AVVENTURA o ESPERIENZA - Centro Culturale di Milano

Transcript

AVVENTURA o ESPERIENZA - Centro Culturale di Milano
Letture Teatrali e Dialoghi
Con gli occhi degli scrittori
1914, un anno che ha cambiato la guerra
“Poi d’improvviso, come un crepaccio su una strada asfaltata, la guerra…”
AVVENTURA o ESPERIENZA
“Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Carlo Emilio Gadda - Ernst Jünger
Interpretati da Massimo Popolizio
a seguire
Luca Montecchi
dialoga con
Luca Doninelli
Paolo Mieli
Auditorium di via Hoepli 3/B [MM1-3 Duomo], Milano
Lunedì 24 marzo 2014, ore 21:00

Via Zebedia, 2, 20123 Milano
tel. 0286455162-68 fax 0286455169
www.centroculturaledimilano.it
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
CAMILLO FORNASIERI: Buonasera e benvenuti. Cominciamo questa seconda serata, dedicata
a questo anno che cambia la storia, il 1914, naturalmente con l’idea degli anni che seguirono. In
qualche modo abbiamo tentato, anche per questa seconda serata, una sorta di sintesi su
quell’uomo; come l’umanità, che è entrata in quegli anni, ne è uscita, se n’è generata. Per tentare
questa sintesi quindi, non abbiamo voluto avere un approccio direttamente storico ma, come
facciamo un po’ in questi ultimi anni, abbiamo utilizzato degli autori, degli scrittori. Perché la
loro esperienza, la loro necessita di dire, di raccontare il mondo, non come cronaca ma come
senso, responsabilità, tentativo di spiegazione di una realtà che si vive, sono certamente un punto
che ci fa cogliere in modo sintetico, quasi come una ferita, quello che è poi il nodo nella storia.
Dopo Ungaretti e Rebora, che abbiamo ascoltato e incontrato due settimane fa, stasera abbiamo
altri due autori, un po’ inconsueti magari, ma molto importanti proprio per continuare questo
discorso, questo approfondimento. Infatti, le due parole che ci guidano, un po’ contrapposte, un
po’ simili ma molto in realtà diversa, sono avventura o esperienza. Come abbiamo sentito, come
intuirete, quegli anni per molti furono un tentativo di una novità di vita, di un’avventura che
spinse tantissime persone a vedere nella guerra un’idea di nuove parti e di nuove giustizie, di
cose che potessero smuovere la propria vita. Invece, come l’esperienza nasca da un dolore, da un
dolore, che però non tutti hanno visto, che forse già tra le pieghe degli avvenimenti, come
udremo questa sera soprattutto da Jünger, tra le pieghe dei movimenti fisici, di quello che
significa una battaglia, una guerra, c’è una condizione dell’uomo che cambia, che muta, che
cresce. Ma lasciamo la parola a questi autori, per ascoltarli, con la voce di Massimo Populizio,
che adesso chiamo, e poi a seguire avremo il dialogo con Paolo Mieli e Luca Doninelli,
coordinati da Luca Montecchi.
Ecco Massimo Popolizio:
MASSIMO POPOLIZIO:
Ernst Jünger
I
Fu un periodo strano, di confusione spirituale
Nelle tempeste d’acciaio è una libera rielaborazione di diari di guerra (1915-1918). Il libro
apparve nel 1920 e racconta la “zona di guerra”, cioè quello spazio fisico dove la tecnologia, per
la prima volta,
1
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
detiene la regia del conflitto. Dalla sua pagina, fredda, analitica, la nuda cronaca fa esplodere la
scandalosa equazione tra modernità e barbarie.
Da Nelle tempeste d’acciaio, 1920
La trincea inglese si animò: corse, bisbigli, rapidi andirivieni. Pscht, pscht, un razzo si levò
sibilando. I dintorni si illuminarono come in pieno giorno mentre cercavamo di ripararci almeno la
testa nei ciuffi di erba. Secondo razzo. Momenti terribili. Si vorrebbe sparire sotto terra; essere in
qualunque altro posto tranne che in quello, a dieci metri dalle sentinelle nemiche. Eccone un altro.
Peng! Peng! Il crepitare assordante, secco, senza equivoci, di colpi di fucile tirati da pochi passi.
“Ah, eccoci scoperti!”
Ormai, senza più badare alle precauzioni, ci incitavamo l’un l’altro a correre per mettere in salvo la
pelle. Ci alzammo di scatto e ci precipitammo verso la nostra posizione, sotto una pioggia di
proiettili. Fatto appena qualche passo, inciampai e caddi nel piccolo e poco profondo cratere di una
granata, mentre gli altri, credendomi ferito, mi sorpassavano di gran corsa. Mi tenni schiacciato
contro il suolo, ritirai testa e gambe. I proiettili falciavano l’erba alta sopra di me. Tutt’attorno
cadevano grosse quantità di magnesio infiammato uscito dai razzi illuminanti. Non meno
inquietanti di questi erano quelli che si consumavano vicinissimi a me e che cercavo di allontanare
aiutandomi con l’elmetto. Un poco alla volta il tiro si affievolì e un quarto d’ora dopo lasciai la
buca; mi avviai prima lentamente, poi quanto più velocemente piedi e mani mi permettevano. Nel
frattempo, la luna era tormentata per cui perdetti subito l’orientamento; non sapevo più dove si
trovavano la linea tedesca e quella inglese. Nemmeno le rovine del mulino di Monchy, facili da
riconoscere, erano visibili all’orizzonte. Di tanto in tanto, un proiettile dell’una o dell’altra linea
radeva il suolo con terribile precisione. Finii per gettarmi a terra, deciso ad aspettare l’alba.
Improvvisamente dei bisbigli si levarono vicinissimi. Fui subito pronto in posizione di tiro e
cominciai a emettere con prudenza una serie di suoni gutturali dai quali non era possibile stabilire
se fossi tedesco o inglese. Avevo intenzione di rispondere alla prima intimazione che fosse venuta
in inglese col lancio di una bomba a mano. Ma, con mio sommo piacere, caso volle che avessi
davanti proprio i miei uomini che mi cercavano ansiosamente con i cinturoni sganciati per
trascinare il mio cadavere. Felici di esserci ritrovati restammo ancora qualche minuto seduti nel
fosso di una granata. Quindi rientrammo in trincea dopo tre ore di assenza.
[…]
Nel pomeriggio la tempesta continuò senza sosta, aggravandosi verso sera con il lancio di una gran
quantità di bombe cilindriche fino a raggiungere a ritmo sempre più tambureggiante. Chiamavamo
questi proiettili di ferro a forma di rullo “cesto per la biancheria” perché, a volte, si aveva
2
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
l’impressione che cadessero dal cielo come da un paniere rivoltato. Per rappresentarsi bene la loro
forma basta immaginare un matterello con due corti manici. Da quel che ne sapevamo, venivano
lanciate da ordigni particolari costruiti sul principio del revolver; si rigiravano in aria con un sordo
brontolio e apparivano a distanza, come lunghi salami. Le esplosioni si succedevano così vicine
l’una all’altra che i loro impatti facevano pensare all’accensione di razzi in serie. Mentre le bombe
sferiche si limitavano a una specie di rastrellamento, quelle cilindriche sembravano fatte apposta
per rovinarci il sistema nervoso.
Stavamo seduti in attesa alle entrate delle gallerie pronti ad accogliere chiunque a colpi di fucile e
di bombe a mano; ma il fuoco, dopo circa mezz’ora, cominciò a diminuire di intensità.
Quella notte dovevamo ancora subire due bombardamenti a sorpresa, durante i quali tutte le nostre
sentinelle non si mossero un attimo dal loro posto. Appena il tiro cominciò a diradare, numerosi
razzi si levarono illuminando i soldati che uscivano dalle gallerie; un fuoco furioso di reazione
avvertì il nemico che nelle nostre trincee qualcuno era ancora in vita.
Nonostante questa pigiatura, perdemmo soltanto un uomo, il soldato Diersmann, che ebbe il cranio
fracassato da una bomba esplosa davanti a lui sul muretto di protezione. Un altro fu ferito alla
schiena.
[…]
Difatti, quella notte fu peggiore della precedente. Alle due e un quarto fu lanciato un attacco che
superò tutto quanto avevamo visto fino a quel momento. Una gragnuola di proiettili pesanti si
abbatté intorno al mio rifugio. Attendevamo in piedi, armati di tutto punto, sulla scala delle gallerie,
mentre la luce dei moccoli si rifletteva tremolando sui muri umidi e ricoperti di muffa. Un pesante
fumo bluastro veniva giù dall’entrata, la terra si sbriciolava dai soffitti. Bum! “Porca miseria!” “Un
fiammifero, un fiammifero!” “State pronti!” Il cuore batteva così forte che sembrava si volesse
spezzare. Mani nervose svitavano le capsule delle bombe. “Questa è stata l’ultima!” “Tutti fuori!”
Quando ci lanciammo verso l’uscita lo spostamento d’aria di una bomba a scoppio ritardato ci
proiettò all’indietro. Tuttavia, mentre gli ultimi colpi cadevano ancora, i posti di combattimento
erano già stati tutti occupati. Una girandola di razzi inondava di luce meridiana tutto il campo
davanti alla trincea, mentre si levavano alte cortine di fumo compatto. Quegli istanti in cui tutta la
truppa si trovava schierata dietro il parapetto avevano qualcosa di magico; ricordavano l’attimo in
cui, prima di un grande spettacolo, il respiro si ferma, all’improvviso tacere della musica nella gran
luce della sala. Per qualche ora, in quella notte, restai in piedi dinanzi all’ingresso del mio rifugio
che era rivolto verso il nemico, contrariamente alla regola, e di tanto in tanto consultai l’orologio
per annotare i mutamenti nel ritmo del bombardamento. Osservavo la sentinella, un uomo di una
3
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
certa età, padre di famiglia, che in alto, assolutamente immobile, talvolta illuminata dal chiarore di
una esplosione, si teneva appoggiata dietro il suo fucile.
Il tiro era già cessato quando perdemmo un altro uomo. Il soldato Nienhüser cadde
improvvisamente dal suo posto rotolando con gran rumore lungo la scala, in mezzo a un gruppo di
altri soldati che aspettavano più in basso pronti a intervenire. Gli trovarono una piccola ferita sulla
fronte e un foro sanguinante sotto la mammella destra. Non si seppe mai se la morte si dovesse
attribuire alla ferita o alla violenta caduta.
[…]
A volte, di notte, si abbattevano su di noi bombardamenti di grossi calibri, brevi e devastatori come
temporali d’estate. In quelle occasioni, restavo disteso sul mio giaciglio di erba fresca, in uno
strano e confuso stato d’animo, ascoltando le esplosioni che con gli scuotimenti prodotti facevano
cadere la sabbia dalle pareti. Oppure uscivo all’aperto a osservare, dalla piazzola delle sentinelle, il
paesaggio notturno pieno di malinconia, in lugubre contrasto coi fantasmi di fuoco ai quali serviva
come sala da ballo.
