Idea UNIVERSALIA

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Idea UNIVERSALIA
PASSATA LA SBORNIA
Sono finite le manifestazioni del decennale. Open day a go-gò, gadget e
cotillon, biglietti d’invito e ospiti con
le migliori griffe, musiche e libagioni.
E’ vero: ci siamo emozionati, entusiasmati e commossi. Ne valeva la pena.
Ma ora è passato. Tant’è che l’anno accademico in corso ha riservato alcune
nuove sorprese che hanno sottolineato
ancora una volta che l’Associazione
Universalia3 non dorme sugli allori,
ma ha la capacità e la voglia di diversificare i contenuti e di arricchirli sulla
base anche delle proposte dei soci e
delle loro aspettative.
Abbiamo arricchito la proposta formativa, per l’anno accademico che si
avvia a conclusione, di alcuni argomenti che abbiamo ritenuto potessero
interessare gli iscritti della nostra Associazione:
● La storia di Milano - Vessillologia
I 2600 anni di storia di Milano dalle
origini ai giorni nostri attraverso i colori, i simboli, le leggende e gli aneddoti con la fedele riproduzione di 50
bandiere storiche.
● Introduzione alla Biologia
Dalla teoria dell’evoluzione, alla cellula, alla genetica, all’ambiente e all’ecologia.
● Storia dell’Architettura: dall’inizio
del novecento ai giorni nostri.
● Introduzione alla Storia delle Religioni: differenze e demarcazione delle
varie religioni.
● Conversazione Inglese
La sperimentazione di tutto ciò ha funzionato egregiamente. Grazie alla collaborazione di tutti abbiamo trascorso
un altro anno accademico insieme pieno di stimolanti avvenimenti ed occasioni che ci consentono di continuare
nella nostra missione con sempre più
entusiasmo. Un caloroso abbraccio e
un grazie a tutti voi dal Consiglio Direttivo.
Michele Rainone
RIFLESSIONI SULLE ISTITUZIONI EUROPEE:
IL NODO DELLA SOVRANITA’
Si sia europeisti o meno, che l’Unione
europea non funzioni è un dato di fatto.
Ma per proporre soluzioni efficaci è essenziale comprendere, al di là delle ragioni addotte da governanti e politici, la cui
obiettività è per forza di cose inquinata
dalla propaganda, i reali motivi di tale
malfunzionamento e, in questo, la storia
può fornire utili chiavi interpretative.
Se si guarda all’approfondimento istituzionale ed agli allargamenti della CEE/
UE a partire dal Trattato di Roma del
1957, è infatti piuttosto evidente come
la sua struttura sia stata sviluppata dagli
Stati, sia che la considerassero come convenienza economica, garante di stabilità
e crescita, che come sistema di valori,
garante di democrazia e libertà, più sulla base della convergenza degli interessi
nazionali che di un progetto europeo a sé
stante. Il fine: poter godere dei benefici,
soprattutto a livello economico-commerciale, della dimensione continentale, senza rinunciare alla sovranità nazionale. Ciò
spiega la forma ibrida, solo parzialmente
sovrannazionale,delle istituzioni UE: oltre ad un Parlamento, privo però di pieno
potere legislativo, e alla Commissione pseudo-esecutivo estremamente burocratizzato - i veri organi decisionali hanno
infatti carattere intergovernativo, non europeo. Il Consiglio europeo, che raduna i
28 leader dell’UE al livello più elevato di
cooperazione politica tra gli Stati membri,
prende infatti decisioni per consenso e in
riunioni non pubbliche, mentre il Consiglio dell’Unione Europea, o dei Ministri,
sulle questioni più importanti, quali la politica estera e di sicurezza comune e le finanze, vota all’unanimità, principio cardine delle procedure intergovernative.Sono
quindi organi che possono, e intendono,
pervenire a decisioni di comune interesse
solo nella misura in cui questo corrisponde a compromessi tra interessi nazionali;
da qui il dedalo di eccezioni, opt-outs, regolamentazioni specifiche e differenziazioni nel grado di integrazione politico/
economica, incastonate a loro volta in una
rete più ampia di accordi di ogni genere e
natura, che danno all’Europa la sua struttura così poco comprensibile.
Ma se l’ottica politica è nazionale, non
più lo sono i problemi da affrontare, di
portata incontestabilmente europea, né
gli strumenti a disposizione per affrontarli, ormai in gran parte comunitarizzati,
come la moneta. Da qui il paradosso: gli
Stati nazionali, checché se ne dica, non
possono più fare a meno dell’Europa, ma,
non volendo cedere la sovranità, scelgono di agire tramite istituzioni incapaci
di elaborare soluzioni europee, le quali,
Segue a pag. 2
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SOMMARIO MAGGIO 2016
2
COSTUME&SOCIETA’
I gentlemen's club di Milano di Guglielmo Martinello
Leggendo il giornale,
buone notizie dal mondo
di Fulvia Senigaglia
Quando a Milano c'erano
i Martinitt (parte seconda)
di Sergio Cinquanta
p.3
p.4
p.5
d’altro canto, sono le uniche in grado di
risolvere problemi europei.
Un tale sistema diventa a fortiori ingestibile quando gli interessi nazionali sono
cogenti e i compromessi impossibili. Le
crisi economica e migratoria in corso lo
dimostrano nitidamente: le misure adottate per farvi fronte, basate sulla diade assistenza finanziaria/sorveglianza+riforme,
non sono altro che tentativi di conciliare
l’inconciliabile e hanno infatti innescato
un circolo vizioso in cui nulla è stato risolto e tutti gli Stati si considerano vittime di
una chimerica Europa, austera e crudele o
questuante e irresponsabile, a seconda che
si piatisca o si bacchetti. Come uscirne,
quindi, se non risolvendo il paradosso di
cui sopra? Se non con una politica estera
che non sia la media di 28 politiche estere
nazionali, e con una politica economica,
finanziaria e fiscale comune, ovvero, in
ultima analisi, con uno Stato europeo?
Si sia europeisti, o meno, anche questo è
un dato di fatto. S’impone pertanto, posto che quella attuale è inceppata e va
riformata, una scelta definitiva su quale
Europa vogliamo: se una fluida, poco vincolante, mera area di libero scambio ma
anche meno compartecipe, oppure una
unita, più solidale, magari più piccola
dell’attuale UE – e l’eventualità Brexit (°)
non sarebbe più così spaventevole – ma
richiedente maggiori responsabilità politiche e la messa in questione della sede
della sovranità. Il punto è solo questo; sostenere altro significa fare del tema europeo niente più che un comodo alibi.
A tal proposito è opportuno segnalare che
alcune autorevoli voci hanno già suggerito quale delle due sia la scelta giusta: la
condivisione della sovranità. I due governatori delle Banche nazionali di Francia e
Germania, in un articolo congiunto, hanno motivato la necessità di un Ministro
La fotografia dall'analogico
al digitale
p.6
di Gianfranco Mineri
Mi sono reinnamorata di Milano p.6
di Maria Pia Bacchi
ATTIVITÀ UNIVERSALIA3
Appunti di viaggio
di Tina Perini
p.16
del Tesoro europeo con parole che val la
pena riportare integralmente: “L’asimmetria tra sovranità nazionale e solidarietà
comune costituisce una minaccia per la
stabilità della nostra unione monetaria
(…) Un apparato (…) fondato sulla responsabilità individuale dei singoli Stati
nazionali comporterebbe regole più stringenti (…) e così pure il rischio delle esposizioni debitorie degli Stati (…). Andare
in questa direzione consente di conservare la sovranità nazionale, con un livello di
solidarietà inevitabilmente più basso e un
riequilibrio tra responsabilità e controllo”1. Ancora oltre si sono spinti i Presidenti dei Parlamenti di Francia, Germania
e Lussemburgo, che, su iniziativa della
Presidente della nostra Camera, Laura
Boldrini, hanno firmato una dichiarazione, “Più integrazione europea: la strada
da percorrere” 2 da presentare in sede UE
e che, come sottolinea la Boldrini stessa,
lancia un forte messaggio politico: bisogna “avere il coraggio di condividere la
sovranità (…) in tutti quei settori in cui
l’azione dei singoli Stati oramai è del tutto inadeguata (…) e di andare avanti per
la strada che venne tracciata nel 1941
a Ventotene: la strada degli Stati Uniti
d’Europa”3.
