5° Percorso della Memoria

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5° Percorso della Memoria
Sezione di Treviso
5° Percorso della MEMORIA
Da Cima Grappa a Feltre
Il Grappa
La valle di Seren
Seren del Grappa
Feltre
Il territorio
Il Massiccio del Grappa è indubbiamente una delle porzioni più emblematiche delle Prealpi Venete:
interessa il Feltrino, il Vicentino, il Bellunese ed in misura minore il Trevigiano costituendo
l’ultimo complesso montuoso che con andamento N-NO divide la Valle del Brenta da quella del
Piave prima della loro definitiva uscita nella Pianura Veneta.
Con una superficie di circa 400 Kmq, la sua
estensione massima in linea retta da SO a NE
è di circa 30 Km da Pove a Feltre, mentre è
di 23 Km da O a E, da Carpanè a Pederobba.
La sua orografia è in realtà decisamente
complessa, da Cima Grappa dipartono infatti
numerose dorsali che, calando in diverse
direzioni, ne aumentano notevolmente
l’estensione geografica.
Il massiccio sale abbastanza dolcemente da
nord, mentre è piuttosto brusco il contatto
con la pianura veneta a sud. Presenta le sue
maggiori sommità proprio in corrispondenza
del margine meridionale e prima fra tutte
Cima Grappa con i suoi 1775 m.
Questa particolare morfologia del terreno si
rivelò di grande importanza soprattutto
sull’andamento della battaglia difensiva
dell’inverno 1917, perché le possibilità di
osservazione e di tiro dalla Cima Grappa, collocata a 9000 metri dal Brenta e 12000 dal Piave erano
eccezionali e consentivano non solo di individuare le truppe austro-ungariche, ma anche di
interferire pesantemente sui loro movimenti e sulla loro rete logistica, del resto improvvisata su
terreni che ben poco si prestavano allo scopo per la mancanza di vie di accesso comode e carrabili.
Dalla dominante sommità del Grappa si diramano varie dorsali: verso est correndo tra val delle
Mure, val Calcino e la pianura, si stacca la dorsale costituita dal monte Boccaor, monte Meatte,
Cima della Mandria, monte Pallon, che discende rapidamente sul crinale del monte Tomba e
Monfenera dominando la conca di Alano e finendo in pianura presso Fener. Verso ovest si snoda la
dorsale monte Rivon - monte Coston, dal Col delle Farine all’Asolone, curvandosi verso nord-ovest
per Col della Beretta e Col Caprile per finire in basso verso sud-est con il dolce crinale dei Colli
Alti a Pove e Romano fra il Brenta e le valli di San Lorenzo e Santa Felicita. Da Col Beretta uno
sprone scosceso porta a Col Bonato, punto dominante, per arrivare fin quasi a Cismon.
Calando dalla Cima rocciosa del Grappa, detta anche “Nave”, verso settentrione un’altra dorsale si
scioglie attraverso il monte Pertica, il monte Prassolan e attraverso il Col Fredina (1309 m.) e il
Col di Baio, termina sul più imponente e settentrionale monte Roncone, dai cui declivi si perviene
alla Sella di Artèn, lasciando verso est la Val Stizzon. Da questa dorsale si staccano contrafforti
minori: tra il monte Pertica e Prassolan si nota verso ovest quello del Col dei Prai che fa da
sbarramento tra la val Goccia ad ovest e la val del Corlo ad est.
Sempre dalla cima si stacca poi in direzione nord-est il crinale che scende alla Croce dei Lebi,
proseguendo per monte Casonet, Col dell’Orso, i Solaroli, il Monte Fontanasecca, il Monte
d’Avien, il Peurna e curvando verso oriente il Sassumà, il Monte Santo e il Tomatico per calare
infine sulla conca di Feltre. Anche qui partendo dal Monte Santo si stacca verso sud una dorsale
secondaria che forma i Monti Tese e Cornella. Dai Solaroli poi si nota un ulteriore contrafforte che
si slega verso oriente, e passando per il Valderoa giunge fino alla Rocca Cisa, delimitando a nord
l’alta Val Tegorzo e a sud la Val Calcino.
Nella zona orientale un ulteriore crinale con origine in Col della Mandria si sviluppa verso il Monte
Medata (delimitando la valle del torrente Ornic), per terminare con il Monte Spinoncia. Verso sud
infine si stacca la dorsale a cime strapiombanti costituite dal Monte Meda, Monte Colmbera , Monte
Pala, Monte Legnarola e Monte Cornosega. Tale dorsale delimita a ovest la valle di Santa Felicita e
a est quella della Madonna. Dal monte Meda si scioglie verso ovest la dorsale dei Colli Vecchi e il
Monte Oro, delimitata dalla Val delle Foglie e da quella del Boscon.
L’ambiente
Il Monte Grappa è costituito
da rocce carbonatiche di
origine sedimentaria, frutto
della trasformazione in
roccia di detriti e di
materiale
organico
di
provenienza animale (gusci
e scheletri) e vegetale
(alghe e legno) sul fondo
del mare. Questi sedimenti
si sono accumulati a partire
da oltre duecento milioni di
anni fa e il processo è
proseguito fino a circa
trenta milioni di anni fa,
dopo di che il fondale
marino ha cominciato ad
essere spinto verso l’alto,
ad emergere fuori dall’acqua e ad innalzarsi creando le montagne. A partire da circa centomila anni
fa è iniziato il processo di erosione (ad opera soprattutto delle glaciazioni) e di modellamento della
montagna.
Le rocce carbonatiche sono rocce sedimentarie calcaree e dolomitiche formate da carbonati che
comprendono per la maggior parte
carbonato di calcio e carbonato di
magnesio.
Il carbonato di calcio a seconda
della sua età e della sua
combinazione con altri elementi
(silicio, magnesio…) si mostra
generalmente
stratificato
assumendo via via designazioni
differenti. Partendo così dal
fondovalle
della
Valbrenta
incontriamo la Dolomia principale
e salendo fino a circa 1000 m. il
Calcare grigio associato al Calcare
oolitico o al Calcare bianco.
Continuando l’ ascesa troviamo
uno strato tra i 10 e i 15 metri di
spessore di Rosso ammonitivo con
la caratteristica colorazione assunta
dalla presenza di noduli algali e
gisci marini rossastri, sopra cui si
estende lo strato di Biancone,
roccia chiara e friabile. Questa
successione si inverte nella parte orientale del Massiccio, dove si inseriscono anche formazioni
come la scaglia rossa e le marne di Possagno. Unicamente nel versante feltrino affiorano il Calcare
del Vajont e la Formazione di Igne
Il monte Grappa presenta quindi le caratteristiche tipicamente carsiche dovute all'attività chimica
dell'acqua non solo sui suoi declivi, ma anche all’interno della montagna.
Il carsismo si sviluppa principalmente a seguito della dissoluzione chimica delle rocce calcaree. La
corrosione avviene per opera degli agenti atmosferici, prima fra tutti l’acqua piovana che,
combinandosi con l’anidride carbonica presente in atmosfera, diventa sufficientemente acida da
intaccare la roccia calcarea, discioglierla, renderla spugnosa, fratturarla, fino a creare vere e proprie
voragini sotterranee. La pioggia viene assorbita dal terreno in profondità, per sorgere solo ai piedi
del Monte sui versanti sud e ovest in forma di fontanazzi, o dare vita a pochi torrenti di bassa quota
come lo Stizzon (valle di Seren), l’Ornic (valle di Alano) e il Tegorzo (valle di Schievenin) sui
versanti nord orientali. Tale fenomeno lascia quindi all’asciutto la montagna che rimane priva
d’acqua.
Ai fini della difesa in tempo di guerra questo è
un problema fondamentale e spiega la
rilevanza delle cisterne che gli italiani fecero in
tempo a costruire prima dell’arrivo delle
armate nemiche.
Eloquente che le valli che incidono il
Massiccio del Grappa siano prive di corsi
d’acqua perenni, il che, accanto alla carenza di
fonti, ha sempre inibito l’insediamento umano,
limitando la sua presenza oltre i 1000 metri al
pascolo del bestiame nei mesi estivi, quando i
montanari si trasferivano nelle malghe.
Abbastanza di frequente si incontrano anche i
cosiddetti “baiti” (ricoveri dei falciatori), e alle
altitudini più basse le tipiche “casère”,
costruzioni costituite in genere da una cucina, una camera, e una stalla con annesso fienile.
La copertura vegetale del piano montano è stata fortemente compromessa dal taglio indiscriminato
che si svolgeva nei secoli scorsi (legno da carbone, da opera, da ardere etc.) e dalle distruzioni
avvenute durante la prima guerra mondiale. Oggi abete rosso, faggio e larice sono le specie
maggiormente diffuse. Comuni anche l’acero di monte e il salice stipolato. Il maggiociondolo
cresce ai margini del bosco e spesso forma siepi che separano i pascoli, dove l’abbandono favorisce
la crescita di piante come il ginepro e le rose canine. Il sorbo degli uccellatori è spesso presente
presso le casere e le malghe, mentre qua e là si incontra il salice delle capre. Sotto i mille metri di
quota, specialmente nei versanti meno freddi,è diffusa la boscaglia di ornello, roverella nera e
carpino nero, a cui si aggrega occasionalmente l’acero di monte, il corniolo e la betulla. Alle quote
più basse troviamo anche specie legate alla presenza dell’uomo e alle sue attività, come l’albero di
Giuda, il cipresso, l’ailanto e qualche pianta da frutto come il castagno (nei versanti più freschi) e il
ciliegio. Molti anche gli arbusti come i biancospini, il pero corvino e la lantana.
LA VALLE di SEREN
Siamo nella Valle di Seren
del Grappa, una valle sul
versante settentrionale del
massiccio del Grappa, che
conserva
interessanti
particolarità paesaggistiche,
ambientali, naturalistiche e
storiche. La valle è percorsa
dallo
Stizzon.
Questo
torrente nasce nel massiccio
del Grappa e dopo una
quindicina di chilometri
fluisce nel Sonna e poi nel
Piave
poco
distante
dall'abitato di Feltre.
Nel centro della foto è
visibile la Cima di S.Mauro
di 1836m. separata dal
Gruppo delle Vette Feltrine
(sx) dalla Valle di S.Martino che culmina nella Forcella Scarnia (1598m.). Dietro la forcella appare
massiccio il Sass de Mur alto 2547m.
I nomi dei luoghi ricordano le famiglie che qui un tempo abitavano e che magari posseggono ancora
oggi un rustico, un campo o un bosco.
