Idea UNIVERSALIA
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PASSATA LA SBORNIA Sono finite le manifestazioni del decennale. Open day a go-gò, gadget e cotillon, biglietti d’invito e ospiti con le migliori griffe, musiche e libagioni. E’ vero: ci siamo emozionati, entusiasmati e commossi. Ne valeva la pena. Ma ora è passato. Tant’è che l’anno accademico in corso ha riservato alcune nuove sorprese che hanno sottolineato ancora una volta che l’Associazione Universalia3 non dorme sugli allori, ma ha la capacità e la voglia di diversificare i contenuti e di arricchirli sulla base anche delle proposte dei soci e delle loro aspettative. Abbiamo arricchito la proposta formativa, per l’anno accademico che si avvia a conclusione, di alcuni argomenti che abbiamo ritenuto potessero interessare gli iscritti della nostra Associazione: ● La storia di Milano - Vessillologia I 2600 anni di storia di Milano dalle origini ai giorni nostri attraverso i colori, i simboli, le leggende e gli aneddoti con la fedele riproduzione di 50 bandiere storiche. ● Introduzione alla Biologia Dalla teoria dell’evoluzione, alla cellula, alla genetica, all’ambiente e all’ecologia. ● Storia dell’Architettura: dall’inizio del novecento ai giorni nostri. ● Introduzione alla Storia delle Religioni: differenze e demarcazione delle varie religioni. ● Conversazione Inglese La sperimentazione di tutto ciò ha funzionato egregiamente. Grazie alla collaborazione di tutti abbiamo trascorso un altro anno accademico insieme pieno di stimolanti avvenimenti ed occasioni che ci consentono di continuare nella nostra missione con sempre più entusiasmo. Un caloroso abbraccio e un grazie a tutti voi dal Consiglio Direttivo. Michele Rainone RIFLESSIONI SULLE ISTITUZIONI EUROPEE: IL NODO DELLA SOVRANITA’ Si sia europeisti o meno, che l’Unione europea non funzioni è un dato di fatto. Ma per proporre soluzioni efficaci è essenziale comprendere, al di là delle ragioni addotte da governanti e politici, la cui obiettività è per forza di cose inquinata dalla propaganda, i reali motivi di tale malfunzionamento e, in questo, la storia può fornire utili chiavi interpretative. Se si guarda all’approfondimento istituzionale ed agli allargamenti della CEE/ UE a partire dal Trattato di Roma del 1957, è infatti piuttosto evidente come la sua struttura sia stata sviluppata dagli Stati, sia che la considerassero come convenienza economica, garante di stabilità e crescita, che come sistema di valori, garante di democrazia e libertà, più sulla base della convergenza degli interessi nazionali che di un progetto europeo a sé stante. Il fine: poter godere dei benefici, soprattutto a livello economico-commerciale, della dimensione continentale, senza rinunciare alla sovranità nazionale. Ciò spiega la forma ibrida, solo parzialmente sovrannazionale,delle istituzioni UE: oltre ad un Parlamento, privo però di pieno potere legislativo, e alla Commissione pseudo-esecutivo estremamente burocratizzato - i veri organi decisionali hanno infatti carattere intergovernativo, non europeo. Il Consiglio europeo, che raduna i 28 leader dell’UE al livello più elevato di cooperazione politica tra gli Stati membri, prende infatti decisioni per consenso e in riunioni non pubbliche, mentre il Consiglio dell’Unione Europea, o dei Ministri, sulle questioni più importanti, quali la politica estera e di sicurezza comune e le finanze, vota all’unanimità, principio cardine delle procedure intergovernative.Sono quindi organi che possono, e intendono, pervenire a decisioni di comune interesse solo nella misura in cui questo corrisponde a compromessi tra interessi nazionali; da qui il dedalo di eccezioni, opt-outs, regolamentazioni specifiche e differenziazioni nel grado di integrazione politico/ economica, incastonate a loro volta in una rete più ampia di accordi di ogni genere e natura, che danno all’Europa la sua struttura così poco comprensibile. Ma se l’ottica politica è nazionale, non più lo sono i problemi da affrontare, di portata incontestabilmente europea, né gli strumenti a disposizione per affrontarli, ormai in gran parte comunitarizzati, come la moneta. Da qui il paradosso: gli Stati nazionali, checché se ne dica, non possono più fare a meno dell’Europa, ma, non volendo cedere la sovranità, scelgono di agire tramite istituzioni incapaci di elaborare soluzioni europee, le quali, Segue a pag. 2 ➼ SOMMARIO MAGGIO 2016 2 COSTUME&SOCIETA’ I gentlemen's club di Milano di Guglielmo Martinello Leggendo il giornale, buone notizie dal mondo di Fulvia Senigaglia Quando a Milano c'erano i Martinitt (parte seconda) di Sergio Cinquanta p.3 p.4 p.5 d’altro canto, sono le uniche in grado di risolvere problemi europei. Un tale sistema diventa a fortiori ingestibile quando gli interessi nazionali sono cogenti e i compromessi impossibili. Le crisi economica e migratoria in corso lo dimostrano nitidamente: le misure adottate per farvi fronte, basate sulla diade assistenza finanziaria/sorveglianza+riforme, non sono altro che tentativi di conciliare l’inconciliabile e hanno infatti innescato un circolo vizioso in cui nulla è stato risolto e tutti gli Stati si considerano vittime di una chimerica Europa, austera e crudele o questuante e irresponsabile, a seconda che si piatisca o si bacchetti. Come uscirne, quindi, se non risolvendo il paradosso di cui sopra? Se non con una politica estera che non sia la media di 28 politiche estere nazionali, e con una politica economica, finanziaria e fiscale comune, ovvero, in ultima analisi, con uno Stato europeo? Si sia europeisti, o meno, anche questo è un dato di fatto. S’impone pertanto, posto che quella attuale è inceppata e va riformata, una scelta definitiva su quale Europa vogliamo: se una fluida, poco vincolante, mera area di libero scambio ma anche meno compartecipe, oppure una unita, più solidale, magari più piccola dell’attuale UE – e l’eventualità Brexit (°) non sarebbe più così spaventevole – ma richiedente maggiori responsabilità politiche e la messa in questione della sede della sovranità. Il punto è solo questo; sostenere altro significa fare del tema europeo niente più che un comodo alibi. A tal proposito è opportuno segnalare che alcune autorevoli voci hanno già suggerito quale delle due sia la scelta giusta: la condivisione della sovranità. I due governatori delle Banche nazionali di Francia e Germania, in un articolo congiunto, hanno motivato la necessità di un Ministro La fotografia dall'analogico al digitale p.6 di Gianfranco Mineri Mi sono reinnamorata di Milano p.6 di Maria Pia Bacchi ATTIVITÀ UNIVERSALIA3 Appunti di viaggio di Tina Perini p.16 del Tesoro europeo con parole che val la pena riportare integralmente: “L’asimmetria tra sovranità nazionale e solidarietà comune costituisce una minaccia per la stabilità della nostra unione monetaria (…) Un apparato (…) fondato sulla responsabilità individuale dei singoli Stati nazionali comporterebbe regole più stringenti (…) e così pure il rischio delle