Florilegio Urodinamico

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Florilegio Urodinamico
Florilegio Urodinamico
dalla Rubrica: Il punto di vista di…del sito www.siud.it
a cura del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Urodinamica
SIUD
Società Italiana di Urodinamica
Continenza Neurourologia Pavimento Pelvico
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SIUD
Consiglio Direttivo 2009-2012
PRESIDENTE
SANDRO SANDRI
Direttore U.O. Urologia e Unità Spinale
Ospedale “G. Fornaroli”, Magenta (MI)
VICEPRESIDENTE
GIULIO DEL POPOLO
Urologo, Vice-Presidente della Siud,
Direttore SODC Neuro-Urologia
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
PAST-PRESIDENT
MARIO DE GENNARO
Primario, U.O. Urodinamica Pediatrica
Dip. di Nefrologia-Urologia
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
SEGRETARIO
MARCO SOLIGO
Dirig. Medico II livello - Ginecologia-Ostetricia
Ospedale San Carlo Borromeo, Milano
TESORIERE
ANTONELLA BIROLI
Responsabile di S.S.
Riabilitazione Neurologica e Disfunzioni Autonome
Ospedale S. Giovanni Bosco, Torino
CONSIGLIERI
ANTONIO CARBONE
Professore Associato, Urologia
Università “La Sapienza” – Polo Pontino, Latina
ENRICO FINAZZI AGRO’
Professore Associato, Cattedra di Urologia
Univ. di Roma Tor Vergata - Roma
GIANFRANCO GIOCOLI NACCI
Dirigente Medico I livello,
Urologia Universitaria II, Bari
MARCELLO LAMARTINA
(Libero professionista)
U.O. di Urologia
Casa di Cura Candela, Palermo
MASSIMO LEONETTI
Dirigente medico I livello, U.O. di Urologia
Osp. Dei Pellegrini - ASL NA 1, Napoli
GENNARO TREZZA
Direttore UOC di Ostetricia e Ginecologia,
Ospedale Rummo di Benevento
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Indice
L’infermiere del laboratorio di urodinamica: competenze tecniche
ma anche psicologiche • Carlo Genova.................................................................................................6
L’incontinenza urinaria in età pediatricadi • Mario De Gennaro................................................................7
La mia prima sling... • Gennaro Trezza.................................................................................................12
La chirurgia nella vescica neurologica • Sandro Sandri.........................................................................14
La tecnologia applicata alla riabilitazione della incontinenza urinaria:
serve davvero? • Antonella Biroli..........................................................................................................18
Ma vi ricordate dei pennini? • Aldo Tosto.............................................................................................20
Malattia di Parkinson e iperplasia prostatica benigna
(ovvero i miti da sfatare) • Enrico Finazzi Agro’......................................................................................22
Urodinamica: filosofia o obiettività? • Massimo Leonetti........................................................................24
Il neuro-urologo nell’unità spinale oggi • Roberto Carone......................................................................26
Il coordinamento infermieristico in un reparto di urologia
a vocazione neuro-urologica • Chiara Martina......................................................................................27
L’incontinenza urinaria e l’assistenza territoriale:
dalla narrazione della “vergogna” alle incongruenze del sistema • Salvatore Campo..............................28
Il concetto di incontinenza urinaria: quanta confusione! • Marcello Lamartina.......................................30
L’evoluzione della vescica neurologica nel mieloleso
e l’importanza del follow up • Sandro Sandri.......................................................................................31
La riabilitazione della derivazione urinaria orto topica • Stefano Alba....................................................36
L’insegnamento dell’urodinamica nelle università italiane • Antonio Carbone........................................37
A colpi di tossina... La tossina botulinica in urologia tra mito ed evidenze:
la storia italiana • Giulio Del Popolo.....................................................................................................38
Può l’esame urodinamico essere predittivo di incontinenza urinaria in pazienti
con prolasso genitale da sottoporre ad intervento? • Marco Soligo......................................................40
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Prefazione
La rubrica “Il punto di vista di”
Ad un anno dal suo avvio la rubrica informatica “Il punto di vista di” ha già raccolto quasi una ventina
di contributi dagli argomenti e dagli autori più vari, com’era nelle intenzioni del suo ideatore Marcello Lamartina,
spaziando da quelli di interesse scientifico a quelli di esperienze personali a quelli di cultura generale, ma tutti
gravitanti attorno all’argomento “Urodinamica”.
L’obbiettivo della trascrizione grafica e pubblicazione di questi argomenti più svariati è di far conoscere questa
rubrica anche ai meno avvezzi alla navigazione sul web ed invogliare altri a scrivere nuovi argomenti per arricchire
sempre di più questa originale ed interessante iniziativa.
Buona lettura e soprattutto buon lavoro a tutti.
Sandro Sandri
Presentazione
Una nuova rubrica sul sito Siud.it
Caro Visitatore,
da oggi inauguriamo una rubrica, Il punto di vista di…, in cui saranno espressi opinioni, editoriali, aspetti scientifici,
articoli divulgativi, ecc., di soci della Società.
Siete tutti invitati ad inviare i vostri elaborati (max 40 righe), corredati anche da immagini, a [email protected], che dopo la
relativa valutazione, saranno pubblicati in questa sezione del sito.
Gli articoli presenti in questa rubrica rappresentano il pensiero dell’autore che potrebbe non coincidere con quello
della SIUD.
A cura di Marcello Lamartina
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Florilegio Urodinamico
L’infermiere del laboratorio
di urodinamica: competenze
tecniche ma anche psicologiche
IL PUNTO DI VISTA di Carlo Genova, infermiere, Palermo
P
er circa 10 anni, sono stato l’infermiere di riferimento di un ambulatorio di neuro-urologia, in
un ospedale dedicato alla lesione midollare, in
atto solo in piccola parte attivato. In questo ruolo, ho
avuto l’incarico di occuparmi di uroriabilitazione e di collaborare alla diagnosi e alla terapia della vescica neurologica. In questo breve articolo, voglio esporre alcune
problematiche e alcuni aspetti relativi al ruolo di tecnico
di urodinamica.
La figura professionale del tecnico di urodinamica è
probabilmente una figura che non ha specifici titoli accademici, ma necessita contemporaneamente di grandi
competenze, non solo tecniche, ma anche umane. Egli si
colloca tra il medico che prescrive, segue l’esame e ne
redige il referto e l’utente che deve essere sottoposto a
tale indagine. Ciò richiede, da parte dell’operatore, la
molteplice competenza di preparare il paziente all’esame
(posizionamento di cateteri uretrali, sonde rettali, elettrodi,
ecc., seguendo le regole dell’asepsi), l’approfondita conoscenza tecnica dell’apparecchio computerizzato, risolvendo eventuali problemi e artefatti legati all’apparecchiatura e alle connessioni utente/macchina, nonché un
corretto approccio psicologico tale da instaurare un contatto umano con la persona/paziente. Essa infatti deve
essere preparata mediante un vero e proprio counseling
informativo, volto a risolvere il frequente stato d’ansia e,
spesso, di inibizione e di perplessità espresso soprattutto
da coloro che devono essere sottoposti per la prima volta
a questa esame, fatto questo imprescindibile per una
buona riuscita dell’esame. Non dimentichiamo infatti che
l’esame si scontra con l’intimità della persona (mingere
non è certo un’attività che normalmente l’uomo svolge di
fronte a qualcuno!)
Ritengo che questa procedura debba essere eseguita con un percorso interattivo tra chi prepara e conduce l’esame e l’utente, proprio perché la specifica rilevazione oggettiva dei dati e dei parametri deve essere
6
congruente con le sensazioni e i disturbi soggettivi che
devono essere dimostrati. Infatti l’esperienza inizia proprio con l’atto formale del “Consenso Informato” da far
firmare al quale, sulla base delle condizioni socio-culturali e di apprendimento della persona, si debba aggiungere, a mo’ di “cronaca”, tutte le informazioni possibili
sugli strumenti che servono per l’indagine, sulla loro utilità, sul loro grado di invasività, spiegando ogni fase della preparazione che può risultare un po’ articolata ed
imbarazzante per il paziente.
Dopo l’invito a svuotare la vescica, rivolto alla persona che è in grado di mingere spontaneamente, con
l’esecuzione di una uroflussometria libera preliminare
con successiva valutazione del residuo post-minzionale,
ritengo fondamentale mantenere costante il contatto
verbale con l’utente che è utile anche per distrarlo dalla
preoccupazione dell’esame, quasi come un sedativo
naturale per sopportare l’eventuale fastidio dell’introduzione del sottilissimo catetere di cistomanometria in vescica e che serve anche per introdurlo alla conoscenza
delle fasi dell’esame “in diretta”, alla rilevazione dei suoi
disturbi minzionali e all’individuazione delle possibili cause, utile affinché il medico possa impostare, a conclusione dell’osservazione della dinamica minzionale, l’opportuna terapia farmacologica e/o la migliore soluzione per
la gestione vescicale, cercando di conservare intimità e
privacy.
Il riuscire ad eseguire un buon esame sia in termini
di tracciato riproducibile, la corretta dimostrazione urodinamica di un sintomo o di una condizione patologica,
sono per me una importante gratificazione, necessaria
al medico responsabile per impostare un corretto iter
riabilitativo, ma per ottenere questo è di fondamentale
importanza rendere partecipe il paziente delle varie fasi
della procedura, mantenendo un atteggiamento amichevole, ma anche professionale e cercando di mettere
a proprio agio la persona.
Il punto di vista di...
L’incontinenza urinaria in età
pediatrica
IL PUNTO DI VISTA di Mario De Gennaro, UOC Urodinamica –
Dip. Nefrologia & Urologia, Osp. Pediatrico Bambino Gesù, Roma
L’
incontinenza urinaria (IU) è un problema per
molti bambini, ma solo pochi riescono a parlarne liberamente. La condizione, invece, produce un grave disagio e per questo deve essere affrontata
presto, sapendo che le strategie terapeutiche sono disponibili e le possibilità di risoluzione elevate.
Caratterizzando sempre meglio l’IU, ci si è resi conto
che a una clinica attenta corrisponde una diagnosi accurata, riqualificando il ruolo della Medicina di Base. Specie
in pediatria dove le IU funzionali interessano un’ampia fascia della popolazione, il Pediatra di Famiglia è fondamentale: molte LUTD (lower urinary tract disfunction) possono essere prevenute con una corretta educazione
all’uso degli sfinteri ed il Pediatra di Famiglia, fornito degli
strumenti conoscitivi, può effettuare una corretta diagnosi
e impostare il trattamento, escludendo al contempo quei
quadri che invece necessitano dello specialista. L’ICI1 (International Consultation on Incontinence) e l’ICCS2,3 ( International Children’s Continence Society) hanno sviluppato linee guida per l’IU, distinte in algoritmi di gestione
iniziale (medico e pediatra di base) e specialistica (Fig. 1 e
2). La Società Italiana di Urodinamica, in collaborazione
con la Società Italiana di Pediatria, sta promuovendo la
realizzazione di linee guida italiane per l’IU pediatrica,
adattate alla nostra realtà socio-sanitaria, per divulgare gli
strumenti diagnostico-terapeutici di gestione iniziale e favorire un rapido inquadramento e trattamento di quelle
forme di IU funzionali gestibili sul territorio e che affliggono
tanti dei nostri bambini.
Che cos’e l’incontinenza urinaria
L’ IU è una “perdita non controllabile di urina”, continua o intermittente3. L’IU continua è in genere causata
da anomalie congenite o lesioni iatrogene dello sfintere,
quindi corrisponde con un IU organica; l’IU intermittente configura perdite di discreta entità, diurne e/o notturne, dovute più spesso a LUTD non-neurologiche (IU
funzionale).
L’EN (enuresi) è una forma di IU intermittente funzionale che si verifica durante il sonno. Pertanto, i termini
EN ed IU non possono essere più utilizzati come sinonimi, perché l’EN è un tipo preciso di IU (Fig.3)3.
Gran parte dei bambini impara a controllare volonta-
ACRONIMI
ICI International Consultation on Incontinence
ICCS International Children’s Continence
Society
IU Incontinenza Urinaria;
VI Vescica Iperattiva
MD Minzione Disfunzionale
EN Enuresi
VN Vescica Neurogena
RVU Reflusso Vescico-Ureterale
VUP Valvole dell’Uretra Posteriore
SB Spina Bifida
LUTD Lower Urinary Tract Disfunction
riamente la vescica all’età di 2-3 anni, con una variabilità
da 0,8 a 5,2 anni, in base alle condizioni socio-culturali.
Perciò fino all’età di 5 anni non si dovrebbe parlare di
LUTD e di IU3. Non ci si deve, quindi, preoccupare se
fino a 5 anni l’acquisizione del controllo non è completa
o è discontinua.
L’IU funzionale è meno frequente che nell’ adulto,
ma si calcola che il 5-10% dei bambini in età scolare ne
siano affetti. A differenza dell’adulto, dove l’ IU funzionale è un allarme immediato, nel bambino viene spesso
sottostimata. Passerà con la crescita e allo sviluppo andrà a posto sono espressioni frequenti. Statisticamente
questo è vero specie per l’EN, ma nel frattempo il bambino ne soffre molto più di quanto si immagini. Affrontare
in ritardo l’IU fa perdere l’occasione di fornire, in fase
iniziale, quelle corrette abitudini che già da sole, senza
medicine o altro, possono essere risolutive per la maggior parte delle IU funzionali.
Rara ma più difficile da curare è l’IU organica, causata da malformazioni congenite del basso apparato
urinario o del sistema nervoso. La chiave del successo,
sia per le forme funzionali che per quelle organiche, è
rendere il bambino consapevole, farlo desiderare di risolvere il problema e, quindi, ottenere la sua collaborazione motivata. È difficile iniziare un percorso diagnostico-terapeutico se non c’è la volontà di risolvere il
problema o quando non è sentito come tale. Il pannolo-
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Florilegio Urodinamico
ne può essere in qualche caso un rifugio, una voglia di
non crescere. Anche i genitori, possono, inconsciamente, contribuirvi: il pannolino diventa un nido, simbolo di
protezione genitoriale.4
IU funzionale
È dovuta a disfunzioni non neurologiche del riempimento e/o dello svuotamento vescicale. La sintomatologia è similare: alterata frequenza minzionale, IU, infezioni
genito-urinarie e reflusso vescico-ureterale (RVU), associate pressoché costantemente a stipsi (Dysfunctional
elimination syndrome). I quadri principali (Fig.3) sono
rappresentati dalla Vescica Iperattiva (minzioni
frequenti,con urgenza ed eventuale IU da urgenza) e
dalla Minzione Disfunzionale (disturbo dello svuotamento per cui il bambino urina raramente, con iperattività del
piano perineale durante la minzione).
I percorsi diagnostici1, 2 stabiliti per l’IU funzionale
prevedono, oltre alla storia clinica, all’esame obiettivo
generale, dei genitali (anomalie) e neurologico (spina bifida), ed all’esame urine (o stick), la registrazione del diario minzionale ed esami urodinamici non invasivi (Uroflussometria con EMGrafia del piano perineale) e
valutazione ecografica pre- e postminzionale del volume
vescicale.
Le indagini invasive sono indicate solo nella IU organica e nelle IU funzionali che non rispondono al trattamento convenzionale, necessitando di valutazione specialistica. Comprendono: esami radiologici (cistografia,
Uro-RMN, RMN del midollo spinale, RMN della pelvi e
del perineo), esami urodinamici invasivi (cistometria, studio pressione-flusso, urodinamica ambulatoriale, videourodinamica)4, 5 ed esami neurofisiologici (EMG sfintere
uretrale, potenziali evocati somatosensoriali) per una
fine definizione delle lesioni neurologiche. Inoltre, nel sospetto di malformazioni uro-genitali è spesso indispensabile la cistoscopia, completata da vaginoscopia nella
femmina, in anestesia generale.
La terapia delle LUTD non neurogene e dell’IU
funzionale in età pediatrica è basata su metodiche riabilitative per ripristinare la normale funzione vescicosfinterica. I farmaci sono pochi e comunque poco utili
se non associati a correzione dei comportamenti minzionali.5
Le regole comportamentali sono semplici indicazioni
con le quali quasi 1/3 dei bambini con LUTD guarisce.
La prima è urinare con regolarità ogni 3-4 ore, in posizione corretta e con calma; per facilitare cio’, i liquidi devono essere assunti regolarmente durante il giorno.
L’igiene dei genitali è molto importante perchè il contatto prolungato con la mutandina bagnata di urina può
causare flogosi genitali e perineali. Basta prevenire le
perdite di pipì e detergere i genitali anche solo con acqua e bicarbonato, consigliando trattamenti topici se
l’infiammazione è complicata da infezione batterica o
micotica. La dieta deve aiutare a corregge la stipsi,
spesso misconosciuta e sottovalutata. Dieta e farmaci
8
Figura 1. Algoritmo di gestione iniziale (a) e specialistica (b) dell’IU Pediatrica1 (t
per la stipsi possono non essere risolutivi se non insegniamo al bambino ad evacuare tutti i giorni, più o meno
alla stessa ora, meglio dopo un pasto principale (riflesso
gastro-colico) dedicando il tempo dovuto alla defecazione. La uroriabilitazione stimola la capacità del bambino
di acquisire il controllo sfinterico e dei muscoli perineali
attraverso l’esecuzione di esercizi, proposti al bambino
come un gioco.
Anche i genitori devono essere istruiti per aiutare il
bambino ad esercitarsi a casa. Il farmaco più usato è
l’ossibutinina in genere, prescritto quando l‘uroriabilitazione è stata da sola inefficace o quando i sintomi sono
molto rilevanti. Solo in casi gravi lo specialista può prescrivere farmaci alfa-litici per migliorare lo svuotamento
vescicale.
Enuresi notturna
L’EN è una forma di IU funzionale che segnala un
“ritardo” maturativo dei meccanismi che presiedono al
controllo notturno delle urine. Questi sono rappresentati
da6:
- Regolazione circadiana della secrezione di ormone
antidiuretico (ADH): nel bambino enuretico può
mancare il fisiologico picco notturno di secrezione
dell’ADH con conseguente poliuria notturna assoluta;6
- Risveglio indotto dal segnale di riempimento vescicale durante il sonno: il bambino enuretico non si
sveglia quando la vescica è piena;
- Fisiologico incremento con l’età della capacità vescicale: la capacità vescicale del bambino enuretico
può non essere adeguata per l’età; si parla in questi
casi di poliuria notturna relativa, perchè la diuresi
notturna è normale ma la capacità vescicale è inadeguata.
L’anamnesi e semplici osservazioni domiciliari aiuta-
Il punto di vista di...
IN SINTESI
L’IU funzionale e le LUTD non
neurogene sono molto frequenti
in pediatria. La diagnosi si avvale
di strumenti clinici (anamnesi,
esame obiettivo, diario minzionale
e calendario notturno) ed uro dinamici
non invasivi (uroflussometria ed
ecografia) mentre la terapia prevede
la correzione di comportamenti
minzionali scorretti, rinforzata
da procedure uroriabilitative
standardizzate per il bambino
e/o farmaci.
traduzione italiana ad opera della Fondazione Italiana Continenza)
no a capire la causa prevalente dell’EN, per cui è necessario: quantizzare il fenomeno con un calendario notturno; confermare che è presente da sempre (una
interruzione di 6-12 mesi indica una EN secondaria); informarsi sulla familiarità (il fatto che un genitore o uno zio
abbia avuto lo stesso problema avvalora l’ipotesi di una
forma familiare “benigna” ); misurare la diuresi notturna
con la doppia pesata del pannolino indossato la notte,
aggiungendo la quantità (ml) della prima minzione della
mattina; misurare la capacità vescicale: (volume di urine
più abbondante svuotato in una singola minzione nel
corso della compilazione del diario minzionale, esclusa,
la prima minzione della mattina); escludere l’associazione con LUTD con il diario minzionale; misurare, se possibile, il “malessere” del bambino riguardo al problema
con colloqui o test specifici.
