Miracolo d`amore

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Miracolo d`amore
Miracolo d’amore
In ricordo di Matteo
e Roberta
a cura di
Giorgio Salvadori
Associazione Movimento Shalom
San Miniato (Pi)
Trimestrale del Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana
n. 35, gennaio 2013
Reg. Tribunale di Firenze n. 5355 del 21/07/2004
Direttore responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Cristina Galasso
Prodotto realizzato nell'ambito di un sistema di gestione certificato
alle norme Iso 9001:2008 da Rina Services Spa con certificato n. 23912/04
è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli atti dei corsi di formazione. I volumi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato della
Toscana i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati.
Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle tematiche di maggiore interesse e attualità.
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Prefazione
Prefazione
di Mons. Andrea Pio Cristiani
Sono così profondamente coinvolto dalla storia di Gabriele e della sua famiglia
che ogni qual volta il mio pensiero si rivolge a loro mi commuovo, ma non per la
drammaticità dei fatti che si è abbattuta sulla loro casa, ma per una sensazione di
dolcezza e ammirazione che mi pervade.
Le pagine di questo libro che fa crescere la letteratura dell’amore umano nelle sue
manifestazioni più alte, è attraversata da una sorprendente luce rasserenante. È la
sapiente consapevolezza che in Dio non c’è la morte e in Lui tutto vive. Il suo essere
amore fa da coesione alla nostra vita in modo che nessuno è più unito a noi di coloro
che già vivono in Lui, vengono abbattuti i vincoli dello spazio e del tempo e siamo
con loro “un cuore solo”. Questa straordinaria originalità del nostro essere, fa sì che
l’avventura umana sia diversa per ognuno in ogni dimensione, anche nella durata degli
anni. “Insegnerai a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo
89,2): è da questa consapevolezza che deriva l’orientamento della nostra vita che vale
non tanto per la sua lunghezza, ma per il senso di cui si riveste. Gesù non ci ha forse
detto che “il figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”, ed il suo invito non è
stato quello di essere sempre “pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”? (Lc
12-35) Come si può definire sciagura o disgrazia l’incontro con Colui che ci ha amati
da sempre? Non ha Egli definito “beati coloro che il padrone al suo ritorno troverà
ancora svegli”? Ma essere svegli che cosa significa se non vivere la Sua parola, vivere
nella bontà, vivere con fiducia in Lui?
Matteo e Roberta sono stati viandanti saggi che non hanno lasciato la loro
lampada senza olio. Ora siedono alla mensa del Signore ed Egli stesso passerà a servirli
nutrendoli di vita e di felicità (Lc 12, 37) Ora davanti a lui “un giorno solo è come mille
anni e mille anni come un giorno solo” (2Pt. 3,8). È certa la parola accogliente con la
quale il Giudice giusto ha spalancato a loro le porte del regno. “Venite, benedetti
del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del
mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete
dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 34-36). La fede in Colui che
è la risurrezione e la vita non elimina del tutto il dolore a motivo della separazione
fisica, l’abitudine al contatto corporeo rende difficile la comunione incorporea, ci
vuole tempo e forti motivi interiori per apprendere il linguaggio del dialogo fra le
anime. Sofferenza e lacrime. Recita il Salmo 22: “se dovessi camminare in una valle
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oscura non temerei alcun male perché tu sei con me, il tuo bastone ed il tuo vincastro
mi danno sicurezza”.
La testimonianza raccolta in questo libro apre un orizzonte di vita che ci strappa
all’angoscia della mortalità. Il credente non ignora il peso del distacco, ma sa con
realismo che ogni ora, ogni istante della vita ci avvicina a coloro che amiamo. È
il tempo dell’attesa che ci riempie non di rimpianti ma di nostalgia di un nuovo e
definitivo incontro. La grande virtù collegata alla morte cristiana è la carità, le opere
dell’amore sono più forti della morte, capaci quindi di sopravvivere al mostro vorace
della fine dei giorni e delle cose. Chi ha l’amore autentico è come se avesse una
scintilla di eterno. Chi ha praticato l’amore verso il fratello vede schiudersi il Regno
dove tutto è amore. L’amore ci rende commensali di Dio e quindi, ci introduce nella
sua stessa immensità.
Lo Shalom con le sue opere ci fa assaporare l’eternità. Non ha detto il Signore che
gli operatori di pace e di giustizia saranno benedetti? Roberta e Gabriele con Matteo
e Margherita sono indivisibili e per sempre una cosa sola.
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Targa affissa all'ingresso della scuola a Dori
La morte non è niente…
Asciugate le vostre lacrime e non piangete,
se mi amate il vostro sorriso è la mia pace.
A Matteo e Roberta
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Prefazione
La mia mamma
La mia mamma si chiama Roberta Tomasi; è nata il 4 dicembre 1964 perciò ha 37
anni; è nata a Trento, non è tanto alta, ma nemmeno un nano: si può dire che la sua
statura è media; i suoi capelli sono castani, gli occhi, invece, sono di un forte verde.
Non fa nessun lavoro, in compenso lavora a casa: fa le faccende, rigoverna, pulisce;
il suo lavoro è fare la casalinga anche se a volte, per esempio, per apparecchiare,
sparecchiare, dare l’aspirapolvere, chiede aiuto a me e alla mia sorellina. Il suo
carattere non è dei migliori per un solo motivo: prende subito fuoco se qualcosa le va
storto; comunque resta una persona solare. Con le sue amiche, però, non si arrabbia
mai, mantiene sempre la calma ed è per questo che ha tante amiche.
In realtà è come se la mia vita dipendesse da lei perché le uniche gioie si ricevono
dalla mamma e dal babbo. Penso proprio che lei sia ottima. Nei momenti più difficili è
lei che mi è stata più vicina; infatti, quando avevo l’ernia, ha sopportato il sacrificio di
starmi vicino all’ospedale. Perciò, dopo tutto questo, ho riposto piena fiducia in lei. Il
suo modo di fare, con me e mia sorella, è abbastanza severo; certe volte, per esempio
quando è stanca ed io e la mia sorella litighiamo, lei ci lascia stare però, quando sta
bene, prima arrivano gli urli e se non capiamo arrivano le botte… Però, in fondo in
fondo, lo fa per il nostro bene. Con il babbo, cioè suo marito, a volte scherza e gioca,
altre volte ci litiga ma questo succede raramente. Non ha un hobby preciso, ma le
piace molto chiacchierare e questo succede sempre; infatti, quando ai compleanni
gioco a pallone, lei dice:
"Matteo! Vieni, andiamo a casa”, ma io so già che prima di
una mezz’oretta non vado via.
Di lei mi piace una cosa in particolare: cerca di far tutto per farci star bene ed
in questo la ammiro. Però di una cosa non sono affatto contento, infatti la maggior
parte delle volte non è puntuale: quando arriva un’ora prima, quando arriva un’ora
dopo e per questo atteggiamento mi ha fatto saltare un compleanno. Beh, in questo
mondo ci sono molte mamme, a me è toccata una delle migliori perché le uniche
gioie della vita sono la mia mamma ed il mio babbo. Saranno solo due ma valgono più
del mondo intero.
Matteo Gronchi, classe V elementare
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Un ragazzo speciale
Quel tempo guaritore, così declamato e così bramato, forse da chi dolore vero
non ne ha mai provato; per chi si trova come noi, in questa triste realtà, non dà buoni
frutti. È solo una mera illusione, direi piuttosto il contrario; più tempo passa e più il
ricordo si fa struggente e più il dolore ci annienta. È come un fallimento di tutta una
vita. Manca tutto di Matteo, mancano i suoi sorrisi, mancano i suoi silenzi, mancano
i suoi sguardi. Una delle immagini più belle che ho di Matteo è lui seduto al tavolino,
ormai grande, con il suo notebook (il suo ultimo regalo) concentrato nel suo gioco
preferito. Questa immagine mi rimbalza sempre in testa perché quel giorno, senza
dirlo a lui, pensai fra di me: “Come è bello il mio Matteo”. Il mio Matteo era cresciuto,
era un uomo. Per me mamma sempre il mio bimbo. Matteo non era solo bello, era
anche molto intelligente, con ottimi risultati scolastici ed era sempre stato il primo
della classe. Dio gli aveva dato veramente tutto, ma non bastano queste due cose per
far di un ragazzo, un ragazzo speciale. Aveva anche un bel carattere, accomodante,
obbediente, sensibile ma, soprattutto, era un buono. Sarà una teoria, saranno fantasie
ma coloro che ci lasciano, sono sempre i migliori. E questa cosa mi fa arrabbiare
moltissimo. Ho sempre sostenuto che Matteo fosse il figlio ideale ancor prima che
succedesse quel tragico evento che ha cambiato radicalmente la nostra vita. È difficile
per la gente comune accettare la morte a sedici anni, ancor più difficile per gli amici
accettare la morte di un amico, è inaccettabile per una madre ed un padre accettare
la morte del proprio figlio, tanto più se era un ragazzo speciale.
Matteo mi manchi.
Mamma
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Introduzione
Introduzione
di Giorgio Salvadori
Quando Gabriele mi chiese di aiutarlo, nella stesura della pubblicazione
riguardante il Progetto “7 Gennaio”, perché niente di tutto ciò che era avvenuto
andasse perduto, d’impeto accettai. Come dimenticare quel giorno di Novembre del
2009 quando lasciai nella cassetta della posta della sua ditta una lettera con una
richiesta di contributo per la pubblicazione di un mio libro di filastrocche da destinare
ad un progetto del Movimento Shalom. Fu allora una scelta del tutto casuale non
sapendo nulla di quanto era accaduto a lui e alla sua famiglia. La mia richiesta rimase,
involontariamente, ferma per alcuni mesi fra la corrispondenza ma Gabriele non si
era dimenticato e fece in modo di conoscermi. Ci incontrammo nel febbraio del 2010
dopo l’inaugurazione della scuola femminile a Dorì, relativa al Progetto “7 Gennaio”.
“Sapevi nulla di quanto mi è accaduto tre anni fa?” mi chiese subito Gabriele.
“No!” risposi.
“…Ho perso mio figlio Matteo, appena diciassettenne, in un grave incidente stradale
il 7 gennaio del 2007…”
Ripenso, ora, con stupore, a quel nostro primo incontro, a quel breve, intenso
dialogo e a quelle parole che saranno il filo conduttore di questa commovente
storia d’amore o meglio di un “miracolo d’amore” che andremo a raccontare. Ci
unisce un percorso di viaggiatori del mondo e di pellegrini verso la Casa di Dio Padre,
attraverso una fede operosa. Ho voluto incominciare da qui, dal mio primo colloquio
con Gabriele perché sono certo che non ci incontriamo per caso. “Chi combina le
combinazioni?” diceva Padre Pio. Ci sono vie misteriose, a noi sconosciute, che ci
permettono durante la vita di incontrare persone con le quali condividere i nostri
ideali e una progettualità caritatevole che ci coinvolge,ci appassiona e ci sprona per
renderci migliori.
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Parte I
PARTE PRIMA
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Il Progetto “7 gennaio” e la sua storia
Seduti intorno al tavolo della cucina, ci ritroviamo per scrivere tutto ciò che sarà
utile per non dimenticare e per mantenere vivo il ricordo di Matteo, di Roberta e
di quanto è accaduto in questi anni. Molte persone fanno parte di questa storia e
ciascuno di loro ci comunicherà i propri ricordi e i propri sentimenti riguardo agli
avvenimenti del passato che hanno spinto Gabriele e Roberta a far nascere la vita
dalla morte. Per alcuni istanti un silenzio, carico di commozione, è calato sui presenti
fino a che Silvio ha estratto dalla tasca della giacca un foglio dattiloscritto, dal titolo:
Riflessioni sulla storia del Progetto "7 gennaio" che ci ha letto…
In occasione della stesura di questo testo, mi ero riproposto di scrivere una riflessione insieme a mia moglie come
nostro contributo ma quando per una ragione, quando per
un’altra, non riuscivo mai a trovarla disponibile. Temo che il
motivo di questo continuo diniego sia dovuto al suo voler
ostinatamente evitare di ripercorrere quei momenti che la
notte fra il 6 ed il 7 gennaio 2007 ci portarono fino al Pronto Soccorso di Empoli e constatare il decesso di Matteo
o forse anche il solo rinnovare col pensiero le tappe della
malattia di Roberta fino alla sua recente scomparsa, la facevano desistere da quel proposito. Sono quindi costretto a
procedere da solo nel tentativo di spiegare cosa c’è dietro
a questa importante realizzazione in Africa. Sicuramente
le riflessioni qui raccolte e lo stesso titolo del libro, scelto
dall’autore e dalle persone che hanno collaborato con lui,
ci sveleranno come la realizzazione della scuola primaria
per bambine nella Diocesi di Dorì, in Burkina Faso, sia veramente un qualcosa di soprannaturale... Dare la possibilità di
studiare a delle giovani donne, che abitando ai margini del
deserto del Sahel, altro non avrebbero avuto dalla vita che
un matrimonio combinato dalle loro famiglie magari con
un pastore di venti anni più vecchio, è di per di sé un miracolo, sì: un “Miracolo d’amore”. La scelta di far vivere altre
persone, con l’espianto degli organi di Matteo, è un enorme
“Miracolo d’amore”. Il solo pensare di sostituire le corone
di fiori, al funerale di Matteo, con una raccolta di fondi per
dotare uno sperduto villaggio africano di un pozzo d’acqua,
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Parte I
è un “Miracolo d’amore”. Anche l’accoglienza ricevuta, dalla famiglia Gronchi e da chi li accompagnava, in occasione
della inaugurazione della scuola, fra due ali di bambine festanti che cantavano “Bienvenu” e il discorso del Vescovo
Giovacchino, che invitava Gabriele, Roberta e Margherita
a sentirsi con loro una grande famiglia, è un vero e proprio
“Miracolo d’amore”.
Il risveglio dal coma del giovane Andrea Commellini conseguente al grave incidente stradale occorsogli e la visione
di Matteo che lo esortava a risvegliarsi e tornare alla vita,
è un immenso “Miracolo d’amore”. Per non parlare, poi, di
tutte le persone che abbiamo incontrato in questo cammino, a volte faticoso ma incredibilmente entusiasmante, per
la raccolta dei fondi da destinare alla realizzazione della
struttura che si sono sentite immediatamente coinvolte e
parte integrante di questo grande sogno; tutto questo, a
mio modo di vedere, è un grande “Miracolo d’ amore”. Le
manifestazioni organizzate da volontari in diverse realtà
paesane e cittadine che, senza il coinvolgimento delle istituzioni ma derivante esclusivamente da donazioni personali, hanno permesso, euro su euro, di raggiungere cifre sorprendenti da destinare al progetto, sono un meraviglioso
“Miracolo d’amore”. La condivisione, magari non immediata
di Roberta al progetto, che Gabriele e Margherita avevano
fortemente voluto in memoria di Matteo, e la passione con
la quale lei si era dedicata poi alla gestione della scuola
stessa, è un “Miracolo d’amore”. Il coraggio e la dignità di
Roberta nell’affrontare la sua malattia e la determinazione
di continuare anche senza di lei, l’opera ormai iniziata, da
parte di Gabriele e Margherita, è, lo stesso, un “Miracolo
d’amore”. Sì, ma quanto dolore, quante lacrime, quante notti insonni a pensare e ripensare ai tristi momenti di quella
notte d’inverno sull’asfalto della Tosco Romagnola. A quale
prezzo queste bambine hanno ora la possibilità di guardare
al proprio futuro con speranza! E poi, di nuovo, il calvario
di Roberta da un ospedale all’altro fra un ciclo di chemio
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ed uno di radio sempre assistita, con amore e dedizione, da
Gabriele con il sostegno di Margherita. Certo che la Fede
ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione della
scuola perché senza di Essa sarebbe venuto meno l’impegno ostinato di molti di coloro che si sono spesi per la realizzazione del progetto.
Ma guardate, in fondo cosa ci spinge, ancora, dopo tutte
queste traversie e dispiaceri a lavorare per il futuro di queste ragazze, lontane da noi seimila chilometri e che molti di
noi non conosceranno mai? È lo stesso spirito che muoveva
il buon samaritano, nella parabola evangelica, nei confronti di un suo simile malmenato, in difficoltà e per giunta di
un’altra stirpe. È questo, in estrema sintesi, il grande ed autentico “Miracolo d’amore” del progetto 7 gennaio.
Silvio, come se avesse bisogno di una pausa, si è fermato e per alcuni attimi si
è fatto taciturno; pur comprendendo il suo stato d’animo l’ho invitato a ricordare
Matteo e quanto era accaduto. Lui, quindi, con voce sommessa ed uno sguardo carico
di tristezza, è tornato a parlare iniziando dal 6 gennaio 2007.
…Quella sera io, mia moglie, Roberta e Gabriele giungemmo a Bagno Vignoni, nota località termale del senese,
prendendo alloggio nell’albergo centrale del paese. Dopo
cena, mentre facevamo una passeggiata sulla piazza, giunse a Gabriele una telefonata. Era il fratello Stefano, che lo
avvertiva dell’incidente stradale accaduto a Matteo e che
lo invitava a raggiungerlo al più presto all’ospedale di Empoli dove era stato ricoverato il figlio.… Guardai Gabriele e
lo vidi come smarrito, quasi pietrificato. Con la morte nel
cuore comunicammo la notizia a Roberta e a mia moglie
Cristina che volle guidare l’auto durante il ritorno.
“Vai!... Vai!” le gridò varie volte Gabriele in quel viaggio che
per tutti noi fu una sorta di Via Crucis. Le preghiere, i silenzi, i pianti sommessi e le telefonate si alternarono per tutto
il tragitto mentre la macchina sfrecciava a tutta velocità su
quelle strade che parevano non finire mai. Quando giungemmo al pronto soccorso dell’ospedale di Empoli erano
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Parte I
già passate le 23. Capimmo subito che la situazione era gravissima. I medici ci dissero che avrebbero fatto a Matteo un
encefalogramma e che in base ai risultati avrebbero deciso
come procedere. In quei momenti di angosciosa attesa mi
passarono davanti i diciassette anni di vita condivisa con
Gabriele, Roberta, Matteo e la piccola Margherita. La nostra amicizia nacque con la nascita dei nostri figli. Quanta
emozione e quante lacrime di gioia per l’arrivo di Matteo,
che con i suoi begli occhi azzurri assomigliava molto al babbo, e pochi giorni dopo arrivò Saverio, mio figlio. Quindi
i biberon, il cambio dei pannolini, lo stupore delle prime
parole, i primi passi, l’asilo, la scuola, la prima comunione,
la scuola media, il calcio che era un’autentica passione per
Matteo, le scuole superiori, le prime cotte, le gioie, le delusioni… Durante questi veloci ricordi piansi, sperai, pregai,
invocai, implorai ma tutto crollò, quando i dottori ci informarono che per Matteo non c’era più nulla da fare. Rimasi
completamente spiazzato quando Roberta, in un estremo
atto d’amore, acconsentì immediatamente, con l’assenso di
Gabriele, all’espianto degli organi del loro figlio...
L’intensità emotiva del ricordo blocca Silvio per alcuni istanti mentre sul suo volto
come su quello di Gabriele, di Giacomo e di Simone torna un velo di sofferenza e la
commozione rende più lucidi gli occhi. Provo ad immaginare in quale smarrimento
può essere precipitata la vita di Roberta e di Gabriele in quei giorni ma credo che sia
difficile comprendere fino a quale grado possa essere giunto il loro dolore.
