numero 3/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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numero 3/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro
panorama
per i giovani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - POSTA TARGET CREATIVE Aut. n. S/SA0188/2008 valida dal 01/07/2008 - anno XLV - n. 3 - settembre-dicembre 2012
CLASSIFICHE
Come si valutano didattica,
ricerca e atenei
PROFESSORI
Reclutamento, carriera
e stipendi dei docenti
ARTE
Vermeer alle
Scuderie del Quirinale
EDUCAZIONE E SFIDE DEL FUTURO
Quale università?
Sommario
panorama
giovani
per i
Un gruppo di
studenti in una
università italiana
(Foto: Riccardo
Venturi/contrasto).
n. 3, settembre-dicembre 2012
PANORAMA PER I GIOVANI
3. Editoriale
di Stefano Semplici
Quale università?
4. Il ranking. Che cos’è e perché è
discutibile
Come vengono costruite le graduatorie
internazionali delle università?
di Fabrizio Core
6. Come si fa il rating: due esempi
europei
L’indagine italiana del Censis e quella
inglese del “Times” a confronto.
di Francesco Pipoli
8. Come si valutano i prodotti della
ricerca scientifica?
Sempre più spesso le carriere accademiche
sono decise dalla qualità della ricerca.
di Giuseppe Fasanella, Vittorio Raoul
Tavolaro e Martina Zollo
12. Come si possono dare i voti ai
professori?
La valutazione della didattica è una
questione tanto complessa quanto
centrale per il sistema universitario.
di Emanuele Vagnoni
16. Proposte per l’università: due
modelli a confronto
Le opinioni di due professori universitari:
Gustavo Piga e Raul Mordenti.
di Chiara Ciullo
18. La nuova governance degli atenei
L’università italiana fra autonomia e
continue riforme.
di Carlotta Orlando
21. Reclutamento dei docenti. Storia di
un pasticciaccio brutto
Concorsi nazionali, concorsi locali e poi
di nuovo concorsi nazionali... Ma come si
diventa, in Italia, professori universitari?
di Gabriele Rosana
24. Insegnare a Parigi
Intervista a Giuseppe Leo, laureato del
Collegio e professore di Fisica.
a cura di Eugenio Galli e Vito Andrea Dell’Anna
26. Quanto guadagnano, e quanto
insegnano, i professori universitari
Secondo alcune ricerche i professori
italiani sono fra i più pagati del
mondo. Ma è difficile fare un confronto
oggettivo.
di Giuseppe Grazioso ed Elena Martini
30. I costi dell’università
Il finanziamento del sistema universitario
italiano.
di Sara Centola
33. Il paese che guardava passare i
treni
Italia: biglietti di sola andata per i talenti
nostrani e il desolato binario degli arrivi di
cervelli dall’estero.
di Pierluca Mariti
36. Il brain drain: un problema non
solo italiano
Mohamed Salah Ben Ammar, professore
di medicina a Tunisi, parla dell’esodo di
laureati dai paesi africani.
di Henri Ibi
38. Welfare e merito nella crisi
L’istruzione può essere l’occasione per
superare le difficoltà economiche.
di Selene Favuzzi e Angelo Filippi
Primo Piano
Periodico della Federazione Nazionale
dei Cavalieri del Lavoro - Roma
Anno XLV - n. 3 - settembre-dicembre 2012
Direttore responsabile
Mario Sarcinelli
Direttore editoriale
Stefano Semplici
Segretario di redazione
Piero Polidoro
Redazione: Serena Berenato, Davide
Brambilla, Selene Favuzzi, Elisa
Giacalone, Gianmarco Lugli, Carlotta
Orlando, Francesca Parlati, Gabriele
Rosana, Donato Andrea Sambugaro, Sara
Simone, Viviana Spotorno.
Direzione: presso il Collegio Universitario
“Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 00173 Roma, tel. 0672.971.322 - fax
0672.971.326
Internet: www.collegiocavalieri.it
E-mail: [email protected]
Agli autori spetta la responsabilità degli
articoli, alla direzione l’orientamento scientifico e culturale della Rivista. Né gli uni, né
l’altra impegnano la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro.
Potete leggere tutti gli articoli della rivista
sul sito: www.collegiocavalieri.it
40. Il premio Alfieri del Lavoro
Un’esperienza indimenticabile raccontata
da due studenti del Collegio.
di Matteo Rametta e Davide Masi
42. Vermeer (e non solo) a Roma
Si è conclusa alle Scuderie del
Quirinale a Roma la mostra dedicata
al grande maestro olandese e ai suoi
contemporanei.
di Francesca Parlati
Dal Collegio
46. Un’inaugurazione memorabile per
il Collegio dei Cavalieri
Il Ministro Profumo inaugura l’anno
accademico 2012-2013.
di Davide Brambilla e Nicola Galvani
Autorizzazione:
Tribunale di Roma n. 361/2008 del
13/10/2008
Scriveteci
Per commenti o per contattare gli autori degli
articoli, potete inviare una e-mail all’indirizzo:
[email protected]
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per i giovani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - Tariffa R.O.C.: “Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N° 46) art. 1 comma 1, DCB Modena” - anno XLII - n. 3 - settembre-dicembre 2009
ECONOMIA
Il mercato
elettrico
in Italia
ECOLOGIA
Cosa fare per
consumare meno
MARCONI
L’inventore
imprenditore
AMBIENTE
AMBIENTE
Energia da risparmiare
panorama
per i giovani
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INTERVISTE
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Sul sito del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani”
puoi leggere e scaricare tutti i numeri e gli articoli
di Panorama per i giovani
www.collegiocavalieri.it
Editoriale
Q
ualche mese fa, insieme ad alcuni colleghi della in ultima analisi, spendere meglio può apparire faticosa, ma è
Scuola Superiore S. Anna di Pisa, del Collegio Su- necessaria. Essa, quale che sia il giudizio di ciascuno nel merito
periore di Bologna e dell’Almo Collegio Borromeo dei singoli provvedimenti, rimarca la consapevolezza di un’urdi Pavia, ho firmato una proposta che raccoglieva, genza e tuttavia, al tempo stesso, quella del doppio limite nel
integrandole, alcune idee emerse nel dibattito che si era aperto quale si impantana anche la migliore buona volontà di riforma
intorno all’annuncio da parte del Ministro Profumo di un pac- “istituzionale”.
chetto di interventi, che non sono poi stati realizzati, sulla “valoIl primo corrisponde a una antica saggezza: per capire come
rizzazione della responsabilità educativa e sociale, della capacità vanno davvero le cose in una realtà umana non basta studiare
e del merito nell’università e nella ricerca”. Il filo di Arianna le sue regole; occorre guardare ai comportamenti concreti delle
della nostra riflessione era costituito dalla consapevolezza, ma- persone e, nel caso specifico dell’università, alla loro concreta
turata negli anni trascorsi a contatto con la vasta comunità di tutti disponibilità, che è il risultato di una storia di pratiche collettive
gli studenti universitari e con quelle di collegi ai quali si accede non sempre virtuose, a essere appunto governati, valutati, seleattraverso prove molto selettive, che la contrapposizione fra me- zionati. Se questa disponibilità non matura, la scelta di “raddrizrito ed equità sia non solo concettualmente sbagliata, ma anche zare” il sistema a colpi di legge produce facilmente una ipertrofia
dannosa proprio per chi inizia la corsa della vita da una posizione normativa che non cura affatto il malato e genera la paralisi della
meno fortunata. C’è bisogno di una qualità diffusa e dunque di confusione e della inapplicabilità, con esiti perfino grotteschi,
percorsi di eccellenza aperti nella filiera dell’educazione che è di come si sta verificando con il nuovo meccanismo dei “concorsi”.
tutti e per tutti per continuare a far crescere quei talenti che an- Per questo parlavamo nel nostro documento del primato della
cora oggi dimostrano la “competitività” dell’intelligenza italiana “responsabilità educativa e sociale”, che è quella dei docenti non
nel mondo.
meno che dei governanti.
Nella lettera con la quale accompagnavamo le nostre propoIl secondo limite è quello delle risorse. La nuda evidenza dei
ste, presentate nella forma di un vero e proprio
numeri non toglie nulla all’importanza della
articolato di legge per sottolineare l’esigenza
lotta contro i tanti sprechi e le tante inefficienLa contrapposizione ze che zavorrano l’università, ma non condi una immediata concretezza, ci sembrava di
poter evidenziare tre obiettivi fondamentali da fra merito
sente di concludere che l’Italia è in affanno in
perseguire per il bene della nostra università: ed equità
questo come in altri settori solo perché spende
- l’ampliamento di un’offerta formativa di non è solo
male. L’Italia, purtroppo, spende anche poco
qualità per tutti, da far crescere anche come concettualmente
e ha deciso in questi anni, fino all’ultima legpremessa della piena realizzazione del dettato
ge di stabilità inclusa, di spendere sempre
sbagliata,
costituzionale sul diritto dei capaci e meritemeno. I più recenti dati Ocse, pubblicati nel
voli di raggiungere i gradi più alti degli studi; ma anche dannosa.
2012 ma relativi al 2009, sono inequivocabili:
- la centralità della responsabilità didatl’incidenza sul Pil delle spese per l’istruzione
tica nella sua unità inscindibile con l’attività di ricerca, erosa di livello universitario era pari nel nostro paese all’1%, rispetto
dalla progressiva concentrazione solo sulla seconda della do- all’1,3 della Germania e della Gran Bretagna, all’1,5 della Franverosa valutazione dell’attività dei docenti, con poca o nessuna cia e al 2,6 degli Stati Uniti e della Corea, ma anche all’1,4 del
attenzione per i loro comportamenti nei confronti dei giovani;
Messico e al 2,5 del Cile. Solo la Slovacchia faceva peggio di
- la necessità di garantire procedure di selezione davvero noi. Le risorse pubbliche, inoltre, coprivano il 68,6% della spesa
trasparenti e rigorose, perché è quasi banale ricordare che solo (con un 23,8 già a carico delle famiglie), rispetto all’83 e 84 per
“buoni” professori possono garantire una “buona” università.
cento di Francia e Germania. È vero che negli Stati Uniti, in
Credo di poter dire che la centralità di questi temi esce raf- Corea e in Gran Bretagna lo stato copre una percentuale molforzata dalla mappatura di quello che è stato fatto in questi ultimi to inferiore dell’investimento complessivo nell’università e che
anni per rispondere all’esigenza di una maggiore qualità ed ef- sarebbe in linea di principio sempre possibile scegliere l’ultima
ficienza del nostro sistema universitario. Una mappatura inevi- versione del modello Westminster e portare le tasse universitarie
tabilmente complessa, perché complessi e non sempre coerenti a 10.000 e più euro l’anno. Quel che non si può fare è pretendere
fra loro sono stati gli interventi del legislatore e dell’esecutivo, le nozze con i fichi secchi. Così come non si può negare che ancon le diverse maggioranze che si sono succedute. La pazienza che con i soldi pubblici si possono fare ottimi atenei. Francesi e
nella raccolta e nella lettura dei testi di legge, dei decreti e dei tedeschi sono abbastanza soddisfatti dei loro...
regolamenti prodotti per governare, valutare, scegliere e dunque,
Stefano Semplici
panorama per i giovani
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3
Il ranking
Che cos’è e perché è discutibile
Nowadays, if we want to know which are the best universities in the
world we can look at many ranking lists. However, how can we be
sure that the ranking procedures are reliable? What is the weight of
the education quality, the most important feature considered in these
exercises? As an illustrative example, we try to analyze the Academic
Ranking of World Universities, published every year by the Shanghai
Institute of Higher Education, Jiao Tong University, China.
di Fabrizio Core
siti specializzati alla ricerca dei feedback
degli utenti. Insomma, qualsiasi decisione vogliamo fare nostra, non siamo più
abituati a farlo autonomamente. Ed ecco
quindi che, in
un contesto ecoAlcune procedure di ranking
nomico sempre
contrappongono didattica
più incerto, pree ricerca, premiando la seconda
murosi genitori
che ne avessero i
a discapito della prima.
mezzi si dovrebtiamo il rating delle agenzie, se vogliamo bero spremere sempre più le meningi per
prenotare un ristorante o un hotel ci pre- trovare l’università “migliore” per i loro
occupiamo di spulciare accuratamente i pargoli. Per fare ciò ci si affida alle famoAl giorno d’oggi siamo abituati a compiere le nostre scelte basandoci sul giudizio
altrui. Se vogliamo effettuare un investimento in un qualsivoglia titolo, consul-
4
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n. 3, settembre-dicembre 2012
sissime classifiche universitarie, che forniscono il ranking di ciascun ateneo. Tali
classifiche vedono spesso i nostri atenei in
posizioni deprimenti in ambito internazionale: secondo l’Arwu (Academic Ranking
of World Universities, redatto dall’Istituto di Istruzione superiore dell’università
“Jiao Tong” di Shangai) la prima università italiana è la Statale di Milano, situata
tra il centesimo e il centocinquantesimo
posto. Per avere un riferimento nazionale
spesso ci si affida alla Guida all’università italiana, redatta dal Censis e da “la
Repubblica”. Una scelta importante come
quella dell’ateneo (che è una scelta per la
vita) è dunque spesso basata su quello che
di fatto è un giudizio altrui. Quest’ultimo,
come qualsiasi altro giudizio, può apparire
“soggettivo”, nonostante i criteri scientifico-statistici con cui è formulato.
Questo è il primo aspetto cruciale del
ranking: quali dovrebbero essere i criteri
alla base della sua formulazione? L’Arwu
è stilato utilizzando i seguenti parametri:
qualità dell’insegnamento, qualità dell’ateneo, output della Ricerca e performance
pro capite dell’ateneo. Analizziamoli per
capire cosa sia davvero un ranking.
La qualità dell’insegnamento sembra giustamente il fattore più importante
Foto: iStockphoto (DenisTangneyJr; ithinksky)
Nuovi protagonisti
Nuovi protagonisti
nel giudicare un’università. In particolare sembra logico che la reale capacità di
formare persone e competenze attraverso
la didattica sia l’obiettivo principale che
ogni università deve perseguire. Nella
classifica Arwu la qualità dell’insegnamento viene rilevata in base al numero di
premi Nobel e medaglie Fields vinte da ex
alunni dell’ateneo e pesa sul totale per il
10%. Quindi solo un decimo del giudizio
finale è basato sulla capacità formativa
dell’ateneo e quest’ultima viene rilevata
esclusivamente in base al riconoscimento
internazionale in ambito scientifico, che
di solito interviene con decenni di ritardo. È una metodologia che appare francamente parziale, scarsamente idonea a
valutare la qualità didattica odierna, ma
che si giustifica in funzione del suo carattere oggettivo, della mancanza di costi,
dell’intento di valutare l’universo mondo
dell’istruzione superiore.
La qualità dell’ateneo viene valutata,
analogamente, in base al numero di professori vincitori di premi Nobel o medaglie Fields e di ricercatori dell’istituzione
citati in ambito internazionale. Il giudizio
sulla qualità dei professori di una università è dunque formulato esclusivamente
in base al loro successo in una professione che non è quella dell’insegnante, ma
quella del ricercatore. Non importa quindi
quanto un professore sia dedito all’insegnamento, attento alle esigenze degli studenti, capace di trasmettere competenze.
Anzi, quanto più un professore si dedica a
insegnare, tanto più tempo dovrà sottrarre
all’attività di ricerca e tanto più basso sarà
il suo contributo alla qualità dell’ateneo
così definita, che pesa sul ranking per il
40% del giudizio.
Un altro 40% dipende dall’output della ricerca, valutata in base al numero di
articoli pubblicati e citati. Nuovamente,
una simile procedura porta a contrapporre
didattica e ricerca, premiando la seconda
a discapito della prima e tendendo a trasformare il professore da insegnante a ricercatore, omettendo il suo rapporto con
lo studente.
Il restante 10% del ranking è formulato in base alla performance pro capite
dell’ateneo, cioè in base alla produttività
accademica di ciascun professore o ricercatore.
Si può facilmente notare, in sintesi,
come ci siano due grandi assenti in questo
giudizio: studenti e risorse.
Gli studenti sono i principali stake- In alto: ogni anno l’Istituto di Istruzione
holder dell’università e ricoprono, allo superiore “Jao Tiong” di Shangai pubblica
l’Academic Ranking of World Universities
stesso tempo, il ruolo unico di clienti e (nella foto un’immagine della città). Nella
“materia prima” del processo produttivo pagina precedente: l’Università di Harvard,
universitario. Senza dubbio un premio anche quest’anno al primo posto nella
Nobel arricchisce l’esperienza di uno classifica Arwu.
studente, ma bisognerebbe accertarsi che
il premio Nobel sia, oltre che un eccelso
ricercatore, anche abile a trasmettere le scapito degli studenti di queste ultime.
proprie competenze, cioè un vero profes- Con ciò non si vuole assolvere l’universore. Il ranking dovrebbe dunque basarsi sità italiana da una serie di colpe e ineffinon unicamente sulla qualità accademica cienze che la affliggono, ma si vuole sotdello staff universitario, ma anche sulla tolineare l’iniquità e l’inadeguatezza di
qualità didattica che si dimostra in grado un sistema di ranking che trascura il ruolo
di assicurare. Il punto è che rilevare la primario dell’università, che è quello delqualità accademica è “semplice”, attra- la formazione di persone e competenze,
verso appunto il riconoscimento interna- a favore dell’altra funzione, sicuramente
zionale delle ricerche, mentre misurare importante, della ricerca.
quella didattica è ben altra impresa.
In conclusione un siffatto modello di
L’altro grande assente nelle procedu- ranking sembra essere un mezzo di prore di ranking sono le risorse. Queste ul- mozione pubblicitaria per gli atenei, finatime, e le loro fonti, non possono essere lizzato non a dare un giudizio su questi
trascurate. È migliore un’università che ultimi ma ad attrarre risorse finanziarie, da
può permettersi di stipendiare diversi parte di facoltosi alumni o mecenati, e acpremi Nobel facendo pagare rette astro- cademiche, cioè professori e ricercatori. In
nomiche o una che riesce a offrire un alto questo modo finanziatori e docenti vengolivello di didattica, facendo pagare molto no gratificati dal contribuire, con i propri
meno ai propri studenti? La domanda ap- fondi e il proprio lavoro, a un ateneo che
pare particolarmente appropriata proprio si colloca nei primi posti di queste graduaa proposito dell’università italiana: nelle torie. Dunque il ranking sembra ad oggi
classifiche internazionali gli atenei italia- essere concepito per curare tutta una serie
ni ricoprono spesso posizioni basGli atenei italiani ricoprono
se, tuttavia sono
spesso posizioni basse,
molti gli studenti,
ma sono molti i nostri studenti
formatisi in questi
atenei giudicati di
che ottengono risultati prestigiosi.
“basso profilo”,
che ottengono risultati prestigiosi e rico- di aspetti altamente commerciali e scarsaprono ruoli di primo piano in istituzioni mente utili, talvolta addirittura dannosi, ai
universitarie molto più quotate, spesso a fini della valutazione della didattica.
panorama per i giovani
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5
Quale università?
Le due più famose università inglesi sono
Oxford (a sinistra la Radcliffe Camera)
e Cambridge (nella pagina seguente la
cappella del King’s College).
Come si fa il rating:
due esempi europei
The allure of universities has gained, as in medieval times, an
international scale, thus implying a growing demand for updated
information about academic institutions. The rating of universities is
a complex matter; two examples, taken from the Italian and British
experience, show the most common criteria utilized for the assessment
of academic quality. The analysis of their strong and weak points could
suggest improvements, which would support the formulation of public
policy.
Foto: iStockphoto (Nikada; ChrisAt)
di Francesco Pipoli
L’aumento del numero di studenti che accedono a una formazione di livello universitario e la loro maggiore possibilità
e disponibilità a muoversi hanno portato
a una concorrenza a livello globale tra
le istituzioni accademiche. Già nel Medioevo gli studenti si recavano in posti
lontani, nelle università che godevano
della maggior fama per la materia che
desideravano apprendere. Oggi, la grandezza del fenomeno porta a una crescente
domanda di informazione sulla qualità di
tali istituzioni, che possa guidare studenti e famiglie verso le scelte migliori. Con
questo scopo vengono formulate le numerose league tables delle università. Come
si vede anche nell’esempio dell’Arwu,
illustrato nell’articolo di Fabrizio Core,
6
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n. 3, settembre-dicembre 2012
liane elaborata dal Censis per “la Repubblica” e il “Times”, che elabora lo Higher
Education’s World University Ranking.
La valutazione del Censis si concentra sulle singole facoltà e si articola su
quattro famiglie di indicatori che hanno
tutte lo stesso peso: produttività, ovvero
la capacità di un’università di garantire
una prosecuzione regolare degli studi;
didattica, ovvero indicatori della qualità
dell’insegnamento; ricerca, in termini di
numero di prodotti e capacità di attrarre
finanziamenti ministeriali (programmi
Prin); rapporti internazionali relativi a
studenti in entrata e uscita e opportunità
di formazione all’estero. Ogni famiglia
comprende indicatori specifici, che vengono normalizzati rispetto alla variabilità
massima del dato considerato sull’insieme di tutte le facoltà analizzate, per ottenere valori confrontabili tra i vari atenei.
Scendendo più nel dettaglio, si può notare come già gli indicatori di produttività
– comprendenti il tasso di persistenza di
studenti tra il primo e il secondo anno,
il numero di crediti erogati per studente,
il tasso di regolarità di iscritti e laureati,
separatamente per lauree triennali e magistrali – diano informazioni sulla didattica,
ma non necessariamente riflettano un’eccellenza nell’insegnamento: possono,
infatti, essere indice di un basso livello
degli standard. Altri indicatori che riguardano specificamente la didattica possono
risultare di difficile comprensione, come
per esempio il rapporto tra docenti di ruolo e crediti erogati, oppure essere troppo
sintetici, come il rapporto tra docenti di
per arrivare a questo risultato occorre selezionare degli indicatori che esprimano
un aspetto della qualità degli atenei esaminati, elaborare
un criterio di vaLe varie metodologie si
lutazione dei vari
differenziano per gli indicatori
fattori consideraconsiderati, le fonti, l’elaborazione
ti, predisporre una
raccolta di dati e
e la presentazione dei dati.
infine formulare
un punteggio o rating. Le varie metodo- ruolo e studenti iscritti, ma altri sono delogie si differenziano, quindi, per gli in- cisamente interessanti. La valutazione del
dicatori considerati, per la scelta delle Censis, infatti, premia le facoltà con un
fonti dei dati, per il modo in cui vengono maggior numero di corsi monitorati con i
elaborati e, in ultima analisi, per la pre- questionari di valutazione compilati dagli
sentazione dei risultati.
studenti e quelle con un più alto rapporto
Vediamo, nello specifico, due esempi tra test con valutazione positiva e numero
europei: la classifica delle università ita- di test totale.
Foto: iStockphoto/photomorphic
Quale università?
La classifica del “Times”, invece, valuta le università nel loro complesso, in
base a cinque parametri: insegnamento
(pesa per il 30% del rating finale); ricerca (30% del totale); citazioni dei prodotti
della ricerca (30% del totale); proventi
dall’industria (2,5% del totale) e profilo
internazionale (7,5% del totale). La normalizzazione dei dati avviene con l’assegnazione di un punteggio che quantifica
la distanza del dato considerato dal valore
medio di tutti i dati omogenei raccolti, rispetto a una scala tarata sulla deviazione
standard degli stessi. Si vede subito come
la valutazione di parametri bibliometrici,
che punta a misurare la capacità di una
università di contribuire al sapere globale,
concentri l’attenzione sulla ricerca piuttosto che sulla didattica. In queste due voci,
tra l’altro, pesa anche un tipo di valutazione controverso: l’utilizzo di sondaggi sul
prestigio delle università nel campo della
ricerca (pesano per un 18% del punteggio
finale) e dell’insegnamento (15% del punteggio finale), svolti tra più di 16.600 accademici nel mondo. Il problema di questi
indicatori è che, spesso, sono influenzati
dal prestigio guadagnato da un’istituzione
nel tempo presso l’opinione pubblica, a
discapito delle università piccole o poco
conosciute e con il rischio che per qualcuno ci sia la possibilità di vivere semplicemente di rendita.
Nel confronto tra queste due metodologie si possono osservare alcuni punti
di forza e di debolezza che accomunano
l’attività di valutazione del mondo accademico svolta a livello internazionale.
