname nto, della Disabilità e della Salute
(ICF). Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
http://www.who.int/classifications/drafticfpracticalmanual2.pdf?ua=1 (22/03/2014)
318
I
INCLUSIONE
DEFINIZIONE:
l‟includere, l‟essere incluso […]
Dal lat. inclusiōne (m), deriv. di includĕre „rinchiudere‟ (Tratto dal “Dizionario Garzanti”, 2000).
Inclusione è la traduzione italiana del termine inclusion, contrapposto al termine exclusion; in
Italia il termine inclusione ha ampliato il signif icato della parola inte grazione e non per un
asettico adeguamento al mondo anglofono. “Il termine «inclusione» ci trova molto d‟accordo.
L‟integrazione sta stretta: è un limite che riguarda quasi sempre l‟idea che il soggetto atipico
abbia bisogno di un adattamento del contesto specifico in cui entra […] È un‟operazione in
contesti limitati. Non è inclusione, che prevede un ampio ecosistema in cui un soggetto si
immette e da cui trae dei benefici anche non prossimali, che vengono da lontano e ha quindi
uno spazio fisico e tempora le ampio, che richiama il progetto di vita […] un progetto di vita
contiene anche l‟imprevisto, ciò che non era pensato. Si collega a un ecosistema più ampio e al
termine «inclusione». Il limite dell‟integrazione è proprio quello del limite di contesto fis ico e
temporale. La somma di tanti segmenti contestuali e temporali non fa un progetto di vita“.
(Canevaro, 2013, p.119).
CITAZIONE:
“… l‟inclusione è un approccio complessivo che guarda alla globalità delle sfere educativa,
sociale e politica, che prende in considerazione tutti gli alunni, interviene prima sui contesti e
poi sull‟individuo, trasforma la risposta specialistica in ordinaria, rifacendosi al modello sociale
della disabilità e al costrutto di partecipazione (e / o empowermewnt), il quale mette al centro
di tutti i processi decisionali il disabile stesso e i suoi familiari”.
(Caldin, 2012, p. 264).
“Il termine inclusione traduce l‟inglese inclusioni (da to-include), che signif ica essere parte di
qualcosa, sentirsi completamente accolti ed avvolt i. Secondo l‟approccio culturale inclusivo,
prevalente nei documenti internazionali più vicini nel tempo, la persona con disabilità è parte
della comunità a pieno titolo, alla pari degli altri. I principi di funzionamento e le regole del
contesto devono essere formulati avendo presenti tutti i componenti, ognuno portatore della
propria specificità: la diversità di ciascuno diviene la condizione normale nella società, nella
scuola e in aula. L‟essere inclusi è un modo di vivere insieme, basato sulla convinzione che
ogni individuo ha valore e appartiene intimamente al gruppo” (Pavone, 2012, pp.155/156).
NOTA:
Gli autori dell‟Index per l‟inclusione, Tony Booth e Mel Ainscow, distinguono i due termini,
integrazione e inclusione uscendo dalla logica dei signif ic ati corrispondenti a modalit à
operative. Essi fanno riferimento al significato dei due termini focalizzando il pensiero sui
soggetti a cui si indirizzano le azioni formative promosse dalla scuola. I due studiosi collegano
il termine integrazione a un approccio che tiene conto solo degli alunni con disabilit à e il
termine inclusione, invece, a un pensare che fa riferimento a tutti gli alunni.
Tony Booth e Mel Ainscow sostengono che una scuola inclusiva favorisce l‟apprendimento e la
partecipazione di tutti gli alunni; in questo modo, una scuola davvero inclusiva potrebbe
prevenire quelle forme di bisogno educativo che originano o si aggravano per l‟influenza
sfavorevole di barriere relazionali o didattiche. L‟inclusione riguarda tutti all‟interno di una
logica dove le differenze sono la normalit à perché si posizionano in parit à, definendo una
normalità che si costituisce di differenze: la diversit à non è eccezionalità ma normalità.
“Riteniamo comunque che anche in Italia la prospettiva inclusiva possa segnare un ulteriore
avanzamento, una spinta ed una visione ampia che riguarda contemporaneamente tutti e
ciascuno; tutti, perché nessuno può appartenere a una condizione di privilegio o di svantaggio
ma dove anche ciascuno trova le giuste risposte perché ciascuno è la norma, ciascuno è la
regola” (Dainese, 2012, p.32).
319
BIBLIOGRAFIA
Booth T., Ainscow M. (2008). L‟index per l‟inclusione. Promuovere l‟apprendimento e la
partecipazione nella scuola. Trento: Erickson.
Caldin R. (2012). Verso dove? L‟abitare familiare e insolito della Pedagogia Speciale. d‟Alonzo
Luigi e Caldin R. (a cura di). Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia Speciale. Napoli:
Liguori Editore.
Canevaro A. (2013). Scuola inclusiva e mondo più giusto. Trento: Erickson.
Dainese R. (2012). La didattica come pratica inclusiva. Padova: CLEUP.
