leggi il pdf - Abruzzo è Appennino

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leggi il pdf - Abruzzo è Appennino
numero 3 anno 2014
Registrazione Tribunale di Sulmona
n. 3 del 13-12-2006
AèA
abruzzoèappennino
Direttore Responsabile
Antonio Di Fonso
Redazione
Massimo Colangelo
Luca Del Monaco
Giuliana Susi
Riziero Zaccagnini
Segreteria di redazione
Riziero Zaccagnini
Progetto Editoriale
Massimo Colangelo
3
Editoriale
4
email
[email protected]
12
ZoШdesign
Fotografia
Luca Del Monaco
Traduzioni
Marta Di Felice
Hanno collaborato
Marcello Bonitatibus
Sabrina Ciancone
Pasquale D'Alberto
Alfredo Del Monaco
Rino Di Fonzo
Adriana Gandolfi
Roberto Grillo
Antonio Monaco
Tommaso Paolini
Piero Savaresi
Redazione "Terre"
03/14
indice
Ufficio Stampa
Via Collegio dei Fabbri
Corfinio 67030(AQ)
Progetto grafico
ottobre
Abruzzo è Appennino
rivista trimestrale
dell’appennino abruzzese
spedizione in abbonamento postale
39
Adesso ti racconto una storia
[Editorial]
Le terre del vino
41
[The land of Wine]
44
Ecomuseo vitivinicolo
Le aree faunistiche del Parco Nazionale
d’Abruzzo, Lazio e Molise
13
Pietrantonji.
Storia e orgoglio dei vini peligni
46
Scrittori a tavola. Ignazio Silone e il cibo
dei poveri
14
Sulle tracce di Pino Zac
L’agenda digitale abruzzese
[Catching up
with Pino Zac]
18
Lo spazio della memoria
20
L’orgoglio della bellezza in una comunità
di abitanti
23
49
Fantasia: il frantoio storico di Raiano
51
Transappennino: da Monaco al cuore
d’Abruzzo
52/55
Primo piano
La sagra della polenta
Serenata di Capodanno
Nero d’Abruzzo
REGIONE
ABRUZZO
Regione Abruzzo
L.R. 11-11-2013
Assessorato agli Enti locali
Progetto pilota AbruzzoèAppennino
Comuni
Cocullo, Morino, Fontecchio,
Raiano, Pettorano sul Gizio,
Scontrone, Vittorito
Partner privati
Mac edizioni, TV6,
Associazione Paesaggi d'Abruzzo
www.abruzzoeappennino.com
stampa PUBLISH pre&stampa Cepagatti
25
56
L’arte di correre
Le campanare di Opi
[Soul places
The Opi’s Bell Ringers]
29
Rituali del solstizio d’inverno
32
La Majella orientale
36
L’Appennino in tasca
38
Comunicare l’ambiente nella regione
dei Parchi
59
I monti della Meta
62
Pedalando sulle colline teatine
64
Lo scaffale
ANTONIO DI FONSO
[Editorial
by Antonio Di Fonso]
CCADONO quasi d’in-
A
sito (www.abruzzoeappennino.com),
verno i piccoli cambia-
rinnovato nella grafica e nei conte-
menti che non ti aspetti.
nuti, agile e flessibile come si dice in
Per esempio che le
questi casi, che unisce e rinsalda in-
chiocciole dello Slow food abruz-
formazione cartacea e on line, foto-
zese, del cibo buono e genuino
grafia e video, sincronizzando gli
conquistino il Salone del gusto di
spazi: come avere tutta la comuni-
Torino, dove i prodotti della nostra
cazione in una tasca. Quella tasca
regione hanno convinto tutti, ad-
virtuale e reale, fidata e accogliente
detti ai lavori e pubblico. Un suc-
che soddisfa la richiesta di informa-
cesso annunciato, perché la
zione, la nostra bussola suadente
tradizione e la sapienza artigianale
che indica il nord della buona navi-
nell’enogastronomia sono una ga-
gazione. È l’ultimo dei cambiamenti,
ranzia e una ricetta vincente. Op-
quello che ci condurrà alla scoperta
pure che i sensori della tecnologia e
dei luoghi dell’anima, ci farà ci farà
le nuove frontiere del web incon-
emozionare nel racconto di una tra-
trino le strade sterrate e i cigli er-
dizione popolare, svelerà i segreti di
bosi delle montagne, indicando
un borgo antico semplicemente con
percorsi, tracciando cammini,
un clic sul portatile. L’Appennino in
aprendo scenari. Scie tecnologiche
tasca è il titolo del convegno che si
luminose su cui il turismo del-
è svolto a Cocullo, in cui sindaci,
l’Abruzzo interno viaggerà più ve-
amministratori regionali, operatori
loce. Accadono sempre in questa
culturali e rappresentanti dei Parchi
stagione storie che mutano prospet-
si sono confrontati e hanno dise-
tive, segnali di una umanità resi-
gnato gli scenari dello sviluppo
stente che si fa respiro e
prossimo futuro dell’Abruzzo mon-
testimonianza, come nel racconto
tano. Ma è soprattutto una parola
delle campanare di Opi, una vita
chiave che ci apre la porta nella no-
dedicata a scandire i giorni e le
stra riserva di futuro: la montagna, i
feste del paese, che infuri la bufera
suoi tesori, le sue storie, le sue
o scrosci la pioggia battente. Altre
genti. Piccoli cambiamenti dunque
trasformazioni sono quelle che arri-
si muovono, lentamente avanzano.
vano da AbruzzoéAppennino: ab-
Come le chioccioline del gusto. Al-
biamo presentato il nostro nuovo
l’inizio dell’inverno.
It is during the winter that little changes
happen. For example that Abruzzo’s
Slow Food escargots, as well as honest
and genuine food, would win over the
Salone Internazionale del Gusto in
Turin, where products of our region
have convinced everybody, stakeholders
and public. A well anticipated success,
as enogastronomy tradition and handcrafts knowledge are a proven winning
recipe for our region. Or, for example,
that technological sensors and new web
frontiers would meet the winding paths
of our mountains, highlighting itineraries, tracking routes, opening sceneries
and scenarios. Technological luminous
trails on which Abruzzo’s tourism will be
more easily conveyed.
In this season, other stories can be told,
stories about perspectives, signals of
strong humanity, depositaries of traditions as the Opi’s bell ringers, women
that have devoted a life to set the time
for days and celebrations, regardless the
weather, sunshine or storms.
Other changes are those arriving directly
from Abruzzoéappennino. We have presented our new website www.abruzzoeappennino.com, renewed in graphics
and contents, more flexible and connected to the paper version, photography and video, synchronizing the
spaces: with the aim of giving some usable pocket information.
L’Appennino in Tasca, is the title of the
conference that was held in Cocullo, in
which mayors, regional administrators,
cultural operators and Parks representatives have confronted their ideas and
outlined new scenarios for the development of our inner Abruzzo. This is also
a keyword for opening the door of our
future: mountain, its treasures, stories,
people. Little changes are then happening, slowly unveiling. Right at the doors
of winter.
2
3
Le terre del vino
testi
GIULIANA SUSI
foto
LUCA DEL MONACO, ARCHIVIO PIETRANTONIJ
4
R
imane nell’anima quel profumo di mosto che aleggia tra
strade e vicoli, inebriando Vittorito di sapori della terra e
della tradizione; quando l’autunno è alle porte. Si avverte
non appena si varca l’ingresso nel borgo, ai lembi della
Valle Peligna, luogo che ha dato i natali al vitigno del Montepulciano
d’Abruzzo, come testimoniano non solo le opere di Ovidio (Amores
e Metamorfosi) in cui si celebrava la bellezza dei vigneti della Conca
Peligna, ma anche gli scritti dello storico Michele Troia del
1700. Penetra nelle narici, s’impadronisce dei sensi e dipinge un
quadro romantico fatto di uve, vigne, cantine, tini e torchi fuori le
porte e botti da lavare davanti l’uscio lungo le strade.
D
I BUON MATTINO,
quando il paese si
sveglia e squadre di
operai si danno appuntamento al bar pronti per
cominciare la vendemmia. Le
campagne si riempiono, le
famiglie si riuniscono, si raccoglie l’uva da mattina a
sera, si pranza nelle vigne,
tra il giallo, il rosso, e luci
che cangiano al passar delle
ore. Un cesto con le tipicità
locali, provolone, formaggi
saporiti, peperoni fritti, baccalà, patate e focaccia casereccia. Storie senza tempo,
fatte di sudore e fatica, che
sanno di tradizioni e connotano l’identità di un paese
caratterizzato da arte, cultura
e attività rurale. Usanze oggi
rinnovate, mutate nelle forme
e nei mezzi. A fare la differenza sono le diverse
aziende vitivinicole inserite
nel bel mezzo del paese, in
cui il turismo enogastronomico diventa leva per il rilancio economico, in rete con i
comuni del territorio, come
spiega il sindaco Carmine
Presutti, puntando alla realizzazione di un’enoteca provinciale, da affiancare
all’ecomuseo inaugurato nel
2010. Per incrementare il turismo slow, lento, il sindaco
cita il progetto di un anello
ciclabile di 50 chilometri,
«il turismo enogastronomico
diventa leva per
il rilancio economico, in rete
con i comuni
del territorio»
lungo i tracciati dei fiumi,
che unirà Vittorito con gli altri
paesi di “Terre dei Peligni”
(associazione dii cui è membro). Lavori cominciati lo
scorso settembre, così che gli
appassionati della bici, già
dalla prossima estate, potranno percorrere i sentieri fin
dentro i centri storici e nella
natura. Una burocrazia più
snella è il sogno del sindaco
Presutti, per far sì che l’agricoltura e i terreni incolti possano tramutarsi in
opportunità di lavoro. Il
paese è tra le “Città dell’Olio”, partecipando con
successo anche ai concorsi
del Buon Olio Peligno “Frantolio” e di “Lorolio”. Nel luglio 2009, a tre mesi dal
sisma che devastò L’Aquila e
che ferì non poco il paese, si
tenne a Vittorito il Consiglio
nazionale delle “Città del
Vino”, a sostegno dell’unico
comune del tempo nella provincia aquilana membro
dell’associazione nazionale.
Una solidarietà che portò a
promuovere i vini vittoritesi
nel Veneto. «Un momento im-
6
[The land of Wine
By Giuliana Susi]
portante che ci ha incoraggiato in quei terribili giorni»
commenta il sindaco, ricordando il prezioso aiuto che
l’associazione donò al paese
(fuori dal cratere sismico): un
contributo di 15 mila euro
per restaurare il bellissimo Ciborio del XV secolo, danneggiato dal terremoto,
gioiellino della chiesa di San
Michele Arcangelo, costruito
sui resti di un tempio italico
(II-I sec. A.C). Diverse le manifestazioni che nell’anno si
svolgono a Vittorito; non solo
il brindisi in notturna ad agosto con “Calici di stelle”,
ideata dal Movimento Turismo del Vino, in collaborazione con Città del Vino, ma
passeggiate a cavallo, promosse con il Circolo ippico
89
Cavalieri dell’Antera, che organizza annualmente l’Endurance Cup, manifestazione
equestre internazionale che
unisce sport e ambiente, fiore
all’occhiello del borgo peligno. Dopo aver riposto la
bici, di rientro da una gita
tra le vigne, se ne scorge
una, sinuosa, chiamata tenuta del Cerano, dell’antica
famiglia Pietrantonji, azienda
che in ogni stagione richiama molti turisti in paese.
Lì dove il mosto lascia la sua
impronta tra antiche case e
stradine, tra storia, arte e tradizione.
When the fall season is knocking
at the door, a perfume of must is
wavering through the alleys of the
village of Vittorito, “City of
Wine”, at the edge of the
Peligna’s Valley. This place has
given birth to the wine variety of
Montepulciano D’Abruzzo. Entire
families gather in their vineyards,
for the harvesting from morning to
evening, having a quick packed
lunch in the fields, among the
white, red and the lights that
changes as the sun sets down.
Stories of old times, stories of
sweat and tears, stories of traditions and the identity of a place,
made of handicraft, culture and
rural activities. Traditions that
have been renovated over the
years, and that gives a new incentive to wine and food tourism
and a good stimulus for an economic twist. Working in connection to the other villages of the
area – as the mayor explains –
this idea is aiming to build a
province wine shop, to be sided
to the eco-museum launched in
2010.
We visited also the ciborium of
the ‘500 church of Saint
Micheal, we cycled around and
also rode a horse lead by the
“Cavalieri dell’Antera”. A tour
through the vineyards of “Cerano” and a taste of the best wine
of the historical wine maker shop
owned by the Pietrantonj’s family.
Simple and intense ways of discovering a village and its true traditions.
10
Ecomuseo vitivinicolo
testo e foto GIULIANA SUSI
E VOCI di antichi vignaioli rimbombano
nella stanza, facendo
eco al mondo vitivinicolo di un tempo, fatto di vigneti, di innesti, di credenze
popolari, riti e processioni, di
uve e di vini. Non ancora
esposizione completa di botti
o tini come reperti archeologici, per testimoniare che la
produzione vitivinicola a Vittorito affonda le radici in tempi
remoti, ma una mostra permanente che segna, per ora, un
primo passo verso la realizzazione di un grande ecomuseo
vitivinicolo. In esposizione
foto, pannelli, storie di campi e
di vita, di usanze, di canti durante la vendemmia, di cesti di
grappoli sulla testa, di dialetti,
di conoscenze e saperi legati
alle vigne e alla produzione del
L
«per noi il miglior premio
sono i clienti
che tornano
sempre»
12
13
vino appartenenti al tempo
che fu, raccontati dalla gente
del paese, immortalati in una
serie di videointerviste che accompagnano, di stanza in
stanza, la visita nell’ecomuseo
situato al primo piano dei
quattro nell’antico Palazzo Rivera, che domina il paese nella
parte vecchia. Inaugurato nel
2010, il museo racconta uno
spaccato di vita a Vittorito,
paese considerato in ambito
regionale un luogo in cui si
produce buon vino, testimonianza di una tradizione agricola della Valle Peligna,
nonostante le trasformazioni
avvenute nel territorio. Lo
scopo, in linea con l’idea classica di museo, è la conservazione e valorizzazione del
patrimonio culturale, della tradizione popolare di lavorare la
vigna, in un percorso che evidenzia risorse agricole e ambientali, particolari legati alla
vitivinicoltura, con le sue
usanze e antiche tecniche,
che da sempre caratterizza il
borgo peligno. “Il lavoro è un
gesto abituale eredità di una
storia collettiva e immutabile:
tutti a Vittorito erano agricoltori, anche in modo diverso:
braccianti, proprietari, lavoranti ad ore. Il rapporto con la
terra, però, legava ciascuno
allo stesso identico destino di
fatica e dedizione” si legge su
uno dei pannelli. L’intenzione
dell’amministrazione comunale è quella di recuperare
quanto più possibile le memorie che documentino il passato
da tramandare alle nuove generazioni. «Abbiamo un patrimonio immenso» commenta il
sindaco Carmine Presutti
«sono proprio le persone anziane che raccontano cosa è
stato Vittorio: un paese in cui
il vino è protagonista da sempre. È avvenuta, poi, la grande
emigrazione, che ha permesso
a chi è rimasto di sopravvivere. Prima non c’erano i terreni da coltivare e, andando
via, queste persone hanno
dato la possibilità a coloro che
sono rimasti di poter costruire
una famiglia. L’intenzione
degli emigranti era di tornare
a Vittorito, per comprare un
pezzo di terra, in quanto è
sempre stato nel dna dei vittoritesi lavorare la vigna. Questo
ecomuseo è una cosa straordinaria per noi: ritroviamo il nostro passato che suscita
sempre una grande emozione,
sentimenti che premono dentro il petto anche quando riascoltiamo la voce di quegli
anziani. Vogliamo semplicemente lasciare alle nuove generazioni ciò che hanno
insegnato i nostri nonni e
padri».

