leggi il pdf - Abruzzo è Appennino
Transcript
leggi il pdf - Abruzzo è Appennino
numero 3 anno 2014 Registrazione Tribunale di Sulmona n. 3 del 13-12-2006 AèA abruzzoèappennino Direttore Responsabile Antonio Di Fonso Redazione Massimo Colangelo Luca Del Monaco Giuliana Susi Riziero Zaccagnini Segreteria di redazione Riziero Zaccagnini Progetto Editoriale Massimo Colangelo 3 Editoriale 4 email [email protected] 12 ZoШdesign Fotografia Luca Del Monaco Traduzioni Marta Di Felice Hanno collaborato Marcello Bonitatibus Sabrina Ciancone Pasquale D'Alberto Alfredo Del Monaco Rino Di Fonzo Adriana Gandolfi Roberto Grillo Antonio Monaco Tommaso Paolini Piero Savaresi Redazione "Terre" 03/14 indice Ufficio Stampa Via Collegio dei Fabbri Corfinio 67030(AQ) Progetto grafico ottobre Abruzzo è Appennino rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale 39 Adesso ti racconto una storia [Editorial] Le terre del vino 41 [The land of Wine] 44 Ecomuseo vitivinicolo Le aree faunistiche del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise 13 Pietrantonji. Storia e orgoglio dei vini peligni 46 Scrittori a tavola. Ignazio Silone e il cibo dei poveri 14 Sulle tracce di Pino Zac L’agenda digitale abruzzese [Catching up with Pino Zac] 18 Lo spazio della memoria 20 L’orgoglio della bellezza in una comunità di abitanti 23 49 Fantasia: il frantoio storico di Raiano 51 Transappennino: da Monaco al cuore d’Abruzzo 52/55 Primo piano La sagra della polenta Serenata di Capodanno Nero d’Abruzzo REGIONE ABRUZZO Regione Abruzzo L.R. 11-11-2013 Assessorato agli Enti locali Progetto pilota AbruzzoèAppennino Comuni Cocullo, Morino, Fontecchio, Raiano, Pettorano sul Gizio, Scontrone, Vittorito Partner privati Mac edizioni, TV6, Associazione Paesaggi d'Abruzzo www.abruzzoeappennino.com stampa PUBLISH pre&stampa Cepagatti 25 56 L’arte di correre Le campanare di Opi [Soul places The Opi’s Bell Ringers] 29 Rituali del solstizio d’inverno 32 La Majella orientale 36 L’Appennino in tasca 38 Comunicare l’ambiente nella regione dei Parchi 59 I monti della Meta 62 Pedalando sulle colline teatine 64 Lo scaffale ANTONIO DI FONSO [Editorial by Antonio Di Fonso] CCADONO quasi d’in- A sito (www.abruzzoeappennino.com), verno i piccoli cambia- rinnovato nella grafica e nei conte- menti che non ti aspetti. nuti, agile e flessibile come si dice in Per esempio che le questi casi, che unisce e rinsalda in- chiocciole dello Slow food abruz- formazione cartacea e on line, foto- zese, del cibo buono e genuino grafia e video, sincronizzando gli conquistino il Salone del gusto di spazi: come avere tutta la comuni- Torino, dove i prodotti della nostra cazione in una tasca. Quella tasca regione hanno convinto tutti, ad- virtuale e reale, fidata e accogliente detti ai lavori e pubblico. Un suc- che soddisfa la richiesta di informa- cesso annunciato, perché la zione, la nostra bussola suadente tradizione e la sapienza artigianale che indica il nord della buona navi- nell’enogastronomia sono una ga- gazione. È l’ultimo dei cambiamenti, ranzia e una ricetta vincente. Op- quello che ci condurrà alla scoperta pure che i sensori della tecnologia e dei luoghi dell’anima, ci farà ci farà le nuove frontiere del web incon- emozionare nel racconto di una tra- trino le strade sterrate e i cigli er- dizione popolare, svelerà i segreti di bosi delle montagne, indicando un borgo antico semplicemente con percorsi, tracciando cammini, un clic sul portatile. L’Appennino in aprendo scenari. Scie tecnologiche tasca è il titolo del convegno che si luminose su cui il turismo del- è svolto a Cocullo, in cui sindaci, l’Abruzzo interno viaggerà più ve- amministratori regionali, operatori loce. Accadono sempre in questa culturali e rappresentanti dei Parchi stagione storie che mutano prospet- si sono confrontati e hanno dise- tive, segnali di una umanità resi- gnato gli scenari dello sviluppo stente che si fa respiro e prossimo futuro dell’Abruzzo mon- testimonianza, come nel racconto tano. Ma è soprattutto una parola delle campanare di Opi, una vita chiave che ci apre la porta nella no- dedicata a scandire i giorni e le stra riserva di futuro: la montagna, i feste del paese, che infuri la bufera suoi tesori, le sue storie, le sue o scrosci la pioggia battente. Altre genti. Piccoli cambiamenti dunque trasformazioni sono quelle che arri- si muovono, lentamente avanzano. vano da AbruzzoéAppennino: ab- Come le chioccioline del gusto. Al- biamo presentato il nostro nuovo l’inizio dell’inverno. It is during the winter that little changes happen. For example that Abruzzo’s Slow Food escargots, as well as honest and genuine food, would win over the Salone Internazionale del Gusto in Turin, where products of our region have convinced everybody, stakeholders and public. A well anticipated success, as enogastronomy tradition and handcrafts knowledge are a proven winning recipe for our region. Or, for example, that technological sensors and new web frontiers would meet the winding paths of our mountains, highlighting itineraries, tracking routes, opening sceneries and scenarios. Technological luminous trails on which Abruzzo’s tourism will be more easily conveyed. In this season, other stories can be told, stories about perspectives, signals of strong humanity, depositaries of traditions as the Opi’s bell ringers, women that have devoted a life to set the time for days and celebrations, regardless the weather, sunshine or storms. Other changes are those arriving directly from Abruzzoéappennino. We have presented our new website www.abruzzoeappennino.com, renewed in graphics and contents, more flexible and connected to the paper version, photography and video, synchronizing the spaces: with the aim of giving some usable pocket information. L’Appennino in Tasca, is the title of the conference that was held in Cocullo, in which mayors, regional administrators, cultural operators and Parks representatives have confronted their ideas and outlined new scenarios for the development of our inner Abruzzo. This is also a keyword for opening the door of our future: mountain, its treasures, stories, people. Little changes are then happening, slowly unveiling. Right at the doors of winter. 2 3 Le terre del vino testi GIULIANA SUSI foto LUCA DEL MONACO, ARCHIVIO PIETRANTONIJ 4 R imane nell’anima quel profumo di mosto che aleggia tra strade e vicoli, inebriando Vittorito di sapori della terra e della tradizione; quando l’autunno è alle porte. Si avverte non appena si varca l’ingresso nel borgo, ai lembi della Valle Peligna, luogo che ha dato i natali al vitigno del Montepulciano d’Abruzzo, come testimoniano non solo le opere di Ovidio (Amores e Metamorfosi) in cui si celebrava la bellezza dei vigneti della Conca Peligna, ma anche gli scritti dello storico Michele Troia del 1700. Penetra nelle narici, s’impadronisce dei sensi e dipinge un quadro romantico fatto di uve, vigne, cantine, tini e torchi fuori le porte e botti da lavare davanti l’uscio lungo le strade. D I BUON MATTINO, quando il paese si sveglia e squadre di operai si danno appuntamento al bar pronti per cominciare la vendemmia. Le campagne si riempiono, le famiglie si riuniscono, si raccoglie l’uva da mattina a sera, si pranza nelle vigne, tra il giallo, il rosso, e luci che cangiano al passar delle ore. Un cesto con le tipicità locali, provolone, formaggi saporiti, peperoni fritti, baccalà, patate e focaccia casereccia. Storie senza tempo, fatte di sudore e fatica, che sanno di tradizioni e connotano l’identità di un paese caratterizzato da arte, cultura e attività rurale. Usanze oggi rinnovate, mutate nelle forme e nei mezzi. A fare la differenza sono le diverse aziende vitivinicole inserite nel bel mezzo del paese, in cui il turismo enogastronomico diventa leva per il rilancio economico, in rete con i comuni del territorio, come spiega il sindaco Carmine Presutti, puntando alla realizzazione di un’enoteca provinciale, da affiancare all’ecomuseo inaugurato nel 2010. Per incrementare il turismo slow, lento, il sindaco cita il progetto di un anello ciclabile di 50 chilometri, «il turismo enogastronomico diventa leva per il rilancio economico, in rete con i comuni del territorio» lungo i tracciati dei fiumi, che unirà Vittorito con gli altri paesi di “Terre dei Peligni” (associazione dii cui è membro). Lavori cominciati lo scorso settembre, così che gli appassionati della bici, già dalla prossima estate, potranno percorrere i sentieri fin dentro i centri storici e nella natura. Una burocrazia più snella è il sogno del sindaco Presutti, per far sì che l’agricoltura e i terreni incolti possano tramutarsi in opportunità di lavoro. Il paese è tra le “Città dell’Olio”, partecipando con successo anche ai concorsi del Buon Olio Peligno “Frantolio” e di “Lorolio”. Nel luglio 2009, a tre mesi dal sisma che devastò L’Aquila e che ferì non poco il paese, si tenne a Vittorito il Consiglio nazionale delle “Città del Vino”, a sostegno dell’unico comune del tempo nella provincia aquilana membro dell’associazione nazionale. Una solidarietà che portò a promuovere i vini vittoritesi nel Veneto. «Un momento im- 6 [The land of Wine By Giuliana Susi] portante che ci ha incoraggiato in quei terribili giorni» commenta il sindaco, ricordando il prezioso aiuto che l’associazione donò al paese (fuori dal cratere sismico): un contributo di 15 mila euro per restaurare il bellissimo Ciborio del XV secolo, danneggiato dal terremoto, gioiellino della chiesa di San Michele Arcangelo, costruito sui resti di un tempio italico (II-I sec. A.C). Diverse le manifestazioni che nell’anno si svolgono a Vittorito; non solo il brindisi in notturna ad agosto con “Calici di stelle”, ideata dal Movimento Turismo del Vino, in collaborazione con Città del Vino, ma passeggiate a cavallo, promosse con il Circolo ippico 89 Cavalieri dell’Antera, che organizza annualmente l’Endurance Cup, manifestazione equestre internazionale che unisce sport e ambiente, fiore all’occhiello del borgo peligno. Dopo aver riposto la bici, di rientro da una gita tra le vigne, se ne scorge una, sinuosa, chiamata tenuta del Cerano, dell’antica famiglia Pietrantonji, azienda che in ogni stagione richiama molti turisti in paese. Lì dove il mosto lascia la sua impronta tra antiche case e stradine, tra storia, arte e tradizione. When the fall season is knocking at the door, a perfume of must is wavering through the alleys of the village of Vittorito, “City of Wine”, at the edge of the Peligna’s Valley. This place has given birth to the wine variety of Montepulciano D’Abruzzo. Entire families gather in their vineyards, for the harvesting from morning to evening, having a quick packed lunch in the fields, among the white, red and the lights that changes as the sun sets down. Stories of old times, stories of sweat and tears, stories of traditions and the identity of a place, made of handicraft, culture and rural activities. Traditions that have been renovated over the years, and that gives a new incentive to wine and food tourism and a good stimulus for an economic twist. Working in connection to the other villages of the area – as the mayor explains – this idea is aiming to build a province wine shop, to be sided to the eco-museum launched in 2010. We visited also the ciborium of the ‘500 church of Saint Micheal, we cycled around and also rode a horse lead by the “Cavalieri dell’Antera”. A tour through the vineyards of “Cerano” and a taste of the best wine of the historical wine maker shop owned by the Pietrantonj’s family. Simple and intense ways of discovering a village and its true traditions. 