Resta ancora da fare una considerazione.
Se, come osservava già nel 1950 uno degli estensori del Manifesto di Ventotene
e padre fondatore dell’Europa, Altiero
Spinelli, “una conferenza di Stati per la
redazione di un patto di unione federale
sarebbe una contraddizione in termini”4,
a chi spetta l’onore e l’onere dell’iniziativa? Forse a noi, cittadini europei prima
che italiani, tedeschi, francesi etc, perché
l’Europa non è necessariamente l’incomprensibile Leviatano di oggi, ma può diventare uno spazio politico democratico
“dotato d’una storia plurimillenaria,
d’una cultura, d’una civiltà e di una ric-
Visitando il nuovo museo
egizio di Torino di Giuliano Oggionni
In margine a una gita
a Bergamo di Carla Dentella
Parliamo di psicologia
La melanconia di Vezio Mari
p.16
p.18
p.19
chezza antica che ne farebbe uno dei continenti più potenti del pianeta” 5.
Raffaella Cinquanta
La Dott.ssa Raffaella Cinquanta ha tenuto – il 9 febbraio scorso - una applaudita
conferenza presso la nostra Associazione
dal titolo: “Unione Europea: allargamento
e approfondimento"; le slides presentate
possono essere richieste in segreteria.
(°) NdR: l’uscita della Gran Bretagna
dall’Unione europea; il referendum per i
cittadini britannici è fissato per il prossimo 23 Giugno
(1)“La Repubblica”, 9 febbraio 2016
(2)http://www.camera.it/application/
xmanager/projects/leg17/attachments/
shadow_mostra/file_pdfs/000/024/057/
Rome_Conference_on_Europe_Declaration_IT.pdf
(3)Intervento in occasione dell’incontro
con i docenti della Rete Universitaria europea ‘Verso l’Unione politica’ sul tema
‘La revisione dell’assetto costituzionale della UE in una prospettiva federale’ - Montecitorio, Sala della Regina,
15/2/2016 (http://presidente.camera.it/5?
evento=1153&intervento=1153)
(4)Rapporto di Spinelli al Consiglio dei
Popoli d’Europa (Strasburgo, 21/11/1950)
in “Trent’anni di vita del Movimento Federalista Europeo”, a cura di Lucio Levi e
Sergio Pistone, Milano, Franco Angeli,
1973, pp. 134-135.
(5)Eugenio Scalfari, “Boldrini: l’Europa
è a pezzi, rilanciamo l’utopia dei fondatori”, La Repubblica, 5 febbraio 2016
L
Costume&Società
3
I GENTLEMEN’S CLUB DI MILANO
La svolta c’è stata, è davanti a tutti: deputate e senatrici in Parlamento, ministre al
Governo, prime rettrici di prestigiose università, donne manager di società quotate
in Borsa e così tante altre in posti guida
da sempre retti da uomini. Il potere delle
donne italiane per dare forza a una società più moderna, libera da vecchi codici e
in grado di trasformare il nostro Paese è
ormai un dato di fatto, in grado di rompere quella discriminazione non dichiarata,
chiamata dagli anglosassoni glass ceiling,
ovvero tetto di cristallo. Si tratta di una
barriera non ufficiale che da sempre ha
impedito alle donne di avanzare e salire
nella scala sociale ai vertici della carriera;
molto è stato fatto ma il traguardo della
parità tra i due sessi non è stato ancora
raggiunto e un esempio eclatante è quello della Società del Giardino, del Circolo dell’Unione e del Clubino, tre vecchi
club milanesi fermamente sordi ad aprire l’adesione alle donne e ligi a cerimoniali che oggi possiamo definire innocue
stramberie.
A tutti gli effetti appaiono come delle
isole esclusive e inaccessibili, riservate
all’élite dell’élite costituita da discendenti di nobile lignaggio, businessmen
in carriera, famosi e corteggiati avvocati,
liberi professionisti e così via. Sono sorte
sull’esempio dei gentlemen’s club, circoli
privati per soli uomini di Pall Mall e St.
James’s Street a Londra e sono rimaste gli
ultimi baluardi del maschilismo e snobismo anglosassone anche se, nel frattempo, la situazione sociale nel Regno Unito
è notevolmente cambiata. Ben lo dimostra
il Reform Club, frequentato da sir Winston Churchill, che è stato uno dei primi
non solo a spezzare il divieto di ammissione alle signore tra i suoi soci nel 1981,
ma anche a modificare il rigido codice di
abbigliamento (in seguito al caldo torrido
che si abbattè sulla capitale britannica nel
2014), consentendo ai soci di togliere la
giacca nei locali comuni, fermo restando
il divieto di indossare jeans e sneaker. Un
altro celebre caso è il Carlton Club, saldo
bastione dei conservatori colpito da una
bomba dell’IRA nel 1990, dove le ladies
– fatta eccezione di Margaret Thatcher,
nominata membro onorario – fino al 2008
non vi erano ammesse.
In queste oasi piacevolmente anacronistiche, ristretti gruppi di uomini mantengono interessi affini e le motivazioni vanno
dagli affari all’amicizia, dal biliardo al
bridge, dai tornei di tennis alle gare di
sci, dai pranzi esclusivi alle feste come
il Ballo delle Rose (°), dalla palestra alla
rinomata scuola di scherma e, last but not
least, dalle sale di lettura e conversazione al barbiere personale. Inoltre, per chi
viaggia, l’accesso è garantito ai club pari
merito e, tra quelli a Londra, eccellono
il White’s, considerato il primo circolo
privato per uomini fondato sul finire del
XVII sec. dall’immigrato italiano Francesco Bianco e dove il principe Carlo tenne
il suo primo addio al celibato; il Boodle’s,
rinomato già all’inizio del XIX sec. perché da qui il re dei dandy, lord Brummel,
dettava l’eleganza sartoriale ai nobili inglesi; o il Brooks’s, famoso per le somme
altissime che i suoi soci scommettevano
sulle cose più insignificanti per mitigare
la noia.
Le roccaforti milanesi di questo sorprendente mondo elitario sono nascoste entro
palazzi con corridoi silenziosi e perfetti
salotti conservati malgrado guerre e distruzioni, nei quali non si deve contravvenire alla riservatezza che impone un educato silenzio sugli iscritti. La più antica è
la Società del Giardino, in via S. Paolo
10, e ha sede nel palazzo di fine Cinquecento fatto costruire dal banchiere genovese Leonardo Spinola. Fondata nel 1783
da un gruppo di appassionati di bocce,
conta oggi circa 450 iscritti solo maschi
e tra i soci storici annovera il poeta Carlo
Porta. E’ altresì la sede della più gloriosa scuola di scherma d’Italia fondata nel
1882, tra le cui pareti si sono allenati 51
campioni olimpionici. Vanta il fastoso Salone d’Oro tardo neoclassico, riassestato
nell’aspetto originario dopo il bombardamento che fracassò la volta e la Sala
d’Argento, d’ispirazione eclettica, pure
sconvolta dalle bombe nell’agosto 1943.