esposizioni debitorie degli Stati (…). Andare in questa direzione consente di conservare la sovranità nazionale, con un livello di solidarietà inevitabilmente più basso e un riequilibrio tra responsabilità e controllo”1. Ancora oltre si sono spinti i Presidenti dei Parlamenti di Francia, Germania e Lussemburgo, che, su iniziativa della Presidente della nostra Camera, Laura Boldrini, hanno firmato una dichiarazione, “Più integrazione europea: la strada da percorrere” 2 da presentare in sede UE e che, come sottolinea la Boldrini stessa, lancia un forte messaggio politico: bisogna “avere il coraggio di condividere la sovranità (…) in tutti quei settori in cui l’azione dei singoli Stati oramai è del tutto inadeguata (…) e di andare avanti per la strada che venne tracciata nel 1941 a Ventotene: la strada degli Stati Uniti d’Europa”3. Resta ancora da fare una considerazione. Se, come osservava già nel 1950 uno degli estensori del Manifesto di Ventotene e padre fondatore dell’Europa, Altiero Spinelli, “una conferenza di Stati per la redazione di un patto di unione federale sarebbe una contraddizione in termini”4, a chi spetta l’onore e l’onere dell’iniziativa? Forse a noi, cittadini europei prima che italiani, tedeschi, francesi etc, perché l’Europa non è necessariamente l’incomprensibile Leviatano di oggi, ma può diventare uno spazio politico democratico “dotato d’una storia plurimillenaria, d’una cultura, d’una civiltà e di una ric- Visitando il nuovo museo egizio di Torino di Giuliano Oggionni In margine a una gita a Bergamo di Carla Dentella Parliamo di psicologia La melanconia di Vezio Mari p.16 p.18 p.19 chezza antica che ne farebbe uno dei continenti più potenti del pianeta” 5. Raffaella Cinquanta La Dott.ssa Raffaella Cinquanta ha tenuto – il 9 febbraio scorso - una applaudita conferenza presso la nostra Associazione dal titolo: “Unione Europea: allargamento e approfondimento"; le slides presentate possono essere richieste in segreteria. (°) NdR: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea; il referendum per i cittadini britannici è fissato per il prossimo 23 Giugno (1)“La Repubblica”, 9 febbraio 2016 (2)http://www.camera.it/application/ xmanager/projects/leg17/attachments/ shadow_mostra/file_pdfs/000/024/057/ Rome_Conference_on_Europe_Declaration_IT.pdf (3)Intervento in occasione dell’incontro con i docenti della Rete Universitaria europea ‘Verso l’Unione politica’ sul tema ‘La revisione dell’assetto costituzionale della UE in una prospettiva federale’ - Montecitorio, Sala della Regina, 15/2/2016 (http://presidente.camera.it/5? evento=1153&intervento=1153) (4)Rapporto di Spinelli al Consiglio dei Popoli d’Europa (Strasburgo, 21/11/1950) in “Trent’anni di vita del Movimento Federalista Europeo”, a cura di Lucio Levi e Sergio Pistone, Milano, Franco Angeli, 1973, pp. 134-135. (5)Eugenio Scalfari, “Boldrini: l’Europa è a pezzi, rilanciamo l’utopia dei fondatori”, La Repubblica, 5 febbraio 2016 L Costume&Società 3 I GENTLEMEN’S CLUB DI MILANO La svolta c’è stata, è davanti a tutti: deputate e senatrici in Parlamento, ministre al Governo, prime rettrici di prestigiose università, donne manager di società quotate in Borsa e così tante altre in posti guida da sempre retti da uomini. Il potere delle donne italiane per dare forza a una società più moderna, libera da vecchi codici e in grado di trasformare il nostro Paese è ormai un dato di fatto, in grado di rompere quella discriminazione non dichiarata, chiamata dagli anglosassoni glass ceiling, ovvero tetto di cristallo. Si tratta di una barriera non ufficiale che da sempre ha impedito alle donne di avanzare e salire nella scala sociale ai vertici della carriera; molto è stato fatto ma il traguardo della parità tra i due sessi non è stato ancora raggiunto e un esempio eclatante è quello della Società del Giardino, del Circolo dell’Unione e del Clubino, tre vecchi club milanesi fermamente sordi ad aprire l’adesione alle donne e ligi a cerimoniali che oggi possiamo definire innocue stramberie. A tutti gli effetti appaiono come delle isole esclusive e inaccessibili, riservate all’élite dell’élite costituita da discendenti di nobile lignaggio, businessmen in carriera, famosi e corteggiati avvocati, liberi professionisti e così via. Sono sorte sull’esempio dei gentlemen’s club, circoli privati per soli uomini di Pall Mall e St. James’s Street a Londra e sono rimaste gli ultimi baluardi del maschilismo e snobismo anglosassone anche se, nel frattempo, la situazione sociale nel Regno Unito è notevolmente cambiata. Ben lo dimostra il Reform Club, frequentato da sir Winston Churchill, che è stato uno dei primi non solo a spezzare il divieto di ammissione alle signore tra i suoi soci nel 1981, ma anche a modificare il rigido codice di abbigliamento (in seguito al caldo torrido che si abbattè sulla capitale britannica nel 2014), consentendo ai soci di togliere la giacca nei locali comuni, fermo restando il divieto di indossare jeans e sneaker. Un altro celebre caso è il Carlton Club, saldo bastione dei conservatori colpito da una bomba dell’IRA nel 1990, dove le ladies – fatta eccezione di Margaret Thatcher, nominata membro onorario – fino al 2008 non vi erano ammesse. In queste oasi piacevolmente anacronistiche, ristretti gruppi di uomini mantengono interessi affini e le motivazioni vanno dagli affari all’amicizia, dal biliardo al bridge, dai tornei di tennis alle gare di sci, dai pranzi esclusivi alle feste come il Ballo delle Rose (°), dalla palestra alla rinomata scuola di scherma e, last but not least, dalle sale di lettura e conversazione al barbiere personale. Inoltre, per chi viaggia, l’accesso è garantito ai club pari merito e, tra quelli a Londra, eccellono il White’s, considerato il primo circolo privato per uomini fondato sul finire del XVII sec. dall’immigrato italiano Francesco Bianco e dove il principe Carlo tenne il suo primo addio al celibato; il Boodle’s, rinomato già all’inizio del XIX sec. perché da qui il re dei dandy, lord Brummel, dettava l’eleganza sartoriale ai nobili inglesi; o il Brooks’s, famoso per le somme altissime che i suoi soci scommettevano sulle cose più insignificanti per mitigare la noia. Le roccaforti milanesi di questo sorprendente mondo elitario sono nascoste entro palazzi con corridoi silenziosi e perfetti salotti conservati malgrado guerre e distruzioni, nei quali non si deve contravvenire alla riservatezza che impone un educato silenzio sugli iscritti. La più antica è la Società del Giardino, in via S. Paolo 10, e ha sede nel palazzo di fine Cinquecento fatto costruire dal banchiere genovese Leonardo Spinola. Fondata nel 1783 da un gruppo di appassionati di bocce, conta oggi circa 450 iscritti solo maschi e tra i soci storici annovera il poeta Carlo Porta. E’ altresì la sede della più gloriosa scuola di scherma d’Italia fondata nel 1882, tra le cui pareti si sono allenati 51 campioni olimpionici. Vanta il fastoso Salone d’Oro tardo neoclassico, riassestato