10 Ecomuseo vitivinicolo testo e foto GIULIANA SUSI E VOCI di antichi vignaioli rimbombano nella stanza, facendo eco al mondo vitivinicolo di un tempo, fatto di vigneti, di innesti, di credenze popolari, riti e processioni, di uve e di vini. Non ancora esposizione completa di botti o tini come reperti archeologici, per testimoniare che la produzione vitivinicola a Vittorito affonda le radici in tempi remoti, ma una mostra permanente che segna, per ora, un primo passo verso la realizzazione di un grande ecomuseo vitivinicolo. In esposizione foto, pannelli, storie di campi e di vita, di usanze, di canti durante la vendemmia, di cesti di grappoli sulla testa, di dialetti, di conoscenze e saperi legati alle vigne e alla produzione del L «per noi il miglior premio sono i clienti che tornano sempre» 12 13 vino appartenenti al tempo che fu, raccontati dalla gente del paese, immortalati in una serie di videointerviste che accompagnano, di stanza in stanza, la visita nell’ecomuseo situato al primo piano dei quattro nell’antico Palazzo Rivera, che domina il paese nella parte vecchia. Inaugurato nel 2010, il museo racconta uno spaccato di vita a Vittorito, paese considerato in ambito regionale un luogo in cui si produce buon vino, testimonianza di una tradizione agricola della Valle Peligna, nonostante le trasformazioni avvenute nel territorio. Lo scopo, in linea con l’idea classica di museo, è la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, della tradizione popolare di lavorare la vigna, in un percorso che evidenzia risorse agricole e ambientali, particolari legati alla vitivinicoltura, con le sue usanze e antiche tecniche, che da sempre caratterizza il borgo peligno. “Il lavoro è un gesto abituale eredità di una storia collettiva e immutabile: tutti a Vittorito erano agricoltori, anche in modo diverso: braccianti, proprietari, lavoranti ad ore. Il rapporto con la terra, però, legava ciascuno allo stesso identico destino di fatica e dedizione” si legge su uno dei pannelli. L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di recuperare quanto più possibile le memorie che documentino il passato da tramandare alle nuove generazioni. «Abbiamo un patrimonio immenso» commenta il sindaco Carmine Presutti «sono proprio le persone anziane che raccontano cosa è stato Vittorio: un paese in cui il vino è protagonista da sempre. È avvenuta, poi, la grande emigrazione, che ha permesso a chi è rimasto di sopravvivere. Prima non c’erano i terreni da coltivare e, andando via, queste persone hanno dato la possibilità a coloro che sono rimasti di poter costruire una famiglia. L’intenzione degli emigranti era di tornare a Vittorito, per comprare un pezzo di terra, in quanto è sempre stato nel dna dei vittoritesi lavorare la vigna. Questo ecomuseo è una cosa straordinaria per noi: ritroviamo il nostro passato che suscita sempre una grande emozione, sentimenti che premono dentro il petto anche quando riascoltiamo la voce di quegli anziani. Vogliamo semplicemente lasciare alle nuove generazioni ciò che hanno insegnato i nostri nonni e padri». Pietrantonji. Storia e orgoglio dei vini peligni «Abbiamo racchiuso nei nostri vini tutto il fascino della storia, il forte legame con la terra e la capacità di innovare rispettando la tradizione». È con queste parole che Alice e Roberta Pietrantonji sintetizzano l’essenza dell’antica azienda vitivinicola di famiglia, Italo Pietrantonji, lunga oltre due secoli, fiore all’occhiello di Vittorito. Storia e tradizione per l’azienda che affonda le origini nel 1830, restando tra le più rinomate del territorio con riconoscimenti a livello nazionale. È situata nel bel mezzo del paese, con prestigiosi ambienti che custodiscono testimonianze dell’antica distilleria per la produzione di acquavite finissima che portò avanti Nicola Pietrantonij, primo enologo abruzzese. Un piccolo museo vitivinicolo con botti in rovere. Cruccio, invece, per le produttrici è l’antica cantina, quella più grande e importante, nel cuore storico del paese, ferita dal terremoto del 6 aprile 2009. Ad oggi è ancora chiusa. Leggi e burocrazia hanno impedito di provvedere autonomamente ai lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza dell’edificio, rinviando il sogno di tornare a mostrare un gioiello di famiglia ai tanti turisti, che in ogni periodo dell’anno visitano l’azienda. In fondo la miglior strategia della famiglia è quella di ricevere i clienti sul posto, in quell’ambiente accogliente, che con secolare dedizione portano avanti, dai tempi eroici del fondatore Alfonso Pietrantonij. Le giovani imprenditrici non si sono date per vinte e hanno realizzato dopo il sisma ( nel 2010) “Temè”, un Pecorino spumantizzato, che si rifà a un’espressione del dialetto dell’Aquila, ed è l’unico spumante del territorio aquilano. Vasta la gamma di vini; il top aziendale proviene dalla Tenuta del Cerano. Nascono, dunque, il Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva Cerano, il Cerasuolo Doc Superiore Cerano, che vanta prestigiosi riconoscimenti, il Trebbiano d’Abruzzo Doc Superiore Cerano e il Passito Rosso. Le sorelle Pietrantonij con un occhio al futuro e guardando al passato, accennano ai ricordi d’infanzia, alla magia di un paese in festa, quando tutta la comunità si dedicava alla vendemmia. I più bei momenti sono legati a una piccola vigna: loro erano bambine e si divertivano a vendemmiare tra 5 filari. La storia dell’azienda, è anche la storia di un orgoglio, consapevolezza di fare bene il proprio mestiere. Un orgoglio che riaffiora quando ripetono «per noi il miglior premio sono i clienti che tornano sempre». SULLE TRACCE DI PINO ZAC A Fontecchio la residenza del geniale artista diventerà un centro polivalente testo ANTONIO DI FONSO - foto LUCA DEL MONACO A palazzo Muzi le tracce di Pino Zac sono disseminate dovunque, appena saliti le scale, nell’ androne vetusto in cui si respira l’odore di polvere, giornali e libri, negli angoli e negli interstizi che invitano il visitatore a soffermarsi, in cerca magari del foglio di un appunto, dello schizzo di un disegno, dello studio del ritratto per una caricatura. P INO ZAC - Giuseppe Zaccaria all’anagrafe, “pratolano di origine e di sangue, nato a Trapani solo per sbaglio” come amava ripetere lui - è stato artista, vignettista, regista cinematografico, scenografo, fondatore di giornali satirici come Il Male, foglio graffiante e irriverente che nell’Italia degli anni Settanta satireggiò il potere, i partiti, i potentati dell’epoca, non risparmiando nessuno. Dai protagonisti della politica e dell’economia ai simboli religiosi, Il Male divenne per un periodo il settimanale satirico più celebrato, con le sue prime pagine che imitavano la grafica e i caratteri dei giornali di maggior diffusione, “Corriere della Sera”, “Repubblica” e altri, e annunciavano scoop tanto clamorosi quanto inventati. E scatenavano sconcerto, polemiche, ilarità, divertimento, reazioni risentite, proteste, denunce. Molti ricordano la riproduzione della prima pagina di un quotidiano che titolava “Finalmente arrestato il capo delle Brigate rosse: è Ugo Tognazzi!”. Con foto del falso arresto dell’attore, che si era prestato al gioco dei redattori del Male. Nel tiepido pomeriggio di una giornata autunnale vista da qui, a Fontecchio, dove siamo venuti a ritrovare gli ultimi giorni di Pino Zac, l’Italia di quegli anni sembra più vicina. Ogni stanza, ogni scaffale e libreria sono stracolmi di fogli, riviste, pubblicazioni e fotografie che ci raccontano quegli anni. Nello studio di Zac, tra lampade e cavalletti, barattoli di vernice e colori, pennelli e ritratti inconclusi, spicca la tela di una donna bionda e ammiccante nei cui capelli si arrampicano piccole caricature di prelati. In evidenza su uno scrittoio ci sono delle cartelline di color azzurro, sulla copertina di ciascuna si leggono nomi famosi di quegli anni: Mao e Breznev, Tito e la regina Elisabetta, Marchais, Mitterand e Willy Brand, Andreotti. Dentro le cartelline troviamo articoli, fotografie, ritagli. Sono gli studi preparatori, gli appunti che raccoglieva prima di disegnare le sue caricature. Un ordine inconsueto per un artista anticonformista e libertario, un anarchico che come dice Dario Fo “ha voluto mostrare il sedere, la parte nascosta, di ogni potere, politico, militare e religioso”. Ci aggiriamo nelle stanze del palazzo in compagnia del sindaco di Fontecchio, Sabrina Ciancone, che ci guida con solerzia nei corridoi. Saliamo le scale, al piano nobile entriamo in un altro studio, una sorta di passaggio segreto ricavato da un mobile a parete ci immette nel salone vuoto. Al centro una poltroncina che guarda sul terrazzino di piazza San Nicola, da dove si vede uno scorcio suggestivo del paese, selciati di pietra bianca, tetti in controluce; c’è silenzio. Passiamo nelle camere, in una di queste Pino Zac è morto. Dalla finestra lo sguardo si ferma sulla torre di Fontecchio. Aveva scelto questo palazzo, gli era piaciuto, lo aveva acquistato facendone il suo buen retiro, lo studio - atelier della sua disordinata creatività. “Dopo la morte, avvenuta nel 1985, tutto è rimasto come era” spiega il sindaco. Risaliamo dalla cucina, bottiglie, suppellettili, il frigo griffato con un disegno originale di Zac, un grillo enorme in inchiostro di china. Il Comune ha acquistato all’asta il palazzo, dopo varie vicissitudini e la rinuncia degli eredi. Lo ha ricomprato con tutto quello che c’era dentro: mobili, cassapanche, letti, cianfrusaglie, oggetti da modernariato che appartenevano alla famiglia Muzi, e soprattutto con gli archivi di Zac. “Il progetto di riqualificazione del palazzo 14 «un artista anticonformista e libertario, un anarchico che ha voluto mostrare il sedere, la parte nascosta, di ogni potere, politico, militare e religioso» prevede la ristrutturazione dell’immobile, destinandone il piano nobile alla realizzazione di una casa museo dedicata all’artista. Ci sarà moltissimo da fare soprattutto nella catalogazione del materiale: lucidi, bozzetti, sceneggiature originali. Ci sono lettere e corrispondenze con personaggi importanti dell’arte e della cultura, da Fellini a Pasolini, personalità internazionali”. Nello studio biblioteca, rivediamo i bozzetti per il suo film d’animazione più celebre, Il cavaliere inesistente tratto dal romanzo di Italo Calvino. Ci avviciniamo a una mensola, curiosiamo con lo sguardo, scorriamo: La decima vittima di Ray Bradbury, le storie di Zio Tibia, “Eureka”, il settimanale di satira e fumetti, un bel volume rilegato di Voltaire, e una bottiglia vuota di birra Nastro Azzurro. Come a dire, una summa di Pino Zac nei suoi molteplici interessi. “Il nostro obiettivo – spiega Sabrina Ciancone – è quello di realizzare nel palazzo anche un piano abitativo residenziale per i cittadini di Fontecchio, insieme a una social housing, una serie di case botteghe destinate all’artigianato e ai piccoli manufatti, a cui sarà destinato il piano terra dell’immobile. C’è un finanziamento nell’ambito degli Interventi strategici della ricostruzione”. Si tratta di un intervento abitativo di circa 3.500 metri quadri, una sistemazione urbanistica in linea con le scelte del comune e destinata a rivitalizzare il centro storico. Un paese antico, orgoglioso e silente, un luogo di suggestioni e memorie, dove insieme all’Italia di quegli anni affollati e turbinosi abbiamo ritrovato l’anima beffarda e geniale di un artista chiamato Pino Zac. [Catching up with Pino Zac Fontecchio, the late residence of the artist Pino Zac will become a multipurpose centre By Antonio Di Fonso] Fontecchio, Muzi’s Palace: Pino Zac left his signs everywhere in this place. The hall, the staircase, the timeworn newspapers, old books. Every corner welcomes the visitors and invites them to step by, in search of a trace, or a piece of paper, a drawing, a portrait. Giuseppe Zaccaria – A.K.A. Pino Zac – has been an artist, a film director, cartoonist, scenographer, co-founder of satirist publications. Fontecchio is the home he last inhabited, where everything talks about him. Zac had chosen this house to make it the atelier of his chaotic creativity. After his death, the City Hall has bought this palace and will open a floor to be a museum and a social housing dedicated to the artist. 16 Lo spazio della memoria di RIZIERO ZACCAGNINI foto ROBERTO GRILLO L’ OROLOGIO SULLA TORRE di guardia di Fontecchio rintocca da secoli lo scorrere del tempo. È un orologio a sei ore, uno dei più antichi d’Italia. Controlla l’accesso al borgo medievale, dove un portoncino angusto apre ai locali del corpo di guardia. Qui il tempo si ferma. La parola si ritrae. Il racconto segue scatti fotografici, ricostruendo emozioni contrastanti, forti e fragili, amare, nutrite di speranza. Qui, nel 2011, è nato lo “Spazio della Memoria”. Una sfida impari, una mostra in verticale lungo le pareti interne delle mura medievali. Uno spazio di pochi metri quadri che l’abilità degli architetti Marcello Deroma e Carlo Mangolini e l’intensità delle immagini di Roberto Grillo hanno trasformato in un contenitore prezioso, dove tenere assieme e raccontare, con grande rispetto, i momenti più delicati e dolorosi della storia dell’Aquila e della sua regione. Le fotografie scendono dall’alto, si accavallano, ci avvolgono, sospese tra ricordo e futuro: è la vita normale di una città bella, momenti di un giorno qualunque, passaggi, attimi. La città com’era e come - un desiderio - sarà. Foto tutte in bianco e nero, come la realtà secondo la citazione di Wim Wenders. Ma il mondo è a colori, e coinvolge tutti i sensi, simultaneamente. Così quando si passa in uno spazio ipogeo scavato nella roccia, si cambia completamente registro. Cambia la luce, cambiano le altezze; dalla prospettiva verticale della torre si entra in una grotta angusta. C’è la ghiaia a terra, e non serve altro per sentire il silenzio delle macerie. Lightbox come piccoli televisori a fermo immagine, disposti con meticolosità certosina, accendono le uniche foto a colori presenti nell’allestimento. Un flash dell’immediato dopo terremoto, cose, persone, con pochi secondi alterate per sempre dall’urto improvviso della terra. Due steli ai lati della “grotta” riportano i nomi di tutte le vittime del sisma. Nomi incisi con il laser, nomi sottratti, restituiti alla presenza dalla luce che da dietro emerge e li attraversa. Era ieri, è oggi: un senso d’inquietudine che dura un breve istante, accarezzato dalla straordinaria capacità della mostra di sfiorare la tragedia con lo sguardo già rivolto al domani. Sei anni sono passati, il racconto di ciò che è stato troverà spazio negli annali, in qualche libro di storia. Poi ci sarà questo luogo riparato nelle mura di un borgo di montagna, ci sarà questo scrigno, dove invitare le generazioni che verranno ad entrare, dove in poco più di dieci passi si potrà tornare a sentire: senza clamore, senza angoscia. La memoria oltre il ricordo. E la sfida sarà vinta. 