Le relazioni economiche tra l`Italia e il

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Le relazioni economiche tra l`Italia e il
Il Rapporto sistematizza e sviluppa, con contenuti inediti e prospettive di indirizzo, i
principali lavori di ricerca realizzati dall’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo (Srm-Med), inaugurato nel maggio del 2011 con un
portale web dedicato (www.srm-med.com) disponibile nella duplice versione italiana e
inglese.
2
Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo Rapporto Annuale 2012
L’accezione di Mediterraneo cui si fa riferimento all’interno del Rapporto va dal Nord
Adriatico al Marocco, toccando tutti i paesi della che si affacciano sul bacino e che non
fanno parte dell’Unione Europea. Nella prima parte, L’economia, il commercio e le imprese viene delineato un scenario macroeconomico dell’area MENA e un quadro
dell’interscambio commerciale con l’Italia e viene presentata un’analisi sulla presenza
imprenditoriale italiana in Turchia. La seconda parte, La finanza e gli investimenti dei
Fondi Sovrani indaga la struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA, con un focus
particolare sul sistema bancario turco. La terza parte, I trasporti marittimi e le energie
rinnovabili, prende infine in considerazione l’analisi dei flussi di traffico marittimo, e le
prospettive del settore delle energie rinnovabili nel Mediterraneo.
Le tre parti riflettono, con un corpus unico, tre aspetti fondamentali dei rapporti dell’Italia
con il Mediterraneo su cui si concentra il lavoro di ricerca dell’Osservatorio di SRM: gli
scambi commerciali (Med Trade & Business all’interno del portale Med di SRM), la finanza
(Med Finance) e le infrastrutture energetiche e di trasporto (Med Energy & Logistics).
SRM - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno è un Centro Studi, con sede a Napoli, specializzato nell'analisi delle dinamiche economiche regionali con particolare attenzione al
Mezzogiorno e al Mediterraneo. SRM ha l’obiettivo di offrire ai soci e all’insieme della
comunità degli operatori economici, analisi e approfondimenti che migliorino la
conoscenza del territorio sotto il profilo infrastrutturale, produttivo e sociale, e contribuiscano allo sviluppo del Mezzogiorno in una visione europea e mediterranea.
(www.sr-m.it)
9
788874 316434
Rapporto Annuale 2012
GIANNINI EDITORE
7 8ISBN
8 8 788-7431-643-0
4 316434
Grafica di Ciro D’Oriano
€ 30,00
9
Le relazioni economiche
tra l’Italia e il Mediterraneo
GIANNINI
EDITORE
LE RELAZIONI ECONOMICHE
TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO
RAPPORTO ANNUALE 2012
GIANNINI EDITORE
La riproduzione del testo, anche parziale, non può essere effettuata senza l’autorizzazione
di Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.
I dati forniti sono aggiornati a settembre 2012.
Editing e composizioni grafiche a cura di Raffaela QUAGLIETTA.
Grafica di copertina Ciro D’ORIANO.
ISBN - 978-88-7431-6434
2012 © Giannini Editore
Napoli - via Cisterna dell’Olio, 6/b
www.gianninieditore.it
2 Pubblicazione curata da
Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
GLI AUTORI
Direttore della ricerca: Massimo DEANDREIS. Elaborazione della ricerca: Luca
FORTE (Coordinatore), Anna Arianna BUONFANTI, Consuelo CARRERAS, Filippo
CHIESA, Giancarlo FRIGOLI, Fiorenza LIPPARINI, Antonio MELES, Stefano
MONFERRÀ, Alessandro PANARO, Dario RUGGIERO, Giuseppe RUSSO, Maria
Grazia STARITA
Il Capitolo II della Parte I del Rapporto “ I Paesi del Sud del Mediterraneo dopo i
rivolgimenti politici: sviluppi recenti e questioni aperte dell’economia” è stato
curato dal Servizio Studi e Ricerche di INTESA SANPAOLO, Ufficio International
Economics; Responsabile e coordinatore della nota, Gianluca SALSECCI.
RINGRAZIAMENTI
Il Rapporto 2012 “Le Relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” rientra in
un ampio progetto web realizzato da SRM denominato “Osservatorio Permanente
sull’Economia del Mediterraneo” che ha generato un portale specializzato, www.srmmed.com. Esso ha l’obiettivo di monitorare e studiare le dinamiche e l’impatto
economico generati dalle relazioni che il nostro Paese ha con le Nazioni appartenenti al
bacino del Mediterraneo. Tale progetto è stato realizzato con il sostegno della
COMPAGNIA DI SAN PAOLO cui va un particolare ringraziamento da parte di SRM
e di tutti gli autori della ricerca.
Un ringraziamento al Servizio Studi e Ricerche di INTESA SANPAOLO, in
particolare al Direttore Dr. Gregorio DE FELICE e al Responsabile dell’Ufficio
International Economics Dr. Gianluca SALSECCI ed al loro staff di ricercatori, per
aver collaborato all’elaborazione del Rapporto.
Si ringrazia per la collaborazione l’International Regulatory and Antitrust Affairs
Intesa Sanpaolo Eurodesk, nella persona del Responsabile dell’ufficio Alessandra
PERRAZZELLI.
Un ringraziamento va al Dr. Mehmet BUÇUKOĜLU, dell’Ufficio di
Rappresentanza di Intesa Sanpaolo a Istanbul e al suo staff per la squisita ospitalità e il
decisivo supporto per la realizzazione del Capitolo III “Il business italiano in Turchia”.
Hanno altresì contribuito alla realizzazione del Capitolo III: Antonio CONTE, Fatih
AYÇIN, Segretario Generale della Camera di Commercio italiana in Turchia, Recep
ÖZCALE, deputy General Manager Turk Pirelli e Gianmatteo GIORGINI, General
Manager SAIF Enerji.
Un ringraziamento, inoltre, a tutti gli enti partner su SRM sul progetto MED e in
particolare GMF, IAI, OCSE e ASSOPORTI con cui SRM ha siglato uno specifico
protocollo d’intesa rivolto a elaborare studi congiunti sui traffici marittimo-portuali nel
Mediterraneo.
4 Questo volume è dedicato alla memoria dell’ex Presidente del
Banco di Napoli, Enzo Giustino
per il costante impegno che, per anni e con convinzione,
ha posto a favore di una collocazione Euro Mediterranea dell'Italia e del Mezzogiorno,
con un ringraziamento particolare per i preziosi stimoli che egli ci ha trasmesso
e che hanno consentito di proseguire questo progetto di ricerca
INDICE
PREFAZIONE
11
INTRODUZIONE
13
PARTE PRIMA
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
CAPITOLO I - L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO:
L’ITALIA E I SUOI PRINCIPALI COMPETITOR EUROPEI
1. Il trend 2001-2011
21
2. Uno sguardo d’insieme sui flussi commerciali tra l’Italia e le tre aree Med
26
3. Il posizionamento economico del Mezzogiorno nel Mediterraneo in
rapporto alle altre macroregioni italiane
30
CAPITOLO II - I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI
POLITICI: SVILUPPI RECENTI E QUESTIONI APERTE DELL’ECONOMIA
(a cura del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo)
Premessa
43
1. Gli sviluppi recenti delle economie dei Paesi del Sud Mediterraneo
45
2. Le prospettive delle economie nel 2012 e nel 2013
63
3. L’evoluzione dei rapporti della UE con l’area mediterranea
70
CAPITOLO III - IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Sommario
1. Inquadramento della Turchia
75
2. Le relazioni economiche tra Italia e Turchia
95
76
3. Case Study 1: Turk Pirelli
108
4. Case Study 2: Saif Enerji Kaynaklari A.S
113
7
LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO
PARTE SECONDA
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
CAPITOLO IV - L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO
DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
1. La finanza islamica nel Mediterraneo: alcuni spunti introduttivi
123
2 Analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA
125
3. Analisi della struttura finanziaria della Turchia
134
4. Considerazioni conclusive
153
CAPITOLO V - LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI
CON I PAESI EUROPEI E IN PARTICOLARE CON L’ITALIA. SITUAZIONE E PROSPETTIVE
1. I Fondi Sovrani: un veicolo di investimento pubblico in piena crescita
155
2. I FoS dell’area arabo mediterranea: un grande potenziale di crescita
157
3 I FoS MENA: accordi bilaterali e investimenti in Europa
160
4. Come accrescere la presenza dei fondi MENA in Italia
164
5. Paesi arabi e nord mediterranei: gli investimenti Privati e delle Banche
nazionali
169
6. FEMIP E BERS: le istituzioni sovra-nazionali che operano per lo sviluppo
dell’area arabo-mediterranea
170
7. I FoS ed altri fondi favoriscono più strette relazioni fra l’Italia e i Paesi del
Mediterraneo
172
PARTE TERZA
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
CAPITOLO VI - IL SETTORE MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E
DEI COMPETITORS
1. Premessa
177
2. La rinnovata centralità del Mediterraneo nei traffici marittimi
177
8
INDICE
3. Il nuovo volto della competizione portuale nel Mediterraneo
181
4. Lo Short Sea Shipping nell’Area Med
189
5. La navigazione a corto raggio in Italia. Caratteristiche della domanda e
dell’offerta
6. Conclusioni
197
204
CAPITOLO VII - LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO:
STATO DI ATTUAZIONE E PROSPETTIVE
1. Premessa
207
2. Il contesto energetico di riferimento
208
3. Le fonti rinnovabili: stato attuale e prospettive
211
4. Criticità e barriere allo sviluppo delle rinnovabili nell’Area Med
214
5. Considerazioni finali: le opportunità future per un Mediterraneo
rinnovabile
216
BIBLIOGRAFIA
219
NOTE SUGLI AUTORI
225
9
PREFAZIONE
Nel corso del 2012 SRM, ha continuato la sua attività di analisi sulle interrelazioni e
gli scambi tra le economie dei paesi del Mediterraneo e l’Italia con particolare
attenzione al Mezzogiorno e le singole regioni meridionali. Attività questa che
rappresenta sempre di più un obiettivo strategico e che viene svolta con un nucleo di
ricerca interno che sistematicamente (e non occasionalmente) ne analizza le dinamiche
e le trasformazioni.
Il bacino del Mediterraneo è, infatti, al centro degli interessi economici del nostro
Paese e del Mezzogiorno in particolare, e in questo contesto SRM ha costituito
l’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo,
inaugurato nel maggio dello scorso anno con un portale web bilingue, in italiano e
inglese.
Questo progetto è stato avviato e continua ad essere sostenuto - anche quest’anno dalla Compagnia di Sanpaolo che è stata, nel 2003, socio fondatore di SRM, e che
desidero ringraziare, unitamente al Banco di Napoli che costantemente ci incoraggia
nel proseguire tale attività di ricerca.
Il nostro obiettivo infatti non è stato quello di realizzare un lavoro occasionale, una
pubblicazione saltuaria. Al contrario, il nostro lavoro su questo tema è costante, e
all’interno del portale web (www.srm-med.com) i lavori di ricerca vengono pubblicati
con regolarità e lo rendono un utile strumento per i nostri soci e per tutti coloro che, nel
business economico o finanziario, nelle proprie attività di impresa oppure nel mondo
della ricerca economica, in Italia o in questi paesi, siano interessati a monitorare le
relazioni economiche da e verso il nostro Paese.
La scelta fatta quindi è stata precisa e chiara: abbiamo voluto un Osservatorio che
focalizzasse la sua attenzione sulle relazioni economiche tra il nostro Paese e i vari
Paesi extra Unione Europea del bacino del Mediterraneo, partendo dall’Adriatico fino
alla sponda Nord africana.
Noi siamo convinti che in questo modo SRM possa svolgere al meglio la sua
funzione di Centro di Ricerca collegato ad un grande gruppo bancario nazionale (Intesa
Sanpaolo) e nello stesso tempo sia in grado di offrire ad una comunità più ampia, fatta
di tanti imprenditori e operatori economici, un valido strumento di analisi e
documentazione costantemente aggiornato nel corso dell’anno.
Il rapporto declina le relazioni economiche dell’Italia nel più specifico ruolo del
Sud Italia. Siamo infatti convinti che questa sia la dimensione geo-economica in cui il
Mezzogiorno può ritrovare un percorso di crescita e sviluppo.
Il Nord a cui guardare è l’Europa. Il Sud verso cui volgersi è la sponda meridionale
del Mediterraneo. Queste due dimensioni rappresentano un unicum, che è poi anche la
dimensione storicamente naturale dell’economia italiana (in generale) e delle regioni
del Mezzogiorno (in particolare).
La “geografia” del nostro Paese ha, da sempre, alimentato la vocazione di essere un
“ponte” tra le due sponde del Mediterraneo. Vocazione che potrà ulteriormente essere
11
PREFAZIONE
valorizzata investendo sulle infrastrutture di connessione, quali ad esempio porti e
retroporti, che rappresentano il punto di approdo e di partenza di gran parte dell’export
italiano, e di cui il trasporto marittimo rappresenta di gran lunga il “mezzo” più
utilizzato.
Certo esistono ancora incertezze gravi. Il futuro dell’Europa e dell’area euro, ed il
ruolo attivo del nostro Paese dal lato europeo; lo sviluppo dei processi di
democratizzazione e le attuali tensioni politiche e sociali dall’altro lato.
Siamo però convinti che i fattori economici legati allo sviluppo siano un
fondamentale driver per poter sviluppare e rinforzare le relazioni internazionali:
l’import/export, i flussi di capitale, i collegamenti infrastrutturali, le nuove fonti
energetiche, la sempre più diffusa imprenditorialità che non si spaventa delle difficoltà
e delle barriere culturali, ma che ha sempre più voglia di investire sul proprio futuro e
sul legame tra i diversi paesi dell’area mediterranea.
E guardando anche a questi fenomeni che SRM ha dato vita a questa seconda
edizione del Rapporto con l’obiettivo di fornire utili approfondimenti. E di contribuire,
attraverso l’informazione economica e le analisi, a costruire i presupposti per
accrescere l’attenzione degli operatori economici del nostro Paese e del nostro
Mezzogiorno, verso il Mediterraneo e le sue prospettive.
PAOLO SCUDIERI
12
INTRODUZIONE
Con l’edizione 2012, il “Rapporto sulle relazioni economiche tra l’Italia e il
Mediterraneo” giunge al suo secondo anno di vita; questa pubblicazione rappresenta il
frutto del lavoro di un anno dell’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche
tra l’Italia e il Mediterraneo1, inaugurato da SRM nel maggio del 2011 e condotto da
un nucleo interno di ricercatori che si avvale di autorevoli collaborazioni esterne.
Attraverso l’Osservatorio, SRM ha proseguito nell’attività di monitoraggio
sistematico delle relazioni economiche dell’Italia con i paesi che si affacciano sul
bacino del Mediterraneo, in continuità con l’obiettivo tracciato lo scorso anno di
analizzare i rapporti dell’Italia con questi paesi in una logica bi-direzionale e di
concentrare l’attenzione sui paesi che hanno tratti di costa che si affacciano sul bacino,
escludendo quelli membri dell’Unione Europea. In particolare, le analisi svolte
riguardano tre gruppi di paesi: i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo (area
identificata come Southern Med), quelli della sponda sud-orientale (Eastern Med nel
Rapporto) e i paesi della costa adriatica (Adriatic Med); le tre aree individuate
formano, insieme, l’Area Med2
In questo secondo anno di attività l’Osservatorio di SRM ha messo in campo nuove
risorse nell’analisi dei rapporti economici dell’Italia con i Paesi dell’area, ha sviluppato
ulteriori relazioni, anche internazionali, con enti e organismi che si occupano di
Mediterraneo e, non ultimo, ha avviato un progetto di ricerca pluriennale – “Progetto
Business” – incentrato sulla stima del valore della presenza imprenditoriale italiana nei
13 Paesi dell’Area Med oggetto di attenzione da parte dell’Osservatorio.
Caratteristica peculiare del “Progetto Business” e punto di partenza dei lavori di
studio realizzati o in progetto, è l’analisi microeconomica che – a partire dai dati di
bilancio di imprese a capitali italiani che operano nei paesi oggetto di analisi e da
informazioni ricavate “sul campo” da operatori e istituzioni italiane e “locali” in tali
paesi – si propone di giungere ad una stima complessiva del valore del business
italiano in ciascun Paese.
Il lavoro realizzato sul campo costituisce l’aspetto originale che dà valore aggiunto
allo studio, in quanto l’analisi desk, in progetti sperimentali come questo, può risultare
fuorviante e i risultati non corrispondere alla effettiva consistenza del business italiano
nei Paesi oggetto di analisi.
Oltretutto, la scelta di stimare – utilizzando la stessa metodologia – oltre al business
italiano anche quello di altri paesi occidentali che vantano una presenza imprenditoriale
1
Per una visione completa dell’Osservatorio e dei contenuti dei prodotti di ricerca si veda
www.srm-med.com
2
L’area Southern Med è costituita da Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto, l’area Eastern
Med da Israele, Libano, Siria e Turchia e l’area Adriatic Med da Albania, Bosnia, Croazia e
Montenegro (si veda la nota metodologica in calce al Capitolo I della Parte Prima).
13 LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO consistente nei paesi analizzati, e di utilizzare tale stima quale benchmark rispetto
all’Italia, consente di ottenere risultati più accurati e soprattutto confrontabili.
L’obiettivo finale di questo progetto è quello di analizzare la presenza
imprenditoriale dell’Italia in tutti i paesi Med monitorati e di esaminare l’evoluzione
nel tempo di tale presenza in ciascuno di essi. Si tratta di un progetto ambizioso che
richiede impegno e risorse da investire, ma anche originale, in quanto supera la logica
dell’analisi esclusivamente documentale per integrarla con un lavoro condotto in loco
dai ricercatori.
Il primo dei lavori realizzati è incluso nel presente Rapporto e riguarda uno dei
paesi più interessanti tra quelli emergenti e quello che vanta le più intense relazioni
commerciali con l’Italia nell’ambito dell’Area Med: la Turchia. Le stime da noi
effettuate sul valore della presenza imprenditoriale italiana in Turchia sono state messe
a confronto con quelle riguardanti la Germania, primo partner commerciale del Paese.
Nell’ambito dei 13 paesi del bacino del Mediterraneo di interesse per
l’Osservatorio, la Turchia rappresenta il primo partner commerciale dell’Italia, con un
commercio bilaterale pari a 15,6 miliardi di euro. Pur figurando solo al 5° posto tra i
paesi “fornitori” della Turchia e al 4° posto tra i paesi “clienti”, il valore da noi stimato
del business delle circa 900 imprese italiane che operano nel Paese è davvero
considerevole; si tratta di oltre 16,6 miliardi di euro all’anno, per un impatto
occupazionale di circa 125mila addetti, numeri, in alcuni casi, superiori a quelli della
Germania, primo partner commerciale della Turchia e Paese-benchmark utilizzato nella
nostra analisi.
Le imprese turche partecipate da capitali italiani fanno registrare una crescita del
fatturato di oltre il 33%, superiore al benchmark delle imprese a capitali tedeschi,
un’elevata profittabilità (RoE superiore al 20%) e indicatori di liquidità positivi (quick
ratio pari a 1,2); particolarmente positive le performance delle imprese appartenenti ai
settori della chimica e della meccanica.
La presenza stabile di imprese edili italiane in Turchia è marginale, ma sono
numerosi i progetti di investimento in corso nel Paese che vedono impegnate imprese
italiane del settore delle costruzioni; in effetti, tra progetti di investimento – soprattutto
nelle infrastrutture energetiche e di trasporto – e processi di privatizzazione in corso o
imminenti, la Turchia costituisce un Paese altamente appetibile per le imprese italiane,
come dimostrano i due casi studio sui processi di internazionalizzazione di due imprese
italiane che operano nel Paese, presentati all’interno del Capitolo III. Ad assecondare
l’interesse delle imprese straniere per la Turchia ha contribuito la favorevole politica
governativa di attrazione degli investimenti che, con gli interventi legislativi del 2009 e
il pacchetto di incentivi approvato nel giugno di quest’anno, offre un ampio ventaglio
di opportunità per le imprese straniere che decidono di investire nel Paese.
Naturalmente, lo sviluppo produttivo e, più in generale, la crescita economica della
Turchia dipendono, in una certa misura, dalle caratteristiche del sistema finanziario del
Paese e dalle sue modalità operative; da questo punto di vista, la Turchia presenta un
quadro della dotazione di “infrastrutture finanziarie” contrassegnato da molte luci e
qualche ombra; tra gli aspetti positivi, il Rapporto SRM segnala lo “spessore” del
mercato borsistico e la solidità del sistema bancario.
14
INTRODUZIONE
A questo studio sulla presenza italiana in Turchia seguirà un lavoro simile, già in
fase avanzata di elaborazione, sul Marocco e il nostro sforzo per il 2013 è di allargare
l’ analisi ad altri paesi.
Oltre allo studio sul business italiano in Turchia, l’articolazione del Rapporto 2012
ripercorre quella del Rapporto dello scorso anno, con una divisione in tre parti che
corrispondono ai tre macro-temi su cui si concentra il lavoro di ricerca
dell’Osservatorio: le relazioni commerciali; la finanza; i trasporti e le infrastrutture
energetiche.
Più in dettaglio, la prima parte – “L’economia, il commercio e le imprese” –
propone un quadro dell’economia dei paesi del Mediterraneo e dei rapporti
commerciali dell’Italia con tali paesi e presenta una stima del business realizzato dalle
imprese italiane che operano in Turchia.
La seconda parte – “La finanza e gli investimenti dei Fondi Sovrani mediterranei” –
offre un’analisi dello stato attuale e delle prospettive d’investimento dei fondi sovrani
mediterranei in Europa e in Italia ed esamina le caratteristiche dei sistemi finanziari dei
paesi dell’Area MENA, con un focus particolare sulla Turchia.
Infine, la terza parte del volume – “I trasporti marittimi e le energie rinnovabili” –
è dedicata al traffico marittimo e allo sviluppo delle energie rinnovabili, due aspetti
importanti delle relazioni economiche dell’Italia con i paesi che si affacciano sul
Mediterraneo, sia attualmente che, ancora di più, in prospettiva.
Il Rapporto 2012 presenta, in apertura, i numeri attuali e le previsioni
dell’interscambio commerciale dei principali paesi europei con l’Area Med: l’Italia si
conferma il primo partner commerciale dell’area – con un valore degli scambi pari a
57,7 miliardi di euro nel 2011 – nonostante il rallentamento registrato rispetto al 2010
(-10%), causato dalle vicende socio-politiche che hanno riguardato tre dei cinque paesi
della sponda sud del Mediterraneo e dalla crisi economica in Europa.
L’Italia supera la Germania (56,6 miliardi di euro) e la Francia (46,8 miliardi)
quanto a valore degli scambi nel 2011 e conferma la propria leadership anche nelle
proiezioni al 2014, che vedono crescere gli scambi commerciali italiani fino a 74
miliardi di euro (+28% sul 2011); si tratta di cifre importanti che indicano chiaramente
il “valore” attuale e soprattutto le potenzialità dell’area in termini di opportunità di
affari per il nostro sistema di imprese; infatti, la crescita dell’interscambio italiano nei
primi sei mesi del 2012 (+8,1% tendenziale), e le previsioni di crescita del Pil dei paesi
dell’area (+8,6% medio nel 2012) indicano chiaramente il definitivo superamento della
fase di impasse delle economie di questi paesi, dovuta agli accadimenti della c.d.
Primavera Araba.
Oltre al commercio e all’integrazione produttiva che favorisce gli scambi “reali” tra
i paesi del Mediterraneo, un ulteriore fattore di sviluppo delle relazioni tra l’Europa e il
Mediterraneo è rappresentato dai flussi finanziari, anche in questo caso bi-direzionali,
che transitano attraverso le due sponde del Mediterraneo, quella settentrionale e quella
meridionale; da un lato, infatti, i Fondi Sovrani mediterranei trovano nell’Europa una
delle aree privilegiate per l’investimento delle loro ingenti risorse; dall’altro, l’interesse
di organismi quali la BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e il
FEMIP (Fondo Euro-Mediterraneo di Investimento e Partenariato) verso l’area arabo-
15
LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO mediterranea cresce in misura proporzionale alle richieste di maggiore giustizia sociale
che vengono dalle popolazioni dei paesi dell’area; nel Rapporto SRM si stima che le
risorse finanziare che dall’Europa saranno veicolate verso i paesi dell’area arabomediterranea potranno toccare i 4 miliardi di euro annui, tra interventi a favore
dell’occupazione e investimenti per garantire uno sviluppo sostenibile; quanto ai flussi
in direzione opposta – gli investimenti dei Fondi Sovrani dell’area MENA diretti verso
l’Europa – questi potrebbero raggiungere, entro cinque anni, i 20 miliardi di euro
annui, con una quota destinata all’Italia compresa tra 1 e 1,5 miliardi di euro.
Anche in questo caso si tratta di flussi consistenti che potrebbero raggiungere
l’Italia, a patto di creare condizioni interne favorevoli allo sviluppo degli investimenti;
il nostro Paese si trova nelle migliori condizioni possibili per intercettare tali risorse,
potendo offrire opportunità che altri paesi europei non possono garantire, come la
disponibilità di una naturale piattaforma logistica al traffico di merci che attraversano il
Mediterraneo; oltre il 70% dei flussi commerciali che interessano i paesi che si
affacciano sul Mediterraneo (circa 40 miliardi di euro) avviene, infatti, via mare e
l’Italia ne rappresenta il baricentro. Oltretutto, i flussi intraregionali in direzione nordsud risultano in crescita come riflesso dello sviluppo economico dei Paesi della Sponda
Sud Est e della politica europea di impulso allo Short Sea Shipping (navigazione
marittima a corto raggio).
Insieme ai traffici marittimi e alla portualità, l’Osservatorio Mediterraneo di SRM
segue con attenzione la tematica relativa allo sviluppo delle energie rinnovabili,
materia affrontata nel Capitolo VII del Rapporto. SRM vuole lanciare un messaggio
strategico sull’argomento: il Mediterraneo si prepara a giocare un ruolo decisivo per lo
sviluppo del settore energetico dei prossimi anni.
Il sistema è, infatti, caratterizzato da una domanda crescente di energia e autorevoli
stime affermano che al 2030 la capacità addizionale richiesta dai Paesi del Southern
Med potrebbe comportare investimenti pari a 320 miliardi di euro, di cui circa la metà
in fonti rinnovabili; inoltre, la realizzazione di nuove infrastrutture e soprattutto di
nuove interconnessioni sarà necessaria non solo per i collegamenti sub-regionali tra
paesi della sponda Sud del Bacino ma anche per esportare il futuro surplus di elettricità
rinnovabile verso i mercati europei: una duplice, straordinaria, opportunità di sviluppo,
per le imprese del settore e per l’economia europea nel suo complesso.
Presentando l’edizione 2011 del Rapporto ci ponevamo una serie di interrogativi
circa i possibili esiti della c.d. Primavera araba e l’impatto che avrebbe avuto sulle
relazioni economiche con l’Europa; a distanza di un anno molti degli interrogativi sono
ancora senza risposta: i cambi di regime in Tunisia, Libia ed Egitto hanno condotto ad
elezioni democratiche molto partecipate, ma le aspre contrapposizioni tra laici e
fondamentalisti che ancora dividono le popolazioni in quei paesi ci dicono che il
processo di normalizzazione è ancora in corso, nonostante la ripresa dei rapporti
commerciali con l’Europa. In un tale contesto di incertezza e di aspre contrapposizioni
sia nei paesi che hanno sperimentato cambi di regime, sia laddove le rivolte non hanno
ottenuto di cambiare lo status quo, è quanto mai necessario un rinnovato impegno
politico dell’Europa verso questi territori e risorse finanziarie adeguate che, nel
16
INTRODUZIONE
“nuovo” Mediterraneo che verrà fuori dalla fase attuale, dovranno incidere
direttamente sulle condizioni di vita delle popolazioni.
Purtroppo, però, questo è un tasto dolente per l’Europa, alle prese con la crisi
economica più grave dal dopoguerra che, naturalmente, riduce le risorse pubbliche
disponibili per la cooperazione e lo sviluppo nei paesi del Mediterraneo.
C’è quindi bisogno di mobilitare risorse private che vanno opportunamente
indirizzate, offrendo loro possibilità di valorizzazione: investire nei paesi emergenti del
Mediterraneo, laddove sono maggiori le opportunità di affari, è un occasione di crescita
per le imprese italiane e del Mezzogiorno in particolare ma anche per i territori che le
ospitano; visti i forti legami con il Mediterraneo, le regioni meridionali potranno
beneficiare per prime e in modo maggiore di una ripresa dell’economia dell’area.
L’Osservatorio di SRM vuole contribuire con il proprio lavoro di analisi a individuare
le aree geografiche e i comparti produttivi con le maggiore possibilità di valorizzazione
degli investimenti, in una logica di co-sviluppo che possa contribuire al superamento
dell’attuale fase di crisi che attraversa il nostro Paese.
Massimo DEANDREIS
17
PARTE PRIMA
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
CAPITOLO I
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO:
L’ITALIA E I SUOI PRINCIPALI COMPETITOR EUROPEI
1. Il trend 2001-2011
I Paesi localizzati nel bacino del Mediterraneo rappresentano un’area sempre più
importante nei rapporti commerciali dell’Europa; l’interscambio totale (import +
export) di merci con l’Area Med1 evidenzia fra il 2001 e il 2010 una dinamica di
crescita per tutti i principali Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Regno Unito,
Germania), con la sola comune flessione nel 2009. In particolare, l’interscambio
dell’Italia con i Paesi dell’Area Med è passato da 37,2 miliardi di euro nel 2001 a 64,3
miliardi nel 2010 (+72,7%).
Il dato dell’interscambio italiano con l’Area Med a fine 2011 ha registrato, però,
una contrazione per una cifra intorno ai 6,6 miliardi di euro, da 64,3 miliardi nel 2010 a
57,7 nel 2011 (cfr. Graf. 1); tale arretramento dell’interscambio è da addebitarsi
esclusivamente al crollo delle importazioni italiane di petrolio dalla Libia (-67,6% nel
2011 rispetto al 2010), mentre gli scambi commerciali dell’Italia con gli altri 2 Paesi
della sponda sud del Mediterraneo interessati dalla c.d. “Primavera araba” non hanno
subito grossi contraccolpi: -2,3% l’interscambio commerciale con Tunisia; +5,7% con
l’Egitto. Per gli altri 4 Paesi europei considerati dall’analisi (meno legati alle
importazioni di petrolio dalla Libia) nel 2011 si è registrato solo un rallentamento della
crescita dell’interscambio rispetto al 2010.
L’Italia resta comunque il primo partner commerciale dell’Area Med, seguita da
Germania e Francia. Le proiezioni al 2014, in uno scenario intermedio, registrano una
crescita dell’interscambio totale italiano con l’Area Med fino a 74 miliardi; riprende a
crescere, specie nel 2012, il differenziale con gli altri competitor europei (cfr. Graf. 1).
Ad ulteriore conferma della crescente importanza dell’Area Med sul commercio
estero dell’Italia, l’incidenza di tale area sul totale dell’interscambio italiano con
l’estero è cresciuta dal 6,9% del 2001 al 9,1% del 2010, in maniera sensibilmente
maggiore rispetto agli altri Paesi europei (cfr. Graf. 2). I dati del 2011 indicano una
riduzione dell’incidenza dell’Area Med sul commercio estero dei principali Paesi
europei, più marcata per l’Italia, dove passa dal 9,1% del 2010 al 7,4% del 2011.
1
Per la definizione dei paesi inclusi nell’Area Med e nelle sue 3 sub-aree si veda la nota
metodologica alla fine del capitolo.
21
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Interscambio totale con l’Area Med – I principali Paesi europei – 2001-2014*
(Miliardi di euro)
€ bn
Expected values
80
74,0
70
65,7
57,7
60
40 37,2
46,8
31,5
30,1
30,4
20 14,8
21,9
30
51,9
56,6
50
40,8
28,5
10 13,5
0
2001
2002
ITALY
2003
2004
2005
2006
FRANCE
2007
2008
SPAIN
2009
2010
2011
2012
UNITED KINGDOM
2013
2014
GERMANY
* Stime per il 2012, 2013 e 2014.
Graf. 1 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat
Interscambio totale: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del
commercio estero (2001-2011) – I principali Paesi europei
10
9,1
9
8,4
8
7
6,9
6,9
4
3
2
6,4
5,8
6
5
7,4
5,3
4,9
5,0
4,5
4,1
2,9
2,4
2,7
2,0
2,7 2,9
2,7 2,9
1
0
2001
2006
ITALY
FRANCE
SPAIN
UNITED KINGDOM
2010
GERMANY
2011
ITALY
Graf. 2 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat
Scendendo nel dettaglio, l’area Southern Med rappresenta quella che registra la
maggiore intensità degli scambi con l’Italia: l’area incide per il 49,8%
22
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO sull’interscambio totale italiano con l’Area Med nel 2011 (cfr. Tab. 1); seguono l’area
Eastern Med con il 38,5% e l’area Adriatic Med con l’11,8%. E’ interessante notare
come Francia e Spagna, per ragioni geografiche oltre che storiche, abbiano relazioni
particolarmente intense con la sponda Sud (Southern Med) che esprime quasi i 2/3
dell’interscambio commerciale di questi due Paesi con l’Area Med complessivamente;
per Germania e Regno Unito, viceversa, è l’area Eastern Med che esprime la quota
maggiore di interscambio (circa i 2/3 dell’interscambio complessivo con l’Area Med),
mentre l’incidenza dell’Adriatic Med è molto maggiore per l’Italia (11,8%) rispetto ai
propri competitor europei.
Interscambio totale: peso (%) di ciascuna sub-area Med sul totale dell’interscambio
con l’Area Med - dati al 2011
Southern Med (%)
Eastern Med (%)
Adriatic Med (%)
Italy
49,8
38,5
11,8
57,7
France
64,4
33,7
1,8
46,8
Med Area (€ bn)
Spain
64,6
33,6
1,9
30,2
Germany
25,9
66,2
7,9
56,6
United Kingdaom
29,2
69,1
1,7
21,3
Tab. 1 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat
Nell’ambito degli scambi commerciali con i Paesi dell’Area Med, la componente
energetica ha un peso molto rilevante per i 5 Paesi europei considerati, in particolare
per Italia e Spagna. Seppur in contrazione, infatti, l’incidenza degli scambi di prodotti
energetici è del 35,6% per l’Italia (dal 43,6% del 2010) e del 30,4% per la Spagna (in
calo dal 33,9% del 2010); negli altri 3 Paesi considerati il peso dei prodotti energetici è
inferiore al 20%.
Peso (%) dell’interscambio di prodotti energetici sull’interscambio totale con l’Area
Med (2010 e 2011) – I principali Paesi europei
50
43,6
40
35,6
33,9
30,4
30
19,9
20
19,3
15,7
12,8
11,1
10,9
10
0
Italy
France
Spain
2010
Graf. 3 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat
United Kingdom
Germany
2011
Anche escludendo i prodotti energetici, l’interscambio commerciale con l’Area
Med è aumentato fra il 2001 ed il 2010 per tutti i Paesi europei analizzati. In
particolare, per l’Italia esso è risultato pari a 36,3 miliardi di euro nel 2010 (+55,9%
23
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
rispetto al 2001), in linea con l’interscambio della Francia (36 mld; +42,0% sul 2001),
mentre più intensa è stata la dinamica dell’interscambio tedesco (44,8 mld; +66,0% nel
decennio). Nel 2011 si è registrato un aumento dell’interscambio italiano non
energetico con l’Area Med del 1,7% sul 2010, per un valore che si attesta a 36,9
miliardi di euro; la riduzione del tasso di crescita degli scambi (da +15,1% nel 2010 a
+1,7% nel 2011) è in gran parte dovuto al calo degli scambi con i Paesi interessati dalla
“Primavera araba”, in particolare Libia (-77,8% nel 2011 rispetto al 2010) ed Egitto (7,4%); cresce, viceversa, il commercio non energetico italiano con i Paesi dell’Eastern
Med (in particolare, +14,5% con la Turchia e +13,7% con Israele). Il rallentamento del
ritmo di crescita dell’interscambio non energetico con l’Area Med è comune anche agli
altri Paesi europei monitorati; la crescita maggiore nel 2011 è attribuibile alla
Germania (+12,7%, in calo dal 20,7% del 2010), mentre la Francia fa registrare un
ritmo di crescita più basso (+4,9%, dal +16,7% del 2010). Le proiezioni al 2014, in uno
scenario di base, vedono l’interscambio italiano, al netto dei prodotti energetici, con
l’Area Med portarsi a 39,3 miliardi; gli altri Paesi seguono una dinamica simile (cfr.
Graf. 4).
Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med – I principali
Paesi europei – 2001-2014* (Miliardi di euro)
€ bn
Expected values
70
57,8
60
50,4
50
41,4
37,8
40
30
36,9
27,0
39,3
25,7
25,4
20 23,3
21,2
22,3
19,2
12,4
10
Italy
8,7
0
2001
2002
ITALY
2003
2004
2005
FRANCE
2006
2007
SPAIN
2008
2009
2010
2011
UNITED KINGDOM
2012
2013
2014
GERMANY
* Stime per il 2012, 2013 e 2014.
Graf. 4 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat
Nonostante il rallentamento della crescita degli scambi commerciali nel corso del
2011, l’incidenza dell’Area Med sul totale dell’interscambio non energetico dell’Italia
si mantiene elevata (5,5% nel 2011, in contrazione dal 5,8% del 2010) e superiore a
quella dei principali Paesi europei (cfr. Graf. 5).
24
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici: peso (%) del commercio estero
con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011)
I principali Paesi europei
7
5,8
6
5,5
5,3
5,2
5
4,7
5,2
4,7
4,5
4,1
4
3,7
3,8
3,1
3
2
2,7
2,6
2,6
2,2
2,4
1,9
2,7 2,7
1
0
2001
2006
ITALY
FRANCE
SPAIN
UNITED KINGDOM
2010
GERMANY
2011
ITALY
Graf. 5 – Fonte: elaborazione SRM su Eurostat data
1.2 I flussi commerciali al I semestre 2012
Guardando agli ultimi dati disponibili (aggiornati al I semestre 2012),
l’interscambio totale con l’Area Med dei principali Paesi europei analizzati è risultato
in crescita nella prima metà del 2012 rispetto all’analogo periodo del 2011, tranne che
per la Francia (-3,6% nel periodo). Con oltre 33,7 miliardi di euro di flussi di importexport nei primi 6 mesi del 2012 e una crescita dell’8,1% rispetto allo stesso periodo
del 2011, l’Italia si conferma al primo posto per valore degli scambi commerciali con
l’Area Med; segue la Germania (30 miliardi di euro, +1% la crescita nel periodo) e, a
distanza, la Francia (23,7 miliardi). Per quanto riguarda l’Italia, a incidere sulla crescita
del valore dei flussi commerciali con l’Area Med è stato l’incremento del commercio
bilaterale con i Paesi dell’area Southern Med (+26,9%), grazie, in particolare, alla
ripresa dell’interscambio energetico che, nella prima parte del 2011, aveva sofferto a
causa dei rivolgimenti socio-politici legati alla primavera araba; viceversa, i flussi
commerciali con le aree Eastern Med e Adriatic Med sono risultati in calo.
25
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Interscambio totale dei principali paesi europei con l’Area Med e le tre sub-aree al
I semestre 2012
SOUTHERN MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
20,3
26,9%
Italy
EASTERN MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
10,2
-13,7%
ADRIATIC MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
3,2
-4,9%
MED AREA
I sem
I sem 2012
2012 on I
sem 2011
33,7
8,1%
Germany
9,2
12,8%
18,5
-4,3%
2,3
3,9%
30,0
1,0%
France
15,3
-3,0%
8,0
-4,7%
0,4
-3,9%
23,7
-3,6%
Spain
13,0
26,0%
5,0
-7,1%
0,3
-10,3%
18,2
14,2%
United Kingdom
4,5
46,6%
7,8
8,8%
0,2
0,0%
12,4
19,8%
Tab. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat – valori in miliardi di euro e variazioni percentuali
Escludendo i prodotti di natura energetica, l’interscambio italiano con l'Area
Med si è ridotto del 7,7% nel periodo gennaio-giugno 2012 rispetto ai primi sei mesi
del 2011; la Germania risulta al primo posto per valore dell’interscambio con l’Area
Med (25,7 miliardi di euro, -1,2% rispetto al primo semestre 2011), seguita dalla
Francia (19 miliardi di euro, -3,2% sul primo semestre 2011) e dall’Italia (18,0 miliardi
di euro).
Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, dei principali paesi europei con
l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012
Germany
SOUTHERN MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
5,0
1,6%
EASTERN MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
18,4
-2,5%
ADRIATIC MED
I sem 2012
I sem 2012
on I sem
2011
2,3
3,9%
MED AREA
I sem
I sem 2012
2012 on I
sem 2011
25,7
-1,2%
France
11,0
-3,5%
7,7
-3,3%
0,4
6,2%
19,0
-3,2%
Italy
6,8
-2,2%
8,7
-11,0%
2,6
-9,8%
18,1
-7,7%
Spain
6,3
8,3%
4,8
-4,9%
0,2
-13,3%
11,3
1,9%
United Kingdom
1,9
4,3%
7,7
8,3%
0,2
-8,4%
9,7
7,2%
Tab. 3 - Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat – valori in miliardi di euro e variazioni percentuali
2. Uno sguardo d’insieme sui flussi commerciali tra l’Italia e le tre aree Med
Le infografiche che seguono, riferite agli anni 2010 e 2011, offrono un quadro
d’insieme della dinamica dell’interscambio commerciale totale dell’Italia, del
Mezzogiorno e delle principali regioni meridionali con le 3 aree Med individuate. Per
ciascuna delle due infografiche vengono presentate le seguenti informazioni:
1) Valore dell’interscambio tra il Mezzogiorno e ciascuna Sub-Area, espresso dalla
diversa intensità di giallo di ciascuna delle Sub-Aree Med; ad un valore
maggiore dell’interscambio corrisponde un giallo più intenso.
2) Valore dell’interscambio tra il Mezzogiorno e ciascun Paese delle 3 Sub-Aree
Med, espresso dalla dimensione della bolla rappresentativa di ciascun Paese.
26
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 3) Valore dell’interscambio dell’Italia (frecce rosse) e delle tre principali regioni
del Mezzogiorno (frecce verdi) con ciascuna Sub-Area Med, misurato dallo
spessore della freccia tra l’Italia (la singola regione) e ciascuna Sub-Area Med.
4) Incidenza dell’Area Med sul commercio estero di ciascuna delle 8 regioni del
Mezzogiorno, descritto dall’intensità di azzurro con cui è rappresentata ogni
regione.
Alcune evidenze:
1) L’interscambio commerciale tra il Mezzogiorno e l’Area Med
complessivamente (somma delle aree Southern Med, Eastern Med e Adriatic
Med), è sceso da 15,5 miliardi di euro del 2010 a 12,7 miliardi del 2011. L’area
Southern Med, pur con un valore in forte calo, si conferma l’area con il valore
più alto di scambi commerciali con il Mezzogiorno (6,5 miliardi di euro nel
2011); seguono l’Eastern Med (4,5 miliardi) e l’Adriatic Med (1,6 miliardi) con
valori in crescita rispetto al 2010.
2) Per quanto riguarda il valore degli scambi commerciali tra il Mezzogiorno e
ciascuno dei 13 Paesi appartenenti alle tre Sub-Aree Med, dal confronto tra le
infografiche del 2010 e del 2011 emergono le seguenti evidenze:
•
Nell’ambito dei Paesi del Southern Med, crolla l’interscambio commerciale
del Mezzogiorno con la Libia (-63%, da 6,1 a 2,3 miliardi di euro) che nel
2010 era di gran lunga il primo Paese per valore del commercio con il
Mezzogiorno tra i 13 esaminati. Si riduce anche l’interscambio con la Tunisia
(-18%, da 1,6 a 1,3 miliardi di euro), mentre cresce sensibilmente il
commercio bilaterale con l’Algeria (1,2 miliardi di euro nel 2011, pari a
+74%); sostanzialmente stabile l’interscambio del Mezzogiorno con Egitto e
Marocco.
I disordini che nel corso del 2011 hanno interessato tre dei cinque Paesi
dell’area Southern Med (Tunisia, Egitto e Libia) hanno avuto un differente
impatto sull’interscambio del Mezzogiorno con questi Paesi; particolarmente
forte l’effetto depressivo sul commercio bilaterale con la Libia, in cui la
componente energetica ha un peso preponderante (il 95% nel 2010), minore
l’impatto sull’interscambio con la Tunisia e nullo quello sugli scambi con
l’Egitto.
•
Nell’area Eastern Med, la netta contrazione degli scambi con la Siria (-0,6
miliardi di euro tra il 2010 e il 2011) è più che compensata dall’aumento
dell’interscambio con la Turchia (+0,8 miliardi, pari al +37%), diventata, nel
2011, il primo partner commerciale del Mezzogiorno tra i 13 Paesi dell’Area
Med (3,1 miliardi di euro); in crescita anche il commercio con Libano (+51%)
e Israele (+21%).
27
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Interscambio totale con i paesi dell’area Med nel 2011
Infografica 1- Fonte: elaborazione SRM
28
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale con i paesi dell’area Med nel 2010
Infografica 2 - Fonte: elaborazione SRM
•
Nell’area Adriatic Med l’interscambio commerciale del Mezzogiorno cresce
con tutti e quattro i Paesi dell’Area: particolarmente quello con Albania
(+26%) e Croazia (+29%), meno quello con Bosnia (+10%) e Montenegro
(+5%).
29
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
3) L’evoluzione del commercio estero dell’Italia con le tre Sub-Aree Med tra il
2010 e il 2011 segue quella del Mezzogiorno, con una forte contrazione
dell’interscambio commerciale con l’area Southern Med (da 38,5 miliardi di
euro a 28,7 miliardi, -25%), e una crescita degli scambi commerciali con le aree
Eastern Med (+2,7 miliardi) e Adriatic Med (+0,5 miliardi). Anche gli scambi
commerciali di Campania e Sicilia seguono l’andamento dell’interscambio del
Mezzogiorno nel suo complesso (in calo gli scambi con il Southern Med, in
crescita quelli con l’Eastern Med e l’Adriatic Med), mentre la Puglia fa
registrare un contrazione del proprio commercio estero con tutte e tre le SubAree Med. Particolarmente forte il calo dell’interscambio commerciale tra la
Sicilia e l’area Southern Med (da 4,5 a 3 miliardi di euro) a causa della forte
specializzazione della regione nell’interscambio di prodotti energetici.
4) Per le sei regioni del Mezzogiorno continentale, il peso dell’Area Med sul totale
del proprio commercio estero non ha subito sensibili variazioni tra il 2010 e il
2011 (tranne che per la Puglia dove è passata dall’11,3% al 7,8%). Viceversa,
Sicilia e Sardegna – a causa della loro specializzazione nell’interscambio di
prodotti energetici, di cui la Libia era il principale fornitore e fra i primi clienti
nel 2010 – hanno registrato una forte riduzione dell’incidenza degli scambi
commerciali con l’Area Med sul totale del proprio commercio estero,
evidenziata dalla minore intensità dell’azzurro delle due regioni nell’infografica
del 2011. Per la Sicilia si passa da un’incidenza dell’Area Med pari al 24,9% nel
2010 al 19,2% nel 2011, mentre per la Sardegna dal 35,1% al 17,6%.
3. Il posizionamento economico del Mezzogiorno nel Mediterraneo in
rapporto alle altre macroregioni italiane
3.1 Il trend 2001-2011
L’interscambio totale tra il Mezzogiorno e l’Area Med tra il 2001 ed il 2010 è
cresciuto di circa il 30% (da 11,9 a 15,5 miliardi di euro). Nel corso del 2011 si è
registrata una contrazione dell’interscambio di circa il 18% rispetto al 2010, a 12,7
miliardi. Anche per le altre macroregioni c’è stata una crescita sostenuta
dell’interscambio con l’Area Med tra il 2001 ed il 2010, con un successivo calo, anche
se meno intenso, nel corso del 2011; la maggiore riduzione dell’interscambio del
Mezzogiorno rispetto alle altre macroregioni nel 2011 dipende dal peso più elevato
della componente energetica che, come evidenziato in apertura del report, ha fatto
registrare un vero e proprio crollo degli scambi con la Libia. Il Nord-Ovest resta la
macroregione con il valore più alto dell’interscambio con l’Area Med (18,1 miliardi di
euro) seguito dal Mezzogiorno (12,7 miliardi) (cfr. Graf. 6). L’incidenza dell’Area
Med sul totale degli scambi commerciali del Mezzogiorno ha registrato un picco nel
2005 (21,5%) cui ha fatto seguito una contrazione fino al 17% nel 2010 e al 12,4% nel
2011. Tuttavia, il Mezzogiorno resta la macroregione italiana che registra la maggiore
30
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO incidenza dell’Area Med sul totale del proprio commercio estero, un peso che risulta
più che doppio rispetto alle altre macroregioni italiane (cfr. Graf. 7).
Interscambio totale con l’Area Med – Le macroregioni italiane – 2001-2011
(Miliardi di euro)
€ bn
25
20
18,1
15
12,7
11,8
10
7,6
7,4
5
0
2001
2002
2003
North Western Italy
2004
2005
North Eastern Italy
2006
2007
Central Italy
2008
2009
Southern Italy
2010
2011
No specified regions
Graf. 6 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat
Interscambio totale: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del
commercio estero (2001-2011) – Le macroregioni italiane
25
21,5
20
18,8
18,2
17,0
18,7
17,4
17,3
17,0
16,7
15,5
15
12,4
10
5
6,7
6,7 6,9
6,3
5,8
5,4
4,7
6,0 5,8
5,9
5,8 6,0
0
2001
2002
2003
North Western Italy
2004
2005
North Eastern Italy
2006
2007
Central Italy
2008
2009
Southern Italy
2010
2011
Southern Italy
Graf. 7 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat
31
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Nell’ambito degli scambi commerciali con i Paesi dell’Area Med, la componente
energetica ha un peso molto rilevante soprattutto per il Mezzogiorno e per l’Italia
Centrale. Seppur in contrazione, infatti, l’incidenza degli scambi di prodotti energetici
sul totale è del 63,8% nel Mezzogiorno (dal 70,8% del 2010) e del 35,6% nell’Italia
Centrale (in aumento dal 30,3% del 2010); nel Nord Ovest il peso dei prodotti
energetici è del 10,5% (dimezzato rispetto al 2010) mentre nel Nord Est è del 4,4%
(cfr. Graf. 8).
Peso (%) dell’interscambio di prodotti energetici sull’interscambio totale con l’Area
Med (2010 e 2011) – Le macroregioni italiane
80
70,8
70
63,8
60
50
40
35,6
30,3
30
21,2
20
10,5
10
9,8
4,4
0
Southern Italy
North Western Italy
2010
North Eastern Italy
Central Italy
2011
Graf. 8 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat
Escludendo i prodotti energetici, l’interscambio dell’Italia meridionale con l’Area
Med nel 2011 (pari a 4,6 miliardi di euro), è inferiore a quello delle altre macroregioni
italiane, pur avendo registrato un aumento di circa il 57% rispetto al 2001. Il NordOvest con 16,2 miliardi di euro (in crescita del 68,6% rispetto al 2001) è la
macroregione che realizza il maggior interscambio commerciale non energetico con
l’Area Med; seguono il Nord-Est (11,3 miliardi; +58,9% rispetto al 2001) ed il Centro
(4,9 miliardi; +38,3%). Tutte le macroregioni, ad eccezione dell’Italia Centrale, hanno
registrato un incremento degli scambi commerciali non energetici con l’Area Med tra il
2010 ed il 2011, ad indicare che il rallentamento ha riguardato prevalentemente lo
scambio di prodotti di natura energetica (cfr. Graf. 9).
L’incidenza dell’interscambio non energetico con l’Area Med sul totale
dell’interscambio non energetico del Mezzogiorno è progressivamente aumentata tra il
2001 ed il 2008 quando ha toccato il suo picco (8,3%); successivamente si è avuta una
progressiva riduzione di tale peso, fino al 7,4% nel 2011. L’incidenza dell’Area Med
sul commercio estero di prodotti non energetici del Mezzogiorno resta, comunque,
superiore a quanto si registra nelle altre macroregioni italiane, dove è compresa tra il 4
e il 6% (cfr. Graf. 10).
32
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med – Le macroregioni
italiane – 2001-2011 (Miliardi di euro)
€ bn
18
16,2
16
14
12
11,3
10
8
6
4,9
4,6
4
2
0
2001
2002
2003
North Western Italy
2004
2005
North Eastern Italy
2006
2007
Central Italy
2008
2009
Southern Italy
2010
0,1
2011
No specified regions
Graf. 9 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat
Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici: peso (%) del commercio estero
con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011). Le macroregioni italiane
10
8,3
7,8
8
6,4
6,7
6,8
2002
2003
7,4
7,8
7,8
2006
2007
8,2
7,9
7,4
6
4
2
0
2001
North Western Italy
2004
2005
North Eastern Italy
Central Italy
2008
2009
Southern Italy
2010
2011
Southern Italy
Graf. 10 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat
33
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
3.2 I flussi commerciali al I semestre 2012
Nel corso della prima metà del 2012, l’Italia meridionale ha fatto registrare una
forte crescita del totale dei flussi commerciali con i Paesi dell’Area Med (+18,5% a
8,3 miliardi di euro), grazie alla ripresa degli scambi con i Paesi della sponda Sud del
Mediterraneo (area Southern Med), nei cui confronti il commercio bilaterale del
Mezzogiorno (5,3 miliardi di euro) è cresciuto di 1/3 rispetto ai primi sei mesi del
2011; in particolare, tra i cinque Paesi dell’area Southern Med è da segnalare la forte
ripresa degli scambi tra il Mezzogiorno e la Libia (+75,8%), composti per il 98,4% da
prodotti di natura energetica (essenzialmente petrolio greggio). L’interscambio
commerciale del Mezzogiorno con le aree Eastern Med (-2%) e Adriatic Med (+1,7%)
ha fatto registrare variazioni contenute.
Interscambio totale con l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012 – Il
Mezzogiorno e le principali regioni meridionali
Italy
SOUTHERN MED
I sem 2012
I sem
on I sem
2012
2011
20.334,6
26,9%
EASTERN MED
I sem 2012
on I sem
2011
10.218,0
-13,7%
I sem
2012
ADRIATIC MED
I sem 2012
on I sem
2011
3.189,7
-4,9%
MED AREA
I sem 2012
on I sem
2011
33.742,4
8,1%
I sem
2012
I sem
2012
North Central Italy
9.487,4
18,6%
7.955,5
-16,7%
2.373,4
-6,3%
19.816,3
-1,3%
Southern Italy
5.287,9
33,3%
2.227,4
-2,0%
746,3
1,7%
8.261,6
18,5%
No-specified regions *
5.559,4
37,1%
35,2
44,6%
70,0
-20,8%
5.664,5
35,9%
494,1
2,3%
287,4
-31,4%
61,9
-13,4%
843,4
-13,3%
Puglia
286,9
-14,4%
313,1
1,8%
203,5
-11,4%
803,5
-7,9%
Sicilia
2.307,5
16,9%
1.094,8
6,3%
296,7
-1,3%
3.699,0
11,9%
Campania
Tab. 4 – Fonte: elaborazione SRM su dati Istat – valori in milioni di euro e variazioni percentuali
Con riferimento alle principali regioni del Mezzogiorno (quasi il 60% dei flussi
commerciali del Mezzogiorno con l’Area Med riguarda Campania, Puglia e Sicilia), le
due regioni del Mezzogiorno continentale fanno segnare una contrazione del
commercio bilaterale con l’Area Med (rispettivamente, -13,3% per la Campania e 7,9% per la Puglia), mentre la Sicilia, grazie alla forte specializzazione
nell’interscambio di prodotti energetici, ha fatto registrare una crescita dell’11,9%; da
segnalare la forte crescita (oltre il 100%) dell’interscambio della Sardegna con i paesi
dell’area Southern Med, anche in questo caso grazie alla specializzazione della regione
negli scambi di prodotti energetici.
Nei primi sei mesi del 2012 gli scambi commerciali del Mezzogiorno con l’Area
Med, al netto dei prodotti di natura energetica, hanno registrato una contrazione del
20,3% rispetto all’analogo periodo del 2011, a circa 2 miliardi di euro, un risultato
peggiore rispetto a quello dell’Italia complessivamente (-7,7%). La riduzione
dell’interscambio commerciale del Mezzogiorno ha riguardato tutte le 3 sub aree Med.
L’andamento dei flussi commerciali delle tre regioni meridionali esaminate presenta
una sensibile contrazione, più marcata per la Sicilia (-42,1%) rispetto a Campania (18,4%) e Puglia (-15,4%)
34
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med e le tre sub-aree
al I semestre 2012 – Il Mezzogiorno e le principali regioni meridionali
SOUTHERN MED
EASTERN MED
I sem
2012
8.743,6
I sem 2012 on
I sem 2011
-11,0%
MED AREA
I sem 2012
I sem
on I sem
2012
2011
18.166,5
-7,7%
Italy
I sem
2012
6.815,8
North Central Italy
6.033,7
98,1%
7.798,7
61,7%
2.261,0
229,0%
16.093,3
88,1%
743,8
-16,2%
909,8
-22,0%
331,3
-23,9%
1.984,9
-20,3%
No-specified regions *
38,3
13,5%
35,2
45,3%
14,8
153,4%
88,3
38,4%
Campania
341,0
7,9%
249,5
-40,2%
56,8
-5,4%
647,4
-18,4%
Puglia
109,2
-46,6%
313,0
1,8%
203,5
-10,5%
625,8
-15,4%
Sicilia
120,1
-36,5%
129,9
-23,6%
10,7
-88,3%
260,7
-42,1%
Southern Italy
I sem 2012 on
I sem 2011
-2,3%
ADRIATIC MED
I sem 2012
I sem
on I sem
2012
2011
2.607,1
-9,8%
Tab. 5 - Fonte: elaborazione SRM su dati Istat – valori in milioni di euro e variazioni percentuali
35
36
2.336,7
707,2
2.658,9
754,3
712,0
141,1
4.722,4
35.495,5
659,1
126,5
4.154,5
37.217,9
832,7
3.036,6
722,3
2.646,6
11.808,4
18.964,7
20.914,1
12.149,3
2.329,0
2.578,7
1.745,8
6.224,2
6.759,7
7.018,7
3.561,2
3.787,8
6.953,9
5.498,0
6.381,8
1.782,2
2002
1.352,2
2001
1.406,1
Tab. 1 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
AREA MED
ADRIATIC MED
Montenegro
Bosnia and Herzegovina
Croatia
Albania
EASTERN MED
Turkey
Syrian Arab Republic
Lebanon
Israel
SOUTHERN MED
Egypt
Libyan Arab Jamahiriya
Tunisia
Algeria
Morocco
PARTNER/YEAR
36.509,4
4.929,6
141,4
704,6
3.232,3
851,3
12.011,0
8.056,1
1.238,3
697,2
2.019,3
19.568,8
2.196,2
6.593,3
3.577,1
5.850,1
1.352,1
2003
41.344,4
5.344,3
162,4
700,4
3.558,8
922,7
13.982,5
9.657,6
1.297,7
784,9
2.242,3
22.017,5
2.631,7
7.858,2
4.052,4
6.062,6
1.412,6
2004
48.070,3
5.611,7
197,8
804,5
3.645,7
963,7
15.345,2
10.531,1
1.596,5
809,2
2.408,4
27.113,4
2.666,7
11.165,2
4.290,4
7.483,4
1.507,8
2005
57.203,1
6.493,2
319,1
802,7
4.285,7
1.085,6
16.981,9
12.169,4
1.380,9
800,6
2.631,0
33.728,0
3.709,7
14.058,1
4.691,1
9.579,8
1.689,2
2006
59.560,9
6.712,5
309,9
923,5
4.206,4
1.272,7
17.906,3
12.531,9
1.859,1
761,2
2.754,0
34.942,1
3.967,8
15.602,4
5.360,0
7.947,1
2.064,8
2007
70.474,1
7.334,7
329,7
1.082,3
4.511,2
1.411,5
18.746,8
13.085,2
1.849,0
810,7
3.001,9
44.392,5
5.152,6
20.053,7
5.283,0
11.609,7
2.293,5
2008
52.265,7
5.948,6
165,5
876,4
3.624,6
1.282,2
14.592,9
10.075,2
1.135,7
782,1
2.599,8
31.724,2
4.045,3
12.681,3
4.579,7
8.627,6
1.790,4
2009
64.273,8
6.266,3
135,2
1.008,4
3.579,1
1.543,5
19.540,1
13.186,4
2.304,1
1.065,8
2.983,8
38.467,5
4.842,0
14.979,4
5.759,7
10.930,7
1.955,7
2010
Italia: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
57.704,6
6.783,3
150,2
1.079,9
3.749,9
1.803,3
22.209,5
15.605,9
1.865,4
1.365,8
3.372,3
28.711,8
5.118,0
4.585,0
5.624,4
11.292,9
2.091,5
2011
33.742,4
3.189,7
86,2
513,5
1.671,6
918,5
10.218,0
7.897,7
211,0
592,4
1.516,9
20.334,6
2.619,9
6.985,9
2.781,9
6.971,8
975,1
I sem 2012
APPENDICE STATISTICA
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
20.155,8
91,6
2.417,5
565,6
49,4
3.124,1
31.880,4
91,8
2.208,7
543,7
38,4
2.882,6
31.514,4
3.739,4
4.541,3
19.239,0
8.600,5
9.392,8
14.079,1
1.655,0
1.753,4
12.254,5
2.128,3
2.690,4
527,6
1.843,4
2.061,3
1.809,8
1.807,4
1.738,2
566,5
1.166,3
1.149,6
1.876,7
2.002
2.001
33.503,0
3.366,4
51,1
624,5
2.592,1
98,7
21.567,7
15.637,7
1.776,2
750,0
3.403,8
8.568,9
1.712,1
2.343,9
1.683,4
1.562,0
1.267,5
2.003
38.482,2
3.734,5
58,3
798,3
2.770,4
107,5
24.478,2
18.926,9
1.399,8
599,9
3.551,6
10.269,5
1.924,3
3.488,5
1.723,6
1.794,1
1.338,9
2.004
41.834,1
3.881,7
96,1
814,0
2.841,6
130,0
25.247,0
19.841,7
1.491,2
468,9
3.445,2
12.705,4
2.347,2
4.631,8
1.754,4
2.686,1
1.286,0
2.005
46.768,3
4.448,8
72,3
924,0
3.312,4
140,0
28.501,9
22.255,7
1.945,2
496,0
3.805,0
13.817,7
2.596,9
5.517,2
2.007,7
2.201,5
1.494,3
2.006
48.519,2
4.728,3
106,6
984,9
3.472,3
164,5
29.982,6
23.785,9
1.839,0
486,3
3.871,4
13.808,3
2.847,6
4.882,3
2.243,2
2.156,8
1.678,3
2.007
53.226,0
5.131,5
156,2
1.083,8
3.674,0
217,6
30.093,3
23.770,8
1.916,7
555,5
3.850,3
18.001,2
3.782,0
6.552,1
2.576,9
3.216,8
1.873,3
2.008
42.004,1
4.070,9
73,9
899,3
2.879,7
218,0
24.334,7
18.892,2
1.463,5
626,1
3.352,9
13.598,5
3.408,9
3.945,3
2.353,0
2.216,1
1.675,2
2.009
50.369,8
3.962,8
65,1
1.010,3
2.702,0
185,4
31.744,1
24.989,4
1.816,6
814,7
4.123,4
14.662,9
3.860,5
4.047,1
2.834,7
2.102,5
1.818,1
2.010
Germania: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
Tab. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
AREA MED
Montenegro
ADRIATIC
MED
Croatia
Bosnia and
Herzegovina
Albania
Turkey
EASTERN
MED
Lebanon
Syrian Arab
Republic
Israel
Egypt
SOUTHERN
MED
Tunisia
Libyan Arab
Jamahiriya
Algeria
Morocco
PARTNER/YE
AR
56.624,0
4.479,0
77,9
1.195,1
2.998,3
207,7
37.486,8
30.590,4
1.397,8
741,6
4.757,0
14.658,2
3.906,7
2.310,8
2.887,3
3.491,4
2.062,0
2.011
30.009,0
2.289,9
44,4
598,2
1.536,4
110,9
18.537,7
15.352,8
201,7
481,4
2.501,8
9.181,3
2.121,4
2.943,1
1.401,4
1.637,9
1.077,5
I sem 2012
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 37
38
17,8
613,8
74,5
11,2
717,4
29.565,6
17,8
81,3
9,0
633,0
30.140,3
9.318,2
9.113,8
524,9
810,7
674,7
744,5
5.923,3
1.909,4
2.241,7
5.073,4
19.530,0
20.393,5
1.054,3
713,8
5.276,7
5.264,9
1.498,2
6.815,2
7.281,4
1.455,6
5.226,0
5.364,8
1.026,8
2.002
2.001
Tab. 3 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
AREA MED
ADRIATIC MED
Montenegro
Bosnia and Herzegovina
Croatia
Albania
EASTERN MED
Turkey
Syrian Arab Republic
Lebanon
Israel
SOUTHERN MED
Egypt
Libyan Arab Jamahiriya
Tunisia
Algeria
Morocco
PARTNER/YEAR
30.120,9
760,1
13,2
96,8
624,6
25,5
9.243,0
5.993,3
724,3
851,4
1.673,9
20.117,8
1.507,3
1.097,9
5.113,4
7.141,2
5.258,0
2.003
32.722,4
676,4
14,9
84,6
554,2
22,7
10.805,9
7.678,6
658,9
774,6
1.693,9
21.240,2
1.551,1
1.292,0
5.321,4
7.789,1
5.286,6
2.004
40.740,4
721,4
21,3
128,3
550,5
21,3
11.582,0
8.132,0
907,9
683,7
1.858,3
28.437,1
2.198,4
1.900,5
5.425,5
8.650,6
10.262,1
2.005
37.477,6
750,5
12,7
133,9
582,8
21,1
12.362,2
8.944,1
921,4
647,7
1.849,0
24.364,9
2.297,3
2.353,7
5.992,8
8.148,1
5.572,9
2.006
38.481,7
697,9
9,6
117,8
543,9
26,7
13.076,8
9.398,2
880,8
757,6
2.040,2
24.707,0
1.951,2
2.687,9
6.862,8
7.240,7
5.964,4
2.007
45.236,8
746,7
30,4
111,3
573,0
32,0
14.477,0
10.304,7
983,8
1.038,0
2.150,5
30.013,2
2.097,3
3.919,3
6.962,8
10.302,2
6.731,6
2.008
38.090,0
568,6
11,4
98,4
398,7
60,1
12.818,4
9.254,6
652,4
1.232,7
1.678,6
24.703,1
2.250,2
2.981,6
6.084,5
7.788,3
5.598,4
2.009
44.986,9
577,2
16,4
96,3
409,2
55,3
14.665,7
11.064,6
738,1
958,2
1.904,9
29.744,0
2.916,8
5.832,1
6.855,9
7.618,3
6.520,9
2.010
Francia: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
46.809,5
853,0
23,1
118,0
651,8
60,1
15.794,1
11.846,1
666,7
1.163,3
2.118,1
30.162,4
3.090,5
2.300,5
7.521,6
10.160,6
7.089,2
2.011
23.732,2
380,4
24,1
54,6
282,5
19,2
8.045,3
6.125,4
104,1
710,4
1.105,4
15.306,5
1.395,5
2.046,1
3.786,4
4.420,4
3.658,1
I sem 2012
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
8.656,8
2.235,9
622,3
8.798,3
2.502,2
667,3
803,8
2.784,6
701,0
175,9
4.465,2
23.413,1
706,5
2.439,4
646,9
166,5
3.959,3
23.266,9
10.291,1
1.671,8
1.921,2
10.509,3
1.260,0
1.214,0
724,7
3.109,6
3.222,8
6.708,2
1.323,6
1.148,4
658,9
1.291,8
1.291,9
6.680,9
2002
2001
Tab. 4 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
Area Med
Adriatic Med
Montenegro
Bosnia and Herzegovina
Croatia
Albania
Eastern Med
Turkey
Syrian Arab Republic
Lebanon
Israel
Southern Med
Egypt
Libyan Arab Jamahiriya
Tunisia
Algeria
Morocco
Paese
24.104,5
4.679,7
174,4
672,2
2.993,9
839,2
10.805,2
7.708,3
624,0
551,7
1.921,1
8.619,7
1.681,0
1.331,5
3.107,8
1.230,9
1.268,4
2003
26.890,7
5.047,9
191,8
679,8
3.278,9
897,4
12.382,0
9.155,0
679,3
500,8
2.047,0
9.460,8
1.937,7
1.461,1
3.467,4
1.274,6
1.320,1
2004
27.566,6
5.223,9
200,4
773,7
3.313,8
936,1
13.089,3
9.798,7
665,7
464,3
2.160,6
9.253,4
1.969,5
1.123,3
3.410,4
1.367,3
1.382,8
2005
31.147,3
5.767,9
293,7
787,4
3.656,1
1.030,7
14.686,5
11.347,2
702,2
444,1
2.193,1
10.692,8
2.327,6
1.255,1
3.936,9
1.601,0
1.572,3
2006
34.241,9
6.125,9
288,6
912,6
3.724,0
1.200,7
15.533,0
12.007,1
661,9
484,4
2.379,7
12.583,0
2.983,0
1.219,9
4.565,3
1.810,9
2.003,8
2007
37.439,4
6.497,3
307,3
1.016,2
3.823,2
1.350,7
15.583,8
11.732,9
736,9
595,3
2.518,7
15.358,3
3.605,8
1.672,9
4.857,5
3.006,1
2.216,0
2008
31.505,8
5.435,5
155,0
840,1
3.219,6
1.220,7
13.024,3
9.440,7
655,4
599,8
2.328,4
13.046,0
3.027,5
1.755,3
4.131,6
2.487,7
1.643,9
2009
36.272,2
5.475,1
134,8
933,8
3.067,4
1.339,2
16.192,2
12.174,9
722,0
692,7
2.602,7
14.604,8
3.505,8
1.827,2
4.665,6
2.818,3
1.788,0
2010
36.877,6
5.451,1
142,9
972,6
2.952,1
1.383,6
18.392,3
13.938,5
781,1
714,0
2.958,7
13.034,2
3.245,0
406,5
4.628,4
2.790,9
1.963,4
2011
18.016,4
2.520,2
83,0
465,3
1.298,6
673,3
8.705,8
6.716,1
208,2
360,6
1.420,9
6.790,3
1.520,4
469,4
2.430,8
1.430,6
939,1
I sem. 2012
Italia: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 39
40
91,2
2.409,5
563,7
49,3
3.113,7
27.976,5
91,6
541,2
38,3
2.872,8
26.973,8
18.895,2
17.855,7
2.201,7
577,9
523,5
562,5
14.064,8
3.729,0
4.529,0
520,6
5.967,6
6.245,3
12.243,6
525,3
1.594,6
572,3
1.695,3
909,8
1.777,4
802,4
1.160,5
1.137,8
2.037,5
2002
2001
Tab. 5 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
AREA MED
ADRIATIC MED
Montenegro
Bosnia and Herzegovina
Croatia
Albania
EASTERN MED
Turkey
Syrian Arab Republic
Lebanon
Israel
SOUTHERN MED
Egypt
Libyan Arab Jamahiriya
Tunisia
Algeria
Morocco
PARTNER/YEAR
29.335,3
3.354,6
51,0
622,4
2.583,0
98,2
20.314,8
15.610,3
563,5
747,6
3.393,4
5.665,9
1.563,7
546,1
1.597,7
695,9
1.262,5
2003
33.744,1
3.723,4
58,2
796,1
2.762,5
106,6
23.643,3
18.906,2
598,8
597,1
3.541,3
6.377,4
1.704,2
680,5
1.668,5
989,4
1.334,8
2004
34.871,2
3.870,3
95,7
811,1
2.834,4
129,0
24.307,3
19.822,4
591,9
466,7
3.426,4
6.693,6
1.967,0
668,6
1.679,0
1.095,7
1.283,4
2005
38.867,4
4.434,3
71,9
921,0
3.302,6
138,7
27.206,0
22.231,2
710,3
493,1
3.771,4
7.227,1
2.140,8
610,2
1.913,8
1.091,2
1.471,1
2006
41.706,7
4.707,3
106,2
979,7
3.458,4
162,9
28.894,2
23.754,3
802,8
483,1
3.854,1
8.105,3
2.472,1
709,6
2.088,2
1.178,2
1.657,1
2007
43.760,3
5.109,1
155,7
1.075,3
3.662,4
215,7
28.859,2
23.728,6
750,7
551,7
3.828,1
9.791,9
3.128,8
1.050,6
2.225,1
1.520,8
1.866,7
2008
37.078,3
4.051,9
73,5
891,1
2.871,1
216,2
23.533,1
18.857,0
722,4
621,1
3.332,6
9.493,3
3.048,1
1.134,2
2.069,2
1.585,8
1.656,0
2009
44.767,6
3.917,4
64,6
989,0
2.680,1
183,7
30.578,1
24.929,8
750,7
809,1
4.088,5
10.272,0
3.429,8
981,9
2.631,9
1.434,9
1.793,6
2010
50.442,3
4.408,9
77,3
1.162,6
2.976,1
192,9
36.621,5
30.513,5
647,4
735,8
4.724,8
9.412,0
2.879,3
333,1
2.606,9
1.536,8
2.055,8
2011
25.672,2
2.251,1
44,2
588,9
1.527,2
90,9
18.430,8
15.264,2
201,5
477,3
2.487,8
4.990,4
1.529,2
290,8
1.208,7
887,3
1.074,4
I sem 2012
Germania: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
17,4
598,6
73,7
11,1
700,8
25.532,0
17,8
80,6
8,9
629,9
25.363,1
8.732,3
8.384,8
522,7
325,4
631,5
669,1
5.876,9
1.898,5
2.229,4
446,0
16.099,0
16.348,3
5.040,3
309,1
5.099,5
5.072,7
1.384,1
4.179,4
4.343,4
295,4
5.126,9
5.274,5
1.362,3
2002
2001
25.508,2
750,7
13,0
96,3
616,4
25,0
8.801,4
5.964,1
427,2
751,7
1.658,4
15.956,1
1.393,2
362,7
4.938,3
4.147,8
5.114,2
2003
Tab. 6 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT
AREA MED
ADRIATIC MED
Montenegro
Bosnia and Herzegovina
Croatia
Albania
EASTERN MED
Turkey
Syrian Arab Republic
Lebanon
Israel
SOUTHERN MED
Egypt
Libyan Arab Jamahiriya
Tunisia
Algeria
Morocco
PARTNER/YEAR
27.848,3
667,1
14,7
84,1
546,2
22,1
10.207,4
7.559,3
337,0
619,0
1.692,1
16.973,8
1.428,1
268,1
5.212,9
4.982,9
5.081,9
2004
33.622,4
704,9
21,2
127,6
535,7
20,4
10.624,2
7.944,4
369,0
479,4
1.831,4
22.293,3
1.855,4
319,7
5.173,4
5.090,6
9.854,2
2005
28.817,9
744,1
12,6
133,1
577,8
20,7
11.342,9
8.753,3
324,1
452,0
1.813,6
16.730,9
1.511,6
492,4
5.585,5
4.117,8
5.023,6
2006
30.912,3
691,7
9,4
117,0
538,7
26,5
12.086,7
9.310,7
265,2
492,0
2.018,8
18.133,9
1.506,5
485,0
6.131,2
4.182,0
5.829,3
2007
33.650,5
741,7
30,3
111,1
568,5
31,8
12.826,0
9.835,8
266,4
609,2
2.114,5
20.082,9
1.605,1
417,2
6.324,5
5.546,7
6.189,4
2008
30.875,4
563,7
11,4
98,1
394,5
59,7
11.913,4
9.055,8
298,9
929,7
1.629,0
18.398,3
1.606,9
655,8
5.721,5
4.991,5
5.422,6
2009
36.024,4
573,0
16,3
96,2
405,3
55,0
13.920,3
11.003,3
358,9
681,1
1.877,0
21.531,2
2.249,7
944,8
6.730,4
5.254,1
6.352,1
2010
37.798,4
803,7
23,0
111,7
617,8
51,2
14.673,4
11.661,7
322,2
719,5
1.970,1
22.321,3
2.166,8
296,7
7.114,6
5.785,8
6.957,5
2011
19.033,7
378,7
24,1
54,6
281,0
19,0
7.655,4
6.082,2
104,1
401,6
1.067,5
10.999,6
926,6
196,4
3.615,9
2.636,4
3.624,3
I sem 2012
Francia: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro)
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 41
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Nota metodologica
Questo capitolo esamina l’andamento dei flussi commerciali dell’Italia – in
rapporto ai suoi principali competitor europei – e del Mezzogiorno, con i Paesi che si
affacciano sul Mediterraneo che non sono membri dell’Unione Europea. Di seguito si
presenta:
• Il criterio di aggregazione territoriale che definisce le tre aree in cui sono
raggruppati i paesi del mediterraneo oggetto di analisi;
• le diverse tipologie di dati cui si fa riferimento;
• le fonti utilizzate per l’analisi.