Pavone M. (2012). Inserimento, Integrazione, Inclusione. d‟Alonzo Luigi e Caldin Roberta (a
cura di). Questioni, sfide e prospettive della Pedagogia Speciale. Napoli: Liguori Editore.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
C
COEVOLUZIONE
DEFINIZIONE:
Evoluzione interdipendente di caratteri a determinazione genetica in due o più specie che
mostrano un‟interazione ecologica evidente; è spesso rappresentata da una serie di risposte
evolutive reciproche in ognuna delle specie (due o più) che partecipano all‟interazione, attivate
dal cambiamento evolutivo di una di esse. ( Treccani.it)
CITAZIONE:
“Coevoluzione signif ica anche che lo sviluppo personale può essere inteso co me una
costruzione complessa. Non è procedere lineare da A a B; ma un procedere secondo diverse
linee di crescita, che si ramificano, si intrecciano, si sovrappongono. L‟identità personale, in
questo senso, può essere intesa come una coevoluzione di elementi diversi, un equilibrio
originale di diversità”
(Canevaro A., Lippi G., Zanelli P. 1988, p. 24)
NOTA:
Il contesto educativo prospetta una riflessione a carico della persona con disabilità che
coscientemente usufruisce degli aiuti, in una dimensione di utilizzo autonomo e cosciente degli
aiuti stessi.
Comprendere il senso degli aiuti permette alla persona aiutata di non trasformarsi in soggetto
dominato o, meglio, di percepirsi come dominato e permette a chi aiuta di def inirsi in un ruolo
che presuppone una relazione vicendevole e non unidirezionale.
Gli aiuti non possono privare di iniziativa personale il soggetto a cui sono indirizzati, non
possono limitare la sua autodeterminazione ed egli non può vivere questi sostegni immerso in
un determinismo scontato. I sostegni non possono sostituirsi all‟iniziativa personale ma,
piuttosto, hanno il compito di mediare per la libera espressione di un sé.
Non può mai svanire la possibilit à, per la persona con disabilit à, di poter raggiungere il
massimo grado possibile di espressione autonoma di sé - anche se mediata - che deve
configurarsi come spinta per propria auto-realizzazione ed evoluzione.
BIBLIOGRAFIA
Canevaro A., Lippi G., Zanelli P. (1988). Una scuola uno sfondo. Bologna: N. Milano. p. 24
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
320
321
B
BENESSERE
DEFINIZIONE:
Oltre al suo significato economico (ad esempio: società del benessere), il termine sta ad
indicare un soddisfacente stato di salute sia fisica sia spirituale. Lo stato di benessere è alla
radice di una positiva qualità della vita verso la quale oggi si tende con sempre maggior
consapevolezza, anche se con sempre maggiori ostacoli da superare. Da un punto di vista
psicopedagogico, importa rilevare che il concetto di qualità della vita e quindi di benessere
deve essere riferito anche al bambino e all‟adolescente che hanno il diritto di conquistarla nel
presente, ovvero al di qua di ogni pretesa o giustificazione posticipatoria.
[Bertolini P. (1996) Dizionario di Pedagogia e Scienze dell‟Educazione. Bologna: Zanic helli]
Si rimanda alla lettura del lemma (“qualità della vita”, nella sezione della “dimensione
assiologia”, dedicata ai “fini”.
CITAZIONE:
“Per quanto riguarda la tematica del ben-essere si possono individuare due importanti approcci
che si occupano di questa dimensione. Il primo si riferisce ai signif icative i singoli individui
attribuiscono al benessere (ben-essere soggettivo). In tale approccio si cercano di intensificare
le differenziazioni entro i vari ambiti di vita. Il secondo si occupa degli indicatori sociali del benessere cioè del significato attribuito a questo aspetto dalle culture di appartenenza”.
Ghedin Elisabetta, 2007, pp. 85-86).
“La capability è, dunque, la libertà di raggiungere stati dell‟essere e dell‟agire che la persona
ritiene di valore e porta con sé le due idee cardine della libert à e del giudizio di valore sugli
stati dell‟essere e dell‟agire. Risorse come il reddito personale, il reddito familiare, i beni
posseduti, i servizi disponibili o le inf rastrutture rimangono important i, ma sono considerate
strumenti per generare i funzionamenti (in quanto conseguenti) e le capability (in quanto
libertà di conseguire). Gli stessi funzionamenti ... possono diventare degli strumenti”. (M.
Biggeri, N. Bellanca (a cura di) (2010), p. 22).