Pont Avien, in località Scariot, era un punto strategico fondamentale per le truppe austro-ungariche
durante la Grande Guerra; da qui partivano infatti i sentieri e le teleferiche che raggiungevano le
cime in cui si è tenacemente (ed inutilmente) combattuto nel 1918.
Le cime in questione sono quelle di Fontanasecca e dei Solaroli su cui oggi corre il tracciato
dell'Alta Via n.8 denominata anche Alta Via degli Eroi.
Difficilmente si potrà dimenticare quanto è accaduto quassù cent'anni orsono; troppo grandi sono
stati i sacrifici, le fatiche e le privazioni delle truppe che hanno combattuto sulle montagne per
meritarsi un bell'ossario sulla vetta del Grappa.
La conoscenza dei fatti storici, ci spinge a visitare questa valle, ma i fattori ambientali e antropici
stimolano ulteriormente l'interesse dell'escursionista sensibile e attento.
La montagna è percorsa da decine di sentieri tra muretti spesso traballanti, sentieri che sono
costellati da numerosi capitelli simbolo di una religiosità contadina d'altri tempi. Le immagini dei
santi sono ormai sbiadite, la storia è passata di qui, ma ormai è altrove.
Uno dei borghi più interessanti della valle è Col dei Bof, tipico agglomerato di costruzioni rurali
posto a 687m. di altitudine, adagiato su un colle in riva sinistra dello Stizzon; esposto a Sud - Est
gode di un clima favorevole protetto dai venti di tramontana.
In cima al paese è collocata la costruzione più interessante; è un Cason, una dimora di dimensioni
ragguardevoli, con un grande ballatoio (piol) rivolto a Sud e completa di fienile sul retro. Spessi
muri di sostegno proteggono lateralmente i balconi e le scale e sulla destra è presente il "fogolar".
L'intero versante del colle appare fiorito per l’antica abitudine degli abitanti di impiantare alberi da
frutta, in particolare ciliegi, piante robuste e rustiche in grado di sopravvivere ai rigori dell'inverno.
Molto importante era sicuramente anche la coltura della vite. Specie ben adattate al clima rigido del
feltrino come l'Americana detta anche uva fragola o fraga, il Bacò e il Clinton crescono dappertutto
e necessitano di pochi trattamenti. Danno un vino leggero di bassa gradazione, ma gustoso e
dissetante come il succo d'uva.
Molte case sono ormai in abbandono e con esse le casere, le ghiacciaie, i fojaroli tutte costruzioni
importanti nell'economia contadino-pastorale della valle. Il bosco poi, si è ripreso i pascoli e i prati
e questo significa anche una perdita della diversità biologica; fiori e insetti hanno bisogno del prato
per poter sopravvivere.
La causa è da ricercare nei cambiamenti economici venutisi a creare nel dopoguerra, nella durezza
della vita in montagna, nelle poche risorse economiche realizzabili, ma anche nel mancato sostegno
e incentivo pubblico che non ha tenuto conto del ruolo ecologico che il lavoro in montagna ha da
sempre svolto.
Sui prati di Pradazern compaiono i tipici fienili in lamiera di altezza regolabile; i più antichi hanno
internamente un ingegnoso telaio in legno.
Centro didattico ambientale malga Valpore
Sfruttando le vecchie strutture di malga Valpore di Fondo (m.1300), nel versante nord del Monte
Grappa, il Corpo Forestale ha operato un progetto di recupero restaurando ed adeguando la malga,
creando un centro didattico dedicato totalmente alla natura. La posizione è stupenda, una radura in
mezzo a bellissimi boschi, dalla quale si gode un ampio panorama sul feltrino e, verso sud, si
intravede la cima del Monte Grappa (m.1778). Da qui parte un interessante anello naturalistico che
raggiunge malga Valpore di Cima (m.1470) ed il Cason dei Lebi (m.1570) e si innesta nel più
ampio anello naturalistico attorno al monte Solarolo e a Cima Grappa. Nei pressi del centro
visitatori è stato ricostruito, su vecchie strutture esistenti, uno sfojarol, tipico edificio sfruttato in
maniera 'semipermanente' che un tempo punteggiava e caratterizzava inconfondibilmente tutta la
vallata di Seren. Più che una costruzione è un'opera d'arte di valore assoluto, frutto di un millennio
di esperienza ed intelligenza umana.
Un capolavoro assoluto di bio-tecnologia perfettamente integrato nell'ambiente naturale, costruito
sfruttando solamente le materie prime che il bosco offre.
E' una tipologia costruttiva particolarmente funzionale allo sfruttamento semipermanente delle
risorse montane e all'allevamento del bestiame al pascolo.
Nucleo dell'insediamento è il cason, abitato da aprile a novembre e la funzione principale era di
stalla con fienile, alla quale si accompagnavano numerosi altri manufatti funzionali alla lavorazione
del formaggio e ad un tenore di vita di pura sopravvivenza.
Il cason ha pianta rettangolare di circa 6 metri x 8 metri di lunghezza con muri portanti in pietrame
di calcare, preferibilmente biancone, a secco o con malta magra di sabbia reperita in loco. Veniva
costruito perpedincolarmente ad un pendio, quindi in parte seminterrato, con l'ingresso principale
della stalla a valle, generalmente affiancato con due piccolissime finestrelle di aereazione. Nella
parte posteriore una porta permetteva l'accesso al fienile della parte superiore, ad esso si accedeva
direttamente se la pendenza portava la porta al livello terreno, oppure tramite un ponte di assi in
legno. Ai lati non esistono aperture, ma spesso venivano appoggiati altri manufatti secondari, quali
il puner.
La parte più caratteristica, e straordinaria, di queste costruzioni è comunque il tetto, fatto di
ramoscelli e foglie di faggio ('foja' da cui il nome), una magia efficentissima.
L'inclinazione della falda è di 60 gradi, questo permetteva lo sfruttamento del sottotetto come
fienile, ma soprattutto è l'inclinazione ottimale per l'intreccio del materiale vegetale con cui era
costruito e per salvaguardarlo dai fenomeni di dilavamento.
L'orditura principale è formata da coppie di travi d'abete (tipicamente otto) chiamate cavai (cavalli)
immaschiate alle corrispondenti travi orizzontali, appoggianti sulla muratura, che fanno da soffitto
per la stalla e da pavimento per il fienile. In questo modo si ha una serie di triangoli perfettamente
equilateri molto solidi, ma senza alcun architrave di volta. Veniva quindi posta l'intelaiatura per il
mazol, la tipica protuberanza sopra la porta d'ingresso e spesso anche sulla porta del retro del
fienile, vero capolavoro d'arte di design e funzionalità, il foro sottostante serve per permettere
l'aereazione dell'interno e al tempo stesso lo sbalzo fa da riparo per la porta.
Per fissare le travi del tetto e permettere il riparo dei muri, vengono poste su tutto il perimetro
murario delle grandi laste di calcare rosso, inclinate verso l'esterno, servono come base per la
partenza della copertura vegetale, avevano quindi anche una funzione di 'grondaia'. Quindi è la
volta dell'orditura secondaria, formata quasi esclusivamente da polloni di faggio di 6-10 cm.
chiamati latole o atole, squadrati alla buona e curvati a fuoco e vapore, fissati orizzontalmente alle
travi dell'orditura principale alla distanza tipica di 20 cm. l'un l'altro.
A questo punto è la volta della copertura vegetale fatta di teneri ramoscelli con foglie di faggio,
certamente il lavoro più impegnativo e delicato che poteva richiedere anche un quindicina di giorni
e al quale partecipavano numerose persone o addirittura l'intero vicinato e veniva coordinato da una
persona specializzata di grande esperienza, il casonaro. Si aspettava la luna calante di agosto,
quando il faggio è al culmine della fase vegetativa e allo stesso tempo le foglie non sono ancora
indurite e non iniziano a seccare. Venivano raccolti preferibilmente i giovani ramoscelli della
gettata dell'anno, ma se non erano sufficienti si raccoglievano anche rami con più anni. La
lunghezza dei rami raccolti è di un metro, quindi legati (con spago o stropei naturali di nocciolo o
viburno) a mazzetti di 30 cm. di diametro e appoggiati accuratamente a terra con la pagina superiore
della foglia verso il basso in attesa di essere trasportati al luogo della costruzione.
Per la posa in opera della copertura si potevano seguire due tecniche differenti, la prima necessitava
di maggiore manodopera immediata: si procedeva alla posa dei mazzi mano a mano che venivano
raccolti. Venivano sistemati gli uni sugli altri, con le punte rivolte all'esterno procedendo a file via
via convergenti verso il colmo appoggiandole sulle mede orizzontali, il maggior spessore del gambo
all'interno faceva si che fossero inclinate verso l'esterno per permettere il facile scorrimento
dell'acqua piovana. Sul colmo del tetto venivano poste cortecce d'albero o, più recentemente, una
lamiera per sigillare il colmo. Il tutto si risolveva in una quindicina di giorni. Nella seconda tecnica
si procedeva con più tranquillità con la possibilità di suddividere il lavoro in varie fasi per le quali
poteva bastare un esiguo numero di persone, ma richiedeva una lunga preparazione in cui i mazzi
venivano messi a stagionare per tutto l'inverno, quindi sistemati, con minore fretta, nella primavera
successiva.
Il tetto era perciò composto da almeno una ventina di mede orizzontali per falda, ognuna delle quali
richiedeva almeno 250 mazzi di rami con foglie, il tetto veniva a pesare alla fine circa 120 quintali.
Una volta posto in opera avveniva una trasformazione biologica, subiva cioè un processo di
fermentazione che lo rendeva una massa perfettamente compatta ed indistinta ed estremamente
resistente agli agenti atmosferici, ma corpo vivo che respira, traspira ed isola perfettamente
dall'esterno. La durata del manufatto poteva superare tranquillamente i 50 anni, ed è indicata
mediamente in 80 anni, cioè l'arco di vita di una persona, è una durata straordinaria considerando
l'apparente fragilità della struttura.
Altri annessi rustici legati all'attività di pascolo e sfruttamento del bosco
Oltre al cason principale adibito a stalla e parzialmente e temporaneamente anche a dormitorio,
esistevano, annesso allo stesso o nelle immediate vicinanze, anche altre strutture funzionali alla
permanenza temporanea in quota nel periodo della monticazione e lo sfruttamento strategico per il
resto dell'anno:
• cason del fogo - staccato dalla costruzione principale per preservarla da eventuali incendi,
serviva per la lavorazione del latte, la preparazione del formaggio ed anche per la cottura dei
cibi. Era una struttura di modeste dimensioni, pressochè integralmente costruita con
pietrame a secco, generalmente con copertura a laste di pietra, non vi era il camino ed il
fumo usciva dall'apertura della porta o da piccoli fori o finestrelle.
