1. Peculato l`art. 314, comma 1, cp stabilisce che “il pubblico ufficiale

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1. Peculato l`art. 314, comma 1, cp stabilisce che “il pubblico ufficiale
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I delitti contro la pubblica amministrazione
alla corruzione. – 10. Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità,
corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di
funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri. – 11. Confisca. – 12. Abuso d’ufficio. – 13.
Utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragioni d’ufficio. – 14. Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio. – 15. Rifiuto di atti di ufficio. Omissione. – 16. Rifiuto o ritardo di
obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica. – 17. Interruzione di un
servizio pubblico o di pubblica necessità. – 18. Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte
a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa. – 19.
Violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel
corso di un procedimento penale o dell’autorità amministrativa.
1. Peculato
Le modifiche
apportate dalla
Legge 86/1990
Bene
iuridico
L’art. 314, comma 1, c.p. stabilisce che “il pubblico ufficiale o l’incaricato di
pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o
comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni”.
La fattispecie delittuosa in parola è stata riformata dalla Legge 26 aprile
1990, n. 86 e da ultimo ritoccata nel trattamento sanzionatorio dalla Legge 6
novembre 2012, n. 19051; le modifiche apportate attengono sia a profili di ordine
sostanziale che formale.
Da un punto di vista sostanziale, il legislatore ha provveduto all’eliminazione
della condotta della distrazione, nonché all’unificazione nel medesimo articolo
del peculato e della malversazione a danno dei privati. Inoltre, si è provveduto
alla codificazione della fattispecie del peculato d’uso (v. infra).
Dal punto di vista formale, invece, si è proceduto alla positivizzazione di una
consolidata opinione giurisprudenziale, inserendo il requisito della disponibilità
accanto al possesso, quali presupposti della condotta penalmente rilevante.
La condotta tipizzata dal codice è simile a quella del reato di appropriazione
indebita, da cui si differenzia per la specifica qualifica rivestita dal soggetto attivo.
In ordine al bene giuridico oggetto di tutela si deve osservare che il reato di
peculato, secondo il prevalente orientamento, ha natura plurioffensiva.
E difatti, accanto all’interesse non patrimoniale dell’imparzialità e del buon
andamento dell’operato pubblico si colloca un interesse di natura patrimoniale,
che si identifica nel mantenimento della destinazione pubblicistica del denaro o
delle cose mobili52.
Occorre rilevare come l’innalzamento del minimo edittale da tre a quattro anni di reclusione abbia
l’effetto di rendere più difficile l’ottenimento della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici
nella sua modulazione più mite, ossia temporanea. Infatti, come noto, l’art. 317-bis c.p., dopo aver
fissato al primo comma la regola dell’interdizione perpetua in caso di condanna per peculato, prevede,
al comma secondo, una deroga, in favore dell’interdizione temporanea, per i casi in cui, in virtù del riconoscimento di circostanze attenuanti, venga inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni.
52
Antolisei, Manuale di Diritto Penale – Parte speciale, tomo II, Milano, 1999, 291; Cagli, voce
51
Parte i – Capitolo 2
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Incertezze si registrano comunque, soprattutto in giurisprudenza, in ordine al
modo di intendere tale plurioffensività. Così, da un lato, si segnalano arresti nei
quali si afferma che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale non varrebbe
ad escludere l’esistenza del reato, rimanendo pur sempre leso l’altro interesse
di natura non patrimoniale, ossia quello del buon andamento e dell’imparzialità
della Pubblica Amministrazione53 e pronunce, invece, più coerenti con il principio di offensività, che ritengono insussistente il delitto in esame ogniqualvolta le
cose oggetto di peculato siano prive di valore economico o ne abbiano uno talmente esiguo che l’azione compiuta non configuri lesione alcuna dell’integrità
patrimoniale dell’apparato pubblico54.
Tale impostazione non è tuttavia condivisa da autorevole dottrina che circoscrive la tutela approntata dall’art. 314 c.p. alla sola sfera patrimoniale55.
Soggetto attivo del reato è il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico
servizio, trattasi, dunque, di un reato proprio.
La condotta incriminata consiste nell’appropriazione di denaro o di cose mobili altrui. Essa si realizza in due momenti distinti:
1) l’impropriazione, vale a dire l’impossessamento del denaro o della cosa mobile;
2) l’espropriazione, con essa intendendo l’estromissione del bene dal patrimonio dell’avente diritto.
L’agente deve comportarsi uti dominus, cioè utilizzare il denaro o la cosa
mobile come se fosse l’effettivo proprietario: sono da considerare elementi sintomatici dell’interversio possessionis l’alienazione, la negazione del possesso, la
ritenzione, il rifiuto di restituzione ecc.56.
L’oggetto materiale della condotta di peculato è costituito dal denaro o da una
cosa mobile. Trattasi di concetti pacificamente acquisiti nel diritto penale.
Il denaro è, ovviamente, la carta moneta e la moneta metallica avente corso
legale; cosa mobile, invece, è ogni entità materiale suscettibile di essere trasportata da un luogo ad un altro secondo la sua funzione sociale.