I Paesi analizzati sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo non facenti parte
dell’Unione Europea. Nello specifico:
- i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo (nel capitolo Southern
Med): Marocco, Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto;
- i Paesi che si affacciano sulla sponda sud-orientale del Mediterraneo (nel
capitolo Eastern Med): Israele, Libano, Siria e Turchia;
- i Paesi della sponda adriatica (nel capitolo Adriatic Med): Albania, Bosnia
Erzegovina, Croazia e Montenegro.
Le tipologie di dati
Con riferimento al paragrafo 1, l’interscambio commerciale è stato analizzato con
riferimento al totale degli scambi e al totale degli scambi al netto dei prodotti
energetici. Per quanto riguarda i settori energetici, sono stati considerati tali quelli
contrassegnati con il codice 3 (Mineral fuels, lubrificant and related materials) della
Standard International Trade Classification (SITC).
Nel paragrafo 2, l’interscambio commerciale è stato analizzato con riferimento al
totale degli scambi.
Nel paragrafo 3, l’interscambio commerciale è stato analizzato con riferimento al
totale degli scambi e al totale degli scambi al netto dei prodotti energetici. Per quanto
riguarda i prodotti energetici sono stati considerati i seguenti settori: BB05-Carbone
(esclusa torba); BB06-Petrolio greggio e gas naturale; CD-Coke e prodotti petroliferi
raffinati; D-Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata.
I grafici e le tabelle sono riportati nella sola versione inglese.
Le fonti utilizzate
Per la realizzazione del capitolo sono state utilizzate le seguenti fonti:
- Paragrafo 1 – fonte: Eurostat
(http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home).
- Paragrafo 2 e 3 – fonte: Istat (banca dati Coeweb)
(http://www.coeweb.istat.it)
42
CAPITOLO II
I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI: SVILUPPI
1
RECENTI E QUESTIONI APERTE DELL’ECONOMIA
Premessa
A quasi due anni dallo scoppio della protesta politica che ha attraversato i Paesi
Arabi della sponda Sud del Mediterraneo, si può tentare un primo bilancio degli effetti
economici e discuterne le possibili implicazioni di prospettiva.
I Paesi del Sud del mediterraneo sono caratterizzato da forti diversità. Dal punto di
vista economico si possono distinguere quattro gruppi: 1) Paesi esportatori netti di
petrolio (Algeria e Libia, con forte concentrazione settoriale delle esportazioni (oltre il
90% energetici e derivati); 2) Paesi con struttura produttiva più diversificata del Nord
Africa (Marocco, Tunisia, Egitto), caratterizzati da discreto sviluppo del manifatturiero
e sostenute relazioni commerciali e di investimento con la UE (oltre il 50%
dell’interscambio e degli IDE in entrata); 3) Paesi con economia diversificata del
Medio Oriente (Siria, Giordania, Libano), con un più alto contributo all’economia dai
settori dei servizi e relazioni economiche significative anche con Paesi extra UE (in
particolare Paesi del Golfo); 4) due Paesi (Israele e Turchia), con caratteristiche
specifiche, un’economia, nel primo caso, avanzata e con aree di specializzazione
nell’alta tecnologia; un Paese, nel secondo caso, candidato all’ingresso nella UE e
ponte tra Europa e area MENA.
L’intera area dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo è stata caratterizzata nel
decennio 1999-2008 da una crescita sostenuta, con incremento del PIL del 4,2% medio
annuo (in accelerazione al 5,5% nel 2004-08 dal 2,9% nel 1999-03), superiore di circa
due punti al tasso di crescita del complesso delle economie mature (in particolare area
UE) ma di due punti inferiore rispetto alla media degli emergenti. Il profilo è risultato
in media più contenuto per i Paesi esportatori netti di petrolio e più accentuato per i
Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente con una maggiore diversificazione
produttiva.
Secondo un’ampia letteratura sull’argomento, la dinamica della crescita è stata più
accentuata nei Paesi che hanno potuto contare su un grado più elevato di stabilità
macroeconomica, una maggiore apertura al commercio e agli investimenti diretti esteri,
una qualità più elevata di investimenti in infrastrutture e istruzione. Hanno
rappresentato in varia misura fattori di freno lo sviluppo ancora contenuto della
intermediazione finanziaria (con più difficile accesso delle PMI a credito e mercati), lo
1
Il Capitolo è stato realizzato dal Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, Ufficio
International Economics. Autori: Gianluca SALSECCI (Responsabile e Coordinatore del Capitolo),
Giancarlo FRIGOLI, e Fiorenza LIPPARINI, dell’Ufficio International Regulatory and Antitrust
Affairs Intesa Sanpaolo Eurodesk. 43
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
svantaggio in termini di qualità, affidabilità e orientamento al mercato delle istituzioni,
il carattere non inclusivo del modello di crescita, il grado di rischio politico2.
Da un punto di vista politico, non tutti i Paesi della sponda Sud sono stati interessati
allo stesso modo dalla protesta. Si possono in questo caso distinguere tre gruppi, con i
primi due, indicati comunemente come Paesi della primavera o del risveglio arabo,
colpiti a vario modo dalla protesta, il terzo no. Nel primo gruppo sono compresi
Tunisia, Egitto e Libia, direttamente investiti dai rivolgimenti politici, con cambio di
regime e transizione verso un nuovo assetto istituzionale, e la Siria, dove una guerra
civile è ancora in corso. Nel secondo gruppo si ritrovano Marocco, Giordania, Algeria
e, seppure con alcuni distinguo, il Libano, nei quali le forme di protesta sono state più
contenute, con implicazioni importanti sul piano politico ma non tali da portare a
rivolgimenti istituzionali. Del terzo gruppo fanno parte i due Paesi della sponda Sud
del Mediterraneo, Israele e Turchia, non arabi e con le specificità sopra indicate.
L’impatto della protesta è stato differenziato nei tre gruppi. I Paesi direttamente
investiti dai rivolgimenti politici hanno attraversato tutti una fase recessiva nel 2011.
La caduta del PIL è stata particolarmente acuta in Libia (-27,9%) e in Siria (-6% sulla
base di stime del tutto preliminari), ma di rilievo anche in Tunisia (-1,8%) ed Egitto (0,8%). In questo gruppo di Paesi si è avuta dal lato dell’offerta una caduta sensibile
dell’attività di estrazione (Libia), manifatturiera (Tunisia, Egitto) ma anche dei servizi,
in particolare turismo con entrate in calo del 70% in Siria e oltre il 30% in Tunisia ed
Egitto. Dal lato della domanda hanno contribuito negativamente alla formazione del
PIL gli investimenti e le esportazioni nette (sulle quali ha pesato in aggiunta una
congiuntura internazionale non favorevole) mentre i consumi privati, sostenuti da
politiche fiscali a supporto del reddito delle famiglie e dei sussidi, hanno dato, pur in
presenza di tassi di disoccupazione in aumento, un contributo positivo. I Paesi solo
indirettamente investiti dai rivolgimenti politici hanno visto invece solo un
rallentamento (è il caso dell’Algeria e, in misura più marcata, il Libano, con un
aumento del PIL rispettivamente del 2,4% e dell’1,5%) o addirittura un’accelerazione
della crescita (è il caso della Giordania e del Marocco, grazie, per la Giordania,
all’attività di estrazione e, per il Marocco al recupero della produzione agricola e a una
dinamica sostenuta dei servizi del commercio con l’espansione del porto di Tangeri). I
Paesi non investiti dai rivolgimenti politici, pur sensibili al raffreddamento della
congiuntura estera, hanno di fatto mantenuto tassi di crescita elevati (+4,6% Israele e
+8,5% la Turchia). Da un punto finanziario le ripercussioni si sono avute in due
direzioni principali. In primo luogo, il deterioramento della posizione di conto corrente
insieme con un calo degli IDE in entrata ha comportato, in contesti di cambi fissi o a
fluttuazione controllata (solo Israele ha un regime di cambio flessibile), una
contrazione generalizzata delle riserve, particolarmente acuta nei Paesi direttamente
investiti dai rivolgimenti politici. Nel 2011, in Egitto le riserve sono calate di 18
miliardi di dollari (pari a circa 2/3 delle consistenze di fine 2010), in Siria di 8,6
2
Cfr. Banca Mondiale, Economic Developments and Prospects, 2008, e Coutinho L.,
Determinants of Growth and Inflation in Southern Mediterranean Countries, MEDPRO Technical
Report, n. 10, Marzo 2012.
44 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
miliardi e in Tunisia di 1,6 miliardi. Con il peggioramento degli indicatori di
vulnerabilità finanziaria si è avuto un allargamento dei CDS spread sui titoli sovrani e
un abbassamento del giudizio delle agenzie di rating. S&Ps ha ridotto il rating sulla
Tunisia da BBB a BB (il Paese ha perso l’investment grade), sull’Egitto da BB+ a B e
ha ritirato il rating sulla Libia, precedentemente fissato ad A-. In secondo luogo, il
sostegno dei redditi delle famiglie e il finanziamento dei sussidi (su beni quali
alimentari ed energia con prezzi in aumento) ha comportato un aumento dei deficit
pubblici, saliti in rapporto al PIL in media al 10% nei Paesi direttamente investiti dalla
protesta. Il deterioramento dei saldi di conto corrente e pubblici può essere visto come
effetto della risposta (di politica fiscale) offerta dalle Autorità nell’immediato per
soddisfare le aspettative della protesta verso una crescita più inclusiva e una maggiore
equità nella distribuzione dei benefici3.
La discussione qui condotta sui fattori di stimolo e freno alla crescita nel medio
periodo e sull’impatto immediato della protesta politica, consente di chiudere
sottolineando tre punti: 1) con il completamento del processo di trasformazione politico
istituzionale è necessario vengano definiti, nei Paesi interessati, indirizzi aperti di
politica economica di medio termine per favorire la ripresa su basi solide di commerci,
investimenti reali e finanziari (interni ed esteri), piani infrastrutturali; i rivolgimenti
politici possono ben rappresentare una occasione per rimuovere i fattori di freno e
rafforzare quelli di stimolo ad una crescita che si richiede inclusiva (per rispondere in
modo sostenibile alle aspettative della protesta) e sostenuta (per riassorbire la
disoccupazione); 2) con il superamento della emergenza politica vi è l’esigenza di un
percorso di riequilibrio della posizione finanziaria esterna ed interna in vari Paesi;
questo passaggio ha due implicazioni rilevanti: evitare che il deterioramento degli
indicatori di vulnerabilità possa ripercuotendosi negativamente sulle prospettive
dell’economia; favorire l’accesso dei Paesi ai programmi ufficiali di supporto e ai
mercati dei capitali; 3) i rapporti con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo da
parte della UE devono essere rivisitati e rafforzati; i risvolti sono importanti non solo
per le prospettive di politica interna ed estera di Paesi in una fase ancora delicata della
transizione ma anche per lo sviluppo delle relazioni commerciali e finanziarie tra le due
aree. In questa nota dopo uno sguardo di insieme sulla struttura e le dinamiche
economiche recenti (Par. 1) sono discusse le prospettive nell’ultimo scorcio del 2012 e
nel 2013 delle economie dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo (Par. 2) e offerto
un aggiornamento dello stato delle relazioni della UE con gli stessi (Par. 3).
1. Gli sviluppi recenti delle economie dei Paesi del Sud Mediterraneo
1.1 Uno sguardo di insieme sulla struttura dell’economia dell’area
Dal punto di vista geografico, il gruppo delle economie che si affacciano sulla
sponda Sud del Mediterraneo include paesi del Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia,
3
Cfr. in questo senso anche FMI, World Economic Outlook, Set. 2012.
45 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Marocco, e Tunisia) e altri del Medio Oriente (Israele, Libano, Siria e anche Giordania
che pur non avendo sbocchi sul Mare Mediterraneo gravita sullo stesso). La Turchia si
trova in una posizione di ponte tra Europa e Medio Oriente.
I dieci paesi del Sud Mediterraneo, con un PIL complessivo pari a poco più di 1750
miliardi di dollari nel 2011, hanno un peso economico totale contenuto, pari al 3,4%
del PIL mondiale (1,8% se si escludono Israele e la Turchia) e contribuiscono al 2,7%
del commercio globale (1,4% al netto di Israele e Turchia) e attraggono il 3% degli
IDE mondiali (1,6% senza Israele e Turchia). La popolazione, che raggiunge i 283,7
milioni, è pari al 4,5% di quella mondiale (3,2% senza Israele e Turchia). Il reddito
medio pro capite alla parità dei poteri di acquisto, pari a 11619 dollari nel 2011, che
scende 8885 dollari escludendo Israele e Turchia, è basso se confrontato con quello dei
paesi industrializzati e quello del gruppo GCC (pari a 33.270 USD), ma è superiore a
quello medio dei BRICs (10.225 USD).
PIL, popolazione, IDE e commercio (2011)
% mondo
PIL
Nominale
USD mld.
Paesi petroliferi
Algeria
0,39
206
Libia
0,16
82
Paesi ad economia diversificata
Nord
Africa
Egitto
0,66
231
Marocco
0,2
99
Tunisia
0,12
46
Medio Oriente
Giordania
0,04
30
Libano
0,07
40
Siria
0,16
57
Altri
Israele
0,29
244
Turchia
1,28
773
Sud Med 8(***) 1,8
790
Sud Med 10
3,37
1807
USA
19,4
15076
Area Euro
14,4
13131
GCC (****)
1,81
1348
Brasile
2,9
2473
Cina
13,5
7212
India
5,5
1859
Russia
3
1858
Popolazione
IDE(*)
%
mondo
Exp+Imp
Classe di reddito (**)
Pro capite
PPP USD
mln
% mondo
8440
18850
36,3
6,4
0,6
0,1
0,1
0,2
0,32
0,24
Upper middle income
Upper middle income
6290
4990
8600
82,5
32,7
10,5
1,3
0,5
0,2
0,5
0,1
0,1
0,26
0,18
0,13
Lower middle income
Lower middle income
Upper middle income
5570
13710
4630
4,3
6,3
23
0,1
0,1
0,4
0,2
0,2
0,1
0,07
0,07
0,09
Lower middle income
Upper middle income
Lower middle income
30590
14520
8885
11619
48350
35570
33270
12190
9460
3970
16682
7,7
74
202
283,7
311,8
330,1
45
192,8
1321
1202
143
0,1
1,2
3,2
4,5
4,9
5,2
0,7
3
20,7
18,9
2,2
0,5
0,9
1,6
3
13,3
30,1
2,8
2
9,6
1,8
2,8
0,37
1
1,4
2,73
10,8
22,9
3,8
1,4
10,2
2,2
2,3
High income
Upper middle income
% mondo
High income
High income
High income
Upper middle income
Lower middle income
Lower middle income
Upper middle income
Tab. 1 - Fonte: EIU Note. (*) Il dato degli IDE si riferisce alla media 2006-2010. (**) Classificazione di
reddito della Banca Mondiale. (***) Non include Israele e Turchia. (****) Include Bahrain, Kuwait,
Oman, Qatar e Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Il dato del PIL della Libia è riferito al 2010
La distribuzione del reddito è tuttavia molto dispersa, sia tra i paesi che all’interno
dei paesi. Nel 2011, Israele aveva un reddito pro capite (30.590 dollari alla PPP)
superiore a quello di molte economie avanzate ed era inserito nella classifica dei paesi
per gruppo di reddito della Banca Mondiale tra quelli a reddito alto. Altri paesi quali
Egitto, Giordania, Marocco, Siria, o molto popolati o con una concentrazione della
46 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
popolazione in una superficie limitata del territorio in quanto il resto è deserto
inospitale hanno un reddito pro capite pari a meno della metà di quello medio per
l’economia mondiale, sono considerati dalla Banca Mondiale paesi a basso reddito
medio e presentano ampie sacche di povertà. Pure la Libia, desertica ma scarsamente
popolata e ricca di petrolio, e l’Algeria, ricca di petrolio e più popolata, pur essendo
classificati dalla Banca Mondiale in una classe di reddito più alta, presentano forti
disuguaglianze di reddito interne. Da un punto di vista economico, nel Sud
Mediterraneo si possono distinguere quattro principali gruppi di paesi. Nel primo
(Paesi petroliferi), sono collocati Algeria e Libia, che hanno economie fondate
sull’attività di estrazione di gas e petrolio. Il secondo (Paesi del Nord Africa ad
economia diversificata) include i paesi che presentano una struttura economica più
articolata. Alcuni di questi, aiutati anche da consistenti investimenti diretti dall’estero,
hanno raggiunto un buon grado di sviluppo del settore manifatturiero (Egitto, Marocco
e Tunisia). Si tratta in generale di industrie di trasformazione legate al settore primario
e di produzioni ad alta intensità di lavoro ed a medio- basso contenuto tecnologico. Il
terzo (Paesi del Medio Oriente ad economia diversificata) include economie
principalmente basate sui servizi (Giordania e Libano) ma in alcuni casi ancora con un
settore manifatturiero relativamente meno sviluppato e forte contributo dell’attività
delle attività di estrazione e dell’agricoltura (Siria). Il Libano, conosciuto prima di
essere dilaniato dalla guerra civile come la Svizzera del Medio Oriente, presenta un
settore bancario avanzato che attira i capitali dei libanesi residenti all’estero e da molti
paesi petroliferi del Golfo. Nel quarto gruppo sono collocati paesi con caratteristiche
specifiche come Israele, una economia avanzata che ospita numerose industrie ad alta
tecnologia, soprattutto nei campi della farmaceutica, delle biotecnologie,
dell’informatica e delle telecomunicazioni e la Turchia, con un buon grado di sviluppo
economico e status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea. In numerosi
paesi del Sud Mediterraneo, nello specifico Egitto, Marocco, Tunisia, Siria e Turchia il
settore agricolo mantiene ancora un peso significativo (compreso tra il 10% e il 20%
del PIL) e occupa una quota rilevante della forza lavoro.
Contributi settoriali al Valore Aggiunto 2011
Agricoltura
Minerario
Paesi petroliferi
Algeria
8,4
40
Libia
3,6
45,1
Paesi ad economia diversificata
Nord Africa
Egitto
13,3
13,5
Marocco
14,3
5,1
Tunisia
10,8
6,4
Medio
Oriente
Giordania
4,2
2,1
Libano
4,6
Siria
16,9
Altri
Israele
2,4
Turchia
9,2
0,7
Manifatturiero
Costruzioni
Utilities
Servizi
5
5,2
11
7,3
11
2,6
35,6
36,2
15,6
14,5
21,9
5,3
6
5,7
1,9
2,4
1,7
50,4
57,7
53,5
19,7
19,7(*)
27,4(*)
5,5
2,7
65,8
75,7
55,7
20,2
24,4
7,2
5,8
2,9
2,1
67,3
57,8
Tab. 2 - Fonte, IIF, Banche Centrali, Uffici di Statistica Nazionali. (*) Per il Libano e la Siria, la
Banca Centrale fornisce un dato aggregato per minerario, manifatturiero e utility.
47 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Il passo di sviluppo conseguito da queste economie non è in molti casi sufficiente
ad assorbire la forza lavoro alimentata da tassi di natalità elevati. Questa situazione
determina, da un lato, disoccupazione, particolarmente alta tra la popolazione giovanile
istruita, dall’altro, consistenti flussi migratori dai paesi del Nord Africa (Egitto,
Marocco e Tunisia) principalmente verso l’Europa, e dai paesi del Medio Oriente
(Giordania, Libano e Siria) verso le ricche e scarsamente popolate economie petrolifere
del Golfo. Le rimesse di questi lavoratori offrono un importante sostegno alla domanda
interna. La maggior parte dei paesi del Sud Mediterraneo ha un contenuto tasso di
risparmio, ampi deficit della bilancia corrente (cfr segue) e un sistema finanziario
domestico poco sviluppato. Essi registrano elevati fabbisogni finanziari esterni e
devono contare su consistenti investimenti diretti dall’estero per finanziare lo sviluppo.
I fondi vengono principalmente dall’Europa e dai paesi petroliferi del Golfo. I capitali
esteri, oltre a finanziare i progetti di sviluppo nei settori primario, manifatturiero e
servizi (principalmente i settori finanziario e immobiliare) hanno offerto supporto ai
programmi di privatizzazione di quote di società (principalmente servizi come banche,
telecomunicazioni e pubblica utilità) perseguite negli anni scorsi da numerosi paesi, in
primis Egitto, Giordania, Israele, Tunisia e Turchia.
La progressiva apertura dei paesi verso l’esterno oltre a favorire lo sviluppo degli
scambi commerciali e l’intervento di investitori esteri ha consentito la crescita del
turismo. L’Europa alimenta oltre il 70% dei flussi turistici verso i paesi del Nord Africa
(in particolare Egitto, Marocco e Tunisia) mentre alcuni paesi del Medio Oriente
(Giordania e Libano) registrano consistenti presenze dai paesi del Golfo. La domanda
espressa dal turismo offre un rilevate contributo diretto (spese dei turisti per usufruire
dei vari servizi) e indiretto (attività promozionali, investimenti in immobili e veicoli ad
uso turistico, ecc.) al PIL. Il World Travel and Tourism Council ha stimato che nel
2011 il turismo ha contribuito ad oltre un terzo del PIL del Libano a una quota
compresa tra il 15% e il 20% del PIL di Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia. Gli IDE
in rapporto al PIL sono particolarmente rilevanti in Giordania (9,9% dato medio dei
flussi del quinquennio 2006-10) e Libano (12,0%), grazie soprattutto agli investimenti
nel settore immobiliare e nei servizi (principalmente finanziari) dai paesi petroliferi del
Golfo. Nei paesi del Nord Africa la maggioranza degli IDE provengono dall’Europa.
Dal punto di vista dei rapporti commerciali, i paesi del Sud Mediterraneo sono
economie abbastanza aperte. Nel 2011, il grado di apertura medio, definito come
rapporto tra la somma delle esportazioni e importazioni e PIL, pari al 58,5%, era
superiore al valore medio per l’economia mondiale (51,4%). L’Europa è il partner
privilegiato dei paesi a economia diversificata del Nord Africa, di Israele e Turchia
mentre i paesi del Medio Oriente assorbono una quota significativa delle esportazioni
di Giordania, Libano e Siria. A parte i paesi petroliferi, gli altri registrano consistenti
disavanzi commerciali dovuti a una sostenuta domanda interna e a carenze nella
produzione domestica di macchinari ed impianti e di alcuni beni durevoli, soprattutto
veicoli a motore e forniture per le abitazioni. Quasi tutti i paesi hanno perseguito negli
ultimi anni politiche di liberalizzazione del commercio nel contesto di Accordi
Associativi sia con l’Unione Europea sia infra-regionali.
48 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Rapporti di conto corrente e finanziari con l’estero
Exp+Imp/PIL
2011%
IDE/PIL
% Media 2006-10
Paesi petroliferi
Algeria
57,8
Libia
43,3
Paesi ad economia diversificata
Nord Africa
Egitto
35,9
Marocco
65,5
Tunisia
91,2
Medio Oriente
Giordania
89,6
Libano
61
Siria (*)
37,1
Altri
Israele
53,7
Turchia
48,6
Rimesse/PIL
2011%
Turismo 2011
Entrate/PIL
Contributo al PIL
2,4
3,2
n.d.
n.s.
n.d.
n.d.
7,7
3,2
4,2
2,5
3,8
6,2
7,5
4,1
5,8
7,4
11,6
14,8
18,9
14,2
9,9
12
3,1
10,5
6,7
2,2
12,8
21,5
10,3
18,8
35,5
n.d.
4
2,1
n.s.
0,1
2,1
2,8
8,1
10,9
Tab. 3 - Fonte: EIU, Banche centrali, wttc.org. Per la Siria, il dato delle rimesse si riferisce al 2009,
quello del turismo al 2010
Saldo corrente e commercio estero 2011
Saldo
corrente
% PIL
Saldo commerciale
Quota % export
Principali esportazioni(*)
% PIL
Europa
MENA
12,7
8,7
49,5
76,5
3,5
4,5
98 (gas e petrolio)
97 (gas e petrolio)
49(gas e petrolio),10 (chimici)
20
(chimici),17(tessili),15(alimentare)
61(meccanica, elettronica),
26(tessile)
Paesi petroliferi
Algeria
10,2
Libia
6,9
Paesi ad economia diversificata
Nord Africa
Egitto
-2,7
-11,8
48,5
18,1
Marocco
-8,4
-23,2
62,4
7,6
Tunisia
-6,7
-13,3
76,2
19
-9,7
-27,4
-10,3
-35,7
-39,7
-8,5
6,8
35,3
12,6
47,9
35,3
35,6
Medio Oriente
Giordania
Libano
Siria
Altri
Israele
Turchia
0,8
-6
43,5
-9,9
-13,7
46,8
35,3
25(fosfati e potassio),23 (chimica)
44(gioielli), 14(agricoli)
35(petrolio), 22(alimentar)
41(manifatturiero),37(high tech)
18(tessile), 10 (veicoli), 10
(alimentare)
Tab. 4 - Fonte: EIU, Banche centrali e Uffici di statistica. (*) Il numero rappresenta la quota
percentuale
1.2 La crescita nel 1999-2008 e le ripercussioni della crisi finanziaria
I paesi del Sud Mediterraneo hanno registrato una significativa accelerazione della
crescita dell’economia tra il 2004 e il 2008, grazie alla buona dinamica dell’economia
mondiale e alle riforme adottate da alcuni Paesi, finalizzate a stimolare l’iniziativa
privata, ad aprire il sistema economico verso l’esterno e ad attirare capitali stranieri.
Gli stessi hanno inoltre beneficiato, direttamente in quanto esportatori o indirettamente
grazie agli stretti legami con i paesi del Golfo, del ciclo favorevole dei prodotti
energetici. Il tasso di crescita medio del PIL reale dei paesi del Sud Mediterraneo è
passato dal 2,9% nel quinquennio 1999-03 al 5,5% nel quinquennio 2004-08.
49 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
La crisi finanziaria mondiale del 2008-09 ha avuto un impatto differenziato. In
Turchia nel 2009 il PIL è crollato del 4,9% in termini reali. A causa dell’ampio deficit
corrente, della bassa copertura da parte delle riserve e dell’inflazione elevata, il paese è
risultato particolarmente vulnerabile agli shock esterni. Sempre nel 2009, la crescita del
PIL si è quasi fermata in Israele, con le industrie high-tech molto sensibili al ciclo delle
economie avanzate e ha frenato sensibilmente in Tunisia, con una economia molto
dipendente dal ciclo dell’Unione Europea. La temporanea fase negativa del ciclo delle
materie prime ha determinato minori proventi, tagli della produzione e contrazione del
potere di acquisto nei paesi esportatori del Nord Africa. Per gli altri paesi ad economia
diversificata del Sud Mediterraneo l’impatto della frenata dell’economia mondiale è
stato contenuto, in parte per effetto della minore apertura economica e finanziaria verso
le economie mature, in parte grazie al sostegno dello Stato alla domanda attraverso
sussidi e generosi aumenti salariali e agli aiuti finanziari dei paesi petroliferi del Golfo.
La successiva stabilizzazione del quadro finanziario internazionale, la ripresa nelle
economie mature, l’accelerazione delle economie petrolifere del Golfo e le politiche
economiche orientate alla crescita seguite in diversi Paesi, come Turchia e Israele ma
anche in Egitto e Tunisia, hanno portato a un ampio rimbalzo del PIL del Sud
Mediterraneo nel 2010 (+6,2%).
Crescita reale del PIL
1999-2003
Paesi Petroliferi
Algeria
3,9
Libia
3
Paesi ad economia diversificata
Nord Africa
Egitto (*)
4
Marocco
3,8
Tunisia
4,5
Medio oriente
Giordania
4,9
Libano
2,3
Siria
1,9
Altri
Israele
2,7
Turchia
1,8
Sud Med 8
3,7
Sud Med 10
2,5
Totale emergenti
5,2
2004-2008
2009
2010
3,5
5,9
2,4
-1,4
3,3
3,7
5,9
4,8
5,3
4,7
4,9
3,1
5,1
3,7
3,1
6,7
5,1
5,7
5,5
8,5
5,9
2,3
7
3,4
5,1
6
5,2
5,5
7,5
0,8
-4,8
3,8
0,3
2,8
5,7
9,2
4,2
6,2
7,4
Tab. 5 - Fonte: FMI WEO Set 2012. (*) Per l’Egitto i dati si riferiscono all’anno fiscale che termina
giugno
Nel corso del quinquennio 2004-2008, un periodo caratterizzato da ciclo mondiale
sostenuto, i paesi petroliferi dipendenti dall’attività di estrazione hanno registrato tassi
di crescita significativamente inferiori agli altri, nonostante il consistente guadagno di
ragione di scambio ottenuto. Questa relativa debolezza riflette, oltre all’esposizione a
un mercato regolato da quote come quello petrolifero, una limitata capacità di spendere
la ricchezza petrolifera in investimenti finalizzati, oltre che all’esplorazione delle
riserve di gas e petrolio, alla diversificazione dell’economia. Tra i paesi ad economia
50 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
diversificata hanno invece riportato tassi di crescita particolarmente sostenuti quelli
maggiormente interessati da riforme, da misure di liberalizzazione del sistema
economico e da più intensi legami economici con l’estero. Tra questi in particolare, la
Turchia, l’Egitto e la Giordania.
Dal punto di vista dell’offerta, il settore servizi, soprattutto turismo, immobiliare e
finanziari, ha registrato tassi di crescita particolarmente sostenuti nel quinquennio
2004-08. Nel 2009, il settore ha risentito dei negativi sviluppi della crisi internazionale,
soprattutto in Marocco, Tunisia e Turchia, paesi con vocazione turistica e stretti legami
economici e finanziari con l’Europa, recuperando tuttavia nel 2010. La produzione
manifatturiera è caduta durante la fase negativa del ciclo nel 2009 ma ha registrato un
ampio rimbalzo nel 2010, soprattutto in Turchia (+13,6%) e in Tunisia (+7,8%),
guidando il recupero del PIL. L’agricoltura, molto soggetta a fattori climatici in quanto
poco automatizzata e con una bassa percentuale di terreni irrigui, ha aggiunto volatilità
all’andamento del PIL. Il favorevole andamento climatico in paesi a vocazione agricola
come il Marocco e la Siria ha portato a una forte crescita dei raccolti nel 2009, che ha
permesso al complesso delle economie del Sud Mediterraneo di mantenere una crescita
positiva del PIL, nonostante il contributo negativo del settore industriale.
PIL Sud Mediterraneo: variazione in termini reali dell’offerta
Agricoltura
Industria (*)
-manifatturiero
Servizi
PIL
1999-2003
2,2
2,1
2,4
3,8
2,5
2004-2008
2,2
5,4
5,8
6,9
5,5
2009
7
-1,3
-2,9
0,9
0,3
2010
0,8
7,1
8,3
5,7
6,2
Tab. 6 - Fonte EIU (*) Il dato riguarda minerario, manifatturiero, costruzioni e servizi di pubblica
utilità
Dal lato della domanda la spinta alla crescita del Sud Mediterraneo è venuta in gran
parte dai consumi, che dal 1999 al 2010 hanno mediamente contribuito a più di metà
della crescita. Questa componente ha beneficiato di generosi aumenti salariali, che
hanno interessato soprattutto il pubblico impiego, dell’aumento dell’occupazione, delle
rimesse dei lavoratori emigrati e dei sussidi alle classi meno abbienti. Il contributo
degli investimenti, che era stato nullo nel quinquennio 1999-03, è diventato
particolarmente rilevante in quello successivo (2004-08). Nei paesi petroliferi, una
spinta importante agli investimenti è stata data dalla spesa pubblica in infrastrutture,
rete dei servizi ed abitazioni civili, finanziata dai proventi del petrolio. In questi paesi,
il contributo alla crescita degli investimenti è risultato mediamente più rilevante. Nei
paesi con economia diversificata, un sostegno importante agli investimenti è venuto,
oltre che dalla spesa pubblica in infrastrutture e abitazioni civili, da consistenti
investimenti diretti dall’estero, che si sono indirizzati principalmente verso
l’immobiliare e il manifatturiero. La sostenuta domanda interna, in eccesso rispetto alla
produzione per il complesso dei paesi, ha favorito la crescita dell’economia ma con una
dinamica delle importazioni più forte di quella delle esportazioni e il commercio estero
ha dato un contributo negativo alla formazione del PIL.
51 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Sud Mediterraneo PIL: contributi alla crescita della domanda
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
Commercio estero
Variazione scorte
PIL
1999-2003
1,8
0,4
0
0,2
0,1
2,5
2004-2008
3,4
0,6
2,1
-0,6
0
5,5
2009
1,4
0,6
-1,8
0,3
-0,2
0,3
2010
3,4
0,5
3,5
-1,9
0,7
6,2
Tab. 7 - Fonte: EIU
1.3 L’impatto economico dei rivolgimenti politici nel 2011
Le interruzioni e le disfunzioni delle diverse attività economiche conseguenti ai
rivolgimenti politici che hanno interessato numerosi paesi del Sud Mediterraneo, le
difficoltà con cui ha proceduto nel corso del 2011 il processo di stabilizzazione del
quadro politico, le incertezze riguardo le azioni delle nuove amministrazioni, insieme
alla debolezza ciclica di molte economie avanzate, soprattutto l’area dell’euro, hanno
determinato una significativa frenata della crescita del PIL del Sud Mediterraneo,
passato dal 6,2% del 2010 all’1,8% nel 2011.
Nel 2011, i paesi direttamente coinvolti dai rivolgimenti politici, nello specifico
Egitto, Tunisia Libia e Siria hanno registrato una contrazione del PIL (anche per
l’Egitto, con riferimento all’anno di calendario 2011, il PIL è diminuito dello 0,8%,
contro un aumento del 5,6% nel 2010). Per l’Egitto la rilevazione della dinamica del
PIL sulla base dell’anno fiscale oscura in parte l’impatto. Il PIL è infatti ancora
cresciuto dell’1,8% nell’anno fiscale che è terminato a giugno 2011 e del 2,3% (dato
preliminare) nell’anno fiscale che è terminato a giugno 2012. Nell’anno fiscale 2010 il
PIL era cresciuto del 5,1%. I paesi che nel corso del 2011 hanno visto (contenute)
manifestazioni di protesta o sono stati colpiti indirettamente dai rivolgimenti politici
nella regione hanno registrato un contenuto rallentamento delle proprie economie, in
parte peraltro legato al deterioramento della congiuntura internazionale. Le economie
di Giordania e Libano, tra le più aperte del Medio Oriente e confinanti con uno dei
paesi focolaio di crisi (la Siria), sono state interessate in ogni caso da una frenata più
accentuata della crescita. Per entrambi i paesi, il rallentamento è stato principalmente
determinato dal calo nel settore costruzioni, su cui ha pesato il taglio dei piani di
sviluppo del residenziale e delle strutture turistiche finanziati principalmente da fondi
provenienti dai paesi petroliferi del Golfo, dalla diminuzione delle rimesse dei
connazionali all’estero, e dalla frenata di alcuni servizi su cui ha pesato il calo della
domanda estera (turismo e finanziari). La crescita del PIL ha invece accelerato in
Marocco (+4,9% nel 2011) grazie alla ripresa della produzione agricola e al buon
andamento di alcuni settori non agricoli, soprattutto quelli dipendenti dalla domanda di
servizi turistici e dalla logistica (principalmente il movimento merci via mare grazie
all’espansione del porto di Tangeri). In Algeria, l’economia è stata sostenuta dalla parte
non-oil (+5% in termini reali nel 2011) spinta, dal lato della domanda, dagli aumenti di
salariali e sussidi concessi dal Governo, dalle assunzioni nel settore pubblico per
prevenire il diffondersi del malcontento e dalla crescita dei consumi pubblici, mentre,
52 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
per quanto riguarda l’offerta, le costruzioni hanno beneficiato dei piani finanziati dallo
Stato per il potenziamento delle infrastrutture e lo sviluppo abitativo. L’estrazione di
gas e petrolio ha confermato il calo strutturale iniziato nel 2005 dovuto soprattutto alla
parte gas. Israele e Turchia, le cui economie non sono state toccate dagli eventi politici
in corso, hanno presentato nel 2011 tassi di espansione reale del PIL ancora sostenuti
(+4,6% e +8,5% rispettivamente), spinti dalla componente investimenti fissi lordi in
macchinari e impianti e costruzioni in Turchia e dai settori IT, delle biotecnologie, e
nell’attività di esplorazione per lo sfruttamento delle riserve di gas trovate al largo delle
coste in Israele.
PIL 2011:Offerta (var % a/a)
PIL
Agri
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
1,8(*)
2,7
Libia
-27,9
-8
Siria
n.d.
n.d.
Tunisia
-1,8
11
Paesi indirettamente investiti
Algeria
2,4
2,2
Giordania
2,6
4,2
Libano
1,5
-1,5
Marocco
4,9
5,3
Paesi non investiti
Israele
4,6
2
Turchia
8,5
5,3
Sud Med
1,8
3,8
Industria(*)
Manifat
Servizi
0,5
-35,8
n.d.
-4,4
-1
-23,8
n.d.
-3,1
2,8
-17
n.d.
7
4,7
4,1
1,5
3,9
4,5
2,4
1,4
3
-0,1
1,7
2
4,6
4,4
9,6
1,2
4,8
9,4
4,8
4,8
8,1
4,6
Tab. 8 - Fonte:EIU. (*) Il dato si riferisce all’anno fiscale che termina a giugno 2011. Nell’anno di
calendario il PIL è diminuito dello 0,8%
PIL 2011: Domanda (contributi alla crescita)
PIL
Cons fa
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
1,8
3,6
Libia
-27,9
-6,8
Siria
n.d
n.d.
Tunisia
-1,8
-1,1
Paesi indirettamente investiti
Algeria
2,4
1,7
Giordania
2,6
2,3
Libano
1,5
4,7
Marocco
4,9
4,2
Paesi non investiti
Israele
4,6
2,2
Turchia
8,5
5,3
Sud Med
1,8
2,1
Cons pu
Invest
Estero
0,4
-0,9
n.d.
0,2
-1,1
-18,1
n.d.
-0,1
-1,4
-2,1
n.d.
-1
2,2
0,7
1,3
0,7
1,8
0,4
1,5
0,8
-0,6
-0,9
-6
-1,2
0,7
0,6
0,7
3
4,5
0,9
-2,1
-1,5
-1,6
Tab. 9 - Fonte: EIU. Il dato si riferisce all’anno fiscale che termina a giugno 2011. Nell’anno di
calendario il PIL è diminuito dello 0,8%
All’andamento delle economie del Sud Mediterraneo nel 2011 hanno contribuito
tuttavia non solo fattori (politici) interni ma anche fattori (economici) esterni. Tra i
fattori interni, le agitazioni hanno portato nei primi mesi del 2011 ad ampi tagli della
produzione industriale in diversi paesi. In Egitto e Tunisia la produzione è mediamente
scesa del 6,4% e del 3,7% rispettivamente.
53 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Questi stessi paesi hanno recuperato i precedenti livelli produttivi alla fine del 1°
semestre 2012. In Libia l’estrazione di petrolio si è quasi interamente bloccata durante i
mesi di guerra civile fino all’inizio di ottobre 2011. Al termine delle ostilità, è ripresa
gradualmente sino a raggiungere i 900 mila barili al giorno a fine dicembre 2011, circa
il 60% della produzione del 2010. Dati di fonte ENI indicano che a fine 2011 le
importazioni di gas dalla Libia attraverso Greenstream hanno raggiunto circa il 60%
dei volumi prima del conflitto. Lo stato di tensione nella regione ha determinato nel
2011 un calo dei proventi da turismo rispetto all’anno prima di oltre il 70% in Siria,
superiore al 30% in Egitto e Tunisia, vicino al 20% in Giordania e Libano. Turchia
soprattutto ma anche Marocco e Israele hanno registrato invece un aumento degli
incassi. Ha inoltre avuto un forte impatto sulla dinamica dei movimenti di capitale.
L’Egitto è passato da un afflusso netto di fondi per IDE nel 2010 superiore ai 5 miliardi
di dollari a un deflusso netto pari a 1,2 miliardi nel 2011. Gli IDE sono crollati di circa
il 70% in Siria e Tunisia. Pure Giordania e Libano hanno visto un calo degli IDE
(attorno al 20%), seppur frenato dall’apporto dei capitali provenienti dai paesi del
Golfo. Tra i fattori economici esterni, le rimesse dei lavoratori emigrati hanno mostrato
una tenuta, grazie principalmente ai lavoratori presenti nelle ricche economie del Golfo
che hanno beneficiato delle generose politiche a sostegno della domanda condotte in
quei Paesi per prevenire l’estendersi della protesta. L’impatto sul commercio, a parte i
paesi interessati da conflitti come la Libia e la Siria che hanno visto una ampia caduta
delle esportazioni per caduta della produzione interna, è meno visibile.
La crisi ha costretto diversi paesi (tra gli altri Algeria, Egitto, Giordania, Marocco,
Siria e Tunisia) a rinviare alcune importanti riforme in agenda del sistema dei sussidi e
dell’imposizione fiscale finalizzate ad ottenere un miglior controllo dei conti pubblici.
Di fatto tutti i paesi hanno aumentato la spesa corrente soprattutto quella salariale e in
aiuti alla popolazione meno abbiente con conseguente deterioramento dei saldi di
bilancio.
Flussi esterni (USD miliardi)
USD mld Export
‘11
Turismo
‘10
Rimesse
IDE
‘11
‘10
‘11
‘10
‘11
‘10
5,2
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
27,9
25
8,6
12,5
14,3
12,2
-1,2
Libia
15,2
48,9
n.d.
n.d.
n.s.
n.s.
-0,4
-1
Siria
8,1
12,3
1,9
6,2
n.d.
n.d.
0,6
1,5
17,8
16,4
1,5
2,5
1,9
2,1
0,4
1,4
Tunisia
Paesi investiti indirettamente
Giordania
8
7,1
3
3,5
3,1
3,2
1
1,2
Libano
4,3
4,2
6,6
8
2,7
2,8
2,9
3,8
Marocco
21
17,8
6,9
6,7
7,5
7,1
2,1
1
72,7
57,1
n.d.
n.d.
n.s.
n.s.
1,9
3,5
Algeria
Paesi non investiti
Israele
58,1
50,8
4,9
4,5
n.s.
n.s.
8,3
-3,6
Turchia
134
113
23
20,8
1
0,9
17
7,6
Tab. 10 - Fonte: Thomson Reuters - Datastream, Banche centrali, IIF, EIU
54 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Produzione industriale
120
Egitto
Tunisia
Giordania
110
100
90
80
70
gen-10
lug-10
gen-11
lug-11
gen-12
lug-12
Graf. 1 - Fonte: Thomson Reuters – Datastream
1.4 La politica economica di fronte ai rivolgimenti politici
1.4.1 Inflazione e politica monetaria
La debolezza della domanda interna e i generosi sussidi su prodotti petroliferi e
alimentari concessi da numerosi governi dei paesi del Sud Mediterraneo hanno
permesso di tenere l’inflazione sotto controllo nel 2011 nei paesi investiti da
rivolgimenti politici, quali l’Egitto e la Tunisia, nonostante le disfunzioni nella rete
distributiva accentuate dalle periodiche proteste e gli aumenti dei prezzi di molti beni
importati, soprattutto prodotti energetici e alimentari, conseguenti sia alle tendenze sul
mercato internazionale sia, in alcuni paesi, al deprezzamento del cambio (cfr. segue).
Solo in Libia l’inflazione ha accelerato sensibilmente lo scorso anno (il FMI ha stimato
un tasso medio d’inflazione pari al 15,9% nel 2011 rispetto al 3,2% del 2010) a causa
delle difficoltà di approvvigionamento di alcuni beni dovute al conflitto.
Nei paesi investiti indirettamente dai rivolgimenti politici, in Algeria gli aumenti
dei prezzi dei beni importati, soprattutto prodotti alimentari che hanno un peso elevato
nell’indice (40%), hanno portato ad una significativa accelerazione dell’inflazione, con
il tendenziale salito all’8,1% ad agosto 2012. In Giordania e Libano, i controlli e i
sussidi finalizzati a contenere il malcontento hanno bilanciato le pressioni
inflazionistiche esterne. Per quanto riguarda gli altri paesi, in Turchia l’impatto
cumulato del deprezzamento del cambio, dell’aumento dei prezzi dei beni importati,
delle maggiori tasse su alcuni beni a prezzi amministrati (tabacco ed energetici) e delle
55 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
avverse condizioni climatiche sui prodotti agricoli ha determinato una significativa
accelerazione dell’inflazione nei mesi finali del 2011 e nei primi mesi del 2012.
Il tasso medio di inflazione nei paesi del Sud Mediterraneo si è portato dal 6,9% del
2010 al 7,3% nel 2011 ed è previsto al 7,4% nel 2012. Per l’aggregato paesi emergenti,
secondo dati del FMI, l’inflazione media è passata dal 6,1% del 2010 al 7,2% del 2011
ed è prevista frenare al 6,1% nel 2012.
Nei paesi investiti da rivolgimenti politici, le Autorità hanno risposto con una
gestione flessibile della politica monetaria dando, a seconda delle circostanze, priorità
al sostegno dell’economia o alla difesa del cambio. L’Egitto ha così alzato i tassi lo
scorso novembre, quando il cambio era particolarmente sotto pressione. La Tunisia,
che nel corso del 2011 aveva ripetutamente tagliato i tassi per sostenere l’economia,
lasciando deprezzare il cambio, la scorsa estate, con l’economia che ha cominciato a
dare segni di ripresa, è tornata ad alzarli per contrastare le spinte inflazionistiche.
Riguardo i paesi indirettamente investiti dalla protesta, in Giordania la difesa del
cambio è stata alla base dei rialzi operati nel giugno 2011 e a febbraio 2012. Il
Marocco ha nel corso del 2011 lasciato i tassi invariati nonostante la frenata
dell’inflazione per aiutare la stabilità del cambio e solo lo scorso febbraio ha tagliato i
tassi a seguito della frenata dell’economia dovuta principalmente al settore agricolo.
Nei paesi non interessati da rivolgimenti politici la Banca centrale turca ha fatto
muovere i tassi interbancari entro un corridoio delimitato dal tasso repo a 7 giorni,
fermo al 5,75% dall’agosto 2011, e dal tasso di finanziamento overnight, di recente
tagliato al 10%, finanziando alternativamente il sistema al tasso massimo nelle fasi di
pressione sulla valuta o al tasso minimo per sostenere l’economia. Il rientro
dell’inflazione entro la fascia obiettivo ha permesso a partire dal settembre 2011 alla
Banca centrale di Israele di rispondere al peggioramento dello scenario economico
esterno con ripetuti tagli dei tassi d’interesse, dopo una fase restrittiva iniziata
nell’agosto 2009, che aveva visto il tasso di riferimento salire dallo 0,50% al 3,25% a
maggio 2011.
Tassi d’interesse e inflazione
Inflazione tendenziale
2012(*)
dic-11
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
6,20%
9,50%
Libia
10%
15,90%
Siria
n.d.
n.d.
Tunisia
5,70%
4,00%
Paesi investiti indirettamente
Giordania
4,80%
3,30%
Libano
3,00%
2,70%
Marocco
1,20%
0,90%
Algeria
8,10%
5,10%
Paesi non investiti
Israele
2,10%
2,20%
Turchia
9,20%
10,40%
Tasso di riferimento
dic-10
2012(**)
dic-11
dic-10
10,60%
3,20%
6,30%
4,00%
9,50%
n.d.
n.d.
3,75%
9,50%
n.d.
n.d.
3,25%
8,50%
3,0%.
n.d.
4,50%
6,10%
4,60%
2,20%
2,70%
4,75%
5,75%
3,00%
4,00%
4,25%
6,00%
3,25%
4,00%
4,00%
6,00%
3,25%
4,00%
2,70%
6,40%
2,25%
10,00%
2,75%
11,50%
2,00%
9,00%
Tab. 11 - Fonte: Banca Centrale, Thomson Reuters - Datastream. (*) Il dato del 2012 si riferisce a
settembre; per Algeria e Libano ad agosto; per la Libia inflazione media dell’anno prevista dal FMI
(**). Situazione a metà ottobre
56 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
1.4.2 La politica fiscale
Nella seconda metà degli anni 2000, diversi paesi del Sud Mediterraneo erano stati
interessati da un processo di riduzione del disavanzo e del debito pubblico in rapporto
al PIL. In quel periodo, i paesi esportatori di petrolio erano riusciti non solo a far
scendere il rapporto debito/PIL a una sola cifra decimale ma anche a costituire Fondi
ricchezza. Nello specifico, in Algeria le maggiori entrate dovute a un prezzo del
petrolio superiore a quello ipotizzato, sono state depositate nel “Fonds de régulation
des recettes (FRR)”, che, a fine 2011, aveva una capitalizzazione stimata attorno ai 70
miliardi di dollari, mentre prima dello scoppio della guerra civile la Libyan Investment
Authority (LIA) aveva attività in valuta per 65 miliardi di dollari (tutte queste stime
sono del SWF Institute).
Durante la fase di consolidamento dei conti, le finanze pubbliche avevano
beneficiato della sostenuta crescita dell’economia, del rialzo dei prezzi delle materie
prime esportate e, nei paesi a economia diversificata del Nord Africa e del Medio
Oriente, da riforme per il rafforzamento dell’amministrazione fiscale, l’allargamento
della base imponibile e il riordino della tassazione, e di politiche di gestione delle spese
focalizzate sulla revisione dei criteri della spesa per sussidi. Questi interventi, seppur
timidi, erano stati accolti non senza manifestazioni di protesta dalla fascia più povera
della popolazione (in Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Siria e Tunisia) anche prima
dello scoppio della Primavera Araba.
Nella quasi totalità dei paesi investiti direttamente o indirettamente da rivolgimenti
politici, l’espansione della spesa corrente sia in salari (generosi aumenti nel pubblico
impiego), sia in sussidi, la contrazione delle entrate per la frenata dell’economia, il
rinvio delle annunciate riforme fiscali e, non da ultimo, un quadro congiunturale
esterno meno favorevole, hanno determinato nel 2011 un sostanziale allargamento del
disavanzo pubblico in rapporto al PIL.
Il rapporto tra deficit pubblico e PIL è invece sceso in Algeria, grazie ai maggiori
proventi petroliferi che contribuiscono a oltre il 70% delle entrate, in Libano, dove
l’attività del Governo e quindi la spesa è frenata da contrasti politici, e in Israele e
Turchia dove le economie hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti dando una
spinta alle entrate.
Tutti i paesi del Sud Mediterraneo hanno indicato nel Budget 2012 un deficit di
bilancio in rapporto al PIL inferiore a quello del 2011. Il conseguimento di questo
obiettivo appare tuttavia problematico, soprattutto per i paesi non petroliferi del Nord
Africa e del Medio Oriente, considerando la maggiore spesa per sussidi, rispetto a
quanto programmato, a seguito degli aumenti dei prezzi di alimentari ed energia, la
crescita della spesa corrente in salari, pensioni, trasferimenti alle famiglie più povere, i
programmi a favore dei disoccupati e, infine, la contenuta crescita economica. Negli
ultimi mesi Egitto, Marocco e Tunisia hanno rivisto al rialzo l’obiettivo deficit in
considerazione dell’aumento delle uscite per sussidi su beni alimentari ed energetici.
57 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Deficit e debito pubblico
Saldo Stato/PIL %
2004-08
2009
2010
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
-8,3
-6,6
-8,1
Libia
25,1
7,1
6,7
Siria
-3,8
-2,9
-1,4
Tunisia
-2
-2,9
-5,8
Paesi indirettamente investiti
Giordania
-8,9
-10,9
-7,4
Libano
-10,3
-8,5
-7,8
Marocco
-2,1
-2,7
-3,7
Algeria
7,2
-7
-4,4
Paesi non investiti
Israele
-1,7
-5,2
-3,7
Turchia
-2,1
-5,5
-3,7
Debito pubblico/PIL %
2009 2010
2011
2011
2012E
2004-08
2012E
-11
-7,7
-10,9
-9
-10,4
13,9
-11,2
-8,3
113,5
5
169,9
48,9
83,5
3,9
23,8
42,9
81,4
3,2
22,6
40,5
83,6
4,3
35,2
45,1
85
1,9
42,6
52,3
-12,4
-5,8
-6
-2,4
-11,4
-7
-7,5
-2,4
71,5
169,9
64,7
13,9
57,4
147,6
56,9
8,1
57,3
141,7
61
9,3
57,5
134
64,7
8,1
59,1
126
71,7
8,5
-3,3
-1,3
-3,9
-1,8
84,6
46,6
77,9
46,4
74,5
43,1
72,6
40,1
74,7
39,2
Tab. 12 - Fonte: EIU. (*) Il segno (+) indica un surplus di bilancio
1.4.3 La politica valutaria
La quasi totalità dei paesi del Sud Mediterraneo esercita un controllo più o meno
stretto delle valute. Tra i paesi della regione, solo Israele lascia fluttuare liberamente il
cambio. Tutti i paesi con esportazioni diversificate del Medio Oriente e la Libia
seguono un regime di parità fissa nei confronti del dollaro o di un paniere che replica la
composizione degli SDR (Diritti Speciali di Prelievo) del Fondo Monetario
Internazionale. L’adozione di questo regime è finalizzata a dare un certo grado di
stabilità ai mercati domestici (sia finanziari che reali), che le Autorità, per motivi
politici (conflitti, sanzioni internazionali, debolezza dell’esecutivo) o per carenze
strutturali dell’economia, avrebbero difficoltà a garantire. I paesi del Nord Africa,
hanno invece regimi di fluttuazione controllata (Algeria, Egitto e Turchia) o di cambio
fisso (il Marocco). Tunisia e Marocco, dati gli stretti rapporti commerciali con
l’Unione Europea, fanno riferimento a un paniere dove l’euro pesa per i due terzi,
mentre in Algeria ed Egitto la fluttuazione controllata, senza preannunciati livelli di
riferimento, è rispetto al dollaro USA. La Turchia monitora un paniere equamente
diviso tra dollaro ed euro.
Le tensioni politiche hanno avuto un impatto contenuto sul mercato valutario. Nel
2011 e nei primi dieci mesi del 2012, la lira egiziana e il dinaro tunisino, valute di due
dei paesi direttamente interessati da rivolgimenti politici, hanno registrato un contenuto
deprezzamento rispetto alla valuta o paniere di riferimento, seppur al prezzo di un
consistente drenaggio di riserve (cfr segue). Anche le valute degli altri Paesi, come il
dinaro algerino, la lira turca e lo shekel israeliano si sono deprezzate nei confronti del
dollaro nel 2011.
Nel 2012, la lira turca ha registrato un contenuto apprezzamento, sostenuta dagli
elevati tassi d’interesse e, nella seconda metà dell’anno, dalla distensione sul mercato
internazionale dei capitali. Nei paesi che dispongono di una base manifatturiera
relativamente ampia o che desiderano promuovere una maggiore diversificazione
produttiva, la difesa della posizione competitiva appare una priorità e il deprezzamento
58 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
del cambio nominale è funzionale all’obiettivo di mantenere nel tempo una relativa
stabilità del cambio reale.
Tasso di cambio
Regime valutario
Var % vs valuta/paniere
2012(*)
REER vs Equilibrio^
2011
2011
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
managed floating (vs USD)
1,2
3,9
Sopravalutato
Libia
peg SDR
Peg
10(**)
n.d.
Siria
peg SDR
26,5(***)
15,6(***)
n.d.
Tunisia
managed floating (basket 2/3 Euro; 1/3 USD)
4,8
2,1
Sopravalutato
Paesi investiti indirettamente
Giordania
peg USD
peg
Sottovalutato
Libano
peg USD
peg
Sopravalutato
Algeria
managed floating (vs USD)
3,9
2,2
Sottovalutato
Paesi non investiti
Israele
free floating
-0,1
7,7
Sopravalutato
Turchia
Managed floating (50% USD; 50% Euro)
-4,4
20
Sopravalutato
Tab. 13 - Fonte: Elaborazioni Studi Intesa Sanpaolo su dati Reuters e FMI. (*) Gennaio- 22
ottobre.(**) Scostamento tra cambio sul mercato nero e cambio ufficiale. (***) Variazione rispetto al
dollaro. ^ Sulla base di elaborazioni Studi ISP su stime FMI e interne. Nota: il segno (-) indica
apprezzamento
La tabella sopra riportata evidenzia l’eventuale sopravalutazione/sottovalutazione
del cambio a fine 2011 sulla base dello scostamento del cambio reale effettivo dal suo
valore di equilibrio stimato dal FMI nei “Country Report Art IV”.
1.4.4 La posizione finanziaria verso l’estero
Nel 2011, la posizione esterna della quasi totalità dei paesi del Sud Mediterraneo a
economia diversificata, (Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Giordania e Siria, Turchia)
è peggiorata a causa sia dell’allargamento del deficit corrente sia della significativa
contrazione degli afflussi di capitale. Questa situazione ha determinato un significativo
calo delle riserve in valuta, che ormai garantiscono una bassa copertura del fabbisogno
finanziario esterno e delle importazioni, alimentando spinte al deprezzamento sul
cambio.
