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Dispensa
Master MySolution | 2016-2017
Seconda giornata
La quotidianità in studio:
gli errori da evitare per non
incorrere in responsabilità professionali
Dispensa chiusa in redazione il 11 novembre 2016
www.mysolution.it
Sommario
Sommario
Programma della giornata
***
1. L’editoriale
1
2. Slides della giornata
3. Approfondimenti d’Autore
63
3.1
La responsbilità civile del commercialista nello svolgimento del mandato professionale
64
3.2
La responsbilità penale del commercialista nello svolgimento dell’attività professionale
71
3.3
Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
75
3.4
Aspetti tributari inerenti le problematiche assicurative
83
3.5
L’incarico al professionista non solleva il contribuente dalla responsabilità penale
86
3.6
Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
89
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II
Dettaglio del programma
Dettaglio del programma
▶ Il ravvedimento operoso alla luce dei più recenti chiarimenti: spunti pratici per l’applicazione
▶ Le dichiarazioni integrative e la correzione degli errori contabili in Unico
▶ Le sanzioni amministrative e penali alla luce della riforma
▶ Le istanze di rimborso
▶ La responsabilità connessa all’attività del libero professionista
▶ Responsabilità per colpa grave o dolo
▶ Errori commessi da sostituti o collaboratori del professionista
▶ Responsabilità del professionista nelle società professionali
▶ Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale verso il cliente e verso terzi
▶ Responsabilità connesse alle cariche sociali
▶ Responsabilità connesse agli incarichi giudiziari
▶ Profili penali e sanzionatori
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...
1. Editoriale
a cura di Mauro Nicola
1 – Editoriale – 2° Giornata Master MySolution 2016-2017
1. L’editoriale
a cura di Mauro Nicola
La scelta del legislatore dalla riforma degli anni Settanta del secolo scorso è stata quella di improntare il rapporto
tributario sull’adempimento diretto e spontaneo del soggetto passivo d’imposta; il procedimento
dell’accertamento tributario che ne è scaturito si apre, pertanto, con la presentazione della dichiarazione da
parte del contribuente e si sviluppa attraverso i vari adempimenti finalizzati all’autotassazione.
Nella fase successiva entra in gioco il ruolo dell’Agenzia delle Entrate, nei cui compiti precipui rientra il controllo
delle dichiarazioni presenti a sistema, in via automatizzata, mediante incrocio dei dati dichiarati con quelli
disponibili nelle specifiche banche dati, alimentate anche dalle numerose comunicazioni fiscali oggi previste e
domani aumentate!
Il controllo successivo può far emergere maggiori imposte da versare per effetto di errori od omissioni
dichiarative, che vengono segnalati al contribuente mediante specifiche comunicazioni, i cosiddetti “avvisi
bonari”, con invito a pagare le somme indicate e con l’avvertenza che, in caso di inottemperanza nei termini
prescritti, le medesime somme sono iscritte a ruolo.
Inoltre, sulla base di apposite direttive interne annualmente stabilite dall’Autorità di governo, alcune posizioni
fiscali vengono selezionate per un controllo più approfondito: in tal caso si entra nella cd. “fase tecnica
dell’accertamento”, che l’ufficio può condurre “a tavolino” sulla base degli elementi di cui già dispone, ovvero
invitando il contribuente ad esibire documenti e fornire informazioni, instaurando così un vero e proprio
contraddittorio.
In tutto questo processo importante, oseremmo dire indispensabile, appare l’intervento dell’operatore tributario
con le responsabilità consequenziali che ne discendono per lo stesso.
Proprio per queste ragioni nel corso della seconda giornata del nostro master intitolata: LA QUOTIDIANITÀ IN
STUDIO: GLI ERRORI DA EVITARE PER NON IN INCORRERE IN RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI
verranno affrontati temi quali il ravvedimento operoso alla luce dei più recenti chiarimenti forniti dalla circolare
numero 42/E/2016 che ha fornito spunti pratici per l’applicazione corretta delle disposizioni contenute
nell’articolo 13 del D. Lgs. n. 472/97.
Non verrà però dimenticata l’analisi delle dichiarazioni integrative e la correzione degli errori contabili in Unico
anche e soprattutto per le modifiche intervenute alla regolamentazione delle stesse in forza del contenuto del
recentissimo D.L. n. 193 del 2016, ma verrà concentrata l’attenzione pure sulla formalizzazione delle istanze di
rimborso.
In particolare analizzando il contenuto della circolare n. 33/E/2016 che fa il punto sulla situazione e chiarisce
alcuni aspetti resisi di dubbia interpretazione alla luce delle novità introdotte dai decreti legislativi attuativi della
legge delega per la revisione del sistema fiscale n. 23/2014.
Peraltro non più tardi di un anno fa il decreto legislativo numero 158 del 2015 ha profondamente innovato la
disciplina delle sanzioni amministrative e penali contenenti alcune brutte notizie per il contribuente quali quella
dell’allungamento del periodo di prescrizione dell’accertamento tributario di un anno.
Infatti la seconda fase della riforma fiscale è stata attuata con l’approvazione di una serie di decreti legislativi,
tutti in data 24 settembre 2015, che hanno introdotto una revisione sostanziale alle seguenti aree di interesse
tributario:
− sistema sanzionatorio tributario, sia sotto il profilo penale che amministrativo (D.Lgs. n. 158/2015);
− interpelli in materia fiscale e contenzioso tributario (D.Lgs. n. 156/2016);
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1 – Editoriale – 2° Giornata Master MySolution 2016-2017
− razionalizzazione del sistema di riscossione dei tributi (D.Lgs. n. 159/2015).
Successivamente, la legge di stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208) è intervenuta in materia di
accertamento con due disposizioni importanti; da un lato, è stata prevista una sostanziale modifica dei termini
ordinari di cui dispone l’Amministrazione finanziaria per procedere all’accertamento ai fini delle imposte sui
redditi e dell’Iva, con la contestuale eliminazione del raddoppio dei termini accertativi in presenza di
responsabilità penali tributarie; dall’altro è stata introdotta una norma procedurale rivolta agli organi inquirenti i
quali, nell’accertare reati di ogni genere, da cui possano derivare in capo al reo proventi illeciti, dovranno
notiziare tempestivamente l’Agenzia delle Entrate, per consentire alla stessa di attivare le ordinarie procedure
accertative.
In relazione al primo intervento della legge di stabilità 2016, va evidenziato come lo stesso avvenga a soli pochi
mesi dalla compiuta revisione del regime di decadenza dal potere accertativo, disposta dal D.Lgs. 5 agosto
2015, n. 128, creando una serie di problemi interpretativi che stanno tuttora assiduamente impegnando le aule
delle Commissioni tributarie, con particolare riferimento all’operatività del raddoppio dei termini per
l’accertamento tributario.
Quanto alla responsabilità connessa all’attività del libero professionista questa sarà analizzata per le eventuali
omissioni, o errori commessi dai sostituti, o dai collaboratori del professionista, suddivisi, e affrontati, sia in
ambito di responsabilità per colpa grave, sia in ambito di responsabilità per dolo.
Ma il nostro master analizzerà anche le responsabilità del professionista quando opera sotto la conformazione
giuridica delle società professionali, ovvero nello svolgimento delle funzioni sue proprie nel corso degli incarichi
di natura giudiziaria, o in qualità di componente di organi sociali, amministrativi o di controllo, che siano.
Non verranno poi dimenticati i profili penali e sanzionatori
extracontrattuali verso i clienti e verso terzi.
legati alle responsabilità contrattuali ed
In sintesi si parlerà di Noi e dei Nostri problemi quotidiani di studio!
Vi aspetto in aula!
4
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2. Slides della giornata
a cura dei relatori
Master MySolution 2016-2017
II GIORNATA
La quotidianità in studio:
gli errori da evitare per non incorrere in responsabilità professionali
PRIMA PARTE
Il ravvedimento operoso alla luce dei più recenti chiarimenti: spunti pratici per l’applicazione
Le sanzioni amministrative e penali alla luce della riforma
Le dichiarazioni integrative e la correzione degli errori contabili in Unico
Le istanze di rimborso
SECONDA PARTE
La responsabilità connessa all’attività del libero professionista
Responsabilità per colpa grave o dolo
Errori commessi da sostituti o collaboratori del professionista
Responsabilità del professionista nelle società professionali
Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale verso il cliente e verso terzi
Responsabilità connesse alle cariche sociali
Responsabilità connesse agli incarichi giudiziari
Profili penali e sanzionatori
Il ravvedimento operoso alla luce dei più recenti chiarimenti:
spunti pratici per l’applicazione
Distinzione fondamentale
Nuove sanzioni dal
01.01.2016
Liquidazione automatica
o controllo formale
15% / 30%
Infedeltà dichiarativa
60% - 90% - 135%
Calcolo sanzione in
funzione dell’errore
commesso
Le condizioni
SONO
CAUSE OSTATIVE
Avvisi di
accertamento
Liquidazione
automatica
Controllo
formale
NON SONO
CAUSE OSTATIVE
Accessi
Ispezioni
Verifiche e altre
attività di
accertamento
Le riduzioni della sanzione
Tutti i
tributi
1/10
Mancato versamento tributo sanato entro 30 giorni
1/9
Ravvedimento di qualsiasi errore entro 90 giorni dall’errore o,
in caso di errori commessi in dichiarazione, da termine di
presentazione della stessa
1/8
Ravvedimento di qualsiasi errore entro termine presentazione
dichiarazione anno in cui si è commesso errore
Tutti i
tributi
Tutti i
tributi
1/7
Ravvedimento di qualsiasi errore entro termine presentazione
dichiarazione anno successivo a quello in cui
si è commesso errore
Tributi
ADE
1/6
Ravvedimento di qualsiasi errore oltre termine presentazione
dichiarazione anno successivo a quello in cui
si è commesso errore
Tributi
ADE
1/5
Ravvedimento di qualsiasi errore in caso di avvenuta notifica di
un PVC
1/10
Per presentazione dichiarazione con ritardo non superiore
a 90 giorni da originaria scadenza
La CM 23/E del 09.06.2015
• Tra i tributi amministrati dall’Agenzia rientrano, oltre alle imposte
dirette, l’IVA, le imposte / entrate erariali, anche l’IRAP e le
addizionali comunale e regionale all’IRPEF.
• La riduzione delle sanzioni nella misura di 1/5 (PVC), pur in
assenza di un’espressa previsione normativa in tal senso, è
possibile esclusivamente nel caso di contestazione su tributi
amministrati dall’Agenzia delle Entrate, analogamente a quanto
previsto per il ravvedimento di cui alle lett. b-bis) e b-ter).
Tributi
ADE
Tutti i
tributi
La CM 6/E del 19.02.2015
Domanda
Si chiede di sapere se nella nuova disciplina del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13, D.lgs n.
472/97, come modificata dalla Legge di Stabilità 2015, con particolare riguardo alla definizione delle
violazioni già constatate, debba ritenersi confermato l’orientamento delle Circolari n. 180 e n. 192 del
1998, circa l’onere di regolarizzare distintamente le violazioni prodromiche (es. omessa fatturazione) e
quelle conseguenziali (omesso versamento, infedele dichiarazione).
Risposta
La Legge di Stabilità 2015 pone l’obiettivo di incidere significativamente sulle modalità di gestione del
rapporto tra fisco e contribuenti. (…) Ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate si applicano le novità
in materia di ravvedimento, comprese quelle relative alla eliminazione della preclusione secondo la quale
l’istituto del ravvedimento può essere adottato a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già
stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di
accertamento. Le novelle normative, però, non modificano, per il resto, l’assetto generale dell’istituto
del ravvedimento. Pertanto, anche con riguardo alla definizione delle violazioni già constatate, si ritiene
che debba ritenersi confermato l’orientamento delle Circolari n. 180 e 192 del 1998 circa l’onere di
regolarizzare distintamente le violazioni prodromiche (es. omessa fatturazione) e quelle conseguenziali
(omesso versamento, infedele dichiarazione).
Addio vecchie definizioni
Dal 01.01.2016
DEFINIZIONE INVITI A COMPARIRE
DEFINIZIONE PVC
RAVVEDIMENTO
OPEROSO
ACQUIESCENZA RAFFORZATA
CUMULO GIURIDICO
RATEAZIONE
NO CUMULO GIURIDICO
NO RATEAZIONE
Il ravvedimento «breve» (1 di 2)
Art.23,
co.31
DL 98/2011
Per i versamenti effettuati
con ritardo NON
superiore a 15 giorni,
riduzione di 1/15 per ogni
giorni di ritardo,
della sanzione ordinaria
del 30%
Dal 01.01.2016, per i
versamenti con ritardo
NON superiore a 90
giorni, si applica la
sanzione ridotta alla metà
(15%)
(CM 41/E del 2011): Si ricorda infine che, come chiarito dalla circolare n.
138/E del 5 luglio 2000, la diminuzione in esame spetta
“indipendentemente dal verificarsi delle condizioni richieste per il
ravvedimento”. Ciò significa che anche nei casi in cui non opera il
ravvedimento operoso l’ufficio applicherà la sanzione di cui all’articolo 13
del D.Lgs. n. 471 del 1997 tenendo conto, al verificarsi dei presupposti, della
riduzione ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo
Il ravvedimento «breve» (2 di 2)
Debito 1.000 euro
GIORNI DI
RITARDO
SANZIONE
IRROGABILE
RIDUZIONE 1/10
RAVVVEDIMENTO
1
10 euro
1 euro
10
100 euro
10 euro
14
140 euro
14 euro
15
150 euro
15 euro
Sanzione ordinaria
Il ravvedimento «frazionato»
RM 67/E DEL 2011
Il ravvedimento operoso dell’intero importo omesso non è valido qualora:
- preveda solo il pagamento della “prima rata” entro i termini normativamente
previsti (mentre i versamenti delle rate successive sono effettuati oltre tali termini);
- tra un versamento e l’altro vengono posti in essere controlli fiscali.
In tali due ipotesi il beneficio del ravvedimento operoso trova applicazione solo per le
rate pagate (unitamente ai relativi interessi e sanzioni) nei termini previsti e prima di
eventuali controlli fiscali (in senso contrario, Cass. 19017/2015).
RAVVEDIMENTO
≠
RATEAZIONE
Errori sul ravvedimento
Ravvedimento perfetto:
IMPOSTA
SANZIONI
CM 27/E
del 2013
Piccoli errori non ostacolano il fatto che
una parte del versamento sia
correttamente sanato
OCCORRE CODICE SANZIONE SU F24
INTERESSI
CM 42/E
del 2016
Tributo, interessi e sanzioni possono
non essere contestuali ma che il
perfezionamento del ravvedimento
avviene esclusivamente al momento
del versamento della sanzione
Errori sui versamenti da definizione
Definizione sanzioni art. 17
• MANCA AUTOMATISMO SUGLI ERRORI
• LIEVI RITARDI SONO SCUSABILI
• VERSAMENTI
CARENTI
SONO
SCUSABILI SOLO OVE LA DIFFERENZA
SIA ASSOLUTAMENTE MODESTA
Accertamento con adesione
CM 65/E DEL 2001:
VALUTAZIONE RIMESSA ALL’UFFICIO
Definizione integrale art. 15
Il lieve inadempimento
L’art. 15 ter del D.P.R. 602/73, inserito dall’art. 3 bis del D. Lgs. 159/2015,
prevede l’istituto del “lieve inadempimento” che esclude la decadenza dalla
dilazione in caso di lieve inadempimento dovuto a:
• insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al
3% e, in ogni caso, a 10.000 euro;
• tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni.
La norma si applica anche con riguardo a:
• versamento in unica soluzione delle somme dovute ai sensi dell'art. 2,
co.2, e dell'art. 3, co. 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462
(36bis/36ter);
• versamento in unica soluzione o della prima rata delle somme dovute
ai sensi dell'articolo 8, co.1, del D.Lgs.19 giugno 1997, n. 218 (acc.to
con adesione).
Le sanzioni amministrative e penali
alla luce della riforma
Violazioni dichiarative:
le sanzioni amministrative dal 2016 (1 di 2)
La riforma incide sulla «forbice» tra minimo edittale e massimo irrogabile.
Dichiarazione
Dichiarazione
INFEDELE
OMESSA
Se presentata
Condotte
FRAUDOLENTE
Condotte
di scarso
PROFILO
ENTRO I TERMINI PER L’INVIO DI
QUELLA DELL’ANNO SUCCESSIVO
Aumento della metà
Riduzione di un terzo
Riduzione della metà
Decorrenza?
Violazioni dichiarative:
le sanzioni amministrative dal 2016 (2 di 2)
Dichiarazione
Dichiarazione
INFEDELE
OMESSA
Fino al 31.12.2015: dal 100% al 200%
Fino al 31.12.2015: dal 120% al 240%, min. € 258
Dal 01.01.2016: dal 90% al 180%
Dal 01.01.2016: dal 120% al 240%. Min. € 200
Condotte
FRAUDOLENTE
di scarso
PROFILO
Presentazione
entro termine
invio dich.
anno
successivo
Aumento della metà
(dal 135% al 180%)
Riduzione di un terzo
(dal 60% al 90%)
Riduzione
della metà
(dal 60% al
120%)
Non risultano
imposte
dovute
Non risultano
imposte dovute
Presentazione
entro termine invio
dich. anno
successivo
Prima
258/1.032
Oggi
250/1.000
Prima
258/1.032
Oggi
150/500
Sanzioni per indebite compensazioni
Per credito inesistente si intende quello «in relazione al quale manca, in tutto o
in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile
mediante i controlli 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e 54-bis del DPR 633/72».
Credito
INESISTENTE
DAL 100% AL 200%
(da dl 185/08)
Viene meno l’aggravante originariamente prevista per
le indebite compensazioni superiori a 50.000 euro
per la quale la pena era del 200%
Credito
ESISTENTE MA IN MISURA INFERIORE A
QUELLO SPETTANTE
30%
Sanzioni penal-tributarie: principali modifiche (1 di 3)
Con il D.Lgs. 158/2015, le sanzioni penal-tributarie sono state fortemente
riformate, con decorrenza 22.10.2015, andando a modificare il D.Lgs. 74/2000.
PRIMA
ORA
Art.2
Dichiarazione
fraudolenta mediante
fatture false
Da 1 anno e 6 mesi a 6 anni
Riferimento alle dichiarazioni
annuali
Da 1 anno e 6 mesi a 6 anni
Riferimento alle dichiarazioni
annuali
Art.3
Dichiarazione
fraudolenta
mediante
altri artefici
Da 1 anno e 6 mesi a 6 anni
Riferimento «mezzi
fraudolenti idonei ad
ostacolare l’accertamento>
Da 1 anno e 6 mesi a 6 anni
Riferimento «operazioni
simulate oggettivamente o
soggettivamente>.
Nuove soglie di non
punibilità
Sanzioni penal-tributarie: principali modifiche (2 di 3)
PRIMA
ORA
Art.4
Dichiarazione
infedele
Da 1 a 3 anni
Riferimento a elementi passivi
«fittizi»
Per essere punibili,
congiuntamente:
Imposta evasa > € 50.000
Elementi sottratti a tassazione >
10% dei complessivi
e comunque > 2 milioni
Da 1 a 3 anni
Riferimento a elementi passivi
«fittizi»
Per essere punibili,
congiuntamente:
Imposta evasa > € 150.000
Elementi sottratti a tassazione >
10% dei complessivi
e comunque > 3 milioni
Art.5
Omessa
dichiarazione
Da 1 a 3 anni
Riferimento dichiarazioni redditi
ed IVA
Da 1 anno e 6 mesi a 4 anni
Riferimento a dichiarazione
redditi, IVA e sostituti di imposta
Sanzioni penal-tributarie: principali modifiche (3 di 3)
Art. 10 bis
Omesso versamento
ritenute dovute o
certificate
Art. 10 ter
Omesso versamento
IVA
Art. 10 quater
Indebita
compensazione
PRIMA
ORA
Da 6 mesi a 2 anni
Da 6 mesi a 2 anni
Soglia di non punibilità:
€ 50.000
Soglia di non punibilità:
€ 150.000
Da 6 mesi a 2 anni
Da 6 mesi a 2 anni
Soglia di non punibilità:
€ 50.000
Soglia di non punibilità:
€ 250.000
Da 6 mesi a 2 anni
Soglia di non punibilità:
€ 50.000
Da 6 mesi a 2 anni
per compensazione crediti «non
spettanti»
Soglia di non punibilità:
€ 50.000
Da 1 anno e 6 mesi a 6 anni
per compensazione crediti
«inesistenti»
Soglia di non punibilità:
€ 50.000
Sanzioni 2016 ed effetti sul ravvedimento
RIDUZIONE DAL 30% AL 15% DELLA SANZIONI PER VERSAMENTI EFFETTUATI ENTRO I 90 GIORNI
Dal 1° al 14° giorno
Dal 1% al 14%,
in base al giorno di
pagamento
Ravvedibile a 1/10
Dal 15° al 30° giorno
15%
Ravvedibile a 1/10
Dal 31° al 90° giorno
15%
Ravvedibile a 1/9
Oltre il 90° giorno
30%
Ravvedibile
violazione versamento /
dichiarativa
Assonime Circ. 15 dell’11.05.2015
• «In primis, ci si chiede come mai l’adozione di tale istituto, che intende
invogliare la compliance, assuma rilevanza in sede penale
esclusivamente quale attenuante. In altri termini, proprio alla luce
dell’intenzione del legislatore di ottenere “il massimo adempimento
spontaneo degli obblighi tributari da parte dei contribuenti”, sarebbe
opportuno forse estendere gli effetti del ravvedimento in ambito
penale».
• «Sott’altro profilo, permangono talune rilevanti criticità dell’istituto
concernenti, per esempio, l’impossibilità anche nel nuovo assetto
dell’istituto di avvalersene in caso di omessa dichiarazione oltre il
termine previsto per la c.d. dichiarazione tardiva; aspetto questo che
andrebbe preso attentamente in esame, come meglio vedremo in
seguito, per evitare inique e poco giustificate differenziazioni».