Pietrantonji. Storia e orgoglio
dei vini peligni
«Abbiamo racchiuso nei nostri
vini tutto il fascino della storia, il
forte legame con la terra e la capacità di innovare rispettando la tradizione». È con queste parole che
Alice e Roberta Pietrantonji sintetizzano l’essenza dell’antica azienda vitivinicola di famiglia, Italo
Pietrantonji, lunga oltre due secoli, fiore all’occhiello di Vittorito.
Storia e tradizione per l’azienda che
affonda le origini nel 1830, restando
tra le più rinomate del territorio con
riconoscimenti a livello nazionale. È
situata nel bel mezzo del paese, con
prestigiosi ambienti che custodiscono testimonianze dell’antica distilleria per la produzione di
acquavite finissima che portò avanti
Nicola Pietrantonij, primo enologo
abruzzese. Un piccolo museo vitivinicolo con botti in rovere. Cruccio,
invece, per le produttrici è l’antica
cantina, quella più grande e importante, nel cuore storico del paese, ferita dal terremoto del 6 aprile 2009.
Ad oggi è ancora chiusa. Leggi e
burocrazia hanno impedito di provvedere autonomamente ai lavori di
ristrutturazione e messa in sicurezza
dell’edificio, rinviando il sogno di
tornare a mostrare un gioiello di famiglia ai tanti turisti, che in ogni periodo dell’anno visitano l’azienda. In
fondo la miglior strategia della famiglia è quella di ricevere i clienti sul
posto, in quell’ambiente accogliente,
che con secolare dedizione portano
avanti, dai tempi eroici del fondatore
Alfonso Pietrantonij. Le giovani imprenditrici non si sono date per
vinte e hanno realizzato dopo il
sisma ( nel 2010) “Temè”, un Pecorino spumantizzato, che si rifà a
un’espressione del dialetto dell’Aquila, ed è l’unico spumante del
territorio aquilano. Vasta la gamma
di vini; il top aziendale proviene
dalla Tenuta del Cerano. Nascono,
dunque, il Montepulciano d’Abruzzo
Doc Riserva Cerano, il Cerasuolo
Doc Superiore Cerano, che vanta
prestigiosi riconoscimenti, il Trebbiano d’Abruzzo Doc Superiore Cerano e il Passito Rosso. Le sorelle
Pietrantonij con un occhio al futuro e
guardando al passato, accennano ai
ricordi d’infanzia, alla magia di un
paese in festa, quando tutta la comunità si dedicava alla vendemmia.
I più bei momenti sono legati a una
piccola vigna: loro erano bambine e
si divertivano a vendemmiare tra 5
filari. La storia dell’azienda, è anche
la storia di un orgoglio, consapevolezza di fare bene il proprio mestiere.
Un orgoglio che riaffiora quando ripetono «per noi il miglior premio
sono i clienti che tornano sempre».
SULLE TRACCE DI PINO ZAC
A Fontecchio la residenza del geniale artista
diventerà un centro polivalente
testo ANTONIO DI FONSO - foto LUCA DEL MONACO
A palazzo Muzi le tracce di Pino Zac sono
disseminate dovunque, appena saliti le
scale, nell’ androne vetusto in cui si respira
l’odore di polvere, giornali e libri, negli
angoli e negli interstizi che invitano il visitatore a soffermarsi, in cerca magari
del foglio di un appunto, dello schizzo
di un disegno, dello studio del ritratto per una caricatura.
P
INO ZAC - Giuseppe
Zaccaria all’anagrafe,
“pratolano di origine e di
sangue, nato a Trapani solo
per sbaglio” come amava ripetere lui - è stato artista, vignettista, regista cinematografico, scenografo, fondatore di
giornali satirici come Il Male,
foglio graffiante e irriverente
che nell’Italia degli anni Settanta satireggiò il potere, i
partiti, i potentati dell’epoca,
non risparmiando nessuno.
Dai protagonisti della politica
e dell’economia ai simboli religiosi, Il Male divenne per un
periodo il settimanale satirico
più celebrato, con le sue
prime pagine che imitavano
la grafica e i caratteri dei
giornali di maggior diffusione, “Corriere della Sera”,
“Repubblica” e altri, e annunciavano scoop tanto clamorosi quanto inventati. E scatenavano sconcerto,
polemiche, ilarità, divertimento, reazioni risentite, proteste, denunce. Molti ricordano la riproduzione della
prima pagina di un quotidiano che titolava “Finalmente arrestato il capo delle
Brigate rosse: è Ugo Tognazzi!”. Con foto del falso
arresto dell’attore, che si era
prestato al gioco dei redattori
del Male. Nel tiepido pomeriggio di una giornata autunnale vista da qui, a Fontecchio, dove siamo venuti a
ritrovare gli ultimi giorni di
Pino Zac, l’Italia di quegli
anni sembra più vicina. Ogni
stanza, ogni scaffale e libreria sono stracolmi di fogli, riviste, pubblicazioni e fotografie
che ci raccontano quegli
anni. Nello studio di Zac, tra
lampade e cavalletti, barattoli
di vernice e colori, pennelli e
ritratti inconclusi, spicca la
tela di una donna bionda e
ammiccante nei cui capelli si
arrampicano piccole caricature di prelati. In evidenza su
uno scrittoio ci sono delle cartelline di color azzurro, sulla
copertina di ciascuna si leggono nomi famosi di quegli
anni: Mao e Breznev, Tito e
la regina Elisabetta, Marchais, Mitterand e Willy
Brand, Andreotti. Dentro le
cartelline troviamo articoli, fotografie, ritagli. Sono gli studi
preparatori, gli appunti che
raccoglieva prima di disegnare le sue caricature. Un
ordine inconsueto per un artista anticonformista e libertario, un anarchico che come
dice Dario Fo “ha voluto mostrare il sedere, la parte nascosta, di ogni potere, politico, militare e religioso”. Ci
aggiriamo nelle stanze del
palazzo in compagnia del
sindaco di Fontecchio, Sabrina Ciancone, che ci guida
con solerzia nei corridoi. Saliamo le scale, al piano nobile entriamo in un altro studio, una sorta di passaggio
segreto ricavato da un mobile
a parete ci immette nel salone
vuoto. Al centro una poltroncina che guarda sul terrazzino di piazza San Nicola,
da dove si vede uno scorcio
suggestivo del paese, selciati
di pietra bianca, tetti in controluce; c’è silenzio. Passiamo
nelle camere, in una di queste Pino Zac è morto. Dalla finestra lo sguardo si ferma
sulla torre di Fontecchio.
Aveva scelto questo palazzo,
gli era piaciuto, lo aveva acquistato facendone il suo
buen retiro, lo studio - atelier
della sua disordinata creatività. “Dopo la morte, avvenuta nel 1985, tutto è rimasto
come era” spiega il sindaco.
Risaliamo dalla cucina, bottiglie, suppellettili, il frigo griffato con un disegno originale
di Zac, un grillo enorme in inchiostro di china. Il Comune
ha acquistato all’asta il palazzo, dopo varie vicissitudini
e la rinuncia degli eredi. Lo
ha ricomprato con tutto quello
che c’era dentro: mobili, cassapanche, letti, cianfrusaglie,
oggetti da modernariato che
appartenevano alla famiglia
Muzi, e soprattutto con gli archivi di Zac. “Il progetto di riqualificazione del palazzo
14
«un artista anticonformista e libertario, un anarchico
che ha voluto mostrare il sedere, la
parte nascosta, di
ogni potere, politico, militare e religioso»
prevede la ristrutturazione dell’immobile, destinandone il
piano nobile alla realizzazione di una casa museo dedicata all’artista. Ci sarà moltissimo da fare soprattutto
nella catalogazione del materiale: lucidi, bozzetti, sceneggiature originali. Ci sono lettere e corrispondenze con
personaggi importanti dell’arte e della cultura, da Fellini
a Pasolini, personalità internazionali”. Nello studio biblioteca, rivediamo i bozzetti per
il suo film d’animazione più
celebre, Il cavaliere inesistente tratto dal romanzo di
Italo Calvino. Ci avviciniamo
a una mensola, curiosiamo
con lo sguardo, scorriamo: La
decima vittima di Ray Bradbury, le storie di Zio Tibia,
“Eureka”, il settimanale di satira e fumetti, un bel volume rilegato di Voltaire, e una bottiglia vuota di birra Nastro
Azzurro. Come a dire, una
summa di Pino Zac nei suoi
molteplici interessi. “Il nostro
obiettivo – spiega Sabrina
Ciancone – è quello di realizzare nel palazzo anche un
piano abitativo residenziale
per i cittadini di Fontecchio,
insieme a una social housing,
una serie di case botteghe
destinate all’artigianato e ai
piccoli manufatti, a cui sarà
destinato il piano terra dell’immobile. C’è un finanziamento
nell’ambito degli Interventi
strategici della ricostruzione”.
Si tratta di un intervento abitativo di circa 3.500 metri quadri, una sistemazione urbanistica in linea con le scelte del
comune e destinata a rivitalizzare il centro storico. Un
paese antico, orgoglioso e silente, un luogo di suggestioni
e memorie, dove insieme all’Italia di quegli anni affollati e
turbinosi abbiamo ritrovato
l’anima beffarda e geniale di
un artista chiamato Pino Zac.
[Catching up with Pino Zac
Fontecchio, the late residence of
the artist Pino Zac will become
a multipurpose centre
By Antonio Di Fonso]
Fontecchio, Muzi’s Palace: Pino
Zac left his signs everywhere in
this place. The hall, the staircase,
the timeworn newspapers, old
books. Every corner welcomes
the visitors and invites them to
step by, in search of a trace, or a
piece of paper, a drawing, a
portrait. Giuseppe Zaccaria –
A.K.A. Pino Zac – has been an
artist, a film director, cartoonist,
scenographer, co-founder of
satirist publications. Fontecchio is
the home he last inhabited,
where everything talks about
him. Zac had chosen this house
to make it the atelier of his
chaotic creativity. After his death,
the City Hall has bought this
palace and will open a floor to
be a museum and a social housing dedicated to the artist.
16
Lo spazio della memoria
di RIZIERO ZACCAGNINI foto ROBERTO GRILLO
L’
OROLOGIO SULLA TORRE
di guardia di Fontecchio
rintocca da secoli lo scorrere del tempo. È un orologio
a sei ore, uno dei più antichi
d’Italia. Controlla l’accesso al
borgo medievale, dove un portoncino angusto apre ai locali
del corpo di guardia.
Qui il tempo si ferma. La parola si ritrae. Il racconto segue
scatti fotografici, ricostruendo
emozioni contrastanti, forti e
fragili, amare, nutrite di speranza. Qui, nel 2011, è nato
lo “Spazio della Memoria”.
Una sfida impari, una mostra in
verticale lungo le pareti interne
delle mura medievali. Uno spazio di pochi metri quadri che
l’abilità degli architetti Marcello
Deroma e Carlo Mangolini e
l’intensità delle immagini di Roberto Grillo hanno trasformato
in un contenitore prezioso,
dove tenere assieme e raccontare, con grande rispetto, i momenti più delicati e dolorosi
della storia dell’Aquila e della
sua regione.
Le fotografie scendono dall’alto, si accavallano, ci avvolgono, sospese tra ricordo e
futuro: è la vita normale di
una città bella, momenti di un
giorno qualunque, passaggi,
attimi. La città com’era e
come - un desiderio - sarà.
Foto tutte in bianco e nero,
come la realtà secondo la citazione di Wim Wenders.
Ma il mondo è a colori, e
coinvolge tutti i sensi, simultaneamente. Così quando si
passa in uno spazio ipogeo
scavato nella roccia, si cambia completamente registro.
Cambia la luce, cambiano le
altezze; dalla prospettiva verticale della torre si entra in una
grotta angusta. C’è la ghiaia
a terra, e non serve altro per
sentire il silenzio delle macerie. Lightbox come piccoli televisori a fermo immagine,
disposti con meticolosità certosina, accendono le uniche
foto a colori presenti nell’allestimento. Un flash dell’immediato dopo terremoto, cose,
persone, con pochi secondi
alterate per sempre dall’urto
improvviso della terra. Due
steli ai lati della “grotta” riportano i nomi di tutte le vittime
del sisma. Nomi incisi con il
laser, nomi sottratti, restituiti
alla presenza dalla luce che
da dietro emerge e li attraversa. Era ieri, è oggi: un
senso d’inquietudine che dura
un breve istante, accarezzato
dalla straordinaria capacità
della mostra di sfiorare la tragedia con lo sguardo già rivolto al domani. Sei anni
sono passati, il racconto di
ciò che è stato troverà spazio
negli annali, in qualche libro
di storia. Poi ci sarà questo
luogo riparato nelle mura di
un borgo di montagna, ci
sarà questo scrigno, dove invitare le generazioni che verranno ad entrare, dove in
poco più di dieci passi si
potrà tornare a sentire: senza
clamore, senza angoscia. La
memoria oltre il ricordo. E la
sfida sarà vinta.
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L’orgoglio della bellezza
in una comunità di abitanti
di SABRINA CIANCONE Sindaco di Fontecchio
ONO STATO SVEGLIATO
da un colpo di tosse dalla
tomba affianco alla mia».
Franco Arminio ben rappresenta in
poesia il rischio, derivato da un inguaribile edonismo campanilista,
che ognuno di noi si senta… “imperatore di un metroquadro” e non si
accorga di essere in agonia affianco
al vicino in agonia.