Mi sentivo allora in preda a sentimenti fino a quel momento rimasti estranei. Si annunciava in me il
profondo cambiamento che segue all’imprevista durata di una vita febbrile ai limiti dell’abisso. Le
stagioni si succedevano, tornava l’inverno, poi l’estate e ci si ritrovava ancora al fronte. Eravamo
stanchi e abituati al volto della guerra; ma proprio questa abitudine faceva apparire tutti gli
avvenimenti in una luce meno viva e insolita. Non eravamo più tanto accecati dalla violenza dei
fenomeni. Sentivamo anche che lo spirito col quale eravamo giunti al fronte si era ormai logorato e
non era più sufficiente a sostenerci. La guerra rivelava i suoi enigmi più profondi. Fu un periodo
strano, di confusione spirituale.
[…]
II
Le masse opprimono l’anima
Questo racconto mette in risalto le caratteristiche della guerra moderna che sostituisce la gestione
razionale, aritmetica della potenza di fuoco delle macchine e degli eserciti, allo scontro frontale
corpo a corpo. Non c’è più spazio per la retorica e l’epica individuale, anzi l’individuo con i suoi
valori specifici di essere umano, viene schiacciato da una logica superiore che coincide con il bene
dello Stato che ha il potere sulla persona di includerla o no nell’esistenza. L’individuo ridotto
all’anonimato è subordinato alle masse.
Da Il tenente Sturm, 1923
4
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
In fondo, in questa comunità di combattenti, in questa compagnia per la vita e per la morte, si
manifestava con particolare chiarezza la natura stranamente effimera e triste dei rapporti umani.
Danzava disordinatamente come uno sciame di mosche e veniva subito dispersa da qualsiasi punto.
Certo: quando i vivandieri, inaspettatamente, portavano dalla cucina del grog, o quando una serata
più mite ammorbidiva l’atmosfera, erano tutti come fratelli che coinvolgevano nella propria cerchia
anche i reietti. Quando moriva qualcuno, gli altri si raccoglievano attorno al suo cadavere e i loro
sguardi si incontravano, oscuri e profondi. Eppure, quando la morte passava sui campi come le
nuvole di un temporale, ciascuno stava per proprio conto; ognuno era da solo nel buio, circondato
da sibili e schianti, accecato dall’esplosione dei lampi, con nel cuore niente altro che un’infinita
solitudine.
E quando poi, a mezzogiorno, se ne stavano accovacciati al posto di guardia sulle panche di argilla
color terra bruciata mentre le variopinte farfalle dei cardi in fiore su quella terra distrutta si
cullavano al di sopra delle trincee, quando i rumori della battaglia tacevano per qualche ora breve e
piccoli scherzi venivano accompagnati da risate a mezza voce, spesso, nella luce ardente, un
fantasma scivolava fuori dalla galleria e, pallido, guardava fisso negli occhi l’uno o l’altro e
chiedeva: “Che hai da ridere? Perché pulisci il fucile? Che hai da arrotolarti in mezzo alla terra
come un verme in un cadavere? Magari domani sarà tutto dimenticato, come il sogno di una notte”.
Si potevano chiaramente riconoscere coloro cui era apparso quello spettro. Diventavano pallidi e
smorti e, quando si appostavano di guardia, i loro occhi si fissavano immobili nella direzione in cui
era puntato il loro fucile sulla terra di nessuno. Quando cadevano, un amico pronunciava sulla loro
tomba l’antichissimo motto del guerriero: “Sembrava quasi che ne avesse avuto un presagio. Era
così cambiato negli ultimi tempi”.
[…]
Ancora di recente Sturm aveva aggiunto alla cronaca di trincea che soleva stendere nelle notti
tranquille, durante le pause tra una veglia e l’altra, la seguente annotazione: “Da quando sono state
inventate la morale e la polvere da sparo, il principio della selezione naturale è andato sempre più
perdendo il suo significato per il singolo. Si può seguire con precisione il modo in cui il significato
di questo principio è stato gradatamente attribuito all’organismo dello Stato che, sempre più privo
di scrupoli, limita le funzioni del singolo a quella di una cellula specializzata. Già da molto tempo
un individuo non conta più per il valore che possiede di per sé, ma solo per quello che gli
appartiene in relazione allo Stato. Attraverso la sistematica eliminazione di tutta una serie di valori
di per sé molto significativi, vengono generati uomini che, da soli, non sarebbero più capaci di
vivere. Lo Stato originario, in quanto somma di forze pressoché equivalenti, possedeva ancora la
capacità di rigenerare forme di vita elementari: se veniva scisso, le singole parti ne pativano un
5
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
minimo. Presto si ritrovavano per ricostruire nuove forme di connessione e creavano nella figura
del capo il loro centro fisico, in quella del prete o del mago il loro centro spirituale.
“Una grave lesione dello Stato moderno, invece, minaccia anche l’esistenza di ogni singolo
individuo, almeno di coloro che non vivono direttamente delle risorse del suolo e dunque della
maggior parte. Questo enorme pericolo spiega anche la furia esacerbata, l’esasperato jusqu’au bout
della battaglia che due potenze simili conducono l’una contro l’altra. In questo scontro non si
confronteranno, come al tempo delle armi lucenti, le capacità del singolo, ma quelle dei grandi
organismi. Produzione, stato della tecnica, chimica, organizzazione scolastica, rete ferroviaria: sono
queste le forze che, invisibili, lottano tra di loro dietro le nuvole di fumo della battaglia dei
materiali.”
Questi pensieri tornavano in mente a Sturm mentre stava di fronte al morto. Qui, di nuovo, un
singolo aveva esplicitamente protestato contro la schiavitù dello Stato moderno. Il quale però, idolo
noncurante, gli passava sopra calpestandolo.
Questa coercizione, che sottometteva la vita dell’individuo a una volontà irresistibile, si
manifestava al fronte con una chiarezza spaventosa. La lotta raggiungeva dimensioni gigantesche,
rispetto alle quali il destino del singolo scompariva. L’ampiezza e la mortale solitudine dei campi,
l’effetto a distanza delle macchine d’acciaio e il rinvio di qualsiasi movimento alle ore della notte
calavano sugli eventi la rigida maschera dei titani. Ci si scagliava verso la morte senza vedere il
nemico; si veniva colpiti senza sapere da che parte arrivava lo sparo. Già da tempo la precisione dei
colpi di tiratori addestrati, il fuoco diretto dei cannoni e dunque il fascino del duello avevano
ceduto il posto al fuoco di massa delle mitragliatrici e dei gruppi addensati di artiglieria. La
decisione risultava di un calcolo aritmetico: chi poteva ricoprire con la maggior quantità di colpi un
determinato numero di metri quadrati, aveva la vittoria in pugno. La battaglia era un brutale scontro
di masse, una lotta sanguinosa della produzione e dei materiali.
Per tale ragione anche i combattenti, sotterraneo personale di servizio assegnato a macchine
mortali, spesso non si rendevano conto per settimane di trovarsi uomini contro uomini. Una
nuvoletta di fumo che turbinava anzitempo nel crepuscolo, una zolla che, dall’altra parte, un
braccio invisibile lanciava al di sopra della copertura, un richiamo a mezza voce che il vento
portava fino a noi: era tutto ciò che si offriva ai sensi tesi in ascolto. Era dunque comprensibile che
chi si trovava da anni gettato in questo luogo selvaggio riuscisse a sopportare l’orrore. In fondo si
avvertiva lo stesso sentimento di insensatezza che pervadeva le menti più tristi emanando dai nudi
blocchi delle costruzioni degli impianti industriali, quel sentimento con cui la massa opprime
l’anima. E come quando, ritrovandosi in simili luoghi, ci si affretta a raggiungere il centro, per di
6
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
sperdere la nube dei pensieri tra i caffè, le vetrine e i lampioni, così qui si cercava di sfuggire a se
stessi rifugiandosi tra i discorsi, le bevute o addentrandosi nei più remoti meandri della mente.
Carlo Emilio Gadda
I
“Fiducioso nell’ideale”
Fiducioso nell’ideale della guerra e dell’Italia, dopo essere passato attraverso la convinzione
interventista, la fedeltà alla Patria, la coerenza e fierezza dell’essere un alpino giunge alla
delusione politica e soprattutto all’esperienza tragica della guerra che racconterà. La guerra ha in
sé qualche cosa di bestiale e di ripugnante, indegna degli uomini. Ma a tale convinzione Gadda
giunge solo alla fine del conflitto. La cesura con il passato, umana e intellettuale, diventa ora
insanabile. Di conseguenza la parola non può più essere né epica né giudicatrice ma si scontrerà
con una realtà sociale e individuale che egli non sarà più in grado di raccontare.
Da Il castello di Udine, 1934
Elogio di alcuni valentuomini
Il parlare della guerra e della pace come di un mito, o come del terremoto, è cosa ripugnante in un
uomo e in un cittadino. Vi è qualcosa di bestiale in una rissa, ma la volontà di ferire è più nobile
della bassa stanchezza che conduce a tenersi gli sputi nella faccia. La guerra si deve volere o non
volere da uomini: il parlare della guerra e del governo come di un mito non è cosa degna di uomini.
Da Il castello di Udine, 1934
Impossibilità di un diario di guerra
[…] anch’io, come tutti, son disceso con la sensazione e con il pensiero, cioè con il corpo e con
l’anima, ai fatti perentorii e banali della vita di guerra: e alla brutale immediatezza di questi fatti ho
riconosciuto valore di causa, da poi che a volte essi vennero motivando tutta una serie d’altri fatti
bruti e reali, prima ancora che la volontà e la ragione potessero.
Ho visto la volontà sommersa del caso, come una barca dalla risacca: e il chiaro pensiero
onnubilarsi e dissolversi nella stanchezza: ho visto in altri, ho sentito in me. E la disciplina a certe
ore allentarsi, e questo (dico duramente e con verità) soltanto fuori della mia anima, e orrende
bestemmie trasfigurare gli emunti e sacrificati: e talora i finti martini piagnucolare il finto destino.
Ho dunque facilmente riconosciuto anche alla guerra, e già conoscevo per altra esperienza d’altri
disumani dolori, che certi fatti bruti, materia, necessità, causa, dite come volete, sono essi a volte i
7
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
discriminanti delle cose reali più che non quelli (pensiero, volere) i quali pertengono alla attività
dell’apice nostro e dovrebbero prepararci il dabben futuro, il dabben premio e la dabben
vittoriuzza, secondo l’aspettazione dei più nobili cuori, e dei cervelli più sciocchi. Di tanto
differiscono il presumere e il conseguire.