La cosa, inoltre, deve possedere un valore economico o almeno economicamente valutabile57. Pertanto non integra il reato di peculato l’appropriazione o
Peculato e malversazione, in DDP, vol. IX, Torino, 1995, 337; Pagliaro, op. cit., 36; Romano, I
delitti contro la pubblica amministrazione-I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2002, 20.
53
Cfr Cass. pen., Sez. VI, 2 marzo 1999, n. 4328, in CP 2001, 166 e da ultimo Cass. pen., Sez. VI,
21 maggio 2008, n. 20236.
54
Cass. pen., Sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 10797, in DPP 2001, 63; in CP 2001, 2381.
55
Fiandaca-Musco, op. cit., 185.
56
Fiandaca-Musco, op. cit., 186. In giurisprudenza, da ultimo, cfr Cass. pen., Sez. III, 4 giugno
2009, n. 23066, ad avviso della quale integra il delitto di peculato l’utilizzazione di denaro pubblico nell’ambito di “spese riservate”, quando non si dia una giustificazione certa del loro impiego
per finalità corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che
le effettua. Infatti, in assenza di una giustificazione causale, la spesa di per sé determina interversione del possesso ed appropriazione, realizzando un’utilizzazione intrinsecamente illecita.
57
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cosa può anche essere priva di valore intrinseco purchè possa acquistare o riacquistare rilevanza economica per la utilizzazione che ne faccia
La condotta
tipica
Oggetto
materiale
Cosa mobile
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Energie
I delitti contro la pubblica amministrazione
l’utilizzazione da parte del pubblico ufficiale, per scopi personali, ancorché non
leciti, di beni appartenenti alla p.a. privi di valore economico o comunque dotati
di valore estremamente esiguo: si pensi al caso dell’agente della Polizia di Stato
che, nell’esplodere senza necessità un colpo dalla pistola di ordinanza, utilizzi
una cartuccia in dotazione all’ufficio di appartenenza58.
Anche le energie devono considerarsi alla stregua di cose mobili, in quanto
l’art. 624 c.p. equipara, agli effetti della legge penale, alla cosa mobile l’energia
elettrica e ogni altra energia che possegga valore economico. Ne consegue, ad
es., che integra gli estremi del delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che effettua comunicazioni telefoniche private ponendole a carico della p.a.
Indebito utilizzo
dell’utenza
telefonica
intestata alla
p.a.
Per quanto attiene all’ipotesi dell’indebito uso, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dell’utenza telefonica intestata alla pubblica amministrazione, di cui egli abbia la disponibilità, si ritiene configurabile il delitto di peculato in
quanto la predetta condotta si risolve nell’appropriazione delle energie, entrate nelle
sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni
telefoniche.
La giurisprudenza più recente, tuttavia, analogamente a quanto detto sopra con riferimento all’appropriazione di denaro o altra cosa appartenente alla p.a., esclude la
ricorrenza dell’illecito in parola quando le chiamate telefoniche per esigenze personali
si connotano per la loro sporadicità ed occasionalità, sì da restare contenute nell’ambito
dei “casi eccezionali”, nei quali esse sono consentite, ai sensi dell’art. 10, comma quinto,
del codice di comportamento dei pubblici dipendenti approvato con decreto del ministro
per la funzione pubblica 31 marzo 1994. V. comunque, amplius, sub § 1.159.
Nello stesso senso, ricorre il delitto in discorso laddove il pubblico dipendente utilizzi il computer dell’ufficio per uso personale, usufruendo della rete elettrica e informatica della p.a., al fine di scaricare su archivi personali dati e immagini non inerenti
alla pubblica funzione, risolvendosi tale comportamento nell’appropriazione di energie
appartenenti all’ente pubblico interessato60.
Il c.d. peculato
di energie
lavorative
Viceversa, si discute circa la configurabilità del c.d. peculato di energie lavorative, consistente nell’utilizzo di personale d’ufficio per scopi privati: da un lato,
l’agente. Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 14 dicembre 2011, n. 25571, RV 253014, relativa all’asportazione e successiva vendita, da parte di un cancelliere, di marche da bollo già vidimate, apposte su
fascicoli processuali.
58
Cass. pen., Sez. VI, 11 novembre 2004, n. 47193, RV 230466. Nello stesso senso cfr Cass. pen.,
Sez. VI, 15 ottobre 2002, n. 37018, RV 222624; Cass. pen., Sez. VI, 22 marzo 2001, n. 21867, RV
219021, dove si è esclusa la configurabilità del peculato in ipotesi di utilizzo dei modelli prestampati per i libretti di idoneità sanitaria, al fine di commettere il delitto di falsità materiale in atto
pubblico, posto che gli stessi risultano privi di qualsivoglia valore economico. Ad avviso di Cass.
pen., Sez. VI, 14 novembre 2002, n. 1905, RV 220431, integra la figura dell’abuso d’ufficio di cui
all’art. 323 c.p. e non quella del peculato l’appropriazione a proprio profitto e per finalità diverse
da quelle d’ufficio di un bene di esiguo valore economico rientrante nella sfera pubblica.