nell’aspetto originario dopo il bombardamento che fracassò la volta e la Sala d’Argento, d’ispirazione eclettica, pure sconvolta dalle bombe nell’agosto 1943. La sala da pranzo così come il salotto degli scacchi, dei biliardi e della lettura sono riservati agli iscritti , mentre la foresteria è aperta anche agli ospiti. Il Circolo dell’Unione è il ritrovo storico degli esponenti delle grandi famiglie della nobiltà milanese. La sede originaria, inaugurata nel 1841 si trovava in contrada S. Giuseppe oggi via Verdi e si ispirava al parigino Jockey Club. Dopo la chiusura sotto il governo austriaco, il sodalizio riaprì e nel 1859 annoverò tra i suoi soci Camillo Benso conte di Cavour. Seguirono altri trasferimenti e nel 1912 assunse il nome Club dell’Unione mutato in quello attuale nel 1935, per l’insofferenza del fascismo verso le parole straniere. Negli anni Ottanta del secolo scorso, la sede fu infine trasferita all’interno del Palazzo Borromeo d’Adda, in via Manzoni 45 e ora conta all’incirca 550 soci tutti rigorosamente uomini. Le mogli, le figlie e le amiche possono pranzare al ristorante, frequentare la foresteria, organizzare tè nei bei saloni ma non accedere al cuore del circolo costituito dal saloncino con biblioteca ed emeroteca, angolo per il biliardo e sala con caminetto per pasti riservati. Il Clubino, definito anche Clubino Dadi, è considerato il circolo per gentiluomini più esclusivo d’Italia oltre che il club dei grandi dell’economia nazionale, come Barilla o Tronchetti Provera. Fondato nel 1901 da una scissione del Circolo dell’Unione si trova dal 1928 nel prestigioso palazzo degli Omenoni della seconda metà del XVI secolo. Annovera circa 600 soci; le donne sono ammesse come ospiti. E’ un’oasi dove godere la comodità di locali comuni tuttolegno con poltroncine L'ingresso del palazzo degli Omenoni e quadri di cavalli secondo la tradizione anglosassone, la foresteria (usata da Gianni Agnelli), il ristorante con buona cucina e camerieri discreti e, in caso di trasferimento, club con i quali i soci hanno rapporti di reciprocanza come il Circolo degli Scacchi di Roma, il Boodle’s di Londra, il Nouveau Circle de l’Union e il Traveller’s di Parigi o il Knickerbocker di New York. Guglielmo Martinello Guglielmo Martinello docente Universalia3 del corso Lingua Inglese (°) Si svolge il secondo giovedì di giugno alla Società del Giardino e, ovviamente, il gentil sesso è ben accolto. MAGGIO 2016 Q 4 Costume&Società LEGGENDO IL GIORNALE, BUONE NOTIZIE DAL MONDO Questa mattina vorrei scrivere una storia, ecco sì una bella storia! Ne ho scritte tante negli anni, per bambini forse, ma anche no volendo leggere tra le righe. . . Storie così, anche antistorie, dove i cattivi non sono mai del tutto cattivi e alcune streghe sono talvolta più simpatiche delle fate, carine certo ma spesso un poco stucchevoli. Prima però voglio fare colazione così forse mi ispiro. . . E’ un giorno tranquillo, sono di buon umore e c’è pure il sole; preparo il te con lo zenzero e la curcuma, la marmellata biologica senza zucchero, lo yogurt con le fragole di bosco. Mi siedo e apro il giornale, simpatica abitudine mattutina. Prima pagina : un gommone mezzo sgonfio affonda con il suo carico, anzi stracarico, molti dispersi in mare, molti fortunosi salvataggi. Come ogni giorno, non fa nemmeno più notizia, salvo per le drammatiche fotografie a mezza pagina. Seconda pagina: al centro un’altra grande foto come un pugno allo stomaco. Un bimbo viene trovato ormai morto sulla spiaggia dove si è arenato; inconsapevole, fuggiva con la famiglia dalla guerra, aveva tre anni e una maglietta rossa. Mani pietose lo sollevano con dolcezza. Con crescente disagio volto ancora pagina: leggo che un migrante ( definito “non economico”. Giusta definizione: uno deve scappare da guerre, terrorismi e persecuzioni, altrimenti stia lì al suo paese, anche se muore di fame e si arrangi, perché dovrebbe cercare di meglio?) un migrante “non economico” dicevo, che sta scappando con il suo bambino in braccio, viene sgambettato (sic!) da una zelantissima giornalista, sì proprio una giornalista, non una incolta e fanatica guardia armata e cade rovinosamente a terra con il bambino mezzo schiacciato, dolorante e in lacrime sotto di lui. Lo sgambetto vigliacco non è vietato anche nel calcio? Padre e bambino riescono a rialzarsi e a scappare, la giornalista, buona notizia, viene licenziata. Volto ancora pagina, anche qui edificanti foto ci illustrano: alla frontiere di alcuni paesi per fermare il flusso di disperati in fuga vengono alzati muri di filo metallico spinato. Suppongo, penso fra me e me, anche forniti di corrente elettrica, se no a cosa servono? Infatti non servono proprio, non ce la fanno a respingere una massa di persone, non feroci assassini in fuga, no, famiglie normali, uomini donne, ragazzi, tantissimi bambini, nonni dignitosi e affaticati che non avendo più nulla da perdere, rischiano tutto, anche la vita, sperando in un futuro migliore chissà dove. Altrove invece i muri sono muri umani di uomini in divisa che per impedire il passaggio adoperano con durezza i manganelli e, dove non basta, i lacrimogeni anche su vecchi e bambini. La folla però non demorde, spinge, preme, urla la sua rabbia e il suo dolore, non può fermarsi né tornare indietro. Vengono infine tutti spintonati, incolonnati come mandrie, fatti salire su autobus dall’incerta destinazione. Tutti hanno pagato somme ingenti, sudati risparmi e hanno sofferto troppo nella speranza di raggiungere l’eldorado europeo che ora li respinge. Leggo discorsi velenosi di politici vari: non li vogliamo, sono pericolosi, sono terroristi, sono soprattutto islamici, vogliono toglierci la nostra identità, la nostra cultura, la nostra religione, finiremo tutti islamizzati(sic!). Mi fermo, ma non era una ricchezza la società multietnica, lo scambio, l’integrazione fra genti diverse, lo stare insieme, l’imparare l’uno dall’altro, l’insegnare la tolleranza? E i valori morali comuni della nostra evoluta civiltà dove li mettiamo? La solidarietà, l’umanità, il benessere, la libertà, il futuro? Non siamo stati anche noi migranti per miseria e spesso anche noi mal accolti e mal tollerati? Ma allora non è cambiato niente, i muri abbattuti come una conquista vengono ora rialzati contro persone stremate e disperate che un giorno forse ci odieranno per questo. Perplessa scorro altre pagine: qui non ci sono migranti, c’è una donna sola, malata, antipatica a tutti, trovata in casa morta dopo due anni con la porta sigillata con nastro adesivo dai condomini perché si sentiva cattivo odore e non era il caso di fare indagini più approfondite, senz’altro la casa era vuota e la puzza era per lo sporco, la vicina antipatica meno male se ne era andata ora a dar fastidio altrove. Nessuno dei condomini vuole parlare adesso, forse, speriamo, si vergognano un poco. Un tassista molto gentile ed educato invece ha impedito decisamente l’accesso al suo prezioso tassì ad un disabile in carrozzina, troppo