La sala da pranzo così come il salotto degli scacchi, dei biliardi e della lettura sono
riservati agli iscritti , mentre la foresteria
è aperta anche agli ospiti.
Il Circolo dell’Unione è il ritrovo storico degli esponenti delle grandi famiglie
della nobiltà milanese. La sede originaria,
inaugurata nel 1841 si trovava in contrada
S. Giuseppe oggi via Verdi e si ispirava
al parigino Jockey Club. Dopo la chiusura sotto il governo austriaco, il sodalizio
riaprì e nel 1859 annoverò tra i suoi soci
Camillo Benso conte di Cavour. Seguirono altri trasferimenti e nel 1912 assunse il
nome Club dell’Unione mutato in quello
attuale nel 1935, per l’insofferenza del
fascismo verso le parole straniere. Negli
anni Ottanta del secolo scorso, la sede fu
infine trasferita all’interno del Palazzo
Borromeo d’Adda, in via Manzoni 45 e
ora conta all’incirca 550 soci tutti rigorosamente uomini. Le mogli, le figlie e le
amiche possono pranzare al ristorante,
frequentare la foresteria, organizzare tè
nei bei saloni ma non accedere al cuore
del circolo costituito dal saloncino con
biblioteca ed emeroteca, angolo per il
biliardo e sala con caminetto per pasti riservati.
Il Clubino, definito anche Clubino Dadi,
è considerato il circolo per gentiluomini
più esclusivo d’Italia oltre che il club dei
grandi dell’economia nazionale, come
Barilla o Tronchetti Provera. Fondato nel
1901 da una scissione del Circolo dell’Unione si trova dal 1928 nel prestigioso palazzo degli Omenoni della seconda metà
del XVI secolo. Annovera circa 600 soci;
le donne sono ammesse come ospiti. E’
un’oasi dove godere la comodità di locali comuni tuttolegno con poltroncine
L'ingresso del palazzo degli Omenoni
e quadri di cavalli secondo la tradizione anglosassone, la foresteria (usata da
Gianni Agnelli), il ristorante con buona
cucina e camerieri discreti e, in caso di
trasferimento, club con i quali i soci hanno rapporti di reciprocanza come il Circolo degli Scacchi di Roma, il Boodle’s di
Londra, il Nouveau Circle de l’Union e il
Traveller’s di Parigi o il Knickerbocker
di New York.
Guglielmo Martinello
Guglielmo Martinello docente
Universalia3 del corso Lingua Inglese
(°) Si svolge il secondo giovedì di giugno
alla Società del Giardino e, ovviamente,
il gentil sesso è ben accolto.
MAGGIO 2016
Q
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Costume&Società
LEGGENDO IL GIORNALE, BUONE NOTIZIE DAL MONDO
Questa mattina vorrei scrivere una storia,
ecco sì una bella storia! Ne ho scritte tante
negli anni, per bambini forse, ma anche
no volendo leggere tra le righe. . .
Storie così, anche antistorie, dove i cattivi non sono mai del tutto cattivi e alcune
streghe sono talvolta più simpatiche delle
fate, carine certo ma spesso un poco stucchevoli.
Prima però voglio fare colazione così forse mi ispiro. . .
E’ un giorno tranquillo, sono di buon
umore e c’è pure il sole; preparo il te con
lo zenzero e la curcuma, la marmellata
biologica senza zucchero, lo yogurt con le
fragole di bosco.
Mi siedo e apro il giornale, simpatica abitudine mattutina.
Prima pagina : un gommone mezzo sgonfio affonda con il suo carico, anzi stracarico, molti dispersi in mare, molti fortunosi salvataggi. Come ogni giorno, non fa
nemmeno più notizia, salvo per le drammatiche fotografie a mezza pagina.
Seconda pagina: al centro un’altra grande foto come un pugno allo stomaco. Un
bimbo viene trovato ormai morto sulla
spiaggia dove si è arenato; inconsapevole, fuggiva con la famiglia dalla guerra,
aveva tre anni e una maglietta rossa. Mani
pietose lo sollevano con dolcezza.
Con crescente disagio volto ancora pagina: leggo che un migrante ( definito “non
economico”. Giusta definizione: uno
deve scappare da guerre, terrorismi e persecuzioni, altrimenti stia lì al suo paese,
anche se muore di fame e si arrangi, perché dovrebbe cercare di meglio?) un migrante “non economico” dicevo, che sta
scappando con il suo bambino in braccio,
viene sgambettato (sic!) da una zelantissima giornalista, sì proprio una giornalista,
non una incolta e fanatica guardia armata
e cade rovinosamente a terra con il bambino mezzo schiacciato, dolorante e in lacrime sotto di lui. Lo sgambetto vigliacco
non è vietato anche nel calcio? Padre e
bambino riescono a rialzarsi e a scappare,
la giornalista, buona notizia, viene licenziata.
Volto ancora pagina, anche qui edificanti
foto ci illustrano: alla frontiere di alcuni
paesi per fermare il flusso di disperati in
fuga vengono alzati muri di filo metallico spinato. Suppongo, penso fra me e me,
anche forniti di corrente elettrica, se no a
cosa servono?
Infatti non servono proprio, non ce la
fanno a respingere una massa di persone,
non feroci assassini in fuga, no, famiglie
normali, uomini donne, ragazzi, tantissimi bambini, nonni dignitosi e affaticati
che non avendo più nulla da perdere, rischiano tutto, anche la vita, sperando in
un futuro migliore chissà dove. Altrove
invece i muri sono muri umani di uomini in divisa che per impedire il passaggio
adoperano con durezza i manganelli e,
dove non basta, i lacrimogeni anche su
vecchi e bambini. La folla però non demorde, spinge, preme, urla la sua rabbia e
il suo dolore, non può fermarsi né tornare
indietro. Vengono infine tutti spintonati,
incolonnati come mandrie, fatti salire su
autobus dall’incerta destinazione. Tutti
hanno pagato somme ingenti, sudati risparmi e hanno sofferto troppo nella speranza di raggiungere l’eldorado europeo
che ora li respinge.
Leggo discorsi velenosi di politici vari:
non li vogliamo, sono pericolosi, sono
terroristi, sono soprattutto islamici, vogliono toglierci la nostra identità, la nostra cultura, la nostra religione, finiremo
tutti islamizzati(sic!).
Mi fermo, ma non era una ricchezza la
società multietnica, lo scambio, l’integrazione fra genti diverse, lo stare insieme,
l’imparare l’uno dall’altro, l’insegnare la
tolleranza? E i valori morali comuni della
nostra evoluta civiltà dove li mettiamo?
La solidarietà, l’umanità, il benessere, la
libertà, il futuro? Non siamo stati anche
noi migranti per miseria e spesso anche
noi mal accolti e mal tollerati? Ma allora non è cambiato niente, i muri abbattuti
come una conquista vengono ora rialzati
contro persone stremate e disperate che
un giorno forse ci odieranno per questo.
Perplessa scorro altre pagine: qui non ci
sono migranti, c’è una donna sola, malata, antipatica a tutti, trovata in casa morta
dopo due anni con la porta sigillata con
nastro adesivo dai condomini perché si
sentiva cattivo odore e non era il caso di
fare indagini più approfondite, senz’altro la casa era vuota e la puzza era per lo
sporco, la vicina antipatica meno male
se ne era andata ora a dar fastidio altrove. Nessuno dei condomini vuole parlare
adesso, forse, speriamo, si vergognano un
poco.