Le dichiarazioni integrative
e la correzione degli errori contabili in Unico
Decadenza dei termini per l’accertamento
QUANDO SI PRESENTA INTEGRATIVA
TERMINE PER ACCERTAMENTI DECORRE, PER LE POSTE MODIFICATE,
DA PRESENTAZIONE NUOVO MODELLO
TERMINE PER NOTIFICA CARTELLE DECORRE DA ANNO SUCCESSIVO
A PRESENTAZIONE NUOVO MODELLO
Distinzione fondamentale
A favore
Dichiarazione
integrativa
A sfavore
Analoghi
effetti sulla
decorrenza
dei termini
L’emendabilità della dichiarazione
La dichiarazione correttiva nei termini
Modalità per rettificare o integrare – entro la scadenza del termine di presentazione una dichiarazione già presentata.
Nel frontespizio occorre barrare la casella «Correttiva nei termini».
Non è soggetta a sanzioni, salva la necessità di ravvedere le maggiori imposte, ove
dovute (in tal caso, la sanzione per omesso/insufficiente versamento sarà ridotta in
ragione del tempo trascorso dalla violazione).
L’eventuale maggiore eccedenza a credito, potrà essere utilizzata secondo gli ordinari
criteri.
L’integrativa «a favore»
Art. 2 DPR 322/1998
Co. 8.: integrazione per correggere errori od omissioni mediante
successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini stabiliti
dall'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
a SFAVORE
Nuovo ravvedimento art.
13 D. Lgs. 471/97
Co. 8-bis.: Integrazione per correggere errori od omissioni che
abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o,
comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor
credito (…), non oltre il termine prescritto per la presentazione
della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo.
Confermato da Cass. SSUU
Sent. 30.06.2016 n.13378
Disallineamento cancellato
con DL 193/2016
a FAVORE
Correzioni contabili CM
31/E del 2013
Ravvedimento: i chiarimenti del 2015
Dichiarazione «integrativa»:
comunicato stampa 18.12.2015
Laddove il contribuente intenda regolarizzare errori od omissioni commessi nella dichiarazione
presentata e che rilevano sulla determinazione e sul pagamento del tributo, entro 90 giorni dal
termine di presentazione della dichiarazione, avvalendosi del ravvedimento operoso, dovrà:
-
presentare una dichiarazione corretta (c.d. integrativa) entro il termine di novanta giorni,
versando la corrispondente sanzione pari a 28 euro, ossia la sanzione in misura fissa di
258 euro prevista per l’ipotesi di irregolare dichiarazione, ridotta a 1/9, ai sensi della lettera
a)-bis), salvo che per la violazione sia prevista una più specifica misura sanzionatoria; (dal
2016, € 250 x 1/9 = € 28)
-
se risulta un versamento del tributo in misura inferiore al dovuto, o l’utilizzo di un
credito in misura superiore, il contribuente deve versare anche la relativa differenza e gli
interessi, calcolati al tasso legale, con maturazione giorno per giorno, dalla scadenza del
versamento originario. È dovuta, altresì, la relativa sanzione per omesso versamento
(pari al 30%), ridotta secondo le misure previste dall’articolo 13 del Dlgs n.472/1997, in
ragione del momento in cui interviene il versamento.
Ravvedimento: i chiarimenti del 2015
Dichiarazione «tardiva»:
comunicato stampa 18.12.2015
Nel caso in cui, invece, il contribuente, per errore, non abbia presentato la dichiarazione e
intenda provvedere, può farlo entro i successivi 90 giorni dalla scadenza del termine ordinario
(oltre il quale la dichiarazione si considera omessa), avvalendosi del ravvedimento operoso. A tale
fine, dovrà:
-
-
presentare la dichiarazione, versando la corrispondente sanzione per la tardività, pari
a 25 euro, ossia la sanzione in misura fissa di 258 euro, ridotta a un 1/10, ai sensi della
lettera c); (dal 2016, € 250 x 1/10 = € 25)
se risulta anche un tardivo od omesso versamento del tributo, procedere al
pagamento del tributo e degli interessi, calcolati al tasso legale, con maturazione
giorno per giorno, dalla scadenza del versamento originario. È dovuta, altresì, la
relativa sanzione per omesso versamento (pari al 30%), ridotta secondo le misure
dell’articolo 13 del Dlgs n. 472/1997, in ragione del momento in cui interviene il
versamento.
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
La CM 42/E/2016 e le violazioni dichiarative
Richiama il Comunicato stampa del 18.12.2015, avente ad oggetto le modalità di
ravvedimento della dichiarazione integrativa presentata entro i 90 giorni dall’ordinaria
scadenza.
Conferma la non cumulabilità delle sanzioni per infedeltà dichiarativa e per
omesso/insufficiente versamento.
Fornisce chiarimenti sul ravvedimento del modello 730.
Evidenzia le regola per l’utilizzabilità del credito IVA derivante da dichiarazione, in caso di
omesso versamento nelle liquidazioni periodiche.
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
Integrativa entro i 90 gg (1 di 2)
Sotto il profilo sanzionatorio, viene equiparata alla
tardiva presentazione della dichiarazione (sanzione sul
versamento e non violazione dichiarativa)
NON configura ipotesi
di dichiarazione infedele
Correzione errori NON rilevabili in sede di controllo automatizzato e formale
Sanzione 30% di quanto non versato, ravvedibile in ragione del momento in cui avviene la regolarizzazione
Inoltre:
Sanzione € 250, ravvedibile a 1/9
In caso di
Omessa indicazione
reddito locazione
Sanzione 10% valore non indicato,
ravvedibile a 1/9
In caso di
Omessa/incompleta
indicazione dividendi,
plusvalenze black list
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
Integrativa entro i 90 gg (2 di 2)
Sotto il profilo sanzionatorio, viene equiparata alla
tardiva presentazione della dichiarazione (sanzione sul
versamento e non violazione dichiarativa)
NON configura ipotesi
di dichiarazione infedele
Correzione errori rilevabili in sede di controllo automatizzato e formale
Sanzione 30% di quanto non versato, ravvedibile in ragione del momento in cui avviene la regolarizzazione
NON si applica la sanzione
per tardiva presentazione
(€ 250)
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
Integrativa oltre i 90 gg (1 di 2)
Si applicano le relative sanzioni
(generalmente dal 90% al 180%)
Configura ipotesi
di dichiarazione infedele
Correzione errori NON rilevabili in sede di controllo automatizzato e formale
Applicazione sanzione ex art.8 D. Lgs.
471/97 (€ 250, ravvedibile)
In caso di
Mera irregolarità dichiarativa
(es: generalità)
90% - che assorbe le violazioni sui
versamenti, ravvedibile
In caso di
Omessa indicazione di redditi
NO sanzione sugli acconti, salvo
integrare il secondo se dichiarazione
viene presentata prima
Occorre ravvedere anche le violazioni
prodromiche (es: omessa fatturazione in campo
IVA)
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
Integrativa oltre i 90 gg (2 di 2)
Si applicano le relative sanzioni
(generalmente dal 90% al 180%)
Configura ipotesi
di dichiarazione infedele
Correzione errori rilevabili in sede di controllo automatizzato e formale
NON si applica la sanzione per tardiva presentazione
(€ 250)
Si applica la sanzione prevista per omessi versamenti
(30%), ravvedibile
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
La dichiarazione tardiva
E’ la dichiarazione che viene presentata per la prima volta entro 90 giorni
dall’ordinaria scadenza
SI
NO
Sanzione 30% di quanto non versato, ravvedibile in
ragione del momento in cui avviene la regolarizzazione
Sanzione € 150 / € 500 prevista per omessa
dichiarazione, in assenza di imposte dovute,
presentata entro il termine di quella successiva e
comunque prima dell’inizio di attività di
accertamento
Sanzione € 250, ravvedibile a 1/10 (misura
specificatamente prevista da art.13 c.1 lett.c) D.Lgs.
472/97)
Riduzione della sanzione della metà, in caso di
presentazione entro 30 giorni
(art.7 co.4 bis D.Lgs. 472/97, aggiunto da D.lgs
158/2015)
Il «nuovo» ravvedimento operoso: la CM 42/E/2016
La dichiarazione omessa
Continua ad essere ipotesi non rientrante nell’art.13 D.Lgs. 472/1997 anche dopo la
Legge di Stabilità 2015
Sanzione dal 120% al 240%
(min. € 250 se dovute imposte)
Presentazione entro termine invio dich.
anno successivo
Non risultano imposte dovute
Non risultano imposte dovute
Presentazione entro termine invio dich.
anno successivo
Da € 250
a € 1.000
Da € 150
a €500
Riduzione della metà
(dal 60% al 120%),
Min. € 200
L’integrativa da «errori contabili»
(CM 31/E/2013)
A sfavore
Errori contabili
SI
A favore
Cambiamenti
di stime
NO
ADE
NO
ASSONIME
SI
Errori non contabili
Emendabilità
ultima
dichiarazione
presentata
Ravvedimento
Compensazione >
eccedenza
Nuova
decorrenza dei
termini per
l’accertamento
Le istanze di rimborso
L’emendabilità della dichiarazione
L’istanza di rimborso
Decorso il termine per la presentazione dell’integrativa a favore (SALVE LE NOVITA’ DEL DL
193/2016), le eccedenza a credito possono essere richiesta tramite istanza di rimborso, da
presentarsi entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data del versamento stesso, nel
caso di (i) errore materiale (ii) duplicazione di imposta (iii) inesistenza totale o parziale
dell'obbligazione tributaria.
3 ipotesi:
Accoglimento
Carichi pendenti (CM 19/1993 e
CM 45/E/2004)
Provvedimento di sospensione
Insussistenza dei requisiti per
procedere al rimborso
Provvedimento di rigetto o
silenzio rifiuto decorsi 90 giorni
Lite da
rimborso
(prescrizione
decennale)
La responsabilità connessa al ruolo del professionista
Il principio di base (in giurisprudenza)
La giurisprudenza afferma che il professionista deve esercitare la propria attività in modo
corretto utilizzando la diligenza di un professionista sufficientemente preparato e
accorto, che adotti una competenza media, necessaria all’esercizio dell’attività.
Egli è responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria e ignoranza di normative di
legge o nei casi in cui, per sua negligenza od imperizia, comprometta il buon
andamento del rapporto professionale.
Nel caso, invece, d’interpretazione personale di leggi o di risoluzione di questioni
opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità nei confronti del cliente, a meno
che non venga provato il dolo o la colpa grave.
La colpa e il dolo
DIRITTO FRANCESCE
Colpa
«lievissima»
Quando non si usa la diligenza
propria delle persone
eccezionalmente prudenti e caute
Colpa
«lieve»
Quanto non si usa la diligenza
propria alle persone di media
capacità
Colpa
«grave»
Quanto non si usa la diligenza
che è propria della assoluta
maggioranza
degli uomini, sicché chi ha
tenuto una tale condotta non ha
fatto ciò che tutti gli uomini
fanno comunemente,
anche quelli dotati di scarsa
abilità
DIRITTO ITALIANO
Principio del «buon
padre di famiglia»,
da adattare alla
singola fattispecie,
in ragione della
natura dell’attività
lesiva, del bene
colpito e le qualità
personali
dell’agente
Colpa «ordinaria»
Colpa «grave»
- Indiscutibile imperizia o
negligenza di
comportamento.
- Macroscopica
inosservanza di elementari
obblighi tributari.
Le coperture assicurative del commercialista
La responsabilità del consulente fiscale
Responsabilità
Mediata
(Art. 10, D.Lgs. 472/1997)
Chi, inducendo altri in errore
inconsapevole, determina la
commissione di una violazione ne
risponde in luogo del suo autore
materiale
Il professionista è tenuto al
pagamento della sanzioni in
luogo dell’autore apparente
(cioè il cliente)
Ma il cliente non deve essere
consapevole dell’errore
e non deve aver indotto in errore il
consulente
Le coperture assicurative del commercialista
La responsabilità nei pareri professionali
D.Lgs. n. 472 del 1997
(Relazione ministeriale)
"per quanto specificamente
riguarda il professionista,
non è prospettabile
responsabilità per i pareri
resi e le indicazioni date
nell'ambito della sua
attività, se non nei casi di
colpa grave".
Successivamente
D.Lgs. 05.06.1998, n. 203,
modifica il decreto n. 472
"Le violazioni commesse
nell'esercizio dell'attività di
consulenza tributaria e
comportanti la soluzione di
problemi di speciale difficoltà
sono punibili solo in caso di dolo
o colpa grave".
Le coperture assicurative del commercialista
"Problemi di speciale difficoltà"
• Argomenti e questioni non disciplinate chiaramente, o
espressamente, dalla norma di legge;
• Privi di interpretazioni ufficiali dell'Amministrazione finanziaria;
• Mancanti di univoci orientamenti dottrinali e giurisprudenziali,
• Nonché le "novità" legislative per cui manca una sicura e sufficiente
impostazione dottrinale.
Come tutelarsi? (1 di 4)
Per evitare ogni tipo di responsabilità, il commercialista deve sempre osservare la diligenza
richiesta dalle specifiche disposizioni normative e dalla deontologia professionale e in particolare
rispettare quanto segue (Codice Deontologico approvato dal CNDCEC il 17/12/2015).
Art.5
INTERESSE
PUBBLICO
Il professionista ha il dovere e la responsabilità di agire nell’interesse pubblico
al corretto esercizio della professione. Soltanto nel rispetto di tale interesse egli
potrà soddisfare le necessità del proprio cliente.
Art.6
INTEGRITA’
Il professionista deve rispettare e osservare leggi, norme e regolamenti e deve agire con
integrità, onestà e correttezza in tutte le sue attività e relazioni, sia di natura professionale,
sia di natura personale, senza fare discriminazioni di religione, razza, etnia, nazionalità,
ideologia politica, sesso o classe sociale.
Il professionista non deve essere in alcun modo associato con dichiarazioni, comunicazioni o
informative, a chiunque indirizzate, che non rispondano a verità, ovvero che contengano
informazioni fuorvianti, ovvero che omettano informazioni fondamentali al fine di evitare di
fuorviare il destinatario delle suddette comunicazioni.
Il professionista deve evitare di perseguire utilità non dovute e deve adempiere
regolarmente alle obbligazioni assunte nei confronti del cliente o di terzi in genere.
Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente
compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina.
Come tutelarsi? (2 di 4)
Art.7
OBIETTIVITA’
Il professionista deve agire in assenza di pregiudizi, conflitti di interessi o
indebite pressioni di altri che possano influenzare il suo giudizio o la sua attività
professionale. Il professionista deve fornire i suoi pareri senza essere
influenzato dalle aspettative del cliente e si deve pronunciare con sincerità, in
totale obiettività, evidenziando, se del caso, le riserve necessarie sul valore
delle ipotesi formulate e delle conclusioni raggiunte.
Il professionista è tenuto a mantenere la sua competenza e capacità
professionale al livello richiesto per assicurare ai suoi clienti l’erogazione di
prestazioni professionali di livello qualitativamente elevato, con diligenza e
secondo le correnti prassi e tecniche professionali e disposizioni normative.
Art.8
COMPETENZA
DILIGENZA E
QUALITA’
DELLE
PRESTAZIONI
Il professionista non deve accettare incarichi professionali in materie nelle
quali non ha un’adeguata competenza, tenuto conto della complessità della
pratica e di ogni altro elemento utile alla suddetta valutazione.
L’adempimento degli obblighi di formazione professionale continua, secondo
quanto previsto dai regolamenti emanati dal Consiglio Nazionale e dagli
Ordini locali, costituisce obbligo del professionista per il mantenimento della
sua competenza professionale, ma non lo esonera dalle ulteriori attività
formative (…)
Come tutelarsi? (3 di 4)
Il professionista deve agire nel rispetto delle norme sull’indipendenza,
imparzialità e sulle incompatibilità previste in relazione alla natura
dell’incarico affidatogli e non deve operare in situazioni di conflitto di
interesse.
I requisiti di indipendenza e le incompatibilità sono stabiliti dalla legge; il
professionista è tenuto ad ottemperare alle interpretazioni in materia di
indipendenza ed incompatibilità approvate dal Consiglio Nazionale.
Art.9
INDIPENDENZA
In relazione a specifiche funzioni professionali, si applicano le regole di
indipendenza ed incompatibilità maggiormente rigorose previste dal
vigente Code of Ethics for Professional Accountants emanato dall’IFAC.
In ogni caso, il professionista non deve mai porsi in una situazione che
possa diminuire il suo libero arbitrio o essere di ostacolo all’adempimento
dei suoi doveri, così come deve evitare qualsiasi situazione in cui egli si
trovi in conflitto di interessi.
Il professionista eviterà parimenti che dalle circostanze un terzo possa
presumere la mancanza di indipendenza; a tal fine, il professionista dovrà
essere libero da qualsiasi legame di ordine personale, professionale o
economico che possa essere interpretato come suscettibile di influenzare
la sua integrità o la sua obiettività
Come tutelarsi? (4 di 4)
Art.10
RISERVATEZZA
Art.11
COMPORTAMENTO
PROFESSIONALE
Art.14
RESPONSABILITA’
PROFESSIONALE
Il professionista, fermi restando gli obblighi del segreto professionale e di tutela
dei dati personali, previsti dalla legislazione vigente, deve mantenere l’assoluto
riserbo e la riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della
professione e non deve diffondere tali informazioni ad alcuno, salvo che egli
abbia il diritto o il dovere di comunicarle in conformità alla legge.
Il comportamento del professionista deve essere consono alla dignità,
all’onore, al decoro e all’immagine della professione, anche al di fuori
dell’esercizio della stessa.
Esso deve essere altresì conforme al dovere di lealtà nello svolgimento
dell’attività professionale.
Il professionista deve adempiere alle disposizioni dell’ordinamento giuridico
di volta in volta applicabili ed astenersi da qualsiasi azione che possa arrecare
discredito al prestigio della professione e dell’Ordine al quale appartiene.
Il professionista ha l’obbligo di rispondere tempestivamente alle
comunicazioni a lui inviate dall’Ordine e dal Consiglio di Disciplina.
Il professionista deve rendere noti al cliente gli estremi della propria polizza
assicurativa per la responsabilità professionale, nonché i relativi massimali ai
sensi dell’art. 5 del Decreto del Presidente della Repubblica
7 agosto 2012, n. 137.
Deontologia e giurisprudenza
Recentemente, la Corte di Cassazione (Sent.15107/2016) ha delineato il perimetro
della responsabilità, cogliendo i principi contenuti nel codice deontologico. Il
professionista, infatti, per tutelarsi, dovrà:
Rispettare le leggi, i regolamenti ed il codice deontologico dell’ordine di
appartenenza
Art.6
Verificare la propria competenza
Verificare la propria idoneità all’accettazione dell’incarico
Art.8
Curare l’aggiornamento professionale
Essere coperto da idonea polizza assicurativa
Art.14
Date tempestiva informazione al cliente in ordine ai rischi ed alla difficoltà
dell’incarico
Art.22
Il codice civile
Art.2232
ESECUZIONE
DELL’OPERA
Il prestatore d'opera deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può
tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari,
se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è
incompatibile con l'oggetto della prestazione.
Le prestazioni svolte personalmente dal professionista, in quanto richiedono
particolari conoscenze tecniche, determinano per il professionista un obbligo di
diligenza e di fedeltà nei confronti del cliente, la cui violazione può dar luogo a
responsabilità per il professionista stesso.
NEL CONCRETO??
Se ad esempio un commercialista assume l’impegno di predisporre e
trasmettere una dichiarazione fiscale, e non adempie per tempo a tale obbligo,
egli potrà venir meno alla responsabilità soltanto dimostrando che l’omissione
o il ritardo sono dipesi da cause a lui non imputabili.
La giurisprudenza
La Corte di Cassazione, con varie sentenze, ha stabilito che:
«l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato
raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla
violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività
esercitata. Ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica
l’indagine - positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il
cliente ha l’onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione
che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in
definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività
sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo».
Esempio 1: il business plan
Un commercialista riceve l’incarico di provvedere alla
redazione di un business plan, che il cliente dovrà presentare
per ottenere un finanziamento bancario.
Il finanziamento però viene rigettato dalla banca.
Il professionista non potrà essere considerato responsabile se
la documentazione da lui prodotta è stata correttamente
redatta sulla base delle informazioni ricevute dal cliente.
Esempio 2: il ricorso in CTP
Un commercialista riceve l’incarico di provvedere alla
predisposizione di un ricorso contro un avviso
d’accertamento, e vince il ricorso disertando l’udienza
dinnanzi alla Commissione tributaria.
In questo caso il comportamento negligente del
professionista non origina alcuna responsabilità, non
essendosi verificato alcun danno per il cliente.
Esempio 3: la dichiarazione dei redditi
Il commercialista incaricato della trasmissione telematica, invia
oltre il termine previsto la dichiarazione tempestivamente
consegnatagli dal contribuente.
In questo caso incorre sicuramente in sanzioni di legge.
Nell’ipotesi in cui il cliente non gli fornisca per tempo tutta la
documentazione necessaria per elaborare la dichiarazione, non si
ravvisano responsabilità ed obblighi particolari in capo al
professionista se non quello di procedere all’invio quando tutta la
documentazione viene resa disponibile.
In sostanza
L’inadempimento o l’eventuale colpa vanno valutati a
seconda della natura dell’attività esercitata, considerando
il tipo dell’incarico e le circostanze in cui la prestazione
viene effettuata.
Il codice civile
Art.2236
RESPONSABILITÀ
DEL PRESTATORE
D’OPERA
Se la prestazione d’opera implica la soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o
colpa grave.
GIURISPRIDENZA
Ritiene inapplicabile l’art. 2236 c.c. nelle ipotesi in cui si rinvengano, in
capo al professionista «palesi imprudenze o comportamenti di incuria: il
prestatore d’opera intellettuale dovrà essere comunque obbligato al
risarcimento del danno laddove sia incorso in errori che non sono
scusabili per la loro grossolanità ovvero laddove si riscontrino ignoranze
incompatibili con il grado di addestramento o di preparazione (...) che la
reputazione di un professionista dà motivo di ritenere esistenti», nonché
nelle ipotesi di «temerarietà sperimentale ed ogni altra imprudenza che
dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente
affida alle cure d’un prestatore d’opera intellettuale».
