numero 3/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
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numero 3/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro panorama per i giovani Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - POSTA TARGET CREATIVE Aut. n. S/SA0188/2008 valida dal 01/07/2008 - anno XLV - n. 3 - settembre-dicembre 2012 CLASSIFICHE Come si valutano didattica, ricerca e atenei PROFESSORI Reclutamento, carriera e stipendi dei docenti ARTE Vermeer alle Scuderie del Quirinale EDUCAZIONE E SFIDE DEL FUTURO Quale università? Sommario panorama giovani per i Un gruppo di studenti in una università italiana (Foto: Riccardo Venturi/contrasto). n. 3, settembre-dicembre 2012 PANORAMA PER I GIOVANI 3. Editoriale di Stefano Semplici Quale università? 4. Il ranking. Che cos’è e perché è discutibile Come vengono costruite le graduatorie internazionali delle università? di Fabrizio Core 6. Come si fa il rating: due esempi europei L’indagine italiana del Censis e quella inglese del “Times” a confronto. di Francesco Pipoli 8. Come si valutano i prodotti della ricerca scientifica? Sempre più spesso le carriere accademiche sono decise dalla qualità della ricerca. di Giuseppe Fasanella, Vittorio Raoul Tavolaro e Martina Zollo 12. Come si possono dare i voti ai professori? La valutazione della didattica è una questione tanto complessa quanto centrale per il sistema universitario. di Emanuele Vagnoni 16. Proposte per l’università: due modelli a confronto Le opinioni di due professori universitari: Gustavo Piga e Raul Mordenti. di Chiara Ciullo 18. La nuova governance degli atenei L’università italiana fra autonomia e continue riforme. di Carlotta Orlando 21. Reclutamento dei docenti. Storia di un pasticciaccio brutto Concorsi nazionali, concorsi locali e poi di nuovo concorsi nazionali... Ma come si diventa, in Italia, professori universitari? di Gabriele Rosana 24. Insegnare a Parigi Intervista a Giuseppe Leo, laureato del Collegio e professore di Fisica. a cura di Eugenio Galli e Vito Andrea Dell’Anna 26. Quanto guadagnano, e quanto insegnano, i professori universitari Secondo alcune ricerche i professori italiani sono fra i più pagati del mondo. Ma è difficile fare un confronto oggettivo. di Giuseppe Grazioso ed Elena Martini 30. I costi dell’università Il finanziamento del sistema universitario italiano. di Sara Centola 33. Il paese che guardava passare i treni Italia: biglietti di sola andata per i talenti nostrani e il desolato binario degli arrivi di cervelli dall’estero. di Pierluca Mariti 36. Il brain drain: un problema non solo italiano Mohamed Salah Ben Ammar, professore di medicina a Tunisi, parla dell’esodo di laureati dai paesi africani. di Henri Ibi 38. Welfare e merito nella crisi L’istruzione può essere l’occasione per superare le difficoltà economiche. di Selene Favuzzi e Angelo Filippi Primo Piano Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro - Roma Anno XLV - n. 3 - settembre-dicembre 2012 Direttore responsabile Mario Sarcinelli Direttore editoriale Stefano Semplici Segretario di redazione Piero Polidoro Redazione: Serena Berenato, Davide Brambilla, Selene Favuzzi, Elisa Giacalone, Gianmarco Lugli, Carlotta Orlando, Francesca Parlati, Gabriele Rosana, Donato Andrea Sambugaro, Sara Simone, Viviana Spotorno. Direzione: presso il Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 00173 Roma, tel. 0672.971.322 - fax 0672.971.326 Internet: www.collegiocavalieri.it E-mail: [email protected] Agli autori spetta la responsabilità degli articoli, alla direzione l’orientamento scientifico e culturale della Rivista. Né gli uni, né l’altra impegnano la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro. Potete leggere tutti gli articoli della rivista sul sito: www.collegiocavalieri.it 40. Il premio Alfieri del Lavoro Un’esperienza indimenticabile raccontata da due studenti del Collegio. di Matteo Rametta e Davide Masi 42. Vermeer (e non solo) a Roma Si è conclusa alle Scuderie del Quirinale a Roma la mostra dedicata al grande maestro olandese e ai suoi contemporanei. di Francesca Parlati Dal Collegio 46. Un’inaugurazione memorabile per il Collegio dei Cavalieri Il Ministro Profumo inaugura l’anno accademico 2012-2013. di Davide Brambilla e Nicola Galvani Autorizzazione: Tribunale di Roma n. 361/2008 del 13/10/2008 Scriveteci Per commenti o per contattare gli autori degli articoli, potete inviare una e-mail all’indirizzo: [email protected] #OLLEG OLLEGIO5NIVE O5NIVERSITARIOh,AMA RS RO0OZZA OZZANIv& &EDERAZIONE.A NE.AZIONALEDEI#AVALIERIDE VA EL,A ,AVORO Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro pano pa ano nora r ma per i gi giov iovan anii #OLLEGIO5NIVERSITARIOh,AMARO0OZZANIv6IA3AREDO2OMA1UADRIMESTRALE4ARIFFA2/#h0OSTEITALIANESPA3PEDIZIONEIN!BBONAMENTOPOSTALE$,CONVIN,.ARTCOMMA$#"-ODENAvANNO888)8NSETTEMBREDICEMBRE INTEG EGRAZIONE INTEGRAZIONE Interviste idi di erviste a Marcella Lu Lucid Lucidi cidi e Alfredo Ma t ano Mantovano ntova INDUSTRIA D DUSTRIA L storia La ll’I ntata storia de dell dell’Iri Irii rraccontata raccontat acconta contata a da Anton tonio Antonio oniio Zurzolo Z SCIENZA A Daii m i tterii d ll matematica tica misteri della ella mat ... ll a pent t ola l a pressione i one ...alla ...all ..all pentola p pr IMMIGRAZIONE IMMIGRAZIONE I MMIGRAZIONE IGRA L La a c città it à di tutti ittà panorama per i giovani Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - Tariffa R.O.C.: “Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N° 46) art. 1 comma 1, DCB Modena” - anno XLII - n. 3 - settembre-dicembre 2009 ECONOMIA Il mercato elettrico in Italia ECOLOGIA Cosa fare per consumare meno MARCONI L’inventore imprenditore AMBIENTE AMBIENTE Energia da risparmiare panorama per i giovani #OLLEGIO5NIVERSITARIOh,AMARO0OZZANIv6IA3AREDO2OMA1UADRIMESTRALE4ARIFFA2/#h0OSTEITALIANESPA3PEDIZIONEIN!BBONAMENTOPOSTALE$,CONVIN,.ARTCOMMA$#"-ODENAvANNO888)8NGENNAIOAPRILE AIOAPRILE INTERVISTE Bucciarelli, G tili Bu Gent Gentili, ntili, n ili, Morcellini, orcellini,, Masini sini ni e Pescia a CONFRONTI CONFR NFRONTI ONTI L’istruzi truzion ruzione L’istruzione ruzion uz zione superiore superiore nei europei e in Cina eii paesii eur euro DATI, 2” DATI, DUBBI DUBBI UBBI E E DIBATTITI DIBATTITI S DIBATTI SUL S L “3+ SUL “3+2” “3+ +2” L i La a riforma rii forma ma universit univers universitaria universi versitaria taria Sul sito del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” puoi leggere e scaricare tutti i numeri e gli articoli di Panorama per i giovani www.collegiocavalieri.it Editoriale Q ualche mese fa, insieme ad alcuni colleghi della in ultima analisi, spendere meglio può apparire faticosa, ma è Scuola Superiore S. Anna di Pisa, del Collegio Su- necessaria. Essa, quale che sia il giudizio di ciascuno nel merito periore di Bologna e dell’Almo Collegio Borromeo dei singoli provvedimenti, rimarca la consapevolezza di un’urdi Pavia, ho firmato una proposta che raccoglieva, genza e tuttavia, al tempo stesso, quella del doppio limite nel integrandole, alcune idee emerse nel dibattito che si era aperto quale si impantana anche la migliore buona volontà di riforma intorno all’annuncio da parte del Ministro Profumo di un pac- “istituzionale”. chetto di interventi, che non sono poi stati realizzati, sulla “valoIl primo corrisponde a una antica saggezza: per capire come rizzazione della responsabilità educativa e sociale, della capacità vanno davvero le cose in una realtà umana non basta studiare e del merito nell’università e nella ricerca”. Il filo di Arianna le sue regole; occorre guardare ai comportamenti concreti delle della nostra riflessione era costituito dalla consapevolezza, ma- persone e, nel caso specifico dell’università, alla loro concreta turata negli anni trascorsi a contatto con la vasta comunità di tutti disponibilità, che è il risultato di una storia di pratiche collettive gli studenti universitari e con quelle di collegi ai quali si accede non sempre virtuose, a essere appunto governati, valutati, seleattraverso prove molto selettive, che la contrapposizione fra me- zionati. Se questa disponibilità non matura, la scelta di “raddrizrito ed equità sia non solo concettualmente sbagliata, ma anche zare” il sistema a colpi di legge produce facilmente una ipertrofia dannosa proprio per chi inizia la corsa della vita da una posizione normativa che non cura affatto il malato e genera la paralisi della meno fortunata. C’è bisogno di una qualità diffusa e dunque di confusione e della inapplicabilità, con esiti perfino grotteschi, percorsi di eccellenza aperti nella filiera dell’educazione che è di come si sta verificando con il nuovo meccanismo dei “concorsi”. tutti e per tutti per continuare a far crescere quei talenti che an- Per questo parlavamo nel nostro documento del primato della cora oggi dimostrano la “competitività” dell’intelligenza italiana “responsabilità educativa e sociale”, che è quella dei docenti non nel mondo. meno che dei governanti. Nella lettera con la quale accompagnavamo le nostre propoIl secondo limite è quello delle risorse. La nuda evidenza dei ste, presentate nella forma di un vero e proprio numeri non toglie nulla all’importanza della articolato di legge per sottolineare l’esigenza lotta contro i tanti sprechi e le tante inefficienLa contrapposizione ze che zavorrano l’università, ma non condi una immediata concretezza, ci sembrava di poter evidenziare tre obiettivi fondamentali da fra merito sente di concludere che l’Italia è in affanno in perseguire per il bene della nostra università: ed equità questo come in altri settori solo perché spende - l’ampliamento di un’offerta formativa di non è solo male. L’Italia, purtroppo, spende anche poco qualità per tutti, da far crescere anche come concettualmente e ha deciso in questi anni, fino all’ultima legpremessa della piena realizzazione del dettato ge di stabilità inclusa, di spendere sempre sbagliata, costituzionale sul diritto dei capaci e meritemeno. I più recenti dati Ocse, pubblicati nel voli di raggiungere i gradi più alti degli studi; ma anche dannosa. 2012 ma relativi al 2009, sono inequivocabili: - la centralità della responsabilità didatl’incidenza sul Pil delle spese per l’istruzione tica nella sua unità inscindibile con l’attività di ricerca, erosa di livello universitario era pari nel nostro paese all’1%, rispetto dalla progressiva concentrazione solo sulla seconda della do- all’1,3 della Germania e della Gran Bretagna, all’1,5 della Franverosa valutazione dell’attività dei docenti, con poca o nessuna cia e al 2,6 degli Stati Uniti e della Corea, ma anche all’1,4 del attenzione per i loro comportamenti nei confronti dei giovani; Messico e al 2,5 del Cile. Solo la Slovacchia faceva peggio di - la necessità di garantire procedure di selezione davvero noi. Le risorse pubbliche, inoltre, coprivano il 68,6% della spesa trasparenti e rigorose, perché è quasi banale ricordare che solo (con un 23,8 già a carico delle famiglie), rispetto all’83 e 84 per “buoni” professori possono garantire una “buona” università. cento di Francia e Germania. È vero che negli Stati Uniti, in Credo di poter dire che la centralità di questi temi esce raf- Corea e in Gran Bretagna lo stato copre una percentuale molforzata dalla mappatura di quello che è stato fatto in questi ultimi to inferiore dell’investimento complessivo nell’università e che anni per rispondere all’esigenza di una maggiore qualità ed ef- sarebbe in linea di principio sempre possibile scegliere l’ultima ficienza del nostro sistema universitario. Una mappatura inevi- versione del modello Westminster e portare le tasse universitarie tabilmente complessa, perché complessi e non sempre coerenti a 10.000 e più euro l’anno. Quel che non si può fare è pretendere fra loro sono stati gli interventi del legislatore e dell’esecutivo, le nozze con i fichi secchi. Così come non si può negare che ancon le diverse maggioranze che si sono succedute. La pazienza che con i soldi pubblici si possono fare ottimi atenei. Francesi e nella raccolta e nella lettura dei testi di legge, dei decreti e dei tedeschi sono abbastanza soddisfatti dei loro... regolamenti prodotti per governare, valutare, scegliere e dunque, Stefano Semplici panorama per i giovani • 3 Il ranking Che cos’è e perché è discutibile Nowadays, if we want to know which are the best universities in the world we can look at many ranking lists. However, how can we be sure that the ranking procedures are reliable? What is the weight of the education quality, the most important feature considered in these exercises? As an illustrative example, we try to analyze the Academic Ranking of World Universities, published every year by the Shanghai Institute of Higher Education, Jiao Tong University, China. di Fabrizio Core siti specializzati alla ricerca dei feedback degli utenti. Insomma, qualsiasi decisione vogliamo fare nostra, non siamo più abituati a farlo autonomamente. Ed ecco quindi che, in un contesto ecoAlcune procedure di ranking nomico sempre contrappongono didattica più incerto, pree ricerca, premiando la seconda murosi genitori che ne avessero i a discapito della prima. mezzi si dovrebtiamo il rating delle agenzie, se vogliamo bero spremere sempre più le meningi per prenotare un ristorante o un hotel ci pre- trovare l’università “migliore” per i loro occupiamo di spulciare accuratamente i pargoli. Per fare ciò ci si affida alle famoAl giorno d’oggi siamo abituati a compiere le nostre scelte basandoci sul giudizio altrui. Se vogliamo effettuare un investimento in un qualsivoglia titolo, consul- 4 • n. 3, settembre-dicembre 2012 sissime classifiche universitarie, che forniscono il ranking di ciascun ateneo. Tali classifiche vedono spesso i nostri atenei in posizioni deprimenti in ambito internazionale: secondo l’Arwu (Academic Ranking of World Universities, redatto dall’Istituto di Istruzione superiore dell’università “Jiao Tong” di Shangai) la prima università italiana è la Statale di Milano, situata tra il centesimo e il centocinquantesimo posto. Per avere un riferimento nazionale spesso ci si affida alla Guida all’università italiana, redatta dal Censis e da “la Repubblica”. Una scelta importante come quella dell’ateneo (che è una scelta per la vita) è dunque spesso basata su quello che di fatto è un giudizio altrui. Quest’ultimo, come qualsiasi altro giudizio, può apparire “soggettivo”, nonostante i criteri scientifico-statistici con cui è formulato. Questo è il primo aspetto cruciale del ranking: quali dovrebbero essere i criteri alla base della sua formulazione? L’Arwu è stilato utilizzando i seguenti parametri: qualità dell’insegnamento, qualità dell’ateneo, output della Ricerca e performance pro capite dell’ateneo. Analizziamoli per capire cosa sia davvero un ranking. La qualità dell’insegnamento sembra giustamente il fattore più importante Foto: iStockphoto (DenisTangneyJr; ithinksky) Nuovi protagonisti Nuovi protagonisti nel giudicare un’università. In particolare sembra logico che la reale capacità di formare persone e competenze attraverso la didattica sia l’obiettivo principale che ogni università deve perseguire. Nella classifica Arwu la qualità dell’insegnamento viene rilevata in base al numero di premi Nobel e medaglie Fields vinte da ex alunni dell’ateneo e pesa sul totale per il 10%. Quindi solo un decimo del giudizio finale è basato sulla capacità formativa dell’ateneo e quest’ultima viene rilevata esclusivamente in base al riconoscimento internazionale in ambito scientifico, che di solito interviene con decenni di ritardo. È una metodologia che appare francamente parziale, scarsamente idonea a valutare la qualità didattica odierna, ma che si giustifica in funzione del suo carattere oggettivo, della mancanza di costi, dell’intento di valutare l’universo mondo dell’istruzione superiore. La qualità dell’ateneo viene valutata, analogamente, in base al numero di professori vincitori di premi Nobel o medaglie Fields e di ricercatori dell’istituzione citati in ambito internazionale. Il giudizio sulla qualità dei professori di una università è dunque formulato esclusivamente in base al loro successo in una professione che non è quella dell’insegnante, ma quella del ricercatore. Non importa quindi quanto un professore sia dedito all’insegnamento, attento alle esigenze degli studenti, capace di trasmettere competenze. Anzi, quanto più un professore si dedica a insegnare, tanto più tempo dovrà sottrarre all’attività di ricerca e tanto più basso sarà il suo contributo alla qualità dell’ateneo così definita, che pesa sul ranking per il 40% del giudizio. Un altro 40% dipende dall’output della ricerca, valutata in base al numero di articoli pubblicati e citati. Nuovamente, una simile procedura porta a contrapporre didattica e ricerca, premiando la seconda a discapito della prima e tendendo a trasformare il professore da insegnante a ricercatore, omettendo il suo rapporto con lo studente. Il restante 10% del ranking è formulato in base alla performance pro capite dell’ateneo, cioè in base alla produttività accademica di ciascun professore o ricercatore. Si può facilmente notare, in sintesi, come ci siano due grandi assenti in questo giudizio: studenti e risorse. Gli studenti sono i principali stake- In alto: ogni anno l’Istituto di Istruzione holder dell’università e ricoprono, allo superiore “Jao Tiong” di Shangai pubblica l’Academic Ranking of World Universities stesso tempo, il ruolo unico di clienti e (nella foto un’immagine della città). Nella “materia prima” del processo produttivo pagina precedente: l’Università di Harvard, universitario. Senza dubbio un premio anche quest’anno al primo posto nella Nobel arricchisce l’esperienza di uno classifica Arwu. studente, ma bisognerebbe accertarsi che il premio Nobel sia, oltre che un eccelso ricercatore, anche abile a trasmettere le scapito degli studenti di queste ultime. proprie competenze, cioè un vero profes- Con ciò non si vuole assolvere l’universore. Il ranking dovrebbe dunque basarsi sità italiana da una serie di colpe e ineffinon unicamente sulla qualità accademica cienze che la affliggono, ma si vuole sotdello staff universitario, ma anche sulla tolineare l’iniquità e l’inadeguatezza di qualità didattica che si dimostra in grado un sistema di ranking che trascura il ruolo di assicurare. Il punto è che rilevare la primario dell’università, che è quello delqualità accademica è “semplice”, attra- la formazione di persone e competenze, verso appunto il riconoscimento interna- a favore dell’altra funzione, sicuramente zionale delle ricerche, mentre misurare importante, della ricerca. quella didattica è ben altra impresa. In conclusione un siffatto modello di L’altro grande assente nelle procedu- ranking sembra essere un mezzo di prore di ranking sono le risorse. Queste ul- mozione pubblicitaria per gli atenei, finatime, e le loro fonti, non possono essere lizzato non a dare un giudizio su questi trascurate. È migliore un’università che ultimi ma ad attrarre risorse finanziarie, da può permettersi di stipendiare diversi parte di facoltosi alumni o mecenati, e acpremi Nobel facendo pagare rette astro- cademiche, cioè professori e ricercatori. In nomiche o una che riesce a offrire un alto questo modo finanziatori e docenti vengolivello di didattica, facendo pagare molto no gratificati dal contribuire, con i propri meno ai propri studenti? La domanda ap- fondi e il proprio lavoro, a un ateneo che pare particolarmente appropriata proprio si colloca nei primi posti di queste graduaa proposito dell’università italiana: nelle torie. Dunque il ranking sembra ad oggi classifiche internazionali gli atenei italia- essere concepito per curare tutta una serie ni ricoprono spesso posizioni basGli atenei italiani ricoprono se, tuttavia sono spesso posizioni basse, molti gli studenti, ma sono molti i nostri studenti formatisi in questi atenei giudicati di che ottengono risultati prestigiosi. “basso profilo”, che ottengono risultati prestigiosi e rico- di aspetti altamente commerciali e scarsaprono ruoli di primo piano in istituzioni mente utili, talvolta addirittura dannosi, ai universitarie molto più quotate, spesso a fini della valutazione della didattica. panorama per i giovani • 5 Quale università? Le due più famose università inglesi sono Oxford (a sinistra la Radcliffe Camera) e Cambridge (nella pagina seguente la cappella del King’s College). Come si fa il rating: due esempi europei The allure of universities has gained, as in medieval times, an international scale, thus implying a growing demand for updated information about academic institutions. The rating of universities is a complex matter; two examples, taken from the Italian and British experience, show the most common criteria utilized for the assessment of academic quality. The analysis of their strong and weak points could suggest improvements, which would support the formulation of public policy. Foto: iStockphoto (Nikada; ChrisAt) di Francesco Pipoli L’aumento del numero di studenti che accedono a una formazione di livello universitario e la loro maggiore possibilità e disponibilità a muoversi hanno portato a una concorrenza a livello globale tra le istituzioni accademiche. Già nel Medioevo gli studenti si recavano in posti lontani, nelle università che godevano della maggior fama per la materia che desideravano apprendere. Oggi, la grandezza del fenomeno porta a una crescente domanda di informazione sulla qualità di tali istituzioni, che possa guidare studenti e famiglie verso le scelte migliori. Con questo scopo vengono formulate le numerose league tables delle università. Come si vede anche nell’esempio dell’Arwu, illustrato nell’articolo di Fabrizio Core, 6 • n. 3, settembre-dicembre 2012 liane elaborata dal Censis per “la Repubblica” e il “Times”, che elabora lo Higher Education’s World University Ranking. La valutazione del Censis si concentra sulle singole facoltà e si articola su quattro famiglie di indicatori che hanno tutte lo stesso peso: produttività, ovvero la capacità di un’università di garantire una prosecuzione regolare degli studi; didattica, ovvero indicatori della qualità dell’insegnamento; ricerca, in termini di numero di prodotti e capacità di attrarre finanziamenti ministeriali (programmi Prin); rapporti internazionali relativi a studenti in entrata e uscita e opportunità di formazione all’estero. Ogni famiglia comprende indicatori specifici, che vengono normalizzati rispetto alla variabilità massima del dato considerato sull’insieme di tutte le facoltà analizzate, per ottenere valori confrontabili tra i vari atenei. Scendendo più nel dettaglio, si può notare come già gli indicatori di produttività – comprendenti il tasso di persistenza di studenti tra il primo e il secondo anno, il numero di crediti erogati per studente, il tasso di regolarità di iscritti e laureati, separatamente per lauree triennali e magistrali – diano informazioni sulla didattica, ma non necessariamente riflettano un’eccellenza nell’insegnamento: possono, infatti, essere indice di un basso livello degli standard. Altri indicatori che riguardano specificamente la didattica possono risultare di difficile comprensione, come per esempio il rapporto tra docenti di ruolo e crediti erogati, oppure essere troppo sintetici, come il rapporto tra docenti di per arrivare a questo risultato occorre selezionare degli indicatori che esprimano un aspetto della qualità degli atenei esaminati, elaborare un criterio di vaLe varie metodologie si lutazione dei vari differenziano per gli indicatori fattori consideraconsiderati, le fonti, l’elaborazione ti, predisporre una raccolta di dati e e la presentazione dei dati. infine formulare un punteggio o rating. Le varie metodo- ruolo e studenti iscritti, ma altri sono delogie si differenziano, quindi, per gli in- cisamente interessanti. La valutazione del dicatori considerati, per la scelta delle Censis, infatti, premia le facoltà con un fonti dei dati, per il modo in cui vengono maggior numero di corsi monitorati con i elaborati e, in ultima analisi, per la pre- questionari di valutazione compilati dagli sentazione dei risultati. studenti e quelle con un più alto rapporto Vediamo, nello specifico, due esempi tra test con valutazione positiva e numero europei: la classifica delle università ita- di test totale. Foto: iStockphoto/photomorphic Quale università? La classifica del “Times”, invece, valuta le università nel loro complesso, in base a cinque parametri: insegnamento (pesa per il 30% del rating finale); ricerca (30% del totale); citazioni dei prodotti della ricerca (30% del totale); proventi dall’industria (2,5% del