Un tassista molto gentile ed educato invece ha impedito decisamente l’accesso al
suo prezioso tassì ad un disabile in carrozzina, troppo scomodo e seccante dargli
una mano probabilmente o forse paura di
sporcare l’automobile. Spero che si vergogni anche lui.
Un ragazzo troppo fragile si ammazza
perché oppresso da coetanei bulli e maleducati, che, dopo scherzi pesanti ai suoi
danni, naturalmente postano su Facebook
le foto irridenti e troppo cattive da sopportare in un paesino di poche persone; forse
giovani sciocchi e immaturi più che mostruosi, ma soprattutto privi di basi etiche
e culturali e di umanità e comprensione..
Continuo a leggere e trovo bellissime
pubblicità, la moda invernale, il successo
di Expo, pagine e pagine di sport, la cultura e gli spettacoli ma ho comunque l’amaro in bocca, anche il sole si è un poco
oscurato.
Il tempo dedicato alla colazione è terminato, chiudo il giornale e non ho più voglia di scrivere una storia, una bella storia,
con una solida morale, dove accade un po’
di tutto ma il finale è sempre ottimista,
come appunto piace ai bambini. Mi sento
fuori tempo e anche lo yogurt con le fragole mi sembra ora meno buono.
Fulvia Senigaglia
I
Costume&Società
5
QUANDO A MILANO C'ERANO I MARTINITT (Parte seconda°)
La drammatica Pasqua del 1962
I primi mesi dell’anno, come soleva a
quei tempi, furono gelidi, nevosi e ventosi, ma la primavera, con la Santa Pasqua
ad inaugurarla il 14 di aprile, pochi giorni
prima dell’equinozio, avrebbe riportato
gioia e sole a tutti. Noi compresi. Il sole
sicuramente, la gioia… Vabbè. Comunque tutto andava per il meglio: la scuola,
le pulizie, le ricreazioni, le punizioni, e
così via; ma un istitutore, il signor Battoraro, ottima persona che si era fatta le
ossa negli oratori, che sapeva suonare
un sacco di strumenti, compreso l’harmonium della chiesache ogni domenica
pompava a vigorose pedate sui mantici,
e che, soprattutto, sapeva trattare con i
ragazzi, decise che quell’anno si sarebbe
cambiato perché i tempi erano maturi: si
sarebbe fatta una vera, impegnativa recita; cosa non nuova in sé, viste le esilaranti
farse che annualmente si tenevano nel nostro teatro. Ma quell’anno decise di picchiare duro: La “Passione di Cristo”!Oh
Gesù! In tutti i sensi.
A molti, nei piani superiori, considerata
la storia passata e allora corrente dell’Orfanotrofio, tremarono le gambe: pieno di
suore e di personale molto religioso e,
me lo si consenta, in alcuni casi eccessivamente conservatore (eufemismo), un’idea del genere poteva sembrare un atto
rivoluzionario. Ma il direttore Melzi, di
recente nomina, il nuovo cappellano, Don
Antonioli, e uno strano, inverosimile profumo di libertà, di desiderio di nuovo che
lentamente cominciava ad insinuarsi nella
società milanese, e di riflesso fra le nostre
mura, decisero che si, la recita si sarebbe
fatta, e pure con gran dispendio di energie
e mezzi. Costasse quel che costasse, la recita andava fatta! Ma dove trovare gli attori? Beh, eravamo circa mezzo migliaio,
vuoi che non ne venga fuori una star del
palcoscenico? Ebbene si, effettivamente
uno divenne piuttosto famoso, ma questa
è una storia che affronteremo più avanti.
Fu così, dunque, che il signor Battoraro
partì in quarta: ogni sera le prove; le suore
a cucire i costumi; Giuda a baciare e Gesù
a gemere e ad accusare qualcuno di tradimento e gli apostoli a chiedere: “Sono
forse io, Signore?” E questo lo posso dire
con cognizione di causa perché io ero uno
di quelli, degli apostoli voglio dire, e malgrado ogni tanto dovessi far parte della
folla, alle volte a favore, altre contro, tutto il mio ardore artistico andava in quella
frase: “Sono forse io, Signore?” Ma il de-
stino, per me, già aveva deciso altro.
Arrivammo alla recita sfiniti, letteralmente distrutti, ma pieni di entusiasmo! Ora,
tutti noi conosciamo la “Passione di Cristo”, ma forse pochi conoscono quanto sia
difficoltosa la messa in scena in un teatro,
soprattutto utilizzando come attori dei ragazzi totalmente inesperti. Occorre quindi che si diano qui pochi semplici consigli nel caso qualcuno di voi decidesse di
mettere in scena un dramma del genere o
anche solo recitare La Vispa Teresa.
La prima cosa da prendere in considerazione è l’inclinazione del tavolato del palcoscenico verso la platea: se non si sta più
che attenti nell’entrare dal fondo con foga
si rischia di cadere in braccio alla prima
fila, e tutti i movimenti vanno fatti con
un certo equilibrio proprio per non perderlo, l’equilibrio intendo. Poi ci sono le
luci che in genere accecano, pertanto mai
fissarle e guardare il pubblico da lontano
ma sempre a bordo palco ed evitando,
se possibile, qualunque abbagliamento.
Quindi la voce: quando si recita dirigerla sempre verso gli ascoltatori; nell’impossibilità dovuta alla regia, aumentare
la potenza dell’emissione in proporzione
alla distanza e all’eco. E poi c’è il dietro
le quinte, chiamato oggi, con un francesismo all’inglese (o viceversa), Backstage:
un antro pauroso, scuro, zeppo di funi, catene e sacchi di sabbia appesi, di rotoli di
sfondi e materiale di scena in cui è facile
inciampare, soprattutto con la poca luce
del cambio di scena fra un atto e l’altro.
Ma la cosa più spaventosa era una imbracatura che permetteva di sollevare l’attore
a qualche metro d’altezza: si insomma, ci
voleva un bel coraggio a salirvi sopra ed
a dondolarsi nel vuoto a quattro, cinque
metri dal tavolato. E’ per questo motivo
che nessuno voleva fare la parte di Giuda. Non tanto per il personaggio in se,
considerato a torto infido e traditore per
via della nostra educazione religiosa,
ma, diciamolo, per la fifa. Perché era lui
che, simulando la propria impiccagione,
avrebbe dovuto fare uso dell’imbracatura.
Comunque l’eroico attore fu infine trovato, o obbligato, non ricordo bene; comunque esso lo fu.
Venne quindi il giorno fatidico: tutti tesissimi, preparati ed emozionati. E la recita
ebbe inizio.
Cristo fece la sua parte, come Pilato del
resto, e così Giuda, la folla, gli apostoli e
così via; l’accoglienza fu strepitosa e gli
applausi scroscianti a scena aperta. Ma il
successo, quello vero, lo si vide dal comportamento del pubblico durante la recita: il pianto delle suore e la paura dei più
piccoli quando videro fustigare Cristo, la
disperazione e le preghiere, sempre delle suore, alla vista della crocifissione e,
dulcis in fundo, nel senso di successo ovviamente, l’immane urlo di orrore di tutti
gli spettatori, piccoli e grandi, religiosi e
laici, maschi e femmine (le suore), sentito probabilmente sin nei più reconditi
anfratti degli stabilimenti dell’Innocenti,
al vedere le gambe di Giuda penzolare da
una parte all’altra del palcoscenico. E con
questa terribile immagine ebbe termine la
recita, bagnata, con triste gioia, da un profluvio di commosse lacrime. Insomma, fu
l’apoteosi.