I connotati della colpa
Secondo dottrina e giurisprudenza consolidata, nel concetto di colpa
sono racchiuse:
L’IMPRUDENZA
per superficialità o leggerezza di comportamento
LA NEGLIGENZA
consistente in disattenzione o mancanza di dovuta attenzione o sollecitudine
L’IMPERIZIA
in ragione dell’incarico accettato
L’INNOSSERVANZA
di leggi o altre disposizioni normative
L’INOTTEMPERANZA
alle disposizioni impartite dal cliente
Esempi pratici
L’IMPRUDENZA
Il professionista, nell’analisi di un caso che presenta un ventaglio di soluzioni
possibili, decide di optare per quella più rischiosa e che ha la più alta
probabilità d’insuccesso
LA NEGLIGENZA
Il professionista, che dimentica di inviare la dichiarazione Unico entro il
termine di presentazione in via telematica, pur avendo avuto dal cliente
tutta la documentazione per tempo, viene condannato a risarcire il cliente
dei danni subiti in conseguenza alla negligente omissione
A proposito di imperizia
Il professionista ha il dovere di mantenersi costantemente dotato di una buona perizia, ovvero di un
livello di conoscenza (aggiornamento costante sancito anche dal codice di deontologia) che lo ponga
nelle condizioni di fornire una prestazione caratterizzata da un adeguato livello di conoscenza
Per
evitare
L’INOSSERVANZA DI LEGGI ED ALTRE
DISPOSIZIONI NORMATIVE
L’errore professionale
Ricorre quando la condotta adottata dal professionista, sebbene abbia agito diligentemente, non risulta
idonea a risolvere il caso.
Riguarda, quindi, tutte quelle ipotesi in cui il comportamento adottato dal professionista si riveli
insufficiente, inadatto o addirittura controproducente in relazione all’incarico conferito
SCUSABILE
NON SCUSABILE
derivante da situazione inconoscibile o confusa
derivante da colpa per negligenza, imperizia, ecc
L’errore scusabile: esempio
Il commercialista consegna al cliente un Modello F24 da versare entro una
determinata scadenza.
Se viene stabilita una proroga del pagamento e la relativa notizia viene resa
pubblica di domenica, potrebbe accadere che il professionista non ne venga a
conoscenza in tempo utile e non avverta il cliente della possibilità di posticipare
il versamento.
Se a causa di ciò il cliente esegue il pagamento entro la data di scadenza
originaria, può subire un danno per essersi privato in anticipo di tali somme.
In tal caso l’errore è scusabile poiché non genera alcuna responsabilità
professionale del medesimo.
La responsabilità per errori del
collaboratore (1 di 2)
L’ausilio di collaboratori «non comporta mai che costoro
diventino parti del rapporto di clientela, restando invece la loro
attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera
che ha concluso il contratto con il cliente”
e pertanto
“il sostituto non è legittimato ad agire contro il cliente medesimo
per la corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico
del professionista che si sia avvalso della collaborazione».
La responsabilità per errori del
collaboratore (2 di 2)
La scelta di farsi sostituire da un collaboratore, in mancanza di
una precisa convenzione con il cliente oppure senza che gli usi
lo consentano, fa si che il professionista risponderà, a causa del
proprio inadempimento contrattuale, degli eventuali danni causati
dal sostituto o ausiliare, prescindendo dall’indagine circa la colpa o
il dolo di questi.
Tipologie di responsabilità
CONTRATTUALE
EXTRA
CONTRATTUALE
Deriva dall'inadempimento,
dall'inesatto adempimento e
dall'adempimento tardivo di
una preesistente obbligazione
qualunque sia la fonte
(ad esclusione del fatto illecito)
OBBLIGAZIONI DI MEZZI
Ricorsi, business plan,
elaborazione dati, etc
OBBLIGAZIONI DI RISULTATO
Trasmissione dichiarazioni,
deposito bilanci, etc
Deriva dalla violazione del generico obbligo di non ledere alcuno senza che
prima della violazione sia possibile l'individuazione di una obbligazione (un
soggetto cagiona ad altri un danno ingiusto senza essere legato da alcun
rapporto)
La distinzione porta con sé alcune differenze riconducibili a tre aspetti:
1) la ripartizione dell’onere della prova
2) i termini di prescrizione dell’azione
3) gli effetti giuridici relativi al risarcimento del danno
La ripartizione dell’onere della prova
Nelle ipotesi di illecito contrattuale, vige una presunzione di colpa per
inadempimento:
al cliente creditore si richiede unicamente di dimostrare il proprio diritto a
ricevere la prestazione, laddove il debitore dovrà provare che l’inadempimento o
il ritardo non sono a lui riferibili per impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile.
Cass. 15107/2016 ha affermato che il cliente deve:
-
dimostrare il danno subito
in ragione dell’obbligazione assunta dal professionista (contratto)
la colpa del professionista (anche in forma lieve)
In nesso di causa tra colpa e danno
La ripartizione dell’onere della prova
Nell’illecito extracontrattuale permane invece l’ordinaria regola:
per cui l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa
spetta a colui che l’avanza, sicché sarà il cliente creditore a dover
provare che il comportamento del prestatore gli ha provocato un
danno e che tale comportamento è stato caratterizzato da dolo o
colpa.
I termini di prescrizione dell’azione
L’azione di responsabilità per l’illecito extracontrattuale si
prescrive in 5 anni,
mentre quella per l’inadempimento dell’obbligazione
(illecito contrattuale), nell’ordinario termine di 10 anni.
Prescrizione e azione di responsabilità
L’istituto della prescrizione è disciplinato dagli artt. 2934 del c.c. e seguenti
e disciplina il momento iniziale dal quale far decorrere i termini di
prescrizione per esercitare l’azione di responsabilità professionale.
Sulla base di un’interpretazione restrittiva della norma, ai sensi dell’ art 12
Disp. Prel. c.c., il dies a quo andrebbe individuato nel momento in cui è
stata posta in essere la condotta lesiva, anche nel caso in cui il danno sia
stato scoperto dal danneggiato in epoca successiva in modo incolpevole
(salvo il dolo della controparte come desumibile dell’art 2941 n. 8 del c.c.).
In tal senso: Cass. Sent del 27/07/2007 n. 16658; Corte di Cassazione, Sez. I
Civile 25 luglio 2008, n. 20476; Cass. Sent del 22/11/2004 n. 23817; Cass.
del 11/12/2001 n. 15622; Cass. Sent. del 3/05/1999 n. 4389.
Le coperture assicurative del commercialista
L’impossibilità di assicurarsi (1 di 2)
ISVAP
CIRCOLARE
N. 246 DEL
22 MAGGIO 1995
ISVAP
COMUNICAZIONE
Prot. 67335 DEL
24 LUGLIO 2000
“il contratto di assicurazione che sollevi l’assicurato dal pregiudizio
economico costituito dall’applicazione di sanzioni amministrative
pecuniarie è da considerare … (omissis) … una funzione economico-sociale
illecita per contrarietà all’ordine pubblico ex. art. .C. … (omissis) … In tal
modo risulterebbero violati i principi di personalità ed afflittività … (omissis)
… in relazione al potere deterrente delle sanzioni amministrative riguardo ai
comportamenti futuri dei soggetti interessati”.
Domanda - Qualora in forza di provvedimenti legislativi, venissero
intestate e inflitte al professionista anziché al cliente, sanzioni, ammende o
multe di natura fiscale per l’attività professionale svolta dall’assicurato, per
prestazioni professionali svolte dall’assicurato stesso nei confronti del
cliente, la garanzia s’intende estesa anche nei confronti del professionista
con le stesse modalità e gli stessi limiti in cui sarebbe stata applicabile
verso il cliente?
Risposta - il predetto rischio non è assicurabile. Ciò in virtù
dell’introduzione del principio della personalità della responsabilità in base
al quale in ogni caso chiamato a rispondere della condotta posta in essere,
è l’autore della violazione, cioè il professionista, invece del contribuente
Le coperture assicurative del commercialista
L’impossibilità di assicurarsi (2 di 2)
Dolo o
Colpa grave
Colpa lieve
Consulenza fiscale Normale attività
Problemi speciale
di Consulenza
difficoltà
È Punibile
È Punibile
Non è assicurabile Non è assicurabile
Non è Punibile
È Assicurabile
Non è Punibile
È Assicurabile
La polizza professionale copre il risarcimento dovuto al cliente
Le coperture assicurative del commercialista
L’indeducibilità delle sanzioni comminate
al consulente (1 di 2)
CM 55/E
DEL 20.06.2002
L’eventuale sanzione amministrativa comminata dal Ministero del Tesoro a
un sindaco di un’azienda di credito sarebbe indeducibile dal reddito di
lavoro autonomo
RM 89
DEL 12.06.2001
Il rapporto di correlazione tra costo e reddito non è riscontrabile, in
linea di principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati
dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire
comportamenti illeciti del contribuente
Le coperture assicurative del commercialista
L’indeducibilità delle sanzioni comminate
al consulente (2 di 2)
DOTTRINA
FAVOREVOLE
ALLA
DEDUCIBILITA’
Sanzione
Antitrust
Assonime (Circ. n. 39/2000);
Associazione DDCC (norma di comportamento n. 138);
Fondazione Studi (CDL) (parere n. 1 del 19/01/2010)
INDEDUCIBILE
Cass. Sent. n. 5050/2010 del 3 marzo 2010
Agenzia Entrate: circolare n. 98/2000, risoluzione n. 89/2001, circolare
n. 42/2005
Le coperture assicurative del commercialista
Premi assicurativi e deducibilità delle sanzioni
rimborsate al cliente
I premi assicurativi pagati dal professionista sono deducibili per cassa. Su ciò non
sembrano esserci dubbi posto la totale inerenza degli stessi all’attività professionale la
quale richiede, come visto, addirittura l’obbligo di una copertura assicurativa
Il consulente rimborsa al cliente la
sanzione da questo subita
L’assicurazione rimborsa il
consulente
Il consulente deduce
Il consulente è tassato
77
Responsabilità ai fini fiscali
Accanto alla disciplina civilistica si deve tenere conto
anche della normativa tributaria, stabilita dal d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, che determina l’attribuzione di
sanzioni amministrative a carico del professionista
qualora si riscontrino violazioni di disposizioni di carattere
fiscale.
Esempio: visto di conformità
Esempio: il rilascio del visto di conformità (1 di 2)
Il legislatore ha previsto, per determinate categorie di soggetti, la
possibilità di rilasciare tre certificazioni ai fini fiscali che attestano
il regolare adempimento degli obblighi tributari da parte del
contribuente:
1) il visto di conformità formale (o visto leggero);
2) l’asseverazione degli studi di settore;
3) la certificazione tributaria (o visto pesante), per contribuenti
aventi impresa in regime di contabilità ordinaria.
Esempio: il rilascio del visto di conformità (2 di 2)
Sotto il profilo sanzionatorio, ex art. 39 del D.lgs. n. 241/1997:
•
•
•
per il rilascio di un visto leggero o di una asseverazione infedeli si applica la
sanzione amministrativa da € 258 ad € 2.582;
per il rilascio di un visto pesante infedele si applica la sanzione
amministrativa da € 516 ad € 5.164.
in caso di ripetute violazioni, è prevista l’inibizione della facoltà di rilascio del
visto leggero o della asseverazione, o la sospensione da 1 a 3 anni della
facoltà di rilascio del “visto pesante
Resta ferma la possibilità di irrogazione di specifiche sanzioni per la
violazione di norma tributarie
Art. 7-bis D.lgs. n. 241/1997
E’ prevista una sanzione per le violazioni delle norme relative
alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali.
Ed in caso di gravi e ripetute violazioni, l’Amministrazione
finanziaria può disporre la revoca dell’abilitazione al servizio
telematico (art. 3, comma 4, d.P.R. n. 322/1998).
Esempio
Il professionista riceve da un contribuente l’incarico di procedere alla
trasmissione telematica di una dichiarazione ma non vi provvede entro i
termini previsti dalla legge. Egli è così responsabile della violazione di
omessa o tardiva trasmissione ed è soggetto ad una sanzione
amministrativa da € 516 ad € 5.164.
Responsabilità derivante da cariche societarie
I professionisti che detengono cariche a livello societario sono
solidalmente responsabili per i danni derivanti dall’inosservanza
dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.
Rimangono esonerati dalla responsabilità coloro che si dimostrino
esenti da colpa.
AMMINISTRATORI
SINDACI
Incarichi sindacali
I componenti dell’organo di controllo sono responsabili della
violazione dei propri doveri sia nei confronti della società, che dei
creditori, dei singoli soci e dei terzi.
Essi rispondono della verità delle loro attestazioni e devono
conservare il segreto professionale, le notizie ed i documenti di cui
hanno conoscenza in ragione della loro attività di controllo.
I sindaci rispondono, in solido con gli amministratori, per i fatti o
le omissioni di questi ultimi, quando il danno non si sarebbe
cagionato se essi avessero operato in conformità ai propri doveri.
Responsabilità derivanti da incarichi giudiziari
Il curatore fallimentare, risponde degli atti compiuti
nell’esercizio del proprio incarico.
Egli è tenuto ad adempiere con diligenza ai doveri del
proprio ufficio (art. 38, legge fall.).
E’ responsabile delle conseguenze degli atti compiuti
anche se per gli stessi necessita l’autorizzazione del
giudice.
Egli risponde sia nelle ipotesi di dolo o colpa grave sia in
presenza di colpa lieve.
La responsabilità del consulente tecnico
Il consulente tecnico è tenuto a svolgere il proprio incarico
con la diligenza che, in dottrina, è definita “del buon tecnico
medio”.
Se incorre in colpa grave nell’ambito dello svolgimenti dei
servizi che gli sono richiesti, ai sensi dell’art. 64 del c.p.c. è
punito con l’arresto fino ad un anno o con una multa fino ad
€ 10.329,14, oltre all’applicazione dell’art. 35, c.p. (pena
accessoria della sospensione dall’esercizio della professione
da 15 giorni a 2 anni).
Egli è tenuto “in ogni caso” al risarcimento dei danni causati
alle parti per via della violazione dei propri doveri.
Responsabilità derivante dalla funzione di revisore
di Enti pubblici
I revisori di Enti Pubblici, «rispondono della veridicità delle loro attestazioni
e adempiono ai loro doveri con la diligenza del mandatario. Devono inoltre
conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per
ragione dei loro ufficio», secondo quanto disposto dall’art. 240 del d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali o Tuel).
Ad essi è richiesta una diligenza di «avveduto revisore contabile esterno
indipendente» il quale «pur non dovendo assicurare il risultato della corretta
e veritiera rappresentazione contabile dei fatti gestionali, deve tendere alla
migliore realizzazione possibile dell’incarico»; ciò che presuppone «una
diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego degli
strumenti tecnici adeguati al tipo di attività dovuta»
Responsabilità in materia di privacy
La violazione dei principi che regolano la tutela dei dati
personali (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), si estrinsecano nel
seguente principio «chiunque cagiona danno ad altri per
effetto del trattamento di dati personali è tenuto al
risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile».
Il trattamento dati personali è dunque
un’attività molto delicata in quanto è
complicato, per il professionista, poter
fornire prove a sua discolpa in caso di
presunte violazioni in materia
Il professionista che non assolve ai doveri
imposti dalla normativa sulla privacy
incorre nel pagamento di una multa:
da € 3.000 a € 18.000 per i dati personali;
da € 5.000 fino ad € 30.000 nei casi di
dati sensibili o giudiziari o di trattamenti
Responsabilità in materia di antiriciclaggio
In Virtù dell’art. 41, D.Lgs. 231/2007, i commercialisti hanno l’obbligo di
SEGNALARE ALL’UIF qualsiasi operazione conosciuta o sospettata che
possa ritenersi collegata ad operazioni di riciclaggio e finanziamento al
terrorismo.
Le segnalazioni non comportano
violazione del segreto professionale e
vanno inoltrate anche se l’operazione
sospetta non abbia avuto luogo per
sospetti o rifiuto.
Il professionista che sospetti la
sussistenza di operazioni di riciclaggio,
ha l’obbligo di astenersi dal compiere la
prestazione professionale, finché non
abbia effettuato la segnalazione
Egli ha il divieto di comunicare al cliente o a terzi
interessati che farà o ha fatto la segnalazione
all’UIF.
In violazione di tale divieto è prevista una sanzione
penale dell’arresto da sei mesi a un anno o
l’ammenda da € 5.000 a € 50.000
Il professionista ha solo la facoltà di dissuadere il proprio
cliente dal mettere in atto un’attività criminosa.
Entro 30 giorni dalla data in cui ha preso notizia, deve
segnalare le operazioni relative al trasferimento di denaro
contante, libretti di deposito bancari o postali al portatore,
titoli al portatore in euro o in valuta estera, per un importo
pari o superiore a € 3.000
Sanzioni penali in capo ai professionisti che
non rispettano gli obblighi antiriciclaggio
Il Decreto Legislativo 15/01/2016 n. 8 ha depenalizzato i reati puniti con la sola pena
pecuniaria della multa o dell’ammenda e nello specifico, in ambito antiriciclaggio i
reati di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 dell’art. 55 del D.Lgs. 231/2007, dal 06 febbraio 2016
non integrano più reato ma solo illecito amministrativo.
In base al combinato disposto degli articoli 4 e 5 del D.Lgs. N. 8/2016 viene disposto
che l’istituto dell’oblazione di cui all’art. 16 della Legge 869/81 non possa essere
applicato oltre la prima violazione effettuata, rendendolo inapplicabile in caso di
reiterazione dell’illecito depenalizzato.
La depenalizzazione si applica anche alle violazioni commesse prima del 06/02/2016,
a meno che non vi sia stata già sentenza di condanna.
VIOLAZIONE COMMESSA
Inosservanza dell’obbligo di
identificazione della clientela
(Art. 55, comma 1 D.Lgs.
231/2007)
Omessa, tardiva, incompleta
registrazione negli archivi
informatici e cartacei.
(Art. 55, comma 4 D.Lgs.
231/2007)
Le due precedenti violazioni
se attuate con mezzi
fraudolenti
SANZIONE PENALE
Multa da € 2.600 a € 13.000
Depenalizzato dal
06/02/2016
Multa da € 2.600 a € 13.000
Depenalizzato dal
06/02/2016
Raddoppio della sanzione
prevista nelle precedenti
violazioni.
Depenalizzato dal
06/02/2016 il raddoppio per
le sole violazioni di cui al
comma uno e quattro
Sanzioni amministrative in capo ai
professionisti che non rispettano gli obblighi
antiriciclaggio
VIOLAZIONE COMMESSA
Inosservanza dell’obbligo di
identificazione della clientela.
(Art. 55, comma 1 D.Lgs.231/2007)
Omessa, tardiva, incompleta
registrazione negli archivi informatici e
cartacei.
(Art. 55, comma 4 D.Lgs.231/2007)
Le due precedenti violazioni se attuate
con mezzi fraudolenti.
(Art. 56, comma 6 D.Lgs.231/2007)
SANZIONE AMMINISTRATIVA
Fino al 05/02/2016 delitto con multa; dal 06/02/2016:
Sanzione pecuniaria da € 5.000 a € 30.000
(Possibilità di oblazione art. 16 L. 689/81 per la prima
violazione)
Fino al 05/02/2016 delitto con multa; dal 06/02/2016:
Sanzione pecuniaria da € 5.000 a € 30.000
(Possibilità di oblazione art. 16 L. 689/81 per la prima
violazione)
Fino al 05/02/2016 delitto con multa; dal 06/02/2016:
Sanzione pecuniaria da € 10.000
a € 50.000.
(Possibilità di oblazione art. 16 L. 689/81 per la prima
violazione)
Mancato rispetto del provvedimento di
sospensione dell’operazione sospetta
emesso dall’UIF
(Art. 57, comma 1 D.Lgs. 231/2007)
Omessa istituzione del registro della
clientela
(si ritiene stendibile la sanzione anche
all’omessa istituzione dell’archivio formato e
gestito a mezzo di strumenti informatici)
(Art. 57, comma 3 D.Lgs. 231/2007)
Omessa segnalazione di operazioni sospette
all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF)
(salvo il concorso nel reato: sanzione penale)
(Art. 57, comma 4 D.Lgs. 231/2007)
Mancato rispetto degli obblighi informativi
nei confronti dell’UIF
Sanzione pecuniaria da € 5.000
a € 200.000
Sanzione pecuniaria da € 5.000
a € 50.000
Sanzione pecuniaria all’1% al 40%
dell’importo dell’operazione non segnalata.
Nei casi più gravi è prevista anche la
pubblicazione del decreto sanzionatorio su 2
quotidiani di cui 1 economico a spese del
sanzionato.
Sanzione pecuniaria da € 5.000
a € 50.000
(Art. 57, comma 5 D.Lgs.231/2007)
Trasferimento di denaro contante,
emissione, incasso o trasferimento assegni
bancari o postali, libretti di deposito bancari
o postali o titoli a portatore tra soggetti
diversi, con valore dell’operazione , anche
se frazionata, > a € 3.000 *
*(nuovo limite dal 01/01/2016 prima €
1.000)
Sanzione pecuniaria dall’1% al 40%
dell’importo trasferito.
Minimo € 3.000
Per importi > € 50.000 minimo 5 volte
(Possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81
per importi fino a € 250.000)
Trasferimento e presentazione per l’incasso
Sanzione pecuniaria dall’1% al 40%
a banche o Poste Italiane da soggetti diversi
dell’importo trasferito.
dall’emittente, di assegni bancari o postali Minimo € 3.000
emessi a favore del traente.
Per importi > € 50.000 minimo 5 volte
(Non oblabile)
Sanzione pecuniaria dall’1% al 40%
dell’importo trasferito.
Emissione, nonché trasferimento o
presentazione all’incasso, di assegni circolari, Minimo € 3.000
vaglia postali o cambiari senza l’indicazione Per importi > € 50.000 minimo 5 volte
del beneficiario o la clausola di non
(Possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81
trasferibilità se obbligatoria.
per importi fino a € 250.000)
Sanzione pecuniaria dall’1% al 40%
Trasferimento di denaro contante per
dell’importo trasferito.
importi > a € 1.000 effettuato tramite Money Minimo € 3.000
Transfer
Per importi > € 50.000 minimo 5 volte
(Abrogata la precedente norma derogatoria
Legge 148/2011)
Possesso di libretti di deposito bancari o
postali al portatore con saldo > a € 1.000
(Possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81
per importi fino a € 250.000)
Sanzione pecuniaria dal 30% al 40% del
saldo.