Ciascuno di noi era come raccolto nei propri pensieri quando Silvio ha rotto, di
nuovo, il silenzio dicendo:
Più passa il tempo e più mi convinco che in quella fredda sera
del 6 Gennaio anche una parte di me sia rimasta sull’asfalto
della Tosco Romagnola assieme al corpo senza vita di Matteo. Tutto è avvenuto con una tale intensità che di fatto ha
impedito che mi accorgessi di quanto quella triste esperienza mi avesse invecchiato precocemente. Come posso dimenticare lunedì 8 Gennaio quando ci fu il funerale nella chiesa
di Capanne. Le navate erano stracolme di gente che voleva
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far sentire la sua vicinanza a Gabriele e Roberta. Loro erano
rimasti chiusi in un silenzio disperato, quasi impenetrabile.
Mi colpì la loro caparbia volontà di raccogliere fondi per la
realizzazione di un pozzo in Burkina Faso. A questo proposito
Roberta con coraggio, nonostante l’angoscia sfigurasse il suo
volto, andò all’ambone pronunciando queste parole:
Caro Matteo, in questo momento la vita e la morte ci hanno
separato fino a quando Dio lo vorrà. 3000 soli non basteranno ad asciugare le mie lacrime e quelle di chi ti ha amato. Chi ti ha conosciuto sa che cosa ha perso: la dolcezza del
tuo sorriso, la tua vivacità, la tua sensibilità, la tua voglia di
vivere, il tuo equilibrio, il tuo grande senso di responsabilità
e la tua immensa generosità. Una parte di me si spegne con
te, l’altra rimane per fare luce al tuo babbo che ti ha amato
tantissimo e alla tua sorella Margherita, amica e nemica,
ma allo stesso tempo tanto preziosa ai tuoi occhi. Le parole
che non ci hai mai detto, le dicevano il tuo sguardo. Quel
T.V.B. duro da uscire... Di una sola cosa gioisco, in questo
momento, che tu abbia conosciuto, anche se per poco, le
varie sfaccettature dell’amore, non solo quello materno ma
quello che ti ha fatto battere il cuore. Grazie alla scienza il
tuo cuore batterà ancora ed i tuoi occhi continueranno a
vedere. Matteo sei e sarai con noi per sempre. La scelta di
non volere fiori non è casuale: assolutamente no! Ogni fiore
che ti avremmo voluto dare si trasformerà in gocce d’acqua ed andrà a dissetare, tramite un pozzo in Burkina Faso,
migliaia di bocche assetate che potranno sorridere ancora.
Quel pozzo lo chiameremo “Occhi cinguettanti” e chi ti ha
conosciuto capirà.
Addio mio piccolo amore.
La tua mamma.
Al termine della lettura l’emozione ci ha preso tutti e per alcuni istanti un silenzio
irreale è calato nella stanza. È l’amore che ha trasformato le lacrime cadute dagli
occhi e dal cuore di Roberta in un’ immediata generosità verso i sofferenti vicini e
lontani.
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Parte I
Credo che non esista solo il tempo che passa meccanicamente ma c’è anche il
tempo dell’anima che ci permette di gustare velocemente i momenti gioiosi e quelli
dolorosi in maniera lunghissima, quasi senza fine. Questo vale per tutti ma soprattutto
per chi è colpito profondamente dal dolore. Con questi pensieri nella mente per
alcuni istanti ho guardato Gabriele che, poco dopo, con gli occhi lucidi e alcuni colpi
di tosse, ha iniziato a parlare:
…La vita non sai cosa ti riserva; a volte può essere benevola,
a volte terribile; con noi è stata terribile. Non ci sono parole per esprimere il dolore che provi nel momento in cui ti
viene a mancare un figlio, strappato alla vita in giovane età,
in modo tragico e fulmineo. È stato così per il nostro amato
Matteo. Con lui avevo un forte legame; ci univano, particolarmente, il pallone e le corse in moto. Era cresciuto bene,
studiava con profitto, aveva già lavorato in fabbrica ed io
me lo sentivo accanto come un piccolo grande uomo. Era
buono e con un carattere che si adattava senza far fatica. I
primi giorni, dopo la sua morte, non ho realizzato appieno
la sua mancanza che ho sentito profondamente dopo un
paio di anni. Succede, in alcuni casi, qualcosa di indefinibile,
eccezionale, come un disegno già scritto. Dalla morte ecco
nascere la vita; dalla condivisione e dalla solidarietà la forza di continuare il cammino terreno. Parlare, ora, di tutto
questo mi fa venire un groppo alla gola…
In quel preciso istante il filo dei suoi ricordi si è come bruscamente interrotto
e sono affiorate alcune riflessioni personali. Cosa possiamo fare di fronte a tanto
dolore e desolazione? Molti perché affollano la mente e le risposte sono varie
come: il silenzio, la vicinanza, le lacrime, l’accettazione, la rassegnazione, la fede e
la speranza. Per un cristiano la speranza non è un’illusione o falsa consolazione, ma
è Verità assoluta perché Gesù ne è il garante. Nel rileggere la toccante lettera di
Roberta e dopo aver ascoltato i pensieri di Gabriele ho ripreso le parole del fondatore
di Shalom, mons. Andrea Pio Cristiani, sulla fecondità del dolore:
Nel progetto di Dio, il dolore accolto e donato per amore,
diventa la via maestra per un rapporto umano e profondo,
nuovo ed intenso. Si svela, così, l’unione con il Signore ma,
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allo stesso tempo, possiamo conoscere anche noi stessi,
la nostra umanità. Quando l’amore non trova cittadinanza nel nostro universo interiore, la vita perde ogni senso e,
quando sopraggiunge la sofferenza, essa diventa causa di
frustrazione e di malessere. La nostra speranza scaturisce
dall’incontro del Crocifisso Risorto e l’avvicinarsi a Lui nel
viaggio della vita ci consente non solo di accettare le tribolazioni, ma anche di abbracciarle con letizia. Sono miracoli
interiori che solo lo Spirito può generare e sostenere. Prove
durissime della vita sono rese sopportabili nella dedizione
agli altri, nelle opere di giustizia, nella solidarietà verso i
poveri. Famiglie ed amici, affranti dal dolore per la perdita
di un loro congiunto, hanno trovato sollievo e motivo di vivere nella dedizione agli altri. Direi che Shalom, come tante
altre comunità che vivono l’amore verso i poveri, è testimone delle grandi opere di Dio e come Egli da “un chicco di
grano gettato nella terra produca molto frutto” (Gv 12, 24).
Queste parole mi rimandano a quanto il Papa Benedetto XVI afferma in una lettera
sulla carità indirizzata a tutta la Chiesa:
La carità è una forza straordinaria che ha la sua origine in
Dio e che ciascun cristiano nella carità realizza se stesso
aderendo al progetto che Dio ha su di lui.
Anche san Giacomo ci viene in aiuto ammonendoci:
Che giova fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non
ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti di cibo
quotidiano e uno di voi dice loro: ”Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non dà loro il necessario per il
corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è
morta a se stessa.
Pure San Pio da Pietrelcina amava ripetere che tutti dobbiamo avere: “Una fede
operosa”. P. Pio aveva gratitudine, ammirazione, affetto e stima per tutti coloro che,
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Parte I
a prescindere dalla loro professione di fede, lavoravano sodo in una qualsiasi attività
per il bene dell’umanità, per sovvenire a necessità e ad alleviare le pene dei bisognosi.
Sono certo che preghiere e opere di bene vadano di pari passo perché una è
strettamente legata all’altra. Il Signore accetta la preghiera solitaria e collettiva perché
l’invocazione rafforza lo Spirito del singolo, della Comunità e della Chiesa tutta
nelle sue tre dimensioni: peregrinante, purgante e trionfante. Credo che la mancanza
di preghiera non sia ben accetta da Dio perché compiamo un atto di superbia se
pensiamo di poter agire senza la forza dello Spirito Santo che è parte integrante e
sostanziale della Trinità.
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Il pozzo
Quando vediamo scorrere l’acqua dal rubinetto delle nostre case ci sembra tutto
normale, semplice, direi ovvio avere a disposizione questo bene naturale, ma così non
è per tutti i popoli della Terra. Spesso l’acqua è una risorsa misteriosa, preziosa, difficile
da trovare, da ottenere ed usufruire soprattutto in molti Paesi poveri dell’Africa,
dell’Asia e dell’America latina. Questo pensiero mi riporta al primo progetto di
solidarietà di Roberta e di Gabriele relativo alla costruzione di un pozzo in Burkina
Faso con i soldi raccolti durante il funerale di Matteo. In una pausa della nostra
conversazione Gabriele prende la rivista trimestrale di Shalom, la sfoglia e si ferma su
una bella foto che lo ritrae assieme a sua moglie Roberta, alla figlia Margherita, ai capi
villaggi e alla popolazione locale durante l’inaugurazione del pozzo stesso avvenuta
lunedì 19 Febbraio 2007. Quindi Gabriele estrae, da una robusta e capiente scatola
bianca, un resoconto dettagliato di quella giornata scritto da Roberta stessa.
Oggi, di tutte le giornate trascorse in Burkina Faso, è stata
senz’altro la più intensa sia per emozioni che per fatica. Infatti, abbiamo finalmente realizzato il progetto che ci eravamo
prefissati: “il pozzo”, quel pozzo nato nella nostra tragedia,
le lacrime di chi ha voluto bene al nostro Matteo trasformate in acqua di vita. Le prime impressioni che questa terra mi ha trasmesso sono state, sì, di miseria, tuttavia non la
miseria nera che tutti ci immaginiamo, dove la gente muore
di sete, di fame e conduce una vita di stenti. Ho visto anche gente che conduce, seppure in povertà, una vita decorosa; credevo quindi che questa popolazione fosse povera
ma non misera. Da oggi mi devo ricredere perché ho visto
l’altra faccia dell’Africa, dove veramente si muore di fame. Il
villaggio dove abbiamo trivellato il pozzo si chiama Pikioko,
distante dalla capitale circa 60 km, poca cosa se si pensa alle
nostre strade, ma quando si parla di carrettiere in Africa la
cosa cambia. Due o tre ore di jeep su una strada sconnessa,
trafficata da capre, asini, pedoni e ciclisti.
L’accoglienza al nostro arrivo è stata molto calorosa; ad
aspettarci c’erano l’intero villaggio al completo con i villaggi
vicini, donne, bambini e, poco distanti, gli uomini vicino alla
trivella. Vigono delle regole ben precise in questa terra “dimenticata” da Dio, ossia un ordine gerarchico dove partendo
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Parte I
dal gradino più basso per salire al gradino più alto vi sono:
bambini, che valgono meno di nulla, donne che, pur valendo
poco, sono a loro modo importanti perché lavorano e mandano avanti la famiglia, uomini che, tutto sommato, non se
la passano male ed infine gli anziani, quei pochi rimasti, visto
che la vita media oscilla intorno ai 40 anni o poco più. All’arrivo avevamo in dosso le magliette con il volto di Matteo,
bello come il sole; i burkinabè ci hanno accolto danzando
e cantando per noi. Nel frattempo la trivella perforava quel
terreno granitico. Con noi vi era Jonas, responsabile Shalom
in Burkina Faso ed anche nostro accompagnatore e traduttore ufficiale, che ci ha presentati al capo villaggio, il quale ci
ha voluto ringraziare personalmente. Di lì a poco la trivella
ha cominciato a sbuffare spruzzi d’acqua che toccavano il
cielo; c’è stato un applauso generale, ma per noi era qualcosa di più di un semplice applauso, era il nostro ”Matteo” che
in qualche modo era presente; il nostro dolore si è mischiato alla gioia di tanti altri. Credo che queste immagini rimarranno impresse nel mio cuore e nella mia mente per il resto
dei miei giorni. Impossibile dimenticare! Ritengo importante
riportare alcuni dati tecnici riguardanti il pozzo realizzato:
profondità: 85 metri; portata: 5mc ora; bacino interessato:
3500 persone; costo dell’opera: seimila euro.
Il Presidente del Movimento Shalom, Silvio Della Maggiore,
ha ringraziato noi genitori del dono fatto ed ha parlato agli
abitanti del villaggio sull’importanza della famiglia, dei figli
e del percorso ciclico della vita di ognuno di noi, fra gioia e
dolori. Interessante è stato anche il breve discorso del capo
delle cooperative di Pikioko che ha preso ad esempio la parabola del buon samaritano che disseta un mendicante di altra
religione, non a caso, visto che il pozzo disseterà soprattutto
animisti e musulmani. Il sole era caldo e alto, ma l’emozione
aveva offuscato ogni necessità ed ogni bisogno fisico. Si era
avvicinata l’ora del commiato e gli abitanti del villaggio, per
ringraziarci, ci hanno fatto dono di ben 7 polli vivi. Ora anche
sul cielo di Pikioko c’è una finestra dove ogni tanto si affaccia
un timido ragazzo dagli “occhi cinguettanti”: Matteo.
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Le toccanti parole scritte da Roberta mi invogliano nel chiedere ai presenti se
hanno ulteriori ricordi di quella intensa ed emozionante giornata. Silvio, assecondando
prontamente la mia richiesta, interviene:
Come potrei dimenticare quei getti d’acqua che parevano
toccare il cielo, le parole di ringraziamento rivolteci dai responsabili locali che avrebbero beneficiato della preziosa
acqua che, finalmente, avrebbe alleviato le sofferenze di
migliaia di persone e lo stupore e la gioia in tutti i presenti.
La sorpresa più grande fu, per me, quando a Roberta e Gabriele fu rivolto un accorato appello dai capi villaggi che
chiesero loro di realizzare, in quella zona, una scuola per
i numerosi bambini che non avrebbero potuto, altrimenti,
istruirsi perché era notevole la distanza che li separava dalla scuola più vicina. Roberta e Gabriele dichiararono subito la loro generosa disponibilità, ma difficoltà relative alla
mancanza di vie di comunicazione efficienti non permisero, nell’immediato, di dar corso al progetto. Quell’appello,
però, non cadde nel vuoto.
Un giovane vescovo, Mons. Joachim Quedraogo, responsabile di una sterminata quanto povera diocesi, situata al confine del deserto del Sahel, si rivolse al nostro Movimento
perché si attivasse per la costruzione di una scuola secondaria per ragazze. La condizione femminile in Africa è, ancora, molto difficile e spesso è ridotta ad un ruolo subalterno,
quasi invisibile a causa di una società che offre minori diritti
alla donna rispetto all’uomo, specialmente a riguardo
dell’alfabetizzazione e della formazione. Le bambine
provenienti da famiglie povere hanno poche, per non dire
nessuna, possibilità di istruirsi e quindi di evitare una vita di
miseria e di soprusi. Gabriele e Roberta conobbero presto
l’energico vescovo e si fecero conquistare dal progetto per
la realizzazione della scuola femminile nella sua diocesi di
Dorì…
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Perforazione del pozzo a Pikioko
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Metamorfosi
di Germana Campani
Angolo di terra,
dimenticato da Dio,
dove l’acqua è vita.
Zolle di sabbia indurite,
labbra di bimbo assetate,
occhi impastati di sale
ammiccano increduli…
Sei fuggito da noi,
occhi lucenti,
da un mondo senza cuore
e senza fede,
figura evanescente
sospesa, per un attimo,
tra la terra e il cielo,
per prorompere, poi,
da quel getto viscerale
d’acqua e sciogliersi
in cascatelle
di benefica pioggia.
Ogni filo d’erba
avrà il tuo volto,
ogni bimbo salvato
il tuo sorriso.
Noi, così,
Ti vogliamo ricordare.
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Targa affissa presso il pozzo di Pikioko
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Il Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo
La fortezza, oltre ad essere una speciale virtù è una qualità della fermezza, ed è
necessaria nell’esercizio di ogni virtù ed in particolar modo nella carità. La fortezza si
trasforma in virtù specifica, quando l’uomo deve affrontare e superare le prove della
vita. Ce lo dice San Tommaso d’Aquino: “C’è una fortezza speciale, specifica, che sta
nell’affrontare i pericoli, nel sopportare le fatiche e nel sostenere la volontà di fronte
ai mali corporali, il più grande dei quali è la morte.” La natura può dotare l’uomo di
un carattere più o meno coraggioso, ma la fortezza infusa, che può e deve essere
sostenuta dalle qualità naturali, non va confusa con queste, perché essa proviene da
Dio. Questa premessa è utile per capire l’impegno profuso da Gabriele nel Progetto
“7 gennaio” e le sue parole sono qui a ricordarcelo:
Pur consapevoli delle difficoltà che avremmo incontrato
aderimmo, subito, alla richiesta del Vescovo Joachim. Con
la costruzione del collegio femminile a Dorì volevamo aiutare delle ragazze nel loro cammino scolastico offrendo
loro l’opportunità di un riscatto sociale dato che a pochi,
e non alle donne, è data la possibilità di risollevarsi dalla
loro povertà materiale e culturale. Ero certo che avremmo
raggiunto l’obiettivo perché eravamo sospinti da una forza
e da una motivazione che oso dire Superiore. Noi crediamo
che il nostro Matteo ci abbia guidato in tutto quello che,
all’inizio, sembrava solo un sogno: far rivivere nostro figlio
garantendo l’istruzione a centinaia di bambine così lontane
da noi. In quella scuola, costruita in sua memoria, avrebbero potuto formarsi i nuovi insegnanti, gli amministratori, gli
educatori con il compito di cambiare il volto del proprio
Paese. Per questo motivo, ci siamo tuffati a capofitto nella
progettazione tecnica dei vari edifici occorrenti e nel pianificare una serie di incontri di sensibilizzazione nelle scuole
e nelle parrocchie.
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Primo prospetto strutturale della scuola
Subito la comunità di Capanne e molte altre persone, che colgo l’occasione di
ringraziare, hanno lavorato con impegno e dedizione per concretizzare il nostro
sogno. Abbiamo distribuito salvadanai, magliette e gadget, coordinato coreografie in
alcuni stadi, e qui ricordo con particolare emozione quello di Firenze, raccogliendo
generose offerte. Abbiamo richiesto contributi alle istituzioni e alle aziende,
organizzato cene di autofinanziamento, lotterie, fiere di beneficienza, feste della
carità e tornei di calcetto. Non posso dimenticare il prezioso apporto e la sinergia
con i volontari di tante sezioni del Movimento Shalom sparse in tutta Italia che ci
hanno permesso di raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissati. Le raccolte di fondi
e le piccole donazioni, ottenute da un impressionante numero di persone, hanno
fatto sì che queste, come piccoli ruscelli d’acqua, abbiano potuto ingrossare il fiume
della solidarietà.
Decine e decine di migliaia di euro si sono presto trasformati in ferri da armatura
e cemento, mattoni e calce, vernici e suppellettili in una struttura,che era stata
realizzata su un terreno di 5 ettari, e che si componeva, ed è attualmente costituita
di: 1 edificio ad uso scuola con 4 aule e servizi; 1 edificio ad uso segreteria, composto
da uffici, segreteria, aula professori, palestra, magazzino, biblioteca e servizi; 1 edificio
ad uso alloggio delle suore dell’ordine dell’Immacolata Concezione, coordinatrici del
centro e parte del corpo docente della scuola; 1 edificio ad uso mensa, composto da
cucina, magazzino, sala da pranzo e servizi. Costo totale del progetto: 260.000 euro
(del totale fa parte il costo stimato della mensa di 45.000 euro).