18 L’orgoglio della bellezza in una comunità di abitanti di SABRINA CIANCONE Sindaco di Fontecchio ONO STATO SVEGLIATO da un colpo di tosse dalla tomba affianco alla mia». Franco Arminio ben rappresenta in poesia il rischio, derivato da un inguaribile edonismo campanilista, che ognuno di noi si senta… “imperatore di un metroquadro” e non si accorga di essere in agonia affianco al vicino in agonia. È la situazione delle migliaia di piccoli comuni italiani: meraviglie naturali e culturali, spopolati, rissosi, isolati, impoveriti. Le ipotesi di politiche di sviluppo si sono succedute nel tempo, fino ad arrivare alla Strategia per le Aree Interne elaborata dal Ministero per la Coesione Territoriale. Le aree interne sono state definite come “vasta e maggioritaria parte del territorio nazionale non pianeggiante, fortemente policentriche, con diffuso declino della superficie coltivata e affetta da particolare calo o invecchiamento demografico, riduzione dell’occupazione, calo dell’offerta di servizi pubblici e privati, dissesto idrogeologico e degrado del patrimonio culturale”. Quindi la Strategia identifica le direttive dello sviluppo locale: a) tutela attiva del territorio/sostenibilità ambientale; b) valorizzazione del capitale naturale/culturale e del turismo; c) valorizzazione dei sistemi agroalimentari; d) attivazione di filiere delle energie rinnovabili; e) saper fare e artigianato. L’obiettivo è far convergere localmente una molteplicità di politiche pubbliche, da quelle per la valorizzazione dello spazio fisico e dell’ambiente al potenziamento delle reti materiali e immateriali. Ma quanto conosciamo e teniamo presente l’interazione tra luogo e comunità abitante? La categoria che meglio descrive la visione del nostro ambiente-territorio è quella di Paesaggio culturale come deriva dalla Convenzione del Paesaggio e dalle teorizzazioni della Geografia umana: una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Quindi patrimonio culturale, mate- «S riale e immateriale, evolutivo e non statico, risultato di trasformazioni storiche, bene pubblico frutto di azioni private. Azione emblematica è, per Fontecchio, un atto del Consiglio Comunale del 2 dicembre 2013. All’unanimità dei presenti, primo Comune in Italia, abbiamo aderito ai principi della “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società”, la cosiddetta Convenzione di Faro, firmata nel 2005 ma non ancora ratificata dal Parlamento italiano. In essa il patrimonio culturale è definito: “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente dalla loro appartenenza, come riflesso ed espressione dei propri valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione tra l’uomo e i luoghi nel corso del tempo”. Quindi paesaggio culturale evolutivo, vivo, memoria della bellezza come punto di partenza e orgoglio della bellezza come obiettivo. Ma l’orgoglio della bellezza non basta. Non basta tutelare e valorizzare il paesaggio naturale e antropizzato. Non può ridursi a questo il compito di un’amministrazione pubblica. Il ruolo che l’assetto istituzionale riserva alle amministrazioni più prossime ai cittadini è indubbiamente nuovo; esse appaiono oggi governo di interdipendenze e non soltanto produttori di beni e servizi, attori di ricomposizione dell’interesse generale, capaci di assicurare sviluppo e coesione sociale. Flussi globali riscrivono le regole della convivenza civile anche di piccole comunità. Il governo, pertanto, non è più svolto dalla singola istituzione. È una governance plurale, collegata all’esterno e articolata all’interno con l’intera comunità. Coltivare una comunità civicamente matura, emancipata dalle leadership politiche pro tempore, capace di affrontare le sfide dell’agorà economica, della società globalizzata, in una visione sussidiaria ed eticamente orientata: potrebbe essere questo l’obiettivo dell’amministratore locale. Cemen- tare la coesione sociale, rafforzare la rete di relazioni, condividere un atlante identitario. In quest’ottica, nell’ottobre 2012 il Consiglio comunale di Fontecchio ha adottato lo Statuto “Borghi Attivi”, esito di un processo di pianificazione partecipata in cui l’intera comunità ha definito le linee guida per lo sviluppo e l’estetica del paese (www.borghiattivi.it). Tra le linee guida assunte come priorità dall’Amministrazione comunale emergono due azioni interessanti: Social housing per ampliare la popolazione residente, Mobilità sostenibile per usufruire dei servizi di area vasta. Nel documento interministeriale “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi Comunitari 20142020” si richiamano come opportunità di sviluppo: • Tutelare il territorio e la sicurezza degli abitanti affidandone loro la cura; • Promuovere la diversità naturale e culturale e il policentrismo aprendo all’esterno; • Rilanciare lo sviluppo e il lavoro attraverso l’uso di risorse potenziali male utilizzate. Il progetto “Casa & Bottega”, declinazione di Borghi Attivi, si ispira a tali principi. Si tratta di un progetto urbano e sociale in cui la riqualificazione di immobili di proprietà comunale è destinata a creare un sistema abitativo-produttivo da affidare ad un gestore sociale (cooperativa di comunità) per contrastare lo spopolamento, creare occupazione, manutenere il paesaggio. L’ambizione della pianificazione è quella di promuovere un processo di educazione civica nell’uso dei beni pubblici. La bellezza ereditata, di cui non abbiamo merito, è eticamente valorizzata se le creazioni e le trasformazioni attuali, figlie di estetica e morale, si ispirano e ritornano alla pietra e alla terra da cui proveniamo. 20 Nero d’Abruzzo Un’azienda agricola a conduzione familiare rilancia il maiale pregiato UA MAESTÀ il maiale nero torna ad impreziosire Vittorito. Se l’Abruzzo da qualche anno ha riscoperto la tradizione della prestigiosa razza suina, che in passato popolava aziende e tenute in tutta la regione (fino all’inizio del 1900, esisteva un vero albo di razza e testimonianze dall’arte e letteratura) merce rara, poi, con l’avvento della suinicoltura industriale, il borgo della Valle Peligna comincia a diventare un punto di riferimento per il centro Abruzzo proprio con l’allevamento suinicolo, grazie all’azienda agricola “Nero peligno”, a conduzione familiare, che fa capo a Franco Del Beato (tra i cinque produttori abruzzesi con quelli di Guardiagrele, Campotosto, Pescomaggiore e Miglianico). Ex operaio della Saba, rimasto senza lavoro, in cinque anni, dopo studi e ricerche, è riuscito a mettere in piedi l’impresa che conta, ad oggi, già 80 maiali neri, dall’esordio avvenuto due anni fa, sulle montagne vittoritesi. Contagiato dall’iniziativa di alcuni allevatori di Caramanico Terme, che hanno dato vita all’associa- S zione “Tutela del maiale nero d’Abruzzo”, guidata dal presidente veterinario Simone Angelucci. 14 soci e 5 aziende, per un progetto di recupero ecologico e culturale teso a riportare nei querceti un animale antico attraverso un’esperienza zootecnica integrata con il trerritorio, riscoprendo, con conoscenze avanzate, un metodo di allevamento millenario. Due le postazioni in cui vengono cresciuti e nutriti i maiali neri peligni: una di 6 mila metri quadri, i cui ospiti sono soprattutto le femmine e i piccoli appena nati, l’altra di 4 mila ettari, a quattro chilometri dall’abitato, nel bel mezzo dei querceti, dove crescono gli adulti pronti alla macellazione, tra recinti elettrificati, contro le incursioni ripetute dei cinghiali, e suggestivi sentieri di montagna. Un animale che ama l’aria aperta, alimentato con ghiande e prodotti naturali, peculiarità che lo differenziano dalla specie bianca. «Il maiale nero è una razza più resistente, sopporta meglio le rigide temperature invernali» spiega Del Beato, riferendo che la prestigiosa specie suina fornisce una carne rossa più saporita, tenera e gustosa, una prelibatezza che al momento resta prodotto di nicchia per i costi elevati. «L’alimentazione che forniamo ai maiali neri è a base di prodotti naturali. Granone, orzo, favino per le proteine, crusca, farinaccio (buccia di grano). Una miscelatura che maciniamo nel nostro mulino. Oltre alle ghiande». Al momento, produce solamente salumi e insaccati, in quanto, come spiega l’allevatore stesso, «la stagionatura dei prosciutti richiede da uno a tre anni» e l’azienda è ancora giovane. La lavorazione avviene nell’azienda La Mascionara a Campotosto e salami e salsicce vengono acquistati dai ristoratori (ancora pochi) e dalle macellerie di Vittorito e Popoli, per il diretto contatto con il produttore locale. Un progetto, quello del nero peligno, in fase di espansione. Entusiasta l’allevatore, non demorde di fronte alla difficoltà di un prodotto ancora poco conosciuto sul mercato, ma di grande prelibatezza. È pronto al salto di qualità, con l’ampliamento e miglioramento di box e protagonisti testo e foto di GIULIANA SUSI 22 stire in estate una “Festa del maiale nero”. «Anticamente a Vittorito si faceva la transumanza anche con i maiali neri, una ricchezza per le famiglie» racconta il produttore. Al suo fianco un collega, Amedeo Meloni allevatore di Pescomaggiore, il quale, rimasto anch’egli disoccupato, dopo il sisma aquilano, ha aperto l’azienda agricola nell’aquilano «Cerchiamo di collaborare insieme e ci aiutiamo in una realtà difficile» spiega, sottolineando come anche Slow Food abbia promosso il ritorno, a distanza di secoli, della razza autoctona in Abruzzo, dopo studi e attente selezioni. La loro sfida, conclude Del Beato, in linea con l’associazione abruzzese, è quella di far tornare sulla tavola delle famiglie e dei ristoranti la pregiata carne di sua maestà il maiale nero. 5 Info Azienda Agricola “Nero Peligno” Vittorito Contatti: Franco Del Beato 329 7349322 «Associazione per la Tutela del Maiale Nero d’Abruzzo» Contrada Case Del Barone, Caramanico Terme, presidente Simone Angelucci. 5 terreni, fermo restando il pallino dei punti vendita e delle iniziative tese a far conoscere l’animale dalla pregiata carne. In cantiere, infatti, “Alleva un maiale nero”, iniziativa che permetterebbe a chiunque di divenire proprietario di un capo dopo averne sostenuto crescita e nutrimento. Sulla scia dell’esperienza anversana di “Adotta una pecora” ideata dal presidente dell’Arpo, Nunzio Marcelli, ma con qualche differenza. Plaude il ritorno del maiale nero a Vittorito il sindaco Carmine Presutti, il quale allunga lo sguardo al futuro pensando possa divenire ulteriore elemento di valorizzazione territoriale, tanto che già pensa ad alle- Le campanare di Opi di GIULIANA SUSI - foto LUCA DEL MONACO Con il paese ai piedi e le antiche tradizioni tra le mani. Quelle mani che spingono con vigore e passione le pesanti campane sulla torre medievale della chiesa Madre. Tre lunghi slanci a mano, come una lenta rincorsa prima di tirare la fune e lasciare che i rintocchi continuino a segnare la memoria del paese. Tutti i giorni, finché ci sono forza e tempra di vecchia razza. 24 25 [Soul places The Opi’s Bell Ringers By Giuliana Susi] With the village at their feet and the ancient traditions in their hands. With those hands they push the heavy bells of the medieval village’s church. Every day, up until their strengths will allow them. It is the story of Leonia, 83 years old, and Angela, 67, the last bell ringers in Opi, tiny hamlet of about 500 souls set in the National Park of Abruzzo. An ancient expertise, usually a man prerogative, that last April Leonia, woman of a different era, has left to Angela, as she will alone continue the tradition and the village will not remain silent. Each bell has been given a name, every occasion has a special set of tolls, a special way of resounding. Just one toll for the first mass of the morning at 7.30am and the “la Squilla” at 8.30am for the kids segue >>> È LA STORIA DI Leonia, 83 anni, e Angela, 67, le ultime campanare di Opi, paese dalle 500 anime nel Parco nazionale d’Abruzzo. Una quarantina gli stretti gradini di ferro nero, poco più degli anni in cui Leonia li ha saliti tutti i santi giorni per suonare le campane. Da Aprile è Angela a continuare da sola la tradizione, che porta avanti da qualche decennio, facendo sì che a darle coraggio sia un senso di responsabilità, misto a passione e umiltà, per non lasciare il paese muto. «Amaramente, mi manca» confessa subito Leonia, con gli occhi velati di lacrime che trattiene molto dignitosamente. Lei, donna d’altri tempi, forte d’animo e di spirito, nell’ abito nero delle anziane dei paesi di montagna, con gli acciacchi dell’età e il timpano danneggiato. Con la saggezza dell’esperienza e la fierezza di aver svolto al meglio l’ antico mestiere, solitamente appannaggio dei maschi, Leonia spiega i diversi nomi delle campane a seconda della grandezza (“Grande” -“don don”, “Media”-“dan dan”, “Squilla”-“din din”), e quel linguaggio sviluppato quando il campanile era l’unico mezzo di comunicazione per richiamare i fedeli alla preghiera, i confratelli alla processione, per annunciare fasti e nefasti, per celebrare le feste comandate, per onorare un Papa che passa a miglior vita, per accogliere il Vescovo. A distesa, a tarantella, a morto. La campanella per il decesso di un bimbo, lo scampanio per annunciare un sante, fortunatamente rimasto illeso. Minute, semplici, perpetue devote, Leonia e Angela custodiscono quella maestria di un antico mestiere, quasi con gelosia, quella buona di chi sa che per decenni, sfidando le intemperie, ha compiuto il proprio dovere mattina e sera, occupandosi anche di tenere pulito quello stretto