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"La vocazione dell`uomo alla famiglia, al lavoro e alla festa: il
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"La vocazione dell'uomo alla famiglia,
al lavoro e alla festa: il Pentateuco"
Don Federico Giuntoli, docente di esegesi presso il Pontificio Istituto
Biblico di Roma.
Alcune parole di introduzione
Introduzione remota
-
La “Storia di Giuseppe” costituisce la quarta sezione della terza
parte in cui può dividersi il libro della Genesi.
-
1 parte) la Creazione (cc. 1 – 2); 2 parte) Il cammino dell’uomo di
allontanamento da Dio (cc. 3 – 11); 3 parte) I Patriarchi (cc. 12 –
50): sezione a) Abramo; sezione b) Isacco; sezione c) Giacobbe;
sezione d) Giuseppe.
-
Questa storia non costituisce solo l’apice di un libro biblico (la
Genesi) perché si trova alla sua fine… Essa costituisce anche
l’apice del disegno di Dio per quanto riguarda la ricostruzione, la
restaurazione della sua amicizia e della sua alleanza con l’uomo
e la sua famiglia.
-
Dopo la descrizione della creazione e del piano di Dio sul creato
in Gn 1 – 2, infatti, la Genesi non ci descrive che la graduale
distruzione della relazione fra Dio e l’uomo, per colpa di
quest’ultimo.
-
Il piano di Dio era quello di abitare perennemente in compagnia
dell’uomo: cf. la bella immagine di Dio che passeggia con la sua
creatura nel giardino di Eden alla brezza del giorno… (cf. Gn
3,8).
-
In Gn 3 si descrive la separazione dell’uomo e della donna da
Dio (cf. il peccato di Adamo ed Eva)…;
-
In Gn 4 si descrive la separazione dell’uomo dall’uomo (cf. il
peccato di Caino)…; in Gn 11 si descrive la separazione
dell’uomo dalla sua terra e, dunque, dal lavoro (cf. il peccato
della torre di Babele: l’uomo si vuole innalzare…, vuole prendere
distanza dalla terra...).
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Non ci dimentichiamo, infatti, che la vocazione originaria al
lavoro dell’uomo era proprio quella di essere agricoltore (“Il
Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché
lo coltivasse e lo custodisse” [Gn 2,15]).
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In altri termini, i primi 11 cc. della Genesi ci descrivono la
rottura, la frazione, la frammentazione del primitivo piano di
Dio, che contemplava l’amorosa relazione dell’uomo con Dio, col
suo simile, con la sua terra.
-
I cc. di Genesi da 12 a 50 possono dunque leggersi come una
progressiva risposta ai tre peccati, come una progressiva
restaurazione dell’antico piano di Dio.
-
Abramo è colui che riallaccia la relazione con Dio attraverso la
sua fede cieca ed obbediente (cf. Adamo ed Eva); Giacobbe,
attraverso anche le vicende con suo padre Isacco, va oltre e si
riconcilia col fratello Esaù (cf. Caino e Abele).
-
Giuseppe attua tutte e tre le riconciliazioni: a) vive alla presenza
di Dio (pur anche se non ne parla praticamente mai); b) al
termine di un lungo e faticoso cammino si riconcilia con tutti i
suoi fratelli; c) si riconcilia con la terra e con il lavoro, mostrando
saggezza politica ed economica, distribuendo equamente i beni,
dando a tutti da mangiare dei frutti del lavoro dell’uomo…
-
È anche per queste cose che la “Storia di Giuseppe” è
importante… Essa, tra l’altro, ci offre anche un primo abbozzo,
una sorta di pregustazione della redenzione attuata secoli più
tardi da Cristo.
-
Giuseppe,
infatti,
può
essere
contemplato
come
una
prefigurazione di Gesù, venuto sulla terra per cercare i suoi
fratelli che si erano allontanati da lui, a cercare le “pecore
smarrite”.
-
Giuseppe, l’uomo giusto, ha vissuto una vita ricca di fede, di
speranza, di carità…eppure si vede rigettato dai suoi fratelli;
come il Servo del Signore di Is 53 fu venduto; come Gesù stesso
è stato venduto; alla fine, però, diventa “la pietra scartata dai
costruttori” che si fa salvezza per i suoi fratelli…
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Già san Bernardo di Chiaravalle diceva: “Spogliate Giuseppe e
troverete Gesù”!