Sappiamo che il 15% dei bambini enuretici ogni
anno guarisce senza intraprendere alcun trattamento e
che l’EN notturna è destinata nella quasi totalità dei casi
ad una guarigione spontanea. Il trattamento è motivato
dal disagio che questo disturbo produce nel bambino.
Il trattamento dell’EN7, 8, prevede:
1) presa di coscienza, regole comportamentali e training vescicale;
2) farmacoterapia: la desmopressina, analogo di sintesi dell’ADH, è efficace nelle forme poliuriche con un
successo globale del 30-50%;7
3) allarme notturno: è un allarme acustico che suona e
sveglia il bambino quando si bagna. I comportamenti successivi al suono dell’allarme (risveglio del bambino, completamento della minzione in bagno, cambio degli indumenti e riapplicazione dell’allarme)
determinano un condizionamento a svegliarsi quando la vescica è piena. Il successo è anche dell’80%
ma solo se il bambino ed i genitori accettano volentieri la strategia.
Incontinenza organica
Nel bambino è dovuta a malformazioni congenite
che comportano un danno anatomico o neurologico ai
meccanismi della continenza. Si tratta di malformazioni
delle vie urinarie (valvole dell’uretra posteriore, epispadia, estrofia della vescica) e della colonna vertebrale e
del midollo (spina bifida - SB), che a loro volta possono
associarsi ad altre malformazioni (atresia ano-rettale)
che causano incontinenza fecale. Come per l’adulto, ma
molto più raramente, alcune condizioni acquisite che
colpiscono il sistema nervoso (traumi cranici e della colonna vertebrale, infezioni o tumori delle vie nervose,
problemi neurologici conseguenti al parto) provocano
LUTD su base neurogena con IU. La sicurezza dell’anestesia ed i moderni interventi di chirurgia neonatale permettono di correggere l’anatomia di molte di queste
malformazioni nel primo anno di vita; successivamente,
i farmaci, le metodiche riabilitative e gli interventi chirurgici per la continenza possono garantire a questi bambini una buona qualità di vita. In particolare, l’introduzione
precoce del cateterismo intermittente pulito (CIP) nella
gestione della vescica neurogena (VN) secondaria a SB
ha favorito un incremento della sopravvivenza nei primi 2
anni di vita ed un miglioramento significativo della qualità
di vita, facilitando il controllo dell’IU e prevenendo l’insufficienza renale secondaria. L’esperienza estremamente
positiva nel paziente neurologico, ha esteso il CIP alla
gestione dell’IU secondaria a malformazioni del basso
apparato urinario (complesso estrofia-epispadia), grazie
alla sua capacità di garantire un regolare ritmo di riempimento e svuotamento vescicale ed un totale svuotamento del serbatoio vescicale.
Valvole dell’Uretra Posteriore (VUP): sono la più
frequente uropatia ostruttiva del tratto urinario inferiore.
Sebbene la sezione endoscopica sia efficace nel risolvere l’ostruzione anatomica, le sequele sulla funzione vescicale e renale, prodotte dalle VUP nella vita fetale,
possono persistere e portare in alcuni casi ad insufficienza renale ad esordio tardivo. Il motivo di questo de-
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Florilegio Urodinamico
Figura 2. Algoritmo diagnostico per l’IU funzionale proposto dall’ International Children’s Continence Society2.
terioramento tardivo della funzione renale dipende prevalentemente dal grado di displasia parenchimale che i
reni hanno subito in epoca prenatale, ma è stato supposto che possa essere relazionato con una persistente
LUTD, dimostrata nell’80% dei casi. Di fatto, gli studi
urodinamici hanno prodotto evidenze di un’evolutività
naturale nel tempo della LUTD post-ostruttiva del bambino con VUP, relazionabile con l’insorgenza e/o la progressione dell’insufficienza renale9, 12. Per tali evidenze, il
follow-up urodinamico è attualmente considerato imprescindibile in questil bambini così come un attento controllo dell’attività minzionale e correzione di eventuali
abitudini o atteggiamenti scorretti a partire dallo svezzamento.
Complesso Estrofia-Epispadia: è uno spettro di
malformazioni rappresentate dall’estrofia vescicale
(60%), dall’epispadia (30%) e dalla estrofia della cloaca
(10%). La classica estrofia, è presente in 1:30.000 nati
vivi con netta predominanza (3:1) nel maschio. L’estrofia
coinvolge tutte le strutture della continenza urinaria: vescica, collo vescicale, sfintere striato, uretra, muscoli
perineali ed ossa pubiche. Grazie almiglioramento delle
tecniche chirurgiche è oggi possibile la riparazione anatomica in epoca neonatale con la tecnica a stadi di Jeff13
o, più recentemente, in tempo unico come proposto da
Mitchell14. Una accurata ricostruzione del pavimento
pelvico con corretto posizionamento del collo vescicale
e dell’uretra posteriore sono punti cruciali di questa chirurgia14. Di fatto, i risultati sulla continenza restano strettamente dipendenti dalla persistenza di una incompetenza sfinterica, spesso associata ad una vescica
piccola e fibrosa. Perciò il percorso di questi pazienti è
Figura 3. Classificazione fisiopatologica dell’IU Pediatrica 1.
lungo e complesso per la necessità più di un intervento
endoscopico e/o chirurgico, con la potenziale esigenza
di utilizzare comunque il CIP per essere continenti.
Vescica Neurogena (VN): in età pediatrica la lesione neurologica che più frequentemente causa VN è la
spina bifida (SB), aperta, chiusa o occulta. Differentemente dalle lesioni acquisite, la SB non riconosce un livello lesionale netto, non ha caratteristiche di simmetricità e bilateralità e soprattutto non è stabile, con
caratteristiche di evolutività. L’evolutività della SB è correlabile, in senso positivo, alle potenzialità plastiche del
sistema nervoso del bambino, in senso negativo, all’accrescimento scheletrico, per il possibile sviluppo di sindromi da stiramento del midollo per ancoraggio della
lesione alla colonna vertebrale. L’esame urodinamico
(meglio videourodinamico) e l’EMGrafia qualitativa dello
sfintere, definiscono la disfunzione ed il livello della lesione neurologica con le sue variazioni nel tempo12,13. Qualsiasi sia il tipo di disfunzione, la VN influenza negativamente lo sviluppo del serbatoio vescicale ed altera le
caratteristiche strutturali del muscolo detrusore (fino alla
fibrosi) con conseguente bassa capacità e distensibilità
vescicale e sviluppo di elevate pressioni endovescicali.
Pertanto, oltre all’ IU, la VN puo’ causare stasi di urine,
dilatazione dell’intero albero urinario, RVU, infezione e
progressivo danno renale.10
Il CIP associato ad urofarmaci puo’ aiutare a ristabilire l’equilibrio pressorio endovescicale favorendo la
continenza e prevenendo l’impegno del tratto urinario
superiore. Il follow-up urodinamico sarà sempre e comunque obbligatorio insieme ad un attento monitoraggio anatomo-funzionale del tratto urinario superiore.
In sintesi
Le patologie su base malformativa e neurologica che producono IU sono meno frequenti
delle forme funzionali, ma impegnano notevolmente l’urologo pediatra per la complessità
dell’approccio diagnostico che terapeutico, endoscopico e chirurgico. Nonostante
questa complessità, è necessario che le scelte diagnostico-terapeutiche siano condivise
tra specialista e pediatra di base per supportare il paziente nel lungo cammino verso la
continenza.
10
Il punto di vista di...
Bibliografia
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11
Florilegio Urodinamico
La mia prima sling...
IL PUNTO DI VISTA di Gennaro Trezza, direttore della UOC
di Ostetricia e Ginecologia dell’AORN
Ospedale Rummo di Benevento
N
on ho mai amato parlare del passato. Tanto più
dopo aver passato i cinquanta... Spesso si rischia di cadere nel melenso, nel retorico e a volte
si rasenta l’autocelebrazione. Mi piace guardare avanti
alle tante cose che ho da fare.
Per due motivi ho comunque deciso di scrivere questo articolo.
Intanto perché me lo ha chiesto Marcello, al quale
sono legato, oltre che da legami di sangue storico-geografico (il regno delle due Sicilie non è una invenzione ma
è stata una grande realtà storica) da una affettuosa amicizia per la simpatia, il garbo, l’educazione, la disponibilità,
l’intelligenza perspicace e lo spirito di sacrificio che ha nei
confronti del gruppo SIUD. Insomma non si può dirgli di
no. E poi... perché la storia che vi racconto è un poco
seria e un poco comica e ridicola, forse anche un tanto
fantasiosa.
Provengo da una scuola con forte impronta di fisiopatologia della riproduzione umana e di medicina perinatale.
Pertanto la uroginecologia è stata fin dall’inizio (1983) lasciata alla mia iniziativa personale e del Dr. Mario del Giudice storico, caro e fraterno amico e... compagno di merenda. Agli inizi degli anni 80, quando i due Dioscuri (così
amava chiamarci il Prof Montemagno), Gennaro Trezza e
Mario Del Giudice cercavano di proporre l’acquisto
dell’apparecchio di urodinamica e magari osavano suggerire una Burch al posto dell’intervento di Kelly-Kennedy
per l’incontinenza da sforzo, venivano immediatamente
additati e segnati come gli eretici. Isolati, derisi e poi consolati come si fa per i figli sfortunati. Arrivava poi di tanto
in tanto lo zuccherino con la partecipazione agli interventi
in sala operatoria, cosa estremamente rara per due specializzandi del 2° o 3° anno.
Intanto pur di cominciare a studiare le nostre pazienti
avevamo inaugurato l’ambulatorio di uroginecologia presso la clinica ostetrica e per fare gli esami urodinamici avevamo fatto un patto suicida con un primario urologo cittadino che possedeva un DISA-DANTEC con pennino
termico che quando si surriscaldava, al posto dei grafici
disegnava dei veri e propri quadri naif. Bene, per studiare
le nostre poche pazienti ci toccava fare gli esami (non
sempre o quasi mai con giusta indicazione clinica) alle
sue (che erano tante) e come se non bastasse anche ai
12
suoi pazienti maschi. Uno strazio... ma che comunque ci
è servito ad accumulare tanta esperienza!
Di fatto però la fortuna aiuta gli audaci... Mentre sia io
che Mario, per lavorare e imparare qualcosa, passavamo
il tempo della specializzazione tra un treno, un aereo, una
sala operatoria di un ginecologo famoso piuttosto che di
un urologo dal quale imparavamo la dimestichezza con la
vescica... la bacchetta di una fata ci toccò. In clinica erano arrivati dei fondi. Tanti fondi che dopo averne speso
per sfamare l’ingordigia ricercatrice di tutti quelli che, in
clinica ostetrica avevano voglia di lavorare, ne avanzò un
gruzzolo che il Prof. decise di destinarci per l’acquisto del
tanto agognato apparecchio di urodinamica.
Quindi si cominciò. E iniziammo alla grande. Dopo
circa una settimana dall’arrivo della macchina il Prof. ci
chiama e ci chiede di effettuare uno studio urodinamico
alla segretaria del cattedratico di chirurgia della facoltà.
La donna era stata operata per incontinenza urinaria con
una colpo-plastica anteriore più una Kelly-Kennedy. L’incontinenza risultava non guarita.
-Avanti, “sursum corda”- esclamò Montemagno, -è
arrivato il vostro momento! O vi affermate o vi bruciate-,
sentenziò.
Potrete immaginare quanto fossimo atterriti, agghiacciati, impauriti (avrei preferito usare una diversa espressione che rende maggiormente l’idea). Cavolo ma doveva
capitarci proprio subito la segretaria di.... Che sfiga!
Comunque, dopo avere eseguito l’esame e confermato l’esistenza di una IUS pura da sforzo (da deficit trasmissivo, come si usava relazionare allora, dopo avere
eseguito la profilometria dinamica), non curata dal precedente intervento, comunicammo al Prof. che la paziente
andava rioperata. Come se non bastasse lui ci spara a
bruciapelo: -Preparate la paziente, parlate con l’anestesista e fissate la data; le facciamo la Burch di cui tanto mi
parlate. Ovviamente io vi aiuto-.
Bene, successe quello che volevo dire prima: ce la
facemmo addosso dalla paura!
Ma cosa c’entra questo con la prima sling? Se avete
pazienza ancora un minuto ci arriviamo diretti.
L’intervento di Burch fu un successo. La fortuna del
principiante ci assistette. Non mi è mai più capitato di
eseguire un intervento di colpo-sospensione tanto esan-
Il punto di vista di...
gue in vita mia. Lo scollamento del Retrzius avvenne per
incanto. Montemagno si sparò una posa incredibile con il
cattedratico chirurgo, la paziente risultò guarita, contenta. Noi guadagnammo grande credibilità e ci ficcamo nei
pasticci. Perché?
Perché l’aiuto del professore chirurgo, subito dopo, si
presentò da noi con una bella cartella urologica e un
completo esame urodinamico della suocera nel quale le
veniva diagnosticata una incontinenza urinaria grave da
ipotono sfinteriale. Alla sua domanda su cosa consigliavamo di fare, di istinto e con aria da super eroe (ero ancora tanto giovane!) mitragliai : -L’unica è fare una sling pubovaginale, con un quadratino di rete da posizionare
sotto il collo vescicale.- Non potevamo mai immaginare
che quel pazzo ci chiedesse: -Ok! Quando organizziamo
l’intervento?-.
Uno schianto! Un incidente frontale tra cuore e cervello. La perdita di coscienza per una caduta dal quinto piano. Arresto cardiaco. Non so dirvi cosa mi accadde in
quel momento. L’avevo fatta grossa. Avevo contratto un
debito superiore alle mie possibilità. Capivo solo che dovevo recuperare. E che avrei dovuto fare presto per non
destare sospetti! -E mo’ che ce dic a chist’, can nun l’aggio fatta mai!- Mario mi venne in aiuto. -Non subito- rispose -siamo in partenza per un corso di aggiornamento e
siamo fuori almeno 15 giorni. Ci facciamo vivi al nostro
rientro-.
Furono 15 giorni terribili di studio, di visione di filmati,
di discussioni, di cazziate e maledizioni ricevute da Mario,
di andate e ritorno per andare a vedere quei pochi interventi di sling con accesso sovrapubico e vaginale che si
facevano in Italia. Eravamo agli inizi degli anni novanta. la
TVT era ancora lontana.
C’era un problema: non avevamo né l’ago di Pereyra
né quello di Stamey.
-Come facciamo, benedetto uomo- sbottava Mario,
-in che pasticcio mi hai cacciato. Digli che non è possibile-. -Ma perché-, ribattevo. -L’anatomia della zona la conosciamo bene, l’intervento lo abbiamo studiato, lo abbiamo visto più volte nei filmati... Per tutti c’è il primo
intervento, no?-. -Si è vero-, replicava il povero Mario,
-ma hanno avuto un maestro che almeno gli ha indicato
la strada-.
Alla fine abbiamo organizzato la seduta. Il nostro strumento per il passaggio dei fili fu una intuizione notturna
venuta alla luce durante una guardia in sala parto. Un
puro caso.Mentre mi apprestavo a fare una esplorazione
cavitaria uterina ad una paziente per una metrorragia e
l’ostetrica aveva preparato il servitore sterile con tutti i ferri per il raschiamento, il caro Del Giudice per farmi uno
scherzo aveva legato un sottile filo di catgut (allora si usava ancora il catgut che abbondava in sala parto) alla punta dell’isterometro. Ogni volta che tentavo di prenderlo
per il manico, senza guardare poiché avevo lo sguardo in
direzione della vagina della paziente, lui lo ritirava di quel
tanto che bastava per non farmelo afferrare.
Mi accorgo della cosa, ci guardiamo negli occhi e felicemente capiamo che quello è il nostro strumento. Un
isterometro. Ha una impugnatura comoda, è curvo giusto
quanto basta per seguire l’asse sovrapubico-vaginale, è
poco bottonuto alla punta, per cui scivola via dalla parete
vescicale senza bucare e alla punta leghiamo i fili di prolene per portarli dalla vagina in addome attraverso il Retzius.
Il giorno dell’intervento è stata una vera libidine. Abbiamo fatto la nostra piccola incisione sovrapubica, scollando il sottocute fino alla fascia dei retti. Abbiamo posizionato una garza con betadine nella ferita. Abbiamo
inciso la vagina al di sotto della giunzione vescico-uretrale
per circa tre centimetri. Abbiamo scollato e aperto lo spazio periuretrale e vescicale fino alla fascia pubo-vescicocervicale che abbiamo perforato per entrare nel retro
pube. Abbiamo passato il nostro strumento perforando la
fascia dei retti sulla guida del dito posizionato nel Retzius,
attraverso la vagina. Abbiamo condotto lo strumento fino
in vagina prima da un lato e poi dall’altro. Abbiamo assicurato i fili di prolene allo strumento dopo averli passati
nella rete di prolene e abbiamo tirato su. Abbiamo innalzato la parete posteriore della giunzione vescico-uretrale
riducendone il lume (sperando di non averlo ridotto troppo). Abbiamo annodato i fili al di sopra della fascia dei
retti. Abbiamo suturato la vagina e la cute. Abbiamo introdotto un piccolo zaffo vaginale. Abbiamo salutato i colleghi della sala operatoria della chirurgia. Abbiamo brindato
fino ad ubriacarci. Abbiamo dormito. Abbiamo dormito
tanto. Ci siamo svegliati dopo due giorni. Ci siamo rivisti,
io e Mario. Ci siamo salutati e divisi. Io avevo vinto un
concorso in ospedale dove sarei andato a lavorare dopo
due giorni. Da allora non abbiamo più operato insieme se
non in rarissime occasioni. Purtroppo!
Conservo il dolce ricordo di una conquista e la tristezza di una perdita. Mario lavora ancora in clinica ostetrica.
Ed è sempre il mio migliore amico, tra i colleghi. Certe
cose non si possono dimenticare, ci uniscono.
13
Florilegio Urodinamico
La chirurgia nella vescica
neurologica
IL PUNTO DI VISTA di Sandro Sandri, Presidente della SIUD,
Direttore U.O. Urologia e Unità Spinale, Ospedale “G. Fornaroli”,
Magenta (MI)
L
a chirurgia nella vescica neurologica ha subito
numerosi cambiamenti nell’arco degli ultimi
30-40 anni. In passato si rivolgeva soprattutto
alla cura delle complicanze indotte solitamente da un inadeguato trattamento che si avvaleva spesso del posizionamento di un catetere a dimora... (Fig. 1)
Figura 1. Corretto posizionamento del catetere a dimora per
evitare complicanze.
Pertanto gli interventi più frequenti erano rivolti al trattamento della calcolosi (vescicale e renale secondarie a
infezione urinaria cronica) o alla riparazione spesso infruttuosa di fistole uretrali indotte da un prolungato e inadeguato posizionamento del catetere a dimora (Fig. 2).
neurologica. Sono via via diventati più frequenti gli interventi con l’obiettivo di mantenere un adeguato e continente serbatoio vescicale, quali quelli rivolti alla riduzione delle pressioni vescicali (rizotomia sacrale posteriore,
enterocistoplastica ) o all’aumento delle resistenze uretrali (sling autologhi, sfintere artificiale) (Fig. 3) per ovviare
all’incontinenza, pur producendo una ritenzione urinaria.