59
Cass. pen., Sez. VI, 15 gennaio 2003, n. 7772, RV 224270.
60
Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 2008, n. 20236.
Parte i – Capitolo 2
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infatti, la dottrina prevalente l’esclude, posta l’assoluta irriferibilità del possesso
qualificato ex art. 314 c.p. all’uomo, non potendo questi essere assimilato al
denaro o alla cosa mobile; dall’altro, invece, la giurisprudenza maggioritaria,
anche recente, è orientata per la soluzione positiva, dal momento che, anche in
siffatti casi, ricorrerebbero i presupposti previsti dall’art. 314 c.p.61.
In questo senso, ad es., la Suprema Corte ha ravvisato il delitto di peculato nella condotta
del Presidente della Lega Italiana Tumori che impiegava nel suo studio legale alcuni
obiettori di coscienza e titolari di borse di studio, in tal modo dirottando per la sua personale utilità tali forze lavorative, riferibili a soggetti con qualifica di incaricati di pubblico
servizio, che avrebbero dovuto essere spese in favore dell’Ente medesimo62; nello stesso
senso si è ritenuto sussistere l’illecito in parola a fronte della condotta del preside di una
scuola che aveva adibito alcuni bidelli alla coltivazione di un proprio fondo e a lavori
edilizi nella propria abitazione63.
Si registrano comunque anche (isolate) pronunce di segno opposto che, in coerenza
con il prevalente orientamento dottrinale, sostengono la ricorrenza del delitto di abuso
di ufficio e non di quello di peculato nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale utilizzi nel
proprio privato interesse le prestazioni lavorative di un dipendente dell’ente di appartenenza, posto che il peculato, in tutte le sue forme, presuppone comunque l’appropriarsi
da parte dell’agente di una cosa, che viene destinata ad una finalità diversa da quella
prevista dalla legge, mentre non è concepibile l’appropriarsi di una persona o della sua
energia lavorativa64.
Il denaro o la cosa mobile, oggetto della condotta appropriativa, deve inoltre
presentare la caratteristica dell’altruità.
Il denaro e la cosa mobile, cioè, non devono appartenere al soggetto agente,
ne costui deve vantare su di essi un diritto reale o un diritto di obbligazione che
gli attribuisca la disponibilità, legittimandolo a compiere l’atto di appropriazione65; l’esistenza di un titolo, infatti, quale ne sia la natura, esclude la rilevanza
penale del comportamento del pubblico funzionario che si risolva nell’appropriarsi e nell’utilizzare i suddetti beni.
Tra le novità introdotte dalla novella del 1990 vi è l’eliminazione del requisito dell’appartenenza del denaro o della cosa mobile alla p.a. e l’introduzione del
requisito appena analizzato il quale ha consentito l’unificazione, nel medesimo
articolo, del peculato e della malversazione a danno dei privati.
Cfr, ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 7 novembre 2000, n. 352, RV 219085.
Cass. pen., Sez. VI, 19 marzo 2008, n. 12291.
63
Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 1990, n. 12408, RV 185339.
64
Cass. pen., Sez. VI, 13 maggio 1998, n. 8494, RV 211313.
65
Fiandaca-Musco, op. cit., 190. Non esclude, invece, il reato di peculato la circostanza che il
pubblico ufficiale abbia trattenuto somme di danaro pubblico in compensazione di crediti vantati
nei confronti della amministrazione di appartenenza: cfr. Cass. pen., Sez. VI, 22 febbraio 2011,
n. 20940, RV 250055.
61
62
L’altruità del
denaro o della
cosa mobile
oggetto di
appropriazione
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Il possesso
La disponibilità della cosa
o del denaro
deve derivare
dall’ufficio o
dal servizio
ricoperto dal
soggetto attivo
La teoria della
occasionale
coincidenza
con la funzione
o servizio
esercitati
I delitti contro la pubblica amministrazione
Dell’oggetto materiale della condotta di peculato l’autore deve avere il possesso per ragioni d’ufficio o servizio o comunque la disponibilità.
La giurisprudenza ritiene che la nozione di possesso che viene in rilievo con
riferimento al delitto di peculato abbia un significato molto più ampio rispetto a
quello comunemente invalso nell’ambito del diritto civile, in quanto ricomprenderebbe sia il possesso mediato (o disponibilità giuridica), inteso, quindi, come
potere di disporre del bene mediante ordini o mandati, sia il possesso immediato (o disponibilità materiale) della cosa, identificabile nella mera detenzione,
nell’uso e nella semplice custodia, i quali si ricolleghino comunque all’ufficio o
al servizio cui il pubblico ufficiale o l’incaricato è rispettivamente preposto66.
Ed invero, altro presupposto indefettibile per la configurabilità del reato in
commento è che la previa disponibilità della cosa o del denaro derivi proprio
dall’ufficio o dal servizio ricoperto dal soggetto attivo.
Sul concetto di ragione di ufficio o di servizio come titolo del possesso rilevante ex art. 314 c.p. non vi è univocità di vedute.