spazio sulla torre, come fosse casa propria, con il desiderio enorme, oggi, di far proseguire il lavoro alle future generazioni. Ecco, dunque, l’appello ai giovani affinché le succedano. «Quando era in vita don Alessandro fino agli anni ‘60», che Leonia cita spesso, «erano solo i chierichetti, maschi, a suonare le campane. Oggi, invece, non vogliono imparare più». Anche perché di gio- «Non dimenticatevi di Opi, portatelo nel cuore». i luoghi dell’anima temporale. Un tempo, una suonata per la prima Messa alle 7.30 e la squilla alle 8.30 per gli scolari. «I giorni di festa sono quelli più impegnativi» spiegano Leonia e Angela, concordando nel preferire le notti di Natale (9 rintocchi prima della Messa e dopo «a distesa», oggi invece solo un’unica lunga suonata) e di Capodanno (5 minuti prima e dopo la mezzanotte) e la giornata di Pasqua. Se i terremoti segnano i ricordi peggiori per le campanare, due episodi passano alla storia come “miracoli”: durante la festa patronale di San Gabriele, trent’anni fa, il batacchio precipitò mentre passava la processione che si bloccò all’istante e nessuno si ferì. Caso ripetuto qualche mese fa: il battaglio, cadendo, ha sfiorato un pas- 26 27 going to school. “The days of celebration are the most binding” Leonia and Angela explain: Christmas Eve, New Years Eve, Easter. Guardian of an ancient expertise, the bells launched appeals to young girls that “wants to learn”. The 4 bells originally forged in Agnone are there, beyond the safety manhole, a passage through which a fascinating scene opens to our eyes: the hamlet seen from behind the bells is just magically inspiring. Leonia still lives at the feet of the bell tower, and before saying goodbye, asks with a recommendation “not to forget Opi, please keep it in your heart”. vani in paese non ce ne sono più. «Io abito lontano dalla chiesa, ma neve o gelo non mi spaventano: mi copro per bene e vado lo stesso, perché ho preso l’impegno» spiega Angela mentre, con familiare agilità, sale la ripida scalinata. Tra striminziti spazi, ci si aggrappa e maniglie in ferro per issarsi nella spinta finale e raggiungere la vetta, in cui ci sono 4 imponenti campane. Di quelle antiche, a slancio, forgiate ad Agnone, nel paese molisano più cono- sciuto al mondo per la fabbricazione proprio delle campane. Si chiude la botola di sicurezza e in un microspazio si apre uno scenario affascinante. Il paese visto da dietro le campane. Sa di tradizioni e mondi andati, che si tramutano in storie speciali da raccontare per la loro straordinaria bellezza. Insieme a Don Angelo, Leonia resta ai piedi del campanile, e, prima di salutarci, si raccomanda «Non dimenticatevi di Opi, portatelo nel cuore». foto GIOVANNI COCCO Tradizioni RITUALI DEL SOLSTIZIO D’INVERNO Le feste natalizie in Abruzzo di ADRIANA GANDOLFI Nell’ambito delle società preindustriali di tipo agro-pastorale, la lunga notte del solstizio d’inverno rappresenta il ciclico rinnovarsi del percorso temporale e calendariale; l’astro solare ha appena concluso la sua parabola discendente riprendendo la sua ascesa nel cielo, quando all’apice della sua potenza si ritroverà nel solstizio d’estate, generando il giorno più lungo dell’anno pronto per invertire e rinnovare, ancora una volta, il suo ciclo astronomico. 28 29 RIMA DELLA RIFORMA gregoriana, l’antico calendario “giuliano” stabiliva questo importante appuntamento nel giorno 25 dicembre e a questo evento erano collegati culti di origine precristiana legati all’ancestrale timore della “lunga e fredda oscurità”. In epoca romana si celebrava quindi l’avvento, il P dies natalis del nuovo sole mentre, successivamente, il cristianesimo operò una sovrapposizione di tipo simbolico associando a questa festa la nascita del Redentore, quale “luce della vera fede”. Le occasioni rituali, sempre riferendosi alla rinascita solare, continuarono ad utilizzare l’evidente tramite simbolico del fuoco quale elemento purificatore e rigeneratore, che in tal caso diventa un segnale tangibile dell’approssimarsi dell’avvento; infatti, numerosi fuochi ardono nelle campagne e nei centri rurali a partire dalla data del 6 dicembre (dedicata a San Nicola) fino alla fatidica notte del “Natale del Santo Bambino”. Gruppi di ragazzi gareggiano per giorni a recupe- rare nelle contrade legname e frasche per alimentare grandi falò incendiati, soprattutto nella fascia costiera e collinare, dal 7 al 10 dicembre (tra le feste della Concezione di Maria Immacolata e della Madonna di Loreto) e intorno ad essi la collettività si ritrova per cantare, offrire vino e cibarie, riconoscendosi e riaffermando la propria identità culturale. Altri fuochi illuminano la festa di Santa Lucia, allo scopo di scongiurare la notte più lunga dell’anno, ma i falò più imponenti vengono riservati alla notte santa “per eccellenza”, quella tra 24 e 25, soprattutto nelle località montane dell’Abruzzo interno, come la spettacolare catasta, chiamata tomba, che arde per più giorni davanti alla cattedrale di Pescasseroli, costituita da enormi tronchi di faggio offerti dagli abitanti per riscaldare il “bambinello”. In alcune famiglie contadine, tuttora resiste la consuetudine di sistemare nel proprio focolare un grande e nodoso tronco, chiamato tecchie, ceppe, ruocchie destinato a consumarsi lentamente da Natale all’Epifania. Durante il cenone della vigilia, è cura del capofamiglia offrire piccole porzioni di ogni pietanza a tale “presenza”, per il santo neonato, evidenziando come questo tronco rappresenterebbe anche il nume tutelare della famiglia, simbolicamente connesso agli antenati, circoscritti nell’ambito del focolare (come i Lares di romana memoria) rinnovando, in tal modo, un rituale trasmesso da generazioni con un profondo sentimento di devozione. Alla mezzanotte del 24, il sole è pronto per riprendere il suo percorso mentre il piccolo Gesù viene alla luce; nella cultura tradizionale questo viene considerato come un momento critico, di passaggio e rinnovamento, propizio quindi per le manifestazioni soprannaturali. Su questa concezione si in- nestano una serie di consuetudini rituali come la trasmissione di metodi, formule e scongiuri magicoterapeutici, contro gli effetti nocivi dell’invidia e del “malocchio” e lo svolgimento di pratiche divinatorie allo scopo di prevedere avvenimenti che potranno verificarsi nel corso dell’annata; così come sarebbe possibile formulare pronostici sull’andamento climatico stagionale dei dodici mesi successivi osservando i fenomeni meteorologici dei giorni che decorrono dal 13 dicembre (Santa Lucia) al 6 gennaio (Epifania). Inoltre, era opinione comune considerare i nati alla mezzanotte portatori di qualità para-normali di tipo magico, che li predestinavano a divenire stregoni o “lupi mannari”. Comunque, tradizionalmente il periodo natalizio si considera inaugurato dalla festa dell’Immacolata (8 dicembre): da questa data infatti, si preparano i diversi manicaretti da offrire agli ospiti durante le feste e gli zampognari riprendono la loro migrazione stagionale per rinnovare tra campagne e paesi, con le loro melodie, la “memoria del Natale”. 30 31 cammini La Majella orientale testo e foto Luca Del Monaco Il versante più selvaggio e suggestivo della montagna madre, dove si rintracciano tra fenditure e valli tracce di storia, memorie letterarie e antichi insediamenti spirituali. Il versante Orientale della Majella si presenta più brullo e imponente rispetto ai boschi continui del versante Occidentale. È caratterizzato da profonde valli fluviali che scendono dalla cima alla base del massiccio, dove si restringono ad imbuto. Percorrendo in direzione Nord la strada che da Palena raggiunge Pennapiedimonte, costeggiando tutto il versante Occidentale della montagna, si incontrano valli di grandi suggestione. La Valle di Taranta, dove si trovano le famose Grotte del Cavallone di dannunziana memoria, nei comuni di Taranta Peligna e Lama dei Peligni; il Vallone di Santo Spirito a Fara San Martino. Un suo braccio molto famoso è la Valle delle Mandrelle. Infine il Vallone La Valle a Palombaro che sale verso la riserva di Feudo d’Ugni e il Vallone di Selvaromana a Pennapiedimonte. La riserva ancora gestita dal Corpo forestale dello Stato. Le gole di Fara San Martino Poco fuori dal paese di Fara San Martino, non lontano dai pastifici di fama mondiale, una deviazione in discesa porta all’imbocco delle Gole di Fara. Sono uno dei più lunghi valloni appenninici che si collegano con il paese di Fara San Martino fino alla vetta di Monte Amaro, coprendo un dislivello di 2300 metri. Lungo il suo percorso la valle cambia il nome in Valle di Macchia Lunga nel tratto centrale e Valle Cannella nella parte finale. L’accesso alla Valle, proprio nel primissimo tratto, regala uno degli scorci più suggestivi di tutto il canyon. Si attraversa una lunga e strettissima fenditura tra due pareti di roccia altissime. Nella parte più ravvicinata, non più ampia di 2 metri, allargando le braccia è possibile toccare le pareti. All’ingresso della valle, fortemente deturpata da attività estrattive negli anni ‘50, si possono scorgere i ruderi di una antica porta. Le gole costituivano l’ingresso e la protezione di un monastero. Dal lungo corridoio di roccia le pareti si allargano e ci si trova di fronte ai resti del convento di San Martino, riportato alla luce da pochi anni e attualmente in fase di ristrutturazione. Il monastero di San Martino in Valle Il monastero è probabilmente stato eretto su un insediamento eremitico scavato nella roccia. Soprattutto dal IX al XVIII secolo ha subito continui rifacimenti. All’interno del cortile si intuisce l’ antica struttura a portico con tre navate sorrette da quattro colonne. Sul lato nord del portico c’è un campanile a vela, ristrutturato nel Settecento, mentre il portale della chiesa è del XIII secolo. L’interno è diviso in tre navate dalla planimetria irregolare e presenta una pavimentazione a lastre di pietra nella zona presbiteriale, dove si trovano anche dei sedili in muratura che dovevano costituire il coro. Dalla navata centrale si passa a quella settentrionale attraverso un muro a tre arcate sul quale sono presenti tracce di affreschi; da questo lato si accede all’ambiente più antico della chiesa, interamente scavato nella roccia, dove sono conservate due colonnine datate 1411. 32 33 Attestato per la prima volta nel 829 come possedimenti del monastero di Santo Stefano in Lucania, ubicato tra Atessa e Tornareccio. Qualche anno prima San Martino era stato donato da Pipino, figlio di Carlo Magno, al monastero di Santo Stefano come testimonia una conferma dell’imperatore Lotario risalente al periodo. L’intitolazione al vescovo di Tour fa pensare ad una fondazione di origine franca. Il 34 35 monastero è tra le rendite del vescovo di Spoleto nell’844, ma subito dopo risulta tra i possedimenti cassinesi di San Liberatore a Majella. Nel 1172 è tra i possedimenti della diocesi teatina e nel 1221 Onorio III concede al monastero la protezione pontificia. I contrasti tra i monaci ed i vescovi teatini durarono a lungo e nel 1451 il monastero venne soppresso e i suoi beni devoluti al Capitolo Vaticano. Sentiero H1 Informazioni per la visita: Centro Visita di Fara S. Martino Tel. +39.0872.980 970 – +39.339.2615405 email [email protected] www.parcomajella.it L’Appennino in Tasca Turismo, patrimonio culturale e nuove tecnologie IL TITOLO del convegno che si è svolto a Cocullo, alla fine di ottobre, diviso in tre momenti nell’ambito del progetto pilota “AbruzzoèAppennino”, che vede pubblico e privato insieme per valorizzare l’Abruzzo montano con l’unione dei media. Un sistema integrato di comunicazione composto da una pluralità dei media, Mac editoriale, due trasmissioni televisive dell’emittente regionale Tv6, Talenti e Territorio e Territori delle Tentazioni e la web community “Paesaggi d’Abruzzo”. Nella prima parte dell’evento, il cui titolo richiama un film di Truffaut “Gli anni in tasca”, è stato presentato il nuovo sito abruzzoeappennino.com della rivista trimestrale AbruzzoèAppennino, nata nel 2006, di Mac. Prima il saluto delle autorità padroni di casa, Nicola Risio e Loreta Risio, sindaco e assessore del Comune capofila del progetto pilota che coinvolge sette Comuni ( Morino, Fontecchio, Raiano, Pettorano sul Gizio, Scontrone e Vittorito) , poi l’intervento del dirigente del settore regionale Marino Giorgetti, dei sindaci di Vittorito e Scontrone, del presidente del Pnalm, Antonio Carrara. Ad esporre la propria esperienza di turismo lento, È nell’ambito del forum “Fare turismo”, è intervenuto Alessio Di Giulio del centro Educazione Ambientale Terre del Cornone. La redazionedi AbruzzoèAppennino ha esposto il progetto, dall’assessore regionale Donato Di Matteo che, nel suo intervento, ha parlato dell’esigenza per i territori di una legge sulla montagna, che prenda atto dei problemi di vita e di economia del territorio e venga incontro alle esigenze della popolazione, in linea con quanto annunciato dall'assessorato in passato e aggiungendo una serie di proposte operative di rilancio dell'immagine della montagna abruzzese che potranno vedere la realizzazione in tempi brevi: partecipazione da protagonisti al Salone del libro, una tappa abruzzese per il Salone del gusto. Pomeriggio dedicato all’approfondimento dell’indagine partecipativa per la candidatura del Rito dei serpari di Cocullo a Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Titolo: “Cocullo for ICH 2014: il progetto di salvaguardia Unesco terreno di Incontri” . È stato fatto un ulteriore passo avanti sulla strada del riconoscimento del Rito dei serpari e della Festa di San Domenico come patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. L’obiettivo è quello dell’inserimento, sostenuto da autorevoli personalità del Board Unesco, come l’antropologo brasiliano Antonio Arantes. 