I lavori, per la costruzione dei vari edifici, hanno avuto inizio il 15 ottobre 2008 e
l’inaugurazione della struttura scolastica è avvenuta l’11 febbraio 2010. Attualmente la
scuola è funzionante e nel 2012 gli alunni hanno raggiunto il numero massimo di 200.
È in fase di realizzazione l’alloggio delle suore e siamo in attesa di valutare i preventivi
di spesa per la realizzazione della scuola superiore…
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Alcune locandine e fotografie delle iniziative organizzate a favore del progetto “7
Gennaio”
Coreografia per la partita Fiorentina – Siena allo stadio “A. Franchi di Firenze”
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Dopo alcuni attimi di pausa, Gabriele ha proseguito nel far rivivere i propri ricordi.
Il progetto 7 gennaio, in soli tre anni era diventato, ormai,
“Ecole 7 gennaio”. Tutto era pronto per inaugurare la scuola del nostro amato Matteo. Io, Roberta e Margherita siamo partiti con un gruppo di persone che con noi hanno
contribuito fattivamente alla realizzazione del progetto e
che hanno voluto essere presenti per condividere, insieme
a noi, quel momento di grande partecipazione. Dopo un
viaggio faticoso siamo giunti a Dorì con un carico di stanchezza, tensione e speranza. Due file di bambine, vestite di
tutto punto, cantando e battendo le mani, hanno fatto ala
al nostro passaggio; mentre vi passavamo in mezzo le ho
osservate e mi hanno colpito i loro sorrisi gioiosi e sinceri.
Quando sono stato invitato a parlare ho provato momenti
di forte commozione che ho frenato a stento. Mi ritornano
in mente, nitide e precise, le parole che ho detto quel giorno al vescovo Joachim, alle autorità e a coloro che erano
presenti:
Con la morte di Matteo abbiamo voluto dare un senso al
nostro grande dolore cercando di trarne un bene realizzando questa scuola; vogliamo donarvi la struttura frutto
di fatica e di impegno da parte nostra e di tantissimi amici
e conoscenti. Alcuni di loro sono, oggi, qui presenti e vorremmo lasciare, comunque, in tutti voi un segno indelebile
di come la forza dell’amore possa far raggiungere obiettivi
importanti che sembrerebbero solo orizzonti irraggiungibili.
E’ bello poter vedere, oggi, nei vostri occhi la soddisfazione
per l’aiuto che stiamo dando a tanti bambini più sfortunati
dei nostri.
Devo dire che alle mani protese di quelle bambine io e Roberta ci siamo aggrappati come ad un’ancora di salvezza; ci
siamo uniti a loro mettendo insieme le nostre sofferenze
per dare un senso alle nostre vite. Per noi la realizzazione
del collegio femminile è stata una grande gioia. La ricono-
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Parte I
scenza e l’amore di quelle bambine, alle quali davamo l’opportunità di cambiare in meglio la loro vita, ha trasformato
il nostro dolore e la nostra sofferenza per la perdita di Matteo in strumento per assistere i più bisognosi. Sono rimaste
scolpite nei nostri cuori le parole che il vescovo di Dorì ci
ha rivolto quel giorno, durante l’inaugurazione, e che ora
voglio farvi ascoltare:
Cara Roberta se questo giorno è memorabile per noi lo è
molto di più per voi e la vostra famiglia. Vostro figlio Matteo non è morto: vive e vivrà per sempre non soltanto nelle
strutture che vediamo ma, soprattutto, nei nostri cuori, nei
cuori di tutti i ragazzi, di generazione in generazione, che
saranno educati qui in questa scuola. Caro Gabriele, carissima Roberta avete trasformato il dolore, il lutto in un amore
generoso e vero che sarà per sempre. Siete,ormai, della nostra famiglia. Guardate questi ragazzi sono vostri figli… Non
prenderanno, mai, il posto del vostro carissimo Matteo, che
è unico nel vostro cuore, ma sono la testimonianza che “colui che ama ha l’umanità intera per famiglia”. Il popolo del
Sahel vi sarà sempre riconoscente… Il Signore vi benedica.
Molte volte abbiamo detto a noi stessi di aver perso un
figlio ma di aver trovato tante figlie che oggi ci considerano
loro genitori, chiamandoci mamma e papà, e che ci amano
di un amore puro, grande, generoso. Voglio ringraziare il Signore, che ogni giorno riempie il vuoto lasciato da Matteo,
di questo amore e di questa consolazione…
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2008: lavori in corso…
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2009: completamento degli edifici
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Il ricordo attanaglia il cuore di Gabriele e gli impone di fermarsi per alcuni istanti;
quindi mi porge la lettera, che sua moglie Roberta scrisse il 19 marzo 2010 a monsignor
Joachim Quedraogo, chiedendomi di leggerla:
Reverendissima Eccellenza,
è con sommo piacere che Le scrivo, innanzitutto per congratularmi con Lei e ringraziarLa, dal più profondo del
cuore, per le bellissime parole espresse nella cerimonia di
inaugurazione del Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo Gronchi. Quelle parole rimbalzano nei miei pensieri,
costantemente, e fanno sì che la mia vita non sia più improntata sul dolore per la perdita del mio caro Matteo ma,
piuttosto, ispirata ad una rinascita soprattutto spirituale
ma non solo. Ogni giorno penso alla gioia di quelle bambine, che frequentano la scuola, le quali sono diventate la
mia gioia quotidiana. Come ha detto Lei: “Nessuno prenderà il posto di Matteo”, ma sicuramente sono una ragione in
più per credere che Dio ha compiuto ancora una volta un
miracolo, il miracolo della Vita, della Resurrezione e della
Redenzione. È bello credere e pensare che Dio ci ama ma,
soprattutto, è bello vedere quanta gioia, ancora, possiamo
dare e ricevere. Con noi è stato così.
Sua Eccellenza, spero presto di poterla incontrare per ringraziarla ed abbracciarla per la grande opportunità dataci
ma, soprattutto, per le Sue Parole, di maestro di Vita e di
Chiesa, che hanno scosso nel profondo la mia coscienza.
Voglio credere che è successo un miracolo, un miracolo
chiamato Gesù. Per ultima cosa vorrei chiederLe una preghiera per la mia famiglia, per Matteo e per tutte le bambine della scuola.
Con stima ed affetto Roberta Tomasi Gronchi
In certi momenti della vita bastano poche ma sentite parole che, arrivando diritte
al cuore, hanno il potere di farci capire quello che la sola ragione non ci permette
di vedere. Esse sono come fari che illuminano i nostri passi nel cammino della vita
rendendoci consapevoli che non saremo mai lasciati soli.
36
Parte I
Silvio, con la sua consueta foga bonaria, prende la parola per riportare alla memoria
i momenti più importanti di quel giorno:
…Facevo parte anch’io di quel nutrito gruppo di persone
partite dall’Italia per partecipare all’inaugurazione. Proprio
per non deludere le autorità africane presenti, il Movimento mi concesse l’onore di presenziare assieme ai capi villaggio, al Governatore della Regione e ad il Ministro della
Pubblica Istruzione, conferendomi la carica di “Ambasciatore della Pace di Shalom”; dopo un faticoso viaggio, che
tralascio di raccontare, scendemmo dai pulmini sullo spiazzo antistante la struttura. Fummo accolti da due ali di bambine, vestite con una sgargiante divisa color blu cielo, che
cantando canzoni di benvenuto ci scortavano al centro della scena. Il vescovo Joachim ci venne incontro abbracciandoci tutti come se ci conoscesse da una vita. Alternando
balli e canti popolari i relatori si susseguivano parlando da
una sgangherata altana di legno. Quando fu il mio turno mi
accompagnarono Gabriele e Roberta. Per l’occasione, per
evitare che la commozione mi prendesse, avevo scritto il
discorso. Con un groppo alla gola e la voce strozzata dall’emozione, riuscii a leggerlo, lentamente, per permettere al
nostro Jonas di tradurre in francese e nel dialetto locale:
Vostra Eccellenza Reverendissima Giovacchino, vescovo
della Diocesi di Dorì, Egregio Signor Ministro della Pubblica istruzione del Burkina Faso, Signori rappresentati delle
Istituzioni religiose, politiche e militari qui intervenuti, Popolo di questa importante Regione del Burkina Faso, Fratelli e Sorelle Africani, buon giorno a tutti voi e grazie per
essere qui con noi; grazie per essere accorsi così numerosi a
questo importante incontro. Sono Silvio Della Maggiore e
sono stato chiamato a rappresentare il Movimento Shalom
come Ambasciatore di Pace alla celebrazione inaugurale del
Progetto “7 Gennaio”. Vi porgo, pertanto, i saluti del nostro
padre fondatore Mons. Andrea Cristiani che molti di voi sicuramente conosceranno. Calorosi saluti anche dal nuovo
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presidente della ns. Associazione il dottor Andrea Sansevero, dai ns. dirigenti e da parte di tutti gli associati del Movimento Shalom.
Oggi ci troviamo insieme a celebrare un’autentica giornata
di gioia. Ci apprestiamo, infatti, ad inaugurare una struttura
che permetterà a molte persone di cambiare il loro futuro e
di migliorare la propria condizione di vita. Sì amici… proprio
così: siamo fermamente convinti che fra gli interventi più
importanti che potremo fare insieme a Voi ci sia quello di
consentire ai Vostri figli il diritto ad un’educazione scolastica. Shalom ha come imperativo categorico nei suoi progetti
di cooperazione, subito dopo aver soddisfatto i bisogni primari quali fame e salute, quello della scolarizzazione. Sono
i giovani, che usciranno da queste scuole, coloro che potranno aiutare il Vostro Paese ad innalzare gli standard di vita
dei suoi abitanti. Oggi, quindi, possiamo vedere tutti insieme come il dolore provocato da un evento tragico, la morte
in un incidente della strada di un giovane di diciassette anni,
Matteo Gronchi, avvenuto tre anni fa a così grande distanza
da Voi, amici africani, possa trasformarsi in un atto d’amore
diventando uno strumento per migliorare la qualità della
vita di centinaia di persone. Sì, questo avverrà, perché le
bambine che da oggi potranno frequentare questa scuola,
domani saranno in grado di offrire ai loro familiari, ai loro
vicini e a tutto il Burkina Faso un futuro più luminoso.
Il Progetto “7 Gennaio”, in memoria di Matteo, è un progetto
ambizioso che ci vede impegnati per il completamento di
questa struttura, tutti insieme: italiani e africani. Le risorse raccolte, fino ad ora, pur consistenti, non ci consentono
ancora di ultimare i lavori ma confidiamo nel buon cuore
di chi ci ha aiutato ed in coloro che hanno lavorato a questa importante realizzazione. Colgo, quindi, l’occasione di
ringraziare il Vescovo Gioacchino che ci ha suggerito questo intervento, mettendoci a disposizione il terreno, Padre
Bertrand, economo della Diocesi, che ci ha pazientemente
supportato e sopportato, le suore che stanno lavorando in
questa struttura con amore e dedizione accompagnando
38
Parte I
la crescita delle giovani studentesse. Speriamo presto, con
l’aiuto di Dio, di completare l’immobile con la casa per le
suore, l’infermeria e la cappella. Ringrazio, inoltre, tutti coloro che si sono prodigati dall’Italia affinché questo sogno
potesse realizzarsi.
Qui con noi è presente una piccola parte di loro ma è quella
più tenace, più convinta, più motivata. Senza il loro contributo certo sarebbe stato tutto più difficile. Davvero grazie
di cuore. Il ringraziamento più grande e più sentito lo voglio rivolgere agli amici Gabriele e Roberta che, insieme alla
loro figlia Margherita, sono i familiari di Matteo. Grazie per
la sensibilità, il coraggio e la passione che avete messo in
campo perché tutto ciò si avverasse. Sono davvero convinto
che lui, Matteo, dall’alto ci vede, approva e condivide con
noi la felicità che siamo riusciti a donare a questo meraviglioso popolo. Grazie di nuovo a tutti e… viva il Sahel… viva
il Burkina Faso.
Mi resi subito conto di non parlare ad una platea di persone
bensì ad un solo individuo. Sì a lui, proprio a lui: a Matteo.
Non per chiedere il suo apprezzamento su ciò che avevamo fatto, ma per consegnargli, in modo simbolico, le chiavi
dell’opera: la sua scuola… Questa è la storia di quel grande
miracolo d’amore.
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Taglio del nastro all’inaugurazione da parte del Vescovo Joachim e del Governatore del Sahel
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Parte I
Gabriele
Il Progetto “7 gennaio” è stata un’idea importante con l’obiettivo di ricordare
Matteo in una delle sue più belle attitudini: lo studio. Lui era veramente un bravo
studente, motivato, capace, naturalmente portato a sviluppare al massimo le proprie
conoscenze che saranno certamente utili alle ragazze e ai ragazzi del Burkina Faso
che, per affrancarsi dalla loro povertà, avranno il primario bisogno di accrescere,
attraverso lo studio, la loro preparazione e cultura, elementi essenziali per la loro
emancipazione e il futuro della loro terra. La macchina organizzativa, partita fin dal
2007, per realizzare il Progetto “7 gennaio”, ha avuto come protagonisti centinaia di
persone che hanno dato vita a svariate e molteplici iniziative lavorando con impegno
e dedizione a quello che sembrava solo un sogno. Tutto si è “messo in moto” con un
motore principale, generoso ed instancabile: Gabriele, il padre di Matteo, al quale mi
sono rivolto chiedendo la sua testimonianza sul passato, sul presente e sul futuro del
Progetto “7 gennaio” e le sue personali riflessioni sulla Fede, sulla Speranza e sulla
Carità nel faticoso e doloroso percorso che la vita gli ha presentato.
…All’inizio, sicuramente, questa esperienza, è nata dalla volontà di dare un aiuto alle persone più in difficoltà,
più bisognose con una spinta emotiva molto forte data la
scomparsa di Matteo. La donazione degli organi e la costruzione del pozzo si sono concretizzate per la volontà di
trarre qualcosa di positivo dalla dolorosa vicenda che si era
abbattuta su di noi. Molte volte, in quel periodo, sono stato
tentato di abbandonare non solo i progetti di vita prefissati, ma il lavoro ed i vari impegni personali; però il ricordo
di Matteo e l’amore per lui, intenso e forte, hanno sempre
avuto il sopravvento. Qualche volta mi sono rimproverato
di non aver trascorso molto più tempo con lui, ma non avrei
mai pensato di perderlo in maniera così repentina; quando
senti una notizia tragica capitata ad altri ci pensi per alcuni
attimi, ti dispiace ma, passato poco tempo, tutto riprende
normalmente. Al contrario quando, purtroppo, il destino
mi ha colpito in pieno ho deciso che dovevo fare qualcosa
per lui e, in sua memoria, aiutare delle persone in maniera
che ciò che veniva realizzato potesse rimanere nel tempo.
In me c’era forte il desiderio di voler mantenere vivo il ricordo di Matteo nella nostra famiglia, innanzitutto, e negli
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amici e conoscenti che ci stavano intorno. La risposta da
parte di tutti ha confermato che quanto avevamo deciso
di fare era giusto perché anche gli altri ne avevano bisogno.
Certamente se non fossi partito io loro non si sarebbero
cimentati in questa impresa ma, da me stimolati ed incoraggiati, mi hanno aiutato e sostenuto volentieri. Questo
mi ha fatto piacere e mi ha rafforzato nella mia determinazione di portare avanti il progetto, perché vedere delle
persone intorno a te che ti sostengono, ti aiutano, ti confortano, ti spronano è motivo di grande consolazione. In
questo periodo di tempo ho conosciuto delle persone che,
come me e Roberta, avevano perso un figlio o un caro familiare. Ognuno ha avuto le proprie reazioni di fronte ad una
perdita così dolorosa e vedendo quanto stavamo facendo
per il nostro caro Matteo ho pensato che fosse una cosa
diversa, bella, importante non solo per noi ma per coloro
che avrebbero usufruito della nostra operosità. Ho riflettuto, inoltre, sul mio percorso di vita e ho notato che forti
cambiamenti personali sono avvenuti quando ho avuto dei
lutti familiari o parentali; in particolare ricordo, a 23 anni, la
morte di mia madre, evento questo che per me è stato uno
spartiacque perché mi ha fatto passare da un’età spensierata ad un atteggiamento diverso nei confronti della vita, del
lavoro, della famiglia, dei sentimenti.
Negli anni mi sono impegnato con i miei fratelli nel mondo
del lavoro e con sacrificio abbiamo realizzato progetti e sogni, come pure con la mia famiglia ero riuscito a ottenere
delle soddisfazioni. Molte volte sul lavoro abbiamo rischiato, ma senza avere mai paura di affrontare le sfide che si
presentavano. Questa filosofia operativa l’ho messa in atto
anche nel portare avanti il “Progetto 7 Gennaio” senza pensare a come avremmo fatto, a chi ci avrebbe aiutato e alle
difficoltà che avremmo incontrato, sostenuto da una forza
interiore tale che mi dava la certezza di poter arrivare a
realizzare quanto avevamo pensato. Tante volte ho creduto
che quanto avevo fatto in ricordo di Matteo non era abbastanza; sapevo che altri per aiutare i più bisognosi aveva-
42
Parte I
no abbandonato tutto: gli affetti, il lavoro, gli amici ed io,
qualche volta, ho avuto il dubbio che fosse proprio questo
quello che il Signore voleva da me. Ne parlai anche con Roberta e con un sacerdote chiedendogli quale compito Gesù
voleva che io svolgessi per Lui.
Mi domandavo se bastasse quanto stavo facendo o se volesse da me qualcosa di più. Dopo averci pensato e riflettuto molto, sono arrivato alla conclusione che le responsabilità familiari, gli obblighi lavorativi con i miei fratelli e
verso chi lavora con noi, mi impedivano di abbandonare
tutto. Ho sperato che il tempo potesse alleviare ed attenuare quel malessere che mi aveva preso nei primi tempi,
dopo la scomparsa di mio figlio Matteo, e questo in parte
è avvenuto fino a quando l’improvvisa malattia di Roberta
ha riaperto ferite mai completamente sanate. Mentre era
in corso l’elaborazione del lutto di Matteo, la malattia di
Roberta faceva ritornare le stesse domande: “Perché, perché di nuovo a noi?”. Roberta nella malattia ha sofferto e,
anche se con molti momenti di paura e terrore, ha affrontato tutto il percorso con grande speranza e relativa serenità.
Adesso è diventato veramente difficile guardare al futuro.
Un senso di tristezza e di malinconia mi accompagna spesso; l’unica gioia che mi rimane è Margherita. Mi auguro di
vederla felice, sistemata, con una sua vita, una sua famiglia, un compagno, dei figli. Riflettendo sulla Provvidenza
devo riconoscere che siamo stati aiutati da tantissime persone: alcune con molto, altre con poco ma tutte con uno
slancio positivo perché vedevano in quanto veniva fatto,
con la massima trasparenza e documentazione, qualcosa
a cui dover partecipare. Sono sicuro che, in molte occasioni, Qualcuno ci ha pensato affinché l’iniziativa in atto in
quel momento andasse a buon fine o che arrivasse quello
che doveva arrivare anche quando non te l’aspettavi più e,
come per miracolo, tutti i tasselli del mosaico andavano al
loro posto. Questa è veramente la Provvidenza! Sono certo, inoltre, che ora Matteo e Roberta ci guardano da lassù
e sono felici di quanto è stato fatto e che ci sono persone
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che ringrazieranno per la struttura che abbiamo realizzato per loro e per quelli che verranno dopo di loro; quelle
costruzioni non sono solo fatte di mattoni ma parlano di
un’esperienza di vita, di persone che si sono sacrificate e
che hanno trasformato il dolore e la morte in speranza per
dare una vita migliore a chi non ne aveva la possibilità. Questo, alla fine, è quello che volevamo realizzare e quello che
è diventato.