totale) e profilo internazionale (7,5% del totale). La normalizzazione dei dati avviene con l’assegnazione di un punteggio che quantifica la distanza del dato considerato dal valore medio di tutti i dati omogenei raccolti, rispetto a una scala tarata sulla deviazione standard degli stessi. Si vede subito come la valutazione di parametri bibliometrici, che punta a misurare la capacità di una università di contribuire al sapere globale, concentri l’attenzione sulla ricerca piuttosto che sulla didattica. In queste due voci, tra l’altro, pesa anche un tipo di valutazione controverso: l’utilizzo di sondaggi sul prestigio delle università nel campo della ricerca (pesano per un 18% del punteggio finale) e dell’insegnamento (15% del punteggio finale), svolti tra più di 16.600 accademici nel mondo. Il problema di questi indicatori è che, spesso, sono influenzati dal prestigio guadagnato da un’istituzione nel tempo presso l’opinione pubblica, a discapito delle università piccole o poco conosciute e con il rischio che per qualcuno ci sia la possibilità di vivere semplicemente di rendita. Nel confronto tra queste due metodologie si possono osservare alcuni punti di forza e di debolezza che accomunano l’attività di valutazione del mondo accademico svolta a livello internazionale. Innanzitutto il Censis utilizza solo dati provenienti dal Miur o altri enti o consorzi pubblici, mentre il “Times” fa uso di dati liberamente inviati dalle università: la seconda metodologia è più esposta a vizi nella comunicazione dei dati al fine di migliorare il rating di un’istituzione. Il Censis, inoltre, presenta disaggregata la valutazione per ogni facoltà e per ognuna delle quattro famiglie considerate, riportata in una scala da 66 a 110, pari a quella del voto di laurea. L’esposizione dei risultati disaggregati attraverso giudizi o confronti rispetto a livelli medi, massimi, o livelli minimi di sufficienza, consente, secondo alcuni studi (come quello pubblica- to nel 2005 da David D. Dill e Maarja M. Soo), una loro maggiore comprensibilità da parte degli utilizzatori, che possono soffermarsi sugli aspetti che valutano più importanti in un’istituzione e sulla variabilità degli stessi tra una facoltà e l’altra, in funzione dell’orientamento delle proprie scelte. Infine, si può notare come si faccia più attenzione a dati di input – ovvero risorse, rapporto professori/studenti, reputazione – piuttosto che a indicatori che prendano in esame la qualità della carriera dello studente, il valore aggiunto dato dall’università alla sua formazione e l’output, ovvero i risultati conseguiti dopo la laurea. Alla luce di tutto ciò, Dill e Soo proponevano un rating senza ranking: alle singole università, elencate in ordine alfabetico, corrispondono semplicemente giudizi sulle varie famiglie di indicatori, rafforzando la valutazione della carriera dello studente e dell’output e prospettando l’utilità di una tale metodologia anche per l’orientamento di politiche pubbliche di riforma del mondo accademico e di allocazione delle risorse. panorama per i giovani • 7 Quale università? Come si valutano i prodotti della ricerca scientifica? Recently, a new science was born: it is called bibliometrics, and is made up of a set of methods to analyze scientific literature quantitatively. In research evaluation, commonly used bibliometric methods are citation analysis and content analysis: it is widespread the use of tools such as the impact factor, the peer review method and the h-index. In this way, many research fields are combed to explore the impact of researchers or papers. In Italy, the National Agency for the Evaluation of Universities and Research Institutes (ANVUR) has the aim to work out this kind of analysis. Foto: iStockphoto/srebrina di Giuseppe Fasanella, Vittorio Raoul Tavolaro, Martina Zollo In molti altri paesi, europei e non, è ormai pratica consolidata; in Italia rappresenta ancora una novità, ricca di innegabili problematiche: si tratta della valutazione dei prodotti della ricerca scientifica e accademica, ossia dell’insieme di procedure finalizzate all’espressione di un giudizio, più o meno strutturato, sulle attività che costituiscono la ricerca scientifica e sui risultati cui essa giunge. Come per qualsiasi altro tipo di valutazione, essa comporta la necessità di stabilire norme e criteri conformi agli scopi che ci si è prefissi e tali, dunque, da permettere l’espressione coerente di giudizi riguardanti le preminenti caratteristiche della o delle ricerche, quali ad esempio la qualità, l’impatto, l’efficacia, l’efficienza e la rilevanza. Nello specifico, sono passibili di valutazione in primo luogo gli articoli pubblicati su riviste a seguito di attività di ricerca, nonché libri 8 • n. 3, settembre-dicembre 2012 L’Anvur e la Vqr Il primo passo di tale lungo e impervio cammino si è avuto con l’istituzione, tra l’ottobre e il novembre 2006, dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Da quel momento (e per la prima volta nella storia, essendo stato effettuato in passato solo un esperimento di questo tipo, dalle dimensioni assai ridotte: 17.000 prodotti presi in considerazione, peraltro scelti a discrezione delle singole istituzioni, contro i 200.000 attuali) è iniziato un lungo processo: circa sessantamila docenti italiani – di ogni ordine e grado, dai ricercatori agli ordinari – di 95 università pubbliche e private sono stati obbligati a sottoporre a un giudizio esterno l’attività di ricerca svolta nell’arco di sei anni, dal 2004 al 2010. Obiettivo ultimo di tale fase è la compilazione, prevista per il marzo 2013, di una classifica degli atenei e dei dipartimenti, a partire dalla valutazione del lavoro svolto dai singoli soggetti a essi interni, così da fornire un indicatore di massima sulla situazione dell’università italiana. È però più rilevante sottolineare che da tale mappatura dipenderà la distribuzione del 20% del Fondo di finanziamento ordinario, stimato intorno agli 832 milioni di euro: rappresenta sostanzialmente il futuro della ricerca italiana, e con esso anche quello degli studenti, i quali disporranno di uno strumento certo per orientare le proprie scelte. A capo di questa complessa macchina, che porta il nome di Vqr (Valutazione della qualità della ricerca), c’è un ingegnere del Politecnico di Torino, Sergio Benedetto, 67 anni, dalla carriera ricca di esperienze internazionali e padre di numerosi brevetti nel campo e simili, ma anche progetti di ricerca, programmi, gruppi, o intere istituzioni che svolgono o finanziano attività di ricerca. L’ampiezza e l’insidiosità del problema sono evidenti: i molteplici e complessi scopi, la possibilità di scelta tra numerose tecniche con cui raggiungerli, per non parIn Italia la valutazione lare della vastità e dei prodotti della ricerca della natura eteroè diventata una necessità ormai genea dell’oggetto, rendono tale proineludibile. cesso uno dei più travagliati e discussi nella storia dell’acca- delle telecomunicazioni. Nell’intervista demia italiana, sollevando inesorabilmente del 4 febbraio 2012 a Simonetta Fiori di intorno a esso polemiche di ogni sorta. Basti “la Repubblica”, Benedetto dichiara: “I pensare che ogni tipo di ricerca (di qualsiasi prodotti della ricerca saranno valutati sia disciplina o ambito culturale, dalla chimica con metodi bibliometrici sia con la peer alla storia dell’arte, dalla fisica alla filosofia, review. Il criterio bibliometrico misura il dall’ingegneria alla medicina) può e deve es- numero di citazioni ricevute da un artisere oggetto di valutazione. colo, cioè l’interesse suscitato nella co- Quale università? munità scientifica. La peer review consiste nella revisione da parte di uno studioso di pari valore”. All’obiezione della giornalista – “Dunque non è necessario lo stesso rango accademico” – risponde: “No, certo. Qualcuno pensava che la revisione spettasse solo ai ‘pari grado’, ma la cosa fa sorridere. Ora se ne è fatto una ragione”. Sorvolando sull’enormità di tempo trascorsa da quando si parlò per la prima volta in Parlamento di valutazione della ricerca (Benedetto si limita a commentare, caustico: “In Parlamento hanno ampia rappresentanza i professori universitari, che danno voce alle proprie resistenze. Come se l’attitudine a giudicare gli altri li autorizzasse a considerarsi al di sopra di ogni valutazione”) sembra dunque giunto il tempo in cui chiunque sia coinvolto o faccia parte della vita accademica italiana debba confrontarsi con termini quali peer review, ranking delle riviste, bibliometria et similia. L’impact factor Poiché, come direbbe Corto Maltese, “iniziare dall’inizio è sempre un buon inizio”, occorre porre in un quadro adeguato i vari strumenti che ci si accinge a presentare: essi possono essere ricondotti infatti, al funzionamento generale della cosiddetta bibliometria, sistema di analisi applicato a vari ambiti scientifici, basato sull’utilizzo di metodi matematici e statistici per la modellizzazione della distribuzione delle pubblicazioni scientifiche, in modo da verificarne l’impatto all’interno delle comunità scientifiche. Ovviamente tale insieme di pratiche è alquanto recente: nasce negli anni Venti e si sviluppa enormemente in conseguenza della disponibilità online di database di grandi dimensioni (si pensi ad esempio ad ArXiv, archivio di pubblicazioni accessibile on-line, nel quale numerosi fisici e matematici ormai pubblicano i propri lavori prima di sottoporli a riviste tradizionali, per consentire un libero accesso da parte di tutta la comunità scientifica, per ricevere commenti e pareri dai colleghi di tutto il mondo e soprattutto per vedersene riconosciuta la paternità e la priorità temporale). Peraltro, esso si inserisce all’interno di un ambito di studi più ampio, detto scientometria, ossia la scienza per la misurazione e per l’analisi dell’avanzamento scientifico. Lo strumento principe dell’analisi bibliometrica è l’impact factor, un indice sintetico che misura il numero medio di citazioni ricevute in un dato anno da articoli pubblicati in una rivista scientifica nei due anni precedenti. In estrema sintesi, esso ha la funzione primaria di stabilire la rilevanza di una rivista nel proprio ambito di riferimento. L’impact factor fu teorizzato da Eugene Garfield, fondatore nel 1960 dell’Institute for Scientific Information, ente fornitore di banche dati bibliografiche: quest’ultimo fu acquisito nel 1992 dalla Thomson Scientific & Helthcare ed è attualmente proprietà della Thomson Reuters. Sua principale attività è la pubblicazione annuale dei Journal Citation Reports, nei quali si riportano l’impact factor di migliaia di riviste scientifiche inserite nelle banche dati citazionali di Thomson Reuters, riguardanti sia le scienze naturali e la tecnologia (comprese nello Science Citation Index – Sci), sia le scienze sociali e umanistiche (inserite nel Social Sciences Citation Index – Ssci). In tal modo si ha la copertura di un’ampia gamma di aree disciplinari; tuttavia, essa è volutamente selettiva e incompleta, poiché presupposto basilare di tale classificazione è che la maggior parte della lettera- tura scientifica rilevante si concentri in un numero alquanto limitato di riviste, quelle di maggiore importanza e visibilità, nonché di consolidata tradizione editoriale. Altro dato significativo in merito alla natura dei Journal Citation Reports: la selezione delle riviste in esso censite è svolta a totale discrezione di Thomson Reuters, partendo da linee-guida basate su un approccio che tenta di conciliare aspetti, qualitativi e quantitativi, tali da individuare le caratteristiche principali di una rivista scientifica degna di essere presa in considerazione per la misura dell’impact factor. Tali caratteristiche sono ritenute essere: 1. la puntualità nella pubblicazione; 2. l’applicazione di un processo di valutazione editoriale degli articoli basato sulla peer review (del quale si parlerà in seguito); 3. la presenza di un abstract degli articoli e di informazioni bibliografiche in inglese (e ciò nonostante la maggior parte delle riviste censite sia costituita da pubblicazioni interamente in lingua inglese), oltre che di liste di referenze negli articoli in caratteri latini e riportate secondo le convenzioni editoriali internazionali; 4. l’internazionalità degli autori degli articoli pubblicati; La classificazione delle riviste Dal settembre dell’anno scorso, quando l’Anvur (Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca) ha avviato il procedimento previsto per la Vqr (Valutazione della qualità della ricerca), le varie società scientifiche, consulte e sottogruppi dei diversi Gev (Gruppi di esperti della valutazione) hanno prodotto le proprie liste ordinate di riviste, così da permettere l’introduzione anche in Italia di una classificazione dei “contenitori” dei prodotti scientifici. Tale processo non è stato, né è ancora, semplice e trasparente. Grandi polemiche hanno investito la pubblicazione dei cosiddetti ranking, spesso contenenti madornali errori, quali avere al proprio interno pubblicazioni discontinue o interrotte. Per comprendere le ragioni di tali problematiche, occorre sottolineare che per alcune aree scientifiche, ossia quelle umanistico-letterarie (aree numerate dall’Anvur dalla 10 alla 14) non esistono database bibliografici o bibliometrici di riferimento. Dunque, mentre i gruppi di esperti della valutazione per le aree dalla 1 alla 9 (riguardanti tutte le discipline scientifiche) possono e potranno avvalersi anche di tali preziosi strumenti, per le umanistiche questo è impossibile. Il risultato, per queste ultime, è una serie di liste, ciascuna delle quali basata su criteri che i singoli gruppi hanno autodefinito. Per quanto ciò sia avvenuto sulla base di esperienze simili già in atto altrove, la pecca più grave riscontrabile è la quasi totale mancanza di un efficace coordinamento centrale. Se organizzato in maniera differente, magari impostandone la struttura come centralizzata, questo impegno potrebbe tuttavia non solo servire come stimolo per le riviste nazionali a evolversi nella direzione degli standard europei, ma anche costituire una guida per i giovani studiosi e un supporto per chi deve valutare i prodotti della ricerca. panorama per i giovani • 9 Quale università? 5. l’interesse proprio del contenuto scientifico, in relazione anche alla copertura della specifica categoria tematica o alla trattazione di argomenti emergenti; 6. la presenza di dati citazionali sulla rivista (o sugli autori che vi scrivono) nel numero di riviste complessivo e il grado di copertura tendono a crescere, a beneficio del livello di verosimiglianza delle analisi proposte. Grazie anche alle stringenti argomentazioni critiche del noto matematico italiano Alessandro Figà TalamanCirca sessantamila docenti ca (presidente italiani dovranno sottoporre dell’Istituto naa giudizio esterno l’attività di zionale di alta matematica dal ricerca svolta. 1995 al 2003, dal database di citazioni delle riviste già cen- 2007 al 2009 direttore del Dipartimensite da Thomson Reuters. to di Matematica “Guido Castelnuovo” Prima di evidenziare gli eventuali dell’Università di Roma “La Sapienza”, punti deboli di tali criteri, si noti, a difesa nonché membro del Comitato nazionale preliminare dell’ormai noto, se non fami- per la valutazione del sistema universigerato, sistema di recensione di Thomson tario dal 1999 al 2004), è possibile indiReuters, che il numero di riviste prese in viduare varie fallacie del sistema sopra considerazione viene aggiornato frequen- descritto. temente, così da tener conto dell’evoluInnanzitutto, un palese problema di zione del sapere scientifico: nei Journal tempistiche: poiché per il calcolo dell’imCitation Reports si ha l’ingresso continuo pact factor occorre un minimo di tre anni di nuove riviste e la fuoriuscita di altre in come tempo di riferimento, ai quali bisoprecedenza censite. Inoltre, in generale, il gna aggiungere un arco di tempo impreci- sato (di solito qualche anno) perché una rivista sia inserita nei database Thomson Reuters, le riviste più recenti, anche se pubblicate da prestigiose associazioni scientifiche, rischiano di non vedere stabilito il proprio impact factor per anni, cosa che ne penalizza notevolmente la diffusione e la visibilità, specie in ambito internazionale. Inoltre, la stessa Thomson Reuters considera una pratica abusiva il valutare mediante impact factor i singoli ricercatori e le singole pubblicazioni, per la disomogeneità qualitativa degli articoli in una singola rivista. A latere, si aggiunga che l’impact factor non tiene conto del numero di autori di un singolo articolo e dunque sottovaluta o ignora il livello di complessità della ricerca; il che è palesemente poco corretto nel caso di pubblicazioni che hanno numerosi autori, come accade spesso ad esempio nel campo della fisica, nel quale risultano firmatari degli articoli tutti coloro che collaborano all’esperimento descritto (anche centinaia di nomi). L’H-index L’H-index è un indice pensato per misurare tanto la produttività di uno scienziato quanto l’impatto del suo lavoro sulla comunità scientifica: lo si ricava dalla combinazione del numero di pubblicazioni prodotte da un singolo studioso e delle citazioni che esse ricevono nei lavori altrui. L’indice è stato proposto nel 2005 da Jorge E. Hirsch, fisico della University of California di San Diego. L’autore fu, tuttavia, il primo a sottolineare come l’H-index non possa essere considerato un valore assoluto, universale e infallibile e possa anzi riservare spiacevoli sorprese. Già nelle prime righe del primo articolo dedicato alla formulazione e alla proposta utilizzazione dell’indice, infatti, si legge: “for the few scientists who earn a Nobel prize, the impact and relevance of their research is unquestionable. Among the rest of us, how does one quantify the cumulative impact and relevance of an individual’s scientific research output? In a world of limited resources, such quantification (even if potentially distasteful) is often needed for evaluation and comparison purposes (e.g., for university faculty recruitment and advancement, award of grants, etc.)” (J.E. Hirsch, “An index to quantify an individual’s scientific research output”, 2005, Proceedings of the National Academy of Sciences, 102, 46: 16569– 16572) La definizione dell’indice, come formulata da Hirsch, è la seguente: H-index = h articoli hanno ricevuto un numero di citazioni uguale o superiore a h In parole povere, uno scienziato possiede un indice h se h dei suoi N lavori hanno almeno h citazioni ciascuno e i rimanenti (N – h) lavori hanno ognuno al più h citazioni. Tale formulazione permette di ovviare ai difetti presentati da altri indici, in particolare dall’indice bibliometrico noto come impact factor. La struttura stessa dell’H-index permetterebbe invece di dare a singoli lavori il giusto peso, discriminando inoltre chi avesse pubblicato molti articoli ma di scarso interesse; inoltre, il valore dell’indice non è troppo influenzato da singoli articoli di grande successo. Tuttavia, esso non è esente da difetti, vizi e mancanze, e le critiche ricevute sono spesso state puntuali e più che condivisibili. Basti pensare che a fronte di fisici con valori di h superiori o vicini a 100, l’indice di Evariste Galois, grande matematico dell’Ottocento, è 2, mentre Richard Feynman, fisico teorico premiato col Nobel, ha h = 23 e Paul Dirac, anch’egli un fisico laureato dal Nobel, solo 19. Peraltro, Einstein non è presente nella classifica dei fisici con più alto H-index (stilata da Inspire-Hep, database prodotto da una collaborazione di Cern, Desy, Slac e Fermilab). Al di là dei sensazionalismi, occorre notare che l’efficacia dell’indice è limitata al confronto tra scienziati dello stesso ambito. Il problema più difficile che sorge nel calcolare l’indice è quello di selezionare le pubblicazioni e le citazioni da tenere in considerazione. Non esistendo un’unica banca dati che comprenda tutte le pubblicazioni scientifiche in tutti i settori, l’indice risulta estremamente dipendente dalla banca dati scelta. 10 • n. 3, settembre-dicembre 2012 Quale università? A destra e a pag. 11, sotto il titolo: libri e riviste scientifiche vengono analizzati con criteri bibliometrici che aiutano la valutazione della ricerca. Foto: iStockphot/SensorSpot È evidente, infine, che la rincorsa a un alto impact factor può vincolare la ricerca a fini differenti da quelli che le sono propri, ossia l’ampliamento delle conoscenze umane, e premiare sempre gli stessi ricercatori o le stesse tradizioni di ricerca, a scapito dell’originalità, dell’innovatività e della laboriosità di comunità scientifiche meno numerose, che conseguentemente producono un numero limitato di riviste. Altro danno collaterale è che, dato l’ormai consolidato uso dell’inglese come “lingua vettore”, buona parte delle riviste in grado di avere una diffusione universale è in lingua inglese, ma molti anglofoni citano solo anglofoni, così da creare nocivi circuiti auto-sostenentisi. Ovviamente, e indipendentemente dall’aspetto linguistico, si può assistere anche alla prassi di gruppi di studiosi dello stesso ambito che si citano a vicenda, uno “scambio di favori”. Per chiudere, si noti che citare un lavoro non implica sempre e necessariamente un giudizio di merito positivo sullo stesso: si possono infatti riprendere affermazioni errate al fine di poterle correggerle, il che Tale strumento permette indubbiamente di offrire una valutazione Un processo di valutazione del su misura per il tipo peer review può funzionare singolo prodotto solo a condizione che i valutatori accademico, ma presenta anch’essiano inattaccabili. so dei limiti. Per è commendevole per il citante, non per quanto riguarda in particolare il panorama il citato. italiano, qualora si vogliano attuare valutazioni su ampia scala che coinvolgano La peer review grandi strutture e gruppi di ricerca, la peer A questo punto è doveroso ammettere che review risulta di problematica attuazione, Eugene Garfield prima e Thomson Reu- specie se non inserita in un corretto quaters poi hanno richiamato l’attenzione sul dro di meccanismi trasparenti e riproducifatto che per la valutazione di una buona bili; ci si riferisce in particolare alla quaricerca occorre sempre un’attenta peer lificazione degli esperti e alla creazione di review. Essa consiste in una procedura, banche dati che forniscano informazioni composta da vari step, di selezione degli atte a favorire la corretta allocazione tra articoli o dei progetti di ricerca proposti oggetto d’analisi e know-how del revida membri della comunità scientifica, sore. Inoltre tale processo può risultare effettuata attraverso una valutazione ri- oneroso in termini di tempi e costi. Si è gorosa eseguita da specialisti del settore, dunque diffuso, proprio per ovviare a tali così da verificarne l’idoneità alla pubbli- inconvenienti, l’impiego della informed cazione scientifica su riviste specializzate peer review, cioè di un analogo tipo di o, nel caso di progetti, al finanziamento revisione, nel quale però al valutatore sono resi noti alcuni elementi in grado di degli stessi. orientarne, sostenerne o, eventualmente, correggerne il giudizio. È pacifico concludere, da ciò, che tale processo di valutazione, attualmente in atto in Italia, può funzionare solo a condizione che tutti i valutatori siano figure inattaccabili. Ne esistono oggi a sufficienza nell’università italiana, segnata da lobby e clientelismo? Ecco, a questo proposito, le parole di Sergio Benedetto, appropriata conclusione della nostra breve indagine: “Ogni attività di valutazione è fortemente condizionata dalla qualità di chi la esercita. Nessuno finora ha sollevato dubbi sui nomi dei quattrocentocinquanta valutatori: questo mi conforta molto. Circa il venti per cento è costituito da ricercatori che operano al di fuori dei confini nazionali. Naturalmente occorrerà monitorare la valutazione nel suo svolgimento (...) Non mi aspetto che ogni cosa funzioni in modo perfetto, ma ce la stiamo mettendo tutta. Siamo convinti che si tratti di una questione molto importante per la comunità scientifica. Potrebbe ridare una speranza ai tanti giovani che non ne hanno più”. panorama per i giovani • 11 Quale università? How to assess and compare the teaching performances of university teachers? Many legislative measures have deeply changed the criteria that professors and schools ought to comply with. The focus is not just on figures, but also on satisfaction levels as well as relationship quality, even though it is more and more difficult to draw reliable conclusions. di Emanuele Vagnoni In un contesto