Secondo una certa opinione, il possesso di denaro o di altra cosa mobile da
parte del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio), per acquistare
rilevanza ai fini dell’incriminazione de qua, non deve necessariamente rientrare
nel novero delle specifiche competenze o attribuzioni connesse con la posizione
gerarchica o funzionale del medesimo. Al contrario, risulterebbe sufficiente che
questo sia frutto anche di occasionale coincidenza con la funzione esercitata o
con il servizio prestato, come nel caso di affidamento del denaro o della cosa basato su prassi e consuetudini invalse in un determinato ufficio, che consentono al
soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio della “cassa”, traendo l’occasione per
la condotta appropriativa dalla propria qualità di soggetto inserito nell’ufficio
pubblico67.
In tal senso si è quindi affermata la irrilevanza, ai fini della consumazione del reato in
parola, del fatto che l’agente sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle
disposizioni organizzative dell’ufficio, potendo lo stesso derivare anche dall’esercizio
di fatto o dall’esercizio arbitrario delle funzioni, dovendosi escludere il peculato solo
quando esso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da evento fortuito, ovvero
nell’ipotesi di usurpazioni di funzione pubbliche68.
Ed inoltre, quando il denaro è destinato alla pubblica amministrazione ed il soggetto
fisico, che nel suo interesse agisce, lo riceve a tale titolo dal privato, il possesso conCass. pen., Sez. VI, 4 giugno 1990, n. 15921, RV 185903. La giurisprudenza ha inoltre
affermato che ai fini della configurabilità del delitto di peculato il possesso del denaro
della pubblica amministrazione può anche far capo congiuntamente a più pubblici ufficiali
qualora le norme interne dell’ente pubblico prevedano che l’atto dispositivo sia posto in
essere con il concorso di più organi. Cfr Cass. pen., Sez. VI, 11 gennaio 1996, n. 5502, RV
204987.
67
Cass. pen., Sez. VI, 11 maggio 1994, n. 11902, in CP 1996, 1443.
68
Cass. pen., Sez. VI, 21 febbraio 2003, n. 11417, RV 224051.
66
Parte i – Capitolo 2
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seguito rimane qualificato dal fine pubblico, cui il bene risulta destinato. Ne consegue
che commette peculato l’agente che omette di versare ciò che ha ricevuto, perché quel
denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna al pubblico ufficiale. Pertanto, non hanno rilievo alcuno né le modalità di
riscossione né la eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, ancorché in contrasto con
disposizioni ed assetti organizzativi dell’ufficio, non essendo la sussistenza del reato
esclusa dalla inosservanza di prescrizioni o di regole la cui violazione può costituire al
più solo illecito amministrativo69. Allo stesso modo è irrilevante che il pubblico ufficiale
sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede. È sufficiente a costituire il possesso per ragione di ufficio un qualsiasi rapporto che comunque si ricolleghi alle mansioni esercitate dall’agente e che gli
consenta di maneggiare denaro, sia pure occasionalmente o in via di fatto.
La teoria della semplice occasionalità, tuttavia, non è stata accolta con favore
dalla migliore dottrina, la quale insiste nel ritenere necessario un certo collegamento funzionale tra la previa disponibilità del denaro o della cosa e le competenze specifiche possedute dal soggetto agente70.
Riguardo all’elemento soggettivo, il peculato è un reato a dolo generico; esso
consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa di cui
si ha la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio. Esso, secondo le regole
generali, deve investire tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico e quindi la
qualifica soggettiva, il possesso qualificato dalla ragione d’ufficio o servizio,
l’appropriazione del denaro o della cosa altrui.
Le critiche
della dottrina
Elemento
soggettivo
Controversa è la rilevanza dell’errore: da una parte, la dottrina ritiene che debba rico- La rilevanza
noscersi efficacia scusante ex art. 47 c.p. all’errore sulla destinazione della cosa oggetto dell’errore
di appropriazione, sull’altruità, sulla ragione d’ufficio o servizio, sulla sussistenza della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio in capo all’agente71;
dall’altra invece la giurisprudenza è ferma nell’aderire ad un indirizzo decisamente restrittivo e rigoroso che finisce per ravvisare, nei casi di errore sulla legge extrapenale,
un’ipotesi di errore sul precetto, come tale inescusabile.
Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto ad es. che, in tema di peculato per ritardato
versamento di somme riscosse dal pubblico ufficiale per conto della Pubblica AmminiCass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 1994, n. 405, RV 198499.
Fiandaca-Musco, op. cit., 191; Flick, Il delitto di peculato, Milano, 1971, 180 ss.; Pagliaro, Studi
sul peculato, Palermo, 1964, 88. Anche la giurisprudenza ha mostrato talvolta di seguire l’indirizzo
restrittivo proposto dalla dottrina; a tal riguardo, cfr Cass. pen., Sez. VI, 7 gennaio 2003, n. 9933, RV
223977, ad avviso della quale non rientra nella nozione di ragione di ufficio il possesso o l’affidamento, meramente occasionale, del denaro o bene altrui al pubblico ufficiale, con la conseguenza che deve
escludersi la ricorrenza del delitto di peculato, ricorrendo invece quello di appropriazione indebita,
aggravata ex art. 61, n. 11, c.p., nella condotta di un sindaco che abbia distratto somme di denaro, che
gli erano state consegnate, in via fiduciaria, dalla ragioneria comunale, per provvedere al versamento
dei corrispettivi trimestrali dell’IVA dovuti dall’ente.