Oggi la struttura ha un suo corpo, una sua dinamica e riesce
ad alimentarsi per quanto riguarda il ciclo scolastico con un
nostro contributo, tramite l’adozione a distanza di alcune
bambine e per il mantenimento efficiente di tutta la costruzione. Posso dire che il Progetto “7 gennaio” non ha fine ma
ci sono degli obiettivi da realizzare negli anni come: la casa
delle suore che a oggi è praticamente terminata, campi da
gioco, per migliorare l’esterno della struttura, e costruire
altri locali utili al buon funzionamento della scuola. La suora, responsabile dell’istituto con la quale siamo in contatto, recentemente ci ha chiesto di poter realizzare un’altra
struttura scolastica che accolga tre o quattro classi in modo
da permettere la prosecuzione degli studi alle bambine e a
coloro che volessero giungere fino al conseguimento di un
diploma di scuola superiore a livello scientifico e tecnico.
Mi è sembrato una proposta interessante e giusta perché
così completeremmo due interi cicli di studi; ho solo detto
alla suora che se faremo questo ampliamento non potremo dar corso, al momento, ad altri lavori. Ho chiesto però
di aver pazienza perché tutto e subito non siamo in grado
di farlo ma non poniamo limiti alla Provvidenza dato che
sono sicuro che con il tempo esaudiremo le sue richieste
tramite il Movimento Shalom che coordina tutti i lavori e
mantiene i contatti con la diocesi di Dorì e con le autorità
locali. Vorrei, infine, trasmettere un messaggio a coloro che
leggeranno queste mie riflessioni: se riesci a fare qualcosa
per gli altri ti senti meglio e non peggio, hai dentro di te
qualcosa in più. Per me, in particolare, nella tristezza ti può
dare gioia. Non ci si può chiudere in se stessi e al mondo,
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Partecipanti al viaggio di inaugurazione nel 2010
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perché isolarci non ci porta da nessuna parte se non alla
solitudine e all’egoismo.
Questa vita ci è stata data; noi non l’abbiamo comprata e
secondo me va spesa dando una mano a chi non ha quello che noi, fortunatamente, abbiamo. Se tutti riuscissimo
a fare qualcosa, potremmo realizzare molto perché tante
piccole gocce fanno un mare di generosa solidarietà. Le
esperienze vissute hanno cambiato la visione della vita e
dei suoi valori fondamentali; mi hanno portato ad essere
sempre me stesso, ho lavorato a fondo, pregato in silenzio ed ho fatto quello che mi sentivo in maniera sincera,
dando il mio piccolo contributo di “goccia” nel mare della
solidarietà.
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Parte I
Roberta
Questo capitolo è dedicato interamente a Roberta. I suoi scritti, messi in rete,
in un periodo certamente non facile della sua vita, sono riflessioni che ci fanno
capire quanto amore Roberta aveva per Matteo, quante lacrime ha versato per lui e
quanto dolore ha colpito la sua mente ed il suo corpo. Nonostante fosse stata lei a
decidere quale mio lavoro far pubblicare, a favore del Progetto “7 gennaio”, non ho
avuto l’opportunità di conoscerla, né di parlarci o di frequentarla; questi scritti hanno
colmato, se pur in parte, questa reciproca ed incolpevole mancanza.
Sant’Agostino, La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo
ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che
ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai
sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere
un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci
faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio
nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo
senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita
conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa
di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei
essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché
sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
30/01/2007
Dieci, cento, mille vite salvate. La tua morte non è stata inutile, grazie a te tante persone potranno sorridere e
piangere, amare e odiare, ma soprattutto potranno ancora
vivere. La donazione dei tuoi organi porterà a diverse persone la gioia e la speranza, forse una vita migliore. In questo
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momento non sono la persona più adatta per declamare
la vita; vedo un futuro senza speranza, senza felicità; vivo
il presente e basta perché i miei sogni ed i tuoi sono stati
spazzati via in una sera d’inverno. Godo del passato, del mio
e del tuo, delle piccole e grandi gioie quotidiane che mi hai
dato nella tua breve vita. Potrei parlare di te all’infinito, per
l’intensità dei tuoi 17 anni, vissuti come fossero 100 e che
ci hai voluto lasciare. La tua vita è stata una corsa, forse
contro il tempo? Avevi fretta di andartene e quindi dovevi
fare tutto alla svelta; apprendevi in modo straordinario e
qualunque strada da te intrapresa sbocciava tra le tue mani,
fra le tue labbra e fra i tuoi piedi. Ora più che mai credo nel
destino che ognuno di noi ha già scritto fin dalla nascita.
Ritornando alle tante vite salvate e da salvare, il 15 febbraio prossimo partiremo io, tuo padre, tua sorella ed i nostri
amici più cari per quella terra povera e aspra dove la sopravvivenza è terribile, tuttavia ricca di sentimenti com’è
l’Africa. Quell’Africa che ti scuote nel tuo più profondo
animo, quell’Africa che sa entrare nel cuore delle persone,
anche quelle che sostengono di essere insensibili. Cercheremo di portare un sorriso e la nostra solidarietà, il nostro
piccolo contributo, e di moltissime persone, nato dalla tua
tragica scomparsa. Ogni lacrima versata, di chi ti ha voluto
bene, si trasformerà in acqua, tramite un pozzo che inaugureremo a breve e che porterà il tuo soprannome “occhi
cinguettanti” e altri progetti in via di definizione. Il sogno
di tuo padre sarebbe di costruire una scuola: io credo che
ci riuscirà! Sai quante volte mi sono opposta ai viaggi di tuo
padre, che ne è rimasto affascinato e che mi voleva coinvolgere, non per disinteresse ma per la paura di soffrire nel
vedere le cose che spesso i media ci propongono. Cosa mi
aspetterà ora laggiù? Tornerò con il cuore gonfio o leggero? Lenirà o accentuerà questo mio dolore? Ho dovuto far
violenza per prendere questa decisione e decidere di partire; spero di trarne beneficio ma, soprattutto, spero di migliorarmi come persona, di rendermi utile e poter alleviare
la sofferenza altrui. Non voglio ergermi a benefattrice del
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Parte I
mondo o qualsivoglia altro titolo; rimango sempre me stessa con i miei difetti, tanti ed i miei pregi, pochi. Il prezzo
pagato è stato tanto. Tua madre, con te sempre nel cuore
e nella mente.
Khalil Gibran, Si nasce freccia per diventare arco.
E una donna che teneva un bambino al seno disse: “Parlaci dei figli”. Ed egli disse: “I vostri figli non sono vostri figli.
Sono figli e figlie del desiderio ardente che la Vita ha per
se stessa. Essi vengono per mezzo di voi, ma non da voi.
E benché siano con voi, non vi appartengono. Potete dar
loro il vostro amore ma non i vostri pensieri. Potete dare
alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, perché le
anime dimorano nella casa del domani, che voi non potete
visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di essere come loro: non cercate, però, di renderli come voi. La
vita, infatti, non torna indietro né indugia sul passato. Voi
siete gli archi dai quali i vostri figli come frecce viventi sono
lanciati. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito
e si piega con la sua potenza perché le sue frecce volino
veloci e lontane. Lasciatevi piegare con gioia dalla mano
dell’Arciere poiché come egli ama la freccia che vola così
ama pure l’arco che è ben saldo.
19/05/2007
Mancavi solo tu…
Oggi avresti 17 anni, è il tuo compleanno. Per me rimarrà
una data importante. Continuerò a festeggiare il tuo compleanno, anche oggi l’abbiamo fatto. Siamo andati a Mirabilandia, lo avevi deciso tu con Giulia. Giulia ha mantenuto
la promessa, ha organizzato tutto lei. È stata una giornata
splendida sotto tutti i punti di vista, bellissima e ventilata,
poca gente e soprattutto niente file, strade libere, niente inghippi. Per l’occasione abbiamo fatto, per tutti i tuoi
compagni di classe, una polo blu; cosa importante il loro
soprannome, impresso sul retro,con il quale tu li appellavi;
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qualcuno, forse, non ha gradito l’appellativo, ma poco importa e con davanti la strofa della tua canzone preferita.
Quante volte ho pensato: “mancavi solo tu”, fino a farmi
male ma non era giusto rovinare una giornata così bella. Tua
sorella e il tuo babbo erano felici tra tutti i tuoi amici, come
non lo erano da quel maledetto giorno. Beh di me non parliamo, sai quanto poco sopporto la confusione ed i parchi
giochi in generale, ma per te farei tutto; figurati che sono
montata sulle montagne russe, da non credersi eh? Per il
resto non ci sono novità; attendiamo impazienti notizie
dall’Africa, per il progetto scuola; se son rose fioriranno…
Un bacio al mio ragazzone dagli occhi cinguettanti.
8/6/2007
Sant’Agostino, Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora
vivo, se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e
sento in questi orizzonti senza fine, e in questa luce che
tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami. Qui si
è ormai assorbiti dall’incanto di Dio, dalle Sue espressioni
di infinita bontà e dai riflessi della Sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al
confronto. Mi è rimasto l’affetto per te: una tenerezza che
non ho mai conosciuto. Sono felice di averti incontrato nel
tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato. Ora
l’amore che mi stringe profondamente a te, è gioia pura e
senza tramonto. Mentre io vivo nella serena ed esaltante
attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così. Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine, pensa
a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, dove
ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte
inesauribile dell’amore e della felicità. Non piangere più, se
veramente mi ami!
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Parte I
07/07/2007
Oltre la vita
Molte volte mi sono chiesta: cosa ne è della vita oltre la
morte? Il tempo non era mai abbastanza per rifletterci seriamente e meditare. Non ho mai trovato risposte e credo
che mai ne avrò. Ora più di prima mi faccio queste domande, con una sola differenza: la morte non mi fa più paura e
spesso mi fermo a meditare. Mi hanno fatto pensare molto delle belle parole dette da mio marito che, lì per lì, di
primo acchito, non ero nemmeno riuscita ad afferrarne il
senso. Le parole dicevano esattamente:
Lui – “Ora Matteo è diventato più grande di noi”.
Io - “Ma cosa dici? Non ti capisco!”
Lui – “Sì, Matteo è rinato ad altra vita e nella sua nuova vita
è più grande di noi”.
Il pensiero è, senza ombra di dubbio, espresso in maniera
terrena e come marcatore è stato usato il tempo, il nostro
tempo ma l’intensità dell’espressione scaturita è notevolmente spirituale perché solo chi possiede una grande fede
arriva a determinati pensieri. Non vi dico lo stupore che tali
parole hanno destato in me. Via, via mi fermo e penso, penso e penso. A volte pure scrivo, come in questo momento,
perché nel mio piccolo credo che simili pensieri meritino
attenzione ed in primis da parte mia. Il grave lutto, che ci
ha colpito, ha dato una notevole spinta alla nostra fede,
ora più salda che mai. Oggi sono sei mesi, amore mio, che
manchi; il tempo non aiuta e non attenua nulla. Il dolore è
diventato il nostro compagno di vita. Per noi sarai sempre il
nostro Matteo, sempre nel cuore e nella mente.
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Completamento dell’alloggio delle bambine
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Completamento dell’alloggio delle suore e della cappella
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20/07/2007
Dove prima
Dove prima c’era il tuo sorriso, ora c’è tristezza.
Dove prima c’era la tua voce, ora c’è silenzio.
Dove prima c’eri tu, ora c’è il vuoto colmato dai ricordi dei
giorni che furono.
Non ci saranno più spazi infiniti
dove perdersi nell’azzurro dei tuoi occhi.
È un dolore vivo
che fa male.
Ore, giorni, mesi
avvolti dal buio di questa strada impercorribile.
24/08/2007
Istanti
Istanti sfuggiti all’obiettivo,
istanti che non verranno mai più.
Istanti stampati su carta
o catturati in tanti megapixel.
La vita, vissuta in tanti piccoli istanti.
Compagna di gioie
e di dolori.
Un’eternità davanti a te,
un mistero per me.
Tutto in un istante.
28/9/2007
Il sapore delle lacrime
Nella vita di tutti noi, senz’altro abbiamo assaggiato il sapore delle lacrime. Vi sono lacrime e lacrime; lacrime di gioia
e lacrime di dolore; per essere ancora più specifici, le lacrime di dolore si suddividono in due categorie: dolore fisico
e dolore morale. Le mie prime lacrime di dolore le ho versate alla morte di mio padre, allora avevo diciassette anni.
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Parte I
Nel mio cuore ho sempre portato il vuoto della sua precoce scomparsa, un vuoto colmato da mio marito. Quando
penso a mio padre sorrido perché era il papà più buono del
mondo e l’importanza di sentirsi amate e coccolate con infinita dolcezza. La sua severità (era molto all’antica) non mi
spaventava più di tanto; io obbedivo e basta perché l’amore
supera ogni ostacolo e sicuramente tutti i suoi divieti erano
a fin di bene. Da genitore, oggi, posso dargli solo che ragione. Che mestiere difficile essere genitori oggi. Sì, proprio
oggi, perché l’avvento delle varie tecnologie ha sradicato
completamente i valori che un tempo erano il traino per un
percorso di vita sano e costruttivo.
Cominciamo pure col dire che il falso stile di vita che ci
propinano i mass media delude ampiamente me e come
me tanti altri che amano la semplicità ed il sapore delle
cose vere. Ritorniamo alle nostre lacrime; dopo le mie prime lacrime di dolore, ho pure pianto di gioia; ebbene sì: alla
nascita del mio Matteo; erano lacrime vere, la cosa più bella che mi sia capitata. Ma non solo per lui ho pianto di gioia,
anche per la mia giovane anima ribelle di casa, (mia figlia),
il mio bellissimo fiore. Diciamo pure che sono di lacrima
facile e mi commuovo facilmente quando si tratta di gioie;
per quanto riguarda il dolore, piango in silenzio, in primis
nel mio cuore perché amo poco le esibizioni, specialmente
pubbliche. Il dolore come pure le lacrime sono una cosa
talmente intima che è come mettere a nudo l’anima ed il
corpo. A volte mi ritrovo con le lacrime che solcano le mie
guance; sono lacrime calde, lacrime vere, per un dolore mai
sopito. Cerco di farlo nella solitudine anche se, a volte, al
cuore non si comanda. Non so quanto sia producente piangere, senz’altro liberatorio; spesse volte vien detto che è
umano piangere, io personalmente amo poco vedere piangere, è per me motivo di disagio e si rischia di essere banali
anche solo nel pensare di dire qualcosa. Concludo, vorrei
un mondo con solo lacrime di gioia. Sarà mai possibile?
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In ricordo di Roberta
Quando un familiare, una persona che ci è cara soffre, noi possiamo aiutarla con la
nostra costante presenza e vicinanza fisica, morale e spirituale. Questo è quello che
ha fatto Pierangela, moglie di Giacomo e cognata di Roberta, e che traspare da questo
suo commovente scritto:
Se dovessi raccontare di Roberta, a chi non l’ha conosciuta, userei un solo aggettivo: “generosa”, perché Roberta era
così, generosa! Non solo perché spontaneamente ti dava
ciò che possedeva ma, soprattutto, perché si dava generosamente alle persone. Era accogliente, disponibile, aperta
a tutti, con un sorriso sincero che mostrava anche nei momenti più difficili. Pur con caratteri un po’ differenti, siamo
sempre andate d’accordo; i nostri figli, quasi coetanei, sono
cresciuti insieme e anche per i bisogni quotidiani sapevamo che potevamo contare l’una sull’altra. Famiglie normali,
con bisogni e difficoltà normali, che vivevano abbastanza
serenamente le loro vite, fino a quella sera del 6/1/2007
quando, all’improvviso, niente è stato più normale. Eravamo a cena quando Margherita mi chiamò in lacrime perché
non aveva più notizie di Matteo. Non ci volle molto tempo
per capire che qualcosa di grave era accaduto e presto ci
ritrovammo all’ospedale dove lui lottava per vivere.
Ho bene in mente tutti i fotogrammi di quella notte di disperazione per i miei cognati, la nostra impotenza di fronte
a qualcosa di così tragico e poi la risolutezza con cui loro
decisero per la donazione degli organi. Davanti all’obitorio,
ricordo perfettamente, quando lei, ormai sfinita dal pianto,
mi guardò e mi disse: “Speriamo che questa tragedia serva
ad unire, ancora di più, le nostre famiglie.” E così è stato…
Sono stati così generosi, lei e Gabriele, con noi da voler mostrare tutto il loro dolore, tutta la loro fragilità, tutto il loro
bisogno di conforto, permettendoci di stargli vicino a volte
per piangere insieme, a volte per stare in silenzio o anche
solo per appoggiarsi l’uno all’altro. Non si sono mai chiusi
nel loro dolore ma, fin da subito, hanno cercato di trovare
un modo per trasformare la loro sofferenza in qualcosa che
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Parte I
potesse ridare speranza a qualcuno che, come loro, era stato duramente provato dalla vita. È nata così l’idea di fare
un pozzo in una terra lontana dell’ Africa, in una terra a
volte dimenticata da Dio. L’acqua, un bene prezioso, grazie
al quale tante persone sono potute ritornare alla vita per
la generosità di due genitori che hanno voluto, in questo
modo, dare un senso alla perdita dell’amato figlio dagli “occhi cinguettanti”.
Hanno affrontato quel viaggio, inconsapevoli di cosa li attendeva, con una morte nel cuore che traspariva dai loro
sguardi a volte smarriti, a volte pieni di domande… ma
quando, finalmente, hanno visto zampillare quell’acqua,
sono sicura che il loro dolore, sempre tanto forte, è stato
“supportato” dalla riconoscenza di quelle persone che lì,
vicino a loro, erano in festa per aver ricevuto un dono così
importante. Quando sono ritornati, stanchi nel fisico e
nell’animo, ci hanno raccontato di un mondo molto diverso
dal nostro, per alcuni versi quasi incomprensibile che però,
non può non affascinarti proprio per quegli aspetti umani
così veri, sinceri che stridono, un po’, con il vissuto di ogni
giorno. I volti della gente, dei bambini che, seppur sporchi
ed affamati, sono sempre pronti a regalarti un sorriso, uno
sguardo, così profondo e sincero, che ti arriva fino dentro
l’anima. È per questo che, subito, hanno accettato la richiesta di costruire una scuola, non solo un edificio, ma proprio
un luogo dove poter fare aggregazione, dove le bambine,
anello più debole e fragile di una società già tanto in crisi,
potessero studiare, crescere ed emanciparsi proprio attraverso la istruzione.