Ma, come dicevo, il destino aveva in serbo per me altre scelte. Il giorno prima della recita fui chiamato in direzione dove
aspettava mia sorella: era morto nostro
padre. Così uscii dai Martinitt per rientrarvi qualche giorno dopo, a spettacolo
ormai passato alla storia. La descrizione
dello stesso è basata sul racconto fattomi
dai miei compagni-attori e dalle testimonianze del personale e delle suore le quali,
per molti anni ancora, lo ricordarono con
commozione; oltre, ovviamente, dalle impressioni rimastemi delle prove generali
in costume.
Una cosa mi è rimasta da scoprire e che,
suppongo, non scoprirò mai più: come
apostolo sono stato sostituito o sono rimasti, essi, in undici? Propendo per la
seconda possibilità. Chi mai, con tutta
quell’emozione, si sarebbe messo a contarlii dodici o undici apostoli? E poi, chi
avrebbe mai saputo recitare a par mio la
drammatica e ormai fatidica frase: “Sono
forse io, Signore?”Nessuno! Ergo.
Ma il merito maggiore deve andare al sig.
Battoraro che seppe insegnare, dirigere e
gestire un’opera così complessa. Per questo lo voglio qui ricordare con miei più
vivi ringraziamenti. Anche perché da lì,
poi….. ma questa è un’altra bellissima
storia che leggeremo più avanti.
Sergio Cinquanta
Sergio Cinquanta docente Universalia3
dei corsi Informatica di base e avanzata;
Musica&parole
(°) La prima parte è stata pubblicata su
Ideauniversalia n. 25-maggio 2015 pag.4
MAGGIO 2016
L
6
Costume&Società
LA FOTOGRAFIA ― DALL'ANALOGICO AL DIGITALE
La fotografia negli ultimi vent’anni ha
vissuto enormi cambiamenti, passando
dall’analogico (pellicola) al digitale.
Con quest’ ultima tecnologia la fotografia si è diffusa più velocemente che in
passato e il merito indubbio è del mezzo che attualmente viene usato di più: lo
smartphone che tutti abbiamo, o quasi.
Lo smartphone è diventato quello che in
un film visto recentemente è stato chiamato: la scatola nera della nostra vita.
Termine azzeccatissimo. Contiene tutto:
parole, pensieri, ricordi e foto, tante foto
che magari non avremmo scattato con una
macchina fotografica.
Forse esageriamo con i selfie o gli autoscatti magari da postare sui Social che,
eccessivamente invasivi e irrispettosi,
possono portare frequentemente alla cannibalizzazione dell’arte fotografica.
Devo ancora decidere se questo mi piace
o no. Amo fotografare con la macchina
fotografica, lo considero un rito prezioso.
Una ricerca, la meno frettolosa possibile, che ci porta a cercare le cose e poi
N
a fermarle in uno scatto: visto, voluto e
vissuto.
Il compulsivismo che accompagna molto
spesso l’uso del digitale in generale, con
lo smartphone sempre a portata di mano
(e di occhio), rischia di minare in parte il
merito sostanziale di tale mezzo che ha
portato molte più persone ad avvicinarsi
ad un obiettivo fotografico (o suo sostituto) per imprimere ciò che vede e ciò che
amerà ricordare. Ma non è il male assoluto.
Di fatto sono cambiati i mezzi di utilizzo
della fotografia, ma non il fine.
Avendo l’approccio giusto questa evoluzione tecnologica (il digitale) può aiutare
a sviluppare ed accrescere la nostra potenzialità creativa, perché ci permette di sperimentare di più: vedo, inquadro, scatto.
Se non mi piace cancello e riprovo.
Con l’analogico non avevamo l’immediatezza del risultato. Prima dovevamo
svilupparle tutte le foto per vedere se
avevamo tagliato qualche testa o i piedi.
Rimaneva l’impotenza e il dispiacere di
non poterla correggere e di rifarla, recuperandola..
Certo era impagabile la soddisfazione e
l’emozione di sviluppare un negativo e
toccare poi la foto stampata. Di guardarla e riguardarla. Chi ormai, con grande
attenzione e passione, prepara più un album di ricordi da sfogliare e da tramandare di generazione in generazione? Cose
passate e quasi del tutto perse.
Ma il mondo corre, molto veloce e noi
dobbiamo restare al passo. Che sia un dovere o un piacere anche per un romantico della Fotografia. E quindi mi viene da
dire: la Fotografia è viva e si evolve. Viva
la Fotografia.
A noi fotografi, anche amatoriali, resti il
monito di usarle sempre rispetto.
Gianfranco Mineri
Gianfranco Mineri docente
Universalia3 dei corsi Fotografia
digitale; Photoshop
MI SONO REINNAMORATA DI MILANO
Non so se sarà l’effetto Expo e il conseguente orgoglio italo-milanese, ma è da
un po’ di tempo che sto riscoprendo Milano. La sto guardando con occhi nuovi,
innamorati. Occhi che sicuramente molto
perdonano, ma che colgono dettagli che
non venivano più colti.
Credo che forse per tutti, la Milano del
dopo boom industriale avesse assuefatto
i nostri sensi al peggio, lasciandoci in un
limbo di rassegnazione e accettazione
percettiva mediocre. Adesso avverto fermento nell’aria, come non lasciarsi contagiare? Mi è tornata la voglia di girovagare zig-zagando per le strade, scoprendo o
riscoprendo angoli inaspettati.
Il distretto di via Tortona-Savona è una
delle immagini simbolo di questa effervescenza. Architetti e designer hanno trasferito le sedi dei loro prestigiosi studi in
questa zona recuperando spazi industriali
in modo eccellente e nel periodo del Fuorisalone basta passeggiare per le vie della zona per ammirare esposizioni a cielo
aperto. Il Design italiano è o no il più
ammirato e ricercato in tutto il mondo?
Ecco noi lo abbiamo a portata di mano,
pardon...di vista.
Altro esempio la Fondazione Prada, che
con il solo fatto di esserci ha dato spolvero e visibilità a un quartiere (zona Ripamonti) desolato e trascurato. Sorprendente!
Non vogliamo parlare dell’ormai gettonatissima Piazza Gae Aulenti e dell’Unicredit Tower? Può piacere o no, ma è
innegabile il fascino di questo inserimento modernissimo nel contesto del vecchio quartiere Garibaldi-Isola. Vi è mai
capitato uscendo dalla nostra sede di via
San Marco volgere lo sguardo a destra?
In una giornata limpida la luce rosata del
tramonto si riflette sulle finestre già accese del grattacielo e il profilo si staglia
netto contro il cielo. Mi sembra di vedere
la scena di un film americano dove l’onnipresente Ponte di Brooklyn fa da sfondo a
tutto. Bene, adesso abbiamo anche noi il
nostro sfondo a tutto.
Persino la nostra Chinatown ha recuperato godibilità. Con la nuova isola pedonale
è tornato piacevole passeggiarci e al vicino Cimitero Monumentale, riproposto
come museo a cielo aperto, nei fine settimana vengono organizzate numerosissime visite guidate (sorprendentemente da
giovani). Anche sui gettonatissimi Navigli alcuni spazi recuperati, come lo scalo
ferroviario di Porta Genova, sfrattando
l’ormai desueta Fiera di Sinigaglia, fanno da location a luoghi ricchi di offerte
culinarie: food truck, market a km. 0, ristoranti bio, etc. La Darsena finalmente
recuperata? L’unico appunto…un po’ più
di verde per favore!