Innanzitutto il Censis utilizza solo dati
provenienti dal Miur o altri enti o consorzi pubblici, mentre il “Times” fa uso di
dati liberamente inviati dalle università:
la seconda metodologia è più esposta a
vizi nella comunicazione dei dati al fine
di migliorare il rating di un’istituzione. Il
Censis, inoltre, presenta disaggregata la
valutazione per ogni facoltà e per ognuna
delle quattro famiglie considerate, riportata in una scala da 66 a 110, pari a quella
del voto di laurea. L’esposizione dei risultati disaggregati attraverso giudizi o confronti rispetto a livelli medi, massimi, o
livelli minimi di sufficienza, consente, secondo alcuni studi (come quello pubblica-
to nel 2005 da David D. Dill e Maarja M.
Soo), una loro maggiore comprensibilità
da parte degli utilizzatori, che possono
soffermarsi sugli aspetti che valutano più
importanti in un’istituzione e sulla variabilità degli stessi tra una facoltà e l’altra,
in funzione dell’orientamento delle proprie scelte. Infine, si può notare come si
faccia più attenzione a dati di input – ovvero risorse, rapporto professori/studenti,
reputazione – piuttosto che a indicatori
che prendano in esame la qualità della
carriera dello studente, il valore aggiunto
dato dall’università alla sua formazione
e l’output, ovvero i risultati conseguiti
dopo la laurea.
Alla luce di tutto ciò, Dill e Soo proponevano un rating senza ranking: alle
singole università, elencate in ordine alfabetico, corrispondono semplicemente
giudizi sulle varie famiglie di indicatori,
rafforzando la valutazione della carriera
dello studente e dell’output e prospettando l’utilità di una tale metodologia anche
per l’orientamento di politiche pubbliche
di riforma del mondo accademico e di allocazione delle risorse.
panorama per i giovani
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7
Quale università?
Come si valutano i prodotti
della ricerca scientifica?
Recently, a new science was born: it is called bibliometrics, and is made
up of a set of methods to analyze scientific literature quantitatively. In
research evaluation, commonly used bibliometric methods are citation
analysis and content analysis: it is widespread the use of tools such as
the impact factor, the peer review method and the h-index. In this way,
many research fields are combed to explore the impact of researchers or
papers. In Italy, the National Agency for the Evaluation of Universities
and Research Institutes (ANVUR) has the aim to work out this kind of
analysis.
Foto: iStockphoto/srebrina
di Giuseppe Fasanella, Vittorio Raoul Tavolaro, Martina Zollo
In molti altri paesi, europei e non, è ormai
pratica consolidata; in Italia rappresenta ancora una novità, ricca di innegabili
problematiche: si tratta della valutazione
dei prodotti della ricerca scientifica e accademica, ossia dell’insieme di procedure
finalizzate all’espressione di un giudizio,
più o meno strutturato, sulle attività che
costituiscono la ricerca scientifica e sui risultati cui essa giunge. Come per qualsiasi
altro tipo di valutazione, essa comporta la
necessità di stabilire norme e criteri conformi agli scopi che ci si è prefissi e tali,
dunque, da permettere l’espressione coerente di giudizi riguardanti le preminenti
caratteristiche della o delle ricerche, quali
ad esempio la qualità, l’impatto, l’efficacia, l’efficienza e la rilevanza. Nello specifico, sono passibili di valutazione in primo luogo gli articoli pubblicati su riviste
a seguito di attività di ricerca, nonché libri
8
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n. 3, settembre-dicembre 2012
L’Anvur e la Vqr
Il primo passo di tale lungo e impervio
cammino si è avuto con l’istituzione, tra
l’ottobre e il novembre 2006, dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
universitario e della ricerca (Anvur). Da
quel momento (e per la prima volta nella
storia, essendo stato effettuato in passato
solo un esperimento di questo tipo, dalle
dimensioni assai ridotte: 17.000 prodotti
presi in considerazione, peraltro scelti a
discrezione delle singole istituzioni, contro i 200.000 attuali) è iniziato un lungo processo: circa sessantamila docenti
italiani – di ogni ordine e grado, dai ricercatori agli ordinari – di 95 università
pubbliche e private sono stati obbligati
a sottoporre a un giudizio esterno l’attività di ricerca svolta nell’arco di sei
anni, dal 2004 al 2010. Obiettivo ultimo
di tale fase è la compilazione, prevista
per il marzo 2013, di una classifica degli
atenei e dei dipartimenti, a partire dalla
valutazione del lavoro svolto dai singoli
soggetti a essi interni, così da fornire un
indicatore di massima sulla situazione
dell’università italiana. È però più rilevante sottolineare che da tale mappatura
dipenderà la distribuzione del 20% del
Fondo di finanziamento ordinario, stimato intorno agli 832 milioni di euro: rappresenta sostanzialmente il futuro della
ricerca italiana, e con esso anche quello
degli studenti, i quali disporranno di uno
strumento certo per orientare le proprie
scelte.
A capo di questa complessa macchina, che porta il nome di Vqr (Valutazione della qualità della ricerca), c’è
un ingegnere del Politecnico di Torino,
Sergio Benedetto, 67 anni, dalla carriera ricca di esperienze internazionali e
padre di numerosi brevetti nel campo
e simili, ma anche progetti di ricerca, programmi, gruppi, o intere istituzioni che
svolgono o finanziano attività di ricerca.
L’ampiezza e l’insidiosità del problema
sono evidenti: i molteplici e complessi scopi,
la possibilità di scelta tra numerose tecniche
con cui raggiungerli, per non parIn Italia la valutazione
lare della vastità e
dei prodotti della ricerca
della natura eteroè diventata una necessità ormai
genea dell’oggetto,
rendono tale proineludibile.
cesso uno dei più
travagliati e discussi nella storia dell’acca- delle telecomunicazioni. Nell’intervista
demia italiana, sollevando inesorabilmente del 4 febbraio 2012 a Simonetta Fiori di
intorno a esso polemiche di ogni sorta. Basti “la Repubblica”, Benedetto dichiara: “I
pensare che ogni tipo di ricerca (di qualsiasi prodotti della ricerca saranno valutati sia
disciplina o ambito culturale, dalla chimica con metodi bibliometrici sia con la peer
alla storia dell’arte, dalla fisica alla filosofia, review. Il criterio bibliometrico misura il
dall’ingegneria alla medicina) può e deve es- numero di citazioni ricevute da un artisere oggetto di valutazione.
colo, cioè l’interesse suscitato nella co-
Quale università?
munità scientifica. La peer review consiste nella revisione da parte di uno studioso di pari valore”. All’obiezione della
giornalista – “Dunque non è necessario
lo stesso rango accademico” – risponde:
“No, certo. Qualcuno pensava che la revisione spettasse solo ai ‘pari grado’, ma
la cosa fa sorridere. Ora se ne è fatto una
ragione”.
Sorvolando sull’enormità di tempo trascorsa da quando si parlò per la
prima volta in Parlamento di valutazione della ricerca (Benedetto si limita a
commentare, caustico: “In Parlamento
hanno ampia rappresentanza i professori universitari, che danno voce alle
proprie resistenze. Come se l’attitudine a giudicare gli altri li autorizzasse a
considerarsi al di sopra di ogni valutazione”) sembra dunque giunto il tempo
in cui chiunque sia coinvolto o faccia
parte della vita accademica italiana debba confrontarsi con termini quali peer
review, ranking delle riviste, bibliometria et similia.
L’impact factor
Poiché, come direbbe Corto Maltese,
“iniziare dall’inizio è sempre un buon
inizio”, occorre porre in un quadro adeguato i vari strumenti che ci si accinge
a presentare: essi possono essere ricondotti infatti, al funzionamento generale
della cosiddetta bibliometria, sistema di
analisi applicato a vari ambiti scientifici, basato sull’utilizzo di metodi matematici e statistici per la modellizzazione
della distribuzione delle pubblicazioni scientifiche, in modo da verificarne
l’impatto all’interno delle comunità
scientifiche. Ovviamente tale insieme di
pratiche è alquanto recente: nasce negli
anni Venti e si sviluppa enormemente
in conseguenza della disponibilità online di database di grandi dimensioni
(si pensi ad esempio ad ArXiv, archivio
di pubblicazioni accessibile on-line, nel
quale numerosi fisici e matematici ormai pubblicano i propri lavori prima di
sottoporli a riviste tradizionali, per consentire un libero accesso da parte di tutta la comunità scientifica, per ricevere
commenti e pareri dai colleghi di tutto
il mondo e soprattutto per vedersene riconosciuta la paternità e la priorità temporale). Peraltro, esso si inserisce all’interno di un ambito di studi più ampio,
detto scientometria, ossia la scienza per
la misurazione e per l’analisi dell’avanzamento scientifico.
Lo strumento principe dell’analisi bibliometrica è l’impact factor, un indice
sintetico che misura il numero medio di
citazioni ricevute in un dato anno da articoli pubblicati in una rivista scientifica
nei due anni precedenti. In estrema sintesi, esso ha la funzione primaria di stabilire la rilevanza di una rivista nel proprio
ambito di riferimento. L’impact factor fu
teorizzato da Eugene Garfield, fondatore
nel 1960 dell’Institute for Scientific Information, ente fornitore di banche dati
bibliografiche: quest’ultimo fu acquisito nel 1992 dalla Thomson Scientific &
Helthcare ed è attualmente proprietà della
Thomson Reuters. Sua principale attività
è la pubblicazione annuale dei Journal Citation Reports, nei quali si riportano l’impact factor di migliaia di riviste scientifiche inserite nelle banche dati citazionali
di Thomson Reuters, riguardanti sia le
scienze naturali e la tecnologia (comprese
nello Science Citation Index – Sci), sia le
scienze sociali e umanistiche (inserite nel
Social Sciences Citation Index – Ssci). In
tal modo si ha la copertura di un’ampia
gamma di aree disciplinari; tuttavia, essa
è volutamente selettiva e incompleta, poiché presupposto basilare di tale classificazione è che la maggior parte della lettera-
tura scientifica rilevante si concentri in un
numero alquanto limitato di riviste, quelle
di maggiore importanza e visibilità, nonché di consolidata tradizione editoriale.
Altro dato significativo in merito alla
natura dei Journal Citation Reports: la selezione delle riviste in esso censite è svolta a totale discrezione di Thomson Reuters, partendo da linee-guida basate su un
approccio che tenta di conciliare aspetti,
qualitativi e quantitativi, tali da individuare le caratteristiche principali di una
rivista scientifica degna di essere presa in
considerazione per la misura dell’impact
factor. Tali caratteristiche sono ritenute
essere:
1. la puntualità nella pubblicazione;
2. l’applicazione di un processo di valutazione editoriale degli articoli basato
sulla peer review (del quale si parlerà in
seguito);
3. la presenza di un abstract degli
articoli e di informazioni bibliografiche
in inglese (e ciò nonostante la maggior
parte delle riviste censite sia costituita
da pubblicazioni interamente in lingua
inglese), oltre che di liste di referenze
negli articoli in caratteri latini e riportate
secondo le convenzioni editoriali internazionali;
4. l’internazionalità degli autori degli
articoli pubblicati;
La classificazione delle riviste
Dal settembre dell’anno scorso, quando l’Anvur (Agenzia di valutazione del
sistema universitario e della ricerca) ha avviato il procedimento previsto per la Vqr
(Valutazione della qualità della ricerca), le varie società scientifiche, consulte e
sottogruppi dei diversi Gev (Gruppi di esperti della valutazione) hanno prodotto le
proprie liste ordinate di riviste, così da permettere l’introduzione anche in Italia di
una classificazione dei “contenitori” dei prodotti scientifici.
Tale processo non è stato, né è ancora, semplice e trasparente. Grandi polemiche
hanno investito la pubblicazione dei cosiddetti ranking, spesso contenenti madornali
errori, quali avere al proprio interno pubblicazioni discontinue o interrotte.
Per comprendere le ragioni di tali problematiche, occorre sottolineare che per
alcune aree scientifiche, ossia quelle umanistico-letterarie (aree numerate
dall’Anvur dalla 10 alla 14) non esistono database bibliografici o bibliometrici di
riferimento. Dunque, mentre i gruppi di esperti della valutazione per le aree dalla
1 alla 9 (riguardanti tutte le discipline scientifiche) possono e potranno avvalersi
anche di tali preziosi strumenti, per le umanistiche questo è impossibile.
Il risultato, per queste ultime, è una serie di liste, ciascuna delle quali basata su
criteri che i singoli gruppi hanno autodefinito. Per quanto ciò sia avvenuto sulla base
di esperienze simili già in atto altrove, la pecca più grave riscontrabile è la quasi
totale mancanza di un efficace coordinamento centrale.
Se organizzato in maniera differente, magari impostandone la struttura come
centralizzata, questo impegno potrebbe tuttavia non solo servire come stimolo per
le riviste nazionali a evolversi nella direzione degli standard europei, ma anche
costituire una guida per i giovani studiosi e un supporto per chi deve valutare i
prodotti della ricerca.
panorama per i giovani
•
9
Quale università?
5. l’interesse proprio del contenuto
scientifico, in relazione anche alla copertura della specifica categoria tematica o
alla trattazione di argomenti emergenti;
6. la presenza di dati citazionali sulla
rivista (o sugli autori che vi scrivono) nel
numero di riviste complessivo e il grado
di copertura tendono a crescere, a beneficio del livello di verosimiglianza delle
analisi proposte.
Grazie anche alle stringenti argomentazioni critiche del noto matematico italiano Alessandro
Figà
TalamanCirca sessantamila docenti
ca
(presidente
italiani dovranno sottoporre
dell’Istituto naa giudizio esterno l’attività di
zionale di alta
matematica dal
ricerca svolta.
1995 al 2003, dal
database di citazioni delle riviste già cen- 2007 al 2009 direttore del Dipartimensite da Thomson Reuters.
to di Matematica “Guido Castelnuovo”
Prima di evidenziare gli eventuali dell’Università di Roma “La Sapienza”,
punti deboli di tali criteri, si noti, a difesa nonché membro del Comitato nazionale
preliminare dell’ormai noto, se non fami- per la valutazione del sistema universigerato, sistema di recensione di Thomson tario dal 1999 al 2004), è possibile indiReuters, che il numero di riviste prese in viduare varie fallacie del sistema sopra
considerazione viene aggiornato frequen- descritto.
temente, così da tener conto dell’evoluInnanzitutto, un palese problema di
zione del sapere scientifico: nei Journal tempistiche: poiché per il calcolo dell’imCitation Reports si ha l’ingresso continuo pact factor occorre un minimo di tre anni
di nuove riviste e la fuoriuscita di altre in come tempo di riferimento, ai quali bisoprecedenza censite. Inoltre, in generale, il gna aggiungere un arco di tempo impreci-
sato (di solito qualche anno) perché una
rivista sia inserita nei database Thomson
Reuters, le riviste più recenti, anche se
pubblicate da prestigiose associazioni
scientifiche, rischiano di non vedere stabilito il proprio impact factor per anni,
cosa che ne penalizza notevolmente la
diffusione e la visibilità, specie in ambito
internazionale.
Inoltre, la stessa Thomson Reuters
considera una pratica abusiva il valutare
mediante impact factor i singoli ricercatori e le singole pubblicazioni, per la disomogeneità qualitativa degli articoli in
una singola rivista. A latere, si aggiunga
che l’impact factor non tiene conto del
numero di autori di un singolo articolo e
dunque sottovaluta o ignora il livello di
complessità della ricerca; il che è palesemente poco corretto nel caso di pubblicazioni che hanno numerosi autori, come
accade spesso ad esempio nel campo
della fisica, nel quale risultano firmatari
degli articoli tutti coloro che collaborano
all’esperimento descritto (anche centinaia
di nomi).
L’H-index
L’H-index è un indice pensato per misurare tanto la produttività di uno scienziato quanto l’impatto del suo lavoro sulla comunità
scientifica: lo si ricava dalla combinazione del numero di pubblicazioni prodotte da un singolo studioso e delle citazioni che esse
ricevono nei lavori altrui.
L’indice è stato proposto nel 2005 da Jorge E. Hirsch, fisico della University of California di San Diego. L’autore fu, tuttavia,
il primo a sottolineare come l’H-index non possa essere considerato un valore assoluto, universale e infallibile e possa anzi
riservare spiacevoli sorprese. Già nelle prime righe del primo articolo dedicato alla formulazione e alla proposta utilizzazione
dell’indice, infatti, si legge: “for the few scientists who earn a Nobel prize, the impact and relevance of their research is
unquestionable. Among the rest of us, how does one quantify the cumulative impact and relevance of an individual’s scientific
research output? In a world of limited resources, such quantification (even if potentially distasteful) is often needed for evaluation
and comparison purposes (e.g., for university faculty recruitment and advancement, award of grants, etc.)” (J.E. Hirsch, “An index
to quantify an individual’s scientific research output”, 2005, Proceedings of the National Academy of Sciences, 102, 46: 16569–
16572)
La definizione dell’indice, come formulata da Hirsch, è la seguente:
H-index = h articoli hanno ricevuto un numero di citazioni uguale o superiore a h
In parole povere, uno scienziato possiede un indice h se h dei suoi N lavori hanno almeno h citazioni ciascuno e i rimanenti (N
– h) lavori hanno ognuno al più h citazioni. Tale formulazione permette di ovviare ai difetti presentati da altri indici, in particolare
dall’indice bibliometrico noto come impact factor. La struttura stessa dell’H-index permetterebbe invece di dare a singoli lavori
il giusto peso, discriminando inoltre chi avesse pubblicato molti articoli ma di scarso interesse; inoltre, il valore dell’indice non è
troppo influenzato da singoli articoli di grande successo.
Tuttavia, esso non è esente da difetti, vizi e mancanze, e le critiche ricevute sono spesso state puntuali e più che condivisibili.
Basti pensare che a fronte di fisici con valori di h superiori o vicini a 100, l’indice di Evariste Galois, grande matematico
dell’Ottocento, è 2, mentre Richard Feynman, fisico teorico premiato col Nobel, ha h = 23 e Paul Dirac, anch’egli un fisico
laureato dal Nobel, solo 19. Peraltro, Einstein non è presente nella classifica dei fisici con più alto H-index (stilata da Inspire-Hep,
database prodotto da una collaborazione di Cern, Desy, Slac e Fermilab).
Al di là dei sensazionalismi, occorre notare che l’efficacia dell’indice è limitata al confronto tra scienziati dello stesso ambito.
Il problema più difficile che sorge nel calcolare l’indice è quello di selezionare le pubblicazioni e le citazioni da tenere in
considerazione. Non esistendo un’unica banca dati che comprenda tutte le pubblicazioni scientifiche in tutti i settori, l’indice risulta
estremamente dipendente dalla banca dati scelta.
10
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n. 3, settembre-dicembre 2012
Quale università?
A destra e a pag. 11, sotto il titolo: libri
e riviste scientifiche vengono analizzati
con criteri bibliometrici che aiutano la
valutazione della ricerca.
Foto: iStockphot/SensorSpot
È evidente, infine, che la rincorsa a
un alto impact factor può vincolare la
ricerca a fini differenti da quelli che le
sono propri, ossia l’ampliamento delle
conoscenze umane, e premiare sempre
gli stessi ricercatori o le stesse tradizioni di ricerca, a scapito dell’originalità,
dell’innovatività e della laboriosità di
comunità scientifiche meno numerose,
che conseguentemente producono un
numero limitato di riviste. Altro danno
collaterale è che, dato l’ormai consolidato uso dell’inglese come “lingua vettore”, buona parte delle riviste in grado
di avere una diffusione universale è in
lingua inglese, ma molti anglofoni citano solo anglofoni, così da creare nocivi
circuiti auto-sostenentisi. Ovviamente, e indipendentemente dall’aspetto
linguistico, si può assistere anche alla
prassi di gruppi di studiosi dello stesso ambito che si citano a vicenda, uno
“scambio di favori”. Per chiudere, si
noti che citare un lavoro non implica
sempre e necessariamente un giudizio
di merito positivo sullo stesso: si possono infatti riprendere affermazioni errate al fine di poterle correggerle, il che
Tale strumento permette indubbiamente di offrire
una valutazione
Un processo di valutazione del
su misura per il
tipo peer review può funzionare
singolo prodotto
solo a condizione che i valutatori
accademico, ma
presenta anch’essiano inattaccabili.
so dei limiti. Per
è commendevole per il citante, non per quanto riguarda in particolare il panorama
il citato.
italiano, qualora si vogliano attuare valutazioni su ampia scala che coinvolgano
La peer review
grandi strutture e gruppi di ricerca, la peer
A questo punto è doveroso ammettere che review risulta di problematica attuazione,
Eugene Garfield prima e Thomson Reu- specie se non inserita in un corretto quaters poi hanno richiamato l’attenzione sul dro di meccanismi trasparenti e riproducifatto che per la valutazione di una buona bili; ci si riferisce in particolare alla quaricerca occorre sempre un’attenta peer lificazione degli esperti e alla creazione di
review. Essa consiste in una procedura, banche dati che forniscano informazioni
composta da vari step, di selezione degli atte a favorire la corretta allocazione tra
articoli o dei progetti di ricerca proposti oggetto d’analisi e know-how del revida membri della comunità scientifica, sore. Inoltre tale processo può risultare
effettuata attraverso una valutazione ri- oneroso in termini di tempi e costi. Si è
gorosa eseguita da specialisti del settore, dunque diffuso, proprio per ovviare a tali
così da verificarne l’idoneità alla pubbli- inconvenienti, l’impiego della informed
cazione scientifica su riviste specializzate peer review, cioè di un analogo tipo di
o, nel caso di progetti, al finanziamento revisione, nel quale però al valutatore
sono resi noti alcuni elementi in grado di
degli stessi.
orientarne, sostenerne o, eventualmente,
correggerne il giudizio.
È pacifico concludere, da ciò, che tale
processo di valutazione, attualmente in
atto in Italia, può funzionare solo a condizione che tutti i valutatori siano figure
inattaccabili. Ne esistono oggi a sufficienza nell’università italiana, segnata
da lobby e clientelismo? Ecco, a questo
proposito, le parole di Sergio Benedetto,
appropriata conclusione della nostra breve indagine: “Ogni attività di valutazione
è fortemente condizionata dalla qualità
di chi la esercita. Nessuno finora ha sollevato dubbi sui nomi dei quattrocentocinquanta valutatori: questo mi conforta
molto. Circa il venti per cento è costituito
da ricercatori che operano al di fuori dei
confini nazionali. Naturalmente occorrerà
monitorare la valutazione nel suo svolgimento (...) Non mi aspetto che ogni cosa
funzioni in modo perfetto, ma ce la stiamo mettendo tutta. Siamo convinti che si
tratti di una questione molto importante
per la comunità scientifica. Potrebbe ridare una speranza ai tanti giovani che non
ne hanno più”.
panorama per i giovani
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11
Quale università?
How to assess and compare the teaching performances of university
teachers? Many legislative measures have deeply changed the criteria
that professors and schools ought to comply with. The focus is not just
on figures, but also on satisfaction levels as well as relationship quality,
even though it is more and more difficult to draw reliable conclusions.
di Emanuele Vagnoni
In un contesto nazionale nel quale ormai
da diversi anni si può assistere a un processo di rapida evoluzione – per vastità
e articolazione – dell’offerta formativa
degli atenei, è indispensabile fermare
l’attenzione sui metodi di valutazione
dell’attività didattica svolta dal corpo docente, sottolineando che tali criteri sono
stabiliti essenzialmente al fine di soddisfare la fondamentale necessità di fornire
un’informazione veritiera e completa al
pubblico e in particolare agli studenti di
12
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n. 3, settembre-dicembre 2012
scuola superiore che intendano iniziare un
percorso formativo di più elevato grado.
Questo ruolo, per circa dieci anni, è
stato svolto in Italia dal Cnvsu (Comitato
nazionale per la valutazione del sistema
universitario), istituito con la Legge 370
del 1999, operando parallelamente con
il Civr, (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca), attivo dall’anno
precedente. Dal 2006 in poi vi è stato un
processo di riorganizzazione che ha portato alla costituzione dell’Anvur (Agenzia
nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), alla quale sono
state trasferite in via definitiva le funzioni
dei suddetti enti. Da questo iter è uscito
comunque inalterato il fondamentale ruolo dei nuclei di valutazione di ateneo, i
quali sono incaricati della rilevazione, a
livello di singole istituzioni universitarie,
delle informazioni concernenti la didattica, oltre che di un’altra serie di dati di
carattere amministrativo e organizzativo.