All’inizio è sembrato a tutti un progetto troppo grande
per essere realizzato, troppo ambizioso e non nascondo
che anche noi, in famiglia, siamo rimasti un po’ perplessi
e preoccupati perché pensavamo che se quanto volevano
costruire non si fosse potuto realizzare, sarebbe stata una
delusione, non solo per quelle popolazioni, ma soprattutto
per Gabriele e Roberta che potevano vivere quell’insuccesso come un altro dolore, un’altra sconfitta che la vita
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gli riservava. Nonostante qualche remora, però, nessuno di
noi si è tirato indietro e ben volentieri abbiamo fatto quanto
potevamo per aiutarli e sostenerli in questo percorso anche
quando la stanchezza, mille difficoltà e mille incertezze hanno minato questo lungo cammino. Sono nate diverse iniziative, in memoria di Matteo, che avevano come scopo principale proprio di non dimenticare quello che era accaduto e poi
quello di raccogliere fondi per avverare quel sogno che non
era più solo di Gabriele e di Roberta, ma di tutti coloro che
si spendevano in un modo qualsiasi per realizzare il Progetto
“7 Gennaio”. Ancora oggi, a distanza di anni, mi commuovo
quando a luglio facciamo la cena “Ricordando Matteo”; tante persone, parenti, amici, paesani, e gente che viene da fuori, insistono per partecipare a questa serata, per dare il loro
contributo, per abbracciare simbolicamente questi genitori…
tante persone più di quante la struttura dell’Avis ne possa
contenere. E finalmente, dopo “solo” un paio d’anni, arriva
il giorno dell’inaugurazione. Ho visto e rivisto molte volte il
filmato di quella splendida giornata: tanta gente emozionata
di fronte a quell’edificio, nato nel nulla dall’amore di questa
famiglia, la grande famiglia di Matteo, che all’improvviso si
è fatta madre e padre per quelle belle bambine che in fila,
ordinate e trepidanti, cantavano dolcemente una canzone
di benvenuto agli amici italiani. Molto bene aveva parlato il
Vescovo di Dorì al cuore dei miei cognati e dei presenti, dicendo che chi si dona con amore agli altri, ai fratelli che ha
vicino, riceve una ricompensa più grande che si possa immaginare: l’umanità intera per famiglia!
Al loro ritorno, abbracciandoci e piangendo insieme, ho
sentito subito che qualcosa era cambiato, che un miracolo segreto si era compiuto nel loro cuore: quelle bambine erano diventate, davvero, delle figlie per loro, figlie che
sentivano veramente tali. Niente e nessuno avrebbe potuto
ridargli il loro amato Matteo, ma ora avevano questa nuova famiglia africana alla quale aggrapparsi, alla quale donare il loro infinito amore. La gioia e l’entusiasmo trasparivano perfettamente dai loro sguardi e dai loro racconti,
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Parte I
così tanto da far dimenticare la stanchezza e le sofferenze
affrontate nel lungo viaggio. In seguito ci siamo tenuti in
contatto con la suora della scuola tramite e-mail che, periodicamente, Roberta scriveva tenendoci costantemente
aggiornati sui progressi che le bambine facevano in quell’oasi di salvezza, una salvezza che veniva dalla conoscenza,
dall’istruzione e che avrebbe certamente riscattato la vita
di quelle ragazze. C’erano tanti progetti da realizzare, dalle
divise per le alunne che mia cognata voleva confezionare personalmente, ai futuri viaggi da fare, magari insieme,
perché come diceva sempre: “Devi venire Pierangela… devi
vedere cosa sono capaci di dare gli occhi, le mani di queste
nostre figlie!” Sono sicura che gran parte di questi progetti
col tempo si sarebbero realizzati… se solo le cose fossero
andate diversamente.
Purtroppo Roberta, negli ultimi mesi del 2010, cominciò a
stare male; fu un malessere che arrivò all’improvviso, proprio quando sembrava aver raggiunto un momento, non
dico di serenità, quella la perdi irrimediabilmente quando
ti viene strappato un figlio in così giovane età, ma almeno
di quiete apparente, dopo tanti anni di dolore. E fu proprio la sera del 7 gennaio2011 che Roberta seppe quale tremenda malattia l’avesse colpita. Di ritorno dall’ospedale,
mi chiamò e mi disse subito ciò che aveva saputo; rimasi
sconcertata, sconvolta, non riuscivo a credere che una tale
tragedia si stesse abbattendo, ancora una volta, su questa
famiglia. Farfugliai qualcosa mentre lei, comprensibilmente
spaventata, mi disse risoluta: “Prenderemo anche questa!”
Quella notte non chiusi occhio, pregai molto e tanto piansi
per quella donna che io avevo visto tante volte fin troppo
forte, ma che ora vedevo fragile, indifesa ed in pericolo di
fronte ad un nemico così spietato. Fin da subito volle prendere coscienza, in prima persona, di ciò che le stava accadendo, del percorso doloroso che la attendeva e, dopo un
primo momento di smarrimento, rispose in modo deciso
ai medici, assicurando tutto il suo impegno per vincere la
partita più importante della sua vita.
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Anche quando le prime terapie non dettero il risultato
sperato, lei seppur dispiaciuta non si arrese, intraprendendo, con decisione, il duro cammino, tutto in salita, che le
si prospettava. È stato un anno e mezzo di grande dolore,
di false speranze che davano a lei e anche a noi l’illusione
che questo male, subdolo ed insidioso, si sarebbe potuto
sconfiggere. Ci siamo sentite molte unite, sotto tanti punti
di vista: sotto un profilo umano prima di tutto; ci vedevamo tutti i giorni, più volte al giorno; cercavo di aiutarla e di
sostenerla in ogni modo; a volte mi bastava il solo guardarla
per capire ciò che stava pensando o che voleva dirmi… anche sotto un profilo spirituale. In questo tempo ho pregato, abbiamo pregato come non mai; spesso ci ritrovavamo
la sera per dire il rosario tutti insieme e a volte era lei a
chiederlo… Sovente mi sono sentita impotente, inappropriata… talvolta avevo paura di non riuscire a farle sentire
l’affetto e il coinvolgimento emotivo che provavo nei suoi
riguardi: quanto è tremendo vedere una persona, a cui vuoi
veramente bene, soffrire così tanto!! Ogni suo progresso,
ogni suo successo, era un nostro successo ed ogni sua delusione o sconfitta, era una nostra delusione. Quando ha
deciso di andare a Milano per continuare le cure, l’abbiamo
appoggiata, credendo veramente che quello sarebbe stato
il modo più giusto e definitivo per abbattere quel mostro
che la stava dilaniando. Nessuno avrebbe mai creduto che
le cose potessero andare in un modo diverso. Si è sempre
dimostrata combattiva e decisa affrontando con coraggio
e determinazione, non comuni, tutte le prove, tutti i patimenti che le si presentavano.
Il primo trapianto l’aveva molto debilitata ma appena
tornata a casa, fra le sue cose e vicino ai suoi affetti più
cari, era rifiorita immediatamente e, con ancora maggiore risolutezza e volontà, aveva voluto affrontare l’ultimo
trapianto, quello che le donava sua sorella Daniela e che
avrebbe dovuto sconfiggere, una volta per tutte, il tumore
e restituircela… forse un po’ indebolita, con meno vigore
ma, comunque, guarita. Tutti i fine settimana siamo andati
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Parte I
a trovarla e, con mille accortezze e mille precauzioni, siamo
riusciti a vederla e a starle fisicamente vicini. Le terapie che
le praticavano erano molto pesanti e così aggressive che l’avevano costretta quasi completamente a letto. Nonostante questo, però, continuava a credere che i giorni migliori
sarebbero presto arrivati e che i dolori e le sofferenze di
quei momenti avrebbero lasciato il posto, alla fine, ad una
nuova vita. Purtroppo più il tempo passava e più la situazione peggiorava; il suo fisico, già tanto provato, la stava
lentamente abbandonando. Una delle ultime volte che l’ho
vista, ormai sopraffatta dalla malattia, mi ha parlato con lo
sguardo mentre io, cacciando indietro le lacrime e tutto
il mio turbamento, le raccontavo di persone che da casa
pregavano per lei e fiduciose la attendevano di ritorno a
primavera. Ci siamo dette delle cose che rimarranno per
sempre nella mia memoria e nel mio cuore… ho cercato di
farle forza e di incoraggiarla; le ho detto che la aspettavo
per tornare a fare insieme tutte quelle cose che facevamo
di solito.
Con la morte nel cuore l’ho salutata e le ho promesso che
sarei presto tornata da lei. Ho passato una settimana di
pura angoscia e paura, sempre in attesa di una buona notizia, ma mai avrei creduto che quel giorno lei, a modo suo,
mi avesse salutato per sempre! Sette giorni dopo l’ho rivista ancora attaccata alla vita, a dispetto di quei valori che
proprio non volevano salire… mi sono sentita quasi sollevata perché mi sembrava di vedere, in quel suo modo di reagire, la certezza che non l’avrebbe data vinta alla malattia. Le
ho buttato un bacio e, inconsapevole che quella era l’ultima volta che l’avrei vista, me ne sono andata continuando a
seguirla con lo sguardo. Pochi giorni dopo Roberta ci ha lasciati ed è tornata alla casa del Padre. Dire che lei mi manca,
non spiega bene le sensazioni ed i sentimenti che provo… ci
sono giorni in cui guardo il telefono e non riesco ad accettare che non squilli più, che al di là del filo non ci sia più lei
che mi chiama e che mi dice: “Ehi cognatina, oggi non ti ho
mai sentita, che fai scioperi?” Ma questo non lo dico a nes-
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suno; soffro in silenzio perché non voglio affliggere, ancora
di più, le persone che più di me hanno diritto di sentirsi soli
e tristi (parlo di Gabriele e di Margherita).
Lei ha lasciato un grande vuoto in ogni persona che l’ha conosciuta e che le ha voluto bene; è un vuoto che non potrà
mai essere colmato ma che tentiamo di sentire, meno profondo, appoggiandosi l’uno all’altro cercando di ricordarla
così come lei avrebbe voluto: solare, buona, gentile, determinata a vivere l’esistenza che ci è data nel modo migliore possibile, magari accorti ed accoglienti nei riguardi dei
fratelli che ci sono accanto. Non voglio ricordare Roberta
come una super donna perché in fondo lei era una madre,
moglie, sorella, amica come tante, con le sue fragilità, le sue
insicurezze, i suoi pregi, i suoi difetti come molte persone
normali; la sua particolarità sta nel fatto di essere riuscita
a trasformare un dolore immenso in una fonte inesauribile
di amore per i fratelli più bisognosi, di essere riuscita con
Gabriele ad offrire la sua sofferenza per ridare vita a chi, in
un paese lontano, tendeva loro le mani in cerca di aiuto e
di sostegno. Sono grata a Dio di avermi dato l’opportunità
di condividere con lei una parte delle nostre vite, per aver
vissuto insieme tanti momenti belli, di gioia, di felicità ma
anche molti dolorosi che ci hanno fatto scoprire l’amore
fraterno che ognuna nutriva per l’altra. Eravamo come sorelle e lo saremo per sempre! Quando la sua assenza si fa
più forte e la malinconia e il dolore sono più violenti cerco
di pensarla lassù, radiosa con il suo Matteo che, certamente, l’ha guidata in tutto quello che è riuscita a realizzare,
indaffarata, come sempre, a ricamare chissà quale angolo
di Paradiso e a vegliare su tutti i suoi cari.
Un sentito e delicato ricordo di Roberta, insieme a delle poesie, dedicate a lei e a
Matteo, ci è stato inviato dalla signora Germana Campani:
Veniva tante volte a casa mia perché sapeva che la visita era
sempre gradita. “È un’ora che suono!”, mi diceva sorridendo,
“Non senti? Sei sorda? Mettiti l’apparecchio!”. Poi si beveva
62
Parte I
insieme un caffè chiacchierando di tutto. Il nostro rapporto non era fra una persona giovane ed una adulta perché lei
non mi vedeva come una mamma o una nonna, ma come
un’amica, sua pari alla quale si può raccontare tutto. Per
me era un punto di riferimento; seguivo i suoi consigli fidandomi del suo buon gusto sia per scegliere le cose o per
risolvere un problema. La mia casa è segnata dalla presenza
di tanti doni avuti da lei, fra gli ultimi le mazze per andare
in bosco per funghi e una piantina di orchidea alla quale
vanno tutte le mie cure perché mi ricorda una sera dell’agosto del 2011 quando abbiamo cenato insieme a casa mia.
Poi c’è stato un lungo periodo di lontananza a causa della
malattia; ci salutavamo da lontano anche per timore di un
semplice raffreddore. Ci sentivamo per telefono; chiamava,
soprattutto, lei perché io avevo paura di disturbarla. L’ultimo squillo me l’ha fatto mentre andava a Milano (io lo
chiamavo viaggio della speranza); l’ultimo messaggio è arrivato dall’ospedale. Quando sembrava che nella malattia
ci fosse un miglioramento, una notte mi sono svegliata e la
immaginavo là, sola, in una stanza a vetri; allora mi sono affiorate tante cose che volevo dirle e ho scritto un pensiero
per inviarglielo a puntate col telefonino ma sono riuscita a
farle pervenire soltanto poche righe. Roberta per me sei,
sicuramente, nella stanza accanto.
A Roberta
Ti vedo con gli occhi del cuore
nella tua prigione
di cristallo
o mia piccola, grande regina.
Io so del tuo dolore,
delle tue speranze,
delle tue paure.
Vivi in un mare di tempesta
che a tratti si placa
e lascia intravedere la luce;
è un raggio infuocato
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d’amore
che spezzerà le catene
della tua prigione,
per ridonarti a noi.
Quel raggio infuocato
d’amore
era rivolto al cielo,
o mia piccola, grande regina,
e lassù, ora, riposi in pace.
Per una mamma
Lo cercherai nelle sue foto
di bambino,
negli angoli più impensati
della casa.
Lo cercherai nel suo letto,
culla felice di sogni
e di rosei progetti.
Lo cercherai in un ciuffo
di riccioli biondi
che ti sfiorerà per strada.
E non lo troverai.
Cercalo nel tuo cuore,
lo troverai sempre,
per una carezza,
per un conforto.
Un tempo tu mamma,
lui figlio,
ora e sempre,
proteggerà te.
64
Parte I
Matteo cresce, Roberta l’ha raggiunto, siamo insieme con loro per sempre
Questo è il brano di benvenuto cantato dalle ragazze del “College Notre Dame
Du Sahel” Suudu Andal - Burkina Faso, durante l’ultima visita effettuata, a novembre,
da Gabriele Gronchi e da un gruppo di visitatori. È un canto di ringraziamento per
Matteo, per Roberta, per Gabriele, per Margherita e per tutti coloro che ieri, oggi e
domani hanno realizzato e realizzeranno altri meravigliosi “miracoli d’amore”.
Permetteteci di mormorarvi ciò che canta nei nostri cuori.
Permetteteci di cantarvi ciò che grida dentro di noi.
Ascoltate ciò che abita il fondo di tutti noi:
questo misto di dolore e di riconoscimento,
proprio questo misto di dolore e di riconoscimento,
soprattutto di riconoscimento.
Prima il riconoscimento a Dio per tante grazie
visibili ed invisibili ma sicuramente attive nelle nostre vite
poi un particolare riconoscimento a Matteo ed a Roberta
che vivono qui con noi.
Un grazie inestimabile a tutti voi, presenti qui
o lontano da noi fisicamente, che avete tanto fatto per noi
(il Progetto “7 gennaio”)
possiamo nascere e crescere.
Da noi Matteo continua la sua crescita
nell’amore di mamma Roberta.
Non abbiamo conosciuto Matteo,
però, siamo tutti dei Matteo.
Oh papà Gabriel, lei ha tante figlie!
Margherita è ottimamente la nostra sorella
Margherita, tu hai tante sorelle!
Non andate, mai, a cercare Matteo in qualsiasi altro posto.
Lui è qui, siamo noi.
Guardate come cresce:
di taglio, di numero, di intelligenza e di saggezza.
L’amore è più forte di tutto
mamma Roberta ne ha dato la testimonianza
non ci ha amate fino alla morte?
Lei ha amato teneramente Matteo,
lei ci ha amate teneramente.
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Lei ha raggiunto Matteo, lei ci ha raggiunte.
Lei è qui, al Progetto “7 gennaio”.
Lei è con noi per sempre.
Noi, tanti Matteo, presenti davanti a tutti voi.
Vogliamo ripetervi il nostro amore filiale.
Se è possibile che un figlio dimentichi i suoi genitori,
noi non ci dimenticheremo mai di voi, mai!
Vi esprimiamo il nostro affetto adesso e per sempre.
Siamo risolute a fare famiglia nella verità.
Vogliamo costruire una famiglia
sempre più grande e sempre più unita e solidale.
Questa famiglia, la nostra famiglia, la vostra famiglia,
vorrebbe condividere qualche preoccupazione con voi:
alcune delle nostre sorelle concludono la scuola media
quest’anno.
Sono state la prima promozione del Progetto “7 gennaio”.
Sono state dunque le prime sorelle spirituali di Matteo,
le prime Matteo.
Questo vuole dire che il Progetto “7 gennaio” è cresciuto.
Delle grandi, numerose e belle cose sono state realizzate.
La strada da percorrere rimane ancora lunga
e tante cose restano ancora da fare:
la scuola secondaria superiore, un refettorio,
un’infermeria,
un campo di diversi sport, una grande sala di incontri,
un laboratorio per i corsi di fisica e di chimica.
Contiamo certamente su di noi
ma contiamo di contare su di voi, i nostri amici ed i nostri
benefattori
per fare del Progetto “7 gennaio” un solaio di amore e di
saggezza
per la nostra società e per il nostro mondo, un vero
“tempio di sapere”.
E adesso innalziamo mille tende:
una per papà Gabriele, una per la nostra sorella
Margherita,
una per ognuno di tutti voi venuti dall’Italia,
66
Parte I
una per ognuno di tutti noi.
Matteo e mamma Roberta hanno già le loro tende, qui.
E per finire, ascoltiamo mamma Roberta fiatarci:
“La morte non è niente… Asciugate le vostre lacrime e non
piangete,
se mi amate il vostro sorriso è la mia pace.”
Grazie Matteo, grazie mamma Roberta, grazie papà
Gabriele,
grazie Margherita, grazie ad ognuno!
Il nostro Signore continui a riempire le vostre mani
e i vostri cuori! Amen.
67
A lezione…
Visita all’Auditorium di Dorì nel viaggio del 2012
68
Il ricordo di Matteo e Roberta all’interno delle classi
69
Parte II
PARTE seconda
71
72
Parte II
Testimonianze
In questa seconda parte, oltre alle testimonianze raccolte a voce o riportate da
altri documenti scritti, il lettore potrà attingere in abbondanza alla veridicità dei fatti,
dato che quanto riportato è verità pura, semplice, fedele. Talvolta le parole, soltanto,
possono essere male interpretate ma se le persone rendono delle testimonianze
senza alterare la verità questo è certamente un dono bello che incentiva e propaga
la Provvidenza. Alcuni attestati potrebbero sembrare simili, quasi ripetitivi; in realtà
ciascuno di essi ha una sua personale sfumatura che delinea e completa un’immagine.
Ogni testimone ha sempre evidenziato una ben precisa motivazione che l’ha spinto
a partecipare al Progetto “7 Gennaio” e in ciascuno di essi ho colto una passione,
un’intensità emotiva non comune ed una partecipazione sentita, profonda che ti
entra dentro e vi rimane portando dei frutti. L’augurio è che questi semi di generosità
e di altruismo non vadano persi e possano trovare terreno fertile in ciascuno di noi.