Introduzione prossima
-
Il racconto della “Storia di Giuseppe” è decisamente il più lungo
di quelli raccontati dalla Scrittura. E, come vedremo, è un
racconto assai particolare per essere un racconto “ispirato”…
-
La storia è decisamente il contrario di un racconto pio ed
edificante. È una vicenda intrisa di una umanità intensa e di un
realismo spesse volte crudo.
-
I suoi personaggi, cioè, non sono eroi leggendari. Non sono nemmeno
“santi”. Tutta la storia si gioca su questa terra ed è tessuta
apparentemente solo dagli intrighi e dalle vicende degli uomini.
-
In tutta la storia, infatti, non sono mai narrate visioni di Dio o di
angeli, non ci sono interventi di esseri divini. A differenza degli
altri racconti patriarcali, non vengono neppure mai menzionati i
famosi santuari della Palestina (Sichem, Bethel, Hebron…). Il
tutto della storia si svolge al di fuori dei sacri recinti; il tutto si
gioca
nello
spazio
e
nel
tempo
dell’esistenza
profana
dell’umanità. In altri termini, essa è una storia del tutto laica.
-
Non viene mai riportata alcuna preghiera, non viene mai
descritta alcuna liturgia, alcun atto cultuale…
-
In questa storia si parlerà parecchio di sogni… tuttavia, a
differenza dei sogni degli altri patriarchi, questi sogni non
trasmettono mai alcuna rivelazione divina. I sogni di cui si parla
hanno un carattere squisitamente e spiccatamente profano.
-
Una storia, dunque, totalmente priva di miracoli, senza liturgie,
senza sacerdoti, senza riti sacri… che si colloca in maniera
decisamente particolare fra i racconti da Dio ispirati...
-
L’autore
non
parla
mai
di
Dio
direttamente.
Qualche
personaggio della storia a volte parla di Dio, ma mai con Dio.
-
Questi aspetti mi sembra contribuiscano notevolmente ad
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avvicinare questa storia a ciascuno di noi: nessuno di noi, credo,
ha avuto particolari rivelazioni divine, sul tipo delle “visioni” o
dei “dialoghi”, come quelli che ebbero sia Abramo che Isacco e
Giacobbe… Qui il tutto è molto terrestre...
-
Ebbene, Giuseppe diviene simile a noi anche in questo…
-
Ma essa non è affatto una storia senza Dio. Anzi, Dio è
discretamente
intervenendo
onnipresente.
mai
Si
direttamente
potrebbe
nella
dire
storia,
fa
che,
sì
non
che
i
personaggi della vicenda (e noi che li seguiamo attraverso il testo
scritto) debbano scoprirlo passo dopo passo nelle varie vicende.
-
Mentre nella vicenda degli altri patriarchi egli appare come
dall’alto, viene da sopra per illuminare…, nelle vicende di
Giuseppe Dio è dentro…
Gn 37 – Giuseppe venduto
Lectio di Gn 37
-
a) L’inizio della narrazione in 37,2 può sorprenderci: “Questa è
la storia di Giacobbe: Giuseppe aveva diciassette anni…”.
L’autore avrebbe potuto più coerentemente iniziare così: “Questa
è la storia di Giuseppe: Giuseppe aveva diciassette anni…”...
-
Questo strano modo di presentare le storie è ben conosciuto
dalla Bibbia. Giunta ad un certo punto, la vita del padre è legata
a quella del figlio.
-
Così avviene per Abramo con suo figlio Isacco; così per Isacco
con i suoi figli Giacobbe e Esaù…
-
Il figlio entra in scena e giunge ad essere protagonista già nella
vita del padre…
-
È quello che accade normalmente e naturalmente anche nelle
nostre famiglie…
-
b) Fra l’altro, sempre l’inizio di questo brano ci mette dinanzi
un’altra sottolineatura. “Giuseppe aveva diciassette anni e
pascolava il gregge con i fratelli. Aiutava i figli di Bila e Zilpa,
mogli di suo padre, e portò al padre cattive informazioni sul
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conto dei fratelli” (cf. 37,2). Bila e Zilpa erano “mogli” di
Giacobbe, così come Rachele e Lea. Un padre con quattro mogli
(due legittime e due schiave); figli di un unico padre ma con
diverse madri…
-
Qual è dunque il punto di partenza di questa storia? Una
famiglia divisa e non nella concordia (un unico padre; più mogli;
figli avuti da diverse madri; i pettegolezzi di Giuseppe…). Questo
è il punto di partenza…!