• cason d'aria - serviva per il deposito temporaneo del latte in attesa della lavorazione. Era
fatto da quattro pilastri in pietrame a secco e copertura a fojarol, mentre perimetralmente era
chiuso con una fittissima serie di pali di legno o assi semilavorate, per le abbondanti fessure
circolava liberamente l'aria, ma al tempo stesso non permetteva l'introduzione di animali. Si
trovava in posti molto freschi e ombrosi o tra il bosco.
• giazzera - a pianta circolare quasi interamente scavata nel terreno anche per una profondità
di 3 o 4 metri, mentre la parte emergente, sempre circolare, aveva un piccola porticina ed un
foro sul retro. Il tetto generalmente era a fojarol, ma a volte anche a laste di pietra. Per il
foro sul retro, all'inizio di primavera, veniva introdotta la neve raccolta nei dintorni prima
del disgelo a riempire (veniva anche opportunamente compressa pestandola) fino al livello
della porta il pozzo. Sopra la neve venivano disposte fogliame e assi di legno a formare un
pavimento mobile, su di esso veniva disposto il burro ed il formaggio ed il cibo deperibile,
la neve si scioglieva pian piano durante l'estate ed il livello del pavimento si abbassava
costringendo all'uso di una scaletta sempre più lunga per entrare.
• speloncia - è una variante di utilizzo della giazzera, veniva costruita in muratura a secco e
copertura a laste, sfruttando il più possibile eventuali cavità naturali. Era preferita alla
giazzera nei posti già naturalmente più ombrosi o disposti nel versante nord.
• casarina - piccolo locale in muratura adiacente alla cucina, adibito a magazzino di
stagionatura del formaggio, che richiedeva continue operazioni di salatura e rivoltamento.
• puner - pollaio generalmente a forma di piccola casetta in legno o in pietrame a secco e
copertura a laste, quasi sempre appoggiato al cason principale adibito a stalla. Una
costruzione simile serviva a volte anche come stalla per il maiale.
Caratteristiche antropologiche dell'economia montana dell'area Feltrina del Monte Grappa.
Si trattava di una tipica economia di sostentamento improntata all'autosufficienza, con scambi
commerciali minimi. Quasi tutto veniva prodotto in loco sfruttando ed integrandosi in maniera
straordinaria con le risorse naturali che il territorio offre. Si esportavano prodotti del bosco quali
legname, carbone, castagne e qualche capo di bestiame da portare alle annuali fiere in città e si
importavano utensili, vestiario, vasellame, sale, zucchero e un po' di mais ad integrare il misero
raccolto sui terrazzamenti più a bassa quota, serviva per la preparazione della polenta, alimento base
della cucina veneta e trentina.
La valle di Seren è la più tipica per questo tipo di economia rurale, è una valle che penetra
profondamente all'interno del massiccio del Grappa, ma è caratterizzata da pendii molto ripidi e da
zone di pascolo a quote relativamente elevate. Era quindi necessario un ciclo stagionale che
comprendeva lo svernamento in fondovalle e lo sfruttamento estivo dei pascoli in quota.
Vi erano tre zone di sfruttamento e abitazione:
• la zona delle abitazioni permanenti, tipicamente in fondovalle e comunque non oltre i 700
metri di quota, ma su colli soleggiati. E' caratterizzata da nuclei abitativi compatti a formare
veri e propri paesi o contrade dalla caratteristica architettura alla feltrina con terrazze
balconate a poggiolo che servivano anche per l'essicatura del mais, strutture murarie a 2 o 3
piani con vani unici, sviluppate in altezza. Al pian terreno vi erano le stalle e/o ricoveri per
attrezzi con volta del soffitto a botte massiccia, mentre i piani superiori il pavimento è a
travature di legno. Le case erano costruite in pietrame con malta o anche in mattoni,
intonacate accuratamente, ed il tetto, che originariamente era in paglia, a scandole, coppi o
lamiere. La vita si svolgeva prevalentemente all'aperto e alla sera ci si riuniva per i filò nelle
stalle, mentre la cucina era riservata solo alla preparazione formaggio e la cottura del cibo e
originariamente non prevedeva nemmeno il camino, perciò il fumo usciva dalle finestre o da
appositi fori. Il caminetto detto larin era una struttura, addossata al retro della casa, con un
focolare per la cottura della polenta e panche tutt'attorno, ma era una cosa da siori, da ricchi,
ed esisteva sulle abitazioni di più pregio. Le varie contrade erano collegate tra loro, o alla
chiesa su cui gravitavano, da una fitta rete di buoni sentieri e comode mulattiere.
• la zona delle dimore semipermanenti, tra i 600 ed i 1200 metri di quota. Certamente, sotto
il profilo della specificità e dell'interesse architettonico, la più interessante di questa zona
delle prealpi. I casoni caratterizzano in maniera unica i versanti settentrionali del Monte
Grappa e si sviluppano in una varietà di forme e soluzioni geniali a testimonianza della
ricchissima vivacità della povera cultura contadina abituata a fare della necessità virtù. E'
una variante perfettamente integrata nell'ambiente montano del casone della pianura veneta,
una forma di costruzione primitiva ma efficientissima che ha prodotto una cultura durata
almeno 1500 anni. Il cason con copertura a fojarol (o sfojarol) era allo stesso tempo stalla,
fienile e dormitorio, in una integrazione totale tra uomo, animali e lavoro. Una forma di
sopravvivenza che non poteva esistere senza l'integrazione con le dimore permanenti e più
confortevoli a bassa quota, era una sistemazione 'provvisoria' funzionale al lavoro, ma che
alla fine veniva sfruttata per quasi tutto il tempo dell'anno e al tempo stesso avamposto,
magazzino e fienile per le necessità di sopravvivenza dei duri mesi invernali a bassa quota.
• la zona delle dimore temporanee, oltre i 1200 metri di quota. Si tratta di strutture adatte
alla permanenza in quota nel periodo estivo e legate all'attività di pascolo dei bovini ('cargar
montagna'). Tipicamente sono malghe o casare in solida struttura muraria con numerosi
annessi per la preparazione del formaggio e prodotti complementari lavorati direttamente in
loco. Prevalentemente non erano edifici privati, ma di proprietà collettiva (Comune o
Comunità Montane) e date in affitto.
Seren del Grappa
Seren del Grappa è inserita nella Valle dello Stizzon, zona che prende il nome dal fiume che scende
verso Feltre e contribuisce assieme al corso d’acqua del Colmeda a formare il Piave. Oltre
all’abitato principale il comune si divide in 3 borghi più piccoli: Rasai, Caupo e Porcen. Il paese
offre numerose possibilità di escursioni, alla scoperta del territorio famoso per essere stato luogo
dove si è consumata la tragedia della Prima Guerra Mondiale e dove un tempo numerosi erano i
pascoli e i boschi così come le antiche abitazioni costruite dalla gente di montagna.
In origine il paese era denominato solo “Seren” ma dal 1923 in ricordo delle sofferenze e delle
perdite subite per la Prima Guerra Mondiale sul fronte del Monte Grappa si decise di aggiungere il
resto dell’odierno nominativo. Lo storico luogo di combattimento tra l’esercito italiano e austriaco
si trova infatti poco distante e alcuni percorsi specifici danno la possibilità di visitare i resti delle
trincee, delle gallerie e delle postazioni tuttora visibili. Per commemorare la tragedia è stato aperto
nel centro del paese anche un Museo Fotografico che conserva il ricordo della devastazione del
territorio del Grappa durante la Grande Guerra: oltre ai numerosi reperti bellici sono esposti anche
frammenti di oggetti personali.
Interessanti passeggiate sono quelle verso i tre abitati di Rasai, Caupo e Porcen ovvero le
diramazioni del nucleo principale del paese. Ogni frazione conserva la propria chiesa: Rasai ha la
chiesa intitolata a S. Martino, la cui origine si pensa risalga al XIV secolo, ricostruita nel 1839
dall’architetto Segusini; Caupo vanta una di quelle più antiche del feltrino, dedicata ai Santi Vito e
Modesto, ricostruita negli anni 20 su un area più elevata dell’originale dopo che quest’ultima era
stata spazzata via dallo straripamento del fiume Stizzon; infine Porcen che possiede all’interno della
chiesa di S. Maria Maddalena alcune opere del XV e XVI secolo eseguite da Jacopo da Valenza e
da Giovanni di Francia.
La cucina tipica della zona di Seren del Grappa è basata su ingredienti poveri chiamati così perchè
un tempo venivano consumati da tutti gli abitanti essendo gli unici reperibili ed accessibili ad
ognuno. Oltre alla classica polenta di mais “sponcio” a deliziare i buongustai ci pensano i funghi, i
fagioli, la selvaggina, il miele, le noci e naturalmente i famosi marroni. Il paese infatti assieme ad
altri comuni del feltrino partecipa alla tutela del frutto autunnale per eccellenza, la castagna,
proponendo la sempre attesa Festa dei Moroni (termine dialettale) del mese di Ottobre: oltre a
regalare deliziose degustazioni delle varie forme di utilizzo di questo frutto in cucina, permette di
risanare i castagneti della zona valorizzando il territorio a scopo turistico.
Il territorio comunale di Seren del Grappa si estende quasi totalmente sui due versanti della lunga e
profonda valle dello Stizzon; è pertanto un territorio montuoso, in cui appaiono pianeggianti solo il
fondovalle e la zona della campagna, dove la valle stessa sbocca nella conca feltrina. Perno e
cerniera di entrambi i versanti è il massiccio del Grappa (1776 m).
Alle quote più alte, e soprattutto in prossimità del Grappa, si aprono tra i boschi vaste conche
prative di origine glaciale, destinate da tempi remoti all'alpeggio: le malghe. Esse testimoniano la
vocazione agricola e silvo-pastorale del territorio serenese. Gli edifici che vi si trovano,
caratterizzati dal tetto a "sfojarol" realizzato con frasche di faggio intrecciate e fissate secondo una
secolare modalità, sono i testimoni ormai muti della cultura montanara.
Gli edifici rustici, i ruderi, a volte solo i toponimi ricordano che qui si facevano il fieno, il carbone, i
prodotti caseari, la calce, la lana per la tessitura e il legname da costruzione, mentre i corsi d'acqua
permettevano il funzionamento di segherie, di mulini, di magli...