Quando passo in Corso Garibaldi o vie
limitrofe, davanti a negozietti come Au
nom de la rose, che cosparge di petali di
rosa il marciapiede antistante, sorrido. E’
bello! Sorrido quando vedo i turisti in giro
per Milano che vivacizzano la città e sono
aumentati in modo esponenziale, con gran
merito ai nostri meravigliosi musei e alle
proposte di qualità che sempre offrono.
Sorrido quando incontro le vecchie apecar colorate ed allegre trasformate in negozietti vintage itineranti o in food-truck
che offrono cibo da strada, spaziando dalle gallette bretoni alle panelle siciliane.
Milano è bella. Bella bella! Chi non lo ha
ancora fatto…la riguardi e la riscopra!
Maria Pia Bacchi
Maria Pia Bacchi docente Universalia3
del corso Decorazione oggetti
7
L’ A T T I V I T À 2015
D I D A T T I C A 2016
NOTA DELLA REDAZIONE
Il numero di Maggio del nostro magazine – l’ultimo del nostro anno accademico – è tradizionalmente dedicato alla
presentazione dei lavori che i Soci/allievi dei vari laboratori artistici hanno realizzato, sotto l’esperta e paziente guida
dei nostri validi Docenti, nel corso dell’anno accademico. I lavori che trovate fotografati nelle pagine seguenti sono la
sintesi di quanto appreso nello svolgimento del corso e trasmettono il senso di una significativa padronanza delle tecniche
realizzative.
Ai Soci va il sincero apprezzamento per il lavoro svolto e ai Docenti il sentito ringraziamento del Consiglio Direttivo
per l’impegno e la dedizione che vengono profuse senza risparmio di energie fisiche e mentali.
Decorazione oggetti
8
DOCENTE: MARIA PIA BACCHI
Carla Riva
Lidia Carcione
Angela Bertoletti
Giorgia Carta
Qui sopra a sinistra,
Pasqua Crapuzzo.
Sopra a destra,
Silvana Muratori.
Qui accanto,
Patrizia Teruzzi.
Decorazione oggetti
9
Sotto a sinistra, Maria Ceccarelli.
Sotto a destra, Carmela Andreula.
Enrica Bertullo
Luciana De Mari
Maria Assunta Giobbo
Lucia Trabati
Luisella Ighina
Gabriella Restocchi
Luisa Polito
MAGGIO 2016
Acquerello
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DOCENTE: ROSI MAURI
Angela Perrotta
Anna Maria Freschi
Antonia Casati
Gabriella Biondi
Marina Rolando
Sopra,
Fulvia Senigaglia.
Accanto a sinistra,
Maria Luisa Villa.
A destra,
Loredana Rossetti.
Acquerello
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Daniela Polo
Luisa Borioli Gatti
A sinistra,
Giuseppe Dal Dosso.
In alto a sinistra,
Luisa Polito.
In alto a destra,
Lucia Zerbinato.
Rosetta Ghiandoni
Luisa Bonatti
Alberto Sacchetto
MAGGIO 2016
Disegno e colori
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DOCENTE: SANDRO CIGOLINI
A sinistra,
Daniela Polo.
In alto,
Alberto Sacchetto.
Sotto, Lucia Zerbinato.
A destra,
Laura Zenoni.
Sotto a sinistra,
Anna Teresa Intilla.
Sotto a destra,
Elena Rader.
Disegno e colori
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Loredana Rossetti
Luisa Borioli Gatti
Luisella Ighina
Maria Luisa Villa
Rosanna Zuliani
Fulvia Senigaglia
Luisa Polito
MAGGIO 2016
Disegno e tecniche diverse
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DOCENTE: VITTORIO BERTOLAZZI
Loredana Rossetti
Luisa Borioli Gatti
A sinistra, Maria Luisa Villa
Sopra, Luisa Polito
Disegno e tecniche diverse
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In alto a sinistra,
Giuseppe Daldosso.
In alto a destra e a sinistra,
Daniela Polo.
A lato,
sinistra e destra,
Anna Teresa Intilla.
MAGGIO 2016
16
Attività Universalia 3
Il 20 gennaio scorso un nutrito gruppo di soci si è recato a Torino a visitare il rinnovato museo egizio. Di questa esperienza abbiamo
la testimonianza sia di una socia - Tina Perini - sia dell’ideatore dell’iniziativa (°) e preziosa guida: il docente Giuliano Oggionni.
APPUNTI DI VIAGGIO
In perfetto orario i partecipanti alla visita si sono ritrovati con il nostro capoguida Giuliano Oggionni. Siamo saliti
sul Frecciarossa che bello, caldo, pulito
e in perfetto orario ci ha traghettati a destinazione in un’ora!
A Torino splendeva il sole e c’erano due
gradi in più di Milano. La sede del Museo Egizio è raggiungibile a piedi in un
quarto d’ora circa.
Questo museo è un’immersione in un
altro mondo che ti obbliga a pensare.
Si segue il percorso con l’audioguida
che illustra via via il materiale raccolto. Personalmente mi è stato guida un
versetto scritto su uno dei papiri che illustrano la Sala del tribunale dell’aldilà
in presenza di Osiride e dei quarantadue
giudici che recita “Salute a te o grande
Dio, signore delle due Maat. Io vengo a
te o mio Signore essendo stata condotto
a contemplare la tua bellezza”.
Sia che noi siamo religiosi o agnostici
i reperti di questo museo incutono rispetto per la loro alta considerazione del
mondo dell’aldilà. In termini attuali gli
Egizi hanno raggiunto il loro obiettivo:
si costruivano delle dimore e degli alter
ego in forma di statua per l’eternità e
veramente sono ancora presenti tra noi
dopo millenni.
Le ultime sale, dedicate alla statuaria,
C
ti causano quasi sgomento per la forte
suggestione che ti porta a dare valore
ad ogni individuo immortalato da una
statua.
Nel tempo libero a disposizione abbiamo visto una piccola parte di città. Il nostro gruppetto ha apprezzato la Piazza
Reale definita da Palazzo Madama, Palazzo Reale e, non da ultimo, la Chiesa
di San Lorenzo. E’ una costruzione, definita Barocco, di Guerino Guerini per la
sua unicità che con le sue cupole ci ha
fatto alzare lo sguardo in alto.
Seguendo i portici siamo arrivati a Piazza Carlo Felice dove abbiamo pranzato
in un bar con un bel salone dorato d’altri
tempi, ma molto confortevole.
Altri posti sono stati visitati dai partecipanti: il Duomo, la chiesa dell’Addoloratae il museo del cinema.
Al rientro fissato per le 18,15 alla stazione di Porta Nuova ci attendeva una
musica suonata, dai passeggeri in attesa,
su un pianoforte messo a disposizione
nell’ingresso.
Una giornata veramente positiva, piena,
per ciò che abbiamo visto, e perché è
servita a rendere il gruppo più unito da
un’esperienza comune.
Tina Perini
VISITANDO IL NUOVO MUSEO EGIZIO DI TORINO
Chi, nel passato, ha visitatoil Museo Egizio di Torino rimanendone stupito, rivisitandolo ora nella sua nuova dimensione
è ancor più stupito e affascinato.
Anni addietro il suo spazio espositivo era
situato su due piani dove, in numerose
teche di vetro, si ammiravano i reperti
archeologici che ne costituivano la collezione; oggi, dopo i lavori di restauro,
la superficie espositiva, estendendosi su
quattro piani, è raddoppiata aumentando
così il numero dei reperti esposti.