-
Un altro aspetto, questo, mi parrebbe, che contribuisce ad
avvicinare questa storia alle varie “irregolarità” familiari della
nostra società, forse, in parte, anche alle nostre…
-
c) Gn 37,3: “Israele preferiva Giuseppe tra tutti i suoi figli perché
gli era nato quand’era vecchio, e gli aveva fatto una tunica con
delle lunghe maniche”.
-
“Israele preferiva Giuseppe tra tutti i suoi figli…”. Il tema della
“preferenza” non è raro nella Scrittura… Una tale tematica può
turbare il nostro modo di vedere o di pensare… Può addirittura
sconvolgerci nel caso in cui si constata che Dio stesso, in
persona, “preferisce” qualcuno a scapito di qualcun altro…
-
Ad esempio, la preferenza di Dio per Abele scatenò l’invidia e
l’odio di Caino (cf. Gn 4)… Oppure, passando alla preferenza
degli uomini, si vede come Giacobbe, il padre di Giuseppe, fosse
il preferito di sua madre, Rachele; mentre Esaù, il fratello, fosse
il preferito di Isacco, il padre (cf. Gn 25)…
-
Sempre rimanendo all’interno di questa strana famiglia, si può
anche ricordare che Giacobbe amava Rachele molto più di Lea
(cf. Gn 29)…
-
Facendo qualche salto in avanti si vede come questa tematica
della “preferenza” coinvolga, ad esempio, anche il re David. Egli
era il più piccolo dei suoi fratelli, ma non era tanto il preferito di
suo padre, Iesse. David era troppo piccolo e il padre Iesse non lo
considerava tanto… Tuttavia, Dio in persona, lo preferì sopra
tutti i suoi fratelli (1 Sam 16,11)…
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Per fare un salto nel NT, si potrebbe ricordare anche “il
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discepolo che Gesù amava”, quello che ci viene presentato dal
vangelo secondo Giovanni in un rapporto “privilegiato” con
Gesù…
-
Il volontariato in parrocchia e le “preferenze”… Preferenze a voler
collaborare con qualcuno invece che con altri…; preferenze di
preti…; i preti che fanno preferenze…; preferenze in famiglia, tra
fratelli, tra figli, tra genitori...; preferenze tra amici... E da qui le
gelosie, i ricatti affettivi, le permalosità, le invidie, ...
-
La preferenza, si è visto, è un ambito pure biblico… C’è, però,
una preferenza buona, dettata dalla logica imperscrutabile
dell’amore…, e una cattiva, dettata dalle bramosie e dalle gelosie
personali…
-
Tornando
alla
nostra
storia,
quale
risultato
produce
la
preferenza del vecchio Giacobbe nei confronti di Giuseppe, il
figlio avuto in vecchiaia, all’interno di questa famiglia? L’odio.
L’odio di tutti i fratelli verso Giuseppe, il loro fratello minore.
-
“I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i
suoi figli, cominciarono ad odiarlo e non potevano parlargli
pacificamente” (cf. 37,4).
-
Per il semplice fatto che Giuseppe è amato, gli altri lo odiano.
Detto diversamente, la predilezione del vecchio Giacobbe rende
Giuseppe odioso ai fratelli.
-
Un sano amore “preferenziale” può scatenare l’odio nei soggetti
che non vivono responsabilmente la loro vita in mezzo ai
fratelli…
-
Ma perché questa predilezione del vecchio Giacobbe per
Giuseppe? E perché quest’odio scatenato nei suoi fratelli?
-
Gli antichi commentatori cristiani della Scrittura hanno visto in
Giuseppe la stessa immagine di Gesù, il Figlio di Dio.
-
Scrive Ruperto di Deutz, un monaco benedettino dell’XI secolo:
“Chi può dubitare che il Padre non ami questo Giuseppe? Il
Padre infatti — dice Giovanni — ama il Figlio e tutto ha posto
nella sua mano (cf. Gv 3,35), generandolo nella vecchiaia
dell’eternità: quella vecchiaia per la quale egli è detto ed è
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l’«antico di giorni» (cf. Dn 7,13). In quella vecchiaia, in
quell’antichità di natura senza numero di anni, senza inizio di
giorni, senza successione di tempi, quel Padre vecchio e antico
generò il Figlio ugualmente vecchio e antico: e per questo lo
amò” (cf. De sancta Trinitate et operibus eius, VIII, 504-505).