Dal 2012, i nuclei sono dunque tenuti
a effettuare per l’Anvur (al pari che per il
Cnvsu fino al 2011) un’operazione di elaborazione e revisione delle suddette informazioni, da concludersi entro il 30 aprile
di ogni anno, e a inviare una relazione
sull’opinione degli studenti frequentanti/
laureandi in merito alle attività didattiche.
A questo scopo, l’Agenzia definisce l’insieme di variabili da utilizzare per la successiva costruzione di indicatori sull’inte-
Foto: iStockphoto (lisapics; style-photographs)
Come si possono dare
i voti ai professori?
Le università non vengono valutate solo
per la produzione scientifica dei loro
ricercatori, ma anche per la qualità della
didattica (in queste pagine, alcune aule
universitarie).
Quale università?
ro sistema universitario, effettuata anche
grazie all’apporto di dati provenienti
dal Miur (in particolare dalla banca dati
dell’Offerta formativa e dall’Ufficio di
Statistica del Ministero, Ustat) e dall’Anagrafe nazionale degli studenti. Essa
inoltre conserva tutto il patrimonio informativo così reperito e le raccolte storiche presso il suo sito istituzionale (www.
anvur.org), dove è presente un database
pubblicamente consultabile, aggiornato
secondo la procedura telematica predisposta in collaborazione con il Cineca.
Con riferimento alla classificazione
dei corsi di studio e in generale delle attività didattiche, l’art. 2 del Dm 544/2007
prevede in primis che siano raccolte e
rese pubbliche, attraverso il contributo
congiunto delle singole università e del
Ministero, una serie di informazioni concernenti il rispetto di determinati “requisiti di trasparenza”, tra le quali sono annoverati, ad esempio, secondo il Decreto
Direttoriale 61/6/2008: la natura del titolo rilasciato; i risultati di apprendimento
previsti e le competenze da acquisire; l’eventuale previsione di attività di tirocinio;
l’individuazione di tre docenti di riferi-
nell’utilizzo del personale docente, l’ef- già l’Enqahe (European Association for
ficienza in termini di numero di studenti Quality Assurance in Higher Education),
iscritti e frequentanti (con l’obbligo di in un suo rapporto del 2005, aveva indiesprimere una valutazione di congruità in cato tra le misure adottabili per realizzare
merito ai casi di bassi livelli di frequenza), la quality assurance and accreditation dei
il “sistema qualità” e la regolarità dei per- corsi di studio l’esplicitazione di inforcorsi formativi, mentre tra i secondi sono mazioni accurate, imparziali e facilmenmenzionati gli strumenti di verifica della te accessibili in merito agli obiettivi del
preparazione ai percorso di apprendimento e alle destinafini degli accessi zioni d’impiego degli studenti precedenLa valutazione della didattica
ai corsi di studio, ti, nonché alla possibilità di sottoporre i
universitaria serve a informare
il livello di sod- programmi didattici all’approvazione di
gli studenti di scuola superiore
disfazione degli soggetti distinti dal corpo docente e alla
studenti nei ri- periodica valutazione da parte del mondo
che proseguiranno gli studi.
guardi dei singoli del lavoro. Durante i lavori del seminamento per il corso. È previsto che l’Anvur insegnamenti, il livello di soddisfazione rio venne riportato come in Olanda l’ente
e i nuclei esercitino un’azione di controllo dei laureandi sul corso di studio e infine statale Nvao (Nederlands-Vlaamse Acsulla rispondenza delle predette informa- la percentuale di impiego dopo il conse- creditatieorganisatie) svolgesse le funziozioni inserite dalle università nella banca guimento del titolo.
ni descritte, agendo in qualità di agenzia
dati dell’Offerta formativa e nei propri siti
A queste conclusioni si pervenne dopo di qualificazione esterna senza interferire
web istituzionali; su questi ultimi devono una lunga serie di dibattiti nel mondo con le dinamiche universitarie; emerse
essere riportate in maniera esaustiva le accademico, che culminarono nel con- anche che lo studio prodotto dalla Fondaspecifiche relative all’organizzazione ge- vegno promosso dallo stesso Cnvsu ed zione Crui l’anno precedente già accennerale della didattica e quindi i program- intitolato “L’accreditamento dei corsi di nava al rispetto di “requisiti di qualità”
mi dei corsi, i curricula scientifici dei do- studio: possibili indicatori e soglie”, svol- irrinunciabili, articolati conformemente
centi, le propedeuticità previste, i testi di tosi a Roma il 21
riferimento, i metodi di valutazione ecc...
giugno 2007. In
I nuclei di valutazione dei
In ogni caso, al di là dell’aspetto me- quell’occasione
singoli atenei devono verificare
ramente informativo, risulta di fondamen- venne affermata
il soddisfacimento dei livelli di
tale importanza l’attribuzione ai nuclei, la necessità divecome stabilito nello stesso decreto mi- nuta ormai impelqualità dei corsi di laurea.
nisteriale, dell’ulteriore verifica del sod- lente di istituire
disfacimento dei “livelli di qualità” dei un’Agenzia in grado di operare a livello ai dettami comunitari. Il nocciolo della
corsi, mediante la definizione (in maniera nazionale in materia di valutazione inter- questione era però rappresentato dalla naconforme al documento 7/07 prodotto dal na ed esterna della didattica negli atenei, tura degli indicatori da utilizzare al fine
Cnvsu) degli indicatori di efficienza ed seguendo prassi definite e standardizzate di produrre una qualificazione efficace,
efficacia degli stessi. In particolare, tra conformemente a quanto già avveniva standardizzata e facilmente adattabile per
i primi vengono annoverati l’efficienza nell’Unione Europea. Si sottolineò che la comunicazione al pubblico attraver-
panorama per i giovani
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13
Quale università?
Foto: iStockphot/skynesher
so, in via prioritaria, i portali web degli
atenei. Venne cioè affrontata la questione del “modello informativo” da adope-
per la conduzione di valutazioni interne sezioni, così elencate: organizzazione del
ed esterne agli atenei era di primaria im- corso di studi, organizzazione dell’inportanza; in realtà, già dal 2001 il Cnvsu si segnamento, attività didattiche e studio,
era occupato di un infrastrutture, interesse e soddisfazione.
particolare aspetto La modalità di risposta alle domande è
Il consorzio AlmaLaurea cura
di questa tematica, fondata su una scala ordinale simmetrica,
ogni anno un’indagine sui
ossia della defini- con due opzioni positive (decisamente
laureati italiani basata sui dati
zione di questio- sì, più sì che no) e due negative (decisanari in merito ai mente no, più no che sì). Nel documento
dei questionari di valutazione.
servizi formativi viene suggerito che il questionario sia
rare affinché i risultati della valutazione da sottoporre agli studenti in corso e ai somministrato (anche attraverso modalità
delle attività didattiche fossero divulgati laureandi. Queste iniziative erano mosse computerizzate) a metà o ai due terzi dello
alle parti interessate nella maniera più da una chiara volontà unificatrice, che in- svolgimento dell’insegnamento e sottopoagevole, comprensibile ed esplicativa tendeva riportare le preesistenti eterogenee sto preliminarmente allo scrutinio da parte
possibile, e quindi fu ricordato come il attività di indagine predisposte dai nuclei del corpo didattico, in maniera da poter
metodo proposto dal Rapporto di Ricerca (secondo quanto dettato dall’art.1, com- apportare opportune variazioni in corso.
1/04 del Cnvsu (tutt’ora in uso, insieme ma 2 della Legad altri come ad esempio la procedura Iso ge 370/99) a uno
In Italia, come in altri paesi a
9000:2000) contenesse schemi comuni- standard comune.
predominante sistema pubblico,
cativi sufficientemente concisi e basati su In particolare, il
l’accreditamento dei corsi è
una struttura ragionevolmente vincolata documento 9/02
per fornire informazioni esaurienti e tali dedicato agli stubasato su agenzie pubbliche.
da permettere confronti tra differenti corsi denti aveva propodi studio.
sto un insieme minimo di domande riguar- Analogamente, il rapporto 4/03 riservato ai
Si concluse in quella seduta che lo stu- danti diversi aspetti dell’attività formativa. laureandi descrive un modello tipo in cui i
dio di indicatori qualitativi e quantitativi Si tratta di 15 quesiti articolati in cinque quesiti possono questa volta assumere una
14
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n. 2, maggio-agosto 2010
Quale università?
caratterizzazione più specifica in relazione
al contesto universitario di riferimento:
tra le sezioni di interesse figurano i riferimenti generali, la parte sulle condizioni
di studio e di lavoro, sulle infrastrutture e
sugli spazi per lo studio, quella sullo studio e sugli esami, sulle attività di sostegno,
sulla soddisfazione complessiva, e infine
quella riguardante le intenzioni future dello studente. Anche in quest’ultimo caso si
ribadisce che l’accento è sull’importanza
della funzione conoscitiva di tali questionari, soprattutto nell’ottica dell’impiego
post-laurea e dell’interazione col mondo
imprenditoriale. In questo ambito è attivo
il Consorzio AlmaLaurea, che, avendo recepito il set di domande approntato, cura
annualmente una dettagliata indagine sul
profilo dei laureati italiani.
Un settore di attività strettamente contiguo a quello della valutazione della didattica è rappresentato dall’accreditamento dei corsi di studio. In questo senso, il
citato Rapporto 1/04 delineò a suo tempo
un quadro nazionale già ricco di direttive
generali (Dm 509/99, Dm 115/2001 e altri) e denso di esperienze rilevanti, tra cui
i progetti nazionali Campus e CampusOne della Crui e il Sinai dell’Università
di Siena, riportando contemporaneamente
diversi esempi internazionali di approccio
al problema: in particolare esso cita le basi
europee che individuano il diritto alla mobilità degli studenti e il conseguente diritto al riconoscimento delle qualificazioni,
ossia la Direttiva comunitaria 89/48/CEE
e la “Convenzione di Lisbona” (Consiglio
d’Europa, Unesco) del 1997. In generale,
si legge, l’accreditamento è definito sia
come accettazione di un titolo di studio
al fine di accedere a un settore professionale, sia, in senso più ampio, come
accreditamento accademico, ovvero raggiungimento di una determinata soglia
di qualità. Come ho spiegato in precedenza, esso si basa su criteri e standard
unanimemente stabiliti che gli istituti di
formazione devono rispettare. In Italia,
come nelle altre nazioni a predominante
sistema pubblico, questo processo è fondato su basi istituzionali, cioè mediante
agenzie pubbliche di valutazione.
Su questo ultimo punto si è aperto
negli anni passati un dibattito, ancora in
corso, nel quale si è discusso in sostanza
sull’opportunità di centralizzare e quindi
determinare “dall’alto” le regole per la
qualificazione o di lasciare al contrario
che le realtà di base si organizzino indi- zionalmente è conosciuto come Srt, ovvevidualmente, essendo inserite in una sorta ro student’s rating of teaching). Assumere
di “mercato delle valutazioni” nel quale questo modello, che è quello più affermai giudizi vengono espressi da una platea to nel mondo ed è diffusamente associato
di osservatori che utilizzano modelli e si- dall’opinione pubblica al tema della valumulazioni differenti. Il primo approccio tazione della didattica, come base per un
garantisce uniformità nei criteri e imme- sistema premiale all’interno degli atenei
diata capacità di confronto e classifica- comporta notevoli rischi: esso è infatti
zione (indispensabile nell’ottica di distri- soggetto a variabilità e soggettività, come
buzione delle risorse pubbliche), ma ha il quelle legate alla possibilità di “reificare”
difetto, fondandosi su indicatori quanti- la relazione studenti-professori e di retativi standard, di fornire una visione ec- stringere a una visione limitata la responcessivamente semplificata delle situazioni sabilità accademica e la professionalità di
che i regolatori vorrebbero misurare (sen- questi ultimi.
za considerare il fatto che le università,
La ricerca, in questo ambito, di soai fini di rendersi meritorie nei riguardi luzioni standardizzate deve d’altronde
dell’allocazione dei finanziamenti, po- scontrarsi con le differenti realtà nelle
trebbero adottare strategie per nasconde- quali le varie istituzioni, in regime di aure i propri punti di debolezza, causando tonomia, operano: ognuna di esse adotta
quindi un deficit di informazione). La strategie diverse per affrontare la compeseconda metodologia, diffusa soprattutto tizione formativa e quindi sono diversi i
in Inghilterra, si
dimostra per conOccorre centralizzare le regole
tro fallace poiché
per la qualificazione, oppure
troppo ancorata
scegliere un approccio dal
alla soggettività
degli osservatori
basso, con diversi modelli?
esterni, dei quali
sarebbe possibile anche mettere in discus- rapporti con il territorio e con gli esposione autorevolezza e indipendenza di nenti dell’imprenditoria, l’atteggiamento
giudizio. È il rischio nel quale potrebbe tenuto nei confronti dell’internazionalizincorrere la pratica di assoggettare l’atti- zazione, i modi per acquisire commesse
vità didattica (e anche la ricerca) condotta di ricerca finanziate, ecc...
negli atenei a frequenti peer review che,
Si dovrebbero allora adottare modelli
come già detto, risentono del modo di va- misti di valutazione, che sappiano tener
lutare proprio dei diversi gruppi di peer.
conto sia delle esigenze e delle realtà loQuanto affermato vale in realtà anche cali, sia della necessità di parametri coper il metodo dei questionari, al quale ho muni, che consentano un confronto intelaccennato in precedenza (e che interna- ligente e realmente utile.
Legge 370/1999
Dalla Legge n. 370 del 1999, “Disposizioni in materia di università e di ricerca
scientifica e tecnologica”:
art.1 - Le università adottano un sistema di valutazione interna della gestione
amministrativa, delle attività didattiche e di ricerca, degli interventi di sostegno al
diritto allo studio, verificando anche mediante analisi comparative dei costi e dei
rendimenti, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e
della didattica, nonché l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa.
art. 2 - Le funzioni di valutazione di cui al comma 1 sono svolte in ciascuna
università da un organo collegiale disciplinato dallo statuto delle università,
denominato “nucleo di valutazione di ateneo” [....]. I nuclei acquisiscono
periodicamente, mantenendone l’anonimato, le opinioni degli studenti frequentanti
sulle attività didattiche e trasmettono un’apposita relazione, entro il 30 aprile di
ciascun anno, al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, e
al Comitato per la valutazione del sistema universitario [....].
panorama per i giovani
•
15
Proposte per l’università:
due modelli a confronto
Two lectures by Gustavo Piga, Professor of Economics, and Raul
Mordenti, Professor of Literary Criticism, at the “Lamaro Pozzani”
College delineated the development perspectives of the Italian
academic system. Piga’s reform model aims to a parallel improvement
both of didactic work and academic research, while Mordenti looks at
the university as a factor of social mobility. However distant or even
opposed these views can appear, they pursue the same goal: the cultural
and social growth of our country.
di Chiara Ciullo
La necessità di rinnovamento e sviluppo
del nostro paese e l’obiettivo di raggiun-
che del confronto sul futuro del nostro sistema universitario. E su questo punto il
professor Gustavo Piga, ordinaL’università è il fondamento
rio di Economia
della crescita economica,
politica all’unisociale e culturale dell’Italia,
versità di Roma
“Tor Vergata” e il
la scommessa per il futuro.
suo collega Raul
gere i tanto agognati “standard europei” Mordenti, ordinario di Critica letteraria
sono il minimo comun denominatore an- nel medesimo ateneo, entrambi ospiti
16
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
del Collegio “Lamaro Pozzani” nel programma dei tradizionali incontri serali,
concordano: l’università è il fondamento
della crescita economica, sociale e culturale dell’Italia, la scommessa per il futuro. Quale deve essere però il punto di
partenza di tale processo?
Il professor Piga sottolinea come
uno dei dati più evidenti e preoccupanti
riguardo all’università italiana sia il numero particolarmente basso dei laureati:
nel 2009, a fronte di un obiettivo europeo
stabilito per il 2020 al 40% di laureati
nella media della popolazione, l’Italia,
con un misero 19%, si situava in terz’ultima posizione. Concorda su questo punto
Mordenti, per il quale, a seguito dei movimenti studenteschi del ’68, l’università
aveva avuto un incremento considerevole
di iscritti e laureati, seguito però da una
drastica riduzione, quella cui assistiamo
tutt’ora, già dal decennio successivo.
La puntuale analisi di Piga passa dunque in rassegna le possibili cause di questo fenomeno, identificando la principale
nell’assenza di un legame forte fra atenei e mondo del lavoro. A tal proposito,
egli pone l’accento sull’inefficienza dei
Foto: iStockphot/borsheim
La
Quale
salute
università?
nel mondo
Quale università?
A sinistra: l’Università di Bologna è la più
antica del mondo (nella foto, la Biblioteca).
incentivi alla competizione fra ricercato- L’università struccata, evidente parafrasi
ri e atenei per ottenere un ruolo di mag- ironica del titolo dell’opera di Perotti. Uno
gior prestigio ecc.), presenta a suo avviso dei punti di maggior dissenso riguarda la
programmi di orientamento e dei sistemi molti punti interessanti e positivi, con il proposta di aumentare le tasse universid’informazione a disposizione di famiglie limite di non prendere adeguatamente in tarie, presentata fra l’altro come garanzia
e studenti. Tale punto di debolezza ha del- considerazione il ruolo fondamentale del- di una maggiore equità sociale, poiché le
le conseguenze notevoli nelle scelte dello la didattica. Se la valutazione e la conse- tasse sarebbero sì più alte, ma a pagarle
studente, che spesso non percepisce il si- guente retribuzione dei docenti avviene sarebbero solo e soltanto i diretti fruitori
stema universitario come un’opportunità esclusivamente in base alla qualità e alla del servizio (prevalentemente appartenenti
di crescita e di occupazione futura e ripie- quantità delle loro pubblicazioni (aspetto alle classi sociali medio-alte) e non, come
ga su una carriera lavorativa immediata, di meritocrazia in sé positivo), l’attività invece accade con i finanziamenti pubbliriducendo così il tasso di mobilità sociale. didattica, poco remunerativa rispetto a ci, la collettività tutta. Secondo il professor
quella di ricerca, Mordenti, al contrario, un provvedimento
verrà inevitabil- del genere nel migliore dei casi scoraggeQuando la valutazione e la
mente relegata in rebbe i ceti più bassi dall’accedere all’uniretribuzione dei docenti si basano
secondo piano. versità e nel peggiore potrebbe addirittura
solo sulla ricerca, la didattica
Non è un caso, precludere loro tale possibilità. Nell’ottica
infatti, che i mi- di Mordenti, l’università deve presentarsi
è relegata in secondo piano.
gliori ricercatori come l’ascensore sociale chiamato a conQuello della cristallizzazione delle pos- si dimostrino spesso restii a insegnare agli ciliare l’esigenza di un’istruzione superiosibilità di ascesa sociale è un tema caro studenti dei corsi di laurea triennale e pre- re su ampia scala (l’idea è quella di un’uanche a Mordenti, che pone l’accento feriscano concentrare i loro sforzi sull’at- niversità di massa) con la garanzia di uno
sull’intrinseca e imprescindibile relazio- tività di studio e sulle pubblicazioni, con standard di qualità sempre elevato.
ne fra la qualità della classe dirigente e ripercussioni non positive sulla continuità
Il modello di università che emerge
le prospettive di sviluppo dell’università e capacità di insegnamento. Date queste dalle due analisi è quindi quello di un
e sottolinea la fondamentale importanza premesse, il professor Piga ha esposto sistema dove al nepotismo e al favoritidell’impegno a garantire al sistema ade- quello che, dal suo punto di vista, potreb- smo di scuola subentri il merito e a uno
guati finanziamenti.
be rappresentare un modello applicabile standard elevato di ricerca e didattica si
La profonda distanza fra le due pro- al sistema universitario italiano e che, se accompagni l’equità sociale e la maggiore
spettive è apparsa chiara nel riferimento realizzato a dovere, garantirebbe un incre- apertura nei confronti delle classi sociali
di entrambi i protagonisti delle due se- mento dell’attività di ricerca e una mag- meno abbienti. Forse ciò che non emerge
rate al “Lamaro Pozzani” al modello di giore efficacia di quella didattica. Do- altrettanto chiaramente sono le modalità
università illustrato nel libro L’universi- vremmo prendere spunto, a suo avviso, concrete per l’attuazione di un tale motà truccata di Roberto Perotti, ordinario dalla soluzione adottata dagli Stati Uni- dello; l’aumento dei fondi (magari prodi Economia politica presso l’università ti, dove esistono due canali universitari: prio attraverso una maggior tassazione)
Bocconi di Milano. Se nell’aspra critica al uno dedicato alla didattica e costituito da viene spesso presentata come la ricetta a
clientelismo e al nepotismo imperanti nel una rete capillare sul territorio di piccoli tutti i mali dell’università dimenticando
sistema universitario italiano Piga e Mor- college il cui livello nel ranking dipende che, forse troppo spesso, a tale aumento
denti sembrano concordare con l’autore, appunto dalla qualità dell’insegnamento dei fondi non corrisponde un proporziosulle soluzioni proposte dal professore e uno dedicato alla ricerca, costituito da nale aumento dell’efficienza.
bocconiano i due docenti di “Tor Verga- grandi istituti rinomati a livello mondiaIl problema dell’università, in ogni
ta” hanno assunto posizioni radicalmente le per la qualità di coloro che vi operano. caso, è cruciale per le prospettive di svidiverse.
Una soluzione del genere eviterebbe la luppo dell’intero paese. La speranza è che
Gustavo Piga riconosce a Perotti il dispersione dei migliori ricercatori nazio- dal confronto fra opinioni anche molto
grande merito di aver sollevato una que- nali fra numerosi atenei e ne incentivereb- diverse, esemplificato dalle riflessioni dei
stione – quella della crisi del sistema be il lavoro d’équipe; inoltre, il modello professori Mordenti e Piga, possa emergeuniversitario appunto – che appariva più statunitense rappresenta una garanzia re una soluzione condivisibile, concreta e
che evidente agli occhi di tutti, ma di cui per gli studenti sul livello della didattica, applicabile in tempi brevi, prima cioè che
nessuno voleva concretamente farsi cari- poiché ai college è costantemente richie- l’eccellenza italiana, della quale anche in
co. La proposta di Perotti, basata essen- sto uno standard
zialmente sull’introduzione del “libero d’insegnamento
L’università deve essere un
mercato” nelle università (stipendio dei elevato.
ascensore sociale e conciliare
docenti stabilito dai singoli atenei in base
L’ a t t e g g i a fra un’istruzione su ampia scala
a una rigorosa valutazione della compe- mento di Mordentenza in ambito scientifico e di ricerca e ti nei confronti
e una qualità sempre elevata.
non attribuito in funzione dell’anziani- del modello Petà, aumento delle tasse con destinazione rotti è invece molto critico, come si può questo campo siamo giustamente orgogliodelle maggiori risorse a borse di studio, intuire anche dal titolo di un suo libro: si, si riduca a un pallido ricordo.
panorama per i giovani
•
17
La nuova governance
degli atenei
Art. 33 of our Constitution lays down the principle of autonomy within
the law for the universities. In 1989, law n. 168 regulated for the first
time the organisational autonomy of universities. The general discipline
of academic governance is nowadays given by law n. 240/2010, which
compels universities to modify their statutes according to the principles
stated in the law itself. However, some universities seem not to comply
totally with the “spirit” of the new law.
di Carlotta Orlando
Cosa si debba intendere per governance, ad oltre trent’anni dall’importazione
di questo termine nella nostra lingua,
resta tuttora controverso. Certo è che il
concetto di governance si differenzia notevolmente da quello di government che
si incentra sugli assetti istituzionali di
governo, focalizzandosi piuttosto su mo18
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
dalità ed effetti dell’attività di governo,
con un’attenzione particolare al coinvolgimento diretto dei diversi stakeholder.
Citando le parole della sociologa tedesca
Renate Mayntz, che lungo tempo ha dedicato allo studio di questa tematica, “attualmente si ricorre a governance soprattutto per indicare un nuovo stile di go-
verno, distinto dal modello del controllo
gerarchico e caratterizzato da un maggior
grado di cooperazione e dall’interazione
tra lo stato e attori non-statuali all’interno
di reti decisionali miste pubblico-private”. Con preciso riferimento all’università, il prof. Giliberto Capano definisce
la governance come “l’insieme delle
regole e delle pratiche istituzionalizzate
mediante le quali i processi decisionali
vengono formulati e implementati […]
Insomma, il concetto di governance tiene
insieme sia il ‘chi’ governa, sia il ‘come’
si governano le politiche e i processi decisionali pubblici”.