È la situazione delle migliaia di piccoli comuni italiani: meraviglie naturali e culturali, spopolati, rissosi,
isolati, impoveriti.
Le ipotesi di politiche di sviluppo si
sono succedute nel tempo, fino ad
arrivare alla Strategia per le Aree Interne elaborata dal Ministero per
la Coesione Territoriale.
Le aree interne sono state definite
come “vasta e maggioritaria parte
del territorio nazionale non pianeggiante, fortemente policentriche,
con diffuso declino della superficie
coltivata e affetta da particolare calo
o invecchiamento demografico, riduzione dell’occupazione, calo
dell’offerta di servizi pubblici e privati, dissesto idrogeologico e degrado del patrimonio culturale”.
Quindi la Strategia identifica le direttive dello sviluppo locale:
a) tutela attiva del territorio/sostenibilità ambientale;
b) valorizzazione del capitale naturale/culturale e del turismo;
c) valorizzazione dei sistemi agroalimentari;
d) attivazione di filiere delle energie
rinnovabili;
e) saper fare e artigianato.
L’obiettivo è far convergere localmente una molteplicità di politiche
pubbliche, da quelle per la valorizzazione dello spazio fisico e dell’ambiente al potenziamento delle reti
materiali e immateriali. Ma quanto
conosciamo e teniamo presente
l’interazione tra luogo e comunità
abitante?
La categoria che meglio descrive la
visione del nostro ambiente-territorio è quella di Paesaggio culturale come deriva dalla
Convenzione del Paesaggio e dalle
teorizzazioni della Geografia
umana: una determinata parte del
territorio, così come è percepita
dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o
umani e dalle loro interrelazioni.
Quindi patrimonio culturale, mate-
«S
riale e immateriale, evolutivo e non
statico, risultato di trasformazioni
storiche, bene pubblico frutto di
azioni private.
Azione emblematica è, per Fontecchio, un atto del Consiglio Comunale del 2 dicembre 2013.
All’unanimità dei presenti, primo
Comune in Italia, abbiamo aderito
ai principi della “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la
società”, la cosiddetta Convenzione di Faro, firmata nel 2005 ma
non ancora ratificata dal Parlamento italiano.
In essa il patrimonio culturale è definito: “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni
identificano, indipendentemente
dalla loro appartenenza, come riflesso ed espressione dei propri valori, credenze, conoscenze e
tradizioni, in continua evoluzione.
Esso comprende tutti gli aspetti
dell’ambiente che sono il risultato
dell’interazione tra l’uomo e i luoghi
nel corso del tempo”. Quindi paesaggio culturale evolutivo, vivo, memoria della bellezza come punto di
partenza e orgoglio della bellezza
come obiettivo.
Ma l’orgoglio della bellezza non
basta. Non basta tutelare e valorizzare il paesaggio naturale e antropizzato. Non può ridursi a questo il
compito di un’amministrazione
pubblica. Il ruolo che l’assetto istituzionale riserva alle amministrazioni
più prossime ai cittadini è indubbiamente nuovo; esse appaiono
oggi governo di interdipendenze e
non soltanto produttori di beni e
servizi, attori di ricomposizione
dell’interesse generale, capaci di
assicurare sviluppo e coesione sociale. Flussi globali riscrivono le regole della convivenza civile anche
di piccole comunità. Il governo, pertanto, non è più svolto dalla singola
istituzione. È una governance plurale, collegata all’esterno e articolata all’interno con l’intera
comunità. Coltivare una comunità
civicamente matura, emancipata
dalle leadership politiche pro tempore, capace di affrontare le sfide
dell’agorà economica, della società
globalizzata, in una visione sussidiaria ed eticamente orientata: potrebbe essere questo l’obiettivo
dell’amministratore locale. Cemen-
tare la coesione sociale, rafforzare la
rete di relazioni, condividere un
atlante identitario. In quest’ottica,
nell’ottobre 2012 il Consiglio comunale di Fontecchio ha adottato lo
Statuto “Borghi Attivi”, esito di
un processo di pianificazione partecipata in cui l’intera comunità ha
definito le linee guida per lo sviluppo e l’estetica del paese
(www.borghiattivi.it).
Tra le linee guida assunte come
priorità dall’Amministrazione comunale emergono due azioni interessanti:
Social housing per ampliare la popolazione residente,
Mobilità sostenibile per usufruire dei servizi di area vasta.
Nel documento interministeriale
“Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi Comunitari 20142020” si richiamano come
opportunità di sviluppo:
• Tutelare il territorio e la sicurezza
degli abitanti affidandone loro la
cura;
• Promuovere la diversità naturale
e culturale e il policentrismo
aprendo all’esterno;
• Rilanciare lo sviluppo e il lavoro
attraverso l’uso di risorse potenziali male utilizzate.
Il progetto “Casa & Bottega”, declinazione di Borghi Attivi, si ispira
a tali principi.
Si tratta di un progetto urbano e sociale in cui la riqualificazione di immobili di proprietà comunale è
destinata a creare un sistema abitativo-produttivo da affidare ad un
gestore sociale (cooperativa di comunità) per contrastare lo spopolamento, creare occupazione,
manutenere il paesaggio.
L’ambizione della pianificazione è
quella di promuovere un processo
di educazione civica nell’uso dei
beni pubblici. La bellezza ereditata,
di cui non abbiamo merito, è eticamente valorizzata se le creazioni e
le trasformazioni attuali, figlie di
estetica e morale, si ispirano e ritornano alla pietra e alla terra da cui
proveniamo.
20
Nero
d’Abruzzo
Un’azienda agricola a conduzione familiare
rilancia il maiale pregiato
UA MAESTÀ il maiale
nero torna ad impreziosire Vittorito. Se
l’Abruzzo da qualche anno
ha riscoperto la tradizione
della prestigiosa razza
suina, che in passato popolava aziende e tenute in
tutta la regione (fino all’inizio del 1900, esisteva un
vero albo di razza e testimonianze dall’arte e letteratura) merce rara, poi, con
l’avvento della suinicoltura
industriale, il borgo della
Valle Peligna comincia a diventare un punto di riferimento per il centro Abruzzo
proprio con l’allevamento
suinicolo, grazie all’azienda
agricola “Nero peligno”, a
conduzione familiare, che fa
capo a Franco Del Beato (tra
i cinque produttori abruzzesi con quelli di Guardiagrele, Campotosto,
Pescomaggiore e Miglianico). Ex operaio della Saba,
rimasto senza lavoro, in cinque anni, dopo studi e ricerche, è riuscito a mettere in
piedi l’impresa che conta,
ad oggi, già 80 maiali neri,
dall’esordio avvenuto due
anni fa, sulle montagne vittoritesi. Contagiato dall’iniziativa di alcuni allevatori di
Caramanico Terme, che
hanno dato vita all’associa-
S
zione “Tutela del maiale
nero d’Abruzzo”, guidata
dal presidente veterinario
Simone Angelucci. 14 soci
e 5 aziende, per un progetto
di recupero ecologico e culturale teso a riportare nei
querceti un animale antico
attraverso un’esperienza
zootecnica integrata con il
trerritorio, riscoprendo, con
conoscenze avanzate, un
metodo di allevamento millenario. Due le postazioni in
cui vengono cresciuti e nutriti i maiali neri peligni:
una di 6 mila metri quadri, i
cui ospiti sono soprattutto
le femmine e i piccoli appena nati, l’altra di 4 mila
ettari, a quattro chilometri
dall’abitato, nel bel mezzo
dei querceti, dove crescono
gli adulti pronti alla macellazione, tra recinti elettrificati, contro le incursioni
ripetute dei cinghiali, e
suggestivi sentieri di montagna. Un animale che ama
l’aria aperta, alimentato con
ghiande e prodotti naturali, peculiarità che lo differenziano dalla specie
bianca. «Il maiale nero è
una razza più resistente,
sopporta meglio le rigide
temperature invernali»
spiega Del Beato, riferendo
che la prestigiosa specie
suina fornisce una carne
rossa più saporita, tenera e
gustosa, una prelibatezza
che al momento resta prodotto di nicchia per i costi
elevati. «L’alimentazione
che forniamo ai maiali neri
è a base di prodotti naturali.
Granone, orzo, favino per le
proteine, crusca, farinaccio
(buccia di grano). Una miscelatura che maciniamo
nel nostro mulino. Oltre alle
ghiande». Al momento, produce solamente salumi e insaccati, in quanto, come
spiega l’allevatore stesso,
«la stagionatura dei prosciutti richiede da uno a tre
anni» e l’azienda è ancora
giovane. La lavorazione avviene nell’azienda La Mascionara a Campotosto e
salami e salsicce vengono
acquistati dai ristoratori
(ancora pochi) e dalle macellerie di Vittorito e Popoli,
per il diretto contatto con il
produttore locale. Un progetto, quello del nero peligno, in fase di espansione.
Entusiasta l’allevatore, non
demorde di fronte alla difficoltà di un prodotto ancora
poco conosciuto sul mercato, ma di grande prelibatezza. È pronto al salto di
qualità, con l’ampliamento
e miglioramento di box e
protagonisti
testo e foto di GIULIANA SUSI
22
stire in estate una “Festa
del maiale nero”. «Anticamente a Vittorito si faceva
la transumanza anche con i
maiali neri, una ricchezza
per le famiglie» racconta il
produttore. Al suo fianco un
collega, Amedeo Meloni allevatore di Pescomaggiore,
il quale, rimasto anch’egli
disoccupato, dopo il sisma
aquilano, ha aperto
l’azienda agricola nell’aquilano «Cerchiamo di collaborare insieme e ci aiutiamo
in una realtà difficile»
spiega, sottolineando come
anche Slow Food abbia promosso il ritorno, a distanza
di secoli, della razza autoctona in Abruzzo, dopo studi
e attente selezioni. La loro
sfida, conclude Del Beato,
in linea con l’associazione
abruzzese, è quella di far
tornare sulla tavola delle famiglie e dei ristoranti la
pregiata carne di sua maestà il maiale nero.
5
Info
Azienda Agricola “Nero
Peligno” Vittorito
Contatti: Franco Del Beato
329 7349322
«Associazione per la Tutela
del Maiale Nero
d’Abruzzo»
Contrada Case Del Barone,
Caramanico Terme, presidente Simone Angelucci.
5
terreni, fermo restando il
pallino dei punti vendita e
delle iniziative tese a far conoscere l’animale dalla pregiata carne. In cantiere,
infatti, “Alleva un maiale
nero”, iniziativa che permetterebbe a chiunque di
divenire proprietario di
un capo dopo averne sostenuto crescita e nutrimento. Sulla scia
dell’esperienza anversana
di “Adotta una pecora”
ideata dal presidente dell’Arpo, Nunzio Marcelli, ma
con qualche differenza.
Plaude il ritorno del maiale
nero a Vittorito il sindaco
Carmine Presutti, il
quale allunga lo sguardo al
futuro pensando possa divenire ulteriore elemento di
valorizzazione territoriale,
tanto che già pensa ad alle-
Le campanare di Opi
di GIULIANA SUSI - foto LUCA DEL MONACO
Con il paese ai piedi e le antiche tradizioni tra
le mani. Quelle mani che spingono con vigore
e passione le pesanti campane sulla torre medievale della chiesa Madre. Tre lunghi slanci a
mano, come una lenta rincorsa prima di tirare
la fune e lasciare che i rintocchi continuino a
segnare la memoria del paese. Tutti i giorni,
finché ci sono forza e tempra di vecchia razza.
24
25
[Soul places
The Opi’s Bell Ringers
By Giuliana Susi]
With the village at their feet
and the ancient traditions in
their hands. With those hands
they push the heavy bells of
the medieval village’s church.
Every day, up until their
strengths will allow them. It is
the story of Leonia, 83 years
old, and Angela, 67, the last
bell ringers in Opi, tiny hamlet
of about 500 souls set in the
National Park of Abruzzo. An
ancient expertise, usually a
man prerogative, that last April
Leonia, woman of a different
era, has left to Angela, as she
will alone continue the tradition and the village will not remain silent. Each bell has been
given a name, every occasion
has a special set of tolls, a special way of resounding. Just
one toll for the first mass of the
morning at 7.30am and the “la
Squilla” at 8.30am for the kids
segue >>>
È
LA STORIA DI Leonia,
83 anni, e Angela, 67,
le ultime campanare di
Opi, paese dalle 500 anime
nel Parco nazionale
d’Abruzzo. Una quarantina
gli stretti gradini di ferro nero,
poco più degli anni in cui
Leonia li ha saliti tutti i santi
giorni per suonare le campane. Da Aprile è Angela a
continuare da sola la tradizione, che porta avanti da
qualche decennio, facendo sì
che a darle coraggio sia un
senso di responsabilità, misto
a passione e umiltà, per non
lasciare il paese muto. «Amaramente, mi manca» confessa
subito Leonia, con gli occhi
velati di lacrime che trattiene
molto dignitosamente. Lei,
donna d’altri tempi, forte
d’animo e di spirito, nell’
abito nero delle anziane dei
paesi di montagna, con gli
acciacchi dell’età e il timpano danneggiato. Con la
saggezza dell’esperienza e
la fierezza di aver svolto al
meglio l’ antico mestiere, solitamente appannaggio dei
maschi, Leonia spiega i diversi nomi delle campane a
seconda della grandezza
(“Grande” -“don
don”, “Media”-“dan dan”,
“Squilla”-“din din”), e quel linguaggio sviluppato quando il
campanile era l’unico mezzo
di comunicazione per richiamare i fedeli alla preghiera, i
confratelli alla processione,
per annunciare fasti e nefasti,
per celebrare le feste comandate, per onorare un Papa
che passa a miglior vita, per
accogliere il Vescovo. A distesa, a tarantella, a morto.