-
Mi pare stupenda questa analogia che Ruperto traccia tra la
vecchiaia di Giacobbe, la “vecchiaia” di Dio e l’amore che
scaturisce da questa vecchiaia per il figlio…
-
Così, l’incapacità dei fratelli di Giuseppe, il prediletto, di
“parlargli pacificamente” si trova a richiamare indirettamente
anche la vicenda di Cristo, il Figlio prediletto del Padre (cf. Mt
3,17).
-
A proposito di questo, in Gv 15,25 c’è un’esplicita dichiarazione:
“Mi hanno odiato senza ragione” (cf. Sal 35,19; 69,5).
-
Ma interessante è anche la sottolineatura di Gv 7,7: “Il mondo
non può odiare voi ma odia me, perché attesto che le sue opere
sono cattive”… Cf. Giuseppe che portò al padre cattive
informazioni sul conto dei fratelli (cf. 37,2b)…!
-
Sembra quasi che l’amore sia destinato a suscitare l’odio. Anzi,
sembra che questa sia una caratteristica che contraddistingue
lo stesso amore di Dio…
-
Cristo suscita l’amore negli uomini, ma questo amore nasce
paradossalmente solo dopo la sua crocifissione, solo dopo cioè
che si è scatenata una violenza tale da ucciderlo. Questo è vero
anche per Giuseppe…
-
…“E dicevano [i fratelli]: Ecco, arriva il sognatore! Uccidiamolo e
gettiamolo in una cisterna; poi diremo che lo ha divorato una
bestia! Così vedremo dove andranno a finire i suoi sogni!” (cf.
37,19-20).
-
Solo dopo che l’uomo ha risposto con la violenza all’amore di
Dio, solo dopo che Dio per amore è arrivato a subire la
sofferenza e la morte… solo allora, di fronte al corpo morto di
Cristo, l’uomo è capace di fare un gesto di amore verso Dio,
avvolgendo nella tenerezza di un sudario il suo corpo morto.
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Ancora un’analogia con Giuseppe è fin troppo facile: solo dopo
tutte
le
vicissitudini
dell’odio
dei
fratelli,
scaturirà
la
riconciliazione con lui…
-
Si potrebbe fare una seconda considerazione su questo amore
“preferenziale” del vecchio Giacobbe nei confronti di Giuseppe in
relazione all’odio che scatena nei fratelli.
-
Se io percepisco quanto una persona mi ama, non posso odiare
un altro che lei ama, perché facendo del male a quell’altro, io
faccio del male a quella stessa persona che mi ama…
-
“Quando avrete (o non avrete) fatto queste cose ai miei fratelli
più piccoli le avrete (o non le avrete) fatte a me” (cf. Mt 25,40)…
-
In questo senso, l’odio dei fratelli per Giuseppe diventa un
attacco a Giacobbe (la triangolazione...)
-
L’odio dei fratelli per Giuseppe è odio per la stessa predilezione
paterna e, dunque, odio per lo stesso padre…
-
Torna alla mente l’atteggiamento del figlio maggiore della
parabola del padre misericordioso…: dietro il risentimento nei
confronti del suo fratello minore era in realtà celato un
risentimento nei confronti del padre…!
-
Ugualmente, in un modo irresponsabile di vivere la nostra vita
di fede all’interno di una famiglia, il nostro “odio” scaturito dalle
nostre gelosie diviene sempre un attacco indiretto al Padre…
-
Spogliare Giuseppe della tunica ricevuta in regalo dal padre (cf.
37,23) è dunque tentare di spogliare il padre dell’amore con cui lo
ama… il cui frutto si era concrezionato proprio in quel regalo…
-
Torna qui alla mente anche la parabola dei vignaioli omicidi di
Mt 21,33-39…: I vignaioli, uccidendo prima i servi inviati dal
padrone e poi, da ultimo, il figlio proprio del padrone,
intendevano colpire il padrone stesso!
-
Forse è perché Giuseppe (o qualsiasi altro al suo posto) ha una
missione particolare da compiere rispetto agli altri fratelli che
egli riceve “più” amore… ed è in grado di effonderne egli stesso
di più…
-
In fondo, per fare un altro salto nel NT, anche a Pietro (a cui
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viene chiesto di essere di guida alla piccola comunità dei dodici
dopo l’ascensione di Gesù…) viene chiesto da Gesù in persona
se ama “di più” degli altri…
-
Anche tutti noi, credo, vorremmo essere amati “di più”… salvo
però voler lavorare di meno…!