[…]
Sono disceso, con la sensazione e con il pensiero, a guardare «le conseguenze del mio
interventismo». Sono disceso. Ma sono risalito poi sempre nella solitudine mia, mentre il codazzo
del contumelie che inseguiva i «volontari» e gli «interventisti» faceva gazzarra e stormo fuor de’
miei timpani, coma la plebaglia fuori di un castello munito. Vigili angosce dominarono la mia
guerra, nonostante il bere, il mangiare, il concupire vanamente e il ristoro de’ pediluvi: soffrii per
gli altri e per me, teso con tutti i nervi nella speranza, e quasi in una continua preghiera. Vigili
angosce dominarono la mia guerra, una cieca e vera passione, fatta forse (giudicandola dal punto di
vista della raffinatezza italiana) di brutalità, di bestialità, di retorica e di cretinismo: ma fu
comunque una disciplina vissuta, la sola degna di esser vissuta.
[…]
Io non fui e non sono un umile fante, ma un soldato d’Italia a ora a ora buono o gramo, che ebbe
infiniti difetti e conobbe infiniti peccati, salvo quelli dell’umiltà. E anche negli altri non vidi, non
volli vedere il francescanesimo: volevo che fossero eretti, arditi, pronti. L’umiltà vera di alcuni mi
rendeva cattivo: a un caporalmaggiore accovacciato dentro il buio ricovero, con occhi rotondi e
quasi arancio dall’itterizia, che biascicava pallido a baffoni disfatti interminabili avemmarie,
rosario tra mano, gli auguravo regolarmente la cannonata diabolica, egli implorava! da mandargli
all’aria tutto il vasellame. E mi accovacciai anch’io più di una volta.
Sono stato cattivo: e pure credevo d’aver cuore, e forse ne ebbi! Come ufficiale fui esigente,
pignolo: però pagavo regolarmente l’attendente, e il sellaio della compagnia, quando mi risuolava
le scarpe. Spietato nella richiesta della fatica da parte degli uomini, la stanchezza talora mi
uccideva e cadevo come un cavallo fottuto che non ne può più. Sono riuscito a realizzare delle
economie sullo stipendio da tenente e con quelle ho finito i miei studii: sono un profittatore di
guerra.
Ma questo non c’entra: volevo dire che l’automacerazione e il vittimismo non sono tollerabili da
chi sente militarmente di dover compiere atti militari.
E poi, adagio anche con lo sberleffo. Fame e fatica e settimane di pioggia ci furono anche per me,
com’è ovvio, sono un uomo anch’io! Sebbene, come interventista, avessi perduto il diritto di
chiedere il turno. Ci furono paura e sgomento in alcuni istanti, e anelito verso la vita, come in tutti i
vivi. Pensai anch’io a mia madre e ai miei fratelli, come tutti pensavano. Ma quando la fumàna e il
8
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
fragore delle furibonde battaglie toglievano alle anime il piacere d’essere venute a sto mondo, e il
monte ed il colle divennero una cava di ghiaia, e nient’altro che una cava di ghiaia, allora feci del
mio meglio per essere degno de’ miei compagni; per essere un soldato d’Italia. Ora, in quei giorni
di sangue e di fòlgori, ciò che mi tenne all’inpiedi e mi permise andare e saltare e coniugar giusti i
verbi italiani, non fu né predica né giornale né speranza di combattere «l’ultima guerra»; né di
redimere l’umanità da nessuno; furono un istinto e un’idea. Che furono vita, furono forza. L’idea la
chiamo dovere militare, l’istinto lo chiamo orgoglio militare.
[…]
Io ho voluto la guerra, per quel pochissimo che stava in me di volerla. Ho partecipato con sincero
animo alle dimostrazioni del ’15, ho urlato Viva D’Annunzio, Morte a Giolitti, e conservo ancora il
cartello con su Morte a Giolitti che ci eravamo infilati nel nastro dei capelli. Del resto, pace
all’anima sua. Io ho presentito la guerra come una dolorosa necessità nazionale, se pure, confesso,
non la ritenevo così ardua. E in guerra ho passato alcune ore delle migliori di mia vita, di quelle che
m’hanno dato oblìo e compiuta immedesimazione del mio essere con la mia idea: questo, anche se
trema la terra, si chiama felicità.
E il mio giudizio circa la necessità della guerra è rimasto sostanzialmente coerente: con questo però
di tragico e di assurdo rispetto al delicato sentire de’ miei giudici: con questo: che nella mia retorica
anima io giudico e credo molte sofferenze si sarebbero potute evitare con più acuta intelligenza,
con più decisa volontà, con più alto disinteresse, con maggiore spirito di socialità e meno torri
d’avorio. Con meno Napoleoni sopra le spalle e meno teppa e traditori dietro la spalle.
È evidente che son fuori del seminato. Perché sono ancora capace di odio contro chi denigrò,
tramò, vilipese, indebolì, seminò scandalo e scismi: e contro chi non pensò, non vide, non
predispose, non capì, non sentì, non curò. Sono un tal tanghero, che odio più i traditori dei nemici:
gli asini quanto i nemici. E più gli spioni di casa che Conrad, sebbene odiassi con compiuta
interezza anche lui. Sono un frenetico. Ma nessuna corazzata «Leonardo da Vinci» saltò in aria dai
porti tedeschi: nessuna polveriera di Udine saltò per aria in Germania al primo giorno della
Bainsizza, migliaia di tonnellate di proietti. Anche questa, del far montagne di balistite, era una
nostra manìa. Bisogna fare tante montagnole, non una sola montagna: il buon senso stesso lo dice.
– Ma di ciò basti.
Ho sofferto: orrendamente sofferto: e delle mie angosce il 99 per 100 lo lascerò nella penna: il mio
diario di guerra è una cosa impossibile, ognuno lo vede.
II
La prova dell’esperienza
9
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Emerge l’impossibilità di parlare con coloro che sono scomparsi. La terra li inghiotte e il presente
appare sradicato dalla possibilità di dialogo con il passato, con la storia.
Appare la tragedia, lo smarrimento, la sofferenza, la delusione, dell’esercito italiano dopo la
disfatta. Il racconto è dolorosamente “storicizzato”. Gadda non volle che venisse pubblicato
proprio perché davanti a una simile immane violenza ad opera dell’uomo la parola non può essere
in grado né di descriverla né di giudicarla.
Il 25 ottobre 1917 Gadda, tenente degli alpini, fu travolto con la sua compagnia di mitraglieri
durante la disfatta di Caporetto. Venne catturato e trascorse poi in prigionia gli anni successivi di
guerra, a Rastatt e poi a Celle, in Germania. Queste pagine appartengono a un diario che ha
registrato giorno per giorno la sua esperienza di guerra.
Da Poesie, 1993
Sul San Michele
(Gaddus*, 4 luglio 1917)
Ho detto ai soldati: «Per oggi riposo,
Per oggi aspettatemi qui.»
E ho preso la strada del monte:
Sito grigio, sito sassoso.
Lo chiamano monte, così,
perché fu tremendo il salire.
Non c’era vento a lambire
La fronte,
Ma la mitraglia passava di qui.
[…]
Morti, compagni morti
su l’ascesa della collina,
So come fu, come sarà:
Saliva lenta la china:
Scendeva a saette, scendeva
Terribilmente l’oscurità.
Morti, compagni morti
So come fu, come sarà:
10
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Le nuvole passano il muto
Cielo. Ha taciuto
La battaglia. Tace coi morti
Il monte,
Senza suono, senza terribilità.
Cerco nel monte i morti
Ma i lor visi cela la terra
Gli occhi nel termine assorti
Le facce indurite
Dal martellar della guerra
Facce di gioventù,
Occhi fermi, cari visi,
Nel mondo non ci son più.
Gli sguardi a lontano e i sorrisi,
Dall’anima non salgono più.
Nel monte li mangia la terra
I compagni; la guerra
È passata più là.
E sento il cannone che batte;
Che batte, che non ristà.
Vorrei parlarvi ed andare
Compatti dietro il cannone
Veder le granate a smontare
Pezzo per pezzo le corone
Delle trincere
Sopra i colli bruciati.
Avervi compagni, beati
Di giovinezza e d’orgoglio.
All’assalto delle trincere
E lungi dal soglio
Dell’opere prese
Altri monti vedere
11
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Altre schiere
Avverse
Altri cieli senza confine
Altro ridente paese.
Non vedo che un velo
Di nuvole perse
Tetre, nere,
andare col vento nel cielo.
[…]
* La poesia ci pone nel clima epico-retorico di altri ritratti di guerra, come testimonia anche il
nome “Gaddus” o “Duca di sant’Agata” un titolo nobiliare frutto della sua fantasia adolescenziale,
usato anche nei diari di guerra.
Dal Taccuino di Caporetto. Diario di guerra di prigionia (ottobre 1917-aprile 1918), 1991
Memoriale
Cap. 28. – Mattino del 25
La stanchezza istupidiva i soldati; bestemmiavano, si gettavano a terra; giungemmo a un punto in
cui le colline strapiombano nell’Isonzo con un salto di roccia. Lì bisognò risalire l’erosione
fluviale, fino sul ciglio: i soldati e io stesso, che ero il meno carico, salivano lentissimi, vinti dalla
fatica e già presi dall’accasciamento. […]
I soldati mi seguirono istupiditi, con le mitragliatrici, stanchi, forse ormai certi della nostra sorte. Io
volevo sperare ancora, non dico speravo. La necessità delle decisioni, la responsabilità di condotta,
mi tolse in quei momenti di soffrire troppo del vicino pericolo. Riprendemmo ancora una volta il
ciglio del fiume, nel bel sole meridiano che la stanchezza e il dolore ci impedivano di benedire, se
bene ci riscaldasse dopo le lunghe piogge e la tormenta della notte.
Così marciando avvistammo sul bellissimo stradale della sponda opposta una fila di soldati neri,
che provenivano da Caporetto, preceduti da alcuni a cavallo; il cuore mi s’allargo pensando che
fossero nostri rincalzi, e al momento quell’ uniforme nera mi fece pensare (che stupido) ai
bersaglieri. […]
Poco dopo il crepitio d’una mitragliatrice e qualche colpo di fucile: cominciai allora a temere e
intravedere la verità: “i Tedeschi saliti da Tolmino! Stanno per circondarci”. […] “Sono loro?”
chiesi, e gli occhi mi luccicarono di pianto: “Sono loro? Ma è possibile?” e non seppi altro, né far
altro che piangere. “Ah! È orribile. È orribile”. […]
12
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Io guardavo qua e là tentato ancora di prendere la via dei monti: ma altra truppa tedesca
sopraggiunse proprio allora dalla strada di Caporetto: prima un orribile sottufficiale, tipo di sgherro
e di assassino insieme, stese la sua pattuglia al margine del prato ove stavamo: fece ispezion’arm ai
suoi 8 o 10 saldati, carichi di un pesante sacco, stanchi. Uno appariva sfinito e implorava un po’ di
riposo: era rosso, col collo gonfio e accaldato e si rivolgeva al sergente come Cristo ai carnefici.
Questi, urlando, gli impose l’obbedienza: agitava un bastone, ed era armato di rivoltella. La
pattuglia poi salì per dove era già salita tutta l’altra truppa: la montagna doveva essere piena, dopo
la pattuglia salivano altri soldati, coi loro ufficiali. Ci guardavano curiosamente ma nessuno ci usò,
lì, atti o parole cattive. Avevano tutti l’elmetto da combattimento, largo come un cappello di paglia,
senza chiodo, a forma speciale.