Nella prima sala lo sguardo è catturato da
uno straordinario reperto: la Mensa Isiatica eseguita in bronzo con incisioni in
vari metalli e datata al I secolo d.C., probabilmente faceva parte dell’altare dell’I-
seo Campese (il tempio dedicato alla dea
egizia Iside) di Roma, vicino ad essaè
esposto il Libro dei Morti di Iuefankhche
coi sui diciotto metri è uno dei più lunghi
papiri della collezione.
Proseguendo la visita conosciamo, attraverso pannelli e teche dedicate, la vita di
Vitaliano Donati, Bernardino Drovetti,
Giuseppe Sosio ,Virginio Ros ed Ernesto
Schiapparelli che con i suoi scavi a Giza,
Deirel Medina, Gebelein e nella Valle
delle Regine, arricchì ulteriormente la
collezione del museo.
Si sale al secondo piano da dove inizia la
visita dei vari reperti datati dal Predinastico al Nuovo Regno.
Tra i reperti esposi vediamo una tipica
sepoltura dell’epoca predinastica e la tela
di Gebelein dipinta con rappresentazioni
di paesaggi nilotici e figure umane impegnate in attività diverse, nelle varie teche
della sala sono raccolti reperti fittili e arnesi da lavoro dell’epoca, che con quelli
esposti nelle teche a muro del soppalco
coprono l’intero periodo Predinastico Nuovo Regno.
Proseguendo, la statua della principessa
Reji, le stele falsa-porta di alcune mastaba, il sarcofago in pietra di Duaenra e le
tuniche in lino plissettate risalenti alla
V-VI dinastia ci portano all’Antico Regno.
La sala seguente è occupata dalle rico-
Attività Universalia 3
struzioni della tomba intatta degli Ignoti,
risalente alla V dinastia e da quella di Iti
e della moglie Neferu del Primo Periodo
Intermedio; di quest’ultima è possibile
ammirare i dipinti parietali, la stele funeraria e alcuni oggetti da toeletta appartenuti alla defunta.
Nelle altre sale sono esposte diverse tavole d’offerta, stele funerarie, il sarcofago
ligneo di Ini che, con le sue inscrizioni e
i due occhi dipinti sul lato sinistro, è un
esempio dell’evoluzione dei riti funerari
tra Antico e Medio Regno.
Al primo piano sono esposti i reperti
provenienti dal villaggio operaio e dal cimitero di Deirel Medina, dalle Tombe dei
Nobili e dalla Valle delle Regine.
Nella prima sala tra i reperti esposti si
trovano le statue divinizzate del faraone
Amenhotep I e della madre Ahmosi Nefertari, che, considerati i patroni del villaggio operaio, saranno venerati anche nei
santuari delle cittadine vicine.
Tra i reperti, ritrovati nel villaggio, meritano una menzione gli ostraka, pezzi di
pietra con prove di disegno e di pittura,e
numerosi papiri tra i quali di grande interesse storico sono: quello rappresentante
la pianta della tomba di Ramesse IV ed
utilizzato per la sua realizzazione e quello
che descrive il primo sciopero messo in
atto dagli operai del villaggio per reclamare il compenso pattuitoche non veniva
loro elargito da alcuni mesi.
Proseguendo la visita ci troviamo di fronte alla ricostruzione della cappella funeraria di Maia, e della tomba di Kha e Merit
ritrovata intattadalla spedizione italiana
guidata da Ernesto Schiapparelli i cui sarcofagi e tutto il corredo funebre tra cui
spicca la parrucca di Merit , la statuetta di
Kha, attrezzi del suo lavoro e il cubito regale in legno dorato donatogli dal faraone
Amenhotep III.
Proseguendo la visita arriviamo alla
galleria dei sarcofagi dedicata alla loro
evoluzione compresa tra il Terzo Periodo
Intermedio e l’Epoca Tarda sino a quella
Romana.
Spiccano per la finezza dei disegni e
la vivacità dei colori quello dello scriba reale Butehamon, della cantatrice
di AmonTabakenkhonsu, del sacerdote
Khonsumose, della dama e cantatrice di
AmonTamutmutef e quello del pasticcere Pahoreniset, risalenti al Terzo Periodo
Intermedio.
Alle pareti della sala si possono ammirare
alcuni papiri della collezione museale, il
cui nucleo principale proviene dalla collezione di Bernardino Drovetti.
Nella sala successiva ammiriamo un
capolavoro,frutto di studi sul campo e
dei diari di lavoro, ossiail modello ligneo
della tomba di Nefertari, completamente
ricostruita con i dipinti parietali in modo
preciso e accurato: la tomba, situata nella
Valle delle Regine, fu scoperta da Schiapparelli durante le campagne di scavo degli
anni 1903 - 1904 e 1905.
Della tomba, dopo le violazioni subite,
rimane ben poco: parte del suo corredo
funerario e parte del coperchio del sarcofago ricostruito coipezzi ritrovati in loco.
Esposti in altre teche vi sono diversi sarcofagi antropomorfi tra i quali spiccano,
in una teca ad essi riservata,quelli interni
appartenuti a Tapeni,Tamit e Renpetnefret, tre sorelle figlie diAnkh-khonsu funzionario del tempio di Amon a Karnak.
Vi è inoltre una parte dedicata al culto
degli animali con mummie e statuette di
Maschera funeraria di Merit
(foto di P.Garberia)
gatti, cani, falchi, pesci, ibis, leocumoni
(manguste) e altri considerati sacri e/o
ipostasi di dei, datate anch’esse all’Epoca
Tarda, completano i reperti di questo periodo due sarcofagi in grovacca: uno appartenuto al visir Gemenefherbake l’altro
al funzionario Ibi.
Durante il periodo aumenta, considerevolmente, il numero degli amuleti da disporre tra le bende usate per l’imbalsamazione del defunto, il cui scopo era quello
di accompagnare e proteggere il suo cammino nella Duat., che possiamo ammirare
in un’altra teca.
Le due sale dedicate ai reperti, dell’Epoca Tolemaica e di quella Romana, esposti nelle loro teche, terminano la visita su
questo piano.
Al piano terra troviamo la Galleria dei
Re, la sala Nubiana e il tempio rupestre
17
di Ellesiya.
Entrando nella sala che occupa la Galleria dei Re, allestita dallo scenografo Dante Ferretti, si viene accolti da una sfinge,
della XIX dinastia, proveniente dal tempio di Amon a Karnak,dalla testa di statua
colossale, forse di Tutmosi I, dalla statua
di Ramesse II, assiso in trono con la corona khepresh e i simboli del potere e ai lati
delle gambe, si trovano alla sua sinistra
la statua della regina Nefertari e alla sua
destra quella del principe Amonherkhepeshef rappresentati in grandezza ridotta
rispetto al faraone.
Proseguendo nella visita della prima sala
notiamo la statua acefala e non completata
di Horemheb e della moglie Mutnedjemet
seduti in trono, due statue del dio Ptah una
assisa e l’altra stante, mentre sul fondo
della sala la statua, in arenaria, del faraone
Sethi II, alta circa 5 metri sembra voler
dominare coloro che vi entrano.
La sala successiva è quasi interamente occupata da diverse statue della dea
Sekhmet, alcune sedute e altre stanti, alte
due metri ciascuna.
Chiudono l’esposizione della Galleria dei
Re la statua di Horemheb in piedi vicino
al dio Amonassiso in trono e rappresentato in dimensioni maggiori del faraone, la
statua di TutmosiI, forse usurpata a un suo
predecessore, e quella di Tutmosi III ambedue assise in trono e risalenti alla XVIII
dinastia.