-
A chi più viene dato vengono anche richieste maggiori
responsabilità…
-
Spesso, però, le nostre gelosie, proprio anche intra-familiari
(famiglia di provenienza, ma anche famiglia parrocchiale e
diocesana), scattano in modo impazzito: si è gelosi solo per ciò
che l’altro ha o è… salvo poi non volere affatto assumere le
responsabilità o gli oneri che, forse, l’altro continua ad avere più
di noi… e che sono legati a quel “di più” che ha o è!
-
Diviene dunque importante sapersi ridimensionare alle reali
nostre dimensioni...
-
Giuseppe, dunque, è “più” amato da Giacobbe e i suoi fratelli lo
odiano…
-
Non è che, per il fatto che Giuseppe è amato “di più”, con il loro
odio i fratelli aspirano a “più” amore da parte di Giacobbe… No:
essi vorrebbero solo che Giacobbe amasse di meno!
-
I fratelli gelosi, cioè (e spesso noi con loro…), tendono ad un
livellamento dell’amore verso il basso!
-
Loro non arrivano a capire… e vorrebbero che Giacobbe
abbassasse il tiro…! Questo, infatti, fa sempre il geloso:
arrovellarsi per diminuire l’amore, non per infiammarlo e
accrescerlo ancor di più...
-
Dianzi ricordavo il segno dell’amore di Giacobbe per Giuseppe:
la veste dalle lunghe maniche che gli fece confezionare e che i
fratelli, nella foga del loro odio, gli tolgono di dosso prima di
gettarlo in una cisterna senz’acqua …e che poi intingeranno nel
sangue di un capretto facendo credere al vecchio padre che
Giuseppe fu sbranato da una bestia…
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Una veste con maniche lunghe era la veste dei prìncipi (cf. 2
Sam 13,18: la veste dei figli dei re…). Con maniche lunghe e
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abbondanti, infatti, si lavora molto difficilmente nei campi o col
bestiame…
-
-
Tuttavia, questa veste dalle lunghe maniche frutto dell’amore del
padre, ricorda non molto da lontano la veste “senza cuciture” di
Cristo, “tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo” (cf. Gv 19,23).
Altra caratteristica che ci continua a invitare ad accostare
Giuseppe a Gesù…
-
Ma cerchiamo di esaminare ora un altro aspetto da cui è
scaturito l’odio dei fratelli verso Giuseppe. Se, da una parte, si è
visto, esso è da rintracciarsi nel plus di amore con cui Giacobbe
lo ricolmava; dall’altra, esso può ricondursi al contenuto dei due
sogni che Giuseppe sognò e che un po’ spavaldamente
raccontò…
-
Per pura analogia tornano alla mente i tre sogni di un altro
Giuseppe, lo sposo di Maria, che fra il tempo d’Avvento e di
Natale abbiamo sentito raccontare diverse volte…
-
Quelli di Giuseppe, però, a differenza di quelli dell’altro
Giuseppe, sono anzitutto sogni “laici”, come dicevamo: nessuna
voce dal cielo e nessuna visione… Semplicemente un sogno
“agricolo” (il covone di Giuseppe che si innalza sopra i covoni dei
fratelli che, al contrario, gli sono prostrati…) e un sogno
“astrologico” (il sole, la luna e undici stelle che si prostravano a
Giuseppe…).
-
Ora, un ragazzetto di diciassette anni come Giuseppe che si
mette a raccontare sogni di questo tipo ci pare subito un po’
particolare…
-
Egli racconta a suo padre e ai suoi fratelli di aver sognato che i
suoi stessi fratelli si prostravano a lui in adorazione (i covoni…)
e che suo padre (il sole), sua madre (la luna) e tutti gli altri suoi
fratelli (le 11 stelle) continuavano a prostrarglisi…
-
Un ragazzetto, dunque, decisamente ingenuo…! E forse anche
un po’ vanesio…!