nazionale nel quale ormai da diversi anni si può assistere a un processo di rapida evoluzione – per vastità e articolazione – dell’offerta formativa degli atenei, è indispensabile fermare l’attenzione sui metodi di valutazione dell’attività didattica svolta dal corpo docente, sottolineando che tali criteri sono stabiliti essenzialmente al fine di soddisfare la fondamentale necessità di fornire un’informazione veritiera e completa al pubblico e in particolare agli studenti di 12 • n. 3, settembre-dicembre 2012 scuola superiore che intendano iniziare un percorso formativo di più elevato grado. Questo ruolo, per circa dieci anni, è stato svolto in Italia dal Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), istituito con la Legge 370 del 1999, operando parallelamente con il Civr, (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca), attivo dall’anno precedente. Dal 2006 in poi vi è stato un processo di riorganizzazione che ha portato alla costituzione dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), alla quale sono state trasferite in via definitiva le funzioni dei suddetti enti. Da questo iter è uscito comunque inalterato il fondamentale ruolo dei nuclei di valutazione di ateneo, i quali sono incaricati della rilevazione, a livello di singole istituzioni universitarie, delle informazioni concernenti la didattica, oltre che di un’altra serie di dati di carattere amministrativo e organizzativo. Dal 2012, i nuclei sono dunque tenuti a effettuare per l’Anvur (al pari che per il Cnvsu fino al 2011) un’operazione di elaborazione e revisione delle suddette informazioni, da concludersi entro il 30 aprile di ogni anno, e a inviare una relazione sull’opinione degli studenti frequentanti/ laureandi in merito alle attività didattiche. A questo scopo, l’Agenzia definisce l’insieme di variabili da utilizzare per la successiva costruzione di indicatori sull’inte- Foto: iStockphoto (lisapics; style-photographs) Come si possono dare i voti ai professori? Le università non vengono valutate solo per la produzione scientifica dei loro ricercatori, ma anche per la qualità della didattica (in queste pagine, alcune aule universitarie). Quale università? ro sistema universitario, effettuata anche grazie all’apporto di dati provenienti dal Miur (in particolare dalla banca dati dell’Offerta formativa e dall’Ufficio di Statistica del Ministero, Ustat) e dall’Anagrafe nazionale degli studenti. Essa inoltre conserva tutto il patrimonio informativo così reperito e le raccolte storiche presso il suo sito istituzionale (www. anvur.org), dove è presente un database pubblicamente consultabile, aggiornato secondo la procedura telematica predisposta in collaborazione con il Cineca. Con riferimento alla classificazione dei corsi di studio e in generale delle attività didattiche, l’art. 2 del Dm 544/2007 prevede in primis che siano raccolte e rese pubbliche, attraverso il contributo congiunto delle singole università e del Ministero, una serie di informazioni concernenti il rispetto di determinati “requisiti di trasparenza”, tra le quali sono annoverati, ad esempio, secondo il Decreto Direttoriale 61/6/2008: la natura del titolo rilasciato; i risultati di apprendimento previsti e le competenze da acquisire; l’eventuale previsione di attività di tirocinio; l’individuazione di tre docenti di riferi- nell’utilizzo del personale docente, l’ef- già l’Enqahe (European Association for ficienza in termini di numero di studenti Quality Assurance in Higher Education), iscritti e frequentanti (con l’obbligo di in un suo rapporto del 2005, aveva indiesprimere una valutazione di congruità in cato tra le misure adottabili per realizzare merito ai casi di bassi livelli di frequenza), la quality assurance and accreditation dei il “sistema qualità” e la regolarità dei per- corsi di studio l’esplicitazione di inforcorsi formativi, mentre tra i secondi sono mazioni accurate, imparziali e facilmenmenzionati gli strumenti di verifica della te accessibili in merito agli obiettivi del preparazione ai percorso di apprendimento e alle destinafini degli accessi zioni d’impiego degli studenti precedenLa valutazione della didattica ai corsi di studio, ti, nonché alla possibilità di sottoporre i universitaria serve a informare il livello di sod- programmi didattici all’approvazione di gli studenti di scuola superiore disfazione degli soggetti distinti dal corpo docente e alla studenti nei ri- periodica valutazione da parte del mondo che proseguiranno gli studi. guardi dei singoli del lavoro. Durante i lavori del seminamento per il corso. È previsto che l’Anvur insegnamenti, il livello di soddisfazione rio venne riportato come in Olanda l’ente e i nuclei esercitino un’azione di controllo dei laureandi sul corso di studio e infine statale Nvao (Nederlands-Vlaamse Acsulla rispondenza delle predette informa- la percentuale di impiego dopo il conse- creditatieorganisatie) svolgesse le funziozioni inserite dalle università nella banca guimento del titolo. ni descritte, agendo in qualità di agenzia dati dell’Offerta formativa e nei propri siti A queste conclusioni si pervenne dopo di qualificazione esterna senza interferire web istituzionali; su questi ultimi devono una lunga serie di dibattiti nel mondo con le dinamiche universitarie; emerse essere riportate in maniera esaustiva le accademico, che culminarono nel con- anche che lo studio prodotto dalla Fondaspecifiche relative all’organizzazione ge- vegno promosso dallo stesso Cnvsu ed zione Crui l’anno precedente già accennerale della didattica e quindi i program- intitolato “L’accreditamento dei corsi di nava al rispetto di “requisiti di qualità” mi dei corsi, i curricula scientifici dei do- studio: possibili indicatori e soglie”, svol- irrinunciabili, articolati conformemente centi, le propedeuticità previste, i testi di tosi a Roma il 21 riferimento, i metodi di valutazione ecc... giugno 2007. In I nuclei di valutazione dei In ogni caso, al di là dell’aspetto me- quell’occasione singoli atenei devono verificare ramente informativo, risulta di fondamen- venne affermata il soddisfacimento dei livelli di tale importanza l’attribuzione ai nuclei, la necessità divecome stabilito nello stesso decreto mi- nuta ormai impelqualità dei corsi di laurea. nisteriale, dell’ulteriore verifica del sod- lente di istituire disfacimento dei “livelli di qualità” dei un’Agenzia in grado di operare a livello ai dettami comunitari. Il nocciolo della corsi, mediante la definizione (in maniera nazionale in materia di valutazione inter- questione era però rappresentato dalla naconforme al documento 7/07 prodotto dal na ed esterna della didattica negli atenei, tura degli indicatori da utilizzare al fine Cnvsu) degli indicatori di efficienza ed seguendo prassi definite e standardizzate di produrre una qualificazione efficace, efficacia degli stessi. In particolare, tra conformemente a quanto già avveniva standardizzata e facilmente adattabile per i primi vengono annoverati l’efficienza nell’Unione Europea. Si sottolineò che la comunicazione al pubblico attraver- panorama per i giovani • 13 Quale università? Foto: iStockphot/skynesher so, in via prioritaria, i portali web degli atenei. Venne cioè affrontata la questione del “modello informativo” da adope- per la conduzione di valutazioni interne sezioni, così elencate: organizzazione del ed esterne agli atenei era di primaria im- corso di studi, organizzazione dell’inportanza; in realtà, già dal 2001 il Cnvsu si segnamento, attività didattiche e studio, era occupato di un infrastrutture, interesse e soddisfazione. particolare aspetto La modalità di risposta alle domande è Il consorzio AlmaLaurea cura di questa tematica, fondata su una scala ordinale simmetrica, ogni anno un’indagine sui ossia della defini- con due opzioni positive (decisamente laureati italiani basata sui dati zione di questio- sì, più sì che no) e due negative (decisanari in merito ai mente no, più no che sì). Nel documento dei questionari di valutazione. servizi formativi viene suggerito che il questionario sia rare affinché i risultati della valutazione da sottoporre agli studenti in corso e ai somministrato (anche attraverso modalità delle attività didattiche fossero divulgati laureandi. Queste iniziative erano mosse computerizzate) a metà o ai due terzi dello alle parti interessate nella maniera più da una chiara volontà unificatrice, che in- svolgimento dell’insegnamento e sottopoagevole, comprensibile ed esplicativa tendeva riportare le preesistenti eterogenee sto preliminarmente allo scrutinio da parte possibile, e quindi fu ricordato come il attività di indagine predisposte dai nuclei del corpo didattico, in maniera da poter metodo proposto dal Rapporto di Ricerca (secondo quanto dettato dall’art.1, com- apportare opportune variazioni in corso. 1/04 del Cnvsu (tutt’ora in uso, insieme ma 2 della Legad altri come ad esempio la procedura Iso ge 370/99) a uno In Italia, come in altri paesi a 9000:2000) contenesse schemi comuni- standard comune. predominante sistema pubblico, cativi sufficientemente concisi e basati su In particolare, il l’accreditamento dei corsi è una struttura ragionevolmente vincolata documento 9/02 per fornire informazioni esaurienti e tali dedicato agli stubasato su agenzie pubbliche. da permettere confronti tra differenti corsi denti aveva propodi studio. sto un insieme minimo di domande riguar- Analogamente, il rapporto 4/03 riservato ai Si concluse in quella seduta che lo stu- danti diversi aspetti dell’attività formativa. laureandi descrive un modello tipo in cui i dio di indicatori qualitativi e quantitativi Si tratta di 15 quesiti articolati in cinque quesiti possono questa volta assumere una 14 • n. 2, maggio-agosto 2010 Quale università? caratterizzazione più specifica in relazione al contesto universitario di riferimento: tra le sezioni di interesse figurano i riferimenti generali, la parte sulle condizioni di studio e di lavoro, sulle infrastrutture e sugli spazi per lo studio, quella sullo studio e sugli esami, sulle attività di sostegno, sulla soddisfazione complessiva, e infine quella riguardante le intenzioni future dello studente. Anche in quest’ultimo caso si ribadisce che l’accento è sull’importanza della funzione conoscitiva di tali questionari, soprattutto nell’ottica dell’impiego post-laurea e dell’interazione col mondo imprenditoriale. In questo ambito è attivo il Consorzio AlmaLaurea, che, avendo recepito il set di domande approntato, cura annualmente una dettagliata indagine sul profilo dei laureati italiani. Un settore di attività strettamente contiguo a quello della valutazione della didattica è rappresentato dall’accreditamento dei corsi di studio. In questo senso, il citato Rapporto 1/04 delineò a suo tempo un quadro nazionale già ricco di direttive generali (Dm 509/99, Dm 115/2001 e altri) e denso di esperienze rilevanti, tra cui i progetti nazionali Campus e CampusOne della Crui e il Sinai dell’Università di Siena, riportando contemporaneamente diversi esempi internazionali di approccio al problema: in particolare esso cita le basi europee che individuano il diritto alla mobilità degli studenti e il conseguente diritto al riconoscimento delle qualificazioni, ossia la Direttiva comunitaria 89/48/CEE e la “Convenzione di Lisbona” (Consiglio d’Europa, Unesco) del 1997. In generale, si legge, l’accreditamento è definito sia come accettazione di un titolo di studio al fine di accedere a un settore professionale, sia, in senso più ampio, come accreditamento accademico, ovvero raggiungimento di una determinata soglia di qualità. Come ho spiegato in precedenza, esso si basa su criteri e standard unanimemente stabiliti che gli istituti di formazione devono rispettare. In Italia, come nelle altre nazioni a predominante sistema pubblico, questo processo è fondato su basi istituzionali, cioè mediante agenzie pubbliche di valutazione. Su questo ultimo punto si è aperto negli anni passati un dibattito, ancora in corso, nel quale si è discusso in sostanza sull’opportunità di centralizzare e quindi determinare “dall’alto” le regole per la qualificazione o di lasciare al contrario che le realtà di base si organizzino indi- zionalmente è conosciuto come Srt, ovvevidualmente, essendo inserite in una sorta ro student’s rating of teaching). Assumere di “mercato delle valutazioni” nel quale questo modello, che è quello più affermai giudizi vengono espressi da una platea to nel mondo ed è diffusamente associato di osservatori che utilizzano modelli e si- dall’opinione pubblica al tema della valumulazioni differenti. Il primo approccio tazione della didattica, come base per un garantisce uniformità nei criteri e imme- sistema premiale all’interno degli atenei diata capacità di confronto e classifica- comporta notevoli rischi: esso è infatti zione (indispensabile nell’ottica di distri- soggetto a variabilità e soggettività, come buzione delle risorse pubbliche), ma ha il quelle legate alla possibilità di “reificare” difetto, fondandosi su indicatori quanti- la relazione studenti-professori e di retativi standard, di fornire una visione ec- stringere a una visione limitata la responcessivamente semplificata delle situazioni sabilità accademica e la professionalità di che i regolatori vorrebbero misurare (sen- questi ultimi. za considerare il fatto che le università, La ricerca, in questo ambito, di soai fini di rendersi meritorie nei riguardi luzioni standardizzate deve d’altronde dell’allocazione dei finanziamenti, po- scontrarsi con le differenti realtà nelle trebbero adottare strategie per nasconde- quali le varie istituzioni, in regime di aure i propri punti di debolezza, causando tonomia, operano: ognuna di esse adotta quindi un deficit di informazione). La strategie diverse per affrontare la compeseconda metodologia, diffusa soprattutto tizione formativa e quindi sono diversi i in Inghilterra, si dimostra per conOccorre centralizzare le regole tro fallace poiché per la qualificazione, oppure troppo ancorata scegliere un approccio dal alla soggettività degli osservatori basso, con diversi modelli? esterni, dei quali sarebbe possibile anche mettere in discus- rapporti con il territorio e con gli esposione autorevolezza e indipendenza di nenti dell’imprenditoria, l’atteggiamento giudizio. È il rischio nel quale potrebbe tenuto nei confronti dell’internazionalizincorrere la pratica di assoggettare l’atti- zazione, i modi per acquisire commesse vità didattica (e anche la ricerca) condotta di ricerca finanziate, ecc... negli atenei a frequenti peer review che, Si dovrebbero allora adottare modelli come già detto, risentono del modo di va- misti di valutazione, che sappiano tener lutare proprio dei diversi gruppi di peer. conto sia delle esigenze e delle realtà loQuanto affermato vale in realtà anche cali, sia della necessità di parametri coper il metodo dei questionari, al quale ho muni, che consentano un confronto intelaccennato in precedenza (e che interna- ligente e realmente utile. Legge 370/1999 Dalla Legge n. 370 del 1999, “Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica”: art.1 - Le università adottano un sistema di valutazione interna della gestione amministrativa, delle attività didattiche e di ricerca, degli interventi di sostegno al diritto allo studio, verificando anche mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e della didattica, nonché l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa. art. 2 - Le funzioni di valutazione di cui al comma 1 sono svolte in ciascuna università da un organo collegiale disciplinato dallo statuto delle università, denominato “nucleo di valutazione di ateneo” [....]. I nuclei acquisiscono periodicamente, mantenendone l’anonimato, le opinioni degli studenti frequentanti sulle attività didattiche e trasmettono un’apposita relazione, entro il 30 aprile di ciascun anno, al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, e al Comitato per la valutazione del sistema universitario [....]. panorama per i giovani • 15 Proposte per l’università: due modelli a confronto Two lectures by Gustavo Piga, Professor of Economics, and Raul Mordenti, Professor of Literary Criticism, at the “Lamaro Pozzani” College delineated the development perspectives of the Italian academic system. Piga’s reform model aims to a parallel improvement both of didactic work and academic research, while Mordenti looks at the university as a factor of social mobility. However distant or even opposed these views can appear, they pursue the same goal: the cultural and social growth of our country. di Chiara Ciullo La necessità di rinnovamento e sviluppo del nostro paese e l’obiettivo di raggiun- che del confronto sul futuro del nostro sistema universitario. E su questo punto il professor Gustavo Piga, ordinaL’università è il fondamento rio di Economia della crescita economica, politica all’unisociale e culturale dell’Italia, versità di Roma “Tor Vergata” e il la scommessa per il futuro. suo collega Raul gere i tanto agognati “standard europei” Mordenti, ordinario di Critica letteraria sono il minimo comun denominatore an- nel medesimo ateneo, entrambi ospiti 16 • n. 3, settembre-dicembre 2012 del Collegio “Lamaro Pozzani” nel programma dei tradizionali incontri serali, concordano: l’università è il fondamento della crescita economica, sociale e culturale dell’Italia, la scommessa per il futuro. Quale deve essere però il punto di partenza di tale processo? Il professor Piga sottolinea come uno dei dati più evidenti e preoccupanti riguardo all’università italiana sia il numero particolarmente basso dei laureati: nel 2009, a fronte di un obiettivo europeo stabilito per il 2020 al 40% di laureati nella media della popolazione, l’Italia, con un misero 19%, si situava in terz’ultima posizione. Concorda su questo punto Mordenti, per il quale, a seguito dei movimenti studenteschi del ’68, l’università aveva avuto un incremento considerevole di iscritti e laureati, seguito però da una drastica riduzione, quella cui assistiamo tutt’ora, già dal decennio successivo. La puntuale analisi di Piga passa dunque in rassegna le possibili cause di questo fenomeno, identificando la principale nell’assenza di un legame forte fra atenei e mondo del lavoro. A tal proposito, egli pone l’accento sull’inefficienza dei Foto: iStockphot/borsheim La Quale salute università? nel mondo Quale università? A sinistra: l’Università di Bologna è la più antica del mondo (nella foto, la Biblioteca). incentivi alla competizione fra ricercato- L’università struccata, evidente parafrasi ri e atenei per ottenere un ruolo di mag- ironica del titolo dell’opera di Perotti. Uno gior prestigio ecc.), presenta a suo avviso dei punti di maggior dissenso riguarda la programmi di orientamento e dei sistemi molti punti interessanti e positivi, con il proposta di aumentare le tasse universid’informazione a disposizione di famiglie limite di non prendere adeguatamente in tarie, presentata fra l’altro come garanzia e studenti. Tale punto di debolezza ha del- considerazione il ruolo fondamentale del- di una maggiore equità sociale, poiché le le conseguenze notevoli nelle scelte dello la didattica. Se la valutazione e la conse- tasse sarebbero sì più alte, ma a pagarle studente, che spesso non percepisce il si- guente retribuzione dei docenti avviene sarebbero solo e soltanto i diretti fruitori stema universitario come un’opportunità esclusivamente in base alla qualità e alla del servizio (prevalentemente appartenenti di crescita e di occupazione futura e ripie- quantità delle loro pubblicazioni (aspetto alle classi sociali medio-alte) e non, come ga su una carriera lavorativa immediata, di meritocrazia in sé positivo), l’attività invece accade con i finanziamenti pubbliriducendo così il tasso di mobilità sociale. didattica, poco remunerativa rispetto a ci, la collettività tutta. Secondo il professor quella di ricerca, Mordenti, al contrario, un provvedimento verrà inevitabil- del genere nel migliore dei casi scoraggeQuando la valutazione e la mente relegata in rebbe i ceti più bassi dall’accedere all’uniretribuzione dei docenti si basano secondo piano. versità e nel peggiore potrebbe addirittura solo sulla ricerca, la didattica Non è un caso, precludere loro tale possibilità. Nell’ottica infatti, che i mi- di Mordenti, l’università deve presentarsi è relegata in secondo piano. gliori ricercatori come l’ascensore sociale chiamato a conQuello della cristallizzazione delle pos- si dimostrino spesso restii a insegnare agli ciliare l’esigenza di un’istruzione superiosibilità di ascesa sociale è un tema caro studenti dei corsi di laurea triennale e pre- re su ampia scala (l’idea è quella di un’uanche a Mordenti, che pone l’accento feriscano concentrare i loro sforzi sull’at- niversità di massa) con la garanzia di uno sull’intrinseca e imprescindibile relazio- tività di studio e sulle pubblicazioni, con standard di qualità sempre elevato. ne fra la qualità della classe dirigente e ripercussioni non positive sulla continuità Il modello di università che emerge le prospettive di sviluppo dell’università e capacità di insegnamento. Date queste dalle due analisi è quindi quello di un e sottolinea la fondamentale importanza premesse, il professor Piga ha esposto sistema dove al nepotismo e al favoritidell’impegno a garantire al sistema ade- quello che, dal suo punto di vista, potreb- smo di scuola subentri il merito e a uno guati finanziamenti. be rappresentare un modello applicabile standard elevato di ricerca e didattica si La profonda distanza fra le due pro- al sistema universitario italiano e che, se accompagni l’equità sociale e la maggiore spettive è apparsa chiara nel riferimento realizzato a dovere, garantirebbe un incre- apertura nei confronti delle classi sociali di entrambi i protagonisti delle due se- mento dell’attività di ricerca e una mag- meno abbienti. Forse ciò che non emerge rate al “Lamaro Pozzani” al modello di giore efficacia di quella didattica. Do- altrettanto chiaramente sono le modalità università illustrato nel libro L’universi- vremmo prendere spunto, a suo avviso, concrete per l’attuazione di un tale motà truccata di Roberto Perotti, ordinario dalla soluzione adottata dagli Stati Uni- dello; l’aumento dei fondi (magari prodi Economia politica presso l’università ti, dove esistono due canali universitari: prio attraverso una maggior tassazione) Bocconi di Milano. Se nell’aspra critica al uno dedicato alla didattica e costituito da viene spesso presentata come la ricetta a clientelismo e al nepotismo imperanti nel una rete capillare sul territorio di piccoli tutti i mali dell’università dimenticando sistema universitario italiano Piga e Mor- college il cui livello nel ranking dipende che, forse troppo spesso, a tale aumento denti sembrano concordare con l’autore, appunto dalla qualità dell’insegnamento dei fondi non corrisponde un proporziosulle soluzioni proposte dal professore e uno dedicato alla ricerca, costituito da nale aumento dell’efficienza. bocconiano i due docenti di “Tor Verga- grandi istituti rinomati a livello mondiaIl problema dell’università, in ogni ta” hanno assunto posizioni radicalmente le per la qualità di coloro che vi operano. caso, è cruciale per le prospettive di svidiverse. Una soluzione del genere eviterebbe la luppo dell’intero paese. La speranza è che Gustavo Piga riconosce a Perotti il dispersione dei migliori ricercatori nazio- dal confronto fra opinioni anche molto grande merito di aver sollevato una que- nali fra numerosi atenei e ne incentivereb- diverse, esemplificato dalle riflessioni dei stione – quella della crisi del sistema be il lavoro d’équipe; inoltre, il modello professori Mordenti e Piga, possa emergeuniversitario appunto – che appariva più statunitense rappresenta una garanzia re una soluzione condivisibile, concreta e che evidente agli occhi di tutti, ma di cui per gli studenti sul livello della didattica, applicabile in tempi brevi, prima cioè che nessuno voleva concretamente farsi cari- poiché ai college è costantemente richie- l’eccellenza italiana, della quale anche in co. La proposta di Perotti, basata essen- sto uno standard zialmente sull’introduzione del “libero d’insegnamento L’università deve essere un mercato” nelle università (stipendio dei elevato. ascensore sociale e conciliare docenti stabilito dai singoli atenei in base L’ a t t e g g i a fra un’istruzione su ampia scala a una rigorosa valutazione della compe- mento di Mordentenza in ambito scientifico e di ricerca e ti nei confronti e una qualità sempre elevata. non attribuito in funzione dell’anziani- del modello Petà, aumento delle tasse con destinazione rotti