La campanella per il decesso
di un bimbo, lo scampanio
per annunciare un
sante, fortunatamente rimasto
illeso. Minute, semplici, perpetue devote, Leonia e Angela custodiscono quella
maestria di un antico mestiere, quasi con gelosia,
quella buona di chi sa che
per decenni, sfidando le intemperie, ha compiuto il proprio dovere mattina e sera,
occupandosi anche di tenere
pulito quello stretto spazio
sulla torre, come fosse casa
propria, con il desiderio
enorme, oggi, di far proseguire il lavoro alle future generazioni. Ecco, dunque,
l’appello ai giovani affinché
le succedano. «Quando era
in vita don Alessandro fino
agli anni ‘60», che Leonia
cita spesso, «erano solo i
chierichetti, maschi, a suonare le campane. Oggi, invece, non vogliono imparare
più». Anche perché di gio-
«Non dimenticatevi di Opi,
portatelo nel
cuore».
i luoghi dell’anima
temporale. Un tempo, una
suonata per la prima Messa
alle 7.30 e la squilla alle
8.30 per gli scolari. «I giorni
di festa sono quelli più impegnativi» spiegano Leonia e
Angela, concordando nel
preferire le notti di Natale (9
rintocchi prima della Messa e
dopo «a distesa», oggi invece solo un’unica lunga suonata) e di Capodanno (5
minuti prima e dopo la mezzanotte) e la giornata di Pasqua. Se i terremoti segnano i
ricordi peggiori per le campanare, due episodi passano
alla storia come “miracoli”:
durante la festa patronale di
San Gabriele, trent’anni fa, il
batacchio precipitò mentre
passava la processione che si
bloccò all’istante e nessuno si
ferì. Caso ripetuto qualche
mese fa: il battaglio, cadendo, ha sfiorato un pas-
26
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going to school. “The days of
celebration are the most binding” Leonia and Angela explain: Christmas Eve, New
Years Eve, Easter. Guardian of
an ancient expertise, the bells
launched appeals to young
girls that “wants to learn”.
The 4 bells originally forged in
Agnone are there, beyond the
safety manhole, a passage
through which a fascinating
scene opens to our eyes: the
hamlet seen from behind the
bells is just magically inspiring.
Leonia still lives at the feet of
the bell tower, and before saying goodbye, asks with a recommendation “not to forget
Opi, please keep it in your
heart”.
vani in paese non ce ne sono
più. «Io abito lontano dalla
chiesa, ma neve o gelo non
mi spaventano: mi copro per
bene e vado lo stesso, perché
ho preso l’impegno» spiega
Angela mentre, con familiare
agilità, sale la ripida scalinata. Tra striminziti spazi, ci si
aggrappa e maniglie in ferro
per issarsi nella spinta finale e
raggiungere la vetta, in cui ci
sono 4 imponenti campane.
Di quelle antiche, a slancio,
forgiate ad Agnone, nel
paese molisano più cono-
sciuto al mondo per la fabbricazione proprio delle campane. Si chiude la botola di
sicurezza e in un microspazio
si apre uno scenario affascinante. Il paese visto da dietro
le campane. Sa di tradizioni
e mondi andati, che si tramutano in storie speciali da raccontare per la loro
straordinaria bellezza. Insieme a Don Angelo, Leonia
resta ai piedi del campanile,
e, prima di salutarci, si raccomanda «Non dimenticatevi di
Opi, portatelo nel cuore».
foto GIOVANNI COCCO
Tradizioni
RITUALI DEL SOLSTIZIO D’INVERNO
Le feste natalizie in Abruzzo
di ADRIANA GANDOLFI
Nell’ambito delle società preindustriali di tipo agro-pastorale, la lunga notte del solstizio d’inverno rappresenta il ciclico rinnovarsi del percorso temporale e
calendariale; l’astro solare ha appena concluso la sua
parabola discendente riprendendo la sua ascesa nel
cielo, quando all’apice della sua potenza si ritroverà nel
solstizio d’estate, generando il giorno più lungo dell’anno pronto per invertire e rinnovare, ancora una
volta, il suo ciclo astronomico.
28
29
RIMA DELLA RIFORMA gregoriana,
l’antico calendario
“giuliano” stabiliva questo
importante appuntamento
nel giorno 25 dicembre e a
questo evento erano collegati culti di origine precristiana legati all’ancestrale
timore della “lunga e fredda
oscurità”.
In epoca romana si celebrava quindi l’avvento, il
P
dies natalis del nuovo sole
mentre, successivamente, il
cristianesimo operò una sovrapposizione di tipo simbolico associando a questa
festa la nascita del Redentore, quale “luce della vera
fede”.
Le occasioni rituali, sempre
riferendosi alla rinascita solare, continuarono ad utilizzare l’evidente tramite
simbolico del fuoco quale
elemento purificatore e rigeneratore, che in tal caso diventa un segnale tangibile
dell’approssimarsi dell’avvento; infatti, numerosi fuochi ardono nelle campagne e
nei centri rurali a partire
dalla data del 6 dicembre
(dedicata a San Nicola) fino
alla fatidica notte del “Natale
del Santo Bambino”.
Gruppi di ragazzi gareggiano per giorni a recupe-
rare nelle contrade legname
e frasche per alimentare
grandi falò incendiati, soprattutto nella fascia costiera e collinare, dal 7 al 10
dicembre (tra le feste della
Concezione di Maria Immacolata e della Madonna di
Loreto) e intorno ad essi la
collettività si ritrova per cantare, offrire vino e cibarie, riconoscendosi e riaffermando
la propria identità culturale.
Altri fuochi illuminano la
festa di Santa Lucia, allo
scopo di scongiurare la
notte più lunga dell’anno,
ma i falò più imponenti vengono riservati alla notte
santa “per eccellenza”,
quella tra 24 e 25, soprattutto nelle località montane
dell’Abruzzo interno, come
la spettacolare catasta, chiamata tomba, che arde per
più giorni davanti alla cattedrale di Pescasseroli, costituita da enormi tronchi di
faggio offerti dagli abitanti
per riscaldare il “bambinello”.
In alcune famiglie contadine, tuttora resiste la consuetudine di sistemare nel
proprio focolare un grande e
nodoso tronco, chiamato
tecchie, ceppe, ruocchie destinato a consumarsi lentamente da Natale
all’Epifania. Durante il cenone della vigilia, è cura del
capofamiglia offrire piccole
porzioni di ogni pietanza a
tale “presenza”, per il santo
neonato, evidenziando come
questo tronco rappresenterebbe anche il nume tutelare
della famiglia, simbolicamente connesso agli antenati, circoscritti nell’ambito
del focolare (come i Lares di
romana memoria) rinnovando, in tal modo, un rituale trasmesso da
generazioni con un profondo
sentimento di devozione.
Alla mezzanotte del 24, il
sole è pronto per riprendere
il suo percorso mentre il piccolo Gesù viene alla luce;
nella cultura tradizionale
questo viene considerato
come un momento critico, di
passaggio e rinnovamento,
propizio quindi per le manifestazioni soprannaturali.
Su questa concezione si in-
nestano una serie di consuetudini rituali come la trasmissione di metodi,
formule e scongiuri magicoterapeutici, contro gli effetti
nocivi dell’invidia e del “malocchio” e lo svolgimento di
pratiche divinatorie allo
scopo di prevedere avvenimenti che potranno verificarsi nel corso dell’annata;
così come sarebbe possibile
formulare pronostici sull’andamento climatico stagionale dei dodici mesi
successivi osservando i fenomeni meteorologici dei
giorni che decorrono dal 13
dicembre (Santa Lucia) al 6
gennaio (Epifania).
Inoltre, era opinione comune
considerare i nati alla mezzanotte portatori di qualità
para-normali di tipo magico,
che li predestinavano a divenire stregoni o “lupi mannari”.
Comunque, tradizionalmente il periodo natalizio si
considera inaugurato dalla
festa dell’Immacolata (8 dicembre): da questa data infatti, si preparano i diversi
manicaretti da offrire agli
ospiti durante le feste e gli
zampognari riprendono la
loro migrazione stagionale
per rinnovare tra campagne
e paesi, con le loro melodie,
la “memoria del Natale”.
30
31
cammini
La Majella orientale
testo e foto Luca Del Monaco
Il versante più selvaggio e suggestivo della montagna madre, dove si
rintracciano tra fenditure e valli tracce di storia, memorie letterarie e
antichi insediamenti spirituali.
Il versante Orientale della
Majella si presenta più brullo e
imponente rispetto ai boschi
continui del versante
Occidentale. È caratterizzato
da profonde valli fluviali che
scendono dalla cima alla base
del massiccio, dove si
restringono ad imbuto.
Percorrendo in direzione Nord
la strada che da Palena
raggiunge Pennapiedimonte,
costeggiando tutto il versante
Occidentale della montagna, si
incontrano valli di grandi
suggestione. La Valle di
Taranta, dove si trovano le
famose Grotte del Cavallone di
dannunziana memoria, nei
comuni di Taranta Peligna e
Lama dei Peligni; il Vallone di
Santo Spirito a Fara San
Martino. Un suo braccio molto
famoso è la Valle delle
Mandrelle. Infine il Vallone La
Valle a Palombaro che sale
verso la riserva di Feudo
d’Ugni e il Vallone di
Selvaromana a
Pennapiedimonte. La riserva
ancora gestita dal Corpo
forestale dello Stato.
Le gole di Fara San Martino
Poco fuori dal paese di Fara
San Martino, non lontano dai
pastifici di fama mondiale, una
deviazione in discesa porta
all’imbocco delle Gole di Fara.
Sono uno dei più lunghi valloni
appenninici che si collegano
con il paese di Fara San
Martino fino alla vetta di
Monte Amaro, coprendo un
dislivello di 2300 metri. Lungo
il suo percorso la valle cambia
il nome in Valle di Macchia
Lunga nel tratto centrale e
Valle Cannella nella parte
finale.
L’accesso alla Valle, proprio nel
primissimo tratto, regala uno
degli scorci più suggestivi di
tutto il canyon. Si attraversa
una lunga e strettissima
fenditura tra due pareti di
roccia altissime. Nella parte
più ravvicinata, non più ampia
di 2 metri, allargando le
braccia è possibile toccare le
pareti. All’ingresso della valle,
fortemente deturpata da
attività estrattive negli anni
‘50, si possono scorgere i
ruderi di una antica porta. Le
gole costituivano l’ingresso e
la protezione di un monastero.
Dal lungo corridoio di roccia le
pareti si allargano e ci si trova
di fronte ai resti del convento
di San Martino, riportato alla
luce da pochi anni e
attualmente in fase di
ristrutturazione.
Il monastero di San Martino
in Valle
Il monastero è probabilmente
stato eretto su un insediamento
eremitico scavato nella roccia.
Soprattutto dal IX al XVIII secolo ha subito continui rifacimenti. All’interno del cortile si
intuisce l’ antica struttura a
portico con tre navate sorrette
da quattro colonne. Sul lato
nord del portico c’è un campanile a vela, ristrutturato nel
Settecento, mentre il portale
della chiesa è del XIII
secolo. L’interno è diviso in tre
navate dalla planimetria irregolare e presenta una pavimentazione a lastre di pietra nella
zona presbiteriale, dove si trovano anche dei sedili in muratura che dovevano costituire il
coro. Dalla navata centrale si
passa a quella settentrionale
attraverso un muro a tre arcate
sul quale sono presenti tracce
di affreschi; da questo lato si
accede all’ambiente più antico
della chiesa, interamente scavato nella roccia, dove sono
conservate due colonnine datate 1411.
32
33

Attestato per la prima volta
nel 829 come possedimenti
del monastero di Santo Stefano in Lucania, ubicato tra
Atessa e Tornareccio.
Qualche anno prima San
Martino era stato donato da
Pipino, figlio di Carlo
Magno, al monastero di
Santo Stefano come testimonia una conferma dell’imperatore Lotario
risalente al periodo.
L’intitolazione al vescovo di
Tour fa pensare ad una fondazione di origine franca. Il
34
35
monastero è tra le rendite
del vescovo di Spoleto
nell’844, ma subito dopo risulta tra i possedimenti cassinesi di San Liberatore a
Majella. Nel 1172 è tra i
possedimenti della diocesi
teatina e nel 1221 Onorio III
concede al monastero la
protezione pontificia. I contrasti tra i monaci ed i vescovi teatini durarono a
lungo e nel 1451 il monastero venne soppresso e i
suoi beni devoluti al Capitolo Vaticano.
Sentiero H1
Informazioni per la visita:
Centro Visita di Fara S. Martino
Tel. +39.0872.980 970 –
+39.339.2615405
email
[email protected]
www.parcomajella.it
L’Appennino in Tasca
Turismo, patrimonio culturale e nuove tecnologie
IL TITOLO del convegno che si è svolto a
Cocullo, alla fine di ottobre, diviso in tre momenti
nell’ambito del progetto pilota
“AbruzzoèAppennino”, che
vede pubblico e privato insieme per valorizzare
l’Abruzzo montano con
l’unione dei media. Un sistema integrato di comunicazione composto da una
pluralità dei media, Mac editoriale, due trasmissioni televisive dell’emittente regionale
Tv6, Talenti e Territorio e Territori delle Tentazioni e la web
community “Paesaggi
d’Abruzzo”. Nella prima parte
dell’evento, il cui titolo richiama un film di Truffaut
“Gli anni in tasca”, è stato
presentato il nuovo sito
abruzzoeappennino.com della
rivista trimestrale AbruzzoèAppennino, nata nel 2006, di
Mac. Prima il saluto delle autorità padroni di casa, Nicola
Risio e Loreta Risio, sindaco e
assessore del Comune capofila
del progetto pilota che coinvolge sette Comuni ( Morino,
Fontecchio, Raiano, Pettorano
sul Gizio, Scontrone e Vittorito) , poi l’intervento del dirigente del settore regionale
Marino Giorgetti, dei sindaci
di Vittorito e Scontrone, del
presidente del Pnalm, Antonio
Carrara. Ad esporre la propria
esperienza di turismo lento,
È
nell’ambito del forum “Fare
turismo”, è intervenuto Alessio
Di Giulio del centro Educazione Ambientale Terre del
Cornone. La redazionedi
AbruzzoèAppennino ha esposto il progetto, dall’assessore
regionale Donato Di Matteo
che, nel suo intervento, ha
parlato dell’esigenza per i territori di una legge sulla montagna, che prenda atto dei
problemi di vita e di economia
del territorio e venga incontro
alle esigenze della popolazione, in linea con quanto annunciato dall'assessorato in
passato e aggiungendo una
serie di proposte operative di
rilancio dell'immagine della
montagna abruzzese che potranno vedere la realizzazione
in tempi brevi: partecipazione
da protagonisti al Salone del
libro, una tappa abruzzese per
il Salone del gusto. Pomeriggio dedicato all’approfondimento dell’indagine
partecipativa per la candidatura del Rito dei serpari di Cocullo a Patrimonio Culturale
Immateriale dell’Unesco. Titolo: “Cocullo for ICH 2014: il
progetto di salvaguardia Unesco terreno di Incontri” . È
stato fatto un ulteriore passo
avanti sulla strada del riconoscimento del Rito dei serpari e
della Festa di San Domenico
come patrimonio immateriale
dell’umanità da parte dell’Unesco. L’obiettivo è quello
dell’inserimento, sostenuto da
autorevoli personalità del
Board Unesco, come l’antropologo brasiliano Antonio
Arantes.