-
Da una parte, allora, i fratelli si ingelosiscono ferocemente fino
ad odiarlo e a meditare di ucciderlo; dall’altra, il padre Giacobbe
che col suo modo di fare ricorda alla lontana un atteggiamento
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tipico di Maria…:
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Cf. 37,11: “I suoi fratelli, perciò, erano invidiosi di lui, ma suo
padre tenne a mente la cosa”… Cf. Lc 2,19.51: “Maria, da parte
sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”…
-
È ben probabile che Giuseppe nutrisse delle forti fantasie a
riguardo di se stesso…
-
Forse pensava ad una carriera di onori; forse ad una sua reale
supremazia su tutti gli altri fratelli… Ma forse, anche, in modo
anche più positivo, poteva sognare una grande missione per il
suo popolo; forse guardava a se stesso come un salvatore…
-
Il sogno del sole, della luna e delle stelle evoca molto da vicino lo
zodiaco… Tutto uno zodiaco che si prostra a lui. Lo zodiaco era,
ed è, un chiaro simbolo del tempo, del tempo che passa…
-
Sognare, dunque, di essere al centro dello zodiaco è sognare di
essere al centro del tempo! Significava voler salvare il tempo, il
suo tempo…!
-
Qual è il grande errore di Giuseppe in questa prima fase della
sua vita? Probabilmente è quello di pensare di poter compiere
grandi imprese senza pagare alcun prezzo!
-
Giuseppe pensava forse ad un successo immediato… o che suo
padre e soprattutto i suoi fratelli capissero subito i suoi piani, o,
meglio, quelli di Dio…
-
Cosa ci insegna tutto questo in rapporto alla responsabilità con
cui siamo chiamati a vivere le nostre relazioni familiari? Una
cosa molto semplice…: Che il raggiungimento dell’assumersi le
nostre responsabilità (nel matrimonio, nelle relazioni genitorifigli, nuore-suocere, con noi stessi, nella parrocchia, nella
diocesi…) è un cammino.
-
Del resto, anche Gesù in persona ha avuto dei sogni, ha
desiderato di salvare il mondo e l’umanità… Il tentatore gli ha
proposto una maniera sbagliata per realizzarli; una strada facile
e a poco prezzo; una via veloce… Ma Cristo l’ha rifiutata… (cf.
Mt 4,1-11).
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L’esperienza del sogno è come una esperienza profetica che
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rende l’uomo partecipe dello sguardo di Dio su di lui, sulla vita,
sulla storia, su qualsiasi realtà. Per un istante Giuseppe
intravede la realizzazione della sua vocazione… ma poi avrà
bisogno di tutta la vita per maturare e formarsi…
-
Questo accade spesso anche per noi e per i nostri sogni…
-
Cf. 37,12-15: “I suoi fratelli si trasferirono a Sichem a pascolare
il gregge del padre. Israele disse a Giuseppe: «I tuoi fratelli si
trovano a pascolare in Sichem. Ti voglio mandare da loro».
Rispose: «Eccomi». Gli disse: «Va’ a vedere come stanno [la pace
dei”] i tuoi fratelli e come va il gregge. Poi torna a riferirmi». Così
lo inviò dalla valle di Ebron ed egli si diresse verso Sichem”.
-
Da Ebron, dove abita la famiglia di Giacobbe, a Sichem, dove i
fratelli sono a pascolare il bestiame, ci sono più di ottanta
chilometri. Il percorso che Giuseppe deve fare è in aperta
campagna, accidentato.
-
Anche il fatto che il giovane Giuseppe debba affrontare un
viaggio così lungo e pericoloso è indice di una sicurezza e di una
tranquillità che può avere solo chi si sente profondamente
amato…
-
Allo stesso modo del Figlio di Dio che si allontana dal seno della
Trinità, dal seno del Padre, per venire in mezzo agli uomini…
-
Inoltre, il padre che invia Giuseppe a cercare i fratelli è un’altra
immagine che ci ricorda Cristo inviato dal Padre a cercare gli
uomini per riunirli e salvarli…
-
In questo senso, è Giuseppe in persona a rivelare, senza saperlo,
la sua autentica vocazione: all’uomo che incontrerà mentre era
mezzo sperduto nei campi, Giuseppe risponderà: “Cerco i miei
fratelli” (cf. 37,16)!