71
Pagliaro, op. ult. cit., 76; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, Milano, 1999, 122.
69
70
138
I delitti contro la pubblica amministrazione
strazione, non è errore scusabile, come tale idoneo ad escludere il dolo, quello che investe la norma amministrativa di contabilità che impone un tempestivo versamento: ciò
in quanto tale norma è integrativa di quella penale; conseguentemente risulta irrilevante
invocare qualsiasi prassi in senso contrario alla predetta disciplina72.
Nello stesso senso, l’errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione del pubblico danaro per fini diversi da quelli istituzionali non ha alcuna efficacia
scriminante, perché, per quanto la destinazione del pubblico danaro sia fissata da una
norma amministrativa, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della
quale integra il contenuto; pertanto, l’illegittimo mutamento di tale destinazione, anche
se compiuto dall’agente per ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un
errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla
legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di peculato73.
Consumazione
e tentativo
Rapporti con
altri reati
Peculato
e truffa
aggravata
Il momento consumativo coincide col momento in cui si perfeziona l’appropriazione ed il soggetto comincia a comportarsi nei confronti dell’oggetto materiale
uti dominus. Il delitto di peculato, dunque, si consuma nel momento e nel luogo
in cui l’agente si appropria del denaro o della cosa mobile altrui, verificandosi
l’interversione nel possesso, che si sostanzia nel cosciente e volontario compimento di atti che esprimono l’intenzione di comportarsi uti dominus nei confronti della cosa.
Trattasi di un reato istantaneo.
Il tentativo è ammissibile, in particolare in tutte quelle ipotesi in cui la condotta appropriativa sia scomponibile in una pluralità di atti.
Il discrimine tra il reato in commento ed altre fattispecie delittuose appare
talvolta difficoltoso.
In particolare, problematico è il rapporto tra il peculato e l’ipotesi di truffa
aggravata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una
pubblica funzione o ad un pubblico servizio (artt. 640 e 61, n. 9, c.p.).
Al riguardo, la linea di demarcazione tra le due figure delittuose è stata rinvenuta, dalla prevalente dottrina, nel rapporto tra il possesso e gli artifici e i raggiri,
Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 1996, n. 10020, RV 206365. Nello stesso senso, cfr Cass. pen.,
Sez. VI, 3 novembre 2003, in FI 2004, 620, dove si afferma che l’errore sulle norme di contabilità
degli enti locali non costituisce errore su legge extrapenale escludente il dolo (art. 47, comma 3,
c.p.), in quanto si traduce in un errore inescusabile su norma integratrice della legge penale.
73
Cass. pen., Sez. VI, 29 aprile 1987, n. 11451, in RP 1988, 904. Nello stesso senso, Cass. pen.,
Sez. VI, 8 novembre 2006, in RP 2008, 513, con nota di De Bellis ha affermato che l’illegittimo
mutamento, ancorché temporaneo, della destinazione della cosa, anche se compiuta dall’agente nell’ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su una legge
penale diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza dell’esistenza della stessa
norma penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato; ne consegue
che ogni indagine sulle qualità professionali, livello culturale, competenza ecc. dell’agente è
irrilevante, in quanto, ex art. 5 c.p., l’ignoranza della legge penale non può essere invocata a
proprie scuse dal reo.
72
Parte i – Capitolo 2
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concludendo che qualora questi ultimi risultino strumentali all’occultamento di
un illecito impossessamento già realizzato dall’agente per ragione del suo ufficio
o del suo servizio, si applicherà l’art. 314 c.p.; al contrario, qualora essi siano
stati posti in essere proprio al fine di conseguire il possesso del denaro o della
cosa mobile altrui, si verserà nell’ambito di applicazione della truffa aggravata.
La giurisprudenza, dal canto suo, è per lo più orientata nel ritenere che la
distinzione tra peculato e truffa non vada ravvisata nella precedenza cronologica
dell’appropriazione rispetto alla frode o viceversa, ma nel modo in cui il funzionario “infedele” viene in possesso del danaro del quale si appropria, per cui
sussiste peculato quando l’agente fa proprio il danaro della pubblica amministrazione, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio o servizio, mentre
vi è truffa qualora il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, non
avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la
disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta.
Più in dettaglio, ricorre il peculato e non la truffa quando l’artificio od il
raggiro o la falsa documentazione siano stati posti in essere non per entrare in
possesso del pubblico danaro, ma per occultare la commissione dell’illecito già
in precedenza perpetrato74.
Il titolo del possesso appare decisivo anche per risolvere i rapporti tra il peculato e l’appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 9, c.p.
Al riguardo, sussisteranno gli estremi del peculato qualora l’appropriazione consegua ad un possesso per ragioni di ufficio o di servizio; si avrà invece
appropriazione indebita allorquando l’appropriazione si realizzi a fronte di un
possesso devoluto all’agente non per ragioni di ufficio o di servizio, ma intuitu
personae o anche per mera occasione offerta dalla relazione con l’ufficio.