scomodo e seccante dargli una mano probabilmente o forse paura di sporcare l’automobile. Spero che si vergogni anche lui. Un ragazzo troppo fragile si ammazza perché oppresso da coetanei bulli e maleducati, che, dopo scherzi pesanti ai suoi danni, naturalmente postano su Facebook le foto irridenti e troppo cattive da sopportare in un paesino di poche persone; forse giovani sciocchi e immaturi più che mostruosi, ma soprattutto privi di basi etiche e culturali e di umanità e comprensione.. Continuo a leggere e trovo bellissime pubblicità, la moda invernale, il successo di Expo, pagine e pagine di sport, la cultura e gli spettacoli ma ho comunque l’amaro in bocca, anche il sole si è un poco oscurato. Il tempo dedicato alla colazione è terminato, chiudo il giornale e non ho più voglia di scrivere una storia, una bella storia, con una solida morale, dove accade un po’ di tutto ma il finale è sempre ottimista, come appunto piace ai bambini. Mi sento fuori tempo e anche lo yogurt con le fragole mi sembra ora meno buono. Fulvia Senigaglia I Costume&Società 5 QUANDO A MILANO C'ERANO I MARTINITT (Parte seconda°) La drammatica Pasqua del 1962 I primi mesi dell’anno, come soleva a quei tempi, furono gelidi, nevosi e ventosi, ma la primavera, con la Santa Pasqua ad inaugurarla il 14 di aprile, pochi giorni prima dell’equinozio, avrebbe riportato gioia e sole a tutti. Noi compresi. Il sole sicuramente, la gioia… Vabbè. Comunque tutto andava per il meglio: la scuola, le pulizie, le ricreazioni, le punizioni, e così via; ma un istitutore, il signor Battoraro, ottima persona che si era fatta le ossa negli oratori, che sapeva suonare un sacco di strumenti, compreso l’harmonium della chiesache ogni domenica pompava a vigorose pedate sui mantici, e che, soprattutto, sapeva trattare con i ragazzi, decise che quell’anno si sarebbe cambiato perché i tempi erano maturi: si sarebbe fatta una vera, impegnativa recita; cosa non nuova in sé, viste le esilaranti farse che annualmente si tenevano nel nostro teatro. Ma quell’anno decise di picchiare duro: La “Passione di Cristo”!Oh Gesù! In tutti i sensi. A molti, nei piani superiori, considerata la storia passata e allora corrente dell’Orfanotrofio, tremarono le gambe: pieno di suore e di personale molto religioso e, me lo si consenta, in alcuni casi eccessivamente conservatore (eufemismo), un’idea del genere poteva sembrare un atto rivoluzionario. Ma il direttore Melzi, di recente nomina, il nuovo cappellano, Don Antonioli, e uno strano, inverosimile profumo di libertà, di desiderio di nuovo che lentamente cominciava ad insinuarsi nella società milanese, e di riflesso fra le nostre mura, decisero che si, la recita si sarebbe fatta, e pure con gran dispendio di energie e mezzi. Costasse quel che costasse, la recita andava fatta! Ma dove trovare gli attori? Beh, eravamo circa mezzo migliaio, vuoi che non ne venga fuori una star del palcoscenico? Ebbene si, effettivamente uno divenne piuttosto famoso, ma questa è una storia che affronteremo più avanti. Fu così, dunque, che il signor Battoraro partì in quarta: ogni sera le prove; le suore a cucire i costumi; Giuda a baciare e Gesù a gemere e ad accusare qualcuno di tradimento e gli apostoli a chiedere: “Sono forse io, Signore?” E questo lo posso dire con cognizione di causa perché io ero uno di quelli, degli apostoli voglio dire, e malgrado ogni tanto dovessi far parte della folla, alle volte a favore, altre contro, tutto il mio ardore artistico andava in quella frase: “Sono forse io, Signore?” Ma il de- stino, per me, già aveva deciso altro. Arrivammo alla recita sfiniti, letteralmente distrutti, ma pieni di entusiasmo! Ora, tutti noi conosciamo la “Passione di Cristo”, ma forse pochi conoscono quanto sia difficoltosa la messa in scena in un teatro, soprattutto utilizzando come attori dei ragazzi totalmente inesperti. Occorre quindi che si diano qui pochi semplici consigli nel caso qualcuno di voi decidesse di mettere in scena un dramma del genere o anche solo recitare La Vispa Teresa. La prima cosa da prendere in considerazione è l’inclinazione del tavolato del palcoscenico verso la platea: se non si sta più che attenti nell’entrare dal fondo con foga si rischia di cadere in braccio alla prima fila, e tutti i movimenti vanno fatti con un certo equilibrio proprio per non perderlo, l’equilibrio intendo. Poi ci sono le luci che in genere accecano, pertanto mai fissarle e guardare il pubblico da lontano ma sempre a bordo palco ed evitando, se possibile, qualunque abbagliamento. Quindi la voce: quando si recita dirigerla sempre verso gli ascoltatori; nell’impossibilità dovuta alla regia, aumentare la potenza dell’emissione in proporzione alla distanza e all’eco. E poi c’è il dietro le quinte, chiamato oggi, con un francesismo all’inglese (o viceversa), Backstage: un antro pauroso, scuro, zeppo di funi, catene e sacchi di sabbia appesi, di rotoli di sfondi e materiale di scena in cui è facile inciampare, soprattutto con la poca luce del cambio di scena fra un atto e l’altro. Ma la cosa più spaventosa era una imbracatura che permetteva di sollevare l’attore a qualche metro d’altezza: si insomma, ci voleva un bel coraggio a salirvi sopra ed a dondolarsi nel vuoto a quattro, cinque metri dal tavolato. E’ per questo motivo che nessuno voleva fare la parte di Giuda. Non tanto per il personaggio in se, considerato a torto infido e traditore per via della nostra educazione religiosa, ma, diciamolo, per la fifa. Perché era lui che, simulando la propria impiccagione, avrebbe dovuto fare uso dell’imbracatura. Comunque l’eroico attore fu infine trovato, o obbligato, non ricordo bene; comunque esso lo fu. Venne quindi il giorno fatidico: tutti tesissimi, preparati ed emozionati. E la recita ebbe inizio. Cristo fece la sua parte, come Pilato del resto, e così Giuda, la folla, gli apostoli e così via; l’accoglienza fu strepitosa e gli applausi scroscianti a scena aperta. Ma il successo, quello vero, lo si vide dal comportamento del pubblico durante la recita: il pianto delle suore e la paura dei più piccoli quando videro fustigare Cristo, la disperazione e le preghiere, sempre delle suore, alla vista della crocifissione e, dulcis in fundo, nel senso di successo ovviamente, l’immane urlo di orrore di tutti gli spettatori, piccoli e grandi, religiosi e laici, maschi e femmine (le suore), sentito probabilmente sin nei più reconditi anfratti degli stabilimenti dell’Innocenti, al vedere le gambe di Giuda penzolare da una parte all’altra del palcoscenico. E con questa terribile immagine ebbe termine la recita, bagnata, con triste gioia, da un profluvio di commosse lacrime. Insomma, fu l’apoteosi. Ma, come dicevo, il destino aveva in serbo per me altre scelte. Il giorno prima della recita fui chiamato in direzione dove aspettava mia sorella: era morto nostro padre. Così uscii dai Martinitt per rientrarvi qualche giorno dopo, a spettacolo ormai passato alla storia. La descrizione dello stesso è basata