Altri resti, altri segni documentano invece la Prima Guerra Mondiale e il Monte Grappa, con le
borgate e i paesi circostanti, ne riecheggia l'epica. Gli eventi per il Massiccio cominciarono nel
novembre del 1917, in seguito alla ritirata di Caporetto. Allora il monte divenne il bastione
principale delle linee italiane, in quanto nodo di congiunzione tra il fronte degli Altipiani e quello
del Piave. La battaglia finale si scatenò nell'ottobre del 1918 tra il Pertica e il Prassolan e vide
l'Armata del Grappa costringere le forze avversarie alla definitiva ritirata. Le salme dei soldati
caduti, raccolte dapprima in numerosi cimiteri da campo, vennero deposte nel monumentale
Cimitero Ossario di Cima Grappa, assurto in tal modo non tanto a esaltazione della guerra, quanto
piuttosto a incitamento alla concordia e alla pace.
Il Grappa ricorda anche la Resistenza, una lotta duramente pagata come denunciano i tremendi
rastrellamenti del settembre 1944 e le successiva sistematica distruzione di tutti i casolari della
vallata da parte dei nazi-fascisti.
Oggi il Grappa vuol dire soprattutto ambiente. Un piano d'area protegge e valorizza paesaggi
inestimabili e bellezze naturalistiche di primaria importanza. L'opera secolare dell'uomo ha curato e
garantito la salvaguardia di un monte che oggi permette splendide passeggiate, affascinanti
escursioni tra l'eco di eventi storici e tradizioni alpestri e la testimonianza di una natura
sostanzialmente integra e ricca di una flora e una fauna di estremo interesse.
I paesi sono ordinati e quasi totalmente rinnovati, ma non mancano nei vecchi cortili certi scorci di
case che ripropongono i moduli tradizionali: le facciate a sassi, la scala esterna, i poggioli in legno.
Si trovano nel territorio del Comune di Seren del Grappa interessanti testimonianze artistiche,
conservate soprattutto negli edifici sacri, ma degne di nota sono anche quelle forme di "arte
minore", quali le croci, le edicole, i capitelli affrescati, spesso di pregevole fattura, che costellano i
paesi, i borghi montani, i sentieri.
Il territorio
Il territorio feltrino comprende la parte occidentale della valle del Piave che con pendii si salda alle
pendici delle montagne (massima elevazione è la cima dolomitica del Sass de Mura, m 2550) che
costituiscono una zona di contatto tra l'area dolomitica e quella prealpina. Gran parte del territorio
alpino, unitamente alla zona umida di Celarda lungo la sponda destra del Pieve, è costituito in
riserve naturali per l'alto valore floristico, biologico e paesaggistico. La parte occidentale dell'area,
confinante con la Valsugana, gravita attorno al bacino del torrente Cismon tra gli altipiani di Lamon
e di Sovramonte. Fatta eccezione per i centri principali posti a fondovalle (Feltre, Santa Giustina,
Fonzaso, Arsié, ecc.) o sui terrazzi (Lamon, Sovramonte), gli insediamenti minori sorgono lungo la
fascia pedemontana soleggiata.
La città
Centro principale del territorio feltrino è la
città di Feltre (325 m), situata ad occidente
del fiume Piave e alle pendici delle
Dolomiti e, più in particolare, delle Vette
Feltrine, chiusa a sud dal Monte Tomatico
che domina imponente la Val Belluna.
Attorno all'insediamento storico più antico
della città, aggrappato sulle pendici di un
colle (denominato "Colle delle Capre"), si
sviluppano i quartieri più moderni.
Storia
Le origini e l'età romana
Secondo Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, III,130), l'antica Feltria fu fondata dai Reti (oppido
retico) con le città di Trento e di Verona. Discusso il toponimo: taluni lo avvicinano alla lingua
etrusca (Felthuri, cioè città di Fel) osservando un'assonanza con Velhatre (Velletri).
Gradualmente romanizzata, Feltria divenne municipium optimo jure e in età imperiale conobbe un
notevole sviluppo economico ed urbanistico. Fondamentale la vicinanza all'importante Via Claudia
Augusta, strada che da Altino, sulla Laguna Veneta, portava, attraverso Trento e il Brennero, fino
ad Augusta Vindelicum (l'attuale Augusta, in Baviera).
Nel tardo impero la diffusione del cristianesimo permise la fondazione della diocesi feltrina con una
prima cattedrale. Si fa tradizionalmente risalire a San Prosdocimo di Padova l'evangelizzazione
della zona.
Il medioevo
La crisi e la fine dell'Impero Romano d'Occidente, con le invasioni degli Unni e dei Goti fecero
decadere la città. Durante il dominio dei Longobardi Feltre fu aggregata al ducato di Ceneda. Di
quel periodo restano tracce nella denominazione del maniero che sovrasta la città detto "Castello di
Alboino" e nel toponimo della frazione di Farra (dal germanico Fara, "accampamento"). La città fu
in seguito dei Franchi di Carlo Magno che le restituirono un ruolo di centralità territoriale e di
autonomia, quindi passò al successore di Carlo, Berengario re d'Italia.
Da questo periodo sino al XIV secolo, si affermò sempre più il potere episcopale, in modo
particolare da quando con la dinastia Ottoniana i vescovi furono elevati al rango di conti. A Feltre il
vescovo era a capo di un comitatus (una contea) piuttosto esteso e comprendente oltre al Feltrino
attuale (esclusi alcuni centri posti a sud, ricadenti nella pieve di Quero a sua volta compresa nella
contea dei Collalto), anche le valli del Primiero, del Tesino e della Valsugana sino a Pergine.
Durante il XIII e il XIV secolo Feltre fu coinvolta nelle tragiche vicende legate alla signoria dei Da
Romano (con il noto Ezzelino), finendo infine sotto il potere dei Da Camino. A questi seguirono i
Carraresi, dal 1315 al 1337, gli Scaligeri di Verona e, infine, i Visconti di Milano.
La Serenissima
Nel 1404, alla morte del duca di Milano Giangaleazzo Visconti, Feltre, non potendosi più difendere
da sola dalle mire dei Carraresi, preferì seguire l'esempio di Vicenza e sottomettersi al dominio
della Repubblica di Venezia (fatto tutt'ora ricordato con il palio locale). L'età veneziana assicurò ai
feltrini, salvo qualche breve parentesi, uno stato di pace e di prosperità. Tuttavia nel 1509, nel corso
della guerra cambraica, la città fu quasi interamente distrutta dalle truppe dell'imperatore
Massimiliano I che, a capo della Lega di Cambrai, scese in Italia per combattere la Serenissima. Al
termine del conflitto, dopo quello che è ancor oggi ricordato come "l'Eccidio di Feltre", la
ricostruzione trasformò Feltre in un unicum architettonico ed urbanistico, ben delineato dai canoni
estetici e culturali del Rinascimento.
Dal Seicento si ebbe però un'evidente decadimento della città. La crisi veneziana si riverberò anche
sulla plaga feltrina, le produzioni locali di lane grezze, di legno e di ferro entrarono in una fase
critica, con un conseguente malessere economico. Rimase un'agricoltura povera e insufficiente a
sostenere il reddito generale del territorio.
Nel 1729 Feltre ebbe Carlo Goldoni impiegato come coadiutore della Cancelleria. Goldoni era
allora ancora ben lontano dall'essere il celeberrimo maestro e riformatore del teatro, ma si mostrava
con tutta evidenza già interessato alla scena e agli attori, cominciò dunque a Feltre la stesura di
alcune delle sue opere, fra le quali La cantatrice.
L'Ottocento
Nel 1797, caduta Venezia, il Feltrino fu invaso dai francesi di Napoleone e amministrato dalla
fazione democratica; risale a quegli anni la scalpellatura delle lapidi venete i cui testi, resi
illeggibili, si vedono ancora sulle facciate delle case patrizie nella città vecchia. Occupata dagli
Austriaci nel 1798, in seguito al trattato di Campoformido, Feltre entra a far parte del Regno Italico
con capitale Milano.
Dopo il Congresso di Vienna, nonostante la tendenza a ristabilire secondo il principio della
legittimità dinastica lo status quo ante Napoleone, non fu ricostituita la disciolta Repubblica di
Venezia, Feltre entrò invece a far parte del Regno Lombardo-Veneto, soggetto all'Impero d'Austria.
Vi rimase fino al 1866, anno della sua annessione al Regno d'Italia e del cosiddetto plebiscito.
Il Novecento
Gli austriaci tornarono con la Grande Guerra dopo la rotta di Caporetto (9 novembre 1917),
colpendo duramente la città e rimanendovi sino alla fine del conflitto.
Il 19 luglio del 1943, in piena Seconda guerra mondiale, avvenne il famoso Incontro di Feltre tra
Benito Mussolini ed Adolf Hitler. L'incontro si tenne in verità a Villa Pagani Gaggia, presso San
Fermo di Belluno, a diversi chilometri dalla città, ma i due capi di Stato fecero la loro apparizione al
balcone - oggi smantellato - dell'allora esistente Caffè Grande prospiciente Largo Castaldi. Fu
l'ultimo atto di Mussolini quale capo del governo del Regno, che cadrà pochi giorni dopo, il 25
luglio. La cittadina fu occupata dai tedeschi quattro giorni dopo l'armistizio: Feltre venne assediata
e, insieme alla Provincia di Belluno, annessa all'Alpenvorland sotto il comando del Terzo Reich.
Il territorio feltrino fu un'importante zona operativa delle formazioni partigiane organizzate nel
Battaglione "Zancanaro" della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci (Feltre).
Molti feltrini pagarono con la propria vita la loro attività antifascista. Nella "Notte di Santa Marina"
del 19 giugno 1944 furono uccisi il colonnello Angelo Giuseppe Zancanaro, il figlio Luciano, Pietro
Vedrami, Roberto Colonna e Oldino De Paoli, e duramente malmenati presso il Seminario don
Giulio Gaio e don Candido Fent. L'attività partigiana nel Feltrino è ben espressa dalle parole di un
ufficiale delle SS: "Feltre è la città che più ci dà da fare di tutta la Provincia, dove l'opposizione
all'autorità, e l'attività partigiana, sono più salde e decise".
Nel 1986 la diocesi di Feltre, nonostante gli accorati appelli del mondo laico e di quello religioso, fu
unita alla diocesi di Belluno nella nuova circoscrizione ecclesiastica di Belluno-Feltre.
