I SOGNI DEL FARAONE - Bibbia e Scuola
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I SOGNI DEL FARAONE - Bibbia e Scuola
I SOGNI DEL FARAONE (Gen 41) I sogni del faraone. Bibbia istoriata padovana, fine ‘300. FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS, in Giuseppe o l’uomo dai doppi destini. Atti del seminario invernale di Biblia (Loreto, 26.28 gennaio 1990), edizione fuori commercio, Tipografia Giuntina, Firenze 1991, pp. 97-101. b) Giuseppe e la terra. Giuseppe è giusto non solo nei confronti della sua famiglia e dei suoi superiori, e perfino dei suoi compagni di carcere (Gen 39,2-12.21-23; 40,1-4; 41,37-46; ecc .). Egli dispiega pure una saggezza non comune sul terreno della politica economica (Gen 39,2;41,33-49). "Giuseppe aveva trent'anni quando si presentò al faraone re d'Egitto" (Gen 41,46a), e fu allora che "il re mandò a scioglierlo", il capo dei popoli lo fece liberare; lo pose signore della sua casa, capo di tutti i suoi avveri, per istruire i campi secondo il suo giudizio e insegnare la saggezza agli anziani" ( Sal 105,20-22). Questa sapienza aveva cominciato a manifestarsi come capacità di interpretare quei messaggi nascosti di Dio che sono i sogni (Gen 40,5-22; 41,1-32; 44,5-15). Essa si prolunga, però, nella preveggente avvedutezza del ministro dell'economia, il quale si rende conto di una situazione nel suo insieme, e sa consigliare e emettere in opera i mezzi per affrontarla (Gen 41,33-49,53-57). Giuseppe conosce i tempi lunghi della sapienza e sa interpretarne i segreti. A lui non fa difetto è nemmeno l'astuta saggezza del grande politico. Rimproverare a Giuseppe di aver approfittato della carestia per asservire tutto l'Egitto alla casa del faraone con la sua politica agraria sarebbe alquanto anacronistico. Al contrario è possibile che, in un certo periodo del regime monarchico in Israele (quello di Salomone e dei suoi funzionari), una simile politica fondiaria, riportata dalla tradizione yahwista (Gen 47,13-2), apparisse come ideale e venisse attributo a Giuseppe il merito di averla inaugurata. Più tardi, il sistema che attribuiva tutte le terre alla corona, verrà biasimato dai profeti (cf. 1Re 21,1-29; Is 5,8-10; 22,1-14; Mt 2,1-5). In ogni caso, ogni crisi sociale contro la politica di Giuseppe non ha nulla a che vedere con l'ultima redazione della sua storia, che approva il suo eroe senza condizioni. Per il mondo della Bibbia, come per tutto l'Oriente, la sapienza, lungi dal rappresentare un settore specializzato del sapere umano (come una "filosofia") è, prima di tutto, abilità nel condurre prosperamente le cose della vita e nel gestire la propria fortuna. Qui, più che delle informazioni storiche sulla politica egiziana, che in realtà conosceva l'economia pianificata molto prima di Giuseppe, noi sentiamo l'eco della scoperta di questa politica, fatta nel vicino impero da una popolazione più primitiva di piccoli coltivatori, quando essi si rendono conto che tra produzione e consumo immediato esiste la possibilità di procedimenti (= i depositi), che permettono di controllare le fluttuazioni tra super produzione e carestia. La fede biblica non prova alcuna difficoltà nell'approvare e integrare questa saggezza economica, e nello scorgere nella sua scoperta un motivo nuovo per lodare il Signore, il quale mantiene in vita un popolo numeroso, non con prodigi operanti direttamente, ma dando agli uomini la sapienza adeguata per fare fronte a nuovi problemi con nuovi strumenti (Gen 50,19-2 1). Una tale integrazione dell'evoluzione umana, economica, tecnica, scientifica con la fede biblica, non è né automatica, né spontaneamente naturale. Ricordiamo il peccato dei costruttori di Babele e della sua terra (Gen 11,1-9). Anche la storia del regno di Salomone è, su questo punto, una messa in guardia significativa (cf. 1Re 3-11; Sir 47,12-23). Nel complesso però, l'atteggiamento della Bibbia nei confronti del progresso umano, che è già inteso dal disegno creatore di Dio (cf. Gen l,26-2,4a; 2,4b25; 9,1-20; 10,1- 32; ecc.) è sostanzialmente positivo, come mostra anche la storia del passaggio all'anarchia del tempo dei Giudici alla monarchia davidica (cf. Dt 12,812; Gds 17,6; 18,1; 19,1; 21-25). I monaci dell'Alto Medioevo fecero, in Europa molti secoli dopo, quello che il racconto biblico attribuisce a Giuseppe in Egitto. Il primo stadio della storia dei patriarchi presenta una rieducazione dell'uomo alla fede nel suo rapporto con Dio, rotto con il primo peccato (Gen 3,1-24: J). Il secondo episodio (Giacobbe ed Esaù, i figli: Gen 25,19-37,1 e fino a 50,14) presenta una rieducazione dell'uomo alla carità nel rapporto con il fratello, violato dal secondo peccato (Gen 4,1-16: J). La terza tappa del cammino patriarcale (la storia di Giuseppe: Gen 37.2- 50,26) rappresenta, in modo speciale, una rieducazione dell'uomo alla speranza nella sua relazione con la terra, violata dal terzo peccato (Gen 11,1-9: J. Cf. anche Sir 49,15; Eb 11,22).