Gli idrocarburi costituiscono una quota significativa (sino al 40% del totale) delle
importazioni di molti paesi e l’aumento dei prezzi (il prezzo del petrolio ha registrato
nel 2011 un aumento medio del 40%) ha determinato più elevati deficit commerciali.
Sempre per quanto riguarda la bilancia commerciale, le esportazioni hanno risentito
della debolezza dell’economia mondiale, soprattutto quelle dei paesi, come la Tunisia e
il Marocco, con una più elevata esposizione verso l’Europa.
Le turbolenze politiche hanno portato in aggiunta a un visibile calo dei proventi dal
turismo, che costituiscono una importante voce della partite invisibili, non solo nei
paesi direttamente interessati da rivolgimenti politici, quali l’Egitto, la Siria e la
59 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Tunisia, ma anche in quelli investiti indirettamente, come la Giordania, il Libano e il
Marocco.
L’incertezza riguardo l’evoluzione del quadro politico ha scoraggiato gli
investimenti esteri, sia diretti che di portafoglio nella regione, in particolare nei Paesi
direttamente investiti da rivolgimenti politici. Lo scorso anno Egitto e Libia hanno
avuto un deflusso netto di IDE. Allo stesso tempo, Libano, Siria e Tunisia hanno
registrato un significativo calo.
Bilancia dei pagamenti e variazione riserve
USD miliardi
Saldo corrente
Saldo commerc
IDE netti
Portafoglio netti
Riserve(**)
Algeria
Libia
Egitto
Marocco
Tunisia
Giordania
Libano
Siria
Israele
1tr'12 *
n.d.
8,7
-2,3
-2,3
-2,2
-2
-10,3
-4,3
-1,3
Turchia
-16,3
1tr 11*
n.d.
n.d.
-2,1
-2
-1,6
-0,7
n.d.
n.d.
1,6
-21,6
2011
21,1
1,7
-6,6
-7,5
-3,1
-3,4
-10
-4,2
1,9
-77,1
2010
12,2
16,8
-4,4
-4,1
-2,1
-1,8
-7,5
-0,5
8,2
-46,6
1tr'12 *
n.d.
16,2
-7,9
-4,7
-2,9
-2,8
-4,7
-2,6
-2,3
-40,9
1tr 11*
n.d.
n.d.
-6,2
-4,3
-1,6
-2
-3,6
n.d.
0,6
-54,4
2011
28,5
8
-27,1
-18,3
-4,5
-8,8
-15,9
-3,6
-1,2
-89,1
2010
18,2
24,3.
-13,4
-15
-4,6
-6,8
-12,6
-3,8
4,9
-56,4
1tr'12*
n.d.
n.d.
0,6
0,7
1,7
0,2
2,4
0,1
1,5
2,3
1'tr11*
n.d.
n.d.
-0,4
0,6
-0,6
0,4
n.d.
n.d.
1,1
3,3
2011
1,9
-0,4
-1,2
2,1
0,4
1,7
2,9
0,6
8,3
13,3
7,6
2010
3,5
-1
5,2
1
1,4
1,4
3,8
1,5
-3,6
1tr'12*
n.d.
n.d.
-1,2
0,1
0,6
0,2
0
-0,2
-2,6
5,2
1'tr11*
n.d.
n.d.
-5,5
0
-0,1
0,1
n.d.
n.d.
0,4
9,3
2011
n.d.
n.d.
-10,5
-0,2
0
0,3
-1,4
-0,1
-8,6
22
2010
n.d.
-4,4
10,3
0,1
0
0,7
-1,7
-0,1
-0,4
16,1
1tr'12*
n.d.
n.d.
-3,2
-1,6
-0,5
1,1
1
-9,7
1
0,7
1tr'11*
n.d.
n.d.
-6,1
-0,9
-2,2
1
n.d.
n.d.
2,1
-3,9
2011
19,9
3
-18,1
-2,5
-1,6
-1,7
2,2
-8,6
4,5
1
2010
15,6
4,2
1,3
1,2
-0,2
1,4
3
2,7
11,9
14,9
Tab. 14 - Fonte: EIU, Banche centrali, FMI (*) Per Libia, Siria e Libano (con l’esclusione del saldo
commerciale che per il Libano si riferisce al 1° trimestre) i dati del 2012 sono stime del FMI e EIU
per l’intero anno. (**) Il segno (-) indica un calo.
Il deterioramento dei saldi di conto corrente e dei movimenti di capitale unitamente
agli interventi per sostenere cambi fissi (Giordania, Libano e Marocco), o per contenere
il deprezzamento verso il dollaro (Egitto) o verso l’euro (Tunisia), hanno determinato
un significativo calo delle riserve in valuta nei paesi direttamente (ma anche in quelli
indirettamente) interessati da rivolgimenti politici. Le riserve offrono adesso una bassa
copertura del fabbisogno di finanziamento estero del 2013 e delle importazioni delle
economie diversificate del Nord Africa (ma anche della Turchia) ed espongono questi
paesi a shock finanziari esterni.
60 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Stock riserve in valuta
2012
USD miliardi
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
10,9(set)
Libia (*)
130,1
Siria (*)
15,1(ago)
Tunisia
6,6(set)
Paesi investiti indirettamente
Giordania
8,5(mag)
Libano
36,1(lug)
Marocco
14,6(lug)
Algeria
184,7(giu)
Paesi non investiti
Israele
73,8 (ago)
Turchia
91,4(ago)
2011 dic.
2010 dic
13,6
101,8
16,2(giu)
7,1
32,4
96,8
19
9,2
11,2
33,3
18,8
176
12,8
31,2
21,8
160,5
73,1
76,7
69,3
79
Tab. 15 - Fonte:FMI, EIU. (*) Per la Libia, il dato è una stima di EIU per il 2012. Per la Siria il dato
di agosto 2012 è stato di recente fornito dalla Banca centrale
Indicatori di vulnerabilità esterna
Reserve cover ratio(*)
2012E
2013E
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
0,8
0,7
Libia
(**)
(**)
Siria
3,2
4,6
Tunisia
0,7
0,6
Paesi investiti indirettamente
Giordania
1,5
1,7
Libano
1,8
1,8
Marocco
1,1
1,2
Algeria
(**)
(**)
Paesi non investiti
Israele
2,9
3,4
Turchia
0,5
0,5
2010
Import cover (mesi)
2011 2012E
7
39
12,1
4,7
3,4
117,9
11,9
3,3
2,7
89,1
6,2
3,2
9
17,2
7,1
38,5
7
17,2
5
39,3
6
17
4,6
41,1
11,2
5,2
9,8
4,2
9,4
4,5
Tab. 16 - Fonte EIU. (*) Rapporto tra riserve in valuta e fabbisogno finanziario estero. (**) Per
Algeria e Libia il surplus corrente stimato (rispettivamente 23 e 33 miliardi nel 2012 e 26 e 34
miliardi nel 2013) supera il debito in scadenza
Il peggioramento della posizione esterna ha portato Giordania e Marocco a
richiedere il sostegno finanziario del FMI. Lo scorso agosto la Giordania ha ottenuto
una linea di credito stand-by per 2 miliardi di dollari della durata di quattro anni.
Sempre lo scorso agosto il FMI ha concesso al Marocco una linea di credito
precauzionale (PLL) per 6,2 miliardi di dollari della durata di due anni. L’Egitto ha da
tempo in corso trattative con il FMI per ottenere un prestito di circa 5 miliardi di
dollari. I dati a disposizione relativi ai primi mesi indicano per i paesi a economia
diversificata del Nord Africa e del Medio Oriente, un ulteriore allargamento del deficit
corrente nel 2012, nonostante il miglioramento dei saldi delle partite invisibili, a causa
principalmente del più ampio deficit commerciale determinato dall’aumento di prezzi e
volumi delle importazione e dalla debolezza delle esportazioni verso l’Europa.
61 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Saldo corrente/PIL
Turchia
2012E
2011
2010
Israele
Siria
Libano
Giordania
Tunisia
Marocco
Egitto
Libia
Algeria
-30
-20
-10
0
10
20
30
Debito estero/PIL
Turchia
2012
2011
2010
Israele
Siria
Libano
Giordania
Tunisia
Marocco
Egitto
Libia
Algeria
0
Graf. 2 - Fonte: EIU
62 10
20
30
40
50
60
70
80
I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
2. Le prospettive delle economie nel 2012 e nel 2013
2.1 Le previsioni di crescita
Già nel 2012 e poi nel 2013 è atteso per l’insieme dei paesi del Sud Mediterraneo
un graduale recupero del tasso di crescita reale del PIL. Nei paesi direttamente investiti
da rivolgimenti politici, la graduale stabilizzazione della situazione interna dovrebbe
favorire un progressivo recupero dell’attività produttiva ma la crescita del PIL nel
biennio 2012-2013 resterà ancora al di sotto della media del decennio 1999-2008 (con
l’esclusione della Libia che nel 2012-2013 beneficerà di un effetto confronto
favorevole). I dati relativi ai primi mesi del 2012 rilevano primi segnali di recupero dei
flussi dall’estero per IDE oltre che per turismo ma, stante l’incertezza riguardo gli
sviluppi futuri, occorrerà del tempo prima che possano tornare ai livelli precedenti ai
rivolgimenti politici. La debolezza dell’economia dell’Unione Europea, con cui molti
paesi del Sud Mediterraneo hanno solide relazioni non solo via commercio ma anche
per turismo e per rimesse dei lavoratori emigrati, avrà un impatto frenante.
Fattori di rischio per le prospettive di crescita vengono da un processo di
stabilizzazione del quadro politico più lento di quanto previsto e, soprattutto, da
possibili nuove tensioni sociali causate dalla difficoltà dei nuovi Governi a far fronte
alle aspettative della popolazione. La quasi totalità dei paesi ad economia diversificata
infatti ha posizioni finanziarie esterne e di bilancio pubblico molto deboli, deteriorate
ulteriormente durante la crisi politica, e con pochi spazi di manovra per politiche a
sostegno della domanda.
Crescita e Inflazione nel Sud Mediterraneo
Crescita reale del PIL
1999-2008
2011
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto (*)
5
1,8
Libia
4,4
-59,7
Siria
3,8
n.d.
Tunisia
4,9
-1,8
Paesi investiti indirettamente
Giordania
5,8
2,6
Libano
3,7
1,5
Marocco
4,3
4,9
Algeria
3,7
2,5
Paesi non investiti
Israele
3,9
4,6
Turchia
3,9
8,5
Sud Med 8
3,7
-4
Sud Med 10
4,2
1,8
Emergenti
6,6
6,2
Inflazione media
1999-2008 2011 2012E
2012E
2013E
2013E
2,3
121
n.d.
2,7
3
16,7
n.d.
3,3
6,7
0,1
4,2
3,1
11,1
15,9
n.d.
3,5
8,6
10
n.d.
5
10,7
0,9
n.d.
4
3
2
2,9
2,6
3,5
2,5
5,5
3,4
4
3
1,9
2,9
4,4
5
0,9
4,5
4,5
6,5
2,2
8,4
4,9
5,7
2,5
5
2,9
3
13,9
8,6
5,3
3,2
4,1
4,7
4,4
6
2,2
29
4,1
13,4
6,8
3,4
6,5
7,8
6,9
7,2
1,7
8,7
7,5
7,4
6,1
2,1
6,5
6,5
6,1
5,8
Tab. 17 - Fonte: FMI WEO settembre 2012. (*) Per l’Egitto il dato del PIL riguarda l’anno fiscale che
termina a giugno. Per l’anno di calendario, dopo il calo dello 0,8% registrato nel 2011, Sudi Intesa
Sanpaolo prevede un tasso di crescita del 2,8% nel 2012 e del 4% nel 2013. Nota: Il dato medio del
PIL per il periodo 2011-2013 è fortemente influenzato dalla performance della Libia, dove l’attività di
estrazione di gas e petrolio, dopo essersi quasi bloccata durante il conflitto, è prevista tornare
progressivamente ai livelli di prima del conflitto.
63 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Egitto
Nel 1° semestre 2012 il recupero dell’attività economica, in parte grazie anche al
favorevole confronto con gli stessi mesi del 2011, sui quali maggiormente avevano
pesato gli effetti economici del rivolgimento politico, è stato superiore alle aspettative.
Dopo la crescita anemica del semestre luglio-dicembre 2011 (+0,3% a/a), secondo dati
preliminari, nel secondo semestre (gennaio-giugno 2012) dell’anno fiscale 2012, il PIL
ha evidenziato una sostanziale accelerazione (+4,3%) rispetto agli stessi mesi del 2011,
allorquando il PIL era caduto del 4,3%, per una crescita in termini reali nell’intero anno
fiscale 2012 (terminato lo scorso mese di giugno) attorno al 2,3%, rispetto all’1,8%
dell’anno fiscale 2011. Nel 1° semestre 2012 sono arrivati in Egitto 5,1 milioni di turisti,
rispetto a 3,5 milioni negli stessi mesi del 2011. Da gennaio a giugno 2012 la produzione
industriale è inoltre aumentata dell’11,3% a/a. Nel breve-medio periodo, l’andamento
dell’economia e dei diversi settori produttivi è legato agli esiti dell’attuale fase di
trasformazione del quadro politico interno. Turismo, proventi del canale di Suez e
rimesse dei lavoratori emigrati, risentiranno in aggiunta delle difficoltà dell’area euro,
attesa in recessione nel 2012, con cui l’Egitto ha diversi e profondi legami economici.
L’impatto potrà in parte essere bilanciato dal buon andamento delle economie dei
paesi del Golfo e dalla ripresa attesa nei paesi del Nord Africa (Libia e Tunisia) in fase di
stabilizzazione politica dopo le turbolenze del 2011. Nell’anno di calendario 2012 il PIL
dovrebbe tornare a crescere in termini reali (+2,8%), dopo il calo registrato nel 2011. La
progressiva stabilizzazione della situazione politica, unitamente a un quadro
congiunturale esterno più favorevole, ci si attende porteranno a un aumento del PIL del
3% nell’anno fiscale 2013 (del 4% nell’anno di calendario 2013).
Libia
Nel 2011, le condizioni di conflitto hanno determinato un crollo del PIL stimato tra il
28% (EIU) e il 60% (FMI). Da gennaio ad agosto 2012, l’estrazione di petrolio risultata
in recupero e solo del 6,8% inferiore a quella degli stessi mesi del 2010. Il ritorno ai
livelli di pre crisi è previsto dalle Autorità libiche entro fine 2012. Il raggiungimento di
questo obiettivo appare tuttavia problematico nell’attuale contesto di incertezza riguardo
gli sviluppi politici e di rischi per chi opera nel paese non essendo ancora state ripristinate
le normali condizioni di sicurezza. ENI, che attualmente estrae 240 mila barili al giorno
contro 280 prima del conflitto, prevede di tornare ai precedenti livelli di produzione nel
2013. Il progressivo ritorno alla normalità del settore estrazione e gli interventi per la
ricostruzione ci si attende porterà a un forte rimbalzo del PIL nel 2012 (stimato da EIU
attorno al 35% e dal FMI superiore al 100%) e ad una crescita superiore al 16% nel 2013.
Siria
Il conflitto interno che dura ormai da oltre un anno e mezzo e le sanzioni internazionali
stanno avendo pesanti riflessi sull’attività produttiva agricola, manifatturiera e di estrazione e
sta portando a un’ampia contrazione delle entrate per IDE, turismo e rimesse dei lavoratori
emigrati. Secondo stime dell’Institute of International Finance (IIF) il PIL è diminuito in
termini reali del 6% nel 2011. Il permanere di uno stato di guerra civile determinerà
un’ulteriore sensibile contrazione del PIL nel 2012 (stimato in -10,2% da IIF).
64 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Tunisia
Secondo dati preliminari il PIL della Tunisia è aumentato del 3,3% a/a nel primo
semestre 2012, rispetto ad una contrazione del 2,5% nello stesso periodo del 2011. Nei
primi sei mesi del 2012, gli arrivi di turisti sono cresciuti del 48,5% a/a, raggiungendo
un livello pari all’85% di quello pre crisi. La fine del conflitto in Libia ha dato una
spinta alle rimesse dei lavoratori emigrati (75.000 tunisini lavoravano in quel paese).
L’attività di estrazione, dopo le numerose interruzioni viste nel 2011, è ormai tornata
alla normalità. D’altra parte, la Tunisia è il paese del Sud Mediterraneo più penalizzato
dalla fase negativa del ciclo nell’Unione Europea. Il coefficiente di correlazione del
PIL non-agricolo della Tunisia e dell’Unione Europea è pari al 63%, principalmente
per il canale delle esportazioni seguite a distanza da turismo e rimesse (cfr. IMF, WP
10/238). A livello settoriale, il manifatturiero e la generazione di energia, sono i settori
più sensibili alla congiuntura Europea, mentre agricoltura, minerario e servizi sono
meno dipendenti. Dopo la caduta del 2011 (-1,8%), la crescita del PIL è ora prevista al
2,7% nel 2012 ed al 3,3% nel 2013.
Libano
Le tensioni in Siria, che si aggiungono alla ormai cronica instabilità politica interna,
hanno un impatto negativo su diversi comparti dell’economia del Libano. Nel primo
semestre 2012 i permessi per costruire sono diminuiti dell’11,8% a/a, rispetto a +1,7%
e +34,3% rispettivamente nei periodi del 2011 e 2010. Gli arrivi di turisti sono scesi del
12% a/a da gennaio a giugno 2012, dopo essere crollati del 34% negli stessi mesi del
2011. L’attività produttiva risente poi delle insufficienti forniture di energia elettrica
conseguenti alla situazione di paralisi politica. Da diversi anni il Governo non riesce a
far approvare un Bilancio e la compagnia elettrica nazionale non riceve fondi di
dotazione per gli investimenti. Il FMI prevede per il PIL un aumento in termini reali
del 2% nel 2012 e del 2,5% nel 2013.
Giordania
Nel 2012 e nel 2013, l’economia della Giordania risentirà delle misure di restrizione
fiscale (aumento delle tasse sui beni durevoli e non durevoli non di prima necessità,
tagli dei sussidi) concordate in agosto con il FMI per ottenere un sostegno finanziario.
L’impatto negativo di queste misure sarà bilanciato da un previsto recupero del turismo
e delle rimesse. Nel secondo trimestre 2012 i ricavi da turismo sono aumentati del 10%
a/a. I paesi del Golfo hanno promesso alla Giordania un pacchetto di aiuti nel
quinquennio 2012-2016 pari 5 miliardi di dollari complessivi finalizzato a progetti
speciali. La crescita del PIL, pari a circa il 3% nel 1° semestre 2012, dovrebbe
confermarsi nel 2° semestre, per un totale di circa il 3% nell’intero anno. Nel 2013 è
vista portarsi vicino al 3,5%.
Marocco
Nel primo semestre 2012 il PIL è aumentato del 2,6% a/a, un tasso di espansione
pari a circa la metà di quello nello stesso periodo del 2011. L’economia del Marocco è
attesa frenare sensibilmente nel 2012 (PIL +2,9%) in conseguenza della caduta della
65 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
produzione agricola (-9%) determinata dalla scarsa piovosità e dell’impatto della
recessione in Europa. Il coefficiente di correlazione tra PIL non-agricolo del Marocco e
dell’Unione Europea è pari al 46% (cfr. IMF WP 10/238). I flussi legati al turismo (nel
2011 5,1 milioni di turisti su un totale di 5,4 milioni venuti dall’Europa) e rimesse dei
lavoratori emigrati (il 20% della forza lavoro è occupata in Europa) sono il principale
canale di trasmissione dell’impatto dell’andamento dell’economia dell’Unione Europea
sul Marocco. Nei mesi finali del 2012 e nel 2013 la produzione manifatturiera riceverà
una significativa spinta da un nuovo impianto di auto costruito dalla Renault nel Nord
del paese. Lo sviluppo del manifatturiero, il contenuto miglioramento della congiuntura
europea e, soprattutto, una stagione agricola più favorevole porteranno, secondo il
FMI, a una espansione reale del PIL superiore al 5% nel 2013.
Algeria
L’andamento del settore “oil & gas” resta cruciale per l’economia dell’Algeria.
Secondo dati ufficiali, l’estrazione di petrolio, dal picco di 2 milioni di barili al giorno
nel 2007 è scesa a 1,26 milioni nel 2011 (-2,5% rispetto al 2010). Quella di gas nel
2011 è stata pari a 78 miliardi di metri cubi (-3% a/a), rispetto al picco di 88,2 miliardi
nel 2005. Nonostante l’ulteriore calo del settore oil, la dinamica del PIL nel 2012 è
attesa in linea con quella del 2011 (+2,5%), grazie alla crescita sostenuta della parte
non-oil che continua a beneficiare dei provvedimenti a sostegno della domanda. Nel
2013, è previsto che l’entrata in funzione di nuovi pozzi determinerà il primo aumento
della produzione di gas e petrolio dopo più di cinque anni, e una conseguente
accelerazione del PIL (+3,4% secondo il FMI).
Israele
Nel primo semestre 2012 l’economia di Israele è cresciuta più del previsto (+3,3%
a/a), grazie all’andamento particolarmente sostenuto delle esportazioni. La domanda
interna, anche a seguito di aumenti di imposte, è però debole e questo accresce la
vulnerabilità alla frenata della congiuntura mondiale. La Banca centrale ha di recente
alzato la stima di crescita del PIL nel 2012 dal 3,1% al 3,2% ma ha abbassato quella
del 2013 dal 3,3% al 3%. Il FMI nel WEO di ottobre 2012 prevede un tasso di
espansione reale del PIL pari al 2,9% nel 2012 ed al 3,2% nel 2013.
Turchia
In Turchia, il cui PIL è pari a quasi il 40% di quello dell’intera regione Sud Med 10,
la dinamica dell’economia è prevista frenare sensibilmente nel 2012 e nel 2013, dopo
le misure prese dall’Autorità monetaria a partire dall’ottobre 2011 per rallentare la
crescita del credito e sostenere il cambio. Da gennaio a giugno 2012, il PIL è
aumentato del 3,1% in termini reali, dal 10,6% negli stessi mesi del 2011. Il FMI nel
suo WEO di settembre prevede per la Turchia una crescita del PIL nel 2012 attorno al
3%. La previsione del Governo (4%) appare difficilmente raggiungibile a meno di
un’improbabile accelerazione (tendenziale oltre il 6%) nel 4° trimestre. Nel 2013, la
crescita del PIL è attesa accelerare al 4,1%, grazie alle più favorevoli condizioni
esterne.
66 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Crescita reale del PIL (var % a/a)
1 sem 2011
Egitto
1 sem 2012
Tunisia
Giordania
Marocco
Turchia
Israele
-3
0
3
6
9
12
Graf. 3 - Fonte: Datastream
IDE e turismo
USD mld.
IDE
1tr2012
Paesi investiti direttamente da tensioni politiche
Egitto
0,6
Libia
n.d.
Siria (*)
0,1
Tunisia (*)
1,7
Paesi investiti indirettamente
Giordania
0,2
Libano (*)
2,4
Marocco
0,7
Algeria
n.d.
Paesi non investiti
Israele
1,5
Turchia(*)
8,9
1tr2011
Turismo
1tr2012
1tr2011
-0,4
n.d.
0,6
-0,6
2
n.d.
0,2
0,6
1,7
n.d.
1,9
0,4
0,3
2,9
0,6
n.d.
0,8
5,9
1,1
n.d.
0,7
6,6
1,2
n.d.
1,1
9,4
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Tab. 18 - Fonte: Banche centrali, IIF. (*) Per la Tunisia i dati si riferiscono al semestre, per la Turchia
al periodo gennaio – luglio; per Libano e Siria sono stime IIF per l’intero anno
2.2 Il rating delle agenzie e la valutazione dei mercati
Il deterioramento della posizione finanziaria nei confronti dell’estero, le crescenti
pressioni sui conti pubblici e il prolungarsi della fase di incertezza politica hanno
portato nel corso del 2011 e nel 2012 a ripetuti tagli di rating del debito sovrano in
valuta dell’Egitto e della Tunisia. Quest’ultimo paese nel 2012 ha perso l’investment
grade. Il Marocco ed Israele sono gli unici due paesi del Sud Mediterraneo il cui debito
sovrano in valuta è considerato un investimento non speculativo. Di recente S&P, pur
confermando l’investment grade, ha tuttavia introdotto un outlook negativo sul debito
sovrano in valuta del Marocco, sottolineando il deterioramento dei conti pubblici e
della posizione esterna. Alcuni segnali di stabilizzazione del quadro politico dopo
l’insediamento del nuovo Presidente hanno portato S&P a rimuovere sull’Egitto il
67 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
credit watch negativo. I CDS spread nella maggioranza dei paesi del Sud Mediterraneo
sono saliti significativamente a causa dell’incertezza riguardo l’evoluzione della
situazione politica e le prospettive dell’economia. In Egitto lo spread a 5 anni si è
portato da 258pb a fine 2010 a 640pb a dicembre 2011. Quest’anno crescenti segnali di
maggiore stabilizzazione politica in alcuni Paesi e, nelle ultime settimane, un quadro
più disteso sui mercati internazionali dei capitali, hanno determinato un restringimento
degli spread, in particolare in Egitto (e Turchia). In Tunisia, la perdita dell’investment
grade ha portato lo spread a nuovi massimi (350pb a metà ottobre).
Rating e CDS spread 5a
2012
Rating
2011
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
B
B+
Libia
ritirato
Siria
n.d.
Tunisia
BB
BBBPaesi investiti indirettamente
Giordania
BB/N
BB/N
Libano
B/N
B
Marocco
BBBBBBAlgeria
n.d.
Paesi non investiti
Israele
A+
A+
Turchia
BB/S
BB/P
CDS spread 5a
2011
2010
2010
2012
BB+
A-
432
n.d.
n.d.
350
622
258
245
105
BB
B
BBB-
n.d.
454
231
n.d.
n.d.
460
251
n.d.
289
135
A
BB/P
146
162
203
339
116
152
BBB
Tab. 19 - Fonte: Thomson Reuters,Datastream. Gli spread si riferiscono a fine anno per il 2010 e il
2011 ed al 10/10 per il 2012
I mercati azionario del Sud Mediterraneo, che nel 2011 avevano registrato
consistenti perdite, in particolare l’Egitto (-48,9% a fronte di un rialzo del 4,4%
dell’indice MSCI emergenti), nel corso del 2012 hanno messo a segno un significativo
rialzo, sovraperformando l’MSCI emergenti (-2,5% da gennaio a metà ottobre) e altre
piazze del Medio Oriente. Gli investitori si sono posizionati per un recupero delle
economie, incoraggiati da segnali di relativa stabilizzazione del quadro politico, in
particolare in Egitto.
Performance mercati azionari
Variazione %
2012(*)
Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici
Egitto
58,9
Libia
n.d.
Siria
n.d.
Tunisia
2,5
Paesi investiti indirettamente
Giordania
-0,5
Libano
8
Marocco
22,4
Algeria
n.d.
Paesi non investiti
Israele
3,3
Turchia
33,5
2011
2010
-48,9
14,1
-7,6
19,1
-30,7
-14,9
-19,7
-13,5
11,7
-3,4
-21,3
-22,3
12,8
24,9
Tab. 20 - Fonte: Thomson Reuters - Datastream. (*) Per il 2012, Gennaio-10 Ottobre
68 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
2.3 Appendice: gli sviluppi politici nei paesi della Primavera Araba
La Primavera Araba ha portato a profondi rivolgimenti politici nei paesi del Nord
Africa, determinando la caduta di regimi al potere da decenni in Egitto, Tunisia e Libia.
Questi paesi stanno ora attraversando una fase di transizione non priva di tensioni verso
nuovi assetti istituzionali. In Algeria e Marocco la protesta ha prodotto limitate riforme
volte a garantire una maggiore rappresentatività politica della società civile, senza però
cambiare gli assetti politico-istituzionali. In Medio Oriente invece, in Siria è in corso
una sanguinosa guerra civile dagli esiti ancora incerti. Le tensioni in Siria hanno
riflessi negativi sul Libano, dove il quadro politico è caratterizzato da una instabilità
strutturale determinata dalle profonde divisioni religiose tra la popolazione e accentuata
dalle ingerenze dei paesi vicini. In Giordania la dinastia hashemita gode di popolarità
tra la maggioranza autoctona della popolazione e può contare sul sostegno e la lealtà
delle Forze Armate, la cui ossatura è costituita da componenti delle tribù.
Gli assetti politici (*)
Paese
Forma di
Recenti sviluppi politici
governo
Paesi esportatori di petrolio
Nord Africa
Algeria
Repubblica
Il Presidente Bouteflika è stato eletto per un terzo termine di 5 anni nel 2009. Le elezioni politiche
Presidenziale tenutesi lo scorso maggio sono state vinte dal FNL, il partito che guida il paese dall’indipendenza. Il
nuovo governo, che si è insediato lo scorso settembre, è all’insegna della continuità Qualche timida
protesta per le condizioni abitative.
Libia
In attesa di
Il paese sta attraversando una fase politica travagliata. Le prime elezioni dopo la caduta di Gheddafi
definizione
sono state vinte da una coalizione di forze moderate (NFA) guidata da Jibril, il leader del Fronte anti
Gheddafi, che ha conquistato 39 degli 80 seggi riservati ai partiti (su un totale di 200, 120 sono andati a
candidati indipendenti) nell’Assemblea Nazionale (GNC), mentre 17 sono andati alla Fratellanza
Musulmana. Un governo di coalizione sostenuto dal NFA e presieduto da Ali Zeidan, un diplomatico
oppositore di Gheddafi per 30 anni in esilio, si è insediato di recente.
Egitto
Repubblica
Il nuovo presidente Morsi, esponente della Fratellanza Musulmana che esprime il primo partito del
Presidenziale paese, si è insediato lo scorso giugno. Nelle prime settimane del mandato ha progressivamente tolto
potere al Consiglio dei militari che guidava il paese dalla caduta di Mubarak. E’ stata predisposta la
bozza della nuova Costituzione.
Marocco
Monarchia
Lo scorso anno, dopo contenute proteste contro il governo, è stata approvata una riforma che trasferisce
costituzionale alcuni poteri dal sovrano al Governo ma mantenendo il ruolo di guida suprema del re. Le elezioni
tenutesi lo scorso novembre sono state vinte (107 seggi su 395) dal PDJ, un partito di ispirazione
islamica, che ha formato un governo di coalizione.
Tunisia
Repubblica
Ennahda, partito di ispirazioni islamica moderato, ha ottenuto la maggioranza relativa nelle elezioni
Presidenziale dell’Assemblea Costituente tenutesi nell’ottobre 2011 (90 seggi su 217). Si è insediato un governo di
coalizione, guidato da Hamadi Jbeli, che resterà in carica sino alla nuova Costituzione. L’approvazione
della nuova Carta, inizialmente prevista entro ottobre 2012, è stata spostata ad aprile 2013.
Paesi a economia diversificata
Medio Oriente
Giordania Monarchia
Il re Abdullah, la cui posizione appare solida, ha risposto a contenute proteste con cambiamenti di
costituzionale governo. L’ultimo si è insediato a inizio ottobre e dovrà gestire le prossime elezioni, previste a fine
gennaio 2013. Il Fronte di Azione Islamico (IAF), la principale forza di opposizione, ha annunciato che
boicotterà l’appuntamento.
Libano
Repubblica
Un nuovo governo, sostenuto dalle componenti pro siriane e iraniane, si è insediato dopo una lunga
Parlamentare crisi nel luglio 2011. La guerra civile in Siria accentua la cronica instabilità politica del paese,
alimentata dai paesi vicini e dalle profonde divisioni su base religiosa della popolazione.
Siria
Repubblica
La protesta contro il regime della famiglia Assad al potere dal 1970, sostenuto dall’esercito i cui quadri
Presidenziale di comando sono Alawiti (minoranza religiosa di ispirazione sciita tra la popolazione a maggioranza
sunnita come gli Assad), si è trasformata in una vera e propria guerra civile ancora in corso.
Tab. 21 - Fonte: Viewswire, Thomson Reuters. (*) Israele e Turchia, non investiti dalla Primavera
Araba, non sono stati considerati in questa analisi
69 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
3. L’evoluzione dei rapporti della UE con l’area mediterranea
3.1 La Politica di Vicinato Europea
“Democracy will take root only if there is economic opportunity. The EU is keenly
aware of this factor and is committed to helping these countries stabilize and grow
their economies.”
*Speech by High Representative Catherine Ashton at Brookings Institutions on the role
of the European Union in supporting the Arab Spring (New York, 12 July 2011).
L’Unione Europea (UE), interlocutore di primo piano dei paesi del MENA dal
lancio del partenariato Euro-Mediterraneo del 1995, ha reagito agli eventi rivoluzionari
della scorsa primavera pubblicando a distanza ravvicinata due comunicazioni - Un
Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo
meridionale (marzo 2011) e Una nuova risposta ad un Vicinato in mutamento (maggio
2011) – che ridefinivano la politica di vicinato (PEV)4 per adattarla al mutato contesto.
In particolare, il nuovo approccio, secondo la logica del more for more, premia con
esborsi superiori i paesi più impegnati sulla via delle riforme politiche ed economiche,
promuovendo non solo il processo di democratizzazione, ma anche un modello di
crescita che, secondo i principi della strategia Europa 2020, deve essere allo stesso
tempo intelligente, sostenibile e inclusivo.
Le due comunicazioni sono state seguite, nell’ottobre del 2011, da altri tre testi
rilevanti, di portata più ampia: Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’UE:
un programma di cambiamento; Il futuro approccio al sostegno dell’UE al bilancio dei
Paesi Terzi e il Quadro strategico dell’UE in materia di diritti umani e democrazia. I
primi due ribadiscono l’importanza dell’approccio more for more e l’intenzione di
concentrare gli sforzi sui paesi5 e sui settori6 in cui l’intervento UE può avere il
massimo impatto. Il terzo, e il relativo piano di attuazione7 sottolineano poi
ulteriormente la priorità accordata dall’UE al rispetto dei diritti umani e al processo di
democratizzazione.
Il 15 maggio 2012, la Commissione Europea (CE) ha presentato un primo bilancio
della rinnovata PEV, insieme alle schede dettagliate relative ai progressi compiuti da
ogni paese coinvolto e a un piano d’azione per i prossimi mesi.
4
Nata nel 2004 come risposta all’allargamento dell’UE a dieci nuovi paesi dell’Europa orientale e
meridionale, con lo scopo di evitare l’insorgere di nuove linee divisorie nel continente.
5
Oltre ai Paesi del Vicinato, l’Africa sub-sahariana e i paesi più fragili e trascurati dalla comunità
internazionale. Sarà inoltre continuato il dialogo con i paesi in via di sviluppo dove sussistono ancora
grandi disparità come l’Asia e l’America Latina.
6
Al massimo tre per ogni paese, con enfasi particolare per l’agricoltura e l’energia sostenibili e il
vincolo del 20% delle risorse a favore dell’inclusione sociale e dello sviluppo umanitario (salute,
educazione, protezione sociale).
7
Il 25 luglio Stavros Lambrinidis è stato nominato Rappresentante speciale europeo per i diritti
umani. 70 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Sotto la guida del Rappresentante speciale dell’UE per il Mediterraneo meridionale
Bernardino León Gross, sono state lanciate tre task force in Tunisia, Giordania ed
Egitto, con il compito di coinvolgere un ampio numero di istituzioni locali, europee e
internazionali, pubbliche e private, per accelerare il processo di democratizzazione e
crescita economica, sviluppando azioni calibrate sulle priorità e i sui bisogni concreti di
ogni paese. Inoltre sono state iniziate le discussioni su un nuovo piano d’azione con il
Marocco e, nell’ottobre del 2012, con l’Autorità Palestinese, mentre l’interesse
dimostrato dall’Algeria per la PEV ha portato all’apertura del negoziato per la
definizione di un primo piano d’azione. Anche nel caso della Libia l’UE ha offerto
prima al governo di transizione e, dopo le elezioni di luglio, alla nuova assemblea
costituente, pieno appoggio nel cammino di riforma istituzionale ed economica. Si
prevede che entrambi i paesi diventino beneficiari a pieno titolo della PEV entro il
2013. Ogni forma di cooperazione con la Siria, salvo gli aiuti alla società civile, è stata
invece sospesa: l’UE ha espresso la propria ferma condanna per le violenze perpetrate
dal regime di Assad e il proprio appoggio per l’operato delle Nazioni Unite e della
Lega Araba, emettendo ben 17 round di sanzioni.
A livello di relazioni diplomatiche, si segnala il ruolo svolto dall’UE in seno al 5+5
Group8 e l’intensificarsi dei rapporti con la Lega Araba e altre organizzazioni regionali
(Gulf Cooperation Council, Organization of Islamic Conference) sia in occasione delle
crisi libica e siriana, sia con l’obiettivo di instaurare una collaborazione regolare per il
futuro.
Per quanto riguarda l’Unione del Mediterraneo (UfM), l’UE ha intensificato il suo
coinvolgimento e supporto nel febbraio del 2012 la presidenza per la sponda nord del
Mediterraneo e garantendo un solido appoggio finanziario al segretariato per
consentirgli di gestire efficacemente i progetti regionali avviati. Durante il Senior
Official Meeting tenutosi a Barcellona9 lo scorso 28 giugno la Giordania accettato la
presidenza della sponda sud.
Progressi notevoli sono stati compiuti nell’ambito dell’integrazione economica: i
negoziati per lo stabilimento di deep and comprehensive free trade areas (DCFTA)
sono stati avviati in Egitto, Marocco, Giordania e Tunisia. Il Consiglio europeo ha
inoltre approvato il 26 marzo 2012 la Convenzione sulle regole di origine pan-euromediterranee, già ratificata da Giordania e Marocco. Il working-party per la
cooperazione industriale euro-mediterranea ha elaborato un ambizioso piano di azioni
volte a sostenere gli investimenti e la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo
delle PMI nel Mediterraneo meridionale, preparando cosi il terreno per il passaggio
8
Si tratta di una struttura informale che riunisce attorno a un unico tavolo di lavoro i capi di stato
di 5 paesi della sponda nord (Malta, Italia, Francia, Spagna e Portogallo) e 5 paesi della sponda sud
(Algeria, Marocco, Tunisia, Libia e Mauritania) del Mediterraneo. Il gruppo si è riunito il 5 e 6
ottobre a Malta per discutere di sicurezza, stabilità economica, integrazione regionale, immigrazione e
ambiente.
9
I 43 paesi partner dell’Unione per il Mediterraneo si incontrano regolarmente a livello di alti
funzionari dei Ministeri degli Esteri, delle Istituzioni Europee e della Lega Araba, nel corso dei senior
official meeting vengono approvati il budget e i programmi di lavoro dell’UfM, nonché i nuovi
progetti da promuovere.
71 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
dall’attuale Statuto Euro-Mediterraneo per l’impresa a un Atto euro-mediterraneo per
la piccola impresa 10. Sempre sul fronte della politica industriale, grande visibilità è
stata offerta dalle cosiddette mission for growth che hanno visto il Vicepresidente della
CE Antonio Tajani insieme ai rappresentanti delle principali associazioni industriali
europee e agli amministratori delegati di grandi e piccole imprese interessate a investire
e a esportare in paesi terzi, impegnati in una serie di visite e di incontri di
approfondimento in Tunisia, Marocco ed Egitto.
Sul fronte delle misure per la mobilità delle persone, stanno per essere siglati
accordi di partenariato con Marocco e Tunisia, la CE ha inoltre avviato il dialogo con
Egitto, Giordania, Algeria e Libia. Infine, per quanto riguarda la cooperazione
settoriale, particolare enfasi è stata e continuerà a essere accordata alla cooperazione in
tema di trasporti, energia e ambiente, nonché allo sviluppo di uno Spazio Comune di
Conoscenza e Innovazione, anche grazie ai programmi di mobilità per gli studenti e i
ricercatori.
3.2 L’impegno finanziario della UE
Nel 2011, l’impegno finanziario dell’UE a favore dei paesi della primavera araba è
stato pari a 1,4 miliardi di euro a valere su fondi ENPI (Strumento di vicinato e
partenariato). Come previsto, i fondi allocati sono stati proporzionali alla volontà
dimostrata dai paesi del vicinato di intraprendere profonde riforme in direzione di una
maggior democrazia e di una crescita economica inclusiva e attenta ai diritti umani. In
questo senso, i progressi più radicali sono stati riconosciuti alla Tunisia, che ha
raddoppiato il budget a propria disposizione passando dagli 80 milioni del 2010 ai 160
milioni del 2011, e che ha a disposizione, secondo il programma delineato dalla Task
force EU-Tunisia, altri 240 milioni di euro a fondo perduto per il biennio 2012-2013.
Il Programma “SPRING” (Support for Partnership, Reform and Inclusive Growth),
con un budget di 540 milioni di euro a valere sull’ENPI per il periodo 2011-2013, ha
supportato iniziative a favore della transizione democratica, della promozione dei diritti
umani, della formazione istituzionale e della forza lavoro, nonché del miglioramento
del contesto per lo sviluppo delle PMI. Rivolto inizialmente a Tunisia, Egitto,
Giordania e Marocco, è stato esteso nel 2012 ad altri 4 paesi del vicinato meridionale:
Algeria, Libano, Libia e Siria (dove è stato pero sospeso)11.
10
Adottato nel 2004 a livello ministeriale, lo Statuto Euro-Mediterraneo per l’impresa, modellato
sulla base dello Statuto europeo per le piccole imprese, stabilisce linee guida in 10 diversi campi allo
scopo di migliorare il contesto euro-mediterraneo per lo sviluppo di attività imprenditoriali. Nel 2013
lo Statuto verrà rivisto in base a una valutazione complessiva delle attività svolte, con lo scopo di
allinearlo maggiormente allo Small Business Act for Europe adottato dalla CE nel giugno del 2008.
11
Al momento, per il biennio 2011-2012, 100 milioni di euro sono stati allocati alla Tunisia, 70
milioni alla Giordania, 80 al Marocco, 30 al Libano, la CE ha inoltre avviato i negoziati con Egitto e
Libia. La civil society facility viene implementata attraverso inviti a presentare proposte e azioni di
sviluppo delle capacità sia a livello regionale che a livello nazionale, nel 2011 sono stati allocati 22
milioni di euro, distribuiti tra tutti i paesi del vicinato. 72 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI
Il ruolo fondamentale della società civile è stato riconosciuto con l’istituzione, nel
settembre del 2011, della nuova Civil Society Facility, con un budget di 26 milioni di
euro per il 2011 riconfermato per il 2012 e il 2013. Nel gennaio 2012 4,8 milioni sono
stati allocati al Concilio d’Europa per attività di riforma giudiziaria, costituzionale,
elettorale e contro la corruzione nel Mediterraneo; il 25 giugno 2012 è inoltre stato
pubblicato lo statuto del Fondo Europeo per la democrazia, la cui istituzione era stata
approvata dal Consiglio Europeo del dicembre 2011 e che diverrà operativo a partire
dal 2013. Per quanto riguarda il sostegno alla mobilità di studenti e ricercatori, 15
milioni di euro sono stati aggiunti al budget per il programma Erasmus Mundus,
consentendo di erogare 750 nuove borse di studio - oltre alle 1.200 già pianificate –
rivolte agli studenti della regione che vogliano approfondire le proprie competenze o
portare avanti attività di ricerca in Europa. Nel 2012, 34 milioni di euro andranno a
finanziare gli spostamenti a breve termine di studenti e ricercatori del mediterraneo
meridionale, inoltre, grazie a un’allocazione di 10 milioni di euro, gli studenti tunisini
ed egiziani potranno partecipare a programmi di master e dottorato congiunti.
Al di fuori dell’ENPI, 18,7 milioni di euro sono stati impegnati a favore di Egitto,
Libia e Tunisia a valere sullo Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani e
sul Programma tematico per gli attori non statali. Nel 2011 Egitto, Libia e Tunisia
hanno potuto inoltre fruire di 9,7 milioni provenienti dallo Strumento per la stabilità.
Ancora, 80,5 milioni di aiuti umanitari sono stati distribuiti in tutti i paesi del vicinato
meridionale.
Il 2012 ha segnato il decennale dall’istituzione del fondo Euro-Mediterraneo di
investimento e di partenariato (FEMIP) della BEI, che si è confermata come il
principale partner finanziario della regione con oltre 13 miliardi investiti dal 2002 alla
fine del 2011. Con l’entrata in vigore, nel novembre 2011, del nuovo mandato per le
operazioni al di fuori dell’Unione, il massimale generale dei finanziamenti per il
biennio 2012-2013 è passato da 1,6 a più di 29 miliardi di euro: un aumento che andrà
a beneficiare soprattutto i paesi della sponda sud del Mediterraneo coinvolti nel
processo di riforma politica sulla scia della primavera araba, i quali nel solo 2011
hanno firmato prestiti per quasi 1 miliardo di euro. La BEI collabora inoltre con altre
istituzioni finanziarie nazionali e internazionali per promuovere lo sviluppo della
regione, esercitando un ruolo di primo piano nella partnership di Deauville - varata nel
2011 dal G8 per appoggiare la transizione economica e democratica dei paesi della
Primavera Araba - e che ha lanciato nel maggio del 2012 un ambizioso piano d’azione
per incentivare e facilitare gli investimenti in Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania.
Una novità importante è costituita dall’inizio delle attività della BERS nell’area
mediterranea in seguito all’estensione del mandato approvata all’unanimità dagli
azionisti nel 2011. Dopo una fase preliminare di ricerca e predisposizione dei progetti
di investimento, azioni di capacity building e l’individuazione di partner strategici
(potenziali clienti, istituzioni internazionali e nazionali già attive nella zona), il
consiglio di amministrazione ha allocato nel maggio 2012 1 miliardo di euro per una
serie di azioni pilota.
73 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Lo scorso 18 settembre sono così stati lanciati tre progetti in Giordania, Tunisia e
Marocco, per un investimento totale pari a 75 milioni di euro. I restanti 25 milioni
dovrebbero essere prossimamente allocati in Egitto. La BERS dovrebbe essere in
grado, a partire dal 2015, di investire annualmente fino a 2,5 miliardi nei paesi del sud
e dell’ovest del Mediterraneo.
Certificazione degli analisti
Gli analisti finanziari che hanno predisposto la presente ricerca, i cui nomi e ruoli sono
riportati nella prima pagina del documento dichiarano che:
(1) Le opinioni espresse sulle società citate nel documento riflettono accuratamente
l’opinione personale, indipendente, equa ed equilibrata degli analisti;
(2) Non è stato e non verrà ricevuto alcun compenso diretto o indiretto in cambio delle
opinioni espresse.
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contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo S.p.A. affidabili, ma
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collegato possono occasionalmente assumere posizioni lunghe o corte nei
summenzionati prodotti finanziari.
74 CAPITOLO III
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Sommario
L’obiettivo del presente capitolo è quello di giungere ad una stima del “valore”
della presenza imprenditoriale italiana in Turchia, a partire dal fatturato aggregato di un
campione di imprese a capitale italiano attive nel Paese.
Nel primo paragrafo si presenta il quadro macroeconomico della Turchia, analizzata
nel contesto dei Paesi dell’Unione Europea: quella turca è un’economia in forte
sviluppo (la crescita media del Pil è stata del 6% tra il 2004 e il 2008 e di quasi il 9%
nel biennio 2010-2011), ma il livello del Prodotto Interno Lordo (638 miliardi di euro
stimati per il 2012) è ancora basso considerando i numeri della popolazione (circa 75
milioni di abitanti, seconda, in Europa, solo alla Germania); confrontato con altri Paesi
europei, il Pil della Turchia risulta pari a quello dei Paesi Bassi, che ha una
popolazione di circa 16 milioni di abitanti, ed è pari a circa ¼ del Pil tedesco e inferiore
alla metà di quello italiano; confrontato con quello di alcune regioni italiane, il Pil
turco non raggiunge il valore del Pil di Piemonte, Lombardia e Veneto messe insieme.
Anche la struttura produttiva del Paese evidenzia un’economia ancora giovane dove il
peso del settore agricolo è notevole (esprime quasi il 10% del valore aggiunto totale) e,
per contro, quello dei servizi non raggiunge i livelli dei Paesi ad economia matura
(meno del 65% del valore aggiunto totale). Insieme al Prodotto Interno Lordo è
cresciuto il ruolo del Paese nell’ambito del commercio internazionale: l’interscambio
commerciale è più che triplicato tra il 2001 e il 2011 (in confronto, il commercio estero
dell’Italia è cresciuto del 44,7% nello stesso periodo) ma con una dinamica più intensa
delle importazioni rispetto alle esportazioni, circostanza che ha determinato una forte
crescita del deficit commerciale (da -11,2 miliardi di euro nel 2001 e -76 miliardi nel
2011) che rappresenta uno dei maggiori squilibri che presenta attualmente il Paese. Il
riequilibrio della bilancia commerciale costituisce il principale motivo ispiratore della
nuova legislazione in materia di attrazione degli investimenti, cui è dedicato un
approfondimento alla fine del primo paragrafo.
Lo sviluppo delle relazioni commerciali con l’estero della Turchia ha riguardato
tutte le aree geografiche: l’intensità dei rapporti commerciali con i Paesi dell’Unione
Europea è ormai paragonabile a quella dei Paesi membri, mentre gli scambi
commerciali con le aree più dinamiche rappresentano un punto di forza dell’economia
turca: oltre il 18% del commercio estero della Turchia riguarda i paesi BRICS, una
quota ben più alta rispetto agli altri Paesi europei, con Russia e Cina nelle prime
posizioni tra i fornitori del Paese. Gli elevati ritmi di crescita dell’economia, la giovane
età media della popolazione e le dimensioni del mercato interno, oltre che l’invidiabile
posizione geografica di cerniera tra Europa e Asia, costituiscono i principali fattori di
attrazione della Turchia, come evidenziato dai crescenti flussi di investimenti diretti
verso il Paese. Tra il 2001 e il 2011 il valore degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) in
75 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Turchia è quadruplicato e l’incidenza dello stock di IDE nel Paese sul totale mondiale è
passato dallo 0,3% allo 0,7%. Anche in questo caso, come visto a proposito del Pil, il
giudizio sul valore degli IDE nel Paese cambia se lo si valuta in confronto ai principali
Paesi europei: lo stock di IDE in Turchia è pari a circa 1/5 del valore degli IDE in
Italia; solo la Grecia, nell’ambito dell’Unione Monetaria, fa registrare un valore degli
IDE inferiore a quello della Turchia. Nel secondo paragrafo vengono presentati i
“numeri” della presenza italiana in Turchia e una stima del valore del “business”
italiano nel Paese, prendendo come benchmark la Germania che vanta legami e
relazioni commerciali molto forti con la Turchia, essendo il primo partner commerciale
del Paese. La descrizione della presenza italiana in Turchia è completata da un’analisi
comparata delle performance di una campione di imprese italiane e tedesche che
operano nel Paese e da due Case Studies che riguardano il processo di
internazionalizzazione di due imprese italiane presenti in Turchia; in chiusura di
paragrafo vengono descritti i più importanti progetti d’investimento in corso o di
prossima realizzazione che coinvolgono imprese italiane di grandi dimensioni,
impegnate, come si vedrà, soprattutto in progetti infrastrutturali (trasporti ed energia, in
particolare). L’Italia è ai primi posti nella classifica dei partner commerciali della
Turchia, con un valore del commercio bilaterale pari a quasi 16 miliardi di euro e un
saldo commerciale in attivo, mentre l’interscambio tedesco con la Turchia supera i 27
miliardi. Per quanto riguarda gli IDE, la quota dell’Italia sul totale degli investimenti in
Turchia è dell’1,8% mentre l’incidenza degli investimenti tedeschi è pari al 5,7% del
totale; anche per presenza imprenditoriale i numeri della Germania sono superiori a
quelli italiani: con quasi 4.800 imprese stimate dal ministero dell’Economia turco, la
Germania è al primo posto per numero di imprese in Turchia, mentre le imprese
italiane sono oltre 900.
Tuttavia, quanto a “valore” del business nel Paese, la stima da noi effettuata indica
un valore, seppur di poco, superiore per l’Italia (circa 16,6 miliardi di euro per le
imprese a capitali italiani e oltre 15 miliardi per le imprese a capitali tedeschi), grazie
ad una quota maggiore, rispetto al caso tedesco, di imprese di grandi dimensioni (un
esempio su tutti è rappresentato dalla storica joint-venture tra la Fiat e il gruppo
imprenditoriale turco Koc che danno vita alla casa automobilistica TOFAS Otomobil
Fabrikasi A.S.). Viceversa, per quanto concerne l’impatto occupazionale della presenza
“business” italiana in Turchia, la nostra stima (circa 125mila addetti) risulta inferiore a
quanto stimato per la Germania (circa 166mila addetti), in ragione di una presenza
imprenditoriale numericamente più consistente.
1. Inquadramento della Turchia
1.1 Il quadro macroeconomico
In questo paragrafo sono esaminati i principali dati macro economici e di
inquadramento internazionale della Turchia. L’analisi riguarda la stato e la dinamica
macroeconomica, con l’esame dei dati più rilevanti dell’economia reale analizzati nel
contesto dei Paesi europei.
76
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
I principali dati economici
In base alle stime di Intesa Sanpaolo (Servizio Studi e Ricerche) e del Fondo
Monetario Internazionale, la Turchia, con circa 75 milioni di abitanti al 2012, ha una
popolazione seconda sola alla Germania, se confrontata con i principali Paesi dell’Area
Euro. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) previsto per il 2012 è di quasi 638 miliardi di
euro, circa ¼ di quello tedesco, meno della metà di quello italiano e in linea con quello
dell’Olanda. Il discorso cambia leggermente confrontando il PIL pro capite (misurato
in dollari internazionali a Parità di Potere di Acquisto – Power Purchasing Parity –
PPP); in questo caso il dato della Turchia (15.230 dollari) si colloca ben al di sotto
della media dell’Area Euro (circa 34 mila dollari). L’inflazione (9,3%) è elevata e si
prevede si mantenga tale anche nei prossimi anni, ma il debito pubblico (in % del PIL)
è nettamente inferiore alla media dei Paesi dell’Area Euro.
Da un confronto tra il PIL registrato in Turchia nel 2011 (556 miliardi di euro) e
quello delle regioni e macroregioni italiane nel medesimo anno (ultimo dato
disponibile), il dato turco si colloca a metà strada tra quello del Nord Italia e quello
dell’Italia meridionale e centrale.
L'Economia reale in Turchia
Valori attesi per il 2012, confronto con l’Italia e altri benchmark europei
Main Euro Area benchmarks
Population
(millions)
GDP (current
€bn)
Real GDP
growth rate
(%)
GDP per
capita ($
PPP)
Inflation
(Average %)
General
Government
Debt (% of
GDP)
Turkey
Euro
Area
Germany
France
Italy
Spain
Netherlands
Belgium
Austria
Greece
74,7
330,9
81,6
63,4
60,9
46,4
16,8
11,0
8,5
11,2
637,9
9.823,8
2.715,3
2.116,8
1.613,3
1.091,0
626,0
387,7
319,7
211,6
3,5
-0,3
0,9
0,1
-2,3
-1,8
-0,5
0,0
0,9
-4,7
15.230
34.023
39.059
35.520
30.1116
30.315
42.320
37.995
42.590
30.315
9,3
2,0
2,2
1,9
3,0
1,9
1,8
2,4
2,2
-0,5
39,0
90,0
83,0
90,0
126,3
79,0
70,1
99,1
73,9
161,2
* Per la conversione in euro del GDP è stato applicato la media del tasso di cambio mensile dei primi
8 mesi del 2012, Banca Centrale Europea
Tab. 1 - Fonte: Elaborazione SRM su dati di Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche - e Fondo
Monetario Internazionale
In termini dinamici, la popolazione Turca è cresciuta di circa 4 milioni,
confrontando i dati medi tra il 2004 ed il 2008 con quelli del 2011 ed è prevista in
ulteriore crescita. Anche il Prodotto Interno Lordo pro capite è cresciuto, passando da
una media di circa 11.500 dollari nel periodo 2004-2008 a 14.450 nel 2011, con una
previsione di un ulteriore aumento a oltre 16.000 dollari entro il 2013 (valori espressi a
Parità di Potere di Acquisto).
77
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Il Prodotto Interno Lordo in Turchia: un confronto con alcune regioni
e macro-regioni italiane. Dati al 2011, valori correnti in miliardi di euro
1000
900
857,8
800
700
600
556,3
500
369,0
400
347,5
323,9
300
177,6
200
95,9
100
0
Northern Italy
Turkey
Southern Italy
Central Italy
Lombardia
Lazio
Campania
Graf 1 - Fonte: Elaborazione SRM su dati del Fondo Monetario Internazionale e Svimez
La Bilancia dei Pagamenti della Turchia registra un ampio deficit corrente
strutturale (pari al 10,4% del PIL nel 2011) determinato principalmente dal consistente
disavanzo commerciale, che nel 2011 è stato pari a circa 76 miliardi di euro. Le riserve,
sostanzialmente stabili a febbraio 2012 rispetto allo scorso dicembre, offrono una bassa
copertura delle importazioni (import cover ratio pari a 4,2 mesi) ed espongono il Paese
al rischio di shock finanziari esterni.
La dinamica dell'economia reale in Turchia
Population (millions)
GDP per capita ($ PPP)
GDP real growth rate (%)
Inflation (Average %)
General Government Debt (% of GDP)
Credit, debit balance (% of GDP)
Monetary market rate (%)
Exchange rate (Turkish lira / dollar, average)
Real exchange rate
2004-08
70,4
11.498
6
9,1
46,6
-2,2
16,7
1,36
145,3
2010
73,3
13.240
9,2
8,6
42,9
-3,6
5,8
1,5
164,5
2011
74
14.450
8,5
6,5
41,9
-1,4
3
1,67
146,3
2012E
74,7
15.230
3,5
9,3
39
-1,9
5,6
1,81
151,8
2013E
75,4
16.040
4
7,6
36,7
-1,8
6
1,78
162,8
Tab. 2 - Fonte: Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche, ottobre 2012
La vulnerabilità esterna della Turchia
Current Balance (US $bn)
Current Balance (% of GDP)
External Debt (% of GDP)
Debt servicing/Export (%)
Short-term foreign debt/total foreign debt (%)
Short-term foreign debt/Reserves
Reserves (in import months)
2004-08
-29,9
-5,2
38,5
33,1
19,4
0,7
4,8
2010
-47,1
-6,4
40,0
36,5
26,6
1,0
5,2
Tab. 3 - Fonte: Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche, ottobre 2012
78
2011
-77,2
-10,4
44,1
28,6
29,3
1,2
4,2
2012E
-68,2
-8,8
42,3
30,0
28,5
1,2
4,2
2013E
-67,3
-7,8
37,3
28,6
28,3
1,2
4,0
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Il commercio estero
L’interscambio totale estero della Turchia nel 2011 è stato pari a poco più di 270
miliardi di euro, valore più che triplicato rispetto al dato del 2001; Esso è in gran parte
costituito da importazioni (173 miliardi di euro nel 2011, in crescita del 274,3%
rispetto al 2001), mentre poco più di 1/3 è rappresentato da esportazioni (97 miliardi, +
177,4% sul 2001). Il totale del commercio estero italiano nel 2011 è stato di quasi 3
volte superiore a quello turco, ma il tasso di crescita rispetto al 2001 è stato nettamente
inferiore (+44,7%); in confronto alla Turchia, l’Italia presenta un minore disavanzo
commerciale. Un elemento di vantaggio competitivo per l’economia turca è
rappresentato dalla distribuzione geografica del commercio internazionale. Infatti, gli
scambi commerciali con i Paesi contrassegnati dalla sigla BRICS – sebbene composti
prevalentemente da importazioni – costituiscono il 18,5% del commercio estero della
Turchia nel 2011; per la Germania, che è il Paese dell’Area Euro caratterizzato dalle
maggiori relazioni commerciali con i BRICS, questo gruppo di Paesi pesa per il 13,5%
del totale. L’UE rappresenta l’area con cui la Turchia intrattiene le maggiori relazioni
commerciali, con una incidenza sul totale del commercio estero della Turchia di oltre il
40%, con un ruolo importante di Russia e Cina con cui, nel complesso, la Turchia
commercia più di 40 miliardi di euro di merci. Infine, se pur l’interscambio
commerciale tra la Turchia e gli altri Paesi dell’Area Med è in percentuale maggiore
(5,2% sul totale dell’interscambio turco) rispetto a quello registrato da altri Paesi
europei, esso è leggermente inferiore a quello registrato da Italia e Grecia.
Andamento del commercio estero in Turchia e in Italia*
Valori in miliardi di euro e variazione % 2011 su 2001
Total Trade
Import
Export
Export - Import
2001
81,2
46,2
35,0
-11,2
2006
179,3
111,2
68,1
-43,0
Turkey
2011
2011% change on 2001
270,1
232,5
173,0
274,3
97,0
177,4
-76,0
-
2001
536,4
263,7
272,7
9,1
2006
684,7
352,5
332,2
-20,2
2011
776,4
400,5
375,8
-24,7
Italy
2011 % change on 2001
44,7
51,9
37,8
-
* I dati dell’UNCTAD sono espressi in dollari; per la conversione in euro è stato utilizzato, per
ciascun anno, la media annuale dei tassi di cambio giornalieri Euro-Dollaro di fonte BCE
Tab. 4 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat
Il primo Paese per interscambio con la Turchia è la Germania con 27,5 miliardi di
euro; l’Italia è in quarta posizione (con quasi 16 miliardi di euro, cfr. Tab. 6).
Il commercio estero in Turchia e nei principali Paesi dell'Area Euro
Anno 2011, totale in miliardi di euro e composizione % per aree geografiche
World (€bn)
Euro Area
European Union (excluded Euro Area)
USA
BRICS
Med Area (Excluded Turkey)
Other countries
World
Turkey
270,1
Germany
1970,2
France
921,3
31,2
11,1
5,7
18,5
5,2
28,3
100,0
37,8
18,8
6,3
13,5
1,4
22,2
100,0
48,3
11,5
5,6
10,2
3,9
20,5
100,0
Netherlands Italy Belgium
903,7
776,4
677,5
% share
49,7
42,7
58,3
14,2
11,5
11,9
4,6
4,6
5,4
12,3
11,3
8,5
1,3
5,4
1,7
18,0
24,4
14,3
100,0
100,0
100,0
Spain
473,9
Austria
251,3
Greece
66,5
51,8
11,3
3,3
8,6
4,7
20,3
100,0
60,5
15,0
2,8
6,2
1,7
13,9
100,0
39,3
12,0
3,1
12,5
5,9
27,3
100,0
Tab. 5 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat
79
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
I principali partner commerciali della Turchia nel 2011.
Esportazioni, Importazioni ed Interscambio commerciale
Export, €bn
Import, €bn
Total Trade, €bn
Germany
10,3
Russian Federation
17,9
Germany
27,5
Iraq
6,2
Germany
17,2
Russian Federation
22,4
United Kingdom
6,0
China
16,2
China
18,1
Italy
5,8
United States
12,0
Italy
15,9
France
5,0
Italy
10,1
United States
15,4
Russian Federation
4,4
Iran (Islamic Republic of)
9,3
Iran (Islamic Republic of)
12,0
United States
3,4
France
6,9
France
11,9
Spain
2,9
India
4,9
United Kingdom
10,4
United Arab Emirates
2,7
Korea, Republic of
4,7
Spain
7,5
Iran (Islamic Republic of)
2,7
Spain
4,6
Iraq
6,2
Tab. 6 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat
La composizione settoriale del commercio estero turco varia a seconda dei Paesi
partner. Ad esempio, nelle relazioni commerciali della Turchia con la Germania e la
Cina c’è un netto predominio del settore dei mezzi di trasporto e della meccanica (che
pesano per più del 40% sul totale degli scambi commerciali tra la Turchia e ciascuno di
questi paesi). Anche nell’interscambio tra la Turchia e l’Italia prevale questo settore
(esprime circa il 37% del valore totale delle merci scambiate tra i due paesi), mentre il
settore manifatturiero rappresenta il secondo settore per interscambio commerciale
della Turchia con la maggior parte dei Paesi esaminati.
Composizione settoriale dell'interscambio commerciale tra la Turchia
ed i suoi cinque principali partner commerciali al 2011.
Totale in miliardi di euro e composizione % dei settori
Total all products (€bn)
Germany
Russian Federation
China
Italy
United States
World
27,5
22,4
18,1
15,9
15,4
270,1
% share
Food and live animals
4,7
6,2
0,6
4,0
5,8
5,1
Beverages and tobacco
0,4
0,1
0,1
0,1
1,0
0,5
Crude materials, inedible, except fuels
2,3
4,3
8,9
1,8
24,1
6,5
Mineral fuels, lubricants and related materials
0,6
52,8
0,9
8,3
9,8
13,3
Animal and vegetable oils, fats and waxes
0,0
0,7
0,1
0,1
1,5
0,7
Chemicals and related products, n.e.s.
14,5
5,0
7,0
11,0
11,0
10,8
Manufactured goods
18,9
23,9
23,3
25,9
14,0
24,5
Machinery and transport equipment
43,4
4,9
42,1
37,2
25,2
26,7
Miscellaneous manufactured articles
15,1
2,1
17,0
11,5
7,2
9,5
Commodities and transactions, n.e.s.
0,1
0,0
0,0
0,1
0,4
2,3
Tab. 7 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat
Gli Investimenti Diretti Esteri in Turchia
Nel 2011 lo stock di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Turchia è risultato essere
pari a circa 100,8 miliardi di euro. Un confronto rispetto ai principali Paesi dell’Area
80
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Euro colloca la Turchia ancora in una posizione marginale, visto che il valore totale
degli Investimenti Diretti Esteri in Turchia è superiore solo a quello della Grecia.
In termini pro capite, data la vasta popolazione della Turchia, il gap con i Paesi
Europei presi in esame è ancora maggiore. In Turchia, gli IDE ammontano a circa
1.600 euro in media per ogni persona residente; il dato è di gran lunga inferiore a
quello del Belgio e dell’Olanda, ed è comparabile solo con quello greco. Gli IDE in
Turchia rappresentano lo 0,7% dello stock mondiale al 2011 e, rapportati al PIL, sono
pari al 18%. Il giudizio sul valore dello stock di Investimenti Diretti Esteri è
sicuramente positivo se esaminati in termini dinamici. Tra il 2001 ed il 2011 gli IDE in
Turchia sono più che quadruplicati, passando da circa 22 a 100,8 miliardi di euro. La
crescita degli IDE in Italia è stata del 86,4% nello stesso periodo.