Feltre è stata insignita della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue
popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.
Chiese e palazzi
Teatro della sena
Il primo piano del Palazzo della Ragione è
occupato da un Salone, ideato in origine per
accogliere le riunioni del Consiglio. Sembra
tuttavia che, a causa delle grandi dimensioni del
locale,
che
non
consentivano
un
sufficiente riscaldamento durante i rigidi inverni
feltrini, la sala non sia mai stata usata per lo scopo
cui era destinata. Nel 1684 il Salone fu destinato a
pubblico Teatro e furono fatti costruire i palchetti
per assistere alle rappresentazioni. Nel corso del
Settecento fu costruito un terzo ordine di palchi, fu
eseguiti restauri. Nel periodo 1729-30, il Teatro di
Feltre ospitò il commediografo Carlo Goldoni, che
qui compose e rappresentò, recitando egli stesso con una compagnia di filo drammatici feltrini, due
intermezzi in versi, "Il buon vecchio" e "La cantatrice". Nel 1769, un fulmine si abbattè
sull'edificio, provocando la morte di cinque persone e gravi lesioni alla costruzione. Il teatro rimase
chiuso fino al 1797 ma, proprio quando si decretava la sua riapertura, si riversarono sulla città le
truppe napoleoniche, coinvolgendola nella vicende che condussero alla caduta della Serenissima.
Nel 1802, sotto il governo austriaco fu contattato l’architetto veneziano Gianantonio Selva,
progettista della "Fenice" di Venezia e del "Teatro nuovo" di Trieste. Il Selva presentò un progetto,
che fu realizzato terminando i lavori nel 1813. Nel 1843 il professor Tranquillo Orsi,
dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, realizzò le decorazioni della sala e dipinse il nuovo sipario.
L'attività del Teatro della Senna si svolse fino al 1927, anno in cui fu chiuso per motivi di sicurezza.
Nel 1966 la sezione di Feltre di "Italia Nostra" presentò una dettagliata proposta di restauro.
Museo civico
Nel 1903 Antonietta Guarnieri Dal Covolo dona alla città
una serie di manufatti d'arte popolare e artigianato sacro. E'
questo il primo nucleo di opere del Museo Civico di Feltre,
che trovano una sistemazione all'interno del palazzo
Comunale. Successivamente, nel 1921, la stessa
Guarnieri Dal Covolo dona l'attuale sede del Museo, il
palazzetto Villabruna, sito nel centro storico della città. Le
raccolte del Museo si arricchiscono nel 1924, quando la
Curia concede in deposito la preziosa pinacoteca del
conte Jacopo Dei, e nel 1927, quando dalle Gallerie
dell'Accademia di Venezia viene inviata, sempre in
deposito, la pala di Zermen di Cima da
Conegliano. Allestito da Alberto Alpago Novello e Mario
Gaggia, il Museo viene ufficialmente inaugurato nel
1928. Con gli anni le raccolte si arricchirono di opere
grazie alla magnanimità di donatori locali. Tutto il
materiale venne nuovamente sistemato a cura di Francesco
Valcanover, nel 1954.
Galleria d'arte moderna Carlo Rizzarda
La Galleria d'Arte Moderna "Carlo Rizzarda" nasce per volontà testamentaria di Carlo Rizzarda,
uno dei più importanti artisti del ferro battuto dei primi anni del Novecento. Nato a Feltre da
famiglia povera, Rizzarda cominciò molto giovane la propria attività di fabbro seguendo nel
frattempo corsi serali di disegno. Nel 1904 Rizzarda si trasferì a Milano, per seguire i corsi della
Scuola Umanitaria divenendo apprendista di Alessandro Mazzucotelli, noto artista del ferro battuto.
Nel 1911 aprirà un'officina in società con Giuseppe Bernotti. Le Biennali di Monza sanciranno il
successo di Carlo Rizzarda, che dal dopoguerra in poi riceverà importanti commissioni dal Nord
Italia e anche dall'estero. In occasione dell'inaugurazione del Museo Civico, nel 1928, Rizzarda
espresse al podestà l'intenzione di donare alla propria città natale un museo di arte moderna. A tal
fine acquistò e fece riordinare il Palazzo Cumano,
residenza cinquecentesca nel centro storico, e
cominciò ad "impreziosire" con firme importanti
la sua già nutrita collezione artistica. Alla sua
morte, sopravvenuta improvvisamente a causa di
un incidente stradale, il Comune di Feltre ereditò,
il palazzo e tutti i ferri battuti depositati presso la
villa milanese dell'artista, nonché la sua
collezione d'arte. Allestita, per espresso volere
testamentario di Rizzarda, dall'architetto Alberto
Alpago Novello, la Galleria venne inaugurata nel
1938. E’ visibile al pubblico il solo museo dei ferri
battuti, una raccolta unica nel suo genere in Italia e
prestigiosa
anche
a
livello
internazionale. L'originario nucleo di opere si è
arricchito con alcune importanti acquisizioni, quali
il Cancello dei Gladioli di Alessandro Mazzucotelli e una cancellata veneziana di Umberto
Bellotto. La Galleria con il suo notevole interesse museale, rappresenta un caso unico non solo nella
Provincia di Belluno ma in tutta la Regione Veneto.
Chiesa di San Giacomo
La chiesa sorse, presumibilmente agli inizi del XV
secolo, sul tracciato delle mura medievali. Si tratta
di un edificio semplice, a navata unica, che quasi
nulla conserva del suo aspetto originario. L'edificio
fu arricchito alla fine del Quattrocento (1480-81)
da
alcuni
interventi
pregevoli.
Tra
questi l'esecuzione dello splendido portale lapideo
"a candelabre" di stile lombardesco, molto simile a
quello della chiesa di San Lorenzo (Battistero),
e della lunetta affrescata sovrastante. La lunetta,
che raffigura una "Madonna con Bambino tra San
Giacomo e San Vittore", è di scuola vivariniana ed
è una delle più antiche testimonianze affrescate
della città, sopravvissuta all'incendio e alla distruzione che coinvolsero Feltre nel 1509-10, durante
la guerra della Lega di Cambrai contro Venezia e i suoi alleati. La chiesa subì una radicale
trasformazione verso la metà dell'Ottocento, quando, su progetto dell'architetto Seguisini, interno ed
esterno furono rifatti secondo canoni neo-classici; i lavori di ristrutturazione, necessari per le
condizioni dell'edificio, furono eseguiti dal 1856 al 1865. Nel 1877 l'architetto Berton progettò la
nuova facciata, salvando il prestigioso portale e l'affresco. In questa occasione il pittore G.
Sommavilla eseguì il grande lunettone dipinto sulla facciata, raffigurante San Giacomo. Nel 1947,
sotto il presbiterio, fu ricavata la cripta dedicata a Santa Rita da Cascia. All'interno sono conservate
una tavola cinquecentesca di autore ignoto, raffigurante una "Madonna con Bambino e Santi";
un'urna lignea, detta "Custodia di Santa Teodora", scolpita da A. Brustolon nel 1695 per le monache
del soppresso convento di San Pietro in Vinculis e qui trasportata nel 1807; un altare barocco in
marmo, proveniente dal distrutto monastero di Santa Chiara; un grande Crocifisso ligneo
proveniente, secondo le cronache locali, da un altro monastero soppresso: quello francescano di S.
Spirito.
Palazzo de Mezzan
Il Complesso edilizio del palazzo della nobile famiglia
De Mezzan occupa una vasta area di fronte al
Vescovado Vecchio. In epoca tardo-medievale, l'area
su cui sorge doveva appartenere al recinto fortificato
della sede vescovile; l'attuale fabbrica sorge a ridosso
delle mura di cinta settentrionali della città, inglobate
fisicamente nel prospetto nord del palazzo. La
costruzione del complesso si deve a Nicolò De Mezzan
e al fratello Gerolamo ed è stata eseguita nei primi anni
del Cinquecento. Il palazzo De' Mezzan si nota per la
sua morfologia inconsueta nel tessuto edilizio feltrino:
il fronte sud, arretrato rispetto al filo stradale, forma una
corte semi privata protetta da un muro. La quinta è impreziosita dal piccolo oratorio di S. Gaetano,
il santo di famiglia, che si apre verso la strada. Il prospetto sud del palazzo si presenta nella
sua veste ottocentesca con il motivo centrale di un portico a quattro fornici, contornato da bugnato
rustico. Dello stesso periodo sono anche una serie di decorazioni a fresco che ornano alcuni degli
ambienti interni.
Palazzo Tomitano
Il Monte di Pietà di Feltre fu eretto a partire dal 1542 accorpando tre
lotti medievali, grazie al lascito testamentario del mercante
Andrea Crico, proprietario del palazzetto in piazzetta Trento e
Trieste. Gli edifici preesistenti, inglobati nella nuova costruzione,
ospitavano l'antico Fondaco delle Biade e un "privato ritiro di soli
dieci religiosi". La costruzione fu abbellita, all'esterno, con una
ricca decorazione a graffito che, tra partiture architettoniche,
accoglie tre riquadri policromi raffiguranti rispettivamente "Cristo
in pietà", "S. Francesco che riceve le stimmate" e una "Madonna in
trono con il Bambino e due angeli". Sul retro si intravede ancora il
simbolo del Beato Bernardino Tomitano, fondatore dei Monti di Pietà, con il monogramma di
Cristo IHS entro un sole raggiante. Purtroppo lo stato di conservazione di tutta la decorazione è
pessimo. All'interno, nell'ingresso da via del Paradiso, sono conservati gli antichi banchi del Monte,
in una sala affrescata con fregi a "grottesca" e con gli stemmi di alcuni benefattori. Una sala del
primo piano è dipinta con tempere attribuite al pittore feltrino Pietro Marescalchi. L'aspetto attuale
dell'edificio è il frutto di una ristrutturazione seicentesca, come si può notare dal portale d'ingresso,
dal timpano e dalla fascia sottogronda, affrescata con tralci e figure che imitano il graffito.