Questi due diversi indirizzi chirurgici, che talora si attuano contemporaneamente in particolari casi di vescica
iperattiva o di ridotta compliance e difetto dei meccanismi di chiusura uretrali, si sono mantenuti fino ai giorni
nostri. È rimasta la chirurgia di abbandono del basso
tratto urinario con derivazione urinaria continente o incontinente nei casi di impossibile recupero dell’utilizzo
della via uretrale o nei casi in cui non è gestibile il cateterismo intermittente per problemi assistenziali.
Figura 3.
Sfintere
artificiale.
Figura 2. Uretrocele e
fistola uretrale da catetere a dimora in vescica
neurologica.
Nei casi più complicati non era infrequente ricorrere
a nefrectomie o cistectomie con derivazioni urinarie non
continenti. Per prevenire il posizionamento del catetere
si ricorreva talora alla sfinterotomia, in particolare nel
maschio, con l’ovvia conseguenza della comparsa oppure di un peggioramento dell’ incontinenza urinaria.
Anni Ottanta
L’introduzione del cateterismo intermittente ha influito notevolmente sugli indirizzi chirurgici nella vescica
14
Chirurgia rivolta all’aumento della capacità
vescicale
Una vescica iperattiva o di ridotta compliance e di
bassa capacità è causa non solo di incontinenza urinaria, ma anche di elevate pressioni intravescicali, che possono causare un danno all’alto tratto urinario con possibile evoluzione verso l’insufficienza renale, e di infezioni
urinarie ricorrenti spesso febbrili per l’interessamento renale o prostatico. La chirurgia di aumento della capacità
vescicale si è tradizionalmente avvalsa dell’utilizzo di un
segmento intestinale che, isolato dalla sua continuità,
viene detubularizzato e applicato sulla vescica aperta.
Diversi tratti intestinali sono stati impiegati. Attualmente
l’ileo risulta il segmento intestinale migliore nell’ottenere
Il punto di vista di...
più basse pressioni all’interno della vescica ampliata. Lo
stomaco che non produce muco e non riassorbe idrogenioni, può essere un’alternativa nei casi in cui si sia
già instaurata una insufficienza renale, ma può indurre
una cistite chimica sulla vescica residua. Nei casi in cui
è presente un rene escluso può essere utilizzato l’uretere
fino al bacinetto renale. Il vantaggio è l’assenza di
produzione di muco, tuttavia il miglioramento della compliance vescicale è inferiore.
Negli anni novanta si è osservato il risorgere di una
chirurgia di autoampliamento vescicale già proposta in
passato e poi abbandonata. Consiste nel rimuovere
buona parte del detrusore conservando la mucosa sottostante a creare una sorta di grosso diverticolo. Tuttavia non è sempre facile separare la mucosa dal
detrusore senza lacerarla e così compromettere
l’efficacia dell’intervento ed inoltre le riduzioni pressorie
ottenibili sono comunque inferiori a quelle osservate con
l’ampliamento intestinale.
Chirurgia rivolta all’aumento delle resistenze
uretrali
Nei casi di incontinenza urinaria indotta da un deficit
dei meccanismi di chiusura uretrali, la chirurgia si è avvalsa inizialmente dell’utilizzo di sling autologo ovvero un
nastro di tessuto tendineo in genere prelevato dalla fascia dei muscoli retti dell’addome e fatto scorrere sotto
l’uretra come una fionda e poi ancorato di nuovo alla
fascia muscolare sul lato opposto. Pur attuando una
discreta tensione, per l’assenza di timore di provocare
una ritenzione urinaria, frequentemente anche questa
chirurgia si è rivelata inefficace nell’ottenere la continenza e pertanto si è frequentemente fatto ricorso all’utilizzo
dello sfintere artificiale con il posizionamento della cuffia
attorno al collo vescicale. Anche questa chirurgia non è
esente da complicazioni come l’infezione della protesi o
l’erosione dei tessuti con affioramento dei suoi componenti nel tratto urinario a contatto con le urine e con
conseguente formazione di calcolosi urinaria. Questo
tipo di chirurgia va comunque eseguita non prima di
aver accertato la sussistenza di una buona capacità e
compliance vescicale per non incorrere in possibili danni
all’alta via escretrice.
Avvento della chirurgia mininvasiva
Più recentemente la chirurgia mininvasiva si è via via
sostituita per raggiungere lo stesso scopo di ridurre le
pressioni vescicali (tossina botulinica detrusoriale, neuro
modulazione sacrale o del pudendo) o di aumentare
quelle uretrali (iniezioni di sostanze volumizzanti
nell’uretra, sling eterologhi sottouretrali.)
La tossina botulinica è stata applicata inizialmente in
neurourologia per trattare la dissinergia sfinterica, mediante infiltrazione nello sfintere uretrale, e raggiungere
così lo stesso risultato della sfinterotomia (Fig. 4). Attualmente l’impiego prevalente è per l’iperattività vescicale neurogena resistente alla terapia antimuscarinica.
Sebbene questo utilizzo sia ancora ancora off-label, esiste ampia evidenza scientifica della efficacia del trattamento, sia pur temporanea, e della sua sicurezza d’uso.
I dosaggi più utilizzati sono di 300 UI di Botox oppure di
750 UI di Dysport che consentono la maggior durata (da
6 a 18 mesi, in media 1 anno) senza effetti collaterali se
non la necessità di eseguire il cateterismo intermittente.
Figura 4. Infiltrazione
trans uretrale
di tossina botulinica
nello sfintere uretrale.
La neuromodulazione sacrale, nonostante le consistenti aspettative derivate dai buoni risultati ottenuti
nelle disfunzioni vescico-sfinteriche non neurogene, è di
ridotta utilità nel trattamento della vescica neurologica.
Qualche beneficio si può ottenere in casi di lesione neurologica incompleta, come nella sclerosi multipla, o con
la stimolazione del nervo pudendo per il controllo
dell’iperattività detrusoriale, nel qual caso il posizionamento dell’elettrodo deve essere guidato elettrofisiologicamente. Considerati gli elevati costi e l’esperienza necessaria, questa indicazione dovrebbe essere per ora
limitata a studi controllati.
L’iniezione endo o periuretrale di sostanze volumizzanti si è andata via via affermando negli anni novanta.
Queste sostanze, in particolare il Teflon, già in passato
impiegate per il trattamento endoscopico del reflusso
vescico-ureterale, sono state poi utilizzate generalmente
per via endoscopica transuretrale per iniezione sottomucosa nel collo vescicale in 2 o 4 punti fino ad ottenere
una chiusura del lume. Nel tempo sono entrate in uso
svariate sostanze come il silicone, il collagene bovino, il
copolimero di ac.ialuronico e destranomero, la coaptite
e più recentemente il bulkamid. Si tratta di una tecnica
facile da eseguire anche in regime ambulatoriale, ma
costosa e con percentuale di successo completo a lungo termine in genere solo del 5%.
Gli sling eterologhi medio uretrali sono stati introdotti ormai da 15 anni. Anche se la tecnica mininvasiva
è nata tension free per consentire la normale minzione
spontanea, è stata applicata anche nel deficit uretrale
neurologico con intenti occlusivi, in virtù della sua minor
invasività rispetto agli sling autologhi. In effetti
nell’incontinenza neurologica da sforzo è preferibile la
tecnica retropubica alla transotturatoria, per il miglior effetto occludente, ed è indispensabile la contemporanea
correzione della iperattività vescicale e l’attuazione del
15
Florilegio Urodinamico
cateterismo intermittente. Attualmente sono indicati per
il sesso femminile, mentre nel maschio neurologicogli
insuccessi e le complicanze sono nettamente maggiori.
Attualmente
Attualmente oltre alle problematiche già affrontate di
come ridurre le pressioni vescicali e come aumentare le
resistenze uretrali è sorta una nuova situazione di difficile
gestione ovvero come gestire la mancata o difficoltosa
attuazione del cateterismo intermittente.
ampliata. Sono infatti possibili peggioramenti anche tardivi e asintomatici della funzionalità dell’alto apparato urinario oppure l’insorgenza di calcolosi renale o vescicale
favorite dalle infezioni urinarie ricorrenti o dal mancato
completo svuotamento del muco e sovradistensioni
vescicali con possibilità di perforazioni. Un problema
emerso con l’allungamento del follow up di questi casi è
la sia pur rara possibilità di insorgenza di neoplasie
nell’intestino utilizzato per l’ampliamento, dopo almeno
10 anni dall’intervento. Per tale possibilità si suggerisce
oggigiorno di eseguire dopo 10 anni dall’intervento un citologico urinario ogni 6 mesi ed una cistoscopia ogni
anno.
Per l’aumento delle resistenze uretrali la chirurgia attuale si avvale sempre dell’utilizzo dell’iniezione di
sostanze volumizzanti nell’uretra prossimale come prima scelta mininvasiva (Fig. 6).
Figura 6. Iniezione di
sostanza volumizzante
nel collo vescicale.
Figura 5. Algoritmo del trattamento delle alte pressioni
vescicali.
Come appare dall’algoritmo (Fig. 5) la minzione riflessa nella vescica iperattiva neurogena (percussione
sovra pubica)è attuabile solo quando non sono presenti i
fattori di rischio descritti, altrimenti conviene optare per il
cateterismo intermittente associato agli antimuscarinici
oppure ricorrere ai trattamenti chirurgici minivasivi se efficaci o di chirurgia maggiore se necessario per ridurre le
alte pressioni vescicali. La chirurgia maggiore si avvale
ancora oggi, quando non è disponibile l’uretere, dell’uso
dell’intestino preferibilmente dopo rimozione della vescica
conservando solo il trigono ed il collo vescicale oppure
previa rimozione della mucosa e applicazione della sola
parete muscolare intestinale alla mucosa vescicale privata del detrusore. L’esperienza di questa chirurgia ha portato infatti alla necessità di asportare il più ampiamente
possibile il tessuto vescicale neurologico ed attualmente
più di un ampliamento si parla di sostituzione per evitare il
cosiddetto svuotamento a clessidra che può produrre un
residuo pur attuando il cateterismo intermittente o per il
persistere di pressioni elevate che sono deleterie per l’alto
tratto urinario. Non è necessario il reimpianto ureterale se
non nei casi di stenosi intramurale o di reflusso di alto
grado. È comunque importante un attento e costante follow up per la possibile insorgenza di complicazioni anche
a distanza di tempo. Oltre al consiglio di assumere integratori che riducono la produzione di muco intestinale o
di instillare mucolitici al termine del cateterismo e di mantenere un ph urinario acido, occorre un controllo periodico del volumi urinari, della funzionalità renale, dell’equilibrio
idroelettrolitico, della morfologia e funzione della vescica
16
Si è tuttavia sempre alla ricerca della sostanza ideale
che, oltre alla tollerabilità e maneggevolezza, consenta
un risultato duraturo nel tempo. Risultati migliori si ottengono con gli sling eterologhi sottouretrali nella donna
o autologhi nel maschio ed in alternativa con l’utilizzo
dello sfintere artificiale che tuttavia espone al rischio di
maggiori complicanze.
Attualmente la sfida più impegnativa della chirurgia
nella vescica neurologica si rivolge alla gestione della
mancata o difficoltosa attuazione del cateterismo intermittente, per perdita della destrezza manuale, mancata
assistenza domiciliare, presenza di un’uretra non sondabile o con incontinenza da sforzo non rimediabile oppure
per dolore al cateterismo. In alcuni di questi casi selezionati si può ricorrere all’applicazione di uno stimolatore
delle radici sacrali, all’utilizzo del principio di Mitrofanoff
oppure alla creazione di una derivazione urinaria continente o incontinente.
Lo stimolatore delle radici sacrali ideato da Brindley
consiste nell’applicazione per via intra o extra durale di
elettrodi sulle radici motorie sacrali mentre si procede
alla rizotomia delle radici sensitive (Fig. 7). È indicato
pertanto nelle lesioni neurologiche complete con arco
diastatico conservato. Consente di ottenere una minzione elettrostimolata e, più raramente, cambiando i parametri di stimolazione, di evacuazione ed
erezione elettricamente indotte. Tuttavia può comportare la perdita di erezioni e lubrificazioni vaginali riflesse. Richiede infine la necessità del trasferimento ai
servizi igienici o della capacità di usare un raccoglitore
urinario esterno.
Il punto di vista di...
Figura 7. Applicazione dello stimolatore delle radici sacrali
di Brindley.
Il principio di Mitrofanoff prevede la creazione di un
tramite continente tra la vescica e la parete addominale.
Solitamente viene usata come prima scelta l’appendice
ed in alternativa l’uretere o l’ileo (Monti). Può essere associato un ampliamento vescicale e può essere chiuso il
collo vescicale nei casi di grave incontinenza urinaria da
sforzo. Consente un cateterismo più agevole attraverso
un tramite facilmente visibile e raggiungibile. Le complicanze sono rappresentate prevalentemente dalla possibile insorgenza di stenosi o incontinenza del tramite.
Quando la vescica non è più recuperabile bisogna
rimuoverla, nel maschio risparmiando le vie seminali e i
nervi per l’erezione, e creare una derivazione incontinente per chi non può gestire un cateterismo intermittente o continente mediante creazione di un serbatorio
intestinale detubularizzato e reconfigurato che si svuota
con il cateterismo intermittente attraverso un tramite
come quello descritto per il principio di Mitrofanoff. Anche in questo caso le complicazioni non sono infrequenti come quelle descritte per l’ampliamento vescicale o il
principio di Mitrofanoff.
Futuro
La disponibilità di cellule staminali e di biomateriali
potrà rivoluzionare la chirurgia della vescica neurologica
e ridurre le complicanze che ancora la affliggono attualmente sia pur in misura ridotta e diversa rispetto al passato. Ancora tuttavia queste nuove metodiche non hanno prodotto i risultati attesi.
17
Florilegio Urodinamico
La tecnologia applicata
alla riabilitazione della
incontinenza urinaria:
serve davvero?
IL PUNTO DI VISTA di Antonella Biroli, fisiatra,
Responsabile di S.S. Riabilitazione Neurologica e Disfunzioni
Autonome, Ospedale S. Giovanni Bosco, Torino
L’
utilizzo degli strumenti tecnologici in ambito riabilitativo è un argomento che ha sempre goduto di
numerosi sostenitori e numerosi detrattori a seconda della impostazione culturale e della appartenenza
professionale dell’autore dell’opinione. Per superare però il
livello imposto dalla opinione è necessario analizzare la
questione sotto diversi punti di vista.
In primo luogo occorre considerare se la tecnologia è
da considerarsi da applicare al campo della diagnostica
della incontinenza stessa, a quello della valutazione del
pavimento pelvico o infine a quello del trattamento riabilitativo.
Sotto il profilo della diagnostica della incontinenza in
generale, sono comunemente note le raccomandazioni
della 4th International Consultation on Incontinence (ICI) in
merito all’utilizzo di approfondimenti diagnostici oltre
all’esame obiettivo, e pertanto non si entrerà ulteriormente
nel dettaglio.
Sotto il profilo valutativo del pavimento pelvico (PP),
essendo ben nota la difficoltà a standardizzare la valutazione obiettiva della funzionalità dello stesso, l’apporto di una
metodologia strumentale può rivelarsi utile ai fini di studio,
pur non essendo in alcun modo provato che questo possa
apportare delle modifiche alle indicazioni terapeutiche.
In questo senso la tecnologia offre la possibilità di utilizzare varie metodiche, con una maggiore possibilità di oggettivazione della rilevazione rispetto alla valutazione manuale. La rilevazione può essere allora di vario tipo:
manometrica, attraverso rilevatori della pressione esercitata dai muscoli intorno ad una sonda vaginale o anale; elettromiografica, con utilizzo di elettrodi di superficie montati
su sonde; dinamometrica, attraverso misurazione della forza esercitata dall’elevatore dell’ano nell’avvicinamento di
due bracci di una pinza, appoggiati sulle pareti laterali o
anteroposteriori della vagina. Anche tecniche di imaging
come la ecografia o la RMN o la defecografia possono fornire degli indici indiretti di funzionalità del pavimento pelvico
18
attraverso la misurazione delle variazioni spaziali di punti di
riferimento durante l’attività del PP, oltre a fornire dati sulle
condizioni anatomiche dello stesso.
In realtà la valutazione manuale rimane però la più utilizzata modalità di valutazione del pavimento pelvico per la
sua facile applicabilità, nonostante non esista una scala di
forza validata e condivisa a livello internazionale. D’altra
parte anche le tecniche sopra descritte presentano delle
variabili che ne inficiano la affidabilità (posizionamento della
sonde, anatomia individuale, variazioni di impedenza e fenomeni di cross-talking per le tecniche EMG, entità della
insufflazione della sonda e variazioni pressorie non dovute
a attività del PP per le tecniche manometriche...), senza
tenere conto che l’unica vera rilevazione di forza è costituita dalla dinamometria, essendo gli altri solo indici indiretti
della forza stessa (spostamenti, pressioni, attività EMG).
L’ultimo profilo da considerare è quello dell’utilizzo della tecnologia nell’ambito del trattamento riabilitativo della incontinenza, sia essa maschile o femminile.
La tecnologia a disposizione della riabilitazione della
incontinenza non neurogena fornisce strumenti di biofeedback, di elettrostimolazione, di stimolazione magnetica,
oltre a strumenti meno utilizzati nell’ambito della incontinenza isolata da altre disfunzioni dell’area pelvica, se non
per indicazioni specifiche, come la ultrasuonoterapia.
Il biofeedback (BFB) consiste nell’utilizzo di uno strumento in grado di trasformare dei segnali provenienti da
una attività del nostro organismo e scarsamente percepiti,
in altri segnali, per esempio di tipo uditivo o visivo, più facilmente percepiti dal soggetto. Il suo utilizzo rientra quindi in
un contesto di apprendimento come facilitatore, in quanto
restituisce informazioni (feedback) sull’ attività corporea di
interesse.
La elettrostimolazione (ES), definibile come l’applicazione di uno stimolo elettrico ad un muscolo o ad un nervo
allo scopo di ottenere degli effetti motori o sensitivi, prevede in realtà numerose metodiche differenti tra loro per sede
Il punto di vista di...
di stimolazione (perineale, vaginale, anale, sacrale, in prossimità del nervo tibiale posteriore, vescicale), forma d’onda, frequenza, durata dello stimolo, durata dei treni di impulsi, durata delle sedute, intensità dello stimolo. La
variabilità corrisponde ad una varietà di indicazioni ed
obiettivi, pur nella consapevolezza che proprio questa diversità corrisponde ad una mancanza di certezza su quali
siano i parametri più corretti di stimolazione. Infatti i parametri utilizzati, nonostante i protocolli proposti spesso con
assoluta certezza, già memorizzati negli apparecchi in
commercio, spesso derivano più da impostazioni iniziali di
un Autore, suffragate da basi razionali, che da evidenze
certe sul fatto che realmente siano i più efficaci.
La stimolazione magnetica (SM) è una metodica che
sfrutta un campo magnetico per stimolare nervi e muscoli
senza il contatto con cute e mucose. I parametri del campo elettrico indotto seguono quelli maggiormente utilizzati
in elettrostimolazione classica.
Anche nel caso dell’uso della tecnologia nel trattamento riabilitativo, l’argomento è da trattare tenendo conto di 3
diversi punti di vista:
- Dal punto di vista storico, l’utilizzo della tecnologia in
riabilitazione della incontinenza urinaria, nonostante la
diffusione già precedente degli esercizi di Kegel, vede il
suo maggior sviluppo dopo la pubblicazione dei primi
lavori di Erlandson e Fall del ‘77.