Dal Taccuino di Caporetto. Diario di guerra di prigionia (ottobre 1917-aprile 1918)
25 ottobre 1917
Lasciammo la linea dopo averla vigilata e mantenuta il 25 ottobre 1917 dopo le tre, essendo venuto
l’ordine di ritirata. Portammo con noi tutte le quattro mitragliatrici, dal Krasjj all’Isonzo (tra
Ternova e Caporetto), a prezzo di estrema fatica. All’Isonzo, mentre invano cercavamo di passarlo,
fummo fatti prigionieri. – La fila di soldati sulla strada d’oltre Isonzo: li credo rinforzi italiani.
Sono tedeschi!
Gli orrori spirituali della giornata (artiglierie abbandonate, mitragliatrici fracassate, ecc.). Io guastai
le mie due armi. –
A sera la marcia faticosissima fino a Tolmino ed oltre, per luoghi ignoti.
10 dicembre 1917
Finiva così la nostra vita di soldati e di bravi soldati, finivano i sogni più belli, le speranze più
generose dell’adolescenza: con la visione della patria straziata, con la nostra vergogna di vinti
iniziammo il calvario della dura prigionia, della fame, dei maltrattamenti, della miseria, del
sudiciume. Ma ciò fa parte di un altro capitolo della mia povera vita, e questo martirio non ha alcun
interesse per gli altri.
Finito di scrivere il 10 dicembre 1917 in Rastatt.
Prigionia
Rastatt, nel Granducato di Baden. Friedrichsfestung. Bastioni. – Kaponiere N°.17. Ala
destra: carcere nel fondo.-
13
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
31 dicembre 1917. Ore 21,30. – tra l’orribile fame e la disperazione, nella miseria morale e fisica,
finisce atrocemente questo 1917 che cominciò per me sulle rive dell’Astico, a Lugo Vicentino,
nell’ospedale 045 della Croce Rossa Italiana. Ero convalescente da forti febbri reumatiche: avevo
compagni d’ospedale Ardy, spezino, Di Matteo, napolitano, Jatta, pugliese, e un altro. Ricordo il
sole ancor tiepido e il letto dell’Astico e l’acqua marezzata al sole e alla luna. – Ricordo la dolcezza
lieta del Veneto. Ricordo poi Iseo, Brescia, Verona, Lonigo, Torino; e prima Roma, (con Enrico),
Napoli (Museo Nazionale, estasi) e Lagonegro, con la mamma. –
Dopo Torino il Carso, quota 319, quota 366 sul Faiti Hrb, e Rubbia, e Sagrado, e Sdraussina e
Romans e S. Vito al Torre (Enrico) e Udine, e Cividale, (Chirò), e Clodig, e Drezenca e il Krasji. E,
poi, è meglio non ricordare, come sarebbe stato meglio non vivere. –
Finisco l’anno nel carcere, coi miei 19 compagni di prigione, che stanno spogliandosi. Ho fame,
perché ho mangiato un quinto di pane un pezzetto di gelatina di pesce puzzolente e un mestolo di
acqua e sedano. Ho fame e ruberei per sfamarmi. Ho le calze in brandelli, e una berretta sulla testa,
tagliata da una coperta. – Ho scritto oggi ai miei, alla mamma e a Emilio Gadda. – Penso
tristemente ai miei anni migliori, che la prigionia annienta e distrugge: almeno Poncelet,
prigioniero dei russi, mangiava: e inventò l’analisi coi metodi proiettivi. Io non posso nemmeno
studiare il tedesco, tanto son denutrito. Voglia il cielo che presto mi sia dato di ritornare al lavoro e
al pensiero. Essi saranno dedicati alla famiglia e alla patria, a tutta l’umanità. E cercherò anche per
me la gioia, e meriterei di trovarla, dopo le sofferenze dell’infanzia e dell’adolescenza, dopo questa
giovinezza dedicata con trasporto e costanza alla patria, e ripagata con tanto dolore! Dove sarò tra
un mese? Dove a Pasqua? Dove tra un anno? Il timore d’essere ancora prigioniero mi spaventa: non
voglio pensarci. Venga allora la morte, quella morte che non m’ha colto onoratamente sotto il
fuoco nemico, sul Carso o sul Krasji. Nel carcere, morso dalla fame, umiliato dalla miseria, finisco
il 1917. – Fuori c’è neve e silenzio nella campagna morta. Qui siamo in una tomba. –
Sono certo che la mamma, che i miei fratelli mi seguono con l’anima: così come io li cerco con il
pensiero, avidamente: e non so nulla di loro! Nessun altro penserà a me in questo momento: non
amici, non una donna; nessuno pregherà per me. Il pensiero di questa solitudine mi pesa oggi più
che mai: mi vedo solo e perduto nel mondo, con le più pure speranze infrante: e sogno i miei alpini,
il mio quinto reggimento, i miei monti, e vorrei essere là con loro, e sentirli cantare: “ce lo dico,
signor capitano, che in licenza mi deve mandar”, o la canzone di Celestina, o quella dei sei pezzi.
Questi canti sono spenti per me: intorno a me c’è il bastone, le grate di ferro, la sentinella tedesca, e
dentro me la fame e con me la miseria.
Così finisce il 1917, l’anno 1917. –
CarloEmilioGadda, Duca di Sant’Aquila: (Gaddus). –
14
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
31 dicembre 1917. Ore 22. Rastatt.
1917 Capùt.
III
Il caos insopportabile della vita quotidiana
Il cammino nel mondo è diventato ormai un desolato procedere senza più un obiettivo. Terminata
la guerra e tornato a casa, nella sua memoria si fissano con lacerante durezza le immagini
dolorose dell’esperienza appena vissuta, alle quali si aggiunge anche la notizia della morte del
fratello Enrico. Il segno della scrittura si inverte, dalla visione armonica, retorica talora epica
come abbiamo visto, si incammina verso una concezione sempre più caotica della esistenza. Anche
la riletture delle pagine di diario è rimodulata in termini differenti, come i due ritratti seguenti.
Manca lo spirito di condivisione cameratesca, sono assenti gli ideali e la fierezza della
partecipazione all’esercito. Il sentimento è freddo, cinico, assente davanti al dolore altrui.
L’ultima poesia scritta due anni prima della morte conclude il percorso.
Da Il Castello di Udine, 1934
Imagine di Calvi
A Celle, nell’Hannover, già mi giungevano i soccorsi generosi della patria e già li dividevo con
alcuni compagni, seppure nello sgomento ossedente dell’incertezza, e delle torture superate;
quando conobbi, venuto fuori dai regni baraondeschi della pluralità e della miseria, un tenente del
genio: portava gli occhiali, altissimo della persona e curvo, con il polmone trapassato da una
pallottola e appena rimarginato, non guarito. Era studente di matematica, e divenimmo amici:
un’amicizia fragile e secca, nel gelo morale della disperazione, come quei fiori, vitrea piuma, che
un soffio dissolve. Parlando, gli dissi che mi spiaceva di non aver nota ancora la formula cardànica
per la risoluzione generale dell’equazione di terzo grado: non avevo avuto occasione di
occuparmene.
Ed egli, pallidissimo e scarno, con esangui occhiaie dietro le lenti, con tumefatte labbra sulla
magrezza scheletrica del viso, per brevi commenti della sua voce (che pareva insorgere da una
caverna disperata, profonda), egli con la povera e tremante mano rapidamente dedusse eguale da
eguale, un lapis sopra uno strapazzato foglietto che avevo potuto trovare, che oggi religiosamente
conservo. Non aveva alcun soccorso da casa. Vedo ancora quella mano tremare sul foglio e con
dignità pura quei poveri occhi dirmi, dirmi dietro le lenti, della risoluzione di Cardàno.
Non la sua tùnica lògora, né la sua voce distrutta, non il pallore alto sopra la statura comune degli
uomini, né il chiaro commento circa l’eleganza rapida delle cose deducibili, né la curva sua schiena
15
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
di malato e di ferito, né la sua dignità d’uomo intatta e ferma alle soglie della sua notte, nulla mi
mosse a regalargli neppure un pezzo di pane.
Egli non mi chiese nulla, non mi parlò più mai del suo polmone trafitto, mi continuò a visitare
amichevolmente, altissimo, curvo; malato dalla voce di tomba, talora con un sorriso nel volto e
dentro le occhiaie pallide, esangui, di là dalle lenti.
Trovai segretamente il pretesto, oh! inconfessabile miseria!, che non osavo offenderlo con
un’offerta di pane.
Dopo un mese, seppi, non vedendolo, ch’era entrato di nuovo alla baracca-infermeria; poi, non
ricordo bene, poi discese sotto la coltre della terra tedesca, nel cimitero che l’abetaia contornava.
Qualche soldato della stazione radio, sotto il cielo germanico, forse usciva la domenica verso le
croci solitarie: dalla brughiera il tratturo accedeva alla selva; forse, presso il giardino della morte, la
ragazza, con un fiore, aspettava. Al di là d’ogni sentiero, al di là d’ogni male, nella opaca sua luce
riposa, e non è coronata di cipressi, la immutabile morte.
[…]
Camminavo nella sopravvenente nebbia, respiravo la nebbia: sulla cintura de’ reticolati le divinità
teutoburgiche alonavano i fari; scaturito dalle lor polle, il grasso fiotto della luce inzuppava il
groviglio del filo spinato: passeggiando lungo la rete metallica con il decoro di un fucile, il tedesco
masticava la sua cicca, pensionato zoppo di Chateau-Thierry.
Camminavo e vedevo quale era stata la fatica, quanto il valore. La voce di un bergamasco mi
riportò per analogie più veloci a riudire quella del tenente, pacata, quasi tenue, che avevo
conosciuto un giorno a Temù. Comandava una compagnia sciatori, già valida, per l’Adamello,
come reparto d’assalto.
Lo avevo conosciuto piccolo e privo di parole, forse in un’ora di presagi, aveva un nerbo di bue
nella destra, come certi figuri della malavita: di capelli biondastri; gli occhi erano calmissimi e
cèruli, il suo nome era negli animi e nell’elogio di tutti, per tutta la valle.
Uno strano imbarazzo m’aveva colto alla sua presenza muta e poco benevola: avevo ancora negli
orecchi la giovialità rumorosa e tartarinesca d’un volontario-Vitellio, ministrante tabacchi ai
pennuti e camicie, nelle furerie d’un deposito pieno di partenze. E mi rassegnavo all’idea-tipo: gli
alpini dovevano bere e poi cantare morendo, da farne una bella novella di cinquecento lire: o un
carme pieno di lampade votive, in endecasillabi da circolo filologico. Dovevano bere con un
pistolone alla cintola, con escursione di tre buchi ad accogliere il punteruolo della fibbia, secondo
l’ora del giorno.