-
La notevole distanza geografica quantificabile negli 80 chilometri
che separano Ebron da Sichem ci ricorda anche una “distanza
interiore”… ovvero la lunga distanza che separa da loro stessi i
membri di questa famiglia così divisa…
-
Fra l’altro, si potrebbe anche paragonare un po’ liberamente
questo giovinetto che si avvia lieto verso i fratelli che, invece,
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meditano di farlo fuori, alla feroce opposizione verso cui va
incontro Gesù proprio agli inizi della sua vita pubblica: quando,
in giorno di Sabato, nella sinagoga di Cafarnao, compì il
miracolo di guarigione all’uomo dalla mano inaridita mentre “i
farisei uscirono con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui
per farlo morire” (cf. Mc 3,6).
-
“Cerco i miei fratelli”, dunque. È tutta qui la vera essenza del
vivere da responsabili una vita umana e di fede all’interno di
una comunità familiare, così come parrocchiale e diocesana.
-
Ma c’è un’altra immagine in questo inizio di racconto che
contribuisce ancora a farci accostare la figura di Giuseppe a
quella di Cristo.
-
In 37,23-25a si dice: “Quando Giuseppe giunse dove stavano i
suoi fratelli, essi gli tolsero la tunica, quella tunica dalle lunghe
maniche che egli indossava; lo afferrarono e lo gettarono in una
cisterna. Era una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per
prendere cibo”.
-
Secondo Gv 19,23, Cristo, prima di essere crocifisso, fu denudato:
“I soldati, quand’ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne
fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e anche la tunica.
Ma la tunica era senza cucitura, tessuta da cima a fondo tutta di
un pezzo”. Cristo, infatti, dalla croce regnerà nudo.
-
Questa immagine mi sembra confermi quanto dicevo dianzi.
Strappando di dosso a Giuseppe l’oggetto regalato dall’amore del
vecchio padre, con anche la lucida volontà di ucciderlo, è come
se essi volessero strappare a Giuseppe lo stesso amore del
padre. È come se essi, accecati dalla gelosia, volessero
impossessarsi dello stesso amore del padre…
-
In altri termini, chi è fuori dell’amore del padre crede di potersi
impossessare
di
quell’amore
tramite
la
violenza,
facendo
pressione a tutti i livelli per essere amato… senza accorgersi,
però, che in questo modo l’amore lo perde ancora di più…
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Pietro Crisologo, vescovo, V sec. circa (discorso 147; PL 52, 594595): “L’amore non si arresta davanti all’impossibile, non si
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attenua di fronte alle difficoltà. L’amore, se non raggiunge quel
che brama, uccide l’amante; e perciò va dove è attratto, non dove
dovrebbe. L’amore genera il desiderio, aumenta d’ardore e
l’ardore tende al vietato” (cf. anche l’Ufficio di Letture, Giovedì
della II sett. di Avvento).
-
Per verificare la bontà di quanto qui espresso da Pietro Crisologo
non occorre andare alla volontà omicida dei fratelli di Giuseppe
per impossessarsi dell’amore del padre…: basta sfogliare le
pagine di cronaca nera dei quotidiani, ma basta anche vedere
bene, con onestà, dentro le nostre famiglie…
-
Giuseppe, dunque, prima di essere venduto (grazie all’intervento
prima di Ruben, il primogenito, e poi di Giuda, il quartogenito), viene
buttato nudo in una “cisterna vuota, senz’acqua”. dice il testo.
-
Tutto questo è come la morte per Giuseppe: è spogliato della
tunica, segno dell’amore di predilezione del padre; è lontano dal
padre; è abbandonato dai fratelli… È proprio l’immagine del
giusto che grida secondo il Sal 22,2: “Dio mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato?”.
-
È un’immagine che ben si sovrappone a quella di Cristo sulla
croce: nudo, infinitamente lontano dal Padre, abbandonato da
tutti i suoi fratelli…
-
È l’immagine di Gv 12,24 del chicco di grano che cade in terra
per marcire e per portare vita nuova…
-
È l’immagine del giusto Giuseppe che sta per essere venduto per
20 pezzi d’argento, che prefigura quella della vendita del giusto
Gesù per 30 pezzi d’argento (cf. Mt 26,15)…
-
Gesù valse 10 pezzi d’argento in più di Giuseppe…
-
Eppure, come accadde per Gesù molti secoli dopo, anche per
Giuseppe, da questa situazione di morte, stava per germogliare
una nuova possibilità di vita…
-
Ancora un’ultima sottolineatura.