è invece molto critico, come si può questo campo siamo giustamente orgogliodelle maggiori risorse a borse di studio, intuire anche dal titolo di un suo libro: si, si riduca a un pallido ricordo. panorama per i giovani • 17 La nuova governance degli atenei Art. 33 of our Constitution lays down the principle of autonomy within the law for the universities. In 1989, law n. 168 regulated for the first time the organisational autonomy of universities. The general discipline of academic governance is nowadays given by law n. 240/2010, which compels universities to modify their statutes according to the principles stated in the law itself. However, some universities seem not to comply totally with the “spirit” of the new law. di Carlotta Orlando Cosa si debba intendere per governance, ad oltre trent’anni dall’importazione di questo termine nella nostra lingua, resta tuttora controverso. Certo è che il concetto di governance si differenzia notevolmente da quello di government che si incentra sugli assetti istituzionali di governo, focalizzandosi piuttosto su mo18 • n. 3, settembre-dicembre 2012 dalità ed effetti dell’attività di governo, con un’attenzione particolare al coinvolgimento diretto dei diversi stakeholder. Citando le parole della sociologa tedesca Renate Mayntz, che lungo tempo ha dedicato allo studio di questa tematica, “attualmente si ricorre a governance soprattutto per indicare un nuovo stile di go- verno, distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione tra lo stato e attori non-statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico-private”. Con preciso riferimento all’università, il prof. Giliberto Capano definisce la governance come “l’insieme delle regole e delle pratiche istituzionalizzate mediante le quali i processi decisionali vengono formulati e implementati […] Insomma, il concetto di governance tiene insieme sia il ‘chi’ governa, sia il ‘come’ si governano le politiche e i processi decisionali pubblici”. Delimitato il campo, è opportuno esaminare l’evoluzione dei sistemi di governance nell’università italiana, con particolare attenzione a quello previsto dalla Legge n. 240/2010. Evoluzione che a detta di molti si è manifestata ben più sul piano formale che su quello sostanziale, non portando i cambiamenti dirompenti che venivano auspicati. Foto: iStockphot/mitza La Studiare salute nel all’estero mondo Quale università? A sinistra: il Palazzo dei Cavalieri, sede della Scuola Normale Superiore di Pisa. Evoluzione della governance Punto di partenza ineludibile per chiunque voglia apprestarsi ad analizzare il fenomeno in oggetto è il comma 6 dell’articolo 33 della nostra Carta Costituzionale, il quale recita: “Le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Viene così posta quella che è stata definita (D’Atena) una riserva di legge necessariamente relativa, in base alla quale cioè si impone alla legge statale (o atto a essa equiparato) di dettare una disciplina necessariamente di principio, al fine di non sottrarre terreno all’autonomia delle università. All’interno della congerie di normative che si sono occupate di università sino ad oggi, con un’ipertrofia legislativa che lungi dal semplificare il quadro legislativo lo ha reso confusionario e aperto alle più varie interpretazioni, le leggi chiave che hanno tracciato il quadro di riferimento dell’autonomia universitaria sono la Legge n. 382/1980, la n. 168/1989 e la n. 240/2010. tuisce il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, il quale “dà attuazione all’indirizzo e al coordinamento nei confronti delle università e degli enti di ricerca, nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione”. Ciò che però rileva maggiormente ai nostri fini, considerando anche che sulla separazione di tale Ministero da quello dell’Istruzione si è più volte andati avanti e indietro, è la disposizione contenuta nell’art. 6. Il comma 1, infatti, stabilisce che “le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti”, con riserva al Ministro, sulla base del comma 9, del “controllo di legittimità e di merito” sugli statuti. È evidente la portata dirompente della norma, in uno scenario dominato dal forte potere del Ministero della Pubblica istruzione, al quale precedentemente spettava di controllare e destinare le risorse pubbliche, situandosi al vertice di un sistema molto accentrato. Ai sensi dell’articolo 16, gli statuti erano inoltre tenuti a prevedere l’elettività del rettore, una composizione del senato accademico rappresentativa delle facoltà, una composizione del consiglio di amministrazione che assicurasse la rappresentanza delle diverse componenti. La prima illustra il modello tradizionale di governance e il suo principale portato innovativo consiste nell’introduzione dei dipartimenti ex art. 82, definiti come “organizzazione di uno o più settori di ri- Una riforma necessaria cerca omogenei per fini o per metodo e dei L’urgenza di una riforma della governance relativi insegnamenti anche afferenti a più dell’università è stata sostenuta e invocata facoltà o più corsi di laurea della stessa fa- da più fronti, non solamente poiché la recoltà”. Quanto all’organizzazione, essa si lativa disciplina si rivelava troppo datata, basa sugli esistenti organi collegiali: con- ma anche a causa del “lento e disconnesso siglio di amministrazione, senato accade- evolversi della politica autonomistica” (Camico e consigli di facoltà, in aggiunta ai pano). La stessa Crui, in un documento apDipartimenti. Responsabili della gestione provato all’unanimità dall’Assemblea il 25 risultano il rettore, di estrazione elettiva, settembre 2008, affermava che la governane il direttore am“Le istituzioni di alta cultura, ministrativo, da questi designato università e accademie, hanno (a riprova del ruoil diritto di darsi ordinamenti lo più pregnante autonomi...” (Cost., art. 33). svolto dal primo). È la Legge n. 168/1989, nota come Legge Ruberti, ad ce degli atenei risultava “vincolata da una aver introdotto per prima l’autonomia de- normativa superata” e che andava consegli atenei. Più specificamente, l’art. 1 isti- guentemente rivista “in funzione di un coe- panorama per i giovani • 19 Quale università? rente e rinnovato modello istituzionale, […] prevedendone un assetto che eviti ogni accusa di autoreferenzialità della componente accademica”. Il primo imperativo era dunque superare l’autoreferenzialità degli organi di governo delle università, caratterizzati da un certo corporativismo che sovente confliggeva con le finalità istituzionali del mondo accademico. A questo si aggiungeva l’obiettivo di perseguire efficienza, qualità delle prestazioni e dei servizi, insieme a una quanto mai necessaria semplificazione organizzativa. Vi era l’impellente bisogno di estendere gli spazi di autodeterminazione degli atenei, permettendo che se ne concretasse l’autonomia e incentivando però nel contempo la loro responsabilizzazione. lità delle informazioni, all’interno di un più generale processo di riordino della pubblica amministrazione. Gli statuti sono tenuti a prevedere, tra gli organi di governance, il rettore, il senato accademico, il consiglio di amministrazione, il consiglio dei revisori dei conti, il nucleo di valutazione, il direttore generale. L’intero sistema tende a ruotare intorno al fulcro rappresentato dal rettore, eletto tra i professori ordinari in servizio presso le università italiane per un unico mandato di sei anni, al quale spettano in particolare la rappresentanza legale dell’università, le funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, la responsabilità nel perseguimento delle finalità dell’università secondo criteri di qualità e nel rispetto dei La governance universitaria oggi principi di efficacia, efficienza, trasparenza È principalmente a queste esigenze che si e promozione del merito, oltre al compito è prefissa di rispondere la Legge n. 240 di proporre il bilancio di previsione annuale del 30 dicembre 2010: “Norme in materia e triennale e il conto consuntivo. Il senato accademico, composto da non più di L’urgenza di una riforma è stata trentacinque memsostenuta da più fronti per bri eletti, tra i quali superare l’autoreferenzialità degli figurano il rettore, una rappresenorgani di governo universitari. tanza di studenti di organizzazione delle università, di per- e una di docenti, è competente a formulasonale accademico e reclutamento, nonché re proposte e pareri obbligatori in materia delega al Governo per incentivare la quali- di didattica, ricerca e servizi agli studenti, tà e l’efficienza del sistema universitario” esprimere parere obbligatorio sul bilan(cd. Legge Gelmini). Il principale fine del cio di previsione annuale e triennale e sul dettato normativo è quello di ricondurre conto consuntivo, approvare i regolamenti all’interno di confini più rigidi l’autonomia (quello di ateneo e quelli dipartimentali). concessa agli statuti universitari per mezzo Spettano al consiglio di amministrazione della legge del 1989. Unica deroga è quel- le funzioni di indirizzo strategico, approla espressa dal comma 2 dell’articolo 1, ai vazione della programmazione finanziasensi del quale “le università che hanno ria annuale e triennale, di vigilanza sulla conseguito la stabilità e la sostenibilità del sostenibilità finanziaria delle attività, oltre bilancio, nonché risultati di elevato livello alla competenza a deliberare l’attivazione nel campo della didattica e della ricerca, o soppressione di corsi e sedi, a conferire possono sperimentare propri modelli fun- l’incarico di direttore generale e a esercizionali e organizzativi, ivi comprese moda- tare l’azione disciplinare nei confronti di lità di composizione e costituzione degli or- professori e ricercatori. Esso deve contare gani di governo e forme sostenibili di orga- al massimo undici componenti, tra i quali nizzazione della didattica e della ricerca su debbono figurare il rettore, una rappresenbase policentrica, diverse da quelle indicate tanza degli studenti e almeno tre soggetti (o all’art. 2”. A tracciare la regolamentazione due, se il numero totale dei membri è infedella governance universitaria è appunto riore a undici) che non appartengano a ruoli l’articolo 2 (Organi e articolazione interna dell’ateneo. Il medesimo articolo richiede delle università), che prevede l’obbligo per che sia messa in atto dagli statuti stessi una le Università di modificare i propri statuti semplificazione dell’articolazione interna, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore per mezzo dell’attribuzione al dipartimendella legge e guardando in particolare alle to delle funzioni afferenti allo svolgimento esigenze di semplificazione, efficienza, ef- di ricerca scientifica, attività didattiche e ficacia, trasparenza dell’attività, accessibi- formative e con la previsione in capo agli 20 • n. 3, settembre-dicembre 2012 atenei della facoltà di istituire strutture di raccordo tra più dipartimenti, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche. Il nuovo assetto organizzativo prevede dunque il venir meno delle facoltà, tradizionale punto di riferimento della vita accademica, con la concentrazione nei dipartimenti delle responsabilità sia didattiche sia di ricerca. In che misura la riforma Gelmini è veramente riuscita a raggiungere questi obiettivi? Fino a che punto i nuovi statuti propugnano logiche di semplificazione, efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle linee guida della legge? A due anni dalla sua entrata in vigore, un’analisi anche a campione ridotto degli statuti sembra invitare almeno alla cautela. Per quanto riguarda in primo luogo la confluenza delle facoltà nei dipartimenti, non si può non evidenziare come numerosi statuti, in forza della previsione legislativa che consente la creazione di strutture di raccordo fra i dipartimenti, abbiano di fatto conservato le facoltà, magari mutandone la denominazione in scuole e attribuendo ad esse compiti più o meno ampi. In riferimento alla figura del rettore, al quale viene per legge attribuita una sfera molto ampia di poteri, alcuni atenei hanno previsto per lui anche compiti di vigilanza e in vari casi perfino un potere deliberativo discrezionale, da esercitarsi in casi di necessità e urgenza. Riguardo al senato accademico, taluni statuti gli conferiscono competenze più ampie di quelle enumerate dal testo di legge. Infine, gli statuti definiscono le competenze del consiglio di amministrazione ponendosi nella generalità dei casi in linea con quanto disposto a livello legislativo, dando dunque a quest’organo il rilievo centrale che la legge gli ha riservato. L’impressione complessiva, evidentemente da verificare alla prova dei fatti e in un congruo periodo di tempo, è quella di una forte resistenza al cambiamento. Ben pochi sono stati i casi “illuminati” di vera e propria semplificazione degli statuti, molto più numerosi invece quelli in cui il dettato normativo è stato piegato ai fini di legittimare posizioni consolidate all’interno dell’organigramma universitario, facendo ancora una volta prevalere l’autoreferenzialità. Insomma, non è certo l’ansia di sperimentare davvero nuovi modelli funzionali e organizzativi che sembra aver animato gli atenei nella riscrittura dei loro statuti. Quale università? Reclutamento dei docenti Storia di un pasticciaccio brutto From Minister Ruberti to Minister Gelmini: many attempts to regulate academic public competitions and allow the best to be the first past the post. A challenge which is still largely to be taken up. Foto: Esa/tupungato di Gabriele Rosana Fra gli ambiti in cui il cambiamento davvero invocato si risolve in un flusso di slogan o di principi rattoppati qua e là, il mondo dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonostante le buone premesse e i talentuosi inquilini che di tanto in tanto mettono piede nel dicastero di viale Trastevere, è a suo modo paradigmatico di riforme che, quando avviate, prendono una direzione opposta a quella dei propositi che ne sono a monte. E, con gattopardesca logica, anche nel vellutato (?) e altero universo dell’accademia di casa nostra, tutto cambia perché tutto resti com’è. A farne le spese, manco a dirlo, non solo gli utenti ma anzitutto gli operatori, costretti a muoversi in un vero e proprio campo minato in cui spadroneggiano i soliti noti, con buona pace, spesso, dei capaci e meritevoli, quello stesso binomio santificato dalla nostra Costituzione. La storia del reclutamento dei docenti universitari è la storia di un percorso accidentato. La legge Gelmini è solo l’ultimo veicolo, in ordine di tempo, delle picconate assestate al sistema universitario e al contempo l’archetipo di quelle riforme dimezzate che tradiscono le premesse. Il testo di legge (come completato da una serie di provvedimenti integrativi o ese- cutivi, dai decreti ministeriali attuativi ai regolamenti dei singoli atenei) era destinato a operare su un apparato, quale quello venuto fuori dagli interventi normativi che si sono susseguiti negli anni – cominciando dal Dpr 382/1980, responsabile dell’Università Antonio Ruberti –, che è sempre rimasto piuttosto magmatico: in principio fu il concorso su base nazionale indetto ad anni alterni (secondo il dettato normativo; ogni 4-6 anni nella prassi) per professori di prima e seconda fascia, previsto proprio dal decreto presidenziale in parola, che si connotava per una certa rigidità verso la sede di destinazione. Poi, con l’avvento dell’autonomia degli atenei, ecco le modifiche apportate dalla Legge 210/1998, che ha rimandato la procedura selettiva alle singole sedi, sulla base di terne localmente individuate (al governo era Luigi Berlinguer); su questa scia, anche la L. 230/2005 (ministro Letizia Moratti), rimasta per molte parti inattuata. Delegando ai territori la determinazione del punto d’incontro ottimale fra l’offerta di docenti e la domanda di docenza, si è ricreata nell’ecosistema universitario una situa- panorama per i giovani • 21 Foto: Nasa; Nasa; iStockphoto/TerryHealy Quale università? zione assimilabile, per dirla con Vincenzo Vespri, ordinario di Analisi matematica a Firenze (Autonomia e valutazione, www.roars.it, 1/11/2012), all’imperfetta e sbilanciata autonomia riconosciuta alle Regioni all’alba del nuovo millennio (al grido di un federalismo fiscale viziato già nell’etichetta): “Le università ricevevano dallo Stato, a babbo morto, soldi che erano libere di spendere in modo autonomo e sostanzialmente senza controllo. I concorsi divennero locali e frammentati. Abbiamo avuto molti casi di concorrenti bravissimi che non sono mai riusciti vincitori pur partecipando a moltissimi concorsi di fila. Viceversa, in molti casi vinsero mogli, amanti, figli e portaborse di baroni locali”. In questo schema, il concorso, variamente modulato nel perimetro, è il perno del reclutamento: i risultati, però, sono notevolmente variabili in funzione di chi siede dall’altra parte del tavolo. E allora, per lungo tempo e ancora oggi, il metodo di formazione della commissione esaminatrice che individua i prescelti, insieme con le regole cui sottostare per ricusare un commissario, rientra a pieno titolo tra gli aspetti salienti della disciplina. Torniamo alle tappe. Negli anni Ottanta la commissione investita della scelta veniva formata secondo un metodo misto di elezione e sorteggio, variabile a seconda che si trattasse di un concorso di prima o seconda fascia. E le diversità di vedute, in tema, non mancano: per alcuni, un modello in cui la parte del leone è svolta dalla designazione elettorale rende facilmente prevedibile la formazione di cordate che non terranno poi troppo conto del valore scientifico dei candidati; per altri, invece, è proprio il meccanismo elettivo che garantisce serietà e l’instaurazione di un rapporto fiduciario. Con il sistema successivamente introdotto dei concorsi locali, la commissione esterna alla facoltà (se non per un membro interno) selezionava anche un altro idoneo (due, nei primi anni di vigenza), che poteva essere chiamato da altre università, fungendo così da traino per favorire la scelta operata da atenei che difficilmente avrebbero bandito un posto e finendo da ultimo per mettere all’ingrasso settori già ben forniti di docenti oppure per destinarne a settori marginali, con poderosi rigonfiamenti dell’organico. La legge Gelmini, anziché ovviare a questa difficoltà insistendo sulla soluzione alla quale si era infine approdati (un ido22 • n. 3, settembre-dicembre 2012 A destra: il cortile dell’Università di Pavia. Nella pagina precedente: un portico alla Statale di Milano. neo per ogni posto effettivamente disponibile), ha introdotto un doppio livello. Il primo è quello della nuova “abilitazione scientifica nazionale”, di durata quadriennale e di obbligatoria indizione annuale, che “incorona”, senza limiti numerici eventualmente correlati al fabbisogno, tutti coloro che una commissione appunto nazionale avrà giudicato meritevoli. Non è previsto, cioè, un tetto alle abilitazioni, un numero chiuso che irrobustisca le legittime aspettative degli idonei. Stabilisce il Dpr 222/2011, recante il regolamento per il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale a norma della L. 240/2010, all’art. 6, che la commissione nazionale di ciò incaricata è composta, per ciascun settore concorsuale, di cinque membri, quattro dei quali individuati tramite sorteggio all’interno della lista formata a esito del subprocedimento di selezione (il quinto invece va sorteggiato, nell’ambito di rose di almeno quattro nomi, tra studiosi o esperti di un paese dell’Ocse di pari livello rispetto ai candidati nazionali). Gli aspiranti commissari devono rispettare inoltre i criteri e i parametri di qualificazione scientifica che sono richiesti ai candidati professori di prima fascia. A mente del successivo art. 8, le commissioni sono tenute a concludere i propri lavori entro cinque mesi dalla pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale, termine prorogabile di soli sessanta giorni ad opera del direttore generale: nel caso in cui anche quest’ultimo segmento temporale dovesse inutilmente decorrere, scatta la procedura di sostituzione della commissione e alla nuova viene assegnata una scadenza non superiore a tre mesi per la conclusione dei lavori. Anche il fattore tempo – e ciò pare fin troppo evidente – è chiamato a influenzare il meccanismo di abilitazione nazionale; le disposizioni di cui si è dato conto più che sulla ragionevole durata sembrano incidere nel senso di una sbrigativa soluzione non solo delle singole valutazioni, ma dell’intera procedura: ogni commissario, infatti, potrebbe dover leggere e giudicare nell’arco temporale suddetto finanche centinaia di volumi e migliaia di articoli. Ma ecco adesso affiorare un altro punctum pruriens della disciplina vigente, che riguarda la pretesa oggettività dei parametri per valutare gli aspiranti professori (e, in virtù del richiamo di cui si dava conto in precedenza, anche i candidati commissari nazionali). Il Decreto ministeriale 76/2012 del Miur (che in via regolamentare detta la disciplina normativa circa i criteri e i parametri per la valutazione dei candidati in parola), ha affidato all’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, il compito di calcolare le mediane degli indicatori precisati dalla stessa fonte secondaria e da applicarsi nel saggiare l’idoneità dei candidati professori. Lo stesso Dm, all’art. 1 lett. p), definisce la mediana come “il valore di un indicatore o altra modalità prescelta per ordinare una lista di soggetti che divide la lista medesima in due parti uguali”. Pertanto, per superare l’asticellalimite costituita dalla mediana, occorrerà avere un coefficiente numerico maggiore del valore della mediana stessa. Per i settori concorsuali non bibliometrici – ossia quelli delle scienze umane, come può ricavarsi dalla lettura dell’art. 1 dell’allegato B al dm 76/2012 –, il requisito del superamento del valore assunto come mediana dovrà essere soddisfatto in almeno uno dei tre indicatori considerati. Questi si riferiscono a una serie di prodotti compresi nell’arco temporale 2002-2012: le monografie (obbligatoriamente dotate di Isbn, il codice di riferimento internazionale del libro), il numero di articoli e capitoli Quale università? di libro (anche questi provvisti di Isbn) e il numero di articoli pubblicati su riviste di fascia A (per i settori bibliometrici gli indicatori riguardano invece il numero di articoli pubblicati su riviste presenti nelle banche dati internazionali, il numero di citazioni ricevute dalla produzione scientifica complessiva e il cosiddetto H-index, che quantifica prolificità e impatto del lavoro degli scienziati, sulla base delle loro pubblicazioni e del numero di citazioni ricevute). Ma il pasticciaccio brutto del rimodernamento dell’università italiana si è infiltrato anche nei gangli di funzionamento tecnico del meccanismo nascente dalla riforma Gelmini: in mancanza di un’anagrafe delle pubblicazioni scientifiche prodotte dai professori di prima e seconda fascia e dai ricercatori (pur istituita dalla L. 1/2009), l’Anvur si è così trovata costretta a operare esclusivamente sulla base delle informazioni volontariamente fornite dai docenti. E così, nel calderone delle riviste di fascia A aventi, nella formulazione dell’idoneità all’abilitazione, il peso specifico di cui si dava conto, sono finite anche “Suinicoltura”, l’“Annuario del liceo di Rovereto” e “Comune notizie” di Livorno, come denunciato da Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” (Vuoi diventare professore? Scrivi su Suinicoltura, 17/10/2012), in un vivace articolo che, accanto alla carrellata tragicomica di titoli improbabili, ha però omesso di assolvere l’operato di un’Anvur con le mani legate e di puntare piuttosto l’indice sugli abusi perpetrati a mezza bocca da esponenti della classe docente. Allontanandosi dalle tormentate acque del piano nazionale, è bene puntare i riflettori sul secondo livello della procedura mista, successivo al conseguimento dell’abilitazione: quello dei “concorsi” locali. Sono in molti a temere che nulla, sostanzialmente, cambierà. La mancanza del tetto (aggravato dall’eterogeneità degli indicatori soprattutto relativamente alla terza mediana) trasformerà le abilitazioni in una sorta di pozzo senza fondo, al quale le università potranno poi attingere perpetuando l’antico malcostume del localismo. Con il risultato che il conflitto che si voleva cacciare dalla porta rientrerà dalla finestra e si allargheranno, anziché restringersi, le aree di un precariato con poche o nessuna speranza di stabilizzazione e progressione di carriera. Come conferma