Uno strano imbarazzo: ma mi ero vinto: e, adempiendo a un dovere troppo sentito per disarmarsi
davanti l’ostacolo della freddezza, gli avevo espresso il desiderio di appartenere alla sua
16
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
compagnia. Mi rispose brevi parole di occasione. Era una compagnia composta esclusivamente di
sciatori, diavoli bergamaschi scatenati sull’Adamello, nella tempesta e nella bufera glaciale. Il
destino non esaudì al mio desiderio: e fu ragione, perché difficilmente avrei potuto seguirli, nonché
divanzarli: come soldato potevo, ma per la questione montagna e resistenza fisica no, dove simili
demònii di troppo mi superavano.
Tre settimane: e lo rividi al passo, detto Brizio, ch’era come l’ideale imbocco dei destini glaciali.
Quivi convergevano ad ammucchiarsi i rifornimenti, su dalla teleferica della valle, quindi
irradiavano pane e proietti agli alpini dell’eccelso Adamello. L’avevo riveduto, il tenente dagli
occhi fermissimi, senza sorriso. Disteso al suolo, una coperta grigia, come un sudario, lo ricopriva:
nel volto viveva lo sguardo. La bufera saliva dal Mandrone, tormentava infaticata il lembo della
tenda bianca, gommata come le cose de’ medici, crociata come il magazzino del dolore
sanguinante.
Crudeltà vetrosa, il nevischio turbinava dentro la tenda, feriva ancora, implacato, il tenente. Dietro
di me il cappellano gli disse: «Coraggio!» Rispose in bergamasco: «Cosa devo farmi coraggio, che
non posso neanche respirare». Il cappellano si ritirò.
Trafitto nel polmone all’assalto del Dossòn di Genova, trasportato alla tenda gommata del Brizio, il
tenente Attilio Calvi moriva. Suo fratello, l’altro Calvi, adempiva in quel momento, come in ogni
momento, ai suoi doveri militari: a pochi chilometri, sotto le difese ultime del nemico.
Il tenente Attilio Calvi, supino, rantolava, in un ànsito senza conforto. Le mie labbra, dopo quella
risposta, non ebbero una parola per il morente. Lo guardai a lungo, senza osare dir nulla, mi ritirai.
La bufera mi accecò. Arrivarono a trasportarlo fino al Rifugio Garibaldi.
Da Poesie
Gli amici taciturni (ovvero “ritorno”)
Questo sonno è passato
Sulle anime
Nostre? Eccoci ancora:
Si sente
Nel vano desolato
L’andare del mondo.
Rotola, rotola sterile
Bestia.
Ingolfati nel profondo
Gli anni sono passati:
17
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Eccoci radunati,
Ancora.
È la solita ora.
[…]
Quanto sonno, quanto sognare,
E il tempo dov’era andato,
Che non si sentiva a passare?
Ma il tempo è passato
Con rapidi anni.
Ma che cosa è mutato
Tra gli immobili scranni
Di queste stanze.
Qualcosa disparve; si sente.
Niente, niente.
Eccoci ancora:
Le stesse mani le stesse
Teste: nessuno
Parla, ma ci guardiamo.
E allora vediamo
Venire dal buio altri visi
Ancor nostri ricordiamo altri cuori.
Ed altri giorni allora
Vediamo ed altri sorrisi.
E rivediamo le torri
Ed i vecchî castelli;
E i mantelli
Scarlatti ed azzurri
Delle dolci donne, quando
Il vento passava sopra le torri.
Ecco che tornano i venti,
Ma vengono dal freddo oltremonte
18
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
E portano nella notte
Portano un suono ignoto.
Dev’essere il mondo
Che incontra la notte
E vuole la strada
Del profondo.
Da Il Castello di Udine, 1934
Tendo al mio fine
Quella che le cantatrici e i loro aiuti sogliono chiamare la vita è stata per me una immonda
prigione: la mia giovinezza, secondo il dettato del poeta, una tenebrosa tempesta; e quello che
sogliono chiamare il bene, è stato il muro del carcere e la bontà della tomba.
[…]
I pensieri belli si dissolveranno, ogni volere, ogni gioia, ogni più ardente e tenero senso e memoria;
e forse l’amore istesso della mia terra! Come avviene anche di là, dietro dal monte, la rosea nube in
cenere si discolori. E in sul muro, che chiude il Campo, si leggerà, mal vedibile un segno: un segno
inscritto col sangue.
Crescerà ne’ vecchi muri l’urtica: e l’erba di sopra la lassitudine mia.
E l’erba, che sarà cresciuta, la mangerà il cavallo, che campato sarà.
LUCA MONTECCHI: Buonasera. Innanzitutto un ringraziamento alla lettura, molto
significativa e molto interiorizzata di Massimo Popolizio.
È la lettura di testi che sono francamente insoliti, come avrete udito. Gli autori forse sono noti –
soprattutto Gadda in Italia − ma questi testi di Gadda non sono certo fra i più frequentati. E poi
abbiamo sentito la voce di Ernst Jünger, che in Italia gode di molta stima, però più “sotterranea”,
meno diffusa, meno stentorea, anche perché, per molto tempo, almeno fino alla fine del
Novecento, gravava su di lui un’ipoteca di nazismo, di uno che fiancheggiava l’ideologia delle
armi, che assecondava il disegno del Reich. In realtà non è così, le cose non sono veritiere, e
comunque non è questo il momento per addentrarsi in queste polemiche, perché ormai la sua
figura di scrittore è stata ampiamente riconosciuta e sdoganata anche da personaggi non proprio
“della sua parte”, tuttavia di assoluto prestigio, basti pensare in Italia a Moravia e all’estero
Francois Mitterrand, che fu presente proprio alla celebrazione (a titolo anche pacificatorio) di
19
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Verdun, dove Jünger tenne un celebre discorso che potremmo quasi definire “pacifista”. Ma non
è questo il punto, era soltanto per dare un minimo di inquadramento. Queste pagine, scelte e lette
con molta aderenza al dettato, non perfettamente assimilabili le une alle altre, però, (e questa è la
domanda che immediatamente rivolgo ai nostri ospiti), hanno un pregio dal mio punto di vista,
che è quello di non inclinare di certo ai buoni sentimenti, o comunque ai sentimenti facili, alle
tenerezze, a certi sentimenti di nobiltà, chi ha letto naturalmente Niente di nuovo sul fronte
occidentale capirà immediatamente. Quindi io chiedo innanzitutto a entrambi, Paolo Mieli e
Luca Doninelli, che cosa risuona in loro e che cosa ritengono che queste abbiano da dire ancora
oggi, posto che siamo dopo un secolo dall’inizio della Guerra, la guerra mondiale che è stata poi
la prima di due, e che è stata un evento di assoluta straordinarietà, un evento che dire epocale
sembra quasi banale, ma che è invece un giudizio che io rivendico, perché c’è molto da capire,
questo è il mio personale parere.
PAOLO MIELI: Devo dire che sono rimasto toccato, come credo anche voi, da queste pagine
che denunciano in modo sottile, perché a noi sono toccati in sorte due autori che sono due
autentici geni del Novecento, due grandissimi scrittori, e che hanno saputo anche trattare la
guerra descrivendone ad un tempo i caratteri di modernità (soprattutto Jünger) e facendoci
rivivere i drammi a cui queste persone sono andate in contro in anni e anni di guerra. La guerra
mondiale fu un avvenimento (la prima anche più della seconda) sconvolgente soprattutto nelle
aree vaste d’Europa in cui si è combattuta. Voi dovete sempre tenere a mente che fino a quel
momento i popoli non conoscevano la guerra, le guerre erano combattute dagli eserciti, essi
conoscevano più le rivoluzioni come momenti di sconvolgimento che riguardavano anche i
civili; dopodichè per tutto quello che riguarda per esempio l’epopea del Risorgimento e dei primi
cinquanta-sessanta anni di vita dello Stato unitario gli italiani non conoscevano la guerra, la
conoscevano le popolazioni meridionali per aver subìto fra il 1861 e il
1865 una guerra
d’occupazione , che poi è stata misconosciuta dalla storiografia ufficiale. È stata raccontata come
una guerra al brigantaggio come se si fosse trattato di dare la caccia a dei banditi, ma quei
poveretti avevano conosciuto una vera guerra con interi paesi incendiati, orrori che i nostri
manuali di storia hanno opportunisticamente lasciato da parte. I nostri progenitori andavano e
prendevano dei villaggi, e per reazione al fatto che erano stati uccisi quaranta bersaglieri,
venivano ammazzate mille persone, dalla prima all’ultima, compresi bimbi, suore, donne (che
20
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
venivano prima però violentate), case venivano date alle fiamme; si tratta di un precedente a
quello che avrebbero fatto i nazisti in alcune parti dell’Italia settentrionale. Questi paesi sono noti
come Ponte Landolfo, Casalduno. Ce ne sono stati anche altri, e noi abbiamo fatto
semplicemente i conti con questa vicenda solo quando, nella celebrazione dei 150 anni dell’Unità
d’Italia, Giuliano Amato, che presiedeva il comitato delle celebrazioni, è andato il 15 agosto a
rendere omaggio anche a questi paesi. Fino a quel momento queste vicende le conoscevano degli
specialisti, dei maniaci delle pubblicazioni che stanno dietro bottega nelle librerie del
Mezzogiorno. Pensate voi, fatevi un esame di coscienza e chiedetevi quanto ne sapete, quanto si
è depositato, quante vie a Ponte Landolfo o a Casalduno, quanti monumenti o riconoscimenti di
questi personaggi avete mai visto per l’Italia. Nessuno. Questa era la conoscenza della guerra.