36
Montagna e informazione
Comunicare l’ambiente nella regione dei Parchi
di GIULIANA SUSI
ESSANTAQUATTRO
cuccioli di orso bruno
marsicano sono nati nel
Parco nazionale d’Abruzzo
Lazio e Molise, ventiquattro
morti e una cinquantina di
esemplari già presenti nel territorio. Il censimento ufficiale
della popolazione del plantigrado nel Parco, riguardante
sette anni, dal 2006 al 2014,
sarà presentato nel Gennaio
2015, ma l’anticipazione è
stata resa nota dal presidente
del Parco nazionale d’Abruzzo,
Lazio e Molise, Antonio Carrara, durante la conferenza che
si è tenuta il 21 Novembre
nell’Abbazia di Santo Spirito a
Sulmona, sede del Parco nazionale della Majella, organizzata
dall’Ordine dei Giornalisti
d’Abruzzo in collaborazione
con la Commissione Centrale
TAM del Cai. Migliorare il rap-
S
porto di comunicazione tra i
Parchi e i giornalisti, soprattutto per l’assenza di uffici
stampa negli enti, saper leggere la montagna che necessita di essere raccontata, non
solo attraverso la cronaca nera
con incidenti, calamità naturali
e decessi di orsi. È quanto
emerso dall’incontro intitolato
“Comunicare l’ambiente in
una regione di Montagna”. Ad
aprire i lavori il presidente
dell’Odg, Stefano Pallotta, seguito dal direttore del Parco
nazionale della Majella, Oremo
Di Nino, dal presidente
del Pnalm, Carrara, dal giornalista, direttore della rivista
Montagne 360 del Cai, Luca
Calzolari, dal presidente Commissione Nazionale Tam del
Cai, Filippo Di Donato, e
dal presidente Parco Nazionale
del Gran Sasso e Monti della
Laga Arturo Diaconale, il quale
si è soffermato sull’argomento
nella duplice veste di rappresentante dei parchi e di giornalista. Spazio all’orso
soprattutto alla luce dei fatti
accaduti a Pettorano sul Gizio,
in merito alle ripetute incursioni del plantigrado e alla triste morte di un orso per mano
dell’uomo. Che oggi si parli
poco di montagna è quanto
sottolineato dai rappresentanti
del Cai, premendo sulla necessità di imparare a leggere la
montagna, ridandole centralità, coinvolgendo la stampa
nel presentare l’ambiente montano. Le escursioni sono conoscenza del territorio, e la
montagna è luogo centrale e
non marginale nel rapporto
uomo natura. È questo il messaggio lanciato dall'iniziativa.
Adesso ti racconto una storia
#Add2014: Abruzzo digital days
di RIZIERO ZACCAGNINI
@Add2014
5m
La prima volta in Abruzzo... la prima davvero
in cui si osa, si va oltre in ambito digital e social: è l’Abruzzo che stavo aspettando!

IL
TWEET APRE su Storify
uno dei racconti dedicati
agli Abruzzo digital
days 2014, le due giornate
formative sulla promozione
turistica online. Meno di 150
caratteri per afferrare un
momento, una rapida
riflessione, un’emozione, da
aggregare ad altri tweet,
immagini, clip. È la
narrazione 2.0, istanti colti al
volo, punti da unire, perché,
infondo, quel che non

✩5
possiamo smettere di fare è
raccontare storie.
Anche oggi che il tempo
corre veloce, anche e
soprattutto nell’era di internet.
E il futuro del turismo in
Abruzzo, la capacità di
diventare una “destinazione”,
riconosciuta, autentica e
ambita, dipende in gran
parte da come sapremo
raccontarci utilizzando con
sapienza e coordinazione gli
strumenti della nuova
comunicazione su web.
«Non è un caso – dimostra,
dati alla mano, Roberta
Milano in apertura della due
giorni di laboratorio tenutasi
a Sulmona l’8 e il 9
novembre – che l’Italia abbia
cominciato a perdere
posizioni nella classifica delle
mete turistiche più ambite
contemporaneamente alla
grande ascesa dell’utilizzo
mondiale di internet». Insieme
agli strumenti è cambiato
38
anche l’approccio del turista,
in un’evoluzione che ha
portato «la figura del
viaggiatore prima a farsi
protagonista, ad essere
viaggiattore, e poi, con
l’avvento dei social network,
a diventare viaggiautore»,
spostando così il centro
dell’interesse per un viaggio,
dalla curiosità per la
conoscenza dei luoghi a una
ricerca espressiva della
propria soggettività e di una
esperienza emozionale da
condividere.
I social network, appunto,
che gli operatori del turismo
abruzzesi, con oltre 250
presenze agli #ADD2014,
hanno dimostrato di voler
conoscere a fondo,
cogliendo quella che per
molti di loro è stata la prima
occasione per scoprire
l’orizzonte della
comunicazione e del
marketing turistico on line
nell’era biomediatica. Due
giorni intensi in cui a una
fondamentale introduzione
sui nuovi modelli di
pianificazione del proprio
progetto (metodo Canvas) è
seguita una carrellata di
consigli, spiegazioni,
dimostrazioni sull’uso dei
social network e dei tanti
strumenti che sul web ne
potenziano e agevolano la
fruizione. Da facebook a
Twitter, da Google+ a
Instagram, gli operatori
abruzzesi hanno seguito per
ore le parole e le slide di
Alessio Carciofi, esperto di
social media marketing e
relatore agli Abruzzo digital
days.
Ma i social network sono
falò digitali, come ama
ripetere Alessio. Accendono
fuochi: prima però bisogna
avere legna da ardere. E
questa è fatta di una brand
reputetion che non può mai
prescindere da idee,
obiettivi, prodotti da voler
promuovere. Prima di tutto
c’è una cultura del turismo e
dell’ospitalità, come
ricordava Roberta Milano,
invitando a non dimenticare
mai un’ovvietà che, spesso,
viene trascurata: online e
offline non sono separabili.
Perché se oggi una vacanza
preferisce il web per farsi
raccontare nel rincorrersi di
immagini e commenti, il
viaggio vero l’avremo fatto e
continueremo a cercarlo
lungo le strade del mondo. In
modo nuovo, con altri
strumenti, necessari,
indispensabili, per stare al
gioco ed essere, al
contempo, capaci di
guardare oltre, verso quel
turismo del futuro che,
citando Petrini, «parte dai
cittadini residenti, dalla loro
qualità della vita, dalla
capacità di essere felici,
dalla cura verso la terra che
abitano. I turisti arriveranno
di conseguenza».
www.visitabruzzo.co.uk/add2014/
L‘Agenda digitale
abruzzese
di MARCELLO BONITATIBUS
O SCORSO 15 LUGLIO
la Giunta Regionale ha
approvato l’Agenda Digitale Regione Abruzzo 20142020, un documento di
programmazione molto importante perché riporta indicazioni operative per il
conseguimento degli obiettivi posti a livello europeo e
nazionale nel settore delle
nuove tecnologie. Gli ambiti
tematici sui quali la Regione
Abruzzo si propone di intervenire sono l’infrastrutturazione e la sicurezza digitale;
la cittadinanza digitale; le
competenze e l’inclusione digitale; lo sviluppo e la crescita digitale; l’intelligenza
diffusa nelle città e nelle aree
interne; la salute digitale.
Le azioni previste nell’Agenda digitale abruzzese
si articolano in un piano programmatico a breve periodo
(2014-1016), nel quale sono
descritte le iniziative realizzate e in corso, quelle in fase
di approvazione, le risorse finanziarie e gli obiettivi da
raggiungere, e un piano programmatico di lungo periodo
(2016-2020), nel quale sono
descritte le principali linee di
azione che si vogliono seguire e gli obiettivi a cui tendere.
L’insieme degli interventi
programmati è finalizzato in
massima parte a rendere pienamente operativo ed effi-
L
cace quanto già realizzato
per l’infrastrutturazione e la
sicurezza digitale in passato,
in particolare la ComNet-RA
(Community Network della
Regione Abruzzo). Questa è
concepita su un modello architetturale che prevede ci
“siano un insieme di Enti, tra
loro connessi e cooperanti,
dotati ciascuno di una infrastruttura di comunicazione
ed elaborativa omogenea,
operanti secondo protocolli
standard”. Il punto di raccolta
e terminazione della ComNet-RA è costituito dai centri
elaborativi regionali (a
L’Aquila presso la sede della
Regione Abruzzo CTAQ e a
Tortoreto presso la sede
dell’ARIT – Agenzia Regionale per l’Informatica e la Telematica CTTL). Per rendere
operativa la ComNet-RA, ovviamente articolata in modo
più complesso di quanto
sopra descritto, nel periodo
2007 – 2013 la Regione
Abruzzo ha investito
4.382.600 euro di cui 165.000
di risorse proprie.
Gli investimenti regionali
fatti negli anni scorsi nel settore dell’ICT hanno interessato anche altri ambiti
tematici, con lo sviluppo e
l’attivazione di piattaforme
attraverso le quali promuovere il dialogo fra i diversi attori della Pubblica
Amministrazione e quindi fa-
cilitare l’accesso ai servizi e
alle informazioni da parte dei
cittadini.
Non sempre, però, i risultati
conseguiti sono stati positivi.
Nella stessa Agenda digitale
2014-2020 si riconosce infatti
che quanto realizzato, pur
avendo innescato un processo di crescita dell’uso
dell’ICT all’interno della Pubblica Amministrazione abruzzese, ha fatto registrare
diverse criticità operative e
organizzative. Con questa
consapevolezza sono state
elaborate le nuove linee di
azione per il periodo 20142016. Gli interventi sono perciò volti da un lato a
rafforzare, in termini di efficienza e sicurezza, il modello
della ComNet-RA per un investimento complessivo di
circa 14 milioni di euro provenienti da Delibere CIPE del
2011 e dal POR-FESR 20072013 e, dall’altro, alla realizzazione di una serie di “servizi
applicativi” finalizzati all’erogazione di servizi ai cittadini,
alle imprese e operatori sanitari in modo innovativo, sintetizzati nella tabella 1.
È evidente che la funzionalità
e l’efficacia del modello di
sviluppo digitale delineato
dalla Giunta regionale, dipendono in massima parte dall’abbattimento del digital
divide che ancora caratterizza vaste aree del territorio
abruzzese, in particolare
quelle rurali e montane. Per
questo nella “Agenda Digitale” si prevede di intervenire stipulando un nuovo
Accordo di Programma con
il Ministero dello Sviluppo
Economico per complessivi
12.500.00,00 euro, proseguendo su una strada di
collaborazione già percorsa
in passato che, nel mese di
agosto 2014, si è concretizzata nel bando di gara pubblicato dalla Infratel, società
in-house del MISE e soggetto attuatore del Piano
nazionale Banda Larga e
Progetto Strategico Banda
Ultra Larga. Infatti, a seguito di due Accordi di Programma Quadro finanziati
anche con risorse FEASR
(Fondo europeo agricolo per
lo sviluppo rurale), la Infratel
ha bandito una gara per la
progettazione esecutiva, la
posa in opera e la manutenzione di una rete a banda
ultralarga nel territorio regionale per un importo di
17.640.000,00. Gli interventi
previsti dal bando – scaduto il 13 ottobre 2014 sono divisi in due lotti: il
primo prevede la posa dei
cavi in fibra nella provincia
aquilana; il secondo nelle
altre tre province abruzzesi.
Al termine dei lavori, che
dovrebbero concludersi in
36 mesi, saranno serviti con
la banda ultra larga 25 comuni (in prevalenza rurali,
vista l’origine di parte delle
risorse impiegate) e circa
180.000 abitazioni. Allo
stato non si conoscono an-
cora quali saranno i centri
interessati, perché l’elenco
puntuale è in fase di “concertazione” fra la Infratel e
la Regione Abruzzo ma,
stando a quanto ha dichiarato Infratel ad “AbruzzoèAppennino”, è ragionevole
ipotizzare che si riesca ad
estendere ulteriormente
l’infrastruttura.
Agenda Digitale Regione
Abruzzo 2014-2020
(http://www.regione.abruzz
o.it/egov/docs/agendaDigitale/AgendaDigitale.pdf)
AGENDA DIGITALE REGIONE ABRUZZO
INTERVENTI PROGRAMMATI: finestra temporale 2014 - 2016
A
A
A
A
A
A
A
B
B
C
Azione
progettuale
Obiettivi
Sviluppo del sistema informativo telematico per il
bollettino ufficiale della regione Abruzzo
Realizzazione di un’ infrastruttura per
l’informatizzazione degli iter amministrativi nella
regione Abruzzo
Sviluppo del sistema informativo “evoluzione del
portale della regione Abruzzo verso la e@democracy
e la comunità digitale”
Sviluppo del sistema informativo “modello unico
digitale per l’edilizia della regione Abruzzo”
Realizzazione di moduli integrativi per l’infrastruttura
di erogazione dei servizi S.U.A.P della regione
Abruzzo
Consentire l’inserzione on line delle pubblicazioni, previo pagamento del costo di inserzione;
distribuirlo in formato digitale agli abbonati e consentirne la navigabilità on line.
Consentire una riduzione degli oneri di processo, maggiore trasparenza, maggiore velocità nel
perfezionamento delle operazioni di cui il documento costituisce espressione ed integrabilità
con altre filiere cui esso è concatenato.
Upgrade applicativo del portale web istituzionale per la trasformazione degli attuali contenuti e
servizi erogati via internet in risorse digitali disponibili in real time e in modalità multicanale,
abilitando il portale ai principi dell’ e@Democracy.
Fornire un modello unico informatico on line per la presentazione delle pratiche edilizie agli
uffici tecnici da parte dei professionisti incaricati o dei soggetti aventi titolo.
Garantire maggiore impulso alla semplificazione amministrativa, alla dematerializzazione dei
documenti, e contribuire a dare maggiore circolarità informativa e di conoscenza fra le PA, i
cittadini, i professionisti e le imprese.
Realizzare una base informativa territoriale con DTM (Modello Digitale del Terreno), DSM
(Modello Digitale delle Superfici) e DBM (Modello Digitale dell’Edificato) da inserire nel DBTIR
Sistema informativo a supporto della protezione e (Data Base Topografico Integrato Regionale) finalizzato alla realizzazione di un modello digitale
vigilanza ambientale
del terreno di altissima precisione. Le informazioni che saranno integrate potranno essere
utilizzate per una corretta pianificazione regionale in materia di aree protette, di rete ecologica
e di supporto alle attività di recupero e ripristino ambientale di territori naturali.
Servizio informativo integrato regionale per la
Implementazione delle funzionalità di riscossione coattiva estesa a tutti i tributi e alle entrate
gestione dei tributi
patrimoniali afferenti agli enti locali.