Negli anni successivi la riabilitazione della incontinenza
si identificò quasi completamente con la elettrostimolazione, prevalentemente vaginale. È interessante sottolineare come invece in ambito di riabilitazione della incontinenza anale la maggior enfasi sia sempre stata
data all’utilizzo degli strumenti di biofeedback, tanto da
considerare il termine come sostitutivo del termine riabilitazione. Tali fenomeni corrispondono ai diversi filoni
di ricerca, talora influenzati anche da “mode”, che si
sono prevalentemente o per primi sviluppati in ambito
urologico differentemente da quello proctologico. Solo
successivamente si è assistito ad un ampliamento della riabilitazione con l’utilizzo di diversi tipi di strumenti.
- Dal punto di vista delle evidenze riportiamo le conclusioni della 4th ICI del 2008 ( i gradi di raccomandazioni
e i livelli di evidenza sono quelli utilizzati dalla stessa
fonte), così sintetizzabili:
• per la incontinenza femminile non pare esserci beneficio dall’aggiunta del BFB ambulatoriale (grado A) o
domiciliare (grado B) agli esercizi del pavimento pelvico
• vi è una maggiore probabilità che le donne riferiscono
soggettivamente miglioramento o cura della incontinenza con esercizi per il pavimento pelvico – pelvic
floor muscle training (PFMT)- che con la ES (livello 1),
per quanto in un trial singolo non vi sia differenza significativa tra i risultati ottenuti dall’una e dall’altra terapia
in termini di episodi di IU (livello 2). Si conclude affermando che il PFMT è meglio che la ES per il trattamento della IU (grado B).
• la ES potrebbe essere meglio che nessun trattamento
in donne con IUS (6 mesi di stimolazione domiciliare
quotidiana a 50 Hz) e iperattività detrusoriale (9 settimane di ES biquotidiana a 4 e 10 Hz) (livello 2, grado C)
• non vi sono ancora attuali raccomandazioni per la stimolazione magnetica in relazione ai pochi studi, piccoli campioni, e variabilità di applicazione (stimolazione
ambulatoriale delle radici sacrali, sedia magnetica, apparecchi domiciliari)
• per la incontinenza maschile dopo prostatectomia radicale secondo le evidenze non appare esserci beneficio dall’aggiunta di BFB o ES al PFMT nel miglioramento della incontinenza (Livello 2). Non vi sono dati
sufficienti per definire l’efficacia della ES nella IU maschile e ancora meno per definire quella della Stimolazione magnetica.
Anche una scienza come quella della Medicina basata sulle evidenze (EBM) va comunque utilizzata a sua volta come
strumento sulla base del quale ragionare. La prima considerazione è che la assenza di evidenze a favore di una terapia non nocessariamente significa la assenza di efficacia.
Allo stesso modo l’assenza di superiorità di un trattamento
rispetto all’altro non significa inefficacia. Inoltre l’utilizzo di
campioni non selezionati (per esempio tutte le incontinenze, senza distinzione tra sesso femminile e maschile o senza selezione tra incontinenza da sforzo, da urgenza o mista, o infine tra soggetti con differenti condizioni funzionali
tra le quali la performance del pavimento pelvico) può non
consentire di far emergere informazioni sulla utilità di quella
terapia in campioni selezionati per indicazione.
- Venendo quindi all’ultimo punto di vista da cui osservare la tecnologia nel trattamento riabilitativo, è compito
del medico valutare i vari strumenti per quelle che sono
le potenzialità e le modalità di utilizzo. In definitiva si
tratta di decidere quali obiettivi potrebbero essere raggiunti all’interno del progetto riabilitativo individuale con
quello strumento e con quale modalità utilizzarlo, sulla
base della valutazione funzionale del paziente. A titolo
di esempio, l’opportunità di far percepire ad un soggetto con basso testing perineale e bassa consapevolezza del pavimento pelvico la contrazione indotta da una
elettrostimolazione vaginale può costituire un obiettivo
riabilitativo. L’utilizzo di una elettrostimolazione quale la
stimolazione del nervo tibiale posteriore in una vescica
iperattiva che non risponda o presenti bassa compliance al trattamento chinesiterapico può rappresentare
una opportunità terapeutica alternativa alla strada farmacologica. In presenza di casi in cui il pavimento pelvico sia scarsamente sotto il controllo volontario del
soggetto e orientato verso una iperattività, il biofeedback può essere utile per apprendere la capacità di rilassare questa muscolatura.
In definitiva nell’ambito di un progetto riabilitativo individuale è necessario tenere conto di vari fattori nella scelta degli
strumenti terapeutici offerti dalla tecnologia: l’efficacia, le
indicazioni, i costi, sia per il servizio sanitario che per il paziente, i tempi, la disponibilità, ed infine la ricerca, utile per
fornire informazioni utili sulle numerose domande cui ancora rispondere in questo campo.
19
Florilegio Urodinamico
Ma vi ricordate dei pennini?
IL PUNTO DI VISTA di Aldo Tosto, Urologo,
Responsabile Ambulatorio di Urodinamica S.O.D. Urologia I e II,
Azienda Ospedaliera Università Careggi, Firenze Coordinatore GIR Toscana
Q
uando davanti ad un albergo di Verona, che ci
vedeva ospiti per il Congresso Nazionale, Marcello mi rivolse d’improvviso, la domanda che
da lo spunto a questo contributo, pensai “siamo stanchi
caro amico mio…”. Poi motivò la domanda ed il senso
che intendeva dare alla proposta di scrivere un breve testo per il sito societario ( ed è questo –credo- il motivo del
successo della nuova versione del sito: c’è qualcuno che
“ci pensa” anche quando si “cazzeggia” fra amici) ed allora eccomi ad accontentare non solo lui ma anche me
stesso per l’occasione che mi viene data di trasmettere
ad amici e lettori del sito qualcosa della nostra passione
professionale: non solo un “àmarcord” dunque, ma la
speranza di suscitare qualche curiosità o spunti di approfondimento e riflessione per le “new waves” dell’Urodinamica (oggi molto più rare che in passato) e, forse, anche
per noi vecchi... Diceva Vitaliano Brancati che le cose che
abbiamo fatto senbrano appartenerci per la vita e per la
morte eppure rischiamo di cancellarle anzitempo se non
riusciamo più a ricordarle: il mio esordio nel mondo
dell’Urodinamica e dei suoi tracciati è stato segnato in
qualche modo da un ” pennino”: l’unico presente sull’apparecchio che andavamo ad ereditare “noi giovani” del
primo anno di specialità (il sottoscritto, Andrea Rinnovati
e Stefano Tenti) dall’Urodinamista di Clinica del tempo
(era la fine del 1980), che aveva deciso di smettere con la
Medicina per dedicarsi ai più proficui affari di famiglia.
Era un cistomanometro a CO2, Heyer-Schulte (posso
fare nomi e cognomi di tutti i “pennini” in cui mi sono imbattuto perché sono di ditte scomparse dal mercato, con
quella marca almeno…) dotato di un registratore elettromeccanico ovvero con un “pennino” montato su una guida solidale con il telaio e con una resistenza termica in
punta per “impressionare” sul rotolo di carta “termica”, i
movimenti dettati dalla frequenza elettrica dell’evento misurato. Con questo strumento, però, ottenevamo una
traccia “spessa” (almeno 4mm ), assolutamente impresentabile e difficilmente interpretabile per le oscillazioni
minori (i famosi 15 cm/H2O primo “cut off” delle contrazioni autonome per essere considerate elementi di “instabilità” vescicale). Per mia buona fortuna (i miei co-equipier
dell’epoca mi lasciarono presto da solo a “sfangarmela”…), dopo pochi mesi, arrivò il nuovo apparecchio che
20
era già stato commissionato dal vetero-urodinamista di
Clinica, il Prof. Ottavio De Dominiciis: un pezzo “unico” di
brevetto americano, un apparecchio compatto multicanale (AMSi-4channel) sistemato su un carrello poco ingombrante e facilmente trasportabile (una vera rivoluzione rispetto ai sistemi multicanale allora in uso che
viaggiavano su ingombranti trolley multipiano) comprensivo di modulo per elettromiografia e profilometro, assolutamente avveniristico per l’epoca e che era dotato di un
registratore a quattro piste (e quattro “pennini”) con cui si
ottenevano tracce eleganti e leggibilissime, almeno fintanto che l’amministrazione dell’Ospedale ci approvvigionò della carta “originale”. Poi, questa, era cara, “troppo
cara” e il Provveditore (così si chiamava in quegli anni il
“Signore degli Acquisti” nel nostro Ospedale) mi chiese di
provare con le altre carte termiche a disposizione
dell’Ospedale con risultati -naturalmente- meno validi. A
quei tempi, forte dell’entusiasmo del neofita e delle conoscenze che andavo acquisendo con una pratica “continuativa” e le “girate” fuori dal mio microcosmo (a Bologna, Magenta…) mi sforzavo di far capire ai miei
interlocutori l’importanza della risposta in frequenza nella
misurazione delle grandezze fisiche che andavamo a misurare nel corso dell’esame urodinamico e che i nostri
“pennini”, per scrivere, erano dotati di speciali micro resistenze elettriche la cui temperatura di esercizio era stata
“calcolata” per quella determinata carta e per le velocità
di scorrimento da noi adoperate nella pratica clinica. Comunque, l’apparecchio “andava” lo stesso, con tracce
meno eleganti ma pur sempre leggibili e soprattutto misurabili. In quei primi anni da Urodinamista di una delle più
rinomate Scuole Urologiche nazionali mi sforzavo di curare al massimo il dettaglio e la precisione del risultato da
“presentare”, soprattutto perché bisognava selezionare
accuratamente i tracciati che andavano corredati di “scale e legende” e poi fotografati per le riproduzioni su stampa o su diapositiva : quindi occorreva la cura del dettaglio
ma imparai presto le tecniche di sopravvivenza in attesa
di tempi migliori: intanto, i mezzi a disposizione erano
quelli che erano e bisognava fare più del “nostro meglio”
e non arrendersi mai. A mitigare la delusione da perfezionista frustrato mi venne incontro una lezione carpita nel
breve soggiorno parigino alla scuola francese di Jean Ma-
Il punto di vista di...
rie Buzelin: più della precisione della curva, cura la precisione della misura, ovvero meglio esprimersi approssimativamente con tracce e commenti che “misurare
approssimativamente”. Nel libro che traducemmo dal
francese, io e Bruno Rovereto, fra il 1984 ed il 1985, si
poteva leggere: “… dall’epoca in cui la colonna d’acqua
serviva a misurare la pressione in vescica, gli strumenti di
misura hanno raggiunto un elevato grado di precisione e
di possibilità di impiego, migliorando quindi la quantità e
la qualità delle informazioni deducibili da un nostro esame… e tuttavia questo non ha risolto tutti i problemi”
(nemmeno ai giorni nostri, dominati dal digitale, n.d.t. )
“perché se è sempre più facile ottenere una bella curva o
una cifra precisa sono sempre di più anche gli artefatti di
misura da dover identificare, analizzare e correggere”.
Concetto più che mai attuale e riconducibile al moderno “ post-processing”, fondamentale per arrivare alla
corretta
interpretazione dei risultati. Il nostro rapporto di comunicazione/relazione con la funzione che vogliamo studiare (il riempimento vescicale, lo svuotamento, i segnali
mioelettrici dei piani muscolari) è costituito da “grandezze
fisiche” – ad esempio, le pressioni endocavitarie - che subiscono un certo numero di “ influenze” nel percorso dal
punto di registrazione, il forellino del canale dedicato, sul
catetere, al trasduttore che le trasformerà in una grandezza elettrica a sua volta da trasmettere ad un sistema di
registrazione: l’elettronica con i sistemi di filtraggio e di
soppressione dei disturbi può “ mascherare” meglio gli
artefatti rispetto ai vecchi registratori a “pennino” ma, paradossalmente, questo deve portarci ad una maggiore
attenzione a tracce e misure, rispetto al passato: lo sbaffo
sulla carta termica era il segnale inequivocabile di una interferenza significativa nella nostra misurazione, una micro variazione su un monitor può passare inosservata e
finire “processata”. Insomma, anche con i sistemi computerizzati di oggi si può incorrere nel rischio di errori ed
omissioni e, forse, è più difficile rendersene conto prontamente e si tende a dar “troppa” fiducia al mezzo che utilizziamo.
Rimpianti ? No, assolutamente.
Tanti altri sistemi a “pennini” sono passati sotto il mio
vaglio d’esercizio: dai mitici danesi (DISA, poi Dantec) ai
tarocchi nostrani (Polman) e tanti chilometri di carta termica giacciono nei nostri depositi, difficilmente rivisitabili ed
interpretabili, quindi buoni per il macero. Oggi abbiamo la
possibilità di rivedere e reinterpretare –se serve- tracciati
e risultati derivati ed inoltre si consuma –opportunamente- meno materiale che in passato.
Ma pure nell’epoca in cui ai registratori a penna termica, almeno nel nostro settore ma credo anche in tutti i
campi della fisiopatologia clinica, è dato un ruolo e quindi
uno spazio marginale, definitivamente superati dall’acquisizione digitale di segnali in partenza analogici, spero di
essere riuscito a “trasmettere” (non solo con questo contributo ma nella mia quotidiana pratica professionale e
tutoriale…) il “piacere” dell’attenzione “artigianale” a quello che si fa, al materiale che si usa, all’appropriatezza dei
software che ci vengono forniti come “top-gun” perché
rispondenti a severi criteri internazionali (?) e questo specialmente all’inizio delle nostre esperienze lavorative. Insomma, quanto meno, i “pennini” ci hanno lasciato in
eredità una sana diffidenza dal “certo assoluto” e questo
atteggiamento è l’unico -a mio parere- che previene dannosi fenomeni di “presunzione” ed errori spesso supportati non solo da disattenzione ma anche da una profonda
ignoranza ( nel senso della “non conoscenza”…) di quello
che, appunto, si va facendo.
Foto: con Bruno Rovereto, apprendista urodinamista, nel
1984, nel Laboratorio di Urodinamica, al 2°piano di Villa
Monna Tessa. In ordine dall’alto, il cistometro HeyerSchulte ed il mitico AMSi-4ch.
21
Florilegio Urodinamico
Malattia di Parkinson e
iperplasia prostatica benigna
(ovvero i miti da sfatare)
IL PUNTO DI VISTA di Enrico Finazzi Agro’, Professore Associato,
Cattedra di Urologia, Università di Roma Tor Vergata, Roma
M
ito n. 1: Ma quale prostata, questo ci ha il
Parkinson!, ovvero: Ma quale Parkinson,
questo ci ha la prostata!
Se è vero che la malattia di Parkinson (MP) insorge fra
i 45 e i 65 anni, possiamo dire che affligge, nel sesso
maschile, lo stesso gruppo di persone interessate
dall’iperplasia prostatica benigna (IPB), ovvero gli uomini
dai 50 anni in su. È senz’altro vero che il 27-39% dei pazienti con MP presenta sintomi del basso apparato urinario (LUTS)1, tuttavia è difficile stabilire, nel paziente maschio, se la sintomatologia sia causata dalla patologia
neurologica o da quella urologica. Alcuni autori2 sostengono addirittura che non vi sia alcun legame fra MP e
LUTS e che questi ultimi dipendano, alla fine, solo dall’invecchiamento. Altri3 ritengono dipendano solo dalle comorbidità (nell’uomo, appunto, soprattutto l’IPB). Tuttavia
la grande maggioranza ritiene che la MP causi i LUTS
mediante meccanismi, non ancora del tutto chiariti, che
indeboliscono il controllo cerebrale sui centri pontini e midollari che regolano il basso apparato urinario. A prova di
tale teoria, si è dimostrato che vi è:
1. una correlazione fra gravità dei disturbi e disabilità
neurologica4,
2. una correlazione fra gravità dei disturbi e grado di deplezione dopaminergica5,
3. un miglioramento dei parametri urodinamici durante
terapia cronica con L-DOPA6.
Alla fine, però, poter dire con certezza, nel singolo
paziente con MP, maschio e over 50 anni, che i LUTS
siano di origine neurogena è difficile e, anche dopo l’esecuzione di esami invasivi di secondo livello, quali la valutazione urodinamica, possono rimanere dubbi… Quindi?
Quindi studiamo il paziente con attenzione e usiamo un
po’ di prudenza prima di sparare sentenze!
Eviteremo qualche brutta figura… (tutte no: errare humanum est!).
Mito n. 2: Ma che sei matto? Gli vuoi dare
l’antimuscarinico? Ma non hai visto che ha
l’IPB???
Questo era quello che ci sentivamo spesso dire quando, giovani neurourologi pieni d’entusiasmo, prescrivevamo allegramente un antimuscarinico (o meglio, un farma-
22
co ad azione mista, visto che disponevamo solo
dell’ossibutinina, a quei tempi…) ad un paziente maschio
con MP. Si provava a rispondere, argomentando che il
paziente svuotava la vescica in modo completo e che non
lamentava sintomi della fase di svuotamento (dicevamo
ostruttivi, allora), ma niente: il neurologo (o il medico di
base) ci prendeva per matti e/o per ignoranti. Per fortuna,
in seguito, ma molto più tardi, Abrams7 ha dimostrato
come la tolterodina fosse sicura anche in pazienti maschi
ostruiti, mentre Kaplan8 ha documentato come aumentasse l’efficacia della tamsulosina in pazienti con LUTS
della fase di riempimento.
Attualmente il trattamento dei LUTS del paziente con
MP è basato su queste due categorie farmacologiche:
alfalitici e antimuscarinici. E nessuno protesta più… Ma
non ci facciamo prendere dall’entusiasmo: ricordiamoci
di controllare il residuo postminzionale e, magari, il flusso
del paziente, prima di fare la prescrizione della terapia.
Prediligiamo antimuscarinici con pochi effetti sul sistema
nervoso centrale (Trospio, Tolterodina)1. E, se possibile,
quantifichiamo la gravità dei LUTS con un questionario
sintomatologico, anche per valutare i miglioramenti che
otterremo con la terapia: l’IPSS e l’OABq9 sono stati usati con buoni risultati nel paziente con MP.
Ricordiamoci infine di controllare, magari insieme al
neurologo, la terapia e i trattamenti ai quali il paziente è
sottoposto: il trattamento cronico (ma non quello acuto)
con L-DOPA sembra migliorare i LUTS della fase di riempimento10 e così anche il trattamento con stimolazione ad
alta frequenza del nucleo subtalamico11.
Mito n. 3: Gli vuoi fare la turp? Ma non sai che
ha il Parkinson? Lo renderai incontinente!
Questo è il “mito dei miti” del paziente con MP! Perché un poveretto con questa diagnosi non dovrebbe essere sottoposto a chirurgia disostruttiva, anche se ha una
prostata grande quanto un melone? Forse perché qualche studio, in passato, ha valutato i risultati della chirurgia
in gruppi di pazienti che comprendevano anche casi di
atrofia multisistemica (una grave forma di parkinsonismo,
con prognosi decisamente peggiore della MP): in tal
modo i risultati della chirurgia sono apparsi piuttosto deludenti1… Un recente studio retrospettivo12 ha invece
Il punto di vista di...
dimostrato che la TURP può essere efficace nella maggioranza dei pazienti con MP e che l’incontinenza, anziché comparire, scompare dopo chirurgia! Ovviamente, in
questa categoria di pazienti, la valutazione urodinamica
invasiva preoperatoria è obbligatoria: portiamo in sala
operatoria solo chi ne ha veramente bisogno!
Perché i miti si sconfiggono con la conoscenza e
l’esperienza, ma anche con la prudenza e la saggezza!
Bibliografia
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3)
4)
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Finazzi Agrò E, J Urol, 2003
Roth B, J Urol, 2009
23
Florilegio Urodinamico
Urodinamica: filosofia
o obiettività?