Peraltro, noi di guerre ne avevamo combattute, scusate, la prendo alla lontana ma serve ad
arrivare al punto – e regolarmente la nostra presenza nelle guerre era complessa: nella prima
guerra mondiale delle battaglie sono realmente perse, nella terza guerra d’indipendenza
riconquistammo il Veneto dopo aver perso due clamorose battaglie attraverso i Francesi, fummo
capaci di essere sconfitti anche in Africa nell’avventura coloniale che tentammo, andammo nella
prima guerra mondiale e portammo come contributo il disastro di Caporetto, quando la guerra
finì, noi non avevamo conquistato un solo millimetro di territorio austriaco, e gli Austriaci erano
ancora in territorio italiano abbondantemente, nonostante ci fosse stata un po’ di crisi dopo il
disastro dell’autunno del ’17. Quella guerra fu vinta, nonostante questa nostra sconfitta. Per
questo dico che saranno quattro o cinque anni dolorosi, questi delle celebrazioni del centenario
della Prima Guerra Mondiale, perché toccherà dire un sacco di bugie, o comunque fare un sacco
di omissioni, in omaggio a cosa? In omaggio a questa pagine di descrizioni dolorose, dei dolori
della guerra. C’è un piccolo particolare che non vi sarà sfuggito: Carlo Emilio Gadda racconta
che lui, nel maggio del 1915, andava in piazza a manifestare gridando «a morte Giolitti!»;
Giolitti era uno statista, che non voleva la guerra, come non la volevano le due grandissime
organizzazioni di massa, che erano i socialisti e i cattolici. I guai, che ci ha descritto con
commozione Popolizio, sono guai che giovani come Carlo Emilio Gadda o Ernst Jünger hanno
chiamato e voluto, in omaggio a una retorica nazionalistica. Questo va detto: nessuno obbligava
l’Italia a entrare in quella guerra, neppure il desiderio di conquistare le regioni a cui aspirava
legittimamente, che comunque le sarebbero state date alla fine della guerra; i nemici si erano
impegnati ove mai avessimo tenuto fede al nostro patto a darcele ugualmente. Quindi noi siamo
21
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
entrati nella guerra proprio per fare le cose che Gadda descrive con il pianto in gola. Questo poi
non lo diremo più, ma, visto che è la prima volta che mi capita di parlarne in pubblico, vorrei che
fosse tenuto a mente: noi eravamo legati alla Germania con un patto che durava dal 1882, da
trent’anni ed era stato rinnovato sette volte. Sembrava che, non volendolo più onorare l’impegno
e trovando – come spesso è capitato nella nostra storia – scuse, occasioni, pretesti, per non
onorare gli impegni, quando essi si fanno cogenti, scomodi, la via più onorevole fosse quella di
dichiarare la nostra neutralità e di starcene fuori. Tutta la memorialistica racconta che i ministri e
i principali esponenti della Germania, dell’Austria e dell’Ungheria si accontentarono, nessuno
pensava che l’Italia avrebbe onorato quell’impegno ma si accontentavano di questa misura; la
maggioranza parlamentare era d’accordo con Giovanni Giolitti a restare fuori dalla guerra, a non
partecipare; sennochè alcune manifestazioni di ragazzi, tipo Gadda e molti altri come lui,
spinsero il re Vittorio Emanuele III a ordire un vero e proprio colpo di stato, a capovolgere una
decisione del parlamento, a mettere Giolitti in determinate condizioni - il mio è un racconto, non
è una descrizione, è avalutativo; sono anch’io parte dell’istituzione di questa celebrazione;
presiedo il comitato più importante per le celebrazioni della prima guerra mondiale ma mi
domando ogni giorno se non sia un dovere ricordare queste cose -. Quindi questi ragazzi e un
grande personaggio che incrinò la compattezza del partito socialista che era il principale partito
oltre a quello cattolico durante la guerra, questo personaggio era Benito Mussolini il quale, da
direttore dell’Avanti, il giornale dei socialisti – tenete a mente che allora essere direttore
dell’Avanti era come essere il capo del partito - all’inizio fece campagna per la neutralità,
nell’ottobre-novembre cambiò idea, cambiò anche rapporti, ebbe degli incoraggiamenti a
cambiare idea e fondò un nuovo giornale interventista e partecipò insieme a Gabriele
d’Annunzio e al principale giornale di allora, il Corriere della Sera a una campagna interventista
molto forte che diede la retrovia al re per capovolgere quella maggioranza parlamentare e per
trascinare il paese in guerra. I nostri rappresentanti politici firmarono in segreto un patto, il patto
di Londra, con quelli che fino a quel momento erano i nostri nemici e, una volta ratificato
l’accordo con la garanzia di concessione di alcune delle terre irredente, entrammo in guerra il 24
maggio, credendo che la cosa si sarebbe risolta subito. Io mi fermo qui, perché questa è una triste
storia da raccontare. Poi tutto finì in gloria, perché alla fine l’Impero austro-ungarico crollò e
trascinò in questo crollo anche la Germania, ma questa è la storia di un paese opportunista e di
una gioventù che si inebria di andare a sparare e a uccidere, perché la guerra in fin dei conti è
22
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
questo. Lo scontro era già iniziato nell’estate del ’14, quindi non è che i giovani non sapessero
dove stavano andando, solo che pensavano che uno, come sempre era accaduto nella storia
d’Italia, va in guerra, si fa un giro, vive un’avventura molto allegra, si riempie la divisa di
medaglie e torna a casa avendo ottenuto un buon risultato. Perché queste pagine sono state
scritte? Perché c’è una letteratura memorialistica sterminata sulla prima guerra mondiale? Perché
quelli che tornavano dalla guerra avevano un oscuro senso di rimorso (Gadda vide morire in
guerra anche suo fratello) per un motivo che è necessario chiarire prima di fare ogni discussione
sulla guerra: questi signori che si sono lamentati e che hanno scritto pagine molto liriche sulla
guerra sono stati coloro che l’hanno voluta. Nessuno la voleva, la maggioranza politica del paese
non la voleva e loro, insieme a persone che ci avrebbero guadagnato e ad una monarchia che
sognava di lustrare delle insegne che fino a quel momento erano opache, hanno trascinato l’Italia
in guerra.
Quando rileggo le loro pagine sulla Prima guerra mondiale penso che a questa prima parte, al
fatto di aver voluto e chiamato il conflitto avrebbero dovuto forse dedicare uno spazio in più che
quella nota di sfuggita che avete colto tutti ma che suona, per brevità e per sintesi, quasi come
una illusione imbarazzata da un discorso più approfondito su chi ce li ha mandati in quelle
trincee a soffrire. Morale di questa favola: attenti sempre all’etica della responsabilità; la prima
guerra mondiale è il momento in cui in Italia grazie al fatto che è stata vinta si passa in cavalleria
il fatto di accantonare chi l’ha voluta, chi l’ha cercata, chi l’ha provocata.
In un primo tempo questo passaggio in cavalleria di questa storia noi l’abbiamo pagato pure con
il fascismo, perché è ovvio che il fascismo, facendo leva su questi sentimenti e
sull’irriconoscenza del paese nel dopoguerra nei confronti di questi sentimenti, è riuscito a
conquistare la maggioranza elettorale del popolo italiano. È vero che il partito fascista andò al
potere con la marcia su Roma, è vero che le elezioni del ’24 furono elezioni fatte in un clima
molto particolare ma è anche vero che il successo, liberamente espresso nei confronti delle
riviste fasciste, fu strepitoso proprio perché su quello che ho detto stasera era taciuto e si tace
tuttora. Grazie.
L. DONINELLI : Mi faccio intervistatore ma solo per un momento. Per chiudere il cerchio
vorrei tornare un attimo su quello che avevi cominciato a dire all’inizio, perché una cosa che
credo tutti avremo notato è che esiste una differenza netta tra le pagine di Jünger e di Gadda che
23
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
secondo me si riassume nel giudizio che hai dato prima di modernità della guerra: Gadda
sperimenta un lato antico della guerra mentre Jünger la descrive come nessuno scrittore italiano.
Mentre ascoltavo Jünger stavo velocemente passando in rassegna tutti gli scrittori e poeti italiani
che hanno parlato della guerra, come Ungaretti, Comisso, Lussu e i diari di molti altri che
avevano aderito all’arditismo e poi divennero fascisti, come il pittore Ottone Rosai che scrisse
peraltro delle pagine molto belle sulla guerra. Nessuno di loro, nessuno nella letteratura italiana è
però in grado di porre le condizioni di possibilità di un tipo di lettura come è invece quella di
Jünger.
Io vorrei chiederti perché secondo te è così e che conseguenze ha avuto.
P. MIELI: La Germania, già nella fine dell’Ottocento, esprimeva una vocazione di modernità che
è cresciuta nonostante la sconfitta in due guerre mondiali, cioè aveva una vocazione, una pratica,
una capacità e una produzione di mezzi che già, nonostante la sconfitta disastrosa in due guerre
mondiali, disastrosa nel senso che la Germania fu rasa al suolo due volte in un secolo; ma oggi
vediamo come è finita, cioè la Germania è il primo paese d’Europa, è un paese che ha imparato
la lezione di non provarci più sul piano militare e, senza dover ricorrere alle armi, mostra di
essere avanti in materia di tecniche.
Quindi il mondo che circondava Jünger era un mondo che poteva essere descritto in quel modo,
mentre il mondo che circondava Gadda -a parte le fantasie meravigliose dei futuristi- non
corrispondeva: il nostro esercito arrivò nella prima guerra mondiale come una serie di straccioni
che non si capivano l’un l’altro, nelle trincee almeno il primo anno (nel libro “Un anno
sull’altipiano” è descritto nettamente) fu passato a cercare di capire gli ordini che davano gli
ufficiali, parlavano delle lingue totalmente diverse, non avevano mai viaggiato e mai conosciuto
quelle lingue. Come se voi andaste a combattere nell’esercito scandinavo e vi dessero degli
ordini in norvegese. I soldati venivano fucilati perché non capivano gli ordini, sbagliavano, non
capivano i loro commilitoni. Infatti noi siamo convinti, gli storici sono convinti che solo nelle
trincee della prima guerra mondiale che si forma poco a poco una nazione italiana in cui persone
che appartenevano a etnie, lingue, culture, sentimenti diversi cominciano a diventare fratelli e la
morte cementa dei rapporti che poi resisteranno e sui quali poi farà leva il fascismo. Ma non
c’era nessuna modernità da descrivere e da cui lasciarsi impressionare.
24
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
L’esercito tedesco invece era diverso come caratura, organizzazione, rapporti. Non
dimentichiamoci che la prima vera guerra di massa fu la guerra franco-prussiana del 1870: loro
aveva già saggiato i rigori della guerra, sia francesi che tedeschi, infatti tutta la prima fase della
prima guerra mondiale fu combattuta su schemi, ricordi, incubi e reminiscenze della guerra di
quarant’anni prima. L’avevano già combattuta, Francia e Germania hanno combattuto tre guerre
mondiali. Noi dentro la prima guerra mondiale eravamo il paese meno adatto a combatterla ,
come poi fu anche nella seconda: noi avevamo delle elités che parlavano di cose di cui neanche
sapevano.
Poi ci fu una singolare sfortuna, cioè che proprio alla vigilia dell’entrata in guerra morì il general
Pollio, il capo di Stato maggiore, che era l’unico che capiva queste questioni e i rischi, tenace
assertore della conservazione dell’alleanza con Germania e Austria-Ungheria. I suoi successori
erano assolutamente inadatti, così noi entrammo in questa guerra solo perché pensavamo – come
si ripeterà all’inizio della seconda guerra mondiale - che la guerra si risolvesse nel giro di pochi
mesi e queste nostre carenze non sarebbero venute all’occhio di tutti. Invece vengono all’occhio
di tutti sia nella prima che nella seconda guerra mondiale e la risposta che ti posso dare è che
Gadda non aveva questa visione.
C’erano i deliri poetici e pittorici dei futuristi, deliri in senso positivo, cioè sapevano guardare
oltre i confini nazionali; ma per uno scrittore che entrava in guerra c’era fango, sporcizia e tutte
le cose che descrive, l’olio che puzza, un pezzo di pane, dei disgraziati che morivano non solo
per il fuoco ma anche di stenti e malattie. E’ una storia che ci ha sempre accompagnato.