-
I fratelli di Giuseppe, con tutta la loro invidia, poi trasformata in
odio, e con il loro sbarazzarsi di Giuseppe, si è visto,
intendevano tacitamente guadagnarsi il cuore del padre…
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-
Ma in realtà l’hanno perduto. Dall’eliminazione del fratello non è
venuta né pace né libertà.
-
Cf.
37,31-35:
“31
Presero
allora
la
tunica
di
Giuseppe,
scannarono un capretto e intinsero la tunica nel sangue.
32
Poi
mandarono la tunica dalle lunghe maniche facendola pervenire
al loro padre con queste parole: «L’abbiamo trovata; vedi tu se
sia la tunica di tuo figlio o no».
33
Egli la riconobbe e disse: «La
tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato... Giuseppe è
stato sbranato!».
34
Giacobbe si stracciò le vesti, si pose un
cilicio attorno alle reni e fece lutto sul suo figliolo per molti
giorni.
35
Allora tutti i suoi figli e le sue figlie vennero a
consolarlo, ma egli rifiutò d’essere consolato e disse: «No, io
voglio scendere in lutto dal figlio mio nella tomba». E il padre
suo lo pianse”.
-
In questo brano si celano due particolari di una ironia davvero
drammatica…
-
Il primo. In Gn 27 Giacobbe, su suggerimento di Rebecca, si era
“travestito” da Esaù — uomo molto villoso, come ci riporta la
Scrittura — coprendosi le braccia con delle pelli di capretti al
fine di ingannare il padre, cieco, e rubargli così la benedizione…
-
Ora, lo stesso Giacobbe, sempre per mezzo del sangue di un
capretto, viene ingannato dai suoi figli…!
-
Il secondo. I fratelli di Giuseppe, con l’espediente della tunica
insanguinata, fanno credere al padre che il suo figlio più piccolo
è stato sbranato da una bestia feroce. In realtà sono i fratelli
stessi ad essere stati delle bestie feroci nei confronti di
Giuseppe!
-
Il padre ha visto bene: il figlio è stato vittima di bestie feroci! Non
sa, però, che esse erano proprio i suoi figli…!
-
Qualche volta, all’interno delle nostre famiglie, ma anche
all’interno delle nostre parrocchie o delle nostre diocesi, si
celano, come qui, relazioni celate, nascoste, pericolosamente
non viste o non espresse...
-
Da questo momento in poi, Giacobbe saprà che suo figlio
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Giuseppe è definitivamente morto. E morto diventa anche per i
fratelli. Anche Giacobbe è messo in qualche modo a morte:
“Allora tutti i suoi figli e le sue figlie vennero a consolarlo, ma
egli rifiutò d’essere consolato e disse: «No, io voglio scendere in
lutto dal figlio mio nella tomba». E il padre suo lo pianse” (cf.
37,35).
-
Dalla bugia e dall’inganno scaturisce la morte…
-
È lo stesso vangelo che mette in evidenza il nesso tra l’omicidio e
la menzogna: il diavolo è omicida e insieme padre della
menzogna (cf. Gv 8,44).
-
Il capitolo termina, dunque, con un bilancio tragico: un padre
ingannato da una menzogna che lo divora e lo consuma; un
fratello venduto in un paese lontano; un gruppetto di fratelli
ingannatori. Fratelli che non possono nemmeno ridare una
speranza al padre perché essi sperano il contrario: che Giuseppe
non ricompaia più!
-
Gli stessi fratelli, fra l’altro, si ritrovano ad essere divisi: Ruben
voleva che Giuseppe non fosse ucciso con spargimento di
sangue ma che venisse lasciato in una cisterna vuota nel
deserto… (cf. 37,22). Anche Giuda non voleva che Giuseppe
venisse ucciso: propose, però, di venderlo ad una carovana di
Ismaeliti che stava passando… (cf. 37,26).
-
Il capitolo, dunque, si chiude in un totale disordine, esteriore e,
soprattutto, interiore…: un quadro abbastanza allucinato di una
famiglia disgregata, in cui ogni proporzione è risultata del tutto
impazzita.
-
Qui non c’è spazio per un equilibrio e nemmeno per una sinergia
tra le varie dinamiche della vita familiari, tra cui, per l’appunto,
il lavoro e la festa...
-
“Vedremo dove andranno a finire i suoi sogni” (cf. 37,20b),
dicevano i fratelli mentre meditavano di uccidere Giuseppe…
-
È quello che cercheremo di vedere anche noi nel prossimo
incontro.
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