Freelance e embedded
Transcript
Freelance e embedded
AS 11 [2008] 703-706 Schedario/ Lessico oggi Carlo Giorgi Freelance e embedded Giornalista Freelance è un termine inglese (composto dalle parole lance [lancia] e free [libera], dunque originariamente inteso nel senso di «mercenario») utilizzato per indicare la condizione del lavoratore che non è vincolato da un rapporto forte di dipendenza con il datore di lavoro, ma è libero, nel senso che esaurisce il suo impegno, tornando sul mercato, dopo aver svolto il compito pattuito. La figura del freelance, in Italia, è associata comunemente al libero professionista in ambito giornalistico. Embedded (arruolato), rimanendo sempre in ambito giornalistico, indica l’inviato che segue e racconta un particolare evento bellico, senza autonomia di movimento sul campo e senza vitto e alloggio indipendente, ma inserito — alle stesse condizioni del personale militare — in uno degli eserciti coinvolti nel conflitto. Freelance, libertà a caro prezzo In Italia la figura professionale del freelance è prevista e regolata dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, sulla professione giornalistica. Il freelance, secondo tale legge, può iscriversi all’Albo dei praticanti per diventare, dopo aver superato l’esame di idoneità nazionale, un giornalista professionista. In teoria il giornalista freelance gode di alcuni privilegi: un alto grado di © fcsf - Aggiornamenti Sociali 703 creatività e indipendenza (non dovendo svolgere un lavoro di routine in redazione) e la possibilità di agire con una maggiore libertà dei colleghi inseriti nelle gerarchie aziendali, sia per quanto riguarda la scelta degli argomenti da proporre ai media, sia per la gestione del tempo da dedicarvi. Un interessante rapporto divulgato in Italia nel gennaio 2006 dalla rivista «Giornalisti» (il periodico edito dall’Ordine dei giornalisti e dagli Istituti previdenziali e sanitari di categoria), intitolato «I giornalisti freelance nell’industria europea dei media» e realizzato per conto della Federazione europea dei giornalisti, mette a confronto il regime dei freelance italiani con quello in vigore nei principali Paesi ue. Da tale raffronto emerge uno scarto negativo — in termini di qualità del lavoro e garanzie economiche — tra il nostro Paese e quasi tutti gli altri coinvolti nell’inchiesta. In Italia, infatti, la figura del freelance sembra corrispondere più al working-poor (il lavoratore «povero», non in grado cioè di sbarcare il lunario nonostante la sua attività professionale), che non al ritratto di un lavoratore autonomo in grado di mantenersi dignitosamente con gli introiti generati dalla propria attività. A livello europeo, il rapporto denuncia una crescita generalizzata del numero dei 704 freelance. Dal 1998 al 2002 in Italia tale categoria è passata dal 37,3% al 47,6% del totale dei giornalisti. La tendenza è confermata anche in Germania, in Gran Bretagna, e nei Paesi scandinavi. In Europa nel 2003 i giornalisti erano 334mila; di questi, 103mila, un terzo del totale, erano freelance. Il fatto è che la crescita del numero dei freelance è funzionale al sistema editoriale che si va affermando in molti Paesi europei: più giornalisti svincolati dal contratto significano meno costi di struttura per le aziende. Ma perché questo sistema funzioni, e i giornalisti abbiano un ragionevole vantaggio a scegliere l’inquadramento da freelance, occorre dare a tale forma di lavoro un valore aggiunto di tipo economico, a compensare ciò che viene a mancare a livello di garanzie contrattuali (previdenza, tutele sindacali, ecc.). In realtà, se si considera lo stipendio lordo annuo medio dei giornalisti freelance in rapporto al dato medio nazionale, si scopre che in Italia il primo corrisponde solo al 42% del secondo. Non è ovunque così: secondo la ricerca, in Gran Bretagna i freelance guadagnano più della retribuzione media, precisamente il 114% della stessa, in Germania il 104%, in Danimarca il 131%. Se poi si considera il confronto non con lo stipendio medio nazionale, ma con quello medio previsto dal contratto giornalistico, si scopre che in Italia il freelance arriva in media a guadagnare solo il 22% di quanto incassano i