Gli IDE in Turchia e nei principali Paesi dell'Area Euro nel 2011. Stock in valore
assoluto, pro capite, in % del valore mondiale ed in % del PIL nazionale
Turkey
France
Germany
Belgium
Netherlands
Spain
Italy
Austria
Greece
Inward
100,8
Outward
17,3
692,4
512,7
688,1
423,2
455,8
239,0
106,9
19,7
986,1
1.035,6
678,2
677,5
460,0
368,0
143,1
30,8
1.369
234
10.632
6.240
63.985
25.393
9.813
3.931
12.705
1.730
15.142
12.605
63.065
40.655
9.902
6.053
17.014
2.708
Inward
Outward
0,7
4,7
3,5
4,7
2,9
3,1
1,6
0,7
0,1
0,1
6,5
6,8
4,5
4,5
3,0
2,4
0,9
0,2
Inward
18,0
34,7
20,0
186,7
70,2
42,1
15,2
35,6
9,2
Outward
3,1
49,4
40,4
184,0
112,4
42,5
23,4
47,6
14,4
FDI Stock (€bn)
FDI Stock per capita (€)
Inward
Outward
FDI as % of total world
FDI as % of GDP
* I dati dell’UNCTAD sono espressi in dollari; per la conversione in euro è stato utilizzato il tasso di
cambio medio del 2011 presente nella banca dati della Banca Centrale Europea
Tab. 8 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNTADStat
Dinamica degli IDE in Turchia ed in Italia. Stock in valore assoluto, pro capite, in %
del valore mondiale e del Pil nazionale; variazione %
Turkey
FDI stock (€bn)
Inward
Outward
FDI Stock per capita (€)
Inward
Outward
% of World
Inward
Outward
% of GDP
Inward
Outward
Italy
2001
2006
2011
% ch. 2011
on 2001
2001
2006
2011
% ch. 2011 on
2001
22,0
5,1
75,8
7,1
100,8
17,3
358,8
237,6
128,2
186,7
248,9
249,4
239,0
368,0
86,4
97,1
340,4
79,2
1.097,0
102,2
1.368,7
234,5
302,1
195,9
2.241,0
3.263,7
4.212,0
4.222,1
3.931,4
6.053,1
75,4
85,5
0,3
0,1
0,7
0,1
0,7
0,1
-
1,5
2,2
2,2
2,0
1,6
2,4
-
10,0
2,3
17,9
1,7
18,0
3,1
-
10,3
15,0
16,8
16,8
15,2
23,4
-
Tab. 9 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNTADStat
81
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
1.2 La struttura produttiva
La distribuzione settoriale del Valore Aggiunto
Nel 2011 il Valore Aggiunto (V.A.) in Turchia è stato di circa 500 miliardi di euro,
poco più di 1/3 rispetto al dato dell’Italia. Il 9% del V.A. in Turchia è prodotto dal
settore agricolo e della silvicoltura, percentuale decisamente più elevata rispetto a
quella dell’Italia (2%); il 22,3% riguarda l’industria in senso stretto (anche in questo
vaso il dato è più alto rispetto a quello italiano: 18,6%). Simile il peso del settore delle
costruzioni, che conta per il 5% del totale del V.A. in Turchia e per il 6% in Italia. Al
contrario, è evidente il maggior livello di terziarizzazione dell’economia italiana, che
deve il 73,4% del proprio V.A. ai servizi, mentre per la Turchia tale comparto conta per
il 63,7%.
Nel primo trimestre 2012 il valore aggiunto è aumentato in tutti i settori considerati
(+3,5% la crescita media), una dinamica positiva che rappresenta il proseguimento fase
di crescita del valore aggiunto in Turchia nel 2010 e 2011.
Distribuzione settoriale del Valore Aggiunto. Euro correnti e quote sul V.A. totale
Value
(€bn)*
Agriculture, hunting, forestry and fishing
Industry, excluding construction
Mining and quarrying
Manufacturing
Electricity, gas and water supply
Construction
Services
wholesale and retail trade, repair of motor
vehicles and motorcycles; transportation and
storage; accommodation and food service
activities; communication
financial and insurance, real estates and
professional activities
Other services
Gross Value Added
45,0
111,1
8,2
90,5
12,3
24,8
317,6
Turkey
2011
% share on
Gross
Value
added
9,0
22,3
1,7
18,2
2,5
5,0
63,7
151,6
30,4
2010
% share on
Gross
Value
added
9,3
21,3
1,6
17,2
2,5
4,6
64,8
27,6
263,6
5,0
224,7
33,9
84,7
1038,5
29,1
353,8
Value
(€bn)*
Italy
2011
% share on
Gross
Value
added
2,0
18,6
0,4
15,9
2,4
6,0
73,4
25,0
2010
% share on
Gross
Value
added
1,9
19,0
0,3
16,1
2,5
6,1
73,0
24,9
106,7
21,4
23,6
358,0
25,3
24,8
59,4
498,4
11,9
100,0
12,2
100,0
291,9
1414,4
20,6
100,0
20,9
100,0
* Per il cambio Lira Turca / Euro è stato utilizzato l'Exchange rate database dell'ECB
Tab. 10 – Fonte: SRM su dati TurkStat ed Istat
Evoluzione del Valore Aggiunto settoriale in Turchia. Var. % su corrispondente
trimestre dell'anno precedente del Valore Aggiunto a prezzi costanti
Agriculture, hunting,
forestry and fishing
I quarter
II quarter
I quarter
II quarter
2011
I quarter
2012
7,1
5,0
4,2
6,7
5,2
4,5
-
Industry, excluding
construction
Total Manufacturing
14,6
14,9
8,7
9,1
8,7
9,2
5,7
5,2
9,2
9,4
3,0
2,7
-
Tab. 11 - Fonte: SRM su dati TurkStat ed Istat
82
Construction
Services
Gross Value
Added
15,3
13,0
10,2
7,0
11,2
2,8
-
10,8
9,9
10,6
6,6
9,4
3,7
-
11,9
9,4
9,2
6,4
9,1
3,5
-
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
La struttura produttiva
In Turchia (gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 2009) sono presenti circa 2,5
milioni di imprese, più della metà rispetto al dato italiano; la densità imprenditoriale è
di 35 imprese ogni 1.000 abitanti, circa la metà di quella riscontrata in Italia. Tali
imprese esprimono un fatturato complessivo di 758 miliardi di euro, contro i 2.649
miliardi di euro delle imprese italiane; ogni impresa turca genera in media poco più di
305 mila euro di fatturato all’anno, circa la metà di quanto fattura mediamente
un’impresa italiana. Gli addetti nei settori dell’industria e dei servizi in Turchia sono
all’incirca 9,5 milioni, 17 milioni in Italia. Nettamente inferiore a quello italiano è il
costo orario del lavoro in Turchia (3,7 euro per ora di lavoro; contro i circa 25 euro per
ora in Italia). L’andamento dinamico dei dati citati conferma la forte crescita
economica che si è avuta in Turchia nel corso degli ultimi anni. Le imprese, tra il 2003
ed il 2009, sono cresciute del 42,7% in Turchia (del 5,3% in Italia) ed anche il numero
medio di imprese per ogni 1.000 abitante è fortemente aumentato, da 26 a 35 (+31,8%)
a differenza dell’Italia dove esso è rimasto piuttosto stabile nel corso del periodo
considerato. Il fatturato in Turchia è aumentato di circa il 70% nel 2009 rispetto al
2003 (in Italia del 14,4%); il fatturato medio delle imprese turche è passato da circa
254.000 euro nel 2003 a 305.000 euro nel 2009 (+20,4%; in Italia il fatturato medio è
cresciuto dell’8,7% in tale periodo). Mentre gli investimenti lordi in beni tangibili sono
raddoppiati in Turchia nel periodo considerato, in Italia sono aumentati solo del 6,1%.
Anche il numero degli addetti ha registrato, tra il 2003 ed il 2009, una sensibile crescita
in Turchia (+42,7%), di gran lunga superiore alla crescita degli addetti in Italia
(+7,5%); ne è derivato un aumento del costo totale del personale (96,1%), alimentato,
tuttavia, anche da un aumento del costo medio dei dipendenti (+31,1%) e del costo
orario di lavoro (da 2,7 euro per ora nel 2003 a 3,7 nel 2009); va comunque evidenziato
che, nonostante tutto, la crescita nel costo orario di lavoro in Turchia (+35,5%) è stata
inferiore a quella registrata in Italia (+44,3%).
Principali indicatori di struttura e competitività. Industria e Servizi, dati al 2009
2009
Number of enterprises
Number of enterprises per 1.000 people
Turnover (€m)
Turnover / number of enterprises (€)
Production value (€m)*
Value-added at factor cost (€m)
Value-added at factor cost / number of persons employed (m)
Gross Investments in tangible goods (€m)
Number of persons employed
Number of employees
Personnel cost (€m)
Personnel cost / number of employees (€)
Personnel cost per hour of work (€)
2.483.300
35
758.278
305.351
443.646
119.452
12.539
48.064
9.526.769
6.921.035
55.210
7.977
3,7
Turkey
2009 % change
on 2003
42,7
31,8
71,7
20,4
72,2
41,3
-1,0
103,1
42,7
49,6
96,1
31,1
35,5
2009
4.383.544
72
2.648.532
604.199
2.484.127
630.153
37.154
115.414
16.960.542
11.401.357
376.463
33.019
24,8
Italy
2009 % change
on 2003
5,3
0,5
14,4
8,7
9,4
1,8
6,1
7,5
9,9
28,1
16,5
44,3
* Italy 2008
** Per il cambio Lira Turca / Euro è stato utilizzato l'Exchange rate database dell'ECB
*** Per la popolazione è stato utilizzato il database UNCTADstat
Tab. 12 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat ed Istat
83
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Dei quasi 2,5 milioni di imprese attive nei settori dell’industria e dei servizi, poco
più di 2 milioni (l’82,6%) sono imprese del terziario. In Italia la struttura
imprenditoriale è leggermente diversa (cfr. Tab. 13).
Le imprese manifatturiere in Turchia sono circa 321 mila; la quota maggiore
(23,9%) è rappresentata da imprese tessili, la cui numerosità (76.752 imprese) è
superiore a quella italiana (68 mila imprese). Il secondo settore per presenza
imprenditoriale è il metallurgico (16,3%); il peso delle imprese metallurgiche in Italia è
del 18,5%. In termini di fatturato, il primato è dell’industria agroalimentare (17,3% del
fatturato totale); in Italia la quota dell’industria agroalimentare è del 14,4%.
Per quanto concerne gli addetti, il settore del tessile e dell’abbigliamento incide per
il 27,3% sul totale degli addetti dell’industria (in Italia rappresenta il 13,1% degli
addetti nel manifatturiero).
Imprese, fatturato e addetti in Turchia e in Italia
Composizione settoriale, dati al 2009 – Industria e Servizi
Turkey
Total Industry and
services
Manufacturing
Other Industrial
sectors (including
energy and water
supply)
Construction
Services
Wholesale and retail
trade; repair of
motor vehicles,
motorcycles and
personal and
household goods
Hotels, restaurants,
transport, storage
and communication
Real estate, renting
and business
activities
Other sectors
Italy
Number of
enterprises
Turnover
Number of persons
employed
Number of
enterprises
Turnover
Number of
persons employed
2.483.300
758.278 €m
9.526.769
4.383.544
2.648.532 €m
16.960.542
12,9
sectorial % share
27,4
27,1
10,0
sectorial % share
29,6
24,6
0,2
5,9
2,4
0,3
8,1
1,8
4,3
82,6
6,0
60,7
7,2
63,3
14,2
75,4
6,8
55,4
11,3
62,4
42,4
46,2
29,4
27,0
33,2
20,8
25,6
9,6
17,6
12,1
11,3
17,5
6,1
2,2
4,2
24,4
8,1
15,8
8,5
2,8
12,1
11,9
2,9
8,3
Tab. 13 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat
Tra il 2003 ed il 2009 il comparto manifatturiero in Turchia ha visto crescere del
35,8% le proprie imprese, del 52,7% il fatturato e del 18,5% il numero di occupati,
tendenza nettamente migliore rispetto a quella registrata in Italia, dove il numero di
imprese manifatturiere nel medesimo periodo è calato di quasi il 18%, il fatturato del
2,8% e il numero di occupati del 12,6%.
84
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Imprese, fatturato e addetti in Turchia e in Italia nei settori manifatturieri
Composizione settoriale, dati al 2009 - Manifatturiero
Turkey
Number of
enterprises
Total manufacturing
Food, beverages and tobacco products
Textiles, apparel, leather and related
products
Wood and paper products, and printing
Coke and refined petroleum products
Chemicals and chemical products
Basic pharmaceutical products and
pharmaceutical preparations
Rubber and plastic products and other
non-metallic mineral products
Basic metals and fabricated metal
products, except machinery and
equipment
Computer, electronic and optical
products
Electrical equipment and of non-electric
domestic appliances
Machinery and equipment n.e.c.
Transport equipment
Products of other manufacturing, and
repair and installation of machinery and
equipment
320.815
Turnover
Italy
Number of
persons
employed
2.584.773
Number
of
enterprises
439.113
Turnover
Number of
persons
employed
4.168.961
12,5
207.783 €m
Sectorial % share
17,3
14,2
13,2
783.438 €m
Sectorial % share
14,4
23,9
15,2
27,3
15,5
9,4
13,1
13,4
0,0
1,1
4,5
4,3
5,3
6,2
0,2
2,2
12,7
0,1
1,0
5,9
4,0
5,2
7,8
0,4
2,8
0,1
2,0
1,1
0,1
3,3
1,6
9,7
10,7
11,6
8,0
9,2
10,1
16,3
15,2
12,5
18,5
14,8
17,6
0,2
1,5
0,9
1,5
2,6
2,8
2,2
6,0
4,0
2,1
4,2
4,2
4,0
1,8
3,7
9,8
5,1
6,3
5,5
1,2
11,5
8,9
11,4
6,6
14,8
4,7
8,2
20,6
6,6
11,3
10,3
Tab. 14 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat
Evoluzione del numero di imprese, del fatturato e degli addetti in Turchia e in Italia.
Var. % 2009 sul 2003
Turkey
Products
Food, beverages and tobacco products
Textiles, apparel, leather and related
products
Wood and paper products, and printing
Coke and refined petroleum products
Chemicals and chemical products
Basic pharmaceutical products and
pharmaceutical preparations
Rubber and plastic products and other nonmetallic mineral products
Basic metals and fabricated metal products,
except machinery and equipment
Computer, electronic and optical products
Electrical equipment and of non-electric
domestic appliances
Machinery and equipment n.e.c.
Transport equipment
Products of other manufacturing, and repair
and installation of machinery and
equipment
Total manufacturing
Italy
Number of
enterprises
(2009 %
change on
2003)
Turnover
(2009 %
change on
2003)
45,1
65,2
Number of
persons
employed
(2009 %
change on
2003)
23,0
-17,5
2,3
Number of
persons
employed
(2009 %
change on
2003)
-6,1
23,4
-1,2
-10,5
-23,7
-17,6
-27,7
33,9
98,6
35,8
70,6
40,5
28,8
26,9
-3,8
6,7
-28,0
-23,1
-14,5
-24,8
2,6
-11,7
-23,9
-11,1
-11,7
17,2
6,9
14,4
-25,0
9,7
-8,9
60,8
86,1
42,3
-11,3
-2,3
-8,7
-13,1
Number of
enterprises
(2009 %
change on
2003)
Turnover
(2009 %
change
on 2003)
56,8
100,6
57,4
-19,8
0,9
-55,2
329,5
93,5
-73,4
12,7
-15,7
114,8
101,6
45,3
-65,2
-23,7
-41,8
-14,1
51,0
-3,8
70,3
-6,7
53,5
-41,9
-18,2
-6,7
12,9
-19,0
6,7
33,7
153,9
57,8
76,0
39,8
48,0
35,8
52,7
18,5
-17,8
-2,8
-12,6
Tab. 15 - Fonte: elaborazione SRM su dati Istat e TurkStat
85
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
1.3 Le politiche di attrazione degli investimenti
Creare un clima economico ed imprenditoriale attrattivo per gli investimenti esteri è
stato uno degli obiettivi più importanti delle riforme economiche implementate dal
Governo turco nell’ultimo decennio. Rapporti dettagliati sulla composizione e la
provenienza degli investimenti stranieri cominciano ad essere redatti a partire dal 2006
dal Sottosegretariato del Tesoro e dal 2011 direttamente dal Ministero dell’Economia.
Il programma di riforme, che ha l’obiettivo di migliorare la capacità della Turchia
di attrarre investimenti dall’estero, di migliorare il clima imprenditoriale e la realtà
socio-economica del Paese è monitorato e seguito, dal 2005, dal Coordination Council
for the Improvement of the Investment Environment (YOIKK), con la collaborazione
di ISPAT (Investment Support and Promotion Agency of Turkey) e dello IAC
(Investment Advisory Council of Turkey). Obiettivo comune di queste tre istituzioni è
quello di suggerire al Consiglio dei Ministri nuove politiche di incentivo agli
investimenti, dopo un attento confronto con il settore privato nazionale ed
internazionale. Il governo turco ha attuato una politica di costante aggiornamento del
pacchetto di incentivi agli investimenti a disposizione degli investitori nazionali ed
esteri, con lo scopo di attrarre investimenti in grado di potenziare la struttura produttiva
del Paese e risolvere uno dei principali problemi strutturali dell’economia turca, vale a
dire l’ampio disavanzo delle partite correnti, stimolando l’afflusso di capitali esteri
soprattutto nel settore della produzione dei c.d. “beni intermedi e finiti” e nel settore
delle infrastrutture. In questo paragrafo cercheremo di analizzare come la politica di
incentivo agli investimenti del governo turco sia cambiata nel corso degli anni e quali
siano stati i principali interventi normativi di incentivo all’afflusso di capitali stranieri.
Le Istituzioni che si occupano delle politiche di incentivo agli IDE
a) YOIKK (Coordination Council for the Improvement of the Investment
Environment)
Lo YOIKK, istituito nel 2003, ha il compito di studiare nuove politiche di
incentivo agli investimenti, giovandosi del contatto diretto con i potenziali
investitori esteri e locali attraverso meeting periodici in cui gli stessi avanzano
proposte concrete, e proponendole al Consiglio dei Ministri; compito dello
YOIKK è anche quello di garantire assistenza agli investitori nazionali ed
internazionali in tutte le fasi dell’investimento, inclusa quella operativa. Con la
sua azione, lo YOIKK si pone l’obiettivo di migliorare la competitività turca
nell’attrazione di investimenti esteri e domestici anche razionalizzando norme e
procedure che regolano il funzionamento dell’economia del Paese. L’attività
dello YOIKK è condotta da 10 Commissioni Tecniche che si occupano di
tematiche diverse e agiscono sotto la diretta responsabilità di organizzazioni e
istituzioni statali diverse. Le commissioni tecniche, dal 2005, sono coordinate da
uno Steering Committee che ha il compito di coordinare il lavoro delle
commissioni e razionalizzare l’agenda dello YOIKK; questa commissione è
costituita da membri del settore pubblico e di quello privato. La Steering
Committee si incontra con cadenza trimestrale e il suo segretario è nominato dal
Ministero dell’Economia.
86
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
b) IAC (Investment Advisory Council of Turkey)
Lo IAC è stato fondato nel 2004. E’ un organismo formato da dirigenti di
importanti aziende multinazionali che ha lo scopo di suggerire riforme al
governo turco per rimuovere gli ostacoli agli investimenti e migliorare
l’immagine della Turchia quale Paese competitivo ed attraente per gli
investimenti. Le raccomandazioni dello IAC vengono formalizzate durante
periodici meeting che si svolgono alla presenza del Primo Ministro. Queste
raccomandazioni vengono poi inserite all’interno dell’agenda dello YOIKK. La
Segreteria dello IAC è detenuta dalla Direzione Generale per l’implementazione
degli incentivi e degli investimenti esteri del Ministero dell’Economia.
c) ISPAT (Investment Support and Promotion Agency of Turkey)
L’ISPAT (agenzia per il supporto e per la promozione degli investimenti in
Turchia) è l’organizzazione ufficiale che promuove le opportunità di
investimento in Turchia presso la comunità internazionale; è stata istituita nel
2006. L'ISPAT funge da punto di riferimento per gli investitori internazionali e
da punto di contatto per tutte le istituzioni impegnate nella promozione e
nell'attrazione di investimenti a livello nazionale, regionale e locale; a livello
internazionale opera con rappresentanti locali in molto Paesi europei, asiatici e
americani.
L’ISPAT fornisce una serie di servizi gratuiti che comprendono:
‐ Informazioni ed analisi di mercato
‐ Panoramica industriale e rapporti di settore
‐ Valutazione delle condizioni per gli investimenti
‐ Ricerca di eventuali partner
‐ Scelta della sede
‐ Collegamento con le istituzioni pubbliche di pertinenza
‐ Agevolazione di alcune procedure giuridiche come le richieste di incentivi,
l’ottenimento delle licenze, la richiesta di permessi di soggiorno e di lavoro.
Gli accordi internazionali di promozione del commercio estero
Gli accordi internazionali stipulati dalla Turchia mirano a superare le barriere al
commercio e al movimento dei capitali. Il governo turco ha stipulato due tipologie di
accordi:
a) Accordi per l’annullamento della “doppia tassazione” (Double Taxation
Treaties)
Questi accordi internazionali permettono di evitare la doppia tassazione dei
profitti ottenuti dall’imprenditore nel Paese in cui è residente e in quello in cui i
profitti sono stati realizzati. Con questi accordi la Turchia ha voluto, allo stesso
tempo, proteggere gli investimenti degli imprenditori domestici e dare
un’immagine più rassicurante e in linea con gli standard internazionali del suo
clima imprenditoriale. Nel corso degli anni la Turchia ha cercato insistentemente
e con successo di stipulare questo tipo di accordi con il maggior numero
possibile di Paesi; attualmente accordi di questo tipo sono in vigore con più di
70 Paesi in tutto il mondo.
87
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
b) Accordi bilaterali per la promozione degli investimenti (Bilateral Investment
Treaties - BIT)
L’obiettivo di questi accordi è quello di aumentare il flusso degli
investimenti internazionali bilaterali sia in termini di capitali che di conoscenze
tecnologiche, garantendo protezione per gli investimenti internazionali grazie a
regole chiare e condivise, accettate dai due Paesi contraenti. Questa tipologia di
trattati viene firmata dalla Turchia solamente con quei Paesi con i quali esistono
solide relazioni commerciali ed economiche. Tra le garanzie più importanti,
sancite da questa tipologia di accordo, c’è la completa trasferibilità dei profitti
dal Paese ospitante a quello di residenza. La Turchia ha stipulato questi accordi
con più di 80 Paesi in tutto il mondo.
Le politiche di incentivo agli Investimenti Diretti Esteri
Oltre che per risolvere il grave deficit delle partite correnti, aumentato
particolarmente nel corso degli ultimi anni a causa della forte crescita dell’economia
che ha determinato un aumento della domanda interna e un’inevitabile crescita delle
importazioni, l’attenzione alle politiche di incentivo agli investimenti esteri è derivata
anche dalla necessità di attirare investimenti fissi che permettessero al Paese di
ammodernarsi dal punto di vista infrastrutturale. Fino al 2003, l’unica legge approvata
in Turchia sugli IDE risaliva al 1954 (fonte: Camera di Commercio italiana in
Turchia). A partire dal 2003, con la legge n. 4875 del 2003 sugli investimenti esteri, la
Turchia comincia un percorso di riforme mirato a rendere il proprio clima d’affari
attrattivo per i capitali stranieri. Di seguito viene presentata una cronologia dei
principali interventi legislativi in materia di promozione degli investimenti nel Paese
realizzati tra il 2003 e il 2011.
Il pacchetto di incentivi del 20121
Il 19 giugno 2012, dopo una lunga gestazione, è stato finalmente approvato il nuovo
programma di incentivi agli investimenti. Così come le misure adottate negli anni
precedenti, l’obiettivo principale del decreto è di risolvere uno dei maggiori problemi
strutturali del Paese: l’ampio deficit delle partite correnti. Inoltre, nelle intenzioni del
Governo, le misure adottate dovrebbero favorire un riequilibrio territoriale all’interno
del Paese, che ha conosciuto, negli ultimi anni, uno sviluppo fortemente disomogeneo
che ha privilegiato soprattutto le aree del nord-ovest e del sud-ovest della Turchia a
scapito del resto del Paese (principalmente, le regioni del sud-est dell’Anatolia). Oltre
ad una serie di incentivi di carattere generale, l’insieme delle misure varate dal
Governo turco punta su una combinazione di sgravi fiscali e sussidi da erogare in base
alla localizzazione geografica dell’investimento, al settore d’attività interessato (per gli
investimenti nei settori strategici saranno disponibili incentivi a prescindere dalla
localizzazione geografica) e alle dimensioni dell’investimento. La normativa prevede
incentivi e facilitazioni per le diverse province del Paese inversamente proporzionali al
grado di sviluppo di ciascuna provincia: a tale scopo, le 81 province del Paese sono
state inserite in 6 diverse regioni (ad esempio, le province che rientrano nella regione 6
88
1
Fonte: ISPAT; Ambasciata Italiana ad Ankara, Cronache economiche 2012.
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
– sud est dell’Anatolia – godranno delle misure di incentivo maggiori e più durature).
L’inserimento di nuovi settori “strategici” tra quelli agevolati dalla normativa, vale a
dire i settori ferroviario, marittimo, della difesa, l’aereospaziale e l’automotive, è stato
fatto con lo scopo di ridurre, grazie ad investimenti diretti in questi settori, le forti
importazioni del Paese di beni intermedi.
Lo schema di incentivi ricalca quello introdotto nel 2009, ma risulta più articolato
del precedente. Una sezione specifica è stata riservata agli incentivi agli investimenti
nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento che il Governo vorrebbe promuovere per
sostenere la produzione nazionale in quei settori e garantire l’autosufficienza
alimentare al Paese. I sussidi hanno una applicazione retroattiva dal 1° gennaio 2012, e
gli investimenti attuati nei primi due anni godranno di incentivi ancora più favorevoli.
Gli strumenti previsti dal nuovo pacchetto di misure di incentivo agli investimenti
sono 7:
• Esenzione IVA per i macchinari importati e per quelli prodotti in Turchia e per
le attrezzature importate, purché provviste del certificato di incoraggiamento
degli investimenti
• Esenzione dai dazi doganali per l’importazione dei macchinari e delle
attrezzature, purché i beni importati siano dotati del Certificato di
incoraggiamento agli investimenti
• Riduzione dell’imposizione fiscale. Le imposte sul reddito sono calcolate con
aliquote ridotte finché l’importo dell’imposta ridotta non raggiungerà il tasso del
contributo agli investimenti.
• Per i datori di lavoro, supporto al pagamento dei contributi previdenziali
degli impiegati
La misura viene applicata ai nuovi posti di lavoro che vengono creati
dall’investimento. Lo stato paga i contributi a carico del datore di lavoro,
calcolati sul salario minimo. Per gli investimenti iniziati prima del 31/12/2013 i
contributi verranno pagati da un minimo di 2 anni (nelle regioni 1) ad un
massimo di 10 anni (per le regioni 6); per gli investimenti iniziati dopo il
01/01/2014 i contributi verranno pagati da un minimo di 3 anni (per le regioni 3)
ad un massimo di 7 anni (per le regioni 6)
• Supporto sugli interessi
Il supporto viene applicato solamente sui prestiti di almeno 1 anno di durata e
sarà particolarmente vantaggioso per i prestiti ottenuti in lire turche. Questo tipo
di supporto potrà essere applicato solamente agli investimenti implementati
nelle regioni 3, 4, 5 e 6.
• Concessione dei terreni statali
• Rimborso dell’IVA sulle spese di costruzione sostenute per investimenti
strategici con un ammontare di investimento di almeno 500 milioni di TL
Il nuovo pacchetto di misure di incentivo agli investimenti, varato dal Governo
turco, prevede quattro schemi diversi di incentivo. Oltre ad uno schema generale (1), ci
sono anche incentivi legati alla localizzazione geografica degli investimenti (2),
incentivi legati ad investimenti nei settori strategici (3) ed incentivi dedicati ad
investimenti su larga scala (4).
89
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
1) Schema Generale di Incentivi agli Investimenti
Questo schema di incentivi viene applicato a prescindere dalla regione nella quale verrà
sviluppato l’investimento. Gli incentivi vengono applicati a tutti quegli investimenti
che superano una soglia minima di investimento: per le regioni 1 e 2 tale soglia è di 1
milione di TL, mentre per le regioni 3, 4, 5 e 6 la soglia minima è di 500 mila TL.
2) Schema per gli incentivi in base alla localizzazione geografica dell’investimento
L’intensità degli incentivi è inversamente proporzionale al grado di sviluppo socioeconomico della regione in cui viene implementato l’investimento. Per ogni settore, ed
ogni regione, è stata stabilita una soglia minima, a partire dalla quale gli investitori
potranno beneficiare degli incentivi: per quanto riguarda le regioni 1 e 2 l’ammontare
minimo è di 1 milione di TL, per le restanti regioni la soglia minima è di 500 mila TL.
In particolare, la regione 6 beneficerà di tutti gli strumenti di incentivo previsti per le
altre regioni con l’aggiunta di alcune condizioni di maggior vantaggio, come il
pagamento, da parte dello Stato, per conto dei datori di lavoro, dei contributi
previdenziali calcolati sul salario minimo, per un periodo che va dai 10 ai 12 anni e uno
specifico supporto al pagamento delle ritenute alla fonte sul reddito, che ha durata di 10
anni, attraverso una detrazione dal debito tributario dell’impresa dell’equivalente delle
ritenute. Gli investimenti che vengono destinati a settori strategici (turismo, settore
minerario, marittimo, ferroviario, farmaceutico e della difesa, con una soglia minima di
investimento, per quest’ultimo settore, di 20 milioni di TL), il settore dell’automotive
(solo per la costruzione di attrezzature per lo svolgimento di test, come tunnel
dell’aria), il settore aerospaziale (sempre per quanto concerne la costruzioni di strutture
per lo svolgimento di test), il settore scolastico (scuola primaria e media), nelle regioni
1, 2, 3 e 4, godono degli stessi incentivi di quelli implementati nella regione 5.
3) Schema per gli incentivi agli investimenti su larga scala
Agli investimenti di maggiori dimensioni spettano incentivi maggiori. Tra le misure di
incentivo per questi investimenti troviamo la detassazione degli utili, sia per gli
investimenti attuati all’interno delle zone industriali che per quelli attuati all’interno
delle zone industriali organizzate; questi ultimi hanno incentivi più convenienti rispetto
ai primi. Ci sono poi due tipi di investimenti su larga scala, oltre a quelli implementati
nelle zone industriali organizzate, che godranno di incentivi maggiori:
• Gli investimenti effettuati in Joint Ventures con almeno 5 compagnie che
operano nello stesso settore e che si organizzino con una struttura orizzontale o
verticale nell’implementazione dell’investimento.
• Gli investimenti in R&D realizzati in collaborazione con il TUBITAK, il
Consiglio per la Ricerca Tecnologica e Scientifica della Turchia.
4) Schema per gli incentivi agli investimenti in settori strategici
Uno degli obiettivi primari di questo schema di incentivi è quello di favorire
investimenti diretti che possano supportare e dare impulso alla produzione dei beni
intermedi e prodotti finiti, permettendo all’economia turca di ridurre l’ampio disavanzo
di partite correnti generato dalla grande importazione di queste tipologie di beni
dall’estero. Un secondo importante obiettivo è quello di incoraggiare i grandi
investimenti nel settore dell’alta tecnologia che dovrebbero rafforzare la competitività
internazionale della Turchia.
90
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
I settori strategici che il governo turco intende agevolare sono (valori in Lire turche):
‐ Produzione di sostanze chimiche (importo minimo dell’investimento di 200
milioni)
‐ Produzione di prodotti petroliferi raffinati (importo minimo di 1000 milioni)
‐ Servizi di trasporto via oleodotto (importo minimo 50 milioni)
‐ Produzione di autoveicoli realizzati nel Paese (importo minimo 200 milioni)
‐ Prodotti per autoveicoli realizzati nel paese (importo minimo di 50 milioni)
‐ Ferrovie e trasporto su rotaia (importo minimo di 50 milioni)
‐ Servizi portuali (importo minimo di 200 milioni)
‐ Elettronica (importo minimo di 50 milioni)
‐ Apparecchiature mediche, ottiche e di precisione (importo minimo di 50
milioni)
‐ Produzione di medicinali (importo minimo di 50 milioni)
‐ Produzione di veicoli aerospaziali e dei relativi componenti (importo minimo di
50 milioni)
‐ Produzione di macchinari e macchine elettriche (importo minimo di 50 milioni)
‐ Produzione di metalli (importo minimo di 50 milioni)
Gli incentivi sono diretti ad investimenti con ammontare minimo pari a 50 milioni
di TL. Sono agevolati gli investimenti destinati ad aumentare la produzione nazionale
di beni importati dall’estero per più del 50%. Per questa tipologia di investimenti,
indipendentemente dalla regione, sono previsti i seguenti incentivi:
• Esenzione IVA
• Esenzione dai dazi doganali
• Riduzione dell’imposizione fiscale, con una quota di partecipazione
all’investimento superiore al 50%
• Sgravi sui contributi a carico dei datori di lavoro per un periodo di 7 anni (estesi
a 10 per la regione 6)
• Sussidi relativi alla concessione dei terreni di proprietà statale
• Contributo in conto interessi, fino ad un massimo del 5% dell’importo
dell’investimento
• Rimborso dell’IVA per le spese di costruzione, per gli investimenti di
ammontare superiore ai 500 milioni di TL
Solamente per quanto riguarda la regione 6, c’è un ulteriore incentivo:
• Sgravi sulle ritenute alla fonte sul reddito per un periodo di 10 anni
Il nuovo pacchetto di incentivi è più articolato e selettivo di quello approvato del 2009
e prevede altre tre importanti riforme che completano il set di misure:
1) Legge sull’esenzione dell’IVA per i progetti BOT (Build-Operate-Transfer), che
ricalcano le modalità operative della finanza di progetto.
Lo schema di investimento in modalità BOT prevede che il soggetto pubblico
interessato alla realizzazione di un opera pubblica, rilasci ad una società di
progetto, privata o mista, una concessione di costruzione e gestione che permetta
a tale società di realizzare l’opera e gestirla durante il periodo di concessione.
91
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Alla fine del periodo di concessione l’opera viene trasferita al soggetto
concedente. Con questa legge viene prevista l’esenzione dell’IVA per tutti i
progetti infrastrutturali da realizzare in modalità BOT e per i diritti di
concessione per i progetti nel settore sanitario che saranno oggetto di gara prima
del 31 dicembre 2023. Obbiettivi dichiarati della legge sembrano essere un
nuovo impulso agli investimenti nel settore sanitario, in concessione, e
l’accelerazione del ritorno agli investimenti in modalità BOT. La legge è stata,
inoltre, la chiave di volta per sbloccare alcune gare di appalto che erano rimaste
in sospeso proprio in attesa di una legge del genere: tra le gare più importanti
ricordiamo quella per il progetto relativo alla costruzione del terzo ponte sul
Bosforo, che alla fine si è aggiudicata l’italiana Astaldi, in consorzio con la turca
Ictas.
2) Il piano di incentivi per l’allevamento e l’agricoltura. Tali incentivi vanno a
integrare ed innovare il vecchio schema del 2009. Per quanto riguarda
l’allevamento si può beneficiare di sussidi per ogni capo di bestiame posseduto,
che andranno dalle 225 TL alle 350 TL. Inoltre, gli allevatori possono avere
sussidi per la vaccinazione del bestiame, purché possiedano almeno 5 capi di
bestiame o siano iscritti ad una associazione riconosciuta per la promozione
dell’allevamento.
Gli agricoltori possono beneficiare di sussidi relativi ai fertilizzanti e
all’acquisto di carburante per i mezzi di lavoro agricoli. Con l’intento di
stimolare una crescita del settore agricolo vengono resi disponibili ed
acquistabili nuovi terreni statali nelle zone dove l’agricoltura rappresenta il
settore principale. Sono stati messi a disposizione anche sussidi per la
produzione di sementi. Infine, le imprese agricole possono beneficiare di un
sussidio “una tantum” di 600 TL.
3) Riforma del codice commerciale turco2. Il nuovo codice commerciale è stato
approvato dal Parlamento turco il 27 giugno 2012, nonostante le riserve espresse
da una parte del mondo imprenditoriale, e rappresenta una innovazione del
vecchio codice commerciale. Il nuovo codice è composto da 1534 articoli ed è
parte integrante del Codice Civile. L’obiettivo della riforma è quello di
avvicinare il codice commerciale del Paese agli standard europei ed
internazionali, aumentare la trasparenza delle imprese e ammodernare i sistemi
di gestione delle imprese stesse.
In via generale, le modifiche al codice commerciale hanno portato ad un aumento
delle responsabilità dei manager in materia di trasparenza della gestione; sono stati
introdotti e rafforzati concetti come responsabilità ed equità e si è cercato di incentivare
una gestione corretta e professionale dell’impresa.
Risultano ampliati i poteri di controllo finanziario delle agenzie di revisione, che da
ora copriranno anche la gestione del rischio e la cui consulenza sarà obbligatoria; in
caso contrario, il bilancio delle aziende non potrà essere approvato. Inoltre non sarà
possibile detrarre le spese per le consulenze delle aziende di revisione dalle tasse.
92
2
Fonte: ISPAT; Ambasciata italiana ad Ankara, Cronache Economiche 2012.
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Importanti in questo senso sembrano essere anche i rinnovati poteri di controllo dei
soci di minoranza. Qualora uno dei soci di minoranza dovesse vedersi respingere
dall’assemblea la richiesta di eseguire sulla società dei controlli speciali, questi potrà
chiedere al tribunale di nominare un revisore indipendente per eseguire le dovute
verifiche e tutelare la sua posizione di socio di minoranza. Il sito web diventa
obbligatorio. Le dichiarazioni pubbliche ed i rendiconti finanziari, le relazioni delle
agenzie di revisione, le decisioni dell’assemblea generale e le decisioni del board
devono essere pubblicate sul sito e deve essere conservato un registro ufficiale,
certificato da un notaio, di pubblicazioni di tutti questi documenti. Altre informazioni
da pubblicare obbligatoriamente sul sito internet sono le remunerazioni dei direttori ed
altre informazioni riguardanti i proprietari dell’azienda. Importanti sono anche i
cambiamenti che riguardano il consiglio di amministrazione. Nell’ottica di snellire le
procedure decisionali è stato deciso che il Consiglio potrà essere formato anche da una
sola persona (nel precedente codice erano necessarie almeno tre persone). Non è
richiesta inoltre la presenza fisica del CdA in quanto le riunioni potranno essere svolte
anche in ambiente web e le decisioni potranno essere adottate anche con firma
elettronica. Per snellire le operazioni burocratiche inerenti la sostituzione di membri del
Consiglio, è stato decretato che possano diventare membri del CdA anche persone
giuridiche che potranno essere rappresentate di volta in volta da loro rappresentanti.
Cade l’obbligo per cui i membri del consiglio dovevano essere azionisti della
società; è stato invece deciso che almeno ¼ dei membri del Consiglio debbano essere
laureati. Per quanto riguarda le procedure per la creazione di nuove società e di
registrazione delle stesse presso gli organi statali, le modifiche sono state realizzate con
l’obiettivo di rendere più semplice la creazione di nuove attività, anche da parte di
soggetti stranieri, e di snellire le lungaggini burocratiche. Il nuovo codice prevede le
seguenti forme societarie: Società per azioni; Società a responsabilità limitata; Società
in accomandita semplice; Società in nome collettivo; Joint Venture; Consorzio. Per
queste forme societarie sono stati cambiati i limiti di capitale richiesti per la
fondazione: 10.000 TL per le Società a responsabilità limitata; 50.000 TL per le
Società per azioni. Per le Società in accomandita e le Società in nome collettivo non è
invece previsto alcun capitale minimo. Per la prima volta viene contemplata dal Codice
commerciale la fattispecie per cui diventa possibile la creazione di una azienda in un
solo giorno (purché in possesso di tutta la documentazione necessaria) grazie ad una
domanda al registro delle imprese. Viene resa possibile anche la fusione di una società
in liquidazione o in fallimento o, comunque, fortemente indebitata, a patto che la
società incorporante disponga di capitali sufficienti a coprire i debiti della società
incorporata.
Vengono infine introdotte nuove regole in materia di sottoscrizione del capitale
sociale al momento della costituzione della società. Prima di registrarsi, le società
devono aver versato il 25% del capitale sociale; il residuo 75% può essere versato nei
24 mesi successivi. Trattamento diverso, invece, per le Società a Responsabilità
Limitata, che devono aver sottoscritto e versato tutto il capitale sociale all’atto di
registrazione della società. Le aziende hanno inoltre diritto di acquistare le proprie
quote o azioni. In particolare, ad ogni società è permesso di acquistare fino al 10% del
capitale sociale.
93
94
Ammodernamento apparato legislativo
- nuovo impulso alle attività di R&D
- riforma del mk del lavoro
- riforma radicale del pacchetto
incentivi 2003
- incentivo agli investimenti nelle aree
meno sviluppate del Paese
pacchetto Interventi 2006
pacchetto Interventi
2007, legge 5615/2007
pacchetto Interventi
2008; legge 5746/2008;
legge 5808/2008
2009: radicale riforma
delle misure introdotte
nel 2003
pacchetto Interventi 2011
2006
2007
2008
2009
2011
Tab. 16 - Fonte: elaborazione SRM
- snellimento burocrazia;
- razionalizzazione normativa FDI;
- miglioramento clima d'affari;
- adozione standard europei sulle
imprese
- diffusione cultura imprenditoriale
- supporto alle PMI
protezione degli investimenti
legge 4875/2003
2003
Creazione del Consiglio di Coordinamento dei Diritti per la Proprietà Intellettuale e Industriale. Legge
5808/2008: obbligo di indicare l'origine dei prodotti commerciali e alimentari; avvio indagine conoscitiva per
individuare le carenze formative del sistema dell'istruzione; avvio dell'Experience Sharing Program per
incontri e collaborazioni tra imprenditori stranieri e turchi; lancio del portale web dello YOIKK
Incentivi a carattere generale: confermata l'esenzione IVA e tasse doganali per acquisto macchinari importati
o realizzati in Turchia. Incentivi per investimenti su larga scala (fissata una soglia minima di investimento per
ciascun settore al di sotto della quale non si può usufruire di incentivi): sgravi fiscali e contributivi
differenziati per zona di localizzazione dell'investimento. Incentivi su base territoriale: destinati a settori
specifici in ciascuna zona geografica; istituzione delle Specialized Organized Industrial Zone che
beneficiavano di ulteriori incentivi; incentivi al settore del trasporto merci e persone. Incentivi per attività di
R&D: Legge Speciale per la R&D; deduzione al 100% delle spese in R&D per attività con oltre 55 ricercatori
(in vigore fino al 2024); esenzione tassazione su reddito degli impiegati (in vigore fino al 2023); esenzione
pagamento del 50% dei contributi dei lavoratori per 5 anni; incentivo a fondo perduto di 100mila TL per gli
scienziati che vogliono aprire un'attività di R&D; istituzione delle Zone per lo Sviluppo Tecnologico con
uffici pronti all'uso, esenzione dalle imposte sui profitti derivanti da attività di R&D (fino al 2023), esenzione
dall'IVA sui software. Incentivi per le PMI: istituzione del Credit Guarantee Fund con dotazione da 1miliardo
di TL e capacità di credito pari a 10miliardi di TL. Programma Industrial Thesis: per favorire la
collaborazione tra Università turche e straniere (supporto finanziario dello Stato); prestiti a lungo termine
senza interessi per lo sviluppo di progetti di produzione di energia rinnovabile
Riforma e allargamento delle aree di intervento dello YOIKK; proroga fino al 2013 delle misure di sostegno
al credito delle PMI attraverso il Credit Guarantee Fund; proseguimento dell'Experience Sharing Program
Snellimento procedure per avviare nuove attività e per l'ottenimento del permesso di lavoro; facilitazioni per
ottenere concessioni per attività minerarie; Legge 5615/2007: riduzione pressione fiscale sugli investimenti
(in particolare con sgravi sui contributi per i dipendenti); implementazione minimum living allowance system
per l'assistenza alle fasce povere; programma di automatizzazione delle dogane
Riorganizzazione apparati governativi: riforma della Land Registry Law per facilitare l'acquisto di immobili
da parte di stranieri; costituzione dell'Agenzia per lo Sviluppo e dell'Ufficio di Supporto per gli Investimenti.
Normativa FDI: creazione del portale web "Invest in Turkey"; creazione dell'ISPAT; promozione, presso le
imprese, di best practice utilizzate a livello internazionale;
Principali novità introdotte
Il meccanismo di "notificazione" sostituisce l'"autorizzazione" del Ministero per l'avvio dell'attività di
un'impresa; possibilità per gli investitori stranieri di controllare anche il 100% di una società turca (salvo che
in settori ritenuti strategici); libertà di trasferire i profitti realizzati in Turchia nel Paese di origine
dell'investitore; Incentivi Generali: esenzione imposte doganali per macchinari importati; esenzione IVA su
importazione o acquisto in loco di macchinari; parziale copertura interessi su debiti contratti per investimenti;
Incentivi su base territoriale (destinati a 50 province, per investimenti entro 1milione di TL): sgravi fiscali,
sgravi contributivi, concessione gratuita terreni pubblici, sostegno per il costo dell'energia; Incentivi per
R&D: supporto di TUBITAK e TTGV per studi di fattibilità, prototipi, costruzione impianti pilota, brevetti.
Cronologia degli interventi legislativi di promozione degli investimenti
Obiettivo
Provvedimento
Anno
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
2. Le relazioni economiche tra Italia e Turchia
2.1 I numeri e il “valore” della presenza italiana
Gli scambi commerciali
Con oltre 15,6 miliardi di euro3 l’Italia si colloca al 4° posto tra i partner
commerciali della Turchia, con un’incidenza del 5,8% sul totale del commercio estero
del Paese.
Le esportazioni italiane verso la Turchia sono risultate pari a 9,6 miliardi di euro nel
2011, in crescita del 19,9% rispetto al 2010 (+145,4% rispetto al 2001); nel corso del
periodo analizzato si è registrata una crescita costante delle esportazioni italiane, con la
sola eccezione del 2009 quando, come conseguenza della crisi finanziaria mondiale, si
è registrata una forte contrazione degli acquisti di prodotti italiani in Turchia (-24,7%
sul 2008), cui ha fatto seguito una forte ripresa nel 2010 (+42% sul 2009). L’Italia si
colloca, così, al 5° posto tra i Paesi fornitori della Turchia (anno 2011).
Le importazioni dell’Italia dalla Turchia hanno raggiunto la cifra di 6 miliardi di
euro nel 2011, in crescita del 15,9% rispetto al 2010 (+97,3% sul 2001); l’Italia si
posiziona al 4° posto tra i Paesi clienti della Turchia.
Il saldo commerciale italiano con la Turchia è in forte attivo ed è pari a +3,6
miliardi di euro nel 2011 (+23,4% il saldo commerciale normalizzato); il saldo
commerciale ha registrato un avanzo in ciascun anno del periodo analizzato ma si è
mantenuto sempre inferiore ai 2 miliardi di euro; nel corso dell’ultimo biennio (20102011) l’avanzo si è ampliato considerevolmente, triplicando il valore tra il 2009 e il
2011.
Gli scambi commerciali Italia-Turchia
Italia: Interscambio e Saldo commerciale con la Turchia – dati in miliardi di euro
Export to Turkey
Import from Turkey
Trade balance *
2001
3,9
3,0
0,9
2006
6,8
5,4
1,4
2007
7,2
5,3
1,9
2008
7,5
5,6
1,9
2009
5,7
4,4
1,2
2010
8,0
5,2
2,9
2011
9,6
6,0
3,6
Tab. 17 – Fonte: elaborazioni SRM si dati Coeweb-Istat – * il segno “+” indica un avanzo
commerciale dell’Italia
Maggiori sono gli scambi commerciali della Germania con la Turchia (27,5 miliardi
di euro nel 2011), di cui è il primo partner commerciale (l’interscambio con la
Germania incide per il 10,2% sul totale delle relazioni commerciali con l’estero della
Turchia).
Le esportazioni tedesche verso la Turchia sono risultate pari a 17,2 miliardi di euro
nel 2011, con una crescita del 29,9% rispetto al 2010 (+188,6% sul 2001) e un
andamento che registra una contrazione nel 2009 e una robusta crescita nei 2 anni
successivi.
3
Il dato, di fonte Istat, differisce leggermente da quello indicato nel paragrafo 1.1 (fonte
UNCTADStat).
95
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Le importazioni tedesche dalla Turchia sono state pari a 10,3 miliardi di euro nel
2011 (+19,3% rispetto al 2010; +72,4% sul 2001).
Il saldo commerciale della Germania con la Turchia è ampiamente in attivo (+6,9
miliardi di euro nel 2011; +24,9% il saldo commerciale normalizzato) e presenta
un’evoluzione simile a quanto visto per l’Italia: saldo in pareggio nel 2001 (quello
italiano presentava un modesto avanzo, inferiore al miliardo di euro) e positivo, ma non
superiore ai 4 miliardi di euro, fino al 2009; nel 2010 e 2011 l’avanzo commerciale
aumenta fortemente (cresce di più del doppio tra il 2009 e il 2011).
Gli scambi commerciali Germania-Turchia
Germania: Interscambio e Saldo commerciale con la Turchia – dati in miliardi di euro
Export to Turkey
Import from Turkey
Trade balance *
2001
6,0
6,0
0,0
2006
11,8
7,7
4,0
2007
12,8
8,8
4,0
2008
12,7
8,8
3,9
2009
10,1
7,0
3,1
2010
13,2
8,7
4,6
2011
17,2
10,3
6,9
Tab. 18 – Fonte: elaborazioni SRM si dati UNCTAD
Gli Investimenti Diretti Esteri
I flussi totali di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Turchia nel 2011 sono stati pari
a 11,4 miliardi di euro, in crescita rispetto ai due anni precedenti; gli investimenti
italiani sono risultati modesti nel corso dell’ultimo anno (70 milioni di euro), pur se in
crescita rispetto al 2010, mentre l’ammontare degli investimenti tedeschi in Turchia è
stato di circa 434 milioni di euro nel 2011.
I flussi di IDE in Turchia
Flussi totali, italiani e tedeschi – dati milioni di euro*
Total FDI Inflows in Turkey
Italian FDI in Turkey
German FDI in Turkey
Italian share of total FDI Inflows in Turkey
German share of total FDI Inflows in Turkey
2001
-
2006
16.076
151
284
0,9%
1,8%
2007
16.087
54
696
0,3%
4,3%
2008
13.261
169
841
1,3%
6,3%
2009
6.030
225
357
3,7%
5,9%
2010
6.818
19
450
0,3%
6,6%
2011
11.425
70
434
0,6%
3,8%
* Il database riporta i dati in Dollari; per la conversione in euro è stata utilizzata la media annuale dei
tassi di cambio giornalieri Euro-Dollaro di fonte Banca Centrale Europea
Tab. 19 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Banca Centrale Turca (CBRT) - Invest in Turkey, Italian
desk
L’elevata variabilità negli anni dei flussi di IDE, è all’origine delle differenze,
anche molto pronunciate da un anno all’altro, nell’incidenza degli investimenti italiani
e tedeschi sul totale dei flussi diretti in Turchia: a partire dal 2006 l’incidenza dei flussi
di IDE italiani si è mantenuta intorno all’1%, con l’eccezione del 2009 quando, in
corrispondenza del livello minimo toccato dai flussi totali di IDE in Turchia nel
periodo analizzato (poco più di 6 miliardi di euro), quelli italiani hanno registrato il
punto di massimo del periodo a 225 milioni di euro, con un’incidenza che ha raggiunto
il 3,7% del totale. Nello stesso anno gli investimenti tedeschi sono diminuiti rispetto al
2008 a 357 milioni (pari al 5,9% del totale dei flussi diretti in Turchia).
96
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
In totale, fino al 20104, lo stock di IDE in Turchia ammonta a 137,2 miliardi di
euro con un’incidenza degli IDE provenienti dall’Italia dell’1,8% (2,4 miliardi di
euro) e del 5,7% per gli IDE provenienti dalla Germania (7,8 miliardi di euro)5
Le imprese straniere
Sono quasi 30mila le imprese a capitale straniero che operano in Turchia6 (dato di
fine 2011), un numero più che doppio rispetto al 2006; le imprese a capitale italiano
risultano 911, quelle a capitale tedesco 4.790.
Le imprese straniere in Turchia.
Totale imprese a capitale straniero, imprese a capitale italiano e
imprese a capitale tedesco
Total Foreign Companies
Foreign Companies with Italian Capital
Foreign Companies with German Capital
2006
2007
2008
2009
2010
2011
12.975
16.206
19.275
22.116
25.420
29.399
457
533
630
720
814
911
2.258
2.757
3.296
3.774
4.241
4.790
Tab. 20 - Fonte: elaborazioni SRM su dati del Ministero dell’Economia turco
L’incidenza delle imprese a capitale italiano sul totale delle imprese straniere che
operano in Turchia è diminuita tra il 2006 (3,5%) e il 2011 (3,1%), così come la quota
di imprese tedesche e, più in generale, di imprese dell’Unione Europea (dal 56,1% al
52,1%), a vantaggio delle imprese a capitali mediorientali (l’incidenza sul totale è
passata dal 17,9% del 2006 al 20,9% del 2011).
Quanto alla localizzazione delle imprese straniere all’interno del territorio turco, più
della metà si concentra nella provincia di Istanbul; tra le altre provincie si segnalano
Antalya, Ankara e Ismir. Anche per le imprese a capitali italiani e per quelle a capitali
tedeschi, Istanbul è la provincia con la maggiore presenza; seguono le provincie di
Ismir e Bursa.
4
Il 2010 è l’ultimo anno in cui è disponibile le suddivisione per Paese di provenienza dello stock
di IDE in entrata. 5
Il valore dello stock totale di IDE in Turchia è di fonte Ministero dell’Economia turco; i dati
degli stock di IDE di Italia e Germania in Turchia sono di fonte Fondo Monetario Internazionale.
6
Il dato è quello ufficiale riportato dal Ministero dell’Economia della Turchia; esso comprende
anche uffici di rappresentanza e desk di società straniere. 97
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Localizzazione delle imprese straniere in Turchia, per provincia
Figura 1 - Fonte: elaborazione SRM
Localizzazione delle imprese italiane in Turchia, per provincia
Figura 2 - Fonte: elaborazione SRM
98
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Localizzazione delle imprese tedesche in Turchia, per provincia
Figura 3 - Fonte: elaborazione SRM
La stima del “valore” della presenza business italiana in Turchia
Analizzando i dati del Ministero dell’Economia turco emerge che le imprese
localizzate in Turchia in cui ci sono investimenti diretti italiani sono 911, mentre le
imprese turche partecipate da imprese tedesche sono 4.790. Ma a quanto ammonta il
valore del business rappresentato da questi due gruppi di imprese? Qual è il valore del
fatturato riferibile alle imprese a capitale italiano che operano in Turchia? E il numero
di addetti occupati da tali imprese?
Per rispondere a questi quesiti è stata effettuata una stima a partire dai dati di
bilancio di un campione di imprese a capitale italiano e tedesco che operano in Turchia
(il campione di imprese tedesche è stato utilizzato quale benchmark); i dati sono forniti
dalla banca-dati ORBIS di Bureau van Dijk. La stima ha riguardato il fatturato totale
riferibile a imprese italiane e tedesche che operano in Turchia e gli addetti occupati da
imprese a capitali italiani e tedeschi; sono state considerate “pienamente italiane” (e
“pienamente tedesche”) le imprese del campione in cui la quota (italiana e tedesca) di
partecipazione al capitale dell’impresa è uguale o superiore al 15%; le imprese con
quote di partecipazioni italiane e tedesche inferiori al 15% sono state considerate
“parzialmente italiane” e “parzialmente tedesche”; per queste imprese, solo la frazione
di fatturato pari alla quota di partecipazione italiana (e tedesca) è stata considerata nella
stima, mentre per la stima degli addetti tali imprese sono state escluse dal calcolo;
anche le imprese e società finanziarie sono state escluse dal processo di stima.
I risultati della stima sono i seguenti: le imprese turche partecipate da aziende o
soggetti italiane/i generano 16,6 miliardi di euro di fatturato (pari all’1,67% del
99
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
fatturato totale delle imprese di industria e servizi localizzate in Turchia) e danno
lavoro a oltre 125.000 persone (1,36% del totale degli addetti in Turchia); le imprese
turche partecipate da quelle tedesche, invece, realizzano poco più di 15 miliardi di
fatturato (l’1,51% del fatturato totale in Turchia), per un numero di addetti che supera
le 166.000 unità (1,81% degli addetti in Turchia). Dalla lettura dei dati emerge che le
imprese turche in cui vi sono partecipazioni italiane sono in numero inferiore, ma
hanno una dimensione mediamente più grande rispetto alle imprese in cui vi sono
partecipazioni tedesche. Il seguente grafico confronta le partecipazioni italiane e quelle
tedesche rispetto alle tre dimensioni considerate: numero di imprese (asse delle
ascisse), numero di addetti (asse delle ordinate) e fatturato (ampiezza della bolla).
Il valore della presenza italiana e tedesca in Turchia
Numero di imprese turche partecipate, numero di addetti delle imprese partecipate,
Fatturato delle imprese partecipate
200.000
Italy:
Number of persons employed
180.000
- Companies: 911 (source: R. of Turkey Min. of Economy)
- Employees: 125.297 (SRM estimate)
- Turnover: €16,6 bn (SRM estimate)
160.000
140.000
Presence of a lower number of
companies but larger sized
120.000
Germany:
100.000
- Companies: 4.790 (source: R.of Turkey Min.of Economy)
- Emloyees: 166.445 (SRM estimate)
- Turnover: €15,0 bn (SRM estimate)
80.000
60.000
Presence of a higher number
of companies but smaller
40.000
20.000
0
0
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
Number of enterprises
Graf. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Ministero dell’Economia turco, BV-DEP (Orbis)
Da un punto di vista settoriale, in termini di numero di imprese, i due campioni di
imprese turche (quelle a capitali italiani e quelle a capitali tedeschi) presentano una
distribuzione simile; in entrambi i casi circa il 60% delle imprese opera nel
manifatturiero, il 5% delle imprese “italiane” e il 3% di quelle “tedesche” nel settore
edile, e il 35% delle imprese italiane e il 38% delle tedesche appartiene al settore dei
servizi. Il discorso cambia se si prende in esame la distribuzione delle imprese per
fatturato, con una maggiore presenza, nel campione “tedesco”, di imprese di servizi. In
questo caso, infatti, ben l’88% del fatturato delle imprese turche partecipate da capitali
italiani riguarda il settore manifatturiero (66% per le imprese con capitali tedeschi), il
4% del fatturato riguarda imprese del settore edile (7% nel caso della Germania) e l’8%
fa riferimento al settore dei servizi (26% per la Germania).
100
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
I dati principali della presenza italiana e tedesca in Turchia
Number of Turkish firms partecipated by Italian or German firms
Number of persons employed in Turkish firms partecipated by
Italian or German firms
Number of employees in Turkish firms partecipated by Italian or
German firms
Total Turnover of Turkish firms partecipated by Italian or German
firms
Total
Per each firm
Total
Per each firm
Total - €m
Per each firm - €m
Per each person employed - €'000
Italy
911
125.297
138
91.587
101
16.629
18,3
132,7
Germany
4.790
166.445
35
121.664
25
15.017
3,1
90,2
Tab. 21 - Fonte: elaborazione SRM su dati Ministero dell’Economia turco, BV-DEP (Orbis)
La distribuzione settoriale, in base al fatturato, del campione di imprese turche
partecipate da imprese italiane o tedesche
Manufacturing
88,3
66,3
Italy
Germany
7,5
26,3
Service
Graf. 3 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Construction
La modesta incidenza delle imprese edili all’interno dei due campioni, sia in termini di
numero di imprese che di fatturato, rispecchia la presenza stabile sul territorio di imprese a
capitali italiani e tedeschi appartenenti a questo settore; tuttavia, molte grandi imprese di
costruzioni sono coinvolte in progetti di investimento, anche di grande portata, pur non
avendo una presenza stabile in Turchia: è il caso, tra le grandi imprese edili italiane, della
Astaldi e della Salini impegnate in importanti progetti infrastrutturali, di cui si dà conto
all’interno del Focus inserito in chiusura di capitolo. Scendendo più nel dettaglio dei
diversi settori manifatturieri, in termini di numero di imprese, la percentuale maggiore di
imprese “italiane” opera nel metallurgico (14,3%; 6,8% per le imprese partecipate da
tedesche), l’11,1% nella meccanica (12,3% per la Germania), 7,9% nell’automotive (5,5%
per la Germania), 6,3% nel settore energetico (2,7% per la Germania), 4,8% nel tessile
(1,4% per la Germania). La Germania presenta quote maggiori di imprese
nell’agroalimentare, nel settore della carta e della stampa, nel chimico e nei prodotti in
plastica. Più interessante è la distribuzione percentuale del fatturato: ben il 49,6% del
fatturato delle imprese turche in cui ci sono partecipazioni italiane riguarda il settore
dell’automotive, mentre tale settore per la Germania conta solo per il 5,4%; viceversa, il
fatturato delle imprese che operano nella meccanica rappresenta il 29,7% del fatturato totale
101
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
delle imprese turche partecipate da imprese tedesche ed il 18,6% del fatturato di quelle
partecipate da aziende italiane. Questi due settori, nel caso degli investimenti italiani,
coprono più del 68% del fatturato totale.
Distribuzione % settoriale del numero delle imprese turche partecipate
da imprese italiane o tedesche
25
22,2
24,0
20
15
10
14,4
12,7
14,3
12,3
11,1
7,9
6,3
5,5
6,8
5
2,7
8,9
7,5
4,8
1,4
6,8
5,5
3,2
3,2
3,2
3,2
3,2
1,4
4,8
2,7
0
Italy
Germany
Graf. 4 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Distribuzione settoriale del fatturato delle imprese turche partecipate da imprese
italiane o tedesche – dati %
50
49,6
45
40
35
29,7
30
25
21,8
18,6
20
15
10
5
0
11,6
5,4
8,3
4,1
6,9
4,7
2,3
1,6
6,8
1,4
0,4
0,8 1,8
Italy
0,3
0,1 0,1
0,0
Germany
Graf. 5 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
102
4,3
7,4
6,5
4,5
1,0
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
2.2 Analisi comparata delle performance di un campione di imprese italiane e tedesche
che operano in Turchia
La presenza “business” italiana in Turchia: crescita, redditività e situazione
finanziaria
Al fine di monitorare lo stato di salute economica e finanziaria degli investimenti
italiani in Turchia, è stata effettuata un’analisi sui bilanci 2009 e 2010 di un campione
chiuso di imprese turche partecipate da imprese italiane (con partecipazione minima
del 15%); i risultati sono stati confrontati con quelli relativi al benchmark delle imprese
turche partecipate da imprese tedesche.
A tal fine si è fatto ricorso ai dati di bilancio forniti dalla banca-dati ORBIS di
Bureau van Dijk. L’analisi si concentra su tre aspetti – crescita, redditività e situazione
finanziaria – al fine di offrire un quadro della profittabilità, delle tendenze di sviluppo,
e della saluta finanziaria degli investimenti italiani e tedeschi in Turchia; oltre
all’analisi generale, si scenderà nel dettaglio dei diversi settori per individuare quelli,
nei due gruppi di imprese analizzati, che registrano performance che si discostano dalla
media.
Crescita e redditività
Lo stato di salute “economica” delle imprese turche partecipate da capitali italiani
risulta buono: la profittabilità delle imprese turche con capitali italiani, espressa in
termini di RoE (Return on Equity), ha superato il 20% nel 2010 (in lieve crescita sul
2009), ed il fatturato totale è cresciuto del 33,5% tra il 2009 ed il 2010; tali
performance sono migliori rispetto a quelle relative al campione ORBIS del totale delle
imprese turche, per le quali la crescita del fatturato è stata del 15,7% tra il 2009 ed il
2010, con un RoE del 16,6% nel 2010.
Il confronto tra gli investimenti italiani e quelli tedeschi rispetto alle cinque
variabili individuate (due relative al fattore crescita: tasso di crescita del fatturato totale
e tasso di crescita del fatturato generato da esportazioni; tre relative al fattore
profittabilità – RoE, RoA, RoS), evidenzia due aspetti sostanziali: le imprese turche
partecipate da capitali italiani presentano tassi di crescita del fatturato superiori rispetto
al benchmark delle imprese partecipate da capitali tedeschi, ma la profittabilità, pur
elevata, risulta inferiore. Infatti, il fatturato delle imprese turche in cui ci sono
investimenti italiani è cresciuto del 33,5% nel 2010, mentre quello delle imprese con
partecipazioni tedesche è aumentato del 21,7%.
Il fatturato estero è aumentato di circa il 28% per le imprese a capitali italiani e
dell’11,1% nel caso delle imprese con capitali tedeschi. Il discorso cambia guardando
gli indicatori di redditività delle imprese turche partecipate da capitali italiani che,
seppur in miglioramento nel 2010 rispetto al 2009, risultano meno buoni rispetto a
quelli del campione “tedesco”: il RoE è pari a 20,8% nel caso del gruppo di imprese
“italiane” ed al 25% per le imprese con capitali tedeschi; il RoA (Return on Assets) è
dell’8,9% per le “italiane” e del 13,5% per le “tedesche”; il RoS (Return on Sales),
infine, è pari al 6,3% nel caso delle imprese con capitali italiani e al 7,9% per le
imprese partecipate da capitali tedeschi.
103
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Crescita e redditività della presenza “business” italiana e tedesca in Turchia
Dati riferiti al 2010
Operating revenue
growth (%)
40
EFFICIENCY
30
20
RoS (%)
Export revenue
growth (%)
10
Italy
0
RoA (%)
RoE (%)
PROFITABILITY
Graf. 6 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Principali indicatori di crescita, sviluppo e redditività della presenza “italiana” e
“tedesca” in Turchia. Dati riferiti al 2009 ed al 2010
Growth ratios
Operating revenue
Export revenue
Operating Profit (EBIT)
Profit/Loss after tax
2010 % change on 2009
Italy
Germany
33,5
21,7
28,1
11,1
43,1
3,3
30,8
17,1
Italy
2009
2010
Profitability ratios
RoE (%)
RoA (%)
20,3
7,9
20,8
8,9
Operating Revenue / Total Assets
1,3
1,4
ROS (%)
5,9
6,3
Development ratios
Total assets
Tangible fixed assets
Debtors
Shareholders funds
Profitability ratios
RoE (%)
RoA (%)
Operating Revenue / Total
Assets
ROS (%)
2010 % change on 2009
Italy
Germany
27,5
15,3
11,3
23,0
29,2
22,4
27,3
20,8
Germany
2009
2010
25,8
15,1
25,0
13,5
1,6
1,7
9,3
7,9
Tab. 22 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
L’equilibrio finanziario
Le imprese turche partecipate da capitali italiani presentano un buon equilibrio
finanziario, anche se perdono nel confronto con il benchmark costituito dalle imprese a
capitali tedeschi. Il leverage è pari a 2,7 per gli investimenti italiani (ciò significa che
su 2,7 euro investiti da tali imprese, 1 euro è fatto di capitale proprio ed 1,7 da capitale
di debito), per cui il rapporto tra capitale di rischio e capitale di debito è nei limiti della
normalità (in genere inizia a diventare problematico quando il leverage supera il valore
104
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
di 3); per la Germania il valore è ancora più basso (2,1), segno di una maggiore solidità
delle imprese turche partecipate da capitali tedeschi. L’indice di copertura delle
immobilizzazioni materiali (Fixed tangible assets coverage) è pari ad 1 per l’Italia ed a
1,8 per la Germania. A riguardo si specifica che un indicatore uguale ad 1 sottintende
la piena possibilità di finanziarie gli investimenti materiali senza ricorrere
all’indebitamento, mentre un indicatore superiore ad 1 sottintende la possibilità di
espandere ulteriormente il proprio capitale tangibile grazie al capitale di rischio. Gli
indicatori di liquidità sono positivi per entrambi i campioni analizzati, con il Quick
ratio (il rapporto tra le attività correnti, escluse le rimanenze - in sostanza cassa e
crediti - ed i debiti correnti) pari a 1,2 per le imprese “italiane” e a 1,1 per quelle
“tedesche”.