Consentire di operare dal singolo CUP locale accedendo alla federazione dei CUP. In tale
Implementazione della piattaforma per il CUP: Centro modalità risultano valicati i limiti territoriali dei sistemi di prenotazione locale, senza alterare le
Unico Prenotazioni
organizzazioni aziendali delle ASL pur lasciando alla competenza delle stesse la gestione delle
agende e dell’organizzazione locale.
Standardizzazione dei flussi informativi provenienti dal complesso scenario di applicazioni
Servizi di integrazione nel sistema informativo
sanitarie presenti in Regione per fornire una visione completa è dettagliata dello stato di salute
sanitario regionale
dei cittadini e supportare gli operatori sanitari nelle loro attività diagnostiche.
Creare una infrastruttura di Smart Community tale da erogare servizi attraverso il private cloud
Smart Government in Private Cloud della regione
regionale che consente una interazione geolocalizzata in mobilità tra i cittadini e la PA locale.
Abruzzo
Stato
Fonte di
finanziamento
Ambiti
strategici
MACROAREA 2: SERVIZI APPLICATIVI
Risorse
(in Euro)
A
A
230.000
A
A
230.000
A
A
230.000
B
A
230.000
A
A
230.000
C
B
3.850.000
C
B
600.000
B
C
230.000
C
B
1.000.000
C
B
1.000.000
LEGENDA COLONNE
Ambiti strategici
Stato
Fonte di finanziamento
A=Cittadinanza digitale
A=In fase di avvio lavori
A=POR FESR 2007/2013
B=Salute digitale
B=In aggiudicazione
B=Delibera CIPE 79/2011
C=Intelligenza diffusa nelle città ed aree interne
C=In progettazione
C=Bilancio Regionale
Fonte: Ns elaborazione da Agenda Digitale Regione Abruzzo 2014-2020
LE
AREE FAUNISTICHE
DEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE
foto LUCA DEL MONACO
UASI SEMPRE adiacenti ai Centri Visita,
sono zone di territorio
recintate nelle quali gli animali
vivono in condizioni molto simili a quelle della vita libera.
Hanno un importantissimo
ruolo e sono occasione di educazione e sensibilizzazione nei
confronti di turisti, scolaresche
e popolazione residente. Permettono infatti l’osservazione
senza disturbo di animali
molto rari e schivi in natura, in
uno stato di semilibertà e facendo luce sul loro ruolo ecologico nell’ecosistema del Parco.
A queste funzioni vanno ag-
Q
giunte anche altre importantissime funzioni che normalmente sfuggono ai non
addetti: allevamento e riproduzione, conservazione, reintroduzione. Quelle che vi
presentiamo sono le schede
tecniche, redatte dal veterinario del PNALM il dottor Leonardo Gentile, e riguardano le
aree dei comuni di Campoli, in
cui troviamo gli orsi Jill e
Abele ritrovati nel Bioparco di
Roma e nell’area faunistica di
Pescasseroli, e Villavalelonga
in cui risiedono gli orsi Yoga e
Sandrino in un’orografia collinare con circa due terzi della
superficie ricoperta da bosco
di conifere. Il recinto è dotato
di un sistema di elettrificazione della recinzione con alimentazione fotovoltaica.
Nell’area faunistica di Civitella
Alfedena troviamo splendidi
esemplari di lupi provenienti
dalla stessa area faunistica e
42
un esemplare di lince, Laura,
proveniente dal Parco Zoo
Falconara.
L'Area è caratterizzata da
una sensibile pendenza e copertura totale, arbustiva, boschiva a
latifoglie.
Nelle aree di Scanno e Lecce
dei Marsi troviamo il cervo,
presente in numerosi esemplari provenienti dal comprensorio di Villavallelonga.
La morfologia del territorio si
caratterizza per un’estensione in cui circa due terzi
sono ricoperti da latifoglie ed
arbusti, un terzo è costituito
da prateria con affioramenti
rocciosi e pietraie e pendenze spesso elevate.
Infine nell’area faunistica di
Opi il camoscio è presente
nei quattro esemplari che
sono stati ritrovati a Opi e
Lama dei Peligni.
La morfologia dell’area è costituita da prateria, in gran
parte con modica pendenza
ed una piccola parte caratterizzata da affioramenti rocciosi di lieve entità. L'altra
metà circa presenta una copertura boschiva a faggeta
con pendenze spesso eleArea faunistica
Campoli
Località Dolina; Comune: Campoli Appennino
Nome Sc.Animali:
Ursus arctos ; Addetti: Personale
PNALM
Telefono:
08639113216
Area Faunistica LInx
Civitella
Località: Viaruso;
Comune: Civitella Alfedena
Nome Sc.Animali:
Lynx lynx ; Addetti:
personale PNALM
Telefono:
0863/91131
Area faunistica Civitella Alfedena
Località: Santa Lucia;
Comune: Civitella Alfedena
Nome Sc.Animali:
vate. È presente un
recinto di cattura con casottino in legno e utilizzato sia
come rimessa alimenti, sia
comepostazione di tiro per le
catture.
Canis lupus; Addetti:
personale PNALM
Telefono:
0863/91131
Area faunistica
Cervo
Parco Nazionale
d'Abruzzo, Lazio e
Molise
Località: Valle Mora;
Comune: Lecce dei
Marsi
Nome Sc.Animali:
Cervus elaphus; Addetti: personale
PNALM
Telefono: 0863/91131
Area faunistica OPI
Località: Difesa; Comune: Opi
Nome Sc.Animali: Rupicapra pyrenaica ornata; Addetti:
personale P.N.A.L.M.:
S. Veterin
Telefono:
0863/911321
Area faunistica
SCANNO
Parco Nazionale
d'Abruzzo, Lazio e
Molise
Località: Colle Rotondo; Comune:
Scanno
Nome animale: Cervus
Area faunistica
ORSO
Località: Colle Marcandrea; Comune:
Villavallelonga;
Nome Sc.Animali:
Ursus arctos marsicanus
Addetti: personale
PNA
Telefono: 086391071
44
Co
sa
e
Scrittori
a
tavola
Ignazio Silone e il cibo dei poveri
di ALFREDO DEL MONACO
I SILONE e dei “cafoni” protagonisti dei
suoi romanzi molto
sappiamo e molto s’è scritto.
Forse, però, un aspetto della
loro condizione di vita è
meno noto: quello relativo al
cibo. Silone utilizza i riferimenti all’alimentazione in
modo strumentale, per caratterizzare meglio i suoi personaggi o per rimarcare più
efficacemente i temi portanti
della sua narrativa. L’universo alimentare dei suoi
libri, ovviamente, rimanda
alla tradizione abruzzese.
Partiamo da un passaggio de
Il seme sotto le neve, in cui
ci viene detto che Pietro
Spina ama “mondare le patate, spogliare tagliare tritare
la cipolla, ammollare friggere
il baccalà.” Non è una ricetta
dettagliata, ma i suggerimenti sono egualmente inequivocabili: siamo in
presenza di un semplice ma
gustoso baccalà con le patate, in una versione essenziale. Nella stessa sequenza,
sempre Pietro Spina rievoca
la “panunta” (oggi diremmo
“bruschetta”) e la “panzanella” dell’infanzia. “Sul pane
tostato l’acredine dell’aglio si
sposa a perfezione con la
blandizia dell’olio.” In questo
caso la ricetta è fornita in
modo preciso: “Il pane viene
tagliato a grosse fette e
messo ad abbrustolire, poi le
fette vengono strusciate con
spicchi d’aglio e copiosamente condite d’olio d’oliva.”
C’è anche la ricetta della
“panzanella”: pane ammollato, olio, sale e basilico.
Niente pomodoro.
D
Il cibo dei poveri contrasta
decisamente con quello dei
ricchi. I benestanti possono
indulgere ai piaceri della
buona tavola. Fin troppo
noto è il banchetto (non è
una “panarda”, ma ci siamo
vicini) offerto ai notabili della
sua zona dall’Impresario, che
sta tramando ai danni dei
poveri fontamaresi. “L’odore
delle casseruole arrivava fino
a noi”. La testimonianza
delle donne fontamaresi
pone l’accento su una delle
caratteristiche del buon cibo
cucinato: l’odore. Silone è attento all’elemento olfattivo.
Vedremo in seguito altri
esempi.
Dal soffitto della cucina di un
proprietario terriero marsicano, don Carlo Magna (il soprannome non necessita di
spiegazioni), “pendevano
prosciutti, salami, salsicce,
vesciche di strutto, fitte corone di sorbe, di agli, di cipolle, di funghi. Sul tavolo
era un mezzo agnello sanguinante e dai fornelli veniva un
buon odore da svenire.” È
un’abbondanza da paese di
Cuccagna per le fontamaresi
che osservano. I loro pasti,
infatti, sono scarni e ripetitivi. A sera, in paese, tutti
mangiano “la minestra seduti sulla soglia di casa, con
la scodella sulle ginocchia”.
È il desinare tipico dei “cafoni”: “pane di granturco e
minestra di legumi”.
Il pane. Sottolineiamo pure
questo alimento: è il primo
nella lista dei poveri di Silone. Attenzione, però, perché non si tratta di “pane
bianco”, cibo da ricchi. A
Pietrasecca – ci viene detto
in Vino e pane – esso veniva
cotto una volta ogni due settimane. Per poter essere
conservato tanto a lungo era
necessario aggiungere alla
farina delle patate. Non è un
caso, quindi, che il consumo
del pane con le patate sia
ancor oggi vivo nella provincia aquilana.
Il pane è spesso legato al
vino, che, per via dell’ap-
porto calorico, integra i
magri pasti dei poveri (il cui
vino, spesso, è annacquato).
Quello dei ricchi e dei potenti, naturalmente, è vino di
qualità. A Pietro Spina si
deve un’affermazione interessante: “Vedi, Nunzio, a
me capita come ai vini di
queste nostre vigne: non
sono mica spregevoli, ma,
portati in altro clima, diventano stupidi (…)”. Il sapore
del vino, non trattato con il
bisolfito e trasportato lontano
dalla cantina in cui l’uva è
stata lavorata, tende a subire
gli effetti del trascorrere del
tempo e degli spostamenti.
Silone, però, va oltre il dato
oggettivo (il livello denotativo, per intenderci) e introduce una chiara
connotazione riguardante
l’importanza dell’attaccamento di una persona alle
proprie radici.
Parlando del vino non si può
tralasciare il valore di socializzazione insito nella pratica
del bere insieme e del di-
46
zemolo, menta, salvia, rosmarino (e rosmarino selvatico). Concetta, la povera
tessitrice de L’avventura
d’un povero cristiano, a chi
loda la bontà d’un piatto di
fagioli da lei cucinato, risponde: “Li ho conditi semplicemente con erbe colte
sul Morrone”.
In Vino e pane, per festeggiare l’inizio della guerra
d’Etiopia, c’è animazione intorno alle osterie. Davanti ad
un albergo troneggia “una
porchetta arrostita al forno”.
È interessante rilevarne il “ripieno di rosmarino, di finocchio, di timo, di salvia”.
scorrere con gli amici (non è
difficile intravedere i lontani
antecedenti di questo comportamento nel simposio
greco). Un’altra curiosità. Ci
sono in Silone alcuni passaggi in cui si parla di abbinamento del vino al cibo. In
Una manciata di more Giuditta serve a Rocco alcune
salsicce crude, “sottili durissime assai pepate” accompagnate da un “vino
frizzante”. L’ospite loda la
scelta della donna. Nello
stesso libro un gruppo di
amici sta bevendo “un vino
vecchio, stanco di solitudine” e Massimiliano osserva
che si tratta di un vino “che
richiede l’arrosto”.
In precedenza abbiamo anticipato come il buon cibo si
associ non solo al gusto ma,
ancor prima, all’olfatto.
L’odore ricorrente è quello
del “pane appena sfornato,
un buon odore di pane
caldo”. Ma, qua e là, incontriamo anche “un forte odore
di pecore, di cacio pecorino
messo ad asciugare sulle fiscelle, di caldai ricolmi di ricotta bollente”; e, ancora,
un’aria “satura d’odori di formaggio, di baccalà, di
sarde”, un “grasso e pepato
odore di soffritto”, “un gradevole odore di mele cotogne e
di noci”. In Una manciata di
more , ad un certo punto,
“l’aria si era fatta mite. Essa
conteneva un buon odore di
conserva di pomodoro e di
ceci abbrustoliti (…)”.
La cucina abruzzese fa largo
uso di erbe aromatiche. Le
ritroviamo sia nella cucina
dei ricchi che in quella dei
poveri: timo, basilico, prez-
Per concludere la nostra
breve nota è opportuno riferirsi ad un testo poco conosciuto ma bello, Racconto a
Parigi. Il protagonista del
racconto, Beniamino, si allontana da Fontamara perché non vuole più mangiar
polenta ma, alla fine, dopo
essere arrivato persino a Parigi, torna al paese, sconfitto,
e sarà costretto a tornare alla
solita polenta. Le osservazioni riferite al gusto sono insolitamente insistite. A
settembre la farina di mais
dell’anno precedente “è bacata e la polenta sa di acido”.
La miseria, però, non consente alternative ai derelitti
cafoni. “Mangiare polenta
nelle giornate torride è un
castigo, ma mangiare polenta di farina dell’anno precedente, durante l’estate
sulle montagne dell’Italia
meridionale, è veramente infernale.”
Fantasia
Il frantoio storico di Raiano
di RIZIERO ZACCAGNINI, foto LUCA DEL MONACO
La storia del frantoio Fantasia è storia di una
famiglia e di una comunità, memoria di quell’Abruzzo rurale ostinato che ancora durante il
secondo dopoguerra resisteva alla modernità. È
storia di un’economia legata ai prodotti e ai capricci della terra, caduta nell’oblio e tornata
viva nel 1997 grazie all’impegno di Francesco
Fantasia e alla collaborazione del Comune.
48
Il frantoio Fantasia è oggi monumento prezioso alla memoria del tempo che fu. Quando i
sacchi di olive raccolte a mano
venivano portati a spalla nei
depositi del “trappeto”, la macina girava lenta mossa dal caparbio traino di un mulo, nel
via vai dei contadini che s’intensificava col calare del sole e
proseguiva per tutta la notte.
Seguire il racconto del dottor
Fantasia è immaginare i sacchi vuotati sotto la macina in
pietra, la molitura accompagnata dall’attizzatoio, la pasta
di oliva stesa sui friscoli impilati sotto l’immensa trave di
legno del torchio più antico.
Nella buca sottostante il “mastro” che raccoglieva l’olio in
superficie, lentamente, con il
nappo, un disco di metallo
come un grande cucchiaio
piatto. In un secondo locale
completamente buio, chiamato l’Inferno, si faceva decantare in un pozzo il liquido
di scarto, per recuperare ancora un po’ di prodotto nobile.