Per quanto attiene invece ai rapporti con il reato di abuso d’ufficio (art. 323
c.p.), si ritiene che mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell’appropriazione di denaro od altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia
il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio – per cui la violazione
dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè
dell’appropriazione –, nella figura criminosa di carattere sussidiario prevista
dall’art. 323 c.p., la condotta si identifica con l’abuso “funzionale”, cioè con
l’esercizio delle potestà e con l’uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica
per finalità differenti da quelle per le quali l’esercizio del potere è concesso,
mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali penalmente
sanzionati, e sempre che a questi consegua un vantaggio patrimoniale per sé o
per altri75.
Pertanto, volendo esemplificare, integra la fattispecie del peculato continuato, e non quella di abuso d’ufficio, la condotta dell’ufficiale giudiziario che nel
74
75
Cass. pen., Sez. VI, 11 maggio 1994, n. 11902, RV 200200.
Cass. pen., Sez. VI, 4 giugno 1997, n. 6753, RV 211011.
Peculato e
appropriazione
indebita
Peculato e
abuso d’ufficio
140
Peculato e
violazione di
corrispondenza
I delitti contro la pubblica amministrazione
corso di una procedura di pignoramento versa su conti correnti bancari intestati
a se medesimo, ovvero cointestati anche al proprio coniuge, le somme di denaro
portate da assegni bancari sottoscritti dai debitori esecutati e, successivamente, tramuta le relative somme in assegni circolari versati in favore dei legittimi
destinatari (ufficio del registro, creditori ecc.), in quanto, in ipotesi di tal fatta,
la violazione dei doveri d’ufficio costituisce esclusivamente la modalità della
condotta di appropriazione e la disponibilità delle somme portate dai titoli ha
preceduto la temporanea appropriazione dei relativi importi76.
Più in generale, secondo autorevole dottrina, ogniqualvolta la condotta appropriativa sia realizzata a profitto altrui ricorrono gli estremi della distrazione, con
la conseguenza che tale comportamento esula dal peculato per confluire, sempre
che ne sussistano gli ulteriori presupposti, entro la figura criminis dell’abuso
d’ufficio77.
Cass. pen., Sez. VI, 16 novembre 2005, n. 11654, RV 233689.
Appare, infine, configurabile il concorso tra i delitti di peculato e di violazione
di corrispondenza (art. 616 c.p.) nel caso dell’addetto al servizio postale che manometta un plico impossessandosi delle banconote ivi contenute, non sussistendo
un rapporto di specialità tra l’art. 616 e l’art. 314 c.p. Infatti, la clausola “se il fatto
non è preveduto come reato da altra disposizione di legge”, contenuta nell’art.
616 c.p., va interpretata con riferimento al fatto tipico della presa di cognizione
del contenuto di una corrispondenza, ovvero della sua sottrazione, distrazione, distruzione o soppressione, eventualmente descritto in una norma penale diversa,
condotte – queste – non specificamente enunciate nel delitto di peculato, che ha
diversa oggettività giuridica rispetto all’altra figura delittuosa.
1.1. Peculato d’uso
L’art. 314, comma 2, c.p. dispone che “si applica la pena della reclusione da
sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente
restituita”.
Il peculato d’uso costituisce una autonoma figura delittuosa, ed è una novità
introdotta nel nostro ordinamento con la nota riforma del 1990.
L’intento perseguito dal legislatore è, in tutta evidenza, quello di commisurare
il trattamento sanzionatorio all’effettivo disvalore del fatto, che nel caso di specie risulta certamente più attenuato rispetto all’ipotesi delineata dal primo comma
dell’art. 314 c.p. in ragione della mera temporaneità dell’appropriazione.
Per la configurabilità di questa figura delittuosa è necessario, infatti, che la
durata dell’appropriazione sia temporanea e che non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta.
76
77
Cass. pen., Sez. VI, 26 febbraio 2008, n. 12306, in RP 2008, 897.
Fiandaca-Musco, op. cit., 186.
Parte i – Capitolo 2
141
La qualificazione del peculato d’uso come autonoma figura delittuosa, anziché come circostanza attenuante del peculato comune di cui all’art. 314, comma
1, c.p. è – attualmente – un dato pacifico ed incontestato78.
A tal riguardo si osserva, infatti, che l’uso momentaneo della cosa, che contraddistingue la figura criminis in esame, non risulta affatto riconducibile entro
lo schema della condotta appropriativa su cui si incentra la tipicità del peculato
comune; quest’ultima, infatti, si caratterizza per la definitività, sia in termini
soggettivi he oggettivi, dell’espropriazione della cosa79.
Per quanto attiene al bene giuridico, al soggetto attivo e ai presupposti della
condotta, si rinvia alla trattazione contenuta nel paragrafo precedente.
In ordine all’individuazione dell’oggetto materiale della condotta si registrano due opinioni divergenti.