la relazione di accompagnamento alla legge, in cui si afferma che “al fine di evitare un precariato stabile e di consentire esclusivamente ai meritevoli di proseguire l’attività di ricerca, viene posto un limite alla durata complessiva dei rapporti instaurati con i titolari di assegni di ricerca e dei contratti di ricercatore a tempo determinato”. Che costi (sociali) avrà reinserire nel mercato del lavoro soggetti nel frattempo anche avanti con gli anni? Più che una vittoria sul “precariato stabile” sembrerebbe un voler nascondere la polvere sotto il tappeto, decapitando il problema senza troppi riguardi. Incassata l’abilitazione, gli aspiranti docenti saranno poi chiamati dalle singole università, che “con proprio regolamento (...) disciplinano, nel rispetto del codice etico, la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia”. Ai procedimenti per la chiamata, con statuizione che si ritrova in fotocopia nei regolamenti d’ateneo (o, per esser precisi, in quelli ad oggi reperibili, con buona pace della trasparenza online), “non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado compreso con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il dg o un componente il cda”. La buona fede del legislatore, spesso presunta, non venga troppo osannata: il riferimento al dipartimento è chiaramente limitante e casi di cronaca piuttosto noti indicano come il malcostu- me trasversalmente imperante negli atenei possa facilmente consentire di depotenziare una norma così formulata. Sfogliando i regolamenti delle università che disciplinano la procedura di chiamata dei professori, scaricabili dal sito della Conferenza dei rettori delle università italiane (www.crui.it) – e sono pochi, molto pochi –, si trovano indicazioni molto diverse. L’art. 5 del regolamento dell’università di Catania, per esempio, stabilisce che vengono nominati con decreto del rettore cinque ordinari, di cui almeno quattro appartenenti ad altri atenei, inquadrati nel settore concorsuale cui il bando si riferisce, anche stranieri, che devono concludere la procedura entro sei mesi, salvo quattro mesi di proroga per comprovata necessità; pressoché analogamente statuisce l’art. 6 del regolamento dell’ateneo del Sannio, per cui la commissione è composta da tre ordinari, di cui almeno uno proveniente dall’esterno, in possesso – si stabilisce con dizione piuttosto labile soggetta alle interpretazioni più estensive – di adeguato curriculum scientifico e didattico. Sul fronte delle università non statali, si discosta parzialmente da questo assetto l’art. 8 del regolamento della Cattolica di Milano, in cui si rafforza l’influenza interna sulla selezione dei commissari, cinque, che solo eventualmente possono provenire da altri atenei e almeno tre dei quali devono essere inquadrati nel settore concorsuale cui il bando si riferisce (con la possibilità, dunque, che due saggi siano piuttosto o del tutto estranei all’oggetto del contendere). Il viaggio fra le pieghe e le piaghe del reclutamento non ha certo ambizioni d’esaustività, ma, cogliendo l’ispirazione del Gattopardo, si sibila a mezza bocca un nuovo avvitamento carpiato da far invidia ai Cagnotto: e se, posto un tetto alle abilitazioni che riconduca il fenomeno alla fisiologia, si ritornasse al buon vecchio concorsone nazionale, con buona pace per l’autonomia imperfetta e avvezza agli abusi? E se, inoltre, volendo individuare una disciplina della chiamata che inibisca la cooptazione e lo spirito corporativo degli accordi baronali, si ricorresse a un’estrazione a sorte degli idonei, sulla scia di grecizzanti suggestioni che corrono indietro nel tempo per abbeverarsi alla Costituzione di Clistene, la quale prevedeva espressamente il sorteggio per designare magistrati e buleuti? panorama per i giovani • 23 Quale università? Insegnare a Parigi We asked Professor Giuseppe Leo, alumnus of our Lamaro Pozzani College, professor of Physics at the University of Paris-Diderot, and member of the Board of the Laboratoire Matériaux et Phénomènes Quantiques, to talk about academic life in France, on the basis of his experience. We mainly focused on career possibilities, excellence pursuit, and private satisfaction. a cura di Eugenio Galli e Vito Andrea Dell’Anna Innanzitutto, la Francia dedica alla ricerca scientifica un po’ più del 2 % del Pil: non un record mondiale, ma comunque il doppio rispetto all’Italia. Questa differenza non dipende solo dalla strutturale situazione del nostro debito pubblico, ma anche dal fatto che in Francia la cultura scientifica è molto più radicata e rispettata. Due premi Nobel sono stati assegnati negli ultimi sette anni a due esponenti della fisica parigina e un premio Nobel americano lavora da qualche anno nel mio dipartimento. Inoltre qui i ricercatori godono di un sostegno più efficace nella preparazione e nella gestione di progetti nazionali ed europei. Le unità miste Cnrs-Università aiutano i gruppi di ricerca a raggiungere la necessaria massa critica, contrastando la situazione velleitaria dello one man – one subject. La sua esperienza in Francia è iniziata con un dottorato. Quali considerazioni l’hanno spinta a questa scelta? Quando ho deciso di partire per un dottorato in Francia ero già ricercatore universitario a Roma Tre, nel Dipartimento di Ingegneria elettronica. L’ho fatto come exit strategy da un ambiente che mi era divenuto insopportabile e che rischiava di soffocare la mia passione per questo lavoro. Come mi è capitato di vedere anche altrove in Italia, quel dipartimento era caratterizzato da una grande litigiosità, 24 • n. 3, settembre-dicembre 2012 da una struttura che non dava spazio ai giovani più meritevoli, da criteri di appartenenza tribale negli avanzamenti di carriera, dalla scarsa considerazione per i risultati scientifici, da pratiche baronali anche da parte dei professori migliori. La Francia sembra avere un sistema universitario non solo in grado di attrarre ricercatori eccellenti, ma anche di farli rimanere. Quali sono, a suo parere, gli aspetti decisivi in tal senso, anche rispetto al suo incarico accademico alla Paris-Diderot? Dopo il dottorato e qualche anno di postdoc (nei quali è incoraggiata, ben considerata e remunerata un’esperienza d’insegnamento), occorre prendere la qualification per il concorso di Maître de Conférences (l’equivalente del ricercatore universitario). I profili scientifici si definiscono collegialmente, prima di pubblicare i bandi, sulla base delle esigenze di ricerca e d’insegnamento del dipartimento. Per quanto riguarda i concorsi, quel che posso dire è che in quasi dieci anni qui a Parigi, in cui sono stato spesso membro di commissioni di concorso, non ho visto neanche un caso di non valorizzazione del merito. Foto: iStockphoto (piuss99; Selitbul; jethic) Qual è l’iter da seguire per diventare professore universitario in Francia? Quanto, e soprattutto come, è valorizzato il merito? Quale università? Qual è il carico didattico di un professore universitario e quali sono le fasce di retribuzione? Le ore d’insegnamento, pesate con coefficienti diversi per le lezioni (1,5) e le esercitazioni (1), sono 192. Il salario di un Maître de Conférences è di circa 1.800 euro mensili netti all’inizio e di 2.800 dopo dieci anni (12 mensilità, con ancora un po’ di tasse da pagare a fine anno). Poi ci sono i professori di seconda fascia (equivalenti ai nostri associati) e di prima fascia (equivalenti ai nostri ordinari). Questi ultimi, a fine carriera, possono raggiungere uno stipendio di circa 4.500 euro. Alcuni professori di prima fascia possono accedere al grado di professori di classe eccezionale, che guadagnano ancora un po’ di più. Tutti quanti possono concorrere a une prime d’excellence scientifique rinnovabile ogni tre anni, che ammonta a circa 400 euro al mese. È un po’ meglio che in Italia, ma non si va in Francia per svoltare dal punto di vista dello stipendio. Quali misure sono adottate per garantire la qualità della didattica? Com’è organizzato il sistema della valutazione della performance accademica dei docenti? Nel mio dipartimento la misura principale è costituita da una rotazione obbligatoria degli insegnamenti dopo un massimo di quattro anni. Passati i quali, anche l’ultimo arrivato dei giovani Maîtres de Conférences scalza senza problemi il professore più anziano. Ogni anno, prima dell’estate, si tiene una sorta di fiera degli insegnamen- ti in cui, in un quadro di regole chiare e con un bel buffet finale, ognuno sceglie cosa insegnare l’anno successivo. Ogni insegnamento prevede un’équipe (lezioni, esercitazioni, laboratorio) coordinata da un docente che si fa carico del suo buon funzionamento. Nell’école d’ingénieurs, tutti quanti sono oggetto di una valutazione anonima da parte degli studenti. In che modo l’esperienza del Collegio è stata – se è stata tale – un plus nel raggiungimento dei suoi traguardi? È stata una delle esperienze più formative della mia vita: mi ha fornito da subito uno standard elevato, lo stimolo della borsa annuale rinnovabile, l’opportunità di studiare in un ambiente multidisciplinare. Su un piano pratico, vista la piega che avrebbe poi preso la mia vita professionale, il Collegio mi è stato utile per imparare un po’ di francese e ottenere da Philips Italia una borsa di tesi di laurea al Nat Lab Philips a Eindhoven (dove ho capito che da grande volevo fare il ricercatore e girare in bicicletta). Intravede la possibilità o spera in un futuro di tornare a insegnare in Italia? Che cosa riporterebbe con sé “in valigia” di quanto vissuto in Francia? Per il momento non ci penso neppure: qui sto bene, mia moglie (olandese) ha un suo lavoro, i nostri bambini di cinque e nove anni stanno crescendo nel sistema francese. E poi sono per gli Stati Uniti d’Europa, con nazionalità che si stemperino al ran- Dalla pagina precedente: il Collège de France, una veduta di Parigi e la sede storica della Sorbona. go di appartenenze regionali. Certo che un giorno mi piacerebbe tornare in Italia! Però, non sono sicuro che mi troverei bene. Qui ho avuto la fortuna di crescere velocemente, con esperienze che alla mia età mi sarebbe stato impossibile accumulare nel mio vecchio contesto lavorativo a Roma: dirigere un gruppo di ricerca senza dover scodinzolare per trent’anni, fondare due lauree brevi, fondare e dirigere un’école d’ingénieurs, contribuire al futuro del mio ateneo senza sudditanze politiche o generazionali. Roba da matti, se ci penso con la parte italiana del mio cervello… BIO Giuseppe Leo ha conseguito la laurea in Ingegneria elettronica presso La Sapienza e il dottorato in Fisica all’università Paris XI di Orsay. Ricercatore della Sapienza (1992) e di Roma Tre, è stato nominato professore associato in Elettronica presso quest’ultima. Dal 2004 ricopre l’incarico di professore ordinario in Fisica presso l’Université Paris Diderot, nella quale ha fondato (2010) l’Ecole d’Ingénieurs Denis Diderot di cui è tuttora preside. È autore di oltre 180 articoli, nonché revisore di varie riviste scientifiche e coordinatore di alcuni progetti internazionali di ricerca. panorama per i giovani • 25 Tecnocrazia Quanto guadagnano, e quanto insegnano, i professori universitari Even though it is easy to quantify salaries and economic benefits enjoyed by Italian researchers, associate and full professors, a comparison with foreign countries’ remuneration systems is not at all easy. Moreover, a correct assessment of the criteria for advancement and pay increase bear no relation to the evaluation of teaching activities. Thus, high wages do not necessarily mean a well-functioning university as there is no supervision on teachers’ work. Foto: iStockphot/davidf di Giuseppe Grazioso ed Elena Martini All’interno di una visione complessiva di struttura e funzionamento, di vizi e virtù del sistema universitario italiano, particolare rilevanza riveste un approfondimento critico sul trattamento economico dei professori. Ci sembra corretto svolgere questo approfondimento partendo dal dato 26 • n. 3, settembre-dicembre 2012 finanziario e normativo, ma sempre alla luce di un rapporto virtuoso, di giustizia commutativa fra retribuzione e didattica. La retribuzione dei docenti universitari è ormai da numerosi mesi al centro di un acceso dibattito accademico e giornalistico a livello nazionale. In realtà, l’anali- si dei dati disponibili per quanto riguarda il sistema universitario italiano si rivela estremamente lineare e consente di far emergere un quadro completo. Ciò grazie al regime tabellare del sistema retributivo di ricercatori, professori associati e ordinari. Più ostica risulta invece, come si vedrà, la comparazione tra gli stipendi dei professori italiani e quelli degli stranieri. In Italia, gli stipendi dei docenti universitari sono stabiliti da alcune tabelle ministeriali che lasciano poco spazio all’interpretazione. Allo stipendio netto che si rinviene da tali fonti va solamente aggiunto qualche piccolo aggiustamento positivo generato da incarichi addizionali svolti all’interno dell’ateneo (solo per i professori a tempo pieno) o da consulenze esterne e partecipazioni a congressi. Si tratta tuttavia di variazioni di importo trascurabile rispetto al salario base riportato nei decreti ministeriali, con l’unica Quale università? produttiva attività di ricerca non trova dalla voglia di dedicarsi alla materia che così nessun tipo di remunerazione aggiun- più lo appassiona. I ricercatori più anziativa, se non nel caso, residuale, dei fondi ni possono sperare di ottenere una retrieuropei. Nemmeno lo svolgimento di una buzione decisamente maggiore (fino a un didattica quantitativamente e qualitativa- massimo di 3.000 euro). Tali speranze rimente adeguata viene riconosciuLa rigidità del sistema retributivo to in busta paga, con le evidenti dei docenti universitari conseguenze che garantisce relativa trasparenza verranno sottolisugli stipendi. neate in seguito. La lettura delle tabelle ministeriali consente di capire sultano tuttavia vanificate a seguito delle subito quanto guadagnano i docenti, di- recenti disposizioni ministeriali che hanstinguendo per ogni categoria un salario no bloccato l’avanzamento del numero di massimo e uno minimo. scatti di anzianità ai quali il personale doIl primo stipendio di un ricercatore cente e di ricerca aveva diritto. Per quanto italiano supera di poco i 1.000 euro netti; riguarda gli associati lo stipendio minimo una magra soddisfazione economica per si aggira intorno ai 2.200 euro, mentre al chi decide di proseguire gli studi animato termine della carriera si può ambire a un Costo del personale accademico negli atenei statali italiani - 2011 (in migliaia di euro) Qualifica professori in servizio al 31/12/11 tot assegni fissi costo medio Prof. ordinario a t.p. 12.505 1.207.725,11 90,97 Prof. ordinario a t.d. 833 49.777,76 56,06 Prof. straordinario a t.p. 823 44.695,32 61,56 Prof. straordinario a t.d. 68 2.647,21 38,93 13.230 862.849,15 62,98 Prof. associato conf. a t.p. Prof. associato conf. a t.d. eccezione di determinati extra in ambito medico. Utilizzeremo quindi i valori disponibili on-line nella banca dati “Dalia”, gestita direttamente dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. Le somme riportate sono composte da due differenti voci: il salario base generato da assegni fissi e le indennità accessorie cui si è appena accennato (supplenze, indennità, incarichi, etc.). Una tale rigidità nel sistema retributivo garantisce relativa trasparenza sugli stipendi: il contribuente può essere ragionevolmente certo che lo stipendio del professore che vanta amicizie e appoggi in alto non sarà troppo diverso rispetto a quello del suo pari che di tali contatti sia completamente privo. La stessa rigidità produce d’altro canto una certa rilassatezza nei docenti, che – godendo di una retribuzione determinata a priori – non percepiscono un rapporto tra compenso ricevuto e prestazione. Una 797 31.963,82 39,66 Prof. associato non conf. a t.p. 1.514 64.250,01 44,77 Prof. associato non conf. a t.d. 86 2.622,23 32,37 29.856 2.226.530,60 75,92 in servizio al 31/12/11 tot assegni fissi costo medio TOTALE PROFESSORI Qualifica professori Ricercatore conf. a t.p. 17.309 774.295,60 43,95 Ricercatore conf. a t.d. 1.021 32.102,86 31,47 Ricercatore non conf. dopo 1 anno 3.010 102.460,46 30,45 Ricercatore non conf. 1.768 38.820,19 24,95 Assistente a t.p.* 84 7.518,44 50,46 Assistente a t.d.* 26 1.373,11 31,21 23.218 956.570,67 41,2 in servizio al 31/12/11 tot assegni fissi costo medio 53.074 3.223.101,27 60,73 TOTALE RICERCATORI Totale generale PROFESSORI E RICERCATORI Legenda: conf. = confermato, t.p. = tempo pieno, t.d. = tempo determinato. * Ruolo ad esaurimento Fonte: Analisi banca dati economica per il Miur (delia.cineca.it) panorama per i giovani • 27 La Quale salute università? nel mondo salario di 3.500 euro. La forbice di retribuzione è molto più ampia per i professori ordinari: lo stipendio di ingresso è di circa 2.900 euro, che potrebbero salire a un netto di quasi 5.500 euro dopo tre decenni di servizio nel ruolo. Da notare però che risulta assai difficile trovare un docente italiano con alle spalle una carriera di 30 anni da ordinario, in quanto la nomina al più alto grado di insegnamento di rado viene conseguita al di sotto dei 45 anni. Più in generale, ponendo attenzione all’età, è facile osservare che la classe docente degli atenei italiani è relativamente anziana. Come evidenzia l’undicesimo Rapporto sullo stato del sistema universitario, l’età media è di 59, 53 e 46 anni rispettivamente per ordinari, associati e ricercatori; la media per tutti i docenti è di 51,6 anni. Considerando che la soglia di pensionamento è 70 anni e che l’età media di promozione a ordinario nell’ultimo decennio è stata di circa 52 anni risulta impossibile raggiungere lo stipendio massimo. In ogni caso, come già detto, gli scatti per anzianità di ruolo sono attualmente (e fino al 2014) bloccati e ne consegue che per adesso nessun docente avrà un aumento in busta paga se non per promozione. Questa è una delle due motivazioni per le quali gli stipendi tabellari sono da interpretare al ribasso. La seconda motivazione è collegata alla mancata considerazione da parte ministeriale delle addizionali Irpef (in quanto variabili a seconda della regione o del comune di appartenenza). Per acquisire significato, i dati sugli stipendi di nostri professori devono es- allora un paragone tra gli stipendi dei piuttosto basso per essere vicini al verprofessori universitari italiani e quelli dei tice dell’alta formazione. Gli assistant professor, gli associate professor e i full loro colleghi stranieri. Secondo la discussa ricerca di P.J. Alt- professor di tali università guadagnano bach et al. (Routledge 2012), gli stipendi rispettivamente 40.000, 50.000 e 80.000 dei docenti italiani sono in media i più alti euro netti l’anno: decisamente di più dei dopo quelli delle università canadesi e su- colleghi italiani. D’altro canto, in termini dafricane. Nonostante l’interminabile eco di tempo la loro presenza è (sulla carta) dei giornali del Belpaese che si La forbice di retribuzione è molto sono prontamente ampia per i professori ordinari, scagliati contro grazie agli scatti di anzianità, il baronato degli atenei, questa che però ora sono bloccati. conclusione resta dubbia e suscita in molti perplessità me- meno richiesta che per i nostri docenti. È todologiche. In primo luogo, è necessario d’obbligo ricordare anche che la retriburicondurre tutti gli stipendi medi al loro zione offerta dagli atenei completamente potere d’acquisto e non operare esclusiva- privati può essere enormemente supemente la conversione in una sola valuta. riore. Le grandi università di Harvard o In secondo luogo, bisognerebbe doman- Yale arrivano a pagare cifre da capogiro darsi quali siano gli stipendi da prende- ai loro docenti. La disparità di trattamenre in considerazione: quelli netti o quelli to tra una sponda e l’altra dell’Atlantico lordi? Probabilmente lo stipendio lordo di può essere giustificata dal fatto che per un docente statunitense sarà più basso di diventare docente universitario è necesquello di uno svedese, ma lo stesso non sario dimostrare altissime competenze e varrà per il netto. Ancora, come calcola- capacità che spesso sono sottostimate dal re le anzianità dei nostri docenti rispetto sistema Italia. Dunque i nostri professori a quelle degli stranieri? E poi, come si sono pagati poco? Per rispondere a questa possono paragonare le nostre tre catego- domanda bisogna interrogarsi sulla qualirie di docenti a quelle di altre nazioni che tà della didattica e della ricerca italiana e prevedono anche dodici qualifiche diver- soprattutto se queste valgano i soldi pubse? Come si vede, la questione è parti- blici spesi per gli stipendi dei professori. Si rende necessaria un’analisi dell’imcolarmente complessa e il ragionare per approssimazioni successive può generare pegno e del tempo che i professori stessi dedicano allo svolgimento effettivo risultati inaffidabili. Possiamo però azzardare una com- dell’insegnamento, parte essenziale e caparazione tra la retribuzione prevista dal ratterizzante del loro lavoro. La Legge 311 del 1985 prevede in gesistema universitario italiano e quello statunitense, vero nerale “l’obbligo di dedicare al proprio e proprio bench- insegnamento […] tante ore settimanali Secondo P.J. Altbach gli stipendi mark nel campo quante la natura e la estensione dell’indei professori italiani sono in della didattica segnamento richiedono e […] impartire media fra i più alti; ma è stato e della ricerca. le lezioni settimanali in non meno di tre Mettere a con- giorni distinti”. Una quantificazione più considerato il valore lordo. fronto tali sistemi precisa è contenuta nell’art. 10 del Dpr sere comparati con quelli relativi ai loro può tuttavia risultare arduo, in quanto 382 del 1980, che stabilisce un monte ore colleghi in altri paesi. Un quadro ragio- occorre tener presente le loro diversità complessivo annuo di almeno 250 ore. I nevole relativo alla situazione economica intrinseche: mentre le università italiane professori a tempo pieno sono inoltre tedel corpo docente italiano e all’impegno sono per la quasi totalità pubbliche, quelle nuti a garantire la loro presenza per non e alla professionalità nell’insegnamento a americane beneficiano, in tutto o in parte, meno di altre 100 ore, per un totale di 350 essa connessi emerge da una copiosa let- di fondi privati. Università che utilizzano ore annue. Ancora più specifica la Legge teratura, sintetizzabile nella domanda: “I parzialmente i fondi pubblici annoverano 230 del 2005 che, dopo avere chiarito che professori universitari guadagnano poco nelle loro fila docenti che possono gua- il trattamento economico dei professori o molto?”