Ritorniamo nella prima sala della Galleria
dei Re e attraverso la porta, che si trova
alla sinistra della statua colossale di Sethi
II, entriamo nella sala Nubiana, dove sono
esposte ceramiche della Nubia, una sfinge
con le sembianze di un re nubiano, ed una
statuetta alta 60 cm che, rappresentando
un faraone, ci ricorda i periodi in cui le
Due Terre dominavano questa regione.
Concludiamo la visita nella sala che ospita il tempio rupestre di Ellesiya, dedicato alla divinità del Sud Horus di Miam e
Satet, donato dall’Unesco all’Italia per il
suo contributo al salvataggio dei diciannove principali monumenti, tra i quali i
due templi di Abu Simbel e quello dedicato alla dea Iside situato sull’isola di File,
che sarebbero stati sommersi, per sempre,
dalle acque del lago Nasser derivato dallo
sbarramento della diga di Assuan.
Giuliano Oggionni
Giuliano Oggionni docente
Universalia3dei corsi Storia e tecnologia
dei profumi; Egittologia
(°) Con il prezioso contributo organizzativo di Maurizio Civardi
MAGGIO 2016
18
Attività Universalia 3
Il 26 Novembre si è svolta la prima gita di questo anno accademico che ha avuto come meta Bergamo per visitare la città alta e la
mostra Kazimir Malevic presso la Galleria d’arte moderna&contemporanea; in questa occasione i corsisti sono stati accompagnati da
Elena Introzzi – nostra docente del corso Il linguaggio dell’arte- e da Carla Dentella – esperta di cultura e del territorio bergamasco –
C
IN MARGINE A UNA GITA A BERGAMO
Chi dalla pianura si avvicina a Bergamo
in una giornata di bel tempo, vede risaltare nella fascia di colline che limitano
l’orizzonte verso nord la macchia chiara
di Bergamo Alta, circondata dalla fascia
delle poderose mura venete.
Quando poi, una volta entrati in città, ci
inoltriamo per il vialone che dalla stazione si dirige verso l’alto e arriviamo a Porta Nuova, ci riappare a distanza ravvicinata la stessa incantevole visione, inquadrata, questa volta, dall’ambiente arioso
e signorile del centro della Città Bassa.
Può essere interessante sapere che questa
visione non si è formata per caso, ma per
un preciso progetto; in effetti all’inizio
del ‘900, giusto un secolo fa, quella zona
era occupata da lungo tempo da una fiera, ma Bergamo si stava ingrandendo in
estensione nei sobborghi, e in importanza,
per lo sviluppo di nuove industrie. Dunque era il momento buono per spostare la
fiera in periferia e per dare al centro una
sistemazione più dignitosa, consona al
nuovo ruolo della città.
C’era però un problema: nuovi edifici
importanti avrebbero finito per coprire in
tutto o in parte la visione della parte più
nobile, più cara ai bergamaschi, del vero
cuore della città, e al tempo stesso di una
grande attrazione per i visitatori.
Allora un giovane architetto, Marcello
Piacentini, ebbe un’idea geniale: niente
palazzi importanti, ma un edificio basso e
lungo, accompagnato da un porticato pieno di bar e negozi che dava un carattere
ben preciso a uno spazio lasciato libero al
passeggio fino alla Chiesa di San Bartolomeo. Questo spazio fu subito battezzato
affettuosamente il Sentierone, e divenne
il luogo del passeggio e degli incontri.
Occorreva però bilanciare questo edificio basso con un altro edificio, anch’esso
poco invadente, ma sviluppato in altezza:
una torre stretta e alta, che richiamava in
qualche modo le torri di cui Bergamo era
stata ricca come tutte le città medievali.
Questa torre era posta dall’altra parte del
vialone; non solo non nascondeva la vista
della parte alta della città, ma quasi invitava l’occhio a salire e a inquadrarla nella
giusta prospettiva.
Il progetto potè essere realizzato solo
alcuni anni più tardi, dopo la fine della
guerra mondiale. Allora nacque l’idea di
dedicare, giustamente, la torre come monumento ai Caduti e tuttora è nota come
Torre dei Caduti.
Un altro problema si presentò una cinquantina di anni dopo, quando il Seminario diocesano, situato nel cuore di Città
Alta, si rivelò inadeguato come struttura
ricettiva per il numero di studenti (all’epoca nella bergamasca le vocazioni religiose erano molto numerose) e per la disponibilità per incontri, convegni e altre
iniziative.
Anche qui la costruzione di un grande
edificio avrebbe alterato il delicato equilibrio creatosi attraverso i secoli in uno
spazio ristretto, avrebbe rubato la visuale agli edifici più o meno vicini; anche il
profilo della città visto dal basso rischiava
di essere compromesso se torri, cupole e
campanili erano schiacciati dal confronto
con un volume fuori misura. La soluzione
fu trovata quando si decise di smembrare le varie parti in vari edifici, di forme
e volumi diversi, collegati fra loro, ma
che meglio armonizzavano con le forme
e i volumi preesistenti; inoltre, visti dal
basso, si inserivano bene nel profilo della
città.
Insomma, si tenne conto di quanto sia delicato inserire elementi nuovi in un contesto che ha una sua storia e una sua armonia. In certi casi non ci si chiede tanto se
uno o più edifici siano belli di per sé, ma
come dialoghino con l’ambiente intorno,
ovvero come l’architettura debba essere,
in qualche modo, al servizio dell’urbanistica.
Carla Dentella
Rubriche
19
PARLIAMO DI PSICOLOGIA
LA MELANCONIA
Questo stato d’animo assomiglia
all’angoscia, ma è peggiore per il dolore
che provoca.
Il soggetto si strugge e si dispera, nel
ricordo delle persone che ha lasciato o
che l’hanno abbandonato.
E’ un continuo pensiero fisso, come un
tarlo che rode il sentimento e distrugge
la volontà, la reazione alla vita,
l’impossibilità di trovare pace dentro di
sé.
La melanconia porta inevitabilmente
alla depressione, l’anticamera della
patologia vera e propria.
Questo sentimento è spesso padrone dei
pensieri dell’individuo, che vive lontano
da casa, in un ambiente non suo e magari
anche ostile, con un lavoro ingrato e
sotto pagato, oppure costretto da una
situazione obbligata che l’individuo non
avrebbe mai voluto subire.
E’ bene non stare chiusi in se stessi, ma
rivolgersi ad un professionista che possa
aiutare ad uscire da un pericolo ancora
maggiore.
Vezio Mari
Vezio Mari docente Universalia3 del
corso Psicologia della comunicazione
Dall’inizio di Febbraio 2016
è attivo dal nostro sito web
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dove troverete, tempestivamente, tutti gli avvisi riguardanti :
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• per leggere l’avviso che interessa cliccare sul nome del file (in piccolo e in rosso) che c’è sotto il titolo (in grande) dell’avviso
• quando appare l’avviso si può leggerlo, si può stamparlo, si può salvarlo in una propria cartella
• cliccando sulle barre orizzontali a destra appare l’elenco di tutti gli
avvisi reecenti inseriti e il loro archivio
Per ogni eventuale chiarimento rivolgersi in segreteria.
MAGGIO 2016
NOTIZIE
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Vi asp , conoscent tti: soci, am
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ici,
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erosi!!
”
La Redazione di
ideaUniversalia
ed il Consiglio Direttivo
augurano ai soci ed ai docenti
un sereno periodo di vacanza
dandoci fin d’ora appuntamento ad ottobre
per l’inizio di un altro brillante
anno accademico
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