colleghi in redazione. Sembra chiaro che, nelle condizioni attuali, lo stato del freelance non è una scelta a libera disposizione del giornalista, ma una condizione imposta dal sistema industriale editoriale, e tollerata per necessità. In Italia le indicazioni del tariffario dell’Ordine dei giornalisti non sono rispettate dagli editori, i quali, in molti casi, hanno addirittura ridotto negli anni i Carlo Giorgi compensi versati ai freelance, scaricando su tale categoria i costi di una perdurante crisi settoriale. Un’indagine demoscopica dal titolo «Il futuro del giornalismo: le notizie, le idee, gli italiani, la pubblicità», divulgata nell’ottobre 2008 dalla società AstraRicerche e commissionata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, alza il velo circa le gravi conseguenze che la scarsa attenzione alla categoria dei freelance e, più in generale, il disinteresse alla qualità del lavoro giornalistico e alla formazione dei suoi operatori, possono avere sul mondo dell’informazione e sulla società tutta. L’indagine indica come gli italiani considerino il maggiore difetto dell’informazione l’inesattezza delle notizie (il 60% degli intervistati), la tendenza a esagerare le notizie (59%), la non indipendenza dei giornalisti (52%). Secondo i curatori della ricerca, la scelta degli editori di non investire in stabilità e risorse a favore dei giornalisti sta generando un’informazione priva di specializzazione, con professionisti non incentivati a puntare sulla qualità, ma preoccupati di sbarcare il lunario. Il freelance sottopagato, inoltre, farebbe male anche al mondo dell’inserzionismo pubblicitario: una cattiva informazione porterebbe, secondo la ricerca, al calo dell’identificazione del pubblico con le testate giornalistiche e, in ultima istanza, proprio all’indebolimento del medium quale veicolo e contesto per la pubblicità. Embedded, arruolati per scrivere I giornalisti embedded sono una «invenzione» relativamente recente, prevista da un regolamento del Dipartimento della Difesa statunitense, diffuso nel febbraio del 2003, proprio poche settimane prima dell’inizio della seconda guerra in Iraq (20 marzo). Risultato dell’operazione: oltre 500 giornalisti, Freelance e embedded non solo statunitensi, hanno partecipato al conflitto mediorientale come embedded. Il documento della Difesa usa si intitola «Guida sull’arruolamento di media, in possibili future operazioni nell’area di responsabilità del Comando Centrale degli Stati Uniti» e consta sostanzialmente di due parti: le finalità dichiarate della pratica dell’embedding; e le procedure per realizzarla. Nella prima parte è spiegato il significato dell’intera l’operazione: «La politica del Dipartimento della Difesa in fatto di copertura mediatica di future azioni militari è che i media abbiano un accesso di lunga durata e per nulla restrittivo alle forze armate usa, navali, aeree e di terra. La copertura mediatica di ogni futura operazione dovrà formare, in senso lato, la percezione pubblica della sicurezza nazionale. Oggi e negli anni a venire. Questo è valido per il pubblico statunitense; per quello degli Stati alleati, la cui opinione può condizionare la durata della coalizione; e anche per il pubblico delle nazioni in cui sono condotte le operazioni militari, la cui percezione degli Stati Uniti può influenzare il costo e la durata del nostro impegno». Il documento esprime in modo esplicito un’idea dei media esclusivamente funzionale al servizio della «sicurezza nazionale», anzi della «percezione della sicurezza nazionale». Ai giornalisti embedded viene dato il privilegio, come mai nella storia, di vivere in prima linea e osservare i soldati in azione, condividendo i rischi della vita al fronte; d’altra parte è chiaro che non potranno scrivere fino in fondo ciò che vedranno: «Questi embedded media — continua il documento — vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle unità in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di combattimento». Sarà dunque necessario «bilanciare la necessità di accesso all’informazione con la necessità 705 della sicurezza operativa». E ancora (art. 2. c. 4): «I comandanti delle unità possono imporre ai media temporanee