sul racconto fattomi dai miei compagni-attori e dalle testimonianze del personale e delle suore le quali, per molti anni ancora, lo ricordarono con commozione; oltre, ovviamente, dalle impressioni rimastemi delle prove generali in costume. Una cosa mi è rimasta da scoprire e che, suppongo, non scoprirò mai più: come apostolo sono stato sostituito o sono rimasti, essi, in undici? Propendo per la seconda possibilità. Chi mai, con tutta quell’emozione, si sarebbe messo a contarlii dodici o undici apostoli? E poi, chi avrebbe mai saputo recitare a par mio la drammatica e ormai fatidica frase: “Sono forse io, Signore?”Nessuno! Ergo. Ma il merito maggiore deve andare al sig. Battoraro che seppe insegnare, dirigere e gestire un’opera così complessa. Per questo lo voglio qui ricordare con miei più vivi ringraziamenti. Anche perché da lì, poi….. ma questa è un’altra bellissima storia che leggeremo più avanti. Sergio Cinquanta Sergio Cinquanta docente Universalia3 dei corsi Informatica di base e avanzata; Musica&parole (°) La prima parte è stata pubblicata su Ideauniversalia n. 25-maggio 2015 pag.4 MAGGIO 2016 L 6 Costume&Società LA FOTOGRAFIA ― DALL'ANALOGICO AL DIGITALE La fotografia negli ultimi vent’anni ha vissuto enormi cambiamenti, passando dall’analogico (pellicola) al digitale. Con quest’ ultima tecnologia la fotografia si è diffusa più velocemente che in passato e il merito indubbio è del mezzo che attualmente viene usato di più: lo smartphone che tutti abbiamo, o quasi. Lo smartphone è diventato quello che in un film visto recentemente è stato chiamato: la scatola nera della nostra vita. Termine azzeccatissimo. Contiene tutto: parole, pensieri, ricordi e foto, tante foto che magari non avremmo scattato con una macchina fotografica. Forse esageriamo con i selfie o gli autoscatti magari da postare sui Social che, eccessivamente invasivi e irrispettosi, possono portare frequentemente alla cannibalizzazione dell’arte fotografica. Devo ancora decidere se questo mi piace o no. Amo fotografare con la macchina fotografica, lo considero un rito prezioso. Una ricerca, la meno frettolosa possibile, che ci porta a cercare le cose e poi N a fermarle in uno scatto: visto, voluto e vissuto. Il compulsivismo che accompagna molto spesso l’uso del digitale in generale, con lo smartphone sempre a portata di mano (e di occhio), rischia di minare in parte il merito sostanziale di tale mezzo che ha portato molte più persone ad avvicinarsi ad un obiettivo fotografico (o suo sostituto) per imprimere ciò che vede e ciò che amerà ricordare. Ma non è il male assoluto. Di fatto sono cambiati i mezzi di utilizzo della fotografia, ma non il fine. Avendo l’approccio giusto questa evoluzione tecnologica (il digitale) può aiutare a sviluppare ed accrescere la nostra potenzialità creativa, perché ci permette di sperimentare di più: vedo, inquadro, scatto. Se non mi piace cancello e riprovo. Con l’analogico non avevamo l’immediatezza del risultato. Prima dovevamo svilupparle tutte le foto per vedere se avevamo tagliato qualche testa o i piedi. Rimaneva l’impotenza e il dispiacere di non poterla correggere e di rifarla, recuperandola.. Certo era impagabile la soddisfazione e l’emozione di sviluppare un negativo e toccare poi la foto stampata. Di guardarla e riguardarla. Chi ormai, con grande attenzione e passione, prepara più un album di ricordi da sfogliare e da tramandare di generazione in generazione? Cose passate e quasi del tutto perse. Ma il mondo corre, molto veloce e noi dobbiamo restare al passo. Che sia un dovere o un piacere anche per un romantico della Fotografia. E quindi mi viene da dire: la Fotografia è viva e si evolve. Viva la Fotografia. A noi fotografi, anche amatoriali, resti il monito di usarle sempre rispetto. Gianfranco Mineri Gianfranco Mineri docente Universalia3 dei corsi Fotografia digitale; Photoshop MI SONO REINNAMORATA DI MILANO Non so se sarà l’effetto Expo e il conseguente orgoglio italo-milanese, ma è da un po’ di tempo che sto riscoprendo Milano. La sto guardando con occhi nuovi, innamorati. Occhi che sicuramente molto perdonano, ma che colgono dettagli che non venivano più colti. Credo che forse per tutti, la Milano del dopo boom industriale avesse assuefatto i nostri sensi al peggio, lasciandoci in un limbo di rassegnazione e accettazione percettiva mediocre. Adesso avverto fermento nell’aria, come non lasciarsi contagiare? Mi è tornata la voglia di girovagare zig-zagando per le strade, scoprendo o riscoprendo angoli inaspettati. Il distretto di via Tortona-Savona è una delle immagini simbolo di questa effervescenza. Architetti e designer hanno trasferito le sedi dei loro prestigiosi studi in questa zona recuperando spazi industriali in modo eccellente e nel periodo del Fuorisalone basta passeggiare per le vie della zona per ammirare esposizioni a cielo aperto. Il Design italiano è o no il più ammirato e ricercato in tutto il mondo? Ecco noi lo abbiamo a portata di mano, pardon...di vista. Altro esempio la Fondazione Prada, che con il solo fatto di esserci ha dato spolvero e visibilità a un quartiere (zona Ripamonti) desolato e trascurato. Sorprendente! Non vogliamo parlare dell’ormai gettonatissima Piazza Gae Aulenti e dell’Unicredit Tower? Può piacere o no, ma è innegabile il fascino di questo inserimento modernissimo nel contesto del vecchio quartiere Garibaldi-Isola. Vi è mai capitato uscendo dalla nostra sede di via San Marco volgere lo sguardo a destra? In una giornata limpida la luce rosata del tramonto si riflette sulle finestre già accese del grattacielo e il profilo si staglia netto contro il cielo. Mi sembra di vedere la scena di un film americano dove l’onnipresente Ponte di Brooklyn fa da sfondo a tutto. Bene, adesso abbiamo anche noi il nostro sfondo a tutto. Persino la nostra Chinatown ha recuperato godibilità. Con la nuova isola pedonale è tornato piacevole passeggiarci e al vicino Cimitero Monumentale, riproposto come museo a cielo aperto, nei fine settimana vengono organizzate numerosissime visite guidate (sorprendentemente da giovani). Anche sui gettonatissimi Navigli alcuni spazi recuperati, come lo scalo ferroviario di Porta Genova, sfrattando l’ormai desueta Fiera di Sinigaglia, fanno da location a luoghi ricchi di offerte culinarie: food truck, market a km. 0, ristoranti bio, etc. La Darsena finalmente recuperata? L’unico appunto…un po’ più di verde per favore! Quando passo in Corso Garibaldi o vie limitrofe, davanti a negozietti come Au nom de la rose, che cosparge di petali di rosa il marciapiede antistante, sorrido. E’ bello! Sorrido quando vedo i turisti in giro per Milano che vivacizzano la città e sono aumentati in modo esponenziale, con gran merito ai nostri meravigliosi musei e alle proposte di qualità che sempre offrono. Sorrido quando incontro le vecchie apecar colorate ed allegre trasformate in negozietti vintage itineranti o in food-truck che offrono cibo da strada, spaziando dalle gallette bretoni alle panelle