Alcune persone molto vicine a Gabriele in questo percorso sono state, sicuramente,
suo fratello Giacomo e la sua famiglia, le famiglie delle cognate Cristina e Daniela, la
famiglia del fratello Stefano, che hanno scritto queste personali e toccanti riflessioni:
Giacomo
Quando Gabriele mi parlò del progetto, non fui subito
entusiasta come lo era lui. In me c’era una sorta di paura,
paura che quello che andavamo a costruire fosse solo qualcosa per colmare un vuoto e poi… perché in Africa, perché
coinvolgere tante persone? Come sempre la Misericordia
di Dio è grande. Cosa c’entrano Dio e la Sua Misericordia?
Sì! Dall’alto del mio io pensavo di avere la ricetta, la risposta ma Dio “sconvolge le vie degli empi” e mi ha posto di
fronte ad un miracolo che giorno dopo giorno sbocciava tra
le mani e nei cuori e mi faceva capire quanto grande sia la
Sua Misericordia, la Sua consolazione, la Sua Speranza. Sì,
forse inizialmente, la spinta per questa avventura è stata
quella di colmare quel grande, lacerante vuoto che Matteo
aveva lasciato in ciascuno di noi, in particolare in Roberta, Gabriele e Margherita, ma con l’aiuto di Dio presto si
è trasformato in qualcos’altro. È cambiato in consolazione,
in gioia, in amore gratuito donato; quell’amore gratuito
che dal sacrificio di Matteo si è mutato in vita per gli altri.
Perché coinvolgere tante persone? Perché, come mi disse
73
Gabriele, volevano rendere partecipi, di questo progetto d’amore, tutti coloro che avevano conosciuto Matteo,
che lo avevano amato e che con questa iniziativa potevano
continuare a farlo. Perché, aggiungo io, Dio non ha voluto
lasciare sola questa famiglia e l’ha voluta circondare di persone che hanno condiviso con loro questo dolore.
Quando sei dentro il quotidiano, non riesci a percepire fino
in fondo quello che ti accade ma, poi, quando ti fermi e
guardi indietro, ti accorgi che nulla accade per caso e che
solo Gesù è capace di trasformare il male in bene; ti accorgi
di come quello che può essere accaduto prima servisse per
l’oggi. Mi viene alla mente mia madre; quanta sofferenza
per quel figlio che da ragazzo si dimostrava un po’ fuori dalle righe della nostra famiglia: amici lontani dalla chiesa, la
domenica le “lotte” per spingerlo alla Messa… Quanti rosari
sgranati per quel figlio! Sono convinto che quella sofferenza
di madre, quelle preghiere siano giunte in cielo ed abbiano
aiutato Gabriele ad essere capace di quello che è, di vivere
nella fede di Gesù risorto i dolori che gli sono stati posti
davanti. In questo leggo un disegno di Dio che non ci lascia
mai soli qualsiasi cosa accada. Leggo la speranza nei sorrisi
di quelle ragazze africane che questo miracolo d’amore ha
reso vicine a noi, nostre figlie, nostre sorelle. Leggo un volto della Carità a me prima distante, quell’ amore donato
gratuitamente ma che sempre ha bisogno di Gesù perché si
trasformi in amore vero, disinteressato, completo. Quella
Carità che, come dice il Santo Padre, ”ha bisogno di cristiani
con le braccia rivolte verso Dio nel gesto della preghiera,
mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, da
cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma
ci viene donato” (Caritas in veritate, n.79). Quanto è grande
Signore la Tua Misericordia!
Cristina
Roberta era generosa, aperta con tutti, cercava sempre di
aiutare chi ne aveva bisogno, con noi era legata da un affetto “speciale”. Per questo descrivere la sofferenza che provo
74
Parte II
per la sua mancanza mi è difficile. Cerco di colmare la sua
assenza venendo a trovare Gabriele e Margherita, con loro
trovo quella parziale serenità di cui ho bisogno, e riesco
a sentirla vicina. Questa è l’ultima lettera che Roberta mi
ha scritto, lei coraggiosa e forte, ci lascia un esempio da
seguire:
“È difficile riuscire a regalare qualcosa a voi, vuoi sì per dignità, per orgoglio o qualsiasi altro sentimento. Il regalo più
grande che voi possiate farmi è accettare questo regalo,
perché “chi dona con amore ha l’umanità intera per famiglia”. Io sono doppiamente felice perché ho la mia famiglia
ed ho voi, quando io stavo male voi eravate con me, nelle
gioie eravate con me, ma soprattutto quando avevo i miei
momentucci, voi mi avete sopportato con pazienza, come
solo mia mamma potrebbe fare. Eri venuta da me quando
sono nati Matteo e Margherita, nonostante tu avessi i tuoi
problemi. In questi giorni avrai capito quanto sottile sia il
confine tra vita e morte, quindi è meglio gioire giorno per
giorno delle piccole gioie quotidiane, ringraziando Dio,
senza mai perdere di vista chi siamo e dove andiamo. Quindi ora sorridi. Con affetto Gabriele, Margherita e Roberta.”
Ora la penso lassù che ci protegge.
Daniela
Parlare di Roberta non è un compito facile e dopo che lo
avranno fatto i suoi amici e amiche stimate sarà ancora più
difficile. Ho sempre pensato che racchiudesse in sé diverse doti ma sicuramente la più spiccata era il buon gusto:
rendeva impeccabile ogni cosa che toccava e altresì onerosa per Gabriele. Ma tornando agli avvenimenti recenti, ho
avuto la fortuna di condividere con lei la stanza di ospedale
per quattro giorni durante il secondo trapianto per la donazione del mio midollo, un mese prima che venisse a mancare, e non aveva smesso di sperare, ridere e pregare... Cose
difficili da fare, sapendo il lungo percorso che dovevano
affrontare lei e la sua famiglia, una “maratona”, così la avevano definita i medici. E nonostante tutto questo trovava la
75
forza per pensare al futuro, alle cose ancora da sistemare
nella casa nuova, a Margherita. Un messaggio però mi ha
lanciato nella stanza dell’ospedale: la famiglia viene prima
di tutto, e sentirlo dire da lei che un tragico incidente aveva
reso monca la sua, vedere l›enorme sacrificio che compiva
ogni giorno per rendere normale la sua vita e quella dei
suoi cari, mi ha fatto riflettere… È questo che lei ha voluto
lasciare a me, e io a voi.
Vorrei poi compiere una seconda riflessione: se ogni cosa
che capita ha un significato, un messaggio che ci deve
arrivare, mi interrogo sul significato delle morti di Matteo e Roberta: se da una parte è chiaro, la realizzazione
dell›ambizioso Progetto “7 gennaio” non avrebbe avuto
fondamenta senza la morte di Matteo, dall›altra la morte
di Roberta è ancora un enigma. Allora un invito a tutti a
riflettere: cosa vi ha portato la morte di Roberta? Ognuno
deve cercare il proprio significato e allora la morte di Roberta non sarà stata vana. Per finire vorrei rendere pubblico
un messaggio che ho scritto a Gabriele quando è partito
per l›Africa: va dove ti porta il cuore ma ritorna… è quello
che penso e pensano in tanti…
Stefano e Carla, Francesco e Giulia, Martina e Patrizio
Pensare al Progetto “7 gennaio” ci riempie di gioia, riflettere su come è nato ci rattrista: la morte prematura di Matteo
ha fatto nascere e crescere questa splendida iniziativa. Poi
il pensiero corre verso Roberta che solo dopo cinque anni
ha raggiunto il suo adorato Matteo. Ed è a questo punto
che sei in confusione… non sai cosa dire e pensare, anche
la fede barcolla… Ti chiedi: “Perché?” Ci volgiamo indietro
e pensiamo a tutto quello che volevamo fare a Matteo, a
tutto ciò che volevamo aver detto a Roberta… ma non abbiamo avuto il tempo: questo tempo che sembra infinito,
ma che solo quando si ferma ti fa riflettere, anche se ormai
è troppo tardi! Cari Matteo e Roberta speriamo almeno
possiate leggere dentro di noi per cogliere quell’amore che
non abbiamo avuto modo e tempo di dimostrarvi, perché
76
Parte II
l’Amore rimane, va oltre la morte, è eterno. Gabriele e Margherita sono rimasti soli in questa grande missione che è la
vita terrena e stanno dando a tutti, con dignità e silenzio,
testimonianza vera dell’Amore di Dio: sono riusciti a trasformare la morte e il dolore in vita e gioia per numerose
bambine grazie al “Progetto 7 gennaio” e questo ci auguriamo riesca almeno a rendere sereni, ridando un po’ di quella
gioia che in pochi anni è stata loro tolta così bruscamente.
Trascriviamo un pensiero di sant’Agostino che ci ha colpiti
e che speriamo possa aiutarli tutte le volte che si rattristano ricordando Matteo e Roberta:
“Quelli che ci hanno lasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni di gloria nei nostri pieni di
lacrime”.
Pietro
La notte in cui Matteo ha avuto l’incidente avevo undici
anni e mi sono sentito crollare tutto il mio piccolo mondo
addosso. Quando mio babbo me lo disse al telefono e lo
riferii a mia mamma e a Margherita che erano a casa con
me, loro scoppiarono a piangere, e solo di fronte al loro
dolore capii ciò che veramente era successo. Nella mente
mi passarono veloci le immagini del pomeriggio, che avevo
trascorso proprio con Matteo. Noi non eravamo solo cugini, fra noi c’era un’amicizia speciale, e anche se stavamo
attraversando due età molto diverse, io sempre bambino e
lui ormai uomo, sapevamo rendere unici quei momenti che
riuscivamo a passare insieme. È per questo che il “Progetto
7 Gennaio” è diventato per me molto importante, perché
è grazie ad esso che il dolore si fa meno forte e riesco a
sentirmi ancora vicino a Matteo. Quando, ad esempio, facciamo la cena estiva “Ricordando Matteo” e servo ai tavoli,
cerco di mettere in quello che faccio la stessa solarità e
generosità che Matteo mi ha sempre insegnato, lui che per
me è sempre stato un esempio non da imitare, ma da seguire. Anche se egoisticamente lo vorrei ancora qui, so che ora
è lassù, e sarà per sempre il mio angelo custode.
77
Benedetta
Non è facile per me esprimere con poche parole i sentimenti che provo pensando alla perdita del mio cugino Matteo e della mia cara zia Roberta. Senza dubbio sento molto
la loro mancanza, ma soprattutto vedo il dolore che la loro
assenza ha lasciato nei cuori di Margherita e di zio Gabriele. Il “Progetto 7 Gennaio”, le adozioni delle bambine hanno contribuito a dare un senso a tutto ciò che è accaduto
in questi ultimi sette anni, ed io da parte mia cerco come
meglio posso di impegnarmi a sostegno di tali iniziative.
Soprattutto spero, nel mio piccolo, di riuscire a far sentire
loro l’affetto che ci unisce, nella convinzione che oltre alla
nostra, loro siano parte di un’immensa famiglia che li ama
di un amore smisurato.
Una toccante lettera che ci è pervenuta è quella di Giulia Bandini, che ha scritto a
Gabriele per farlo partecipe dei sentimenti che la legano al Progetto “7 Gennaio” e,
in modo particolare, a Matteo.
Caro Gabriele,
è per me difficile esprimere i miei pensieri, i miei stati
d’animo, i miei sentimenti per tutto ciò che ci unisce. Perché sono proprio questi elementi che uniscono e tengono
solido il rapporto tra me e voi. La mia difficoltà può esser
dovuta al fatto che, a distanza di anni, non sono riuscita a
capire, a darmi spiegazioni, ad accettare il perché. Il perché
di tutto ciò che è accaduto, il perché è accaduto a voi, il
perché nella propria vita gioie, amori, felicità, possono essere spezzate così facilmente. Così velocemente. Così crudelmente. Non riesco a capire il motivo per il quale la vita
ci crea, ci unisce… e improvvisamente ci divide, alcune volte
troppo presto. È vero questo è il ciclo naturale, ma non per
questo può essere giustificato il dolore che una persona,
una famiglia, devono provare. E forse un perché a queste
mie considerazioni non ci sarà mai… e forse è proprio per
questo che non riesco ad andare avanti nel mio cammino
di vita. Andare avanti come una comune ragazza di ventitré
78
Parte II
anni dovrebbe… pervasa di felicità, gioia, spensieratezza…
Ma purtroppo la vita mi ha insegnato, forse prematuramente, che la felicità fanno solo da cornice ad un quadro
che contiene altro. Ad un quadro che contiene la vera difficoltà della nostra esistenza. Ma, più che a me, che sono
solo una persona esterna alla vostra famiglia, penso a te,
a Margherita, alla sua giovane età e alla sua vita che è già
stata in qualche modo indirizzata in una strada senza che
lei lo volesse. Senza che lei se ne accorgesse. La osservo e
vedo una ragazza fantastica, matura e sorridente… Sorrisi
che anche se non può, alle volte deve mostrare. Vedo una
ragazza che sa che dovrà affrontare ancora tanti problemi
ma intraprende ogni sua giornata con tanta grinta e tanta
voglia di dimostrare. Una donna apparentemente forte ma
in realtà molto fragile e bisognosa.
Lei, a cui sono profondamente legata, lei che considero una
sorella. Ma, allo stesso tempo, nutro un profondo rispetto,
stima e benevolenza verso di te, Gabriele. Nonostante tutto quello che la vita ti ha tolto, sei riuscito a trasformare lo
strazio, l’odio, la mancanza… in nuova esistenza, in nuovo
amore, in nuovi sorrisi, in bambini che, a causa della natura,
non potevano avere niente di tutto ciò. Avete insieme a Roberta generato nuova vita. Avete condiviso il vostro dolore
con un’azione che dà virtù a questo mondo, la donazione,
e questo vi fa veramente onore. A dimostrazione che in un
mondo egoista, l’amore può vincere su tutto, persino sul
dolore. Non smetterò mai di nutrire un grande sentimento
verso di voi. Sentimento che è nato per ciò che provavo
per Matteo. È difficile per me ripercorrere quei momenti,
in cui lo vedevo, lo vivevo, lo sognavo. È difficile ma allo
stesso tempo è bello perché riaffiorano dentro di me molti
ricordi, tanti sorrisi. E alcune volte basta riassaporare per
un attimo il profumo di quei tempi e come per magia tutto
appare così chiaro, così pulito… e per pochi istanti sembra
di essere tornati tra quei banchi di scuola. Tutto era bello,
tutto stava diventando vero. Felicità, tanta. Ricordo però
quell’orribile giorno, l’uso del motore era proibito. Io sarei
79
dovuta andare da lui, ma lui non voleva. Tanto avrebbe fatto di testa sua. Quel motore voleva prenderlo. Inutile dirgli
“vengo io”. No. Magari avrei dovuto insistere di più. Prese
il motore. Venne da me. Ancora sorrisi, mano nella mano,
ancora felici. Inconsci che sarebbe stato il nostro ultimo
incontro, il nostro ultimo abbraccio, il nostro ultimo bacio.
Lo salutai, convinta di averlo sentito più tardi. Ma, nessuna
chiamata, nessun avviso. Paura, silenzio, realtà. Potevi crederci, non crederci… purtroppo era semplicemente la realtà. E come tale dovevi accettarla. Niente avrebbe permesso
di tornare indietro, niente. La moto c’era. Lui no. Ma forse
è proprio qui che noi umani ci sbagliamo. La moto non c’era. Lui sì. Matteo c’è. Matteo ci vede. Matteo ci osserva.
Matteo è tra noi. Matteo è il nostro angelo. Ed ogni tanto
è giusto riprendere quel profumo, annusarlo, e assaporare
ciò che di bello c’era. Ciò che di bello c’è. Forse quel perché rimarrà sempre un mistero, mistero di cui non abbiamo
nessuna certezza… Ma, una certezza che nessuno potrà toglierci vive in noi… ed è quella dei ricordi. Ricordi preziosi.
Ricordi che ci appartengono. Ricordi in cui il sorriso di Matteo è vivo. Potrò non essere stata importante per lui come
lui lo è stato per me. Ma devo a lui molte cose. Prima di
tutto l’avermi insegnato a camminare giorno per giorno, a
darmi la forza, perché forse la vita, con circostanze che vogliamo o no, deve andare avanti, trasformando dolore e lacrime in qualcosa di positivo, di utile e di costruttivo. Quel
qualcosa che anche voi tramite un progetto, siete riusciti a
costruire. Quel qualcosa che si chiama speranza, parola che
ci lega e ci tiene uniti.
Sicuramente è molto più facile scrivere, molto meno agire. E sicuramente non riuscirò mai a capire il dolore che vi
circonda… E penso che nessuna parola, lettera, gesto, possa
farvi sperare e credere in un futuro sereno. Ma, alle volte,
dobbiamo avvicinarci, abbracciarci, trasmetterci amore e
rimanere uniti… per provare a sorridere con la speranza che
chi ci guarda da lassù ci aiuti ad affrontare ogni giornata,
ogni ostacolo che ancora possiamo trovare. Sento che i no-
80
Parte II
stri due angeli vorrebbero vederci sorridere… e ricordarli in
ogni loro attimo. È Matteo che mi ha permesso di entrare
nella vostra famiglia. Ed è per lui che in ogni momento io
sarò presente. Mi avete dato tanto in questi anni ed io finché lo vorrete, non smetterò mai di far parte della vostra
famiglia. Do questa lettera nelle tue mani, consapevole che
anche Roberta potrà leggerla. Roberta, amica, confidente,
e un po’ mamma, persona con la quale avevo un intenso
rapporto, persona che rimarrà sempre nel mio cuore. Con
affetto.
Giulia
Una persona che conosce da sempre Gabriele e la sua famiglia è Simone Gronchi.
Si sono frequentati in parrocchia fin da piccoli; negli anni dell’adolescenza la loro
amicizia è cresciuta e quindi si è consolidata condividendo ideali e speranze. La
sua vicinanza a Gabriele è quella di un amico vero. Di seguito riporto la sua intensa
testimonianza:
Quando è accaduta la disgrazia di Matteo non sono potuto
essere presente perché avevo un appuntamento di lavoro
importante negli Stati Uniti. Stavo finendo di fare la valigia
quando, la mattina della partenza, ho sentito le campane
suonare a morto e subito dopo sono stato avvertito da una
nostra amica di quanto era avvenuto. Dallo sconforto mi
sono gettato in terra, sconvolto dalla gravità dell’accaduto.
Ho sentito un dolore profondo perché colpito in un affetto
vicino come non mai. Senza indugiare sono corso in macchina e mi sono recato ad Empoli ma quando sono giunto
nelle vicinanze, mia moglie mi avvertì di non presentarmi
perché non avrei potuto vedere nessuno. Ritornato a Capanne sono andato a casa di Gabriele; l’ho trovato e senza
dirci una parola ci siamo abbracciati; quindi gli ho spiegato che non sarei potuto essere presente alle esequie e con
la morte nel cuore sono partito facendo violenza su me
stesso. In quei giorni, in America, mi sono sentito nel posto
e nel momento sbagliato con la sensazione che mancassi
solo io vicino a Gabriele, Roberta e Margherita. Quando
81
sono tornato sono venuto qui da loro e mi sono messo a
loro disposizione nel fare quanto era nelle mie possibilità.