Minimo € 3.000
Per importi > € 50.000 min. e max. +50%
Sanzione pecuniaria dal 30% al 40% del
Mancata estinzione o riduzione del saldo
saldo.
entro il 31/03/2012, dei libretti bancari o
Minimo € 3.000
postali al portatore posseduti al 06/12/2011 Per importi > € 50.000 min. e max. +50%
con saldo
> a 1.000 Euro
(se il saldo è inferiore ad Euro 3.000 la
sanzione è pari al saldo)
Mancata comunicazione alla banca o a
Poste Italiane Spa dei dati identificativi del
cessionario e della data di trasferimento dei
libretti al portatore nei 30 giorni.
Apertura in qualunque forma di conti o
libretti di risparmio in forma o con
intestazione fittizia.
Sanzione pecuniaria dal 30% al 40% del
saldo.
Minimo € 3.000
Per importi > € 50.000 min. e max. +50%
(se il saldo è inferiore ad Euro 3.000 la
sanzione è pari al saldo)
Sanzione pecuniaria dal 20% al 40% del
saldo con un minimo di € 3.000
Utilizzo in qualunque forma di conti o libretti
di risparmio in forma anonima o con
intestazione fittizia aperti presso Stati esteri.
Sanzione pecuniaria dal 10% al 40% del
saldo con un minimo di € 3.000.
Omessa comunicazione al MEF delle
infrazioni all’uso del denaro contante, di
titoli al portatore e di libretti, se conosciute
(obbligatoria per le dieci precedenti
violazioni)
Sanzione pecuniaria dal 3% al 30%
dell’importo dell’operazione, del saldo del
libretto ovvero del conto con un minimo di
€ 3.000.
(Non oblabile)
Inosservanza dell’obbligo di fornire al
cliente l’informativa sulla privacy
(Art. 13, D.lgs. 196/ 2003)
Sanzione pecuniaria da € 3.000 a € 18.000,
aumentata dei 2/3, da € 5.000 a € 30.000, in
caso di dati sensibili o giudiziari. Può essere
aumentata fino al triplo in ragione delle
condizioni economiche del contravventore.
Le sanzioni irrogabili dal Consiglio di disciplina
Le sanzioni devono essere adeguate alla gravità
degli atti compiuti e sono:
CENSURA
dichiarazione formale di biasimo, non si cancella mai
SOSPENSIONE
DALL’ESERCIZIO
DELLA
PROFESSIONE
Fino a 2 anni
RADIAZIONE
DALL’ORDINE
reiscrizione non prima di 6 anni
Profili di responsabilità penale (1 di 3)
Il tema della responsabilità penale dei professionisti
esercenti attività di consulenza per conto di imprese o
società proprie clienti, è divenuto di grande attualità a
seguito, non soltanto di talune pronunce giurisprudenziali,
ma anche, di recenti provvedimenti legislativi che hanno
sensibilmente ampliato l'area di rischio penale di tali
soggetti.
Profili di responsabilità penale (2 di 3)
L'art. 110 c.p. prevede che “quando più persone concorrono nel
medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo
stabilita”. Sotto il profilo psicologico, l'elemento soggettivo del
concorso richiede, da un lato, la coscienza e volontà dello
specifico reato e, dall'altro, la volontà di concorrere con altri alla
realizzazione del reato comune.
Benché la maggior parte dei reati fallimentari, societari e tributari
sia di tipo "proprio", è pacificamente ammesso che possa
concorrere alla commissione degli stessi anche un soggetto privo
della qualità personale richiesta ("extraneus").
Profili di responsabilità penale (3 di 3)
Secondo i principi generali in tema di concorso, la responsabilità
del concorrente in reato doloso (quali sono quelli menzionati)
presuppone, però, la consapevolezza di concorrere in un reato e,
quindi, la conoscenza della qualifica del soggetto destinatario
della norma incriminatrice ("intraneus").
Reati fallimentari: giurisprudenza (1 di 3)
Sentenza Cass. Sez. V, 13.1.2009 n. 9299
“In tema di concorso in bancarotta fraudolenta, il dolo
dell'extraneus consiste nella volontarietà dell'apporto alla
condotta dell'intraneus, con la consapevolezza che essa
determina un depauperamento del patrimonio sociale ai
danni dei creditori, senza che sia necessaria la specifica
conoscenza del dissesto della società"
Reati fallimentari: giurisprudenza (2 di 3)
Sentenza Cass. Sez. V, 15.2.2008 n. 10742
"integra il concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione il consulente della società che,
consapevole dei propositi distrattivi dell'amministratore della
società, concorra all'attività distrattiva posta in essere dal
medesimo, progettando e portando ad esecuzione la conclusione
di contratti (nella specie affitto di azienda) privi di effettiva
contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei
creditori”.
Reati fallimentari: giurisprudenza (3 di 3)
Sentenza Cass. Sez. V, 9.10.2012 n. 39988
"i consulenti commercialisti o esercenti la professione legale
concorrono nei fatti di bancarotta quando, consapevoli dei propositi
distrattivi dell'imprenditore o degli amministratori della società,
forniscano consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a
sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei relativi
negozi, ovvero svolgano attività dirette a garantire l'impunità o a
favorire o rafforzare, con il proprio ausilio o con le proprie
preventive assicurazioni, l'altrui proposito criminoso".
Reati societari: giurisprudenza (1 di 3)
Sentenza Cass. Sez. II, 13.1.1995
"al commercialista non è consentito seguire direttive illecite del
cliente“
"di fronte a queste egli può (e deve) declinare l'incarico e, qualora
ciò non faccia, sarà comunque penalmente responsabile in
concorso con il cliente".
Reati societari: giurisprudenza (2 di 3)
Sentenza Cass. Sez. V, 21.10.1998
"qualora il commercialista indichi in concreto la via per
adottare un espediente illecito o, addirittura, lo adotti di
persona, quale mezzo fraudolento diretto a celare le reali
condizioni economiche del cliente, si pone l'elemento
obiettivo di incriminazione per concorso, in quanto il
contributo morale cosi configurato è dato dal fatto che la
condotta esula dall'ambito professionale".
Reati societari: giurisprudenza (3 di 3)
Sentenza Cass. Sez. V, 21.1.1998
"chi contribuisca a realizzare complessi artifici contabili, idonei a
un'efficace dissimulazione della realtà, nella prospettiva della
futura dissimulazione di una riserva occulta nel bilancio di
esercizio di una società, offra un contributo causale determinante
alla condotta criminosa punita dall'art. 2621 cod. civ., soprattutto
quando le sue capacità tecniche professionali siano tali da
rassicurare
l'amministratore
sull'efficacia
del risultato
dissimulatorio".
I reati tributari
In questo tipo di reati, che hanno natura delittuosa, l’elemento
soggettivo è costituito dal dolo generico, che consiste nella mera
coscienza e volontà di contravvenire alle prescrizioni in materia.
Per aversi concorso di persone nel reato è necessario che ricorrano i
seguenti elementi indispensabili:
- pluralità di agenti;
- realizzazione di un fatto di reato;
- contributo causale di ciascun soggetto alla realizzazione di esso;
- la volontà di cooperare alla commissione del reato.
I reati tributari: il concorso del professionista
(1 di 2)
In questo caso, pertanto, la responsabilità del professionista a titolo di concorso può
esservi solo qualora il commercialista agisca con dolo.
Non si ha invece concorso di persone se il professionista si trovi a operare su
elementi forniti esclusivamente dal cliente, o si limiti a un semplice atteggiamento
passivo, sussistendo la sola scienza del fatto che altri stiano per commettere reato
Il professionista può essere chiamato a rispondere di un reato tributario non
soltanto a titolo di "dolo diretto" (qualora venga provato che lo stesso abbia
dato intenzionalmente un qualsiasi contributo causale materiale o morale alla
realizzazione del fatto delittuoso del cliente), ma anche a titolo di "dolo
eventuale" allorché si sia rappresentato in concreto la possibile realizzazione
del fatto criminoso e, nonostante tale previsione, abbia agito ugualmente
prestando il proprio contributo
I reati tributari: il concorso del professionista
(2 di 2)
Il commercialista, in base alle prove, deve risultare di essere attivamente coinvolto
e di aver pianificato e realizzato un progetto di evasione fiscale di ampie dimensioni
e protratto nel tempo, che può vedere coinvolte società e persone alle quali il
professionista fornisce consigli e direttive sulle false fatturazioni, andando così a
sottrarre nel tempo ingenti capitali destinati all’Erario.
L’imputazione a carico del commercialista può inoltre prevedere che, in attesa del
processo, venga applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari dal momento
che la sua qualifica e il livello professionale potrebbe implicare una pericolosità
sociale. Il professionista in tali fattispecie potrebbe essere passibile di sequestro
cautelativo per il reato di “corruzione attiva” (ex articolo 322-ter del codice penale).
Esempi di concorso del professionista
DICHIARAZIONE
Il consulente che, coadiuvando il contribuente nella predisposizione
di una dichiarazione infedele o fraudolenta, utilizzi documenti della
cui falsità sia a conoscenza.
OPERAZIONI
SOCIETARIE
Il consulente suggerisce al cliente particolari espedienti - quali
l'approntamento di artificiose costruzioni societarie - idonei a fargli
conseguire un'evasione d'imposta o un indebito rimborso ovvero il
riconoscimento di un inesistente credito d'imposta.
FALSA
FATTURAZIONE
il consulente si è attivato, per conto del cliente, per reperire nel
mercato delle società "cartiere", fatture per operazioni
oggettivamente inesistenti da inserire in contabilità (Cass. Sez. III,
9.6.2011 n. 29899).
SIMULAZIONE
il consulente assiste il contribuente nell'approntamento e
realizzazione di atti simulati fraudolenti per sottrarsi al pagamento
delle imposte dovute, cosi integrando il delitto di cui all'art. 11 del
DLgs. 74/2000.
Il fondo patrimoniale
Sentenze Cass. Sez. III, 10.6.2009 n. 38925 (in senso conforme.
Cass. Sez. III. 5.5.2011. n. 23986. Cass. Sez. III. 4.4.2012 n.
21013)
"la costituzione di un fondo patrimoniale, avente ad oggetto i
beni mobili e immobili del contribuente, benché anteriore
all'attività di riscossione (nella specie, effettuata in coincidenza
con i primi accertamenti o comunque con le prime verifiche da
parte della polizia tributaria) è atto idoneo a limitare le ragioni
del fisco e può, quindi, integrare gli estremi del delitto di cui
all'art. 11 del DLgs. n. 74/2000”.
Reati societari: giurisprudenza
Sentenza Corte di Cassazione n. 23522 del 5 giugno 2014
Il commercialista che ha presentato per via telematica la
dichiarazione dei redditi nella quale sono stati riportati costi
fittizi e fatture false rischia la condanna penale per frode fiscale.
La complicità del commercialista deve essere provata.
Ad esempio, nel caso in esame, sono stati tenuti in cono
elementi come le intercettazioni telefoniche, il possesso di
determinati documenti relativi alle operazioni fittizie,
l’occultamento e la distruzione di documenti contabili.
Falso in attestazioni e relazioni
Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli
arti 67, terzo comma, lett. d), 161, terzo comma, 182 bis,
182 quinquies e 186 bis espone informazioni false ovvero
omette di riferire informazioni rilevanti è punito con la
pena della reclusione da 2 a 5 anni e della multa da €
50.000 a € 100.000.
Responsabilità penale dei componenti
collegio sindacale o del sindaco unico
del
Sentenza Cass. Pen., n. 20515/2012
“in capo al collegio sindacale grava un vero e proprio
potere-dovere di impedire la realizzazione dell'evento
criminoso”.
Responsabilità penale dei componenti
collegio sindacale o del sindaco unico
del
Sentenza Cass. Pen. n. 20515/2012
“ I sindaci saranno punibili, a titolo di concorso omissivo
nel reato commesso dall'amministratore di una spa
qualora abbiano consapevolmente e costantemente
omesso i poteri – doveri di controllo attribuiti loro dalla
Legge”
Il Risk management nell’attività del commercialista
Alla luce delle numerose responsabilità di natura civilistica, amministrativa e
penale del commercialista per diminuire i rischi connessi all’esercizio
dell’attività professionale vi è la necessità di dotarsi nello studio di strumenti
di gestione di verifica e controllo.
È fondamentale istituire un
sistema probatorio per
dimostrare il diligente
adempimento dell’obbligazione
assunta nei confronti del cliente
(schede dalle quali risulta la data
di consegna dei documenti
controfirmata dal cliente, verbali
d’incontro, dichiarazioni, ecc.)
Sottoscrizione di una polizza assicurativa professionale che
preveda la più ampia copertura assicurativa
Tra gli obblighi fondamentali del libero professionista, la
giurisprudenza, con riferimento al commercialista, recentemente
ha assegnato un ruolo primario all’obbligo d’informazione
Secondo l’Art 2: “il professionista deve tempestivamente,
illustrare al cliente, con semplicità e chiarezza, gli elementi
essenziali e gli eventuali rischi connessi alla pratica affidatagli.
Nel corso del mandato deve ragguagliare il cliente sugli
avvenimenti essenziali”
Tale obbligo si concretizza nel dovere di informare, sollecitare e
dissuadere il cliente
3. Approfondimenti d’Autore
3 – Approfondimenti d’Autore – La responsabilità civile del commercialista nello svolgimento dell’incarico professionale
3. Approfondimenti d’Autore
▶ 3.1 La responsabilità civile del commercialista nello svolgimento del mandato professionale
di Armando Urbano
▶ 3.1.1 Premessa
Il commercialista svolge una professione di natura intellettuale e l’oggetto della sua attività professionale è
delineato dall’art. 1 del D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139 il quale disciplina che: “agli iscritti nell’Albo dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, è riconosciuta competenza specifica in economia aziendale e diritto
d’impresa e, comunque, nelle materie economiche, finanziarie, tributarie, societarie ed amministrative”.
Per questo motivo la sua attività professionale è caratterizzata dalla varietà, molteplicità e complessità degli
incarichi e dalle diverse funzioni svolte.
Infatti, sempre il D.lgs. n. 139/2005 elenca una serie di attività che formano oggetto dell’attività del
commercialista e dell’esperto contabile precisando che tale elencazione non è tassativa, in quanto l’ampiezza
del campo delle funzioni del professionista contabile si completa con altre attività introdotte da ulteriori interventi
legislativi.
È proprio in virtù di questa varietà di tipologie d’incarichi che deve ricondursi la diversità dei possibili profili di
responsabilità civile applicabili al commercialista e all’esperto contabile che derivano dallo svolgimento
dell’attività professionale e, a titolo esemplificativo e non esaustivo: dall’attività di tenuta e redazione delle
scritture contabili, dalla consulenza contabile, societaria, fiscale, dalla redazione e trasmissione delle
dichiarazioni fiscali, dalla perdita, distruzione e deterioramento di atti e documenti ricevuti per le esecuzioni di
incarichi professionali, dal trattamento dei dati personali, dagli adempimenti previsti dalla normativa
antiriciclaggio, e da tutte le attività che possono formare oggetto di un mandato professionale per tale tipologia
di professionista intellettuale.
La responsabilità del commercialista può configurarsi anche nei casi di assistenza per:
amministrazione e liquidazione di aziende, di patrimoni e di singoli beni; perizie e consulenze tecniche; ispezioni
e revisioni amministrative; verifica ed ogni altra indagine in merito alla attendibilità di bilanci, di conti, di scritture e
di ogni altro documento contabile delle imprese ed enti pubblici e privati; regolamenti e liquidazioni di avarie;
funzioni di sindaco e di revisore nelle società commerciali, enti non commerciali ed enti pubblici.
Secondo il Codice Civile (art. 1176) e in base alla costante giurisprudenza di legittimità che si è formata (Cass.
Civ., Sez. II, 21 luglio 1989, n. 3476 - Cass. Civ., SS. UU., 28 luglio 2005, n. 15781 - Cass. Civ., Sez. III, 9
ottobre 2012, n. 17143 - Cass. Civ., Sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22222 - Cass. Civ., Sez. III, 20 agosto 2015, n.
16993), l’incarico professionale ricevuto dal commercialista e dall’esperto contabile deve essere svolto
correttamente utilizzando la diligenza che un professionista di preparazione ed attenzione media pone
nell’esercizio della propria attività.
Tale diligenza, secondo autorevoli autori (C. M. Bianca, Diritto Civile, vol. IV: L’obbligazione, Giuffrè, Milano,
1995), ricomprende numerosi aspetti peculiari che possono essere così definiti:
◾ attenzione volta al soddisfacimento dell’interesse creditorio (diligenza);
◾ osservanza delle misure di cautela idonee ad evitare che sia impedito il soddisfacimento dell’interesse
che l’obbligazione è diretta a soddisfare e che siano pregiudicati altri interessi del creditore
giuridicamente tutelati (prudenza);
◾ impiego di adeguate nozioni e di strumenti tecnici, che implicano la conoscenza e l’attuazione delle
regole proprie di una determinata arte e professione (perizia);
◾ osservanza delle norme giuridiche rilevanti al fine del soddisfacimento dell’interesse del creditore e del
rispetto della sua sfera giuridica.
Sempre più numerosi sono i casi sottoposti alle aule giudiziarie ove il commercialista o l’esperto contabile (o, più
in generale, il consulente tributario) è chiamato in causa dal proprio cliente per asserita inadeguatezza della
prestazione professionale.
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3 – Approfondimenti d’Autore – La responsabilità civile del commercialista nello svolgimento dell’incarico professionale
Questo accade perché il professionista è responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria, non corretta
conoscenza o disapplicazione di normative di legge, o nei casi in cui, per negligenza o imperizia, comprometta il
buon andamento del rapporto professionale.
Di contro deve ritenersi esclusa la sua responsabilità nei confronti del cliente nel caso in cui venga richiesta
l’interpretazione personale di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, a meno che non venga provato il dolo o
la colpa grave nell’esercizio dell’incarico professionale ricevuto.
Pertanto, per evitare ogni tipo di responsabilità, il commercialista deve sempre osservare la diligenza richiesta
dalle specifiche disposizioni normative e dalla deontologia professionale e in particolare rispettare quanto
disciplinato dal Codice Deontologico della professione.
Il professionista dovrà ottemperare a una serie di direttive, pertanto: avrà il dovere e la responsabilità di agire
nell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione (avendo riguardo agli interessi legittimi dei clienti e
degli altri stakeholder); dovrà agire con integrità, onestà e correttezza in tutte le sue attività e relazioni, sia di
natura professionale che personale, osservando e rispettando norme, leggi e regolamenti.
Il professionista non dovrà essere in alcun modo associato con dichiarazioni, comunicazioni o informative, a
chiunque indirizzate, che non rispondano a verità, ovvero che contengano informazioni fuorvianti, ovvero che
omettano informazioni fondamentali ad evitare di fuorviare il destinatario delle suddette comunicazioni.
Egli dovrà evitare di perseguire utilità non dovute e adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte nei
confronti del cliente o di terzi in genere; si adopererà in assenza di pregiudizi, conflitti di interessi o indebite
pressioni di altri che possano influenzare il suo giudizio o la sua attività professionale; manterrà la sua
competenza e capacità professionale al livello richiesto per assicurare ai suoi clienti l’erogazione di prestazioni
professionali di livello qualitativamente elevato, secondo le correnti prassi e tecniche professionali e disposizioni
normative.
In base alla conoscenza sollecitata dalla natura della prestazione, dovrà avere un’allocazione adeguata di risorse
(umane e temporali), non sarà costretto ad accettare incarichi in materie in cui non è competente, e se
necessario deve avvalersi della collaborazione di altri professionisti.
Al professionista, in aggiunta, spetterà adempiere all’obbligo di formazione professionale continua agendo nel
rispetto delle norme sull’indipendenza e sulle incompatibilità previste in relazione alla natura dell’incarico
affidatogli.
Sarà tenuto a rispettare le interpretazioni in materia di indipendenza ed incompatibilità approvate dal Consiglio
Nazionale, in quanto i requisiti di indipendenza e le incompatibilità risulteranno stabiliti dalla legge.
In assenza di interpretazioni approvate dal Consiglio Nazionale in relazione a specifiche funzioni professionali, si
applicheranno le regole di indipendenza ed incompatibilità maggiormente rigorose tra quelle previste dalla legge
e quelle previste dal vigente Code of Ethics for Professional Accountants emanato dall’IFAC.
In ogni caso, il professionista non dovrà mai porsi in una situazione che possa diminuire il suo libero arbitrio o
essere di ostacolo all’adempimento dei suoi doveri, così come deve evitare qualsiasi situazione in cui egli si trovi
in conflitto di interessi.
A tal fine il professionista sarà libero da qualsiasi legame di ordine personale, professionale o economico che
possa essere interpretato come suscettibile di influenzare negativamente la sua integrità o la sua obiettività, oltre
ciò, fermi restando gli obblighi del segreto professionale e di tutela dei dati personali, previsti dalla legislazione
vigente, sarà vincolato a rispettare la riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della professione e
non deve diffondere tali informazioni ad alcuno, salvo che egli abbia il diritto o il dovere di comunicarle in
conformità alla legge.
Il comportamento assunto dovrà essere consono alla dignità, all’onore, al decoro e all’immagine della
professione, anche al di fuori dell’esercizio della stessa e altresì conforme al dovere di lealtà nei confronti dei
clienti e dei colleghi.
Avrà l’obbligo di adempiere le disposizioni dell’ordinamento giuridico di volta in volta applicabili e astenersi da
qualsiasi azione che possa arrecare discredito al prestigio della professione e dell’Ordine al quale appartiene
assumendo sempre un comportamento cortese e rispettoso nei confronti di tutti coloro con i quali verranno in
contatto nell’esercizio della professione ponendosi nella condizione di poter risarcire gli eventuali danni causati,
anche mediante adeguata copertura assicurativa.