siciliane. Milano è bella. Bella bella! Chi non lo ha ancora fatto…la riguardi e la riscopra! Maria Pia Bacchi Maria Pia Bacchi docente Universalia3 del corso Decorazione oggetti 7 L’ A T T I V I T À 2015 D I D A T T I C A 2016 NOTA DELLA REDAZIONE Il numero di Maggio del nostro magazine – l’ultimo del nostro anno accademico – è tradizionalmente dedicato alla presentazione dei lavori che i Soci/allievi dei vari laboratori artistici hanno realizzato, sotto l’esperta e paziente guida dei nostri validi Docenti, nel corso dell’anno accademico. I lavori che trovate fotografati nelle pagine seguenti sono la sintesi di quanto appreso nello svolgimento del corso e trasmettono il senso di una significativa padronanza delle tecniche realizzative. Ai Soci va il sincero apprezzamento per il lavoro svolto e ai Docenti il sentito ringraziamento del Consiglio Direttivo per l’impegno e la dedizione che vengono profuse senza risparmio di energie fisiche e mentali. Decorazione oggetti 8 DOCENTE: MARIA PIA BACCHI Carla Riva Lidia Carcione Angela Bertoletti Giorgia Carta Qui sopra a sinistra, Pasqua Crapuzzo. Sopra a destra, Silvana Muratori. Qui accanto, Patrizia Teruzzi. Decorazione oggetti 9 Sotto a sinistra, Maria Ceccarelli. Sotto a destra, Carmela Andreula. Enrica Bertullo Luciana De Mari Maria Assunta Giobbo Lucia Trabati Luisella Ighina Gabriella Restocchi Luisa Polito MAGGIO 2016 Acquerello 10 DOCENTE: ROSI MAURI Angela Perrotta Anna Maria Freschi Antonia Casati Gabriella Biondi Marina Rolando Sopra, Fulvia Senigaglia. Accanto a sinistra, Maria Luisa Villa. A destra, Loredana Rossetti. Acquerello 11 Daniela Polo Luisa Borioli Gatti A sinistra, Giuseppe Dal Dosso. In alto a sinistra, Luisa Polito. In alto a destra, Lucia Zerbinato. Rosetta Ghiandoni Luisa Bonatti Alberto Sacchetto MAGGIO 2016 Disegno e colori 12 DOCENTE: SANDRO CIGOLINI A sinistra, Daniela Polo. In alto, Alberto Sacchetto. Sotto, Lucia Zerbinato. A destra, Laura Zenoni. Sotto a sinistra, Anna Teresa Intilla. Sotto a destra, Elena Rader. Disegno e colori 13 Loredana Rossetti Luisa Borioli Gatti Luisella Ighina Maria Luisa Villa Rosanna Zuliani Fulvia Senigaglia Luisa Polito MAGGIO 2016 Disegno e tecniche diverse 14 DOCENTE: VITTORIO BERTOLAZZI Loredana Rossetti Luisa Borioli Gatti A sinistra, Maria Luisa Villa Sopra, Luisa Polito Disegno e tecniche diverse 15 In alto a sinistra, Giuseppe Daldosso. In alto a destra e a sinistra, Daniela Polo. A lato, sinistra e destra, Anna Teresa Intilla. MAGGIO 2016 16 Attività Universalia 3 Il 20 gennaio scorso un nutrito gruppo di soci si è recato a Torino a visitare il rinnovato museo egizio. Di questa esperienza abbiamo la testimonianza sia di una socia - Tina Perini - sia dell’ideatore dell’iniziativa (°) e preziosa guida: il docente Giuliano Oggionni. APPUNTI DI VIAGGIO In perfetto orario i partecipanti alla visita si sono ritrovati con il nostro capoguida Giuliano Oggionni. Siamo saliti sul Frecciarossa che bello, caldo, pulito e in perfetto orario ci ha traghettati a destinazione in un’ora! A Torino splendeva il sole e c’erano due gradi in più di Milano. La sede del Museo Egizio è raggiungibile a piedi in un quarto d’ora circa. Questo museo è un’immersione in un altro mondo che ti obbliga a pensare. Si segue il percorso con l’audioguida che illustra via via il materiale raccolto. Personalmente mi è stato guida un versetto scritto su uno dei papiri che illustrano la Sala del tribunale dell’aldilà in presenza di Osiride e dei quarantadue giudici che recita “Salute a te o grande Dio, signore delle due Maat. Io vengo a te o mio Signore essendo stata condotto a contemplare la tua bellezza”. Sia che noi siamo religiosi o agnostici i reperti di questo museo incutono rispetto per la loro alta considerazione del mondo dell’aldilà. In termini attuali gli Egizi hanno raggiunto il loro obiettivo: si costruivano delle dimore e degli alter ego in forma di statua per l’eternità e veramente sono ancora presenti tra noi dopo millenni. Le ultime sale, dedicate alla statuaria, C ti causano quasi sgomento per la forte suggestione che ti porta a dare valore ad ogni individuo immortalato da una statua. Nel tempo libero a disposizione abbiamo visto una piccola parte di città. Il nostro gruppetto ha apprezzato la Piazza Reale definita da Palazzo Madama, Palazzo Reale e, non da ultimo, la Chiesa di San Lorenzo. E’ una costruzione, definita Barocco, di Guerino Guerini per la sua unicità che con le sue cupole ci ha fatto alzare lo sguardo in alto. Seguendo i portici siamo arrivati a Piazza Carlo Felice dove abbiamo pranzato in un bar con un bel salone dorato d’altri tempi, ma molto confortevole. Altri posti sono stati visitati dai partecipanti: il Duomo, la chiesa dell’Addoloratae il museo del cinema. Al rientro fissato per le 18,15 alla stazione di Porta Nuova ci attendeva una musica suonata, dai passeggeri in attesa, su un pianoforte messo a disposizione nell’ingresso. Una giornata veramente positiva, piena, per ciò che abbiamo visto, e perché è servita a rendere il gruppo più unito da un’esperienza comune. Tina Perini VISITANDO IL NUOVO MUSEO EGIZIO DI TORINO Chi, nel passato, ha visitatoil Museo Egizio di Torino rimanendone stupito, rivisitandolo ora nella sua nuova dimensione è ancor più stupito e affascinato. Anni addietro il suo spazio espositivo era situato su due piani dove, in numerose teche di vetro, si ammiravano i reperti archeologici che ne costituivano la collezione; oggi, dopo i lavori di restauro, la superficie espositiva, estendendosi su quattro piani, è raddoppiata aumentando così il numero dei reperti esposti. Nella prima sala lo sguardo è catturato da uno straordinario reperto: la Mensa Isiatica eseguita in bronzo con incisioni in vari metalli e datata al I secolo d.C., probabilmente faceva parte dell’altare dell’I- seo Campese (il tempio dedicato alla dea egizia Iside) di Roma, vicino ad essaè esposto il Libro dei Morti di Iuefankhche coi sui diciotto metri è uno dei più lunghi papiri della collezione. Proseguendo la visita conosciamo, attraverso pannelli e teche dedicate, la vita di Vitaliano Donati, Bernardino Drovetti, Giuseppe Sosio ,Virginio Ros ed Ernesto Schiapparelli che con i suoi scavi a Giza, Deirel Medina, Gebelein e nella Valle delle Regine, arricchì ulteriormente la collezione del museo. Si sale al secondo piano da dove inizia la visita dei vari reperti datati dal Predinastico al Nuovo Regno. Tra i reperti esposi vediamo una tipica sepoltura dell’epoca predinastica e la tela di Gebelein dipinta con rappresentazioni di paesaggi nilotici e figure umane impegnate in attività diverse, nelle varie teche della sala sono raccolti reperti fittili e arnesi da lavoro dell’epoca, che con quelli esposti nelle teche a muro del soppalco coprono l’intero periodo Predinastico Nuovo Regno. Proseguendo, la statua della principessa Reji, le stele falsa-porta di alcune mastaba, il sarcofago in pietra di Duaenra e le tuniche in lino plissettate risalenti alla V-VI