Solvibilità e liquidità delle imprese a capitali italiani e tedeschi in Turchia
Dati riferiti al 2010
FINANCIAL EXPENSES COVERAGE
Leverage
3,0
2,5
2,0
1,5
Ebit / Financial
expenses
Fixed tangible assets
coverage
1,0
0,5
0,0
Italy
Germany
Quick ratio
Current ratio
LIQUIDITY
Graf. 7 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Infine, andando ad esaminare la copertura economica delle uscite finanziarie (in
gran parte uscite per interessi su debito finanziario), il rapporto tra il reddito operativo
e le spese finanziarie (Ebit / financial expenses) è di 1,2 per le imprese turche
partecipate da capitali italiani e di ben 1,7 per il benchmark delle imprese partecipate
da capitali tedeschi. Ciò significa che, in entrambi i casi, le aziende riescono a coprire
pienamente le proprie spese finanziarie ricorrendo al margine operativo, per cui non c’è
rischio che si crei una spirale negativa tra incapacità di far fronte agli interessi sul
debito ed ampliamento del debito.
105
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Principali indicatori di solvibilità, liquidità e di copertura delle spese finanziarie della
presenza italiana e tedesca in Turchia. Dati riferiti al 2009 ed al 2010
Italy
Solvency
Leverage
Fixed assets coverage
Fixed tangible assets coverage
Liquidity
Current ratio
Quik ratio
Financial expenses coverage
Ebit / Financial expenses
Ebitda / Financial expenses
Germany
2009
2010
2009
2010
2,7
1,4
0,9
2,7
1,5
1,0
2,2
2,1
1,8
2,1
2,1
1,8
1,4
1,0
1,5
1,2
1,6
1,1
1,7
1,1
1,0
2,1
1,2
2,5
1,5
4,4
1,7
5,4
Tab. 23 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Uno sguardo sui settori: crescita e redditività
Ovviamente, nel campione analizzato ci sono settori più o meno performanti da un
punto di vista dei risultati economici. Nei 2 grafici che seguono le imprese turche
partecipate da capitali italiani e tedeschi sono state analizzate rispetto a tre dimensioni:
la redditività, espressa in termini di redditività del capitale investito (RoA – Asse delle
ascisse); la crescita, di nuovo espressa in termini di tasso di crescita del fatturato (asse
delle ordinate); la dimensione, espressa in termini di valore del fatturato totale
(ampiezza della bolla). Il grafico è stato suddiviso in 4 quadranti, denominati
(seguendo la denominazione utilizzata nella tradizionale matrice BCG – Boston
Consultin Group): Star (settori ad alta profittabilità ed alta crescita); Question Mark
(settori ad alta crescita, ma con redditività ancora bassa o negativa); Dog (settori con
tassi di crescita e redditività bassi o negativi); Cash Cow (settori ad alta profittabilità,
ma con tassi di crescita bassi o negativi).
L’analisi settoriale conferma quanto emerso in precedenza per il totale del
campione “italiano”: la maggior parte dei settori mostra elevati tassi di crescita del
fatturato e livelli medi di profittabilità.
Nel dettaglio, il settore della meccanica (che esclude l’automotive, analizzato a
parte) è quello caratterizzato dai più alti livelli di redditività e di crescita. Buona anche
la redditività delle imprese del comparto chimico, anche se rappresentano una porzione
di fatturato marginale (ampiezza della bolla). Il settore maggiormente rappresentato, in
termini di fatturato, è l’automotive, che presenta un buon livello di redditività (RoA
pari a 7,6%) e una crescita del fatturato del 35%. T
ra gli altri settori rilevanti, quello dei prodotti in plastica e il comparto metallifero
sono caratterizzati da una redditività e da un tasso di crescita del fatturato inferiori alla
media. Meno positivi i risultati delle imprese che operano nel commercio (che hanno
realizzato redditi operativi mediamente negativi nel 2010) e, soprattutto, di quelle
dell’elettronica, che registrano tassi di crescita del fatturato e RoA negativi.
106
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Le performance settoriali della presenza “business” italiana in Turchia.
Dati riferiti al 2010
STAR
70
QUESTION MARK
High Gorwth Rate;
Low or Negative Profitability
High Growth Rate;
High Profitability
60
50
Opereting Revenue (2010 % change on 2009)
Motor vehicles
Machinery and equipment
40
30
Wholesale and retail trade
Chemicals
20
Textiles and related products
Rubber and plastic products
Metal products
10
0
-15,0
-10,0
-5,0
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
-10
Electrical equipment
DOG
CASH COW
-20
Low or Negative Growth Rate;
High Profitability
Low or Negative Growth Rate;
Low or Negative Profitability
-30
RoA 2010 (%)
Graf. 8 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
Con riferimento alle imprese turche partecipate da capitali tedeschi che, come visto,
presentano un tasso medio di crescita del fatturato inferiore alle imprese del campione
“italiano” ma una redditività media più elevata – i settori che presentano performance
che si distinguono dei valori medi sono, da un lato, il metallifero e l’automotive, che
fanno registrare una crescita del fatturato superiore alla media del campione ma una
redditività inferiore (ampiamente negativa nel caso dell’automotive) e, dall’altro,
l’agroalimentare e il tessile che si posizionano nel quadrante “Cash Cow”, presentando
una redditività positiva (seppur inferiore alla media) e un crescita del fatturato
negativa.
Dal confronto tra i due gruppi di imprese (quello con partecipazioni italiane e quello
con partecipazioni tedesche) emerge che mentre la maggior parte dei settori con
imprese “italiane” si posizionano nei quadranti ad elevato tasso di crescita (quadrante
Question Mark e quadrante Star), gran parte dei settori con imprese “tedesche” si
posizionano nei quadranti a maggior redditività (Star e Cash Cow), a conferma del
risultato dell’analisi effettuata sul totale dei due gruppi di imprese.
107
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Le performance settoriali della presenza “business” tedesca in Turchia.
Dati riferiti al 2010
80
QUESTION MARK
STAR
High Gorwth Rate;
Low or Negative Profitability
High Growth Rate;
High Profitability
60
Opereting Revenue (2010 % change on 2009)
Motor vehicles
Metal products
Wholesale and retail trade
40
Machinery and equipment
Chemicals
20
0
-30,0
-25,0
-20,0
-15,0
-10,0
-5,0
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
Textiles and related products
-20
Food, beverages and tobacco
DOG
Low or Negative Growth Rate;
Low or Negative Profitability
CASH COW
-40
RoA 2010 (%)
Low or Negative Growth Rate;
High Profitability
Graf. 9 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis)
3. Case Study 1: Turk Pirelli
La Pirelli s.p.a. è stata fondata nel 1872 ed oggi è, per valore del fatturato, la quinta
più grande società di produzione di pneumatici al mondo. E’ presente in più di 160
paesi con 22 industrie di produzione di pneumatici dislocate in 5 continenti e quasi
34.000 impiegati in tutto il mondo. Il quartier generale di Pirelli s.p.a. è a Milano.
L’attività di Pirelli Tyre è focalizzata attualmente su due segmenti: Consumer, che
rappresenta ca. il 70% dei ricavi complessivi e si occupa della produzione di
pneumatici destinati ad auto, SUV, veicoli commerciali leggeri e moto, e Industrial,
che rappresenta ca. il 30% dei ricavi e si occupa di realizzare pneumatici per grandi
automezzi (come autobus e autocarri) o mezzi agricoli. In entrambi i segmenti Pirelli è
riuscita a raggiungere una posizione di leadership, grazie ad una costante attenzione
alle attività di R&D e alla prestigiosa collaborazione con le più importanti case
automobilistiche del mondo.
La storia della casa madre
La Pirelli s.p.a. viene fondata a Milano (Italia) nel 1872. Il business era orientato
alla produzione di conduttori isolati per la telegrafia ma, in pochi anni, l’azienda si
converte alla produzione di cavi telegrafici sottomarini e, nel 1890, comincia a
produrre pneumatici per bicicletta. Dall’inizio degli anni ’90 dell’ottocento il core
108
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
business della società è la produzione di pneumatici, soprattutto per il settore delle
corse automobilistiche. Insieme ai successi sportivi arrivano i primi stabilimenti di
produzione all’estero: il primo in Spagna nel 1902, poi in Gran Bretagna (1914) e
Argentina (1917). Grazie ad un impegno costante nelle attività di R&D, Pirelli riesce a
proporre al mercato pneumatici sempre più affidabili e tecnologici; all’inizio degli anni
cinquanta del novecento nasce il “radiale Cinturato” che sarà il volano per una
espansione geografica che corrisponderà all’acquisizione di una posizione sempre più
centrale nel mercato della produzione di pneumatici e all’apertura di nuovi segmenti
produttivi: negli anni sessanta viene acquistata la Veith (azienda tedesca di produzione
di pneumatici), mentre in Perù e in Australia vengono aperti stabilimenti per la
produzione di cavi negli anni 1968 e 1975. Verso la metà degli anni settanta l’azienda
si rende protagonista di due innovazioni importanti: lo pneumatico ribassato e la fibra
ottica. Negli anni ottanta Pirelli acquisisce la Metzeler (azienda tedesca di produzione
pneumatici) e, per il comparto cavi, la Standard Telephone Cable (azienda di
produzione di cavi terresti per le comunicazioni). Inoltre, Pirelli cavi acquisisce, nel
1998, le attività di Siemens, e di Metal Manufactures Ltd e Draka Holding nel 1999. La
Pirelli s.p.a. continua a prestare grandissima attenzione alle attività di R&D e nel 2000
realizza il processo produttivo MIRS™ che permetterà la fabbricazione automatizzata
di pneumatici. Nel 2004 l’azienda si ingrandisce ed entrano a far parte del core
business del gruppo anche le attività nel settore dell’accesso alla banda larga e della
fotonica (con Pirelli Broadband Solutions), così come le attività legate all’ambiente e
alle fonti di energia rinnovabili (Pirelli Ambiente Holding). Nel 2005 arriva
l’inaugurazione del primo impianto di produzione di pneumatici in Cina e di un nuovo
impianto in Romania. L’espansione dell’azienda continua con l’apertura di nuovi
stabilimenti in Cina ed in Russia, attraverso una joint-venture con l’azienda russa
Russian Technology. Il 2010 è un anno molto importante in quanto segna il ritorno di
Pirelli in Formula 1, con l’aggiudicazione del contratto esclusivo per la fornitura di
pneumatici per i campionati del mondo del triennio 2011-2013. Nel 2011 Pirelli si
aggiudica l’esclusiva per le forniture per il mondiale di superbike e concentra il suo
business sul segmento “tyre”, cedendo le attività nella banda larga di Pirelli Broadband
Solutions e separando dal gruppo le attività immobiliari di Pirelli RE, oggi Prelios.
Continua anche la ricerca nel campo delle innovazioni tecnologiche e, alla fine del
2011, viene presentato un nuovo pneumatico (P zero Silver), derivato direttamente
dall’esperienza in Formula 1.
Attualmente le attività di Pirelli s.p.a. si dividono in tre grandi settori:
•
Consumer: produzione di pneumatici per auto, Sport Utility Vehicles (SUV),
veicoli commerciali leggeri e moto.
•
Industrial: produzione di pneumatici per autobus, autocarri, macchine agricole
e cordicella metallica (steelcord).
•
Motorsport: produzione di pneumatici per il campionato del mondo Superbike
e per il campionato del mondo di Formula 1.
Il processo di internazionalizzazione
La spinta all’internazionalizzazione ha sempre fatto parte delle caratteristiche della
società e del suo modo di fare business e di affrontare il mercato internazionale. Già nel
109
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
1902 infatti Pirelli cominciava la sua prima esperienza di internazionalizzazione con il
primo stabilimento di produzione gomme in Spagna, dopo soli trent’anni dalla
fondazione. Questa prima esperienza viene presto seguita dalle aperture di nuovi
stabilimenti in Gran Bretagna nel 1914, e in Argentina nel 1917. Il processo di
internazionalizzazione non riguarda solamente il settore “tyre” ma anche quello della
produzione cavi, con l’apertura, negli anni ’70, degli stabilimenti produttivi in Perù
(1968) ed Australia (1975). Negli anni 2000, grazie alla realizzazione del processo
produttivo MIRS™ e alle nuove minifabbriche di produzione, Pirelli si rilancia in
campo internazionale consolidando la sua presenza in Germania e Gran Bretagna ed
approdando negli USA. Nel 2005 verrà inaugurato il primo impianto di produzione
pneumatici in Cina ed un anno dopo Pirelli si stabilirà per la prima volta in Romania,
con l’impianto di Slatina. Negli ultimi anni la società si è concentrata sul
consolidamento della presenza in Cina, Romania e Russia, attraverso l’ampliamento
degli impianti di produzione esistenti o mediante joint-ventures con grandi aziende
locali.
La decisione di stabilirsi in Turchia risale agli anni ’60, quando Pirelli decide di
realizzare un grande impianto di produzione pneumatici che oggi si occupa della
produzione di pneumatici per il mondiale di Formula 1.
“La Turchia era un mercato con grandissime potenzialità, in parte inespresse.
Stabilire un’attività produttiva in quel mercato ci avrebbe permesso di creare un
importante presidio in una economia in grande crescita”
L’arrivo in Turchia è relativamente antico ed è una delle prime destinazioni che
Pirelli sceglie per la delocalizzazione delle sue attività produttive. Il mercato turco in
quegli anni presenta delle ottime potenzialità di crescita, anche se non completamente
espresse a causa di problemi strutturali e di una dotazione infrastrutturale ancora
insufficiente.
Il principale obiettivo di Pirelli con l’apertura in Turchia è la creazione di un forte
presidio nel mercato turco che avrebbe permesso di monitorare con attenzione la
crescita del Paese e di beneficiare degli alti tassi di crescita previsti. Inizialmente Pirelli
trasferisce in Turchia le attività produttive del settore “tyre”; la produzione doveva
servire prevalentemente al consolidamento della posizione della società nel mercato
locale; infatti, la maggior parte della produzione viene venduta sul mercato domestico.
In secondo luogo, Pirelli si pone l’obiettivo di migliorare il proprio assetto competitivo
grazie ai vantaggi derivanti da una minore tassazione del lavoro che consente di ridurre
sensibilmente i costi di produzione. Produrre direttamente in Turchia era, infatti, la
scelta più vantaggiosa in quanto ciò consentiva di beneficiare della detassazione delle
importazioni di materie prime che il governo turco metteva a disposizione delle società
che producevano beni direttamente in Turchia.
Le attese di Pirelli sull’evoluzione del Paese nei decenni successivi non vengono
deluse. L’economia cresce con effetti positivi anche sul reddito procapite che comincia
ad alzarsi velocemente, trainando la domanda interna. Il minor costo della manodopera,
insieme a sgravi fiscali sulle importazioni di materie prime, consentono a Pirelli di
produrre pneumatici a costi contenuti e di mantenere competitività nei confronti delle
110
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
altre grandi aziende di produzione del settore. La scelta della Turchia, fatta con grande
anticipo rispetto agli anni del boom dell’economia del Paese, permette all’azienda di
beneficiare di una posizione di leadership nel settore “tyre” e di essere l’unica grande
realtà di produzione di pneumatici in Turchia.
“Oggi la situazione in Turchia sta evolvendo rapidamente. Il costo del lavoro sta
raggiungendo i livelli europei e le incertezze legate alle fluttuazioni della valuta
nazionale sul mercato dei cambi creano seri problemi di competitività alle aziende
presenti nel Paese”
Fin qui gli elementi positivi; tuttavia, l’azienda ha incontrato, nel corso degli anni di
presenza nel Paese, anche fattori di svantaggio competitivo. Agli inizia degli anni ’60
la Turchia era un Paese molto diverso da quello attuale e scontava grossi ritardi nei
confronti dei Paesi più sviluppati europei. Le infrastrutture, soprattutto quelle legate ai
trasporti, risultavano molto carenti e la qualità della manodopera insufficiente. Tali
problemi sono stati superati negli anni più recenti: oggi la Turchia è dotata di grandi
infrastrutture di collegamento e, attraverso programmi di riforma scolastici e
universitari, sta colmando il gap con i Paesi più sviluppati in termini di qualità della
manodopera.
Tuttavia, si manifestano nuovi fattori di svantaggio: se negli anni ’60 del secolo
scorso il costo del lavoro rappresentava un elemento di indiscutibile vantaggio
competitivo, oggi la tassazione del lavoro e l’aumento dei salari sta avvicinando il
costo del lavoro in Turchia alla media europea. Il costo medio annuo di un lavoratore
risulta di ca. 36.000 €, vicinissimo ai valori italiani.
Un altro fattore potenzialmente in grado di impattare negativamente sull’operatività
di Turk Pirelli è rappresentato dalle fluttuazioni della lira turca sul mercato dei cambi.
In particolare, la rivalutazione della lira turca, che negli ultimi dieci anni non ha
conosciuto sosta, rende meno competitive le esportazioni dal Paese verso il resto del
mondo. Dal 2001, la lira si è rivalutata del 60% ca. sul mercato dei cambi rispetto ad
euro e dollaro. Attualmente Pirelli esporta il 70% ca. della sua produzione dalla
Turchia e destina il restante 30% ca. al mercato nazionale.
“Pirelli è attualmente una delle più importanti industrie della Turchia. Nel Paese sono
state trasferite produzioni strategiche per l’azienda e possiamo contare su impianti di
produzione pneumatici tra i più innovativi”
Il processo di internazionalizzazione di Pirelli in Turchia è stato accompagnato da
SACE che ha garantito un supporto finanziario, mentre nessun ruolo è stato svolto da
altri organismi istituzionali italiani come ICE, Consolato ed Ambasciata italiani.
Attualmente gli istituti bancari di riferimento della azienda sono la turca Yapi Credit e
Bnp Paribas.
Turk Pirelli è la più grande azienda di produzione di pneumatici nel Paese, con un
fatturato di circa 500 milioni di euro, e gestisce la produzione di pneumatici per il
segmento sport e per il mondiale di Formula 1, che vengono affidate al grande
impianto produttivo di Izmit (90 KM da Istanbul), che conta circa 2000 addetti.
111
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Dall’arrivo in Turchia Pirelli ha investito ca. 500 milioni di euro per investimenti. Di
cui circa 140 milioni nello stabilimento di Izmit.
“La fabbrica di Izmit è, oggi, il più grande stabilimento di produzione per pneumatici
nel mondo. Ci permette di avere una posizione di leadership nel mercato turco e di
gestire la produzione di importanti prodotti destinati al segmento sportivo”
La presenza di Pirelli in Turchia è cambiata nel corso degli anni. Grazie ad un
costante interesse verso le attività di R&D, Turk Pirelli ha aumentato la propria
capacità produttiva, trasformando la fabbrica di Izmit nella più grande industria di
produzione di pneumatici del mondo. Tale traguardo è stato raggiunto grazie ad
un’importante innovazione di processo: per la prima volta sono state attivate
produzioni congiunte di pneumatici per veicoli leggeri e per grandi automezzi, che
generalmente erano separate. Turk Pirelli gestisce le sue esportazioni grazie ad una
consolidata filiera che si basa sulla centralità della logistic planning company, che ha il
compito di organizzare la distribuzione dei prodotti in tutto il mondo. Attualmente in
Turchia vengono prodotti pneumatici per i segmenti car and truck e per il segmento
motorsport con la produzione di pneumatici per le auto da rally e per la Formula 1.
L’integrazione con il contesto produttivo del Paese è, ormai, pressoché totale: per il
reperimento delle materie prime indispensabili alla produzione vengono utilizzati
anche fornitori locali (30% delle forniture di materie prime), così come per i servizi ad
alto valore aggiunto (marketing, telecomunicazioni, assistenza fiscale ecc.).
Coerentemente con la strategia Green Performance Pirelli, finalizzata allo sviluppo
di prodotti e soluzioni capaci di coniugare il massimo delle prestazioni e della
sicurezza con il rispetto dell’ambiente, anche la fornitura per la Formula Uno è ispirata
a criteri di sostenibilità ambientale. I processi della fabbrica di Izmit sono gestiti con
criteri di efficienza energetica e idrica volti al contenimento delle emissioni di sostanze
dannose come l’anidride carbonica. Particolare attenzione è posta al riutilizzo degli
scarti di produzione e degli pneumatici usati.
Per quanto riguarda la promozione del brand in Turchia, Pirelli ha avuto la stessa
attenzione che contraddistingue la società in materia di comunicazione e pubblicità.
Dopo essersi aggiudicata la fornitura di pneumatici per il campionato mondiale di
Formula 1, Pirelli effettuerà nuovi investimenti in comunicazione, finalizzati alla
valorizzazione dell’impegno industriale e tecnologico richiesto dalla partecipazione
alla Formula 1: tali investimenti in comunicazione saranno finalizzati alla promozione
dell’azienda nei Paesi emergenti (Sud America e Asia) e nei paesi del Medio-Oriente,
tra i quali giocherà un ruolo importante proprio la Turchia, dove risiede la fabbrica di
produzione di questa tipologia di pneumatici. La Formula 1 diventerà, quindi, un
importante strumento di valorizzazione del brand nel mondo.
“Crescere nel mercato turco, affrontare con decisione le nuove sfide legate al costo
del lavoro e alla rivalutazione della valuta nazionale e consolidare le esportazioni
verso i Paesi dell’area sono le sfide imminenti che Pirelli deve vincere”
112
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Il futuro di Pirelli in Turchia sembra poggiare su basi solide. Una gestione
societaria oculata e una grande attenzione all’innovazione sembrano assicurare una
posizione preminente nel mercato nazionale. E’ evidente che le sfide da affrontare sono
decisive e potranno influenzare l’andamento dell’azienda e le scelte di sviluppo future:
il costo del lavoro è previsto in ulteriore crescita, mentre l’aumento dei costi di
esportazione, legato alla rivalutazione della Lira, è un fattore importante su cui è
difficile fare previsioni.
La capacità di affrontare e gestire queste problematiche e approfittare dei vantaggi
che una economia in crescita come quella turca può offrire sotto il profilo della crescita
della domanda interna, del miglioramento delle infrastrutture e della competenza della
forza lavoro, farà la differenza tra rimanere competitivi o meno. Turk Pirelli, in quanto
impresa di grandi dimensioni, non è interessata al nuovo pacchetto di incentivi varato
dal governo nel giugno del 2012, indirizzato, come evidenziato nel paragrafo dedicato
alle misure di attrazione degli investimenti, soprattutto alle piccole e medie imprese
delle aree a maggior ritardo di sviluppo. Sia l’ufficio di rappresentanza ad Istanbul, che
la fabbrica ad Izmit, sono inseriti nelle zone 1 e non potranno godere di incentivi
sostanziosi.
(Da incontri con il Dr. Recep Ozcale,
deputy General Manager Turk Pirelli)
4. Case Study 2: Saif Enerji Kaynaklari A.S
La SAIF s.p.a. viene fondata nel 1982 da Franco Zucchi a Genova. Oggi è uno dei
maggiori attori nel settore dei combustibili fossili solidi grazie al suo impegno nella
ricerca di nuovi mercati da esplorare attraverso la realizzazione di nuovi combustibili e
sviluppando know-how ed esperienza tecnologica e logistica per affiancare i clienti in
tutte le fasi del loro approvvigionamento energetico.
La storia della casa madre7
SAIF s.p.a. nasce a Genova nel 1982. Il suo core business è la commercializzazione
e la distribuzione di combustibili fossili solidi (principalmente carbone petkok). Le
attività di SAIF s.p.a. si dividono in tre grandi settori:
•
•
7
Trading: SAIF s.p.a. si occupa di commercializzare combustibili solidi come
petcoke, carbone e antracite; di fornire combustibili all’industria cementifera e
della distribuzione di combustibili alternativi come biomasse legnose, cippati
di legno ecc.
Shipping: SAIF s.p.a. noleggia per proprio conto ogni nave necessaria al
trasporto dei suoi prodotti. Per il trasporto dei combustibili vengono utilizzate
le più importanti compagnie del settore come Edfman, Ultrabulk, Stx
panocean, Topic e Cargill.
Fonte: http://www.saif.it/
113
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
•
Logistics: SAIF s.p.a. gestisce sbarco, stoccaggio e trasporto a destinazione dei
combustibili, per proprio conto e per conto terzi. Saif s.p.a. è azionista del
nuovo terminal delle funivie di Savona ed ha diverse aree di stoccaggio,
principalmente di petcoke, situate in Italia (6 aree), Iskenderun (Turchia),
Sines (Portogallo), Fos sur Mer (Francia).
Attualmente il gruppo è tra i principali fornitori dell’industria cementiera italiana e
turca. Nel 2011 ha movimentato un volume totale di ca. 1.650 tonnellate di varie
commodities. Il Petcoke, la Steam Coal, l’Antracite e gli altri combustibili fossili usati
da Saif s.p.a. provengono dai principali Paesi d’origine e da produttori leader nel
settore. Tutti i livelli della filiera logistica vengono gestiti dall’azienda, fino all’arrivo
negli impianti di utilizzazione. Attraverso partecipazioni e partnership SAIF riesce ad
assicurare prestazioni di alto livello in ogni aspetto tecnologico e logistico del servizio,
fornendo al cliente tutte le soluzioni più economiche ed avanzate e la sicurezza di una
gestione totalmente in outsourcing. Queste qualità di efficienza e professionalità, unite
ad una grandissima attenzione verso le attività di R&D, mirate ad offrire ai clienti
nuove soluzioni sempre più eco-compatibili ed efficienti, fanno di SAIF s.p.a. una
azienda leader nel settore della commercializzazione dei combustibili fossili solidi.
Il processo di internazionalizzazione
Nel 2008 l’azienda ha deciso di costituire la SAIF Enerji Kaynaklari A.S. nel cuore
della Turchia, a Istanbul, per consolidare i rapporti con un mercato con cui il gruppo
aveva già rapporti commerciali solidissimi. Anche in Turchia, SAIF s.p.a, attraverso
SAIF Enerji Kaynaklari A.S., ha portato importanti innovazioni ed oggi è l’unica
azienda del settore a disporre di un impianto di produzione di combustibile alternativo
di origine agricola. Il progetto precorre l’attuazione delle misure del protocollo di
Kyoto in Turchia sulla produzione di energia nel rispetto dell’ambiente e denota una
grande attenzione del gruppo agli sviluppi del mercato turco ed alle nuove esigenze
mondiali nel campo dell’approvvigionamento energetico.
“Il gruppo Saif s.p.a. è stato da sempre orientato ad avere una grande attenzione ai
mercati internazionali ed alle collaborazioni con clienti stranieri. La Turchia è stata la
nostra prima esperienza”
SAIF s.p.a., sin dalla sua fondazione nel 1982, ha sempre avuto una grandissima
attenzione ai mercati internazionali. L’internazionalizzazione è stata una strada quasi
naturale nel percorso di crescita della società, che già pochi anni dopo la fondazione
lavorava con molti cementifici europei. Le relazioni commerciali con la Turchia erano
molto intense già prima che l’azienda aprisse uno stabilimento nel Paese e
riguardavano partner commerciali turchi che si occupavano, per conto di SAIF s.p.a.,
della distribuzione dei combustibili nel Paese. Tali consolidate relazioni commerciali
hanno indotto il gruppo a scegliere la Turchia come luogo adatto per la prima
esperienza di internazionalizzazione, nel 2008.
114
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
“La cosa che più ci attraeva del mercato turco, nel 2008, erano le grandi potenzialità
di crescita che si intravedevano, la possibilità di anticipare
le dinamiche di quel mercato”
Quando SAIF s.p.a. arriva in Turchia nel 2008, attraverso la creazione di SAIF
Enerji Kaynaklari, il Paese è in forte crescita e le prospettive di sviluppo sembrano
moto promettenti. Il principale obiettivo era la creazione di un forte presidio di
mercato, in modo da poter servire meglio la clientela turca e osservare da vicino le
dinamiche interne del Paese. Inizialmente SAIF Enerji Kaynaklari costituiva un
semplice ufficio di rappresentanza ad Istanbul; successivamente (nel 2010) ha
realizzato la sua base operativa in Turchia, utile per snellire le procedure necessarie a
seguire i vari clienti, aumentare l’efficienza del servizio offerto ai clienti turchi e
semplificare il lavoro di gestione delle commesse dalla Turchia. Grazie alla presenza
operativa in Turchia, oggi SAIF s.p.a. distribuisce i combustibili fossili anche nei paesi
limitrofi, come Libano e Siria; la Turchia è diventato un vero e proprio ponte logistico
per la distribuzione anche in altri paesi dell’area. L’ingresso abbastanza recente di
SAIF s.p.a. in Turchia, non ha invece consentito all’azienda genovese di beneficiare dei
considerevoli vantaggi di costo dalla commercializzazione in loco, in quanto già nel
2008 il livello medio dei salari e la tassazione del lavoro erano vicini ai parametri
europei.
È importante sottolineare che le politiche di incentivo agli investimenti messe in
campo dal Governo turco (si ricorda l’importante pacchetto di incentivi introdotto nel
2009; cfr. paragrafo 1.3 del presente capitolo), non abbiano influito sulla scelta di SAIF
s.p.a. di insediarsi con una propria società in Turchia, sebbene SAIF s.p.a. abbia
provato sin dal 2008, ma senza successo, ad accedere a finanziamenti messi a
disposizione dal Governo; neanche l’attività di produzione di combustibile pellet,
localizzata Tarso, gode di particolari benefici, pur avendo caratteristiche di ecosostenibilità, in quanto non esiste ancora una normativa ad hoc che regoli il settore.
Occasionali sono stati anche i rapporti con le istituzioni italiane, che non hanno
avuto, nell’esperienza di SAIF s.p.a., un ruolo di supporto nel processo di
internazionalizzazione. Tale processo è stato portato avanti e completato grazie ai
rapporti che l’azienda ha intessuto nel corso degli anni con i propri clienti turchi.
“L’ampiezza del mercato di sbocco è stato uno dei vantaggi più importanti che
abbiamo sperimentato in Turchia.”
I vantaggi sperimentati da SAIF s.p.a. in Turchia sono legati, in particolare, al
grande bacino di clientela potenziale a disposizione nel Paese che esprime una
domanda in forte crescita in tutti i settori. La crescita del reddito medio procapite ha
dato forte impulso alla domanda di combustibili per uso domestico e grazie a SAIF
s.p.a. i cittadini turchi hanno imparato a conoscere i vantaggi del riscaldamento a
pellet, prima sconosciuto in Turchia; oggi i cittadini turchi sembrano essere sempre più
sensibili ad una tipologia di riscaldamento che consente di tagliare i costi e diminuire
l’impatto ambientale.
115
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Il vantaggio competitivo che SAIF s.p.a. sperimenta in Turchia nella produzione del
pellet da scarti agricoli, è legato al fatto che, non esistendo una produzione di questo
tipo in tutto il Paese, l’azienda ha creato valore aggiunto da qualcosa che prima non
aveva alcun valore: gli scarti agricoli, che hanno un costo molto basso in quanto non
vengono percepiti dagli agricoltori come delle vere e proprie materie prime.
Per quanto riguarda l’attività di distribuzione di petkoke, i vantaggi della
delocalizzazione in Turchia sono stati soprattutto di tipo logistico: la Turchia è in una
posizione geografica che la rende un crocevia naturale, vicino ai principali Paesi
produttori di combustibili fossili solidi. Sebbene il livello medio dei salari sia in
aumento, la regolamentazione del mercato del lavoro è piuttosto lacunosa e il ruolo dei
sindacati molto limitato: ciò permette una elevata flessibilità operativa alle aziende che
operano nel Paese. Un importante vantaggio operativo, sottolineato dal General
Manager di SAIF Enerji Kaynaklari A.S., è rappresentato dall’eccellente sistema
infrastrutturale, con sistemi portuali all’avanguardia e capillari reti stradali e
ferroviarie.
“Rapportarsi con la cultura turca non è sempre semplice e riuscire a comprendere da
subito le tradizioni e le abitudini del posto può fare la differenza per il buon
andamento dell’impresa”
Tra le problematiche incontrate da SAIF Enerji Kaynaklari A.S., nel corso del suo
processo di internazionalizzazione, vengono segnalate le differenze culturali.
Sebbene nelle grandi metropoli come Istanbul e Ankara non si riscontrino grandi
differenze con l’occidente in termini di stili di vita, la situazione è diversa nelle zone
rurali del Paese che conservano usi e costumi peculiari della sua antica cultura; tali
differenze culturali vanno tenute nella giusta considerazione per chi voglia stabilirsi in
quei territori e utilizzare manodopera locale. E’ questa l’esperienza raccontata da Saif
Energy che ha dovuto affrontare problematiche di questo tipo nel processo che ha visto
la creazione dell’industria di produzione di pellet a Tarso (Turchia sud-orientale), in
una delle zone più rurali del Paese.
La burocrazia risulta essere un elemento di forte rallentamento dell’attività delle
imprese straniere e domestiche. La SAIF s.p.a. inoltre, operando in un settore che in
Turchia era praticamente sconosciuto (produzione di pellet), ha dovuto affrontare
problematiche di chiarezza del quadro normativo e regolamentare.
“La crescita di SAIF Enerji Kaynaklari per ora è molto promettente. E’ solo da un
anno che siamo operativi nella produzione di pellet ma sappiamo dai primi dati di
essere in forte crescita. Anche l’attività di distribuzione dei combustibili fossili
prosegue a pieno regime”
Come visto in precedenza, al momento della sua creazione SAIF Enerji Kaynaklari
non aveva nessun compito operativo, ma, con un ufficio di rappresentanza, costituiva
un punto di riferimento in Turchia per la casa madre. Dopo la fase di start up, nel 2010
SAIF Enerji Kaynaklari inizia la propria attività core: la distribuzione di combustibili
solidi fossili ai vari cementifici in Turchia, mentre nel 2011 è iniziata la produzione di
116
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
pellet. Il processo produttivo è molto semplice e prevede la raccolta di rifiuti e scarti
agricoli biologici e la loro successiva trasformazione, senza aggiunta di prodotti
chimici, in combustibile pellet. La fabbrica di produzione è stata realizzata a Tarso,
grazie all’acquisto di una struttura preesistente, in una posizione strategica all’interno
di un contesto rurale e caratterizzato dalla prevalenza di coltivazioni agricole.
Attualmente SAIF Enerji Kaynaklari conta 25 addetti distribuiti tra la fabbrica di
produzione a Tarso e l’ufficio di rappresentanza ad Istanbul. Le prospettive di crescita
risultano molto interessanti e i primi dati di vendita incoraggianti.
Per quanto riguarda l’attività principale di SAIF, legata alla commercializzazione di
combustibile fossile solido, il fatturato 2012 si aggirerà sui 13-14 milioni di dollari.
I solidi dati di fatturato e le potenzialità del mercato del pellet hanno indotto SAIF
s.p.a. ad aprire un nuovo impianto di produzione, adiacente a quello già esistente,
sempre nella regione di Tarso. L’obbiettivo è quello di soddisfare una domanda
crescente e di consolidare il ruolo di leader in Turchia.
“In un mercato come quello turco, aspettare vuol dire perdere competitività e
godere di vantaggi sempre minori, ma per investire qui, come in altre parti del mondo,
non bastano i capitali, bisogna avere le qualità giuste per comprendere la realtà
locale”
La Turchia è uno dei mercati più dinamici del Mediterraneo e SAIF s.p.a. ritiene di
aver fatto la scelta giusta puntando sullo sviluppo della Turchia. Con la crescita
dell’economia si intensifica, come visto nel paragrafo dedicato alla politica turca di
attrazione degli investimenti, anche l’attività di regolamentazione dei vari aspetti legati
agli investimenti esteri e al mercato del lavoro.
Investire in Turchia è ancora molto conveniente e probabilmente lo sarà ancora in
futuro, ma investire significa anche rapportarsi ad una cultura diversa che va capita e
rispettata; come sempre succede quando si fa un investimento in un Paese straniero,
non sono importanti solamente i capitali che si hanno a disposizione ma anche la
flessibilità e le conoscenze delle persone che lavorano e da cui dipende il buon esito
degli investimenti.
(Da incontri con il Dr. Gianmatteo Giorgini,
General Manager di SAIF Enerji Kaynaklari A.S.)
Focus: I progetti attuali di investimento in Turchia che vedono impegnate imprese
italiane
Nell’elenco proposto di seguito sono indicati alcuni dei più importanti progetti in
corso o realizzati recentemente che vedono protagoniste imprese italiane, spesso in
consorzio con imprese turche. Occorre distinguere tra due tipologie di investimenti:
investimenti in Private Equity e investimenti in Export Credits, realizzati con il
supporto finanziario di Agenzie di Credito all’Esportazione (ACE).
117
L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE
Investimenti in “Private Equity”
• Astaldi
Trasporti stradali: costruzione della autostrada Gezbe-Ismir. Consorzio italoturco. Investimento di ca. 7 Mln di USD
Trasporti stradali: costruzione del 3° ponte sul Bosforo. Consorzio italo-turco
con Ictas. Investimento di ca. 3 Mld di USD
Infrastrutture sanitarie: costruzione dell’ospedale “Etlik” ad Ankara. Consorzio
italo-turco. Investimento di ca. 400 Mld di USD
Trasporti su ferro: costruzione della nuova linea metropolitana di Istanbul M4.
Consorzio italo-turco con Makyol e Gulermak.
Trasporti su ferro: costruzione terzo ponte sul Corno d’Oro per il trasporto
metropolitano. Consorzio italo-turco con Gulermark. Investimento di 146 Mln di
euro.
• INSO (Sistemi ed Infrastrutture Sociali s.p.a.)
Infrastrutture sanitarie: costruzione del campus ospedaliero di Kayseri.
Consorzio italo-turco con YDA. Investimento di ca. 350 Mln di euro
• Ferrero
Costruzione di nuovi impianti di produzione dei prodotti Kinder nella città di
Manisa. Investimento di ca. 95 Mln di USD
• Indesit
Costruzione di nuovi impianti di produzione di elettrodomestici sul territorio
turco. Gli impianti produrranno frigoriferi per soddisfare la domanda del
mercato turco. Investimento di ca. 65 Mln di USD
• Ansaldo Energia
Infrastrutture energetiche: realizzazione del ciclo combinato delle turbine a gas
della centrale elettrica di Gebze; Joint venture con la turca UNIT. Primo grande
progetto finanziato interamente da banche turche. Investimento di 750 Mln di
euro
• Enel
Infrastrutture energetiche: conduzione di esplorazioni nel sottosuolo nella zona
occidentale del Paese per individuare risorse geotermiche e costruire, in joint
venture, centrali geotermiche. Investimento di ca. 350 Mln di euro
• Techint
Infrastrutture sanitarie: costruzione dell’ospedale “Bilkent” di Ankara.
Investimento di ca. 450 Mln di USD
Investimenti in “Export Credit”
• Foster Wheeler Italiana, Saipem e Techint
Costruzione della nuova raffineria STAR, presso l’impianto petrol-chimico di
Petkim, che appartiene alla joint ventures azero-turca Socar/Turcas.
Investimento di ca. 4.5 Mld di USD
• Salini
118
IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA
Infrastrutture su ferro: riabilitazione e ricostruzione del tratto di 56 km di doppio
binario Kosekoy-Gebze della linea ferroviaria tra Istanbul e Ankara.
Investimento di ca. 147 Mln di euro
• Drillmec (Trevi Group)
Infrastrutture energetiche: realizzazione e fornitura di 11 impianti di
perforazione petrolifera. Investimento di ca. 220 Mln di USD
Investimenti “Equity” futuri
• INSO
È “preferred buyer” nella costruzione degli ospedali di Mersin, Adana e Konya
• Atlantia
Infrastrutture stradali: offerta per la privatizzazione dei ponti sul Bosforo e delle
autostrade della città di Istanbul; la scadenza della gara continua ad essere
rimandata.
• Tofas
Automotive: progetto per la costruzione di nuove industrie di produzione in
Turchia.
119
PARTE SECONDA
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
CAPITOLO IV
L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE
BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
1. La finanza islamica nel Mediterraneo: alcuni spunti introduttivi
Obiettivo di questo capitolo è definire le principali caratteristiche dei sistemi
finanziari relativi ai Paesi del sud del Mediterraneo. I sistemi finanziari di tali Paesi
possono, infatti, rivestire un ruolo fondamentale nello sviluppo delle economie cui
appartengono e dell’economia del Mediterraneo nel suo complesso. In particolare,
l’intento del capitolo è analizzare le modalità operative dei sistemi bancari dell’area
sud del Mediterraneo perché esse possono incidere in maniera determinante sul
trasferimento delle risorse finanziarie tra le unità economiche di tale area geografica e
quindi sullo sviluppo potenziale dell’area stessa. Una caratteristica importante ai fini
della descrizione dei sistemi bancari di questi Paesi è rappresentata dalla presenza di
operatori di religione islamica, vale a dire di operatori che antepongono allo
svolgimento della loro attività il rispetto del credo islamico.
Il capitolo, pertanto, è suddiviso in due parti: la prima parte ha per oggetto lo studio
dei sistemi finanziari e, in particolare, dei sistemi bancari dei paesi che formano la
cosiddetta area MENA (Middle East and North Africa); la seconda parte – dedicata
all’analisi del sistema finanziario, del sistema bancario e delle banche islamiche in
Turchia – va a completare, insieme all’analisi della presenza “business” italiana nel
Paese inserita nel Capitolo 3 del Rapporto, il quadro generale della Turchia sotto
l’aspetto delle opportunità che il Paese offre e delle “infrastrutture finanziarie” di cui è
dotato.
L’area MENA è formata dai paesi del nord Africa e dell’Asia minore che si
affacciano sul Mediterraneo, e dai Paesi del Golfo, che sono lontani dal Mediterraneo
ma che intrattengono relazioni economiche importanti con i paesi a sud e a nord del
Mediterraneo stesso1. All’interno di tale area, la Turchia riveste un ruolo fondamentale
e rappresenta il Paese più dinamico e quello che esprime il valore più alto
dell’interscambio commerciale con l’Italia nell’ambito dei 13 Paesi extra UE che si
affacciano sul bacino del Mediterraneo2.
Per fornire un quadro dei sistemi finanziari dei paesi MENA è stato costruito uno
specifico dataset incrociando i dati macroeconomici pubblicati dal Fondo Monetario
Internazionale con le informazioni acquisite dal database ORBIS (di Bureau Van Djik)
su intermediari e mercati finanziari dei medesimi paesi e dell’Unione Europea (d’ora in
poi UE), quest’ultima adottata come benchmark di riferimento. A tale proposito è bene
1
Cfr. SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo, Rapporto Annuale 2011.
Cfr. SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo – Capitolo 1, Rapporto
Annuale 2012. 2
123 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
specificare che il database ORBIS non censisce la totalità degli intermediari attivi in
ciascuno dei paesi considerati, ma fornisce un campione che ne rappresenta un’ottima
approssimazione, soprattutto in termini di volumi intermediati.
Anche per analizzare il sistema bancario turco è stato costruito uno specifico
dataset con le informazioni acquisite dal database ORBIS (di Bureau Van Djik) su
intermediari e mercati finanziari della Turchia e della Germania; quest’ultimo è stato
preso a riferimento per via delle solide relazioni economiche che intercorrono tra i due
paesi3. Per analizzare, invece, il ruolo che le banche islamiche (chiamate “banche di
partecipazione”) rivestono nel sistema bancario turco sono stati presi in considerazione
i dati aggregati forniti dall'associazione delle banche di partecipazione a dicembre 2010
(TKBB, 2011) e i dati puntuali raccolti direttamente dai bilanci delle singole banche di
partecipazione a dicembre 2011. Al fine di poter correttamente interpretare il ruolo
delle banche islamiche nei sistemi bancari e finanziari del Mediterraneo è necessario
illustrare le modalità operative delle stesse. Secondo la religione del Profeta Maometto
non esiste profitto senza rischio.
L’applicazione di questo assioma sfocia nei seguenti principi:
- principio della compartecipazione al rischio, vale a dire il principio della
condivisione dei profitti e delle perdite (profit and loss sharing, d’ora in avanti
PLS);
- principio della condivisione dei soli profitti (profit sharing e loss bearing, d’ora
in poi PSLB) dell’attività economica;
- principio del mark-up o cost-plus, in base al quale colui che utilizza un
determinato bene, di cui non ha la proprietà, deve riconoscere al proprietario un
mark-up strettamente legato al rischio connesso all’utilizzo del bene.
Gli intermediari finanziari di religione islamica hanno adottato tali principi e creato
un proprio modus operandi che solo in parte può essere accostato alle normali
practice degli operatori occidentali con i quali, peraltro, competono nei sistemi
economici di riferimento. Le banche islamiche, in particolare, adottano i principi di
PLS, PSLB e di mark-up per lo svolgimento dell’attività di impiego, mentre utilizzano
unicamente il principio del PLSB per gran parte dell’attività di raccolta.
Dal punto di vista degli impieghi, le banche islamiche (in base al principio del PLS)
sono partner delle imprese che necessitano di risorse finanziarie (contratto di
musharaka) o addirittura, sono gli unici capital provider dei soggetti finanziati in base
al principio del PSLB (contratto di mudaraba). In base al principio del mark-up,
invece, la banca islamica è fornitrice o locatrice di beni di consumo (contratto di
murabaha e di ijara rispettivamente) o, addirittura, fornitrice e locatrice di beni di
investimento (contratto di ijara) o di futura costruzione (contratto di istisna) o
acquirente di beni di consumo (contratto di salam) da rivendere sul mercato sottostante.
L’attività di raccolta delle banche islamiche si fonda prevalentemente sui depositi
di investimento4. In base a tali contratti la banca islamica riceve mandato dai
3
4
124 Cfr. il capitolo del presente Rapporto. I depositi di investimento in Turchia assumono il nome di “depositi di partecipazione”. L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
depositanti, come un vero e proprio fund manager, di investire i propri risparmi in base
al principio della compartecipazione ai soli profitti (PSLB). In caso di risultati negativi,
infatti, le perdite sono a carico dei depositi di partecipazione. La banca, da parte sua,
sopporta il costo del tempo profuso nello svolgimento dell’attività di asset
management.
Dall’analisi del ruolo delle banche islamiche nel sistema bancario turco e
dall’esame delle caratteristiche dei sistemi finanziari dell’area sud del Mediterraneo,
che saranno illustrati nei successivi paragrafi, emergono alcuni risultati interessanti: i)
i sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA mostrano dei livelli di finanziarizzazione
e di bancarizzazione ancora contenuti; ii) i sistemi bancari dei paesi dell’area MENA
sono caratterizzati da un elevato grado di concentrazione ma, allo stesso tempo,
mostrano tranquillizzanti dati di solidità e di rischio; iii) il sistema bancario turco, che è
in rapida crescita, tende ad amplificare virtù e criticità dei sistemi bancari dell’area
MENA; iv) le banche di partecipazione rappresentano una realtà piccola ma
decisamente dinamica in Turchia.
2. Analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA
2.1 I sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA
Come sottolineato in precedenza tra gli obiettivi del presente lavoro c’è quello di
comprendere la configurazione assunta dai sistemi finanziari dei paesi nell’area sud del
Mediterraneo e, in particolare, di quei Paesi che formano l’area MENA (Middle East
and North Africa). I moderni studi sulla relazione tra economia reale e struttura
finanziaria con riferimento ai paesi occidentali hanno evidenziato la possibilità da parte
del sistema finanziario di favorire la crescita economica. A tal fine, l’analisi prende in
considerazione tre fondamentali caratteristiche dei sistemi finanziari: 1) numerosità e
tipologia degli intermediari; 2) peso dei mercati finanziari; 3) livello di
finanziarizzazione e bancarizzazione raggiunto dalle economie.
I primi dati oggetto di valutazione (si veda la Tabella 1) si riferiscono alla
numerosità degli intermediari finanziari operanti nell’area MENA, numerosità
espressa sia in termini assoluti, che in relazione al numero di abitanti e alla superficie.
Due sono le considerazioni che emergono dalla lettura delle statistiche: in primo
luogo, gli intermediari finanziari operanti in tale regione sono numericamente inferiori
rispetto a quelli dell’UE (14.199 unità contro 4.214.683 unità nell’UE) evidenziando
una presenza meno capillare se si considera sia la superficie del territorio (11,21
intermediari per 10.000 km2 contro i più di 10.000 intermediari nell’area UE), sia
l’ammontare della popolazione (31,30 intermediari per milione di abitanti contro gli
8.344,47 intermediari dell’area UE). In secondo luogo, si può notare il peso rilevante
assunto dagli intermediari tradizionali (in particolare banche, imprese assicurative e
fondi pensione) rispetto a operatori specializzati in attività di private equity e venture
capital. Gli hedge funds, infine, sono presenti in misura trascurabile.
125 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Numero, dimensione e tipologie di intermediari. Anno 2010
Number per 10.000 Km2
15.166
3.851.861
47.643
2.523
1.328
32
Number per 1 million of inhabitants
European Union
30,4
7708,4
95,3
5,1
2,7
0,1
296.130
592,6
740,3
Type of intermediary
Number
Banks
Financial companies
Insurance companies
Private equity firms
Venture Capital firms
Hedge fund
Mutual funds, pension funds,
nominees, trusts and trustee
Total number of intermediaries
Banks
Financial companies
Insurance companies
Private equity firms
Venture Capital firms
Hedge funds
Mutual funds, pension funds,
nominees, trusts and trustee
Total number of intermediaries
1.235
8.652
1.125
47
96
2
4.214.683
8.434,47
Middle East and North Africa
2,7
19,1
2,5
0,1
0,2
0,0
37,9
9629,7
119,1
6,3
3,3
0,1
10.536,70
1,0
6,8
0,9
0,0
0,1
0,0
3.044
6,7
2,4
14.199
31,3
11,2
Tab. 1 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS
Da questi primi dati sembrerebbe emergere, per i sistemi finanziari dell’area
MENA, la presenza di una “catena finanziaria”, certamente non embrionale ma non
ancora pienamente sviluppata. È pur vero che il peso assunto dalla finanza islamica nei
sistemi considerati e le specificità che ne caratterizzano le logiche operative possono
aver influenzato la numerosità di alcune tipologie di intermediari. Emblematico è il
caso degli hedge funds caratterizzati da un approccio altamente speculativo (tipica
operazione effettuata dagli hedge funds è la vendita allo scoperto a scopo ribassista) e,
come tale, in contrasto con i dettami del Corano, che unitamente all’usura, nega
esplicitamente il guadagno basato sulla speculazione (maysir) e sull’incertezza
(gharar)5. Per quanto riguarda i comparti di private equity e venture capital,
generalmente considerati un importante driver di crescita economica, i motivi del loro
scarso sviluppo possono essere ricondotti al fatto che, per la finanza islamica, tali
operazioni rientrano direttamente nel perimetro di attività delle banche islamiche
secondo la logica del PLS. Informazioni utili per giudicare il grado di efficienza
raggiunto da un sistema finanziario si ottengono dalla valutazione della sua capacità di
fornire ai datori di fondi adeguate opportunità di smobilizzo del capitale investito
(prima della naturale scadenza). La predisposizione di strumenti finanziari in grado di
assicurare adeguati livelli di liquidità agli investimenti finanziari e la presenza di
mercati organizzati ove realizzare gli scambi6 rappresentano un importante fattore di
valutazione del livello di sofisticazione raggiunto da un sistema finanziario. A tale
riguardo è possibile affermare che la qualità dei mercati finanziari dei paesi MENA è in
costante miglioramento (cfr. Graf. 1).
5
Si veda Starita (2009).
Cfr. L. Nadotti, C. Porzio, D. Previati, “Economia degli intermediari finanziari”, Mc Graw-Hill,
Milano, 2010, pag.4.
6
126 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
Numero società quotate e rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL. Anno 2010
70,0%
9.256 public companies
60,0%
50,0%
2.222 public companies
40,0%
30,0%
20,0%
10,0%
0,0%
Middle East and North Africa
European Union
Graf. 1 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
Il numero di società quotate è nel 2010 di 2.222 unità, pari a circa un quarto delle
società quotate sulle piazze finanziarie UE (9.256 unità). Il divario, sebbene ancora
rilevante, è andato riducendosi nel corso degli ultimi anni soprattutto se si ragiona in
termini di rapporto tra capitalizzazione di mercato delle società quotate e PIL e si
considera il livello dal quale i mercati muovono in tali economie (Figura 2).
Rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL. Anni 2006-2010
80,0%
70,7%
70,0%
66,5%
60,0%
54,3%
55,7%
50,0%
57,5%
45,7%
Middle East and
North Africa
44,7%
35,5%
European Union
40,0%
35,7%
30,0%
30,5%
20,0%
10,0%
0,0%
2006
2007
2008
2009
2010
Graf. 2 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
127 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Nel 2010, ad esempio, tale indicatore ha assunto un valore pari a circa il 45%, non
eccessivamente lontano dal 57,5% delle Borse UE. Il rapporto tra capitalizzazione di
Borsa e PIL presenta l’indubbio vantaggio di considerare le dimensioni delle società
quotate, ma nel breve periodo la sua valenza informativa può essere condizionata dai
diversi effetti che la crisi finanziaria ha prodotto sui mercati delle due regioni. Ulteriori
indicazioni sulla crescita dei mercati borsistici dell’area MENA, però, possono essere
acquisite guardando l’andamento del rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL
nell’ultimo quinquennio: se nel 2006, primo anno della rilevazione, il differenziale tra
le due regioni superava i 20 punti percentuali (35,7 % contro il 66,5% dei mercati UE)
nel corso del tempo il divario si è ridotto, assestandosi su circa 10 punti percentuali
negli ultimi due anni della rilevazione. In definitiva, così come evidenziato con
riferimento alla numerosità degli intermediari, anche le dimensioni dei mercati
finanziari nell’area MENA appaiono ancora modeste, se paragonate al livello di
sviluppo raggiunto da mercati europei, tuttavia, si può evincere un percorso di crescita
e progressivo recupero che potrà trarre vigore anche dal processo di privatizzazione in
atto in molti paesi del Mediterraneo, soprattutto nel settore delle public utilities.
Ulteriori elementi di valutazione utili all’analisi si riferiscono, da un lato, al grado
di finanziarizzazione dell’economia (financial deepening), e dall’altro, al grado di
bancarizzazione della stessa. La finanziarizzazione è un indicatore definito come
rapporto tra il totale dell’attivo di tutti gli intermediari finanziari operanti in un dato
sistema economico e il PIL di tale sistema alla stessa data. Esso indica la capacità del
sistema finanziario di incorporare il reddito non consumato e la ricchezza accumulata
in contratti che rappresentino forme di investimento per il datore di fondi e veicoli di
finanziamento per il prenditore di fondi. La bancarizzazione è un indicatore definito
dal rapporto tra il totale dell’attivo di tutte le banche e il PIL del paese in cui esse
operano. Esso fornisce informazioni sull’attività svolta dalle sole banche nel processo
di trasferimento delle risorse finanziarie e sulla loro capacità di orientare le scelte di
investimento dei soggetti risparmiatori. Sotto il profilo della finanziarizzazione, come
pure sotto il profilo della bancarizzazione, i paesi dell’area MENA mostrano dei livelli
discreti, ma ancora lontani da quelli tipici dei paesi europei (FIGURA 3).
Livello di finanziarizzazione e bancarizzazione dell’economia MENA. Anni 2005-2010
Financialisation
Bancarisation
1800%
2500%
Middle East and North Africa
European Union
Middle East and North Africa
European Union
1600%
2000%
1400%
1200%
1500%
1000%
800%
1000%
600%
400%
500%
200%
0%
0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2005
2006
2007
Graf. 3 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
128 2008
2009
2010
L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
Nel 2010 sotto il profilo della finanziarizzazione i paesi dell’area MENA
raggiungono un valore attorno al 200%, mentre il livello nell’area UE è decisamente
più alto (1.500%). Anche sotto il profilo del grado di bancarizzazione, i paesi dell’area
MENA presentano un valore di circa 8 volte (135% del PIL) inferiore rispetto a quello
evidenziato dai paesi dell’UE (1.000%). Il differenziale, però, è destinato a ridursi nei
prossimi anni, sotto entrambi i profili, per via delle politiche di liberalizzazione
perseguite da alcuni paesi dell’area (Turchia in primis). È prevedibile, infatti, che tali
politiche produrranno una richiesta massiccia di servizi finanziari a supporto della
crescita economica. In sintesi, l’analisi delle caratteristiche assunte dalla struttura dei
sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA ha evidenziato: una presenza ancora
limitata di intermediari finanziari rispetto a quella normalmente presente in un paese
finanziariamente evoluto, un peso contenuto, ma in progressiva crescita, dei mercati di
borsa, un livello di finanziarizzazione e bancarizzazione ancora contenuto se
paragonato a quello europeo ma in crescita.
2.2 I sistemi bancari dei paesi dell’area MENA
Il secondo obiettivo del presente lavoro è individuare le caratteristiche dei sistemi
bancari dei paesi dell’area MENA. Il confronto tra grado di finanziarizzazione e grado
di bancarizzazione effettuato al paragrafo precedente suggerisce, infatti, l’opportunità
di procedere a un approfondimento delle loro caratteristiche7. Se la dimensione dei
sistemi bancari, espressa attraverso il grado di bancarizzazione, risulta inevitabilmente
contenuta rispetto all’area Euro, è comunque utile approfondirne l’assetto in termini
di: 1) concentrazione; 2) solidità; e 3) rischio. L’obiettivo è quello di verificare il ruolo
assunto nell’esercizio dell’attività di intermediazione e l’efficacia dello stesso.
Il primo aspetto oggetto di approfondimento è rappresentato dal grado di
concentrazione esistente nel settore bancario dei paesi dell’area MENA. Tale dato,
infatti, fornisce una proxy del livello di concorrenza esistente tra gli operatori
all’interno del mercato del credito in quanto viene calcolato sulla base dei prestiti
erogati ad una certa data (cfr. Graf. 4).
È facile notare come i 10 maggiori istituti di credito coprono, da soli, quasi il 30%
del totale dei prestiti erogati dalle banche operanti nei paesi dell’area MENA. Oltre
l’80% dell’intero mercato del credito dei paesi dell’area MENA è nelle mani dei primi
100 istituti mentre le prime 100 banche europee detengono circa il 70% del mercato dei
prestiti. I sistemi bancari dei paesi dell’area MENA mostrano livelli di concentrazione
leggermente superiori a quelli europei. Questo potrebbe far ritenere l’esistenza di
minori livelli di competizione con effetti negativi su qualità e costo di prodotti e servizi
7
Il rapporto tra il totale degli attivi delle banche e il totale degli attivi di tutti gli intermediari,
banche comprese, che è pari a circa il 70% per il 2010, evidenzia la presenza nell’area MENA di
sistemi finanziari a forte vocazione creditizia, vale a dire sistemi orientati maggiormente verso un
modello bancocentrico, piuttosto che verso un modello fondato sul ruolo prevalente dei mercati di
borsa. Per una rassegna su ciascuno dei paesi dell’area MENA si vedano Demirguc-Kunt e Levine
(2001).
129 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
bancari. Tuttavia, mercati del credito caratterizzati da livelli di competitività non
elevati risultano più stabili e tendenzialmente in grado di mantenere costante il flusso
di credito messo a disposizione dei settori produttivi in una fase di crescita economica.
Peraltro non esiste nel settore finanziario la certezza che livelli di competizione
crescenti generino crescenti livelli di efficienza.
Grado di concentrazione del sistema bancario nell’area MENA. Anno 2010
90,0%
80,0%
70,0%
60,0%
50,0%
40,0%
30,0%
20,0%
10,0%
0,0%
The 10 largest banks
The 20 largest banks
Middle East and North Africa
The 50 largest banks
The 100 largest banks
European Union
Graf. 4 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS
Ulteriori indicazioni sul grado di concorrenza possono essere tratte dalla dinamica
degli indici di concentrazione nel periodo 2005-2010 (cfr. Graf. 5), da cui emerge, in
maniera evidente, l’esistenza all’interno dei sistemi bancari dei paesi MENA di una
crescita contenuta ma costante della pressione competitiva.
A titolo esemplificativo è possibile evidenziare come se nel 2005 i 100 maggiori
istituti di credito coprivano da soli quasi il 90% (88%) del totale dei prestiti erogati da
tutte le banche operanti nell’area MENA; nel 2010 tale valore ha subito una
contrazione di circa quattro punti percentuali.
Per comprendere se l’assetto scarsamente contendibile dei sistemi bancari dei paesi
dell’area MENA possa rappresentare una minaccia (alti costi dei servizi e dei prodotti)
o una opportunità (flusso di credito costante per il finanziamento delle economie in
fase di sviluppo accelerato) è necessario guardare alla solidità delle banche. Secondo
gli studiosi di economia delle aziende di credito per descrivere la solidità delle banche
è necessario valutare i seguenti aspetti: efficienza operativa; redditività operativa e
netta; patrimonializzazione (si veda la Tab. 2). Le informazioni su tali aspetti saranno
130 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
precedute dal commento sul dato relativo alla dimensione espressa in termini di totale
attivo.
Evoluzione del grado di concentrazione del sistema bancario nell’area MENA.
Anni 2005-2010
The 10 larger banks
The 20 larger banks
Middle East and North Africa
European Union
30,2%
27,8%
23,6%
Middle East and North Africa
European Union
45,3%
41,6%
40,0%
38,0%
22,7%
36,4%
20,0%
20,0%
0,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2005
2010
The 50 larger banks
70,0%
60,0%
2007
2008
2009
2010
The 100 larger banks
Middle East and North Africa
European Union
66,0%
71,1%
2006
Middle East and North Africa
European Union 83,9%
88,0%
80,0%
75,2%
72,2%
59,5%
56,2%
50,0%
60,0%
40,0%
40,0%
30,0%
20,0%
20,0%
10,0%
0,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Graf. 5 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS
Il sistema bancario dell’area MENA: principali indicatori. Anno 2010
Tipologia intermediario
Total Asset (migliaia di dollari)
Cost-Income ratio
Net interest margin
Roe
Total capital ratio
Total Asset (migliaia di dollari)
Cost-Income ratio
Net interest margin
Roe
Total capital ratio
Media
European Union
19.161.259
68,0%
2,5%
8,3%
17,8%
Middle East and North Africa
9.790.181
52,3%
3,5%
9,4%
24,1%
Mediana
Dev. Standard
679.545
66,7%
2,4%
6,8%
15,3%
124.097.023
40,9%
10,7%
30,0%
15,7%
1.960.350
49,1%
3,2%
11,6%
18,0%
26.514.863
71,7%
3,2%
34,0%
18,4%
Tab. 2 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS
Sotto il profilo dimensionale (media del totale attivo) le banche dell’area MENA
presentano un valore medio inferiore (poco meno di 10 miliardi di dollari) rispetto a
quello delle banche operanti nell’ UE. Le banche europee, infatti, presentano un valore
medio del totale attivo che si aggira intorno ai 20 miliardi di dollari. Tuttavia, il loro
131 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
valore mediano è di soli 679 milioni di dollari, mentre quello delle banche dell’area
MENA risulta decisamente più elevato e pari a circa 2 miliardi di $. Tale evidenza
suffraga quanto emerso con riferimento all’analisi della concentrazione dei sistemi
bancari e suggerisce la scarsa presenza nell’area MENA di banche di piccole
dimensioni che, al contrario, sono largamente presenti in ambito europeo per via di una
lunga tradizione di banche di credito cooperativo e di risparmio. È probabile che la
attuale carenza di una significativa “biodiversità dimensionale” nei paesi dell’area
MENA possa avere effetti negativi sulla capillarità del supporto finanziario all’attività
di impresa. Dal un punto di vista dell’efficienza operativa, il rapporto tra costi e
margine di intermediazione (cost income ratio) si colloca su livelli sensibilmente più
bassi di quelli presenti a livello europeo. In media l’incidenza dei costi operativi si
attesta per i paesi MENA su livelli di poco superiori al 50% (52,32%) contro il 67,35%
evidenziato dalle banche europee denotando una maggiore capacità delle banche
MENA di tenere sotto controllo i costi del personale e gli altri costi operativi. Si
rammenta, tuttavia, che tale dato va acquisito con una certa cautela considerando che
l’efficienza operativa delle banche non dipende solo dalle abilità manageriali, ma anche
dal profilo dimensionale e da fattori esogeni, quale ad esempio il costo del lavoro8.
Sotto il profilo della redditività, l’analisi muove dalla valutazione della redditività
operativa, vale a dire dal rapporto tra margine d’interesse e totale attivo. Si tratta di un
indicatore che, nella tradizione bancaria, risente positivamente dello spread tra tassi
attivi, relativi ai prestiti, e tassi passivi, relativi ai depositi. Nel 2010, il margine di
interesse rispetto al totale attivo è stato in media pari a 2,53% per le banche dell’area
MENA e al 3,50% per quelle dell’UE. Il dato è, in parte, influenzato dalla presenza
nell’area MENA di banche islamiche e, in parte, frutto della volontà delle banche dei
paesi MENA di “garantire” ex-post dei livelli di remunerazione degli impieghi e di
costo della raccolta in linea con i tassi offerti dalle banche dei paesi europei. Un altro
importante elemento per descrivere la redditività delle banche è fornito dall’analisi
della redditività netta in rapporto al capitale netto, vale a dire il Roe. Anche tale
espressione della redditività bancaria presenta (2010) per le banche dei paesi dell’area
MENA un valore molto vicino a quello delle banche europee. La solidità di una
banca, oltre che dal punto di vista dell’efficienza e della redditività, può essere valutata
analizzando il grado di patrimonializzazione espresso in termini di total capital ratio.
Le banche dei paesi MENA presentano, anche sotto questo profilo, un livello di
solidità elevato rispetto a quanto evidenziato dalle banche dei paesi europei9.
Complessivamente possiamo pertanto concludere affermando che soprattutto per
quanto riguarda l’ultimo anno a nostra disposizione (il 2010), le banche dei paesi
MENA presentano livelli di efficienza operativa, redditività e patrimonializzazione in
linea con quelli delle banche europee (anche considerando l’effetto di una minore
dimensione media delle banche dei paesi MENA). Per completare l’analisi sui sistemi
bancari dei paesi dell’area MENA è necessario affiancare alle informazioni emerse
8
Per approfondimenti si veda OECD (2012).