IL PUNTO DI VISTA di Massimo Leonetti, Urologo,
Responsabile di Urodinamica e Neurourologia, UO di Urologia,
Ospedale Pellegrini, ASL Napoli 1
V
oglio subito fare una premessa: non sono un
tipo incline ai sentimentalismi o a cui piace indulgere con i ricordi. Però queste riflessioni hanno
radici antiche e, perciò, profonde, radici che affondano
in un passato nel quale la maturazione personale andava al passo con quella professionale.
Mi spiego meglio; quando si parla di Società Italiana
di Urodinamica la mia mente non può fare a meno di
correre alla mia prima tessera di socio, quella che ogni
anno cambiava colore per intenderci, ed al primo congresso a cui partecipai. Per onestà devo dire che mi ci
ritrovai quasi per caso al congresso di Sorrento nel 1982
e che poche altre volte in vita mia mi sono sentito così
spaesato. La SIUD era molto giovane ed io pure, il congresso era affollatissimo e tutti mi apparivano molto sorridenti. Ricordo benissimo la confusione che regnava
nella mia mente per l’essermi ritrovato a stringere la
mano a strani tipi che facevano esperimenti sui gatti o a
coloro che, dall’altra parte dell’oceano, proprio in quegli
anni stavano scrivendo la storia di questa disciplina. A
me, fresco di studi “canonici”, i loro discorsi apparivano
quasi incomprensibili; la sensazione era quella di essere
piombato in mezzo ai membri di una strana setta o, meglio ancora, in mezzo a degli extraterrestri.
Nel corso degli anni, poi, ho più volte riflettuto su questa faccenda degli extraterrestri e, caso strano, ho associato la cosa con una bellissima canzone che ebbe allora
un gran successo: “Extraterrestre” di Eugenio Finardi. A
chi non la ricordasse (e fosse come me un po’ fissato con
la musica di quegli anni) la consiglio caldamente, nella sua
versione originale, come uno degli esempi più belli del
pop italiano. Bene, Finardi ci parla di un tipo che viveva in
un abbaino e che si esercitava continuamente per sviluppare quel talento latente che è nascosto nelle pieghe della mente. Quando alcuni anni dopo misi le mani sul mio
primo apparecchio di urodinamica (con tanti pennini e
carta termica, per capirci) anche io fui esiliato, praticamente, in un abbaino ed ancora oggi lavoro in una stanzetta dove “si fanno strani esami”. L’extraterrestre ero io.
Con il passare degli anni, però, cresceva dentro di
me lentamente la consapevolezza mista ad una dolce
sicurezza che ciò che studiavamo e testavamo fosse
l’unica via per ottenere risposte, risposte ai tanti quesiti
24
irrisolti che la clinica ci poneva. E così nel mondo tutti si
sforzavano di stabilire che se un flusso urinario massimo
era inferiore a un certo valore era patologico, che se una
pressione di chiusura dell’uretra non raggiungeva tanti
cm/H2O la paziente doveva inevitabilmente essere operata e così via.
Questo, ammettiamolo, non ci rese simpatici agli
urologi “vecchio stampo” anche perché c’era sempre
qualcuno di noi pronto a sbandierare, a supporto delle
sue tesi, grafici incomprensibili per il resto dell’umanità.
Furono anni di importanti prese di posizione nel mondo
scientifico e, aiutati anche dall’inevitabile ricambio generazionale, vincemmo la nostra battaglia. I nostri capi erano meglio disposti ad ascoltare le nostre valutazioni, i
colleghi cominciavano ad inviarci pazienti da studiare,
fiduciosi di avere le risposte che si aspettavano.
Sono davvero convinto che il grande pregio della
SIUD e di tutti gli “extraterrestri” che ne facevano parte
sia stato quello di non fermarsi alle certezze.
Ma dopo un po’ di tempo la sua sicurezza comincia
a dare segni di incertezza, si sente crescere dentro
l’amarezza. Perché adesso che il suo scopo è stato realizzato si sente ancora vuoto...
Rimettere in discussione tutto ciò su cui abbiamo
lavorato ed in cui abbiamo creduto? I concetti rigidi, i
numeri secchi sembravano non avere più il significato
che avevamo voluto dargli. Le metodiche ed i parametri
introdotti più recentemente (ad esempio la V.L.P.P., la
C.L.P.P. o la A.L.P.P.) stentavano a trovare una rapida
validazione.
Ho il ricordo vivissimo di discussioni accesissime fra
persone qualificatissime circa, ad esempio, l’utilizzo degli alfa-bloccanti nella donna. Quelle tesi che allora sembravano inoppugnabili dove sono finite ora? Si faceva
strada il concetto di “interpretazione” dell’esame urodinamico al di là della rigidità dei numeri. A mio avviso la
svolta epocale c’è stata quando è stato reintrodotto il
concetto di “urologia funzionale”. Di fatto il termine sottintende la comprensione dei “comportamenti” dell’apparato urinario, comportamenti che, come tali, vanno,
prima di tutto, interpretati con adeguata flessibilità mentale. Questo ci ha subito posto in difficoltà nei confronti
di coloro che ci affidavano i pazienti in attesa di risposte
Il punto di vista di...
che non sempre eravamo in grado di dargli. Certo le
standardizzazioni, le buone pratiche, l’utilizzo di un linguaggio comune ci stanno dando una mano, ma ammetto che oggi, nella mia attività quotidiana, gran parte
dell’impegno sta nel far comprendere agli altri quali risposte posso e quali non posso dargli.
Non è facile, potete immaginarlo, ma so di non esse-
re il solo ad avere di questi problemi, so di avere buoni
amici con cui discutere. E così, mentalmente, mi accarezzo le mie tesserine SIUD colorate, ripenso a cosa
avrebbero detto o fatto i padri dell’urodinamica italiana e
lascio stare in pace l’extraterrestre di Finardi.
Già, perché ho eletto a mio motto di vita il titolo di un
pezzo di Bennato: “Abbi Dubbi”.
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Florilegio Urodinamico
Il neuro-urologo nell’unità
spinale oggi
IL PUNTO DI VISTA di Roberto Carone, Direttore UOC di NeuroUrologia e del Dipartimento Mielolesioni, AO CTO- Maria Adelaide,
Torino. Presidente della Fondazione Italiana Continenza
C
onsiderazioni personali sulla base di
una esperienza… ultratrentennale.
Da quale pulpito e perchè?
Ad oltre venti anni dalla nascita dell’Unità Spinale di
Torino, che data al 1987, mi permetto di fare alcune considerazioni in merito all’evoluzione del concetto di Unità
Spinale Unipolare, in particolare per quanto concerne la
figura dello specialista Neuro-Urologo.
Il mio diretto impegno e coinvolgimento quale neurourologo risale in effetti a tempi ancora precedenti poiché
presi parte a tutto il processo di progettazione e costruzione dell’ Unità Spinale di Torino a partire dal 1977.
Ritengo opportuno soffermarmi su questo tema oggi
poiché, a mio giudizio, il ruolo del neuro-urologo nella Unità Spinale è andato modificandosi nel tempo.
Quale era l’Ipotesi iniziale?
L’ipotesi iniziale si basava sul concetto che il neurourologo dovesse necessariamente essere parte integrante dell’organico medico della Unità Spinale ed anche l’
esperienza piemontese si è basata su questi presupposti.
L’Unità Spinale della Regione Piemonte è stata istituita più
di 20 anni fa con apposita deliberazione della Giunta Regionale (D.G.R. n.171-18305) del 30 dicembre 1987. Nella delibera regionale venivano anticipati concetti oggi decisamente attuali e ben consolidati, in particolare dove si
afferma che “…l’unità spinale deve essere intesa non
come una struttura o un servizio a sé stante, bensì come
un modulo organizzativo e funzionale in grado di aggregare e integrare, sia per la fase dell’emergenza sia per la
fase di riabilitazione, interventi e attività di plurime e differenziate competenze specialistiche concorrenti…”. Nella
delibera quindi erano già delineati, in tempi non sospetti, i
presupposti concettuali, oggi più che mai attuali, di una
attività di tipo dipartimentale. La delibera del 1987 prevedeva “…l’istituzione rispettivamente di un Sevizio di Recupero e Rieducazione Funzionale con una dotazione di
n. 15 letti, nonché l’istituzione di una Divisione di Urologia
con una dotazione di n. 15 letti ”. Tale formula rendeva
quindi di fatto realizzabile il concetto di “organico medico
misto” che a quei tempi non era legalmente attuabile.
La neuro-urologia dentro o fuori dall’Unità
Spinale?
Lo sviluppo sul campo delle attività urologiche e riabi-
26
litative dei due reparti che costituivano l’Unità Spinale
portò in seguito ad una tale integrazione delle due figure
specialistiche tanto da giungere alla costituzione di un
vero organico misto. Il reparto di Unità Spinale era unico,
senza distinzione di letti, ed in esso lavoravano le due
equipe di urologi e fisiatri, realizzando così di fatto l’organico medico misto.
Nel frattempo la neuro-urologia è andata sempre più
evolvendosi, grazie anche alle conoscenze derivate dallo
studio della mielolesione. Per tale motivo il nostro lavoro
si è progressivamente rivolto ad altre patologie neurologiche sino a comprendere tutte le alterazioni funzionali
dell’apparato urogenitale, anche di origine non neurogena: al termine di neuro-urologia oggi si va sostituendo in
effetti il termine, di più ampio significato, di “Urologia Funzionale”.
Questo progressivo sviluppo concettuale ha portato,
in termini di organizzazione pratica, all’istituzione di una
Struttura Complessa di Neuro-Urologia (che prende quindi il posto della Divisione di Urologia di cui sopra), formalmente staccata dall’Unità Spinale ma ad essa fortemente
legata sia sul piano operativo sia su quello logistico.
Oggi esiste un Dipartimento di Mielolesione, istituito
presso la nostra Azienda nel febbraio 2000, al cui interno
è collocata, in sede centrale, l’Unità Spinale stessa ma nel
quale è anche presente, con una sua identità ben definita
e con specifica autonomia, una forte Struttura Complessa di Neuro-Urologia. Questa comprende un organico di
10 urologi, alcuni dei quali sono “distaccati” presso l’Unità
Spinale (alcuni a tempo pieno ed altri in con una percentuale di tempo dedicato, diversifica in base alle rispettive
funzioni). Il Direttore del Dipartimento delle Mielolesioni è
un Urologo.
Il neuro-urologo fuori… ma dentro
È nostra opinione che tale tipo di strutturazione (Dipartimento delle Mielolesioni comprendente sia L’Unità
Spinale che la Struttura Complessa di Neuro-Urologia)
rappresenti la condizione che consente di assicurare nel
migliore dei modi la presenza costante del neuro-urologo
(che non può e non deve essere considerato un consulente esterno) nell’Unità Spinale e nello stesso tempo permette a questa superspecialità una crescita autonoma
nella direzione della Urologia Funzionale che non può che
andare a vantaggio anche della mielolesione stessa.
Il punto di vista di...
Il coordinamento infermieristico
in un reparto di urologia a
vocazione neuro-urologica
IL PUNTO DI VISTA di Chiara Martina, Coordinatore Infermieristico,
UOC di Urologia e Unità Spinale, Ospedale G. Fornaroli,
Magenta (MI)
I
l ruolo e l’immagine dell’Infermiere Coordinatore in
questi ultimi anni si è evoluta sempre più verso
un’emancipazione professionale di responsabilità e
autonomia.
Il Coordinatore ha un’importanza “strategica” per
portare il gruppo a migliorare l’assistenza al paziente
sviluppando e ottimizzando le caratteristiche individuali di ogni Infermiere nel proprio ambito lavorativo.
L’assistenza Infermieristica nell’unità operativa di
Urologia a missione neuro-urologica ha una propria
specificità, richiede competenze sempre più qualificate
soggette a cambiamenti ed evoluzioni.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad importanti mutamenti nella modalità di organizzare l’assistenza:
siamo passati da compiti attribuiti a ciascun Infermiere
contenuti in un elenco ( “mansionario” abrogato con la
Legge 42/99 ), a prestazioni che si evolvono nel tempo,
che variano in funzione dei diversi ruoli che l’Infermiere
svolge attraverso elevati livelli di autonomia e responsabilità.
All’interno dell’U.O. di Urologia e/o Neuro-urologia il
Coordinatore deve favorire e mantenere questo processo assistenziale, attraverso una pianificazione corretta e
guidata.
Il Coordinatore deve creare un clima organizzativo
favorevole che consente ai professionisti di svolgere la
propria attività non in modo “passivo” ma sentendosi
“parte attiva” dell’organizzazione sanitaria.
Il clima organizzativo è una caratteristica fondamentale che esercita un’influenza positiva sugli opera-
tori e di riflesso anche sulla persona assistita.
Il paziente degente presso le Unità Operative di
neuro-urologia ha delle esigenze assistenziali particolari che richiedono spesso l’intervento di più professionisti; importante ad esempio è il lavoro svolto in equipe
per definire e mantenere i programmi riabilitativi delle
funzioni autonome.
Il Coordinatore all’interno di queste Unità Operative
deve partecipare alla pianificazione del percorso diagnostico terapeutico della persona assistita collaborando con il personale dei Servizi e delle strutture in
supporto all’unità operativa (ex strutture territoriali, laboratori, ufficio ausili, etc).
Da quanto esposto si evidenzia che il Coordinatore
Infermieristico ha un ruolo centrale all’interno delle Unità Operative di Urologia e/o neurourologia perché deve
gestire le risorse umane e garantire il lavoro interdisciplinare.
Il Coordinatore Infermieristico deve conoscere e
condividere le strategie aziendali che poi deve trasmettere agli operatori all’interno dell’Unità Operativa.
Spesso questo ruolo è difficile da realizzare perché
bisogna credere nel cambiamento e di conseguenza
motivare positivamente il personale all’inserimento di
nuove modalità organizzative ed innovative.
Nei diversi ambiti che abbiamo analizzato è fondamentale che il Coordinatore Infermieristico mantenga e
favorisca un clima di dialogo e confronto costruttivo
che facilitano lo svolgimento delle attività di ogni professionista all’interno dell’equipe assistenziale.
27
Florilegio Urodinamico
L’incontinenza urinaria
e l’assistenza territoriale:
Dalla narrazione della “vergogna”
alle incongruenze del sistema
IL PUNTO DI VISTA di Salvatore Campo, Responsabile Nazionale
dell’area urologica della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG),
Balestrate (PA)
L’
incontinenza urinaria, nella sua accezione scientifica, ha dei profili in parte definiti e in parte in
evoluzione, coerentemente al divenire dei saperi, perché spesso multifattoriale e derivata sia da cause
note sia da cause non verificabili.
La peculiarità del sintomo, con le inferenze di ordine
fisico e soprattutto psico-relazionale, comporta la necessità da una parte di conoscerne i determinismi, la diagnosi e le terapie, d’altra parte di comprendere le dinamiche
comportamentali, individuali e di sistema, che possono
influenzare la soluzione o attenuazione di un bisogno di
salute del cittadino.
Nello studio del medico di medicina generale (MMG),
la codifica del problema incontinenza urinaria avviene
spesso dopo tipologie di colloqui in cui il paziente, in maniera variegata, tira fuori dal suo vissuto il problema, porgendolo al medico quasi con la rassegnazione di chi è
certo di trovare solamente un atteggiamento compassionevole e, contestualmente, sentendosi liberato dalla rivelazione di uno stato, transitato da una lunga e negativa
elaborazione. Spesso il paziente teme di rappresentare il
problema al medico perché ritiene che non sia importante
e che non abbia una valenza sanitaria tale da meritare
l’attenzione del medico.
La comprensione di tale narrazione riconosce alcuni
determinanti, radicati in convincimenti che sembrano più
appartenere alla medicina popolare, e quindi non codificati scientificamente ma tramandati a voce da una staffetta intergenerazionale, che ad una visione adeguata alle
attuali conoscenze, e riassumibili in:
a. La donna in post-menopausa sa che la parità, la menopausa, giogo ineludibile dell’invecchiamento, e il
progredire dell’età sono componenti che rendono
quasi normale la presenza dell’incontinenza. Nella
sua normalità, il problema deve essere accettato e
semmai si possono mettere in atto strategie di camuffamento più che del disagio fisico di quello psichico,
mediato dalla percezione di condizioni di frustrazione,
28
di indebolimento dell’autostima, d’inadeguatezza relazionale e di vergogna.
b. Il maschio adulto sa che l’incontinenza è un problema
dei bambini, dei vecchi o delle donne; pertanto, la
presentazione del sintomo, al di fuori di quelle condizioni, viene percepito come anormale, determinando
uno stato di allerta che, generalmente, esita in un
pronto riferimento al medico di fiducia.
I giovani adulti vivono il problema come fortemente
invalidante ed imbarazzante, per le inferenze igieniche e
per le limitazioni relazionali che finiscono per far degradare il livello della qualità di vita. La limitazione di attività lavorative e ludiche, i limiti imposti all’abbigliamento, il dover prevedere cambi extra di biancheria finiscono per
gravare pesantemente e comportare conseguenze psicologiche, lavorative e sociali.
Tali determinanti, forzatamente riduttivi, sono spesso
alla base della fenomenologia corrente:
• La donna giovane vive con naturale maggiore conflittualità il problema e generalmente non esita a riferirlo
al medico.
• La donna in post menopausa, relativamente giovane
e con forte motivazione, passa da una più lunga elaborazione del problema prima trovare il coraggio di
portarlo al medico.
• La donna in post menopausa, più avanzata negli anni,
passa pure da una lunga elaborazione prima di riferire
il problema al medico, spesso per riceverne il sostegno sanitario per l’ottenimento dei presidi, e sovente
con un rifiuto preconcetto di ogni tentativo di diagnosi e di prospettiva terapeutica. La lenta progressività
della condizione spesso supporta il concetto di normalità del sintomo, nei confronti del quale il paziente
si assuefa e finisce per non dargli un’eccessiva importanza. La presenza di gravi deficit fisici e psichici,
di allettamento continuativo e di non autosufficienza
motivano la denuncia del problema quasi esclusivamente per l’ottenimento del pannolone.
Il punto di vista di...
• Il maschio adulto, non anziano, si allerta alla rilevazione del problema con un riferimento pronto al medico.
• Il maschio adulto, anziano, collega spesso il sintomo,
in maniera più o meno appropriata, a qualche menomazione o malattia associata; il disagio e la maggiore
difficoltà del camuffamento del sintomo lo inducono
alla ricerca di possibili rimedi.
• Per Il maschio adulto, in età avanzata, valgono le
stesse considerazioni per la donna in età avanzata,
ancor più se non autosufficiente.
Non si vuole sostenere tesi basate su modelli sociali
andati e si è consapevoli degli avanzamenti nella percezione collettiva e individuale del modello sociale tendenziale per entrambi i generi; ma, non si può ignorare che il
problema incontinenza urinaria riconosce delle barriere
culturali (Sia nel cittadino-paziente che nel sistema sanitario) prima ancora che difficoltà nel management clinicodiagnostico e terapeutico.
Altre criticità riguardano la gestione clinica dell’incontinenza da parte del MMG. La comunicazione non sempre consente di comprendere il peso del sintomo sulla
qualità di vita e di individuare il tipo di risposta assistenziale più utile. Nei confronti della presentazione del sintomo,
il MMG può sentirsi disorientato in merito al corretto inquadramento diagnostico e talvolta si sente solo. Infatti,
mentre per l’incontinenza femminile il territorio offre l’opportunità di specialisti o di centri di riferimento, per quella
maschile i riferimenti specialistici sono più diradati, con
difficoltà che portano spesso all’accettazione per fede del
sintomo, non consentendo una diagnosi eziologia e di
andare oltre rispetto all’offerta dei pads. Inoltre, l’inserimento dei farmaci per l’incontinenza urinaria in fascia prescrittivi C non semplifica il processo terapeutico.