restrizioni alle trasmissioni elettroniche per ragioni di sicurezza operativa». Infine (art. 3. h): «Se, secondo il comandante dell’Unità, un giornalista non è in grado di sopportare le condizioni rigorose richieste a operare con le forze inviate, il comandante può limitare la sua partecipazione con le forze operative, per garantirne la sicurezza». La bbc, radio-televisione pubblica inglese, al termine della prima fase del conflitto in Iraq commissionò alla scuola di Giornalismo e media dell’Università di Cardiff (Inghilterra) una ricerca dal titolo «Il ruolo dei giornalisti embedded durante la guerra in Iraq del 2003», che costituisce ancora oggi un documento utile per comprendere alcuni limiti della figura di questi giornalisti. Le ricerca si basa sull’analisi di reportage prodotti da giornalisti embedded e su interviste a 37 operatori dell’informazione coinvolti nelle trasmissioni della guerra in Iraq (giornalisti inviati, redattori, editori, referenti del Pentagono e del Ministero della Difesa britannico). Il lavoro da una parte sottolinea la novità del contesto iracheno: per la prima volta nella storia, infatti, grazie alle innovazioni tecnologiche è stato possibile trasmettere in diretta le operazioni belliche della prima linea. Questo, assieme alla novità dell’inserimento degli embedded nelle file degli eserciti americano e inglese, ha offerto al pubblico uno scenario inedito: ovvero la possibilità di ricevere in tempo reale notizie sulla guerra, non filtrate dai rapporti dei comandi militari, ma realizzate dai giornalisti. Allo stesso tempo la ricerca indica alcuni elementi di debolezza e preoccupazione per il futuro del giornalismo, insiti nella figura degli embedded. Il primo limite risiede nell’accoglienza riservata agli 706 embedded da parte degli apparati militari. Un’accoglienza direttamente proporzionale alla crescente indifferenza da parte di Pentagono e Ministero della Difesa britannico nei confronti dei giornalisti indipendenti, che sono invece lasciati soli, con tutti gli inevitabili problemi di logistica, per quanto riguarda l’organizzazione della loro trasferta in prima linea. Secondo gli autori della ricerca, queste difficoltà (unite al numero consistente di giornalisti indipendenti uccisi durante il conflitto in Iraq, in contrasto con le minime perdite di embedded) condizioneranno l’orientamento degli editori, in una futura occasione bellica, a scegliere di inviare solo giornalisti embedded. Questo è un inevitabile motivo di preoccupazione per il pubblico, perché un’informazione obiettiva ha sempre bisogno di una molteplicità di fonti e punti di vista, che così verrebbero meno. L’altro limite del giornalista embedded, secondo la ricerca, sta nel suo stile di reportage «igienico»: spesso le immagini più violente e sanguinose non vi trovano posto; un giornalismo definito «a misura di tv», capace di entrare nelle sale da pranzo del pubblico senza traumatizzare nessuno. Con il rischio di rendere la guerra in qualche modo, più accettabile. Infine, una critica mossa dagli studiosi dell’università di Cardiff riguarda un giornalismo basato solo sui reportage del- Carlo Giorgi Per saperne di più L ico C., Zitto e scrivi. Storia di Pieffe, giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Viterbo 2007. Morini C. (ed.), Free lance, tra assenza di diritti e desiderio di autonomia. Il caso della rcs periodici (luglio-dicembre 2006), <www.lsdi.it/documenti/LsdiRicercaRcs.pdf>. Staglianò R., Giornalismo 2.0. Fare informazione al tempo di Internet, Carocci, Roma 2002. U.S Department of Defense, Public Affairs Guidance (PAG) on embedding media during possible future operations in the U.S. Central Commands (CENTCOM) Area of Responsability (AOR), <www.defenselink.mil/news/Feb2003/ d20030228pag.pdf>. Ordine dei Giornalisti: <www.odg.it>. la prima linea, forniti in abbondanza dai giornalisti embedded. Quello che è spesso mancato per comprendere la guerra, rilevano gli analisti, è stato invece uno sguardo complessivo sulla società irachena sacrificata all’attenzione mirata esclusivamente al conflitto militare, società irachena che alla fine sembrava essere, paradossalmente, una «presenza enigmatica» a casa propria.