36 Montagna e informazione Comunicare l’ambiente nella regione dei Parchi di GIULIANA SUSI ESSANTAQUATTRO cuccioli di orso bruno marsicano sono nati nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, ventiquattro morti e una cinquantina di esemplari già presenti nel territorio. Il censimento ufficiale della popolazione del plantigrado nel Parco, riguardante sette anni, dal 2006 al 2014, sarà presentato nel Gennaio 2015, ma l’anticipazione è stata resa nota dal presidente del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Antonio Carrara, durante la conferenza che si è tenuta il 21 Novembre nell’Abbazia di Santo Spirito a Sulmona, sede del Parco nazionale della Majella, organizzata dall’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo in collaborazione con la Commissione Centrale TAM del Cai. Migliorare il rap- S porto di comunicazione tra i Parchi e i giornalisti, soprattutto per l’assenza di uffici stampa negli enti, saper leggere la montagna che necessita di essere raccontata, non solo attraverso la cronaca nera con incidenti, calamità naturali e decessi di orsi. È quanto emerso dall’incontro intitolato “Comunicare l’ambiente in una regione di Montagna”. Ad aprire i lavori il presidente dell’Odg, Stefano Pallotta, seguito dal direttore del Parco nazionale della Majella, Oremo Di Nino, dal presidente del Pnalm, Carrara, dal giornalista, direttore della rivista Montagne 360 del Cai, Luca Calzolari, dal presidente Commissione Nazionale Tam del Cai, Filippo Di Donato, e dal presidente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga Arturo Diaconale, il quale si è soffermato sull’argomento nella duplice veste di rappresentante dei parchi e di giornalista. Spazio all’orso soprattutto alla luce dei fatti accaduti a Pettorano sul Gizio, in merito alle ripetute incursioni del plantigrado e alla triste morte di un orso per mano dell’uomo. Che oggi si parli poco di montagna è quanto sottolineato dai rappresentanti del Cai, premendo sulla necessità di imparare a leggere la montagna, ridandole centralità, coinvolgendo la stampa nel presentare l’ambiente montano. Le escursioni sono conoscenza del territorio, e la montagna è luogo centrale e non marginale nel rapporto uomo natura. È questo il messaggio lanciato dall'iniziativa. Adesso ti racconto una storia #Add2014: Abruzzo digital days di RIZIERO ZACCAGNINI @Add2014 5m La prima volta in Abruzzo... la prima davvero in cui si osa, si va oltre in ambito digital e social: è l’Abruzzo che stavo aspettando! IL TWEET APRE su Storify uno dei racconti dedicati agli Abruzzo digital days 2014, le due giornate formative sulla promozione turistica online. Meno di 150 caratteri per afferrare un momento, una rapida riflessione, un’emozione, da aggregare ad altri tweet, immagini, clip. È la narrazione 2.0, istanti colti al volo, punti da unire, perché, infondo, quel che non ✩5 possiamo smettere di fare è raccontare storie. Anche oggi che il tempo corre veloce, anche e soprattutto nell’era di internet. E il futuro del turismo in Abruzzo, la capacità di diventare una “destinazione”, riconosciuta, autentica e ambita, dipende in gran parte da come sapremo raccontarci utilizzando con sapienza e coordinazione gli strumenti della nuova comunicazione su web. «Non è un caso – dimostra, dati alla mano, Roberta Milano in apertura della due giorni di laboratorio tenutasi a Sulmona l’8 e il 9 novembre – che l’Italia abbia cominciato a perdere posizioni nella classifica delle mete turistiche più ambite contemporaneamente alla grande ascesa dell’utilizzo mondiale di internet». Insieme agli strumenti è cambiato 38 anche l’approccio del turista, in un’evoluzione che ha portato «la figura del viaggiatore prima a farsi protagonista, ad essere viaggiattore, e poi, con l’avvento dei social network, a diventare viaggiautore», spostando così il centro dell’interesse per un viaggio, dalla curiosità per la conoscenza dei luoghi a una ricerca espressiva della propria soggettività e di una esperienza emozionale da condividere. I social network, appunto, che gli operatori del turismo abruzzesi, con oltre 250 presenze agli #ADD2014, hanno dimostrato di voler conoscere a fondo, cogliendo quella che per molti di loro è stata la prima occasione per scoprire l’orizzonte della comunicazione e del marketing turistico on line nell’era biomediatica. Due giorni intensi in cui a una fondamentale introduzione sui nuovi modelli di pianificazione del proprio progetto (metodo Canvas) è seguita una carrellata di consigli, spiegazioni, dimostrazioni sull’uso dei social network e dei tanti strumenti che sul web ne potenziano e agevolano la fruizione. Da facebook a Twitter, da Google+ a Instagram, gli operatori abruzzesi hanno seguito per ore le parole e le slide di Alessio Carciofi, esperto di social media marketing e relatore agli Abruzzo digital days. Ma i social network sono falò digitali, come ama ripetere Alessio. Accendono fuochi: prima però bisogna avere legna da ardere. E questa è fatta di una brand reputetion che non può mai prescindere da idee, obiettivi, prodotti da voler promuovere. Prima di tutto c’è una cultura del turismo e dell’ospitalità, come ricordava Roberta Milano, invitando a non dimenticare mai un’ovvietà che, spesso, viene trascurata: online e offline non sono separabili. Perché se oggi una vacanza preferisce il web per farsi raccontare nel rincorrersi di immagini e commenti, il viaggio vero l’avremo fatto e continueremo a cercarlo lungo le strade del mondo. In modo nuovo, con altri strumenti, necessari, indispensabili, per stare al gioco ed essere, al contempo, capaci di guardare oltre, verso quel turismo del futuro che, citando Petrini, «parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza». www.visitabruzzo.co.uk/add2014/ L‘Agenda digitale abruzzese di MARCELLO BONITATIBUS O SCORSO 15 LUGLIO la Giunta Regionale ha approvato l’Agenda Digitale Regione Abruzzo 20142020, un documento di programmazione molto importante perché riporta indicazioni operative per il conseguimento degli obiettivi posti a livello europeo e nazionale nel settore delle nuove tecnologie. Gli ambiti tematici sui quali la Regione Abruzzo si propone di intervenire sono l’infrastrutturazione e la sicurezza digitale; la cittadinanza digitale; le competenze e l’inclusione digitale; lo sviluppo e la crescita digitale; l’intelligenza diffusa nelle città e nelle aree interne; la salute digitale. Le azioni previste nell’Agenda digitale abruzzese si articolano in un piano programmatico a breve periodo (2014-1016), nel quale sono descritte le iniziative realizzate e in corso, quelle in fase di approvazione, le risorse finanziarie e gli obiettivi da raggiungere, e un piano programmatico di lungo periodo (2016-2020), nel quale sono descritte le principali linee di azione che si vogliono seguire e gli obiettivi a cui tendere. L’insieme degli interventi programmati è finalizzato in massima parte a rendere pienamente operativo ed effi- L cace quanto già realizzato per l’infrastrutturazione e la sicurezza digitale in passato, in particolare la ComNet-RA (Community Network della Regione Abruzzo). Questa è concepita su un modello architetturale che prevede ci “siano un insieme di Enti, tra loro connessi e cooperanti, dotati ciascuno di una infrastruttura di comunicazione ed elaborativa omogenea, operanti secondo protocolli standard”. Il punto di raccolta e terminazione della ComNet-RA è costituito dai centri elaborativi regionali (a L’Aquila presso la sede della Regione Abruzzo CTAQ e a Tortoreto presso la sede dell’ARIT – Agenzia Regionale per l’Informatica e la Telematica CTTL). Per rendere operativa la ComNet-RA, ovviamente articolata in modo più complesso di quanto sopra descritto, nel periodo 2007 – 2013 la Regione Abruzzo ha investito 4.382.600 euro di cui 165.000 di risorse proprie. Gli investimenti regionali fatti negli anni scorsi nel settore dell’ICT hanno interessato anche altri ambiti tematici, con lo sviluppo e l’attivazione di piattaforme attraverso le quali promuovere il dialogo fra i diversi attori della Pubblica Amministrazione e quindi fa- cilitare l’accesso ai servizi e alle informazioni da parte dei cittadini. Non sempre, però, i risultati conseguiti sono stati positivi. Nella stessa Agenda digitale 2014-2020 si riconosce infatti che quanto realizzato, pur avendo innescato un processo di crescita dell’uso dell’ICT all’interno della Pubblica Amministrazione abruzzese, ha fatto registrare diverse criticità operative e organizzative. Con questa consapevolezza sono state elaborate le nuove linee di azione per il periodo 20142016. Gli interventi sono perciò volti da un lato a rafforzare, in termini di efficienza e sicurezza, il modello della ComNet-RA per un investimento complessivo di circa 14 milioni di euro provenienti da Delibere CIPE del 2011 e dal POR-FESR 20072013 e, dall’altro, alla realizzazione di una serie di “servizi applicativi” finalizzati all’erogazione di servizi ai cittadini, alle imprese e operatori sanitari in modo innovativo, sintetizzati nella tabella 1. È evidente che la funzionalità e l’efficacia del modello di sviluppo digitale delineato dalla Giunta regionale, dipendono in massima parte dall’abbattimento del digital divide che ancora caratterizza vaste aree del territorio abruzzese, in particolare quelle rurali e montane. Per questo nella “Agenda Digitale” si prevede di intervenire stipulando un nuovo Accordo di Programma con il Ministero dello Sviluppo Economico per complessivi 12.500.00,00 euro, proseguendo su una strada di collaborazione già percorsa in passato che, nel mese di agosto 2014, si è concretizzata nel bando di gara pubblicato dalla Infratel, società in-house del MISE e soggetto attuatore del Piano nazionale Banda Larga e Progetto Strategico Banda Ultra Larga. Infatti, a seguito di due Accordi di Programma Quadro finanziati anche con risorse FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), la Infratel ha bandito una gara per la progettazione esecutiva, la posa in opera e la manutenzione di una rete a banda ultralarga nel territorio regionale per un importo di 17.640.000,00. Gli interventi previsti dal bando – scaduto il 13 ottobre 2014 sono divisi in due lotti: il primo prevede la posa dei cavi in fibra nella provincia aquilana; il secondo nelle altre tre province abruzzesi. Al termine dei lavori, che dovrebbero concludersi in 36 mesi, saranno serviti con la banda ultra larga 25 comuni (in prevalenza rurali, vista l’origine di parte delle risorse impiegate) e circa 180.000 abitazioni. Allo stato non si conoscono an- cora quali saranno i centri interessati, perché l’elenco puntuale è in fase di “concertazione” fra la Infratel e la Regione Abruzzo ma, stando a quanto ha dichiarato Infratel ad “AbruzzoèAppennino”, è ragionevole ipotizzare che si riesca ad estendere ulteriormente l’infrastruttura. Agenda Digitale Regione Abruzzo 2014-2020 (http://www.regione.abruzz o.it/egov/docs/agendaDigitale/AgendaDigitale.pdf) AGENDA DIGITALE REGIONE ABRUZZO INTERVENTI PROGRAMMATI: finestra temporale 2014 - 2016 A A A A A A A B B C Azione progettuale Obiettivi Sviluppo del sistema informativo telematico per il bollettino ufficiale della regione Abruzzo Realizzazione di un’ infrastruttura per l’informatizzazione degli iter amministrativi nella regione Abruzzo Sviluppo del sistema informativo “evoluzione del portale della regione Abruzzo verso la e@democracy e la comunità digitale” Sviluppo del sistema informativo “modello unico digitale per l’edilizia della regione Abruzzo” Realizzazione di moduli integrativi per l’infrastruttura di erogazione dei servizi S.U.A.P della regione Abruzzo Consentire l’inserzione on line delle pubblicazioni, previo pagamento del costo di inserzione; distribuirlo in formato digitale agli abbonati e consentirne la navigabilità on line. Consentire una riduzione degli oneri di processo, maggiore trasparenza, maggiore velocità nel perfezionamento delle operazioni di cui il documento costituisce espressione ed integrabilità con altre filiere cui esso è concatenato. Upgrade applicativo del portale web istituzionale per la trasformazione degli attuali contenuti e servizi erogati via internet in risorse digitali disponibili in real time e in modalità multicanale, abilitando il portale ai principi dell’ e@Democracy. Fornire un modello unico informatico on line per la presentazione delle pratiche edilizie agli uffici tecnici da parte dei professionisti incaricati o dei soggetti aventi titolo. Garantire maggiore impulso alla semplificazione amministrativa, alla dematerializzazione dei documenti, e contribuire a dare maggiore circolarità informativa e di conoscenza fra le PA, i cittadini, i professionisti e le imprese. Realizzare una base informativa territoriale con DTM (Modello Digitale del Terreno), DSM (Modello Digitale delle Superfici) e DBM (Modello Digitale dell’Edificato) da