Per un approfondimento sul calcolo del total capital ratio delle banche islamiche si vedano
Porzio e Starita (2012). 9
132 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
sulla solidità delle banche anche i dati concernenti il rischio assunto dalle stesse nello
svolgimento dell’attività di intermediazione. In mancanza di informazioni puntuali sul
rischio del portafoglio prestiti delle banche, il rischio assunto dalle stesse può essere
desunto da: 1) il peso del portafoglio prestiti rispetto al totale dell’attivo (loans to total
asset); 2) l’incidenza dei prestiti problematici sul totale dei prestiti erogati a una certa
data (non performing loans on gross loans); 3) il livello del tier 1 ratio, vale a dire il
rapporto tra le risorse che possono essere usate prontamente per onorare gli impegni
nei confronti dei depositanti e la frazione dei prestiti che potenzialmente potrà essere
interessata da problemi di recupero (Graf. 6)10. Il rapporto tra prestiti e totale attivo
esprime, indirettamente, l’esposizione delle banche ai rischi dell’attività creditizia. Per
l’orizzonte temporale 2005-2010 tale rapporto si attesta intorno al 40% per le banche
dei paesi dell’area MENA e intorno al 50% per le banche dell’UE. Il dato,
considerando il ruolo della finanza islamica in questi paesi, è in linea quello europeo e
coerente con una attività finanziaria di tipo tradizionale.
L’andamento dei prestiti problematici rispetto al totale dei prestiti concessi risente
fortemente dell’andamento del ciclo economico. Sotto questo profilo, le banche dei
paesi dell’UE mostrano nell’arco temporale 2005-2010 un trend di crescita dei crediti
problematici; al contrario le banche dei paesi dell’area MENA mostrano un andamento
altalenante, ma comunque attestato su livelli più alti di quelli delle banche europee.
Il tier 1 ratio per le banche dei paesi dell’area MENA supera la soglia del 20% per
tutti gli anni oggetto della nostra rilevazione, mentre il tier 1 ratio delle banche europee
mostra dei valori intorno al 15%. È ovvio che tale ratio dipenda dal peso dell’attività di
intermediazione, e dal peso dei prestiti problematici, ma è evidente che sia per le
banche dell’area MENA, che per quelle UE il ratio supera ampiamente la soglia
minima fissata dal Nuovo Accordo sul Capitale. È possibile affermare, quindi, che le
1.235 banche dei paesi MENA (come da Tabella 1) e le 15.166 banche dell’UE (come
da Tabella 1) risultano essere, in media, patrimonializzate oltre la soglia fissata dalla
best practices internazionali nell’orizzonte temporale considerato e, quindi, in grado di
fronteggiare il rischio insito nell’attività creditizia.
L’esame del rischio assunto dalle banche dei paesi dell’area MENA ha messo in
luce come il minor peso dei prestiti e il maggior peso dei crediti problematici rispetto
alle banche dell’UE siano compensati da un valore significativo del tier 1 ratio.
In sintesi, l’analisi delle caratteristiche distintive dei sistemi bancari dei paesi
dell’area MENA ha evidenziato l’esistenza di mercati del credito ancora piuttosto
concentrati. Tuttavia, tale limite appare tollerabile se si guarda allo stato di salute dei
sistemi bancari di questi paesi. Dall’analisi svolta emerge, infatti, che lo stato di salute
delle banche MENA sia sostanzialmente buono sia dal punto di vista dell’efficienza
che da quello della redditività e della patrimonializzazione. Tali evidenze, poi, risultano
essere irrobustite dalle informazioni sul rischio mediamente assunto dalle banche dei
paesi dell’area MENA.
10
Come è noto, il Nuovo Accordo sul Capitale fissa nell’8% la soglia minima del rapporto tra il
patrimonio di vigilanza e l’attivo ponderato per il rischio. Si veda BIS (2006).
133 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Andamento dei principali indicatori di bilancio delle banche dell’area MENA.
Anni 2005-2010. Loans on totale asset
60,0%
50,0%
Middle East and
North Africa
40,0%
30,0%
20,0%
European Union
10,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Nonperforming loans on gross loans
12,0%
10,0%
Middle East and
North Africa
8,0%
6,0%
4,0%
European Union
2,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Tier 1 ratio
30,0%
25,0%
Middle East and North
Africa
20,0%
15,0%
10,0%
European Union
5,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Graf. 6 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS
3. Analisi della struttura finanziaria della Turchia
3.1 Il sistema finanziario della Turchia
L’analisi della struttura finanziaria della Turchia verte sull’esame del sistema
finanziario nella sua interezza e sull’approfondimento del ruolo che le banche rivestono
al suo interno. Il framework dell’analisi, in altri termini, segue volutamente lo schema
134 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
adottato con riferimento ai paesi dell’area MENA, cui si aggiunge una approfondita
appendice relativa al ruolo delle sole banche islamiche (banche di partecipazione, ndr).
In particolare, le statistiche sui dati aggregati del sistema finanziario e bancario
saranno affiancate dai dati medi relativi all’area MENA e dai dati relativi alla
Germania, il paese europeo con il quale la Turchia intrattiene importanti relazioni
economiche (cfr. Tab. 6, 7 del Capitolo III all’interno del presente Rapporto).
L’analisi del sistema finanziario turco, conseguentemente, poggia sui tre elementi
esplicativi della struttura finanziaria dell’economia: 1) numerosità e tipologia degli
intermediari in essa operanti; 2) peso della borse attive all’interno del sistema
economico; 3) livello di finanziarizzazione e di bancarizzazione.
Le prime statistiche sul sistema finanziario turco (cfr. Tab. 3) si riferiscono alla
numerosità degli intermediari finanziari operanti in Turchia espressa sia in termini
assoluti, che in relazione alla popolazione e alla superficie.
Numero, dimensione e tipologie di intermediari finanziari in Turchia. Anno 2010
Type of intermediary
Number
Number per 1 million of
inhabitants
Number per
10.000 Km2
Turchia
Banks
Financial companies
Insurance companies
Private equity firms
Venture Capital firms
Hedge fund
Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee
Total number of financial intermediaries
149
277
102
3
2
0,
160
693
Germania
Banks
3.539
Financial companies
204.000
Insurance companies
1668
Private equity firms
423
Venture Capital firms
387
Hedge fund
0
Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee
20.035
Total number of financial intermediaries
230.052
Middle East and North Africa
Banks
1.235
Financial companies
8.652
Insurance companies
1.125
Private equity firms
47
Venture Capital firms
96
Hedge funds
2
Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee
3.044
Total number of financial intermediaries
14.199
1,99
3,71
1,37
0,04
0,03
0,00
2,147
9,27
1,90
3,54
1,30
0,04
0,03
0,00
2,04
8,84
42,90
2.473,03
20,22
5,13
4,69
0,00
242,88
2.788,85
99,13
5.713,92
46,72
11,85
10,84
0,00
561,17
6.443,62
2,72
19,07
2,48
0,10
0,21
0,00
6,71
31,30
0,98
6,83
0,89
0,04
0,08
0,00
2,4
11,21
Tab. 3 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS
I dati di Tabella 3, che forniscono indicazioni sulla numerosità dei soggetti operanti
all’interno dei circuiti finanziari diretti e indiretti e informazioni preliminari sul grado
di finanziarizzazione dell’economia, evidenziano, in Turchia, una presenza di
intermediari finanziari (9,27 intermediari per milione di abitanti e 8,84 per 10.000 km2)
meno capillare rispetto alla Germania (2.473,03 intermediari per milione di abitanti e
135 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
5.713,92 per 10.000 km2), ma tendenzialmente in linea con il resto dell’area MENA
(31,30 intermediari per milione di abitanti e 11,21 intermediari per 10.000 km2).
Focalizzando l’attenzione sulle diverse tipologie di intermediari, le differenze tra il
sistema finanziario turco e quello tedesco risultano più accentuate ed emergono aspetti
solo in parte comuni agli altri sistemi finanziari dell’area MENA. In particolare
dall’analisi dei dati emerge come: i) in Turchia il ruolo assunto da banche,
assicurazioni e fondi pensione (tali intermediari rappresentano il 59% del numero
complessivo di intermediari finanziari) assume un peso specifico maggiore rispetto al
resto dell’area MENA (il 38% del totale degli intermediari finanziari) e soprattutto
rispetto alla Germania (l’11% del totale degli intermediari), dove sono operanti un
numero molto elevato di società finanziarie (204.000 su 230.052 intermediari); ii) le
banche presenti in Turchia sono 1,99 per milione di abitanti, un valore vicino alla
media dell’area MENA (2,72), ma decisamente più basso rispetto alla Germania (42,90
per milione di abitanti); (iii) gli intermediari finanziari non tradizionali hanno una
presenza marginale sul territorio turco, come nel caso degli operatori di private equity
(0,04 operatori di private equity per milione di abitanti in Turchia contro i 5,13
operatori di private equity in Germania) o sono del tutto assenti, come nel caso degli
hedge funds.
Da questi primi dati emerge l’esistenza di un circuito finanziario non
particolarmente sviluppato, in cui le banche pur rivestendo un ruolo importante non
sembrano ancora in grado di garantire una presenza diffusa sul territorio come avviene
in Germania. Lo scarso sviluppo del canale del private equity, poi, può costituire un
ostacolo alla disponibilità di risorse specializzate e di know-how con effetti negativi
sulla competitività del tessuto imprenditoriale e sul nanismo aziendale.
La seconda tipologia di analisi si riferisce allo spessore del mercato borsistico turco
cui le imprese possono fare ricorso per raccogliere risorse finanziarie sotto forma di
capitale di rischio (Graf. 7). Il numero di società quotate sull’Istanbul Stock Exchange
nel 2010 è di 333, pari a circa un terzo delle società quotate sul Frankfurt Stock
Exchange (333/995) e al 15% (333/2.222) delle società quotate in tutta l’area MENA.
Il divario tra il mercato turco e il mercato tedesco è molto meno accentuato se si guarda
al rapporto tra la capitalizzazione di mercato delle società quotate ed il PIL. Nel 2010
tale indice ha assunto un valore di circa il 38%, non molto distante dal 39,6% fatto
registrare dalla Germania.
Per quanto il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL presenti una valenza
informativa che può essere alterata da fattori contingenti (la crisi finanziaria in primis),
è possibile affermare che le dimensioni del mercato borsistico turco sono in linea con
lo stadio di sviluppo dell’economia turca e tendenzialmente migliori rispetto a quelle
evidenziate dal resto del sistema finanziario. A ciò si aggiunge la constatazione
dell’esistenza di un potenziale di crescita inespresso derivante dal fatto che il processo
di privatizzazione delle grandi società operanti nel settore delle public utilities è stato
avviato solo da pochi anni. A suffragio di tali rilievi si procede all’analisi
dell’andamento del rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL per gli anni dal 2006 al
2010 (Graf. 8).
136 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
Numero società quotate e rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL. Anno 2010
46,0%
2.222 public companies
44,0%
42,0%
995 public companies
40,0%
333 public companies
38,0%
36,0%
34,0%
Turkey
Germany
Middle East and North Africa
Graf.7 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
Rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL in Turchia. Anni 2006-2010
60,0%
55,7%
54,0%
50,0%
45,7%
45,6%
40,0%
44,7%
39,4%
35,7%
36,5%
26,7%
30,5%
30,0%
40,0%
37,6%
34,9%
25,1%
23,5%
20,0%
10,0%
0,0%
Turkey
2006
2007
Germany
Middle East and North Africa
2008
2009
2010
Graf. 8 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
Il peso della capitalizzazione dell’Istanbul Stock Exchange sul PIL turco è pari al
23,5% nel 2006, raggiunge il 40% nel 2007, cade al 25% nel 2008 per riportarsi al 35%
nel 2009 e al 40% nel 2010. Al di là dell’evidente sincronismo tra gli andamenti di
137 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
tutte le borse prese in considerazione, la borsa turca mostra, nell’orizzonte temporale
considerato, un sentiero di sostanziale sviluppo.
Per completare la descrizione del sistema finanziario turco si considerano i livelli di
finanziarizzazione e di bancarizzazione (così come definiti nel paragrafo 4.2.1)
(Grafico 9).
Livello di finanziarizzazione e bancarizzazione dell’economia Turca. Anni 2005-2010
Financialisation
Bancarisation
Turkey
Germany
Middle East and North Africa
800%
Turkey
Germany
Middle East and North Africa
600%
700%
500%
600%
400%
500%
400%
300%
300%
200%
200%
100%
100%
0%
0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Graf. 8 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale
Il sistema finanziario turco mostra nel 2010 un grado di finanziarizzazione (137%)
in linea con la media dell’area MENA (164%), ma, comprensibilmente, lontano da
quello raggiunto dal sistema finanziario tedesco (700%). Guardando all’intero arco
temporale 2005-2010, il grado di finanziarizzazione della Turchia risulta comunque in
crescita. Sul fronte della bancarizzazione emerge una situazione analoga: nel 2010 le
banche turche gestiscono attivi che pesano per il 123% del PIL. Si tratta di un valore in
linea con il 143% degli attivi di tutte le banche dei paesi dell’area MENA, ma ancora
lontano dal 527% del PIL delle housebank tedesche. Anche in questo caso, tuttavia, si
può notare come, guardando al trend relativo al periodo 2005-2010, il livello di
bancarizzazione è in crescita nonostante la flessione del 2008.
In sintesi, il sistema finanziario della Turchia presenta molte analogie con quelli dei
paesi dell’area MENA in termini di numerosità degli intermediari, peso dei mercati
finanziari e livelli di finanziarizzazione e bancarizzazione. Il confronto con la
Germania, suo principale partner commerciale, ha permesso, invece, di evidenziare
come, pur con l’eccezione del mercato di Borsa, la Turchia presenti una certo ritardo
nell’evoluzione del suo sistema finanziario rispetto ai sistemi finanziari europei,
sebbene la distanza esistente si sia progressivamente ridotta nel corso degli ultimi anni.
3.2 Il sistema bancario della Turchia
Per studiare le caratteristiche del sistema bancario della Turchia si procederà
all’analisi dell’attività di intermediazione in termini di: 1) grado di concentrazione; 2)
livello di solidità espresso sulla base dell’efficienza operativa, della redditività
operativa e netta, della patrimonializzazione; 3) rischio desunto indirettamente dai
138 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
prestiti erogati, dai crediti problematici e dal grado di patrimonializzazione disponibile
per far fronte al rischio stesso. Il Grafico 10 mostra il livello di concentrazione
relativo al 2010 con riferimento ai primi 10, 20, 50 e 100 istituti bancari della Turchia,
della Germania e dei paesi dell’area MENA, mentre il GRAFICO 11 mostra le stesse
informazioni ma relative all’intero arco temporale 2005-2010.
Grado di concentrazione del sistema bancario in Turchia. Anno 2010
120,0%
100,0%
80,0%
60,0%
40,0%
20,0%
0,0%
The 10 largest banks
Turkey
The 20 largest banks
Germany
The 50 largest banks
The 100 largest banks
Middle East and North Africa
Graf. 10 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS
Nel 2010, le prime 10 banche per totale attivo della Turchia coprivano da sole più
dell’80% dell’attivo dell’intero sistema bancario. Si tratta di un dato in evidente
contrasto con la media dei paesi dell’area MENA (meno del 30%) e con la Germania
(circa 50%)11. Le prime 20 banche turche rappresentano addirittura il 95% circa degli
attivi intermediati sul mercato turco. Osservando il trend degli attivi dei primi 10
istituti si comprende come l’elevato grado di concentrazione in Turchia sia frutto anche
del lento processo di diffusione della concorrenza all’interno del sistema bancario. Nel
2005, infatti, i primi 10 istituti coprivano il 93% del mercato, mentre nel 2009 il loro
peso era sceso all’80% per poi risalire leggermente nel 2010 portandosi all’82%. Tale
andamento segue quello medio evidenziato dai paesi dell’area MENA e si contrappone
al trend dei principali istituti di credito tedeschi che, dopo aver raggiunto un picco di
concentrazione nel 2007 (54%), hanno progressivamente ridotto il livello della loro
influenza.
11
È bene sottolineare come il dato sui primi 10 istituti per totale attivo in Germania sia di per se
lontano dalla media europea (circa 30%) mostrata nel Grafico 5.
139 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Evoluzione del grado di concentrazione del sistema bancario in Turchia. Anni 2005-2010
The 10 larger banks
Turkey
93,2%
Germany
The 20 larger banks
Middle East and North Africa
Turkey
100,0%
Germany
Middle East and North Africa
98,2%
94,2%
82,1%
80,0%
80,0%
66,0%
65,8%
60,0%
50,7%
48,2%
60,0%
45,3%
40,0%
27,8%
20,0%
20,0%
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
0,0%
2005
The 50 larger banks
Turkey
100,0%
41,6%
40,0%
30,2%
Germany
2006
2007
2008
2009
2010
The 100 larger banks
Middle East and North Africa
99,8%
99,8%
Turkey
100,0%
Germany
Middle East and North Africa
100,0%
99,9%
90,0%
80,0%
81,3%
80,2%
70,0%
90,0%
71,1%
88,0%
85,5%
86,9%
83,9%
66,0%
60,0%
80,0%
50,0%
70,0%
40,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Graf. 11 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS
Le informazioni sulla solidità del sistema bancario turco sono precedute dai dati
sulla dimensione media delle banche (cfr. Tab. 4).
Il sistema bancario turco: principali indicatori. Anno 2010
Type of intermediary
Total Asset (migliaia di dollari)
Cost-Income ratio
Net interest margin
Roe
Total capital ratio
Total Asset (migliaia di dollari)
Cost-Income ratio
Net interest margin
Roe
Total capital ratio
Total Asset (migliaia di dollari)
Cost-Income ratio
Net interest margin
Roe
Total capital ratio
Mean
Median
Turkey
13.291.567
1.335.917
59,0%
52,4%
5,6%
4,6%
14,5%
13,9%
28,0%
17,6%
Germany
10.038.116
738.636
68,0%
66,7%
2,9%
2,6%
8,8%
7,3%
16,8%
15,5%
Middle East and North Africa
9.790.181
1.960.350
52,3%
49,1%
3,5%
3,2%
9,4%
11,6%
24,1%
18,0%
Tab. 4 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS
140 Dev. Standard
27.576.372
29,0%
5,0%
11,7%
26,6%
85.035.383
21,9%
13,1%
14,3%
6,1%
26.514.863
71,7%
3,2%
34,0%
18,4%
L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
La dimensione media delle banche turche (misurata dal totale dell’attivo), a
prescindere dalla loro natura (di cui si dirà più avanti), è di circa 13 miliardi di dollari
nel 2010. Tale valore supera sia la media dell’area MENA (circa 10 miliardi di dollari)
sia la media tedesca (anch’essa pari a circa 10 miliardi di dollari).
Sotto il profilo dell’efficienza, le banche turche mostrano nel 2010 un rapporto tra
costi e margine di intermediazione (cost income ratio) che è in media (59,04%)
sensibilmente più basso rispetto al valore registrato dalle banche tedesche (67,95%),
ma più alto di quello dei paesi dell’area MENA (52,32%). I dati evidenziano il ruolo
decisivo giocato nel settore bancario dal costo del lavoro anche per i paesi dell'area
MENA.
Sotto il profilo della redditività, le banche turche sembrano ottenere risultati
migliori (il Net interest margin è in media del 5,60% e il Roe del 14,45%) sia delle
banche tedesche (il Net interest margin è in media del 2,90% e il Roe del 8,76%) sia di
quelle dell’intera area MENA (il Net interest margin è in media del 3,50% e il Roe del
9,42%).
Per quanto riguarda il livello di patrimonializzazione, la media del total capital
ratio delle banche turche sfiora il 28% superando anche in questo caso il livello medio
dei paesi dell’area MENA (24,10%). Il confronto risulta ancora più favorevole con
riferimento sia all’UE (si veda nuovamente la Tab. 2 presente all’interno di tale
capitolo) che alla Germania in particolare (16,79%).
Per completare il quadro dell’analisi affianchiamo alle considerazioni sulla solidità
quelle derivanti dalla valutazione dei dati relativi ai livelli di rischi assunti dalle banche
dei diversi paesi considerati (Grafico 12).
Il peso del rischio insito nell’attività di intermediazione svolta dalle banche turche è
crescente. In particolare, se nel 2005 il peso dei prestiti erogati sull’intera attività di
intermediazione superava appena il 30%, negli anni successivi esso si è andato
progressivamente attestando su livelli prossimi al 50%. Ciò nonostante, il peso dei
crediti problematici risulta contenuto soprattutto se confrontato con quello assunto nei
bilanci delle banche dei paesi dell’area MENA. A parità di dimensione media e di
prestiti erogati rispetto al totale attivo, il peso dei crediti problematici è per le banche
turche circa la metà di quello delle banche dell’area MENA (fatta eccezione per il
2009). Guardando al Tier 1 ratio, vale a dire alle risorse patrimoniali a disposizione
delle banche per fronteggiare il rischio dell’attività creditizia, le banche turche, come in
media quelle dei paesi dell’area MENA, risultano sufficientemente patrimonializzate.
Di contro, la Germania, analogamente al resto dell’UE, mostra valori di Tier 1 ratio
più contenuti.
In sintesi, il sistema bancario turco appare concentrato nelle mani di pochi grandi
intermediari creditizi e sebbene questo possa nuocere al grado di concorrenza presente
sul mercato, le banche risultano sostanzialmente solide per il grado di efficienza, di
redditività e il livello di patrimonializzazione raggiunto. Anche con riferimento alla
rischiosità degli asset il giudizio sul sistema bancario turco risulta positivo in quanto
caratterizzato da una bassa incidenza dei crediti problematici.
Andamento dei principali indicatori di bilancio delle banche turche. Anni 2005-2010
141 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Loans on total asset
60,0%
50,0%
Turkey
40,0%
30,0%
Germany
20,0%
10,0%
Middle East and
North Africa
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2.010,00
Nonperforming loans on gross loans
12,0%
10,0%
Turkey
8,0%
6,0%
Germany
4,0%
2,0%
Middle East and
North Africa
0,0%
2005
2006
2007
2008
2009
2.010,00
Tier 1 ratio
45,0%
40,0%
35,0%
Turkey
30,0%
25,0%
20,0%
Germany
15,0%
10,0%
5,0%
Middle East and
North Africa
0,0%
2005
2006
2007
2008
Graf. 12 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS
142 2009
2.010,00
L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
3.3 Il ruolo delle banche islamiche (banche di partecipazione) all’interno del sistema
bancario della Turchia
La genesi delle banche islamiche in Turchia e l’attuale assetto regolamentare e
istituzionale
La prima banca islamica operante in Turchia fu la DESIYAB (State Bank for
Industry and Migrant Investment) costituita nel 1976 con l’intento di raccogliere i
risparmi dei turchi emigrati all’estero ed impiegarli in attività coerenti con i precetti
della religione islamica. Si trattava, tuttavia, di un’esperienza isolata, maturata in un
contesto privo della necessaria struttura giuridica e normativa e in un periodo in cui le
banche di deposito, equiparabili per tipologia di attività svolta alle banche commerciali
occidentali, rivestivano un ruolo dominante all’interno del sistema bancario turco. Non
deve sorprendere, dunque, se a soli due anni dalla sua costituzione, nel 1978, la
DESIYAB fu trasformata in banca di deposito.
Qualche anno più tardi, con il Decreto 83/7503 del 16 dicembre 1983, il Legislatore
cercò di colmare il vuoto normativo introducendo nel sistema finanziario turco la figura
della Special Finance House (d’ora in avanti SFH) con il compito di esercitare l’attività
bancaria seguendo i canoni della fede islamica. Difatti, la SFH si configurava come
l’intermediario autorizzato a esercitare congiuntamente la raccolta dei depositi di tipo
non convenzionale (vale a dire non remunerati con il tasso d’interesse e non tutelati dal
dal Fondo di garanzia) e la concessione di prestiti attraverso la condivisione dei rischi
con i prenditori di fondi e la fornitura di beni e servizi destinati ai prenditori stessi.
Le motivazioni sottostanti l’introduzione, all’interno dell’ordinamento giuridico,
della SFH possono essere sintetizzate in tre punti:
1) la volontà di attirare una parte rilevante degli ingenti capitali dell’area del Golfo
Persico, a forte vocazione islamica, necessari a realizzare il piano delle infrastrutture
varato per il definitivo decollo economico e sociale del paese;
2) la necessità di consentire l’accesso al sistema finanziario dei cittadini turchi di
fede islamica la cui religione impediva di affidare i propri risparmi e di chiedere
finanziamenti alle banche di deposito;
3) l'esigenza di evitare l’istituzione di una tipologia di intermediario che avesse la
denominazione di banca islamica per non urtare la suscettibilità del mondo occidentale,
in primis l’UE (stando alle relazioni economiche e politiche che di lì a poco si
sarebbero intensificate e alla circostanza per la quale la religione islamica, sebbene
diffusa nel paese, non fosse religione di Stato).
Nel 1985, dopo soli due anni dal varo della legge che istituì e disciplinò le SFHs,
furono costituite Al-Baraka-Turk e Faisal Finans, entrambe con capitali provenienti
dall’area del Golfo Persico, e successivamente, l’Anadolu Finans nel 1991, la Ihlas
Finans nel 1995 e la Asya Finans nel 1996, tutte con capitale turco (almeno all’origine:
si veda la Tabella 5 per la genesi e l'attuale assetto delle banche islamiche turche).
143 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Le banche di partecipazione
Year of foundation
1985
1985
1989
1991
1995
1996
Original name
Al-Baraka-Turk
Faisal Finans
Kuveyt-Turk
Anadolu Finans
Ihlas Finans
Asya Finans
Original ownership
Saudi Arabia
Saudi Arabia
Kuwait Finance House
Turkey
Turkey
Turkey
Current name
Al-Baraka-Turk
Turkiye Finance PB
Kuveyt-Turk
Turkiye Finance PB
Asya Finans
Current ownership
Saudi Arabia
Saudi Arabia
Kuwait Finance House
National Bank of Saudi Arabia
Turkey
Tab. 5 - Fonte: Elaborazione a cura degli autori
Il contesto in cui vennero istituite le SFHs era, tuttavia, poco favorevole perché
caratterizzato dalla presenza dominante delle banche di deposito, che ne ostacolavano
lo sviluppo, dall’assenza di una adeguata regolamentazione e di una necessaria
vigilanza del sistema finanziario e bancario e, infine, dalla presenza di una classe
politica e imprenditoriale inaffidabile come confermato dai comportamenti tenuti nel
periodo degli attacchi speculativi alla lira turca12.
Tale contesto fortemente instabile favorì la diffusione di fenomeni di “moral
hazard” tra i manager delle banche, protesi a perseguire i propri interessi e quelli degli
azionisti di controllo. Il risultato fu il fallimento di un elevato numero di istituti di
credito turchi.
Nell’insieme delle banche fallite o prossime al fallimento rientravano anche due
delle SFHs fondate pochi anni prima: l’Ihlas Finans che fallì nel 1999 e la Faisal
Finans che cambiò denominazione in "Family Finans" nel 2001 dopo aver sfiorato il
fallimento. Le crisi finanziarie che coinvolsero le SFHs svelarono due forti limiti della
regolamentazione allora vigente, entrambi derivanti dall'equiparare, nei fatti, le SFHs
alle banche di deposito, vale a dire: 1. la mancata tutela dei depositanti delle SFHs che
non potevano usufruire della protezione del Fondo di garanzia. 2. l’impossibilità, da
parte delle SFHs, di ricorrere ai mercati interbancari per fare provvista di liquidità e di
liquidare anticipatamente gli asset sottostanti i contratti di murabaha e di mudaraba.
I problemi finanziari che colpirono in quegli anni l’intero sistema bancario turco
fecero emergere, da un lato, l’esigenza di far rientrare le SFHs nell’ambito di
applicazione della regolamentazione delle banche di deposito, dall’altro, la necessità di
rafforzare la vigilanza sul sistema bancario. Si sono susseguite, così, a partire dalla fine
degli anni 90’ una serie di riforme legislative culminate nell’emanazione della Legge
5411 del 2005 (anche nota come Banking Act), che ha innovato e sistematizzato la
regolamentazione del sistema bancario turco e riconosciuto, definitivamente, lo status
di banche alle SFHs.
I principali contenuti della Legge 5411, attualmente in vigore, riguardano più in
generale:
a) la definizione di attività bancaria e l’accesso al suo esercizio;
12
"Banking licenses were granted to the businessman in the political network and later they used
banks as a funding mechanism for their group companies and even for their shell companies". Ozkan
Gunay e Hortacsu, 2011, p. 15.
144 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
b) le regole prudenziali in termini di partecipazioni detenibili, contenimento e
diversificazione del rischio, organizzazione amministrativa e contabile e
controlli interni;
c) la vigilanza.
Per esigenze di sinteticità si riportano in questa sede alcune considerazioni riferite
ai punti a) e c).
In primo luogo, la Legge 5411 fornisce un elenco tassativo delle operazioni che
rientrano nel perimetro dell’attività bancaria: raccolta dei depositi, gestione dei mezzi
di pagamento, transazioni in moneta, titoli e strumenti finanziari a termine, servizi
d’investimento, factoring, leasing, gestione dei fondi pensione.
Vengono, inoltre, elencate le condizioni da rispettare al fine di ottenere
l’autorizzazione a operare come banche, in termini di forma giuridica, capitale minimo,
programma iniziale d’attività, procedure di controllo interno, onorabilità, indipendenza
e professionalità di coloro i quali ricoprono incarichi dirigenziali. Al fine di risultare
validamente costituiti, gli istituti bancari in Turchia devono, in particolare, optare per
uno dei tre status previsti dalla Legge 541113:
1. Banche di deposito (depository banks) che si occupano dell’attività di raccolta
del risparmio e di erogazione del credito e che possono svolgere tutte le
operazioni bancarie a eccezione di quelle inerenti il leasing. La loro attività, in
altri termini, è assimilabile all’attività svolta dalle banche di credito
commerciale.
2. Le banche di investimento e di sviluppo (investment and development banks)
che si occupano della raccolta presso soggetti istituzionali, anche di emanazione
pubblica, non potendo raccogliere depositi tradizionali e di partecipazione, e che
investono prevalentemente nelle cosiddette “grandi opere”.
3. Le banche di partecipazione (participation banks) (che saranno analizzate
approfonditamente nel successivo sotto paragrafo), che raccolgono il risparmio
sotto forma di depositi di partecipazione ed impiegano le risorse proprie e quelle
raccolte seguendo gli insegnamenti del profeta Maometto. Seguendo questa
classificazione, l’assetto del sistema bancario turco a dicembre 2010 si compone
di 49 banche di cui 32 banche di deposito, 13 banche di investimento e sviluppo
e 4 banche islamiche14 (come da Tab.6). Le 32 banche di deposito possono
essere così suddivise: 17 sono banche estere; 3 sono banche pubbliche; 12 sono
banche private.
13
Il Legislatore aggiunge un quarto status, quello delle società di leasing e factoring. Tali
intermediari, però, non potendo essere considerati banche, sono regolamentanti dalla legislazione
precedente cui si aggiunge il controllo esercitato dalla BDDK (si veda più avanti).
14
Il numero totale di banche in Tabella 6 differisce dal numero totale di banche in Tabella 3 in
quanto quest’ultima fa riferimento non solo alle banche di deposito, banche di investimento e
sviluppo e banche di partecipazione, ma anche alle banche di investimento.
145 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Il sistema bancario in Turchia. Anno 2010
Banks
Depository banks
Investment and
development banks
Participation banks
Total
Number
%
65,3%
Total asset
(mlsUS $)
445.906,3
32
13
4
49
26,5%
8,2%
100,0%
15.259,3
19.583,1
480.748,7
%
92,8%
Loans*
(mls US $)
219.367,7
3,2%
4,1%
100,0%
7.434,9
13.856,6
240.659,3
%
91,2%
Deposits
(mls US $)
283.649,2
%
95,0%
Loans to
deposits
77,3%
3,1%
5,8%
100,0%
15.032,3
298.681,5
0,0%
5,0%
100,0%
92,2%
80,6%
*Leasing receivables, non-performing loans, profit share and income accruals and rediscounts are excluded
Tab. 6 - Fonte: elaborazione su dati TKBB (2012)
Le banche di deposito rappresentano più della metà delle banche presenti all’interno
del sistema bancario turco (65%), ma raccolgono ben il 95% delle risorse destinate al
risparmio e impiegano il 91% di tali risorse nell’attività di prestito. Le banche di
partecipazione, invece, rappresentano una piccola realtà: il totale attivo di queste
banche pesa, infatti, appena per il 4% del totale degli attivi gestiti da tutto il sistema
bancario. Vero è che tali banche hanno il più alto rapporto tra prestiti e depositi, pari
quasi all’unità (0,92).
Per quanto concerne la vigilanza sul sistema bancario, due sono le Autorità
amministrative indipendenti responsabili del buon funzionamento del settore:
l’Autorità’ di regolazione e controllo (BDDK - Bankacilik Düzenleme ve Denetleme
Kurumu – BRSA - Banking Regulation and Supervision Agency) e la TMSF (Tasarruf
Mevduati Sigorta Fonu – SDIF – Savings Deposit Insurance Fund).
La BDDK, istituita nel 2000, ha il potere di regolare, controllare e sanzionare le
banche. L'Autorità, infatti, approva capitale minimo, business plan, governance,
qualifiche dei dirigenti e del personale15. La BDDK fornisce, inoltre, parere di
conformità in caso di modifiche dello statuto delle banche, del capitale sociale,
dell’azionariato (che riguardino almeno il 10% del totale detenuto), di atti di fusione e
scioglimento volontario. Nella funzione di controllo e supervisione degli istituti bancari
è previsto anche l’invio di un osservatore presso l’Assemblea generale degli azionisti
di una banca, mentre nell'ambito del suo potere sanzionatorio rientra anche ritiro
dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività bancaria e il trasferimento per la
procedura di liquidazione o l'amministrazione straordinaria alla TMSF.
La TMSF, invece, funge da organo di assicurazione dei depositi ed é dotata di
risorse proprie. In particolare, la Legge 5411 all’art. 63 stabilisce il principio della
copertura dei depositi bancari delle persone fisiche ad eccezione degli azionisti e dei
quadri dirigenti. Tale copertura ha un limite di 50.000 lire turche per ciascun deposito.
Al fine di svolgere la sua funzione il TMSF dispone di una serie di risorse elencate
all’art.130 della stessa Legge: gli istituti bancari, ad esempio, sono obbligati a versare
il 10% del loro capitale minimo al TMSF.
15
La BDDK fornisce l’autorizzazione a esercitare l'attività bancaria dopo sei mesi dalla richiesta
e durante tale periodo va raccolto il capitale, vanno pagati i diritti di entrata al TMSF, ecc..
146 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
Il ruolo delle banche islamiche nel sistema bancario turco
Al fine di meglio comprendere l'assetto del sistema bancario turco e il ruolo che in
esso rivestono le banche di partecipazione si procederà, ora, all'esame delle
caratteristiche del sistema bancario islamic-oriented attraverso l’analisi degli impieghi,
della raccolta, e delle principali informazioni sull'economicità delle sole banche di
partecipazione.
Si è scelto di far riferimento ai bilanci non consolidati al fine di non tenere in
considerazione le azioni sulle voci di bilancio tese a rispettare il perimetro di
consolidamento e le norme sul bilancio consolidato.
Gli impieghi delle banche di partecipazione
La Tabella 7 illustra il valore assoluto degli impieghi dal 2002 al 2010 e il tasso di
crescita degli stessi, distinguendo le banche di deposito (DBs) dalle banche di
partecipazione (PBs) in modo da evidenziare il grado di vitalità assoluto e relativo delle
PBs rispetto al resto del mondo bancario turco.
Gli impieghi delle banche di deposito e delle banche di partecipazione.
Anni 2002-2011. Milioni di dollari
Year
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
DBs
114.619,0
134.848,1
166.005,8
215.298,9
263.802,6
307.199,5
387.111,1
441.252,9
532.630,7
642.148,1
Rate of growth (%)
17,6
23,1
29,7
22,5
16,5
26,0
14,0
20,7
20,6
PBs
2.096,3
2.705,3
3.861,9
5.261,9
7.264,6
10.283,1
13.634,4
17.792,6
22.930,7
28.359,8
Rate of growth (%)
29,1
42,8
36,3
38,1
41,6
32,6
30,5
28,9
23,7
% PBs
1,8
2,0
2,3
2,4
2,8
3,3
3,5
4,0
4,3
4,4
Tab. 7 - Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012)
In ogni anno del confronto il tasso di crescita degli impieghi delle PBs supera il
tasso di crescita delle DBs, anche nel 2009, anno in cui anche il sistema finanziario
turco ha risentito maggiormente degli effetti congiunturali della crisi finanziaria
mondiale. Tuttavia, considerando l'incidenza degli impieghi delle PBs sugli impieghi
delle DBs, ci si accorge di come le PBs rappresentano solo una nicchia del mercato del
credito in Turchia. Di fatto tale categoria di banche riveste, al momento, un ruolo
marginale soprattutto in relazione al dinamismo e al fabbisogno di credito della
giovane economia turca (le proiezioni al 2013 di Intesa Sanpaolo parlano di un tasso di
crescita reale del PIL del 4% – cfr. Tabella 2 del Capitolo III).
Se si considerano gli impieghi (cash loans) distinti in base al settore di
appartenenza delle imprese affidate (Tabella 8), ci si accorge di come manifatturiero e
servizi rappresentino i settori di maggiore concentrazione del credito per le PBs nel
2011 (Aydin et al., 2006).
147 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Distribuzione degli impieghi per settore. Anno 2011
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Agriculture
1,2%
2,0%
2,1%
1,7%
Manifacturing
42,8%
36,9%
25,8%
25,0%
Construction
27,4%
20,8%
14,3%
11,2%
Services
20,1%
15,3%
31,7%
38,3%
Other
8,5%
25,0%
26,1%
23,8%
Tab. 8 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Marginale, nei piani di crescita delle PBs, appare, invece, il ruolo del settore
agricolo. Se si considerano, invece, gli impieghi verso soggetti privati (Tabella 9)
distinti per finalità di utilizzo del credito, ci si accorge di come il mutuo immobiliare
rappresenti la principale richiesta di finanziamento.
Distribuzione degli impieghi verso il settore privato. Anno 2011.
Dati in migliaia di dollari
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Real estate loans
445.211,1
794.029,6
772.073,0
598.323,8
Auto loans
16.838,1
56.285,2
58.479,4
85.269,8
General purpose consumer loans
2.338,6
4.455,0
5.447,1
8.595,2
Other
28.931,7
654,0
361,4
0,0
Tab. 9 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Si tratta di un’area di business importante per le PSs, destinata ad aumentare nel
corso dei prossimi anni, basti solo guardare alle stime sulla crescita della popolazione
turca (cfr. Tabella 2 del Capitolo 3 del presente Rapporto) e all'incremento della
popolazione urbana. Altra forma di impiego importante verso i privati è il prestito per
l'acquisto dell'auto. Si tratta, infatti, di una delle prime forme di credito (car financing)
che possono essere considerate sic et simpliciter coerenti con il credo islamico per via
dello stretto legame tra l'oggetto del finanziamento e il finanziamento stesso (Miglietta
e Starita, 2009). Differentemente da una “finanziaria”, che in occidente eroga il
finanziamento, la PB è il diretto fornitore delle autovetture.
Nel 2011 il 68% del portafoglio prestiti delle quattro PBs è risultato concentrato su
forme di prestito a media e lunga scadenza (Tabella 10).
Scadenza degli impieghi. Anno 2011
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Total
Short-term
36,2%
29,8%
31,9%
29,5%
31,9%
Medium and long-term
63,8%
70,2%
68,1%
70,5%
68,1%
Tab. 10 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Interessanti risultano i dati sugli investimenti effettuati in base al principio del PLS
(Tabella 11) e il dato dell'incidenza dei crediti problematici (loans on close monitoring)
sul totale degli impieghi (Tabella 12). In particolare, l'incidenza dei prestiti secondo il
principio del PLS risulta del tutto marginale o assente.
148 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
Gli investimenti secondo il principio del PLS. Anno 2011.
Dati in migliaia di dollari
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Total loans
3.674.014,3
6.309.437,0
5.207.872,0
5.325.629,1
PLS investments
47.437,0
4.033,3
0,0
0,0
% PLS investments
1,3%
0,1%
-
Tab. 11 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
I prestiti problematici. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Average
Loans
3.674.014,3
6.309.437,0
5.207.872,0
5.325.629,1
5.129.238,1
Non-performing loans (NPL)
162.893,7
486.133,9
203.792,1
108.710,6
240.382,5
% of NPL
4,4%
7,7%
3,9%
2,0%
4,7%
Tab. 12 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
La percentuale di crediti problematici risulta, in media, di poco inferiore al 5%
nell'anno 2011 denotando, a prima vista, un basso livello di rischiosità degli impieghi.
Sebbene non si disponga della stessa tipologia di informazione con riferimento alle
DBs, si può sicuramente affermare che si tratta di un valore particolarmente contenuto
se paragonato a quello delle banche commerciali di analoghe dimensioni che operano
nel sistema finanziario europeo. La scarsa incidenza di crediti problematici può essere
imputata alle "caratteristiche" religiose delle PBs e delle loro imprese clienti e, quindi,
al tipo di condotta ispirata al rispetto degli insegnamenti di Maometto che li
caratterizza (Porzio, 2009; Porzio e Starita, 2012).
Sotto il profilo degli impieghi, quindi, le PBs appaiono come banche molto
dinamiche, con una buona qualità dell'attivo, ma con una dimensione ancora di nicchia.
Per poter trarre un giudizio complessivo sull'attività delle PBs è necessario prendere in
considerazione anche le caratteristiche della raccolta.
La raccolta delle banche di partecipazione
La Tabella 13 mostra il valore assoluto della raccolta negli anni che vanno dal
2002 al 2010 e, contemporaneamente, i tassi di crescita della stessa distinguendo tra
banche di deposito (BDs) e banche di partecipazione (PBs). Si evidenzia, così,
indirettamente anche la capacità di attrazione del risparmio di questa particolare
categoria di banche rispetto al resto del mondo bancario turco.
Dal confronto dei dati emerge come il tasso di crescita della raccolta delle PBs sia
superiore a quello delle DBs (spesso con più di dieci punti di scarto). Se, però, si
procede a relativizzare i dati sulla raccolta ci si accorge di come la capacità di
attrazione del risparmio da parte delle PBs sia ancora limitata. Nel 2011 l'incidenza
della raccolta di tutte le PBs sulla raccolta delle DBs è inferiore al 6%. Ne consegue
che la capacità di canalizzare il risparmio religioso interno verso forme islamiccompliant, che rappresentava l’intento del Legislatore con l’istituzione delle SFHs,
risulta ancora modesta.
149 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Si consideri ora la sola raccolta in valuta locale, escludendo quella in valuta estera,
per verificare la capacità delle PBs di raccogliere e convogliare il risparmio in impieghi
verso le imprese turche. Si noti anche che l’attività di raccolta oggetto di analisi è solo
quella svolta nei confronti di persone fisiche escludendo i soggetti giuridici per non
tener conto di investitori "speculativi" ma solo di investitori "pazienti" (Starita, 2009).
I depositi correnti raccolti da persone fisiche in lira turca, depositi non remunerati
che implicano un obbligo di restituzione a vista, rappresentano meno del 10% della
raccolta complessiva di tutte le PBs (Tabella 14), mentre i depositi di partecipazione
dello stesso tipo, vale a dire da persone fisiche in lira turca, coprono una quota di circa
il 40%.
I depositi delle banche di deposito e delle banche di partecipazione. Anni 20022011. Dati in milioni di dollari
Year
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
DBs
77.033,9
87.260,8
107.611,6
138.596,8
171.465,1
196.786,8
250.103,2
276.410,1
333.925,4
361.739,7
Rate of growth (%)
13,3
23,3
28,8
23,7
14,8
27,1
10,5
20,8
8,3
PBs
1.696,3
2.175,1
3.170,4
4.428,0
5.945,5
7.906,3
10.164,0
14.201,6
17.898,4
19.539,2
Rate of growth (%)
28,2
45,8
39,7
34,3
33,0
28,6
39,7
26,0
9,2
% PBs
2,2
2,5
2,9
3,2
3,5
4,0
4,1
5,1
5,4
5,4
Tab. 13 - Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012)
La raccolta. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari
Participation
bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Total
Funds collected
Demand deposits
Participation deposits
4.256.479,9
6.559.282,0
5.247.792,1
5.031.304,2
21.094.858,2
135.910,1
296.641,3
277.344,4
284.464,0
994.359,8
1.590.469,8
2.619.895,8
1.781.416,9
2.231.358,7
8.223.141,3
% Demand
deposits
3,2
4,5
5,3
5,7
4,7
% Participation
Deposits
37,4
39,9
33,9
44,3
39,0
Tab. 14 - Fonte: elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Il resto della raccolta è rappresentato, prevalentemente, da valuta estera e fondi
speciali. Ai fini di una corretta interpretazione della capacità di trasformazione delle
risorse finanziarie da parte delle PBs si ricorda che i depositi di partecipazione non
prevedono alcun obbligo di remunerazione né di restituzione, ma semplicemente un
concorso nella distribuzione dei profitti e il sostenimento delle commissioni a
vantaggio della PB anche in caso di perdita (Gimigliano e Rotondo, 2008; Miglietta e
Starita, 2009).
A tale proposito, però, è necessario evidenziare la portata dell'attività di
accantonamento: perché se è vero che le PBs non hanno obblighi di rendimento
predeterminato nei confronti dei titolari di depositi di partecipazione, è vero pure che
esse pongono in essere un'azione di smoothing dei rendimenti attraverso la costituzione
della cosiddetta Profit Equalization Reserve - PER (Porzio, 2009; Porzio e Starita,
2012). Tale azione, infatti, è volta ad accantonare risorse finanziarie negli anni in cui il
150 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
rendimento supera quello delle DBs e a utilizzare tali accantonamenti negli anni in cui
il rendimento risulta essere non in linea con quello delle DBs. Lo scopo di tale azione è
semplice: scongiurare il rischio di allontanamento dei depositanti (displaced
commercial risk) semplicemente per via del confronto tra i rendimenti effettivi
riconosciuti dalle PBs e quelli assicurati dalle DBs. E' bene ricordare che l'azione di
smoothing in parte sacrifica gli interessi degli azionisti della banca perché
l'accantonamento viene prelevato dal rendimento della gestione dei depositi di
partecipazione prima del riconoscimento della commissione di gestione alla PB. Gli
azionisti delle PBs, d'altra parte, accantonano una frazione delle commissioni di
gestione dei depositi di partecipazione per far fronte ad eventuali perdite sugli
investimenti (si tratta della cosiddetta Investment Risk Reserve - IRR) (Porzio, 2009;
Asutay, 2012; Porzio e Starita, 2012).
L'attività di accantonamento volta a smussare i rendimenti, almeno per il 2011, è
sostanzialmente equivalente per le quattro PBs (Tabella 15), soprattutto se si considera
il valore della raccolta sotto forma di depositi di partecipazione (da persone fisiche in
valuta locale).
L'accantonamento a riserva PER e IRR. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari
Participation bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
PER amoritization
18.365,6
25.348,1
16.772,0
19.407,4
IRR amortization
11.888,9
26.918,0
31.847,1
22.286,2
Participation deposits
1.590.469,8
2.619.895,8
1.781.416,9
2.231.358,7
PER amortization on
participation deposits
1,2%
1,0%
0,9%
0,9%
Tab. 15 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Diverso, invece, è il valore dell'attività di accantonamento che incide direttamente
sul rendimento riconosciuto agli azionisti: Kuveyt accantona molto di più rispetto alle
altre tre PBs in previsione di future perdite sul portafoglio impieghi.
Sotto il profilo della patrimonializzazione le quattro PBs presentano buoni risultati
(Tabella 16): mediamente, infatti, il patrimonio netto rappresenta circa l'11% del totale
delle passività.
Equity e capitale versato. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari
Participation
bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Equity
531.349,7
1.130.913,2
760.834,9
853.787,8
Paid-in
capital
285.185,2
476.190,5
502.645,5
423.280,4
Total
liabilities
5.534.859,8
9.095.290,5
7.882.323,8
7.157.858,7
average
Equity/total
liabilities
9,6%
12,4%
9,7%
11,9%
10,9%
Paid-in
capital/total
liabilities
5,2%
5,2%
6,4%
5,9%
IRR
amortization
11.888,9
26.918,0
31.847,1
22.286,2
average
IRR
amortization on
paid-in capital
4,2%
5,7%
6,3%
5,3%
5,4%
Tab. 16 - Fonte: Elaborazioni su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Sotto il profilo della raccolta e degli impieghi, quindi, le PBs appaiono come
banche in crescita con una buona patrimonializzazione, ma ancora bisognose di risorse
per crescere e finanziare le imprese turche.
151 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Al fine di analizzare l'impatto delle PBs sul sistema economico della Turchia si
utilizza il rapporto tra prestiti e depositi. La Tabella 17 mostra come in ogni anno del
periodo di osservazione (2002-2010) l'indicatore delle PBs supera sistematicamente
quello calcolato per le DBs.
Rapporto tra prestiti e depositi. Anni 2002-2010.
Year
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
All banks
38%
44%
53%
61%
70%
79%
81%
80%
89%
PBs
66%
73%
82%
89%
93%
103%
103%
93%
95%
Tab. 17 - Fonte: Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012)
In particolare negli anni 2007 e 2008 il rapporto tra prestiti e depositi supera il
100% a testimonianza della capacità delle PBs di veicolare il risparmio verso
l'economia reale.
La redditività delle banche di partecipazione
Per completare l'analisi sul mondo delle banche islamiche è necessario soffermarsi
per valutare anche i risultati ottenuti in termini di redditività. La Tabella 18 mostra il
"margine di interesse" delle PBs.
Il “margine di interesse”. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari
Participation
bank
Al-Baraka
Asya
Kuveyt
Turkiye
Profit
share income
358.261,9
566.662,4
473.137,6
489.169,3
Profit
share expense
148.808,5
256.809,5
157.758,2
194.914,8
Specific provision
for loans
30.707,9
90.093,7
55.740,7
34.088,4
Net profit share
(NPS) income
209.453,4
309.852,9
315.379,4
294.254,5
average
% specific provision
for loans on NPS
income
14,7%
29,1%
17,7%
11,6%
18,2%
Tab. 18 - Fonte:: Elaborazioni su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011)
Gli "interessi" attivi derivano prevalentemente dalla quota di profitto (profit share)
della banca sui prestiti, mentre gran parte degli "interessi" passivi nascono dai costi
relativi ai depositi di partecipazione (Porzio, 2009; Porzio e Starita, 2012). Interessante
è anche il dato sull'assorbimento del "margine di interesse" imputabile al "fondo rischi
su crediti". Ricordando la scarsa incidenza degli impieghi problematici (meno del 5%
in media), l'accantonamento al "fondo rischi su crediti" ha carattere fortemente
prudenziale (18% circa del "margine di interesse" in media), soprattutto se si considera
il valore degli accantonamenti per lo smoothing dei rendimenti dei depositi di
partecipazione (PER) e per le eventuali perdite sugli investimenti (IRR).
Anche sotto il profilo reddituale, quindi, le PBs appaiono come banche solide
caratterizzate da una importante attività di accantonamento.
152 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA
4. Considerazioni conclusive
La letteratura economica e finanziaria ha discusso ampiamente sul nesso esistente
tra crescita economica e struttura finanziaria16 pervenendo spesso alla conclusione
che la presenza di istituzioni finanziarie dinamiche ed evolute fosse in grado di
assecondare l’evoluzione del sistema economico. Adeguando prontamente l’offerta di
credito alle esigenze dell’economia e svolgendo una importante opera di selezione
delle imprese e dei progetti da finanziare, gli intermediari possono incrementare in
maniera significativa lo sviluppo e l’efficienza di un sistema industriale. Al contrario,
la presenza di carenze o imperfezioni nell’apparato di intermediazione può ostacolare
una crescita equilibrata del sistema reale 17.
L’analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA ha permesso di
evidenziare come con il loro recente sviluppo tali strutture hanno contribuito
positivamente alla crescita dei rispettivi sistemi economici. Permangono, tuttavia, spazi
importanti di miglioramento ed elementi di inefficienza che se non rimossi, potrebbero
condizionare negativamente la progressiva attenuazione del gap economico attualmente
esistente con i paesi occidentali. Tra i fattori positivi a supporto dello sviluppo,
quindi, è necessario ricordare: 1) il trend di crescita dei mercati di borsa; 2) la solidità
delle banche dei paesi MENA e della Turchia in particolare; 3) e la presenza di banche
islamiche in Turchia. La crescita dei mercati di borsa in termini di capitalizzazione e
numerosità di società quotate offre, infatti, maggiori alternative alle imprese in termini
di opportunità di raccolta di capitale di rischio e di visibilità nei confronti di investitori
caratterizzati da ottiche di investimento di medio-lungo termine. Inoltre, i mercati dei
paesi dell’area MENA e della Turchia potrebbero risentire positivamente del processo
di privatizzazione che interesserà i settori strategici dell’economia, tra cui il settore
delle public utilities. La capacità delle banche dei paesi dell’area MENA e della
Turchia di supportare positivamente la crescita economica deriva anche dal fatto che
esse: i) agiscono sulla leva dei costi per aumentare il livello di efficienza operativa; ii)
sono redditizie a livello sia di gestione operativa sia di gestione complessiva; iii)
accantonano risorse patrimoniali oltre la soglia ritenuta sufficiente per far fronte ad
andamenti imprevisti nella gestione del portafoglio prestiti.
A loro volta, le banche islamiche, e, nella fattispecie, le banche di partecipazione
operanti in Turchia, possono assecondare lo sviluppo dei sistemi economici grazie
16
Il tema del rapporto tra sviluppo economico e struttura finanziaria è stato a lungo oggetto di
dibattito tra studiosi di diversa estrazione e impostazione teorico-metodologica. Non si è ancora
riusciti a dare una risposta soddisfacente, sotto il profilo teorico e storico-empirico, alla questione di
fondo se lo sviluppo finanziario segua o preceda la crescita delle componenti reali, ovvero quale sia il
legame di causa ed effetto tra struttura finanziaria ed economia reale (per una rassegna della
letteratura si veda Sampagnaro G., “Variabili reali e Variabili finanziarie”, in “Banche, Territorio,
Sviluppo economico: il caso del Mezzogiorno” (a cura di Porzio C.), Quaderni di ricerca CNR, IRAT,
n. 38, 2006).
17
Tuttavia, se elevati livelli di finanziarizzazione da un lato denotano il conseguimento di
un’elevata efficienza allocativa, dall’altro possono essere interpretati come l’effetto di un eccessivo
utilizzo della leva finanziaria da parte, di imprese, famiglie, Governi e Enti pubblici.
153 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
all’offerta di servizi simili ai servizi di “assistenza” svolti dagli operatori di private
equity e, più in generale, grazie alla disponibilità di risorse finanziarie a titolo di
capitale di rischio. Dall’analisi svolta, però, sono emersi anche fattori in grado di
ostacolare lo sviluppo dei sistemi economici di questi paesi. In particolare, il
riferimento è ai livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione di questi paesi e al
grado di concentrazione dei relativi sistemi bancari.
L’esame dei livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione dei paesi dell’area
MENA e della Turchia, con i quali valutare la capacità di intermediare risorse
finanziarie tra le unità in surplus e quelle in deficit di un Paese, ha evidenziato un
notevole ritardo rispetto ai paesi occidentali considerati (UE e Germania).
Il grado di concentrazione dei sistemi bancari rappresenta, poi, uno dei fattori più
problematici presenti all’interno dell’area MENA e soprattutto in Turchia. La presenza
di poche (le prime dieci) grandi banche che hanno in mano più del 30% del mercato del
credito, o, come nel caso della Turchia, percentuali addirittura superiori 80% del
mercato, ostacola il dispiegarsi della pressione competitiva e rende più difficoltoso
l’ingresso degli operatori stranieri nonostante le politiche di liberalizzazione intraprese
da molti paesi dell’area (Turchia in primis).
Pur non esistendo nel settore finanziario la certezza che livelli di competizione
crescenti generino crescenti livelli di efficienza, è molto probabile che la scarsa
contendibilità dei sistemi bancari di tali economie produca effetti negativi su qualità e
costo di prodotti e servizi bancari.
154 CAPITOLO V
LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI
EUROPEI E IN PARTICOLARE CON L’ITALIA. SITUAZIONE E PROSPETTIVE
1. I Fondi Sovrani: un veicolo di investimento pubblico in piena crescita
I fondi sovrani o FoS sono fondi definibili come veicoli di investimento pubblico
posseduti e controllati dai governi dei relativi Paesi. Questo tipo di fondi è nato
storicamente in quei Paesi che possono vantare importanti giacimenti di materie prime
da esportare (tipicamente commodity, come petrolio o gas) o eccedenze della bilancia
commerciale derivanti dal settore manifatturiero (come nei casi di Cina e Singapore) o
ancora proventi ricavati dalle dismissioni di asset pubblici.
Possono assumere la forma di fondi, di riserve o di vere e proprie società di
investimento e si possono prefiggere una o più mission che solitamente comprendono:
un’azione di stabilizzazione delle entrate pubbliche o del prezzo di beni strategici;
accantonamenti per investimenti futuri o a vantaggio dei sistemi pensionistici.
Recentemente si sono sviluppati con sempre maggiore frequenza fondi che agiscono
come strumenti di programmazione economica, tesi ad aumentarne la competitività o
diversificare il tessuto economico-produttivo di uno Stato. Un altro genere di recente
sviluppo è il fondo di investimento teso a generare utili da destinare alle varie poste del
bilancio pubblico.
Il successo dell’istituto dei Fondi Sovrani è certificato dal numero crescente di stati
che se ne stanno dotando. Una prima accelerazione si è avuta negli anni Novanta,
quando agli storici quattordici fondi se ne sono aggiunti un’altra decina, per poi
crescere ulteriormente nello scorso decennio ed arrivare agli attuali 62 fondi censiti dal
SWF Institute.
L’instabilità economica provocata dalla crisi internazionale ha spinto molti governi
a dotarsi di questo strumento che completa il ventaglio delle leve a disposizione dei
governi nel campo delle politiche economiche-monetarie.
Il 2011 ha visto la nascita di 4 fondi nazionali (più uno nel Nord Dakota): uno
Nigeriano alimentato dai proventi del petrolio, due asiatici in Papua Nuova Guinea e in
Mongolia e quello Italiano per l’investimento in imprese di “rilevante interesse
nazionale”1.
1
http://www.fondostrategico.it/
155 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Scomposizione dei fondi sovrani per anno di costituzione. Confronto fra i primi
sessanta FoS al mondo e l’area MENA, 2011
2006 - 2011
38%
Pre - 1990
23%
Pre - 1990
22%
2006 - 2011
44%
1990 - 1999
16%
2000 - 2005
23%
1990 - 1999
6%
2000 - 2005
28%
Graf. 1 Fonte: SWF Institute
Nel giugno del 2012 il capitale gestito dai primi sessantadue FoS superava i cinque
mila miliardi di dollari2. Questo valore è in significativa crescita dal autunno del 2007
(+53,7%), con un unico periodo di flessione dalla fine del 2008 al primo trimestre del
2009, allorquando il valore del capitale complessivo è sceso da 4.140 a 3.750 miliardi
di dollari, con una flessione di poco inferiore ai dieci punti percentuali (-9,4%). Dopo
questo rallentamento il totale delle risorse gestite dai FoS è cresciuto ininterrottamente
per ben 12 trimestri, con la sola eccezione dell’ultimo trimestre del 2011 in cui la
perdita del valore complessivo è stata dello 0,4%. Per renderci conto dell’importanza di
questo risultato, basti pensare che mentre nel 2011 il valore degli asset in capo ai FoS
cresceva di quasi 10 punti percentuali quello riconducibile alle banche si contraeva del
4%3. Concentrandoci ora sull’oggetto della nostra analisi, i FoS presenti nell’area
MENA4. Quest’area è stata la maggior protagonista della nascita e dello sviluppo di
questi veicoli di investimento, con ben quattro di essi attivi da prima degli anni
Novanta e presenta la più alta concentrazione di FoS al Mondo. Più della metà dei
Paesi MENA (undici su venti5) ne possiede almeno uno. I Paesi dell’area che si sono
già dotati di questo strumento sono: l’Algeria, l’Arabia Saudita, il Bahrain, gli Emirati
Arabi Uniti, l’Iran, il Kuwait, la Libia, la Mauritania, l’Oman, il Qatar e la Siria. A
questi si può aggiungere la Palestina.
Sono fondi con alcune caratteristiche comini. Ad esempio, quasi la totalità di essi ha
accumulato eccedenze monetarie grazie ai giacimenti di idrocarburi presenti nei relativi
2
Il dato riportato nel Graf. 2 ha come fonte l’SWF Institute ed è la somma dei 58 valori
disponibili. Cinque fra i 62 fondi censiti non rendono pubblico il dato.
3
Fonte: UNCTAD e BIS.
4
Acronimo di Middle East and North Africa, che comprende i quei Paesi che si affacciano sulla
parte sud del Mediterraneo e del Medio Oriente: dalla Mauritania alla Siria, tutta la Penisola arabica,
Iraq e l’Iran. La lista dei Paesi MENA come da elenco ufficiale del Fondo Monetario Internazionale
comprende: Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Repubblica Islamica dell’Iran, Iraq, Giordania,
Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Morocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Tunisia,
Emirati Arabi Uniti e lo Yemen.
5
Considerando i Paesi che fanno parte dell’UAE (gli Emirati Arabi Uniti) come un’unica entità.
156 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
territori. Sono quindi cosiddetti fondi commodity, i cui proventi derivano
dall’esportazione (o dai diritti di estrazione) del petrolio e in due casi (Oman e
Mauritania) anche del gas. Gli unici fondi non-commodity sono quelli del Bahrain e
quello Palestinese6.
Totale del valore del capitale gestito dai maggiori Fondi Sovrani mondiali. Evoluzione
storica e tasso di crescita tendenziale, 2008 – 2012 (migliaia di miliardi di dollari)
5,10
8,0%
4,90
6,0%
4,0%
4,70
2,0%
4,50
0,0%
4,30
-2,0%
4,10
-4,0%
3,90
-6,0%
3,70
-8,0%
3,50
3,30
Sep
- 08
Total
4,05
Growth rate 3,5%
-10,0%
Dec - Mar - Jun 08 09 09
4,14 3,75 3,79
2,1% -9,4% 1,1%
Sep 09
3,91
3,3%
Dec 09
4,02
2,8%
Mar 10
4,05
0,7%
Jun 10
4,11
1,4%
Sep 10
4,15
1,1%
Dec - Mar 10 11
4,41 4,55
6,1% 3,3%
Jun 11
4,73
4,0%
Sep - Dec - Mar 11
11 12
4,85 4,83 5,00
2,5% -0,4% 3,4%
Jun 12
5,02
0,5%
-12,0%
Graf. 2 - Fonte: SWF Institute
I sedici FoS dell’area MENA di cui conosciamo il valore del capitale gestito al
luglio del 2012 cumulavano più di 1.900 miliardi di dollari, 300 milioni di dollari in
più rispetto all’anno prima. Una crescita che in termini percentuali equivale a un +19%,
superiore al dato aggregato mondiale, pari ad un +11%7. Dopo alcuni rallentamenti
(quando non perdite) subite fra il 2010 ed il 2011, a causa del deprezzamento di asset
legati al mondo della finanza acquistati durante la crisi o per l’impegno nel salvataggio
di banche ed altre aziende nazionali, l’area MENA è ritornata a crescere. I FoS
dell’area MENA gestiscono il 37,7% del totale del valore dei beni attribuiti ai FoS
mondiali. Lo stesso dato lo scorso anno si fermava al 37,0%. Un aumento avvenuto ai
danni sia dell’Europa, che del resto dell’Asia. Dinamiche virtuose si registrano anche a
6
Il SWF classifica il fondo palestinese come non-commodity, ma bisogna tenere conto che uno
dei suoi principali progetti prevede l’estrazione di gas naturale dai fondali marini antistanti la striscia
di Gaza.
7
Il periodo considerato va dal giugno 2011 al giugno 2012.
157
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
livello di dati disaggregati per Paese: fra i primi venti FoS al mondo, ben 9 sono
MENA (rispetto ai sette dello scorso anno).
Elenco dei principali Fondi Sovrani nell’area MENA, al luglio 2012
Paese
1
UAE – Abu Dhabi
2
Arabia Saudita
3
Kuwait
4
Qatar
5
UAE – Dubai
6
UAE – Abu Dhabi
7
Libia
8
Algeria
9
UAE – Abu Dhabi
10
Iran
11
Bahrain
12
Oman
13
15
Arabia Saudita
UAE – Ras Al
Khaimah
Palestina
16
Mauritania
17
UAE – Federal
14
18
UAE – Abu Dhabi
19
Oman
Dotazione del
fondo al luglio
2012 (in miliardi
di dollari)
Data
di
fondazione
Posizione nel
Rank
mondiale
(2012)
627
627
1976
1
415,0
532,8
n/a
4
202,8
296
1953
6
65,0
100
2005
12
19,6
70
2006
14
14
65,3
1984
15
133
65
2006
16
54,8
56,7
2000
18
24,4
48,2
2002
19
Dotazione del
fondo al giugno
2011 (in miliardi
di dollari)
Denominazione Fondo
Abu Dhabi Investment
Authority
SAMA Foreign Holdings
Kuwait Investment
Authority
Qatar Investment Authority
Investment Corporation of
Dubai
International Petroleum
Investment Company
Libyan Investment
Authority
Revenue Regulation Fund
Mubadala Development
Company
Oil Stabilisation Fund
Mumtalakat Holding
Company
State General Reserve Fund
23
23
1999
28
9,1
9,1
2006
35
8,2
8,2
1980
36
Public Investment Fund
5,3
5,3
2008
40
RAK Investment Authority
1,2
1,2
2005
47
Palestine Investment Fund
National Fund for
Hydrocarbon Reserves
Emirates Investment
Authority
Abu Dhabi Investment
Council
Oman Investment Fund
nd
0,8
2003
49
0,3
0,3
2006
55
nd
nd
2007
nd
nd
nd
2007
nd
nd
nd
2006
nd
Tab. 1 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su SWF Institute e altre fonti
Scomposizione percentuale della capitalizzazione dei Fondi Sovrani per area
geografica di appartenenza, confronto 2011 – 2012
Americhe
2,4%
Oceania
1,9%
Americhe
2,9%
2011
Resto Africa
0,2%
Resto Africa
0,1%
Europa
15,8%
Europa
16,3%
MENA
37,7%
MENA
36,9%
Resto Asia
42,4%
Resto Asia
41,5%
Graf.3 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su dati SWF Institute e altre fonti
158 2012
Oceania
1,9%
LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
Per avere un’idea dell’importanza dei FoS nel panorama economico-finanziario
mondiale è bene confrontare il loro potenziale con quello di altre istituzioni come
banche, assicurazioni, fondi pensione ecc.