Ai sensi dell’art. 2232 del Codice Civile il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto ma
può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è
consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.
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Le prestazioni svolte personalmente dal professionista, perché richiedono particolari conoscenze tecniche,
determinano per il professionista un obbligo di diligenza e di fedeltà nei confronti del cliente, la cui violazione può
dar luogo a responsabilità per il professionista stesso.
Qualora il professionista decida di far eseguire, in toto o in parte, la prestazione a un suo collaboratore potrebbe
incorrere nella responsabilità per errori del collaboratore; in questo caso, l’ausilio di collaboratori «non
comporta mai che costoro diventino parti del rapporto di clientela, restando invece la loro attività giuridicamente
assorbita da quella del prestatore d’opera che ha finito il contratto con il cliente” e pertanto qualora il
professionista non corrisponda i compensi pattuiti al collaboratore “il sostituto non è legittimato ad agire contro il
cliente medesimo per la corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico del professionista che si sia
avvalso della collaborazione».
Attenzione
La scelta di farsi sostituire da un collaboratore, in mancanza di una precisa convenzione con il cliente oppure
senza che gli usi lo consentano, fa si che il professionista risponderà, a causa del proprio inadempimento
contrattuale, degli eventuali danni causati dal sostituto o ausiliare, prescindendo dall’indagine circa la colpa o il
dolo di questi.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. II, 27 agosto 1986, n. 5248 - Cass. Civ., Sez. I, 7 luglio 1993, n.
7462 - Cass. Civ., Sez. II, 30 gennaio 2006, n. 1847) ha più volte affermato che: “La facoltà per il professionista
di servirsi della collaborazione di sostituti o ausiliari “non comporta mai che costoro diventino parte del rapporto
di clientela, restando invece la loro attività assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto
con il cliente”.
La responsabilità del professionista, nei confronti del cliente, scaturisce principalmente dal mandato
professionale sottoscritto fra le parti dalle quali si desume la tipologia di obbligazione assunta dal prestatore
d’opera intellettuale.
Al fine di determinare l’effettivo contenuto dell’obbligazione assunta dal professionista, la dottrina italiana, sulla
scorta di quella francese, ha fatto per lungo tempo ricorso alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni
di risultato; nella prima, quella di mezzi, il debitore mette a disposizione del creditore esclusivamente i propri
mezzi e capacità, senza essere obbligato a garantire il raggiungimento di un determinato risultato, mentre nella
seconda il debitore si obbliga nei confronti del creditore al raggiungimento del risultato oggetto del contratto, il
mancato conseguimento del quale comporta inadempimento del debitore.
L’obbligazione contrattuale di natura professionale si qualifica principalmente come obbligazione “di mezzi”
perché il professionista per essere considerato adempiente, è soltanto tenuto a un comportamento idoneo a
realizzare il risultato economico che il creditore si attende e il compenso ha comunque dovuto,
indipendentemente dal risultato ottenuto.
Per quanto concerne l’obbligazione di risultato questa si manifesta più raramente e, nel caso del commercialista
può essere rappresentata dalla trasmissione della dichiarazione dei redditi, entro la scadenza prevista dalla
normativa, a seguito dell’impegno assunto con il cliente.
La Corte di Cassazione, con varie sentenze, ha stabilito che:
«l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui
mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata.
Ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine - positivamente svolta sulla scorta degli
elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che sarebbe
dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una sua
diversa attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo».
La responsabilità professionale del commercialista può essere ravvisata in caso d’inesatta esecuzione
dell’obbligazione assunta, oppure qualora nell’eseguire una prestazione il professionista non abbia rispettato i
requisiti di diligenza, esattezza o puntualità; in questi casi si può parlare di colpa “lieve” del professionista.
Diversamente si applica l’art. 2236 del Codice Civile il quale prevede che: “Se la prestazione d’opera implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di
dolo o colpa grave”.
La diligenza richiesta al professionista è una diligenza qualificata, superiore a quella che viene richiesta a una
persona comune (c.d. diligenza del buon padre di famiglia), ed è commisurata alla prestazione che lo stesso
deve eseguire.
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Il professionista, infatti, risponde per negligenza, imprudenza e colpa lieve, atteso il maggior grado professionale
che si presume in capo allo stesso.
Il cliente che intenda agire per ottenere il risarcimento ha l’onere di provare il danno subito, la colpa del
prestatore d’opera intellettuale, nonché il nesso di causalità tra colpa e danno.
La giurisprudenza ritiene inapplicabile l’art. 2236 c.c. nelle ipotesi in cui si rinvengano:
«palesi imprudenze o comportamenti d’incuria: il prestatore d’opera intellettuale dovrà essere comunque
obbligato al risarcimento del danno laddove sia incorso in errori che non sono scusabili per la loro grossolanità
ovvero laddove si riscontrino ignoranze incompatibili con il grado di addestramento o di preparazione (...) che la
reputazione di un professionista dà motivo di ritenere esistenti», nonché nelle ipotesi di «temerarietà
sperimentale e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente
affida alle cure d’un prestatore d’opera intellettuale».
Per quanto concerne il significato di “soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” la Corte di Cassazione
sezione Civile con le sentenze della Sez. III, del 31 luglio 2015, n. 16275, e del 1 febbraio 2011, n. 2334 ha
statuito che “essa è riscontrabile in prestazioni coinvolgenti problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, per i
quali è richiesto un impegno intellettuale superiore a quello professionale medio, con conseguente
presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media, oppure non ancora
adeguatamente studiati dalla scienza”.
Secondo dottrina e giurisprudenza consolidata, nel concetto di colpa sono racchiuse: l’imprudenza, la
negligenza, l’imperizia, l’inosservanza di leggi o altre disposizioni normative e l’inottemperanza alle
disposizioni impartite dal cliente.
Per quanto concerne la responsabilità contrattuale del professionista questa si distingue in:
◾ responsabilità contrattuale: intesa come la responsabilità che deriva dall’inadempimento, dall’inesatto
adempimento e dall’adempimento tardivo di una preesistente obbligazione qualunque sia la fonte (ad
esclusione del fatto illecito);
◾ responsabilità extracontrattuale o aquiliana: (neminem laedere) prevista dall’art. 2043 c.c. che
dispone: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno”..
Secondo la Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Lav., 7 agosto 1982, n. 4437) “la responsabilità contrattuale e
quella extracontrattuale possono concorrere allorché un unico comportamento risalente al medesimo autore e
quindi un evento dannoso unico nella sua genesi soggettiva, appaia di per sé lesivo non solo di specifici diritti
derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che alla persona offesa spettano di
non subire pregiudizi all’onore, alla propria incolumità personale ed alla proprietà di cui è titolare”
La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nell’ipotesi di inadempimento di
un’obbligazione nascente dal contratto d’opera professionale, è legata alla ripartizione dell’onere della prova, ai
termini di prescrizione dell’azione e agli effetti giuridici relativi al risarcimento del danno.
Nella ripartizione dell’onere della prova al cliente creditore si richiede di dimostrare:
◾ L’esistenza del fatto storico da cui è sorta l’obbligazione (ossia di aver affidato l’incarico al
professionista);
◾ L’inadempimento del professionista (che può consistere nel mancato adempimento ovvero nella non
corrispondenza della prestazione eseguita rispetto all’oggetto dell’incarico, o ancora nell’inadeguatezza
della prestazione eseguita);
◾ La sussistenza dell’elemento soggettivo (ovvero che tale prestazione inadempiente è imputabile al
professionista per colpa o dolo);
◾ L’effettivo danno subito;
◾ Il nesso di causalità sussistente tra la difettosa e inadeguata prestazione professionale e il danno subito
dal cliente.
◾ Il professionista che si oppone al cliente deve dimostrare:
◾ l’impossibilità dell’istanza avanzata dal cliente;
◾ che il fatto che ha reso impossibile la prestazione non sia a lui imputabile e, quindi, di aver agito
secondo il criterio della diligenza professionale ex art. 1176, 2° comma c.c., oppure di aver agito in
presenza delle particolari difficoltà tecniche, di cui all’art. 2236 c.c., le quali non gli avrebbero
consentito, nonostante un’attenta condotta, di eseguire in maniera adeguata la propria prestazione
professionale (Cass. Civ., Sez. III, 31 luglio 2015, n. 16281).
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Nei termini di prescrizione, l’azione di responsabilità aquiliana, in virtù dell’art. 2947 del Codice Civile, si
prescrive in 5 anni, mentre quella per l’inadempimento dell’obbligazione ex contractu, ai sensi dell’art. 2946 del
Codice Civile, ha un termine di dieci anni.
Il momento iniziale dal quale far decorrere i termini di prescrizione, per esercitare l’azione di responsabilità
professionale, sulla base di un’interpretazione restrittiva della norma, andrebbe individuato nel momento in cui è
stata attuata la condotta lesiva.
▶ 3.1.2 Le responsabilità ai fini fiscali
Sono previste sanzioni amministrative a carico del professionista qualora si riscontrino violazioni di disposizioni di
carattere fiscale legate al rilascio del visto di conformità.
Il legislatore ha previsto, per i professionisti abilitati a tale servizio, la possibilità di rilasciare tre certificazioni ai fini
fiscali che attestano il regolare adempimento degli obblighi tributari da parte del contribuente: il visto di
conformità formale (o visto leggero); l’asseverazione degli studi di settore; la certificazione tributaria (o visto
pesante), per contribuenti aventi impresa in regime di contabilità ordinaria.
Per essere abilitati a tale servizio i professionisti devono avere i seguenti requisiti:
◾ siano abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni;
◾ abbiano predisposto la dichiarazione e tenuto la contabilità a cui il visto e l’asseverazione.
◾ si riferiscono;
◾ effettuino un’apposita comunicazione, in carta libera, alla Direzione Regionale delle Entrate,
territorialmente competente, in relazione al domicilio del professionista;
◾ stipulino una polizza assicurativa a garanzia dei contribuenti per i danni che potrebbero
◾ derivare dal rilascio del visto o dell’asseverazione.
Sotto il profilo sanzionatorio, ex art. 39 del D.lgs. n. 241/1997 resta ferma la possibilità di irrogazione di
specifiche sanzioni per la violazione di norma tributarie per il rilascio di:
1. per un visto leggero o di un’asseverazione infedele si applicano le modifiche apportate dall’articolo sei
del D. Lgs. N. 175/2014, all’art. 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 che stabiliscono, in caso di
visto infedele, che i Caf e i professionisti abilitati siano tenuti, nei confronti dello Stato o del diverso
ente impositore, al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e
della sanzione, nella misura del 30 per cento, che sarebbe stata richiesta al contribuente ai sensi
dell’articolo 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973. Come chiarito dalla Circolare n. 34/E/2015, non è
punibile il visto di conformità infedele sulla dichiarazione se risulta un importo dovuto complessivo
inferiore ai 30 euro. Se entro il 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa il CAF o
il professionista trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, se il contribuente
non intende presentare la nuova dichiarazione, trasmette una comunicazione dei dati relativi alla
rettifica (il cui contenuto sarà definito con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate), la somma dovuta
è pari all’importo della sola sanzione. Nel caso di presentazione di dichiarazione rettificativa, il
contribuente è tenuto al versamento della maggiore imposta dovuta e dei relativi interessi.
Inoltre, se anche il versamento è effettuato entro la stessa data del 10 novembre, tra l’altro, la
sanzione è ridotta nella misura del 3,75% (1/8 del minimo, prevista dall’articolo 13, comma 1, lettera
b), del D. Lgs. n. 472/1997 per il ravvedimento operoso).
2. Per un visto pesante infedele si applica la sanzione amministrativa da € 516,46 a € 5.164,57.
3. in caso di ripetute violazioni, è prevista l’inibizione della facoltà di rilascio del visto leggero o
dell’asseverazione, o la sospensione da 1 a 3 anni della facoltà di rilascio del “visto pesante”.
▶ 3.1.3 La responsabilità derivante da cariche societarie
Secondo quanto previsto dal Codice Civile i professionisti che detengono cariche a livello societario sono
solidalmente responsabili per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto
costitutivo.
Infatti, l’art. 2392 c.c. stabilisce espressamente: “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti
dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
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Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno
che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più
amministratori.
In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente
responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il
compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo
immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni
del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale”.
Pertanto, rimangono esonerati dalla responsabilità coloro che si dimostrino esenti da colpa.
I componenti dell’organo di controllo rispondono di eventuali danni che siano stati cagionati alla società e ai
soci o ai creditori sociali se l’evento dannoso si è verificato a causa dell’omesso controllo o del controllo non
diligente in conformità degli obblighi della loro carica.
I sindaci rispondono, in solido con gli amministratori, per i fatti o le omissioni di questi ultimi, quando il
danno non si sarebbe cagionato se essi avessero operato in conformità ai propri doveri.
▶ 3.1.4 La responsabilità derivante da incarichi giudiziari
Il curatore fallimentare, in base a quanto previsto dall’art. 38 della legge fallimentare adempie ai doveri del
proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico.
Durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa
autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori.
Il curatore che cessa dal suo ufficio, anche durante il fallimento, deve rendere il conto della gestione a norma
dell’art. 116”.
È responsabile delle conseguenze degli atti compiuti, anche se per gli stessi necessita l’autorizzazione del
giudice, e risponde sia nelle ipotesi di dolo o colpa grave sia in presenza di colpa lieve nei seguenti casi:
violazione delle direttive del giudice delegato, di commissione di atti svantaggiosi per la procedura, di
esperimento di azioni giudiziarie disastrose e di trascuratezza nell’esperire liti necessarie, nonché di difettosa
compilazione dell’inventario, di deficienza della relazione al giudice delegato o falsità o inesattezza del suo
contenuto, di omissione o manchevolezze nell’esposizione periodica dell’amministrazione, di mancato
adempimento alla richiesta di esibizione dei documenti giustificativi, di intempestiva, negligente o irregolare
vendita dei beni, di omessa sorveglianza sull’esercizio provvisorio, di incompleto o falso rendiconto della
Gestione.
Il consulente tecnico è tenuto a svolgere il proprio incarico con la diligenza “del buon tecnico medio”.
Qualora dovesse incorrere in colpa grave nell’ambito del suo ufficio è punito con l’arresto fino ad un anno o con
una multa fino ad € 10.329,14, oltre all’applicazione dell’art. 35, c.p..
Egli è tenuto “in ogni caso” al risarcimento dei danni causati alle parti per via della violazione dei propri doveri.
▶ 3.1.5 La responsabilità derivante dalla funzione di revisore di Enti pubblici
I revisori di Enti Pubblici, «rispondono della veridicità delle loro attestazioni e adempiono i loro doveri con la
diligenza del mandatario.
Devono inoltre conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione dei loro
uffici», secondo quanto disposto dal Testo unico degli enti locali. Ad essi è richiesta una diligenza di «avveduto
revisore contabile esterno indipendente» il quale «pur non dovendo assicurare il risultato della corretta e veritiera
rappresentazione contabile dei fatti gestionali, deve tendere alla migliore realizzazione possibile dell’incarico»; ciò
che presuppone «una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego degli strumenti tecnici
adeguati al tipo di attività dovuta».
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▶ 3.1.6 La responsabilità in materia di privacy
Per quanto concerne la tutela dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), «chiunque cagiona danno ad
altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile». Il
professionista che non assolve i doveri imposti dalla normativa sulla privacy incorre nel pagamento di una multa:
da € 3.000 a € 18.000 per i dati personali e da € 5.000 fino a € 30.000 nei casi di dati sensibili o giudiziari o di
trattamenti che presentano rischi specifici.
▶ 3.1.7 La responsabilità in materia di antiriciclaggio
In virtù dell’art. 41, D.Lgs. 231/2007, i commercialisti hanno l’obbligo di segnalare all’UIF qualsiasi operazione
conosciuta o sospettata che possa ritenersi collegata ad operazioni di riciclaggio e finanziamento al terrorismo.
Le segnalazioni non comportano violazione del segreto professionale e vanno inoltrate, anche se l’operazione
sospetta non abbia avuto luogo per sospetti o rifiuto. Il professionista che sospetti la sussistenza di operazioni di
riciclaggio, ha l’obbligo di astenersi dal compiere la prestazione professionale, finché non abbia effettuato la
segnalazione. Egli ha il divieto di comunicare al cliente o a terzi interessati che farà o ha fatto la segnalazione
all’UIF. In violazione di tale divieto è prevista una sanzione penale dell’arresto da sei mesi a un anno o
l’ammenda da € 5.000 a € 50.000. Il professionista ha solo la facoltà di dissuadere il proprio cliente dal
mettere in atto un’attività criminosa.
Ai sensi dell’art. 49. D.Lgs. 231/2007 il commercialista ha l’obbligo di segnalare le operazioni in contanti e titoli
al portatore d’importo singolo o frazionato superiore ad Euro 3.000,00.
In virtù di tale normativa il commercialista, entro trenta giorni dalla data in cui ha preso notizia, deve segnalare le
operazioni relative al trasferimento di denaro contante, libretti di deposito bancari o postali al portatore, titoli al
portatore in euro o in valuta estera, per un importo pari o superiore a € 3.000.
L’omissione della segnalazione darà luogo all’irrogazione, nei confronti del professionista, di una distinta
sanzione, rispetto a quella a carico del cliente, il cui importo è variabile dal 3% al 30% dell’importo non
segnalato, con un minimo di € 3.000,00. La sanzione comminata al professionista è da qualificarsi quale
sanzione diretta non soggetta a copertura attraverso polizze di responsabilità civile.
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▶ 3.2 La responsabilità penale del commercialista nello svolgimento dell’attività professionale
di Armando Urbano
▶ 3.2.1 Premessa
La responsabilità penale dei commercialisti e degli esperti contabili, nell’esercizio dell’attività di consulenza, è un
tema molto dibattuto a seguito di alcune pronunce giurisprudenziali e di recenti provvedimenti legislativi, quali
l’art. 12 del D.Lgs. n. 158/2015, attuativo della delega fiscale per la riforma del sistema sanzionatorio; tali
modifiche a livello dottrinario e giurisprudenziale hanno ampliato l’area di rischio penale del consulente o
dell’intermediario che compartecipa alla commissione del reato nell’esercizio dell’attività di consulenza.
▶ 3.2.2 Responsabilità del professionista per concorso nei reati
I profili di responsabilità del commercialista assumono rilievo in campo penale, con particolare riferimento alla
responsabilità del professionista per concorso nei reati.
L’art. 110 c.p. prevede che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace
alla pena per questo stabilita”.
Sotto il profilo psicologico, l’elemento soggettivo del concorso richiede, da un lato, la coscienza e volontà dello
specifico reato e, dall’altro, la volontà di concorrere con altri alla realizzazione del reato comune.
In particolare, la normativa penale italiana prevede che, per aversi concorso di persone nel reato, devono
sussistere le seguenti condizioni:
◾ la pluralità di soggetti agenti;
◾ la realizzazione di un fatto illecito;
◾ la partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento(oltre alla coscienza e volontà
del fatto criminoso, è richiesta la consapevolezza che il reato sia commesso con altre persone);
◾ la volontà di cooperare alla commissione del reato.
La pluralità di agenti prevede che vi siano almeno due persone per potersi ravvisare la partecipazione criminosa;
soggetti individuabili, nella specie, nel contribuente e nel suo consulente i quali, in ordine alla condotta censurata
penalmente, devono consumare un reato realizzando un fatto illecito.
Per quel che concerne il contributo illecito del professionista, è prospettabile sia il concorso materiale
(partecipazione fattiva), sia quello morale (partecipazione psichica, cioè comportamento teso ad agevolare
l’illecito del contribuente).
Si ipotizzi, per esempio, il caso in cui il commercialista predisponga una dichiarazione fraudolenta per far
ottenere al cliente dei benefici.
La giurisprudenza di legittimità in genere ritiene responsabile in concorso il commercialista, per la violazione
commessa dal cliente (fatture false, indebite compensazioni), quando sia l’ispiratore della frode anche se poi
solo il cliente abbia beneficiato della frode.
Pertanto, la responsabilità penale del commercialista a titolo di concorso di persone nel reato sussiste solo in
caso di dolo.
La condotta dolosa da parte del consulente, consiste nell’essere consapevole e cosciente del fatto che sta
ponendo in essere una frode fiscale.
Per esempio commette dolo il professionista che, oltre a consigliare il cliente sui mezzi giuridici idonei a sottrarre
i beni ai creditori, lo assiste nella stipulazione dei relativi negozi simulati.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17418 del 2016, ha sancito che “la configurabilità del concorso nel
reato di frode fiscale di coloro che, pur essendo estranei e non rivestendo cariche nella società cui si riferisce
l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il
meccanismo fraudolento che ha consentito alle utilizzatrici […] di potersi procurare fatture passive da inserire in
dichiarazione per abbattere l’imponibile societario […]”.
Sempre la Suprema Corte con la sentenza n. 39873 del 2013 aveva statuito la responsabilità di un
commercialista per aver redatto la dichiarazione fiscale del cliente sulla base di fatture contabilizzate e poi
ritenute false.
Il professionista è stato condannato sia perchè ‘‘ben consapevole’’ del ruolo di mere ‘‘cartiere’’ delle emittenti le
fatture su cui si era basata la fraudolenza della dichiarazione, ma anche perchè le fatture, ‘‘già in se stesse,
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3 – Approfondimenti d’Autore – La responsabilità penale del commercialista nello svolgimento dell’attività professionale
erano oggettivamente tali da indurre sospetto in un commercialista appena avveduto’’; infatti secondo la
Consulta un professionista avveduto dovrebbe quantomeno insospettirsi dinanzi a fatture di importi
considerevoli recanti però descrizioni troppo generiche o poco coerenti con la prestazione resa.
La Corte di Cassazione con la sentenza 9916/2010 ha affermato la responsabilità del commercialista per aver
appostato costi privi di documentazione o non inerenti nella dichiarazione, senza avere riscontrato la presenza
della relativa documentazione.
Viceversa, non si può parlare di concorso di persone nel reato se il commercialista ha agito esclusivamente su
elementi forniti dal cliente; in questo caso le inesattezze e le falsità dei dati non devono essere conosciuti o
riconoscibili dal professionista e, in tal caso, sarà solo il cliente a rispondere del reato penale.