inserire nel DBTIR Sistema informativo a supporto della protezione e (Data Base Topografico Integrato Regionale) finalizzato alla realizzazione di un modello digitale vigilanza ambientale del terreno di altissima precisione. Le informazioni che saranno integrate potranno essere utilizzate per una corretta pianificazione regionale in materia di aree protette, di rete ecologica e di supporto alle attività di recupero e ripristino ambientale di territori naturali. Servizio informativo integrato regionale per la Implementazione delle funzionalità di riscossione coattiva estesa a tutti i tributi e alle entrate gestione dei tributi patrimoniali afferenti agli enti locali. Consentire di operare dal singolo CUP locale accedendo alla federazione dei CUP. In tale Implementazione della piattaforma per il CUP: Centro modalità risultano valicati i limiti territoriali dei sistemi di prenotazione locale, senza alterare le Unico Prenotazioni organizzazioni aziendali delle ASL pur lasciando alla competenza delle stesse la gestione delle agende e dell’organizzazione locale. Standardizzazione dei flussi informativi provenienti dal complesso scenario di applicazioni Servizi di integrazione nel sistema informativo sanitarie presenti in Regione per fornire una visione completa è dettagliata dello stato di salute sanitario regionale dei cittadini e supportare gli operatori sanitari nelle loro attività diagnostiche. Creare una infrastruttura di Smart Community tale da erogare servizi attraverso il private cloud Smart Government in Private Cloud della regione regionale che consente una interazione geolocalizzata in mobilità tra i cittadini e la PA locale. Abruzzo Stato Fonte di finanziamento Ambiti strategici MACROAREA 2: SERVIZI APPLICATIVI Risorse (in Euro) A A 230.000 A A 230.000 A A 230.000 B A 230.000 A A 230.000 C B 3.850.000 C B 600.000 B C 230.000 C B 1.000.000 C B 1.000.000 LEGENDA COLONNE Ambiti strategici Stato Fonte di finanziamento A=Cittadinanza digitale A=In fase di avvio lavori A=POR FESR 2007/2013 B=Salute digitale B=In aggiudicazione B=Delibera CIPE 79/2011 C=Intelligenza diffusa nelle città ed aree interne C=In progettazione C=Bilancio Regionale Fonte: Ns elaborazione da Agenda Digitale Regione Abruzzo 2014-2020 LE AREE FAUNISTICHE DEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE foto LUCA DEL MONACO UASI SEMPRE adiacenti ai Centri Visita, sono zone di territorio recintate nelle quali gli animali vivono in condizioni molto simili a quelle della vita libera. Hanno un importantissimo ruolo e sono occasione di educazione e sensibilizzazione nei confronti di turisti, scolaresche e popolazione residente. Permettono infatti l’osservazione senza disturbo di animali molto rari e schivi in natura, in uno stato di semilibertà e facendo luce sul loro ruolo ecologico nell’ecosistema del Parco. A queste funzioni vanno ag- Q giunte anche altre importantissime funzioni che normalmente sfuggono ai non addetti: allevamento e riproduzione, conservazione, reintroduzione. Quelle che vi presentiamo sono le schede tecniche, redatte dal veterinario del PNALM il dottor Leonardo Gentile, e riguardano le aree dei comuni di Campoli, in cui troviamo gli orsi Jill e Abele ritrovati nel Bioparco di Roma e nell’area faunistica di Pescasseroli, e Villavalelonga in cui risiedono gli orsi Yoga e Sandrino in un’orografia collinare con circa due terzi della superficie ricoperta da bosco di conifere. Il recinto è dotato di un sistema di elettrificazione della recinzione con alimentazione fotovoltaica. Nell’area faunistica di Civitella Alfedena troviamo splendidi esemplari di lupi provenienti dalla stessa area faunistica e 42 un esemplare di lince, Laura, proveniente dal Parco Zoo Falconara. L'Area è caratterizzata da una sensibile pendenza e copertura totale, arbustiva, boschiva a latifoglie. Nelle aree di Scanno e Lecce dei Marsi troviamo il cervo, presente in numerosi esemplari provenienti dal comprensorio di Villavallelonga. La morfologia del territorio si caratterizza per un’estensione in cui circa due terzi sono ricoperti da latifoglie ed arbusti, un terzo è costituito da prateria con affioramenti rocciosi e pietraie e pendenze spesso elevate. Infine nell’area faunistica di Opi il camoscio è presente nei quattro esemplari che sono stati ritrovati a Opi e Lama dei Peligni. La morfologia dell’area è costituita da prateria, in gran parte con modica pendenza ed una piccola parte caratterizzata da affioramenti rocciosi di lieve entità. L'altra metà circa presenta una copertura boschiva a faggeta con pendenze spesso eleArea faunistica Campoli Località Dolina; Comune: Campoli Appennino Nome Sc.Animali: Ursus arctos ; Addetti: Personale PNALM Telefono: 08639113216 Area Faunistica LInx Civitella Località: Viaruso; Comune: Civitella Alfedena Nome Sc.Animali: Lynx lynx ; Addetti: personale PNALM Telefono: 0863/91131 Area faunistica Civitella Alfedena Località: Santa Lucia; Comune: Civitella Alfedena Nome Sc.Animali: vate. È presente un recinto di cattura con casottino in legno e utilizzato sia come rimessa alimenti, sia comepostazione di tiro per le catture. Canis lupus; Addetti: personale PNALM Telefono: 0863/91131 Area faunistica Cervo Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise Località: Valle Mora; Comune: Lecce dei Marsi Nome Sc.Animali: Cervus elaphus; Addetti: personale PNALM Telefono: 0863/91131 Area faunistica OPI Località: Difesa; Comune: Opi Nome Sc.Animali: Rupicapra pyrenaica ornata; Addetti: personale P.N.A.L.M.: S. Veterin Telefono: 0863/911321 Area faunistica SCANNO Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise Località: Colle Rotondo; Comune: Scanno Nome animale: Cervus Area faunistica ORSO Località: Colle Marcandrea; Comune: Villavallelonga; Nome Sc.Animali: Ursus arctos marsicanus Addetti: personale PNA Telefono: 086391071 44 Co sa e Scrittori a tavola Ignazio Silone e il cibo dei poveri di ALFREDO DEL MONACO I SILONE e dei “cafoni” protagonisti dei suoi romanzi molto sappiamo e molto s’è scritto. Forse, però, un aspetto della loro condizione di vita è meno noto: quello relativo al cibo. Silone utilizza i riferimenti all’alimentazione in modo strumentale, per caratterizzare meglio i suoi personaggi o per rimarcare più efficacemente i temi portanti della sua narrativa. L’universo alimentare dei suoi libri, ovviamente, rimanda alla tradizione abruzzese. Partiamo da un passaggio de Il seme sotto le neve, in cui ci viene detto che Pietro Spina ama “mondare le patate, spogliare tagliare tritare la cipolla, ammollare friggere il baccalà.” Non è una ricetta dettagliata, ma i suggerimenti sono egualmente inequivocabili: siamo in presenza di un semplice ma gustoso baccalà con le patate, in una versione essenziale. Nella stessa sequenza, sempre Pietro Spina rievoca la “panunta” (oggi diremmo “bruschetta”) e la “panzanella” dell’infanzia. “Sul pane tostato l’acredine dell’aglio si sposa a perfezione con la blandizia dell’olio.” In questo caso la ricetta è fornita in modo preciso: “Il pane viene tagliato a grosse fette e messo ad abbrustolire, poi le fette vengono strusciate con spicchi d’aglio e copiosamente condite d’olio d’oliva.” C’è anche la ricetta della “panzanella”: pane ammollato, olio, sale e basilico. Niente pomodoro. D Il cibo dei poveri contrasta decisamente con quello dei ricchi. I benestanti possono indulgere ai piaceri della buona tavola. Fin troppo noto è il banchetto (non è una “panarda”, ma ci siamo vicini) offerto ai notabili della sua zona dall’Impresario, che sta tramando ai danni dei poveri fontamaresi. “L’odore delle casseruole arrivava fino a noi”. La testimonianza delle donne fontamaresi pone l’accento su una delle caratteristiche del buon cibo cucinato: l’odore. Silone è attento all’elemento olfattivo. Vedremo in seguito altri esempi. Dal soffitto della cucina di un proprietario terriero marsicano, don Carlo Magna (il soprannome non necessita di spiegazioni), “pendevano prosciutti, salami, salsicce, vesciche di strutto, fitte corone di sorbe, di agli, di cipolle, di funghi. Sul tavolo era un mezzo agnello sanguinante e dai fornelli veniva un buon odore da svenire.” È un’abbondanza da paese di Cuccagna per le fontamaresi che osservano. I loro pasti, infatti, sono scarni e ripetitivi. A sera, in paese, tutti mangiano “la minestra seduti sulla soglia di casa, con la scodella sulle ginocchia”. È il desinare tipico dei “cafoni”: “pane di granturco e minestra di legumi”. Il pane. Sottolineiamo pure questo alimento: è il primo nella lista dei poveri di Silone. Attenzione, però, perché non si tratta di “pane bianco”, cibo da ricchi. A Pietrasecca – ci viene detto in Vino e pane – esso veniva cotto una volta ogni due settimane. Per poter essere conservato tanto a lungo era necessario aggiungere alla farina delle patate. Non è un caso, quindi, che il consumo del pane con le patate sia ancor oggi vivo nella provincia aquilana. Il pane è spesso legato al vino, che, per via dell’ap- porto calorico, integra i magri pasti dei poveri (il cui vino, spesso, è annacquato). Quello dei ricchi e dei potenti, naturalmente, è vino di qualità. A Pietro Spina si deve un’affermazione interessante: “Vedi, Nunzio, a me capita come ai vini di queste nostre vigne: non sono mica spregevoli, ma, portati in altro clima, diventano stupidi (…)”. Il sapore del vino, non trattato con il bisolfito e trasportato lontano dalla cantina in cui l’uva è stata lavorata, tende a subire gli effetti del trascorrere del tempo e degli spostamenti. Silone, però, va oltre il dato oggettivo (il livello denotativo, per intenderci) e introduce una chiara connotazione riguardante l’importanza dell’attaccamento di una persona alle proprie radici. Parlando del vino non si può tralasciare il valore di socializzazione insito nella pratica del bere insieme e del di- 46 zemolo, menta, salvia, rosmarino (e rosmarino selvatico). Concetta, la povera tessitrice de L’avventura d’un povero cristiano, a chi loda la bontà d’un piatto di fagioli da lei cucinato, risponde: “Li ho conditi semplicemente con erbe colte sul Morrone”. In Vino e pane, per festeggiare l’inizio della guerra d’Etiopia, c’è animazione intorno alle osterie. Davanti ad un albergo troneggia “una porchetta arrostita al forno”. È interessante rilevarne il “ripieno di rosmarino, di finocchio, di timo, di salvia”. scorrere con gli amici (non è difficile intravedere i lontani antecedenti di questo comportamento nel simposio greco). Un’altra curiosità. Ci sono in Silone alcuni passaggi in cui si parla di abbinamento del vino al cibo. In Una manciata di more Giuditta serve a Rocco alcune salsicce crude, “sottili durissime assai pepate” accompagnate da un “vino frizzante”. L’ospite loda la scelta della donna. Nello stesso libro un gruppo di amici sta bevendo “un vino vecchio, stanco di solitudine” e Massimiliano osserva che si tratta di un vino “che richiede l’arrosto”. In precedenza abbiamo anticipato come il buon cibo si associ non solo al gusto ma, ancor prima, all’olfatto. L’odore ricorrente è quello del “pane appena sfornato, un buon odore di pane caldo”. Ma, qua e là, incontriamo anche “un forte odore di pecore, di cacio pecorino messo ad asciugare sulle fiscelle, di caldai ricolmi di ricotta bollente”; e, ancora, un’aria “satura d’odori di formaggio, di baccalà, di sarde”, un “grasso e pepato odore di soffritto”, “un gradevole odore di mele cotogne e di noci”. In Una manciata di more , ad un certo punto, “l’aria si era fatta mite. Essa conteneva un buon odore di conserva di pomodoro e di ceci abbrustoliti (…)”. La cucina abruzzese fa largo uso di erbe aromatiche. Le ritroviamo sia nella cucina dei ricchi che in quella dei poveri: timo, basilico, prez- Per concludere la nostra breve nota è opportuno riferirsi ad un testo poco conosciuto ma bello, Racconto a Parigi. Il protagonista del racconto, Beniamino, si allontana da Fontamara perché non vuole più mangiar polenta ma, alla fine, dopo essere arrivato persino a Parigi, torna al paese, sconfitto, e sarà costretto a tornare alla solita polenta. Le osservazioni riferite al gusto sono insolitamente insistite. A settembre la farina di mais dell’anno precedente “è bacata e la polenta sa di acido”. La miseria, però, non consente alternative ai derelitti cafoni. “Mangiare polenta nelle giornate torride è un castigo, ma mangiare polenta di farina dell’anno precedente, durante l’estate sulle montagne dell’Italia meridionale, è veramente infernale.” Fantasia Il frantoio storico di Raiano di RIZIERO ZACCAGNINI, foto LUCA DEL MONACO La storia del frantoio Fantasia è storia di una famiglia e di una comunità, memoria di quell’Abruzzo rurale ostinato che ancora durante il secondo dopoguerra resisteva alla modernità. È storia di un’economia legata ai prodotti e ai capricci della terra, caduta nell’oblio e tornata viva nel 1997 grazie all’impegno di Francesco Fantasia e alla collaborazione del Comune. 