. L’economista Roberto Perotti, dagnare cifre ragionevolmente diverse. I universitari è correlato all’espletamento nel suo libro Università truccata (Einaudi professori non-tenure track (una sorta di delle attività scientifiche e all’impegno 2008), contesta decisamente la tesi che i docenti precari) guadagnano dagli 8.000 per altre attività, fissa le ore di didattica professori guadagnino poco. Si impone ai 20.000 euro netti l’anno: uno stipendio frontale in 120 l’anno. Al contempo, la 28 • n. 3, settembre-dicembre 2012 Quale università? Foto: iStockphot/skynesher legge prevede una serie di parametri in base ai quali tale monte ore può essere modificato sulla base dell’organizzazione didattica e della specificità dei settori disciplinari (con il risultato che la precisione della soglia minima è in molti casi rimasta sulla carta). La correlazione tra svolgimento delle attività cui sono preposti e retribuzione dei docenti universitari è stata ripresa dalla recente Legge 240 del 2010 (c.d. riforma Gelmini). Secondo le sue disposizioni, infatti, i docenti dovranno presentare ogni tre anni una relazione sull’attività didattica, di ricerca e gestionale svolta. Alla positività di tale bilancio sarà condizionata la possibilità per i docenti stessi di guadagnare uno scatto di anzianità, il cui importo sarà in caso contrario congelato per un anno e infine devoluto al fondo di ateneo per premiare colleghi più meritevoli. La norma si propone di correggere il legame univoco fra trattamento economico e anzianità finora vigente e ci riesce in parte. Anche assumendo un’adeguata ricaduta del “merito” dei professori sulla loro retribuzione, la questione cruciale rimane tuttavia la misurazione del merito stesso. Veniamo qui alla controversa questione della valutazione del valore della ricerca e, quel che interessa in questa sede, dell’attività didattica. Come è stato più volte denunciato nei mesi scorsi, quello della valutazione di quantità e qualità della didattica è un problema che è rimasto non solo insoluto, ma anche sostanzialmente eluso, nell’ambito accademico italiano. Non esistono infatti meccanismi fatti l’unico strumento di controllo sulle presenze è costituito dai questionari di valutazione che vengono somministrati agli studenti al termine di ogni corso. Si tratta di un metodo che lascia spazio alla più ampia discrezionalità, prevedendo addirittura che i professori titolari possano tenere le lezioni solo saltuariamente o quasi mai. La difficile misurabilità della qualità della didattica continua così ad aprire varchi di legittimità per l’elusione della misurazione anche della sua quantità. Tutto ciò rende estremamente difficile, se non impossibile, una valutazione oggettiva dell’impegno profuso dai docenti nell’insegnamento e quindi una concreta parametrazione dei loro stipendi allo stesso. Come conseguenza, la professionalità nello svolgimento di un’attività diLo svolgimento dell’attività dattica quantitatididattica è rimesso alla vamente e qualicoscienza dei professori, in tativamente ademancanza di adeguati controlli. guata è rimessa alla coscienza di sicuri e standardizzati di rilevazione del- ogni singolo professore, in assenza di effile presenze dei professori e dell’effettivo caci incentivi economici o di altro tipo. A svolgimento da parte loro degli insegna- nostro avviso, gli unici a poter giudicare menti di cui sono titolari. Gli unici a poter non solo la regolarità delle lezioni, ma sogiudicare non solo la regolarità delle le- prattutto la chiarezza dell’esposizione e la zioni, ma soprattutto la chiarezza dell’e- disponibilità dei docenti sono gli studenti. sposizione e la disponibilità dei docenti Il parere di questi ultimi andrebbe richiesono gli studenti. Questo tipo di rileva- sto più volte durante l’anno accademico zione andrebbe affidata agli apparati am- e al loro giudizio andrebbe collegato un ministrativi di ateneo o, meglio ancora, a incentivo o un disincentivo economico, enti esterni imparziali, oppure a studenti il quale andrebbe ponderato anche con la e amministrazione congiuntamente. Nei numerosità delle classi. L’attività didattica è parte integrante del lavoro di un professore universitario (sopra e a pp. 26-27: professori durante una lezione). Il rapporto virtuoso fra retribuzione e didattica che all’inizio si auspicava esistere al di là del dato economico-finanziario e normativo non emerge purtroppo con sufficiente chiarezza. In ogni caso, un livello retributivo relativamente elevato non è sufficiente – e forse nemmeno necessario, ma questa è una questione diversa – per ottenere un’altrettanto elevata qualità dell’insegnamento universitario. Sono forse necessarie, in primo luogo, profonde riforme del sistema e dei controlli sull’operato dei docenti. Per saperne di più... P.J. Altbach, L. Reiseberg, M. Yudkevich, G. Androuschak e I.F. Pacheco, Paying the Professoriate. A Global Comparison of Compensation and Contracts, Routledge, 2012 CNVSU, Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario (2011) Articoli sui siti: www.noisefromamerika.org www.roars.it panorama per i giovani • 29 Quale università? University financing in Italy has always been characterised by large public support and low student fees. The most important change in the last sixty years is the financial autonomy, granted in 1993 to every public University. In Europe there are many different models: from zero fees and state grants available for all students, to high fees and a system of loans to cover them. Nowadays there is a strong debate about the necessity of changing our system, in order to achieve more equity and quality and to provide higher education with a sufficient amount of resources. di Sara Centola blemi dell’Università italiana. Un’altra indagine fu iniziata negli anni Settanta da parte dell’Istat, ma venne ben presto abbandonata. Invece, negli anni Novanta, furono stesi due rilevanti rapporti sulle fonti di finanziamento pubblico e privato alle università e sulla loro destinazione, con riferimento agli anni Ottanta. Dai dati emersi nei vari rapporti, si può constatare che verso la fine degli anni Cinquanta la gran parte delle risorse derivava dai trasferimenti statali, Verso la fine degli anni destinati quasi in Cinquanta la prima fonte di toto al pagamento finanziamento era costituita da delle retribuzioni del personale. In tasse e contributi degli studenti. verità, la princile percentuali con cui partecipano i vari pale fonte di finanziamento finalizzata al funzionamento del sistema era costituita soggetti. Risale agli iniziali anni Sessanta uno proprio dalle tasse e dai contributi degli dei primi studi sul finanziamento del si- studenti, nel complesso la seconda fonte stema universitario italiano: esso venne di risorse pari a circa un quinto delle ricondotto dal Comitato di studio dei pro- sorse totali. In Italia il sistema universitario viene finanziato attraverso i contributi del settore pubblico (che derivano principalmente da Stato, Unione Europea ed enti locali), degli studenti (attraverso tasse e contributi) e del settore privato (donazioni, finanziamenti dell’attività di ricerca e di programmi didattici). I soggetti che erogano i finanziamenti non sono con il tempo cambiati, ma sono invece mutate sia le modalità del sistema di finanziamento, sia 30 • n. 3, settembre-dicembre 2012 Negli anni Ottanta la situazione cambia. In uno scenario profondamente diverso, dovuto al forte aumento del numero sia degli iscritti, sia delle sedi universitarie e delle facoltà rispetto alla fine degli anni Cinquanta, dagli studi risulta in maniera evidente che il peso del finanziamento pubblico è cresciuto notevolmente, passando da una partecipazione pari a circa il 65% nel 1958-59 a una di circa il 90% nel 1990. All’interno del finanziamento pubblico i maggiori aumenti li ha fatti registrare proprio il contributo statale, addirittura quintuplicato in termini nominali e raddoppiato in termini reali. Sono diminuite, invece, le entrate private e quindi la capacità di autofinanziamento del sistema. Analizzando nel dettaglio le spese del Ministero della Pubblica istruzione, si può notare che nel corso degli anni Ottanta percentualmente calano, seppur di poco, le spese per il personale, che rappresentano comunque l’importo maggiore (circa il 70% dei contributi totali), mentre aumentano quelle per l’edilizia; continuano inoltre a scendere le spese per il funzionamento ordinario e per la ricerca. Gli anni Novanta hanno visto una svolta nel sistema di finanziamento uni- Foto: iStockphoto (skynesher ; ollirg) I costi dell’università Quale università? Da sinistra: una lezione universitaria; l’Università di Catania. Nella pagina seguente: il Politecnico di Milano. versitario, con l’introduzione dell’autonomia statutaria e regolamentare degli atenei. Quella finanziaria è stata in primo luogo introdotta dalla Legge 168/1989 e successivamente dalla Legge 537/1993. Come affermato, tra gli altri, da Catalano e Silvestri, la storia recente del sistema universitario italiano può essere suddivisa in due fasi: la prima va fino alla fine degli anni Ottanta, la seconda inizia negli anni Novanta. Nella prima fase il sistema dei finanziamenti era largamente centralizzato, poiché di fatto il Ministero decideva sia le risorse complessive, sia la loro distribuzione fra gli atenei e fra le varie aree disciplinari, concedendo finanziamenti per particolari voci di spesa, non modificabili né destinabili ad altri fini. Questo sistema creava inefficienze, poiché da un lato non vi era incentivo a limitare le spese e dall’altro non si potevano riallocare le risorse da voci in avanzo verso altre che necessitavano maggiori spese. Con la legge del 1989 sono state individuate in modo tassativo le tipologie di fonti di finanziamento degli atenei ed è stata prevista l’istituzione di un regolamento di ateneo per l’amministrazione, unitamente ai contributi, sono aumentate dal 1994. Infatti nel 1996 le tasse costituivano il 13,6% del totale del finanziamento alle università, contro il 7,5% del 1990. Attualmente la situazione si è notevolmente aggravata per la crisi: da una parte vi sono stati ripetuti tagli all’istruzione, dall’altra il contributo richiesto alle famiglie dagli atenei è cresciuto, soprattutto in seguito alla recente spending review. I dati Ocse emersi dal rapporto Education at a Glance 2012, disponibile da settembre e riferito all’anno 2009, non sono affatto rassicuranti: l’Italia spende per l’istruzione superiore 9.562 dollari per ogni studente, contro la media Ocse di 13.728 dollari; la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione è da noi del 9%, nell’Ocse mediamente del 13%. Questi dati sono riferiti al 2009, ma la situazione è oggi ancor più problematica. Molti si interrogano sulla necessità di cambiare, anche radicalmente, il sistema di finanziamento dell’università italiana. In sostanza i costi dell’università dovrebbero essere sostenuti dallo Stato, cioè dall’intera collettività, o dagli studenti che ne beneficiano e quindi dalle loro famiglie? Parecchi sostengono quest’ultima ipotesi, per il cui successo è necessaria una crescita degli aiuti dello Stato agli studenti meritevoli, anche se senza mezzi, soprattutto attraverso borse di studio e altri servizi di assistenza. Qual è la situazione nei paesi a noi più vicini, ossia quelli europei, a cui sicuramente si guarda per cercare un modello alternativo? Il quadro complessivo risulta abbastanza variegato, come si può legge- la finanza e la contabilità. La legge del 1993 ha introdotto una quasi completa autonomia nella gestione finanziaria degli atenei, lasciando però allo Stato il diritto di controllare l’uso effettivo delle risorse; la legge, tra le altre cose, ha previsto l’istituzione di tre fondi ministeriali, rispettivamente per il funzionamento ordinario delle università, per l’edilizia universitaria e per la programmazione dello sviluppo e ha introdotto procedure e organi per valutare l’operato delle università. Dunque, al controllo diretto del Ministero sulla destinazione dei fondi, se ne è sostituito uno diverso e teoricamente più potente: infatti la quantità di risorse ricevuta dagli atenei è commisurata al modo in cui venGli anni Novanta hanno gono utilizzate, rappresentato una svolta, perché con l’intento di hanno visto l’introduzione premiare con maggiori fondell’autonomia degli atenei. di i più virtuosi e punire, invece, i comportamenti non re nel rapporto National student fee and meritevoli. In seguito alla legge sull’au- support system, realizzato da Eurydice, tonomia finanziaria, che ha inoltre dato la rete dell’informazione sull’istruziola possibilità a ciascun ateneo di deter- ne in Europa, o nel rapporto EHEA The minare l’ammontare e la modulazione European higher education area in 2012: delle tasse universitarie, queste ultime, Bologna Process Implementation Report. panorama per i giovani • 31 Quale università? Foto: iStockphoto/farluk Ci sono paesi in cui gli studi universitari sono addirittura gratuiti e, in alcuni, a questo beneficio si accompagna anche un vasto apparato di aiuti. In tale gruppo figurano i paesi nordici, come Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia; in Danimarca, ad esempio, l’università è gratuita, ciascun studente riceve una borsa di studio, che varia a seconda che lo studente viva da solo o con la famiglia, e sono disponibili prestiti universitari per tutti coloro che ne fanno richiesta. A questi paesi si aggiungono poi altri in cui i costi sostenuti dagli studenti sono nulli o esigui (limitandosi per lo più a tasse di registrazione), come in Austria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, e altri ancora in cui non vi sono tasse nel primo ciclo (o sono pagate dallo Stato), come a Cipro e a Malta, in Grecia e in Scozia. Un altro modello universitario è invece rappresentato da quegli Stati che alle loro conseguenze. Infatti il governo immatricolazione nel Regno Unito riCameron ha approvato tagli alla spesa mane alto. pubblica e ha aumentato le rette: il nuoIn questo quadro europeo l’Italia si vo piano per i finanziamenti all’istru- colloca tra i paesi che hanno tasse relatizione superiore ha previsto un aumento vamente basse e sistemi di sostegno poco del limite massimo delle rette annuali da sviluppati. Di questo gruppo fanno parte, e circa 3.000 sterline fino a 9.000 sterline, comunque con differenze molto significadi fatto triplicandolo. Come si poteva tive, anche Francia, Portogallo e Spagna. immaginare tale scelta è stata forCi sono paesi in cui temente criticata gli studi universitari sono dagli studenti, gratuiti e a ciò si accompagna che sono scesi più volte in piazun vasto apparato di aiuti. za per protestare: il 10 novembre del 2010 in cinquantaAnche in Spagna, così come in Inghilmila hanno manifestato a Londra e ci terra, la crisi economica ha portato con sé sono stati scontri, anche violenti, con la tagli alla spesa per l’istruzione e aumenpolizia. In ogni caso il pagamento delle to delle tasse per gli studenti. Il sistema tasse è affiancato da un sistema di pre- è tuttavia molto diverso da quello italiastiti che i laureati devono cominciare a no poiché a essere tassati sono di fatto i ripagare soltanto al raggiungimento di singoli esami, con un prelievo che varia a un guadagno pari seconda dei crediti che conferiscono e del a 21.000 sterli- numero di volte in cui si sostiene lo stesso L’Italia è fra i paesi ne annue o più. esame. Mentre il ministro dell’Istruzione che hanno tasse relativamente Quali sono state José Ignacio Wertz ha stabilito che l’aubasse e sistemi di sostegno le conseguenze mento dovrà oscillare tra il 15 e il 25%, della riforma, ora sono rimasti piuttosto stringenti i criteri poco sviluppati. che le proteste si per ottenere una borsa di studio. impongono tasse ingenti alle quali però sono calmate? In un anno il calo delle A questo punto ci si interroga: verso si accompagna un vasto piano di soste- iscrizioni è stato del 9% (dati Ucas). quale modello l’Italia potrebbe convergegni per il diritto allo studio: è il caso del In particolare, è stato ancor più accen- re? Le opinioni sono molto discordanti. Regno Unito. A questo proposito, non si tuato per le materie umanistiche, men- Alcuni sostengono che bisognerebbe paspuò non far riferimento alle modifiche tre è stato poco rilevante in altre come sare al modello inglese, con tasse elevate che sono state apportate recentemente medicina, ingegneria, legge. Tuttavia il e un sistema di prestiti, finora inesistente nel sistema universitario anglosassone e numero complessivo delle domande di in Italia. Coloro che sono a favore di questa tesi adducono come motivazione una maggiore efficienza ed equità. Sarebbe tuttavia necessario, per una effettiva riforma, introdurre un ampio sistema di sussidi. I contrari a tale cambiamento ritengono che l’aumento delle tasse porterebbe a una riduzione del numero degli iscritti e che i finanziamenti pubblici potrebbero essere utilizzati in maniera più efficiente. Inoltre, all’idea che attualmente sarebbero i più poveri a pagare per i più ricchi, si controbatte che in realtà i ricchi pagano di più poiché il sistema fiscale italiano è progressivo e che in un sistema basato sui prestiti non sarebbero di certo i ricchi a doversi indebitare per poter studiare. È evidente che su di un percorso verso una riforma che consenta equità nell’accesso, riconoscimento del merito e sufficienti risorse finanziarie agli atenei non sarà facile trovare il consenso sociale e quello politico. 32 • n. 3, settembre-dicembre 2012 Quale università? Il paese che guardava passare i treni Italia: i biglietti di sola andata per i talenti nostrani e il desolato binario degli arrivi di cervelli dall’estero. When does the international mobility of highly skilled people turn a social gain into a social drain? Data about migration flows of graduates and PhDs between different countries show a worrisome gap between the brain drain and the brain gain for Italy: many talented italians choose to leave and take their chance abroad, whereas too few foreigners come to study at our universities. And to stay over. This entails a waste of investments and a loss of human resources, with a significant damage for social and economic growth. Foto: iStockphoto/AlexRaths di Pierluca Mariti La formazione di uno studente oggi è – e deve essere – di respiro internazionale. Da un lato l’abbattimento delle barriere, o meglio delle distanze, dall’altro il moltiplicarsi di opportunità di studio e crescita a livello internazionale: da un mercato “comune” mondiale allo scambio di informazioni e saperi il passo è breve ed è uno dei numerosi effetti della globalizzazione. Costruire la propria preparazione accademica anche all’estero non è quindi più solamente un’opportunità, ma una necessità. Durante il nostro percorso, che sia univer- sitario o professionale, il confronto che ci aspetta non potrà prescindere dalla sintesi di diversi saperi e diversi punti di vista, dalla capacità di adeguarsi a differenti metodi e stili di apprendimento e dalla conoscenza di una o più lingue oltre la nostra. Le possibilità di studiare all’estero partono sin dalla scuola superiore, ma è con i vari progetti di mobilità internazionale, quali Erasmus, Socrates, cotutela di tesi e doppio titolo per citare i più famosi, che lo studio si arricchisce di conoscenze e culture di natura profondamente nuova Sopra e nelle pagine seguenti: ricarcatori al lavoro in laboratori scientifici. rispetto agli schemi del passato. Ed ecco quindi che in contesti come l’Unione Europea o il Nord America il panorama di mobilità studentesca è in costante crescita. Non solo durante l’università di primo livello, ma anche durante il dottorato (o l’equivalente negli altri paesi). Inoltre, a questi periodi di formazione non di rado si agganciano opportunità lavorative, anche temporanee, che oltre a convincere gli studenti a un prolungamento della permanenza, diventano fattore di attrazione per gli studenti di altri paesi. Se dunque è inevitabile una tale circolazione di studenti, e quindi di menti e saperi, perché uno dei temi che preoccupa la società, il mondo accademico e, seppur in maniera nettamente minore, la politica, è la cosiddetta fuga dei cervelli? La fuga dei cervelli (o brain drain in inglese) è l’ormai tristemente famosa espressione che indica un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto proporzioni più che rilevanti: la migrazione di personale con un alto grado di istruzione e spesso anche di specializzazione professionale verso l’estero, con una corrispondente perdita di capitale umano per il paese di origine. panorama per i giovani • 33 Quale università? Numerose ricerche hanno tentato di quantificare l’effettivo costo del brain drain per un paese, costo che è facilmente intuibile considerando anche solo il mancato guadagno dei risultati che persone su cui si è investito otterranno altrove. Una stima precisa e completa è pressoché impossibile. Tuttavia, se si presta un occhio a un settore delimitato come quello scientifico, i termini della questione sono evidenti. Il settore scientifico appena considerato è non solo il più facile da valutare economicamente, ma anche il più colpito. La ricerca Mobilità interna e verso l’estero dei dottori di ricerca, datata 2011, ha analizzato la distribuzione delle diverse discipline tra i dottori di ricerca che vivono abitualmente all’estero: il campo scientifico occupa i primi posti con le Scienze fisiche (22,7%), Scienze matematiche e informatiche (9,5%), Ingegneria (8,4%) Secondo l’Ocse l’Italia ha, e Biologia (7,8%). fra i paesi sviluppati, il peggiore Fattore certamensaldo fra laureati che partono te trainante di e che arrivano. questa preponderanza, oltre alla In un’indagine del 2010 dell’I-com, già citata attenzione alla ricerca negli altri l’Istituto per la competitività, è stato pre- paesi, è sicuramente la lingua universale so in considerazione l’arco temporale de- della scienza, che rende immediatamente gli ultimi venti anni e si è calcolato che spendibile il proprio sapere senza particol’Italia ha perso in quel periodo quasi 4 lari abilitazioni o adattamenti. miliardi di euro. Per ottenere questo dato E sempre la lingua, questa volta parlasi è fatto riferimento all’applicazione più ta, è ciò che spesso indirizza i nostri lauevidente (ed economicamente quantifi- reati. La conoscenza dell’inglese è infatti cabile) del sapere scientifico, ovvero il l’ulteriore incentivo a scegliere come debrevetto. I 4 miliardi corrisponderebbero stinazione gli Stati Uniti o il Regno Unial valore di 155 brevetti la cui paternità to. A queste preferenze, rivelate dall’Aire, è interamente italiana e di 301 brevetti l’ufficio del Ministero dell’Interno che depositati da team composti da membri detiene l’anagrafe degli italiani residenitaliani. Ovviamente all’estero. La forte ti all’estero, seguono immediatamente presenza di nomi italiani nelle liste dei Francia, Svizzera e Germania (i dati fanpiù produttivi scienziati all’estero con- no riferimento ai soli cittadini laureati). E ferma l’alta preparazione delle menti del per avere un quadro generale dei numeri nostro paese, che viene messa a frutto da di cui si sta parlando, l’Aire ci fornisce cospicui investimenti nella ricerca nel il numero di italiani laureati (tra i 20 ed i campo pubblico, ma ancor di più in quel- 40 anni) che nel 2011 si è trasferito all’elo privato. stero in cerca di condizioni di vita e di 34 • n. 3, settembre-dicembre 2012 lavoro più favorevoli: 27.616, a fronte di 288.286 immatricolati all’università nello stesso anno. Per ogni 10 ragazzi che si iscrivono, un laureato se ne va. E questi dati prendono in considerazione solamente chi ha chiesto il cambio di residenza. Questo abbandono del proprio paese è una specificità tutta italiana? A dire il vero no. Stando all’ultimo studio sull’argomento, portato a termine dall’Ocse e intitolato Migration and the Brain Drain Phenomenon, le percentuali di altri paesi europei sono analoghe, se non più alte. Se l’Italia ha tra il 5% ed il 10% della popolazione con un’istruzione universitaria che risiede in un altro paese Ocse, così è per Germania, Belgio e Olanda, mentre Austria o Regno Unito sfiorano il 20%. E dunque, qual è il problema? Non certo per la formazione dello studente, che come già detto deve essere di respiro internazionale, bensì per il nostro paese. Il rapporto tra studenti in entrata e studenti in uscita è miseramente diverso da quello degli altri paesi europei. Anche in questo caso i numeri lasciano poco spazio all’interpretazione: se in Italia 7 studenti su 10.000 abitanti sono stranieri, in Germania sono 20 e in Francia 39. E la situazione dei dottorati non è certo migliore, visto che solo un 2% dei ricercatori è straniero, laddove nel Regno Unito è il 35%. L’Ocse conferma l’ennesimo primato italiano, ovvero essere l’unico paese sviluppato ad avere una bilancia così sfavorevole, con più laureati che partono rispetto a quelli che arrivano: qui è il punto critico per il nostro paese, ciò che rende accettabile una perdita di cervelli è un guadagno di altri ingegni che sia quantomeno proporzionato (brain gain). È questo l’assunto su cui si fonda la bontà del cosiddetto brain exchange, ovvero il flusso di capitale intellettuale tra due paesi in quantità e qualità equilibrate. Approccio differente, ma che ha sempre come base la mobilità della formazione, è la brain circulation, ovvero l’esperienza all’estero come tappa della propria carriera accademica e lavorativa, ma che si conclude con un ritorno in patria, dove impiegare le conoscenze apprese. In entrambi i casi, l’Italia si è mostrata fallimentare. Talenti che fioriscono nelle nostre aule per poi migrare verso altri lidi, spesso senza tornare; arrivi così sparuti che desta sempre una qualche sorpresa scorgere un collega che non sia italiano. Foto: iStockphoto (dmbaker; Neustockimages) Quale università? Di fuga dei cervelli come migrazione di personale qualificato si è iniziato a parlare sin dagli anni Sessanta, ma solo negli ultimi venti anni ha assunto un volto differente; la porzione di menti che fuggono non solo ha comportato le conseguenze economiche già viste, ma ha menomato un’intera generazione di ricercatori. L’impatto sociale di tale fenomeno è incalcolabile. Da un lato, le prospettive di certi campi di studio scoraggiano molti anche dal solo cimentarsi in essi; dall’altro, è ormai quasi scontato il passaggio logico che conduce alla scelta della fuga. La diffusa sfiducia nei