Delimitato il campo, è opportuno esaminare l’evoluzione dei sistemi di governance nell’università italiana, con particolare attenzione a quello previsto dalla Legge n. 240/2010. Evoluzione che a
detta di molti si è manifestata ben più sul
piano formale che su quello sostanziale,
non portando i cambiamenti dirompenti
che venivano auspicati.
Foto: iStockphot/mitza
La
Studiare
salute nel
all’estero
mondo
Quale università?
A sinistra: il Palazzo dei Cavalieri, sede
della Scuola Normale Superiore di Pisa.
Evoluzione della governance
Punto di partenza ineludibile per chiunque
voglia apprestarsi ad analizzare il fenomeno
in oggetto è il comma 6 dell’articolo 33 della
nostra Carta Costituzionale, il quale recita:
“Le istituzioni di alta cultura, università e
accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato”. Viene così posta quella che è
stata definita (D’Atena) una riserva di legge
necessariamente relativa, in base alla quale
cioè si impone alla legge statale (o atto a essa
equiparato) di dettare una disciplina necessariamente di principio, al fine di non sottrarre terreno all’autonomia delle università.
All’interno della congerie di normative
che si sono occupate di università sino ad
oggi, con un’ipertrofia legislativa che lungi
dal semplificare il quadro legislativo lo ha
reso confusionario e aperto alle più varie
interpretazioni, le leggi chiave che hanno
tracciato il quadro di riferimento dell’autonomia universitaria sono la Legge n.
382/1980, la n. 168/1989 e la n. 240/2010.
tuisce il Ministero dell’Università e della
ricerca scientifica e tecnologica, il quale
“dà attuazione all’indirizzo e al coordinamento nei confronti delle università e
degli enti di ricerca, nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33
della Costituzione”. Ciò che però rileva
maggiormente ai nostri fini, considerando
anche che sulla separazione di tale Ministero da quello dell’Istruzione si è più
volte andati avanti e indietro, è la disposizione contenuta nell’art. 6. Il comma 1,
infatti, stabilisce che “le università sono
dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione,
hanno autonomia didattica, scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile; esse
si danno ordinamenti autonomi con propri
statuti e regolamenti”, con riserva al Ministro, sulla base del comma 9, del “controllo di legittimità e di merito” sugli statuti. È evidente la portata dirompente della
norma, in uno scenario dominato dal forte
potere del Ministero della Pubblica istruzione, al quale precedentemente spettava
di controllare e destinare le risorse pubbliche, situandosi al vertice di un sistema
molto accentrato. Ai sensi dell’articolo 16,
gli statuti erano inoltre tenuti a prevedere
l’elettività del rettore, una composizione
del senato accademico rappresentativa
delle facoltà, una composizione del consiglio di amministrazione che assicurasse la
rappresentanza delle diverse componenti.
La prima illustra il modello tradizionale di governance e il suo principale portato innovativo consiste nell’introduzione
dei dipartimenti ex art. 82, definiti come
“organizzazione di uno o più settori di ri- Una riforma necessaria
cerca omogenei per fini o per metodo e dei L’urgenza di una riforma della governance
relativi insegnamenti anche afferenti a più dell’università è stata sostenuta e invocata
facoltà o più corsi di laurea della stessa fa- da più fronti, non solamente poiché la recoltà”. Quanto all’organizzazione, essa si lativa disciplina si rivelava troppo datata,
basa sugli esistenti organi collegiali: con- ma anche a causa del “lento e disconnesso
siglio di amministrazione, senato accade- evolversi della politica autonomistica” (Camico e consigli di facoltà, in aggiunta ai pano). La stessa Crui, in un documento apDipartimenti. Responsabili della gestione provato all’unanimità dall’Assemblea il 25
risultano il rettore, di estrazione elettiva, settembre 2008, affermava che la governane il direttore am“Le istituzioni di alta cultura,
ministrativo, da
questi designato
università e accademie, hanno
(a riprova del ruoil diritto di darsi ordinamenti
lo più pregnante
autonomi...” (Cost., art. 33).
svolto dal primo).
È la Legge n.
168/1989, nota come Legge Ruberti, ad ce degli atenei risultava “vincolata da una
aver introdotto per prima l’autonomia de- normativa superata” e che andava consegli atenei. Più specificamente, l’art. 1 isti- guentemente rivista “in funzione di un coe-
panorama per i giovani
•
19
Quale università?
rente e rinnovato modello istituzionale, […]
prevedendone un assetto che eviti ogni accusa di autoreferenzialità della componente
accademica”. Il primo imperativo era dunque superare l’autoreferenzialità degli organi di governo delle università, caratterizzati da un certo corporativismo che sovente
confliggeva con le finalità istituzionali del
mondo accademico. A questo si aggiungeva
l’obiettivo di perseguire efficienza, qualità
delle prestazioni e dei servizi, insieme a una
quanto mai necessaria semplificazione organizzativa. Vi era l’impellente bisogno di
estendere gli spazi di autodeterminazione
degli atenei, permettendo che se ne concretasse l’autonomia e incentivando però nel
contempo la loro responsabilizzazione.
lità delle informazioni, all’interno di un più
generale processo di riordino della pubblica amministrazione. Gli statuti sono tenuti
a prevedere, tra gli organi di governance,
il rettore, il senato accademico, il consiglio
di amministrazione, il consiglio dei revisori
dei conti, il nucleo di valutazione, il direttore generale. L’intero sistema tende a ruotare
intorno al fulcro rappresentato dal rettore,
eletto tra i professori ordinari in servizio
presso le università italiane per un unico
mandato di sei anni, al quale spettano in
particolare la rappresentanza legale dell’università, le funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, la responsabilità nel
perseguimento delle finalità dell’università
secondo criteri di qualità e nel rispetto dei
La governance universitaria oggi
principi di efficacia, efficienza, trasparenza
È principalmente a queste esigenze che si e promozione del merito, oltre al compito
è prefissa di rispondere la Legge n. 240 di proporre il bilancio di previsione annuale
del 30 dicembre 2010: “Norme in materia e triennale e il conto consuntivo. Il senato
accademico, composto da non più di
L’urgenza di una riforma è stata
trentacinque memsostenuta da più fronti per
bri eletti, tra i quali
superare l’autoreferenzialità degli
figurano il rettore,
una
rappresenorgani di governo universitari.
tanza di studenti
di organizzazione delle università, di per- e una di docenti, è competente a formulasonale accademico e reclutamento, nonché re proposte e pareri obbligatori in materia
delega al Governo per incentivare la quali- di didattica, ricerca e servizi agli studenti,
tà e l’efficienza del sistema universitario” esprimere parere obbligatorio sul bilan(cd. Legge Gelmini). Il principale fine del cio di previsione annuale e triennale e sul
dettato normativo è quello di ricondurre conto consuntivo, approvare i regolamenti
all’interno di confini più rigidi l’autonomia (quello di ateneo e quelli dipartimentali).
concessa agli statuti universitari per mezzo Spettano al consiglio di amministrazione
della legge del 1989. Unica deroga è quel- le funzioni di indirizzo strategico, approla espressa dal comma 2 dell’articolo 1, ai vazione della programmazione finanziasensi del quale “le università che hanno ria annuale e triennale, di vigilanza sulla
conseguito la stabilità e la sostenibilità del sostenibilità finanziaria delle attività, oltre
bilancio, nonché risultati di elevato livello alla competenza a deliberare l’attivazione
nel campo della didattica e della ricerca, o soppressione di corsi e sedi, a conferire
possono sperimentare propri modelli fun- l’incarico di direttore generale e a esercizionali e organizzativi, ivi comprese moda- tare l’azione disciplinare nei confronti di
lità di composizione e costituzione degli or- professori e ricercatori. Esso deve contare
gani di governo e forme sostenibili di orga- al massimo undici componenti, tra i quali
nizzazione della didattica e della ricerca su debbono figurare il rettore, una rappresenbase policentrica, diverse da quelle indicate tanza degli studenti e almeno tre soggetti (o
all’art. 2”. A tracciare la regolamentazione due, se il numero totale dei membri è infedella governance universitaria è appunto riore a undici) che non appartengano a ruoli
l’articolo 2 (Organi e articolazione interna dell’ateneo. Il medesimo articolo richiede
delle università), che prevede l’obbligo per che sia messa in atto dagli statuti stessi una
le Università di modificare i propri statuti semplificazione dell’articolazione interna,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore per mezzo dell’attribuzione al dipartimendella legge e guardando in particolare alle to delle funzioni afferenti allo svolgimento
esigenze di semplificazione, efficienza, ef- di ricerca scientifica, attività didattiche e
ficacia, trasparenza dell’attività, accessibi- formative e con la previsione in capo agli
20
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n. 3, settembre-dicembre 2012
atenei della facoltà di istituire strutture di
raccordo tra più dipartimenti, con funzioni
di coordinamento e razionalizzazione delle
attività didattiche. Il nuovo assetto organizzativo prevede dunque il venir meno delle
facoltà, tradizionale punto di riferimento
della vita accademica, con la concentrazione nei dipartimenti delle responsabilità sia
didattiche sia di ricerca.
In che misura la riforma Gelmini è
veramente riuscita a raggiungere questi
obiettivi? Fino a che punto i nuovi statuti propugnano logiche di semplificazione,
efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle linee guida della legge? A due
anni dalla sua entrata in vigore, un’analisi
anche a campione ridotto degli statuti sembra invitare almeno alla cautela. Per quanto
riguarda in primo luogo la confluenza delle facoltà nei dipartimenti, non si può non
evidenziare come numerosi statuti, in forza
della previsione legislativa che consente la
creazione di strutture di raccordo fra i dipartimenti, abbiano di fatto conservato le
facoltà, magari mutandone la denominazione in scuole e attribuendo ad esse compiti più o meno ampi. In riferimento alla
figura del rettore, al quale viene per legge
attribuita una sfera molto ampia di poteri,
alcuni atenei hanno previsto per lui anche
compiti di vigilanza e in vari casi perfino
un potere deliberativo discrezionale, da
esercitarsi in casi di necessità e urgenza.
Riguardo al senato accademico, taluni statuti gli conferiscono competenze più ampie di quelle enumerate dal testo di legge.
Infine, gli statuti definiscono le competenze del consiglio di amministrazione ponendosi nella generalità dei casi in linea con
quanto disposto a livello legislativo, dando
dunque a quest’organo il rilievo centrale
che la legge gli ha riservato.
L’impressione complessiva, evidentemente da verificare alla prova dei fatti e
in un congruo periodo di tempo, è quella
di una forte resistenza al cambiamento.
Ben pochi sono stati i casi “illuminati” di
vera e propria semplificazione degli statuti, molto più numerosi invece quelli in
cui il dettato normativo è stato piegato ai
fini di legittimare posizioni consolidate
all’interno dell’organigramma universitario, facendo ancora una volta prevalere
l’autoreferenzialità. Insomma, non è certo l’ansia di sperimentare davvero nuovi
modelli funzionali e organizzativi che
sembra aver animato gli atenei nella riscrittura dei loro statuti.
Quale università?
Reclutamento dei docenti
Storia di un pasticciaccio brutto
From Minister Ruberti to Minister Gelmini: many attempts to regulate
academic public competitions and allow the best to be the first past the
post. A challenge which is still largely to be taken up.
Foto: Esa/tupungato
di Gabriele Rosana
Fra gli ambiti in cui il cambiamento davvero invocato si risolve in un flusso di
slogan o di principi rattoppati qua e là,
il mondo dell’istruzione, dell’università
e della ricerca, nonostante le buone premesse e i talentuosi inquilini che di tanto
in tanto mettono piede nel dicastero di
viale Trastevere, è a suo modo paradigmatico di riforme che, quando avviate,
prendono una direzione opposta a quella
dei propositi che ne sono a monte. E, con
gattopardesca logica, anche nel vellutato
(?) e altero universo dell’accademia di
casa nostra, tutto cambia perché tutto resti com’è. A farne le spese, manco a dirlo,
non solo gli utenti ma anzitutto gli operatori, costretti a muoversi in un vero e proprio campo minato in cui spadroneggiano
i soliti noti, con buona pace, spesso, dei
capaci e meritevoli, quello stesso binomio
santificato dalla nostra Costituzione.
La storia del reclutamento dei docenti
universitari è la storia di un percorso accidentato. La legge Gelmini è solo l’ultimo
veicolo, in ordine di tempo, delle picconate assestate al sistema universitario e
al contempo l’archetipo di quelle riforme
dimezzate che tradiscono le premesse. Il
testo di legge (come completato da una
serie di provvedimenti integrativi o ese-
cutivi, dai decreti ministeriali attuativi ai
regolamenti dei singoli atenei) era destinato a operare su un apparato, quale quello venuto fuori dagli interventi normativi
che si sono susseguiti negli anni – cominciando dal Dpr 382/1980, responsabile
dell’Università Antonio Ruberti –, che è
sempre rimasto piuttosto magmatico: in
principio fu il concorso su base nazionale
indetto ad anni alterni (secondo il dettato normativo; ogni 4-6 anni nella prassi)
per professori di prima e seconda fascia,
previsto proprio dal decreto presidenziale
in parola, che si connotava per una certa
rigidità verso la sede di destinazione. Poi,
con l’avvento dell’autonomia degli atenei,
ecco le modifiche apportate dalla Legge
210/1998, che ha rimandato la procedura
selettiva alle singole sedi, sulla base di terne localmente individuate (al governo era
Luigi Berlinguer); su questa scia, anche
la L. 230/2005 (ministro Letizia Moratti),
rimasta per molte parti inattuata. Delegando ai territori la determinazione del punto
d’incontro ottimale fra l’offerta di docenti e la domanda di docenza, si è ricreata
nell’ecosistema universitario una situa-
panorama per i giovani
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21
Foto: Nasa; Nasa; iStockphoto/TerryHealy
Quale università?
zione assimilabile, per dirla con Vincenzo Vespri, ordinario di Analisi matematica a Firenze (Autonomia e valutazione,
www.roars.it, 1/11/2012), all’imperfetta
e sbilanciata autonomia riconosciuta alle
Regioni all’alba del nuovo millennio (al
grido di un federalismo fiscale viziato già
nell’etichetta): “Le università ricevevano
dallo Stato, a babbo morto, soldi che erano
libere di spendere in modo autonomo e sostanzialmente senza controllo. I concorsi
divennero locali e frammentati. Abbiamo
avuto molti casi di concorrenti bravissimi che non sono mai riusciti vincitori pur
partecipando a moltissimi concorsi di fila.
Viceversa, in molti casi vinsero mogli,
amanti, figli e portaborse di baroni locali”. In questo schema, il concorso, variamente modulato nel perimetro, è il perno
del reclutamento: i risultati, però, sono
notevolmente variabili in funzione di chi
siede dall’altra parte del tavolo. E allora,
per lungo tempo e ancora oggi, il metodo
di formazione della commissione esaminatrice che individua i prescelti, insieme
con le regole cui sottostare per ricusare un
commissario, rientra a pieno titolo tra gli
aspetti salienti della disciplina.
Torniamo alle tappe. Negli anni Ottanta la commissione investita della scelta
veniva formata secondo un metodo misto
di elezione e sorteggio, variabile a seconda che si trattasse di un concorso di prima
o seconda fascia. E le diversità di vedute,
in tema, non mancano: per alcuni, un modello in cui la parte del leone è svolta dalla
designazione elettorale rende facilmente
prevedibile la formazione di cordate che
non terranno poi troppo conto del valore
scientifico dei candidati; per altri, invece, è proprio il meccanismo elettivo che
garantisce serietà e l’instaurazione di un
rapporto fiduciario. Con il sistema successivamente introdotto dei concorsi locali, la
commissione esterna alla facoltà (se non
per un membro interno) selezionava anche un altro idoneo (due, nei primi anni
di vigenza), che poteva essere chiamato
da altre università, fungendo così da traino
per favorire la scelta operata da atenei che
difficilmente avrebbero bandito un posto e
finendo da ultimo per mettere all’ingrasso
settori già ben forniti di docenti oppure per
destinarne a settori marginali, con poderosi rigonfiamenti dell’organico.
La legge Gelmini, anziché ovviare a
questa difficoltà insistendo sulla soluzione
alla quale si era infine approdati (un ido22
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
A destra: il cortile dell’Università di Pavia.
Nella pagina precedente: un portico alla
Statale di Milano.
neo per ogni posto effettivamente disponibile), ha introdotto un doppio livello. Il
primo è quello della nuova “abilitazione
scientifica nazionale”, di durata quadriennale e di obbligatoria indizione annuale, che “incorona”, senza limiti numerici
eventualmente correlati al fabbisogno,
tutti coloro che una commissione appunto
nazionale avrà giudicato meritevoli. Non
è previsto, cioè, un tetto alle abilitazioni,
un numero chiuso che irrobustisca le legittime aspettative degli idonei. Stabilisce il
Dpr 222/2011, recante il regolamento per
il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale a norma della L. 240/2010,
all’art. 6, che la commissione nazionale
di ciò incaricata è composta, per ciascun
settore concorsuale, di cinque membri,
quattro dei quali individuati tramite sorteggio all’interno della lista formata a
esito del subprocedimento di selezione (il
quinto invece va sorteggiato, nell’ambito
di rose di almeno quattro nomi, tra studiosi o esperti di un paese dell’Ocse di pari
livello rispetto ai candidati nazionali). Gli
aspiranti commissari devono rispettare
inoltre i criteri e i parametri di qualificazione scientifica che sono richiesti ai candidati professori di prima fascia. A mente
del successivo art. 8, le commissioni sono
tenute a concludere i propri lavori entro
cinque mesi dalla pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale, termine prorogabile di soli sessanta giorni ad opera del
direttore generale: nel caso in cui anche
quest’ultimo segmento temporale dovesse
inutilmente decorrere, scatta la procedura
di sostituzione della commissione e alla
nuova viene assegnata una scadenza non
superiore a tre mesi per la conclusione dei
lavori. Anche il fattore tempo – e ciò pare
fin troppo evidente – è chiamato a influenzare il meccanismo di abilitazione nazionale; le disposizioni di cui si è dato conto
più che sulla ragionevole durata sembrano
incidere nel senso di una sbrigativa soluzione non solo delle singole valutazioni,
ma dell’intera procedura: ogni commissario, infatti, potrebbe dover leggere e giudicare nell’arco temporale suddetto finanche
centinaia di volumi e migliaia di articoli.
Ma ecco adesso affiorare un altro punctum
pruriens della disciplina vigente, che riguarda la pretesa oggettività dei parametri
per valutare gli aspiranti professori (e, in
virtù del richiamo di cui si dava conto in
precedenza, anche i candidati commissari
nazionali). Il Decreto ministeriale 76/2012
del Miur (che in via regolamentare detta
la disciplina normativa circa i criteri e i
parametri per la valutazione dei candidati
in parola), ha affidato all’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
universitario e della ricerca, il compito di
calcolare le mediane degli indicatori precisati dalla stessa fonte secondaria e da
applicarsi nel saggiare l’idoneità dei candidati professori. Lo stesso Dm, all’art.
1 lett. p), definisce la mediana come “il
valore di un indicatore o altra modalità
prescelta per ordinare una lista di soggetti
che divide la lista medesima in due parti
uguali”. Pertanto, per superare l’asticellalimite costituita dalla mediana, occorrerà
avere un coefficiente numerico maggiore
del valore della mediana stessa. Per i settori concorsuali non bibliometrici – ossia
quelli delle scienze umane, come può ricavarsi dalla lettura dell’art. 1 dell’allegato B al dm 76/2012 –, il requisito del
superamento del valore assunto come mediana dovrà essere soddisfatto in almeno
uno dei tre indicatori considerati. Questi
si riferiscono a una serie di prodotti compresi nell’arco temporale 2002-2012: le
monografie (obbligatoriamente dotate di
Isbn, il codice di riferimento internazionale del libro), il numero di articoli e capitoli
Quale università?
di libro (anche questi provvisti di Isbn) e
il numero di articoli pubblicati su riviste
di fascia A (per i settori bibliometrici gli
indicatori riguardano invece il numero di
articoli pubblicati su riviste presenti nelle
banche dati internazionali, il numero di
citazioni ricevute dalla produzione scientifica complessiva e il cosiddetto H-index,
che quantifica prolificità e impatto del lavoro degli scienziati, sulla base delle loro
pubblicazioni e del numero di citazioni
ricevute). Ma il pasticciaccio brutto del
rimodernamento dell’università italiana
si è infiltrato anche nei gangli di funzionamento tecnico del meccanismo nascente dalla riforma Gelmini: in mancanza di
un’anagrafe delle pubblicazioni scientifiche prodotte dai professori di prima e seconda fascia e dai ricercatori (pur istituita
dalla L. 1/2009), l’Anvur si è così trovata
costretta a operare esclusivamente sulla
base delle informazioni volontariamente
fornite dai docenti. E così, nel calderone
delle riviste di fascia A aventi, nella formulazione dell’idoneità all’abilitazione, il
peso specifico di cui si dava conto, sono
finite anche “Suinicoltura”, l’“Annuario
del liceo di Rovereto” e “Comune notizie”
di Livorno, come denunciato da Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” (Vuoi
diventare professore? Scrivi su Suinicoltura, 17/10/2012), in un vivace articolo che,
accanto alla carrellata tragicomica di titoli
improbabili, ha però omesso di assolvere
l’operato di un’Anvur con le mani legate
e di puntare piuttosto l’indice sugli abusi
perpetrati a mezza bocca da esponenti della classe docente.
Allontanandosi dalle tormentate acque del piano nazionale, è bene puntare i
riflettori sul secondo livello della procedura mista, successivo al conseguimento
dell’abilitazione: quello dei “concorsi”
locali. Sono in molti a temere che nulla,
sostanzialmente, cambierà. La mancanza del tetto (aggravato dall’eterogeneità
degli indicatori soprattutto relativamente
alla terza mediana) trasformerà le abilitazioni in una sorta di pozzo senza fondo, al
quale le università potranno poi attingere
perpetuando l’antico malcostume del localismo. Con il risultato che il conflitto che si
voleva cacciare dalla porta rientrerà dalla
finestra e si allargheranno, anziché restringersi, le aree di un precariato con poche o
nessuna speranza di stabilizzazione e progressione di carriera. Come conferma la
relazione di accompagnamento alla legge,
in cui si afferma che “al fine di evitare un
precariato stabile e di consentire esclusivamente ai meritevoli di proseguire l’attività
di ricerca, viene posto un limite alla durata
complessiva dei rapporti instaurati con i titolari di assegni di ricerca e dei contratti di
ricercatore a tempo determinato”. Che costi (sociali) avrà reinserire nel mercato del
lavoro soggetti nel frattempo anche avanti
con gli anni? Più che una vittoria sul “precariato stabile” sembrerebbe un voler nascondere la polvere sotto il tappeto, decapitando il problema senza troppi riguardi.
Incassata l’abilitazione, gli aspiranti
docenti saranno poi chiamati dalle singole
università, che “con proprio regolamento
(...) disciplinano, nel rispetto del codice
etico, la chiamata dei professori di prima
e di seconda fascia”. Ai procedimenti per
la chiamata, con statuizione che si ritrova
in fotocopia nei regolamenti d’ateneo (o,
per esser precisi, in quelli ad oggi reperibili, con buona pace della trasparenza
online), “non possono partecipare coloro
che abbiano un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado compreso con
un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata
ovvero con il rettore, il dg o un componente il cda”. La buona fede del legislatore, spesso presunta, non venga troppo
osannata: il riferimento al dipartimento
è chiaramente limitante e casi di cronaca
piuttosto noti indicano come il malcostu-
me trasversalmente imperante negli atenei possa facilmente consentire di depotenziare una norma così formulata.
Sfogliando i regolamenti delle università che disciplinano la procedura di
chiamata dei professori, scaricabili dal
sito della Conferenza dei rettori delle università italiane (www.crui.it) – e sono pochi, molto pochi –, si trovano indicazioni
molto diverse. L’art. 5 del regolamento
dell’università di Catania, per esempio,
stabilisce che vengono nominati con decreto del rettore cinque ordinari, di cui
almeno quattro appartenenti ad altri atenei, inquadrati nel settore concorsuale
cui il bando si riferisce, anche stranieri,
che devono concludere la procedura entro sei mesi, salvo quattro mesi di proroga per comprovata necessità; pressoché
analogamente statuisce l’art. 6 del regolamento dell’ateneo del Sannio, per cui la
commissione è composta da tre ordinari,
di cui almeno uno proveniente dall’esterno, in possesso – si stabilisce con dizione
piuttosto labile soggetta alle interpretazioni più estensive – di adeguato curriculum scientifico e didattico. Sul fronte
delle università non statali, si discosta
parzialmente da questo assetto l’art. 8 del
regolamento della Cattolica di Milano, in
cui si rafforza l’influenza interna sulla selezione dei commissari, cinque, che solo
eventualmente possono provenire da altri
atenei e almeno tre dei quali devono essere inquadrati nel settore concorsuale cui il
bando si riferisce (con la possibilità, dunque, che due saggi siano piuttosto o del
tutto estranei all’oggetto del contendere).