Chiesa di SS. Rocco e Sebastiano
Le Fontane Lombardesche e la soprastante chiesa
costituiscono il fondale scenografico a nord della piazza
Maggiore, tra il neo-gotigo palazzo Guarnieri e la
sagoma del Castello. La posizione dominante in cui è
stata eretta la Chiesa, a cui le fontane fanno da
imponente basamento, testimonia il carattere votivo
della costruzione, voluta dalla Comunità di Feltre a
ringraziamento per lo scampato pericolo alle pestilenze
e alle carestie dei secoli XVI e XVII. Le vicende
relative all'edificazione del tempio cominciarono con il
voto solenne formulato nel 1530 dal Consiglio dei
Nobili della città in seguito all'ennesima epidemia. Il luogo in cui erigere il nuovo edificio sacro
venne scelto nel 1556, sotto l'incalzare di una grave carestia. Il 5 luglio 1576 fu posta la prima
pietra, alla presenza del Rettore Veneto Marco Diedo e del Vescovo Filippo Maria Campegio. La
costruzione fu completata nelle sue strutture essenziali attorno al 1594, come testimonia la lapide
murata sopra l'ingresso principale e sormontata dal grande stemma in pietra del Rettore Veneto
Giovanni Memmo. I lavori di finitura continuarono tuttavia fino al 1632, data della solenne
consacrazione, compiuta dal Vescovo Paolo Savio alla presenza del Rettore Paolo Cappello; la
cerimonia costituì anche un'occasione di ringraziamento per lo scampato pericolo dalla gravissima
epidemia di peste dell'anno precedente. La costruzione della chiesa ha accompagnato dunque la vita
della Comunità feltrina per circa un secolo, ed ha visto succedersi alcuni dei momenti più difficili
per la vita sociale come, appunto, le grandi epidemie, le carestie e la stessa ricostruzione di Feltre
dopo le devastazioni della guerra cambraica, con le finanze pubbliche esauste per le numerose
fabbriche in corso. Qui la causa dei ritardi nell'esecuzione e probabilmente anche della semplicità
delle linee architettoniche dell'edificio. Il luogo in cui sorge la chiesa doveva far parte dell'area delle
difese del castello, come testimonierebbero gli antichi cunicoli sotterranei della sacrestia. Il tempio
venne devastato durante l'invasione del Feltrino del 1918.
Sala degli stemmi e sala consigliare
Il palazzo della Ragione fu costruito, secondo le
fonti documentarie, in seguito alla dedizione
della città di Feltre alla Serenissima intorno al
1404. In seguito alle tragiche vicende che
coinvolsero Feltre nel 1509 e nel 1510, l'edificio
subì la sorte dell'intera città e, negli
anni successivi, si impose la necessità di creare
per la Comunità un nuovo palazzo. Restaurate le
fabbriche del Castello e del Palazzo Pretorio, si
procedette quindi alla sua ricostruzione, che vide
impegnata la Comunità per molti anni, sia per
motivi tecnici, sia per motivi economici. Già nel
1518, infatti, si verificò il crollo della fabbrica,
male ricostruita sulle rovine della precedente. Il Maggior Consiglio decretò allora l'assoluta
precedenza di tale costruzione e il divieto di "principiar altre fabbriche" fintanto che non
fosse terminata questa. Le pesanti difficoltà economiche in cui versava la Comunità, costrinsero
tuttavia ad accantonare il progetto. Solamente nel 1549 si potè dare avvio ai lavori, che si
protrassero, a singhiozzo, fino al 1586. Le finiture della costruzione furono realizzate, in tempi
diversi, fino al tardo XVII secolo. La tradizione locale vuole che il progetto dell'edificio sia stato
realizzato da Andrea Palladio ed è innegabile che l'ordine rustico del primo piano presenti analogie
formali con alcune costruzioni palladiane; tuttavia, nonostante le ricerche approfondite, non è stato
possibile rinvenire prove sicure per tale attribuzione. La loggia del Palazzo è decorata con stemmi e
iscrizioni in lode di alcuni Rettori veneziani. Il palazzo Pretorio, attualmente sede del Municipio,
costituiva anticamente la residenza del Podestà di Feltre. L'edificio fu gravemente danneggiato
durante l'eccidio di Feltre operato dalle truppe di Massimiliano d'Austria durante la guerra
cambraica. In quanto sede dell'autorità veneziana, il palazzo Pretorio fu tra i primi edifici ad essere
restaurati, con i fondi raccolti faticosamente negli anni immediatamente successivi alla distruzione.
Dai documenti risulta che i lavori di ristrutturazione proseguirono fino al 1562 ma che, già nel
1524, il Podestà vi si potè insediare. Nello stesso anno qui vennero trasferite le riunioni del Maggior
Consiglio. Contemporaneamente venivano avviati, non senza difficoltà di ordine tecnico
e finanziario, i lavori per il nuovo palazzo della Ragione. Degli affreschi che abbellivano l'esterno
del palazzo Pretorio rimangono oggi solamente alcuni lacerti poco leggibili. Al primo piano
dell'edificio, all'interno, si trova la Sala degli Stemmi, che presenta le insegne dei Rettori veneti
della città, restaurate negli anni quaranta.
Chiesa della SS. Trinità
L'oratorio della SS. Trinità fu edificato dalla nobile famiglia Dal
Corno tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, in prossimità
della cinta muraria medievale. Poco lontano dalla costruzione
doveva trovarsi una delle antiche torri della città, ricordata nei
documenti con il nome di "Torre della Rosa". L'oratorio,
sopravvissuto alle distruzioni del 1509-10, conserva all'interno
un pregevole ciclo di affreschi, riferibili a due diversi periodi. Il
"Giudizio Universale", con la "Dormitio Virginis" e la "Deposizione
di Cristo", rappresentati rispettivamente sull'arcone trionfale e sulle
pareti dell'abside quadrangolare, sono opera di un pittore quattrocentesco di gusto nordico,
non identificato. La raffigurazione della SS. Trinità, che si staglia su un prezioso trono gotico sulla
parete orientale della chiesa, con l'"Annunciazione" E I "SS. Vittore e Corona" ai lati, è stata
attribuita al "Maestro dei Battuti di Serravalle", che affrescò l'omonimo oratorio intorno al 1430.
Sulla parete esterna dell'abside era affrescata una grandiosa rappresentazione della Trinità, ora quasi
completamente scomparsa.
Palazzo Zasio
La proprietà più antica del palazzetto non è nota,
come per altri edifici della città. Non è stato
possibile identificare lo stemma affrescato in
facciata, che si presenta in uno stato di
conservazione piuttosto critico. L'edificio è noto ai
feltrini come palazzo Zucco, dal nome della
famiglia che ne era proprietaria in tempi recenti. Il
nome Zasio è usato in quanto a tale famiglia
sicuramente apparteneva nell'Ottocento, e forse
anche prima, come si apprende dalle cronache
locali. L'edificio è stato acquistato dalla
Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali
del Veneto, che ne ha curato il restauro. Come si può notare dai ricchi affreschi, purtroppo
deteriorati, che decorano la facciata, e da quelli, altrettanto interessanti, che abbelliscono gli interni,
il palazzo in questione costituisce un tipico esempio di dimora signorile cinquecentesca feltrina. La
decorazione parietale, che si svolge in facciata su due registri, raffigura in basso una "Madonna in
trono con il Bambino", quasi illeggibile, e, in alto, un santo a cavallo di un destriero bianco
impennato, identificato con S. Giorgio. Le due scene sono alternate a raffinate fasce decorative con
motivi bianchi su fondo blu. L'autore sconosciuto degli affreschi, dimostra una notevole perizia e
un'indiscutibile cultura; l'intervento si può collocare cronologicamente nei primi decenni del
Cinquecento.
Personaggi legati alla città:
• Vittorino da Feltre, umanista ed educatore, figura capitale della pedagogia moderna
• Panfilo Castaldi (1398-1479), tipografo; alcuni ipotizzano che da lui Gutenberg abbia
copiato l'idea dei caratteri mobili da stampa
• Bernardino da Feltre (1439-1494), al secolo Martino Tomitano, frate minore conventuale,
beato, celebre predicatore e promotore dei Monti di Pietà
• Vittore Scienza (?-1549), intagliatore e scultore
• Andrea Palladio (1508-1580), architetto e scenografo
• Pietro Marescalchi (o de' Marascalchi), detto Lo Spada, (1522-1589), pittore
• Antonio Cambruzzi (1623-1681), storico
• Valerio Bellati (1678-1741), arcivescovo titolare di Antinoe (1725-1741)
• Carlo Goldoni (1707-1793), drammaturgo
• Manfredo Giovanni Battista Bellati (1790-1869), vescovo di Ceneda (1843-1869), già
vicario generale e vicario capitolare della diocesi di Feltre
• Giuseppe Segusini (1801-1876), architetto ed urbanista
• Antonio Vecellio (1837-1912), storico, insegnante, letterato, pubblicista, direttore de "Il
Tomitano: periodico religioso, politico, letterario della diocesi di Feltre" e arciprete di
Pedavena (1879-1911)
• Carlo Rizzarda (1883-1931), artista del ferro battuto
• Angelo Giuseppe Zancanaro (1894-1944), tenente colonnello pluridecorato degli Alpini,
partigiano italiano, medaglia d'oro al Valor Militare alla memoria
• Kurt Gruber (1896-1918), asso dell'aviazione austro-ungarica sepolto nel cimitero militare di
Feltre
• Paride Brunetti (1916-2011), cittadino onorario di Feltre, ex-ufficiale di carriera,
comandante partigiano, medaglia d'argento al Valor Militare, medaglia di bronzo al Valor
Militare e Croce di Guerra al Merito
Curiosità
Dante Alighieri cita Feltre nel Paradiso (IX, 52-53) e probabilmente vi allude nell'Inferno (I, 105).
Nella cantica dell'Inferno, quando il sommo poeta e Virgilio si trovano dinnanzi la lupa, emerge
incalzante il "veltro", figura enigmatica soggetta a diverse interpretazioni: tra queste vi è, secondo
una probabile lettura del verso "e sua nazion sarà tra feltro e feltro", quella di una persona originaria
del Nord Italia, tra Feltre e Montefeltro. Nella cantica del Paradiso, invece, c'è un esplicito
riferimento alla città e all'"empio suo pastor" Alessandro Novello.
Nel 1972, presso il campo sportivo di Feltre, i Genesis, famoso gruppo rock degli anni settanta e
ottanta, si esibirono in uno dei loro primi concerti, quando non erano ancora molto conosciuti,
davanti ad un pubblico di poco più di un centinaio di persone.
Il gruppo folk americano The Avett Brothers ha pubblicato una canzone intitolata "Pretty girl from
Feltre" (Graziosa ragazza proveniente da Feltre) con chiari riferimenti alla cittadina veneta.