Ho iniziato un percorso che è stato, per me, una sorpresa
continua non tanto per il primo obiettivo, che è stato la
realizzazione del pozzo, ma in particolare per il Progetto
“7 gennaio”. Mi ha molto sorpreso la vicinanza della nostra
comunità di Capanne a Gabriele e alla sua famiglia; il nostro paese in quell’occasione ha riscoperto il valore della
condivisione. Molte famiglie e persone credenti e non, che
vivevano in parallelo la propria vita, si sono unite alla famiglia Gronchi, in un percorso comune, per realizzare un
sogno. Voglio qui fare una mia piccola riflessione sulla fede;
per molti ritengo sia importante averla sia nella speranza di
raggiungere il regno dei cieli ma anche per poter vivere con
maggiore serenità il vissuto quotidiano soprattutto in momenti di grande dolore e sofferenza. Se aggiungiamo alla
fede l’operosità generosa e disinteressata, come in questo
o altri progetti di solidarietà, faremo certamente quanto ci
viene richiesto da Nostro Signore. Relativamente al “Progetto 7 gennaio”, all’inizio, non ho avuto nessun dubbio sul
riversare il nostro impegno in quella zona dell’Africa; nel
proseguo del tempo e vedendo i numeri necessari per realizzare l’intera opera, devo dire, sinceramente, che ho avuto
dei momenti di perplessità. Quando, talvolta, sono giunto
al limite dell’incredulità, la carica e la convinzione di Gabriele ha spazzato via i miei ragionevoli dubbi.
Alla fine quello che mi appariva inarrivabile si è dipanato
per strada non in maniera casuale ma con provvidenziali
episodi, disponibilità ed occasioni mescolate ad una grande
volontà da parte di tutti. La gente ha capito bene cosa facevamo e mi è parso che molti si siano aggrappati a questo
sogno come ad un’ancora salvifica e per un riscatto personale. Quando siamo andati a Dorì, per l’inaugurazione della
scuola femminile, abbiamo visto, concretamente, l’importanza di un’idea che dal niente ha creato qualcosa che resterà come segno indelebile di generosità ed una grande
opportunità di riscatto sociale e culturale per molte bam-
82
Parte II
bine oggi e domani. Non posso dimenticare l’accoglienza
che ci hanno fatto le bambine che, cantando una canzone
per Matteo, hanno fatto ala al nostro passaggio. Vedendo
la struttura ho pensato che Matteo ha perso la vita ma ha
donato un futuro a chi non ne aveva. Noi, ora, abbiamo il
dovere di mantenere, se sarà possibile ampliare, continuare
e non disperdere questo patrimonio che è stato realizzato.
In me, come in molti altri, è rimasta l’idea che da una grande disgrazia può nascere una grande luce che aiuta il nostro
vivere, che ci permette di guardare alle necessità, vicine e
lontane, con generoso altruismo e che ci consente di essere
di esempio positivo per chi ci circonda in un costante miracolo d’amore.
Trovare un amico è trovare un tesoro perché l’amicizia è una perla preziosa
perché è rara e non si può barattare con nessuna cosa al mondo. Un amico, infatti,
è generoso, paziente, accogliente non invidioso, non egoista, non bugiardo ma vero
perché animato da un bene profondo, duraturo, non effimero. Queste qualità erano
in possesso di Matteo e dei suoi amici che, con le loro emozionanti testimonianze, lo
vogliono qui ricordare:
Saverio Della Maggiore
Prima di venire qui a parlare di Matteo mi sono tornati alla
mente moltissimi ricordi ed in particolare quelli relativi al
periodo della nostra infanzia, prima ancora di andare alle
scuole elementari. Mi sono rivisto con lui nel giardino di
questa casa mentre facevamo a gara a salire su una magnolia e in un gioco che poteva finire in tragedia perché
nel voler saltare più in alto mi sono gettato dal terrazzo
del primo piano, fortunatamente senza gravi conseguenze.
Ripenso ai pomeriggi trascorsi insieme a giocare al Super
Nintendo, ai video giochi, a pallone in giardino e quando
abbiamo giocato nella solita squadra a Staffoli. Durante il
periodo delle scuole superiori ci eravamo un po’ separati
perché lui era andato al liceo di San Miniato mentre io a
quello di Fucecchio ma eravamo ugualmente legati come
famiglie per l’amicizia di mia madre e di mio padre con
83
Roberta e Gabriele. Mi ha fatto piacere vedere la reazione
che hanno avuto di fronte alla perdita di Matteo dato che
non si sono chiusi nel loro dolore ma l’hanno trasformato
in qualcosa di importante, come prima il pozzo e subito
dopo il Progetto “7 gennaio”; non credo sia una cosa comune reagire così e darsi tanto da fare mentre si attraversa
un momento così difficile della propria vita. Ho provato,
per loro, ammirazione e credo che non avrei avuto la loro
stessa forza quella che invece vedo ancora in Gabriele che
porta avanti le adozioni e torna spesso in Burkina Faso per
vedere la situazione generale del collegio femminile dedicato a Matteo. Quando penso a lui è una sofferenza continua ed una ferita che non si rimargina perché riaperta ed
acuita con la scomparsa di Roberta; se riguardo le sue foto
mi prende un nodo alla gola e uno stato d’animo straziante
che non passa mai.
Francesco Turini
Con Matteo ci siamo conosciuti in parrocchia da ragazzini ed io, pur essendo più grande di due anni, ho stabilito
con lui una bella amicizia anche perché avevamo un carattere abbastanza simile. Mi ricordo di quando tutte le
estati, dopo cena, passavo di qui, lo chiamavo ed insieme
andavamo a giocare e a chiacchierare ai giardini qui vicino.
Mi torna in mente Roberta che mi apriva la porta e che
chiamava Matteo. Lui scendeva dalle scale correndo e lei
lo richiamava dicendogli: “Mi sciupi il parquet!”… Quando
accadde l’incidente di Matteo mi chiamò prima Margherita
per sapere dov’era suo fratello ed io le risposi di non saperlo; cominciai a telefonare per avere notizie e fui avvertito da un mio compagno che Matteo era stato ricoverato
a Empoli. Con il mio amico Angelo mi misi subito in viaggio
per andare all’ospedale ma in superstrada Gianni, un altro
nostro amico, mi inviò un messaggio che non potrò mai dimenticare: “È grave!”. Io gli risposi: “Grave in che senso?” Lui,
dopo alcuni istanti mi scrisse: “Non lo so, so solo che è grave.” In quel momento mi cadde il mondo addosso. Quando
84
Parte II
giungemmo all’ospedale Gabriele ci vide, venne da noi, ci
salutò con un cenno della mano facendoci capire che Matteo non ce l’aveva fatta e quindi ci abbracciò consolandoci.
Credo che quella sera non potrò mai dimenticarla perché
ha sconvolto la mia esistenza; ancora oggi mi porto dentro
gli avvenimenti e le sensazioni che ho provato allora. Ho
dato e darò il mio contributo alle iniziative e agli eventi che
mantengono vivo in me e in tutti noi il ricordo di Matteo.
Stefano Ammannati
Ho conosciuto Matteo nel periodo delle scuole medie
quando insieme abbiamo iniziato a giocare a calcio a Staffoli. Era un ragazzo tranquillo, spensierato, con la gioia nel
cuore. In quegli anni la nostra conoscenza, fatta di allenamenti e di partite, si è trasformata in amicizia. Quando
accadde la sua disgrazia fu, per me, il primo trauma da ragazzo perché non avevo avuto, ancora, dei lutti in famiglia.
Non ero preparato a perdere una persona cara e in così
giovane età. Quella sera Saverio ci raccontò l’accaduto e
noi rimanemmo tutti senza parole; non sapevamo in chi
trovare conforto per il dolore che ci aveva preso. Un ricordo di Matteo è quando per lui ho fatto la mia prima rissa
in campo… Un avversario aveva fatto un brutto intervento
su di lui ed era stato espulso ma questo ragazzo, nell’uscire
dal campo, dette un calcio a Matteo che si trovava ancora
a terra ed io, allora, non ci vidi più… Non posso dimenticare
le sue finte con il pallone, i capelli lunghi e poi tagliati, le
risate d’allegria e tante altre cose che tengo nel cuore come
il suo ricordo che è indimenticabile. Quando, oggi, entro in
campo prima di iniziare la partita il mio primo pensiero lo
rivolgo a lui e così farò finché giocherò. Naturalmente parteciperò, come ho sempre fatto, alle varie iniziative ed agli
avvenimenti in memoria di Matteo.
Spartaco Rinaldi
Anch’io, come Stefano, ho conosciuto e fatto amicizia con
Matteo giocando a calcio a Staffoli. Era impossibile non es-
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sere suo amico perché era un ragazzo d’oro; non mi pare,
infatti, di aver mai avuto con lui alcun attrito o discussione.
Quando accadde il fatto rimasi scioccato perché era accaduto a lui che era un ragazzo speciale. Della sua scomparsa,
per molto tempo non me ne sono fatto una ragione poi,
con il tempo, il dolore si è attenuato ma il suo ricordo è
ben presente dentro di me… Durante le partite di calcio lui
non era capace di fare del male ad una mosca; mentre gli
altri lo tartassavano di falli, come pedate e tirate di capelli,
lui non reagiva ma se ne stava zitto. Io, al contrario, essendo
più fumantino lo andavo sempre a difendere… Spesso, mi
appare la sua figura quando guido, gioco ed in qualsiasi luogo vada e tutto questo non è cambiato fin dal giorno della
sua scomparsa. Credo che Matteo rimarrà sempre dentro
di me.
Andrea Commellini
Vorrei precisare che io non facevo parte della squadra di
calcio dello Staffoli ma la seguivo come tifoso. Lì ho visto
Matteo e l’ho conosciuto di più andando a ballare tutti insieme con i suoi compagni di gioco. Dopo due settimane
dalla disgrazia di Matteo ebbi anch’io un grave incidente
che mi portò in uno stato di coma. Ad un tratto, non so
come né perché, mi apparve il volto di Matteo e dopo pochi minuti mi svegliai. In seguito ho raccontato a Gabriele
quanto mi era accaduto e da lì è cresciuto il mio impegno
verso il Progetto “7 gennaio”. Sono stato anche in Africa e
lì mi sono reso veramente conto di quanto noi siamo fortunati perché i bambini non hanno proprio nulla se non un
sorriso e un abbraccio. Certamente continuerò a dare il mio
contributo sia per quanto riguarda la scuola in memoria di
Matteo che per altri progetti che verranno intrapresi da
Gabriele e dal Movimento Shalom.
Alessio Sabatini
Ho conosciuto Matteo alle scuole elementari e siamo cresciuti, insieme, giocando tutti i giorni sulla piazza del no-
86
Parte II
stro paese, facendo merenda e guardando la tv. Il nostro
era un bel gruppo perché ridevamo e scherzavamo in allegria e serenità fino a quella notte che per me, come credo
per tutti, fu interminabile… Il suo ricordo c’è sempre stato
come pure la partecipazione agli eventi organizzati dalla
sua famiglia. Sono certo che non dimenticherò Matteo.
Angelo Coffaro
Per molto tempo ed anche ora mi chiedo: “Perché è accaduto a Matteo?”. Non ho potuto e non riesco, ancora oggi,
a darmi una risposta. Lui era il più buono, il migliore tra di
noi ed è stato portato via. Non potrà assaporare la gioia
dell’amore, di un figlio; non avrà la possibilità di avere vicino a sé suo padre, sua sorella, i suoi parenti, i suoi amici e
tutti quelli che gli volevano bene. Questo pensiero non mi
abbandona e non mi fa stare bene. Spero che lui possa vedere, da lassù, quanto di bello e di buono è stato realizzato
in sua memoria“
Roberta Vaglini
Nel febbraio 2010 ho vissuto un’esperienza che non avrei
mai pensato di fare: un viaggio umanitario in Burkina Faso.
A farmi prendere questa decisione, il ricordo vivo di Matteo, la voglia di vivere qualcosa di molto forte, qualcosa
che va al di là di ogni aspettativa, la curiosità di vedere e
conoscere da vicino un popolo, un paese di cui avevo sentito tanto parlare anche da Gabriele e da Roberta, di cui
avevo visto foto e documentari ma che era troppo lontano.
Catechista dall’età di 15 anni e docente di R.C. ho deciso di
investire le mie risorse impegnandomi nel sociale sia con i
bambini del catechismo sia con i ragazzi della scuola. Con
loro ho cercato di condividere la gioia del Dono: c’è più
gioia nel donare che nel ricevere. Sono fermamente convinta che si cresce quando si prende coscienza delle cose
che ci circondano, si fa esperienza del mondo e della vita,
accanto ai verbi “prendere e ricevere” si impara a coniugare
il verbo “dare”. Per molti anni ho collaborato fattivamente
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con associazioni ed enti in Italia e nel mondo. Il pozzo era
stato perforato e il collegio di Dorì aveva posto le sua fondamenta quando Gabriele ha portato la sua testimonianza
tra i banchi della scuola media di Castelfranco di Sotto e
il Progetto “7 gennaio” ha coinvolto tutti: alunni, genitori, docenti. Non potevo, quindi, mancare all’inaugurazione
della scuola secondaria del collegio di Dorì in memoria di
Matteo.
Sono partita con un bagaglio carico di amore, di doni e di…
disinfettante. In Burkina ho trovato di più di ciò che pensavo
di incontrare: la malattia, la sofferenza, la povertà. Ci sono e
si vedono ma quello che ti colpisce e ti resta dentro è la disponibilità, l’accoglienza, la semplicità e soprattutto la voglia
di vivere dignitosamente di coloro che incontri e che sempre ti donano un sorriso. Non puoi dimenticare gli occhi dei
bambini, il loro modo di sorridere (che ti scalda), di giocare
e divertirsi con poco o niente, di amare, di venirti incontro e
abbracciarti per cercare un contatto e di guardarti con chissà
quale pensiero. Gioia, festa, affetto, cordialità, saluti con canti, danze, inchini di grandi e piccini durante gli incontri avuti
nei luoghi visitati ti fanno dimenticare i disagi degli spostamenti tra un posto e l’altro. Tristezza, tanta tristezza e rabbia
(ciò che faccio mi sembra tanto ma è poco) sono i sentimenti che mi ha suscitato la visita agli orfanotrofi. Straordinario
l’impegno e il servizio svolto dalle suore: vi assicuro che da
qua non si può capire quanto sia importante il loro lavoro.
Splendidi tutti i volontari che dedicano il proprio tempo
a questi orfani e a tutti gli altri ragazzi bisognosi di aiuto. I
bambini, che provengono dalle più svariate esperienze di vita,
sono di ogni età e quando uno di loro, il meno timoroso, si
avvicina e si stringe a te fino a venirti in braccio senti il cuore
scoppiare di felicità. Quando poi ti devi allontanare ti assale
la malinconia e ti senti impotente. Di quella mia esperienza
in Africa preservo nel cuore forti e profonde emozioni che,
talvolta, riappaiono e mi fanno riflettere: ho trovato persone
speciali che davvero hanno bisogno di sostegno.
Simonetta Rosselli
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Parte II
In Africa c’ero già stata, anni prima, ma come turista in un
villaggio vacanze e certamente sapevo che non sarebbe
stato come allora. Mi sono ritrovata molto bene con tutto
il gruppo dei partecipanti nonostante non conoscessi nessuno di loro. Lì ho sentito immediato l’impatto tra la vita e
la morte. La vista di molti bambini abbandonati mi ha fatto
venire voglia non di portarli via con me, ma di rimanere io
con loro. Dopo questo primo viaggio sono ritornata di nuovo in Burkina Faso per l’inaugurazione del collegio femminile; tutta la cerimonia è stata molto bella ed il solo ricordo
mi fa venire da piangere. Mi ha colpito la loro umanità e
la loro felicità nel vederci, pur sentendomi consapevole di
aver fatto poco per le loro necessità. Come ringraziamento,
la popolazione ci donò un caprone che, poi, noi abbiamo
restituito tramite le suore. Come riflessione devo dire che
il vedere personalmente la struttura completata mi ha confermato la serietà dell’iniziativa e di coloro che l’avevano
promossa e sostenuta con grande impegno. La vita è strana,
talvolta pesante, perché credi di essere il più disgraziato
del mondo, ma quando ti guardi intorno e vedi persone
malate o quelle popolazioni africane, quei bambini, ai quali
manca tutto, allora ti rendi conto che di dolore e di sofferenza ce n’è per tutti. Un tenero ricordo di quei giorni
è stato fare con un bastoncino un disegno sullo strato di
polvere del piazzale antistante la scuola, cancellarlo con
la mano e vedere i bambini che stavano intorno rifarlo con
naturalezza, con una gioia che nei nostri piccoli non c’è più.
A distanza di tempo mi è rimasta la voglia di ritornare là e
di rimanerci per un buon periodo di tempo dando il mio
contributo di lavoro perché, da laggiù, si torna rasserenati.
Samuele Giachè
Con Gabriele ci siamo conosciuti con il primo viaggio nel
2007 per l’inaugurazione del pozzo è lì è nata la nostra amicizia. Il gruppo di Capanne, secondo me,è stato straordinario nel portare avanti l’intero Progetto “7 gennaio”. Nel
mio piccolo ho collaborato alle varie iniziative trascinato
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dall’entusiasmo di Roberta e di Gabriele. Sono andato a
Dorì per il gruppo Shalom alcuni mesi prima dell’inaugurazione, nel 2009, e sono rimasto stupito dalla struttura e da
tutti gli arredi che, per il contesto, mi sono sembrati bellissimi. Sono tornato ancora nel 2011 e nel frattempo avevo
adottato un bambino del Burkina Faso. Ogni volta che sono
andato e poi tornato qui,ho sentito dentro di me un pezzo
del mio cuore rimanere là nella convinzione, però, di ritornare per riprendere di nuovo quello che è rimasto e che
resterà per sempre lì. Ora mi porto dietro il percorso che
ho fatto, a piccoli passi, nel movimento sentendomi parte
attiva e, grazie a Dio, una persona migliore rispetto al passato. Questo anche perché conosci delle persone che, con
il loro esempio, ti migliorano dentro. Ripenso a quando, in
Africa, incontri dei bambini, con un po’ di maglia di cotone
intorno ad un buco, che saluti dicendo in francese: “Come
va?”. Questi bambini ti danno la mano e sorridenti ti rispondono: “Va!” Quella risposta ti fa capire quanto siano inutili
le nostre lamentele quotidiane e ti aprono il cuore dandoti
sorsi di serenità. Vedendo quella povera gente, gli ultimi, ho
ripensato alle parole del Vangelo quando Gesù dice: “…Ero
assetato e mi hai dato da bere, avevo fame e mi hai dato da
mangiare …”. Voglio concludere dicendo che, nei miei viaggi,
ho capito che è più quello che ricevo di quello che do e
mi auguro di poter continuare a dare il mio contributo per
alleviare le sofferenze dei poveri.
Paolo Parentini e Anna Vanni
È stata un’esperienza indescrivibile, sia il primo viaggio in
Burkina per la perforazione del pozzo che il secondo, per
l’inaugurazione della scuola, perché abbiamo voluto toccare con mano quanto era stato realizzato con l’apporto
concreto di centinaia di persone che qui avevano dato il
loro contributo. Ci ha colpito molto la miseria di quella
povera gente. Sentire che le donne dovevano fare venti
chilometri per riempire una brocca d’acqua ci ha fatto ripensare a quante volte tutti noi ci lamentiamo per nulla.