Con la sentenza n. 49570/15 la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha assolto, “perché il fatto non
è previsto dalla legge come reato”, il commercialista che ha registrato le fatture false per conto dei clienti ma
non le ha inserite nelle varie dichiarazioni fiscali presentate.
In merito all’ipotesi di reato per omessa presentazione della dichiarazione, da parte del professionista negligente
incaricato alla trasmissione telematica dei dati reddituali, si è espressa la Suprema Corte, con la sentenza n.
18845/2016, sancendo che la semplice circostanza che il contribuente si avvalga dell’ausilio del professionista
per la predisposizione e la trasmissione della dichiarazione “non vale a trasferire su quest’ultimo l’obbligo
dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente”.
Secondo i principi generali vi è concorso quando un soggetto fornisce un contributo (di qualsiasi genere, anche
omissivo) all’effettuazione del fatto costitutivo di reato; pertanto, la responsabilità del concorrente in reato doloso
presuppone la consapevolezza di concorrere in un reato.
È opportuno ricordare che in base a quanto previsto dall’art. 5 del Codice Penale “nessuno può invocare a
propria scusa l’ignoranza della legge penale” (Ignorantia legis non excusat).
I reati di natura penale per i commercialisti possono configurarsi soprattutto in campo fallimentare, societario e
tributario.
I reati fallimentari si manifestano in presenza di una procedura concorsuale e le ipotesi criminose più importanti
sono rappresentate dalla bancarotta fraudolenta.
La Suprema Corte si è più volte espressa in tema di concorso in bancarotta fraudolenta dei professionisti che,
consapevoli dell’intento dell’imprenditore o dell’amministratore di voler sottrarre ai creditori i beni della società in
crisi, forniscono consigli o suggerimenti sulle possibili strade da percorrere o svolgono attività volte a favorire tale
intento o garantire l’impunità del management e di seguito si riportano alcune sentenze.
Con la Sentenza n. 39988/2012 è stato statuito che: “nel caso in cui i professionisti forniscano consigli
deprecabili o agevolino l’operato distrattivo dell’imprenditore in crisi, è configurabile in capo agli stessi consulenti
il reato di concorso in bancarotta fraudolenta”.
Nello specifico i consulenti commercialisti o esercenti la professione legale concorrono nei fatti di bancarotta
quando, consapevoli dei propositi distrattivi dell’imprenditore o degli amministratori della società, forniscano
consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei
relativi negozi, ovvero svolgano attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare, con il proprio ausilio
o con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui proposito criminoso.
La Sentenza n. 8349/2016 ha sancito che ”risponde di concorso in bancarotta il consulente che supporta i
manager nella distrazione dei beni societari con la sua attività. I fatti riguardano un avvocato fiorentino che aveva
contribuito al dissesto finanziario di una società cliente mediante la redazione di un contratto estimatorio.”.
I reati societari, nel nostro ordinamento, sono disciplinati in due corpi normativi. La gran parte delle norme sono
previste dal codice civile, in particolare all’interno del Libro V, libro del lavoro, nella quale vi è tutta la disciplina
delle società commerciali.
Tra le disposizioni penali in materia di società e di consorzi (Titolo 11) sono previsti i reati societari, dall’art. 2621
all’art. 2642 del codice civile.
A questa si accompagnano alcune previsioni disciplinate dal decreto legislativo 58/1998 - Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
La Cassazione si è pronunciata sovente sui reati di false comunicazioni sociali e di seguito si richiamano alcune
sentenze.
Corte di Cassazione, Sezione V penale Sentenza 12 gennaio 2016, n. 890: “Nell’attuale formulazione
dell’art. 2621 c.c., il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non esclude la rilevanza
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3 – Approfondimenti d’Autore – La responsabilità penale del commercialista nello svolgimento dell’attività professionale
penale degli enunciati valutativi, anch’essi idonei ad assolvere una funzione informativa laddove intervengano in
contesti che implichino l’accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente
indiscussi. Ne consegue che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria “da reato societario”, la omessa
svalutazione dei crediti in sofferenza, attuata nella consapevolezza della impossibilità o estrema difficoltà della
loro riscossione, trattandosi di condotta dotata di capacità decettiva, che consente una mendace
rappresentazione di solidità patrimoniale e finanziaria della società e la prosecuzione di ingiustificati prelievi dalle
casse sociali.”.
Corte di Cassazione, Sezione V penale, Sentenza 21.1.1998:”chi contribuisca a realizzare complessi artifici
contabili, idonei a una dissimulazione della realtà, nella prospettiva della futura dissimulazione di una riserva
occulta nel bilancio di esercizio di una società, offra un contributo causale determinante alla condotta criminosa
punita dall’art. 2621 cod. civ., soprattutto quando le sue capacità tecniche professionali siano tali da rassicurare
l’amministratore sull’efficacia del risultato dissimulatorio”.
Per quanto concerne i reati tributari questi hanno natura delittuosa.
L’art. 12 del D.Lgs. n. 158/2015 ha novellato il D.Lgs. n. 74/2000 introducendo l’art. 13-bis, rubricato
“Circostanze del reato”, che prevede la responsabilità penale del consulente o dell’intermediario che
compartecipa alla commissione del reato nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale.
Con questa integrazione il legislatore ha aumentato le soglie di punibilità di alcuni reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto e ha introdotto nuove fattispecie perseguibili penalmente.
La norma in questione si applica esclusivamente ai reati individuati dal titolo II del D. Lgs. 158/2015, e le pene
sono aumentate della metà per il concorso nella dichiarazione fraudolenta mediante:
◾ uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
◾ dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
◾ dichiarazione infedele;
◾ omessa dichiarazione;
◾ emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
◾ occultamento o distruzione di documenti contabili; omesso versamento di ritenute certificate;
◾ omesso versamento dell’IVA;
◾ indebita compensazione;
◾ sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Il professionista può rispondere del reato tributario sia a titolo di “dolo diretto”, sia a titolo di “dolo eventuale”.
La giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata su tipologie di reati tributari che vedono coinvolto il
commercialista, ivi comprese anche particolari ipotesi di concorso del professionista nel reato tributario di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, e di seguito si riportano alcune sentenze.
Corte di Cassazione, sentenza 17 agosto 2016, n. 34912: “I falsi provvedimenti di sgravio tributario ottenuti
con l’aiuto del funzionario infedele della pubblica amministrazione integrano sempre in capo al commercialista il
reato di falso materiale in atto pubblico in concorso”.
Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale sentenza 5 giugno 2014, n. 23522, dalla quale si evince che
rischia una condanna per dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 il commercialista che suggerisce
all’imprenditore come approntare le fatture false e successivamente trasmette per via telematica la dichiarazione
dei redditi nella quale sono stati riportati i costi fittizi derivanti dalle fatture false.
Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale sentenza 23 settembre 2013, n. 39079: “risponde del reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte il commercialista che realizzi comportamenti idonei a
rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte del Fisco, specie se in
presenza di operazioni finanziare complesse poste in essere al solo fine di eludere il pagamento delle imposte;
così facendo il contribuente nell’approntamento e realizzazione di atti simulati fraudolenti si sottrarrebbe al
pagamento delle imposte dovute, così integrando il delitto di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74/2000.”.
La Suprema Corte con varie pronunce (Cass. Sez. III Penale, 10.6.2009, n. 38925; Cass. Sez. III Penale,
5.5.2011, n. 23986; Cass. Sez. III Penale, 4.4.2012, n. 21013) ha sancito che: «la costituzione di un fondo
patrimoniale, avente ad oggetto i beni mobili e immobili del contribuente, benché anteriore all’attività di
riscossione (nella specie, effettuata in coincidenza con i primi accertamenti o comunque con le prime verifiche
da parte della polizia tributaria) è atto idoneo a limitare le ragioni del fisco e può, quindi, integrare gli estremi del
delitto di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000».
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3 – Approfondimenti d’Autore – La responsabilità penale del commercialista nello svolgimento dell’attività professionale
In ogni caso, per far scattare il reato tributario, la complicità del commercialista con il cliente deve essere
provata mediante intercettazioni telefoniche, o mediante il rinvenimento di determinati documenti relativi alle
operazioni fittizie presso lo studio del professionista, o provando che vi è stato l’occultamento e la distruzione di
documenti contabili.
In relazione alle prove raccolte dagli inquirenti, il commercialista deve risultare parte attiva di un progetto di
evasione fiscale, da lui pianificato e realizzato, che risulti rilevante e duraturo.
Qualora il magistrato riscontrasse che il professionista è effettivamente parte attiva nel reato contestato,
potrebbe adottare, in attesa del processo, la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Proseguendo nella disamina della violazione delle norme che possono far incorrere il commercialista nella
responsabilità penale, è opportuno ricordare il reato rubricato come ”falso in attestazioni e relazioni”.
Affinchè si configuri la fattispecie criminosa, ai sensi dell’art. 236 bis della L.F., il professionista, nelle relazioni o
attestazioni di cui agli articoli 67, comma 3, lettera d), 161, comma 3, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e
186-bis, deve esporre informazioni false ovvero deve omettere di riferire informazioni rilevanti; in tali fattispecie è
punito con la reclusione da 2 a 5 anni e con una multa da € 50.000 a € 100.000.
Il Legislatore ha, inoltre, previsto due aggravanti alla disposizione penale e nello specifico: se il fatto è
commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata; se dal fatto
consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.
La “responsabilità penale dei componenti del collegio sindacale o del sindaco unico” si può verificare nell’ambito
dei reati societari (come per esempio nel caso delle false comunicazioni sociali), nell’ambito dei reati di natura
tributaria, nell’ambito dei reati fallimentari, in tipologie di reati come ad esempio operazioni illecite sulle azioni o
quote sociali, restituzione indebita dei conferimenti dei soci, irregolare ripartizione degli utili e/o delle riserve,
nonché per riciclaggio e truffa.
Diverse sono le sentenze di legittimità che hanno esaminato i reati commessi dal collegio sindacale nell’esercizio
dell’attività di controllo e se ne riportano alcune.
Corte di Cassazione, Sez. V Penale, Sentenza 10 maggio 2016, n. 19470: “in tema di bancarotta
fraudolenta, la responsabilità a carico dei sindaci è, normalmente, ravvisabile a titolo di concorso omissivo, alla
stregua dell’art. 40 c.p., comma 2, e cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che,
ordinariamente, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il
non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo”.
Corte di Cassazione, Sez. Penale, Sentenza n. 20515/2012: “in capo al collegio sindacale grava un vero e
proprio potere-dovere di impedire la realizzazione dell’evento criminoso”. “I sindaci saranno punibili, a titolo di
concorso omissivo nel reato commesso dall’amministratore di una spa qualora abbiano consapevolmente e
costantemente omesso i poteri - doveri di controllo attribuiti loro dalla Legge”.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
▶ 3.3 Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
di Mauro Nicola
▶ 3.3.1 Introduzione
Il punto di partenza del presente contributo può essere considerato innanzitutto il contenuto dell’art. 14 del
codice deontologico della professione di dottore commercialista ed esperto contabile rubricato “Responsabilità
professionale”.
In tale documento si legge, testualmente, che: “Il professionista deve rendere noti al cliente gli estremi della
propria polizza assicurativa per la responsabilità professionale, nonché i relativi massimali ai sensi dell’art. 5 del
Decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137.”.
La professione del dottore commercialista è una delle più diffuse professioni liberali italiane, che ha origini
antiche quanto l’azienda: il dottore commercialista può, infatti, considerarsi il discendente diretto e più
qualificato delle antiche figure di professionista economico-contabile.
▶ 3.3.2 Incarichi e attività del dottore commercialista
Gli incarichi odierni attribuiti al dottore commercialista non si limitano più esclusivamente a quelli descritti
dall’ordinamento professionale:
◾ amministrazione e liquidazione di aziende, patrimoni e singoli beni;
◾ perizie e consulenze tecniche;
◾ ispezioni e revisioni amministrative;
◾ verifica e indagine sull’attendibilità di bilanci, dei conti, scritture ed ogni altro documento contabile
delle imprese;
◾ regolamenti e liquidazioni di avarie;
◾ funzioni di sindaco e di revisore,
ma hanno assunto, nel tempo, una ben maggiore complessità in conseguenza della crescente
industrializzazione del Paese, ma anche e soprattutto a causa dell’incessante modificazione della normativa
tributaria, sia nazionale, che determinata dal recepimento delle direttive comunitarie.
Le prestazioni professionali che il dottore commercialista può svolgere per conto dei privati riguardano attività
di assistenza e consulenza fiscale, interventi nell’area contrattuale e nell’area economico-finanziaria, nonché
assistenza giuridico-commerciale.
Le prestazioni che il dottore commercialista può svolgere per conto dell’impresa sono caratterizzate da una
crescente specializzazione, soprattutto nell’area finanza e controllo, nell’area amministrativo-contabile, nella
revisione e nella consulenza di diritto commerciale, societario e tributario, nonché nel campo delle valutazioni
d’azienda e delle operazioni straordinarie.
Ma il dottore commercialista interagisce oggi, sempre più frequentemente anche con enti pubblici ed
istituzioni. Nei confronti di questi soggetti sono diverse le aree di intervento del dottore commercialista, cui è
richiesto un qualificato impegno nell’ambito dell’attività di controllo a supporto della gestione pubblica, nell’area
progettuale, nell’area amministrativa, finanziaria, in quella della revisione dei conti e, da ultimo, in quella
formativa.
Anche la tutela dell’interesse pubblico trova nella categoria professionisti validi e qualificati per le attività
relative a consulenze tecniche, civili e penali, in materia economico-aziendale, nonché per le attività di curatore
fallimentare, commissario giudiziale e liquidatore.
▶ 3.3.3 Le responsabilità professionali in tema sanzionatorio
Circa una ventina di anni fa fece molto scalpore la vicenda della popolare conduttrice televisiva Mara Venier, che
si trovò, suo malgrado, e a sua insaputa, “inseguita” dal Fisco non per sue colpe personali, ma per il solo fatto di
essere stata truffata dal proprio commercialista.
In suo soccorso, e in soccorso di molti altri contribuenti che si trovarono in situazioni analoghe, fu
repentinamente emanata la cosiddetta “legge Venier”; questa innovativa normativa stabilì che il contribuente
non potesse subire sanzioni tributarie di alcun genere, se in grado di dimostrare che la responsabilità dei fatti
contestati fosse a carico di un altro soggetto: si tratta della legge n. 423/1995.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
La Suprema Corte di cassazione è recentemente tornata sull’argomento, con la sent. 30 novembre 2009, n.
25136, della Sezione tributaria.
Il caso vedeva contrapposti l’Agenzia delle entrate e un contribuente il quale si era visto sanzionato per non
aver presentato la dichiarazione dei redditi né aver versato le relative imposte. Il contribuente si era difeso
spiegando che aveva incaricato il suo commercialista di eseguire questi adempimenti, ma il professionista li
aveva omessi per semplice dimenticanza, circostanza, peraltro, confermata dallo stesso consulente.
Il contribuente aveva denunciato il fatto all’autorità giudiziaria, ma l’Agenzia delle entrate non lo aveva ritenuto
sufficiente, poiché non era ancora arrivata una sentenza definitiva a carico del professionista.
I giudici del Palazzaccio hanno, però, dato ragione al contribuente. È vero, infatti, che la legge del 1995, fra le
righe, lasciava intendere la necessità di una condanna definitiva, ma nel frattempo era intervenuta anche una
legge successiva, e più precisamente il D.Lgs. n. 472/1997, che aveva rivisto l’intero sistema delle sanzioni
tributarie.
L’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, infatti, parla di semplice denuncia del terzo responsabile, come nel caso
analizzato dalla sentenza citata, ed essendo il D.Lgs. n. 472/1997, una normativa successiva, la sua portata è
stata considerata prevalente sulla precedente legge n. 423/1995. Il contribuente è stato così esentato da ogni
sanzione.
Si sa, tra tasse, dichiarazioni, e scadenze varie, è sempre più facile dimenticarsi qualcosa nella giunga fiscale,
come dimenticare una data importante o saltare un adempimento. E’ proprio questo il motivo che induce molte
persone ad affidarsi ad un commercialista.
Per quanto riguarda la responsabilità del professionista nello svolgimento delle attività di consulenza ed
assistenza fiscale, il sistema sanzionatorio non penale, introdotto dal D.Lgs. n. 472/1997, ha disposto - all’art.
2 - per le violazioni di norme tributarie il principio della “responsabilità diretta ed esclusiva”, secondo il quale
“la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione”, cioè al
soggetto che “ha posto in essere il comportamento trasgressivo rispetto all’obbligo tributario” (vedasi in
proposito la C.M. 10 luglio 1998, n. 180/E).
Il decreto stesso pone dei limiti in ordine all’individuazione del trasgressore, disponendo che nelle violazioni
punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria,
sia essa dolosa o colposa; pertanto in mancanza di dolo, o di colpa, la violazione non è sanzionabile, e che, fino
a prova contraria, si presume autore dell’illecito amministrativo colui il quale ha sottoscritto, o compiuto, il
medesimo.
Il consulente fiscale, come anche il rappresentante legale, o un amministratore, potrebbe essere sanzionato sia
in qualità di autore proprio sia in qualità di autore mediato della violazione stessa.
La citata prassi ministeriale n. 180/E del 1998 precisa, inoltre, che, al fine di poter traslare la responsabilità
diretta dell’illecito su un soggetto diverso da colui che ha, ad esempio, sottoscritto la dichiarazione dei redditi e
per poter spostare la responsabilità sul consulente, “occorre che sia data prova dell’esistenza di una delega di
funzioni che abbia il carattere dell’effettività e cioè che attribuisca al delegato un potere decisionale reale insieme
ai mezzi necessari per potere svolgere in autonomia la funzione delegata e che, inoltre, la delega risponda ad
esigenze reali dell’organizzazione aziendale e venga conferita a soggetto idoneo allo svolgimento delle
mansioni”.
Attenzione
Allorché la responsabilità sia “diretta ed esclusiva” del professionista, la sanzione viene applicata solo se la
condotta del soggetto è caratterizzata da dolo o colpa.
Mentre, nei casi di responsabilità del professionista in qualità di “autore mediato”, l’art. 10 del D.Lgs. n.
472/1997 sancisce che chi, inducendo altri in errore inconsapevole, determina la commissione di una violazione
ne risponde in luogo del suo autore materiale, e che, pertanto, il professionista sarà tenuto al pagamento della
sanzione “in luogo” del trasgressore apparente, a patto che sussista la mancanza di consapevolezza del cliente
e che il comportamento induca altri in errore, escludendosi, così, la “culpa in eligendo” o “vigilando” del
contribuente poiché, se così non fosse, questi non potrebbe essere “liberato” dalla responsabilità, per non aver
controllato o scelto opportunamente il proprio consulente.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
Per quanto concerne l’induzione di altri in errore, la relazione ministeriale al citato D.Lgs. n. 472/1997 affermava
che “per quanto specificamente riguarda il professionista, non è prospettabile responsabilità per i pareri resi e le
indicazioni date nell’ambito della sua attività, se non nei casi di colpa grave”.
Successivamente però il legislatore, con il D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, modificando il decreto medesimo, ha
introdotto nella norma le seguenti parole: “Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza
tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa
grave”, aggravando di fatto la responsabilità del professionista, poiché, al di fuori dei “problemi di speciale
difficoltà”, il professionista potrà rispondere in merito a sanzioni tributarie anche in presenza di “colpa non
grave”.
Va detto che per “problemi di speciale difficoltà” si intendono argomenti e questioni non disciplinati
chiaramente, o espressamente, dalla norma di legge, privi di interpretazioni ufficiali dell’Amministrazione
finanziaria e di univoci orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, nonché le “novità” legislative per cui manca una
sicura e sufficiente impostazione dottrinale.
Con il termine “colpa grave” si individuano le ipotesi di indiscutibile imperizia o negligenza di comportamento, e
di macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari.
Se più soggetti concorrono in una violazione, ogni singolo soggetto soggiace alla sanzione per questa
disposta, ex art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997, così che, se, per esempio, il professionista avesse concorso con il
proprio cliente-trasgressore al compimento della violazione fiscale, entrambi risponderebbero della sanzione
prevista, poiché la responsabilità per concorso presuppone che ciascun concorrente apporti un contributo
personale alla realizzazione dell’illecito.
Avremo, invece, un concorso esclusivamente morale nei casi in cui il dottore commercialista fornisca al
cliente-trasgressore un impulso psicologico, attraverso l’istigazione alla realizzazione della violazione fiscale.
Il professionista incorrerà, inoltre, in una responsabilità in concorso, nelle ipotesi in cui faccia proprio
l’espediente illecito ed indichi concretamente la metodologia per adottarlo, o lo adotti personalmente.
Attenzione
Trascurando però le suesposte fattispecie delittuose, il professionista potrà incorrere in sanzioni in caso di
mancato, o tardivo, versamento delle imposte, relativamente a obblighi tributari del cliente-contribuente: in tal
senso, la legge n. 423/1995 prevede che la riscossione delle sanzioni nell’ipotesi in esame sia sospesa nei
confronti del contribuente e del sostituto d’imposta, qualora la violazione sia conseguente alla condotta illecita di
dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, iscritti nei rispettivi
albi, in dipendenza del loro mandato professionale.
E, sempre lo stesso D.Lgs. n. 472/1997 dispone, all’art. 6, che il contribuente, il sostituto e il responsabile
d’imposta non sono sanzionabili, qualora dimostrino che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto
denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.
Il consulente fiscale ha, quindi, una precisa responsabilità verso il contribuente e l’Erario: dal semplice errore
commesso nella dichiarazione, al parere, il consulente paga anche per l’illecito del cliente ed è coinvolto nel
reato, se suggerisce l’espediente fuori legge.