dinastia ci portano all’Antico Regno. La sala seguente è occupata dalle rico- Attività Universalia 3 struzioni della tomba intatta degli Ignoti, risalente alla V dinastia e da quella di Iti e della moglie Neferu del Primo Periodo Intermedio; di quest’ultima è possibile ammirare i dipinti parietali, la stele funeraria e alcuni oggetti da toeletta appartenuti alla defunta. Nelle altre sale sono esposte diverse tavole d’offerta, stele funerarie, il sarcofago ligneo di Ini che, con le sue inscrizioni e i due occhi dipinti sul lato sinistro, è un esempio dell’evoluzione dei riti funerari tra Antico e Medio Regno. Al primo piano sono esposti i reperti provenienti dal villaggio operaio e dal cimitero di Deirel Medina, dalle Tombe dei Nobili e dalla Valle delle Regine. Nella prima sala tra i reperti esposti si trovano le statue divinizzate del faraone Amenhotep I e della madre Ahmosi Nefertari, che, considerati i patroni del villaggio operaio, saranno venerati anche nei santuari delle cittadine vicine. Tra i reperti, ritrovati nel villaggio, meritano una menzione gli ostraka, pezzi di pietra con prove di disegno e di pittura,e numerosi papiri tra i quali di grande interesse storico sono: quello rappresentante la pianta della tomba di Ramesse IV ed utilizzato per la sua realizzazione e quello che descrive il primo sciopero messo in atto dagli operai del villaggio per reclamare il compenso pattuitoche non veniva loro elargito da alcuni mesi. Proseguendo la visita ci troviamo di fronte alla ricostruzione della cappella funeraria di Maia, e della tomba di Kha e Merit ritrovata intattadalla spedizione italiana guidata da Ernesto Schiapparelli i cui sarcofagi e tutto il corredo funebre tra cui spicca la parrucca di Merit , la statuetta di Kha, attrezzi del suo lavoro e il cubito regale in legno dorato donatogli dal faraone Amenhotep III. Proseguendo la visita arriviamo alla galleria dei sarcofagi dedicata alla loro evoluzione compresa tra il Terzo Periodo Intermedio e l’Epoca Tarda sino a quella Romana. Spiccano per la finezza dei disegni e la vivacità dei colori quello dello scriba reale Butehamon, della cantatrice di AmonTabakenkhonsu, del sacerdote Khonsumose, della dama e cantatrice di AmonTamutmutef e quello del pasticcere Pahoreniset, risalenti al Terzo Periodo Intermedio. Alle pareti della sala si possono ammirare alcuni papiri della collezione museale, il cui nucleo principale proviene dalla collezione di Bernardino Drovetti. Nella sala successiva ammiriamo un capolavoro,frutto di studi sul campo e dei diari di lavoro, ossiail modello ligneo della tomba di Nefertari, completamente ricostruita con i dipinti parietali in modo preciso e accurato: la tomba, situata nella Valle delle Regine, fu scoperta da Schiapparelli durante le campagne di scavo degli anni 1903 - 1904 e 1905. Della tomba, dopo le violazioni subite, rimane ben poco: parte del suo corredo funerario e parte del coperchio del sarcofago ricostruito coipezzi ritrovati in loco. Esposti in altre teche vi sono diversi sarcofagi antropomorfi tra i quali spiccano, in una teca ad essi riservata,quelli interni appartenuti a Tapeni,Tamit e Renpetnefret, tre sorelle figlie diAnkh-khonsu funzionario del tempio di Amon a Karnak. Vi è inoltre una parte dedicata al culto degli animali con mummie e statuette di Maschera funeraria di Merit (foto di P.Garberia) gatti, cani, falchi, pesci, ibis, leocumoni (manguste) e altri considerati sacri e/o ipostasi di dei, datate anch’esse all’Epoca Tarda, completano i reperti di questo periodo due sarcofagi in grovacca: uno appartenuto al visir Gemenefherbake l’altro al funzionario Ibi. Durante il periodo aumenta, considerevolmente, il numero degli amuleti da disporre tra le bende usate per l’imbalsamazione del defunto, il cui scopo era quello di accompagnare e proteggere il suo cammino nella Duat., che possiamo ammirare in un’altra teca. Le due sale dedicate ai reperti, dell’Epoca Tolemaica e di quella Romana, esposti nelle loro teche, terminano la visita su questo piano. Al piano terra troviamo la Galleria dei Re, la sala Nubiana e il tempio rupestre 17 di Ellesiya. Entrando nella sala che occupa la Galleria dei Re, allestita dallo scenografo Dante Ferretti, si viene accolti da una sfinge, della XIX dinastia, proveniente dal tempio di Amon a Karnak,dalla testa di statua colossale, forse di Tutmosi I, dalla statua di Ramesse II, assiso in trono con la corona khepresh e i simboli del potere e ai lati delle gambe, si trovano alla sua sinistra la statua della regina Nefertari e alla sua destra quella del principe Amonherkhepeshef rappresentati in grandezza ridotta rispetto al faraone. Proseguendo nella visita della prima sala notiamo la statua acefala e non completata di Horemheb e della moglie Mutnedjemet seduti in trono, due statue del dio Ptah una assisa e l’altra stante, mentre sul fondo della sala la statua, in arenaria, del faraone Sethi II, alta circa 5 metri sembra voler dominare coloro che vi entrano. La sala successiva è quasi interamente occupata da diverse statue della dea Sekhmet, alcune sedute e altre stanti, alte due metri ciascuna. Chiudono l’esposizione della Galleria dei Re la statua di Horemheb in piedi vicino al dio Amonassiso in trono e rappresentato in dimensioni maggiori del faraone, la statua di TutmosiI, forse usurpata a un suo predecessore, e quella di Tutmosi III ambedue assise in trono e risalenti alla XVIII dinastia. Ritorniamo nella prima sala della Galleria dei Re e attraverso la porta, che si trova alla sinistra della statua colossale di Sethi II, entriamo nella sala Nubiana, dove sono esposte ceramiche della Nubia, una sfinge con le sembianze di un re nubiano, ed una statuetta alta 60 cm che, rappresentando un faraone, ci ricorda i periodi in cui le Due Terre dominavano questa regione. Concludiamo la visita nella sala che ospita il tempio rupestre di Ellesiya, dedicato alla divinità del Sud Horus di Miam e Satet, donato dall’Unesco all’Italia per il suo contributo al salvataggio dei diciannove principali monumenti, tra i quali i due templi di Abu Simbel e quello dedicato alla dea Iside situato sull’isola di File, che sarebbero stati sommersi, per sempre, dalle acque del lago Nasser derivato dallo sbarramento della diga di Assuan. Giuliano Oggionni Giuliano Oggionni docente Universalia3dei corsi Storia e tecnologia dei profumi; Egittologia (°) Con il prezioso contributo organizzativo di Maurizio Civardi MAGGIO 2016 18 Attività Universalia 3 Il 26 Novembre si è svolta la prima gita di questo anno accademico che ha avuto come meta Bergamo per visitare la città alta e la mostra Kazimir Malevic presso la Galleria d’arte moderna&contemporanea; in questa occasione i corsisti sono stati accompagnati da Elena Introzzi – nostra docente del corso Il linguaggio dell’arte- e da Carla Dentella – esperta di cultura e del territorio bergamasco – C IN MARGINE A UNA GITA A BERGAMO Chi dalla pianura si avvicina a Bergamo in una giornata di bel tempo, vede risaltare