48 Il frantoio Fantasia è oggi monumento prezioso alla memoria del tempo che fu. Quando i sacchi di olive raccolte a mano venivano portati a spalla nei depositi del “trappeto”, la macina girava lenta mossa dal caparbio traino di un mulo, nel via vai dei contadini che s’intensificava col calare del sole e proseguiva per tutta la notte. Seguire il racconto del dottor Fantasia è immaginare i sacchi vuotati sotto la macina in pietra, la molitura accompagnata dall’attizzatoio, la pasta di oliva stesa sui friscoli impilati sotto l’immensa trave di legno del torchio più antico. Nella buca sottostante il “mastro” che raccoglieva l’olio in superficie, lentamente, con il nappo, un disco di metallo come un grande cucchiaio piatto. In un secondo locale completamente buio, chiamato l’Inferno, si faceva decantare in un pozzo il liquido di scarto, per recuperare ancora un po’ di prodotto nobile. Nulla andava sprecato, l’olio, più di oggi, era oro per la comunità locale. Le lanterne a olio lampante, le giacche da lavoro appese, le piccole botti ovali ad assecon- dare le forme del basto, gli arnesi da lavoro appoggiati alle macine, appesi ai muri: tutto è lì, pronto all’uso, come se fossimo un attimo prima dell’apertura. In questi giorni che annunciano il Natale, la suggestione è quella di un presepe che sta per animarsi. I ciottoli del pavimento levigati dagli zoccoli degli asini, i canali di scolo delle acque di scarto bruniti da secoli di utilizzo, la vite in quercia del torchio, sembrano solo attendere che tutto cominci. 5 Rustica e Gentile Vincitrice del Sol d’oro 2012 con la propria produzione di olio da varietà Rustica e Gentile, l’azienda agricola Fantasia è presente sulle guide dello stesso anno di Slow food e del Gambero Rosso. Un olio d’eccellenza unico, selezionato in premi nazionali e internazionali, tipicità delle terre peligne. 5 I documenti raccolti in anni di ricerche dal dottor Fantasia abbracciano più di due secoli e negli atti è possibile ricostruire le vicende storiche che attraversarono Raiano, la caduta dei Borbone, il periodo Murattiano, via via fino agli anni Cinquanta del secolo appena trascorso. «Non ricordo, da bambino, il frantoi in funzione, ma di certo era ancora attivo nel 1949. La data di realizzazione resta incerta, vagamente riconducibile ai primi anni del XVIII secolo per volontà di don Raimondo Fantasia, cinque generazione fa». Fu con l’acquisizione di tre ettari di terreno a ridosso delle Gole di San Venanzio da parte del figlio Francesco, che la famiglia Fantasia intraprese anche l’attività di produzione olivicola, continuata anche dopo la chiusura del frantoio. Fu probabilmente lo stesso Francesco, a dar fede all’iscrizione apposta sull’arco d’ingresso del frantoio, ad operare l’unico ammodernamento nel 1844, con l’introduzione di due torchi meccanici a movimentazione manuale. Ancora un secolo, poi l’avvento dei macchinari elettrici e la chiusura. www.aziendaagricolafantasia.com Transappennino: da Monaco al cuore dell’Abruzzo di RINO DI FONZO L A PUBBLICAZIONE del portale tardo gotico del Palazzo della SS.Annunziata di Sulmona, sulla prima di copertina del mensile ADESSO Magazin, edito a Monaco di Baviera, ad annunciare il racconto del viaggio in treno, lungo la dorsale dell’Appennino, dei suoi giornalisti, Cosimo Carniani e Filippo Cirri, è stata come una conferma per l’associazione Transappennino della fondatezza del progetto di salvaguardare le line ferroviarie a bassa velocità. Uno strumento insostituibile dello sviluppo turistico delle aree interne del Bel Paese. Partono una sera di giugno, in cuccetta, da München Hauptbahnhof, stazione centrale in lingua tedesca, per giungere ad Arezzo il giorno dopo, poi un breve tratto in corriera fino a San Sepolcro. Qualche ora in Piazza Torre di Berta ad ammirare gli edifici rinascimentali che si affacciano su quello che, ogni anno, diventa teatro del Palio della Balestra, poi un salto ad ammirare la Resurrezione di Piero della Francesca al Museo civico e la Deposizione di Rosso Fiorentino nella Chiesa di San Lorenzo ed infine l’imbarco sul treno che li trasporterà nel «Gran Tour sul ferro» verso il cuore degli Appennini, per immergersi a piene mani nell’immenso patrimonio di bellezze e di storie straordinarie che si scoprono ad ogni stazione, ad ogni notte passata in uno dei tanti B&B e i loro accoglienti ospiti. Passano per Città di Castello, Deruta con le sue ceramiche, Acquasparta fino a Rieti, Cittàducale, L’Aquila per giungere infine a Sulmona, cuore dell’Appennino dove «l’uomo riconquista il suo spazio», tra il Gran Sasso e la Maiella, le cime più alte della catena. Il viaggio in treno si ferma qui, non prosegue verso il sud, per l’interruzione della linea da Sulmona a Carpinone nel Molise, da ormai più d’un lustro. L’associazione Transappennino di Sulmona vuole invece che quel treno riparta: con il ripristino dei servizi ordinari quotidiani, spera di ricongiungere l’Abruzzo al Molise fino a Napoli. Quante storie da raccontare, come quelle dell’articolo di ben otto pagine fatto dai visitatori di Germania; quanti passeggeri da ogni parte d’Europa, forse del mondo potranno godere un’Italia Slow del paesaggio, della gastronomia e del piacere della riscoperta di territori dagli immensi tesori. 50 Rajane Cante Per il terzo anno consecutivo il 23 dicembre arriva in piazza Babbo Natale con i doni per i più piccoli. Sarà però il Concerto, che si terrà il 4 gennaio 2015 alle ore 18.00 presso la chiesa Santa Maria Maggiore in piazza Umberto Postiglione, la manifestazione centrale del Natale raianese. Ad esibirsi il Coro Folcloristico “Rajane Cante” diretto dal M° Alessia De Amicis. due, tre locande, trovando solo risposte di rifiuto. Fino a giungere in chiesa, dove, di fianco all’altare, sarà allestita la grotta. Una processione di venti, trenta minuti, con musiche di sottofondo, luci leggere e passaggi recitati. Tutto, comunque, in funzione dell’arrivo in chiesa, della santa messa, che culminerà nell’eucarestia, con l’arrivo dei magi e la donazione dei loro scrigni. La cerimonia si chiuderà con gli angeli in coro e i bambini recitanti poesie. www.comune.fontecchio.aq.it Vivendo il Presepe www.comune.raiano.aq.it Presepe eucaristico a Fontecchio Non il classico presepe vivente, rievocazione, recita, messa in scena della natività. Piuttosto un ritrovarsi, alla chiusura delle festività natalizie, nel momento dell’eucarestia, ricordando lo spirito e il significato della nascita di Cristo. Sarà questo lo spirito con cui a Fontecchio verrà organizzato il 6 gennaio il primo presepe itinerante per le vie del borgo antico. In un tragitto breve, la Sacra Famiglia spunterà da un angolo del paese cercando asilo in una, Il 3 gennaio l’Associazione “Vivendo il Presepe” tornerà ad animare Vittorito rievocando la nascita di Gesù in un suggestivo allestimento all’interno della chiesa di San Michele Arcangelo. La manifestazione sarà preceduta dal un Mercatino itinerante che dal pomeriggio vedrà i produttori locali proporre vini, oli, norcineria, orzo, farro e tanti altre prelibatezze lungo i vicoli del centro storico. LA serata si concluderà conclusione con concerto natalizio in chiesa. www.comune.vittorito.aq.it “Una stella nel borgo”. Natale a Scontrone Quattro date salienti per il calendario natalizio di Scontrone. L’arrivo di Babbo Natale il 25 dicembre aprirà le festività, che proseguiranno il 27 con la seconda edizione del Presepe vivente itinerante nel “borgo autentico” e il memorial dedicato a Pamela Iacobucci «Una stella tra i presepi nel borgo». Il giorno seguente aprirà, presso il Museo Internazionale della Donna nell’Arte, la mostra di presepi dal mondo, inaugurata dal convegno «Il Presepe nel mondo, religione, cultura e materiali». L’arrivo della Befana con tante sorprese per i più piccoli chiuderà, di rito, i festeggiamenti. www.comune.scontrone.aq. it Natale dove c’era Morino Vecchio Il periodo invernale per il Comune di Morino rappresenta da anni la riscoperta di vecchie tradizioni. Dalla gastronomia alla tradizione religiosa e profana dei festeggiamenti natalizi ai vecchi metodi di produzione e conservazione degli alimenti, i mesi invernali ed in particolare il periodo a ridosso delle feste natalizie è quello dedicato alla famiglia. Quest’anno l’ormai consueto “Presepe vivente”, evento principale dell’inverno morinese insieme all’arrivo della Befana, che tradizionalmente negli anni hanno ravvivato Brecciose, si sposteranno eccezionalmente a Piazza San Rocco nel Borgo di Morino Vecchio dove, da diversi mesi ormai, in vista delle celebrazioni per il Centenario del Terremoto che il 13 gennaio 1915 ha colpito la Marsica e distrutto quasi completamente il borgo; numerosi volontari stanno facendo un lavoro di pulizia e recupero dei ruderi, stanno riscoprendo edifici che negli anni e a causa di quel sisma erano stati completamente ricoperti di terra e macerie e cercando negli archivi ne stanno riscoprendo la storia, la conformazione, le abitudini e la vita quotidiana di allora. È proprio grazie ai tanti volontari che ogni fine settimana popolano le vie dell ‘antico borgo che a Morino Vecchio oggi si riscopre un paese ai molti sconosciuto, si scoprono nomi, luoghi, professioni, particolarità. Per tutto il 2015 sarà protagonista di eventi e manifestazioni, ma soprattutto sarà visitabile, grazie al ripristino del sentiero per non vedenti e all’apertura di nuovi percorsi interni al borgo. 52 foto Antonio Monaco Serenata di Capodanno La notte dell’ultimo dell’anno si celebra la tradizionale serenata di Capodanno, lungo le stradine del paese, dove si brinda, si trascorrono momenti di allegria cantando la canzone scritta per l’occasione. Una tradizione antica che risale a prima dell’ultima guerra, e che è stata ripresa negli anni Cinquanta, diventando una manifestazione del folclore di Pettorano. Cogli anni la serenata di capodanno ha assunto un ruolo simbolico, rappresentando anche una sorta di testo di riferimento, emblema degli anni dell’emigrazione e della diaspora del paese. Oggi è anche un momento di richiamo turistico, sicuramente un modo per vivere la notte dell’ultimo dell’anno in modo originale. Brindando con gli amici, intorno al falò acceso nell’incanto di antichi versi e canzoni popolari. Dalla mezzanotte, appuntamento a piazza Arischia, davanti al castello da dove partirà il corteo dei musicanti dell’orchestra di Pettorano. Gli autori della canzone di questa edizione sono Leonardo Oddi e Michele Avolio. Pettorano sul Gizio La sagra della polenta È il forte legame con il territorio, che rende la sagra della “polenta rognosa” non una delle tante sagre, ma una manifestazione che, celebrando il piatto principe della gastronomia di Pettorano sul Gizio, porta con sé, nel baule di identità e folklore, storia e tradizione, immersi negli incantevoli paesaggi che parlano di montagne, treni e ferrovie, orsi, Riserva e Parchi, vicoli rimasti intatti nella loro antica bellezza. Di quelle che la modernità, per quanto sfrontata e invadente, non è riuscita a sgualcire. Ma forse a completare. Il gustoso evento affonda le radici nel 1962, divenendo negli anni uno degli appuntamenti più attesi dell’epifania Peligna. Ogni 6 Gennaio torna con tutta la sua unicità, richiamando migliaia di turisti, habitué, famiglie, curiosi, buongustai che, sole o pioggia, freddo o vento, da mezzogiorno, affollano le suggestive e caratteristiche piazze e strette strade di uno dei Borghi più belli d’Italia.Come un rito da non perdere. Perché ne vale la pena. Tra musica, balli, stand enogastronomici e tradizioni, sotto tensostrutture o all’aria aperta, si potranno gustare sapori genuini e prodotti tipici locali, come le pizzelle, le crustole, piatti di mugnoli e cazzarielli, vino peligno, che affiancano la regina del menù: la polenta con le salsicce. La “rognosa”, che un tempo sfamava i carbonai, si taglia a fette, rigorosamente con un filo di refe. Incerta l’etimologia, che fa riferimento alla malattia procurata dall’eccessivo consumo di mais o di carne di maiale, oppure termine inteso come il rivelarsi una “rogna”, una seccatura, prepararla, in quanto è molto lavorata. Dietro il Monte Genzana, davanti la Statale 17, nel mezzo le sembianze di un presepe che, se imbiancato, è ancora più affascinante. Difficile resistere senza scattare una foto o immortalarlo con la pittura. Pettorano è uno di quei paesi che possono essere raccontati in ogni stagione, con la neve, con le foglie ingiallite ai lati delle stradine e il rosso autunnale delle rampicanti su vecchie case, tra la frescura estiva o il verde dei boschi in primavera. Nel prossimo numero, AbruzzoèAppennino racconterà Pettorano in tutte le sue sfaccettature, con i suoi poeti, castelli, fontane, personaggi e tradizioni, come leitmotiv di una Storia di Copertina dedicata proprio alla polenta rognosa. 