Considerando che negli ultimi anni l’attività del consulente fiscale si è sempre più radicata nella vita aziendale
dell’imprenditore-cliente, e poichè ormai il consulente partecipa attivamente nella pianificazione dell’attività sotto
il profilo fiscale, è il caso delle operazioni straordinarie, della creazione di strutture societarie estere, dei rapporti
infragruppo e così via, e fornisce specifici approfondimenti e soluzioni per circostanziate problematiche
mediante pareri, non limitandosi a seguire meramente gli adempimenti fiscali classici quali dichiarazione
reddituali, versamenti di imposte, ecc., si sono, vieppiù ampliati, stante anche l’accresciuta capacità
professionale maturata nella categoria, i profili di responsabilità del consulente verso il cliente e verso l’Erario per
l’attività di assistenza e consulenza svolta, si tratti del semplice errore nella compilazione della dichiarazione del
contribuente o di un parere su un problema più specifico.
La profilatura anche di una responsabilità penale del consulente fiscale, che risponde come concorrente, per
fatto del contribuente, nel caso in cui abbia indicato le modalità per adottare l’espediente illecito, o, addirittura,
lo abbia adottato di persona, pare essere ormai conclamata.
Non si può, invero, professare una generalizzata irresponsabilità dei professionisti, allorché essi con la loro
attività condizionino le scelte del cliente; ma è possibile individuare una linea di demarcazione tra la
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responsabilità, non solo penale e l’irresponsabilità del professionista nell’esercizio della sua attività nel fatto di chi
in concreto abbia indicato la strada illecita al contribuente.
▶ 3.3.4 La questione della deducibilità delle sanzioni
Da un punto di vista poi preminentemente tributario e riferentesi alla metodologia di determinazione del reddito
di lavoro autonomo tipico di colui che svolge la professione di dottore commercialista non possiamo dimenticare
il contenuto della circolare 20 giugno 2002, n. 55/E, secondo la quale l’eventuale sanzione amministrativa
comminata dal Ministero del tesoro a un sindaco di un’azienda di credito sarebbe indeducibile dal reddito di
lavoro autonomo. Infatti, secondo tali prassi ministeriale, un costo può essere considerato deducibile dal
reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito stesso.
Come chiarito con risoluzione 12 giugno 2001, n. 89/E, il rapporto di correlazione tra costo e reddito non è
riscontrabile, in linea di principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati dal pagamento di sanzioni
pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente. Di conseguenza, i costi imputabili alle
sanzioni irrogate al professionista sono stati ritenuti indeducibili.
Tuttavia in argomento vi è stata recentissimamente una importante inversione di rotta da parte della
giurisprudenza di merito.
Infatti a giudizio della Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sent. n. 427/03/10, e concordemente
alle tesi di Assonime e dell’Associazione commercialisti, le sanzioni irrogate dall’Antitrust sono deducibili dal
reddito d’impresa, in quanto inerenti ai sensi dell’art. 109 del T.U.I.R.
La tesi sostenuta dai giudici di prime cure si basa infatti sul principio che la sanzione ha natura risarcitoria e ha
inerenza con i ricavi, ma soprattutto sull’inesistenza nel panorama tributario nazionale di una norma che
disponga né la deducibilità né l’indeducibilità delle sanzioni.
La pronuncia dei giudici milanesi assume estrema rilevanza in quanto giunge successivamente ad un recente
orientamento della Cassazione, che, con la sent. 3 marzo 2010, n. 5050, aveva invece affermato l’indeducibilità
di tali sanzioni.
Secondo la CTP di Milano, il nodo focale della questione è costituito dal giudizio di correlatività tra costi e
ricavi, non tanto verificando la diretta connessione della sanzione ad una determinata componente del reddito,
bensì ad una attività «potenzialmente» idonea a produrre reddito, «laddove l’avverbio “potenzialmente” rende
ben chiaro il concetto di quelli che sono gli atti illeciti o illegittimi di cui si tratta, ossia quelli che attengono
all’abuso di posizione dominante o intese tra le varie compagnie che eludano le norme restrittive della libertà di
concorrenza, ossia atti sanzionabili con l’attività dell’Antitrust».
Attenzione
Sulla base di ciò, il Collegio meneghino afferma che la natura di tali sanzioni non può che essere risarcitoria e
non afflittiva. La multa è finalizzata a riportare le condizioni del mercato ad una maggiore equità, sottraendo
all’impresa, attraverso la sanzione, i ricavi conseguiti in violazione della concorrenza.
Da qui i giudici milanesi ricavano la «correlazione» tra i ricavi tassati e l’onere costituito dalle sanzioni antitrust,
riconoscendone la deducibilità e accogliendo quindi il ricorso.
Va segnalato che già quindici anni fa la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sent. n. 370/47/01,
aveva ritenuto che le sanzioni antitrust dovessero essere incluse nell’imponibile, e quindi deducibili, in quanto
«legate da un nesso di funzionalità» ai ricavi.
Pareri favorevoli alla deducibilità erano giunti in passato anche da Assonime (circolare n. 39 del 2000) e
dall’Associazione dottori commercialisti (norma di comportamento n. 138).
Tuttavia, nel corso degli anni, la giurisprudenza di merito ha fornito prevalentemente interpretazione contraria,
fino alla già citata sent. n. 5050 del 2010 della Cassazione. Anche l’Agenzia delle entrate ha mantenuto nel
tempo pollice verso alla deducibilità delle sanzioni antitrust (C.M. n. 98/E del 2000, risoluzione n. 89/E del 2001,
circolare n. 42/E del 2005).
▶ 3.3.5 Le assicurazioni professionali
Ecco allora che torna alla nostra memoria un antico adagio del settore assicurativo britannico: le assicurazioni
non servono per quello che accade ma per quello che potrebbe accadere !!!
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La copertura assicurativa, da un punto di vista professionale non è quindi solo un obbligo deontologico, ma
una vera e propria necessità, quando non un obbligo imposto dalla normativa tributaria per poter adempiere a
incarichi professionali ricevuti dalla clientela.
Attenzione
Il professionista oculato quindi avrà avuto modo di stipulare un’assicurazione di responsabilità civile, che ha il
precipuo scopo di tutelarlo dalle richieste di risarcimento da parte del cliente: sanzioni e multe di natura fiscale,
perdite patrimoniali per inadempienza ai doveri professionali, negligenza o imperizia durante lo svolgimento
dell’attività e così via.
Resta inteso che le maggiori imposte richieste dal Fisco resteranno, ovviamente, a carico del cliente: anche se
l’errore non fosse stato commesso, infatti, l’interessato avrebbe dovuto comunque pagarle.
▶ 3.3.6 Il divieto di “assicurazione”
Ad oggi, stante quanto sopra esposto, risulta praticamente impossibile assicurare i rischi professionali con le
cosiddette polizze R.C. professionali, e il problema della inassicurabilità delle sanzioni irrogate sulla base del
D.Lgs. n. 472/1997 è del tutto irrisolto ed irrisolvibile.
L’ISVAP, con la circolare 22 maggio 1995, n. 246, ha ritenuto “il contratto di assicurazione che sollevi
l’assicurato dal pregiudizio economico costituito dall’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie sia da
considerare … una funzione economico-sociale illecita per contrarietà all’ordine pubblico ex. art. 1343 c.c. … in
tal modo risulterebbero violati i principi di personalità ed afflittività … in relazione al potere deterrente delle
sanzioni amministrative riguardo ai comportamenti futuri dei soggetti interessati”.
Attenzione
L’ISVAP, in conseguenza di quanto sopra scritto, ritiene inassicurabile il rischio rappresentato dall’applicabilità di
sanzioni amministrative.
Ancora l’ISVAP, in una sua comunicazione del 24 luglio 2000, prot. n. 67335, rispose negativamente ad un
quesito di un professionista che domandava se un’eventuale appendice ad una polizza esistente che
prevedesse “qualora in forza di provvedimenti legislativi, venissero intestate ed inflitte al professionista anziché al
cliente, sanzioni, ammende o multe di natura fiscale per l’attività professionale svolta dall’assicurato, per
prestazioni professionali svolte dall’assicurato stesso nei confronti del cliente, la garanzia s’intende estesa anche
nei confronti del professionista con le stesse modalità e gli stessi limiti in cui sarebbe stata applicabile verso il
cliente”, ovvero si domandava se per una determinata violazione commessa dal contribuente-cliente per la
quale fosse prevista una sanzione da € 100, e che in virtù del D.Lgs. n. 472/1997, fosse stata inflitta al
professionista, la polizza assicurativa avesse mantenuto indenne quest’ultimo almeno sino alla concorrenza della
predetta sanzione.
Nel caso specifico l’ISVAP sottolineò l’introduzione del principio della personalità della responsabilità, in base
al quale in ogni caso chiamato a rispondere della condotta posta in essere, fosse l’autore della violazione, cioè il
professionista, invece del contribuente, come avveniva in passato.
Attenzione
Con il varo del D.Lgs. n. 472/1997, è stata evidenziata la diretta responsabilità dell’illecito del commercialista,
consulente del lavoro, ecc., incaricato di svolgere la propria attività per conto del contribuente, stravolgendo
così la regola che riteneva il contribuente come unico responsabile per gli adempimenti fiscali relativi al proprio
patrimonio.
▶ 3.3.7 Schema attuale dell’assicurabilità
Alla luce di quanto fin qui esposto esemplifichiamo schematicamente lo scenario dei possibili rischi assicurabili o
meno.
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Dolo
Colpa grave
Colpa lieve
Consulenza fiscale
Problemi di speciale difficoltà
Punibilità
Punibilità
Non assicurabilità
Non assicurabilità
Non punibilità
Assicurabilità
Punibilità
Assicurabilità
Normale attività di consulenza
Alla luce di quanto sinora considerato, il professionista si trova, quindi, nell’impossibilità di assicurare il proprio
rischio diretto, per le sanzioni tributarie irrogate nei suoi confronti.
Il professionista si troverà, pertanto, esposto alla possibilità di rispondere, e garantire, con il proprio patrimonio
nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, per l’illecito amministrativo posto in essere, non escludendo la
possibilità, ed il rischio, di dover rispondere nei confronti del cliente a titolo di responsabilità contrattuale.
Sono, evidentemente, al contrario assicurabili per la responsabilità civile le sanzioni fiscali inflitte al contribuentecliente per un errore imputabile al professionista di cui si è avvalso per curare la propria posizione fiscale.
▶ 3.3.8 L’assicurazione obbligatoria per il rilascio del visto di conformità
Sicuramente però l’argomentazione inerente le assicurazioni professionali ha subito un’importante accelerazione
in seguito all’introduzione nel panorama tributario italiano delle obbligatorietà previste dell’articolo 10 del D. L n.
78 del 1 luglio 2009, convertito dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009, che ha sancito, al comma 7, l’obbligo di
richiedere l’apposizione del visto di conformità da parte dei contribuenti che intendono utilizzare in
compensazione crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto per importi superiori a 15.000 euro annui.
L’art. 1, comma 574, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, ha esteso, poi, l’obbligo di apposizione del visto di
conformità di cui all’art. 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 alle compensazioni dei crediti
concernenti le imposte sui redditi, le relative addizionali, le ritenute alla fonte di cui all’art. 3 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, le imposte sostitutive delle imposte sul reddito e
l’imposta regionale sulle attività produttive, qualora gli importi siano superiori ad euro 15.000 annui.
In questa sede non va però sottaciuto come il visto di conformità sia stato introdotto nel lontano 1997, nell’alveo
del provvedimento normativo con il quale fu istituita l’attività di assistenza fiscale da parte dei centri di assistenza
fiscale e professionisti, e come possa essere apposto oggi relativamente alle diverse tipologie di dichiarazioni
reddituali, a partire dal modello dichiarativo semplificato per i lavoratori dipendenti e pensionati, il comunemente
noto Modello 730.
Per poter rilasciare il visto di conformità, i professionisti devono ottenere l’iscrizione all’elenco centralizzato dei
professionisti legittimati al rilascio e, a tal fine, devono effettuare una apposita comunicazione alla Direzione
Regionale competente in ragione del proprio domicilio fiscale, allegando la documentazione richiesta.
Detta comunicazione, disciplinata dall’articolo 21 del D. M. 31 maggio 1999, numero 164 deve contenere le
seguenti informazioni:
◾ richiesta di essere inserito nell’Elenco centralizzato, dell’Agenzia delle Entrate, dei soggetti legittimati
al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali;
◾ dati anagrafici, requisiti professionali, numero di codice fiscale e partita IVA;
◾ domicilio e altri luoghi ove viene esercitata la propria attività professionale;
◾ denominazione e dati anagrafici dell’eventuale associazione professione nell’ambito della quale il
professionista esercita l’attività di assistenza fiscale;
◾ denominazione o ragione sociale e dati anagrafici dei soci e dei componenti il consiglio di
amministrazione e, ove previsto, del collegio sindacale, delle eventuali società di servizi cui il
professionista partecipa e delle quali intende avvalersi per lo svolgimento dell’attività di assistenza
fiscale, con l’indicazione delle specifiche attività da affidare alle stesse;
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◾ l’impegno a comunicare eventuali variazioni dei dati, degli elementi e degli altri atti di cui sopra entro
30 giorni dalla data in cui si verificano, ai sensi dell’art. 21, comma 3, D.M. 31 maggio 1999 numero
164.
A tale comunicazione dovranno essere allegati:
1. dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. numero 445 del 2000, relativa
all’insussistenza di provvedimenti di sospensione dell’ordine di appartenenza;
2. dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. numero 445 del 2000, relativa alla
sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 8, comma 1, del D.M. n. 164 del 1999;
3. attestazione del possesso dell’abilitazione, rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, alla trasmissione
telematica delle dichiarazioni fiscali;
4. fotocopia di un documento d’identità del sottoscrittore;
5. copia conforme integrale della polizza assicurativa.
▶ 3.3.9 Le caratteristiche dell’assicurazione
L’abilitazione al rilascio del visto di conformità e l’iscrizione all’elenco centralizzato sarà subordinata alla verifica
dei requisiti sopra richiamati ed in particolare, con riferimento alla polizza assicurativa, sarà verificato che
relativamente all’attività di rilascio del visto di conformità, conformemente a quanto previsto dalla nota prot.
2007/49025 della Direzione Centrale Servizi ai contribuenti:
1. il massimale della polizza, come stabilito dall’art. 22 del D.M. 164 del 1999, sia adeguato al numero dei
contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di conformità e, comunque, non sia inferiore a euro
3.000.000,00;
2. la copertura assicurativa non contenga franchigie o scoperti in quanto non garantiscono la totale copertura
degli eventuali danni subiti dal contribuente, salvo il caso in cui la società assicuratrice si impegni
espressamente a risarcire il terzo danneggiato, riservandosi la facoltà di rivalersi successivamente sull’assicurato
per l’importo rientrante in franchigia;
3. la polizza assicurativa preveda, per gli errori commessi nel periodo di validità della polizza stessa, il totale
risarcimento del danno denunciato nei cinque anni successivi alla scadenza del contratto, indipendentemente
dalla causa che ha determinato la cessazione del rapporto assicurativo.
La polizza non dovrà contenere la clausola c.d. “claims made” in quanto la stessa non garantisce le richieste di
risarcimento avanzate dopo la scadenza del contratto, anche se gli errori contestati fossero intervenute nel
periodo in cui il professionista risultava assicurato.
Si segnala, inoltre, che la polizza non dovrà contenere, in alcun modo, l’indicazione di un modello di
dichiarazione specifico, in quanto, i soggetti in possesso dei prescritti requisiti, che avessero già presentato
regolare documentazione, saranno legittimati ad apporre il visto di conformità, ove previsto, su tutte le
dichiarazione fiscali. L’eventuale limitazione ad uno specifico modello dovrà essere rimossa.
Infine, qualora il professionista svolgesse l’attività nell’ambito di uno studio associato potrà utilizzare, quale
garanzia di cui al citato articolo 22 del D.M. n. 164 del 1999, la polizza assicurativa stipulata dallo studio
medesimo per i rischi professionali, purché la stessa preveda un’autonoma copertura assicurativa per l’attività di
assistenza fiscale, non inferiore a euro 1.032.913,80, a garanzia dell’attività di apposizione del visto di
conformità prestata da ogni singolo professionista, e per il quale andranno specificati i dati in polizza, e in linea
con le condizioni richiamate, precedentemente ai punti 1), 2), 3). Qualora le suddette caratteristiche non fossero
presenti in polizza sarà indispensabile venga effettuata una integrazione della stessa.
Nel caso di studio professionale associato nella polizza dovranno essere, poi, elencati i singoli professionisti che
la stessa intende garantire, e questi ultimi dovranno presentare autonoma richiesta abilitativa alla competente
Direzione Regionale delle Entrate.
Al riguardo, si specifica che è il singolo professionista ad essere iscritto nell’elenco informatizzato e
conseguentemente abilitato al rilascio del visto di conformità, pertanto ogni altro professionista appartenente
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3 – Approfondimenti d’Autore – Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari
all’associazione che non sia personalmente iscritto nell’elenco degli abilitati tenuto dalle Direzioni regionali non è
autorizzato ad apporre il visto di conformità.
L’Agenzia delle Entrate, verificata la completezza della comunicazione e le caratteristiche dell’assicurazione,
provvederà all’inserimento nell’Elenco Centralizzato dei soggetti legittimati dandone contestuale comunicazione
agli stessi tramite raccomandata.
Per mantenere la propria iscrizione nell’elenco informatizzato, il professionista abilitato dovrà provvedere, entro
trenta giorni dalla data in cui si verificano, a comunicare alla Direzione Regionale competente ogni variazione dei
dati comunicati e far pervenire, periodicamente, il rinnovo della prevista polizza assicurativa o l’attestato di
quietanza di pagamento qualora il premio relativo alla polizza sia stato suddiviso in rate.
In argomento si ricorda come, recentemente, sia la Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia che la
Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte abbiano chiarito che, al fine di mantenere, senza soluzione di
continuità, la propria iscrizione nell’elenco informatizzato da parte dei soggetti abilitati al rilascio del visto di
conformità, i professionisti periodicamente dovranno far pervenire alla Direzione Regionale competente il
rinnovo della prevista polizza assicurativa, o l’attestato di quietanza di pagamento, qualora il premio relativo alla
polizza sia stato suddiviso in rate.
Il rinnovo e/o la quietanza così presentati consentiranno al professionista di rimanere abilitato e inserito
nell’elenco informatizzato dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità ex articolo 35 del citato D. Lgs. n.
241 del 1997.
Stante il tenore delle comunicazioni operate dalle Direzioni Regionali citate le stesse non daranno riscontro al
ricevimento di detta documentazione.
Al contrario, comunicheranno la mancanza della stessa ai professionisti con polizza scaduta, invitandoli a
regolarizzare la propria situazione, prima di procedere alla loro sospensione dall’elenco informatizzato dei
soggetti abilitati.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Aspetti tributari inerenti le problematiche assicurative
▶ 3.4 Aspetti tributari inerenti le problematiche assicurative
di Mauro Nicola
▶ 3.4.1 Problematiche assicurative nell’imposizione diretta
Nel precedente contributo abbiamo affermato come, nonostante l’ondivaga interpretazione in materia operata
dai giudici di legittimità e dai giudici di merito, la posizione assunta in via ufficiale dall’Amministrazione finanziaria
in materia di deducibilità dal reddito di lavoro autonomo delle sanzioni irrogate al professionista per fatto
proprio risulta assolutamente netta, chiara, precisa, ma soprattutto univoca in relazione all’indeducibilità dal
reddito delle stesse.
Ristorno di sanzioni
Altro discorso invece, almeno a parere dello scrivente, deve essere fatto relativamente alle sanzioni che il
dottore commercialista fosse obbligato a ristornare al proprio cliente, al quale fossero state irrogate a causa di
una mancanza ovvero a causa di un errore professionale compiuto dallo stesso, in questo caso non essendo
la sanzione direttamente imputabile al comportamento del professionista, ma imputabile allo stesso in via
mediata, a causa del suo operato.
In questa situazione sembra evidente l’inoperatività dell’indeducibilità delle stesse sulla base dell’acclarato
principio della correlazione tra costi e ricavi.
Attenzione
Il professionista, erogando la prestazione professionale, ha ottenuto un compenso dal proprio cliente,
regolarmente assoggettato ad imposizione tributaria, e da tale suo operato, in epoca successiva, vi è stata la
generazione di una irrogazione di sanzioni in capo al cliente-contribuente che, rivolgendosi al professionista,
anche sulla base del codice deontologico dello stesso, ha proceduto al ristorno di tale sanzione, generando, nel
contempo, per lo stesso professionista un costo assolutamente deducibile.
Rimborsi assicurativi
Altra fattispecie di assoluto interesse riguarda invece l’ottenimento da parte del professionista di un rimborso
assicurativo a fronte delle sanzioni dapprima irrogate in capo al cliente-contribuente e successivamente
ristornate allo stesso da parte del dottore commercialista.
Trattasi di argomentazione che, è bene dirlo immediatamente in fase introduttiva della trattazione della
medesima, assolutamente scevra di commenti, in quanto a livello sia normativo che interpretativo, nonchè
dottrinale, non si rinviene presa di posizione alcuna in argomento, evidentemente, ed esclusivamente, nel
comparto della determinazione del reddito di lavoro autonomo, contrariamente alla determinazione del
reddito d’impresa.
Infatti in questo caso, ai sensi dell’art. 88, comma 3, lett. a), sono considerate sopravvenienze attive “le
indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati
alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 85 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 86”.
Taluni definiscono tali sopravvenienze “assimilate”, in quanto non correlate a componenti negative imputate a
precedenti esercizi. In questa ipotesi ricadono tutte le casistiche riguardanti le polizze “All Risks” o “Danni
indiretti”, che indennizzano l’azienda anche per evenienze diverse dalla perdita di beni materiali, quali, ad
esempio, i risarcimenti a terzi danneggiati, i risarcimenti per mancato guadagno o altre ipotesi che si possono
variamente configurare nella stesura delle polizze assicurative.
Per le sopravvenienze attive di cui sopra, la tassazione avviene nell’esercizio in cui viene contabilizzato il
risarcimento assicurativo, come per i ricavi e per le plusvalenze riferite a beni strumentali posseduti da meno di
3 anni.