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Parte II
Riteniamo che, spesso, buttiamo via i soldi in cose inutili
mentre laggiù non hanno che poco o niente per vivere. È
stata emozionante la visita agli orfanotrofi perché vorresti
aiutare tutti quei bambini ma sai bene di poter dar solo una
goccia d’amore per alleviare il loro dolore. Di tutto quello
che abbiamo vissuto, oltre al bambino che abbiamo adottato, c’è rimasto nel cuore il loro modo di ringraziare, che
definiamo: “la bontà della gente povera “che ti vuole offrire, subito, qualcosa in cambio di quella piccola offerta
che tu hai donato loro. Nel nostro piccolo, siamo certi che
continueremo ad aiutare i più bisognosi.
Giancarlo Pieragnoli
Il mio contributo alla realizzazione prima della perforazione del pozzo, e dopo della scuola per le bambine, è nato il
giorno seguente la morte di Matteo parlandone con Gabriele
e Don Cristiani. Mi sembrò, subito, un modo giusto per ricordare la memoria di questo ragazzo. Ho creduto necessario
impegnarmi concretamente dando il mio piccolo contributo
e il mio apporto. Allora ho portato locandine e salvadanai
nei locali pubblici della provincia, ho partecipato a cene di
solidarietà e ho dato una mano in tutte quelle iniziative utili per raccogliere fondi necessari allo scopo che ci eravamo
prefissati. Devo dire che non abbiamo mai avuto un diniego
e ho scoperto che la gente, quando lo scopo è nobile, serio, pulito, risponde con generosità. Non sono mai andato in
Africa ma le foto, i filmati e le testimonianze delle persone
che vi sono state mi hanno reso partecipe di quanto fosse
stato realizzato con il Progetto “7 gennaio”. In questo periodo di tempo ho compreso che da una disgrazia può nascere
la vita per altre persone e una maggiore vicinanza anche tra
coloro che vivono nella nostra piccola comunità.
Daniela Salvadori
La mia adesione al Progetto “7 gennaio” è nata dalla mia
amicizia, avvenuta in età matura, con Roberta che mi ha fatto partecipe del dolore per la scomparsa di suo figlio, e di
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un modo diverso di approcciarsi alla sofferenza, cioè di trasformare il proprio dolore in aiuto verso gli altri e nel non
vedere nella morte di una persona cara una fine, un buio,
ma un proseguimento, una continuità. Per questo motivo
ho aperto il mio cuore come lo ha fatto la nostra comunità
di Capanne. C’era in me, come pure credo negli altri,il desiderio di donare senza pensare, partendo dal bisogno di essere generosi senza avere niente in cambio. Vedere, poi, in
tempi molto brevi, la realizzazione della scuola-collegio mi
ha fatto capire quanto sia bella ed importante la concreta
generosità delle persone e quanto bene morale e spirituale
possa generare in tutti coloro che vi hanno partecipato. Mi
auguro e spero che tutto non finisca qui, ma vorrei veder
crescere altre cose perché credo sia difficile fermare questa stupenda macchina fatta di generosità e di altruismo.
Cristiano Savini
Vorrei partire a ritroso, dal 2004 quando ho effettuato, per la
prima volta, un viaggio in Burkina Faso. Per le vaccinazioni e
i medicinali presi mi era passata la voglia di partire; mi sono
persino augurato una febbre improvvisa ma quando sono
giunto laggiù ho fatto una delle più belle esperienze della
mia vita. Lì ho conosciuto meglio Gabriele, con il quale avevo
fatto, nelle settimane precedenti, un paio di incontri per creare un amalgama nel gruppo dei partecipanti al viaggio. Con
lui ho stabilito un bel rapporto che, poi, è proseguito tramite
il Movimento Shalom e don Cristiani, al quale sono affezionato e che mi conosce, fin dalla nascita, avendomi battezzato. Durante quel primo viaggio la vicinanza di Gabriele mi ha
sostenuto; in alcuni momenti mi sono anche divertito molto
ridendo con il gruppo che avevamo costituito. A livello di conoscenza, il vedere che con 5 euro si poteva vivere lì un intero
mese o che bastava una caramella per far sprizzare gli occhi di
felicità di un bambino, ha cambiato il mio modo di vedere la
vita. Tornando in Italia c’è voluto del tempo per riprendermi
e quando vedevo le foto scattate in Burkina, le arrabbiature
mi passavano. In seguito, la disgrazia di Matteo, che io non
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Parte II
ho conosciuto, è stata la spinta che mi ha portato a far parte
del Progetto “7 gennaio”. Quando l’obiettivo è stato realizzato
sono stato felice, ma ancora una volta mi sono chiesto: “Perché non facciamo di più per le popolazioni del Burkina o di
altre nazioni bisognose?”. Credo che basti poco per aiutarli
ed è scandaloso che, spesso, non muoviamo neppure un dito
per andare incontro alle loro necessità primarie. Mi consola
il fatto che, talvolta, un’idea, un progetto comune di cooperazione generosa e disinteressata riesce a portare sollievo ai
più poveri dando loro la speranza per un domani migliore al
quale anch’io voglio dare il mio concreto contributo.
Stefano Arzilli
La grande fede e la grande dignità di Gabriele, di Roberta e di
Margherita non poteva che avere un esito così stupefacente,
cioè quello di realizzare in pochi anni prima un pozzo, fonte essenziale di vita in Africa, fino ad arrivare alla costruzione di una
scuola, fondamentale per l’istruzione di molte bambine in Burkina Faso. Quando Gabriele, dopo essere stato all’inaugurazione
del pozzo, disse che quello era solo l’inizio del progetto, sicuramente più di una persona pensò che l’entusiasmo gli aveva preso
la mano. Con tutta sincerità anche noi, che avevamo partecipato
al primo progetto, rimanemmo un po’ perplessi ma proseguendo questa esperienza ci accorgevamo che il grande impegno
da parte di tutti non faceva che portare, continuamente, delle
iniziative con risultati eccezionali. Il Progetto “7 gennaio” è così
diventato un punto di riferimento per tantissime persone. Ogni
anno ci sono stati degli appuntamenti fissi:a Staffoli, dove Matteo giocava ed era molto conosciuto, a San Miniato, alla scuola che frequentava, e naturalmente alle Capanne dove viveva.
Pensare, oggi, a quello che siamo riusciti a realizzare non può
che rendermi positivamente orgoglioso e fiero. L’essere stato un
amico di Matteo e padre come Gabriele mi ha dato una spinta
in più nel partecipare attivamente alle varie iniziative. Questa
esperienza mi ha fatto vedere con occhi diversi tutto quello che
molte persone, ancora oggi, nemmeno vedono.
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Francesca Nuti
Da una disgrazia, come è stata la perdita prematura di Matteo, è venuto alla luce questo progetto di speranza e positività, grazie all’unione e all’impegno di molte persone che,
toccate da quella tragedia, hanno trasformato il dolore in
nascita. Questo progetto mi ha fatto conoscere una realtà
molto diversa dalla nostra attraverso foto, filmati e racconti di coloro che sono stati là e che ci hanno portato la
loro testimonianza. Ho appreso che in quei luoghi ci sono
persone povere materialmente, ma ricche nello spirito, con
una generosità unica ed una luce particolare negli occhi e
sempre pronte a dispensare sorrisi a tutti. La cosa che mi ha
colpito di più sono le testimonianze delle persone che hanno visitato il Burkina Faso; al ritorno dai loro viaggi si sono
sentite cambiate, toccate nel profondo; si sono rese conto
di quanto siamo fortunati ad avere tutto senza riuscire ad
apprezzarlo, dando tutto per scontato. Nonostante l’estrema povertà e le pessime condizioni di vita, il popolo del
Burkina riesce a sorridere e a trasmettere calore. Questo mi
ha fatto pensare a quanto noi siamo così poco riconoscenti
per quello che abbiamo e allo stesso tempo su quanto il
benessere ci abbia allontanato dalla spiritualità.
Un’ulteriore e bella testimonianza, scritta, ci è pervenuta dalla signora Gabriella
Boldrini, insegnante di religione di Matteo nel biennio del Liceo Scientifico a San Miniato:
Ho conosciuto Matteo, perché sono stata la sua insegnante di religione nel biennio del Liceo Scientifico e nei primi
mesi della terza che ha frequentato. Era un ragazzo moderno, amante della vita, gioioso, curioso, buon amico, nel pieno dell’adolescenza. Poi il sette gennaio… la vita… la morte…
e di nuovo la vita… Dopo aver avvicinato gli studenti alle
domande profonde che l’uomo si pone, in seconda superiore affrontiamo nello specifico il tema del senso e del valore
della vita umana, in prospettiva cristiana. Per queste finalità
ho chiesto a Gabriele, il padre di Matteo, di parlare della
sua esperienza, che ci raccontasse come, da una vita che
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Parte II
poteva sembrare non aver più senso, in conseguenza della
morte di un figlio, fosse rinato il vigore nel fare qualcosa
per gli altri. Innanzitutto abbiamo parlato del grande gesto
della donazione degli organi, che ha salvato o migliorato la
vita a tante persone ed abbiamo riflettuto sul valore della
prudenza e sulle regole per la sicurezza stradale.
Abbiamo poi conosciuto il Movimento Shalom, all’interno
del quale molti giovani hanno ricevuto opportunità e risorse, come l’istruzione e tutto ciò che ruota intorno ad essa:
acqua, alimentazione, scuola, collegio, materiali… Confrontare la giornata di un ragazzo africano con quelle dei miei
studenti, lo stile di vita, le condizioni igienico-sanitarie,
l’accesso alla cultura; capire che la vita ha sempre un senso, anche in situazioni più disperate, imparare a gioire delle
piccole e buone cose della vita quotidiana, dare importanza alle relazioni umane, al dono della salute, dell’acqua,
della famiglia, sono tutti obiettivi formativi, importantissimi per i ragazzi in crescita. La frase del vescovo di Dorì: “Chi
dona con amore ha l’umanità intera per famiglia”, ha fatto
riflettere molto gli studenti: ora Gabriele e la sua famiglia
fanno parte di una famiglia più vasta, dove al centro sono
presenti valori come la solidarietà e la cooperazione. Questo grande esempio di forza e di speranza oltre la disperazione, questo cristianesimo vissuto con dignità e coerenza,
questa vita spesa bene, dove amare vuol dire volere il bene
dell’altro a trecentosessanta gradi, tutto questo e molto altro, spero che resti nel cuore dei miei studenti. Continuo ad
avere fiducia che, fra tanti, qualcuno di loro voglia seguire
l’esempio della famiglia Gronchi.
Durante il mese di ottobre 2012, un gruppo di persone - composto da Gabriele,
Margherita, Andrea Pieragnoli, Gianni Limpido, Susanna Turini, Emiliano Marmeggi e
Daniele Giuntoli - si è recato in Burkina Faso. Sono andati a Dorì per verificare lo stato
di avanzamento dei lavori nei pressi del collegio femminile e la situazione generale
della struttura. Si sono trattenuti per una settimana e al ritorno hanno rilasciato la loro
significativa testimonianza. Mentre ascoltavo le loro parole anch’io vedevo quei bambini
ed era come se, in quel momento, mi avessero portato i loro occhi e i loro sorrisi:
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Andrea Pieragnoli
Tutto è partito dall’idea che dal dolore e dalla sofferenza uscisse qualcosa di positivo per chi ha più bisogno. La reazione che ebbero Roberta e Gabriele, dopo la
perdita di Matteo, è stata per me una grande spinta per
guardare avanti. Avevo già pensato a questo viaggio per
vedere quanto era stato fatto e per conoscere un mondo così diverso dal nostro. Non è stata la solita vacanza
di piacere ma un’opportunità formativa che ho voluto
cogliere anche perché sono un grande appassionato di
geopolitica. Quello che ho visto è ben oltre quello che
ci possiamo immaginare perché, effettivamente, gli abitanti hanno poco o niente per vivere. Mi ha colpito che
loro, pur in assenza di tutto, rispetto al nostro mondo
consumistico, sono fieri del loro essere; non a caso il
Burkina è detta: “la terra degli uomini fieri”. Ho pensato che noi diamo eccessiva importanza a degli aspetti e
a delle cose della quotidianità pensando che questo ci
dia la vera felicità ma, spesso, ciò non accade. Credevo
di trovare, in quel caos apparente, del disordine, inteso
come insicurezza, ed invece, alla fine, mi sono sentito
quasi protetto da quel marasma di persone che c’era in
strada. Talvolta, trovandomi davanti a quei vasti spazi,
ho avuto la costante sensazione di essere di fronte all’infinito. Del collegio femminile ho avuto l’impressione
che il progetto,fino ad ora, abbia funzionato e che stia
andando avanti bene. La scuola è diretta positivamente
dal personale statale e da quello della diocesi; ho visto
entusiasmo,voglia di fare e di andare avanti nell’interesse delle bambine e della comunità locale. L’esperienza
che ho vissuto mi sarà di stimolo nel continuare a dare,
ancora di più, il mio contributo nel portare avanti, con
impegno e serietà questa e altre iniziative. Mi porterò
nel cuore l’accoglienza che abbiamo avuto alla scuola
da parte delle bambine; è stato veramente emozionante
sentirle dire, come ringraziamento, che Matteo e Roberta sono lì e che noi eravamo a casa nostra.
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Parte II
Gianni Limpido
Ho partecipato al viaggio perché Matteo era uno dei miei
migliori amici, perché volevo vedere, di persona, quello che
era stato realizzato in sua memoria e per conoscere, almeno
un po’, quei luoghi così lontani e diversi dal nostro mondo.
Credo che lui, ora, non sia qui ma si sia spostato in Burkina
per fare del bene. La scuola mi è apparsa ottima, funzionale
e dove tutti mi sono sembrati felici e soddisfatti di poter esserci. La cosa che mi ha colpito di più è il sorriso dei bambini
nonostante il poco o niente che hanno; questo mi sprona
a fare sempre di più per loro. Matteo l’ho visto lì durante
l’accoglienza festosa che ci hanno regalato. Nonostante le
non facili condizioni ambientali ho trascorso laggiù una bella
esperienza, quasi una vacanza, che mi porterò nel cuore.
Susanna Turini
Sono partita con l’intenzione di visitare l’Africa e con la
voglia di vedere quanto era stato fatto con il Progetto “7
gennaio”. Appena arrivati ho capito quanto noi siamo privilegiati avendo sempre cose come la luce e l’ acqua che noi
diamo per scontate e che lì, invece, moltissimi ancora non
hanno. Non posso dimenticare i sorrisi dei bambini ai quali
brillano gli occhi quando li incontri. Mi è rimasto nel cuore
e nella mente il desiderio di ritornare per fare del bene.
Emiliano Marmeggi
Ho deciso di partecipare a questo viaggio per la conoscenza,
l’amicizia e qualcosa in più che mi lega alla famiglia Gronchi ed in particolare a Gabriele con il quale sono cresciuto
insieme fin da bambino. Con lui sento di avere un rapporto
speciale perché Matteo l’ho visto nascere, crescere e dato
che frequentava la mia famiglia lo sentivo vicino più degli
altri bambini che conoscevo. Il dolore che ha colpito la famiglia di Gabriele mi ha toccato profondamente. C’è stata,
inoltre, una triste concomitanza dato che, dopo pochi mesi
dalla disgrazia di Matteo, ho perso mia moglie per una grave malattia. Mi sono quindi sentito più coinvolto e spinto
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a partecipare attivamente alla riuscita del Progetto “7 gennaio”. Questo viaggio mi ha fatto vedere una miseria così
profonda che non credevo possibile; ho visto un popolo
privo di cose basilari che noi, fortunatamente, abbiamo. Per
quanto riguarda la scuola quando ho visto tutti quei bambini
mi sono commosso e ho detto a me stesso che Matteo vive
ancora perché le frasi che ci hanno detto non erano parole
di circostanza doverosa, ma sentite, vere. Sono rimasto positivamente colpito dalla convivenza serena, pacifica tra la
minoranza dei bambini cattolici e la maggioranza musulmani.
Daniele Giuntoli
Partecipando a questo viaggio, che è stato il più bello della
mia vita, ho finalmente realizzato un sogno che cullavo da
molto tempo. Sono rimasto impressionato da quanto il Movimento Shalom ed il Progetto “7 gennaio” hanno fatto in
Burkina Faso. Ho visto che il contributo di moltissime persone è veramente arrivato lasciando segni indelebili per il
presente e per il futuro. Ho visto che la popolazione vive in
condizioni di estrema povertà, ma con un alone di serenità
e di bontà che mi ha lasciato sconcertato. Vedere dei bambini che si dividono una mezza bottiglietta di acqua o che
spezzano in parti uguali un piccolo biscotto donato loro, mi
ha confermato quanto pensavo, cioè che sono affratellati da
un cuore generoso che, da noi, spesso pare nascosto o inesistente. In alcuni momenti sono stato preso dalla rabbia e dallo sconforto perché avrei voluto fare molto di più per loro.
Ne ho parlato con Gabriele che mi ha rassicurato dicendomi
che, giustamente, non possiamo aiutare tutti ma che dobbiamo essere contenti per quello che abbiamo fatto e che
faremo secondo le nostre possibilità. Le sue parole mi hanno
rasserenato e mi hanno convinto che la nostra testimonianza
ed il nostro impegno, nel sostenere e portare avanti questo o
altri progetti, saranno importanti per invogliare altre persone ad una consapevole generosità verso i bisognosi.
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Parte II
Conclusione
Sul mio tavolo da lavoro ho molte carte relative alla costruzione del pozzo, al Progetto
“7 gennaio”, alcune foto, degli appunti, diverse testimonianze scritte e registrate che
mi hanno fatto compagnia durante questo viaggio per ricordare e non dimenticare
Matteo, Roberta e tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questi autentici
miracoli d’amore. Molto spesso i pensieri dei libri non diventano fatti concreti, ma
non in questo caso perché la sofferenza, il dolore e la morte si sono trasformati, con
amore, in speranza e in vita donata a chi è più bisognoso. Le vicende di Matteo e di
Roberta vogliono essere un contributo ed una chiara indicazione per tutti, sia per chi
ne era già a conoscenza e sia per chi leggerà questo libro.
Desidero evidenziare, inoltre, che la scrittura di quanto è avvenuto è stata, per me,
motivo di riflessione sul dolore, sulla morte, sulla capacità di accettare e di reagire
alle avversità, sulla Fede, sulla Speranza, sulla Carità e sulla Provvidenza. Ho imparato
che la generosità è contagiosa quando chi la propone, la guida e la gestisce è animato
da solidi principi morali e da una Fede vera che apre il cuore anche degli scettici e
degli increduli perché la Verità non teme la Luce ma la emana.
Colui che ama
ha l’umanità intera per famiglia
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Indice
INDICE
Prefazione di Mons. Andrea Pio Cristiani........................................................................................ 3
La mia mamma di Matteo . ...................................................................................................................7
Un ragazzo speciale di Roberta...........................................................................................................8
Introduzione di Giorgio Salvadori.....................................................................................................9
Parte prima
Il Progetto “7 gennaio” e la sua storia............................................................................................. 12
Il pozzo .......................................................................................................................................................20
Metamorfosi.............................................................................................................................................. 24
Il Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo............................................................................ 26
Gabriele........................................................................................................................................................ 41
Roberta.........................................................................................................................................................47
In ricordo di Roberta............................................................................................................................. 56
Matteo cresce, Roberta l’ha raggiunto, siamo insieme con loro per sempre................. 65
Parte seconda
Testimonianze............................................................................................................................................73
Conclusioni.............................................................................................................................................. 99
103
Finito di stampare nel mese di Gennaio 2013
Grafica, Impaginazione e Stampa
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