qui non ho visto farfalle

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qui non ho visto farfalle
Stralcio tratto dall’opera teatrale
“QUI NON HO VISTO FARFALLE”
di GIUSEPPE TERRANOVA
VOCE NARRANTE
C’è una città militare, con pianta a forma di stella e con 12
bastioni di mattoni, sita a circa 40 chilometri a nord di Praga. Il suo nome asburgico è
Theresienstadt, in ceco Terezin, cioè la città dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria,
fatta costruire dal figlio, l’imperatore Giuseppe Secondo. Originariamente essa è
soltanto una città di guarnigioni militari, un luogo per alloggiare i soldati imperiali e i
loro familiari. Un luogo, quindi, preesistente che, negli anni della “peste bruna”, a
partire dal 1941, viene trasformato in ghetto ebraico, diventando una sorta di campo
di concentramento “modello”, da presentare agli ispettori delle commissioni
internazionali e agli inviati della Croce Rossa internazionale.
INTERLOCUTORE Un lager come tanti altri in Europa dunque!
VOCE NARRANTE No, mio caro; Terezin non è un lager come gli altri; è un lager
particolare e, sotto tanti punti di vista, è peggiore degli altri. E’ il campo di
concentramento degli Ebrei di un certo nome e importanza e anche degli artisti. I
nazisti, a fini propagandistici e per smentire le voci che si stavano diffondendo sui
campi di sterminio, fanno circolare documentari e film, girati a Terezin, che
volutamente celano il volto oscuro del “Sommo Male”, presentando invece una realtà
mistificata e ingannevole dove scompare la sofferenza e la morte scientificamente
programmata. L’inferno così viene artatamente e subdolamente trasformato in un
Eden dove le giornate scorrono felici tra sorrisi, passeggiate, concerti, spettacoli vari,
biblioteche e attività sportive di vario genere.
INTERLOCUTORE E nessuno, tra la brava gente, sa niente di quello che sta
realmente accadendo nei cosiddetti campi di lavoro?
VOCE NARRANTE Non è facile far filtrare le informazioni attraverso le strette
maglie della censura nazista. Essa riesce a cancellare l’orrore dello sterminio e
trasforma, ad arte, la tragedia in elegia. Noi sappiamo che la dignità individuale,
principio inalienabile di ogni uomo in quanto uomo, prescinde da qualsiasi valenza di
origine, condizione sociale, censo, etnia, fede religiosa. Ma ai carnefici non s’addice
una tale visione della vita; anzi, nei loro intenti, la dignità umana dev’essere crocifissa
per sempre. Proprio per questo lo sguardo irriducibile della vittima diventa il
controcanto di vita e libertà su questo spartito di morte.
INTERLOCUTORE
Ma, insomma, qual è la peculiarità di Terezin? Come può
l’uomo cantare, suonare, recitare, danzare in condizioni estreme? E’ proprio questo
che io non riesco a capire. Come si spiega il “fenomeno Terezin”, un lager dove l’arte
è dapprima proibita, poi tollerata e infine sostenuta dai nazisti?
VOCE NARRANTE La propaganda, mio caro, la propaganda. Solo così si spiega il
“fenomeno Terezin”. Nel lager si può sopravvivere anche a passo di danza, benché si
stenti a crederlo; si può sopravvivere stilando ricchissimi programmi musicali serali
che spaziano dal classico al jazz; che prevedono anche concerti di musica leggera,
spettacoli teatrali, conferenze, cabaret, attività ricreative e sportive. La Shoah, mio
caro, è passata anche attraverso la “finzione di Terezin”, la cui storia non attenua la
tragicità dello sterminio di massa perpetrato dai nazisti in Europa. Terezin non è una
sorta di “zona grigia” della Shoah, una sorta di “zona franca” dalle ferree leggi della
deportazione, una sorta di “terra di compromesso” tra aguzzini e vittime. No, anzi
essa attesta ancor di più fino a che punto si sia potuta spingere la malvagità umana. E
di ciò noi vogliamo parlare, di questa pagina ugualmente triste della storia della Shoah
dove, pur in condizioni di cattività estrema, di miseria, di privazioni, di malattie e
infelicità, viene prodotta una sbalorditiva quantità di produzioni artistiche e musicali
che coinvolgono adulti e bambini, artisti noti e meno noti. Si suona a Terezin, si recita
a Terezin, si danza a Terezin, si disegna e si scrivono poesie a Terezin: ma,
soprattutto, si muore a Terezin.
POETA
Si muore a Terezin; sì, si muore, di morte lenta,
come goccia che, ora dopo ora, l’antica roccia
scava. Si muore a Terezin; sì, si muore,
senza che il Kaddish a noi, lucciole spente,
recitare permesso sia. Si muore a Terezin; sì,
si muore, mentre l’aria, satura d’illusione,
di continui urli, secchi e taglienti come spari,
rimbomba. Si muore a Terezin; sì, si muore
e, trascinati a mano, di continuo instancabili
carri, zeppi di esanimi corpi, passano.
Si convive con la morte a Terezin,
inseparabile compagna dei miei vuoti sogni.
INTERLOCUTORE Qual è l’arte che la fa da protagonista a Terezin?
VOCE NARRANTE
Senz’altro la musica, mio caro: subdolo strumento di
propaganda per le autorità naziste, linfa vitale per i musicisti, le cui note diventeranno
strumenti di speranza e di resistenza contro la barbarie nazista.
INTERLOCUTORE Adesso capisco molto di più di questo atelier dell’inganno. La sua
diversità, quindi, è predeterminata dai nazisti stessi?
VOCE NARRANTE
Certo, mio caro, per farne un uso propagandistico e
menzognero agli occhi della comunità internazionale. Per la maggior parte dei suoi
internati Terezin è solo una tappa intermedia verso Auschwitz. Dei suoi 140000
prigionieri solo 17000 sopravviveranno.