Il viaggio fra le pieghe e le piaghe
del reclutamento non ha certo ambizioni
d’esaustività, ma, cogliendo l’ispirazione
del Gattopardo, si sibila a mezza bocca un
nuovo avvitamento carpiato da far invidia
ai Cagnotto: e se, posto un tetto alle abilitazioni che riconduca il fenomeno alla
fisiologia, si ritornasse al buon vecchio
concorsone nazionale, con buona pace
per l’autonomia imperfetta e avvezza agli
abusi? E se, inoltre, volendo individuare
una disciplina della chiamata che inibisca
la cooptazione e lo spirito corporativo degli accordi baronali, si ricorresse a un’estrazione a sorte degli idonei, sulla scia
di grecizzanti suggestioni che corrono indietro nel tempo per abbeverarsi alla Costituzione di Clistene, la quale prevedeva
espressamente il sorteggio per designare
magistrati e buleuti?
panorama per i giovani
•
23
Quale università?
Insegnare a Parigi
We asked Professor Giuseppe Leo, alumnus of our Lamaro Pozzani
College, professor of Physics at the University of Paris-Diderot, and
member of the Board of the Laboratoire Matériaux et Phénomènes
Quantiques, to talk about academic life in France, on the basis of his
experience. We mainly focused on career possibilities, excellence pursuit,
and private satisfaction.
a cura di Eugenio Galli e Vito Andrea Dell’Anna
Innanzitutto, la Francia dedica alla ricerca scientifica un po’ più del 2 % del Pil:
non un record mondiale, ma comunque il
doppio rispetto all’Italia. Questa differenza
non dipende solo dalla strutturale situazione del nostro debito pubblico, ma anche dal
fatto che in Francia la cultura scientifica è
molto più radicata e rispettata. Due premi
Nobel sono stati assegnati negli ultimi sette anni a due esponenti della fisica parigina
e un premio Nobel americano lavora da
qualche anno nel mio dipartimento. Inoltre
qui i ricercatori godono di un sostegno più
efficace nella preparazione e nella gestione
di progetti nazionali ed europei. Le unità
miste Cnrs-Università aiutano i gruppi di
ricerca a raggiungere la necessaria massa
critica, contrastando la situazione velleitaria dello one man – one subject.
La sua esperienza in Francia è iniziata
con un dottorato. Quali considerazioni
l’hanno spinta a questa scelta?
Quando ho deciso di partire per un dottorato in Francia ero già ricercatore universitario a Roma Tre, nel Dipartimento
di Ingegneria elettronica. L’ho fatto come
exit strategy da un ambiente che mi era
divenuto insopportabile e che rischiava
di soffocare la mia passione per questo
lavoro. Come mi è capitato di vedere anche altrove in Italia, quel dipartimento era
caratterizzato da una grande litigiosità,
24
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
da una struttura che non dava spazio ai
giovani più meritevoli, da criteri di appartenenza tribale negli avanzamenti di
carriera, dalla scarsa considerazione per
i risultati scientifici, da pratiche baronali
anche da parte dei professori migliori.
La Francia sembra avere un sistema
universitario non solo in grado di attrarre ricercatori eccellenti, ma anche
di farli rimanere. Quali sono, a suo parere, gli aspetti decisivi in tal senso, anche rispetto al suo incarico accademico
alla Paris-Diderot?
Dopo il dottorato e qualche anno di postdoc (nei quali è incoraggiata, ben considerata e remunerata un’esperienza d’insegnamento), occorre prendere la qualification
per il concorso di Maître de Conférences
(l’equivalente del ricercatore universitario). I profili scientifici si definiscono collegialmente, prima di pubblicare i bandi,
sulla base delle esigenze di ricerca e d’insegnamento del dipartimento. Per quanto
riguarda i concorsi, quel che posso dire è
che in quasi dieci anni qui a Parigi, in cui
sono stato spesso membro di commissioni
di concorso, non ho visto neanche un caso
di non valorizzazione del merito.
Foto: iStockphoto (piuss99; Selitbul; jethic)
Qual è l’iter da seguire per diventare
professore universitario in Francia?
Quanto, e soprattutto come, è valorizzato il merito?
Quale università?
Qual è il carico didattico di un professore universitario e quali sono le fasce
di retribuzione?
Le ore d’insegnamento, pesate con coefficienti diversi per le lezioni (1,5) e le
esercitazioni (1), sono 192. Il salario di
un Maître de Conférences è di circa 1.800
euro mensili netti all’inizio e di 2.800 dopo
dieci anni (12 mensilità, con ancora un po’
di tasse da pagare a fine anno). Poi ci sono
i professori di seconda fascia (equivalenti
ai nostri associati) e di prima fascia (equivalenti ai nostri ordinari). Questi ultimi,
a fine carriera, possono raggiungere uno
stipendio di circa 4.500 euro. Alcuni professori di prima fascia possono accedere al
grado di professori di classe eccezionale,
che guadagnano ancora un po’ di più. Tutti quanti possono concorrere a une prime
d’excellence scientifique rinnovabile ogni
tre anni, che ammonta a circa 400 euro al
mese. È un po’ meglio che in Italia, ma
non si va in Francia per svoltare dal punto
di vista dello stipendio.
Quali misure sono adottate per garantire la qualità della didattica? Com’è
organizzato il sistema della valutazione
della performance accademica dei docenti?
Nel mio dipartimento la misura principale
è costituita da una rotazione obbligatoria
degli insegnamenti dopo un massimo di
quattro anni. Passati i quali, anche l’ultimo
arrivato dei giovani Maîtres de Conférences scalza senza problemi il professore più
anziano. Ogni anno, prima dell’estate, si
tiene una sorta di fiera degli insegnamen-
ti in cui, in un quadro di regole chiare e
con un bel buffet finale, ognuno sceglie
cosa insegnare l’anno successivo. Ogni
insegnamento prevede un’équipe (lezioni,
esercitazioni, laboratorio) coordinata da
un docente che si fa carico del suo buon
funzionamento. Nell’école d’ingénieurs,
tutti quanti sono oggetto di una valutazione anonima da parte degli studenti.
In che modo l’esperienza del Collegio è
stata – se è stata tale – un plus nel raggiungimento dei suoi traguardi?
È stata una delle esperienze più formative
della mia vita: mi ha fornito da subito uno
standard elevato, lo stimolo della borsa annuale rinnovabile, l’opportunità di studiare
in un ambiente multidisciplinare. Su un
piano pratico, vista la piega che avrebbe poi
preso la mia vita professionale, il Collegio
mi è stato utile per imparare un po’ di francese e ottenere da Philips Italia una borsa di
tesi di laurea al Nat Lab Philips a Eindhoven (dove ho capito che da grande volevo
fare il ricercatore e girare in bicicletta).
Intravede la possibilità o spera in un
futuro di tornare a insegnare in Italia?
Che cosa riporterebbe con sé “in valigia” di quanto vissuto in Francia?
Per il momento non ci penso neppure: qui
sto bene, mia moglie (olandese) ha un suo
lavoro, i nostri bambini di cinque e nove
anni stanno crescendo nel sistema francese. E poi sono per gli Stati Uniti d’Europa,
con nazionalità che si stemperino al ran-
Dalla pagina precedente: il Collège de
France, una veduta di Parigi e la sede
storica della Sorbona.
go di appartenenze regionali. Certo che
un giorno mi piacerebbe tornare in Italia!
Però, non sono sicuro che mi troverei bene.
Qui ho avuto la fortuna di crescere velocemente, con esperienze che alla mia età mi
sarebbe stato impossibile accumulare nel
mio vecchio contesto lavorativo a Roma:
dirigere un gruppo di ricerca senza dover
scodinzolare per trent’anni, fondare due
lauree brevi, fondare e dirigere un’école
d’ingénieurs, contribuire al futuro del mio
ateneo senza sudditanze politiche o generazionali. Roba da matti, se ci penso con la
parte italiana del mio cervello…
BIO
Giuseppe Leo ha conseguito la
laurea in Ingegneria elettronica
presso La Sapienza e il dottorato
in Fisica all’università Paris
XI di Orsay. Ricercatore della
Sapienza (1992) e di Roma Tre,
è stato nominato professore
associato in Elettronica presso
quest’ultima.
Dal 2004 ricopre l’incarico di
professore ordinario in Fisica
presso l’Université Paris Diderot,
nella quale ha fondato (2010)
l’Ecole d’Ingénieurs Denis
Diderot di cui è tuttora preside. È
autore di oltre 180 articoli, nonché
revisore di varie riviste scientifiche
e coordinatore di alcuni progetti
internazionali di ricerca.
panorama per i giovani
•
25
Tecnocrazia
Quanto guadagnano, e quanto
insegnano, i professori universitari
Even though it is easy to quantify salaries and economic benefits
enjoyed by Italian researchers, associate and full professors, a
comparison with foreign countries’ remuneration systems is not at all
easy. Moreover, a correct assessment of the criteria for advancement
and pay increase bear no relation to the evaluation of teaching activities.
Thus, high wages do not necessarily mean a well-functioning university
as there is no supervision on teachers’ work.
Foto: iStockphot/davidf
di Giuseppe Grazioso ed Elena Martini
All’interno di una visione complessiva di
struttura e funzionamento, di vizi e virtù
del sistema universitario italiano, particolare rilevanza riveste un approfondimento
critico sul trattamento economico dei professori. Ci sembra corretto svolgere questo approfondimento partendo dal dato
26
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
finanziario e normativo, ma sempre alla
luce di un rapporto virtuoso, di giustizia
commutativa fra retribuzione e didattica.
La retribuzione dei docenti universitari è ormai da numerosi mesi al centro di
un acceso dibattito accademico e giornalistico a livello nazionale. In realtà, l’anali-
si dei dati disponibili per quanto riguarda
il sistema universitario italiano si rivela
estremamente lineare e consente di far
emergere un quadro completo. Ciò grazie
al regime tabellare del sistema retributivo
di ricercatori, professori associati e ordinari. Più ostica risulta invece, come si
vedrà, la comparazione tra gli stipendi dei
professori italiani e quelli degli stranieri.
In Italia, gli stipendi dei docenti universitari sono stabiliti da alcune tabelle ministeriali che lasciano poco spazio
all’interpretazione. Allo stipendio netto
che si rinviene da tali fonti va solamente
aggiunto qualche piccolo aggiustamento
positivo generato da incarichi addizionali svolti all’interno dell’ateneo (solo per
i professori a tempo pieno) o da consulenze esterne e partecipazioni a congressi.
Si tratta tuttavia di variazioni di importo
trascurabile rispetto al salario base riportato nei decreti ministeriali, con l’unica
Quale università?
produttiva attività di ricerca non trova dalla voglia di dedicarsi alla materia che
così nessun tipo di remunerazione aggiun- più lo appassiona. I ricercatori più anziativa, se non nel caso, residuale, dei fondi ni possono sperare di ottenere una retrieuropei. Nemmeno lo svolgimento di una buzione decisamente maggiore (fino a un
didattica quantitativamente e qualitativa- massimo di 3.000 euro). Tali speranze rimente adeguata
viene riconosciuLa rigidità del sistema retributivo
to in busta paga,
con le evidenti
dei docenti universitari
conseguenze che
garantisce relativa trasparenza
verranno sottolisugli stipendi.
neate in seguito.
La lettura delle tabelle ministeriali consente di capire sultano tuttavia vanificate a seguito delle
subito quanto guadagnano i docenti, di- recenti disposizioni ministeriali che hanstinguendo per ogni categoria un salario no bloccato l’avanzamento del numero di
massimo e uno minimo.
scatti di anzianità ai quali il personale doIl primo stipendio di un ricercatore cente e di ricerca aveva diritto. Per quanto
italiano supera di poco i 1.000 euro netti; riguarda gli associati lo stipendio minimo
una magra soddisfazione economica per si aggira intorno ai 2.200 euro, mentre al
chi decide di proseguire gli studi animato termine della carriera si può ambire a un
Costo del personale accademico negli atenei statali italiani - 2011
(in migliaia di euro)
Qualifica professori
in servizio
al 31/12/11
tot assegni
fissi
costo
medio
Prof. ordinario a t.p.
12.505
1.207.725,11
90,97
Prof. ordinario a t.d.
833
49.777,76
56,06
Prof. straordinario a t.p.
823
44.695,32
61,56
Prof. straordinario a t.d.
68
2.647,21
38,93
13.230
862.849,15
62,98
Prof. associato conf. a t.p.
Prof. associato conf. a t.d.
eccezione di determinati extra in ambito
medico. Utilizzeremo quindi i valori disponibili on-line nella banca dati “Dalia”,
gestita direttamente dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca.
Le somme riportate sono composte da
due differenti voci: il salario base generato da assegni fissi e le indennità accessorie cui si è appena accennato (supplenze,
indennità, incarichi, etc.). Una tale rigidità nel sistema retributivo garantisce relativa trasparenza sugli stipendi: il contribuente può essere ragionevolmente certo
che lo stipendio del professore che vanta
amicizie e appoggi in alto non sarà troppo
diverso rispetto a quello del suo pari che
di tali contatti sia completamente privo.
La stessa rigidità produce d’altro canto
una certa rilassatezza nei docenti, che –
godendo di una retribuzione determinata
a priori – non percepiscono un rapporto
tra compenso ricevuto e prestazione. Una
797
31.963,82
39,66
Prof. associato non conf. a t.p.
1.514
64.250,01
44,77
Prof. associato non conf. a t.d.
86
2.622,23
32,37
29.856
2.226.530,60
75,92
in servizio
al 31/12/11
tot assegni
fissi
costo
medio
TOTALE PROFESSORI
Qualifica professori
Ricercatore conf. a t.p.
17.309
774.295,60
43,95
Ricercatore conf. a t.d.
1.021
32.102,86
31,47
Ricercatore non conf. dopo 1 anno
3.010
102.460,46
30,45
Ricercatore non conf.
1.768
38.820,19
24,95
Assistente a t.p.*
84
7.518,44
50,46
Assistente a t.d.*
26
1.373,11
31,21
23.218
956.570,67
41,2
in servizio
al 31/12/11
tot assegni
fissi
costo
medio
53.074
3.223.101,27
60,73
TOTALE RICERCATORI
Totale generale
PROFESSORI E RICERCATORI
Legenda: conf. = confermato, t.p. = tempo pieno, t.d. = tempo determinato.
* Ruolo ad esaurimento
Fonte: Analisi banca dati economica per il Miur (delia.cineca.it)
panorama per i giovani
•
27
La
Quale
salute
università?
nel mondo
salario di 3.500 euro. La forbice di retribuzione è molto più ampia per i professori ordinari: lo stipendio di ingresso è
di circa 2.900 euro, che potrebbero salire
a un netto di quasi 5.500 euro dopo tre
decenni di servizio nel ruolo. Da notare
però che risulta assai difficile trovare un
docente italiano con alle spalle una carriera di 30 anni da ordinario, in quanto la
nomina al più alto grado di insegnamento
di rado viene conseguita al di sotto dei 45
anni. Più in generale, ponendo attenzione
all’età, è facile osservare che la classe docente degli atenei italiani è relativamente
anziana. Come evidenzia l’undicesimo
Rapporto sullo stato del sistema universitario, l’età media è di 59, 53 e 46 anni
rispettivamente per ordinari, associati e
ricercatori; la media per tutti i docenti è
di 51,6 anni. Considerando che la soglia
di pensionamento è 70 anni e che l’età
media di promozione a ordinario nell’ultimo decennio è stata di circa 52 anni risulta impossibile raggiungere lo stipendio
massimo. In ogni caso, come già detto,
gli scatti per anzianità di ruolo sono attualmente (e fino al 2014) bloccati e ne
consegue che per adesso nessun docente
avrà un aumento in busta paga se non per
promozione. Questa è una delle due motivazioni per le quali gli stipendi tabellari
sono da interpretare al ribasso. La seconda motivazione è collegata alla mancata
considerazione da parte ministeriale delle addizionali Irpef (in quanto variabili
a seconda della regione o del comune di
appartenenza).
Per acquisire significato, i dati sugli
stipendi di nostri professori devono es-
allora un paragone tra gli stipendi dei piuttosto basso per essere vicini al verprofessori universitari italiani e quelli dei tice dell’alta formazione. Gli assistant
professor, gli associate professor e i full
loro colleghi stranieri.
Secondo la discussa ricerca di P.J. Alt- professor di tali università guadagnano
bach et al. (Routledge 2012), gli stipendi rispettivamente 40.000, 50.000 e 80.000
dei docenti italiani sono in media i più alti euro netti l’anno: decisamente di più dei
dopo quelli delle università canadesi e su- colleghi italiani. D’altro canto, in termini
dafricane. Nonostante l’interminabile eco di tempo la loro presenza è (sulla carta)
dei giornali del
Belpaese che si
La forbice di retribuzione è molto
sono prontamente
ampia per i professori ordinari,
scagliati contro
grazie agli scatti di anzianità,
il baronato degli atenei, questa
che però ora sono bloccati.
conclusione resta
dubbia e suscita in molti perplessità me- meno richiesta che per i nostri docenti. È
todologiche. In primo luogo, è necessario d’obbligo ricordare anche che la retriburicondurre tutti gli stipendi medi al loro zione offerta dagli atenei completamente
potere d’acquisto e non operare esclusiva- privati può essere enormemente supemente la conversione in una sola valuta. riore. Le grandi università di Harvard o
In secondo luogo, bisognerebbe doman- Yale arrivano a pagare cifre da capogiro
darsi quali siano gli stipendi da prende- ai loro docenti. La disparità di trattamenre in considerazione: quelli netti o quelli to tra una sponda e l’altra dell’Atlantico
lordi? Probabilmente lo stipendio lordo di può essere giustificata dal fatto che per
un docente statunitense sarà più basso di diventare docente universitario è necesquello di uno svedese, ma lo stesso non sario dimostrare altissime competenze e
varrà per il netto. Ancora, come calcola- capacità che spesso sono sottostimate dal
re le anzianità dei nostri docenti rispetto sistema Italia. Dunque i nostri professori
a quelle degli stranieri? E poi, come si sono pagati poco? Per rispondere a questa
possono paragonare le nostre tre catego- domanda bisogna interrogarsi sulla qualirie di docenti a quelle di altre nazioni che tà della didattica e della ricerca italiana e
prevedono anche dodici qualifiche diver- soprattutto se queste valgano i soldi pubse? Come si vede, la questione è parti- blici spesi per gli stipendi dei professori.
Si rende necessaria un’analisi dell’imcolarmente complessa e il ragionare per
approssimazioni successive può generare pegno e del tempo che i professori stessi dedicano allo svolgimento effettivo
risultati inaffidabili.
Possiamo però azzardare una com- dell’insegnamento, parte essenziale e caparazione tra la retribuzione prevista dal ratterizzante del loro lavoro.
La Legge 311 del 1985 prevede in gesistema universitario italiano e quello
statunitense, vero nerale “l’obbligo di dedicare al proprio
e proprio bench- insegnamento […] tante ore settimanali
Secondo P.J. Altbach gli stipendi
mark nel campo quante la natura e la estensione dell’indei professori italiani sono in
della
didattica segnamento richiedono e […] impartire
media fra i più alti; ma è stato
e della ricerca. le lezioni settimanali in non meno di tre
Mettere a con- giorni distinti”. Una quantificazione più
considerato il valore lordo.
fronto tali sistemi precisa è contenuta nell’art. 10 del Dpr
sere comparati con quelli relativi ai loro può tuttavia risultare arduo, in quanto 382 del 1980, che stabilisce un monte ore
colleghi in altri paesi. Un quadro ragio- occorre tener presente le loro diversità complessivo annuo di almeno 250 ore. I
nevole relativo alla situazione economica intrinseche: mentre le università italiane professori a tempo pieno sono inoltre tedel corpo docente italiano e all’impegno sono per la quasi totalità pubbliche, quelle nuti a garantire la loro presenza per non
e alla professionalità nell’insegnamento a americane beneficiano, in tutto o in parte, meno di altre 100 ore, per un totale di 350
essa connessi emerge da una copiosa let- di fondi privati. Università che utilizzano ore annue. Ancora più specifica la Legge
teratura, sintetizzabile nella domanda: “I parzialmente i fondi pubblici annoverano 230 del 2005 che, dopo avere chiarito che
professori universitari guadagnano poco nelle loro fila docenti che possono gua- il trattamento economico dei professori
o molto?”. L’economista Roberto Perotti, dagnare cifre ragionevolmente diverse. I universitari è correlato all’espletamento
nel suo libro Università truccata (Einaudi professori non-tenure track (una sorta di delle attività scientifiche e all’impegno
2008), contesta decisamente la tesi che i docenti precari) guadagnano dagli 8.000 per altre attività, fissa le ore di didattica
professori guadagnino poco. Si impone ai 20.000 euro netti l’anno: uno stipendio frontale in 120 l’anno. Al contempo, la
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n. 3, settembre-dicembre 2012
Quale università?
Foto: iStockphot/skynesher
legge prevede una serie di parametri in
base ai quali tale monte ore può essere
modificato sulla base dell’organizzazione didattica e della specificità dei settori
disciplinari (con il risultato che la precisione della soglia minima è in molti casi
rimasta sulla carta).
La correlazione tra svolgimento delle
attività cui sono preposti e retribuzione
dei docenti universitari è stata ripresa dalla recente Legge 240 del 2010 (c.d. riforma Gelmini). Secondo le sue disposizioni, infatti, i docenti dovranno presentare
ogni tre anni una relazione sull’attività
didattica, di ricerca e gestionale svolta.
Alla positività di tale bilancio sarà condizionata la possibilità per i docenti stessi di
guadagnare uno scatto di anzianità, il cui
importo sarà in caso contrario congelato
per un anno e infine devoluto al fondo di
ateneo per premiare colleghi più meritevoli. La norma si propone di correggere
il legame univoco fra trattamento economico e anzianità finora vigente e ci riesce
in parte.
Anche assumendo un’adeguata ricaduta del “merito” dei professori sulla loro
retribuzione, la questione cruciale rimane
tuttavia la misurazione del merito stesso.
Veniamo qui alla controversa questione
della valutazione del valore della ricerca e, quel che interessa in questa sede,
dell’attività didattica. Come è stato più
volte denunciato nei mesi scorsi, quello della valutazione di quantità e qualità
della didattica è un problema che è rimasto non solo insoluto, ma anche sostanzialmente eluso, nell’ambito accademico
italiano. Non esistono infatti meccanismi
fatti l’unico strumento di controllo sulle
presenze è costituito dai questionari di
valutazione che vengono somministrati
agli studenti al termine di ogni corso. Si
tratta di un metodo che lascia spazio alla
più ampia discrezionalità, prevedendo addirittura che i professori titolari possano
tenere le lezioni solo saltuariamente o
quasi mai. La difficile misurabilità della
qualità della didattica continua così ad
aprire varchi di legittimità per l’elusione
della misurazione anche della sua quantità. Tutto ciò rende estremamente difficile,
se non impossibile, una valutazione oggettiva dell’impegno profuso dai docenti
nell’insegnamento e quindi una concreta
parametrazione dei loro stipendi allo stesso. Come conseguenza, la professionalità
nello svolgimento
di un’attività diLo svolgimento dell’attività
dattica quantitatididattica è rimesso alla
vamente e qualicoscienza dei professori, in
tativamente ademancanza di adeguati controlli.
guata è rimessa
alla coscienza di
sicuri e standardizzati di rilevazione del- ogni singolo professore, in assenza di effile presenze dei professori e dell’effettivo caci incentivi economici o di altro tipo. A
svolgimento da parte loro degli insegna- nostro avviso, gli unici a poter giudicare
menti di cui sono titolari. Gli unici a poter non solo la regolarità delle lezioni, ma sogiudicare non solo la regolarità delle le- prattutto la chiarezza dell’esposizione e la
zioni, ma soprattutto la chiarezza dell’e- disponibilità dei docenti sono gli studenti.
sposizione e la disponibilità dei docenti Il parere di questi ultimi andrebbe richiesono gli studenti. Questo tipo di rileva- sto più volte durante l’anno accademico
zione andrebbe affidata agli apparati am- e al loro giudizio andrebbe collegato un
ministrativi di ateneo o, meglio ancora, a incentivo o un disincentivo economico,
enti esterni imparziali, oppure a studenti il quale andrebbe ponderato anche con la
e amministrazione congiuntamente. Nei numerosità delle classi.