nella fascia di colline che limitano l’orizzonte verso nord la macchia chiara di Bergamo Alta, circondata dalla fascia delle poderose mura venete. Quando poi, una volta entrati in città, ci inoltriamo per il vialone che dalla stazione si dirige verso l’alto e arriviamo a Porta Nuova, ci riappare a distanza ravvicinata la stessa incantevole visione, inquadrata, questa volta, dall’ambiente arioso e signorile del centro della Città Bassa. Può essere interessante sapere che questa visione non si è formata per caso, ma per un preciso progetto; in effetti all’inizio del ‘900, giusto un secolo fa, quella zona era occupata da lungo tempo da una fiera, ma Bergamo si stava ingrandendo in estensione nei sobborghi, e in importanza, per lo sviluppo di nuove industrie. Dunque era il momento buono per spostare la fiera in periferia e per dare al centro una sistemazione più dignitosa, consona al nuovo ruolo della città. C’era però un problema: nuovi edifici importanti avrebbero finito per coprire in tutto o in parte la visione della parte più nobile, più cara ai bergamaschi, del vero cuore della città, e al tempo stesso di una grande attrazione per i visitatori. Allora un giovane architetto, Marcello Piacentini, ebbe un’idea geniale: niente palazzi importanti, ma un edificio basso e lungo, accompagnato da un porticato pieno di bar e negozi che dava un carattere ben preciso a uno spazio lasciato libero al passeggio fino alla Chiesa di San Bartolomeo. Questo spazio fu subito battezzato affettuosamente il Sentierone, e divenne il luogo del passeggio e degli incontri. Occorreva però bilanciare questo edificio basso con un altro edificio, anch’esso poco invadente, ma sviluppato in altezza: una torre stretta e alta, che richiamava in qualche modo le torri di cui Bergamo era stata ricca come tutte le città medievali. Questa torre era posta dall’altra parte del vialone; non solo non nascondeva la vista della parte alta della città, ma quasi invitava l’occhio a salire e a inquadrarla nella giusta prospettiva. Il progetto potè essere realizzato solo alcuni anni più tardi, dopo la fine della guerra mondiale. Allora nacque l’idea di dedicare, giustamente, la torre come monumento ai Caduti e tuttora è nota come Torre dei Caduti. Un altro problema si presentò una cinquantina di anni dopo, quando il Seminario diocesano, situato nel cuore di Città Alta, si rivelò inadeguato come struttura ricettiva per il numero di studenti (all’epoca nella bergamasca le vocazioni religiose erano molto numerose) e per la disponibilità per incontri, convegni e altre iniziative. Anche qui la costruzione di un grande edificio avrebbe alterato il delicato equilibrio creatosi attraverso i secoli in uno spazio ristretto, avrebbe rubato la visuale agli edifici più o meno vicini; anche il profilo della città visto dal basso rischiava di essere compromesso se torri, cupole e campanili erano schiacciati dal confronto con un volume fuori misura. La soluzione fu trovata quando si decise di smembrare le varie parti in vari edifici, di forme e volumi diversi, collegati fra loro, ma che meglio armonizzavano con le forme e i volumi preesistenti; inoltre, visti dal basso, si inserivano bene nel profilo della città. Insomma, si tenne conto di quanto sia delicato inserire elementi nuovi in un contesto che ha una sua storia e una sua armonia. In certi casi non ci si chiede tanto se uno o più edifici siano belli di per sé, ma come dialoghino con l’ambiente intorno, ovvero come l’architettura debba essere, in qualche modo, al servizio dell’urbanistica. Carla Dentella Rubriche 19 PARLIAMO DI PSICOLOGIA LA MELANCONIA Questo stato d’animo assomiglia all’angoscia, ma è peggiore per il dolore che provoca. Il soggetto si strugge e si dispera, nel ricordo delle persone che ha lasciato o che l’hanno abbandonato. E’ un continuo pensiero fisso, come un tarlo che rode il sentimento e distrugge la volontà, la reazione alla vita, l’impossibilità di trovare pace dentro di sé. La melanconia porta inevitabilmente alla depressione, l’anticamera della patologia vera e propria. Questo sentimento è spesso padrone dei pensieri dell’individuo, che vive lontano da casa, in un ambiente non suo e magari anche ostile, con un lavoro ingrato e sotto pagato, oppure costretto da una situazione obbligata che l’individuo non avrebbe mai voluto subire. E’ bene non stare chiusi in se stessi, ma rivolgersi ad un professionista che possa aiutare ad uscire da un pericolo ancora maggiore. Vezio Mari Vezio Mari docente Universalia3 del corso Psicologia della comunicazione Dall’inizio di Febbraio 2016 è attivo dal nostro sito web IL NUOVO SERVIZIO NEWS !!! dove troverete, tempestivamente, tutti gli avvisi riguardanti : l’orario settimanale, le comunicazioni sui Docenti, le gite, le conferenze, le visite esterne a mostre/musei e le altre uscite, le comunicazioni della segreteria, ecc. COME FARE PER ACCEDERE AL NUOVO SERVIZIO? • entrare nel nostro sito: www.universalia3.it • sulla home page cliccare, a destra, su NEWS • appare il logo Universalia3: sotto il logo appaiono tutti gli avvisi inseriti uno sotto l’altro • per leggere l’avviso che interessa cliccare sul nome del file (in piccolo e in rosso) che c’è sotto il titolo (in grande) dell’avviso • quando appare l’avviso si può leggerlo, si può stamparlo, si può salvarlo in una propria cartella • cliccando sulle barre orizzontali a destra appare l’elenco di tutti gli avvisi reecenti inseriti e il loro archivio Per ogni eventuale chiarimento rivolgersi in segreteria. MAGGIO 2016 NOTIZIE GRAN DE FE S DELL’ TA DI CHIU A SURA .A. 20 VEN Il prog 1 ramm ERDI’ 27 M 5-16 Dalle a prev AGGIO o e dei lav re 10: merc de: a o Ore 15 ri artistici tino ed esp os d , Impor 30: estrazio ei nostri so izione n c t a port ante: i soci e con ricch i sono i are co i premi n n di que !! sto an sé il loro te vitati no acc sserin ademi o co. A segu ire gra La fest nde bu a paren è aperta a f fet ti tu Vi asp , conoscent tti: soci, am i ettiam . ici, o num erosi!! ” La Redazione di ideaUniversalia ed il Consiglio Direttivo augurano ai soci ed ai docenti un sereno periodo di vacanza dandoci fin d’ora appuntamento ad ottobre per l’inizio di un altro brillante anno accademico PER I SOCI/DOCENTI I vostri articoli, i vostri commenti o suggerimenti, su Idea Universalia all’indirizzo email [email protected] Tel. 02 6592457 — 334 3763544 UNIVERSALIA3 CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Michele Rainone Vice Presidente Vittorio Casati Tesoriere Giorgio Colla Consiglieri Maria Pia Bacchi, Claudio Bianchi, Gianfranco De Giorgi, Ermanno Ravanetti Organizzazione eventi Maurizio Civardi www.universalia3.it ” Idea UNIVERSALIA magazine Sede dei corsi e segreteria: Via S.Marco, 2/3 20121 Milano Direttore di Redazione: Vittorio Casati Redazione: Claudio Bianchi (Vice Direttore), Gianfranco De Giorgi, Michele Rainone Ricerche Iconografiche: Gianfranco Mineri Grafica e impaginazione: Luca Franchino Stampato presso Cianosprint, Milano