NOTA:
Recentemente l‟Approccio alle Capabilities valuta il benessere delle persone, esaltando ciò che
le persone sono effettivamente in grado di fare e le opportunit à che possono trovare. Altri
approcci più filosofici hanno da sempre ricondotto il benesse re alla felicità delle persone, al
soddisfacimento dei desideri, al consumo o alle risorse. Uno dei più importanti studiosi
dell‟Approccio alle Capabilities è Amartya Sen, economista indiano vincitore del Premio Nobel
per l‟economia nel 1998; egli definisc e le capacità in termini di reali opportunit à, la libertà di
un individuo di acquisire i funzionamenti che egli stesso reputa importanti per il proprio vivere,
per la propria esistenza. Sen distingue lo star bene dato dai funzionamenti acquisiti che sono
intesi come stati di essere e di fare costitutivi della propria vita, dal concetto di agency che
appartiene alla persona intesa come agente responsabile. La libertà di condurre diversi tipi di
vita si riflette nell‟insieme delle combinazioni alternative di functionings tra le quali una
persona può scegliere; questa può essere definita la «capacità » di una persona che dipende
da una varietà di fattori, incluse le caratteristiche personali e gli assetti sociali.
Un impegno sociale a favore delle libert à dell‟individuo deve implicare che si attribuisca
importanza all‟obiettivo di aumentare la capacità effettivamente possedute dalle persone, e i
diversi assetti sociali devono influenzare l‟attitudine a promuovere le capacità umane. Una
piena considerazione della libertà individuale deve andare al di là delle capacità riferite alla vita
privata, e deve prestare attenzione a molteplici obiettivi, rincorrendo anche certi fini sociali non
direttamente collegati con la vita dell‟individuo; l‟evoluzione e lo sviluppo delle capacità umane
322
devono essere assunti come impegni rigorosi e irrinunciabili perché indispensabili per la
promozione della libertà e del benessere individuali.
BIBLIOGRAFIA
Biggeri M., Bellanca N.(a cura di) (2010), Dalla relazione di cura alla relazione di prossim ità.
L‟approccio delle capability alle persone con disabilit à. Napoli: Liguori.
Ghedin E. (2007). L‟educazione attraverso il movimento: promuovere il ben-esseresociale in
un contesto di inclusione. In Canevaro Andrea (a cura di). L‟integrazione scolastica degli alunni
con disabilità. Trent‟anni di inclusione nella scuola italiana. Trento: Erickson.
SITOGRAFIA
Elemento non disponibile.
323
Q
QUALITA’ DELLA VITA
DEFINIZIONE:
Livello di benessere percepito e sperimentato abitualmente da un ind ividuo o da una comunità
sociale, non riducibile ai tradizionali parametri di tipo economico, connessi al concetto di
sviluppo (in prim is il PIL), ma misurabile attraverso un insieme di indicatori sociali, atti a
valutare, sul piano dei singoli soggetti, la garanzia di opportunit à reali di autorealizzazione
individuale; sul piano generale, la sostenibilit à degli investimenti volti a garantire il progresso
economico in termini di salute, occupazione, tutela dell'ambiente, sicurezza, partecipazione alla
vita collettiva. (treccani.it)
CITAZIONE:
“… gli interventi educativi familiari, scolastici, sociali possono facilitare i processi di costruzione
della personalità, dell‟identità personale, accompagnando la persona con disab ilità verso
l‟acquisizione di competenze funzionali al raggiungimento dell‟autonomia possibile e di una
migliore qualità di vita. […] L‟ottica dell‟ICF attribuisce centralità al benessere soggettivo, al
miglioramento della qualità della vita, attraverso la promozione delle attività personali e della
partecipazione sociale, rappresentando il funzionamento individuale come il risultato di una
complessa e dinamica interazione tra la condizione di salute e le variabili contestuali, in base al
modello biopsicosociale”. (Goussot Alain, 2011, p.138)
NOTA:
Nel 2001 l‟ICF (International Classification of Funf unctioning) si è posta come strumento di
ricerca, per misurare i risultati, la qualità della vita o i fattori ambientali, l‟interazione tra il
deficit di funzio namento della persona e il contesto sociale. Quest‟ultimo ha assunto, con l‟ICF,
un carattere determinante per def inire il grado della qualità della vita delle persone con
disabilità.
I domini della qualità di vita sono i seguenti (Verdugo Alonso e Schaloc k, 2002; Schalock,
Gardner e Bradley, 2007):
1. Benessere fisico
2. Benessere emozionale
3. Benessere materiale
4. Sviluppo personale
5. Relazioni interpersonali
6. Autodeterminazione
7. Integrazione sociale
8. Diritti
BIBLIOGRAFIA
Goussot A. (2011). Le disabilità complesse. Sofferenza psichica, presa in carico e relazione di
cura. Santarcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore.
Schalock R.L. e M.A. Verdugo Alonso (2002). Handbook on Quality of Life for Human Service
Practitioners. Washigton, DC: Edizioni AAIDD.
Schalock, R.L., Gardner, J.F., & Bradley, V.J. (2007). Quality of Life for people with intellectual
and
other
developmental disabilities.
Applications
across
individuals,
organization,
communities, and systems. Washigton, DC: Edizioni AAIDD.
SITOGRAFIA
http://www.un.org/disabilities/convention/conventionfull.shtml (22/03/2014).
324