L’attività didattica è parte integrante del
lavoro di un professore universitario (sopra
e a pp. 26-27: professori durante una
lezione).
Il rapporto virtuoso fra retribuzione e
didattica che all’inizio si auspicava esistere al di là del dato economico-finanziario
e normativo non emerge purtroppo con
sufficiente chiarezza. In ogni caso, un
livello retributivo relativamente elevato
non è sufficiente – e forse nemmeno necessario, ma questa è una questione diversa – per ottenere un’altrettanto elevata
qualità dell’insegnamento universitario.
Sono forse necessarie, in primo luogo,
profonde riforme del sistema e dei controlli sull’operato dei docenti.
Per saperne di più...
P.J. Altbach, L. Reiseberg, M.
Yudkevich, G. Androuschak e I.F.
Pacheco, Paying the Professoriate. A
Global Comparison of Compensation
and Contracts, Routledge, 2012
CNVSU, Undicesimo Rapporto sullo
Stato del Sistema Universitario (2011)
Articoli sui siti:
www.noisefromamerika.org
www.roars.it
panorama per i giovani
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29
Quale università?
University financing in Italy has always been characterised by large
public support and low student fees. The most important change in
the last sixty years is the financial autonomy, granted in 1993 to every
public University. In Europe there are many different models: from
zero fees and state grants available for all students, to high fees and a
system of loans to cover them. Nowadays there is a strong debate about
the necessity of changing our system, in order to achieve more equity
and quality and to provide higher education with a sufficient amount of
resources.
di Sara Centola
blemi dell’Università italiana. Un’altra
indagine fu iniziata negli anni Settanta
da parte dell’Istat, ma venne ben presto
abbandonata. Invece, negli anni Novanta, furono stesi due rilevanti rapporti
sulle fonti di finanziamento pubblico e
privato alle università e sulla loro destinazione, con riferimento agli anni Ottanta. Dai dati emersi nei vari rapporti,
si può constatare che verso la fine degli
anni Cinquanta la gran parte delle risorse
derivava dai trasferimenti statali,
Verso la fine degli anni
destinati quasi in
Cinquanta la prima fonte di
toto al pagamento
finanziamento era costituita da
delle retribuzioni
del personale. In
tasse e contributi degli studenti.
verità, la princile percentuali con cui partecipano i vari pale fonte di finanziamento finalizzata al
funzionamento del sistema era costituita
soggetti.
Risale agli iniziali anni Sessanta uno proprio dalle tasse e dai contributi degli
dei primi studi sul finanziamento del si- studenti, nel complesso la seconda fonte
stema universitario italiano: esso venne di risorse pari a circa un quinto delle ricondotto dal Comitato di studio dei pro- sorse totali.
In Italia il sistema universitario viene finanziato attraverso i contributi del settore
pubblico (che derivano principalmente
da Stato, Unione Europea ed enti locali), degli studenti (attraverso tasse e contributi) e del settore privato (donazioni,
finanziamenti dell’attività di ricerca e di
programmi didattici). I soggetti che erogano i finanziamenti non sono con il tempo cambiati, ma sono invece mutate sia le
modalità del sistema di finanziamento, sia
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n. 3, settembre-dicembre 2012
Negli anni Ottanta la situazione cambia. In uno scenario profondamente diverso, dovuto al forte aumento del numero
sia degli iscritti, sia delle sedi universitarie e delle facoltà rispetto alla fine degli anni Cinquanta, dagli studi risulta in
maniera evidente che il peso del finanziamento pubblico è cresciuto notevolmente, passando da una partecipazione pari a
circa il 65% nel 1958-59 a una di circa
il 90% nel 1990. All’interno del finanziamento pubblico i maggiori aumenti li ha
fatti registrare proprio il contributo statale, addirittura quintuplicato in termini
nominali e raddoppiato in termini reali.
Sono diminuite, invece, le entrate private
e quindi la capacità di autofinanziamento
del sistema.
Analizzando nel dettaglio le spese del
Ministero della Pubblica istruzione, si può
notare che nel corso degli anni Ottanta
percentualmente calano, seppur di poco,
le spese per il personale, che rappresentano comunque l’importo maggiore (circa
il 70% dei contributi totali), mentre aumentano quelle per l’edilizia; continuano
inoltre a scendere le spese per il funzionamento ordinario e per la ricerca.
Gli anni Novanta hanno visto una
svolta nel sistema di finanziamento uni-
Foto: iStockphoto (skynesher ; ollirg)
I costi dell’università
Quale università?
Da sinistra: una lezione universitaria;
l’Università di Catania. Nella pagina
seguente: il Politecnico di Milano.
versitario, con l’introduzione dell’autonomia statutaria e regolamentare
degli atenei. Quella finanziaria è stata
in primo luogo introdotta dalla Legge
168/1989 e successivamente dalla Legge 537/1993.
Come affermato, tra gli altri, da Catalano e Silvestri, la storia recente del
sistema universitario italiano può essere
suddivisa in due fasi: la prima va fino
alla fine degli anni Ottanta, la seconda
inizia negli anni Novanta. Nella prima
fase il sistema dei finanziamenti era largamente centralizzato, poiché di fatto il
Ministero decideva sia le risorse complessive, sia la loro distribuzione fra gli
atenei e fra le varie aree disciplinari,
concedendo finanziamenti per particolari voci di spesa, non modificabili né
destinabili ad altri fini. Questo sistema
creava inefficienze, poiché da un lato
non vi era incentivo a limitare le spese e dall’altro non si potevano riallocare le risorse da voci in avanzo verso
altre che necessitavano maggiori spese.
Con la legge del 1989 sono state individuate in modo tassativo le tipologie di
fonti di finanziamento degli atenei ed è
stata prevista l’istituzione di un regolamento di ateneo per l’amministrazione,
unitamente ai contributi, sono aumentate dal 1994. Infatti nel 1996 le tasse
costituivano il 13,6% del totale del finanziamento alle università, contro il
7,5% del 1990.
Attualmente la situazione si è notevolmente aggravata per la crisi: da una
parte vi sono stati ripetuti tagli all’istruzione, dall’altra il contributo richiesto
alle famiglie dagli atenei è cresciuto, soprattutto in seguito alla recente spending
review. I dati Ocse emersi dal rapporto
Education at a Glance 2012, disponibile da settembre e riferito all’anno 2009,
non sono affatto rassicuranti: l’Italia
spende per l’istruzione superiore 9.562
dollari per ogni studente, contro la media Ocse di 13.728 dollari; la quota di
spesa pubblica destinata all’istruzione
è da noi del 9%, nell’Ocse mediamente del 13%. Questi dati sono riferiti al
2009, ma la situazione è oggi ancor
più problematica. Molti si interrogano
sulla necessità di cambiare, anche radicalmente, il sistema di finanziamento dell’università italiana. In sostanza i
costi dell’università dovrebbero essere
sostenuti dallo Stato, cioè dall’intera
collettività, o dagli studenti che ne beneficiano e quindi dalle loro famiglie?
Parecchi sostengono quest’ultima ipotesi, per il cui successo è necessaria una
crescita degli aiuti dello Stato agli studenti meritevoli, anche se senza mezzi,
soprattutto attraverso borse di studio e
altri servizi di assistenza.
Qual è la situazione nei paesi a noi più
vicini, ossia quelli europei, a cui sicuramente si guarda per cercare un modello
alternativo? Il quadro complessivo risulta
abbastanza variegato, come si può legge-
la finanza e la contabilità. La legge del
1993 ha introdotto una quasi completa autonomia nella gestione finanziaria
degli atenei, lasciando però allo Stato
il diritto di controllare l’uso effettivo
delle risorse; la legge, tra le altre cose,
ha previsto l’istituzione di tre fondi ministeriali, rispettivamente per il funzionamento ordinario delle università, per
l’edilizia universitaria e per la programmazione dello sviluppo e ha introdotto
procedure e organi per valutare l’operato delle università. Dunque, al controllo
diretto del Ministero sulla destinazione
dei fondi, se ne è sostituito uno diverso e teoricamente più potente: infatti la
quantità di risorse ricevuta dagli atenei
è commisurata al
modo in cui venGli anni Novanta hanno
gono utilizzate,
rappresentato una svolta, perché
con l’intento di
hanno visto l’introduzione
premiare
con
maggiori
fondell’autonomia degli atenei.
di i più virtuosi
e punire, invece, i comportamenti non re nel rapporto National student fee and
meritevoli. In seguito alla legge sull’au- support system, realizzato da Eurydice,
tonomia finanziaria, che ha inoltre dato la rete dell’informazione sull’istruziola possibilità a ciascun ateneo di deter- ne in Europa, o nel rapporto EHEA The
minare l’ammontare e la modulazione European higher education area in 2012:
delle tasse universitarie, queste ultime, Bologna Process Implementation Report.
panorama per i giovani
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Quale università?
Foto: iStockphoto/farluk
Ci sono paesi in cui gli studi universitari sono addirittura gratuiti e, in alcuni, a
questo beneficio si accompagna anche un
vasto apparato di aiuti. In tale gruppo figurano i paesi nordici, come Danimarca,
Norvegia, Finlandia, Svezia; in Danimarca, ad esempio, l’università è gratuita,
ciascun studente riceve una borsa di studio, che varia a seconda che lo studente
viva da solo o con la famiglia, e sono
disponibili prestiti universitari per tutti
coloro che ne fanno richiesta. A questi
paesi si aggiungono poi altri in cui i costi
sostenuti dagli studenti sono nulli o esigui
(limitandosi per lo più a tasse di registrazione), come in Austria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, e altri ancora in
cui non vi sono tasse nel primo ciclo (o
sono pagate dallo Stato), come a Cipro e a
Malta, in Grecia e in Scozia.
Un altro modello universitario è invece rappresentato da quegli Stati che
alle loro conseguenze. Infatti il governo immatricolazione nel Regno Unito riCameron ha approvato tagli alla spesa mane alto.
pubblica e ha aumentato le rette: il nuoIn questo quadro europeo l’Italia si
vo piano per i finanziamenti all’istru- colloca tra i paesi che hanno tasse relatizione superiore ha previsto un aumento vamente basse e sistemi di sostegno poco
del limite massimo delle rette annuali da sviluppati. Di questo gruppo fanno parte, e
circa 3.000 sterline fino a 9.000 sterline, comunque con differenze molto significadi fatto triplicandolo. Come si poteva tive, anche Francia, Portogallo e Spagna.
immaginare tale
scelta è stata forCi sono paesi in cui
temente criticata
gli studi universitari sono
dagli
studenti,
gratuiti e a ciò si accompagna
che sono scesi
più volte in piazun vasto apparato di aiuti.
za per protestare:
il 10 novembre del 2010 in cinquantaAnche in Spagna, così come in Inghilmila hanno manifestato a Londra e ci terra, la crisi economica ha portato con sé
sono stati scontri, anche violenti, con la tagli alla spesa per l’istruzione e aumenpolizia. In ogni caso il pagamento delle to delle tasse per gli studenti. Il sistema
tasse è affiancato da un sistema di pre- è tuttavia molto diverso da quello italiastiti che i laureati devono cominciare a no poiché a essere tassati sono di fatto i
ripagare soltanto al raggiungimento di singoli esami, con un prelievo che varia a
un guadagno pari seconda dei crediti che conferiscono e del
a 21.000 sterli- numero di volte in cui si sostiene lo stesso
L’Italia è fra i paesi
ne annue o più. esame. Mentre il ministro dell’Istruzione
che hanno tasse relativamente
Quali sono state José Ignacio Wertz ha stabilito che l’aubasse e sistemi di sostegno
le conseguenze mento dovrà oscillare tra il 15 e il 25%,
della riforma, ora sono rimasti piuttosto stringenti i criteri
poco sviluppati.
che le proteste si per ottenere una borsa di studio.
impongono tasse ingenti alle quali però sono calmate? In un anno il calo delle
A questo punto ci si interroga: verso
si accompagna un vasto piano di soste- iscrizioni è stato del 9% (dati Ucas). quale modello l’Italia potrebbe convergegni per il diritto allo studio: è il caso del In particolare, è stato ancor più accen- re? Le opinioni sono molto discordanti.
Regno Unito. A questo proposito, non si tuato per le materie umanistiche, men- Alcuni sostengono che bisognerebbe paspuò non far riferimento alle modifiche tre è stato poco rilevante in altre come sare al modello inglese, con tasse elevate
che sono state apportate recentemente medicina, ingegneria, legge. Tuttavia il e un sistema di prestiti, finora inesistente
nel sistema universitario anglosassone e numero complessivo delle domande di in Italia. Coloro che sono a favore di questa tesi adducono come motivazione una
maggiore efficienza ed equità. Sarebbe
tuttavia necessario, per una effettiva riforma, introdurre un ampio sistema di sussidi. I contrari a tale cambiamento ritengono che l’aumento delle tasse porterebbe a
una riduzione del numero degli iscritti e
che i finanziamenti pubblici potrebbero
essere utilizzati in maniera più efficiente.
Inoltre, all’idea che attualmente sarebbero i più poveri a pagare per i più ricchi, si
controbatte che in realtà i ricchi pagano
di più poiché il sistema fiscale italiano è
progressivo e che in un sistema basato sui
prestiti non sarebbero di certo i ricchi a
doversi indebitare per poter studiare. È
evidente che su di un percorso verso una
riforma che consenta equità nell’accesso,
riconoscimento del merito e sufficienti risorse finanziarie agli atenei non sarà
facile trovare il consenso sociale e quello
politico.
32
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n. 3, settembre-dicembre 2012
Quale università?
Il paese che guardava passare i treni
Italia: i biglietti di sola andata per i talenti
nostrani e il desolato binario degli arrivi di cervelli
dall’estero.
When does the international mobility of highly skilled people turn
a social gain into a social drain? Data about migration flows of
graduates and PhDs between different countries show a worrisome
gap between the brain drain and the brain gain for Italy: many talented
italians choose to leave and take their chance abroad, whereas too few
foreigners come to study at our universities. And to stay over. This
entails a waste of investments and a loss of human resources, with a
significant damage for social and economic growth.
Foto: iStockphoto/AlexRaths
di Pierluca Mariti
La formazione di uno studente oggi è – e
deve essere – di respiro internazionale.
Da un lato l’abbattimento delle barriere, o
meglio delle distanze, dall’altro il moltiplicarsi di opportunità di studio e crescita a livello internazionale: da un mercato
“comune” mondiale allo scambio di informazioni e saperi il passo è breve ed è uno
dei numerosi effetti della globalizzazione.
Costruire la propria preparazione accademica anche all’estero non è quindi più solamente un’opportunità, ma una necessità.
Durante il nostro percorso, che sia univer-
sitario o professionale, il confronto che ci
aspetta non potrà prescindere dalla sintesi
di diversi saperi e diversi punti di vista,
dalla capacità di adeguarsi a differenti metodi e stili di apprendimento e dalla conoscenza di una o più lingue oltre la nostra.
Le possibilità di studiare all’estero
partono sin dalla scuola superiore, ma è
con i vari progetti di mobilità internazionale, quali Erasmus, Socrates, cotutela di
tesi e doppio titolo per citare i più famosi,
che lo studio si arricchisce di conoscenze
e culture di natura profondamente nuova
Sopra e nelle pagine seguenti: ricarcatori al
lavoro in laboratori scientifici.
rispetto agli schemi del passato. Ed ecco
quindi che in contesti come l’Unione Europea o il Nord America il panorama di
mobilità studentesca è in costante crescita. Non solo durante l’università di primo
livello, ma anche durante il dottorato (o
l’equivalente negli altri paesi). Inoltre, a
questi periodi di formazione non di rado
si agganciano opportunità lavorative, anche temporanee, che oltre a convincere gli
studenti a un prolungamento della permanenza, diventano fattore di attrazione per
gli studenti di altri paesi.
Se dunque è inevitabile una tale circolazione di studenti, e quindi di menti e
saperi, perché uno dei temi che preoccupa
la società, il mondo accademico e, seppur
in maniera nettamente minore, la politica, è la cosiddetta fuga dei cervelli? La
fuga dei cervelli (o brain drain in inglese)
è l’ormai tristemente famosa espressione
che indica un fenomeno che negli ultimi
anni ha assunto proporzioni più che rilevanti: la migrazione di personale con un
alto grado di istruzione e spesso anche
di specializzazione professionale verso
l’estero, con una corrispondente perdita
di capitale umano per il paese di origine.
panorama per i giovani
•
33
Quale università?
Numerose ricerche hanno tentato di quantificare l’effettivo costo del brain drain
per un paese, costo che è facilmente intuibile considerando anche solo il mancato
guadagno dei risultati che persone su cui
si è investito otterranno altrove. Una stima precisa e completa è pressoché impossibile. Tuttavia, se si presta un occhio a un
settore delimitato come quello scientifico,
i termini della questione sono evidenti.
Il settore scientifico appena considerato è non solo il più facile da valutare economicamente, ma anche il più colpito. La
ricerca Mobilità interna e verso l’estero
dei dottori di ricerca, datata 2011, ha analizzato la distribuzione delle diverse discipline tra i dottori di ricerca che vivono abitualmente all’estero: il campo scientifico
occupa i primi posti con le Scienze fisiche
(22,7%), Scienze matematiche e informatiche (9,5%),
Ingegneria (8,4%)
Secondo l’Ocse l’Italia ha,
e Biologia (7,8%).
fra i paesi sviluppati, il peggiore
Fattore certamensaldo fra laureati che partono
te trainante di
e che arrivano.
questa preponderanza, oltre alla
In un’indagine del 2010 dell’I-com, già citata attenzione alla ricerca negli altri
l’Istituto per la competitività, è stato pre- paesi, è sicuramente la lingua universale
so in considerazione l’arco temporale de- della scienza, che rende immediatamente
gli ultimi venti anni e si è calcolato che spendibile il proprio sapere senza particol’Italia ha perso in quel periodo quasi 4 lari abilitazioni o adattamenti.
miliardi di euro. Per ottenere questo dato
E sempre la lingua, questa volta parlasi è fatto riferimento all’applicazione più ta, è ciò che spesso indirizza i nostri lauevidente (ed economicamente quantifi- reati. La conoscenza dell’inglese è infatti
cabile) del sapere scientifico, ovvero il l’ulteriore incentivo a scegliere come debrevetto. I 4 miliardi corrisponderebbero stinazione gli Stati Uniti o il Regno Unial valore di 155 brevetti la cui paternità to. A queste preferenze, rivelate dall’Aire,
è interamente italiana e di 301 brevetti l’ufficio del Ministero dell’Interno che
depositati da team composti da membri detiene l’anagrafe degli italiani residenitaliani. Ovviamente all’estero. La forte ti all’estero, seguono immediatamente
presenza di nomi italiani nelle liste dei Francia, Svizzera e Germania (i dati fanpiù produttivi scienziati all’estero con- no riferimento ai soli cittadini laureati). E
ferma l’alta preparazione delle menti del per avere un quadro generale dei numeri
nostro paese, che viene messa a frutto da di cui si sta parlando, l’Aire ci fornisce
cospicui investimenti nella ricerca nel il numero di italiani laureati (tra i 20 ed i
campo pubblico, ma ancor di più in quel- 40 anni) che nel 2011 si è trasferito all’elo privato.
stero in cerca di condizioni di vita e di
34
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
lavoro più favorevoli: 27.616, a fronte di
288.286 immatricolati all’università nello stesso anno. Per ogni 10 ragazzi che si
iscrivono, un laureato se ne va. E questi
dati prendono in considerazione solamente chi ha chiesto il cambio di residenza.
Questo abbandono del proprio paese
è una specificità tutta italiana? A dire il
vero no. Stando all’ultimo studio sull’argomento, portato a termine dall’Ocse e
intitolato Migration and the Brain Drain
Phenomenon, le percentuali di altri paesi
europei sono analoghe, se non più alte. Se
l’Italia ha tra il 5% ed il 10% della popolazione con un’istruzione universitaria
che risiede in un altro paese Ocse, così è
per Germania, Belgio e Olanda, mentre
Austria o Regno Unito sfiorano il 20%.
E dunque, qual è il problema? Non certo per la formazione dello studente, che
come già detto deve essere di respiro internazionale, bensì per il nostro paese. Il
rapporto tra studenti in entrata e studenti
in uscita è miseramente diverso da quello
degli altri paesi europei. Anche in questo
caso i numeri lasciano poco spazio all’interpretazione: se in Italia 7 studenti su
10.000 abitanti sono stranieri, in Germania sono 20 e in Francia 39. E la situazione dei dottorati non è certo migliore, visto
che solo un 2% dei ricercatori è straniero,
laddove nel Regno Unito è il 35%. L’Ocse conferma l’ennesimo primato italiano,
ovvero essere l’unico paese sviluppato ad
avere una bilancia così sfavorevole, con
più laureati che partono rispetto a quelli
che arrivano: qui è il punto critico per il
nostro paese, ciò che rende accettabile
una perdita di cervelli è un guadagno di
altri ingegni che sia quantomeno proporzionato (brain gain).
È questo l’assunto su cui si fonda la
bontà del cosiddetto brain exchange, ovvero il flusso di capitale intellettuale tra
due paesi in quantità e qualità equilibrate.
Approccio differente, ma che ha sempre
come base la mobilità della formazione,
è la brain circulation, ovvero l’esperienza
all’estero come tappa della propria carriera accademica e lavorativa, ma che si conclude con un ritorno in patria, dove impiegare le conoscenze apprese. In entrambi
i casi, l’Italia si è mostrata fallimentare.
Talenti che fioriscono nelle nostre aule
per poi migrare verso altri lidi, spesso
senza tornare; arrivi così sparuti che desta
sempre una qualche sorpresa scorgere un
collega che non sia italiano.
Foto: iStockphoto (dmbaker; Neustockimages)
Quale università?
Di fuga dei cervelli come migrazione
di personale qualificato si è iniziato a parlare sin dagli anni Sessanta, ma solo negli
ultimi venti anni ha assunto un volto differente; la porzione di menti che fuggono
non solo ha comportato le conseguenze
economiche già viste, ma ha menomato
un’intera generazione di ricercatori. L’impatto sociale di tale fenomeno è incalcolabile. Da un lato, le prospettive di certi
campi di studio scoraggiano molti anche
dal solo cimentarsi in essi; dall’altro, è ormai quasi scontato il passaggio logico che
conduce alla scelta della fuga. La diffusa
sfiducia nei confronti di un sistema così
poco attraente rispetto a vicini di casa di
gran lunga più invitanti conduce le menti
migliori a preparare il proprio cammino in
funzione della partenza.