confronti di un sistema così poco attraente rispetto a vicini di casa di gran lunga più invitanti conduce le menti migliori a preparare il proprio cammino in funzione della partenza. È possibile individuare i fattori che spingono i nostri laureati verso l’estero e che allo stesso tempo non attraggono studiosi stranieri? Le analisi in merito sono numerose, condotte sia da istituti di ricerca e statistica sia ad opera di università e riviste scientifiche. Primo tra tutti, la precarietà delle condizioni lavorative, unitamente al livello salariale, troppo basso per il tipo di preparazione messa a disposizione. Le opportunità di lavoro sono ridotte, sia nel privato sia nel pubblico, dove per altro la selezione di ricercatori e professionisti è spesso basata su criteri poco meritocratici, altra anomalia tutta italiana. Le difficoltà che si incontrano una volta completati gli studi sono ben maggiori rispetto a quelle riscontrabili all’estero, dove il più grandescoglio può essere la lingua straniera, non certo l’accesso al mercato e la possibilità di lation e un brain exchange, vantaggi dei quali gli altri paesi sviluppati godono da tempo? Le politiche teorizzate (e messe in atto in alcuni paesi) sono diverse: esistono quelle di ritorno, che prevedono incentivi per il rientro dei cervelli nazionali quali sgravi fiscali e agevolazioni burocratiche; quelle di reclutamento di personale competente, così da convogliare quel brain gain che non si verifica naturalmente; quelle di restrizione, ovvero di imposizione di barriere all’ingresso o di soggiorni vincolati a un rientro; quelle di ritenzione, ovvero di potenziamento economico e infrastrutturale di quei settori in cui le fughe sono maggiori. Ciò che però è alla base di questi provvedimenti è in ogni caso una presa di coscienza seria del problema da parte della classe politica, che spesso ha invece tergiversato nell’affrontare la questione. Ammettere la presenza di una crisi strutturale a cui consegue un’ingente perdita economica per il nostro paese è ovviamente scomodo, ma le proporzioni assunte attualmente non permettono ulteriori indugi. Se infatti, come visto, si tratta di un fenomeno generazionale, l’attenzione verso la questione non è più di rilievo meramente economico o politico, ma riguarda il futuro stesso del paese. Investimento nel sapere, nell’innovazione e nella cura dei giovani talenti, di cui il nostro paese è ricco, è la misura della lungimiranza – o della miopia – della classe dirigente italiana. essere equamente retribuiti. Ed è anche la lingua, questa volta italiana, a costituire un fattore push (ovvero di respingimento) per chi intende trasferirsi da un altro paese nel nostro. Pochi sono i corsi in lingua inglese, poche le università che tengono conto della possibile presenza di stranieri nelle loro classi. Infine, la mancanza di strutture di supporto adeguate rendono inidoneo il nostro paese a una vera ricerca scientifica di alto livello. D’altronde l’investimento in R&S è piuttosto scarso, circa l’1% del Pil: la media Ue si attesta a circa il doppio, quella Ocse è anche maggiore. Se unitamente a questo dato si considera il vizio strutturale del nostro paeDOTTORI ALL’ESTERO se, ovvero la sistematica dispersione Percentuali di dottori di ricerca che vivono all’estero, divisi per aree di studio. degli investimenti in bilanci poco Scienze fisiche 22,7 Scienze matematiche e informatiche 9,5 equilibrati Ingegneria industriale e dell’informazione 8,4 e gestiti da Scienze economiche e statistiche 7,6 complicate Scienze chimiche 6,7 burocrazie, il Scienze politiche e sociali 4,4 disegno che Scienze biologiche 7,8 ne esce è deScienze mediche 4,1 solante. Scienze giuridiche 3,0 Come riScienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche 4,3 stabilire un Ingegneria civile e Architettura 4,7 equilibrio? Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche 5,3 Attraverso Scienze agrarie e veterinarie 2,9 quali mezzi Scienze della terra 4,2 puntare, anche per l’IFonte: Mobilità interna e verso l’estero dei dottori di ricerca, Istat 2011 talia, a una brain circu- panorama per i giovani • 35 La Studiare salute nel all’estero mondo Il brain drain: un problema non solo italiano. The so called brain drain is a dramatic problem which affects the African continent particularly. That’s what M. S. Ben Ammar, Professor of medicine at the University of Tunis, told us during a meeting at our College. The whole Africa is loosing its best students, who are moving to foreign countries, looking for better opportunities and professional conditions. A global solution is difficult to find out: there is an urgent need to address this problem all around the world and consider it as a priority for African development. di Henri Ibi Foto: iStockphoto/MasterLu Se con il passar del tempo il fenomeno del brain drain ha iniziato a riguardare massicciamente anche il nostro paese, “l’eso- notazione drammaticamente più rilevante. È questo il tema sul quale il professor Mohamed Salah Ben Ammar ha incentrato il suo intervento con gli studenti L’esodo dei cervelli dal del “Lamaro Pozcontinente africano verso i zani”. Professore paesi occidentali assume una di medicina presso l’Università connotazione drammatica. di Tunisi, speciado dei cervelli” dal continente africano lizzato in anestesia e rianimazione, vice verso i paesi occidentali assume una con- presidente del Comitato internazionale di 36 • n. 3, settembre-dicembre 2012 Bioetica dell’Unesco e fino a non molto tempo fa direttore generale della sanità in Tunisia, il prof. Ben Ammar è particolarmente attento a questo tema e alle proporzioni che il fenomeno sta raggiungendo anche nel suo paese, in particolare nel settore medico. Benché sia arduo rinvenire dati ufficiali e aggiornati, quelli diffusi dalle organizzazioni internazionali parlano da soli. L’esodo dei cervelli rappresenta per l’Africa una perdita di più di 1,5 miliardi di dollari l’anno (e paradossalmente viene speso tre volte tanto per retribuire più di 100.000 medici stranieri). Stima l’Organizzazione mondiale della Sanità che ogni anno almeno 20.000 giovani universitari africani emigrino verso i paesi sviluppati (con una bassissima percentuale di ritorno nel paese d’origine). Numerosi sono i fattori che spingono i giovani più qualificati a lasciare la loro patria. Abbandonano territori spesso lacerati da conflitti e guerre, caratterizzati da immobilismo sociale, bassi salari, condizioni di vita precarie, assenza di condizioni di lavoro soddisfacenti; richiamati dagli standard di vita occidentali, si dirigono Quale università? A sinistra: vaccinazione in un villaggio africano. Nel riquadro: il prof. Ben Ammar. verso paesi dove imperano la meritocrazia e la libertà intellettuale. Per quanto riguarda più specificamente la situazione della Tunisia, sono numerosi gli studenti di medicina che nel corso degli studi si recano all’estero, in particolare in Francia, per un certo periodo di tempo. Molti di loro tornano in Tunisia per termi- – spesso costretti a esercitare una professione aggiuntiva –, la scarsità di mezzi finanziari stanziati dai governi locali, sono elementi rivelatori della difficoltà per le università a trattenere i propri studenti. Affermare che si tratta di conseguenze dirette del colonialismo sarebbe indubbiamente eccessivo; tuttavia, come lo stesso professore ha fatto notare, alcune delle maggiori difficoltà che i paesi dell’Africa incontrano oggi sono certamente legate al suo rapido epilogo, che trovò la popolazione africana impreparata ad affrontare le sfide derivanti dall’indipendenza. L’emigrazione dei “cervelli africani” verso i paesi occidentali, favorita certamente dalla conoscenza del francese o dell’inglese, è uno degli ostacoli più grandi allo sviluppo del continente; se non vi sarà un’inversione di rotta significativa, mancheranno sempre le fondamenta per la crescita. Circa le possibili soluzioni, il prof. Ben Ammar ha sottolineato la difficoltà di realizzare misure davvero efficaci. Da una parte, è impossibile impedire ai cittadini di circolare liberamente perché possano meglio realizzare prospettive e aspirazioni, personali e professionali. Dall’altra, è quanto mai necessario e urgente per i paesi africani offrire possibilità di formazione accettabili ai propri studenti, intraprendere programmi di scambio a doppio senso con le università straniere, investire nelle infrastrutture destinate alla ricerca, stimolare e far risaltare le competenze locali. Alla domanda sul ruolo che le organizzazioni internazionali possono assumere in questa direzione, il prof. Ben Ammar ha nuovamente ribadito la mancanza di interventi organici, compiacendosi ad ogni modo della particolare sensibilità dimostrata specialmente negli ultimi anni. V’è da sperare che il senso di appartenenza a un paese o a una comunità spinga i giovani che hanno fruito di un’istruzione superiore in patria a non allontanarsi dalla stessa o a ritornarvi per nitario straniero, che però, come il prof. Ben Ammar conferma, oltre a richiedere stipendi di standard quasi europeo, non è L’Oms stima che ogni anno per nulla integrato almeno 20.000 giovani nel sistema locale, universitari africani emigrino del quale ignora verso i paesi sviluppati. usi, costumi, tradizioni e soprattutto nare l’università, pronti però a recarsi nuo- le reali necessità della popolazione. Ampliando la visuale sull’intero contivamente all’estero, dove magari hanno già trovato una strada. Lo stesso prof. Ben Am- nente africano, emergono tutte le diverse e mar, che trascorse un periodo di formazione complesse cause del brain drain, a partire in Francia, sottolinea l’importanza di un’e- dal mal funziosperienza di studio o specializzazione fuori namento struttuSenza un’inversione di rotta dal proprio paese. Egli tuttavia sottolinea rale del sistema significativa, mancheranno con un certo rammarico che la tendenza del- accademico. La sempre le fondamenta per lo la gran parte degli studenti è quella di per- fatiscenza delle sviluppo dell’Africa. seguire il proprio percorso professionale in strutture, che nel Europa e in Nord America. Ne risulta in Tu- settore sanitario nisia una carenza di medici locali, alla quale assume naturalmente una rilevanza fonda- contribuire alla sua crescita economica e si deve supplire ricorrendo a personale sa- mentale, i salari troppo bassi dei professori sociale. panorama per i giovani • 37 Quale università? Welfare e merito nella crisi During periods of economic crisis, Governments tend to cut down on secondary education expense. Public opinion should be aware that investing in University education, especially if one takes into account the enormous value of academic excellence, can have direct and powerful benefits on the economy as a whole. “È opportuno rilevare che criteri meritocratici di attribuzione dei fondi potranno contribuire a migliorare l’efficacia interna ed esterna del sistema universitario a condizione che i fabbisogni minimi e complessivi di risorse siano determinati secondo i parametri internazionali relativi al costo della didattica e della ricerca […] e a patto che vengano adottate tecniche appropriate di valutazione, che tengano conto della clausola ‘a parità di condizioni’” (XIV Indagine 2011 AlmaLaurea). Promuovere il merito con un’ottica di public policy dovrebbe essere fra i primi obiettivi di ogni paese. Dato che il merito è spesso influenzato dalle condizioni sociali e dal contesto di appartenenza dei soggetti, nella scuola è possibile parlarne in due accezioni, l’una statica, l’altra dinamica: il merito attuale del migliore della classe oppure quello che realizza il potenziale e scaturisce solo nel momento in cui a tutti gli studenti viene richiesto un impegno costante verso il miglioramento e viene garantita loro la possibilità di proseguire gli studi verso livelli superiori e di eccellenza – indipendentemente dalle differenze sociali, culturali ed economiche presenti fra loro. Per generazioni l’istruzione è stato il principale mezzo di mobilità sociale ascendente, anche grazie alle politiche di guaglianze sociali, rende il bisogno di tali politiche tanto più urgente e sentito! Perché durante i periodi di crisi alcune delle voci più tagliate nei pubblici bilanci sono previdenza, ricerca e assistenza alle fasce a rischio? Perché nel bilancio di queste attività appare solo la voce dei costi, mentre in quella dei ricavi pare non esserci nulla; sembra essere vuota, quantomeno nel breve periodo. Le perdite di un mancato investimento sono in un nebuloso futuro, lontano dal momento in cui la crisi brucia come sale sulle ferite. L’impellenza delle scadenze, gli interessi sul debito e il bilancio da pareggiare fanno perdere di vista le falle che si vengono a creare a livello sociale e si ripresenteranno senza dubbio amplificate a distanza di qualche anno. C’è poi un’altra ragione per cui questi tagli si fanno spesso a cuor leggero: i ricavi da esso generati non sono facilmente quantificabili e il “merito”, almeno in un primo momento, sfugge alla legge dei numeri e non rientra in classificazioni, tabelle, diagrammi. È una variabile estremamente volatile e aleatoria, che, se valorizzata, è però in grado di agire come volano per l’intera economia di un paese. Non a caso, delle cose di valore si dice che “non hanno prezzo”, come sosteneva Bob Kennedy nel famosissimo Durante i periodi di crisi alcune discorso del 18 delle voci più tagliate sono marzo 1968, tela previdenza, la ricerca e nuto all’Università del Kansas: l’assistenza alle fasce a rischio. “Il Pil non tiene welfare messe in atto dallo Stato. In un conto della salute delle nostre famiglie, momento di prolungata crisi come quello della qualità della loro educazione o delattuale, però, si genera il seguente para- la gioia dei loro momenti di svago. Non dosso di difficile soluzione: se da un lato comprende la bellezza della nostra poele dinamiche economiche degli ultimi sia o la solidità dei valori familiari, l’inanni impongono tagli alla spesa pubbli- telligenza del nostro dibattere o l’onestà ca – che assottigliano le voci legate alle dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene politiche assistenziali – proprio l’acuirsi conto né della giustizia nei nostri tribunadella crisi, allargando il bacino delle dise- li, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il 38 • n. 2, maggio-agosto 2010 Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Non bisogna pensare, però, che l’ideale egalitario sia antieconomico e, al contrario, prettamente morale: al cuore della lotta per elevare la soglia formativa della popolazione, infatti, c’è il pressante bisogno (imposto dalla globalizzazione) di selezionare il merito da un bacino ampio, estendendo la possibilità di intercettare e valorizzare le eccellenze. L’Italia, con il suo 20% di laureati (nella fascia di età fra 25 e 34 anni), si trova in forte svantaggio competitivo rispetto alla Germania con il suo 26%; agli Stati Uniti, che ne hanno il 41%; alla Francia e al Regno Unito, rispettivamente con il 43 e il 45%; per non parlare del Giappone, che su 100 giovani ne conta 56 laureati (fonte AlmaLaurea, XIV Indagine 2011). Come sostiene l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico Foto: iStockphoto/Andresr di Selene Favuzzi e Angelo Filippi Quale università? A sinistra: giovani laureati. (Ocse), al crescere del livello dell’istruzione media di massa in un paese, cresce di pari passo anche la sua competitività. “Publicly provided health, education and social housing reduce overall income inequality”. La scuola e l’università pubbliche sono i luoghi dove si costruisce la cittadinanza e pertanto è fondamentale che l’accesso sia garantito a prescindere dalle condizioni di partenza. Per questo motivo è necessario che siano incentivati a iscriversi all’università giovani provenienti da ogni condizione sociale. Occorre pertanto incrementare il numero e il valore delle borse di studio offerte dagli atenei di tutta Italia e migliorare il dialogo tra università e scuola secondaria. Proprio quest’ultima dovrebbe preoccuparsi di sviluppare ed educare le loro menti e i loro sentimenti. Infatti, alla scuola secondaria non è dato il compito di selezionare le eccellenze di domani, visto che, se avesse questa finalità, curerebbe soltanto quelle, bensì l’obiettivo di sviluppare il potenziale di tutti gli allievi. Saranno poi il singolo studente e i test di ingresso all’università a determi- re il progresso culturale, scientifico e tecnologico italiano. Giacomo Deferrari, rettore dell’Università di Genova, nel suo discorso d’inaugurazione dell’anno accademico 2011-2012, elencava così le principali cause del ritardo del nostro sistema accademico: “La burocrazia, l’assenza della meritocrazia, la corruzione, la spesa enorme e non produttiva dell’apparato statale e in ultimo l’incapacità della politica nel dare risposte a un necessario ammodernamento del proprio funzionamento”. Deferrari chiedeva “adeguati finanziamenti alla formazione superiore trasferiti secondo criteri rigidi che si basino su performance e vera autonomia, con logica concorrenziale tra atenei, e negli atenei, facendo emergere in questo modo le vere eccellenze”. La meritocrazia deve quindi assumere un ruolo da protagonista in tutto il processo di risanamento dell’università italiana e, in un’ottica di più ampio respiro, dell’intera economia. Un concetto che necessita quanto prima possibile di un’applicazione concreta, anche con il fine di lanciare un segnale di rinnovamento del nostro paese attraverso processi di selezione, promozione e formazione dell’eccellenza, che possano essere trasparenti e responsabili e che permettano alla nostra Università di crescere in un ambiente aperto e competitivo. L’opinione pubblica e la classe politica italiana devono acquisire piena consapevolezza che investire nell’università italiana è sinonimo di crescita e di competitività. Promuovere l’eccellenza significa fare un importante investimento sul futuro. Significa porsi obiettivi ambiziosi. Ogni paese dovrebbe possedere una public policy che preveda la promozione del nare il corso futuro degli studi. Il merito va quindi amorevolmente coltivato sin dai primi passi, favorendone una crescita solida e robusta. Bisogna saper guardare al futuro con occhi giusti: il nostro paese ha l’obbligo di cogliere la grande opportunità che deriva da un robusto investimento sul sapere. È ormai chiaro a tutti che la previsione di bilancio per i prossimi anni non promette fondi a sufficienza per la maggior parte dei ricercatori italiani. Il È necessario che siano nostro paese inveincentivati a iscriversi ste per la ricerca all’università giovani provenienti solo l’1,26% del prodotto interno da ogni condizione sociale. lordo, neanche la metà della media europea. Per cresce- merito, inteso come sinonimo di capacire, l’Italia deve quindi attirare progetti tà e di bravura ma anche e soprattutto di internazionali che siano all’altezza della impegno e di dedizione. Alle istituzioni, concorrenza europea e investire sui suoi come impone la nostra Costituzione, spetricercatori facendo in modo che questi ta il compito di garantire ai più meritevopossano collaborare in progetti all’estero li la possibilità di accedere ai livelli più senza rimanerne “catturati”, bensì ritor- elevati d’istruzione indipendentemente nando con un bagaglio di conoscenze che dalle loro differenze sociali, economiche possa contribuire ad ampliare e migliora- e culturali. panorama per i giovani • 39 Primo piano Il premio Alfieri del Lavoro Un’esperienza indimenticabile Every year, 25 students are awarded the “Premio Alfieri del Lavoro”, given to the best Italian students who have completed upper secondary school with a curriculum of excellence. Two awardees, now students of the “Lamaro Pozzani” College, tell us about their experience, revealing emotions and impressions of three memorable days spent in Rome. di Matteo Rametta e Davide Masi Lo scorso 26 novembre, nel Salone dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale, durante la cerimonia di premiazione dei nuovi Cavalieri del Lavoro, anche 25 Alfieri hanno ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica e un attestato d’onore. Tra i 1.364 studenti, tutti meritevoli, segnalati quest’anno dai rispettivi dirigenti scolastici e risultati idonei secondo i requisiti previsti per la consegna del Premio, anche noi due, oggi studenti del Collegio “Lamaro Pozzani”, abbiamo avuto la fortuna di vivere in prima persona questa esperienza, che ci riempie di orgoglio e che risulta difficile raccontare. Sabato 24 novembre, puntuali al raduno previsto presso l’Hotel Victoria, siamo stati calorosamente accolti dalla Sig.ra Pina Salis, della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, e abbiamo avuto il piacere di conoscere gli altri ragazzi giunti da tutta Italia, con i quali abbiamo cominciato subito a scambiare opinioni e impressioni; ci siamo confrontati in merito al nuovo percorso di studi intrapreso, agli obiettivi raggiunti e alle aspettative future, condividendo la gioia di essere lì insieme. Nel pomeriggio siamo stati impegnati nella visita del centro di produzione Rai di Saxa Rubra, che ospita tutte le testate giornalistiche radio-televisive: Tg1, Tg2, camioncini di nuova produzione, ma in realtà completamente attrezzati per la stesura, la ripresa e l’elaborazione di servizi giornalistici elaborati direttamente in loco e poi inviati al centro di Saxa Rubra. Abbiamo anche avuto la fortuna di ammirare lo studio del Tg1 e quello più moderno del Tg2, totalmente rielaborato e digitalizzato per mezzo dell’applicazione di monitor di nuova generazione. Non è mancata l’occasione per una riflessione critica in merito alla manipolazione dell’informazione di cui spesso si accusano i telegiornali. I giornalisti, infatti, sono chiamati al rispetto del vero e dell’oggettività: non devono, dunque, adoperare le tecnologie per operare una rielaborazione delle notizie secondo interpretazioni e giudizi di carattere personale. I giornalisti, però, sono uomini e donne, con sentimenti e passioni che sono in grado di dominare, non di sopprimere del tutto... Come da programma, nella mattinata di domenica 25, vigilia della premiazione, ci siamo recati dopo una breve passeggiata per Villa Borghese alla Gnam (Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea), istituita nel 1883, poi trasferita a Valle Giulia, dove ha tutt’oggi sede in una scenografica architettura stile Liberty, in occasione dell’Esposizione Universale del 1911. Il museo raccoglie due secoli d’arte che corrono dall’età napoleoIl Premio è destinato ogni anno nica, ricca di scula 25 dei migliori studenti ture neoclassiche che hanno terminato la scuola e romantiche del Canova, all’esuperiore con il massimo dei voti. spressionismo Tg3 nonché Rai International, il Giornale astratto americano degli anni Cinquanradio Rai e il noto programma d’informa- ta di cui massimo esponente fu Pollock, zione “Uno mattina”. Il direttore generale passando per il simbolismo asiatico di ci ha esaurientemente illustrato il funzio- Gauguin, le pennellate veloci dei futuristi namento dei centri di informazione mobili come Balla, l’astrattismo, l’arte metafisia loro disposizione: in apparenza semplici ca di De Chirico, fino alla provocatoria e 40 • n. 3, settembre-dicembre 2012 rivoluzionaria arte dei dadaisti come Duchamp e Man Ray. Nonostante il poco tempo a disposizione, tra le tante opere esposte abbiamo ammirato i quadri post-impressionisti di Van Gogh, percependone il chiaro sconvolgimento interiore nelle pennellate de Il Giardiniere, l’imponente e realistico gruppo scultoreo Ercole e Lica realizzato da Canova e il dipinto modernista Le tre età della donna di Gustav Klimt: un vero trionfo per gli occhi. Le emozioni sono continuate la sera con la cena insieme al Presidente dei Cavalieri del Lavoro Benito Benedini alla Casina Valadier, un noto e rinomato ristorante della capitale sul Pincio, un tempo ritrovo di artisti, intellettuali e uomini po- Primo piano Sopra: la cerimonia di consegna delle onorificenze ai nuovi Cavalieri del Lavoro, che si è tenuta il 26 novembre nel Salone dei Corazzieri del Quirinale. Gli Alfieri del Lavoro sono stati premiati insieme ai Cavalieri del Lavoro, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Presidente della Federazione Benito Benedini e del Sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti; nelle foto a sinistra la premiazione degli autori dell’articolo (a sinistra Matteo Rametta con il Cavaliere del Lavoro Corrado Sforza Fogliani e a destra Davide Masi con il Cavaliere del Lavoro Luciano Cimmino). litici