Né d’altra parte le cose vanno meglio sul versante
dell’accertamento dell’invalidità ai fini della concessione
dei presidi da parte del SSN; la certificazione a supporto
viene effettuata per il riferito del paziente e la verifica
dell’invalidità, per lo più, avviene con il colloquio o con il
certificato, senza la ricerca delle cause sottostanti. Ne
conseguono due fenomenologie:
• non conosciamo l’eziologia e non siamo in condizione di prospettare soluzioni terapeutiche utili;
• la certificazione per fede dell’invalidità comporta una
possibile iper-espressione diagnostica con spontaneo indirizzo preferenziale verso l’uso di pads, con
inappropriatezza del management sanitario e con dispendio di risorse.
Il Medico di Famiglia deve:
• Saper ascoltare.
• Saper comunicare ed imparare a riconoscere e a decodificare la richiesta d’aiuto del paziente, superando
la loro reticenza e facendo emergere il problema. Poche e semplici domande possono essere utili allo
scopo (tabella 1).
• Conoscere le possibili cause che sottendono il sintomo e i possibili rimedi terapeutici.
• Conoscere le strutture territoriali e saper attivare la
consulenza specialistica per una gestione condivisa
del problema del paziente e per valutare, assieme al
paziente e alle figure specialistiche di riferimento, i
possibili percorsi per attenuare o risolvere uno stato
che invalida la qualità di vita.
Tabella 1
Negli ultimi tre mesi ha avuto perdite d’urina involontarie
spontanee, compiendo sforzi anche piccoli, o tossendo,
o starnutendo o anche solo ridendo?
In genere va ad urinare più di otto volte durante il giorno,
oppure le capita di alzarsi più di una volta per notte, per
paura di bagnarsi?
Le succede di avere un urgente, improvviso ed irrefrenabile desiderio di urinare?
Il sistema socio-assistenziale deve:
• Riconoscere il problema incontinenza attribuendogli
peculiare dignità nosologica.
• Pianificare una rete di strutture specialistiche di riferimento.
• Quando è possibile e conveniente per il benessere
del paziente, passando da una corretta diagnostica,
prediligere interventi che abbiano significato terapeutico piuttosto che offrire presidi sanitari a lenimento
dell’handcap.
Bibliografia
1) Parazzani F, Cipriani S, DÈ Besi P, Lavezzari M,
Artibani W. Incontinenza urinaria: frequenza ed
approccio diagnostico e terapeutico nella pratica di
Medicina Generale in Italia. Arch Ital Urol Androl
2001;73:160-7.
2) Rubini S. Incontinenza urinaria: un problema troppo
spesso nascosto. SIMG 2002;2-3.
3) Bortolotti A, Bernardini B, Colli E, Di Benedetto P,
Giocoli Nacci G, Landoni M, et al. Prevalence and
risk factors for urinary
incontinence in Italy. European Urology 2000;37:305.
4) Ventriglia G, Sessa A. Incontinenza urinaria da
sforzo: nuove prospettive terapeutiche. Simg 2004;
4.
5) Sanlorenzo O, Solfrin Si, Falcone E, De Aloysio D.
Incontinenza urinaria femminile: studio
epidemiologico in un ambulatorio di medicina
generale.. Atti della Società Italiana di Ginecologia
ed Ostetricia.Vol. LXXXII.
29
Florilegio Urodinamico
Il concetto di incontinenza
urinaria: quanta confusione!
IL PUNTO DI VISTA di Marcello Lamartina, urologo,
U.O. di Urologia, Casa di Cura Candela, Palermo
U
na cosa che mi ha sempre colpito
nella lettura di articoli scientifici
anche di prestigiosi autori o
ascoltando gli stessi durante le relazioni ai
vari congressi, è una assoluta confusione
nel riportare dati riguardanti la incontinenza
urinaria come risultato ad esempio di un
intervento di prostatectomia radicale: no
pad, fughe di urina notturna, un pad, due
pads, ecc., sono tutti termini molto imprecisi che non implicano necessariamente
nÈ la presenza di incontinenza nÈ la sua
quantità. Infatti no pad può significare sia
continenza, ma anche un concetto quantitativo trascurabile (quindi incontinenza).
Ma nonostante questo, molto spesso il parametro di valutazione del risultato di un
intervento per incontinenza urinaria si basa su “cure no
pad use or one dry prophylactic pad; and improved use
of 1-2 pads or reduction of pads >= 50%”(come ad
esempio in un recentissimo articolo pubblicato su BJU
Int. Sep 30). La traduzione letterale di “cure” è guarigione,
cura o rimedio. Quindi guarigione nel caso specifico significa assenza di perdita involontaria di urina: ma allora
cosa significa no pad o one dry prophylactic pad? Non
sarebbe logico definire semplicemente continente il paziente guarito sottoposto alla procedura? Può essere apprezzabile una certa cautela nella definizione dei risultati,
ma affermare una cosa non in modo diretto, continenza,
ma con un giro di parole (non uso di presidi per l’incontinenza) può essere ulteriore causa di confusione.
Ma se la definizione di incontinenza urinaria è molto
precisa (qualsiasi perdita involontaria di urina), c’è la tendenza di confondere la categoria qualità (presenza di incontinenza) con quella di quantità (molto, poco o trascurabile, si ma per chi?). Infatti la obiettività è cosa assai
diversa dalla soggettività: cosi’ per un individuo può essere considerata di grande nocumento per la propria qualità
di vita la perdita di una goccia di urina, mentre per un altro
solo cambiare tre pannolini al giorno è considerato un
problema: ma obbiettivamente ambedue gli individui
sono affetti da incontinenza.
Un concetto ormai fortunatamente superato è quello
30
di “perdita involontaria di urina in luoghi o tempi inappropriati”. Infatti è incontinente il bambino che fa la pipì sul
casco del soldato o l’uomo che minge dentro il serbatoio
per la benzina dell’auto?
Il grande problema è che allo stato attuale se la definizione di incontinenza è stata chiaramente inclusa nella
standardizzazione terminologica dell’ICS (a partire dal
2002 )e cioè ogni perdita involontaria di urina, anche la
definizione di perdita involontaria di urina tale da costituire
un problema sociale ed igienico può essere ancora usata
anche se “…The removal of the qualifier in the original
definition of “a social and hygienic problem” was a problem. Who was going to define what was a“hygienic problem”? If the patient didn’t view leaking urine 165 times a
day as a “social problem”- did she not have incontinence
(or a problem with dementia)? We will all thank the SubCommittee for this change for years to come” (ICS 2002).
Questa confusione semantica è probabilmente responsabile di dati sulla incidenza della incontinenza urinaria tanto variabili: ognuno la interpreta a modo suo! Probabilmente il chirurgo (me compreso) che effettua un
intervento per patologia neoplastica (per esempio una
prostatectomia radicale) è psicologicamente portato a
valutarne i risultati soprattutto nell’ambito di quella che è
la patologia di base, quella neoplastica appunto; i risultati
funzionali probabilmente sono soltanto secondari e quindi
valutati in modo poco obbiettivo e quindi, nell’ambito della valutazione, sceglie quella che soddisfa il criterio igienico e sociale, non quello radicale, cioè la presenza o l’assenza di incontinenza. Per questo motivo sarebbe forse
necessario che quest’ultima valutazione fosse eseguita
da un ente terzo, che valutasse prioritariamente l’aspetto
funzionale.
Esistono strumenti semplici e non invasivi che possono rispondere alle due domande fondamentali: esiste incontinenza e se si, quanto? Il test del pannolino, i tests di
autovalutazione con i questionari validati e il semplice diario minzionale dovrebbero essere usati come mezzo per
evitare questa confusione e obiettivare il sintoma, sia qualitativamente che quantitativamente. E in attesa che la incontinenza urinaria sia finalmente definita in modo inequivocabile e da tutti condivisa spazzando via ogni
definizione equivoca, perchè non usarli sempre?
Il punto di vista di...
L’evoluzione della vescica
neurologica nel mieloleso
e l’importanza del follow up
IL PUNTO DI VISTA di Sandro Sandri, Presidente della SIUD,
Direttore U.O. Urologia e Unità Spinale, Ospedale “G. Fornaroli”,
Magenta (MI)
I
ntroduzione
Le complicanze urinarie sono state a lungo la causa
principale di morte del mieloleso.
Oggi la situazione è cambiata. La comprensione
dell’evoluzione della Vescica Neurologica ed il riconoscimento dei fattori prognostici hanno permesso di adottare
terapie più efficaci, in particolare nelle situazioni più a rischio, e di raccomandare la necessità di un follow-up attento a riconoscere i primi segnali di un deterioramento
non solo senile dell’apparato urinario.
D’altra parte terapie sempre più innovative vengono
introdotte allo scopo di rendere più semplici, mini-invasivi
e meno rischiosi i trattamenti, dei quali tuttavia è sempre
necessario un attento follow-up allo scopo di riconoscere
quanto prima eventuali effetti inattesi.
ca scompensata considerano la presenza di residuo post
minzionale, infezione urinaria, reflusso vescico-ureterale,
ureteroidronefrosi, calcolosi, incontinenza urinaria ovvero
situazioni che spesso riflettono una situazione di deterioramento già avvenuta, senza avere un buon valore prognostico.
Gli obiettivi del follow-up devono invece rivolgersi a
prevenire oltre che risolvere i problemi incontrati dai pazienti mielolesi.
Questo significa riconoscere nuovi indicatori prognostici oltre a migliorare la continenza urinaria, limitare le infezioni, facilitare lo svuotamento vescicale preservando
l’autonomia e proteggere l’alto apparato urinario.
Inoltre l’equilibrio raggiunto in un determinato momento non deve essere considerato come immutabile.
Notizie storiche
Pressione detrusoriale
Dopo la Prima Guerra Mondiale l’80% dei mielolesi da
trauma spinale moriva entro alcune settimane a causa di
infezioni favorite dal catetere a permanenza e da piaghe
da decubito. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la mortalità in fase acuta è scesa al 60-80% per un miglioramento del trattamento. La mortalità è ulteriormente scesa
negli anni 60 al 30%, fino ad arrivare al 6% negli anni 801.
La diminuita mortalità per cause urinarie è in parte
responsabile del guadagno in sopravvivenza. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e quella di Corea la mortalità da
cause urinarie era stimata al 43%2. In seguito si è ridotta
nel tempo con un dimezzamento ogni 10 anni3.
Questa stessa evoluzione favorevole in tema di mortalità è stata osservata anche per la morbidità, attraverso
misure preventive per evitare l’ospedalizzazione da complicazioni urologiche. Attualmente il 43% dei ripetuti ricoveri avviene principalmente per cause urinarie4, tuttavia
nella maggior parte dei casi si tratta solo di check up e ciò
conferma il progresso dalla cura alla prevenzione e l’importanza del follow-up.
Il ruolo della elevata pressione vescicale durante il riempimento venne riconosciuto già nel 1981 quando Mc
Guire riconobbe il pericolo delle elevate pressioni intravescicali nel mieloleso5. Individuò in 40 cm H2O il valore limite del bladder leak point pressure al di sotto del quale
non si verificava reflusso e si manifestava solo il 10% di
dilatazione dell’alta via escretrice, mentre
per valori superiori si raggiungeva il 61% di pazienti
con reflusso e l’81% di dilatazione dell’alto tratto urinario.
L’elevata pressione vescicale si può manifestare sia in
vesciche iperattive con contrazioni ampie e protratte sia
in vesciche acontrattili con ridotta compliance, come avviene particolarmente nel mielomeningocele.
L’iperpressione vescicale produce inizialmente aumento dell’ampiezza e della frequenza delle contrazioni
ureterali e successivamente dilatazione e/o reflusso. Più
la pressione è elevata e persistente più in fretta la situazione peggiora, anche se le alterazioni dell’alto tratto urinario
rimangono inizialmente reversibili se si riducono le pressioni, ad es. con farmaci antimuscarinici ed il cateterismo
intermittente. L’iperpressione vescicale può inoltre produrre trabecolazione e/o diverticoli vescicali. La presenza
di reflussi e diverticoli facilita la comparsa di infezioni che
peggiorano l’iperattività vescicale. Inoltre la persistenza di
Fattori prognostici delle alterazione dell’alto
tratto urinario
I classici criteri di valutazione della vescica neurologi-
31
Florilegio Urodinamico
iperpressione comporta nel tempo danni ischemici ed il
tessuto muscolare detrusoriale diviene via via più rarefatto
e sostituito da tessuto collagene. Ciò contribuisce da un
lato a ridurre la contrattilità detrusoriale e quindi le pressioni vescicali creando una situazione più favorevole per
l’alto tratto urinario. È di esperienza comune che vesciche
maggiormente deformate da sfondati o diverticoli sono
meno sfavorevoli per l’alta via escretrice. D’altra parte la
fibrosi è irreversibile e può ispessire la parete vescicale
restringendo l’uretere intramurale con conseguente ureteroidronefrosi. In questi casi il trattamento dell’iperattività
vescicale non consente più il recupero dell’alta via escretrice.
Età di insorgenza
La prognosi delle disfunzioni neurogene del basso
tratto urinario nei casi di paraplegia acquisita nell’infanzia
è migliore che nell’adulto6 con un’incidenza inferiore di
derivazioni urinarie non continenti nel lungo periodo7.
Nell’anziano la mielolesione comporta spesso l’insorgenza di complicazioni. La riabilitazione spesso fallisce
per: difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione, un basso
tratto urinario alterato dall’età (iperplasia prostatica, cistocele, deficit sfinterico), riflessi rallentati e ipoattività detrusoriale. Questi fattori spiegano il frequente ricorso al catetere a permanenza o a procedure chirurgiche nel maschio.
Infatti quando la lesione si verifica dopo i 60 anni il 50%
ricorre al catetere ed il 50% degli uomini a interventi disostruttivi8.
La prognosi nell’anziano pertanto è più legata a fattori personali piuttosto che alla situazione neuro urologica.
Sesso
In passato le donne risultavano meno esposte degli
uomini alle complicazioni urologiche con un rapporto di
1:4,4 rispettivamente9.
Questa differenza sembra non essere più stata osservata recentemente10.
Il sistema di drenaggio urinario che viene preferibilmente scelto in funzione del sesso (es. raccoglitore esterno per l’uomo, catetere per la donna) svolge un ruolo più
importante per la pericolosità del catetere a permanenza
rispetto al raccoglitore esterno, al cateterismo intermittente, alla minzione riflessa ed all’uso di pannoloni11.
Tipo di lesione neurologica
In uno studio di Gerridzen et al. (12) su 140 mielolesi,
di cui 62% tetraplegici e 38% paraplegici, il 51% dei paraplegici presentava iperattività detrusoriale (il 49% areflessia), mentre l’86% dei tetraplegici aveva iperattività
vescicale ed il resto areflessia. Otto anni dopo la lesione le
alterazioni all’alto tratto urinario erano presenti nel doppio
dei tetraplegici (17%) rispetto ai paraplegici (8%).
Anche la completezza della lesione svolge un ruolo:
l’incidenza di reflusso è maggiore nelle lesioni complete
rispetto a quelle incomplete con una frequenza identica
tra para e tetraplegici13. Probabilmente la percezione di
32
uno stimolo più o meno equivalente limita i rischi prodotti
dalle elevate pressioni vescicali per uno svuotamento più
precoce.
Tipo di svuotamento vescicale
L’elevato rischio di complicazioni da catetere a permanenza è stato messo in evidenza sia nella fase iniziale
subito dopo il trauma14, sia nel lungo termine in uno studio di 316 mielolesi maschili15 nel quale il catetere a permanenza è stato confrontato con il catetere sovrapubico,
con la minzione riflessa (con residui inferiori a 100 ml e
pressioni di svuotamento < 40 cm H2O) e con il cateterismo intermittente. Le complicazioni si sono presentate
nel 54% dei pazienti con catetere a dimora, nel 44% di
quelli con catetere sovrapubico, nel 32% di quelli con
minzione riflessa e nel 27% di quelli in cateterismo intermittente. Pertanto il cateterismo intermittente rappresenta il sistema di svuotamento più sicuro nel prevenire le
complicazioni urologiche, mentre il catetere a permanenza il più a rischio.
Infezioni urinarie
Il 94% dei pazienti mielolesi va incontro almeno una
volta a infezione urinaria. L’epididimite si verifica nel 16%
dei pazienti e la pielonefrite nel 3,5%15.
I sintomi di infezione urinaria, quando non si manifesta febbre, brividi, urine torbide, maleodoranti, ematiche,
sono spesso meno ovvi nel mieloleso, apparendo come
incontinenza tra i cateterismi, stimolo meglio avvertito e
frequente, dolore lombare o sovrapubico, aumento della
spasticità o al contrario letargia, malessere generale.
La batteriuria asintomatica e non associata a urine
torbide, leucocituria o batteri ureasi produttori non merita
di essere trattata, essendo frequentemente causata da
colonizzazione batterica delle mucose del basso tratto
urinario.
I fattori di rischio per l’insorgenza di infezioni urinarie
sono: la sovradistensione vescicale, l’elevata pressione
vescicale, la persistenza di residuo postminzionale, la calcolosi urinaria, l’ostruzione uretrale (organica o funzionale), la stipsi, la gravidanza, anomalie anatomiche congenite o acquisite del tratto urinario, la ridotta igiene
personale, la presenza di corpi estranei (cateteri, raccoglitori, pannoloni), i ripetuti traumatismi uretrali o la scorretta
igiene nell’esecuzione del cateterismo intermittente.
Il catetere a permanenza è la causa principale di complicanze infettive come la pielonefrite ed in particolare
l’epididimite.
Il cateterismo intermittente è causa meno frequente di
epididimite che la minzione riflessa.
Funzione renale
I due metodi più sensibili per monitorare la funzione
renale sono ritenuti la creatinina clearance e la nefroscintigrafia sequenziale con DTPA. Infatti la creatininemia si
riduce con l’età e la riduzione della massa corporea e in
particolare muscolare, come si può verificare con la neu-
Il punto di vista di...
ropatia, e può così rimanere normale nonostante una ridotta filtrazione glomerulare.
Recentemente è stata però osservata un’ampia variabilità nella determinazione della creatinina clearence con
deviazione standard intra-soggetto fino a 26 ml/min. Inoltre la valutazione della creatinina clearance può essere un
problema in alcuni mielolesi con incontinenza urinaria per
la difficoltà a raccogliere le urine delle 24 ore. Pertanto la
creatininemia rimane superiore alla creatina clearance in
termini di ripetitività e variabilità16.
Il filtrato renale misurato con la nefroscintigrafia si riduce di 4,5 ml/min. ogni anno nei 10 anni successivi alla
mielolesione (17). I fattori che si associano alla riduzione
sono l’età, il sesso femminile, la calcolosi renale o vescicale, la tetraplegia, episodi frequenti di febbre o brividi.
Non c’è relazione con la durata della lesione, né con la
sua gravità o la presenza di batteriuria.
Anche il reflusso vescico-ureterale e la proteinuria si
correlano con un deterioramento dell’alto tratto urinario18.
In particolare la proteinuria può essere favorita dal catetere a permanenza, dal numero di interventi per piaghe da
decubito, dall’ipertensione arteriosa e dalla tarda età. La
proteinuria può essere causata dalla pielonefrite cronica o
dall’amiloidosi renale che spesso si riscontrano nei reni di
questi pazienti in grave insufficienza renale.