Per dimensione totale i FoS fanno sicuramente parte dei maggiori aggregati
monetari mondiali. Valgono circa il triplo degli hedge funds, pesano fra il 17 ed il 23%
degli asset gestiti dai fondi pensione o dalle compagnie di assicurazione internazionali.
Una delle loro caratteristiche peculiari è poi quella di concentrare il loro patrimonio
nelle mani di un ristretto numero di soggetti: i primi dieci FoS amministrano capitali
per quasi 4mila miliardi di dollari (paro al 78% del totale). Anche rispetto al totale dei
veicoli di investimento sovrani del 2011 (stimati dal rapporto di CityUK in poco più di
20mila miliardi di dollari), i Fondi Sovrani pesano circa un quarto.
Confronto fra i fondi sovrani ed altri veicoli di investimento sovrani e privati, 2011
Fondi sovrani
6%
Fondi sovrani
24%
Fondi comuni di
investimento
26%
Fondi assicurativi
28%
Riserve ufficiali di
valuta estera
40%
Private Equity
3%
Hedge Funds
2%
Altri veicoli di
investimento
sovrani
36%
Fondi pensione
35%
Graf. 4 - Fonte: stime CityUK, UNCTAD, OECD, FMI
2. I FoS dell’area arabo mediterranea: un grande potenziale di crescita
I Fos sono dunque veicoli di investimento che rivestono un ruolo sempre più
rilevante nel panorama finanziario mondiale. Un ruolo destinato a crescere nei prossimi
anni, anche in virtù del aumento dei prezzi delle materie prime, principale fonte di
reddito dei FoS MENA.
Il trend del prezzo del petrolio è storicamente correlato con la nascita e la crescita di
importanza dei Fondi Sovrani, specie nell’area mediterranea e in quella mediorientale,
sia che il prezzo del greggio salga (e fornisca capitali da investire), sia che scenda
(stimolando gli investimenti per la diversificazione dell’economia locale e dei proventi
delle finanze pubbliche). Negli ultimi anni il prezzo del barile, che negli anni Ottanta
era ancora attorno ai 20 dollari, ha prima raggiunto la quotazione di 60 dollari (agosto
del 2005), per poi toccare i 150 dollari nel luglio del 2008. La crisi economica
mondiale ne ha parzialmente raffreddato la corsa, ma il suo prezzo si è mantenuto
attorno, o sopra, i 100 dollari al barile. Se si pensa che i Paesi dell’area MENA sono in
grado di produrre più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno ed hanno riserve
accertate nell’ordine di svariate centinaia di miliardi di barili, si capisce quale siano le
loro potenzialità di investimento anche in anni congiunturalmente difficili come questi
159
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
ultimi. Con una domanda del greggio storicamente anelastica, non è un caso se,
parallelamente all’aumento del prezzo degli idrocarburi, i Fos dell’area MENA hanno
accresciuto significativamente sia il numero delle operazioni che il capitale investito.
Andamento del prezzo del petrolio, gas naturale e loro prodotti dal 2010 al 2013*
(Media settimanale del prezzo FOB complessivo di tutti gli Stati. Media ponderata per
i barili commercializzati stimati)
Prezzo del greggio
(WTI8, dollari al barile)
Prezzo del greggio
(Brent, dollari al barile)
Benzina9
(dollars per gallon)
Gas Naturale (dollari ogni migliaia di
cubic-feet)10
Elettricità (cents per Kilowatt ora)10
2010
79,40
2011
94,86
2012
95,66
2013
92,63
79,51
111,26
111,81
103,38
2,78
3,35
3,64
3,43
11,37
11,01
10,90
11,09
11,54
11,79
11,91
12,02
Tab. 2 - Fonte: EIA
3. I FoS MENA: accordi bilaterali e investimenti in Europa
Abbiamo visto come i FoS MENA siano importanti investitori con un patrimonio in
espansine, destinato a crescere ancora negli anni a venire. Le caratteristiche che
rendono i FoS MENA degli interessanti target per gli operatori (pubblici e privati)
operanti nell’attrazione di investimenti sono però molteplici: sono in grado di compiere
operazioni dell’ordine di qualche miliardo di euro ed a differenza della maggior parte
degli investitori privati hanno un orizzonte di medio-lungo periodo e un leverage
basso.
Attraverso di loro passano non solo le politiche di investimento degli Stati osservati,
ma spesso anche le politiche di sviluppo industriali e infrastrutturali, che non di rado
privilegiano gli investimenti esteri.
Se si scompongono gli affari fatti dai FoS nel decennio scorso fra quelli destinati al
mercato interno e a quelli esteri, emerge come in nove anni su undici, i FoS abbiano
preferito allocare almeno il 60% dei propri investimenti all’estero. Percentuale che
cresce nella seconda metà del decennio mantenendosi stabilmente sopra ai due terzi del
totale. Gli investitori più votati all’estero sono proprio i FoS dell’area MENA.
Questi ultimi, secondo una ricerca promossa dall’Harvard Business School11,
investono nel proprio Paese una percentuale media ponderata del 9%, che diventa un
8
West Texas Intermediate.
Prezzo medio alla pompa, Stati Uniti.
10
Media prezzi del mercato domestico.
9
160 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
16% se si allarga il campo di osservazione a tutta l’area mediorientale. Una tendenza
che negli ultimi anni era leggermente mutata, per almeno due ordini di ragioni. Da una
parte i FoS hanno accusato delle perdite a causa delle perdite su alcuni investimenti
all’estero in seguito alla crisi economica e finanziaria, dall’altra i governi hanno avuto
la necessità di supportare le economie locali in un momento congiunturale difficile,
entrando nella capitalizzazione delle banche e dei mercati finanziari in genere,
comprando immobili, fornendo liquidi alle politiche budgetarie e stimoli fiscali.
Gli investimenti che ricadevano all’interno del perimetro degli Stati MENA sono
arrivati a pesare più del 30% del totale (2009), ma già nel 2010 gli impieghi destinati a
quest’area si erano ridotti ad una quota del 6%, per tornare poi attorno al 22% nel 2011.
Le “Primavere Arabe” stanno spingendo i FoS dell’area arabo-mediterranea ad un
mutamento di politiche di investimento, più attento alle economie dell’area, a supporto
del potere d’acquisto delle popolazioni, quando non di vere e proprie politiche di
contrasto alla disoccupazione. Anche il tradizionale orizzonte di lungo periodo nel
ritorno degli investimenti potrebbe, almeno in parte cambiare, a vantaggio di
investimenti che assicurano maggiori ritorni di breve periodo.
Scomposizione percentuale sul totale degli investimenti dei FoS-MENA, per Paese di
destinazione: interno all’area MENA o esterno. Dal 2000 al 2011
74%
68%
74%
94%
Interni
26%
Esterni
32%
22%
6%
2000 - 2008
2009
2010
2011
Graf. 5 - Fonte: Monitor - FEEM SWF Transaction Database
Tradizionalmente, i Fondi Sovrani non sono istituzioni che forniscono credito agli
investitori, ma investono direttamente (o indirettamente) i propri capitali. Per via della
11
Bernstein, S., Josh Lerner, and Antoinette Schoar (2009) “The Investment Strategies of
Sovereign Wealth Funds”, Harvard Business School Finance Working Paper No. 09-112.
161
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
loro natura pubblica, fino ad anni recenti, erano orientati ad investimenti con orizzonte
temporale di lungo termine e profilo di rischio medio basso.
Parallelamente al mutamento e sviluppo delle mission dei FoS, si sono diversificati
anche gli oggetti sui quali essi investono. La natura pubblica dei fondi ha dapprima
spinto gli stessi a privilegiare investimenti con ritorni certi di medio lungo periodo: un
oggetto tipico era rappresentato dai titoli di stato emessi da Paesi considerati solvibili.
Nonostante questi asset siano ancora fortemente presenti in molti dei loro portafogli
(circa quattro su cinque), sempre più spesso sono preferiti beni alternativi, che
garantiscano ritorni maggiori o un’attiva politica industriale (diretta o indiretta). Ormai
lo stock di capitali allocati in azioni ha superato quello in titoli di Stato o altri titoli a
reddito fisso.
Presenza dei Fos per tipologia di investimento
79%
Quote in aziende pubbliche
85%
79%
76%
Debito pubblico
55%
Azioni in aziende private
59%
51%
Immobili
56%
47%
Infrastrutture
61%
37%
Hedge funds
36%
2010
2011
Graf. 6 - Fonte: Prequin
Il settore finanziario dal 2005 al 2011 è stato il principale centro di interesse degli
amministratori dei FoS mondiali, con un picco di investimenti diretti verso di esso, che
il rapporto di CityUK quantifica in 82 miliardi di dollari nel 2008, circa a un terzo del
totale degli investimenti operati dai FoS. Dopo il 2008 però vi è stata un’inversione di
tendenza, complice il perdurare del rallentamento dell’economia mondiale e la perdita
di alcuni degli investimenti fatti.
Come vedremo nei paragrafi successivi, la tendenza alla diversificazione dei
portafogli e ad un maggiore coinvolgimento nel capitale delle società è comune alla
maggior parte dei fondi MENA.
162 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
Scomposizione del totale degli investimenti dei FoS-MENA, per area di destinazione.
Dal 2000 al 201112
MENA
Europa
Russia e Asia
Centrale
Asia Pacifico
Nord
America
Sud
America
Africa (SubSahariana)
2000
2008
2009
2010
26%
35%
1%
7%
29%
0%
3%
32%
6%
0%
4%
2%
49%
8%
4%
1%
10%
0%
1%
2011
22%
56%
27%
53%
(Estimates for
Italy 2012/2020:
5-8%)
2%
15%
8%
0%
0%
Tab. 3 - Fonte: Monitor - FEEM SWF Transaction Database
Le maggiori operazioni compiute dai FoS nel 2011
Rank
Oggetto della transazione
Paese
target
1
Allied Irish Banks
Irlanda
Allied Irish Banks
Irlanda
2
3
4
5
Compañía Española
de Petróleos
GDF Suez Exploration &
Production
China Export and Credit
Insurance Corporation
Spagna
Francia
Cina
6
Credit Suisse
Svizzera
7
China Construction Bank
Cina
8
Iberdrola
Spagna
9
Festival Walk Mall, Hong
Kong
Cina
10
China Construction Bank
Cina
11
RHC Capital
Malesia
12
China Construction Bank
Cina
Mercedes-Benz Grand Prix
Regno
Unito
13
Settore
target
Servizi
finanziari
Servizi
finanziari
Idrocarburi
Idrocarburi
Servizi
finanziari
Servizi
finanziari
Servizi
finanziari
Energie
alternative
Real estate
Servizi
finanziari
Servizi
finanziari
Servizi
finanziari
Automotive
Denominazione FoS
National Pension
Reserve Fund
National Pension
Reserve Fund
International Petroleum
Investment Company
China Investment
Corporation
China Investment
Corporation
Quatar Investment
Authority
Nazionalità
del FoS
Ammontare della
transazione (in
mld di dollari)
Irlanda
7,26
Irlanda
5,21
Abu Dhabi
4,96
Cina
3,26
Cina
3,15
Quatar
3,10
Temasek Holdings
Singapore
2,80
Quatar Investment
Authority
Quatar
2,70
Temasek Holdings
Singapore
2,40
Temasek Holdings
Singapore
2,20
Abu Dhabi
1,90
Cina
1,75
Abu Dhabi
1,70
International Petroleum
Investment Company
China Investment
Corporation
International Petroleum
Investment Company
Tab. 4 - Fonte: Sovereign Investment Lab – annual report 2011
Rispetto alla destinazione di questi investimenti notiamo come i Fondi MENA si
comportino differentemente da quelli del resto del Mondo e in generale dalle scelte di
investimento medie degli operatori economici, che ormai da almeno un decennio
tendono a spostare il flusso degli investimenti esteri dalle regioni a più antica
industrializzazione verso le economie emergenti. Analizzando le scelte allocative dei
FoS-MENA nell’ultimo decennio, infatti, ci rendiamo conto di come la loro prima
12
Il valore dell’Italia riportato nel box è stimato da Step Ricerche e si riferisce al potenziale di
attrazione in percentuale sul totale degli investimenti dei FoS MENA.
163
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
destinazione estera sia l’Europa. Negli ultimi anni il Nord America ha perso di
importanza a vantaggio dei Paesi Asiatici che si affacciano sul Pacifico. Gli
investimenti verso l’Europa sono stati paradossalmente favoriti dalla crisi, che ha reso i
prezzi di asset finanziari e industriali strategici e prestigiosi più accessibili.
Osservando la tabella con le maggiori operazioni di acquisizione da parte dei Fos di
tutto il Mondo, abbiamo la conferma delle tendenze appena descritte. I FoS MENA
sono fra i più attivi (protagonisti di cinque operazioni su tredici totali), quelli più votati
verso il resto del Mondo (nessuno di questi investimenti ricade nella zona arabomediterranea), in particolare l’Europa (4 operazioni su cinque riguardano questo
continente a dispetto di una sola per il resto dei FoS13) e caratterizzati da un’attenzione
alla diversificazione sia finanziaria che produttiva. I cinque investimenti comprendono
il settore degli idrocarburi (Compañía Española de Petróleos), delle fonti di energia
alternative (Iberdrola), l’automotive (Mercedes-Benz Grand Prix), e quello bancario
(RHB Capital e Credit Suisse).
4. Come accrescere la presenza dei fondi MENA in Italia
L’Europa è la destinazione più ambita dai Fondi Sovrani e in particolare da quelli
MENA, che qui hanno relazioni e trovano aperture di credito negate altrove (in
particolar modo in Nord America). Ad oggi la City di Londra costituisce il luogo di
atterraggio privilegiato dei fondi sovrani, in primis di quelli dell’area MENA. L’analisi
dello stock degli ultimi diciassette anni di investimenti dei FoS in Europa, ci fa capire
come più della metà di essi siano stati destinati al Regno Unito. Anche nel 2011 questo
Paese è stato capace di attrarre il 13% degli investimenti effettuati dai fondi sul
continente. A Londra molti dei più importanti FoS mondiali, come il Kuwait
Investment Authority, la Brunei Investment Agency, l’Abu Dhabi Investment
Authority, il Temasek Holdings e il General Investment Corporation di Singapore,
hanno un ufficio di rappresentanza ed altri stanno per aprirne uno. I motivi di successo
della capitale inglese sono diversi: la presenza di un importante polo finanziario, di
un’ampia offerta di servizi finanziari di qualità, di un mercato aperto all’internazionale
e un sistema giuridico-normativo efficiente. Da sottolineare è poi la politica specifica
per attrarre investitori internazionali (Fondi sovrani e non) portata avanti dal governo
britannico tesa a favorire l’afflusso degli investimenti diretti esteri nel paese. Il
“Memorandum of Understanding on Enhancing Cooperation in Onfrastrucrure”
firmato con il Governo cinese nel settembre del 2011 ne è un esempio, così come il
dialogo continuo fra il governo della Gran Bretagna e quelli dei paesi MENA.
13
164 Se si escludono le operazioni del Fondo irlandese verso l’economia del proprio Paese.
LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
Scomposizione degli investimenti dei FoS in Europa per Paese di destinazione, 2011 e
stock dal 1995 al 2009
Spagna
2%
Altri
8%
2011
1995-2010
Altri Europa
2%
Danimarca
4%
Altri paesi UE
21%
Italia
4%
Spagna
38%
Olanda
6%
Gran Bretagna
49%
Francia
12%
Regno Unito
13%
Germania
3%
Altri paesi Euro
6%
Germania
15%
Francia
17%
Graf. 7 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su dati Sovereign Investment Lab, Universitá Bocconi e
Deusche Bank.
La restante parte dello stock di investimenti è destinata principalmente alla
Germania (il 15% del totale), alla Francia (12%) e all’Olanda (6%). L’Italia segue con
un incidenza del 4% sugli investimenti totali, anche se lo scorso anno non ha registrato
un monte operazioni significativo. Per comprendere meglio chi e su quali oggetti si
investe in Italia è bene analizzare rapidamente i principali FoS attivi sul territorio
nazionale. I FoS sono presenti da anni nel capitale delle imprese italiane. Un recente
studio della Consob14 afferma come oltre un terzo delle società italiane abbia un fondo
sovrano fra i suoi azionisti, per un totale di 102 società. Negli altri paesi europei la
penetrazione dei FoS sul totale delle aziende quotate è compresa fra il 15 ed il 25%. Il
dato cambia se si prende in considerazione il peso dei FoS rispetto alla capitalizzazione
borsistica nazionale totale: riducendosi fra il 2 ed il 3%, in Italia come negli altri poli
finanziari europei. La penetrazione dei FoS in Italia sembrerebbe dunque maggiore che
altrove, ma questa avviene su un numero di imprese quotate e con un ammontare di
capitali mediamente minore che nel resto d’Europa.
Il Sovereign Investment Lab della Bocconi è meno ottimista e arriva a censire un
totale di 30 operazioni di investimento dei FoS in Italia.
Presenza e peso dei Fondi Sovrani nelle borse dei principali Paesi Europei
Italia
Francia
Germania
Regno Unito
N. società quotate,
partecipate da FoS
102
172
174
400
% di società partecipate
da FoS sul totale
35,6%
19,0%
16,5%
24,6%
valore % della partecipazione dei FoS
sul totale della capitalizzazione
2,2%
2,0%
2,6%
3,0%
Tab. 5 - Fonte: CONSOB
14
Discussion papers, “I Fondi Sovrani e la regolazione degli investimenti nei settori strategici”. S.
Alvaro, P. Ciccaglioni – CONSOB – (2012).
165
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Storicamente il Fondo Sovrano più attivo In Italia è il Libyan Investment Authority
(LIA). La LIA e un’organizzazione governativa creata nel 2006, dall’accorpamento di
diversi portafogli e società di investimento statali, al fine di gestire i ricavi derivanti
dalle riserve petrolifere e diversificare le entrate statali. Opera sia all’interno del
continente africano, tramite la controlla Libyan Africa Investment Portfolio (LAP), sia
all’estero tramite la Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico) e l’Oilinvest.
La LIA è poi legata all’ESDF (Economic and Social Development Fund), incaricata
dello sviluppo dell’economia libica. Altre istituzioni libiche che investono all’estero
sono la Libyan Foreign Bank e la Libyan National Oil Company.
In un solo anno il capitale gestito dalla LIA è sceso dai 133 miliardi di dollari del
2011 ai 65 del 201215, come conseguenza del congelamento dei fondi in seguito alla
guerra civile ed al cambio di gestione dopo la caduta del regime della famiglia
Gheddafi. Mutamenti che hanno comportato un diversa politica di investimento (e
qualche perdita).
Il fondo possiede un portafoglio più liquido della media dei FoS, persegue ritorni
sugli investimenti di medio-lungo termine e, a differenza di molti altri fondi che
preferiscono non rendere pubbliche le loro partecipazioni, è presente nei consigli di
amministrazione grazie a investimenti che solitamente superano il 2% del capitale
totale delle aziende. La LIA è nata contestualmente alla fine dell’isolamento
internazionale del governo libico, costituendo uno dei principali veicoli di investimento
che hanno accompagnato l’incremento dei rapporti politici e commerciali con l’Italia,
culminati con la firma del trattato fra l’Italia e la Libia nell’agosto del 2008. Oltre alle
partecipazioni del fondo libico o della banca centrale in diversi settori della nostra
economia come lo sport (le squadre di calcio Juventus e Triestina), o il manifatturiero
(Fiat e Olcese), la Libia si è ultimamente rivolta ai settori della finanza (Banco di Roma
e, dopo la fusione, Unicredit) e dell’energia (ENI).
Il trattato di cooperazione fra l’Italia e la Libia ha segnato un nuovo corso, che
punta a siglare delle intese di ampio respiro con le maggiori realtà industriali e
finanziarie italiane per sviluppare congiuntamente, spesso sotto forma di joint venture,
investimenti tanto in Italia che nel area MENA. Gli esempi sono numerosi: dalla joint
venture Gran Jamahiria con Impregilo a Banca UBAE (con Unicredit), fino al
memorandum firmato, nell’agosto del 2009, fra la LIA e Finmeccanica, che si inserisce
nel solco del trattato fra i due paesi e si concentra sui settori dell’aerospazio,
dell’elettronica, dei trasporti e dell’energia. Uno dei maggiori frutti di quest’accordo si
è avuto il 25 gennaio del 2011, allorquando la LIA ha investito 100 milioni di euro per
entrare nel capitale di Finmeccanica (fermandosi al 2%, al di sotto della soglia del 3%,
che richiede l’autorizzazione del Governo italiano). Sempre nel 2009 la LIA ha
concluso un altro accordo con Mediobanca per la creazione di un fondo comune volto a
investimenti in società italiane dei settori delle costruzioni, delle telecomunicazioni, del
farmaceutico e del real estate.
Il nuovo corso successivo alle “Primavere arabe” pone qualche interrogativo, in
seguito alla sentenza del tribunale internazionale dell’Aia che congela i fondi libici,
15
166 Stime SWF Institute.
LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
anche a scopo di usarli come risarcimento per le vittime di crimini commessi dalla
famiglia Gheddafi. Le autorità libiche sono ora impegnate a dimostrare l’appartenenza
dei fondi allo stato libico e conseguentemente la legittimità dell’uso a favore delle
politiche governative.
Prima del congelamento i nuovi amministratori hanno privilegiato gli investimenti
produttivi, liberando liquidità grazie alla vendita di altre partecipazioni: a inizio del
2012 la LIA non ha sottoscritto né l’aumento di capitale di Unicredit (scendendo al
1,25%), né quello della Juventus (scendendo da una quota del 7,5% ad una del 1,5%).
Principali presenze dei FoS MENA nel tessuto produttivo italiano
FoS acquirente
Libyan Investment Authority
Libyan
Telecommunication
and Information Technology
Company
Central Bank of Libya e
Libyan Foreign Bank
Qatar Investment Authority
Mubadala
Company
ADIA
IPIC
Development
Stato
Asset acquistato
Settore
%
di
quota
detenuta sul totale
Libia
Fiat Spa e Fiat Industrial
Juventus FC
Eni
UniCredit SpA
Finmeccanica
Automotive
Sport
Energetico
Finanza
Aerospazio
0,33%
1,50%
1,00%
1,26%
2,00%
Libia
Retelit
Telecomunicazioni
14,80%
Libia
UniCredit SpA
Finanza
4,60%
Qatar
Hotel Gallia di Milano
Valentino Fashion
Group
Real Estate
100,00%
Lusso
100,00%
Piaggio Aero Industries
Aerospazio
35,00%
Bulgari
Mediaset
Banca Popolare del
Commercio e
dell'Industria
UniCredit SpA
Lusso
Telecomunicazioni
2,00%
2,00%
Finanza
4%
Finanza
6,50%
EAU - Abu Dhabi
EAU - Abu Dhabi
Tab. 6 - Fonte: Consob, Monitor, SWF Institute
Non è poi raro osservare delle operazioni congiunte (anche in Italia) fra il FoS
libico e l’Abu Dhabi Investment Authority (ADIA), il più grande FoS al Mondo, forte
del suo portafoglio da 627 miliardi di dollari. Lo scorso anno l’ADIA ha concluso 13
operazioni in tutto il Mondo per un totale di 1,9 miliardi di dollari. È attivo in Italia sin
dal 1996 quando per 124 miliardi di lire acquistò l’1,7% del gruppo Mediaset, prima
del collocamento in borsa. Da allora questa quota è dapprima salita e poi scesa poco al
di sotto del 2%. Il fondo ha operato altri due investimenti nel settore finanziario: uno
nella Banca di Roma, a sua volta confluita in Unicredit Group, l’altro nell’attuale UBI
(Banca Popolare del Commercio e dell’Industria). L’interesse per l’economia italiana è
stato rinnovato all’inizio del 2012, quanto il fondo di Abu Dhabi ha partecipato alla
ricapitalizzazione di Unicredit con 500 milioni di euro, incrementando la sua quota nel
capitale sociale dal 4,9% al 6,5% e rafforzando la sua posizione di primo azionista.
L’ADIA ha poi una partecipazione nel settore del lusso, detenendo il 2% di Bulgari.
Nel 2011 è anche entrata nel novero dei contendenti per l’acquisizione dell’AS Roma,
ma senza portare a termine l’operazione.
167
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
L’ADIA è un fondo interessante per l’Italia poiché analizzandone il portafoglio si
nota come esso prediliga società estere, sia pubbliche che private, appartenenti alle
economie di più antica industrializzazione. Non trascurabile è anche le quota dedicata
agli small cap equities, che pesano fra l’1 ed il 5% del portafoglio del FoS. Negli ultimi
anni i gestori del fondo stanno cambiando strategia, preferendo sempre più una
gestione diretta dello stesso con un minor ricorso a fondi di investimento terzi.
L’ADIA è destinata a conservare il suo ruolo fra i maggiori fondi al Mondo grazie al
fatto di ricevere (grazie a una legge del 2006) il 70% dei ricavi provenienti
dell’industria petrolifera nazionale, con l’intento di conservare la ricchezza attuale a
vantaggio delle prossime generazioni.
Vision e mission simili a quelle dell’ADIA sono portate avanti da un altro fondo di
Abu Dhabi, il Mubadala che, pur avendo dimensioni più contenute (la somma dei beni
posseduti nel 2012 arrivava a 48,2 miliardi di dollari, contro i 627 dell’ADIA), ha fatto
segnare un attivismo superiore alla media negli ultimi anni, raddoppiando il proprio
capitale complessivo dal 2010 al 2012 e investendo 3,56 miliardi di dollari in 13
operazioni diverse nel solo 2011.
La sua mission principale non si limita al ritorno sugli investimenti, punta alla
diversificazione dell’economia dell’emirato. Coerentemente con questo scopo il fondo
ha una strategia commerciale incentrata sugli investimenti a lungo termine e ad alta
intensità di capitale. Non è un caso se il 30% del suo portafoglio sia impegnato in quote
di società multinazionali. Predilige le partnership con realtà di rilievo internazionale in
settori come quello aerospaziale (detiene il 35% di Piaggio Aero Industries), del life
science, dell’ICT, delle infrastrutture e del real estate. Un esempio ci è fornito dal
investimento fatto in Ferrari nel 2005 (quota poi riacquistata dal gruppo Fiat), che ha
permesso all’emirato di ottenere visibilità internazionale e di inserirsi nei circuiti della
Formula 1, nonché nel settore dell’automotive (detiene una partecipazione in Tata). In
questo solco si colloca la scelta di costruire, all’interno dei suoi confini un parco di
divertimenti dedicato al tema della velocità e legato al marchio Ferrari.
Mubadala si muove sempre di più prediligendo le partnership industriali come
quella siglata nel 2007 con il Gruppo Poltrona Frau che aveva lo scopo di aprire dei
negozi di arredamento nell’emirato, ma soprattutto di intercettare le commesse legate
agli importanti progetti immobiliari della zona del Golfo Persico, diffondendo la
cultura del design di alta qualità. Un altro accordo è poi stato trovato l’anno successivo
con Alenia, controllata da Finmeccanica. L’oggetto dello stesso riguarda la
realizzazione di componenti aeronautici e nuove tecnologie (ad esempio per aerei
unmanned) per il settore civile presso un impianto produttivo sito ad Abu Dhabi.
Tra gli altri FoS MENA operanti in Italia vi è il KIA (Kuwait Investment Authority)
attento alla gestione diretta del business legato al petrolio. Non a caso in Italia tramite
una sua controllata (la KPC) gestisce la Q8 (che a sua volta ha acquistato il 100% delle
Mobil Oil Italia) e con ENI (joint venture al 50%) possiede la raffineria di Milazzo. Nel
2010 in seguito alla visita in Italia dell’emiro Sheikh Sabah Al Ahmad sono stati
firmati tre accordi bilaterali per i settori dell’ambiente, della salute e del turismo. I
margini di collaborazione fra l’Italia ed il Kuwait ed in particolare con il fondo KIA,
che nel 2011 ha investito globalmente 2,83 milioni di dollari in 15 operazioni, sono
168 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
ancora ampi. Sempre legato agli idrocarburi è l’investimento (pari al 45% del totale)
operato da Quatar Petroleum per dar vita al rigassificatore di Rovigo, inaugurato nel
ottobre del 2009. Un fondo, quest’ultimo, che si caratterizza da sempre per il grande
dinamismo: nel solo 2011 ha dato vita a 26 operazioni per 11,98 miliardi di dollari di
investimenti totali. In Europa per ora ha concentrato la sua attenzione nei settori del
real esatate (Sainsburys, Harrods), delle infrastrutture (InfraRed Infrastructure Fund II)
e della finanza (London Stock Exchange, Barklays e Credit Suisse). Nel luglio di
quest’anno lo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, presidente della Quatar Investment
Authority ha acquistato per 700 milioni di euro il Valentino Fashion Group e sta
esaminando il possibile acquisto della Snam (rete gas) e di Fincantieri, per entrare nel
settore delle navi da crociera. Interessato al real estate ed alla cantieristica navale
italiana è anche lo State General Reserve Fund dell’Oman, che ha commissionato nel
solo 2006: cinque catamarani per 90 milioni di dollari ai Cantieri Navali Rodriguez, tre
turbine per centrali elettriche ad Ansaldo Energia per 100 milioni di dollari.
Interessante è la commessa vinta dalla società di ingegneria Sering che si è aggiudicata
la progettazione del nuovo porto di Shinas. Altre operazioni dei FoS MENA in Italia
hanno coinvolto: la Dubai World che ha mostrato interesse per un investimento fra i
500 ed i 700 milioni di euro nell’area ex-Falck di Sesto San Giovanni e per la
ristrutturazione del centro di Palermo.
5. Paesi arabi e nord mediterranei: gli investimenti Privati e delle Banche
nazionali
Nel paragrafo precedente abbiamo compreso come fra i maggiori attori MENA che
operano investimenti in Italia non ci siano solo i FoS, ma anche le banche centrali e le
società legate direttamente ai patrimoni dei singoli individui o famiglie.
Alla fine del 2011 CityUK stimava in 6.000 miliardi di dollari il totale dei beni di
investimento estero gestiti dai Paesi esportatori di idrocarburi. Di questi, la
maggioranza relativa (il 45%) è in capo ai Fondi Sovrani, ma subito dopo (con il 41% e
poco meno di 2.500 miliardi di dollari) troviamo i patrimoni delle famiglie regnanti o
gli imperi industriali dei singoli individui. Al terzo posto (con 860 miliardi di dollari)
vi sono infine le riserve in capo alle Banche Centrali. Non è sempre facile distinguere
nettamente le tre fonti e soprattutto i gestori delle stesse. Ad esempio la famiglia reale
del Qatar differenzia i suoi investimenti e i suoi veicoli attraverso cui li compie: si va
dagli investimenti personali a quelli operati tramite il Qatar Investment Authority,
oppure tramite società costituite ad hoc come la Qatar Sport, che possiede la squadra di
calcio del Paris Saint-Germain, o la Qatar Luxury Group, che si occupa delle
operazioni nel mondo del lusso.
169
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
Scomposizione percentuale dei beni di investimento estero dei paesi
esportatori di idrocarburi, fine 2011
Riserve della Banca
Centrale
14%
Patrimoni di individui
singoli
41%
Fondi Sovrani
45%
Graf. 8 - Fonte: elaborazioni CityUK
Senza dimenticare la Quatar National Bank che ha recentemente investito 450
milioni di sterline nella costruzione di un grattacielo di 310 metri, progettato da Renzo
Piano e ubicato a fianco alla City di Londra. È dunque opportuno poter quantificare le
tre fonti e tenere a mene il potenziale complessivo delle stesse.
6. FEMIP E BERS: le istituzioni sovra-nazionali che operano per lo sviluppo
dell’area arabo-mediterranea
Fra i veicoli di investimento che prendono la direzione del Nord Africa e del Medio
Oriente dall’Italia o dall’Europa, segnaliamo infine il ruolo svolto dal FEMIP16, Il
Fondo Euro-Mediterraneo di Investimento e Partenariato, sotto il quale convergono le
politiche europee tese a favorire lo sviluppo dei paesi partner17.
Il Fondo incentiva la crescita e la creazione di impiego nell’area con due priorità.
Da una parte vi è il supporto al settore privato, per mezzo di iniziative in loco o di
investimenti diretti esteri per progetti infrastrutturali, investimenti in capitale umano o
rivolti all’ambiente; dall’altra la promozione di un ambiente favorevole all’attrazione di
16
Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership.
Sono i seguenti: Algeria, Egitto, Gaza/West Bank, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria e
Tunisia. Ai quali presto si aggiungerà la Libia.
17
170 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
investimenti ed al dialogo fra le due sponde del Mediterraneo. Dal 2002 il Fondo ha
investito 13 miliardi di dollari in diverse operazioni, assistendo 2.300 PMI, e
mobilitando altri capitali per circa 35 miliardi, anche grazie al sostengo di altre
istituzioni finanziarie ed al settore privato. Il FEMIP mette a disposizione tre tipi
diversi di prodotti finanziari: prestiti, private equity e assistenza tecnica. Inoltre, valuta
la concessione di garanzie18.
Crescita percentuale per le maggiori macro-aree mondiali, dal 2010 al 2017
(Stime dal 2012 del FMI)
7,0%
Mondo
6,0%
Economie Avanzate
5,0%
4,0%
Area Euro
3,0%
ASEAN-5
2,0%
America Latina
1,0%
0,0%
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Medio Oriente e Africa
del Nord
-1,0%
Graf. 9 - Fonte: FMI
A testimonianza della crescita dell’interesse delle istituzioni europee per l’area
arabo-mediterranea, lo scorso anno (nell’ottobre del 2011) gli azionisti della BERS (la
Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) hanno esteso il suo mandato
all’Africa settentrionale e al Medio Oriente. La Banca è interessata a sostenere i
processi di trasformazione democratica. Per la BERS, come per il FEMIP, uno degli
assi fondamentali è lo sviluppo del settore privato ed in particolare delle PMI in grado
di dare occupazione rispondendo ad una delle principali criticità della regione: l’alto
tasso di disoccupazione giovanile. Il secondo asse d’azine è il miglioramento della
qualità di vita delle popolazioni ad esempio tramite lo sviluppo sostenibile delle
18
Per un’esposizione più dettagliata dell’operato del FEMIP e del su Trust Fund, si veda il
Rapporto Annuale 2011 “Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo.
171
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
infrastrutturale energetiche, per garantire la fornitura della corrente elettrica,
diminuendo i mal funzionamenti e gli sprechi attuali.
I paesi inizialmente interessati dall’estensione del mandato sono Egitto, Marocco,
Tunisia e Giordania, ma altri seguiranno nel prossimo futuro. Dal settembre del 2012 la
BERS ha dato il via ai primi investimenti. I primi tre progetti si sostanziano in linee di
credito comprese fra i 20 ed i 30 milioni di euro concesse a intermediari finanziari
(banche e fondi di private equity) operanti in Giordania, Marocco e Tunisia per la
promozione di strumenti finanziari rivolti alle PMI. Il quarto progetto finanzia invece
l’espansione produttiva di una società egiziana che produce condizionatori. La BERS
conta di far crescere rapidamente questa linea di crediti per arrivare nel 2015 a
finanziare 2,5 miliardi di euro di investimenti all’anno.
Questi sono fra i maggiori canali che possono aiutare gli investitori italiani ad
essere protagonisti in un’area che dopo le difficoltà del 2011 è tornata a cresce più del
resto del Mondo e che secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale crescerà
nei prossimi cinque anni con tassi attorno al 4%.
7. I FoS ed altri fondi favoriscono più strette relazioni fra l’Italia e i Paesi del
Mediterraneo
Nell’ultimo anno il valore dei beni gestiti dai FoS MENA è cresciuto del 19%,
raggiungendo i 1.900 miliardi di dollari. Solamente fra il giungo del 2011 ed il luglio
del 2012, la crescita è stata pari a 300 milioni di dollari. Una crescita che, nonostante il
quinquennio caratterizzato da un congiuntura internazionale difficile, è stata dell’ordine
del 50%. Una dinamica virtuosa destinata a proseguire per almeno i prossimi anni, sia
perché è presumibile che la domanda e il prezzo del greggio rimarranno almeno sui
valori attuali, sia perché i Fondi Sovrani rappresenteranno
il più importante canale di investimento dei ricavi derivanti dalla vendita degli
idrocarburi.
Conoscendo le stime dei maggiori istituti di ricerca specializzati, che parlano di una
crescita media dei FoS mondiali pari al 10% all’anno per i prossimi cinque anni,
possiamo attribuire lo stesso tasso anche ai FoS MENA, che nel 2017 si troverebbero
ad amministrare un patrimonio pari a tre mila miliardi di dollari, circa il doppio del PIL
italiano.
Questo ammontare di capitale è destinato a alimentarsi e produrre flussi di
investimenti. Nel caso dei FoS arabo-mediterranei in particolare vi è poi una
predilezione per destinare gli investimenti al continente europeo: fra il 2009 ed il 2011
questi sono valsi in media 17,6 miliardi di dollari. Supponendo che questo flusso cresca
del 5% all’anno (un tasso pari alla metà della crescita dello stock amministrato) fino al
2017, avremmo in media ogni anno 20 miliardi di dollari a disposizione dei fondi
arabo-mediterranei, per investimenti da destinare alle piazze europee. Ora non ci resta
che calcolare la parte della torta spettante all’Italia. Sappiamo, da uno studio della
Deusche Bank, che in 15 anni l’Italia ha attratto circa il 4% degli investimenti dei Fos
172 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI
in Europa. Conoscendo gli acquisti di partecipazioni o altri beni operati dei FoS in
Italia e la predominanza dei FoS arabo-mediterranei, è sensato immaginare che nei
prossimi 5 anni almeno un 5% degli investimenti dei FoS MENA possa essere
intercettato dal nostro Paese, per un valore pari a circa un miliardo di dollari l’anno. La
stima è prudenziale, basti pensare che il valore è inferiore a quanto essi hanno investito
nei primi nove mesi del 2012: 500 milioni di euro del fondo IPIC di Abu Dhabi in
Unicredit e 700 milioni di euro del fondo del Quatar, QUI, per l’acquisto del gruppo
Valentino.
Come dimostrano le scelte operate dai FoS arabo-mediterranei negli ultimi dieci
anni, il tessuto produttivo italiano è attrezzato per rispondere alle prerogative ricercate
da queste economie arabo-mediterranee: esperienza, managerialità, conoscenze
artigianali e industriali, innovatività e in alcuni casi prestigio e notorietà internazionale.
D’altro canto le imprese italiane hanno necessità sia di trovare capitali per finanziare
ristrutturazioni e sviluppo, sia di ampliare il raggio dei loro sbocchi commerciali,
nonché quello dei loro interlocutori industriali.
In questo senso sono già in essere alcune importanti relazioni fra le due sponde del
Mediterraneo, ma sia il volume degli investimenti FoS, sia gli oggetti che l’Italia già
intercetta presentano significativi margini di crescita.
Pensiamo al fatto che l’economia italiana valga il 12% del prodotto interno lordo
dell’Unione Europa. È dunque ragionevole che il sistema nazionale si dia come
obiettivo quello di intercettare una quota pari all’8% degli investimenti dei FoS arabomediterranei diretti in Europa. Un target che si tradurrebbe in un flusso pari a 1,6
miliardi di dollari di investimenti all’anno, per un totale di 8 miliardi nei prossimo
quinquennio. Ai capitali dei FoS, si possono poi aggiungere i patrimoni privati (delle
famiglie reali e non) e delle banche centrali. Nei paesi esportatori di idrocarburi queste
altre due categorie hanno capitali a disposizione almeno pari a quelli dei FoS, tanto che
allargando il novero degli investitori da intercettare, si potrebbe arrivare a raddoppiare
la cifra fissata come target.
Vi è poi un problema di attrattività del nostro Paese, per aumentare la quale è utile
inquadrare le relazioni italo-mediterranee nell’ambito di accordi e protocolli bilaterali
fra i principali attori dei relativi stati , creando azioni sistemiche (in Italia come
all’estero) che coinvolgano le istituzioni pubbliche ai loro massimi livelli, le aziende
partecipate dallo stato, lo stesso Fondo Strategico Italiano, le filiere produttive e le
dorsali di assistenza economico e finanziaria all’estero come le reti bancarie. I
maggiori istituti di credito italiani sono ormai presenti in quasi tutti i Paesi del sud del
Mediterraneo e della Penisola araba, con filiali proprie, uffici di rappresentanza
specializzati nel supporto alle imprese italiane o protagoniste di accordi di
collaborazione con le banche locali.
Le leve da attivare nel corso di questa attività si devono poi rinnovare tenendo
contro del quadro economico-politico mutato dopo i movimenti della “Primavera
araba”. I governi nord africani o mediorientali hanno ora ancora maggiore esigenza di
far ricadere parte del business, quando non del know how, sui loro stessi territori per
supportare il potere d’acquisto delle popolazioni locali e contrastare la disoccupazione
giovanile.
173
LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI
È necessario essere in grado non solo di intercettare i flussi di investimenti rivolti
all’Europa, ma di fornire servizi e prodotti dall’Italia a quei Paesi, anche perché essi, da
Paesi consumatori dei redditi da idrocarburi, si stanno rapidamente trasformando in
importanti piattaforme produttivo-commerciali, sfruttando la disponibilità di capitali da
investire in infrastrutture e opere di industrializzazione e la loro posizione geografica
baricentrica fra Europa, Asia e Africa. Non è un caso se il Fondo Monetario
Internazionale ne stima il prodotto interno lordo in crescita nei prossimi cinque anni,
con tassi superiori al 4%: più della media mondiale, il doppio della media delle
economie avanzate ed il quadruplo dell’area Euro.
È tuttavia necessario affilare le armi a disposizione di investitori privati e istituzioni
italiane, in modo che questi Paesi non si trasformino in temibili concorrenti, come ha
dimostrato il caso dell’Alcoa, ma trovino in Italia un luogo di atterraggio privilegiato
per i loro investimenti e dei partner rispondenti alla domanda di conoscenza tenclogicoproduttiva a cui dare corso anche nei propri Paesi.
Se avremo la capacità di convincere gli investitori arabo-mediterranei, per
caratteristiche e portata questa sarà senza dubbio una delle rotte che il nostro Paese
potrà sfruttare per ritrovare un cammino di crescita e competitività.
174 PARTE TERZA
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
CAPITOLO VI
IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED:
ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
1. Premessa
Il Mediterraneo ed i suoi porti sono interessati da nuove e dinamiche opportunità di
crescita determinate dai fenomeni congiunturali e dai mutamenti degli equilibri geopolitici. Scopo di questo lavoro è quello di delineare l’andamento e i possibili futuri
scenari dello shipping nel Mediterraneo, che non si limita più ad essere un’area di
transito per i flussi internazionali di merci che da Est sono diretti ad Ovest ma sta
diventando una regione di scambio autonoma per effetto dell’aumento dei flussi
intramediterranei dovuta allo sviluppo dei Paesi della Sponda Sud-Est. In questo
contesto, chiare appaiono le potenzialità di sviluppo dei Paesi europei che si affacciano
sul bacino e, in particolare dell’Italia, che vanta oltre ad un posizionamento geografico
favorevole, anche consolidati rapporti commerciali con i Paesi dell’area Med.
L’analisi si articola lungo la duplice dimensione delle rotte internazionali, quindi
del transhipment da un lato e dello Short Sea, quindi della navigazione di cabotaggio
dall’altro, segnalando l’impatto che i fenomeni post crisi, principalmente gigantismo
navale e investimenti infrastrutturali da parte dei paesi della sponda Sud-Est, hanno
avuto sulla configurazione portuale del Mediterraneo. In particolare è esaminato lo
scenario competitivo dei porti con riferimento alla dimensione euro-mediterranea,
evidenziando le caratteristiche e le prospettive di sviluppo degli scali nelle diverse aree
in cui si suddivide il bacino. La questione è diventata di rilevo per il crescente interesse
mostrato dagli operatori terminalistici internazionali verso i porti non Ue del bacino,
per le facilitazioni burocratiche e amministrative di quelle aree finalizzate ad attirare
investimenti esteri e per i cambiamenti delle condizioni socio-economiche che stanno
interessando i Paesi del Nord Africa.
Il lavoro si completa con l’analisi delle Autostrade del Mare in Italia il cui ulteriore
sviluppo potrà costituire un importante strumento per l’avvicinamento tra l’Europa
comunitaria e i Paesi della Sponda meridionale e quindi per il processo di integrazione
euro-mediterranea nel quale il nostro Paese potrà assolvere un ruolo da protagonista.
2. La rinnovata centralità del Mediterraneo nei traffici marittimi
Lo shipping ha acquisito un’importanza crescente nell’economia e nelle prospettive di
sviluppo delle aree industrializzate e di quelle emergenti: oltre l’80% del commercio
mondiale (pari a circa 8 miliardi di tonnellate trasportate) utilizza la modalità marittima.
Il Mediterraneo, per questo articolato e complesso sistema dei flussi di traffico a
scala mondiale, è diventato un mercato dalle molteplici potenzialità seppure in continua
177
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
evoluzione. In quest’area, che abbraccia 25 Stati di tre continenti diversi, transita il
19% dell’intero traffico marittimo mondiale: circa 1,4 miliardi di tonnellate di merci; il
30% del petrolio mondiale e quasi i 2/3 delle altre risorse energetiche destinate
all’Italia e agli altri Paesi europei passano per il Mediterraneo, comprese quelle
trasportate dai gasdotti sottomarini. È naturale che il bacino rappresenti un mercato di
grande interesse per gli operatori dello shipping, collocandosi al centro delle maggiori
direttrici di traffico internazionale.
Il Mediterraneo - che nel 2020 rappresenterà un mercato potenziale di 525 milioni
di persone - dal punto di vista politico e sociale è un laboratorio in divenire. Nei primi
mesi del 2011, il mondo arabo, e particolarmente il Nord Africa, è stato investito da
un’ondata di proteste e agitazioni che hanno sconvolto profondamente la regione, e che
vengono ricordati come “la primavera araba”. In Tunisia, Egitto e Libia, le sollevazioni
popolari si sono concluse con il rovesciamento dei rispettivi dittatori, mentre, in
Algeria e in Marocco, alla ricerca di un compromesso, i regimi in carica hanno risposto
con una serie di riforme politiche e misure economiche calate dall’alto.
I fattori che hanno generato questa situazione nel Nord Africa sono da ricercare da
una parte, in un progressivo e drammatico peggioramento del quadro socio-economico,
soprattutto nell’ultimo decennio, che ha generato insofferenza nelle giovanissime
popolazioni; e dall’altra, in un quadro politico diventato incerto e caratterizzato da un
crescente autoritarismo, anche se con modalità ed intensità diverse da paese a paese.
Questi conflitti nel breve termine, hanno contribuito ad aumentare i fattori di
instabilità e ad acutizzare, in molti casi, i problemi socio-economici all’origine delle
proteste. Tra i principali effetti positivi della primavera araba va sottolineato, in
particolare, il riemergere della società civile, che, benché sia ancora debole, poco
organizzata e, per alcuni aspetti, in una fase ancora embrionale, testimonia, in queste
prime fasi, un certo dinamismo. Nonostante questo slancio comune verso governi
democratici, non si può ancora parlare di “Area Mediterranea”, intesa quale organismo
unito sotto il profilo giuridico: gli Stati non hanno dei sistemi comuni né sono integrati
dal punto di vista economico. I conflitti che turbano la regione, inoltre, sono un limite
alle potenzialità di unificazione dell’area. Difficoltà si ritrovano non solo per
l’integrazione tra i Paesi della Sponda meridionale ma anche tra l’Europa e i partner del
Mediterraneo. Si può affermare che tutte le politiche euro-mediterranee sono basate
sull’idea che esista un comune interesse dei paesi dell’UE a sviluppare forme di
cooperazione e solidarietà con i paesi della Sponda Sud ma, nonostante ciò, esse non
hanno ancora sortito i risultati auspicati.
Non è più avanzato il progetto di realizzazione della Zona di Libero Scambio
mediterranea prevista per il 2010 dalla Dichiarazione di Barcellona sancita nel 1995 dai
quindici paesi membri dell’Unione Europea e le nazioni dell’area MEDA1. Per
conseguire questo obiettivo, le parti si accordarono per eliminare in modo progressivo
ogni forma di protezionismo, a cominciare dai dazi doganali che tuttora presentano un
forte squilibrio; per l’adozione di regole di origine e del diritto di certificazione; per il
1
I paesi che fanno parte dell’Area MEDA sono: Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano,
Marocco, Palestina, Siria, Tunisia, Turchia.
178 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
conseguente sviluppo di politiche basate sui principi dell’economia di mercato, per la
modernizzazione delle loro strutture economiche e sociali dando priorità alla
promozione ed allo sviluppo del settore privato. Si trattava di un progetto la cui
attuazione concreta aveva un valore prioritario, soprattutto per l’Italia, in quanto
avrebbe consentito di incrementare il commercio e con esso i trasporti nell’area
MEDA. Il Partenariato euromediterraneo è stato rilanciato nel 2008 dalla Francia
attraverso la costituzione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM) con l’obiettivo
dichiarato di promuovere la cooperazione tra le due sponde del mare interno.
Se da un punto di vista politico e sociale ancora molti sono i passi da compiere per
l’integrazione euro-mediterranea, dal punto di vista economico, in particolare per
quanto riguarda il trasporto marittimo, le performance delle infrastrutture presenti sulle
sponde opposte si sono molto avvicinate anche per effetto dei progetti di sviluppo
marittimo portuale che i Paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente hanno già
realizzato o hanno in corso d’opera.
A partire dai primi anni ‘90 si assiste ad un progressivo rafforzamento del ruolo del
Mediterraneo nelle principali direttrici di traffico marittimo. I fattori alla base di questo
fenomeno sono riconducibili principalmente a:
• il fenomeno del gigantismo delle navi, che ha reso quella Trans-mediterranea la
rotta privilegiata per i traffici con il Far East in quanto, a differenza del canale di
Panama, il Canale di Suez presenta caratteristiche strutturali compatibili con il
transito delle grandi portacontainer;
• la performance economica del Far East e dei Paesi emergenti del Nord Africa
che ha determinato un incremento significativo dell’interscambio via mare sulle
direttrici commerciali da/per l’Europa e fra le due sponde del Mediterraneo;
• l’impulso dato dall’Unione Europea nel corso dell’ultimo decennio allo Short
Sea Shipping, fortemente incentivato per ridurre la congestione sulle strade, che
oggi rappresenta il 62% del totale delle merci trasportate via mare dall’Unione2.
In questo contesto, l’obiettivo del rilancio dell’Italia quale asse strategico dei traffici
all’interno del Mediterraneo è possibile perché vi sono i presupposti, non solo geografici
ma soprattutto commerciali. L’interscambio dell’Italia con i Paesi dell’Area Med nel
2011 è stato pari a 29 miliardi di euro in export e 28,7 miliardi in import3: questi flussi
avvengono quasi esclusivamente via mare e non solo lungo le rotte deep sea ma anche su
quelle short sea.
Il bacino mediterraneo risulta presidiato da player attivi nei vari segmenti di business
(container, rinfuse e Ro-Ro), contraddistinti da dimensioni aziendali e strategie industriali
molto diverse. Accanto alle grandi shipping company, che mirano a intercettare i
principali flussi di traffico deep sea anche attraverso il controllo dei maggiori porti
dell’area, si colloca un insieme di imprese di dimensioni minori, focalizzate su specifici
2
EUROSTAT, Maritime transport statistics - short sea shipping of goods, 2011.
COEWEB, Banca dati. I Paesi con i quali è stato calcolato l’interscambio sono: Albania, Algeria,
Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, Libano, Libia, Marocco, Montenegro, Siria, Tunisia,
Turchia.
3
179
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
segmenti di mercato o su particolari direttrici di traffico short sea). Nel grafico che segue
sono indicate le quote di presenza delle shipping company nell’area mediterranea:
Distribuzione dei servizi nel Mediterraneo per shipping line
(delle 25 principali compagnie mondiali)
Safmarine; 7%
CSCL; 4%
Maersk; 10%
YML; 4%
Cosco; 4%
Hanjin; 4%
HSD; 5%
NYK; 3%
OSK; 3%
Hapag-Lloyd; 7%
United ArabSC
(SAG); 2%
CSAV
Norasia; 2%
APL; 2%
Evergreen; 9%
OOCL; 2%
Comp ania Sud
Americana; 1%
Delmas; 1%
ZIM; 7%
MISC; 1%
HMM; 1%
WHL; 0%
CMA-CGM; 9%
MSC; 11%
PIL; 0%
Graf. 1 - Fonte: C.I.E.L.I., 2011
La recessione economica internazionale ha avuto ripercussioni sui traffici via mare
nel bacino mediterraneo, dove si è registrata a partire dalla seconda metà del 2008 una
contrazione della domanda di servizi marittimi, in particolare con riferimento ai settori
dei container e delle rinfuse secche.
Sull’andamento dell’interscambio marittimo nel Mediterraneo hanno, inoltre, pesato
gli episodi di pirateria a largo della Somalia, che hanno influito sull’andamento del
traffico nel canale di Suez, asse strategico del commercio marittimo mondiale perché
porta di ingresso privilegiata per i flussi di merci lungo la direttrice est-ovest.
Molte delle principali compagnie di linea stanno prendendo in considerazione la
possibilità di spostare le navi dei servizi eastbound sulla rotta del Capo di Buona
Speranza, preferendo allungare i tempi di consegna pur di evitare il transito per il
Canale di Suez.
Nonostante ciò nel 2011 a fronte della riduzione del numero delle navi in transito, il
canale egiziano ha registrato una variazione in aumento del 7,1% delle merci
trasportate, a dimostrazione dell’incremento delle dimensioni delle navi che transitano
sulle rotte est-ovest.
180 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
Numero navi e tonnellate di merci in transito nel canale di Suez
800
25.000
Number of ships
600
500
15.000
400
10.000
300
Tons of goods (millions of tons)
700
20.000
200
5.000
100
0
-
2001
2002
2003
Number of ships
2004
2005
2006
2007
of which: container ships
2008
2009
2010
2011
Tons of goods (millions of tons)
Graf. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Suez Canal Authority, 2011
Sebbene anche i traffici Ro-Ro abbiano risentito del calo della domanda mondiale e
della crisi del commercio internazionale, tale tipologia di trasporto ha dimostrato, nel
complesso, un’elevata capacità di reazione di fronte a cambiamenti esogeni.
Il settore dei servizi Ro-Ro riesce infatti ad adeguarsi velocemente ai mutamenti del
contesto di mercato, potendo far leva sull’utilizzo di navi molto flessibili in termini di
mix di carico. In particolare, con l’avvento dei traghetti di ultima generazione, capaci
di combinare con massima flessibilità il trasporto di diverse tipologie di merci con
quello passeggeri, le compagnie di navigazione sono in grado di apportare con
tempestività le correzioni, operative e gestionali, necessarie per ottimizzare il tasso di
riempimento della stiva di fronte a un contingente fattore di crisi che si è manifestato in
un determinato mercato e/o area geografica.
3. Il nuovo volto della competizione portuale nel Mediterraneo
Il dinamismo recente del Mediterraneo è stato in larga parte determinato dalla
riorganizzazione dell’industria del trasporto marittimo e dalla nuova geoeconomia
mondiale. Nel contesto di integrazione e di allargamento dell’Unione Europea nonché
di crescente globalizzazione che ha portato l’Asia a sostituire il Nord America come
motore della crescita, il Mediterraneo è tornato a svolgere un ruolo di “magnete”
rispetto alla rete mondiale degli scambi commerciali - visto che il traffico merci tra
181
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
l’Europa e il Far East predilige la rotta che passa per Suez - e si è quindi trovato al
centro del network delle compagnie marittime.
In risposta a questi fenomeni congiunturali la Sponda Sud del Mediterraneo sta
attraversando una fase di rinnovamento: si sono registrati infatti numerosi investimenti
con l’obiettivo di ridurre il gap infrastrutturale relativo ai nodi marittimi con i Paesi
dell’Unione Europea.
Ad oggi nel Mediterraneo sono presenti due principali tipologie di porti dedicati al
traffico internazionale:
• Porti di transhipment: Scali di destinazione delle grandi navi portacontainer, dai
quali il traffico defluisce verso altri porti con navi più piccole (navi feeder).
• Porti gateway: Collocati in posizione strategica rispetto ai grandi mercati di
origine/destinazione delle merci.
Si intendono di transhipment generalmente quei porti in cui più del 50% dei teu
movimentati sono destinati al trasbordo (trasferimento di container dalle navi madri
alle feeder) o al relay (dalle navi madri alle navi madri), secondo l’organizzazione del
sistema hub and spoke, utilizzata da tutte le principali compagnie di navigazione,
mentre la restante quota è principalmente destinata al mercato locale.
Le due tipologie di porti non sono dunque in competizione tra loro in quanto il
transhipment in parte è anche servitore funzionale degli scali di destinazione finale
proprio attraverso il sistema dell’hub and spoke, che realizza collegamenti tra decine di
porti, rendendo possibile l’internazionalizzazione di tante piccole imprese che
diversamente avrebbero avuto notevoli difficoltà a collegarsi e relazionarsi con altri
Paesi.
In questa prospettiva i porti hub, per il ruolo che ricoprono e grazie alla loro
posizione geografica (vicino alle “porte” del Mediterraneo verso l’Atlantico e verso
l’Oceano Indiano, oppure vicini alla linea mediana Suez-Gibilterra), continueranno a
svolgere un ruolo essenziale, per cui i grandi progetti di ampliamento che coinvolgono
diverse realtà (e tra questi, Port Said in Egitto, Tangeri in Marocco ed Enfidha in
Tunisia) appaiono del tutto giustificati.
Nella tabella sottostante sono specificate le quote di transhipment dei principali hub
del Mediterraneo:
Quota del transhipment sul totale dei traffici nei principali porti hub del Mediterraneo
Mediterranean Hub
Gioia Tauro
Marsaxlokk
Tanger Med
Port Said
Algeciras
Damietta
Valencia
% transhipment
97%
95%
90%
87%
83%
82%
58%
Tabella 1 - Fonte: SRM su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Autorità Portuali, 2012
I dati sopra esposti mostrano la vocazione di “puro hub” per Gioia Tauro e Malta
per i quali quasi tutto il traffico è destinato al trasbordo; non è così per i porti spagnoli,
in particolare per Valencia, nel quale quasi la metà dei container sbarca nel porto come
182 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
destinazione finale per essere poi indirizzata verso il mercato locale con altre modalità
di trasporto. Se fino a un decennio fa i porti del versante meridionale avevano un ruolo
marginale nei servizi marittimi deep-sea, lo sviluppo dei terminal di transhipment
prima in Egitto e poi in Marocco ha segnato l’ingresso di questi paesi nella gestione del
traffico di container. Tale cambiamento ha favorito la crescita significativa dei porti
hub del Mediterraneo che tra il 2005 ed il 2011 hanno registrato un aumento del 44%
nei container movimentati complessivi.
Andamento del traffico di container nei principali hub del Mediterraneo
(migliaia di TEU)
Mediterranean hub
Valencia
Port Said
Algeciras
Marsaxlokk
Gioia Tauro
Tanger Med
Damietta
2005
13.297
2.612
1.621
3.256
1.321
3.208
1.279
2006
13.387
2.609
2.127
3.244
1.485
2.938
984
2007
15.156
2.771
2.640
3.414
1.887
3.445
999
2008
18.043
3.593
3.202
3.324
2.300
3.467
921
1.236
2009
17.767
3.653
3.470
3.042
2.260
2.857
1.222
1.263
2010
18.917
4.206
3.450
2.800
2.200
2.851
2.058
1.352
2011
19.199
4.327
3.800
3.603
2.360
2.305
2.093
711
var. 05-11
44%
66%
134%
11%
79%
-28%
-44%
var. 08-11
6%
20%
19%
8%
3%
-34%
127%
-42%
Tabella 2 - Fonte: SRM su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Assoporti, 2012
La crisi economica ha contribuito a modificare lo scenario del trasporto
containerizzato tra l’Europa e il Far East e a disegnare un nuovo volto alla
competizione portuale nel Mediterraneo. Si è determinata una flessione nella domanda
di beni imponendo una riduzione nella produzione industriale e, in risposta, l’industria
dello shipping ne ha risentito in ragione dello stretto rapporto che esiste tra il
commercio e le attività marittime.
I costi delle operazioni portuali rappresentano una quota rilevante della spesa
complessiva del trasporto marittimo per cui si è registrata una maggior attenzione delle
compagnie di navigazione ai costi in ogni fase del trasporto, con l’impiego di navi
sempre più grandi per aumentare le economie di scala e il maggiore utilizzo dei nuovi
grandi hub dell’Africa Settentrionale o del versante orientale del Mediterraneo, meno
onerosi rispetto agli scali europei tradizionalmente utilizzati.
Questi “nuovi” porti, che possono contare su spazi fisici ampi per la loro operatività
e su caratteristiche morfologiche (in particolare la posizione geografica, baricentrica
lungo le rotte eastbound e la profondità dei fondali) che li rendono ideali per lo
sviluppo di traffici che utilizzino navi portacontainer, si candidano come interlocutori
privilegiati per le compagnie di navigazione che attraversano il canale di Suez.
Oltre agli interventi infrastrutturali, lo sviluppo dei porti del Nord Africa è stato
incentivato anche dalle riforme che i Paesi dell’area hanno posto in essere per rendere
più snelle le procedure amministrative legate al trasporto marittimo nonché quelle
ambientali che risultano meno restrittive rispetto a quanto previsto in Europa,
aumentando ulteriormente la capacità attrattiva dell’area per gli investitori. Non si
possono sottovalutare gli effetti della normativa sul lavoro portuale che prevede per
183
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
queste regioni un costo medio del lavoro più basso rispetto ai Paesi europei4, nonché le
agevolazioni in termini di costi di gestione (personale, concessioni, energia) e fiscali
(tasse di ancoraggio e rimorchio).
Le prospettive di crescita dell’area, inoltre, risultano anch’esse rilevanti per attirare
i grandi operatori marittimi internazionali, richiamati anche dalle sempre più frequenti
delocalizzazioni degli insediamenti di alcune tra le più importanti multinazionali.
Per tali vantaggi, i porti sulla sponda africana del Mediterraneo, rappresentano
quindi, un’alternativa ai competitor europei che probabilmente non è in grado di
assicurare la medesima efficienza, ma è economicamente più conveniente, per le grandi
compagnie di navigazione.
La politica dei governi nord africani, poi, di affidare lo sviluppo degli scali a
operatori internazionali ha aumentato la sicurezza del raggiungimento dei traffici
previsti, grazie al mix tra terminalisti puri, già presenti nei possibili mercati
complementari, e le compagnie di navigazione, che risultano così incentivate a portare i
loro traffici in questi porti5.
Si citano tra gli altri APM Terminals (braccio operativo portuale di Maersk, la
principale compagnia al mondo) e Eurogate Tanger (consorzio partecipato dai francesi
CMA CGM, dalla compagnia di stato marocchina Comanav e da una quota di
minoranza dell’italosvizzera MSC, la seconda shipping line al mondo) che operano nel
porto di Tanger Med; APM è presente nell’area mediterranea anche a Port Said,
Hutchison Port Holding ad Alexandria e El Dekheila, DP World ad Algeri in joint
venture con l’Autorità Portuale.
L’ingresso di questi porti nello scenario ha determinato un cambiamento nella
competizione all’interno del Mediterraneo che si è allargata determinando anche
rilevanti modifiche nella classifica degli scali container.
Come si rileva dal grafico 3 la situazione relativa agli hub del Mediterraneo è molto
cambiata fra il 2005 ed il 2011, a sfavore soprattutto di Gioia Tauro e Algeciras, che
hanno perso il 10% e il 4% della propria quota di mercato. C’è poi da segnalare la
situazione di Damietta che ha perso nel periodo in esame il 5%, ma la sua performance
nel 2011 (-38% rispetto al 2010) ha risentito delle agitazioni della popolazione egiziana
che hanno determinato il rallentamento delle attività e, addirittura, per un periodo la
chiusura del porto al traffico. Invece Port Said, Malta e Valencia nei sette anni
analizzati hanno aumentato i volumi delle loro movimentazioni del 134%, del 79% e
del 66%.
4
Uno studio condotto da Eurispes ha evidenziato che il costo medio orario del lavoro di un operaio
rilevato nel 2009 presso i terminal di transhipment italiani, è stato di 22,1 euro contro 3,1 euro del
Marocco e 1,9 euro dell’Egitto (rispettivamente 7 e oltre 11 volte superiore al dato medio italiano).
Differenze analoghe si registrano nel costo medio orario del lavoro di un impiegato, pari a 22,9 euro in
Italia, 10,1 euro in Egitto e 7,1 euro in Marocco (rispettivamente 2,3 e 3,2 volte inferiore al dato medio
italiano).
EURISPES, Cagliari, Gioia Tauro e Taranto: 60 milioni di euro in 5 anni per salvare più di 9.000
posti di lavoro a rischio, settembre 2010.
5
TEI A., FERRARI C., Evoluzione dell’industria terminalistica per i servizi di linea nel Mediterraneo.
Implicazioni per la portualità nazionale, SIET 2010.
184 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
Quote di Mercato negli Hub del Mediterraneo. Confronto 2005-2011
(sulla base dei teu movimentati)
Pireaeus
8%
Cagliari
3%
Malta
11%
Pireaeus
9%
Cagliari
4%
Tanger Med
9%
Tanger Med
0%
Gioia Tauro
20%
Gioia Tauro
10%
Malta
8%
2005
Valencia
20%
Port Said
17%
Damietta
8%
Damietta
3%
2011
Port Said
10%
Valencia
16%
Taranto
3%
Taranto
4%
Algeciras
20%
Algeciras
16%
Graf. 3 - Fonte: SRM su dati Assoporti e Autorità Portuali, 2012
In particolare i porti della sponda Sud del Mediterraneo hanno incrementato la
propria quota di mercato dal 18% al 30% soprattutto a discapito dei porti italiani di
transhipment che sono passati dal 28% al 16%. Questi ultimi, che dal punto di vista
geografico ricoprono un vantaggio evidente, rischiano la marginalizzazione per i
ritardi, rispetto ai competitor, in termini di raccordi ferroviari e servizi di logistica nelle
aree retroportuali e per la presenza di un sistema costituito da porti diffusi e di piccola
dimensione non adeguati ad attrarre i flussi di merci in container. Il contesto
competitivo del Mediterraneo vedrà presumibilmente accrescere nel prossimo futuro il
peso dei porti del versante meridionale per i quali sono previsti ulteriori investimenti
infrastrutturali. Secondo quanto dichiarato dalle autorità competenti, il valore
complessivo delle opere previste che dovrebbero essere ultimate entro il 2015, supera
gli 8 miliardi di euro, e comporterà un incremento della capacità di movimentazione di
trasbordo stimabile tra i 4,8 e i 10 milioni di teu. Nel dettaglio:
• i maggiori investimenti (5 miliardi di euro) sono destinati alla realizzazione di
nuovi terminal container nei porto di Tanger Med, che ne dovrebbero
incrementare la capacità di trasbordo di 650.000 teu;
• il nuovo terminai container del porto di Enfidha in Tunisia, che prevede un
investimento complessivo di 1,4 miliardi di euro, avrà capacità di trasbordo di
1,3 milioni di teu. È, inoltre, previsto l’ampliamento del porto di Tunis-Rades,
con un investimento di 198 milioni di euro;
185
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
• in Egitto, oltre all’ampliamento del terminal container del porto di Port Said
(395 milioni di euro, con una capacità incrementale di trasbordo di 3,5 milioni di
teu), diverrà operativo il nuovo terminal container di Alessandria, che, con un
investimento di 860 milioni di euro, sarà in grado di movimentare 420.000 teu6.