Riserva naturale Vincheto di Celarla
La riserva naturale Vincheto di Celarda è un'area protetta che si trova in comune di Feltre, presso la
frazione Celarda. Ricade all'iterno del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Territorio
Rappresenta un importante zona umida sulla sponda
destra del fiume Piave, posta su un'area pianeggiante
alle pendici dei monti Garda, Miesna e Tomatico. La
falda freatica è molto superficiale, il che permette
l'esistenza perenne di numerosi specchi e corsi d'acqua,
taluni artificiali.
Storia
Nei secoli passati, la zona era chiamata Salét, in
riferimento alla grande quantità di salici che vi
crescevano. Nel 1881 fu data in gestione al Corpo
Forestale che, dal 1901, la adibì a vincheto, ovvero a
coltivazione di vinchi per la produzione di vimini. È divenuta riserva naturale con una serie di
decreti ministeriali degli anni settanta.
Flora
La vegetazione è assai varia e rientra in cinque diverse categorie:
• vegetazione prativa;
• vegetazione dei boschi spontanei (latifoglie);
• vegetazione delle alluvioni recenti rappresentata da specie pioniere (ad esempio salici);
• vegetazione dell'ambiente umido;
• vegetazione non autoctona derivante da interventi artificiali (specialmente aghifoglie)
Fauna
Allo stato libero vi sono il capriolo, molte specie di carnivori (tasso, martora, volpe ecc.), diversi
roditori e lagomorfi (ghiro, scoiattolo, lepre ecc.) e alcuni pipistrelli.
Numerosissimi, come in tutte le aree umide, gli uccelli, rappresentati, ad esempio, dall'airone
cinerino, dall'alzavola e da numerosi rapaci diurni e notturni.
Molto vari anche la fauna ittica, gli anfibi e i rettili. Da evidenziare, poi, la presenza del gambero di
fiume.
Punti di interesse
All'interno della riserva esistono alcune particolari strutture. Da evidenziare i recinti dove vengono
allevati in cattività cervi, daini e mufloni, un centro dove sono tenuti alcuni rapaci già gravemente
feriti e ora incapaci di ritornare liberi in natura e un maneggio.
All'interno della riserva si contano anche diverse installazioni per praticare birdwatching.
Il Palio di Feltre
Il palio di Feltre è anche chiamato il Palio dei Quindici Ducati ed ha avuto origine nel medioevo.
Corso fin dagli inizi del XV° secolo, il "Palio dei Quindici Ducati" ricorda l'ingresso di Feltre e del
suo territorio nello stato della Repubblica di Venezia.
Con l'arrivo delle truppe napoleoniche, tutte le feste che ricordavano l'entrata di Feltre nella
Repubblica di Venezia furono soppresse. Anche il Palio dunque che poté essere ripreso solo nel
1979. Da allora si tiene annualmente durante il primo fine settimana di agosto. I quattro quartieri
della città - Castello, Duomo, Port'Oria e Santo Stefano – si disputano il possesso dei quindici
ducati d'oro cuciti su di un drappo d'autore, (Pallium Pictum) come testimone della vittoria.
I festeggiamenti hanno inizio l'ultima settimana di luglio con la "Sfida delle Cernide", gara di abilità
fra i musici e gli sbandieratori dei quartieri. La sera del primo venerdì d'agosto si tengono le Cene
dei Quartieri che riuniscono nelle vie e nelle piazze centinaia di commensali.
Il corteo
Il corteo coinvolge diverse centinaia di persone che indossano costumi in stile rinascimentale,
muovendo la domenica mattina verso la cattedrale e il pomeriggio verso il campo equestre
denominato "Prà del Moro". Tra le figure rappresentate i dignitari feltrini e veneziani, i nobili della
città e i cortei dei quattro quartieri con i loro tamburi e le loro bandiere.
Le gare del Palio sono quattro: staffetta, tiro con l'arco, tiro alla fune e corsa equestre.
• La gara degli anelli. Il tiro degli anelli è stato soppresso nel 1986 dopo la reintroduzione
della gara equestre, si teneva in Piazza Maggiore.
• Il tiro alla fune. Si gioca in Prà del Moro. Le quattro squadre vantano spesso atleti di livello
nazionale.
• La staffetta. Si corre lungo l'anello interno della cittadella murata, tra Porta Imperiale e
Piazza Maggiore, con un forte dislivello tra i due punti.
• La gara degli arcieri. E' disputata da una coppia di arcieri per quartiere in Piazza Maggiore.
Sono usati archi moderni. E' ritenuta tradizionalmente la seconda gara per importanza nel
palio di Feltre.
• La Corsa Equestre o Gara dei Corsieri. La corsa equestre si tiene in Prà del Moro. Vi
partecipano due corsieri per ogni quartiere montati da fantini di grande fama. La corsa è
ritenuta la gara più appassionante del palio e attira numerosi spettatori.
Le Origini del Palio
Dopo gli estenuanti conflitti legati alla signoria dei Da Carrara, cui Feltre si era legata suo malgrado
nel 1363, la città finì con l’essere posseduta dal duca di Milano Giangaleazzo Visconti. In memoria
della data in cui Feltre era entrata a far parte dei dominï del duca (il 7 dicembre 1388) la comunità
feltrina aveva stabilito che ogni anno a venire, gli ordini cittadini avrebbero dovuto recarsi in
processione alla cattedrale per tenervi una messa solenne. Si sarebbe dovuta tenere inoltre una gara
di cavalli per la quale era posto un premio (unum bravium) di ben quindici ducati d’oro.
Il palio del Quattrocento
Alla morte del Visconti nel 1402, si riaprirono i conflitti. I feltrini, timorosi di cadere nuovamente
nelle mani dei carraresi, seguendo l’esempio di Vicenza decisero di affidarsi al governo della
Repubblica di San Marco.
Venezia, come Repubblica aristocratica e mercantile, incontrava i favori dei nobili di città come i
quelli dei mercanti e degli artigiani. Sembrava essere, del resto, l’unica potenza vicina capace di
offrire prospettive rassicuranti in un mondo sconvolto dai conflitti.
L’atto di annessione fu solennizzato il 15 giugno del 1404, mentre ancora infuriava la guerra. Il
senato marciano inviò a Feltre il suo ambasciatore, il patrizio veneto Bartolomeo Nani, il quale,
nella 'maggior piazza' di Feltre gremita di gente, ricevette dal delegato feltrino Vittore dei Muffoni
da Cesio le chiavi della città. Il diplomatico veneziano ricevendo la sottomissione di Feltre giurò
nelle mani del Muffoni che il senato veneto avrebbe sempre rispettato gli statuti feltresi. La folla,
dicono gli storici, inneggiò entusiasta a San Marco e alla repubblica lagunare.
I festeggiamenti si protrassero in città per alcuni giorni e, come già era avvenuto per l’inizio del
domino visconteo, la comunità decretò che ogni anno a venire fosse "celebrata solennemente la
Festa di san Vito il 15 giugno, giorno in cui Feltre si diede alla Serenissima, con una solenne
processione di tutti gli ordini della città, del clero, delle autorità civili e religiose verso la chiesa
maggiore o a quella di Ognissanti, con l’offerta di candele e di solenni oblazioni e che in tal giorno
sia posto un premio di quindici ducati d’oro perché si corra coi cavalli”.
Feltre, e con essa il Feltrino intero, entrata a far parte dello stato Veneziano, vi sarebbe rimasta fino
all'arrivo delle truppe francesi di Napoleone Bonaparte sul finire del XVIII secolo.
Il Palio del Novecento
Nel 1978, in occasione del sesto centenario della nascita del grande educatore umanista Vittorino da
Feltre, si decise di ricordare l’evento della donazione di Feltre a Venezia. Così, il 15 giugno
dell’anno successivo, in Piazza Maggiore ebbe luogo la prima rievocazione. Si trattò di una cosa
piuttosto modesta: un piccolo numero di figuranti feltrini sfilò accompagnato dagli sbandieratori di
Asti, che poi si esibirono in Piazza Maggiore. In quell’occasione si tenne una gara di archi tra le
città di Feltre e di Mantova, “patria elettiva” questa del celebrato Vittorino. Furono gli arcieri del
Piave che per Feltre vinsero la gara superando in bravura gli avversari mantovani. L’anno seguente
fu ripristinato il Palio dei Quindici Ducati e con esso gli antichi quartieri cittadini che ne sarebbero
stati, da allora in poi, i concorrenti. Con un alacre lavoro di ricerca e di fantasia si ricreò un’araldica
e si confezionarono stendardi e costumi. Si cominciò a sentire il ritmo dei tamburi nelle campagne
circostanti. Fu stabilita naturalmente la serie delle gare che prevedeva il tiro con l’arco, il tiro alla
fune, una staffetta e il tiro degli anelli. La gara dei cavalli riprese, come volevano la storia feltrina e
gli statuti, non appena si poté disporre del circuito di Prà del Moro, e fin da subito fu la
competizione più seguita ed amata dal pubblico. Con la ripresa della corsa equestre il tiro agli anelli
fu abbandonato perchè ritenuto evidentemente poco “spettacolare”.
Quartiere Castello.
Arma: "d'azzurro al leone d'oro", dei nobili Gazzi.
Vittorie: 1984, 1985, 1994, 1996, 1997, 2000, 2001, 2003, 2004, 2006,
2009
La sede del Quartiere Castello si trova in via Centrale a Zermen presso
le vecchie scuole elementari.
Il quartiere comprende la parte nord-orientale della città con il Castello
di Alboino da cui prende il nome, il lato nord di via Luzzo con Borgo
Ruga, via Belluno, Pasquer e Casonetto. E sono compresi Borgo
Uniera, Piazzale Parmeggiani, via Fusinato, le Traversere, via
Anconetta, le frazioni di Arson, Cart, Grum, Lasen, Umin, Vellai,
Vignui, Villabruna e Zermen. Dal 1995 il Castello è gemellato con la
Contrada Borgo Viatosto della città di Asti; dal 2009 ha allacciato un
patto d'amicizia con il Comune di Cesiomaggiore.
Quartiere Duomo
Arma: "d'azzurro alla fascia d'oro, caricata in punto d'onore d'una stella
di Betlemme d'oro e di tre bande dello stesso in punta", dei nobili
Bellati.
Vittorie: 1983, 1988, 1991, 1992, 1995, 1997 "palio di maggio", 2010,
2011.
Il quartiere comprende la zona sud occidentale della città, da Porta
Pusterla a Porta Imperiale con il borgo della cattedrale, le contrade di
Sant’Avvocato (via Garibaldi) e delle Tezze, il rione delle Industrie e
le frazioni, dette “ville”, di Mugnai, Tomo e Villaga.