Le alterazioni dell’alto tratto urinario si presentano nel
19% dei pazienti con catetere a permanenza, nell’8% di
quelli con minzione riflessa e nel 7% di quelli in cateterismo intermittente. Inoltre la mortalità da qualsiasi causa è
2 volte più frequente nei pazienti con catetere a permanenza, tuttavia occorre tener conto che questi in genere
presentano una età maggiore19.
follow-up del mieloleso, insieme ai problemi intestinali
(stipsi, ragadi, emorroidi, prolassi anali) e di fertilità.
È stato osservato che la presenza di un catetere a
dimora conduce ad una maggior probabilità di andare incontro alla comparsa di piaghe da decubito e con grado
di gravità maggiore rispetto a coloro che praticano il cateterismo intermittente o indossano un condom urinario21.
Residuo postminzionale
Sebbene la presenza di residuo sia un segnale di
squilibrio vescico-sfinterico, non è di per sé un fattore
prognostico sfavorevole. L’alto tratto urinario può alterarsi
senza presenza di residuo22 per il compenso prodotto
dalla vescica con un aumento di pressione oppure un residuo cronico può essere ben tollerato per anni in presenza di vesciche ipoattive ad aumentata compliance.
Pertanto ha un valore prognostico più importante la
pressione prodotta dalla vescica durante il riempimento a
causa di una iperattività o ridotta compliance vescicale o
per una dissinergia sfinterica, che la presenza di residuo
post minzionale.
Iperattività vescicale
L’incidenza di complicazioni dell’alto tratto urinario è
manifestamente maggiore nei pazienti con minzione riflessa (32%) rispetto a pazienti che mingono spontaneamente (0%) o hanno un detrusore iperattivo e inattivato
da antimuscarinici (7%). L’iperattività vescicale è maggiormente pericolosa se le contrazioni sono elevate, durature
e frequenti.
Nei paraplegici il reflusso si manifesta nel 22% dei
casi con pressioni vescicali > 60 cm H2O e nel 5% dei
casi quando la pressione è inferiore23.
Complicazioni uretrali
Le stenosi uretrali si verificano nel 12% dei pazienti e
ascessi periuretrali nel 3%.
Il cateterismo intermittente causa la metà delle stenosi uretrali prodotte dal catetere a permanenza, ma un’incidenza significativamente maggiore che il catetere sovrapubico e la minzione riflessa15.
Calcolosi
La calcolosi reno-ureterale si manifesta nel 35% dei
casi, mentre quella vescicale nel 15% (15). Il catetere a
permanenza è causa significativamente maggiore di calcolosi sia del cateterismo a intermittenza che della minzione spontanea.
Il rischio di litiasi urinaria rimane sempre presente nel
tempo: 3% a 5 anni, 5% a 10 anni, 6% a 15 anni e 11%
a 20 anni20 con significative differenze tra l’alto rischio per
la presenza di un catetere uretrale o sovrapubico a permanenza ed il basso rischio con il cateterismo intermittente.
Piaghe da decubito
Le piaghe da decubito sono diventate una delle complicazioni che compaiono più di frequente nel protrarsi del
Dissinergia vescico-sfinterica
Nelle lesioni soprasacrali l’8% non presenta dissinergia, l’80% ha una dissinergia intermittente ed il 12% una
dissinergia persistente: Quest’ultima è molto più frequente quando la lesione neurologica è completa24.
Soprattutto la dissinergia persistente è responsabile
di alte pressioni vescicali che sono la sorgente di rischio
per l’alto tratto urinario. Tuttavia più che distinguere il tipo
di dissinergia andrebbe maggiormente tenuto conto
l’iperpressione vescicale che essa produce.
Compliance
La misurazione della compliance vescicale esprime una
valutazione delle pressioni vescicali durante il riempimento
così come il bladder leak point pressure. In una popolazione con compliance vescicale normale l’alto tratto urinario
rimane normale nel 78% dei casi dopo 3 anni, mentre se la
compliance è ridotta solo il 23% si presenta con un apparato urinario normale dopo lo stesso periodo25.
Il valore di 15 ml/cm H2O rappresenta il limite al di
sotto del quale si verificano incrementi di incidenza delle
alterazioni dell’alto tratto urinario26.
La riduzione della compliance è più frequente nei pa-
33
Florilegio Urodinamico
zienti con catetere a dimora che in quelli in cateterismo
intermittente e in quelli con lesioni sacrali piuttosto che
soprasacrali e complete rispetto alle incomplete.
Inoltre la riduzione della compliance peggiora nel
tempo nei pazienti con catetere a permanenza con un
incremento del 23% ogni 5 anni.
L’evoluzione della compliance vescicale è quindi un
fattore di fondamentale importanza nella sorveglianza delle vesciche neurologiche.
Neoplasie vescicali
Il rischio di tumori vescicali è aumentato nei mielolesi
di lunga data e in particolare in quelli con catetere a permanenza da oltre 8 anni, con calcolosi vescicale27 e dopo
enterocistoplastica da oltre 10 anni.
Il rischio di tumore vescicale in mielolesi con catetere
a permanenza, controllati con cistoscopia, è di 77 per
100.000 persone per anno28. Questa incidenza corrisponde ad un aumento del rischio aggiustato per età e
sesso di 25 : 1 rispetto alla popolazione generale.
Lo stesso rischio rispetto agli altri mielolesi che non
hanno mantenuto il catetere a permanenza, aggiustato
per età al momento della lesione neurologica, per il suo
livello e gravità, storia di calcolosi vescicale e fumo, diventa invece di 5:1.
Questi reperti suggeriscono la necessità di un continuo monitoraggio di questi pazienti con citologia urinaria
e cistoscopia annuale in particolare in soggetti a rischio
(lunga durata della malattia neurologica, catetere a permanenza, enterocistoplastica, litiasi vescicale, infezioni
urinarie ricorrenti).
Follow-up
La compliance del paziente è un elemento fondamentale per poter attuare un adeguato follow-up. A sfavore di
essa giocano l’ignoranza dei rischi che si corrono, la
mancanza di confidenza con il medico ed i costi delle indagini oltre a eventuali difficoltà di trasporto e distanza dai
pochi centri che si interessano di queste particolari patologie29.
I primi anni dopo l’insorgenza della mielolesione sono
i più pericolosi per la comparsa di alterazioni dell’alto tratto urinario con particolare rischio in coloro che mantengono a lungo il catetere a dimora (più di 2 mesi)30, 31.
Tuttavia anche a distanza si osservano situazioni a rischio legate soprattutto all’abbandono da parte di numerosi pazienti del tipo di svuotamento vescicale inizialmente praticato.
In un recente studio americano su quasi 13.000 pazienti seguiti per 30 anni è stato osservato un graduale
aumento di coloro che ricorrono al catetere a permanenza (dal 23 al 45%) abbandonando il cateterismo intermittente (ben l’80%) e o l’uso del condom urinario (ben il
65%) ed un lento aumento del ricorso a derivazioni urinarie (dallo 0,02 al 2,6%)32.
È evidente la necessità di un maggior supporto sanitario per prevenire un graduale spostamento verso situa-
34
zioni apparentemente più comode ma pericolose.
Da una review del tipo di sorveglianza attuato in 12
Unità Spinali del Regno Unito e dell’Irlanda è stata osservata un’ampia variabilità di protocolli e la necessità di un
maggior livello di collaborazione e ricerca33.
D’altronde negli ultimi decenni, oltre a ridurre la mortalità e la morbilità, si è dato più spazio al miglioramento
della qualità di vita e ciò ha portato a introdurre maggior
trattamenti per l’incontinenza urinaria soprattutto durante
il follow-up e ad aumentare i motivi per una più stretta
sorveglianza dei pazienti.
Fattori di rischio
Tipo di lesione neurologica
Tetraplegia > paraplegia, soprasacrale > sacrale, completa > incompleta > frequenza di vescica iperattiva, dissinergica con alte pressioni vescicali
- Possibilità di attuare il cateterismo intermittente e di assumere antimuscarinici
- Lunga durata o progressività della malattia neurologica
(in particolare dopo 5 anni con catetere a permanenza e
15 con sovrapubico)
Età
Età avanzata • giovane età
Sesso
Maschio > femmina
dissinergia più frequente e con > pressioni vescicali.
- Il cateterismo intermittente ha ridotto comunque le differenze.
Urodinamica
- Pressioni vescicali elevate
- Ridotta compliance: sorvegliare se < 20, evitare < 12,5
mL/cmH2O
Tipo di svuotamento vescicale
Catetere a dimora > sovrapubico
Minzione riflessa > cateterismo intermittente
Situazioni a rischio
- Storia di litiasi vescicale, infezioni urinarie ricorrenti, enterocistoplastica.
- Citologia e cistoscopia annuale dopo 8 anni di catetere
a permanenza e 10 anni di enterocistoplastica.
Conclusioni
Tutti i pazienti con vescica neurologica vanno seguiti
nel tempo mediante esame urine e urino coltura semestrali, visite, ecografia addominale e creatininemia annuali (ev. PSA se indicato). Coloro che attuano una minzione
riflessa o indossano raccoglitori o pannoloni devono inoltre mantenere controllato il residuo postminzionale almeno 1 volta all’anno. Dopo 10 anni dal trauma e in presenza di fattori di rischio vanno eseguiti anche il citologico
urinario e la cistoscopia annuale.
Quando compaiono nuovi sintomi, infezioni urinarie
sintomatiche ricorrenti o aumento del residuo vescicale, è
necessario un approfondimento diagnostico con immagini e uro dinamica (es. urovideodinamico e eventuale nefroscintigrafia).
Il punto di vista di...
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35
Florilegio Urodinamico
La riabilitazione della
derivazione urinaria orto topica
IL PUNTO DI VISTA di Stefano Alba, specializzando in Urologia,
e Gianfranco Giocoli Nacci, Dirigente Medico,
Urologia Universitaria II, Bari
L
a scelta del tipo di derivazione urinaria dopo cistectomia radicale, dipende dalla combinazione
di fattori clinici e dalle preferenze del paziente.
Una completa esposizione delle varie opzioni terapeutiche ed i loro vantaggi e rischi a breve e lungo termine
dovrebbero essere ampiamente discusse con il paziente. Le potenziali forme di derivazione urinaria includono i
condotti noncontinenti (che vedono l’utilizzo di colon o
ileo), derivazioni cutanee continenti, che richiedono la
cateterizzazione intermittente,derivazione rettale, ricostruzione del tratto urinario con serbatoio ortotopico che
viene anastomizzato all’uretra.
A tutti i pz dovrebbe essere offerta la derivazione urinaria ortotopica perchè rappresenta il miglior compromesso tra i risultati oncologici e la qualità di vita del paziente.
Esistono tuttavia delle controindicazioni assolute e
relative a tale diversione. Tra le controindicazioni assolute: incontinenza urinaria da stress, l’insufficienza renale,
ove si riscontrino valori di creatinina > 2mg/dl; GFR < 50
ml/min. Altre controindicazioni assolute sono rappresentate dalla insufficienza epatica severa con iperammoniemia, malattie intestinali croniche, pregressa chirurgia oncologica intestinale, infiltrazione neoplastica
dell’uretra nell’uomo o del collo vescicale nella donna.
Tra le controindicazioni relative sono da prendere in considerazione la pregressa terapia radiante, pazienti con
ridotta performance status e mentale, malattia localmente avanzata, positività linfonodale, obesità stenosi
uretrale.
Sebbene le derivazioni ortotopiche forniscano al paziente il grosso vantaggio di non avere alterazioni della
propria immagine non alterando lo schema corporeo
grazie
ad
una
ripresa
di
minzione
“per
urethram”,richiedono un meticoloso rispetto di orari e
regole da seguire. I pazienti che ricevono una derivazione urinaria ortotopica non avvertono più un normale stimolo al riempimento della neovescica, pertanto devono
svuotare il serbatoio urinario mediante manovra del Valsalva ad intervalli orari precisi. Solitamente nelle prime
settimane il paziente viene invitato a svuotare la neovescica ogni 2 ore, nei mesi successivi questo intervallo
può aumentare a 3 ore ed a completa maturazione del
36
serbatoio ortotopico, che dovrebbe raggiungere una capacità di circa 500 cc, si può svuotare ogni 4 ore. Il paziente deve sapere che, specie i primi mesi, lo svuotamento deve avvenire anche nel corso della notte, per cui
è utile impostare una sveglia.
Altra problematica è la continenza urinaria diurna ed
in particolare notturna il cui recupero va di pari passo
con il processo di maturazione del reservoir, con una
percentuale ad 1 anno dalla chirurgia rispettivamente
dell’85% e del 75%. Risultano di una certa importanza
anche gli esercizi che mirano a rinforzare la muscolatura
del pavimento pelvico, al fine di migliorare la continenza
urinaria; i soggetti vengono invitati a rinforzare il distretto
muscolare perineale anteriore cercando di bloccare il
mitto durante la minzione o di sollevare il pene come
durante la massima rigidità.
Inoltre mediamente circa il 50 % delle donne a 5
anni, per motivi non completamente chiari, vanno incontro a disturbi dello svuotamento della neovescica fino
alla ritenzione urinaria, con necessità di autocateterismo
intermittente.
Ogni paziente con derivazione urinaria ortotopica va
incontro alla fisiologica produzione di muco intestinale
che viene prodotto dalla mucosa del tratto intestinale
utilizzato per la ricostruzione della neovescica. La presenza di muco oltre ad essere un eccellente pabulum
per la proliferazione batterica e quindi l’instaurarsi di infezioni delle vie urinarie, rappresenta un ostacolo allo
svuotamento del serbatoio stesso, pertanto diventa fondamentale un aumento dell’apporto idrico giornaliero
che non deve essere inferiore all’assunzione di almeno
due litri di acqua al dì. Ogni paziente con diversione urinaria continente deve essere a conoscenza della possibilità di andare incontro all’acidosi metabolica, anche
questo fenomeno è una conseguenza della fisiologica
funzione di assorbimento della mucosa intestinale usata
nel confezionamento della neovescica per cui viene
consigliata l’assunzione giornaliera di bicarbonato di sodio (2-3 gr al dì).
Il punto di vista di...
L’insegnamento dell’urodinamica
nelle università italiane
IL PUNTO DI VISTA di Antonio Carbone, Urologo, Professore
Associato, “La Sapienza” Università di Roma - Polo Pontino - Latina
N
ell’ambito della attività conoscitive avviate, il comitato direttivo della SIUD si è proposto di effettuare una valutazione qualiquantitativa dell’insegnamento, nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e
nelle Scuole di Specializzazione in Urologia, degli argo-
menti di urologia funzionale e dell’urodinamica.
A tal fine è stato inviato ai Direttori di 35 Scuole di
Specializzazione in Urologia delle Università Italiane il seguente questionario.
Questionario
A.Nello spazio / ore dedicato all’insegnamento dell’Urologia nel Corso di Laurea della vostra Facoltà
l’urodinamica:
a) viene solo riportata come uno degli esami diagnostici strumentali senza approfondimenti
b) viene definita, descritta nella sua metodologia e insegnata teoricamente per le sue indicazioni
c) viene descritta e definita nella sua metodologia ed è oggetto di sessioni di dimostrazione pratica nelle attività
didattiche elettive
NB: in caso di risposta A è possibile indicare quali sono i motivi che hanno limitato il numero di ore destinate
all’insegnamento dell’Urologia Funzionale?
B. Nell’ambito del Corso di specializzazione in Urologia esiste uno spazio ore destinato all’insegnamento
NO ). Se sì, di quante ore circa è tale spazio
dell’Urologia Funzionale e dell’urodinamica ? (SI
didattico?
- I medici in formazione afferenti alla Scuola di Specializzazione di Urologia effettuano turnazioni o periodi formaNO ).
tivi nel laboratorio di urodinamica ? (SI
C. Nell’ambito dell’attività scientifica e di ricerca svolta presso il vostro Istituto quanta (in percentuale da
0 a 100) è associata all’impiego dell’urodinamica?
Hanno complessivamente risposto 21/35 scuole di
specializzazione. Da tale indagine è chiaramente emerso
che in 12/21 Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia l’urodinamica viene “riportata solamente come uno degli esami diagnostici strumentali senza ulteriori approfondimenti” mentre solamente in 2/21 Corsi di Laurea “viene
descritta e definita nella sua metodologia ed è oggetto di
sessioni di dimostrazione pratica nelle attività didattiche
elettive”. Per quanto riguarda le Scuole di Specializzazione, in tutte viene riconosciuto un ruolo importante all’insegnamento dell’urologia funzionale e dell’urodinamica con
una media di 22 ore di insegnamento (durante tutto il corso) dedicate a tali argomenti. Inoltre, tutte le scuole prevedono turnazioni o periodi formativi nel laboratorio di urodinamica.
Interessante ancora osservare come nella maggioranza delle Scuole di Urologia l’impiego dell’urodinamica
sia considerata fondamentale nell’ambito dell’attività
scientifica e di ricerca svolta, tanto è vero che si considera che circa il 20% dell’attività scientifica prodotta possa
prevederne l’utilizzo.
Si evince pertanto che, a giudicare dalle risposte prodotte dai direttori delle Scuole di Specializzazione, viene
attribuito all’urodinamica un ruolo importante nella formazione degli specializzandi ed alla ricerca clinica.
Emerge dunque un evidente controsenso: gli argomenti di urologia funzionale e di urodinamica sono chiaramente “marginalizzati” nei corsi di Laurea in Medicina rispetto all’importanza che poi avranno nell’ambito
dell’apprendimento delle Scienze Urologiche nelle Scuole
di Specializzazione. È degna di commento la considerazione che, essendo l’insegnamento dell’Urologia in genere collocato nell’ambito delle cosiddette “Patologie Integrate” agli ultimi anni (IV anno) del corso di Laurea, il
mancato approfondimento di argomenti di urologia funzionale ed urodinamica potrà determinare una conoscenza distorta dell’intera patologia urologica agli studenti e
tale informazione falsata potrà verosimilmente non essere
di adeguato aiuto, in un senso o nell’altro, nella scelta da
parte di essi del percorso formativo post-laurea. È, peraltro, evidente la motivazione che conduce a questo risultato in quanto la maggior parte dei rispondenti al questionario hanno motivato la loro scelta con un incongruo
numero di ore di insegnamento e di CFU (crediti formativi)
attribuiti all’urologia dal MIUR. È chiaro, quindi, l’impegno
che i docenti universitari, magari affiancati dalla nostra
Società, dovranno intraprendere nei prossimi anni azioni
presso le sedi appropriate per ottenere un maggior riconoscimento dell’insegnamento della materia urologica a
noi così cara..
37
Florilegio Urodinamico
A colpi di tossina...