Quest’ultimo tipo di indennizzo potrebbe essere collegato a costi materiali sostenuti dall’impresa, come nel caso
di risarcimenti dovuti a terzi, oppure non collegato a costi materialmente sostenuti, come nel caso di
risarcimento per perdita di profitto.
Dispensa | Master MySolution
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3 – Approfondimenti d’Autore – Aspetti tributari inerenti le problematiche assicurative
Attenzione
A personalissimo parere dello scrivente, la soluzione del problema potrebbe essere ricercata non tanto nel
tentativo, peraltro opinabile, ma assolutamente gradito al legislatore fiscale, di incastonare nelle metodologie
determinative del reddito di lavoro autonomo anche le sopravvenienze attive, quanto nell’ammissione della
rilevanza reddituale degli indennizzi percepiti dal professionista in conseguenza del risarcimento assicurativo
del danno subito per effetto di errore, o mancanza, professionale commessa.
Le ragioni di questa nostra presa di posizione, che comprendiamo possano essere ritenute piuttosto integraliste,
sono da ricercarsi da una parte, nuovamente, nella correlazione costo-ricavo, e dall’altra da ragioni di
simmetria impositiva.
La prassi
A supporto di tali nostre tesi portiamo, rispettivamente, il contenuto di due recenti prassi ministeriali: la circolare
n. 38/E del 2010 e la risoluzione n. 106/E del 2010.
Il caso tratteggiato dalla circolare n. 38/E del 2010 è quello del riaddebito delle spese da parte del
professionista. Infatti il reddito professionale «è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in
denaro e in natura percepiti nel periodo d’imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso
nell’esercizio dell’arte e della professione» (art. 54, comma 1, del T.U.I.R.). Dunque, i proventi rilevanti per la
determinazione del reddito professionale non possono che essere solo quelli tipici e, cioè, quelli ottenuti nello
svolgimento dell’attività professionale.
Pertanto, è da condividere la posizione dell’Agenzia secondo la quale, ai fini reddituali, le somme incassate per il
riaddebito dei costi ad altri professionisti in caso di utilizzo in comune dei locali, quali ad esempio, utenze
telefoniche ed elettriche, non costituiscono reddito di lavoro autonomo e, dunque, non rilevano quale
componente positivo di reddito per il professionista che le riceve, mentre costituiscono costo inerente
all’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, deducibile in base al principio di cassa, per il professionista
che materialmente le rimborsa.
Va, d’altra parte, tenuto presente che il professionista al quale sono intestate le utenze potrà dedurre solo una
parte delle spese e cioè quella riferibile all’attività da lui svolta e non anche quella riaddebitata o da riaddebitare
ad altri. Infatti, precisano alle Entrate, la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente all’attività
svolta dal professionista e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo.
Esempio
Si può immaginare il caso di un avvocato al quale sono intestate le bollette che riaddebitano il 30% dei consumi
al collega commercialista con il quale condivide lo studio. Se le spese comuni complessivamente sostenute
dall’avvocato ammontano a 6.000 euro, questi dedurrà dal proprio reddito professionale soltanto la quota parte
di spesa inerente la propria attività pari a 4.200 euro (70% di 6.000); riaddebiterà, invece, al collega la differenza
di 1.800 euro (30% di 6.000), emettendo fattura rilevante ai fini IVA, ma non per l’IRPEF, con addebito del
contributo integrativo e senza applicazione della ritenuta. Il commercialista dedurrà la spesa riaddebitata in
fattura soltanto al momento del pagamento, indicandola nel rigo E14 di Unico.
Questo modo di procedere lascia indenne il professionista anche dagli effetti che deriverebbero dall’assunzione
totale dei costi e dei pagamenti delle spese riaddebitate in sede di applicazione degli studi di settore.
L’ultima osservazione da fare è che il professionista che non include tra i compensi il riaddebito delle spese ha
dei benefici anche ai fini previdenziali, in quanto questi pagamenti non risulterebbero mai inclusi nel
contributo soggettivo da versare alle casse.
A medesime conclusioni si giunge, per questa via, relativamente ai rimborsi operati dall’impresa assicuratrice
nei confronti del professionista per indennizzarlo dei sinistri subiti. Il costo della sanzione non è rimasto a suo
carico o in via assoluta o in via parziale e quindi non potrà essere spesato completamente.
Nella risoluzione n. 106/E del 2010 l’Agenzia delle entrate ha, invece, affermato la rilevanza reddituale delle
spese processuali rimborsate ad un professionista in conseguenza del risarcimento del danno consistente
nella perdita di compensi. Tale affermazione appare connessa all’orientamento interpretativo in base al quale
sarebbero riconducibili alla nozione fiscale di «compenso» i rimborsi, anche da parte dei clienti, delle spese
inerenti all’attività professionale.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Aspetti tributari inerenti le problematiche assicurative
Attenzione
Da ciò si può, pertanto, evincere che i rimborsi assicurativi di cui stiamo trattando possono assumere la qualifica
di «compenso», ricomprendendosi per conseguenza nel coacervo dei componenti positivi di reddito
assoggettabili ad imposizione tributaria.
▶ 3.4.2 Le assicurazioni professionali nell’imposizione indiretta e riflessi contabili
Senza voler indugiare oltre misura su aspetti contabili che non meritano, ovviamente, alcuna attenzione da parte
del nostro attento lettore, stante l’evidenza delle stesse, piace comunque ricordare che, ai fini IVA, le operazioni
esenti vanno registrate, nel registro IVA acquisti, e conseguentemente riportate nella dichiarazione annuale,
solo se risultano da fattura, ossia da un documento avente le caratteristiche di cui all’art. 21 del D.P.R n.
633/1972.
In genere, le assicurazioni, come le banche, non emettono ordinariamente fatture per le operazioni esenti e
rilasciano, quindi, quietanze relative ai premi assicurativi che non risultano da un documento qualificabile ai fini
dell’imposta sul valore aggiunto come fattura. Pertanto, le medesime quietanze non andranno registrate ai fini
IVA, nè dovranno comparire in alcun quadro della dichiarazione annuale redatta ai fini della medesima
imposta.
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3 – Approfondimenti d’Autore – L’incarico al professionista non solleva il contribuente dalla responsabilità penale
▶ 3.5 L’incarico al professionista non solleva il contribuente dalla responsabilità penale
Tratto da MySolution – Commento 24 febbraio 2016, n. 868 di Marco Bargagli
▶ 3.5.1 Premessa
Molto sovente, nella prassi operativa, il contribuente affida al proprio consulente fiscale una serie di adempimenti
quali, ad esempio:
◾
◾
◾
◾
la tenuta delle scritture contabili;
la predisposizione e l’invio telematico della dichiarazione annuale dei redditi;
il versamento delle imposte per conto del contribuente;
il rilascio di pareri, che vengono forniti dal professionista in ordine alla gestione e alla pianificazione degli
investimenti da parte dell’impresa.
La maggior parte dei reati tributari sono di tipo proprio, in quanto possono essere commessi solo dal soggetto
nei cui confronti grava l’obbligazione tributaria, ossia il contribuente.
Considerando il prevalente indirizzo dottrinale in materia di delega di funzioni, il soggetto passivo d’imposta non
può trasferire ad altri la titolarità di obblighi giuridici personali come quelli, ad esempio, di presentare la dichiarazione dei redditi e/o provvedere al versamento delle imposte.
Di conseguenza, da una prima analisi, sembrerebbe destinatario della norma penale soltanto chi è investito di
tali doveri per obblighi previsti dalla legge, ossia il contribuente soggetto passivo d’imposta.
Tuttavia, chi si trova a svolgere funzioni di consulenza tributaria (ad esempio i commercialisti, i consulenti contabili, gli avvocati, ecc.) potrebbe concorrere, ai sensi dell’art. 110, c.p., nei reati commessi dai propri clienti.
Ciò premesso, occorre chiederci quando le attività svolte dal professionista possono configurare, in concorso
con il contribuente, una responsabilità penale per i delitti tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 e, in
particolare, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
▶ 3.5.2 Il reato di omessa presentazione della dichiarazione
In base all’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 5, comma 1,
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in vigore in data 22 ottobre 2015, è punito con la reclusione da un anno e
sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta,
essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con
riferimento a taluna delle singole imposte a 50.000 euro.
Inoltre, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d'imposta, quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a
50.000 euro.
Trattasi quindi di un reato proprio i cui soggetti attivi possono essere coloro i quali sono obbligati alla presentazione di una delle dichiarazioni annuali previste per le imposte sui redditi e per l’imposta sul valore aggiunto.
In particolare, la condotta criminosa consiste nell’omissione della presentazione della dichiarazione dei redditi
entro il termine massimo di novanta giorni dalla scadenza prevista dalle norme tributarie.
In merito, per la commissione del reato è richiesto il dolo specifico, costituito dal fine di evadere le imposte sui
redditi e sul valore aggiunto, comprensivo anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento
di un credito d’imposta inesistente.
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3 – Approfondimenti d’Autore – L’incarico al professionista non solleva il contribuente dalla responsabilità penale
▶ 3.5.3 Il recente orientamento della giurisprudenza
I principi di fatto e di diritto espressi dalla suprema Corte di Cassazione, nella sentenza 24 novembre 2015, n.
46500, confermano che l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e preparare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il reato di omessa dichiarazione.
In particolare, il legale rappresentante di una società di capitali veniva riconosciuto responsabile dalla competente Corte d'Appello del reato previsto dall'art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, in quanto aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per gli anni di imposta 2006 e 2007, con un’imposta evasa superiore alla soglia di punibilità fissata dalla norma (occorre considerare che prima delle modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 158/2015
l’imposta evasa doveva essere superiore a 30.000 euro).
Nel caso oggetto della sentenza, la ricostruzione del volume di affari della società era avvenuta su base induttiva da parte dell’Ufficio sulla scorta delle notizie acquisite presso le banche dati in uso all’Amministrazione finanziaria (elenchi dei fornitori) nonché dall’acquisizione, presso soggetti terzi, delle fatture emesse dalla società che
non aveva presentato la dichiarazione dei redditi.
In particolare, la Corte di Cassazione ha condiviso la decisione della Corte d'Appello, la quale aveva constatato
che:
◾ l’accertamento era fondato su dati obiettivi, derivando dalla sommatoria degli importi delle fatture
emesse dalla società e non contabilizzate;
◾ non erano state fornite dall’imputato le fatture passive;
◾ era ininfluente la presenza di eventuali operazioni esenti IVA, dal momento che la condotta omissiva in
contestazione riguardava esclusivamente l’imposta societaria (IRES);
◾ la base imponibile determinata in sede di accertamento era stata di fatto accettata dallo stesso imputato, il quale aveva provveduto al pagamento della imposte dovute;
◾ la soglia di punibilità prevista dall’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000 risultava superata.
Il contribuente proponeva ricorso avverso la decisione del giudice di Appello, rilevando che i rilievi mossi
dall’Ufficio non avevano rilevanza penale, per mancanza dell’elemento soggettivo del reato (rectius il dolo specifico).
La Corte di Cassazione ha respinto le osservazioni dei difensori dell’imputato/contribuente affermando che, in
ordine all'elemento soggettivo, l'affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di
omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000.
Infatti, a parere della Corte "l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi è un reato omissivo proprio,
che la norma tributaria considera come personale e il relativo dovere non risulta delegabile (cfr. Cassazione Penale, sez. III, sent. 8 marzo 2010, n. 9163).
Inoltre, il giudice ha rilevato che non è dimostrato che l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi possa attribuirsi alla negligenza del professionista incaricato.
Infine, accogliendo le osservazioni della Corte d'Appello con riferimento al fatto che negli anni precedenti le dichiarazioni dei redditi erano state presentate regolarmente, la suprema Corte ha osservato che il dolo specifico
a carico del contribuente richiesto dalla norma, oltre che dalla mancata presentazione della dichiarazione, era
desumibile "anche dalla mancata esibizione delle fatture emesse dalla società e dall'effettuazione del pagamento
delle imposte solo dopo la contestazione".
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3 – Approfondimenti d’Autore – L’incarico al professionista non solleva il contribuente dalla responsabilità penale
3.5.4 Gli altri precedenti giurisprudenziali
Con la sentenza in rassegna, la Corte di Cassazione conferma un consolidato orientamento espresso anche in
altre pronunce.
Nello specifico, con la sent. 8 maggio 2012, n. 16958, sempre la suprema Corte aveva affermato che l'affidamento a un commercialista del mandato di trasmettere per via telematica la dichiarazione dei redditi alla competente Agenzia delle Entrate (ai sensi del D.P.R. n. 322/1988), non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione
dei redditi, che deve comunque vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto.
Sempre sullo stesso argomento, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la prova del conferimento
dell’incarico a un consulente fiscale, che provvede alla tenuta delle scritture contabili e alla presentazione della
dichiarazione dei redditi non è condizione sufficiente a tenere il contribuente al riparo dalle sanzioni eventualmente irrogate in seguito alla mancata osservanza del mandato (cfr. Corte di Cassazione, ordinanze
12472/2010 e 12473/2010).
In definitiva, il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità porta a concludere che l’affidamento a un
intermediario abilitato (ad esempio, il commercialista) a trasmettere per via telematica la dichiarazione dei redditi
non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione dei redditi a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente
adempiuto.
Conseguentemente, la responsabilità penale ricade sul contribuente soggetto passivo d’imposta.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
▶ 3.6 Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
Tratto da MySolution - Circolare Monografica 27 giugno 2016, n. 2422 di Marco Bargagli
▶ 3.6.1 Premessa
Nella prassi operativa, il contribuente spesso demanda al consulente fiscale il compimento di una serie di
adempimenti fiscali quali, ad esempio, la tenuta e conservazione delle scritture contabili, l’effettuazione delle liquidazioni periodiche e dei relativi versamenti, la registrazione delle fatture, la tenuta e l’aggiornamento della
contabilità, nonché la presentazione della dichiarazione annuale.
La recente sentenza n. 1829/21/2016 emessa dalla commissione tributaria regionale di Roma offre lo spunto
per affrontare nuovamente il tema, molto dibattuto tra gli addetti ai lavori, delle responsabilità amministrative a
carico del consulente fiscale e/o del cliente in ipotesi, ad esempio, di omessa presentazione della dichiarazione
dei redditi e di omesso versamento dei tributi dovuti all’erario.
In questo ultimo precedente giurisprudenziale, il giudice tributario ha sottolineato che il soggetto passivo
d’imposta (i.e. il contribuente) non è responsabile dell’omesso pagamento dei tributi qualora la medesima omissione sia imputabile all’inerzia, all’imperizia, alla negligenza del professionista incaricato di assolvere agli adempimenti fiscali a lui demandati dal cliente.
▶ 3.6.2 Il caso
Nel corso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza, era stato constatato che la società ispezionata aveva ceduto prodotti oggetto della propria attività (nel settore farmaceutico), senza presentare le prescritte
dichiarazioni dei redditi e, simmetricamente, versare le relative imposte risultando, di fatto, un evasore totale.
A seguito degli accertamenti fiscali, l’Ufficio emetteva avviso di accertamento irrogando le sanzioni previste a carico del contribuente, senza valutare il comportamento del professionista, tenuto conto che l’obbligazione tributaria incombe sul soggetto passivo d’imposta.
Tuttavia, la società intendeva richiedere quantomeno l’annullamento delle sanzioni in quanto le omissioni non
erano riferite alla volontà dei soci, bensì al consulente fiscale che non aveva provveduto al versamento delle imposte dovute e alla relativa presentazione della dichiarazione dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate, di contro, non aveva accordato l’istanza di accertamento con adesione presentata dalla
società, con contestuale richiesta di annullamento delle sanzioni e, quindi, la stessa società proponeva ricorso al
giudice tributario avverso gli avvisi di accertamento notificati.
▶ 3.6.3 La decisione del giudice tributario di primo grado
La Commissione Tributaria Provinciale ha respinto il ricorso del contribuente, accogliendo la tesi dell’Ufficio sulla
base del fatto che, nonostante l’omissione dipendesse dal consulente fiscale, il contribuente (soggetto passivo
d’imposta) avrebbe dovuto comunque controllare l’operato del professionista verificando, puntualmente, che
tutti gli adempimenti previsti dalla legge fossero stati realmente assolti.
▶ 3.6.4 Responsabilità amministrativa e relative esimenti
Se la violazione agli obblighi tributari è conseguenza di un errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando
l'errore medesimo non è determinato da colpa (cfr. art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997).
Inoltre, le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e
le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili ai fini tributari.
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3 – Approfondimenti d’Autore – Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
Infine, non è punibile l'autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza
sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza
delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento (art. 6, comma 2, D.Lgs. n.
472/1997).
Attenzione
Nella sentenza emessa in primo grado dalla CTP, il giudice tributario ha rilevato che non può rendersi applicabile
l’esimente prevista dall’art. 6, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, in base alla quale: “il contribuente, il sostituto e il
responsabile di imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito
per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”.
Infatti, sullo specifico punto, si evidenzia che il contribuente allorquando è venuto a conoscenza della condotta
negligente del professionista aveva tempestivamente sporto, nei suoi confronti, denuncia-querela.
▶ 3.6.5 La sentenza della CTR Lazio accoglie il ricorso del contribuente
La CTR di Roma con la richiamata sentenza n. 1829/21/2016, ha, di contro, evidenziato che l’esimente di cui al
citato art. 6, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997 opera pienamente in quanto i contribuenti hanno, con sufficiente
grado di attendibilità dimostrato:
•
•
•
di avere incaricato un professionista di fiducia, conosciuto da anni, di curare gli adempimenti fiscali relativi all’attività di impresa;
che tale professionista, pur avendo incassato i compensi relativi all’incarico conferitogli ha omesso, per
sua negligenza, di presentare le pertinenti dichiarazioni dei redditi e i pagamenti concernenti i tributi dovuti;
di avere presentato, prontamente, denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti del professionista negligente.
Schema di sintesi
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3 – Approfondimenti d’Autore – Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
Attenzione
Il contribuente non si può ritenere responsabile di non aver verificato se il proprio consulente abbia o meno
adempiuto agli obblighi tributari a lui demandati.
Infatti, il mancato pagamento, come rilevato dalla Corte, non è dipeso da un fatto direttamente imputabile al
contribuente, bensì dalla condotta negligente (se non anche artificiosa) del professionista incaricato di curare gli
adempimenti fiscali.
Inoltre, il “fatto del terzo” che ha determinato il mancato pagamento, è stato regolarmente denunciato all’autorità
giudiziaria da parte della compagine societaria.
Quindi, non può essere imputata al contribuente la c.d. “culpa in vigilando” per non avere verificato, con la dovuta solerzia e sollecitudine, se il professionista incaricato avesse effettivamente ottemperato ai suoi obblighi
deontologici e giuridici.
Infatti, come rilevato dal giudice di seconde cure, tale impostazione:“appare fondata su un eccessivo rigorismo
formale, che di certo non tiene conto del principio della tutela dell’affidamento incolpevole ... omissis… né del
principio secondo cui il professionista è tenuto - proprio in ragione della specificità della sua funzione e della sua
preparazione tecnico-scientifica - ad ottemperare ai propri obblighi professionali con estrema puntualità e con
una diligenza superiore a quella media”.
Di contro, a qualsiasi soggetto passivo d’imposta potrebbe sempre essere attribuita la colpa per l’altrui negligenza, con la conseguenza che “la culpa in vigilando finirebbe per divenire una sorta di grimaldello per introdurre
surrettiziamente forme atipiche di responsabilità obiettiva non contemplate dall’ordinamento”.
In definitiva, il giudice tributario regionale ha annullato gli avvisi di accertamento, nelle parti in cui applicavano le
sanzioni amministrative, ritenendo pienamente operante l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, D.Lgs. n.
472/1997.
▶ 3.6.6 Le diverse posizioni della giurisprudenza
Preso atto delle motivazioni della sentenza emessa dal giudice laziale, corre l’obbligo di evidenziare che non
sempre la giurisprudenza, anche di legittimità, ha mantenuto un orientamento univoco nel tempo.
Quindi, non è così scontato che l’affidamento al consulente fiscale di adempiere fedelmente agli obblighi tributari
possa sempre sollevare dalla responsabilità il cliente (soggetto passivo d’imposta), su cui, comunque, permane
l’obbligazione tributaria.
Sul punto, la Corte di Cassazione, Sez. VI-5, con ordinanza 9 giugno 2016, n. 11832, ha previsto che si applicano sanzioni al contribuente negligente, anche se il tardivo deposito della dichiarazione IVA è dipeso dal commercialista.
Nello specifico, infatti, gli obblighi di presentazione della dichiarazione dei redditi e di tenuta delle scritture contabili non possono considerarsi assolti con l’affidamento delle incombenze a un professionista, richiedendosi
anche un'attività di controllo e vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, superabile solo a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare l’inadempimento dell'incarico ricevuto.
Ne consegue che l'affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle entrate non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione fiscale a vigilare
affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto.
Pertanto, rilevando ai fini dell'irrogazione delle sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie la coscienza e volontà, il contribuente ha l'obbligo di presentare correttamente e fedelmente la dichiarazione, di rediDispensa | Master MySolution
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3 – Approfondimenti d’Autore – Nessuna responsabilità per il cliente che affida al consulente il pagamento dei tributi
gerla in modo fedele e di fare i versamenti dovuti in base a essa e quando si rivolga a un intermediario abilitato
per la compilazione e la trasmissione - ovvero per la sola trasmissione telematica del modello, è suo preciso obbligo quello di far si che la dichiarazione sia correttamente e fedelmente compilata e tempestivamente presentata (conformemente cfr. Cass. n. 13068/2011 e Cassazione n. 27712/2013).
Attenzione
Secondo l’autorevole giurisprudenza della Corte di Cassazione possiamo concludere che l'affidamento a un
commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione, non sempre esonera il soggetto
obbligato dal vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto.
Per tale motivo, in conclusione, in aderenza con il principio di ordine generale della “certezza del diritto” che
dovrebbe costituire un punto di riferimento assoluto anche in campo tributario, si auspica un intervento da parte
del Legislatore che ponga fine alla querelle in corso e risponda, definitivamente alla domanda: in caso di omesso
adempimento degli obblighi tributari, nei confronti di chi si rendono applicabili le sanzioni amministrative e penali?
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