È possibile individuare i fattori che
spingono i nostri laureati verso l’estero e
che allo stesso tempo non attraggono studiosi stranieri? Le analisi in merito sono
numerose, condotte sia da istituti di ricerca
e statistica sia ad opera di università e riviste scientifiche. Primo tra tutti, la precarietà delle condizioni lavorative, unitamente
al livello salariale, troppo basso per il tipo
di preparazione messa a disposizione. Le
opportunità di lavoro sono ridotte, sia nel
privato sia nel pubblico, dove per altro la
selezione di ricercatori e professionisti è
spesso basata su criteri poco meritocratici,
altra anomalia tutta italiana. Le difficoltà
che si incontrano una volta completati gli
studi sono ben maggiori rispetto a quelle
riscontrabili all’estero, dove il più grandescoglio può essere la lingua straniera, non
certo l’accesso al mercato e la possibilità di
lation e un brain exchange, vantaggi dei
quali gli altri paesi sviluppati godono da
tempo? Le politiche teorizzate (e messe in
atto in alcuni paesi) sono diverse: esistono
quelle di ritorno, che prevedono incentivi
per il rientro dei cervelli nazionali quali
sgravi fiscali e agevolazioni burocratiche;
quelle di reclutamento di personale competente, così da convogliare quel brain gain
che non si verifica naturalmente; quelle di
restrizione, ovvero di imposizione di barriere all’ingresso o di soggiorni vincolati
a un rientro; quelle di ritenzione, ovvero
di potenziamento economico e infrastrutturale di quei settori in cui le fughe sono
maggiori. Ciò che però è alla base di questi
provvedimenti è in ogni caso una presa di
coscienza seria del problema da parte della
classe politica, che spesso ha invece tergiversato nell’affrontare la questione. Ammettere la presenza di una crisi strutturale a
cui consegue un’ingente perdita economica per il nostro paese è ovviamente scomodo, ma le proporzioni assunte attualmente
non permettono ulteriori indugi. Se infatti,
come visto, si tratta di un fenomeno generazionale, l’attenzione verso la questione
non è più di rilievo meramente economico
o politico, ma riguarda il futuro stesso del
paese. Investimento nel sapere, nell’innovazione e nella cura dei giovani talenti, di
cui il nostro paese è ricco, è la misura della
lungimiranza – o della miopia – della classe dirigente italiana.
essere equamente retribuiti. Ed è anche la
lingua, questa volta italiana, a costituire un
fattore push (ovvero di respingimento) per
chi intende trasferirsi da un altro paese nel
nostro. Pochi sono i corsi in lingua inglese, poche le università che tengono conto
della possibile presenza di stranieri nelle
loro classi. Infine, la mancanza di strutture
di supporto adeguate rendono inidoneo il
nostro paese a una vera ricerca scientifica
di alto livello. D’altronde l’investimento
in R&S è piuttosto scarso, circa l’1% del
Pil: la media Ue si attesta a circa il doppio,
quella Ocse è anche maggiore. Se unitamente a questo dato si considera il vizio
strutturale del
nostro paeDOTTORI ALL’ESTERO
se, ovvero la
sistematica
dispersione
Percentuali di dottori di ricerca che vivono all’estero, divisi per aree
di studio.
degli
investimenti
in
bilanci poco
Scienze fisiche
22,7
Scienze matematiche e informatiche
9,5
equilibrati
Ingegneria industriale e dell’informazione
8,4
e gestiti da
Scienze economiche e statistiche
7,6
complicate
Scienze chimiche
6,7
burocrazie, il
Scienze politiche e sociali
4,4
disegno che
Scienze biologiche
7,8
ne esce è deScienze mediche
4,1
solante.
Scienze giuridiche
3,0
Come riScienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
4,3
stabilire un
Ingegneria civile e Architettura
4,7
equilibrio?
Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche
5,3
Attraverso
Scienze agrarie e veterinarie
2,9
quali mezzi
Scienze della terra
4,2
puntare, anche per l’IFonte: Mobilità interna e verso l’estero dei dottori di ricerca, Istat 2011
talia, a una
brain circu-
panorama per i giovani
•
35
La
Studiare
salute nel
all’estero
mondo
Il brain drain: un problema
non solo italiano.
The so called brain drain is a dramatic problem which affects the
African continent particularly. That’s what M. S. Ben Ammar, Professor
of medicine at the University of Tunis, told us during a meeting at our
College. The whole Africa is loosing its best students, who are moving
to foreign countries, looking for better opportunities and professional
conditions. A global solution is difficult to find out: there is an urgent
need to address this problem all around the world and consider it as a
priority for African development.
di Henri Ibi
Foto: iStockphoto/MasterLu
Se con il passar del tempo il fenomeno del
brain drain ha iniziato a riguardare massicciamente anche il nostro paese, “l’eso-
notazione drammaticamente più rilevante. È questo il tema sul quale il professor
Mohamed Salah Ben Ammar ha incentrato il suo intervento con gli studenti
L’esodo dei cervelli dal
del “Lamaro Pozcontinente africano verso i
zani”. Professore
paesi occidentali assume una
di medicina presso
l’Università
connotazione drammatica.
di Tunisi, speciado dei cervelli” dal continente africano lizzato in anestesia e rianimazione, vice
verso i paesi occidentali assume una con- presidente del Comitato internazionale di
36
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
Bioetica dell’Unesco e fino a non molto
tempo fa direttore generale della sanità in
Tunisia, il prof. Ben Ammar è particolarmente attento a questo tema e alle proporzioni che il fenomeno sta raggiungendo
anche nel suo paese, in particolare nel
settore medico.
Benché sia arduo rinvenire dati ufficiali e aggiornati, quelli diffusi dalle organizzazioni internazionali parlano da
soli. L’esodo dei cervelli rappresenta per
l’Africa una perdita di più di 1,5 miliardi
di dollari l’anno (e paradossalmente viene
speso tre volte tanto per retribuire più di
100.000 medici stranieri). Stima l’Organizzazione mondiale della Sanità che ogni
anno almeno 20.000 giovani universitari
africani emigrino verso i paesi sviluppati
(con una bassissima percentuale di ritorno
nel paese d’origine).
Numerosi sono i fattori che spingono
i giovani più qualificati a lasciare la loro
patria. Abbandonano territori spesso lacerati da conflitti e guerre, caratterizzati da
immobilismo sociale, bassi salari, condizioni di vita precarie, assenza di condizioni di lavoro soddisfacenti; richiamati dagli standard di vita occidentali, si dirigono
Quale università?
A sinistra: vaccinazione in un villaggio
africano. Nel riquadro: il prof. Ben Ammar.
verso paesi dove imperano la meritocrazia e la libertà intellettuale.
Per quanto riguarda più specificamente
la situazione della Tunisia, sono numerosi
gli studenti di medicina che nel corso degli studi si recano all’estero, in particolare
in Francia, per un certo periodo di tempo.
Molti di loro tornano in Tunisia per termi-
– spesso costretti a esercitare una professione aggiuntiva –, la scarsità di mezzi finanziari stanziati dai governi locali, sono
elementi rivelatori della difficoltà per le
università a trattenere i propri studenti. Affermare che si tratta di conseguenze dirette
del colonialismo sarebbe indubbiamente
eccessivo; tuttavia, come lo stesso professore ha fatto notare, alcune delle maggiori
difficoltà che i paesi dell’Africa incontrano
oggi sono certamente legate al suo rapido
epilogo, che trovò la popolazione africana
impreparata ad affrontare le sfide derivanti
dall’indipendenza. L’emigrazione dei “cervelli africani” verso i paesi occidentali,
favorita certamente dalla conoscenza del
francese o dell’inglese, è uno degli ostacoli
più grandi allo sviluppo del continente; se
non vi sarà un’inversione di rotta significativa, mancheranno sempre le fondamenta
per la crescita.
Circa le possibili soluzioni, il prof.
Ben Ammar ha sottolineato la difficoltà di
realizzare misure davvero efficaci. Da una
parte, è impossibile impedire ai cittadini
di circolare liberamente perché possano
meglio realizzare prospettive e aspirazioni, personali e professionali. Dall’altra,
è quanto mai necessario e urgente per i
paesi africani offrire possibilità di formazione accettabili ai propri studenti, intraprendere programmi di scambio a doppio
senso con le università straniere, investire
nelle infrastrutture destinate alla ricerca,
stimolare e far risaltare le competenze
locali. Alla domanda sul ruolo che le organizzazioni internazionali possono assumere in questa direzione, il prof. Ben Ammar ha nuovamente ribadito la mancanza
di interventi organici, compiacendosi ad
ogni modo della particolare sensibilità dimostrata specialmente negli ultimi anni.
V’è da sperare che il senso di appartenenza a un paese o a una comunità spinga i giovani che hanno fruito di
un’istruzione superiore in patria a non
allontanarsi dalla stessa o a ritornarvi per
nitario straniero, che però, come il prof. Ben
Ammar conferma, oltre a richiedere stipendi di standard quasi europeo, non è
L’Oms stima che ogni anno
per nulla integrato
almeno 20.000 giovani
nel sistema locale,
universitari africani emigrino
del quale ignora
verso i paesi sviluppati.
usi, costumi, tradizioni e soprattutto
nare l’università, pronti però a recarsi nuo- le reali necessità della popolazione.
Ampliando la visuale sull’intero contivamente all’estero, dove magari hanno già
trovato una strada. Lo stesso prof. Ben Am- nente africano, emergono tutte le diverse e
mar, che trascorse un periodo di formazione complesse cause del brain drain, a partire
in Francia, sottolinea l’importanza di un’e- dal mal funziosperienza di studio o specializzazione fuori namento struttuSenza un’inversione di rotta
dal proprio paese. Egli tuttavia sottolinea rale del sistema
significativa, mancheranno
con un certo rammarico che la tendenza del- accademico. La
sempre le fondamenta per lo
la gran parte degli studenti è quella di per- fatiscenza delle
sviluppo dell’Africa.
seguire il proprio percorso professionale in strutture, che nel
Europa e in Nord America. Ne risulta in Tu- settore sanitario
nisia una carenza di medici locali, alla quale assume naturalmente una rilevanza fonda- contribuire alla sua crescita economica e
si deve supplire ricorrendo a personale sa- mentale, i salari troppo bassi dei professori sociale.
panorama per i giovani
•
37
Quale università?
Welfare e merito nella crisi
During periods of economic crisis, Governments tend to cut down on
secondary education expense. Public opinion should be aware that
investing in University education, especially if one takes into account the
enormous value of academic excellence, can have direct and powerful
benefits on the economy as a whole.
“È opportuno rilevare che criteri meritocratici di attribuzione dei fondi potranno
contribuire a migliorare l’efficacia interna ed esterna del sistema universitario
a condizione che i fabbisogni minimi e
complessivi di risorse siano determinati
secondo i parametri internazionali relativi
al costo della didattica e della ricerca […]
e a patto che vengano adottate tecniche
appropriate di valutazione, che tengano
conto della clausola ‘a parità di condizioni’” (XIV Indagine 2011 AlmaLaurea).
Promuovere il merito con un’ottica di
public policy dovrebbe essere fra i primi
obiettivi di ogni paese. Dato che il merito è
spesso influenzato dalle condizioni sociali
e dal contesto di appartenenza dei soggetti, nella scuola è possibile parlarne in due
accezioni, l’una statica, l’altra dinamica:
il merito attuale del migliore della classe
oppure quello che realizza il potenziale e
scaturisce solo nel momento in cui a tutti
gli studenti viene richiesto un impegno costante verso il miglioramento e viene garantita loro la possibilità di proseguire gli
studi verso livelli superiori e di eccellenza –
indipendentemente dalle differenze sociali,
culturali ed economiche presenti fra loro.
Per generazioni l’istruzione è stato
il principale mezzo di mobilità sociale
ascendente, anche grazie alle politiche di
guaglianze sociali, rende il bisogno di tali
politiche tanto più urgente e sentito!
Perché durante i periodi di crisi alcune
delle voci più tagliate nei pubblici bilanci sono previdenza, ricerca e assistenza
alle fasce a rischio? Perché nel bilancio
di queste attività appare solo la voce dei
costi, mentre in quella dei ricavi pare non
esserci nulla; sembra essere vuota, quantomeno nel breve periodo. Le perdite di
un mancato investimento sono in un nebuloso futuro, lontano dal momento in cui
la crisi brucia come sale sulle ferite. L’impellenza delle scadenze, gli interessi sul
debito e il bilancio da pareggiare fanno
perdere di vista le falle che si vengono a
creare a livello sociale e si ripresenteranno senza dubbio amplificate a distanza di
qualche anno.
C’è poi un’altra ragione per cui questi tagli si fanno spesso a cuor leggero:
i ricavi da esso generati non sono facilmente quantificabili e il “merito”, almeno
in un primo momento, sfugge alla legge
dei numeri e non rientra in classificazioni, tabelle, diagrammi. È una variabile
estremamente volatile e aleatoria, che, se
valorizzata, è però in grado di agire come
volano per l’intera economia di un paese.
Non a caso, delle cose di valore si dice
che “non hanno prezzo”, come sosteneva Bob Kennedy
nel famosissimo
Durante i periodi di crisi alcune
discorso del 18
delle voci più tagliate sono
marzo 1968, tela previdenza, la ricerca e
nuto all’Università del Kansas:
l’assistenza alle fasce a rischio.
“Il Pil non tiene
welfare messe in atto dallo Stato. In un conto della salute delle nostre famiglie,
momento di prolungata crisi come quello della qualità della loro educazione o delattuale, però, si genera il seguente para- la gioia dei loro momenti di svago. Non
dosso di difficile soluzione: se da un lato comprende la bellezza della nostra poele dinamiche economiche degli ultimi sia o la solidità dei valori familiari, l’inanni impongono tagli alla spesa pubbli- telligenza del nostro dibattere o l’onestà
ca – che assottigliano le voci legate alle dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene
politiche assistenziali – proprio l’acuirsi conto né della giustizia nei nostri tribunadella crisi, allargando il bacino delle dise- li, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il
38
•
n. 2, maggio-agosto 2010
Pil non misura né la nostra arguzia né il
nostro coraggio, né la nostra saggezza né
la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che
rende la vita veramente degna di essere
vissuta”.
Non bisogna pensare, però, che l’ideale egalitario sia antieconomico e, al contrario, prettamente morale: al cuore della
lotta per elevare la soglia formativa della
popolazione, infatti, c’è il pressante bisogno (imposto dalla globalizzazione) di
selezionare il merito da un bacino ampio,
estendendo la possibilità di intercettare e
valorizzare le eccellenze. L’Italia, con il
suo 20% di laureati (nella fascia di età fra
25 e 34 anni), si trova in forte svantaggio
competitivo rispetto alla Germania con il
suo 26%; agli Stati Uniti, che ne hanno
il 41%; alla Francia e al Regno Unito, rispettivamente con il 43 e il 45%; per non
parlare del Giappone, che su 100 giovani
ne conta 56 laureati (fonte AlmaLaurea,
XIV Indagine 2011).
Come sostiene l’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico
Foto: iStockphoto/Andresr
di Selene Favuzzi e Angelo Filippi
Quale università?
A sinistra: giovani laureati.
(Ocse), al crescere del livello dell’istruzione media di massa in un paese, cresce
di pari passo anche la sua competitività. “Publicly provided health, education
and social housing reduce overall income inequality”. La scuola e l’università pubbliche sono i luoghi dove si costruisce la cittadinanza e pertanto è fondamentale che l’accesso sia garantito a
prescindere dalle condizioni di partenza.
Per questo motivo è necessario che siano incentivati a iscriversi all’università
giovani provenienti da ogni condizione
sociale. Occorre pertanto incrementare il
numero e il valore delle borse di studio
offerte dagli atenei di tutta Italia e migliorare il dialogo tra università e scuola
secondaria. Proprio quest’ultima dovrebbe preoccuparsi di sviluppare ed educare
le loro menti e i loro sentimenti. Infatti,
alla scuola secondaria non è dato il compito di selezionare le eccellenze di domani, visto che, se avesse questa finalità,
curerebbe soltanto quelle, bensì l’obiettivo di sviluppare il potenziale di tutti gli
allievi. Saranno poi il singolo studente e
i test di ingresso all’università a determi-
re il progresso culturale, scientifico e tecnologico italiano.
Giacomo Deferrari, rettore dell’Università di Genova, nel suo discorso d’inaugurazione dell’anno accademico 2011-2012,
elencava così le principali cause del ritardo
del nostro sistema accademico: “La burocrazia, l’assenza della meritocrazia, la corruzione, la spesa enorme e non produttiva
dell’apparato statale e in ultimo l’incapacità
della politica nel dare risposte a un necessario ammodernamento del proprio funzionamento”. Deferrari chiedeva “adeguati
finanziamenti alla formazione superiore
trasferiti secondo criteri rigidi che si basino
su performance e vera autonomia, con logica concorrenziale tra atenei, e negli atenei,
facendo emergere in questo modo le vere
eccellenze”. La meritocrazia deve quindi
assumere un ruolo da protagonista in tutto
il processo di risanamento dell’università
italiana e, in un’ottica di più ampio respiro, dell’intera economia. Un concetto che
necessita quanto prima possibile di un’applicazione concreta, anche con il fine di lanciare un segnale di rinnovamento del nostro
paese attraverso processi di selezione, promozione e formazione dell’eccellenza, che
possano essere trasparenti e responsabili e
che permettano alla nostra Università di crescere in un ambiente aperto e competitivo.
L’opinione pubblica e la classe politica italiana devono acquisire piena consapevolezza che investire nell’università
italiana è sinonimo di crescita e di competitività. Promuovere l’eccellenza significa fare un importante investimento sul
futuro. Significa porsi obiettivi ambiziosi.
Ogni paese dovrebbe possedere una public policy che preveda la promozione del
nare il corso futuro degli studi. Il merito
va quindi amorevolmente coltivato sin
dai primi passi, favorendone una crescita
solida e robusta.
Bisogna saper guardare al futuro con
occhi giusti: il nostro paese ha l’obbligo
di cogliere la grande opportunità che deriva da un robusto investimento sul sapere.
È ormai chiaro a tutti che la previsione
di bilancio per i prossimi anni non promette fondi a sufficienza per la maggior
parte dei ricercatori italiani. Il
È necessario che siano
nostro paese inveincentivati a iscriversi
ste per la ricerca
all’università giovani provenienti
solo l’1,26% del
prodotto interno
da ogni condizione sociale.
lordo,
neanche
la metà della media europea. Per cresce- merito, inteso come sinonimo di capacire, l’Italia deve quindi attirare progetti tà e di bravura ma anche e soprattutto di
internazionali che siano all’altezza della impegno e di dedizione. Alle istituzioni,
concorrenza europea e investire sui suoi come impone la nostra Costituzione, spetricercatori facendo in modo che questi ta il compito di garantire ai più meritevopossano collaborare in progetti all’estero li la possibilità di accedere ai livelli più
senza rimanerne “catturati”, bensì ritor- elevati d’istruzione indipendentemente
nando con un bagaglio di conoscenze che dalle loro differenze sociali, economiche
possa contribuire ad ampliare e migliora- e culturali.
panorama per i giovani
•
39
Primo piano
Il premio Alfieri del Lavoro
Un’esperienza indimenticabile
Every year, 25 students are awarded the “Premio Alfieri del Lavoro”,
given to the best Italian students who have completed upper secondary
school with a curriculum of excellence. Two awardees, now students of
the “Lamaro Pozzani” College, tell us about their experience, revealing
emotions and impressions of three memorable days spent in Rome.
di Matteo Rametta e Davide Masi
Lo scorso 26 novembre, nel Salone dei
Corazzieri del Palazzo del Quirinale,
durante la cerimonia di premiazione dei
nuovi Cavalieri del Lavoro, anche 25 Alfieri hanno ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica e un attestato
d’onore. Tra i 1.364 studenti, tutti meritevoli, segnalati quest’anno dai rispettivi
dirigenti scolastici e risultati idonei secondo i requisiti previsti per la consegna
del Premio, anche noi due, oggi studenti
del Collegio “Lamaro Pozzani”, abbiamo
avuto la fortuna di vivere in prima persona questa esperienza, che ci riempie di
orgoglio e che risulta difficile raccontare.
Sabato 24 novembre, puntuali al raduno previsto presso l’Hotel Victoria, siamo
stati calorosamente accolti dalla Sig.ra
Pina Salis, della Federazione Nazionale
dei Cavalieri del Lavoro, e abbiamo avuto il piacere di conoscere gli altri ragazzi
giunti da tutta Italia, con i quali abbiamo
cominciato subito a scambiare opinioni e
impressioni; ci siamo confrontati in merito
al nuovo percorso di studi intrapreso, agli
obiettivi raggiunti e alle aspettative future,
condividendo la gioia di essere lì insieme.
Nel pomeriggio siamo stati impegnati
nella visita del centro di produzione Rai
di Saxa Rubra, che ospita tutte le testate
giornalistiche radio-televisive: Tg1, Tg2,
camioncini di nuova produzione, ma in
realtà completamente attrezzati per la stesura, la ripresa e l’elaborazione di servizi
giornalistici elaborati direttamente in loco
e poi inviati al centro di Saxa Rubra. Abbiamo anche avuto la fortuna di ammirare
lo studio del Tg1 e quello più moderno del
Tg2, totalmente rielaborato e digitalizzato
per mezzo dell’applicazione di monitor di
nuova generazione. Non è mancata l’occasione per una riflessione critica in merito
alla manipolazione dell’informazione di
cui spesso si accusano i telegiornali. I giornalisti, infatti, sono chiamati al rispetto del
vero e dell’oggettività: non devono, dunque, adoperare le tecnologie per operare
una rielaborazione delle notizie secondo interpretazioni e giudizi di carattere personale. I giornalisti, però, sono uomini e donne,
con sentimenti e passioni che sono in grado
di dominare, non di sopprimere del tutto...
Come da programma, nella mattinata
di domenica 25, vigilia della premiazione,
ci siamo recati dopo una breve passeggiata per Villa Borghese alla Gnam (Galleria
nazionale d’Arte moderna e contemporanea), istituita nel 1883, poi trasferita a
Valle Giulia, dove ha tutt’oggi sede in una
scenografica architettura stile Liberty, in
occasione dell’Esposizione Universale
del 1911. Il museo raccoglie due secoli
d’arte che corrono
dall’età napoleoIl Premio è destinato ogni anno
nica, ricca di scula 25 dei migliori studenti
ture neoclassiche
che hanno terminato la scuola
e romantiche del
Canova,
all’esuperiore con il massimo dei voti.
spressionismo
Tg3 nonché Rai International, il Giornale astratto americano degli anni Cinquanradio Rai e il noto programma d’informa- ta di cui massimo esponente fu Pollock,
zione “Uno mattina”. Il direttore generale passando per il simbolismo asiatico di
ci ha esaurientemente illustrato il funzio- Gauguin, le pennellate veloci dei futuristi
namento dei centri di informazione mobili come Balla, l’astrattismo, l’arte metafisia loro disposizione: in apparenza semplici ca di De Chirico, fino alla provocatoria e
40
•
n. 3, settembre-dicembre 2012
rivoluzionaria arte dei dadaisti come Duchamp e Man Ray.
Nonostante il poco tempo a disposizione, tra le tante opere esposte abbiamo
ammirato i quadri post-impressionisti di
Van Gogh, percependone il chiaro sconvolgimento interiore nelle pennellate de
Il Giardiniere, l’imponente e realistico
gruppo scultoreo Ercole e Lica realizzato
da Canova e il dipinto modernista Le tre
età della donna di Gustav Klimt: un vero
trionfo per gli occhi.
Le emozioni sono continuate la sera
con la cena insieme al Presidente dei Cavalieri del Lavoro Benito Benedini alla
Casina Valadier, un noto e rinomato ristorante della capitale sul Pincio, un tempo
ritrovo di artisti, intellettuali e uomini po-
Primo piano
Sopra: la cerimonia di consegna delle
onorificenze ai nuovi Cavalieri del
Lavoro, che si è tenuta il 26 novembre
nel Salone dei Corazzieri del Quirinale.
Gli Alfieri del Lavoro sono stati premiati
insieme ai Cavalieri del Lavoro, alla
presenza del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano, del Presidente
della Federazione Benito Benedini e del
Sottosegretario allo Sviluppo economico
Claudio De Vincenti; nelle foto a sinistra
la premiazione degli autori dell’articolo (a
sinistra Matteo Rametta con il Cavaliere del
Lavoro Corrado Sforza Fogliani e a destra
Davide Masi con il Cavaliere del Lavoro
Luciano Cimmino).
litici di tutto il mondo. Il fascino della Casina Valadier sta nell’atmosfera neoclassica, nell’incredibile bellezza del luogo e
del panorama. Dopo tanti scatti e foto di
gruppo, il Presidente ha proceduto a una
prima premiazione, donando a ciascuno
una medaglia con il simbolo degli Alfieri
del Lavoro. Molti confessano di essersi
emozionati già quella sera, pensando al
coronamento di una carriera scolastica,
fatta di tanto impegno e anche di sacrifici.
La mattina del 26, il momento conclusivo e tanto atteso: la cerimonia di
premiazione al Quirinale. È l’ultima del
settennato del capo dello Stato, rivolta a
premiare le eccellenze italiane nel lavoro
e nella scuola. Erano presenti, fra l’altro,
il Presidente della Corte costituzionale,
Alfonso Quaranta, il Vice Presidente della
Camera dei Deputati, Rocco Buttiglione,
il Ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, il Ministro dell’Interno,
Anna Maria Cancellieri, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
dei ministri, Antonio Catricalà. Nel corso
della cerimonia, trasmessa in diretta Rai,
nell’ampia e sfarzosa sala dei Corazzieri,
hanno preso la parola il Presidente Benedini e il Sottosegretario di Stato allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti.
È quindi intervenuto il Presidente Giorgio
Napolitano, prima di consegnare le insegne ai nuovi Cavalieri del Lavoro.
Il Presidente Benedini, riferendosi a
noi giovani, ha affermato: “Gli sforzi che
il nostro paese sta compiendo, i sacrifici di
imprese e cittadini, il rigore che è stato necessario applicare, devono essere un punto di partenza, una leva per andare avanti
e ricostruire l’Italia puntando sul merito.