di tutto il mondo. Il fascino della Casina Valadier sta nell’atmosfera neoclassica, nell’incredibile bellezza del luogo e del panorama. Dopo tanti scatti e foto di gruppo, il Presidente ha proceduto a una prima premiazione, donando a ciascuno una medaglia con il simbolo degli Alfieri del Lavoro. Molti confessano di essersi emozionati già quella sera, pensando al coronamento di una carriera scolastica, fatta di tanto impegno e anche di sacrifici. La mattina del 26, il momento conclusivo e tanto atteso: la cerimonia di premiazione al Quirinale. È l’ultima del settennato del capo dello Stato, rivolta a premiare le eccellenze italiane nel lavoro e nella scuola. Erano presenti, fra l’altro, il Presidente della Corte costituzionale, Alfonso Quaranta, il Vice Presidente della Camera dei Deputati, Rocco Buttiglione, il Ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, il Ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Catricalà. Nel corso della cerimonia, trasmessa in diretta Rai, nell’ampia e sfarzosa sala dei Corazzieri, hanno preso la parola il Presidente Benedini e il Sottosegretario di Stato allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti. È quindi intervenuto il Presidente Giorgio Napolitano, prima di consegnare le insegne ai nuovi Cavalieri del Lavoro. Il Presidente Benedini, riferendosi a noi giovani, ha affermato: “Gli sforzi che il nostro paese sta compiendo, i sacrifici di imprese e cittadini, il rigore che è stato necessario applicare, devono essere un punto di partenza, una leva per andare avanti e ricostruire l’Italia puntando sul merito. Oggi, premiando questi 25 studenti insieme ai Cavalieri del Lavoro, il Capo dello Stato sta dando un segnale chiaro e forte. L’Italia ha bisogno di ritrovare la sua eccellenza, a partire da quella di giovani intelligenti che puntano sulla conoscenza e sulla loro voglia di fare, persone che noi Cavalieri del Lavoro sosterremo perché sono all’inizio del percorso universitario che li porterà nel mondo del lavoro, ambito dal quale occorre ripartire per riuscire a costruire un’Italia migliore”. Con il cuore vibrante di emozione, a uno ad uno, abbiamo percorso il corridoio centrale del salone, per ricevere direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica ciascuno la sua medaglia d’argento e l’attestato d’onore di Alfiere del Lavoro. Una stretta di mano che rappresenta simbolicamente un premio alla nostra passione, al nostro entusiasmo, al nostro impegno. L’esperienza del Premio Alfieri è stata infine una straordinaria occasione di socializzazione e condivisione di idee e progetti. È stato subito creato un gruppo “ Alfieri del Lavoro” su Facebook. Tra i tanti interventi, un Alfiere, Luca Pontassuglia, qualche giorno dopo ha scritto: “Miei cari Alfieri, nello svegliarmi oggi stavo dando per scontato di ritrovarvi tutti nella hall e invece, aprendo gli occhi, mi è sembrato di aver fatto solo un bel sogno... credo di essermi comportato come un ‘ladro’ nei vostri confronti, perché tornando a casa, mi sono reso conto di essermi portato da Roma un pezzettino di ognuno di voi, che terrò custodito nel mio scrigno come un tesoro inestimabile”. E concludendo il suo messaggio, afferma di essere “felicissimo di aver incontrato altri ragazzi che, come me, ce la mettono tutta per affrontare questa vita, che danno il meglio di loro stessi per un obiettivo da perseguire e uno scopo da raggiungere, che riescono a essere semplici e responsabili delle proprie scelte... quello raggiunto è un traguardo che abbiamo tagliato tutti insieme... tutti nello stesso tempo, tutti e venticinque”. Parole queste che esprimono efficacemente un pensiero condiviso da tutti. Al ritorno a casa ci è stato impossibile non avvertire la nostalgia di tre giornate dense di momenti ed emozioni che ognuno porterà sempre nel proprio cuore. panorama per i giovani • 41 Il futuro della terza età 42 • n. 2, maggio-agosto 2010 Primo piano Vermeer (e non solo) a Roma An important exhibition in Rome. The first opportunity to admire so many paintings by Vermeer in Italy, but to have also a deeper insight into the everyday life of the seventeenth century Netherlands. di Francesca Parlati La grandezza delle opere d’arte non sta nelle loro dimensioni; eppure per chi non ha mai potuto osservare un dipinto di Jan Vermeer, il primo impatto è davvero straordinario. Dal 27 settembre al 20 gennaio, alle Scuderie del Quirinale a Roma, sono esposte ben otto delle 37 opere a lui attualmente attribuite con certezza, circondate da tele di altri pittori suoi contemporanei e concittadini. Accanto ai lavori del misterioso Vermeer, troviamo dipinti di Jan Van der Heyden, Daniel Vosmaer, Gabriel Metsu, Pieter de Hooch, Carel Fabritius e altri, per un totale di 58 quadri. Questa è la prima grande mostra su Vermeer organizzata in Italia, coprodotta dall’Azienda speciale Palaexpo e da Mondo Mostre; su di essa sono stati investiti circa due milioni e mezzo di euro, compensati però dall’altissima affluenza di visitatori: circa 70mila prenotazioni solo il giorno prima dell’inaugurazione, con una media di 1.200 visitatori al giorno. Successo coronato nel corso de “La notte dei Musei” del 6 ottobre, quando migliaia di persone hanno visitato le Scuderie, creando una coda lunga circa un chilometro. Curatissima come tutte le mostre alle Scuderie, l’esposizione si snoda per dieci sale, organizzate per contenuti tematici dei quadri; notevole l’atten- A sinistra: Johannes Vermeer, Giovane donna al virginale (1670-1673 ca.), olio su tela, The National Gallery (Londra). A destra: Johannes Vermeer, La suonatrice di liuto (1662-1663 ca.), olio su tela, The Metropolitan Museum of Art (New York). panorama per i giovani • 43 Primo piano Da sinistra: Johannes Vermeer, Ragazza con il cappello rosso (1665-1667), olio su tela, National Gallery of Art (Washington); Gabriel Metsu, Donna che legge una lettera (16641666), National Gallery of Ireland (Dublino); Gabriel Metsu, Uomo che scrive una lettera (1664-1666), National Gallery of Ireland (Dublino). zione che i curatori Sandrina Bandera, Walter Liedtke e Arthur K. Wheelock Jr. hanno mostrato non solo nel reperire i vari dipinti (di cui solo due sono di prestatori italiani), ma anche nel porli in relazione, in modo che il visitatore possa apprezzare non solo Vermeer ma anche gli altri pittori, magari meno conosciuti dal grande pubblico. Indubbiamente il pittore di Delft ha un certo fascino, legato anche al mistero della sua vita, della quale si hanno poche notizie certe, come la conversione al cattolicesimo e la produzione di pochissimi quadri l’anno. Indubbiamente una parte nella creazione del mito l’hanno avuta libri come La ricerca del tempo perduto di Proust e il ben più recente romanzo della scrittrice Tracy Chevalier La ragazza con l’orecchino di per44 • n. 3, settembre-dicembre 2012 la, portato alla ribalta dall’omonimo film di Peter Webber del 2003. Notevole anche l’allestimento degli ampi spazi delle sale delle Scuderie del Qurinale: date le ridotte dimensioni dei dipinti, lo spazio delle stanze è stato scandito e ridotto per le loro misure. Appesi a pannelli color pastello (ideati da Lucio Turchetta), illuminati da suggestivi faretti che quasi proiettano l’opera al di fuori della cornice, facendole conquistare spazio e attenzione. Per non distrarre lo sguardo del visitatore e non svilire i dipinti, non ci sono pannelli informativi circa le opere, ma all’ingresso del museo viene distribuito un libretto molto esaustivo, contenente tutte le informazioni utili per apprezzare al meglio l’esposizione. Le prime sale non potevano che introdurre il visitatore nell’Olanda del Seicento, magistralmente rappresentata in varie tele, che enfatizzano i temi principali di questa mostra, rappresentando scene di vita domestica (La stradina, Vermeer) e utilizzando giochi prospettici (Veduta del Municipio Nuovo di Amsterdam, Van der Heyden). Nelle vedute della città irrompono anche eventi della cronaca contemporanea ai pittori, come l’esplosione del deposito nazionale di polvere da sparo a Delft del 1654, nel dipinto di Egbert van der Poel. Nella terza sala emerge un aspetto di solito trascurato di Jan Vermeer, ovvero il profondo cattolicesimo, al quale si era convertito poco prima del matrimonio con Catharina Bolnes. Il dipinto in questione è un’effigie di Santa Prassede, il cui culto è molto diffuso nei paesi fiamminghi. Primo piano La parte da leone nella mostra la fanno però le scene di interni, che colgono e raccontano momenti comuni della ricca borghesia olandese seicentesca. Colpisce moltissimo anche l’alto numero di dipinti che vede al centro dell’opera donne che scrivono e leggono. Moltissime anche le scene di concerti privati e di affettuosità verso gli animali domestici. La mostra dà quindi l’idea di una borghesia elegante e raffinata, che dà importanza all’istruzione, ma anche al linguaggio degli affetti, con scorci che sembrano essere rubati a piccoli atti di dolcezza scambiati tra le mura domestiche, al riparo da sguardi indiscreti. Il tempo nei dipinti è rarefatto e sospeso, una scansione ormai dimenticata, quasi il tempo di leggere una lettera, infilare l’ago nell’ordito, fare una carezza sulla fronte di un bambino, una singola nota del clavicembalo a spezzare il silenzio. Si può senza dubbio e senza timore di sembrare pretenziosi scomodare il topos dell’opera d’arte alla quale manca solamente la parola per essere viva. Tutte le scene sono curate nei più piccoli particolari e con un’attenzione puntigliosa nella rappresentazione dei giochi di luce e di prospettiva. La mostra può anche essere interpretata in questo senso: non solo scene di vita familiare, ma anche un percorso attraverso le tecniche pittoriche fiamminghe. L’utilizzo del pointillé per la resa della luce, l’avvalersi della camera oscura per studiare al meglio la composizione della scena, la cura quasi maniacale nella scelta dei pigmenti per ottenere la giusta sfumatura di colore, la resa dei materiali e delle stoffe, così accurata da sembrare applicati alla tela e l’attenzione ai dettagli, rendono queste opere simili a fotografie, con gli stessi giochi di scorci fuori fuoco o perfettamente delineati. Punto negativo della mostra è l’accalcarsi del pubblico di fronte alle opere di Vermeer, ignorando o mostrando pochissimo interesse verso i dipinti degli altri pittori, senza provare a cogliere il gioco di citazioni e rimandi, gli elementi comuni tra i vari artisti e le particolarità di ciascuno. Visitando la mostra la cosa che più colpisce è la ridotta dimensione delle opere, specialmente della Ragazza con cappello rosso: dopo averla vista campeggiare sugli autobus e sui manifesti pubblicitari stupisce realizzare che essa è realizzata su una tavoletta di legno di quercia e che starebbe comodamente in una mano. Eppure nonostante le dimensioni pari a quelle di un tablet, la risoluzione dell’opera risulta migliore di quella che un qualsiasi supporto tecnologico potrebbe mai dare. L’arte, insomma, continua a superare la scienza nel suo gioco di visioni e richiami... panorama per i giovani • 45 Dal Collegio Un’inaugurazione memorabile per il Collegio dei Cavalieri A very special guest, Prof. Francesco Profumo, Minister of Education, University and Research, inaugurated the new academic year at Lamaro Pozzani College. di Davide Brambilla e Nicola Galvani Il Ministro Profumo ha aperto la sua prolusione dicendosi “molto contento” di essere ospite del nostro Collegio, del quale aveva già sentito parlare in modo positivo. È stata una grande emozione, per noi studenti, poter ascoltare in prima persona colui che per oltre un anno è stato il responsabile di quello che possiamo considerare il nostro “lavoro”. Appena giunto da Bruxelles, il Ministro ci introduce subito in un’ottica europea: possiamo partecipare alla competizione globale col Il rischio, dopo una crisi profonda in primo luogo di valori e in seconda analisi strutturale, è quello di tornare sempre più a rinchiudersi in se stessi, a lamentarsi perché l’occupazione è mal distribuita. È necessario sapersi reinventare e rivedere molte cose, a partire dall’organizzazione dei percorsi formativi. Il Ministro ha detto di non ritenere preoccupante il brain drain, la cosiddetta “fuga dei cervelli”; dovremmo piuttosto favorire sempre più gli scambi, soprattutto nel periodo della formazione, L’invito del Ministro Profumo come l’Europa fa è a mettersi in discussione, da ormai ventiaffrontando e superando sfide cinque anni con il progetto Erasmus. nuove e stimolanti. In questa società passaporto comunitario, viviamo in una sempre più liquida, il prof. Profumo ci filiera complessiva che vede posizionati vede girare con uno zainetto, per aggiunin serie e in parallelo tanti popoli, realtà gere, passo dopo passo, conoscenze e crediverse che a loro modo contribuiscono al diti e rimescolarli, rimettendoci sempre miglioramento della società. Rimprovera in discussione e riaggiornandoci, perché a noi italiani di essere un po’ provincia- le conoscenze perdono rapidamente la li: dobbiamo, senza paura, “uscire fuori”, propria spendibilità. Bisogna orientarsi accedere, come già fanno tante nostre verso strumenti logico-deduttivi, sempre aziende, al mercato del lavoro europeo. più formativi che informativi. Non ci dob46 • n. 3, settembre-dicembre 2012 biamo svuotare di conoscenze, ma saperle gestire per non farci travolgere. Il ruolo dell’insegnante, maestro o professore, viene paragonato a quello di un allenatore, o meglio di un direttore d’orchestra, che sa essere solista, spiegare, passare il metodo e i concetti per poi lasciar suonare il complesso. Se prima della rivoluzione di Gutenberg il sapere era trasmesso oralmente, da uno a pochi, per poi essere accessibile a molti, oggi bisogna imparare ad aprirsi a una relazione bidimensionale. Per illustrare alcuni nodi cruciali in tema di formazione, il Ministro ha citato alcune considerazioni della commissaria europea alla competitività, la signora Queen. Ella ha potuto toccare con mano la qualità del nostro sistema della formazione; prova ne è l’estrema flessibilità dei nostri colleghi quando si recano all’estero. Siamo però carenti nel valorizzare capacità e impegno, le cui premesse indispensabili sono l’openness e la trasparenza. Va abbandonata la logica, radicata in certi ambienti universitari, di cooptazione; se sei bravo e meritevole devi poter accedere, senza affrontare il veto di chi è barricato all’interno del sistema, il che richiede la certezza del metodo, la “cultura” del merito. Non c’è demistificazione della visione romantica nelle parole di un professore di ingegneria, ma la chiamata a rispondere ai fatti con altri fatti. Un altro punto è il tempo. Il ritardare i lavori, il non arrivare mai in fondo alle opere è una malattia tutta italiana, che si manifesta spesso nelle scadenze universitarie. Il Ministro ha raccontato di come ha ridotto, appena diventato rettore del Politecnico di Torino, i ritardi nei pagamenti delle ret- Primo Dal Collegio piano te: semplicemente con una mora. Un patto chiaro con gli studenti, che dà fiducia, ma esige il rispetto delle regole, il che vale anche per i professori. Un passaggio essenziale che per il Ministro è necessario compiere è poi quello della semplificazione normativa, che permetterebbe di superare molti ostacoli e di rendere finalmente operative molte migliorie. Per alzare la qualità servono anche criteri di valutazione il più ogget- Sopra: foto di gruppo nella hall del tivi possibile, con verifiche formali ex Collegio. In basso, a sinistra: il Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri post, che in Italia vengono fatte di rado. del Lavoro Benito Benedini consegna la Dobbiamo lottare, insomma, per risolvere cravatta del Collegio “Lamaro Pozzani” molti problemi, organizzativi e non, af- al Ministro dell’Istruzione, Università e finché, per fare un solo ma significativo Ricerca Francesco Profumo. Nella pagina precedente: un momento del discorso del esempio, per ogni euro investito possa Ministro. esserci dall’Unione Europea un ritorno superiore agli attuali 60 centesimi. Il al Collegio ci sono il Premio Alfieri e, dal Ministro ha chiuso con un messaggio di 2008, l’Osservatorio dei talenti. La cerisperanza sul futuro: sfida difficile, impe- monia di inaugurazione dell’anno accadegnativa e soprattutto stimolante, dal mo- mico ha offerto al Presidente anche l’opmento che ognuno ha la possibilità di La semplificazione normativa è un disegnare la propassaggio necessario pria vita. da compiere per superare Prima della prolusione del molti problemi del nostro paese. Ministro, il Presidente della Federazione Nazionale dei portunità di presentare il nuovo annuario Cavalieri del Lavoro, Benito Benedini, che raccoglie le schede di tutti i laureati aveva ribadito che “il Collegio universita- del Collegio dal 1971 al 2011, accomunario ‘Lamaro Pozzani’ è il fiore all’occhiel- ti dall’aver vissuto un’esperienza formatilo della Federazione”. Il Collegio, ha poi va e umana di grande spessore. Il prof. Tosato, Presidente della Comsottolineato il Presidente, non è l’unica delle attività sociali e culturali dei Cava- missione per le Attività di formazione dei lieri volte a premiare il merito, inserendo- Cavalieri del Lavoro, ha ribadito come si in un’ottica di “sussidiarietà”: accanto l’istituzione si collochi ormai al livello panorama per i giovani • 47 Il futuro Dal Recensioni della Collegio terza età di altri collegi d’eccellenza, non quanto a storia passata, ma quanto a proposte culturali, ricchezza degli incontri e trasversalità degli argomenti. Pilastro centrale delle attività resta il “Corso di cultura per l’impresa – Cavaliere del Lavoro Gaetano Marzotto”, che punta a veicolare contenuti e strumenti di carattere economico, giuridico, manageriale. Il professor Tosato ha poi sottolineato virtù e limiti dell’istruzione italiana. La forza, sostiene, è nei contenuti, a volte ritenuti troppi, ridondanti o addirittura inutili, ma indispensabili per dare a ogni studente la possibilità di sviluppare un proprio pensiero e accedere in modo maturo al mondo del lavoro. La piaga che resta aperta, invece, si chiama organizzazione; è necessario ammodernare e rendere più efficienti le strutture, i corsi, per dare le migliori condizioni agli studenti. Il professor Stefano Semplici, Direttore Scientifico del Collegio, ha presentato al Ministro Profumo le matricole, alle quali sono stati consegnati il foulard e la cravatta del Collegio. Il Direttore ha ricordato anche i programmi di internazionalizzazione avviati in questi anni: il Programma Ponte, destinato a giovani americani di origini italiane e aperto a studenti statunitensi, argentini, brasiliani, ma anche gli “stage d’eccellenza” che offriranno a giovani provenienti dai paesi verso i quali si orienta il brain drain dall’Italia la possibilità di un’esperienza in grandi aziende italiane. Nel rivolgere il suo augurio a tutti gli studenti, il prof. Semplici lascia parlare Michael Young; la sua indicazione è che impegno e merito, quando sono finalizzati esclusivamente al proprio vantaggio, non sono moralmente “sufficienti”. L’esempio dei Cavalieri, benemeriti del Paese, mostra quella “filigrana etica e istituzionale” che va rinforzata e irrobustita per vincere le sfide che ci attendono. Dopo le foto di rito, è il momento del rinfresco. Anche questo è un momento della giornata che ricordiamo con piacere… ERRATA CORRIGE Nello scorso numero (2/2012) per un errore materiale, l’articolo “La tempesta gemella”, a pag. 48, non è stato attribuito a Livio Ghilardi. Ci scusiamo con i lettori e con l’autore. 48 • n. 3, settembre-dicembre 2012 incontri Tutti gli incontri del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” di questo periodo. 11.10.12. Il Professor Luca Serianni inaugura il ciclo di incontri serali del Collegio. Il Prof. Luca Serianni, ordinario di Storia della lingua italiana presso “La Sapienza”, Accademico della Crusca e dei Lincei, parla della dinamicità dell’italiano contemporaneo. 15.10.12. Ricerca universitaria e ricerca industriale. Incontro con il Professor Pierluigi Ridolfi. Il Prof. Pierluigi Ridolfi, presidente dell’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, affronta il tema della ricerca accademica e industriale attraverso l’esempio della sua esperienza. 22.10.12. Proposte per l’università italiana. Incontro con il Professor Gustavo Piga. Il Prof. Gustavo Piga, ordinario di Economia politica presso l’Università “Tor Vergata”, propone una riflessione sulle problematiche dell’università italiana. 25.10.12. L’arte e l’industria cinematografica nell’esperienza del Cavaliere del Lavoro Paolo Ferrari. Il Cavaliere del Lavoro Paolo Ferrari, presidente di Anica e del Festival del Cinema di Roma, racconta il suo percorso nel mondo dell’industria cinematografica. 05.11.12. Un modello di università. Incontro con il Professor Raul Mordenti. Il Prof. Raul Mordenti, ordinario di Critica letteraria presso l’Università “Tor Vergata”, inquadra le problematiche universitarie in un diverso modello di sviluppo. 12.11.12. Il sogno di felicità di Nabokov raccontato da Alessandro Piperno. Alessandro Piperno, scrittore e docente di Letteratura francese presso l’Università “Tor Vergata”, propone una lettura della vita e dell’opera di Vladimir Nabokov. 15.11.12. Il brain drain in Tunisia. Incontro con Mohamed Salah Ben Ammar. Mohamed Salah Ben Ammar, direttore generale della sanità tunisina, interviene sul problema del brain drain nel suo paese. 19.11.12. Superare le barriere e condividere i valori: la realtà del Pakistan presentata dall’Ambasciatrice Tehmina Janjua. Tehmina Janjua, Ambasciatrice della Repubblica Islamica del Pakistan, espone i molteplici aspetti di un paese in continua trasformazione. 29.11.12. La libertà religiosa: un diritto umano fondamentale? Incontro con il Professor John Loughlin. Il Prof. John Loughlin, direttore del Von Hügel Institute presso il St. Edmund’s College dell’Università di Cambridge, esamina il tema della libertà religiosa. 29.11.12. Inaugurazione dell’anno accademico 2012/2013 Il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Francesco Profumo inaugura l’anno accademico 2012/2013 del Collegio, alla presenza del Presidente Benito Benedini. 04.12.12. Liberalismo e liberismo. Incontro con Lapo Berti e Marcello Messori. Lapo Berti e Marcello Messori delineano una riflessione sul processo evolutivo delle teorie economiche, dal liberalismo classico alle sfide della crisi attuale. 11.12.12. Prospettive per la finanza pubblica. Incontro con Mauro Marè. Mauro Marè, presidente di Mefop e docente di Scienza delle finanze all’Università della Tuscia, analizza i principi e le sfide della finanza pubblica in Italia. 20.12.12. La crisi vista dall’America. Incontro con Matteo Iacoviello. Matteo Iacoviello, laureato del Collegio e Senior Economist della Federal Reserve, analizza la crisi europea e il suo impatto sugli Stati Uniti. 21.01.13. I colori del Vietnam: musica e danza tradizionale per celebrare le giornate vietnamite in Italia. Gli studenti del Collegio assistono allo spettacolo di musica e danza tradizionale vietnamita all’Auditorium Parco della Musica di Roma. 24.01.13. Energia per il pianeta. Incontro con il Professor Roberto Capuzzo Dolcetta. Il Prof. Roberto Capuzzo Dolcetta, docente di Fisica e Astrofisica presso “La Sapienza”, affronta la questione energetica proponendo la fusione nucleare come soluzione per il pianeta. www.cavalieridellavoro.it Notizie e informazioni aggiornate settimanalmente I Cavalieri Un archivio con l’elenco di tutti i Cavalieri del Lavoro nominati dal 1901 a oggi e più di 550 schede biografiche costantemente aggiornate La Federazione Che cos’è la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, la composizione degli organi, lo statuto e le schede di tutti i presidenti I Gruppi Le pagine dei Gruppi regionali, con news, eventi e tutte le informazioni più richieste Le attività Gli obiettivi della Federazione, la tutela dell’ordine, i premi per gli studenti e i convegni Il Collegio Il Collegio Universitario “Lamaro-Pozzani” di Roma e i nostri studenti di eccellenza Le pubblicazioni I volumi e le collane pubblicati dalla Federazione, la rivista “Panorama per i Giovani” e tutti gli indici di “Civiltà del Lavoro” L’onorificenza La nascita e l’evoluzione dell’Ordine al Merito del Lavoro, le leggi e le procedure di selezione La Storia Tutte le informazioni su più di cento anni di storia ...e inoltre news e gallerie fotografiche sulla vita della Federazione. È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE. A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.