Un'altra guerra famosa a cui noi partecipammo e che fu fondamentale per fare l’Italia fu la guerra
di Crimea, quando andammo sulla Cernaia a combattere. Cavour mandò nella metà degli anni 50
dell’800 un nostra drappello nutrito a combattere la guerra di Crimea per avere il diritto di
sedersi al tavolo della pace. Il novantacinque per cento dei soldati morì di dissenteria e stenti,
non capivano niente. Furono mandati in una delle regioni più complicate della terra, bevevano
l’acqua e morivano.
Che significa tutto questo discorso? Che non c’è modernità da descrivere, vedere intorno un
quadro di fame, stenti e dissenteria non ti porta a vedere il ritmo della tecnica, il ritmo anche nei
morti, quando tu vedi intorno tecnica, mi ha colpito, avrà colpito anche te, il discorso delle
catasti di Jünger, vedi tecnica dappertutto. Quando tu intorno a te vedi sfascio, vedi sfascio anche
sui morti.
25
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
L. DONINELLI: Vedi tecnica e vedi industria dappertutto. A me ha colpito molto il brano in cui
dice: “qui non è più questione…” ironicamente, quasi, Jünger dice “provo nostalgia per quando
la guerra era una somma di nobili duelli”, mentre dice “qui si tratta solo della maggior quantità di
potenza di fuoco che può essere spesa dall’una e dall’altra parte, quindi la vittoria spetta a chi
esprime più potenza in una data area. Già questo è un modo di ragionare industriale, da strategia
industriale, quindi è un tipo di ragionamento che presuppone una produzione, come c’è una
distruzione fatta in questo modo, ma esiste come contraltare anche un aspetto produttivo per cui
leggiamo un po’ in filigrana questo aspetto. Per esempio nel Diario di guerre e prigionia di
Gadda, che è un’opera straordinaria e che è anche un po’ il romanzo di formazione di Gadda, il
suo modo di introdursi nella letteratura, un modo di introdursi che non avviene una volta per
tutte - perché come chiunque di voi saprà bene, gli eventi che caratterizzano l’esperienza di un
artista, di uno scrittore, di un pittore, di un musicista, poi costituiscono come un patrimonio che
ritorna nel tempo, voi vedete per esempio pittori che dipingono determinati soggetti a vent’anni,
poi ritornano magari dopo quindici, venti anni a riprendere questi stessi soggetti, perché alla fine
è chiaro che quello che può dire un uomo non sono tante cose, anche lo scrittore più mirabolante
ha un mondo che è un mondo circoscritto - e in Gadda questo romanzo di formazione andrà ben
oltre. Abbiamo letto dei brani de Il castello di Udine, sarebbe interessante però per ripensare a
tutta la struttura di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda; come, per esempio,
Gadda descrive il delitto in Quer pasticciaccio è una novità, costituisce una novità assoluta
rispetto alla letteratura “gialla”, lui chiamava il “giallo” il proprio capolavoro e costituisce una
novità perché esce completamente dalla logica: “c’è il morto, indaghiamo, troviamo il colpevole,
lo assicuriamo alla giustizia”, che è quello che in fondo noi amiamo anche nella letteratura e nei
film polizieschi.
Invece si tratta, come dire, di un precipitare, di una sorta di collasso; io ho sempre pensato anche
al mistero delle guerre: le guerre avvengono e tante volte - come hai anche descritto bene tu a
proposito della prima guerra mondiale - fino a pochissime ore, forse anche meno, che la guerra
scoppi, nessuno sa che ci sarà, non può avere la certezza che questo evento si realizzerà. Per
esempio pensando all’esperienza della guerra, di questa sorta di collasso, di precipizio, di
ciclone, mi viene una metafora più metereologica, una depressione improvvisa, è sicuramente
una similitudine, ad esempio, della esperienza che Gadda fa della guerra.
26
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
È anche interessante il fatto che hai sottolineato bene, cioè che ne Jünger ne Gadda parlano di
buoni sentimenti. Gadda notoriamente dice che lo scrittore che usa i buoni sentimenti è
semplicemente uno che non è riuscito a raccontare la sua storia, quindi è un mediocre scrittore,
che non riuscendo a raccontare la storia fa appello ai buoni sentimenti. È interessante quindi
come la mentalità dell’uno e dell’altro siano una mentalità più “scientifica”. Gadda poi
completerà i suoi studi da ingegnere, tant’è vero che per tutti noi è “l’Ingegnere” per
antonomasia, che poi è diventato De Benedetti, ma prima dell’avvento di De Benedetti
“l’Ingegnere”, almeno per la letteratura italiana, è lui.
È interessante il fatto che se voi per esempio leggete il Giornale di guerra e prigionia l’aspetto
scientifico di Gadda sta in lunghi elenchi, in numerazioni, oppure in dialoghi come quello
bellissimo, con quel ritratto struggente del matematico con il polmone bucato che poi morirà, che
scrive la soluzione di una equazione di terzo grado su un foglietto recuperato non si sa come,
interessante che Gadda non gli dà neanche un pezzo di pane.
È interessante, correndo un po’ sulla scia delle suggestioni che ci ha dato Mieli, come anche una
mentalità più tassonomica e numerica si esprime nei modi del vecchio politecnico, della vecchia
struttura educativa, senza giungere invece a forme che sono invece una società industriale, una
mentalità che pensa non solo alla produzione delle merci ma anche proprio alla struttura sociale
che ne corrisponde secondo una razionalità nuova, che traspare benissimo nei testi (secondo me
troppo pochi) che avete scelto di Jünger.
L. MONTECCHI: Io vorrei restare sul tema della modernità. C’era una pagina tratta dal Tenente
Sturm, che poi è una proiezione dello stesso Jünger, di cui vorrei sottolineare solo due o tre passi:
Questa coercizione, che sottometteva la vita dell’individuo a una volontà irresistibile, si
manifestava al fronte con una chiarezza spaventosa. La lotta raggiungeva dimensioni
gigantesche, rispetto alle quali il destino del singolo scompariva. L’ampiezza e la mortale
solitudine dei campi, l’effetto a distanza delle macchine d’acciaio e il rinvio di qualsiasi
movimento alle ore della notte…
O più avanti:
La battaglia era un brutale scontro di masse, una lotta sanguinosa della produzione e dei
materiali.
Oppure verso la fine del passo:
27
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
In fondo si avvertiva lo stesso sentimento di insensatezza che pervadeva le menti più tristi
emanando dai nudi blocchi delle costruzioni degli impianti industriali, quel sentimento con cui
la massa opprime l’anima.
Io sono rimasto colpito da questi passi, ma anche da quelli gaddiani citati in cui torna – c’è anche
in Jünger – l’idea di diario di guerra − tra l’altro sono stati pubblicati in tre volumi tutti i diari di
guerra, non più tardi di una quindicina di anni fa, a Gorizia −: l’idea dei diari, dei taccuini, la
forma dei toponimi e delle date, che poi sono, per chi è abituato ai testi scolastici o alla lettura di
poesia, ritroviamo punto per punto nell’Allegria di Ungaretti. Tutto intorno si avvertono
solitudine e mutismo − che non è il silenzio, che ha a che fare di più con la musica che non con il
fragore ed il fracasso − come alternative alle deflagrazioni.
Ultima cosa che voglio ricordare, per poi arrivare al punto, la distruzione della Terra. È stata
ripetuta in un passo di Jünger ed è stata ricordata anche in un passo di Gadda. Voglio solo
ricordare che Jünger su questo punto spende diverse pagine in Nelle tempeste d’acciaio e ritorna,
a distanza di molti anni, come estraendo da Nelle tempeste d’acciaio un altro racconto, che è
Boschetto 125, che era la zona di guerra in cui si trovava a presidiare (un’altra cosa che va
ricordata della prima guerra mondiale è che le battaglie cambiano di senso, perché prima le
battaglie duravano al massimo due o tre giorni, adesso durano settimane, mesi quasi, cose
inaudite). Zone e zolle di terra continuamente bombardate e distrutte. Ora, non vi pare che, tanto
più energica, protestata e gridata è l’indicazione dell’io in quanto anonimo, azzerato, quanto più
è strepitoso e gigantesco il teatro della guerra?
P. MIELI: Si, credo di si. Credo che la descrizione della tecnica e quell’ingresso della modernità
– ripetiamo sempre, attraverso le armi – è un ingresso che noi tuti abbiamo in qualche modo
approvato (anche se nessuno di noi c’era nella prima guerra mondiale) vidimandolo a posteriori e
approvandone le conseguenza. E quali sono le conseguenze? Per fare dei passi ulteriori, contro la
solitudine dell’uomo, contro il vero dramma dell’uomo che si sente solo (la povertà, la
solitudine), quindi per l’emancipazione, bisogna passare per uccidere, e quanto più sono
moderne le armi per uccidere, tanto prima si raggiungerà la meta.
L’uomo, invece di essere solo, sarà in una comunità e questa comunità avrà più da mangiare, più
da consumare, in una ripartizione equa. Questo è ciò che si fonda ai tempi della prima guerra
mondiale a livello di massa, nel senso che i rivoluzionari com’è noto esistono già dal secolo
28
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
precedente, in questa conformazione dalla Rivoluzione francese, ma all’inizio del ‘900, nei primi
decenni, cominciamo a pensarlo tutti. La guerra finisce, c’è un vincitore e un vinto, si danno
delle pene spropositate al vinto e noi tutti continuiamo allegramente, fino alle generazioni
successive, a immaginare ad ogni generazione un’occasione per uccidere con delle armi
moderne, eliminando il male attraverso l’uccisione, e quindi facilitando l’avvento del bene.
Questa è la nostra concezione della modernità. Inutile dire che abbiamo fatto, tutte le
generazioni, come Gadda e quei marciatori delle radiose giornate del ’15. Tutti abbiamo
innescato questo: da sempre una lotta del bene contro il male. Poi quando – sempre – non una
volta è accaduto che i risultati di questa lotta non degenerassero in qualcosa di atroce, ci siamo
girati dall’altra parte, abbiamo fischiettato e abbiamo descritto le atrocità di cose che noi (tutti a
parte i presenti in sala, sennò mi dite che siete pacifisti cristiani o seguaci di Gandhi), ognuno
quando è stata la sua volta, ha detto che bisognava ucciderlo quello.
Quel “morte a Giolitti” ha risuonato per generazioni e, in un modo o nell’altro, ogni generazione
ha auspicato la morte, e qualcuna si è data pure da fare per farlo. Quindi è una particolare idea di
modernità, ed è una modernità che usa la tecnica in modo violento, che perfeziona la tecnica per
poterla usare in modo violento e infatti il ‘900 è stato un secolo di orrori fino a che, dopo la
seconda guerra mondiale e gli orrori particolari che essa aveva portato con sé, la grande
operazione che abbiamo ideato è di lasciare questi orrori e trasferirli nel terzo mondo, cioè
andare a combattere queste partite altrove. Però, se facciamo un viaggio tutti insieme in Africa,
in America latina, nei paesi arabi e in Israele, ci renderemo conto che per alcuni quelle
descrizioni drammatiche di Gadda si possono fare per vicende di sei mesi fa, di adesso. Date
un’occhiata a quello che succede in Siria e vi renderete conto. Succede nella quasi indifferenza
generale. Centoquarantamila ne sono morti nel giro di due anni e altri ne moriranno nel nostro
silenzio, nella nostra distrazione, nella nostra voglia di occuparci di altre cose. Tutto per un’idea
di modernità che gli abbiamo regalato noi, non è che hanno insito nella loro cultura, nel loro
DNA questo.