La tossina botulinica in urologia
tra mito ed evidenze: la storia
italiana
IL PUNTO DI VISTA di Giulio Del Popolo - Urologo,
Vice-Presidente della Siud, Direttore SODC Neuro-Urologia
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
I
ntroduzione
Il primo ad essere stato colpito dal titolo affidatomi
da Marcello Lamartina sono stato io, Marcello persona apparentemente pacifica, ma con un energia vulcanica pronta ad esplodere, caratteristica propria della
sua terra: la Sicilia. Dopo ho cominciato a riflettere
sull’evoluzione negli ultimi venti anni, in effetti un muro
da abbattere con colpi decisi c’era, oltre al noto muro di
Berlino, era la allora denominata iperreflessia detrusoriale, oggi iperattività detrusoriale neurogena (NDO) come
ICS comanda, la più temuta quella secondaria a lesione
midollare spesso associata a dissinergia detrusore-sfintere, La trasformazione della tossina botulinica A
(BoNT/A) da “veleno”, tra i piu potenti esistenti, in porzione magica in ambito urologico è iniziato con un timido
approccio allo sfintere di Dykstra nel 1994,. che dimostrava l’efficacia di 4 semplici infiltrazioni sullo sfintere
distale, diventando una valida alternativa alla famigerata
sfinterotomia endoscopica, tanto temuta dai pazienti
con lesioni midollare, che spesso pensavano meglio evitare gli urologi, quelli mi vogliono tagliare lo sfintere. La
Schurch nel 1996 confermava l’efficacia del trattamento
sia per via trnsuretrale che per via transperineale. Alla
SIUD venivano presentate le prime esperienza di Magenta (Spinelli) e Firenze (Del Popolo). Nel giugno del
1999 dopo una presentazione all’ISCOS sulla nostra casistica di infiltrazioni sfinteriche la Schurch mi bisbiglia
“presto ci saranno novità incredibili”. Solo qualche mese
dopo, ICS Denver 1999, Schurch e Stöhrer presentarono dati di efficacia straordinaria del trattamento della
NDO, in pazienti con lesione midollare, con infiltrazioni
intradetrusoriali di BoNT/A. Settembre 1999, grazie a
protocolli di studio sperimentali, inizia l’utilizzo della
BoNT/A nelle Neuro-Urologie Italiane, un fenomeno tutto italiano, il tam-tam tra i pazienti ci pose davanti a una
richiesta smisurata di trattamenti. Urologi divisi tra due
correnti i “botulinisti” e “capsaicinisti” o “resiniferesti”,
ma con un progressivo e completo passaggio alla prima
38
corrente da parte di tutti gli urologi funzionalismi, fenomeno, ovviamente, non solo italiano.
Nel 2000 l’Italia era il Paese dove erano stati effettuati
il maggior numero di trattamenti al mondo. Nessun trial
di studio con un sufficiente grado di evidenza sosteneva
la richiesta dei pazienti, ma la sola testimonianza di loro
amici nella stessa condizione, che finalmente completamente “asciutti”. glorificavano questo nuovo trattamento. Molti dubbi e timori tra i pionieri che si trovavano a
infiltrare decine e decine di pazienti, i timori erano: ci
saranno complicanze nel follow-up short o long-term?
Stiamo utilizzando un dosaggio e una diluizione corretta? 12 anni dopo sappiamo che funziona anche dopo
trattamenti ripetuti, che le complicanze sembrano rare e
transitorie. La necessità di un trattamento a cadenza
media annuale, nelle Neuro-Urologie delle Unità Spinali,
non ha rappresentato un limite per i pazienti con lesioni
midollare, ma un opportunità per un appuntamento per
un ceck-up annuale in concomitanza del trattamento.
Tuttavia ancora non abbiamo l’autorizzazione ministeriale, solo nel 2007 abbiamo ottenuto la possibilità di trattare i nostri pazienti con NDO grazie alle legge 648
(fig.1).
Figura 1. L. 648.
Il punto di vista di...
Dal 2001 la produzione scientifica presenta la possibilità di estendere le indicazioni urologiche alla iperattività
detrusoriale idiopatica (IDO), alla s. vescica dolorosa, alla
iperplasia prostatica benigna. Questo consente di aumentare l’interesse della principale casa produttrice, che
vede aumentare il mercato della BoNT/A in maniera considerevole, tale da meritare l’avvio di trials di studio per
l’approval FDA per il trattamento della NDO e IDO. Siamo
alle soglie entro l’anno per l’autorizzazione ministeriale al
trattamento della NDO con BoNT/A.
Gli studi effettuati, nell’ultimo decennio, hanno ampliato
le conoscenze sui meccanismi d’azione dimostrando
l’azione di blocco sinaptico nel muscolo liscio, l’assenza
di sprouting sinaptico nel muscolo liscio, la possibile azione sulla via afferente e nuovi potenziali recettori. Ma alcune “open questions” rimangono, seppur ormai il trattamento è stato inserito nelle principali linee guida (EAU,ICS)
per il trattamento della NDO e IDO, le evidenze e limiti
sono espresse da una Consensus Conference su BonT/A
in Urologia con un panel di esperti tra cui la nostra Giannantoni. Le raccomandazioni sono ben delineate per i
pazienti con NDO in regime di cateterismo a intermittenza, mentre per tutte le altre indicazioni sopracitate vengono stressati i dubbi su dosaggi, efficacia limitata nel tempo (IDO) o non dimostrata sufficientemente (PBS, IPB),
rischio di ritenzione urinaria (IDO) (v. Fig. 2).
Recommendations Grade on the use of BoNTs in the treatment of intractable symptoms of LUT
and pelvic-floor disorders
NDO
Use BoNTA to treat refractory NDO in patients willing to use CISC.
The aim of the treatment is to improve symptoms, urodynamic risk factors for renal impairment, or quality
of life in patients with spinal NDO.
The diagnosis of NDO should follow the EAU guidelines (ie, urodynamic assessment is mandatory).
Patients should be told the treatment does not last indefinitely but should have a mean duration of 8 mo.
Repeated treatment has been shown to be efficacious.
IDO/OAB
Use BoNTA to treat refractory IDO in patients willing to use CISC.
Use caution because the risk of voiding difficulty as well as the duration of effect has not been accurately
evaluatedto date. Future studies should address the benefit risk ratio for the best minimal dosage.
All patients should accept in writing the possible need to perform CISC following treatment.
Residual volumes should be measured regularly for the first month starting at the first week.
Patients should be told that the treatment does not last indefinitely but has a mean duration of 6 mo.
A
A
A
A
B
A
A
A
A
Comparison of injection techniques
The dilution of Botox should be 10 U/ml per site; thus, the number of injection sites depends on the
total dosage being administered (ie, 30 sites for a dosage of Botox 300 U in NDO). The optimum
dose for dilution of Dysport has yet to be established.
The choice of flexible or rigid cystoscope should be left to local expertise.
The depth and location for injections should be within the detrusor muscle outside the trigone.
B
C
C
Figura 2. Recommendations on the use of botulinum neurotoxins (BoNTs) in the treatment of intractable symptoms
of lower urinary tract (LUT) and pelvic-floor disorders, as unanimously agreed by a European consensus panel (Apostolidis et al. Eur Urol 2008).
Attualmente l’unico Paese al mondo in cui è stata approvato l’utilizzo della BoNT/A è la Colombia, dove ho avuto il piacere di fare da tutor in vari ospedali di Bogotà e alla
Società Colombiana di Urologia. Mentre siamo alle porte
dell’autorizzazione del trattamento della vescica neurologica, urge pertanto un ampliamento delle nostre conoscenze che ci conduca a modalità di somministrazione, dosag-
a
b
Figura 3. a)
infiltrazione
sfintere b)
area di infiltrazione detrusoriale
gio, diluizione diverse nelle indicazioni emergenti rispetto
alla NDO, perché diverso è il substrato fisiopatologico. In
particolare la possibilità nell’IDO e nel PBS di agire prevalentemente sulla via afferente agendo sul riflesso minzionale, piuttosto che sul blocco muscolare a rischio di ritenzione urinaria con rischio di non risolvere una disabilità come
l’incontinenza urinaria ma di shiftarla su un’altra disabilità..
la ritenzione urinaria.
Quindi colpi di tossina certo ma delicati e mirati come il
taglio di una punta di diamante in maniera da proseguire
l’ERA della tossina nell’ambito dell’urologia funzionale,
senza sprecare, a causa di complicanze o trattamenti
non corretti, un opportunità terapeutica senza precedenti delle disfunzioni del basso tratto urinario.
39
Florilegio Urodinamico
Può l’esame urodinamico essere
predittivo di incontinenza urinaria
in pazienti con prolasso genitale
da sottoporre ad intervento?
IL PUNTO DI VISTA di Marco Soligo, ginecologo, dirigente medico,
div. Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Carlo Borromeo, Milano
U
40
n titolo chiaro, per un tema complesso. Due parole chiave: Incontinenza Urinaria e Prolasso Genitale le quali evocano a loro volta due aree tematiche molto precise: Esame Urodinamico e Chirurgia.
Ma chi possiede le conoscenze in merito all’Incontinenza Urinaria? L’Urologo. E chi conosce il Prolasso Genitale? Il Ginecologo.
Non vi è dubbio che la risposta alla domanda, che
nelle sue “parole chiave” mette a confronto due “mondi”
di competenze ed esperienze così diverse, debba essere ricercata nella sintesi tra le due aree disciplinari. La
sintesi è un processo lungo, nella fattispecie iniziato diversi anni, anzi decenni, orsono. Ha raggiunto punte di
efficacia sia in termini di comprensione dei fenomeni, sia
in applicazioni cliniche veramente rimarchevoli. Come
dicevamo, si tratta di un processo, ed è inevitabile che le
punte avanzate siano controbilanciate da vallate di arretratezza, laddove le discipline restano entità separate,
incapaci di dialogare.
In questo equilibrio si pone la risposta al quesito iniziale. Si badi bene, l’argomento è ben circoscritto:
a) non si parla di “qualunque prolasso genitale”, bensì
di
“prolasso
Genitale
da
sottoporre
ad
intervento”[prolasso chirurgico]. Tradotto in termini
pratici significa un prolasso di entità tale da almeno
raggiungere o superare l’imene sotto massimo valsalva in almeno uno dei tre segmenti vaginali (anteriore, centrale o posteriore). Secondo il sistema classificativo Half Way System almeno un franco II grado
o uno stadio 2 o superiore se si considera il Pelvic
Organ Prolapse Quantification (POP-Q) system ICS
(figure 1 e 2).
Figura 1. Isterocele III HWS / stadio 3 Centrale e anteriore POP-Q ICS
Figura 2. Colpocele anteriore III HWS/ Stadio 3 anteriore POP-Q ICS
Il punto di vista di...
L’unico emendamento possibile alla ”regola aurea” di
operare esclusivamente prolassi di entità significativa,
sta nell’entità dei sintomi: un prolasso di entità inferiore a quella sopra descritta può essere sottoposto a
chirurgia soltanto se responsabile di una sintomatologia severa ed invalidante per la paziente e se sussiste
la ragionevole certezza di poter alleviare tale sintomatologia con l’atto chirurgico (pochi casi).
b) Non si parla genericamente di “disturbi del basso
tratto urinario”, bensì di ”Incontinenza Urinaria”. È pur
vero che il termine include anche l’incontinenza da
urgenza (tutt’altra problematica) o la mista, ma è evidente che il focus del problema sta nell’Incontinenza
Urinaria da Sforzo.
c) Si pone infine in discussione il ruolo dell’Esame Urodinamico. Come sappiamo esso non è un singolo
test ma un insieme di procedure diagnostiche che mirano a fornire una descrizione dell’aspetto funzionale
del basso tratto urinario. Non vi è dubbio però che il
cuore dell’Esame Urodinamico è rappresentato dalla
rilevazione pressoria. Possiamo ancora definire Esame Urodinamico un insieme di valutazioni che non
includano una cistomanometria?
Cerchiamo ora la sintesi
Dall’11 al 22% di donne continenti trattate chirurgicamente per un prolasso genitale sviluppa incontinenza urinaria nel postoperatorio1, 2. È dunque rilevante chiarire la
relazione tra prolasso genitale ed incontinenza.
Il problema non è tanto per le pazienti che sin dall’inizio manifestano un’incontinenza urinaria in associazione
al prolasso genitale. Sappiamo infatti che il prolasso genitale (di qualunque segmento vaginale) può mascherare
l’incontinenza. Qui iniziano i problemi.
Tra le diverse espressioni coniate per definire questo
concetto probabilmente la più idonea è quella di “Incontinenza occulta” cioè un’incontinenza smascherata con
particolari manovre diagnostiche in una donna affetta da
prolasso genitale, altrimenti continente. La forbice di prevalenza dell’incontinenza occulta oscilla in letteratura tra il
30 e l’80%3 ed il dato varia in relazione alle diverse metodologie applicate per ridurre il prolasso in associazione
ad uno stress test. L’importanza di completare la diagnostica in donna continente con “prolasso chirurgico” è documentata dallo studio di Kleeman et al. (2006) su di una
popolazione di questo tipo sottoposta ad esame urodinamico con riposizionamento del prolasso. Nelle pazienti
con stress test negativo e detrusore stabile Kleeman riporta una comparsa di incontinenza e urgenza denovo
soltanto nell’1,9% rispettivamente.
In sostanza, pazienti continenti pur in presenza di un
prolasso significativo che ottengano un esame urodinamico negativo con riposizionamento del prolasso hanno un
basso rischio di sviluppare disturbi del basso tratto urinario
nel postoperatorio, inclusa l’incontinenza urinaria.
Se ci limitassimo a questa osservazione potremmo
facilmente rispondere al quesito iniziale che, si, l’Esame
Urodinamico è predittivo di incontinenza urinaria nelle
donne che devono essere sottoposte ad intervento chirurgico per prolasso genitale.
Nella realtà la problematica è più complessa. Chiama
in causa i punti b e c che ho esposto più sopra ed occorre poi precisare il tipo di soluzione chirurgica prevista: 1.
Chirurgia fasciale o chirurgia protesica? 2. Semplice trattamento del prolasso o associazione di procedure anti
incontinenza?
Per semplificare limiterei la discussione alla sola chirurgia fasciale mirata alla correzione del prolasso genitale.
Resta pur sempre da chiarire se l’introduzione di valutazioni di tipo manometrico è clinicamente rilevante in questo scenario (punti b e c di cui sopra).
Weber et al. (2000) affrontano la questione con
un’analisi anche economica in una popolazione di donne
incontinenti (stress test positivo) con prolasso genitale. Il
lavoro è complesso nella sua strutturazione, ma per certi
versi illuminante rispetto alla problematicità in oggetto. Il
presupposto è una strategia chirurgica che associa alla
chirurgia per prolasso un trattamento con sling sottouretrale con un’unica eccezione: una diagnosi urodinamica
di Iperattività Detrusoriale [ID]; in questo caso gli autori si
limitano alla correzione del prolasso. La popolazione analizzata è distinta in due gruppi: semplice valutazione clinica con stress test versus valutazione clinica ed esame
urodinamico. L’efficacia nel trattamento dell’IU non cambia nei 2 gruppi sia in un modello di valutazione dell’esito
iniziale (83.9% vs 84.5%) sia in un modello che considera
anche i trattamenti successivi resisi necessari per gestire
l’incontinenza residua (96.1% vs 96.2%). L’analisi dei costi è ovviamente a vantaggio del gruppo sottoposto a
sola valutazione clinica, ma quello che merita rilevare in
questo lavoro è l’osservazione che l’Esame Urodinamico
diviene “cost-effective” soltanto nell’ipotesi di una prevalenza di ID > superiore all’8% nella specifica popolazione
esaminata. La letteratura ci dice invece che in questa popolazione (donne incontinenti con prolasso) all’urodinamica si pone diagnosi di ID nel 2% (range 0%-5%) dei
casi.
In sostanza è legittimo chiedersi se sia veramente necessario sottoporre le pazienti con prolasso genitale chirurgico a valutazione manometrica preoperatoria, posto
che, nello specifico:
a. la disfunzione cui mira il test ha una bassa prevalenza
b. il risultato del test non modifica la scelta terapeutica.
Quest’ultimo punto merita una precisazione.
Stiamo parlando di prolassi genitali in cui il sovvertimento anatomico è tale da non poter essere emendabile
se non con un trattamento chirurgico (figure 1 e 2), l’unica
alternativa essendo rappresentata dal posizionamento
permanente di un pessario vaginale. In queste circostanze il sintomo determinante è il disagio legato alla distorsione anatomica e soltanto una correzione chirurgica è in
grado di risolverlo.
Diversa è la situazione in cui una sintomatologia da
41
prolasso si associa ad una distorsione anatomica di lieve
o media entità. In questi casi una migliore precisazione
degli aspetti funzionali può influire sulla scelta terapeutica
e diviene quindi ragionevole.
Tornando al lavoro di Weber et al. (2000) occorre qui
precisare con grande enfasi un concetto che gli Autori
esprimono nella discussione e mi permetto di riportare
integralmente: “It is important to emphasize that the strategy of no further testing should not be misinterpreted to
mean no testing at all.”
La strategia di non eseguire l’Esame Urodinamico non
significa limitare lo studio preoperatorio ad una semplice
quantificazione del grado di descensus. Pur evitando l’utilizzo di strumenti manometrici l’anamnesi deve essere approfondita e correttamente mirata agli aspetti disfunzionali
sia del versante urinario che di quello intestinale. Una valutazione delle caratteristiche dello svuotamento non può
essere omessa e nella donna una flussimetria con valutazione del ristagno è adeguata5. Uno stress test con almeno
250 ml di riempimento vescicale e riposizionamento del
prolasso debbono comunque far parte dell’inquadramento
preoperatorio. In presenza di incontinenza, documentata
da uno stress test resta infine da chiarire l’utilità di uno
studio funzionale uretrale. Per quest’ultimo aspetto 2 sono
a mio avviso gli aspetti critici:
1. la scelta di associare o meno le procedure chirurgiche per la correzione del prolasso e dell’incontinenza.
Bibliografia
1) Beck, R.P., S. McCormick, and L. Nordstrom, A 25year experience with 519 anterior colporrhaphy
procedures. Obstet Gynecol, 1991. 78(6): p. 1011-8.
2) Borstad, E. and T. Rud, The risk of developing
urinary stress-incontinence after vaginal repair in
continent women. A clinical and urodynamic followup study. Acta Obstet Gynecol Scand, 1989. 68(6):
p. 545-9.
3) Haessler AL, Lin LL, Ho MH, Betson LH, Bhatia NN.
Reevaluating occult incontinence. Current Opinion
in Obstetrics & Gynecology. 2005;17(5):535-40.
42
Se si opta per la semplice correzione del prolasso
un’ulteriore precisazione diagnostica della funzione
uretrale può essere rinviata e limitata alle pazienti che
manifestino una persistenza della sintomatologia nel
postoperatorio;
2. la scelta di quale tipo di procedura chirurgica utilizzare per la correzione dell’incontinenza. Attualmente si
tende ad utilizzare comunque in prima battuta una
sling sottouretrale indipendentemente dalle diverse
tipologie di incontinenza da sforzo.
In conclusione l’Esame Urodinamico può predire l’Incontinenza Urinaria in donne da sottoporre a Correzione
chirurgica dal prolasso. Può confermare il dato nella donna che già riferisce incontinenza e può smascherarlo in
una certa quota di soggetti nei quali il prolasso nasconde
il problema.
Tuttavia la questione clinicamente rilevante è se un
Esame Urodinamico completo sia realmente necessario in
quelli che abbiamo definito “prolassi chirurgici”. Probabilmente è come usare il cannone per la caccia alla quaglia.
Con tutte le precisazioni che ho espresso in precedenza, credo siano maturi i tempi per giungere ad una
definizione condivisa della modalità di valutazione preoperatoria del prolasso genitale che possa escludere la rilevazione pressoria dal suo bagaglio.
Potremo allora parlare di POP’s Urodynamics?
4) Kleeman SD, Vassallo B, Segal J, Hungler M,
Karram M. The ability of history and a negative
cough stress test to detect occult stress
incontinence in patients undergoing surgical repair
of advanced pelvic organ prolapse. Int Urogyn J
2006;17:27-9.
5) Gravina, G.L., et al., Bladder outlet obstruction
index and maximal flow rate during urodynamic
study as powerful predictors for the detection of
urodynamic obstruction in women. Neurourol
Urodyn, 2007. 26(2): p. 247-53.
SIUD
Società Italiana di Urodinamica
Continenza Neurourologia Pavimento Pelvico
Sede Legale presso
Studio Commercialisti Associati Berti-Quaglio
P.zza Galileo Galilei, 5 - 40123 Bologna
Tel 051-224392; 051-263899
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