La cattedrale di origini paleocristiane è stata il cuore dell’antica diocesi
di Feltre, ed è oggi il monumento nazionale più importante della città;
nel quartiere si trovano inoltre il Palazzo Pretorio, già sede del governo
veneto, e il palladiano Palazzo dei Nobili, divenuto nel Settecento la "Piccola Fenice" vale a dire il
prestigioso Teatro della Sena.
Lo stemma del Duomo è derivato da quello dei conti Bellati. I Bellati possedevano numerose case,
sia in città sia nelle campagne del Feltrino e del Trevisano; la loro residenza più nota si trova in via
Mezzaterra ed è caratterizzata da una particolare facciata a prua di nave.
Quartiere Port'Oria
Arma: "d'oro all'aquila spiegata bicipite di nero", dell'Impero.
Vittorie: 1990, 1998, 1999, 2002, 2005, 2007
Il quartiere di Port'Oria riceve il nome dalla porta orientale della
città. Si estende a sud est di Piazza Maggiore e comprende la parte
meridionale di Via Luzzo e di Borgo Ruga, il Borgo di Tortesen con
il Monte Telva, il borgo dell'antico Ospedale di San Paolo, Via
Nassa e le "ville" (frazioni) di Pont, Nemeggio, Villapaiera,
Cellarda, Anzù, Canal, Croci e Sanzan.
Nel suo territorio, sullo sperone roccioso del Monte Miesna, si erge
il Santuario dei Santi Vittore e Corona, patroni della città di Feltre.
Opera dei crociati e ora Basilica Minore fu eretto a partire dal XI
secolo. E' un complesso artistico-architettonico tra i più importanti
dell'alto Veneto; di stile romanico mostra chiari influssi orientali.
Durante una delle sue visite a Feltre nel 1355, l’Imperatore Carlo IV di Boemia avrebbe donato al
santuario dei santi Vittore e Corona, in cambio di alcune reliquie, il proprio manto regale. Il figlio
Sigismondo, che visitò la chiesa nel 1411, fece apporre sopra il portale un’aquila imperiale in
ricordo del suo passaggio. Alla stemma imperiale si rifà quello del Quartiere Port’Oria che ne
mostra l’aquila bicipite.
Al quartiere appartennero le casate feltrine dei Bovio, dei Teuponi, dei da Celarda, i Dei, i Rainoni
e gli Zasio.
Il quartiere dell’Aquila bicipite può vantare a buon titolo, di essere stato il primo in tante nuove
realizzazioni ed innovazioni e gadget, proponendo cose diverse ad ogni edizione, riprese
successivamente anche dagli altri Quartieri, e questo la dice lunga sull’organizzazione ed agonismo
all’interno del Quartiere “più povero di mezzi” ma “più ricco di iniziative, coesione e simpatia”.
Il primo a fare un il “giornalino di Quartiere” che anno dopo anno è sempre stato il migliore tra i
quattro Quartieri per forma ed impostazione grafica.
Il primo ad introdurre gli sbandieratori di Quartiere nel 1992 e l’unico, che il mercoledì sera
antecedente il Palio, anima i propri contradaioli con la suggestiva cerimonia serale della
“Benedizione degli atleti ed il Battesimo dei nuovi portoriani”: momento suggestivo nella piazzetta
del Borgo Tortesegno, adagiato su di un colle appena fuori le mura con la magica vista della città
vecchia illuminata. Sempre nel 1992 introduce l’usanza della “piastrella di Quartiere” con il
simbolo dell’Aquila bicipite, da apporre sotto il numero civico dell’abitazione, segno distintivo
dell’appartenenza al Quartiere.
Quartiere Santo Stefano
Arma: "di rosso al corno da caccia d'oro", della famiglia Dal Corno
Vittorie: 1980, 1981, 1982, 1986, 1987, 1989, 1993, 2008
Il quartiere prende il nome dalla chiesa che si trovava in Piazza
Maggiore e che fu demolita all'inizio del XIX secolo. Si estende
nella parte nord-occidentale della città comprendendo il lato
settentrionale di Via Mezzaterra, e le vie Cornarotta e Paradiso, il
lato orientale di Via XXXI Ottobre e quello settentrionale di Borgo
delle Tezze, il rione del Boscariz e le ville (frazioni) di Farra, Foen,
Pren e Lamen.
Tra i quattro quartieri che si contendono dal 1979 il Palio di Feltre,
Santo Stefano si è distinto negli anni: ha valorizzato ogni aspetto
della propria presenza, dalla ricerca filologica per la realizzazione
dei numerosi costumi presenti nel corteo, all’attenzione per la cura del territorio (con il supporto
economico nel restauro di opere d’arte), al coinvolgimento delle frazioni, ma anche nella
comunicazione: il suo inno originale inciso su nastro e dato alle famiglie del Quartiere...
Insomma, non basta vantare il maggiore numero di Palii vinti per essere i primi: occorre anche
conoscere la chiave per vivere da protagonisti la propria terra. Durante il lungo inverno feltrino, il
quartiere fa notare la propria presenza con la simpatica gara di sci tra i quattro quartieri
(L’abominevole Palio delle nevi - Memorial Grazia Marchioro) e con i Babbi Natale che portano
doni nelle case dei contradaioli.
E che dire delle persone che sono il Quartiere Santo Stefano? Il miglior gruppo tamburini che vanta
più di 20 elementi, un fantastico gruppo sbandieratori che migliora di anno in anno, i “Pyromantis”,
l’orgoglio del quartiere (sputafuoco, giocolieri, danzatrici con il fuoco), un lunghissimo corteo, e
centinaia di volontari che mettono a disposizione il loro tempo libero con entusiasmo e dedizione
solo per il Santo Stefano.
Gruppo Sbandieratori
Storia
La prima apparizione degli Sbandieratori di Feltre risale al 1982, all’interno del quartiere Duomo,
uno dei quattro quartieri del palio di Feltre. Già l’anno successivo però gli Sbandieratori si
costituirono in gruppo autonomo, il Gruppo Sbandieratori Città di Feltre, con propria struttura
organizzativa, tecnica e amministrativa: per questo motivo nello stemma del gruppo appare la data
1983. Questo gruppo è nato per l’amicizia di alcuni ragazzi e lo spettacolo era visto come momento
di divertimento, di gioco e di coinvolgimento delle piazze in cui si esibivano. Il primo costume era
una camicia giallo oro e un velluto su calze ed espadrillas nere. Questi sbandieratori giocavano con
una bandiera la cui tela misurava m 1.25 x 1.25 su un’asta in legno di m 1.50. Il 1984 è segnato
dalla collaborazione tra il Gruppo feltrino ed il Gruppo Sbandieratori del rione Bianco del Palio del
Niballo di Faenza. Nel 1985 la bandiera e il costume del Gruppo cambiarono: la tela venne
composta con 4 foulards con gli stemmi dei 4 quartieri e il simbolo della città di Feltre; il costume
era un velluto bicolore con camicia bianca su calze colorate ed espadrillas nere. Nel 1988 il Gruppo
partecipò a Faenza ai Campionati Italiani del gioco di bandiera, presentando lo sbandieratore più
giovane (11 anni) e classificandosi al 15° posto con un numero singolo. Venne il 1990 ed il Gruppo
organizzò a Feltre la IV rassegna veneta degli sbandieratori, a cui aderirono i gruppi di
Montagnana, S.Bonifacio, Camisano, Migliadino San Vitale, Marostica, Palmanova, Arquà
Polesine, e naturalmente… Feltre. Il 1991 fu l’anno di iscrizione alla FISB (Federazione Italiana
antichi giochi e sport con la bandiera) tale affiliazione significò: aumento di prestigio,
partecipazione a tornei nazionali, adeguamento alle regole della Federazione. Tale adeguamento
consistette principalmente nel ridimensionare la bandiera, che doveva avere una misura di m 1.30 x
1.30 per la tela e un’asta di m 1.60 e un peso complessivo di 800-900 grammi, nel costituire una
struttura organizzativa stabile all’interno del gruppo e nell’adottare uno statuto. Per i Campionati
Veneti del 1992 a Marostica vennero realizzate appositamente delle nuove bandiere a norma, che i
ragazzi stessi decorarono con gli uni-posca. Nella manifestazione, il Gruppo Sbandieratori ottenne il
2° posto in classifica generale, un 3° posto nel singolo e nel gioco di grande squadra e un 4° posto
nel gioco di piccola squadra. Anche i musici ottennero un lusinghiero 3° posto. Nello stesso anno il
pittore feltrino Paolo Tempera “il cui intervento ha reso ancora più spettacolari i drappi da lanciare
verso il cielo” scrisse “La Gazzetta” di quei giorni, disegnò delle nuove bandiere per il gruppo che
sono ancora oggi in uso. Sempre nel 1992, grazie ad una delibera della Giunta Municipale, il
Gruppo Sbandieratori ebbe la sede di via Paradiso. Erano entrate nel frattempo delle ragazze a far
parte del Gruppo, sia fra i musici che cimentandosi nel gioco di bandiera. E a proposito di musici, è
da dire che hanno sempre accompagnato le manifestazioni degli sbandieratori con i ritmi
coinvolgenti dei tamburi rullanti e bassi e, inizialmente, anche di alcune chiarine. I loro costumi
hanno seguito l’evoluzione dei costumi degli sbandieratori. Nel 1994 si svolse a Feltre la III
edizione del Torneo Regionale degli Sbandieratori e vennero realizzati gli attuali costumi. Solo più
tardi sbandieratori e musici avranno gli stivali. Fino ad allora erano conosciuti come gli
“sbandieratori di pezza”, per quelle scarpette che portavano, ma che non impedirono loro di
diventare così grandi. Insieme a loro sono cresciuti anche i musici che attualmente possiedono un
repertorio di una ventina di musiche, frutto della creatività espressa in questi anni, con cui
accompagnano la sfilata e seguono e sottolineano il gioco delle bandiere. Fin dalle prime uscite
erano presenti anche alcune coppie in costume (rappresentanti delle famiglie facoltose di Feltre del
1400). Il Gruppo Sbandieratori Città di Feltre è stato ed è l’ambasciatore della città in numerose
occasioni. Non si contano le sue esibizioni in Italia, ma anche in Austria, Francia, Germania,
Belgio, Inghilterra ed Ungheria.
Il messaggio lanciato dal Gruppo Sbandieratori Città di Feltre è un sentimento di gioia, di festa, di
amicizia e quindi di pace.