Secondo un primo orientamento, il peculato d’uso è configurabile soltanto
se ricade su cose di specie e non su cose di genere poiché, con riferimento a
queste ultime, non sarebbe possibile la restituzione dell’eadem res, ma solo del
tantundem, circostanza ritenuta irrilevante ai fini della configurabilità del reato in parola80. Una siffatta ipotesi ricostruttiva muove dalla lettera della norma
e dalla mancata menzione del “denaro” quale oggetto materiale della condotta
incriminata.
In senso diametralmente opposto si è invece affermato che il peculato di cui
all’art. 314, comma 2, c.p. è configurabile anche in relazione a cose fungibili,
in quanto la suddetta disposizione non recherebbe alcuna distinzione tra tipi di
cose81. Inoltre, la condotta incriminata viene ricavata mediante il rinvio alla ti78
Antolisei, op. cit., 299; Fiandaca-Musco, op. cit., 194; Palazzo, Commento all’art. 314, in Padovani (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 1996,
32; Pagliaro, op. ult. cit., 74. In giurisprudenza, cfr tra le tante Cass. pen., Sez. VI, 27 gennaio
1994, n. 6094, RV 199187; Cass. pen., Sez. VI, 22 luglio 1992, in CP 1994, 1853.
79
La tesi contraria, secondo cui il peculato d’uso configurerebbe una circostanza attenuante del
peculato comune, si fonda prevalentemente su argomentazioni di tipo letterale. Secondo la suddetta corrente interpretativa, infatti, nel secondo comma dell’art. 314 c.p. manca un’autonoma
descrizione della condotta tipica, la quale può ricavarsi solo attraverso un rinvio alla condotta tipizzata nel primo comma; il peculato d’uso, cioè, per come tipizzato dal legislatore, mancherebbe
di una sua autonoma struttura, rappresentando, dunque, una species del peculato comune. A sostegno di tale approccio ermeneutico si invoca inoltre l’asserita identità degli elementi essenziali
della fattispecie, coincidendo l’evento del peculato d’uso con quello del peculato comune, vale a
dire nell’appropriazione della res. In tal senso si vedano Dinacci, Profili interpretativi sul reato
di peculato d’uso, in Coppi (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 1993,
37; Pacileo, Peculato e limiti all’uso dei beni della P.A., in CP 1991, 76; Segreto-De Luca, op.
cit., 127.
80
Cfr, ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 17 ottobre 1991, n. 12218, RV 189003; Cass. pen., Sez. VI,
4 luglio 1997, n. 7972, RV 209761.
81
Palazzo-Tarquini, voce Peculato, in EG, vol. XXII, Roma, 1995, 5; Romano, op. cit., 40, il quale
osserva che “la differenza tra peculato e peculato d’uso, nei termini in cui questa figura è attualmente
prevista, è di tale rilievo – come il forte divario sanzionatorio chiaramente dimostra – che non può
dipendere dalla distinzione, oltretutto labile e relativa, tra cose di genere e cose di specie”.
Oggetto
materiale
della condotta
142
I delitti contro la pubblica amministrazione
pizzazione contenuta nel primo comma dell’art. 314 c.p., la quale ha ad oggetto
anche le cose fungibili, compreso il denaro.
Indebito
utilizzo per
scopi personali
dell’utenza
telefonica
intestata alla
p.a.
Utilizzo
temporaneo
dell’auto di
servizio
La giurisprudenza ritiene configurabile il peculato comune e non quello d’uso nel caso
di indebito utilizzo, per scopi personali, dell’utenza telefonica intestata alla p.a. di cui il
pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d’ufficio, in quanto siffatto comportamento si risolve non nell’uso dell’apparecchio telefonico quale oggetto fisico, bensì
nell’appropriazione, conseguita attraverso il predetto uso, delle energie rientranti nella
sfera di disponibilità della p.a. ed occorrenti per le conversazioni telefoniche, che, in
quanto tali, non sono immediatamente restituibili dopo l’uso. In quest’ottica, l’eventuale
rimborso delle somme corrispondenti all’entità dell’utilizzo non potrebbe valere che
come mero ristoro del danno arrecato82.
Occorre rilevare che recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato il problema se l’utilizzo per fini personali di utenza telefonica assegnata per ragioni
di ufficio integri o meno l’appropriazione richiesta per la configurazione del delitto di peculato ovvero quello di peculato d’uso, ovvero ancora una condotta distrattiva o fraudolenta
rispettivamente inquadrabile nel delitto di abuso di ufficio o in quello di truffa aggravata a
danno dello Stato, inquadrando l’ipotesi nel delitto di peculato d’uso83.
Al riguardo deve comunque osservarsi che, nel concreto assetto dell’organizzazione
della p.a., possono venire in rilievo situazioni eccezionali – previste e regolamentate dal
decreto del Ministro per la Funzione Pubblica del 31 marzo 1994 – in cui il pubblico
dipendente è autorizzato ad usare il telefono dell’ufficio per comunicazioni private, al
fine di evitare che si determini un disagio ancora maggiore per l’organizzazione del
lavoro qualora il soggetto dovesse, per far fronte alla necessità di comunicare durante
l’espletamento del servizio, interromperlo o abbandonarlo; in tali situazioni eccezionali,
di carattere sporadico ed episodico, l’utilizzo del telefono della p.a. per l’effettuazione di
chiamate personali non può considerarsi esulante del tutto dai fini istituzionali, e pertanto non può ritenersi realizzato l’evento appropriativo di cui al reato in commento84.