Abbiamo trasferito noi questo fuori dall’Europa, finché ci riusciamo (in realtà fuori dall’Europa
relativamente, perché poi ci siamo scannati nei Balcani, adesso stiamo mettendo le basi per uno
scannamento alle frontiere dell’ex Unione Sovietica, quindi non c’è neanche da stare tranquilli
per l’Europa). Io ho capito il senso della tua domanda, e lo noto, ma più mi guardo intorno e più
rifletto.
29
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
Un’altra cosa che mi ha colpito di quelle che abbiamo sentito e letto è la retorica dei traditori, di
quelli che stanno alle spalle e ci tradiscono, niente di quello che è accaduto nelle trincee ha
impressionato Gadda, è stato un abbaglio, non era colpa di qualcuno che tramava a Roma o da
altre parti, sì c’erano degli ufficiali inetti come c’erano dei soldati inetti, c’era un paese che non
era pronto, non era preparato a dover entrare in guerra, ma l’idea è che alla fine la colpa di tutto
quello che accade (di quel sangue versato, di quel tozza di pane, di quel Natale tragico passato
nella prigionia) è falsa. Adesso che sono passati cent’anni abbiamo visto che questi traditori non
esistevano. La colpa di quella guerra era di chi l’aveva voluta e c’era andato. Quello che accadde
a Caporetto non accadde perché qualcuno li aveva traditi, quella era un’idea che facevano
circolare i futuri fascisti o ambienti ultrà del combattentismo che dicevano che i politici stavano
a Roma, se la spassavano e non capivano i drammi.
Non ci sono casi di tradimento e di colpa se non la colpa di inettitudine degli ufficiali di cui
Gadda faceva parte. Io veramente mi sono fatto la convinzione che gli intellettuali che accusano
qualcun’altro e non partono da sé stessi a me non convincono più. Non mi convincono quelli che
trovano sempre la spiegazione delle cose brutte che sono successe dicendo che è colpa di entità
misteriose, dicendo che la lotta è stata giusta ma non li hanno fatti lavorare, che gli hanno
tagliato le gambe, che gli hanno fatto uno sgambetto alle spalle. Queste cose rifiutano l’etica
della responsabilità: la prima guerra mondiale, per vincitori e vinti, è una consacrazione generale,
infatti ancora adesso non si sa come è iniziata, tutto è degenerato, come diceva Luca prima, in
una cosa che non si capisce, ed è una cosa in cui nessuno si vuole prendere la responsabilità se
non per la parte nobile, la parte di aver vinto, e alcuni che tra l’altro erano lì quasi per caso, se la
sono presa e hanno campato per aver vinto la prima guerra mondiale. Guardate che è veramente
un evento fondativo di alcuni importanti pregi del nostro Paese ma anche di difetti che
incontriamo ancora oggi, purtroppo.
L. DONINELLI: Io vorrei brevemente visitare l’altra faccia della luna. Chi conosce Gadda,
conosce anche la sua propensione a incolpare qualunque cosa dei propri guai – dalla guerra ai
traditori, all’ulcera, alla sorella…–, e questo fa parte un po’ anche del suo teatro, del suo
personaggio. Io vorrei però rivendicare un valore, siccome poi l’esperienza della guerra ha molto
agito in Gadda, facendogli anche elaborare delle forme nuove – per esempio, Quer pasticciaccio
è un romanzo che non è mica facile da scrivere –. È difficile disegnare una sedia innovativa,
30
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
figuratevi quanto sia difficile dire qualcosa di nuovo in letteratura, che forza e che
concentrazione d’esperienza ci vuole. E bisogna dire che Gadda l’ha fatto questo. Nessuno aveva
mai fatto qualcosa di simile al Pasticciaccio, e proprio nella forma letteraria e nel modo di
pensare il fatto letterario. Io vorrei, visto che mi trovo di fronte a una delle persone più
importanti dell’editoria italiana, dire che oggi si sta un po’ perdendo questo in letteratura, e io
sono abbastanza fiero di sentirmi un po’ un resistente. CORRETTO FINO A QUI
Come Jünger rileva una industrializzazione della guerra, siamo arrivati anche un po’ a una
riduzione della letteratura che rischia di essere in funzione della produzione. Ovviamente gli
editori non si possono più permettere di perdere soldi. Però resta il fatto che la letteratura ha
funzione di resistenza, non di resistenza arcigna o piccata ma – per usare un’espressione che
usava un grande filosofo a me molto caro, Michael Foucault – sono quelle cose che ci servono
per essere un po’ meno “governati”. La letteratura ha una funzione critica: se tutto il mondo è
moderno, la letteratura deve farci vedere anche l’antico. Io, per esempio, voglio osservare una
cosa, che quelli che secondo me sono i due più importanti scrittori italiani del XX secolo, hanno
una cosa in comune: tutti e due hanno perso un fratello in guerra, Carlo Emilio Gadda e Pier
Paolo Pasolini. Coincidenza ovviamente: la roulette della vita è tale che queste cose possono
succedere. Anche il fatto che Gadda sulla sua esperienza della guerra dica, riflettendo molti anni
dopo, che essa lo ha fatto passare da scrittore, tra il polemista e l’umorista, a narratore.
L’esperienza della guerra gli fa incontrare (come abbiamo visto bene nell’ottima scelta che è
stata fatta dei brani letti da Massimo) i personaggi, comincia a mescolarsi una tensione che era
più morale o moralista o saggistica forse originariamente in Gadda, e va verso la narrazione.
Francis Scott Fitzgerald diceva che le due storie fondamentali sono Pollicino e Cenerentola, che
rappresentano rispettivamente il coraggio degli uomini e il fascino delle donne: io non sono
sicuro che sia questo, però penso che la letteratura sia piena di giovani fanciulle e di ragazzi
morti, che condensano sempre il dolore e la violenza, sono uno degli aspetti della antichità della
letteratura. Nella letteratura vive, ed è uno dei grandi temi della letteratura. In Gadda noi
abbiamo, per esempio, una pagina che era difficile da leggere (per questo è stata omessa stasera),
quando nel racconto finale de Il castello di Udine – che è stato giustamente saccheggiato, perché
rappresenta una sintesi di tutta la prima parte dell’opera di Gadda – si racconta di questo ragazzo
squattrinato del Nord che era andato a lavorare a Roma e torna senza assolutamente un soldo, e
che muore a Teròntola perché durante una sosta del treno va a cercare qualcosa da mangiare, non
31
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
lo trova, e mentre risale quasi di soppiatto sul treno (perché era una sosta tecnica che non
prevedeva per i passeggeri la possibilità di scendere), un altro treno che passa e viene nella
direzione contraria gli sbatte la porta contro mentre lui sta salendo e con questa porta viene
ucciso. Questo ragazzo viene portato ormai morto in uno scompartimento di signori che
parlavano di letteratura e, nella notte, correndo col direttissimo mentre risalgono da Roma a
Milano, la discussione era molto accesa tra letterati, su chi diceva che il letterato dev’essere
engagé e chi invece riproponeva la vecchia tesi decadente che innanzitutto l’arte è fine a se
stessa e ha come unico scopo quello di esistere come tale. E mentre questi signori sostengono
ciascuno le proprie opinioni, entra questo ragazzo morto. Io ho sempre pensato – e non occorre
molto per pensarlo – che tutta la letteratura di Gadda, su cui si è teorizzato molto (per fortuna
adesso non più), intendo questa attesa spasmodica dei nipotini di Gadda, quelli che si sono
definiti tali come Arbasino – persona squisita e di grande simpatia, che io conosco molto bene –,
ma che secondo me è tutto un fiorire nato più da un teorizzare su Gadda che non sulla lettura di
Gadda, che non è un intellettuale, a dispetto della enorme ricchezza linguistica e della forza
unica sperimentale della sua letteratura, che, però, non è mai un esperimento, è più una malattia
che lui ha, un malessere che lo porta a raccontare in quel modo. Ecco, è interessante che Gadda
poi dirà in una lettera a Pietro Citati “io non voglio essere definito uno che fa i giochi
linguistici”, perché non esiste una parola che ha detto, che non abbia la sua radice in
un’esperienza che è stata scontata e pagata fino all’ultimo centesimo. Questo lui tiene sempre a
ribadirlo nella sua corrispondenza, per esempio; ed è interessante come alla radice di tutto il suo
ripensamento della guerra ci sia l’incontro, che la guerra è stata, soprattutto con l’uomo, con una
dimensione di rapporto di alterità che evidentemente non era nel suo temperamento. Aveva un
carattere terribilmente chiuso, come saprete, terribilmente lombardo nella sua pignoleria, nella
sua nevrosi (che ben conosciamo se ci guardiamo un po’ come siam fatti noi lombardi). Ecco è
interessante come il racconto in Gadda, poi anche la sua fantasia, la sua visionarietà, ma che la
radice sia il contraccolpo di un dolore. Questo lui lo dirà sempre, fino a dire che la sua letteratura
è come un atto di straziata vendetta nei confronti del male, che per lui è la vita, l’essere venuto al
mondo, non è l’aver partecipato alla guerra. In questo senso a me piace e colpisce molto come il
grande scrittore – almeno nella nostra tradizione italiana – ci fa fare continuamente questa
esperienza originaria dello sconcerto di fronte alla morte, come il Pavese, tutti ricorderete La
casa in collina, quando lui non riesce a scavalcare il cadavere del nemico morto. Grazie.
32
24/03/2014
Testi – CMC
AVVENTURA O ESPERIENZA “Ingolfati nel profondo gli anni sono passati”
L. MONTECCHI: Credo che l’ora ci obblighi a mettere fine a questa conversazione, che
personalmente ho trovato molto interessante e sulla quale mi piacerebbe proseguire, ma abbiamo
troppo rispetto del pubblico, e anche di noi stessi, per non indugiare. Però veramente voglio
rinnovare il ringraziamento innanzitutto a chi ha letto le pagine, a Massimo Popolizio, e poi agli
ospiti che abbiamo avuto, Paolo Mieli e Luca Doninelli, che ringrazio e ringraziamo tutti di
cuore. Spero di aver dato, che abbiamo dato con queste proposte dei suggerimenti interessanti a
chi o non conosce – e ha tutto il diritto di farlo – Gadda, almeno il primo Gadda, e Jünger,
oppure un invito a inoltrarsi nella loro opera, che in entrambi è casi è ricca e multiforme. Grazie
ancora e buonasera.
33
24/03/2014