54 L’arte di correre Podisti, tradizioni e natura di una passione chiamata trail di PASQUALE D’ ALBERTO In termine tecnico si chiama “trail”. Nella realtà è una corsa podistica che si svolge prevalentemente su terreni di montagna, a contatto diretto con la natura. Gare toste, con chilometraggio vario (dai 13 fino ai 64 chilometri di Celano) che si vanno diffondendo a macchia d’olio nei luoghi più suggestivi dell’Abruzzo montano, frequentate da atleti d’eccellenza (Maurizio D’Andrea, Gianni Scappucci, Alessandro Novaria, Alberico Di Cecco, Mohammed Lamiri), anche se amatori. L E GARE coinvolgono anche appassionati comuni, poco preoccupati dei risultati ma entusiasti nell’affrontare la fatica che la corsa comporta e di poter scoprire luoghi che mai si sognerebbero di raggiungere in condizioni normali. Atleti che provengono da tutta Italia, qualche volta anche dall’estero. Veicolo di promozione del territorio a tutto tondo. Da aprile ad ottobre le gare che si sono svolte sono state numerose, in quasi tutte le aree protette del territorio. Zompo lo Schioppo di Morino (94 concorrenti); la Serra di Celano (88); Pereto (74); Gran Sasso (273); Altipiano delle Rocche (120); monti della Meta (150); Pescasseroli (573); 100 pozzi di Trasacco (155); lago di Barrea (152); Riserva di San Venanzio di Raiano (153); Ercole Curino di Sulmona (129); Monte Salviano (54); la Roscetta di Civitella Roveto (188); il Sentiero di Corradino di Sante Marie (109). Uno dei principali protagonisti delle gare è stato certamente Antonio Carfagnini, 40 anni, guardia forestale di Scanno. Carfagnini ha vinto a Pereto e a Trasacco ed è salito sul podio a Rocca di Cambio, Sulmona e sul Salviano. «In queste gare – spiega il runner scannese – si riesce a scoprire e ad apprezzare la montagna abruzzese a 360 gradi. I luoghi innanzitutto. Ma anche le tradizioni, i monumenti, le feste, e perché no, la cucina, grazie ai ristori variegati che i comitati organizzatori propongono a conclusione delle gare. Inoltre – aggiunge Carfagnini – si passano domeniche diverse, rientrando in se stessi, nel silenzio della natura. Io corro anche per questo». Altro protagonista, non tra i vincitori ma quasi sempre presente, è Vincenzo Di Pastena, ragioniere romano della podistica Tiburtina, 54 anni, presente a quasi tutte le gare con un gruppo di amici tutti della capitale. «Per noi che viviamo ogni giorno nel traffico romano – sottolinea – passare le domeniche in Abruzzo, a un’ora di macchina dalla città, è turismo, ma anche cultura. Le aree archeologiche toccate dalle gare sono per noi una scoperta continua. A volte raggiungiamo i luoghi la mattina stessa – continua – Altre volte partiamo la sera prima, soggiorniamo nei paesi e torniamo in città nel pomeriggio della domenica». Il Trail è una pratica sportiva relativamente poco costosa rispetto ad altre particolarmente diffuse sulle strade di montagna (motociclismo, ciclismo). Bastano buone scarpe (esistono delle speciali calzature da trail running, particolarmente consigliate su determinati percorsi accidentati) e, per alcuni, moda che si va diffondendo negli ultimi anni, bacchette da nordic walking, utili sia in discesa che in salita. Infine, per chi decide di praticare il trail, sono più che mai obbligatori controlli medici accurati e tempestivi, soprattutto i più anziani, protagonisti prevalenti (almeno i 2/3 dei concorrenti hanno normalmente più di 40 anni), per evitare che lo sforzo provochi sorprese spiacevoli. Gli organizzatori, oggi più che mai, chiedono precise assunzioni di responsabilità da parte delle società sportive oppure, per i “liberi”, certificati medici validi. «La corsa è bella – spiega Ervana Cetrano, presidente della Lega Atletica Uisp Abruzzo – il trail ancora di più. Ma la sicurezza degli atleti, delle persone, è la cosa più importante». Trail, che passione, insomma. Un modo originale per promuovere un territorio unico per natura e cultura. 56 I monti della Meta Testo e foto di PIERO SAVARESI RA I TANTI splendidi luoghi del Parco Nazionale D’Abruzzo ce n’è uno sul quale si racconta una curiosa leggenda i cui attori principali sono monaci; si narra infatti che questi, attraversando un passo montano, posassero un sasso (i due grandi cumuli di pietre oggi presenti in quel luogo sarebbero lì a testimoniare questa abitudine) ma un tragico giorno due poveri monaci, loro malgrado, a causa di una tormenta di neve persero la vita diventando i protagonisti di questa antica e tragica storia, ispirarono con la loro morte la toponomastica di questo passo montano che collegava la regione Abruzzo con il Lazio battezzato col nome di Passo Dei Monaci. Comunque sia andata questo importante passaggio permetteva, un tempo, di superare agevolmente il notevole isolamento causato dagli alti rilievi montani che costituiscono il confine naturale tra le due regioni. Il trekking raggiungerà la vetta più rappresentativa e caratteristica di questo luogo dove il Molise, il Lazio e l’Abruzzo si incontrano con il monte la Meta. T Caratteristiche Tipologia percorso: Anello. Livello di difficoltà: E (Escursionisti) Dislivello totale: 1100m. Lunghezza: 14km. Durata: 5h. Esposizione al vuoto: NO. Presenza sorgenti d’acqua: SI. Raggiungere Campitelli presso Alfedena (AQ). Dalla S.S. 17 nel tratto Castel Di Sangro, Rionero Sannitico, svoltare per la S.S.83 per Alfedena; raggiunto il centro abitato s’incontra il bivio che conduce a Barrea. Svoltare a destra proseguendo sulla SS83, una prima curva a gomito ed un successivo ponte permettono l’attraversamento del paese di Alfedena; proseguendo s’incontra un grande curvone verso destra che incrocia una piccola strada comunale, via Casili. All’altezza della casa cantoniera, svoltare verso sinistra e proseguire lungo la strada per 3,4 km. fino a raggiungere un bivio in cima al passo, svoltare quindi verso destra e proseguire fino al termine della strada, tralasciando un piccolo incrocio sulla sinistra, dove un grande par- cheggio segna il punto di inizio del trekking, il pianoro di Campitelli. Il trekking ha inizio imboccando l’ampia strada sterrata che origina direttamente dal parcheggio in direzione Nord (tabella e bandierine bianco-rosse, sentiero L1). La strada piega rapidamente verso sinistra inoltrandosi in una densa e fitta faggeta, la salita dolce è interrotta da un’altrettanto dolce discesa al cui termine è presente un primo evidente bivio (sentiero L2) prima di un lungo tratto quasi in piano; proseguire verso sinistra, e tenersi sempre a sinistra ad un successivo ma meno evidente bivio, continuando a seguire i segni bianco-rossi presenti sui fusti dei faggi e i piccoli ometti di pietra. Il sentiero prende a salire in maniera più evidente e a disegnare una traccia zigzagante a tratti illuminata dal sole che riesce con difficoltà a farsi strada nel fitto bosco. Dopo aver accostato un piccolo fosso, dove, poco più in alto, è presente la sorgente dei Tartari, il sentiero piega leggermente verso sinistra, e rapidamente raggiunge un 58 ampio e assolato vallone denominato I Biscurri. La folta coltre boscosa termina definitivamente ma il sentiero resta comunque evidente e piega verso Sud-Ovest; attraversando le colline che costituiscono il fondo della valle, a quota 1775 m incontra, sulla sua destra, in cima ad una di esse, i ruderi di un antico fortino di pietre di epoca borbonica, costruito per rendere sicuro il passo ai monaci, ai piedi del monte la Meta (2242 m), e difendersi dai briganti, che ritiratisi in montagna, imperversarono nella zona. La mole trapezoidale della Meta domina questo piccolo e protetto angolo del parco che nel periodo estivo resta inaccessibile all’escursionista per la riproduzione dei camosci, presenti nella zona in gran numero così come i cervi; ma mentre i primi sempre rapidi e curiosi si fanno avvicinare a distanze di poco in- feriori ai 50 metri, i secondi, estremamente prudenti, restano a distanze elevate ma comunque in gruppi numericamente molto consistenti. Il sentiero si avvicina alle falde del monte Miele (1942 m) che costituisce il confine naturale tra la il Molise e l’Abruzzo e risalendole incrocia la sella fra la il Gendarme della Meta e il Miele, il sentiero adesso scomodo e roccioso entra nella valle Pagana facendosi aereo e ta- gliando il fianco Sud-Est del monte la Meta fino a raggiungere il Passo dei Monaci (1967 m). Un piccolo sforzo permette di percorrere gli ultimi ripidi 250 metri che conducono, verso Nord, alla croce di vetta permettendo così di godere di uno dei panorami più belli del Parco. Ridisceso il versante SudOvest fino al passo, si prende il sentiero di destra che inizialmente roccioso e scalettato scende seguendo il fondo della Valle Pagana(Sentiero M1). Dopo aver incontrato una piccola fonte con targa in pietra ed aver lambito brevemente il bosco, il sentiero torna all’ombra del fitto bosco seguendo la chiara segnaletica bianco-rossa fino a costeggiare una recinzione in rete metallica (presa d’acqua) e dopo poco a raggiungere Piano Le Forme. Da qui verso sinistra, superando una bassa collina (sentiero L4) si raggiunge il parcheggio di Campitelli. 60 PEDALANDO SULLE COLLINE TEATINE di TOMMASO PAOLINI Ieri sera, come oramai ogni tanto capita a noi posseduti dalla passione per la bici, abbiamo lavorato sodo di mascella e ci siamo affacciati spesso al finestrino rotondo del calice che intrappolava un Montepulciano rosso rubino di 13° che scendeva giù che era una bellezza! Q UESTA MATTINA al sole estivo di un ottobre meraviglioso, ci sentivamo in una disposizione d’animo avventurosa e romantica, che ci rendeva felici. Il mondo che ci si stendeva tutt’intorno chiaro e luminoso, appariva così bello come se fosse nuovo. I pensieri negativi, le ansie quotidiane, le preoccupazioni anche profonde della vita che oggi viviamo erano come d’incanto scomparse. Stridono col nostro stato d’animo i capannoni industriali e le altre strutture tutte grigie e tetre, tutte uguali: molte vuote, che pedalando subito incontriamo, prima di immetterci sulla SS17, dove case piccole e grandi sono sparse qua e là per il verde e danno il braccio a una rigogliosa agricoltura la cui regina incontrastata è la vigna, di questi tempi senza grappoli. Alberi per lo più di noci conferiscono alla silenziosa strada domenicale quiete e suggestioni. Incollati a mezzacosta sulle montagne, i graziosi paesetti fanno da sentinella alla grande Valle Peligna. Pedaliamo di buona lena. Ci diamo regolarmente il cambio. Noi biker non abbiamo in mente “la strana idea che agendo egoisticamente le persone avvantaggino in qualche modo gli altri”. Quando siamo in gruppo, ognuno sopporta la propria dose di fatica! Superiamo Popoli, non senza aver prima dato una sbirciatina alla confluenza del Pescara nell’Aterno. Imbocchiamo le Gole di Tremonti ancora nell’ombra. Non tira vento. Possiamo pedalare in fila indiana e non a ventaglio come nelle giornate ventose. Dopo le pale eoliche: oggi quasi ferme, che un poco disturbano le prime propaggini del Morrone, guardando sulla destra ammiriamo, su un colle coperto di ulivi argentati, Tocco da Casauria ed il suo campanile inondato di sole. Sull’erta di Colle Morto, il gruppo numeroso un poco si sfilaccia. Sulla discesa prima di Piano d’Orta, già si è ricompattato. Superiamo Scafa e al bivio di Manoppello andiamo diritti. Pedalando sulla SS5, appena dopo Brecciarola, giriamo a destra. Dopo un breve tratto in pianura la strada inizia a salire. Il traffico automobilistico un poco si addensa almeno fino al bivio per Chieti. Stringo i denti per non perdere contatto dal gruppo. So che la salita dura tre chilometri buoni e poi la strada spiana. Sui tornanti per mantenere la velocità e dare respiro ai glutei mi alzo sui pedali. Ogni tanto, quando mi allargo per meglio curvare, qualche temerario mi scivola sulla destra come un’anguilla per sfruttare lo spazio a disposizione vicino l’argine della strada e superarmi. Appena sotto Casalincontrada, che vediamo appollaiato su un verde colle, al bivio prendiamo la strada in discesa che ci riporta alla SS5. Ora lo sguardo può spaziare sui campi dove corrono diritti i filari spogli delle vigne, con ancora le foglie verdi. Il palato già gusta il delicato sapore del Trebbiano d’Abruzzo che su queste colline raggiunge l’eccellenza! Numerose sono le strade secondarie: per lo più bianche, che portano ai poderi, che intersecano la nostra e dalle quali escono trattori che trainano attrezzature agricole. Guardando verso nord vediamo il maestoso Gran Sasso che si stende laggiù: placido, in un’azzurrina, biancovelata lontananza. A ritroso pedaliamo sulla SS5. A Piano d’Orta, per evitare l’erta di Colle Morto, giriamo sulla destra con direzione Torre de’ Passeri. Vicino la chiesa, un gruppo di ragazzetti ha fatto della strada assolata la sua stanza dei giochi. Con la coda dell’occhio li controlliamo. Vogliamo evitare che il nostro sfrecciare possa generare loro un qualche pericolo. Al bivio di Torre de’ Passeri riprendiamo di nuovo la SS5. Il cielo azzurro dall’alto sorride al gruppo compatto. Una colonna di raggi di sole ora cade risplendente in mezzo ai fitti tronchi degli alberi delle Gole di Tremonti. Manca qualche minuto alle tredici quando arriviamo a Sulmona dopo aver percorso all’incirca 120 km. La disposizione di animo è eccellente e quando si pedala, idee: pure complesse, trovano la giusta soluzione ancora prima di staccare i piedi dai pedali! 62 64Lo scaffale Pino Zac. Una vita contro di V. Vecellio, Stampa alter- Capetiempe V. Monaco, Synapsi Edizioni 2008 nativa 2000 Il pianeta degli alberi di Natale G. Rodari B. Munari, Pino Zac, Italiani un popolo di..., Carucci, Roma, 1961 Einaudi 2008 Almanacco Luttazzi della nuova satira italiana a cura Canto di Natale C.Dickens, Mondadori 2013 di D. Luttazzi, Feltrinelli 2010 Il seme sotto la neve I.Silone, Mondadori 1989 Il cavaliere inesistente I. Calvino, Einaudi 2014 Fontamara I.Silone, Mondadori 2013 Scritti corsari P.P.Pasolini, Garzanti 2012 Vino e pane I. Silone, Mondadori 2013 La religione del mio tempo - P.P. Pasolini, Gargani 2012 Una manciata di more I. Silone, Mondadori 2013 Gargantua e Pantagruelle F. Rabelais, Feltrinelli 2012 L’arte di correre H. Murakami , Einaudi, 2009 Attraverso gli Appennini e l’Abruzzo E. Canziani, Sy- La solitudine del maratoneta A. Sillitoe, Minimum Fax napsi Edizioni 2009 2009