Oggi, premiando questi 25 studenti insieme ai Cavalieri del Lavoro, il Capo dello
Stato sta dando un segnale chiaro e forte. L’Italia ha bisogno di ritrovare la sua
eccellenza, a partire da quella di giovani
intelligenti che puntano sulla conoscenza
e sulla loro voglia di fare, persone che noi
Cavalieri del Lavoro sosterremo perché
sono all’inizio del percorso universitario
che li porterà nel mondo del lavoro, ambito dal quale occorre ripartire per riuscire a
costruire un’Italia migliore”.
Con il cuore vibrante di emozione, a
uno ad uno, abbiamo percorso il corridoio
centrale del salone, per ricevere direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica ciascuno la sua medaglia d’argento e
l’attestato d’onore di Alfiere del Lavoro.
Una stretta di mano che rappresenta simbolicamente un premio alla nostra passione,
al nostro entusiasmo, al nostro impegno.
L’esperienza del Premio Alfieri è stata
infine una straordinaria occasione di socializzazione e condivisione di idee e progetti. È stato subito creato un gruppo “ Alfieri del Lavoro” su Facebook. Tra i tanti
interventi, un Alfiere, Luca Pontassuglia,
qualche giorno dopo ha scritto: “Miei cari
Alfieri, nello svegliarmi oggi stavo dando
per scontato di ritrovarvi tutti nella hall e
invece, aprendo gli occhi, mi è sembrato
di aver fatto solo un bel sogno... credo di
essermi comportato come un ‘ladro’ nei
vostri confronti, perché tornando a casa,
mi sono reso conto di essermi portato da
Roma un pezzettino di ognuno di voi, che
terrò custodito nel mio scrigno come un
tesoro inestimabile”. E concludendo il
suo messaggio, afferma di essere “felicissimo di aver incontrato altri ragazzi che,
come me, ce la mettono tutta per affrontare questa vita, che danno il meglio di loro
stessi per un obiettivo da perseguire e uno
scopo da raggiungere, che riescono a essere semplici e responsabili delle proprie
scelte... quello raggiunto è un traguardo
che abbiamo tagliato tutti insieme... tutti
nello stesso tempo, tutti e venticinque”.
Parole queste che esprimono efficacemente un pensiero condiviso da tutti. Al
ritorno a casa ci è stato impossibile non
avvertire la nostalgia di tre giornate dense
di momenti ed emozioni che ognuno porterà sempre nel proprio cuore.
panorama per i giovani
•
41
Il futuro della terza età
42
•
n. 2, maggio-agosto 2010
Primo piano
Vermeer (e non solo)
a Roma
An important exhibition in Rome. The first opportunity to admire so many paintings
by Vermeer in Italy, but to have also a deeper insight into the everyday life of the
seventeenth century Netherlands.
di Francesca Parlati
La grandezza delle opere d’arte non sta nelle loro
dimensioni; eppure per chi non ha mai potuto osservare un dipinto di Jan Vermeer, il primo impatto è davvero straordinario.
Dal 27 settembre al 20 gennaio, alle Scuderie
del Quirinale a Roma, sono esposte ben otto delle
37 opere a lui attualmente attribuite con certezza,
circondate da tele di altri pittori suoi contemporanei e concittadini. Accanto ai lavori del misterioso Vermeer, troviamo dipinti di Jan Van der
Heyden, Daniel Vosmaer, Gabriel Metsu, Pieter
de Hooch, Carel Fabritius e altri, per un totale di
58 quadri.
Questa è la prima grande mostra su Vermeer organizzata in Italia, coprodotta dall’Azienda speciale
Palaexpo e da Mondo Mostre; su di essa sono stati investiti circa due milioni e mezzo di euro, compensati
però dall’altissima affluenza di visitatori: circa 70mila
prenotazioni solo il giorno prima dell’inaugurazione,
con una media di 1.200 visitatori al giorno. Successo coronato nel corso de “La notte dei Musei” del 6
ottobre, quando migliaia di persone hanno visitato le
Scuderie, creando una coda lunga circa un chilometro.
Curatissima come tutte le mostre alle Scuderie,
l’esposizione si snoda per dieci sale, organizzate
per contenuti tematici dei quadri; notevole l’atten-
A sinistra: Johannes
Vermeer, Giovane
donna al virginale
(1670-1673 ca.), olio
su tela, The National
Gallery (Londra).
A destra: Johannes
Vermeer, La suonatrice
di liuto (1662-1663
ca.), olio su tela, The
Metropolitan Museum
of Art (New York).
panorama per i giovani
•
43
Primo piano
Da sinistra: Johannes Vermeer, Ragazza con il cappello rosso (1665-1667), olio su tela,
National Gallery of Art (Washington); Gabriel Metsu, Donna che legge una lettera (16641666), National Gallery of Ireland (Dublino); Gabriel Metsu, Uomo che scrive una lettera
(1664-1666), National Gallery of Ireland (Dublino).
zione che i curatori Sandrina Bandera, Walter
Liedtke e Arthur K. Wheelock Jr. hanno mostrato non solo nel reperire i vari dipinti (di cui
solo due sono di prestatori italiani), ma anche
nel porli in relazione, in modo che il visitatore possa apprezzare non solo Vermeer ma
anche gli altri pittori, magari meno conosciuti
dal grande pubblico. Indubbiamente il pittore
di Delft ha un certo fascino, legato anche al
mistero della sua vita, della quale si hanno
poche notizie certe, come la conversione al
cattolicesimo e la produzione di pochissimi
quadri l’anno. Indubbiamente una parte nella
creazione del mito l’hanno avuta libri come
La ricerca del tempo perduto di Proust e il
ben più recente romanzo della scrittrice Tracy
Chevalier La ragazza con l’orecchino di per44
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la, portato alla ribalta dall’omonimo film di
Peter Webber del 2003.
Notevole anche l’allestimento degli
ampi spazi delle sale delle Scuderie del
Qurinale: date le ridotte dimensioni dei
dipinti, lo spazio delle stanze è stato scandito e ridotto per le loro misure. Appesi
a pannelli color pastello (ideati da Lucio Turchetta), illuminati da suggestivi
faretti che quasi proiettano l’opera al di
fuori della cornice, facendole conquistare
spazio e attenzione. Per non distrarre lo
sguardo del visitatore e non svilire i dipinti, non ci sono pannelli informativi circa
le opere, ma all’ingresso del museo viene distribuito un libretto molto esaustivo,
contenente tutte le informazioni utili per
apprezzare al meglio l’esposizione.
Le prime sale non potevano che introdurre il visitatore nell’Olanda del Seicento,
magistralmente rappresentata in varie tele,
che enfatizzano i temi principali di questa
mostra, rappresentando scene di vita domestica (La stradina, Vermeer) e utilizzando
giochi prospettici (Veduta del Municipio
Nuovo di Amsterdam, Van der Heyden).
Nelle vedute della città irrompono anche
eventi della cronaca contemporanea ai pittori, come l’esplosione del deposito nazionale di polvere da sparo a Delft del 1654,
nel dipinto di Egbert van der Poel.
Nella terza sala emerge un aspetto di
solito trascurato di Jan Vermeer, ovvero
il profondo cattolicesimo, al quale si era
convertito poco prima del matrimonio con
Catharina Bolnes. Il dipinto in questione è
un’effigie di Santa Prassede, il cui culto è
molto diffuso nei paesi fiamminghi.
Primo piano
La parte da leone nella mostra la fanno però le scene di interni, che colgono e
raccontano momenti comuni della ricca
borghesia olandese seicentesca. Colpisce
moltissimo anche l’alto numero di dipinti
che vede al centro dell’opera donne che
scrivono e leggono. Moltissime anche le
scene di concerti privati e di affettuosità
verso gli animali domestici. La mostra dà
quindi l’idea di una borghesia elegante e
raffinata, che dà importanza all’istruzione,
ma anche al linguaggio degli affetti, con
scorci che sembrano essere rubati a piccoli
atti di dolcezza scambiati tra le mura domestiche, al riparo da sguardi indiscreti.
Il tempo nei dipinti è rarefatto e sospeso, una scansione ormai dimenticata, quasi il tempo di leggere una lettera, infilare
l’ago nell’ordito, fare una carezza sulla
fronte di un bambino, una singola nota del
clavicembalo a spezzare il silenzio. Si può
senza dubbio e senza timore di sembrare
pretenziosi scomodare il topos dell’opera
d’arte alla quale manca solamente la parola
per essere viva. Tutte le scene sono curate
nei più piccoli particolari e con un’attenzione puntigliosa nella rappresentazione
dei giochi di luce e di prospettiva. La mostra può anche essere interpretata in questo senso: non solo scene di vita familiare,
ma anche un percorso attraverso le tecniche pittoriche fiamminghe. L’utilizzo del
pointillé per la resa della luce, l’avvalersi
della camera oscura per studiare al meglio
la composizione della scena, la cura quasi
maniacale nella scelta dei pigmenti per ottenere la giusta sfumatura di colore, la resa
dei materiali e delle stoffe, così accurata da
sembrare applicati alla tela e l’attenzione
ai dettagli, rendono queste opere simili a
fotografie, con gli stessi giochi di scorci
fuori fuoco o perfettamente delineati.
Punto negativo della mostra è l’accalcarsi del pubblico di fronte alle opere di
Vermeer, ignorando o mostrando pochissimo interesse verso i dipinti degli altri
pittori, senza provare a cogliere il gioco di
citazioni e rimandi, gli elementi comuni tra
i vari artisti e le particolarità di ciascuno.
Visitando la mostra la cosa che più colpisce è la ridotta dimensione delle opere,
specialmente della Ragazza con cappello
rosso: dopo averla vista campeggiare sugli
autobus e sui manifesti pubblicitari stupisce realizzare che essa è realizzata su una
tavoletta di legno di quercia e che starebbe
comodamente in una mano. Eppure nonostante le dimensioni pari a quelle di un
tablet, la risoluzione dell’opera risulta migliore di quella che un qualsiasi supporto
tecnologico potrebbe mai dare. L’arte, insomma, continua a superare la scienza nel
suo gioco di visioni e richiami...
panorama per i giovani
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Dal Collegio
Un’inaugurazione memorabile
per il Collegio dei Cavalieri
A very special guest, Prof. Francesco Profumo, Minister of Education,
University and Research, inaugurated the new academic year at Lamaro
Pozzani College.
di Davide Brambilla e Nicola Galvani
Il Ministro Profumo ha aperto la sua prolusione dicendosi “molto contento” di essere ospite del nostro Collegio, del quale
aveva già sentito parlare in modo positivo. È stata una grande emozione, per noi
studenti, poter ascoltare in prima persona
colui che per oltre un anno è stato il responsabile di quello che possiamo considerare il nostro “lavoro”. Appena giunto
da Bruxelles, il Ministro ci introduce subito in un’ottica europea: possiamo partecipare alla competizione globale col
Il rischio, dopo una crisi profonda in primo luogo di valori e in seconda analisi
strutturale, è quello di tornare sempre più
a rinchiudersi in se stessi, a lamentarsi
perché l’occupazione è mal distribuita. È
necessario sapersi reinventare e rivedere
molte cose, a partire dall’organizzazione
dei percorsi formativi.
Il Ministro ha detto di non ritenere
preoccupante il brain drain, la cosiddetta
“fuga dei cervelli”; dovremmo piuttosto
favorire sempre più gli scambi, soprattutto nel periodo
della formazione,
L’invito del Ministro Profumo
come l’Europa fa
è a mettersi in discussione,
da ormai ventiaffrontando e superando sfide
cinque anni con il
progetto Erasmus.
nuove e stimolanti.
In questa società
passaporto comunitario, viviamo in una sempre più liquida, il prof. Profumo ci
filiera complessiva che vede posizionati vede girare con uno zainetto, per aggiunin serie e in parallelo tanti popoli, realtà gere, passo dopo passo, conoscenze e crediverse che a loro modo contribuiscono al diti e rimescolarli, rimettendoci sempre
miglioramento della società. Rimprovera in discussione e riaggiornandoci, perché
a noi italiani di essere un po’ provincia- le conoscenze perdono rapidamente la
li: dobbiamo, senza paura, “uscire fuori”, propria spendibilità. Bisogna orientarsi
accedere, come già fanno tante nostre verso strumenti logico-deduttivi, sempre
aziende, al mercato del lavoro europeo. più formativi che informativi. Non ci dob46
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biamo svuotare di conoscenze, ma saperle
gestire per non farci travolgere. Il ruolo
dell’insegnante, maestro o professore,
viene paragonato a quello di un allenatore, o meglio di un direttore d’orchestra,
che sa essere solista, spiegare, passare il
metodo e i concetti per poi lasciar suonare
il complesso. Se prima della rivoluzione
di Gutenberg il sapere era trasmesso oralmente, da uno a pochi, per poi essere accessibile a molti, oggi bisogna imparare
ad aprirsi a una relazione bidimensionale.
Per illustrare alcuni nodi cruciali in
tema di formazione, il Ministro ha citato
alcune considerazioni della commissaria europea alla competitività, la signora
Queen. Ella ha potuto toccare con mano
la qualità del nostro sistema della formazione; prova ne è l’estrema flessibilità dei
nostri colleghi quando si recano all’estero. Siamo però carenti nel valorizzare
capacità e impegno, le cui premesse indispensabili sono l’openness e la trasparenza. Va abbandonata la logica, radicata in
certi ambienti universitari, di cooptazione; se sei bravo e meritevole devi poter
accedere, senza affrontare il veto di chi
è barricato all’interno del sistema, il che
richiede la certezza del metodo, la “cultura” del merito. Non c’è demistificazione
della visione romantica nelle parole di un
professore di ingegneria, ma la chiamata
a rispondere ai fatti con altri fatti. Un altro punto è il tempo. Il ritardare i lavori,
il non arrivare mai in fondo alle opere è
una malattia tutta italiana, che si manifesta spesso nelle scadenze universitarie. Il
Ministro ha raccontato di come ha ridotto,
appena diventato rettore del Politecnico
di Torino, i ritardi nei pagamenti delle ret-
Primo
Dal Collegio
piano
te: semplicemente con una mora. Un patto
chiaro con gli studenti, che dà fiducia, ma
esige il rispetto delle regole, il che vale
anche per i professori.
Un passaggio essenziale che per il Ministro è necessario compiere è poi quello della semplificazione normativa, che
permetterebbe di superare molti ostacoli
e di rendere finalmente operative molte
migliorie. Per alzare la qualità servono
anche criteri di valutazione il più ogget- Sopra: foto di gruppo nella hall del
tivi possibile, con verifiche formali ex Collegio. In basso, a sinistra: il Presidente
della Federazione Nazionale dei Cavalieri
post, che in Italia vengono fatte di rado. del Lavoro Benito Benedini consegna la
Dobbiamo lottare, insomma, per risolvere cravatta del Collegio “Lamaro Pozzani”
molti problemi, organizzativi e non, af- al Ministro dell’Istruzione, Università e
finché, per fare un solo ma significativo Ricerca Francesco Profumo. Nella pagina
precedente: un momento del discorso del
esempio, per ogni euro investito possa Ministro.
esserci dall’Unione Europea un ritorno superiore agli attuali 60 centesimi. Il al Collegio ci sono il Premio Alfieri e, dal
Ministro ha chiuso con un messaggio di 2008, l’Osservatorio dei talenti. La cerisperanza sul futuro: sfida difficile, impe- monia di inaugurazione dell’anno accadegnativa e soprattutto stimolante, dal mo- mico ha offerto al Presidente anche l’opmento che ognuno
ha la possibilità di
La semplificazione normativa è un
disegnare la propassaggio necessario
pria vita.
da compiere per superare
Prima
della
prolusione
del
molti problemi del nostro paese.
Ministro, il Presidente della Federazione Nazionale dei portunità di presentare il nuovo annuario
Cavalieri del Lavoro, Benito Benedini, che raccoglie le schede di tutti i laureati
aveva ribadito che “il Collegio universita- del Collegio dal 1971 al 2011, accomunario ‘Lamaro Pozzani’ è il fiore all’occhiel- ti dall’aver vissuto un’esperienza formatilo della Federazione”. Il Collegio, ha poi va e umana di grande spessore.
Il prof. Tosato, Presidente della Comsottolineato il Presidente, non è l’unica
delle attività sociali e culturali dei Cava- missione per le Attività di formazione dei
lieri volte a premiare il merito, inserendo- Cavalieri del Lavoro, ha ribadito come
si in un’ottica di “sussidiarietà”: accanto l’istituzione si collochi ormai al livello
panorama per i giovani
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47
Il futuro
Dal
Recensioni
della
Collegio
terza età
di altri collegi d’eccellenza, non quanto a
storia passata, ma quanto a proposte culturali, ricchezza degli incontri e trasversalità degli argomenti. Pilastro centrale
delle attività resta il “Corso di cultura per
l’impresa – Cavaliere del Lavoro Gaetano
Marzotto”, che punta a veicolare contenuti e strumenti di carattere economico, giuridico, manageriale. Il professor Tosato ha
poi sottolineato virtù e limiti dell’istruzione italiana. La forza, sostiene, è nei contenuti, a volte ritenuti troppi, ridondanti
o addirittura inutili, ma indispensabili
per dare a ogni studente la possibilità di
sviluppare un proprio pensiero e accedere
in modo maturo al mondo del lavoro. La
piaga che resta aperta, invece, si chiama
organizzazione; è necessario ammodernare e rendere più efficienti le strutture, i
corsi, per dare le migliori condizioni agli
studenti.
Il professor Stefano Semplici, Direttore Scientifico del Collegio, ha presentato al Ministro Profumo le matricole,
alle quali sono stati consegnati il foulard e la cravatta del Collegio. Il Direttore ha ricordato anche i programmi di
internazionalizzazione avviati in questi
anni: il Programma Ponte, destinato a
giovani americani di origini italiane e
aperto a studenti statunitensi, argentini,
brasiliani, ma anche gli “stage d’eccellenza” che offriranno a giovani provenienti dai paesi verso i quali si orienta
il brain drain dall’Italia la possibilità di
un’esperienza in grandi aziende italiane.
Nel rivolgere il suo augurio a tutti gli
studenti, il prof. Semplici lascia parlare
Michael Young; la sua indicazione è che
impegno e merito, quando sono finalizzati
esclusivamente al proprio vantaggio, non
sono moralmente “sufficienti”. L’esempio
dei Cavalieri, benemeriti del Paese, mostra quella “filigrana etica e istituzionale”
che va rinforzata e irrobustita per vincere
le sfide che ci attendono.
Dopo le foto di rito, è il momento
del rinfresco. Anche questo è un momento della giornata che ricordiamo
con piacere…
ERRATA CORRIGE
Nello scorso numero (2/2012) per
un errore materiale, l’articolo “La
tempesta gemella”, a pag. 48, non
è stato attribuito a Livio Ghilardi. Ci
scusiamo con i lettori e con l’autore.
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n. 3, settembre-dicembre 2012
incontri
Tutti gli incontri del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” di questo periodo.
11.10.12. Il Professor Luca Serianni
inaugura il ciclo di incontri serali del
Collegio.
Il Prof. Luca Serianni, ordinario di Storia
della lingua italiana presso “La Sapienza”,
Accademico della Crusca e dei Lincei,
parla della dinamicità dell’italiano
contemporaneo.
15.10.12. Ricerca universitaria e ricerca
industriale. Incontro con il Professor
Pierluigi Ridolfi.
Il Prof. Pierluigi Ridolfi, presidente
dell’Associazione Amici dell’Accademia
dei Lincei, affronta il tema della ricerca
accademica e industriale attraverso l’esempio
della sua esperienza.
22.10.12. Proposte per l’università italiana.
Incontro con il Professor Gustavo Piga.
Il Prof. Gustavo Piga, ordinario di Economia
politica presso l’Università “Tor Vergata”,
propone una riflessione sulle problematiche
dell’università italiana.
25.10.12. L’arte e l’industria
cinematografica nell’esperienza del
Cavaliere del Lavoro Paolo Ferrari.
Il Cavaliere del Lavoro Paolo Ferrari,
presidente di Anica e del Festival del Cinema
di Roma, racconta il suo percorso nel mondo
dell’industria cinematografica.
05.11.12. Un modello di università. Incontro
con il Professor Raul Mordenti.
Il Prof. Raul Mordenti, ordinario di Critica
letteraria presso l’Università “Tor Vergata”,
inquadra le problematiche universitarie in un
diverso modello di sviluppo.
12.11.12. Il sogno di felicità di Nabokov
raccontato da Alessandro Piperno.
Alessandro Piperno, scrittore e docente di
Letteratura francese presso l’Università “Tor
Vergata”, propone una lettura della vita e
dell’opera di Vladimir Nabokov.
15.11.12. Il brain drain in Tunisia. Incontro
con Mohamed Salah Ben Ammar.
Mohamed Salah Ben Ammar, direttore
generale della sanità tunisina, interviene sul
problema del brain drain nel suo paese.
19.11.12. Superare le barriere e condividere
i valori: la realtà del Pakistan presentata
dall’Ambasciatrice Tehmina Janjua.
Tehmina Janjua, Ambasciatrice della
Repubblica Islamica del Pakistan, espone
i molteplici aspetti di un paese in continua
trasformazione.
29.11.12. La libertà religiosa: un diritto
umano fondamentale? Incontro con il
Professor John Loughlin.
Il Prof. John Loughlin, direttore del Von Hügel
Institute presso il St. Edmund’s College
dell’Università di Cambridge, esamina il tema
della libertà religiosa.
29.11.12. Inaugurazione dell’anno
accademico 2012/2013
Il Ministro dell’Istruzione, Università e
Ricerca Francesco Profumo inaugura l’anno
accademico 2012/2013 del Collegio, alla
presenza del Presidente Benito Benedini.
04.12.12. Liberalismo e liberismo. Incontro
con Lapo Berti e Marcello Messori.
Lapo Berti e Marcello Messori delineano una
riflessione sul processo evolutivo delle teorie
economiche, dal liberalismo classico alle sfide
della crisi attuale.
11.12.12. Prospettive per la finanza
pubblica. Incontro con Mauro Marè.
Mauro Marè, presidente di Mefop e docente
di Scienza delle finanze all’Università della
Tuscia, analizza i principi e le sfide della
finanza pubblica in Italia.
20.12.12. La crisi vista dall’America.
Incontro con Matteo Iacoviello.
Matteo Iacoviello, laureato del Collegio e Senior
Economist della Federal Reserve, analizza la
crisi europea e il suo impatto sugli Stati Uniti.
21.01.13. I colori del Vietnam: musica e
danza tradizionale per celebrare le giornate
vietnamite in Italia.
Gli studenti del Collegio assistono allo
spettacolo di musica e danza tradizionale
vietnamita all’Auditorium Parco della Musica
di Roma.
24.01.13. Energia per il pianeta. Incontro
con il Professor Roberto Capuzzo Dolcetta.
Il Prof. Roberto Capuzzo Dolcetta, docente
di Fisica e Astrofisica presso “La Sapienza”,
affronta la questione energetica proponendo la
fusione nucleare come soluzione per il pianeta.
www.cavalieridellavoro.it
Notizie e informazioni aggiornate settimanalmente
I Cavalieri
Un archivio con l’elenco di tutti i Cavalieri del Lavoro
nominati dal 1901 a oggi e più di 550 schede biografiche
costantemente aggiornate
La Federazione
Che cos’è la Federazione Nazionale dei Cavalieri del
Lavoro, la composizione degli organi, lo statuto e le
schede di tutti i presidenti
I Gruppi
Le pagine dei Gruppi regionali, con news, eventi e tutte
le informazioni più richieste
Le attività
Gli obiettivi della Federazione, la tutela dell’ordine, i
premi per gli studenti e i convegni
Il Collegio
Il Collegio Universitario “Lamaro-Pozzani” di Roma e i
nostri studenti di eccellenza
Le pubblicazioni
I volumi e le collane pubblicati dalla Federazione, la
rivista “Panorama per i Giovani” e tutti gli indici di
“Civiltà del Lavoro”
L’onorificenza
La nascita e l’evoluzione dell’Ordine al Merito del Lavoro,
le leggi e le procedure di selezione
La Storia
Tutte le informazioni su più di cento anni di storia
...e inoltre news e gallerie fotografiche sulla vita della
Federazione.
È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE.
A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione
ed è in questo che noi crediamo.
Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola
produzione.
È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa,
ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente
ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura.
Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza.
L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine
o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande.
È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti
è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato.
Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.