Nulla andava sprecato, l’olio,
più di oggi, era oro per la comunità locale.
Le lanterne a olio lampante, le
giacche da lavoro appese, le
piccole botti ovali ad assecon-
dare le forme del basto, gli arnesi da lavoro appoggiati alle
macine, appesi ai muri: tutto è
lì, pronto all’uso, come se fossimo un attimo prima dell’apertura. In questi giorni che
annunciano il Natale, la suggestione è quella di un presepe che sta per animarsi. I
ciottoli del pavimento levigati
dagli zoccoli degli asini, i canali di scolo delle acque di
scarto bruniti da secoli di utilizzo, la vite in quercia del torchio, sembrano solo attendere
che tutto cominci.
5
Rustica e Gentile
Vincitrice del Sol d’oro 2012
con la propria produzione di
olio da varietà Rustica e
Gentile, l’azienda agricola
Fantasia è presente sulle
guide dello stesso anno di
Slow food e del Gambero
Rosso. Un olio d’eccellenza
unico, selezionato in premi
nazionali e internazionali, tipicità delle terre peligne.
5
I documenti raccolti in anni di
ricerche dal dottor Fantasia
abbracciano più di due secoli
e negli atti è possibile ricostruire le vicende storiche che
attraversarono Raiano, la caduta dei Borbone, il periodo
Murattiano, via via fino agli
anni Cinquanta del secolo appena trascorso. «Non ricordo,
da bambino, il frantoi in funzione, ma di certo era ancora
attivo nel 1949. La data di realizzazione resta incerta, vagamente riconducibile ai primi
anni del XVIII secolo per volontà di don Raimondo Fantasia, cinque generazione fa». Fu
con l’acquisizione di tre ettari
di terreno a ridosso delle Gole
di San Venanzio da parte del
figlio Francesco, che la famiglia Fantasia intraprese anche
l’attività di produzione olivicola, continuata anche dopo la
chiusura del frantoio. Fu probabilmente lo stesso Francesco, a dar fede all’iscrizione
apposta sull’arco d’ingresso
del frantoio, ad operare l’unico
ammodernamento nel 1844,
con l’introduzione di due torchi meccanici a movimentazione manuale. Ancora un
secolo, poi l’avvento dei macchinari elettrici e la chiusura.
www.aziendaagricolafantasia.com
Transappennino: da Monaco al
cuore dell’Abruzzo
di
RINO DI FONZO
L
A PUBBLICAZIONE del
portale tardo gotico del
Palazzo della SS.Annunziata di Sulmona, sulla
prima di copertina del mensile ADESSO Magazin, edito
a Monaco di Baviera, ad
annunciare il racconto del
viaggio in treno, lungo la
dorsale dell’Appennino, dei
suoi giornalisti, Cosimo Carniani e Filippo Cirri, è stata
come una conferma per l’associazione Transappennino della fondatezza del
progetto di salvaguardare le
line ferroviarie a bassa velocità. Uno strumento insostituibile dello sviluppo turistico
delle aree interne del Bel
Paese. Partono una sera di
giugno, in cuccetta, da München Hauptbahnhof, stazione centrale in lingua
tedesca, per giungere ad
Arezzo il giorno dopo, poi
un breve tratto in corriera
fino a San Sepolcro. Qualche ora in Piazza Torre di
Berta ad ammirare gli edifici
rinascimentali che si affacciano su quello che, ogni
anno, diventa teatro del
Palio della Balestra, poi un
salto ad ammirare la Resurrezione di Piero della Francesca al Museo civico e la
Deposizione di Rosso Fiorentino nella Chiesa di San Lorenzo ed infine l’imbarco sul
treno che li trasporterà nel
«Gran Tour sul ferro» verso il
cuore degli Appennini, per
immergersi a piene mani nell’immenso patrimonio di bellezze e di storie straordinarie
che si scoprono ad ogni stazione, ad ogni notte passata
in uno dei tanti B&B e i loro
accoglienti ospiti. Passano
per Città di Castello, Deruta
con le sue ceramiche, Acquasparta fino a Rieti, Cittàducale, L’Aquila per
giungere infine a Sulmona,
cuore dell’Appennino dove
«l’uomo riconquista il suo
spazio», tra il Gran Sasso e
la Maiella, le cime più alte
della catena. Il viaggio in
treno si ferma qui, non prosegue verso il sud, per l’interruzione della linea da
Sulmona a Carpinone nel
Molise, da ormai più d’un lustro. L’associazione Transappennino di Sulmona vuole
invece che quel treno riparta: con il ripristino dei
servizi ordinari quotidiani,
spera di ricongiungere
l’Abruzzo al Molise fino a
Napoli. Quante storie da
raccontare, come quelle dell’articolo di ben otto pagine
fatto dai visitatori di Germania; quanti passeggeri da
ogni parte d’Europa, forse
del mondo potranno godere
un’Italia Slow del paesaggio, della gastronomia e del
piacere della riscoperta di
territori dagli immensi tesori.
50
Rajane Cante
Per il terzo anno consecutivo il 23 dicembre arriva in
piazza Babbo Natale con i
doni per i più piccoli. Sarà
però il Concerto, che si terrà
il 4 gennaio 2015 alle ore
18.00 presso la chiesa Santa
Maria Maggiore in piazza
Umberto Postiglione, la manifestazione centrale del Natale raianese. Ad esibirsi il
Coro Folcloristico “Rajane
Cante” diretto dal M° Alessia De Amicis.
due, tre locande, trovando
solo risposte di rifiuto. Fino
a giungere in chiesa, dove,
di fianco all’altare, sarà allestita la grotta. Una processione di venti, trenta minuti,
con musiche di sottofondo,
luci leggere e passaggi recitati. Tutto, comunque, in
funzione dell’arrivo in
chiesa, della santa messa,
che culminerà nell’eucarestia, con l’arrivo dei magi e
la donazione dei loro scrigni.
La cerimonia si chiuderà
con gli angeli in coro e i
bambini recitanti poesie.
www.comune.fontecchio.aq.it
Vivendo il Presepe
www.comune.raiano.aq.it
Presepe eucaristico a
Fontecchio
Non il classico presepe vivente, rievocazione, recita,
messa in scena della natività. Piuttosto un ritrovarsi,
alla chiusura delle festività
natalizie, nel momento
dell’eucarestia, ricordando
lo spirito e il significato della
nascita di Cristo. Sarà questo lo spirito con cui a Fontecchio verrà organizzato il
6 gennaio il primo presepe
itinerante per le vie del
borgo antico. In un tragitto
breve, la Sacra Famiglia
spunterà da un angolo del
paese cercando asilo in una,
Il 3 gennaio l’Associazione
“Vivendo il Presepe” tornerà
ad animare Vittorito rievocando la nascita di Gesù in
un suggestivo allestimento
all’interno della chiesa di
San Michele Arcangelo. La
manifestazione sarà preceduta dal un Mercatino itinerante che dal pomeriggio
vedrà i produttori locali proporre vini, oli, norcineria,
orzo, farro e tanti altre prelibatezze lungo i vicoli del
centro storico. LA serata si
concluderà conclusione con
concerto natalizio in chiesa.
www.comune.vittorito.aq.it
“Una stella nel borgo”.
Natale a Scontrone
Quattro date salienti per il
calendario natalizio di Scontrone.
L’arrivo di Babbo Natale il
25 dicembre aprirà le festività, che proseguiranno il 27
con la seconda edizione del
Presepe vivente itinerante
nel “borgo autentico” e il
memorial dedicato a Pamela
Iacobucci «Una stella tra i
presepi nel borgo».
Il giorno seguente aprirà,
presso il Museo Internazionale della Donna nell’Arte, la
mostra di presepi dal
mondo, inaugurata dal convegno «Il Presepe nel
mondo, religione, cultura e
materiali».
L’arrivo della Befana con
tante sorprese per i più piccoli chiuderà, di rito, i festeggiamenti.
www.comune.scontrone.aq.
it
Natale dove c’era
Morino Vecchio
Il periodo invernale per il
Comune di Morino rappresenta da anni la riscoperta
di vecchie tradizioni. Dalla
gastronomia alla tradizione
religiosa e profana dei festeggiamenti natalizi ai vecchi metodi di produzione e
conservazione degli alimenti, i mesi invernali ed in
particolare il periodo a ridosso delle feste natalizie è
quello dedicato alla famiglia.
Quest’anno l’ormai consueto “Presepe vivente”,
evento principale dell’inverno morinese insieme
all’arrivo della Befana, che
tradizionalmente negli anni
hanno ravvivato Brecciose,
si sposteranno eccezionalmente a Piazza San Rocco
nel Borgo di Morino Vecchio
dove, da diversi mesi ormai,
in vista delle celebrazioni
per il Centenario del Terremoto che il 13 gennaio 1915
ha colpito la Marsica e distrutto quasi completamente il borgo; numerosi
volontari stanno facendo un
lavoro di pulizia e recupero
dei ruderi, stanno riscoprendo edifici che negli
anni e a causa di quel sisma
erano stati completamente
ricoperti di terra e macerie e
cercando negli archivi ne
stanno riscoprendo la storia,
la conformazione, le abitudini e la vita quotidiana di
allora. È proprio grazie ai
tanti volontari che ogni fine
settimana popolano le vie
dell ‘antico borgo che a Morino Vecchio oggi si riscopre
un paese ai molti sconosciuto, si scoprono nomi,
luoghi, professioni, particolarità. Per tutto il 2015 sarà
protagonista di eventi e manifestazioni, ma soprattutto
sarà visitabile, grazie al ripristino del sentiero per non
vedenti e all’apertura di
nuovi percorsi interni al
borgo.
52
foto Antonio Monaco
Serenata di Capodanno
La notte dell’ultimo dell’anno si
celebra la tradizionale serenata
di Capodanno, lungo le stradine del paese, dove si brinda,
si trascorrono momenti di allegria cantando la canzone
scritta per l’occasione. Una tradizione antica che risale a
prima dell’ultima guerra, e che
è stata ripresa negli anni Cinquanta, diventando una manifestazione del folclore di
Pettorano. Cogli anni la serenata di capodanno ha assunto
un ruolo simbolico, rappresentando anche una sorta di testo
di riferimento, emblema degli
anni dell’emigrazione e della
diaspora del paese. Oggi è
anche un momento di richiamo
turistico, sicuramente un modo
per vivere la notte dell’ultimo
dell’anno in modo originale.
Brindando con gli amici, intorno al falò acceso nell’incanto
di antichi versi e canzoni popolari. Dalla mezzanotte, appuntamento a piazza Arischia,
davanti al castello da dove partirà il corteo dei musicanti
dell’orchestra di Pettorano. Gli
autori della canzone di questa
edizione sono Leonardo Oddi e
Michele Avolio.
Pettorano sul
Gizio
La sagra
della polenta
È il forte legame con il territorio, che rende la sagra della
“polenta rognosa” non una
delle tante sagre, ma una manifestazione che, celebrando il
piatto principe della gastronomia di Pettorano sul Gizio,
porta con sé, nel baule di identità e folklore, storia e tradizione, immersi negli
incantevoli paesaggi che parlano di montagne, treni e ferrovie, orsi, Riserva e Parchi, vicoli
rimasti intatti nella loro antica
bellezza. Di quelle che la modernità, per quanto sfrontata e
invadente, non è riuscita a
sgualcire. Ma forse a completare. Il gustoso evento affonda
le radici nel 1962, divenendo
negli anni uno degli appuntamenti più attesi dell’epifania
Peligna. Ogni 6 Gennaio torna
con tutta la sua unicità, richiamando migliaia di turisti, habitué, famiglie, curiosi,
buongustai che, sole o pioggia,
freddo o vento, da mezzogiorno, affollano le suggestive e
caratteristiche piazze e strette
strade di uno dei Borghi più
belli d’Italia.Come un rito da
non perdere. Perché ne vale la
pena. Tra musica, balli, stand
enogastronomici e tradizioni,
sotto tensostrutture o all’aria
aperta, si potranno gustare sapori genuini e prodotti tipici locali, come le pizzelle, le
crustole, piatti di mugnoli e
cazzarielli, vino peligno, che affiancano la regina del menù: la
polenta con le salsicce. La “rognosa”, che un tempo sfamava
i carbonai, si taglia a fette, rigorosamente con un filo di refe.
Incerta l’etimologia, che fa riferimento alla malattia procurata
dall’eccessivo consumo di mais
o di carne di maiale,
oppure termine inteso come il
rivelarsi una “rogna”, una seccatura, prepararla, in quanto è
molto lavorata. Dietro il Monte
Genzana, davanti la Statale 17,
nel mezzo le sembianze di un
presepe che, se imbiancato, è
ancora più affascinante. Difficile resistere senza scattare
una foto o immortalarlo con la
pittura. Pettorano è uno di quei
paesi che possono essere raccontati in ogni stagione, con la
neve, con le foglie ingiallite ai
lati delle stradine e il rosso autunnale delle rampicanti su
vecchie case, tra la frescura
estiva o il verde dei boschi in
primavera. Nel prossimo numero, AbruzzoèAppennino racconterà Pettorano in tutte le
sue sfaccettature, con i suoi
poeti, castelli, fontane, personaggi e tradizioni, come leitmotiv di una Storia di
Copertina dedicata proprio alla
polenta rognosa.
54
L’arte di correre
Podisti, tradizioni e natura di una passione chiamata trail
di PASQUALE D’ ALBERTO
In termine tecnico si chiama “trail”. Nella realtà è una corsa podistica che si svolge prevalentemente su terreni di montagna, a contatto
diretto con la natura. Gare toste, con chilometraggio vario (dai 13 fino ai 64 chilometri di Celano) che si vanno diffondendo a macchia
d’olio nei luoghi più suggestivi dell’Abruzzo
montano, frequentate da atleti d’eccellenza
(Maurizio D’Andrea, Gianni Scappucci, Alessandro Novaria, Alberico Di Cecco, Mohammed Lamiri), anche se amatori.
L
E GARE coinvolgono
anche appassionati comuni, poco preoccupati
dei risultati ma entusiasti
nell’affrontare la fatica che
la corsa comporta e di poter
scoprire luoghi che mai si sognerebbero di raggiungere
in condizioni normali. Atleti
che provengono da tutta Italia, qualche volta anche dall’estero. Veicolo di
promozione del territorio a
tutto tondo. Da aprile ad ottobre le gare che si sono
svolte sono state numerose,
in quasi tutte le aree protette
del territorio. Zompo lo
Schioppo di Morino (94
concorrenti); la Serra di Celano (88); Pereto (74); Gran
Sasso (273); Altipiano delle
Rocche (120); monti della
Meta (150); Pescasseroli
(573); 100 pozzi di Trasacco (155); lago di Barrea
(152); Riserva di San Venanzio di Raiano (153); Ercole
Curino di Sulmona (129);
Monte Salviano (54); la Roscetta di Civitella Roveto
(188); il Sentiero di Corradino di Sante Marie (109).