La giurisprudenza ritiene inoltre configurabile il peculato d’uso anche nel caso di utilizzo temporaneo dell’autovettura di servizio per fini personali, ancorché concomitanti
con finalità di tipo istituzionale85.
Tuttavia, in aderenza al principio di necessaria offensività, deve escludersi la ricorrenza dell’illecito di cui si discorre quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della p.a. e non abbia arrecato un danno patrimoniale apprezzabile, come nel caso
del dipendente pubblico che utilizzi, per pochi minuti, l’autovettura di servizio per andaCass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2001, n. 9277, RV 218435; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2006,
n. 25273, RV 234838 e da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 20 maggio 2009, n. 21165.
83
Nel momento in cui si scrive non sono ancora disponibili le motivazioni della sentenza, annunciata nel suo dispositivo dal servizio novità del sito internet della Corte di Cassazione.
84
Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2006, cit.
85
Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 10274, RV 233718; Cass. pen., Sez. VI, 18 giugno 2009,
n. 25541. Contra Cass. pen., Sez. VI, 13 maggio 2003, n. 27007, ad avviso della quale l’utilizzo
della cosa che, pur estraneo al titolo del possesso, avvenga in occasione dell’uso istituzionale della
stessa, senza rappresentarne intralcio o aggravio, esula dalla fattispecie del peculato d’uso, dovendo qualificarsi in termini di mero abuso del possesso, come tale, penalmente irrilevante.
82
Parte i – Capitolo 2
143
re ad acquistare alcune bottiglie di acqua destinate ai suoi colleghi impegnati al lavoro
in ufficio86. Recentemente, la Suprema Corte ha infatti precisato che “L’uso temporaneo
del bene pubblico per finalità, reali o supposte, non corrispondenti a quelle istituzionali
non sempre è destinato ad integrare la fattispecie del peculato d’uso. Non certamente
nei casi in cui un siffatto temporaneo uso, rivelatosi affatto episodico ed occasionale,
non risulti caratterizzarsi, quanto a consistenza (distanze percorse) e durata dell’uso,
in fatti di effettiva “appropriazione” delle autovetture di servizio, suscettibili di recare
un concreto e significativo danno economico all’ente pubblico (in termini di carburante
utilizzato e di energia lavorativa degli autisti addetti alla guida) ovvero di pregiudicarne
l’ordinaria attività funzionale”87.
Riguardo all’elemento soggettivo, secondo il prevalente orientamento, il peculato d’uso costituisce un reato a dolo specifico; esso consiste nella coscienza e
volontà di appropriarsi della cosa di cui si ha la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio al solo scopo di usarla momentaneamente88.
Il dolo del peculato d’uso, pertanto, coincide con quello del peculato comune
nei suoi contenuti rappresentativi (qualifica soggettiva pubblicistica, possesso
o disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio, esistenza di diritti altrui sulla
cosa), ma se ne differenzia sotto il profilo volitivo; si richiede, infatti, che il soggetto attivo agisca al “solo scopo” di fare un uso momentaneo della cosa.
Sul punto si registra, tuttavia, una diversa interpretazione dottrinale (minoritaria), ad avviso della quale, in siffatti casi, non si sarebbe in presenza di un dolo
specifico, bensì di un dolo intenzionale, posto che il fine avuto di mira dall’agente non è un evento “estraneo”, che si colloca al di fuori della fattispecie, ma l’uso
momentaneo della cosa e la sua immediata restituzione sono elementi costitutivi
del reato medesimo89.
Per quanto attiene all’interpretazione dell’inciso uso momentaneo, secondo il
prevalente orientamento giurisprudenziale, l’aggettivo momentaneo non va inteso quale sinonimo di istantaneo, bensì di temporaneo, per cui è tale l’uso che si
sia protratto per un tempo limitato, sì da comportare una sottrazione della cosa
alla sua destinazione istituzionale che, tuttavia, non è idonea a compromettere
seriamente la funzionalità della p.a.90.
Pertanto, per la configurazione dell’ipotesi delittuosa del peculato d’uso è
necessario che la durata dell’appropriazione non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta; di conseguenza, nel caso di uso prolungato, la condotta
Cass. pen., Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 10233, RV 235941.
Cass. pen., sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 7177, in GI 2012, 160 con nota di Altare, Uso indebito
dell’autovettura di servizio e peculato d’uso. Da ultimo si veda Cass. pen., Sez. VI, 12 gennaio
2012, n. 5006, RV 251785.
88
Fiandaca-Musco, op. cit., 195.
89
Romano, op. cit., 44; Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, vol. I, Padova, 2001,
232.
90
Cass. pen., Sez. VI, 1 febbraio 2005, n. 9216, RV 230940.
86
87
Elemento
soggettivo
L’interpretazione
dell’inciso
“uso
momentaneo”