22. ITER X_Romanorum mores_I divertimenti dei

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22. ITER X_Romanorum mores_I divertimenti dei
CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam
© Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line
ITER X
Romanorum mores I divertimenti dei Romani
Nel brano introduttivo a questo Iter, Plinio il Giovane ci racconta di una corsa di bighe nel circo a cui lui non ha preferito
assistere restandosene a casa leggendo e studiando. Egli, nella
lettera che scrive, si dichiara meravigliato di come gli uomini
siano attratti, non dalla velocità dei cavalli o dalla maestria dei
loro guidatori, ma solo dal colore della maglia che questi ultimi
indossano e per cui fanno un tifo sfrenato. Dopotutto, sono
trascorsi molti secoli e le cose ancora oggi, in molti casi, non
sono cambiate.
I maschi preferivano, come preferiscono ancora oggi, soldatini, carrozze in miniatura e cavallini di coccio con le ruote
che, legati con un laccio di cuoio per trascinarli, permettevano
di imitare le corse con le bighe e le campagne militari degli
adulti. Le femmine le bambole, anche se potevano conservarle solo fino a che erano nubili. Ce n’erano di molti tipi, ma tutte rappresentavano ragazze e non bambine, un po’ come le
nostre Barbie. Fuori dal comune è la splendida bambola di
Crepereia, la giovane del II secolo dopo Cristo la cui tomba è
stata scoperta a Roma nel 1889. Si tratta di una bambola in
avorio con gli arti snodabili, che aveva persino i propri minuscoli gioielli d’oro: anelli, orecchini, bracciali. Ai bambini poveri
non andava così bene: bastoni o canne da cavalcare al posto
di cavallucci di legno.
I passatempi in voga tra i ragazzi
I ragazzi romani avevano tantissimi giochi e passatempi e
molti di questi sono simili a quelli cui giocavano i nostri nonni
e i nostri papà.
I giochi di gruppo di basavano talvolta sull’imitazione degli
adulti; in special modo i ragazzi si divertivano a “fare i soldati”, o altri lavori ritenuti interessanti. Erano molto diffusi il gioco della trottola (turbo), fatta roteare con una corda o con un
frustino (clavis), e quello del cerchio (orbis o trochus), che
si faceva correre con un bastoncino dopo avervi legato dei sonagli. Un altro gioco era il capita aut navia (letteralmente
«teste o navi»), equivalente al nostro «testa o croce»: si giocava con una moneta di cui si doveva indovinare, dopo averla
lanciata, quale faccia, cadendo, sarebbe stata visibile, quella
raffigurante una testa o una nave.
CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam
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Altro svago era il par impar, «pari e dispari», che si giocava tenendo nel pugno chiuso alcuni sassolini, di cui occorreva
indovinare se il numero era pari o dispari. Particolarissimo era
il gioco con il «carrettino dei topi»: si legavano dei topolini a
un mini-carrettino di legno, spesso con sonagli, e lo si faceva
correre mentre le povere bestiole, terrorizzate dal rumore, si
lanciavano in una folle corsa.
Presso i Romani era molto in voga il ludus sphaerae o ludus
pilae, «gioco della palla», che possiamo ammirare in molti affreschi e mosaici, i quali testimoniano anche l’uso di numerosi tipi
di palla. I pilicrepi, «i giocatori», utilizzavano l’harpastum, una
semplice palla fatta di stracci, il folliculus, una palla elastica, di
cuoio, riempita d’aria, o il trigon, una palla dura, ripiena di crine, con la quale giocavano in tre occupando i vertici di un triangolo.
Il ballo
Gli adulti, per mantenere un’agile forma fisica, praticavano il
«salto della corda», con il quale facevano ginnastica, oppure
frequentavano scuole di ballo specializzate, gestite solitamente da maestri di ballo greci. Le danze, accompagnate da
musica suonata con flauti e cetre, erano molto raffinate. Il ballo era riservato, in genere, alle donne, mentre appellare cinaedus, «ballerino», era ritenuto molto offensivo.
Il gioco d’azzardo
Il gioco d’azzardo era consentito dalle leggi romane solo in
occasione dei Saturnali, le grandi feste che si tenevano in onore di Saturno, il dio della semina, che iniziavano il 17 dicembre
e duravano sette giorni. I giochi preferiti erano i dadi (tali o
tesserae) e la morra, chiamata digitis micare, che era giocata come oggi distendendo le dita e gridando un numero da 2
a 10.
Il talus era una specie di dado di forma oblunga, arrotondato alle due estremità. Era costituito in origine dal malleolo, o
astràgalo, di animali, come la capra o il vitello; successivamente furono realizzati in avorio o metallo, con numeri segnati
sulle quattro facce. Le tesserae, d’avorio o d’osso, avevano
una forma cubica e, quindi, sei facce numerate.
Si poteva giocare ai dadi o con tratto tali o con tre tesserae,
facendoli cadere sul tavolo dal fritillus, un bussolotto, e
sommando i punti totalizzati a ogni colpo. La gettata più favorevole era detta Venus, «Venere», o iactus Veneris, «colpo
di Venere», quando ogni dado segnava un numero diverso. Il
colpo più sfortunato, invece, era detto canis, «cane», che si
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aveva quando tutte le facce dei dadi segnavano lo stesso numero. Circolavano, per questo gioco d’azzardo, anche molti
bari, come dimostra il ritrovamento a Pompei di dadi truccati,
appesantiti da un lato in modo che ogni lancio facesse uscire la
faccia favorevole.
Un gioco simile alla dama e agli scacchi
Un gioco per adulti era il ludus latrunculorum, letteralmente
«gioco dei soldati mercenari», una via di mezzo tra il gioco
della dama e quello degli scacchi.
Il gioco era disputato con calculi, «sassolini», che erano pedine disposte sulla tabula lusoria, una specie di scacchiera; un
giocatore utilizzava calculi albi, pedine bianche, e il suo avversario calculi nigri, pedine nere, con i quali avanzava o indietreggiava sulla scacchiera sulla base di regole che non ci
sono pervenute; sappiamo solo che una pedina poteva essere
“mangiata”, quando si trovava tra due pedine avversarie.