Uno dei principali protagonisti delle gare è stato certamente Antonio Carfagnini,
40 anni, guardia forestale di
Scanno. Carfagnini ha vinto
a Pereto e a Trasacco ed è
salito sul podio a Rocca di
Cambio, Sulmona e sul Salviano. «In queste gare –
spiega il runner scannese –
si riesce a scoprire e ad apprezzare la montagna abruzzese a 360 gradi. I luoghi
innanzitutto. Ma anche le
tradizioni, i monumenti, le
feste, e perché no, la cucina, grazie ai ristori variegati che i comitati
organizzatori propongono a
conclusione delle gare. Inoltre – aggiunge Carfagnini –
si passano domeniche diverse, rientrando in se stessi,
nel silenzio della natura. Io
corro anche per questo».
Altro protagonista, non tra i
vincitori ma quasi sempre
presente, è Vincenzo Di Pastena, ragioniere romano
della podistica Tiburtina, 54
anni, presente a quasi tutte
le gare con un gruppo di
amici tutti della capitale.
«Per noi che viviamo ogni
giorno nel traffico romano –
sottolinea – passare le domeniche in Abruzzo, a
un’ora di macchina dalla
città, è turismo, ma anche
cultura. Le aree archeologiche toccate dalle gare sono
per noi una scoperta continua. A volte raggiungiamo i
luoghi la mattina stessa –
continua – Altre volte partiamo la sera prima, soggiorniamo nei paesi e torniamo
in città nel pomeriggio della
domenica». Il Trail è una pratica sportiva relativamente
poco costosa rispetto ad
altre particolarmente diffuse
sulle strade di montagna
(motociclismo, ciclismo). Bastano buone scarpe (esistono
delle speciali calzature da
trail running, particolarmente
consigliate su determinati
percorsi accidentati) e, per
alcuni, moda che si va diffondendo negli ultimi anni,
bacchette da nordic walking, utili sia in discesa che
in salita. Infine, per chi decide di praticare il trail, sono
più che mai obbligatori controlli medici accurati e tempestivi, soprattutto i più
anziani, protagonisti prevalenti (almeno i 2/3 dei concorrenti hanno normalmente
più di 40 anni), per evitare
che lo sforzo provochi sorprese spiacevoli. Gli organizzatori, oggi più che mai,
chiedono precise assunzioni
di responsabilità da parte
delle società sportive oppure, per i “liberi”, certificati
medici validi. «La corsa è
bella – spiega Ervana Cetrano, presidente della Lega
Atletica Uisp Abruzzo – il
trail ancora di più. Ma la sicurezza degli atleti, delle
persone, è la cosa più importante». Trail, che passione, insomma. Un modo
originale per promuovere un
territorio unico per natura e
cultura.
56
I monti
della
Meta
Testo e foto di PIERO SAVARESI

RA I TANTI splendidi
luoghi del Parco Nazionale D’Abruzzo ce
n’è uno sul quale si racconta
una curiosa leggenda i cui
attori principali sono monaci; si narra infatti che questi, attraversando un passo
montano, posassero un
sasso (i due grandi cumuli di
pietre oggi presenti in quel
luogo sarebbero lì a testimoniare questa abitudine) ma
un tragico giorno due poveri
monaci, loro malgrado, a
causa di una tormenta di
neve persero la vita diventando i protagonisti di questa antica e tragica storia,
ispirarono con la loro morte
la toponomastica di questo
passo montano che collegava la regione Abruzzo con
il Lazio battezzato col nome
di Passo Dei Monaci. Comunque sia andata questo
importante passaggio permetteva, un tempo, di superare agevolmente il notevole
isolamento causato dagli alti
rilievi montani che costituiscono il confine naturale tra
le due regioni. Il trekking
raggiungerà la vetta più rappresentativa e caratteristica
di questo luogo dove il Molise, il Lazio e l’Abruzzo si incontrano con il monte la
Meta.
T
Caratteristiche
Tipologia percorso: Anello.
Livello di difficoltà: E (Escursionisti)
Dislivello totale: 1100m.
Lunghezza: 14km.
Durata: 5h.
Esposizione al vuoto: NO.
Presenza sorgenti d’acqua:
SI.
Raggiungere Campitelli
presso Alfedena (AQ).
Dalla S.S. 17 nel tratto Castel
Di Sangro, Rionero Sannitico, svoltare per la S.S.83
per Alfedena; raggiunto il
centro abitato s’incontra il
bivio che conduce a Barrea.
Svoltare a destra proseguendo sulla SS83, una
prima curva a gomito ed un
successivo ponte permettono l’attraversamento del
paese di Alfedena; proseguendo s’incontra un grande
curvone verso destra che incrocia una piccola strada comunale, via Casili. All’altezza
della casa cantoniera, svoltare verso sinistra e proseguire lungo la strada per 3,4
km. fino a raggiungere un
bivio in cima al passo, svoltare quindi verso destra e
proseguire fino al termine
della strada, tralasciando un
piccolo incrocio sulla sinistra, dove un grande par-
cheggio segna il punto di
inizio del trekking, il pianoro
di Campitelli.
Il trekking ha inizio imboccando l’ampia strada sterrata che origina
direttamente dal parcheggio
in direzione Nord (tabella e
bandierine bianco-rosse,
sentiero L1). La strada piega
rapidamente verso sinistra
inoltrandosi in una densa e
fitta faggeta, la salita dolce è
interrotta da un’altrettanto
dolce discesa al cui termine
è presente un primo evidente bivio (sentiero L2)
prima di un lungo tratto
quasi in piano; proseguire
verso sinistra, e tenersi sempre a sinistra ad un successivo ma meno evidente
bivio, continuando a seguire
i segni bianco-rossi presenti
sui fusti dei faggi e i piccoli
ometti di pietra. Il sentiero
prende a salire in maniera
più evidente e a disegnare
una traccia zigzagante a
tratti illuminata dal sole che
riesce con difficoltà a farsi
strada nel fitto bosco. Dopo
aver accostato un piccolo
fosso, dove, poco più in alto,
è presente la sorgente dei
Tartari, il sentiero piega leggermente verso sinistra, e rapidamente raggiunge un
58
ampio e assolato vallone denominato I Biscurri. La folta
coltre boscosa termina definitivamente ma il sentiero
resta comunque evidente e
piega verso Sud-Ovest; attraversando le colline che costituiscono il fondo della
valle, a quota 1775 m incontra, sulla sua destra, in cima
ad una di esse, i ruderi di un
antico fortino di pietre di
epoca borbonica, costruito
per rendere sicuro il passo ai
monaci, ai piedi del monte la
Meta (2242 m), e difendersi
dai briganti, che ritiratisi in
montagna, imperversarono
nella zona. La mole trapezoidale della Meta domina questo piccolo e protetto angolo
del parco che nel periodo
estivo resta inaccessibile
all’escursionista per la riproduzione dei camosci, presenti nella zona in gran
numero così come i cervi;
ma mentre i primi sempre
rapidi e curiosi si fanno avvicinare a distanze di poco in-
feriori ai 50 metri, i secondi,
estremamente prudenti, restano a distanze elevate ma
comunque in gruppi numericamente molto consistenti. Il
sentiero si avvicina alle falde
del monte Miele (1942 m)
che costituisce il confine naturale tra la il Molise e
l’Abruzzo e risalendole incrocia la sella fra la il Gendarme
della Meta e il Miele, il sentiero adesso scomodo e roccioso entra nella valle
Pagana facendosi aereo e ta-
gliando il fianco Sud-Est del
monte la Meta fino a raggiungere il Passo dei Monaci
(1967 m). Un piccolo sforzo
permette di percorrere gli ultimi ripidi 250 metri che conducono, verso Nord, alla
croce di vetta permettendo
così di godere di uno dei panorami più belli del Parco.
Ridisceso il versante SudOvest fino al passo, si
prende il sentiero di destra
che inizialmente roccioso e
scalettato scende seguendo
il fondo della Valle
Pagana(Sentiero M1). Dopo
aver incontrato una piccola
fonte con targa in pietra ed
aver lambito brevemente il
bosco, il sentiero torna all’ombra del fitto bosco seguendo la chiara segnaletica
bianco-rossa fino a costeggiare una recinzione in rete
metallica (presa d’acqua) e
dopo poco a raggiungere
Piano Le Forme. Da qui
verso sinistra, superando
una bassa collina (sentiero
L4) si raggiunge il parcheggio di Campitelli.
60
PEDALANDO SULLE
COLLINE TEATINE
di TOMMASO PAOLINI
Ieri sera, come oramai ogni tanto capita a noi
posseduti dalla passione per la bici, abbiamo
lavorato sodo di mascella e ci siamo affacciati
spesso al finestrino rotondo del calice che intrappolava un Montepulciano rosso rubino di
13° che scendeva giù che era una bellezza!
Q
UESTA MATTINA al
sole estivo di un ottobre meraviglioso, ci
sentivamo in una disposizione
d’animo avventurosa e romantica, che ci rendeva felici. Il mondo che ci si
stendeva tutt’intorno chiaro e
luminoso, appariva così bello
come se fosse nuovo. I pensieri negativi, le ansie quotidiane, le preoccupazioni
anche profonde della vita che
oggi viviamo erano come
d’incanto scomparse.
Stridono col nostro stato
d’animo i capannoni industriali e le altre strutture tutte
grigie e tetre, tutte uguali:
molte vuote, che pedalando
subito incontriamo, prima di
immetterci sulla SS17, dove
case piccole e grandi sono
sparse qua e là per il verde e
danno il braccio a una rigogliosa agricoltura la cui regina incontrastata è la vigna,
di questi tempi senza grappoli. Alberi per lo più di noci
conferiscono alla silenziosa
strada domenicale quiete e
suggestioni. Incollati a mezzacosta sulle montagne, i graziosi paesetti fanno da
sentinella alla grande Valle
Peligna. Pedaliamo di buona
lena. Ci diamo regolarmente
il cambio. Noi biker non abbiamo in mente “la strana
idea che agendo egoisticamente le persone avvantaggino in qualche modo gli
altri”. Quando siamo in
gruppo, ognuno sopporta la
propria dose di fatica! Superiamo Popoli, non senza aver
prima dato una sbirciatina
alla confluenza del Pescara
nell’Aterno. Imbocchiamo le
Gole di Tremonti ancora
nell’ombra. Non tira vento.
Possiamo pedalare in fila indiana e non a ventaglio
come nelle giornate ventose.
Dopo le pale eoliche: oggi
quasi ferme, che un poco disturbano le prime propaggini
del Morrone, guardando
sulla destra ammiriamo, su un
colle coperto di ulivi argentati, Tocco da Casauria ed il
suo campanile inondato di
sole.
Sull’erta di Colle Morto, il
gruppo numeroso un poco si
sfilaccia. Sulla discesa prima
di Piano d’Orta, già si è ricompattato. Superiamo Scafa
e al bivio di Manoppello andiamo diritti.
Pedalando sulla SS5, appena dopo Brecciarola, giriamo a destra. Dopo un
breve tratto in pianura la
strada inizia a salire. Il traffico automobilistico un poco
si addensa almeno fino al
bivio per Chieti. Stringo i
denti per non perdere contatto dal gruppo. So che la
salita dura tre chilometri buoni
e poi la strada spiana. Sui
tornanti per mantenere la velocità e dare respiro ai glutei
mi alzo sui pedali. Ogni
tanto, quando mi allargo per
meglio curvare, qualche temerario mi scivola sulla destra
come un’anguilla per sfruttare
lo spazio a disposizione vicino l’argine della strada e superarmi. Appena sotto
Casalincontrada, che vediamo appollaiato su un
verde colle, al bivio prendiamo la strada in discesa
che ci riporta alla SS5. Ora
lo sguardo può spaziare sui
campi dove corrono diritti i filari spogli delle vigne, con
ancora le foglie verdi. Il palato già gusta il delicato sapore del Trebbiano
d’Abruzzo che su queste colline raggiunge l’eccellenza!
Numerose sono le strade secondarie: per lo più bianche,
che portano ai poderi, che intersecano la nostra e dalle
quali escono trattori che trainano attrezzature agricole.
Guardando verso nord vediamo il maestoso Gran
Sasso che si stende laggiù:
placido, in un’azzurrina,
biancovelata lontananza. A
ritroso pedaliamo sulla SS5.
A Piano d’Orta, per evitare
l’erta di Colle Morto, giriamo
sulla destra con direzione
Torre de’ Passeri. Vicino la
chiesa, un gruppo di ragazzetti ha fatto della strada assolata la sua stanza dei
giochi. Con la coda dell’occhio li controlliamo. Vogliamo
evitare che il nostro sfrecciare
possa generare loro un qualche pericolo. Al bivio di Torre
de’ Passeri riprendiamo di
nuovo la SS5. Il cielo azzurro
dall’alto sorride al gruppo
compatto. Una colonna di
raggi di sole ora cade risplendente in mezzo ai fitti
tronchi degli alberi delle Gole
di Tremonti. Manca qualche
minuto alle tredici quando arriviamo a Sulmona dopo aver
percorso all’incirca 120 km.
La disposizione di animo è
eccellente e quando si pedala, idee: pure complesse,
trovano la giusta soluzione
ancora prima di staccare i
piedi dai pedali!
62
64Lo scaffale
Pino Zac. Una vita contro di V. Vecellio, Stampa alter-
Capetiempe V. Monaco, Synapsi Edizioni 2008
nativa 2000
Il pianeta degli alberi di Natale G. Rodari B. Munari,
Pino Zac, Italiani un popolo di..., Carucci, Roma, 1961
Einaudi 2008
Almanacco Luttazzi della nuova satira italiana a cura
Canto di Natale C.Dickens, Mondadori 2013
di D. Luttazzi, Feltrinelli 2010
Il seme sotto la neve I.Silone, Mondadori 1989
Il cavaliere inesistente I. Calvino, Einaudi 2014
Fontamara I.Silone, Mondadori 2013
Scritti corsari P.P.Pasolini, Garzanti 2012
Vino e pane I. Silone, Mondadori 2013
La religione del mio tempo - P.P. Pasolini, Gargani 2012
Una manciata di more I. Silone, Mondadori 2013
Gargantua e Pantagruelle F. Rabelais, Feltrinelli 2012
L’arte di correre H. Murakami , Einaudi, 2009
Attraverso gli Appennini e l’Abruzzo E. Canziani, Sy-
La solitudine del maratoneta A. Sillitoe, Minimum Fax
napsi Edizioni 2009
2009