In tale contesto l’Europa, se vuole tentare di agganciare i propri mercati all’area
economica asiatica – che registra tassi di crescita a doppia cifra e si va affermando
sempre più quale mercato di export (e non più solo di import) - deve dotarsi di
connessioni “da e verso” il mondo, in grado di intermediare efficientemente prodotti e
merci. I porti europei sono, in tal senso, lo snodo cruciale di interscambio fra
l’economia occidentale e il Far East; quindi, a maggior ragione, lo sono i porti
mediterranei, che possono contare su un vantaggio competitivo legato a una posizione
geografica che, in termini di transit time, garantisce un’alimentazione dei mercati
europei da Suez assolutamente competitiva rispetto a quella generata dagli scali
dell’Europa Settentrionale. Nonostante il potenziamento delle strutture portuali del
Mediterraneo, i porti del Northern Range continuano a svolgere un ruolo
preponderante nel trasporto via container tra i paesi dell’Unione Europea e quelli
dell’Asia. I motivi sono ben noti e attengono all’efficienza delle operazioni portuali, in
termini di attrezzature, servizi, procedure burocratiche e doganali.
Non si deve inoltre sottovalutare il potenziale competitivo di rotte di connessione
alternative per raggiungere quelle destinazioni che evitano il Mediterraneo. La
riduzione della calotta glaciale artica che, secondo alcuni studi, nei prossimi decenni
potrebbe ulteriormente diminuire fa presumere che vie marittime finora difficilmente
navigabili, come il Passaggio a Nord Est, potranno rimanere aperte per diversi mesi
l’anno prima della metà del secolo. La possibilità di sfruttare a livello commerciale
queste nuove rotte di comunicazione tra Asia, Europa e America Settentrionale, deve
essere vista come una sfida per incentivare il miglioramento in termini di efficienza e
sicurezza dell’asse Mediterraneo, nonché per favorire un’offerta logistica competitiva
per consentire di mantenere l’attrattività economica di questa rotta.
È questo il motivo per cui la rete di trasporti del Mediterraneo deve rispondere alla
logica dei flussi commerciali presenti e futuri nel modo più efficiente e sostenibile.
Nella tabella che segue sono elencati i primi 10 porti del Mediterraneo e del Mar
Nero che nel 2011 hanno movimentato oltre 26,7 milioni di teu.
L’andamento dei flussi commerciali e le attività economiche ad essi connesse hanno
investito con modalità in alcuni casi molto diverse i Paesi che si affacciano sulle coste,
per cui diventa opportuna la suddivisione del Mediterraneo in più ambiti portuali in
quanto consente un’analisi più puntuale delle differenti dinamiche.
I principali porti del Mediterraneo e del Mar Nero che hanno registrato una
movimentazione superiore ai 390 mila teu sono stati raggruppati nel grafico che segue
in quattro aree: West Med, East Med, Adriatic Med e Southern Med.
6
EURISPES, Cagliari, Gioia Tauro e Taranto: 60 milioni di euro in 5 anni per salvare più di 9.000
posti di lavoro a rischio, settembre 2010.
186 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
Top ten dei porti del Mediterraneo e del Mar Nero (Teus)
ES
ET
ES
TR
M
IT
MA
ES
IT
GR
Port
Valencia
Port Said
Algeciras
Ambarli
Marsaxlokk
Gioia Tauro
Tanger Med
Barcelona
Genoa
Pireaeus
Total
2008
3.602.000
3.186.589
3.327.616
2.262.000
2.330.000
3.467.824
920.708
2.569.477
1.766.605
433.582
23.866.401
2009
3.654.000
3.300.951
3.043.268
1.836.000
2.260.000
2.857.440
1.222.000
1.797.156
1.533.627
664.895
22.169.337
2010
4.206.937
3.627.813
2.810.242
2.540.000
2.370.000
2.852.264
2.058.430
1.948.422
1.758.858
878.083
25.051.049
2011
4.327.000
3.800.000
3.602.631
2.686.000
2.360.000
2.305.000
2.093.408
2.033.549
1.847.102
1.680.133
26.734.823
11/10
2,9%
4,7%
28,2%
5,7%
-0,4%
-19,2%
1,7%
4,4%
5,0%
91,3%
6,7%
11/08
20,1%
19,2%
8,3%
18,7%
1,3%
-33,5%
127,4%
-20,9%
4,6%
287,5%
12,0%
Tabella 3 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012
I principali porti per traffico container nel Mediterraneo (in TEU). Anni 2008-2011
4.500
2008
2009
2010
2011
4.000
TEU
(thousand)
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
-
WEST MED
EAST MED
ADRIATIC SOUTHERN MED
MED
* Non sono disponibili i dati di traffico al 2011 del porto di Izmir.
Graf. 4 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012
Segmentando l’analisi per area, il sistema portuale riconducibile al West Med, che
si conferma il principale del Mediterraneo con oltre 21,1 milioni di teu movimentati dai
primi 12 porti dell’area, nel 2011 ha segnato una ripresa. Valencia si classifica come il
primo scalo per container movimentati, con 4,327 milioni di teu nel 2011 ed un
incremento del 20,1% rispetto ai volumi del 2008. Spagnolo è anche il secondo porto
dell’area, Algeciras, che con oltre 3,6 milioni di teu movimentati ha registrato un +28%
rispetto al 2010 grazie anche al nuovo container terminal gestito dalla coreana Hanjin.
Segue Malta, che tra il 2008 ed il 2011 ha saputo mantenere la propria quota di
mercato, con una movimentazione pari a circa 2,36 milioni di teu. Per quanto riguarda
187
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
gli altri scali di transhipment del Sud Europa, si confermano le difficoltà di Gioia
Tauro, che tra il 2008 ed il 2011 ha perso un terzo dei propri volumi. Anche Taranto ha
perso quote di mercato nel quadriennio esaminato ma ha fatto segnare una ripresa del
4% nel 2011 con 604 mila teu movimentati. In Italia meglio sono andati, a livello di
container movimentati, i porti regionali gateway, quelli cioè di destinazione “finale”, in
cui le merci vengono sbarcate definitivamente a terra perché giunte a destino o per
proseguire il viaggio via terra, ranking in cui la Liguria svetta con Genova (+5%
rispetto al 2010 con 1,847 milioni di teu) al primo e La Spezia (+1,7% rispetto al 2010
con 1,307 milioni di teu) al secondo posto. Terzo scalo gateway si classifica Livorno,
cresciuto dell’1,5% nell’ultimo anno con quasi 638 mila teu, seguito da Napoli con 527
mila teu che, pur avendo registrato una contrazione dei volumi nell’ultimo anno,
rispetto al 2008 è cresciuto del 10%. Nell’area del Mediterraneo Occidentale si
evidenzia come sia Barcellona tra i porti gateway a pagare maggiormente gli effetti
della crisi che ha investito la Spagna negli ultimi anni, segnando un -21% nei teu
movimentati tra il 2008 ed il 2011, anche se con 2,033 milioni di container ha
recuperato un 4,4% rispetto al 2010.
Passando ad un confronto con le altre aree del Mediterraneo, per quanto riguarda il
versante adriatico si osserva che i suoi porti hanno registrato buone performance con
una crescita complessiva del 35% rispetto al 2008 e del 25% rispetto al 2010, ma a
fronte di volumi di traffico decisamente inferiori a quelli tirrenici. Da sottolineare la
notevole crescita di Koper (Capodistria) che, con oltre 589 mila container ha registrato
una crescita del 66,5% tra il 2008 e il 2011, derivante dal consistente incremento
economico dell’Europa Orientale e dal crescente supporto da parte dell’Europa
centrale.
Anche i porti dell’area East Mediterranean, con oltre 10 milioni di teu, hanno
registrato una crescita nella movimentazione dei container, sebbene con differenze tra
le diverse realtà. Il principale sistema portuale dell’area, Ambarli, ha incrementato la
propria posizione quale porta di accesso all’Europa orientale e quale hub di trasbordo
per il Mar Nero, con un volume di traffico nel 2011 pari a 2,69 milioni di teu (+6%
rispetto al 2010 e +19% sul 2008), che gli hanno consentito di scalare posizioni
raggiungendo il 4° posto nel ranking del Mediterraneo. Sono evidenti i buoni risultati
del porto greco del Pireo che nel 2011 è rientrato nel ranking dei primi 10 porti
superando 1,6 milioni di teu, riconducibili anche alla messa in funzione di un secondo
terminal container a partire dal 2010 gestito dalla COSCO. Va sottolineata la buona
performance in Israele del porto di Ashood, che con 1,16 milioni di teu ha rilevato un
incremento del 15,5% rispetto al 2010 e del 42% rispetto al 2008. Nei porti del Mar
Nero la movimentazione di container sta facendo registrare buoni risultati rispetto al
2010 (+29,6% nel porto di Odessa, +26,8% nel porto di Novorossiysk e +16,5% in
quello di Costanza) ma, a parte lo scalo russo, sono ancora di segno negativo per gli
altri due porti i dati relativi al confronto con il 2008.
Infine, uno sguardo al traffico marittimo containerizzato nei porti della Sponda Sud
del Mediterraneo. In quest’area Port Said è l’approdo privilegiato dalle compagnie di
navigazione perché ha il vantaggio di affacciarsi sul canale di Suez ed è il primo ad
intercettare i flussi di merci provenienti dal Far East; con 3,8 milioni di teu
188 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
movimentati nel 2011 si è confermato il secondo porto del Mediterraneo. Sempre sul
versante meridionale è opportuno evidenziare la rapida ascesa di Tanger Med in
Marocco, che dal 2008, anno di inaugurazione del primo dei due terminal container che
saranno pienamente operativi nel 2016 quando la capacità complessiva sarà portata a
8,5 milioni di container, ha continuato ad aumentare i suoi traffici superando nel 2011 i
due milioni di teu. Oltre al segmento dei container Tanger Med ha registrato una buona
performance anche nel traffico su traghetti che, rispetto al 2010, ha registrato un
aumento del 67% dei tir trasportati.
In controtendenza, si rilevano le performances dei porti egiziani di Alessandria (37% sul 2010) e Damietta (-33%) che hanno trascinato in negativo i risultati dell’intero
Southern Med che con complessivi 7,5 milioni di teu ha registrato una riduzione
dell’8%. Questi risultati sono riconducibili alle agitazioni politico-sociali che nel corso
del 2011 si sono verificate in Egitto e che in più di un’occasione hanno determinato
anche il blocco delle operazioni portuali.
Una sintesi grafica di quanto esposto può essere illustrata nella figura che segue in
cui sono rappresentati i primi 10 porti del Mediterraneo per incremento di traffico
rispetto al 2010:
Top Ten dei porti più dinamici del Mediterraneo (var.% teu movimentati 2011/2010)
100,0%
91,3%
2011 % change on 2010
90,0%
80,0%
70,0%
60,0%
50,0%
40,0%
30,0%
39,6%
29,6%
28,2%
26,8%
20,0%
10,0%
23,6%
16,5%
16,4%
15,5%
9,0%
0,0%
Graf. 5 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012
4. Lo Short Sea Shipping nell’Area Med
L’Unione Europea, nel processo di rivisitazione delle reti TEN, sta indirizzando gli
Stati membri verso un sistema di trasporto intermodale ed ecosostenibile, verso la
creazione di un network di porti di rilevanza strategica su cui concentrare risorse e
189
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
investimenti sia pubblici che privati e verso una maggiore coesione territoriale tra
partner comunitari e Paesi terzi. In tale contesto si collocano gli sforzi compiuti per lo
sviluppo dello Short Sea Shipping (SSS), inteso quale segmento del mercato del
trasporto marittimo a corto raggio che, in ambito europeo, comprende i collegamenti
via mare tra porti nazionali e internazionali nonché i servizi da e verso le isole dei Paesi
dell’Europa geografica e degli altri Paesi che si affacciano sul Mar Baltico, sul Mar
Nero e sul Mar Mediterraneo. Lo sviluppo dello SSS costituisce uno degli obiettivi
prioritari della politica comunitaria in materia di trasporti, in quanto funzionale
all’implementazione del piano di sostegno dell’intermodalità, finalizzato a:
• una riduzione della congestione stradale, con la conseguente attenuazione delle
esternalità negative ad essa connesse (quali tasso di incidentalità e inquinamento
ambientale);
• una concentrazione del traffico merci su direttrici logistiche marittime;
• una maggiore coesione economica e sociale tra gli Stati membri.
Il fulcro della strategia europea di promozione dello Short Sea Shipping è costituito
dal progetto “Autostrade del Mare”(AdM), che mira, in modo diretto, allo spostamento
di una quota significativa del traffico merci dal vettore stradale al trasporto marittimo a
corto raggio. Una rete AdM integrata agevolerà l’obiettivo di creazione nel bacino del
Mediterraneo di una grande e nuova area di “libero scambio”: un mercato unico euromediterraneo, ma anche sviluppo di mercati interni locali e orientati all’export, per la
promozione degli scambi e della libertà di circolazione delle persone e delle merci.
Non è un caso che “Autostrade del Mare e terrestri”7 rientri tra i 6 progetti prioritari
che gli Stati membri dell’UpM hanno deciso di portare avanti con l’obiettivo di
contribuire al riavvicinamento tra paesi mediterranei ed europei.
Nello specifico, l’espressione “Autostrade del Mare” sta a indicare il trasporto
combinato strada-mare di merci e, ove opportuno, anche passeggeri, effettuato
essenzialmente mediante l’utilizzo di navi Ro-Ro, Lo-Lo, e miste Ro-pax8. L’avvio di
tale iniziativa prevede:
• l’attivazione di una fitta rete di collegamenti marittimi transnazionali, schedulati
(ad orario pubblicato), frequenti e affidabili;
• la realizzazione di infrastrutture portuali dedicate (quali impianti e piattaforme
logistiche, aree di stazionamento, terminali Ro-Ro) necessarie a supportare lo
sviluppo di un servizio di trasporto intermodale marittimo di grande volume e
frequenza elevata.
7
Il Mar Mediterraneo è un’importante autostrada commerciale nella regione. Lo sviluppo delle
Autostrade del Mare, la connessione di porti attraverso l’intero bacino mediterraneo, la creazione di
autostrade costali e la modernizzazione della ferrovia del trans-Maghreb, aumenterà il flusso e la
libertà del movimento di persone e di beni.
8
Con lo sviluppo del trasporto di “transhipment” lo “short sea shipping” ha anche la funzione di
distribuire i container che vengono trasportati da un continente all’altro, da un porto “hub” ad un altro
porto “hub”, con le navi di tipo “deep-sea”. Il trasporto di “feederaggio”, ma anche più in generale
quello semplicemente di contenitori a corto raggio, tende sempre di più, se ne ha le caratteristiche, ad
essere inquadrato nel termine di “Autostrade del Mare”.
190 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
La navigazione tramite navi Ro-Ro rappresenta, inoltre, una delle modalità su cui
puntano la politica comunitaria per lo sviluppo dell’intermodalità. Tale tipologia di
trasporto si configura, infatti, come uno dei principali antagonisti al “tutto strada”,
rispetto al quale presenta numerosi vantaggi:
• costi complessivi più competitivi, soprattutto nel caso di trasporto “non
accompagnato” (ovvero imbarco sui traghetti dei soli rimorchi) sulle distanze
medio-lunghe;
• significativo abbattimento dei costi ambientali e sociali connessi alla riduzione
del congestionamento del sistema autostradale;
• investimenti relativamente contenuti per l’ammodernamento e/o realizzazione
delle infrastrutture di supporto al traffico Ro-Ro9.
Le Autostrade del Mare e lo Short Sea Shipping sono una risorsa strategica per
l’Europa e in particolare per l’Italia, in quanto sistema che, quando correttamente
integrato, oltre a ridurre l’impatto ambientale del trasporto delle merci, consente di
raggiungere i nuovi mercati emergenti dai quali ci si attende un forte sviluppo
economico. Nel corso dell’ultimo decennio il trasporto marittimo a corto raggio
nell’ambito del Southern Range ha conosciuto una fase particolarmente positiva,
contrassegnata dal consistente aumento dei flussi movimentati, merci e passeggeri, e da
un significativo sviluppo del sistema di rotte attivate. Le statistiche disponibili
confermano questa tendenza: nel 2009, lo SSS ha rappresentato il 62% (60% nel 2008)
del trasporto marittimo complessivo di merci nell’UE-27; tale quota comunque, varia
ampiamente da paese a paese.
La predominanza dello Shortsea sulle altre modalità (“deep sea shipping”) è
particolarmente predominante in Italia (78,6%) e la posizione geografica del Paese in
parte spiega tale prevalenza.
Se fino a qualche anno fa, la rinnovata centralità del Mediterraneo nelle strategie
commerciali delle grandi shipping company era da attribuire, in via pressoché
esclusiva, alla forte espansione del traffico container che aveva portato alla nascita di
grandi scali hub, nell’attuale fase di downturn economico, la vitalità dell’interscambio
marittimo nell’area assegna un ruolo rilevante anche al sistema dei servizi Ro-Ro.
Nel 2009 il trasporto marittimo in SSS tra i porti UE e quelli mediterranei è stato di
566 milioni di tonnellate, ovvero circa il 30% del trasporto complessivo in SSS
realizzato dai porti dell’UE-27 (circa 1,7 miliardi di tonnellate di merci)10.
Il Mediterraneo è dunque diventata l’area in cui si registra la maggiore
concentrazione di navigazione a corto raggio nell’UE-27, come indicato nel grafico che
segue:
9
MCC, Bridge over troubled water, 2009.
EUROSTAT, Maritime transport statistics - Short Sea Shipping of goods, Aprile 2011.
10
191
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Destinazioni dello Short Sea Shipping di merci dell’UE-27
Others
4%
Atlantic Ocean
14%
North Sea
26%
Baltic Sea
20%
Black Sea
6%
Mediterranean Sea
30%
Graf. 6 - Fonte: Eurostat, 2011
Esistono diverse tipologie di trasporto Short Sea, dalla movimentazione di container
e di rinfuse a quella tramite general cargo e Ro-Ro. In Europa gioca un ruolo
determinante il traffico di rinfuse liquide con una quota pari a circa il 50% del totale
delle merci movimentate (837,1 milioni di tonnellate); con 339,1 milioni di tonnellate
seguono le rinfuse solide che rappresentano la seconda più diffusa tipologia di merce
trasportata nel segmento Short Sea (20%).
Un contributo non trascurabile alla crescita del cabotaggio merci tra scali
mediterranei è venuto:
• dall’incremento del feederaggio, riflesso diretto del rilevante aumento dei
volumi di traffico containerizzato nell’area. Le tendenze post crisi indicano
infatti che in molti casi i sistemi di rotte delle grandi navi di transhipment sono
programmati senza frammentare il viaggio con scali multipli, in corrispondenza
di ciascun paese di destinazione, ma piuttosto concentrando in pochi grandi scali
maggiori quantità di merci e scambiandosi tra loro i traffici di destinazione
regionale (multi-hub transhipment);
• dal forte sviluppo dei servizi Ro-Ro, che hanno beneficiato dei programmi
comunitari di sostegno del trasporto combinato strada-mare.
• dallo sviluppo economico dei paesi della Sponda Sud del Mediterraneo e del
Medio Oriente, che negli ultimi anni sta trainando l’interscambio commerciale
all’interno dell’area euromediterranea. Si tratta di realtà economiche in forte
crescita che hanno subito in misura più contenuta gli effetti della crisi
192 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
internazionale, in ragione di una rigida regolamentazione dei sistemi finanziari
locali. In prospettiva, l’espansione demografica, l’aumento dei redditi e il
rafforzamento dei rapporti commerciali tra questi paesi e la UE dovrebbe
determinare una ulteriore crescita dei traffici di cabotaggio nel bacino; questo si
rivela un vantaggio potenziale soprattutto per l’Italia, data la sua posizione
geografica e gli stretti rapporti commerciali che la legano ai Paesi Med.
Le navi Ro-Ro che trovano impiego principalmente su rotte a breve-medio raggio,
hanno riscosso negli anni un grande successo commerciale in ragione dei vantaggi,
economici ed operativi, offerti rispetto alle navi tradizionali:
• elevata capacità di integrazione con altri sistemi di trasporto;
• flessibilità nella capacità di trasporto, potendo imbarcare ogni tipo di carico
(passeggeri, container, auto, rimorchi merci pallettizzate, etc.): ciò consente di
frazionare il rischio e di raggiungere più rapidamente la sostenibilità economica;
• velocità delle operazioni commerciali di carico/scarico, stivaggio e ormeggio;
• possibilità di utilizzare impianti di supporto meno complessi, essendo in grado
di operare, ad esempio, anche in presenza di bassi fondali o in assenza di mezzi
di sollevamento.
Inoltre, l’aumento della velocità di crociera delle navi traghetto (fino a 25 nodi per i
Ro-Ro cargo e intorno ai 30 nodi per i Ro-Ro pax) ha ulteriormente incrementato
l’efficienza di tale mezzo, che è divenuto il vettore chiave per lo sviluppo del traffico
cabotiero nel Mediterraneo, soddisfacendo la crescente esigenza di trasporto
intermodale door to door.
Con riferimento al traffico merci internazionale, le tre principali direttrici lungo le
quali si distribuiscono i flussi commerciali in ambito intra-mediterraneo presentano
caratteristiche diverse:
• il versante West-Med movimenta l’interscambio di merci di Italia, Spagna,
Francia e Malta; rappresenta il segmento di mercato più consolidato nell’ambito
delle AdM, contraddistinto da un’ampia offerta di servizi di trasporto,
diversificata in termini di destinazioni, prezzi e frequenze. In quest’area è attiva
un’ampia rete di rotte servite da player in concorrenza tra loro;
• il versante East-Med comprende tutte le rotte internazionali di collegamento
con i Balcani (Albania, Croazia, Montenegro), il Sud Est Europa (Grecia) e il
Medio Oriente (Egitto, Israele, Turchia); si configura come area di business in
forte espansione con riferimento sia ai volumi di traffico sia al grado di
competizione. Sebbene lungo l’asse orientale siano attivi prevalentemente
armatori di nazionalità greca, si registra un incremento dell’offerta da parte di
operatori italiani, che intendono sfruttare le potenzialità di crescita del sistema
Adriatico-Mediterraneo a seguito dell’allargamento ad Est della UE. Il corridoio
adriatico-ionico rappresenta, infatti, una direttrice strategica nei traffici
mercantili internazionali, in quanto rotta privilegiata per raggiungere i mercati
emergenti dell’Europa centro-orientale. In particolare nell’area Est del
193
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Mediterraneo vi sono Paesi ad alta potenzialità per la crescita economica e per
l’apertura internazionale ed in cui l’economia portuale è in rapido sviluppo (Port
Said, come esempio, è ormai il secondo porto del Mediterraneo per movimento
di container). Si tratta poi di Paesi che presentano un elevato livello di
integrazione commerciale con l’Europa e l’Italia. Con riferimento alle
potenzialità di sviluppo dell’asse Adriatico-Ionico, è in fase di promozione,
nell’ambito del Programma Comunitario TEN-T, la realizzazione di 9 nuovi
corridoi delle AdM lungo il versante East Med.
• Sulla base dei dati elaborati nello studio di presentazione del progetto “Eastern
Mediterranean Region Motorways of the Sea (East Med MoS)”, l’attivazione
delle nuove linee di AdM dovrebbe portare ad un significativo incremento del
traffico merci, stimato nell’ordine di circa 11.000 tonn.-km al 2015, equivalenti
a 400.000-700.000 tir/rimorchi trasportati.
• l’area del Nord Africa che gestisce le relazioni commerciali con il Marocco, la
Tunisia e la Libia; costituisce un mercato emergente, che offre alle compagnie di
navigazione ampi margini per l’attivazione di un elevato numero di linee di
collegamento. Questa regione presenta un sistema portuale attraverso il quale
transitano volumi rilevanti del commercio internazionale, oltre ai flussi merci
sulla rotta Nord Africa/Medio Oriente verso Europa meridionale/centrale. In
particolare, Tunisia e Marocco già dispongono di linee regolari di trasporto di
merci e passeggeri/veicoli e, in prospettiva, è verosimile attendersi un
incremento del numero di collegamenti attivati, in linea con l’esigenza di
rafforzare l’integrazione di queste aree nell’economia europea. Dato l’alto
potenziale di sviluppo, gli operatori dello shipping manifestano un forte
interesse verso questa direttrice, destinata ad assorbire quote crescenti del
traffico commerciale internazionale.
Da quanto esposto si desume che il mercato dei servizi di trasporto intermodale
tramite navi Ro-Ro in ambito intra-mediterraneo presenta notevoli potenzialità di
crescita in termini di dimensione economica e grado di redditività. Sebbene i maggiori
gruppi armatoriali attivi nel settore gestiscano le principali linee delle AdM, il mercato
non è saturo. Resta, infatti, ampio spazio per l’attivazione di nuovi collegamenti lungo
i versanti orientale e nord africano, in ragione del forte incremento atteso dei traffici,
sia merci che passeggeri.
Il network delle AdM in ambito mediterraneo è, ad oggi, gestito da un numero
elevato di players, che evidenziano un forte dinamismo in termini di politiche
commerciali e strategie di posizionamento competitivo.
Il settore risulta, dunque, presidiato da competitor con caratteristiche differenti per
dimensione e ambito di operatività11:
11
194 MCC, Bridge over troubled water, 2009.
IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
• i grandi gruppi armatoriali, attivi sia su rotte nazionali sia internazionali, che
controllano la rete delle principali direttrici del traffico Shortsea del
Mediterraneo;
• le imprese minori, specializzate nei traffici locali e posizionate su specifiche
nicchie di mercato, che offrono servizi su un numero ridotto di linee.
In merito alle compagnie di navigazione più grandi, che evidenziano un maggiore
dinamismo nelle strategie industriali, le direttrici di sviluppo perseguite includono
anche:
• operazioni di M&A e accordi di collaborazione con partner, nazionali e
internazionali, diretti alla penetrazione di mercati non presidiati,
strategici/complementari a quelli tradizionalmente serviti (ad esempio il Gruppo
Grimaldi controlla la Minoan Lines, leader nel settore dei traghetti passeggeri e
merci in Grecia, la maltese Malta Motorways of the Sea oltre a partecipare a joint
venture in Spagna);
• crescita dimensionale attraverso acquisizioni di aziende operative in comparti
complementari al core business aziendale, orientata al conseguimento di sinergie,
miglioramento della qualità dei servizi offerti e razionalizzazione nell’impiego
delle risorse produttive;
• politiche di investimento in nuove navi ad alta velocità, di dimensioni maggiori e
soprattutto estremamente flessibili in termini di mix di carico, al fine di ridurre
l’esposizione a eventuali oscillazioni dei singoli mercati.
Si registra, inoltre, la tendenza, da parte degli operatori di maggiori dimensioni, ad
adottare strategie mirate alla creazione di valore, attraverso processi di concentrazione
non solo orizzontale ma anche verticale, mediante l’espansione del business ai terminal
portuali. La gestione di tali strutture - elemento di raccordo tra la componente marittima
e quella terrestre del trasporto intermodale - costituisce un fattore strategico per la
competitività e operatività delle società di navigazione, in quanto permette di:
• migliorare la qualità del servizio fornito attraverso il controllo diretto delle
variabili che condizionano l’offerta (tempi di attesa, servizi accessori, etc.);
• recuperare margini di redditività, riducendo l’impatto che le operazioni portuali
hanno sul costo complessivo del trasporto.
Con riferimento all’area geografica di attività12, si riscontra un ruolo prevalente
degli operatori italiani sulle rotte internazionali, con Grimaldi Group e Grandi Navi
Veloci che gestiscono rispettivamente 24 e 7 collegamenti con i porti del Mediterraneo
occidentale e del Nord Africa. Attraverso la controllata greca Minoan Lines, Grimaldi
Group è presente nel Mediterraneo anche lungo il corridoio adriatico, con 10 linee
da/per la Grecia, mercato tradizionalmente servito da player locali (quali Anek Lines,
12
Le notizie relative alle rotte sono state ottenute dalla consultazione dei siti internet delle
shipping companies a marzo 2012.
195
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Agoudimos e Blue Star Ferries). Nell’offerta di trasporto sul versante croato
dell’Adriatico primeggia la compagnia di navigazione Jadrolinija, operativa con 4
linee; si tratta, tuttavia, di un’attività di natura stagionale che risente fortemente
dell’andamento dei flussi turistici. In generale, nei collegamenti marittimi da/per la
Croazia si registra un significativo incremento della presenza da parte di imprese
italiane (quali BluLines e SNAV), che mirano a penetrare un mercato ancora poco
presidiato. Sulle rotte internazionali con origine/destinazione Nord Africa sono presenti
Grimaldi Group (12 linee verso Tunisia, Libia e Marocco) e Grandi Navi Veloci (5
linee verso Marocco e Tunisia). Con riferimento al segmento della navigazione a corto
raggio nell’ambito del bacino mediterraneo, il contesto competitivo si caratterizza per:
• la forte concorrenza sulle rotte/destinazioni a maggiore valenza commerciale;
• il posizionamento delle imprese minori su specifiche direttrici di traffico;
• la costante attenzione al livello qualitativo del servizio offerto;
• il processo di integrazione nella catena logistica;
• la spinta alla formazione di accordi e joint venture finalizzati all’attivazione/
potenziamento di servizi13.
Ad oggi l’assetto del mercato dei trasporti Ro-Ro è dominato da operatori
impegnati in strategie di ampliamento del business all’interno del bacino mediterraneo,
attraverso:
• l’estensione della rete di porti serviti e il presidio dei mercati in forte espansione,
con il lancio di nuove linee e il rafforzamento delle linee regolari esistenti;
• l’attuazione di politiche commerciali aggressive sul fronte dei prezzi e attente
allo standard qualitativo dell’offerta.
Sebbene il comparto dei servizi marittimi di cabotaggio si qualifichi come attività
capital intensive, i costi di investimento sono più contenuti rispetto a quelli necessari
per svolgere il servizio lungo le rotte transcontinentali.
L’operatività sulle tratte di medio-corto raggio, infatti, richiede, non tanto la
disponibilità di un’ampia flotta o di navi di grandi dimensioni, quanto piuttosto la
capacità di offrire ai clienti servizi specializzati tailor made, contraddistinti da
flessibilità in termini di orari e di porti scalati. In generale, gli aspetti su cui le imprese
fanno leva per rafforzare la propria posizione competitiva sono:
• la qualità e affidabilità del servizio;
• la competitività delle tariffe offerte;
• la velocità e le caratteristiche tecnologiche della nave;
• il controllo di un’ampia rete commerciale;
• l’integrazione con le reti di trasporto terrestre.
Nel settore si registrano, inoltre, offerte low-cost sul modello del trasporto aereo,
che prevedono ampia elasticità nell’utilizzo dello strumento tariffario. Le imprese
13
196 MCC, Bridge over troubled water, 2009.
IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
possono, infatti, variare il prezzo in funzione dell’orario o del periodo in cui si svolge il
servizio (alta/bassa stagione), al fine di ottimizzare il fattore di carico. Le politiche di
cost saving, attuate attraverso il ricorso a internet per la promozione dell’offerta e
l’impiego di una struttura del personale più snella, consentono agli operatori di agire
con estrema flessibilità sulla leva tariffaria, con il risultato di massimizzare il tasso di
riempimento della capacità della nave14.
Nel complesso, il settore dei trasporti Ro-Ro evidenzia prospettive positive. In
questo contesto uno dei principali driver di sviluppo del mercato è rappresentato dal
concreto decollo del progetto Autostrade del Mare, che dovrebbe portare alla creazione
di una fitta rete di cabotaggio dedicata ai traffici Ro-Ro di merci, sia in ambito
nazionale che nel bacino mediterraneo. L’integrazione di tali servizi di Short Sea
Shipping nella catena logistica, per offrire agli operatori soluzioni competitive sotto il
profilo dei costi e dei tempi, richiede certamente la promozione di efficienti
collegamenti marittimi, ma non va disgiunta dalla realizzazione di connessioni
adeguate, in termini di capacità e livello di servizio, con il sistema di trasporto terrestre
sia stradale sia ferroviario.
5. La navigazione a corto raggio in Italia. Caratteristiche della domanda e
dell’offerta
Le Autostrade del Mare rappresentano un servizio di trasporto, alternativo e
complementare al trasporto stradale, finalizzato a far viaggiare camion, container e
automezzi sulle navi, particolarmente rilevante in Italia che vanta quasi 8.000 km di
costa.
Questo tipo di servizio permette di limitare la congestione delle strade e ottenere
benefici effettivi in termini di riduzione dell’incidentalità e dell’inquinamento
ambientale. In Italia il settore dei servizi di trasporto Ro-Ro sulle linee merci ha
sperimentato, nel corso dell’ultimo decennio, un trend particolarmente positivo in
termini di volumi di traffico, di collegamenti attivati (nazionali ed esteri) e di livello
del servizio offerto (frequenza e orari).
La posizione geografica della penisola italiana ha favorito la crescita dei servizi di
trasporto a corto raggio, sia sul fronte tirrenico che su quello adriatico-ionico, con
flussi in progressivo aumento sulle direttrici internazionali che collegano l’Italia alla
Spagna, al Nord Africa, ai Balcani e al Sud Est Europa (Grecia e Turchia).
Non è quindi un caso che il nostro Paese sia il primo nell’EU27 in termini di merci
trasportate in SSS nel Mar Mediterraneo con 235,6 di milioni tonnellate nel 2009, pari
al 41,6% del totale; l’Italia detiene il primato anche nel Mar Nero con 41,3 milioni di
tonnellate, pari al 34% del totale.15
Alla buona performance del settore merci ha contribuito in modo significativo
l’utilizzo del c.d. Ecobonus introdotto con la Legge Finanziaria 2008 (Legge 244/07)
14
15
MCC, Bridge over troubled water, 2009.
EUROSTAT, Maritime transport statistics - short sea shipping of goods, 2011.
197
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
finalizzato ad agevolare la scelta del vettore marittimo da parte degli autotrasportatori
in alternativa al “tutto strada”. Tale iniziativa prevede il riconoscimento di un
contributo diretto alla compensazione dei costi esterni non sostenuti dal trasporto su
strada, relativamente alle tratte marittime, nazionali e comunitarie, ammesse
all’agevolazione. Le tratte marittime incentivabili sono specificamente individuate dal
Ministero dei Trasporti sulla base di tre principali parametri:
• idoneità a favorire il trasferimento di consistenti quote di traffico dalla modalità
stradale a quella marittima;
• idoneità alla riduzione della congestione stradale sulla rete viaria nazionale;
• prevedibile miglioramento degli standard ambientali ottenibili con il ricorso al
vettore marittimo rispetto al corrispondente percorso stradale.
L’importo del rimborso è pari al massimo al 30% della tariffa applicata ed è
assegnato alle imprese di autotrasporto che:
• imbarcano su nave destinata prevalentemente al trasporto merci (Ro-Ro e Ro-Ro
pax) i propri veicoli accompagnati o meno dai relativi autisti;
• avranno effettuato almeno 80 viaggi in un anno su una stessa tratta marittima.
L’ecobonus ha ottenuto l’autorizzazione da parte della Commissione Europea,
superando le restrizioni imposte agli aiuti di Stato. Si tratta del primo caso in Europa e,
ad oggi, questa particolare forma di incentivazione rappresenta una best practice a
livello comunitario, in quanto va a premiare direttamente l’autotrasportatore in
funzione sia della distanza che percorre via mare, sia del numero di viaggi che vengono
compiuti. Questa esperienza italiana di successo costituisce, pertanto, un modello sul
quale si sta lavorando per la realizzazione di un ecobonus a livello europeo.
Oltre agli incentivi, si richiedono anche interventi di ordine infrastrutturale soprattutto di integrazione con interporti, piattaforme logistiche e terminal portuali per rafforzare la competitività dei servizi Ro-Ro rispetto all’offerta di trasporto merci
su gomma, garantendo velocità nelle operazioni di imbarco/sbarco, flessibilità/regolarità dei carichi, certezza dei tempi di consegna. Al fine di controllare l’erogazione dei
rimborsi e il reale sviluppo di queste politiche, a partire dal 2004 è stata costituita una
società per azioni, RAM-Rete Autostrade Mediterranee, sotto il diretto controllo del
Ministero dell’Economia, con il compito di controllare l’attribuzione dell’Ecobonus ed
effettuare costanti studi sull’effettiva implementazione della rete di connessioni.
Il grafico che segue mostra l’andamento del trasporto merci in Italia effettuato con
navi Ro-Ro e mostra come anche questo segmento abbia risentito degli effetti della
crisi, ritrovando però una ripresa significativa nel 2010. In realtà tale tipologia di
traffico ha subito, secondo i dati di uno studio di Confetra16, un ulteriore rallentamento
concentrato nel secondo semestre 2011 che ha fatto registrare una variazione negativa
annua del 3,8%.
16
CONFETRA, Nota congiunturale sul trasporto merci. Gennaio - Dicembre 2011, pubblicata a
febbraio 2012.
198 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
Con riferimento al mercato delle rotte da/per l’Italia delle AdM, il network portuale
implementato dalle compagnie di navigazione per il trasporto combinato strada-mare
nel bacino mediterraneo prevede un sistema di rotte molto articolato, su cui si svolgono
servizi di linea Ro-Ro, ad alta velocità e frequenza.
Sulle rotte da/per l’Italia (linee nazionali, internazionali e di continuità territoriale)
sono operative 38 compagnie di navigazione, di diversa nazionalità, ciascuna con
business prevalente nell’area geografica prossima al Paese di origine.
Il 49,7% delle linee attivate fa capo ai primi cinque operatori, evidenziando una
struttura del mercato duale, che vede la presenza di pochi grandi gruppi armatoriali
accanto ai quali opera un numero elevato di imprese di dimensioni minori in accesa
concorrenza tra loro17.
Andamento del traffico Ro-Ro merci nazionale, 2007-2010 (valori in tonnellate)
86.000.000
84.000.000
82.000.000
80.000.000
78.000.000
76.000.000
74.000.000
72.000.000
70.000.000
2007
2008
2009
2010
Graf. 7 - Fonte: SRM su Assoporti
L’analisi del mercato italiano evidenzia che, nonostante il protrarsi della crisi,
l’offerta di servizi annuali effettuati da operatori nazionali con navi Ro-Ro in partenza
dai porti italiani si mantiene su un trend positivo. In particolare, si nota come
attualmente le linee nazionali siano sviluppate quasi esclusivamente tra i porti tirrenici
mentre i porti adriatici, sviluppano per lo più un traffico internazionale grazie alla loro
maggior vicinanza ai porti greci, albanesi, della ex-Yugoslavia e ai molti traffici
instaurati con la Turchia. I dati disponibili a marzo 2011 mostrano per la Sicilia un
incremento sia nel numero di partenze a/r settimanali (da 77 a 82) sia nel numero di
linee (da 18 a 22); di conseguenza salgono, seppure di poco, i metri lineari offerti che si
attestano a oltre 313.000 per settimana. In controtendenza la Sardegna registra un calo
di circa il 20% nel numero delle partenze settimanali e conseguentemente dei metri
lineari offerti che scendono a 240.000. Si tratta sicuramente di una situazione
17
MCC, Bridge over troubled water, Dicembre 2009.
199
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
transitoria legata al processo di privatizzazione della Tirrenia che va a sommarsi al
difficile momento dell’economia sarda peraltro non sostenuta come per la Sicilia,
dall’ecobonus.
Con riferimento al traffico internazionale, gli armatori italiani offrono ormai
collegamenti dall’Italia per la gran parte dei paesi del West Med (Francia, Spagna,
Marocco, Tunisia, Libia, Malta) e guardano positivamente anche al Mediterraneo
orientale dove operano servizi verso la Grecia, la Siria e l’Egitto.
Purtroppo, i recenti fatti che stanno interessando i paesi arabi pongono almeno
nell’immediato un grosso ostacolo all’operatività dei servizi di linea che in molti casi
hanno subito rallentamenti se non addirittura sospensioni.
Sui traffici internazionali anche se si registra una leggera diminuzione dei viaggi a/r
settimanali offerti, salgono i metri lineari (198.140) grazie all’entrata in servizio di navi
più capienti e si allungano le distanze medie percorse con l’ingresso della linea per la
Siria e l’Egitto. Complessivamente a marzo 2011 le direttrici passano da 20 a 22.
Nell’insieme sulle linee per la Sicilia e su quelle internazionali la capienza di stiva
offerta annualmente dagli operatori nazionali è pari a 1,4 milioni di veicoli
commerciali o a 1,7 milioni di semirimorchi18.
Altra considerazione da effettuare è relativa alla tipologia di servizi offerti dalle
diverse compagnie: nonostante numericamente gli operatori solo merci risultino essere
approssimativamente pari ad un terzo del totale, solo una piccola parte dei servizi
offerti, circa il 17%, è dedicata esclusivamente al traffico merci, mentre le restanti linee
sono di norma miste, merci e passeggeri. Tale fattore, oltre a risultare una tendenza che
va sempre più consolidandosi nel settore, determina effetti sia sul tipo di servizio che i
vari operatori possono offrire sia sulle differenti caratteristiche dei terminal stessi. Da
un lato, infatti, tale fattore determina la presenza di alcune linee esclusivamente
stagionali, come quelle verso alcuni porti sardi, mentre dall’altra potrebbe rendere
necessaria la presenza di alcune facility adatte all’imbarco e allo sbarco dei passeggeri
nonché una possibile differenziazione di tempi e tariffe in confronto all’attività solo
merci.
A fronte di tali caratteristiche positive del mercato, in Italia lo sviluppo delle AdM
presenta ancora alcuni elementi di criticità: l’attuale struttura dei servizi offerti si
concentra essenzialmente sul cabotaggio obbligato, ovvero quello verso le Isole, e non
su quello alternativo, con la sola eccezione del tratto sostitutivo alla Salerno-Reggio
Calabria. La presenza dei valori più alti degli indici sui porti insulari rispetto a quelli
continentali, del resto, sembra confermare questa configurazione. Tale fattore è
sottolineato anche dalla minore presenza di servizi sul versante adriatico del Paese.
Su questo punto sembra cruciale per il definitivo affermarsi delle Autostrade del
Mare raggiungere elevati livelli di affidabilità e continuità nel tempo dei servizi e delle
loro frequenze, rendendo più stabile quindi l’offerta.
Restano, tuttavia, ostacoli alla valorizzazione del fattore costo: la durata del
trasporto intermodale, compreso il trasporto marittimo a corto raggio principalmente a
causa della non adeguatezza di infrastrutture multimodali; l’interoperabilità non fluida
18
200 CONFITARMA, Assemblea annuale, 15 giugno 2011.
IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
tra i vari operatori di trasporto multimodale coinvolti e i tempi di transito ancora troppo
lunghi.
Il processo di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti italiani
con la realizzazione di infrastrutture dedicate esclusivamente al traffico ro ro,
unitamente all’operatività degli incentivi previsti a vantaggio degli autotrasportatori,
costituirà un elemento necessario per l’ulteriore sviluppo delle vie marittime. Inoltre,
occorre evidenziare come anche i costi portuali e terminalistici, tanto quanto le tariffe
del servizio di trasporto, possono alterare in modo significativo lo sviluppo del progetto
in quanto il traffico sulle rotte AdM può essere sempre svolto in alternativa lungo
percorsi stradali. In questo contesto la politica tariffaria portuale gioca un ruolo
importante, potendo rappresentare un concreto elemento di supporto per rendere
economicamente convenienti le rotte AdM.
Nel segmento delle navi traghetto, che costituiscono i vettori d’elezione per i traffici
Shortsea, l’Italia occupa una posizione di leadership. Il nostro Paese, infatti, non solo
rappresenta il principale costruttore mondiale di traghetti misti passeggeri-merci, ma
nel corso degli ultimi anni, la consistenza della flotta nazionale di Ro-Ro ha conosciuto
una marcata espansione, principalmente nel segmento merci, che ha portato l’Italia ad
occupare la prima posizione al mondo in tale segmento. Il nostro Paese gestisce 188
navi (152 Ro-Ro pax e 36 Ro-Ro cargo), per 1,2 mln/dwt di capacità, pari a circa il
13% dell’offerta di stiva a livello internazionale.
Principali flotte mondiali di navi traghetto (dati al 1 gennaio 2011)
Countries
Italy
Japan
Sweden
Greece
Finland
Denmark
USA
Germany
Turkey
France
China
UK
Norway
Spain
Arab Emirates
TOTAL
N.
36
72
29
32
34
29
35
31
32
19
14
17
14
14
31
804
Ro-ro cargo
dwt
703.755
449.561
370.470
187.933
255.938
283.814
319.012
220.916
255.483
173.202
116.829
161.971
101.821
84.135
124.896
5.940.182
N.
152
111
43
110
29
36
56
43
52
40
42
42
99
62
15
1564
Ro -ro pax
dwt
544.602
332.222
206.439
294.752
181.593
140.230
91.272
123.152
59.459
125.586
156.798
66.639
124.773
134.213
81.372
3.900.289
Total
N.
188
183
72
142
63
65
91
74
84
59
56
59
113
76
46
2368
dwt
1.248.357
781.783
576.909
482.685
437.531
424.044
410.284
344.068
314.942
298.788
273.627
228.610
226.594
218.348
206.268
9.840.471
% share
13%
8%
6%
5%
4%
4%
4%
3%
3%
3%
3%
2%
2%
2%
2%
100%
Tabella 4 - Fonte: Confitarma 2011
Pur nell’ambito di un quadro congiunturale negativo, le prospettive della flotta
nazionale destinata ai servizi Ro-Ro permangono favorevoli, in quanto si registra la
tendenza da parte degli armatori ad investire in mezzi capaci di offrire un’elevata
versatilità in termini di trasporto misto merci e passeggeri.
201
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
BOX - LE FONTI DI FINANZIAMENTO DELLE AUTOSTRADE DEL MARE
I progetti per la realizzazione delle AdM mobilitano varie fonti di finanziamento,
private e pubbliche, fra cui aiuti nazionali e diversi programmi di finanziamento
comunitario. In particolare, la UE partecipa al sostegno finanziario degli investimenti
per le AdM attraverso due strumenti principali:
•
il bilancio del programma per le reti TEN-T, che assegna al progetto un
budget totale di 310 milioni di euro per il periodo 2007-2013, di cui e 85 milioni di
competenza del 2009, 100 milioni per il 2010 e 70 milioni per il 2011. Il contributo
finanziario è riconosciuto per la copertura fino al 30% dei costi di investimento
nell’arco di due anni.
Delle quattro macro-direttrici individuate in sede comunitaria per la costruzione di
progetti AdM di rilevanza europea, due riguardano l’area mediterranea:
o
Autostrada del mare dell’Europa sudorientale (Asse Sud-Est, c.d.
Mediterraneo orientale), che copre l’area adriatica e ionica sino a Cipro e alla Turchia.
o
Autostrada del mare dell’Europa sudoccidentale (Asse Sud-Ovest, c.d.
Mediterraneo occidentale), che collega Spagna, Francia, Italia, Malta e che si raccorda
con l’Autostrada del Mare dell’Europa sudorientale.
Per accedere all’investimento il progetto deve concernere una delle direttrici per le
AdM individuate in sede comunitaria ed avere come obiettivo il cambiamento modale
o la coesione finalizzata alla concentrazione dei flussi di merci su vie marittime,
migliorando i collegamenti marittimi esistenti, o creando nuovi collegamenti
sostenibili.
•
il programma Marco Polo II, di cui le AdM costituiscono una delle cinque
azioni prioritarie, che prevede stanziamenti per la copertura dei costi operativi sino ad
un massimo del 35% nell’arco di cinque anni, destinati essenzialmente alla
componente servizi. Il finanziamento è concesso solo alle iniziative che riguardano il
territorio di almeno due Stati membri o di almeno uno Stato membro e di un Paese
terzo vicino. Il programma dispone di una dotazione di 450 milioni di euro per il
periodo 2007-2013, di cui 59 milioni di competenza del 2009, 63,54 milioni per il 2010
e 56,87 milioni per il bando 2011. I progetti selezionati per le sovvenzioni nel periodo
2007-2010 sono stati 102.
I finanziamenti a titolo delle reti TEN e del programma Marco Polo II possono
essere combinati per un singolo progetto. In particolare, si può far ricorso ai fondi TEN
quando gli investimenti delle AdM riguardano attrezzature e infrastrutture e i
beneficiari sono gli Stati Membri, mentre i servizi e i costi operativi possono essere
sostenuti dal programma Marco Polo e i beneficiari sono i privati. I progetti proposti
vengono realizzati tramite partenariati pubblico-privato sulla base di gare d’appalto
indette congiuntamente dagli Stati membri interessati.
•
il programma di cooperazione transazionale Mediterraneo, nell’ambito del
quale è aperto il bando “Trasporti e accessibilità” che ha come scopo il rafforzamento
202 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
delle attività portuali del bacino e il miglioramento dell’accessibilità e dei trasporti
marittimi grazie alla multimodalità e intermodalità.
Il Med non è finalizzato ad attuare lo stesso tipo di attività dei Programmi Ten-T e
Marco Polo perché, trattandosi di un Programma di cooperazione internazionale, la sua
caratteristica principale è la dimensione territoriale e la capacità di mobilitare attori
locali e regionali. In materia di trasporti, il suo obiettivo è quello di migliorare
l’accessibilità dei territori, promuovere il trasporto di persone e merci sulla base di
sistemi di trasporto sostenibili e integrati. Laddove i fondi comunitari disponibili per il
potenziamento dei porti e delle infrastrutture, per lo start-up dei nuovi servizi marittimi
e per investimenti in navi e attrezzature non siano sufficienti per portare avanti tali
progetti, è possibile l’intervento finanziario degli Stati membri. A tale riguardo, la
Commissione Europea è intervenuta, con la Comunicazione 2008/C 317/08
(“Orientamenti relativi ad aiuti di Stato ai trasporti marittimi integrativi del
finanziamento comunitario per l’apertura delle Autostrade del Mare”), stabilendo che
ciascun Paese UE può concedere finanziamenti nel settore dello Short Sea Shipping, al
fine di ottimizzare la catena intermodale e decongestionare le strade. L’aiuto
complementare concesso dagli Stati membri deve avere la stessa intensità e durata
massime del finanziamento comunitario e non può essere cumulabile con
compensazioni a titolo di servizio pubblico. Sono, inoltre, ammessi altri schemi di aiuti
di Stato volti a sostenere indirettamente la navigazione a corto raggio, incoraggiando il
trasferimento del traffico merci dalla modalità terrestre a quella marittima. Si fa
riferimento, nello specifico, al sistema dell’Ecobonus, introdotto in Italia con la Legge
Finanziaria 2008, che prevede la concessione di incentivi - sotto forma di rimborso di una
parte del costo del passaggio via nave - a favore delle imprese di autotrasporto che
scelgono il combinato strada-mare. Accanto agli aiuti di Stato e agli stanziamenti
previsti ogni anno dal bilancio TEN-T e dal programma Marco Polo II, sono possibili
altre forme di sostegno a favore delle AdM, quali:
•
i finanziamenti BEI, la quale concede prestiti a lungo termine, fornendo sugli
stessi una garanzia (Loan Guarantee Instrument for trans-European transport network
projects - LGTT) contro i rischi della fase successiva alla realizzazione del progetto nei
primi 5-7 anni (connessi ad es. a riduzioni non previste negli introiti legati all’uso di
una determinata infrastruttura). L’intervento finanziario della BEI può arrivare a
coprire fino al 50% del costo di investimento dei progetti;
•
i Fondi Strutturali. Secondo il regolamento dei Fondi Strutturali europei,
almeno il 60% della quota assegnata allo Stato membro deve essere utilizzata per
finanziare interventi che sostengano lo sviluppo dei corridoi europei e delle AdM. In
particolare, con riferimento al Fondo FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), il
massimale di cofinanziamento riconosciuto ammonta al 75% della spesa pubblica per
l’Obiettivo “Convergenza” e al 50% per l’Obiettivo “Competitività regionale e
occupazione”, mentre per il Fondo di Coesione il tasso di cofinanziamento comunitario
può raggiungere l’85% dell’investimento19.
19
(MCC, Bridge over troubled water, 2009).
203
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
6. Conclusioni
Questo lavoro, sulla base di un’analisi delle statistiche e dei dati più recenti relativi
ai traffici deep sea e short sea, ha messo in luce il ruolo che il Mediterraneo ricopre
nello shipping internazionale, evidenziando al contempo le opportunità e i rischi per
l’Italia che, forte del suo posizionamento geografico e delle relazioni economiche e
commerciali già instaurate con i Paesi che si affacciano sul bacino, può ricoprire un
ruolo di primo piano a condizione di superare alcuni vincoli burocratici e di natura
infrastrutturale.
Dopo il rallentamento delle attività che ha avuto ripercussioni sulle performance e
sulle strategie dei player del settore, il 2011 ha visto consolidare per lo shipping i
segnali di ripresa già manifestati l’anno precedente. In questo contesto evolutivo il
Mediterraneo ha assunto un ruolo strategico, al centro degli interessi delle compagnie
armatoriali per le sue potenzialità di sviluppo sia per le rotte internazionali, trovandosi
sul percorso ottimale dei flussi di merci eastbound, sia per la navigazione a corto
raggio alimentata dal feederaggio e dall’incremento degli scambi nella direzione nordsud.
L’analisi mette in luce il cambiamento del volto della competizione portuale nel
Mediterraneo che ha visto la nascita e il rafforzamento di nuove strutture sulle Sponde
Sud Est che ormai hanno scalato posizioni nel ranking del bacino confermandosi come
infrastrutture di riferimento per le shipping companies a livello globale. La nuova
configurazione portuale del Mediterraneo è frutto delle scelte dei Paesi della Sponda
Sud Est di rafforzare i loro scali sia con investimenti nazionali sia con l’approvazione
di progetti logistici che hanno attirato investimenti esteri, in particolare dell’industria
terminalistica che, in autonomia o in joint venture con le shipping companies e le
istituzioni locali, ha individuato nelle potenzialità di incremento dei traffici nell’area la
garanzia di ritorno degli investimenti effettuati. A ciò si aggiungano le disomogeneità
economiche, sociali e politiche che esistono tra le due sponde che comunque
costituiscono un fattore di attrattività dei porti del Nord Africa.
L’analisi ha poi evidenziato la crescita dei flussi intraregionali in direzione nord-sud
come riflesso dello sviluppo economico dei Paesi della Sponda Sud Est nonché
dell’integrazione euromediterranea: tali flussi, unitamente all’aumento del feederaggio
strettamente connesso all’incremento del transhipment, hanno comportato la crescita
nel Mediterraneo del trasporto marittimo in Short Sea Shipping: in quest’area si
concentra ormai un terzo della navigazione a corto raggio dell’UE 27. Non si deve
sottovalutare che le reti marittime di breve percorso per i paesi della sponda
meridionale sono particolarmente importanti anche per la limitata affidabilità delle altre
modalità di trasporto, a causa delle distanze ravvicinate e della scarsità in molte zone di
percorsi terrestri praticabili.
Nel contesto che si è venuto a creare per l’Italia si sono concretizzate nuove
opportunità di sviluppo: la rete dei servizi di linea container internazionali che include i
transiti per il Mediterraneo di carrier globali ed anche servizi feeder ed
inframediterranei, costituisce ad oggi un network estremamente articolato e capillare.
204 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR
In particolare la navigazione a corto raggio per il nostro Paese è un segmento di
mercato che presenta ampi margini di crescita sia per l’impulso delle politiche
comunitarie e nazionali per lo sviluppo dell’intermodalità sia per il processo di
integrazione economica e commerciale dell’area mediterranea. L’Italia in quest’ambito
gode di vantaggi strategici importanti: è leader tra i Paesi dell’UE 27 per il trasporto di
merci in SSS nel Mediterraneo; sotto il profilo dell’offerta, gli armatori italiani hanno
investito molto in questo segmento rendendo quella italiana la prima flotta al mondo di
traghetti Ro-Ro. La rete delle Autostrade del Mare offre un numero consistente di
relazioni nazionali che collegano l’Italia al centro e al nord per proseguire poi verso
l’Europa continentale; a queste si stanno sempre più aggiungendo relazioni
internazionali in particolare verso i Balcani e verso la sponda Nord dell’Africa
nell’ottica di agevolare la politica europea di favorire il processo di integrazione
euromediterranea sia economico-commerciale che politico-culturale.
È chiaro che il vantaggio totale della somma delle due reti in termini di connessioni
disponibili, accessibilità al mercato, europeo e mondiale è notevole e può generare
ulteriori positività. Il tessuto imprenditoriale italiano è infatti costituito da piccole e
medie imprese che possono cogliere con tali collegamenti importanti opportunità di
internazionalizzazione e che diversamente avrebbero avuto notevoli difficoltà a
collegarsi e relazionarsi con altri Paesi; in tal senso, il sistema portuale rappresenta un
importante supporto allo sviluppo dell’economia territoriale.
Tuttavia le opportunità di sviluppo e di intervento, pur molteplici, sono ancora
condizionate da un sistema infrastrutturale non adeguato a sostenere un significativo
incremento di traffici. Questo è vero per il segmento dello short sea shipping la cui
integrazione nella catena logistica, richiede certamente la promozione di efficienti
collegamenti marittimi, ma non va disgiunta dalla realizzazione di connessioni
adeguate, in termini di capacità e livello di servizio, con il sistema di trasporto terrestre
sia stradale sia ferroviario. I vincoli infrastrutturali costituiscono un freno anche per le
potenzialità degli hub italiani di catturare i flussi di traffici containerizzati sempre più
frequentemente attirati dai nuovi porti della Sponda Sud ed Est del Mediterraneo,
nonché dai porti spagnoli che offrono infrastrutture e collegamenti intermodali che
consentono di effettuare le operazioni portuali seguendo criteri di efficienza e di
efficacia sempre più importanti per le esigenze delle shipping companies.
In tale scenario non si possono che aprire alcuni interrogativi per la portualità
italiana: da una parte la grande opportunità di sviluppare nuovi traffici con i porti delle
altre sponde del Mediterraneo non può che giovare agli scali nazionali. Tale vantaggio
è ancora più evidente se si considera che, oltre al traffico in origine/destinazione di
questi Paesi generato dallo sviluppo economico dell’area, laddove questi nuovi porti
agiscano da hub sottraendo traffico agli scali di transhipment della Sponda Nord e del
Northern Range, si apriranno possibilità di crescita insperate per i porti italiani, con i
quali si potranno sviluppare collegamenti di feederaggio. D’altro canto, proprio la
presenza di altri hub nel bacino del Mediterraneo, con indubbi vantaggi competitivi in
termini di tempi e costi, potrebbe risultare dannosa per i porti di transhipment italiani il
cui traffico già negli ultimi anni risulta penalizzato.
205
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Appare chiaro che per concretizzare le opportunità di sviluppo connesse ai traffici
deep sea e short sea occorrerà quanto prima superare i vincoli infrastrutturali che
caratterizzano i nostri porti: rendere fluido, efficiente ed efficace il processo logistico
riducendo i tempi per passaggio delle merci dai porti ai centri di consumo; snellire i
vincoli burocratici e procedurali connessi alle operazioni portuali. Il vantaggio
geografico, da solo, non è più sufficiente a garantire risultati di traffico; occorre stare
sul mercato e, nel contesto economico pressato dalla crisi, questo significa poter offrire
alle shipping companies infrastrutture adeguate, efficienza ed efficacia nei servizi
forniti.
206 CAPITOLO VII
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO: STATO DI
ATTUAZIONE E PROSPETTIVE
1. Premessa
L’Area del Mediterraneo si prepara a giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo del
settore energetico dei prossimi anni. Il sistema è caratterizzato da una domanda
crescente di energia, specie nei paesi della sponda Sud, e dall’altro è mosso da una
forte spinta al rinnovamento delle politiche relative. Si tratta di paesi che sono
esportatori di energia convenzionale ma si distinguono anche come forti potenziali
produttori di rinnovabili. Questa loro notevole capacità produttiva in tema di energia
pulita può essere considerato un elemento strategico per la crescita, che in quanto tale
offre molte opportunità di sviluppo economico e sociale ma anche diverse sfide. Vari
paesi dell’Area hanno adottato piani di lungo termine per lo sviluppo delle energie
verdi e dell’efficienza energetica, con indubbi vantaggi in termini di sostenibilità
ambientale e nuovi posti di lavoro. La rendita proveniente dallo sfruttamento di queste
risorse emerge, dunque, come una grande occasione di crescita a lungo termine. Questo
per tutti i paesi, anche per quelli non produttori o scarsamente produttori di idrocarburi,
come il Marocco e la Tunisia, in cui lo sviluppo delle fonti rinnovabili è visto molto
positivamente per fronteggiare la crescita dei consumi di elettricità e ridurre la
dipendenza dalle importazioni di prodotti petroliferi.
In particolare, il territorio dei paesi MENA è investito da una quantità significativa
di radiazioni solari, pari a più del doppio di quelle dell’intera Europa, con una enorme
disponibilità di aree aride o desertiche. Questa possibilità di produrre elettricità dal sole
permetterebbe di investire in progetti destinati a coprire i fabbisogni interni ma anche
di attirare risorse dedicate a progetti di esportazione dell’elettricità in Europa,
favorendo sviluppo economico, occupazione e trasferimento di competenze.
L’espansione delle rinnovabili nel Mediterraneo ha il suo fulcro nella fonte solare,
ma non prescinde dalle risorse eoliche, diffuse ed egualmente abbondanti, dallo
sfruttamento della geotermia (in Turchia), dall’idroelettrico (prevalente) e dalle
biomasse. Nonostante un contesto molto favorevole, diverse sono le barriere tecniche,
istituzionali e finanziarie che di fatto hanno ostacolato il pieno utilizzo di questo
potenziale e che quindi una volta rimosse potrebbero consentire il dispiegarsi dei
numerosi vantaggi connessi allo sviluppo delle fonti pulite. In un’area in cui la
percezione del rischio-paese condiziona le decisioni di investimento in maniera
rilevante, solo con un quadro regolatorio adeguato e soprattutto stabile, con un sistema
economico che renda possibile il trasferimento tecnologico e con una necessaria
maggiore integrazione fisica tra le due sponde (mediante il potenziamento delle reti di
trasmissione elettriche) sarà possibile un pieno sviluppo delle rinnovabili.
Una crescita che comporterebbe una serie di benefici per tutti i paesi dell’Area. Per
quelli della sponda Nord, migliorerebbe la sicurezza dell’approvvigionamento,
207
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
variando il mix delle fonti, ancora troppo sbilanciato sul fossile; contribuirebbe al
raggiungimento degli obiettivi 20 20 20 e consentirebbe un nuovo sbocco industriale
per le tecnologie europee. Per i paesi della sponda Sud, permetterebbe l’avvio di
progetti industriali articolati; consentirebbe l’accesso all’elettricità per le popolazioni
residenti nelle aree rurali e l’allungamento dei tempi di sfruttamento delle risorse non
rinnovabili. Nella sezione del Rapporto Med riservata alle Infrastrutture quest’anno,
insieme al trasporto marittimo, è stato inserito il tema delle rinnovabili, ritenuto
strategico per gli investimenti e le importanti risorse che saranno destinate a queste
aree. L’attenzione alle fonti rinnovabili si è concretizzata in questo capitolo che parte
dall’analisi del contesto energetico di riferimento, esamina lo stato attuale e le
prospettive di sviluppo delle fonti pulite nei paesi della sponda sud del Bacino del
Mediterraneo, evidenzia le criticità e le barriere che finora ne hanno impedito il pieno
sfruttamento, individua alcuni tra i progetti più interessanti in fase di definizione/avvio
in questi paesi, ed infine delinea le opportunità future per la crescita della Regione
connesse allo sviluppo di un’economia green.
2. Il contesto energetico di riferimento
I Paesi del Mediterraneo si caratterizzano per la forte crescita demografica,
l’incremento del tasso di urbanizzazione, nonché il fiorire di nuovi bisogni socioeconomici. Tutto questo a livello energetico si traduce in un notevole aumento della
domanda di energia, in particolare elettrica ed in un bisogno di nuove infrastrutture.
Mentre nei paesi a Nord dell’Area il tasso di crescita di tale domanda, a partire dal
1990, è stato pari all’1,8% annuo, nel South Med l’incremento annuo è stato del 6,2%
tra il 1990 ed il 2009 (con punte massime in Turchia, 6,6% ed Egitto, 6,3%). Oggi il
70% della domanda complessiva di energia nel Mediterraneo è concentrata al Nord, ma
la quota dei paesi del Sud è destinata ad aumentare sensibilmente (fino al 42% del
totale nel 2030 secondo le stime OME nel Proactive Scenario1).
Le previsioni per i decenni a venire vedono una maggiore rilevanza dei paesi di
questa parte del Mediterraneo; se infatti per l’intera regione le prospettive di sviluppo
della domanda elettrica al 2030 prevedono un tasso di crescita medio annuo del 2,8%,
nel Sud l’incremento annuo previsto è del 4,9%, per un totale di 1.385 miliardi di kWh.
La maggiore quota di crescita attesa è imputabile al settore industriale ed a quello
residenziale, anche in questo caso con una prevalenza del South Med. In particolare
1
Nell’ambito dell’OME’s Mediterranean Energy Model per Conservative Scenario si intende uno
scenario che considera i trend passati, le policy correnti e i progetti in essere, ma adotta un approccio
cautelativo relativamente all’implementazione di nuove misure programmatiche e di progetti
pianificati. Per Proactive Scenario si intende uno scenario in cui viene considerata l’implementazione
di forti programmi di efficientamento energetico e l’aumento della diversificazione del mix
energetico, puntando maggiormente sulle fonti rinnovabili ed il nucleare in alcuni paesi del South
Med. Viene assunto una simultanea diminuzione di importanza per il petrolio ed il carbone come fonti
di generazione elettrica e di contro una maggiore rilevanza per le fonti energetiche e le tecnologie
pulite.
208
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO
sono Turchia ed Egitto i paesi che vedono incrementare in misura più significativa la
domanda di energia fino al 2030.
Prospettive di crescita della domanda elettrica
120%
100%
80%
60%
54%
58%
46%
42%
2030 Conservative
2030 Proactive
70%
84%
40%
20%
30%
16%
0%
1990
2009
SOUTH MED
NORTH MED
Graf. 1- Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives,
2011
Rispetto a quanto è stato installato (496 GW al 2009), in cui le rinnovabili escluso
l’idroelettrico pesano per il 10%, secondo le previsioni sarebbero necessari oltre 380
GW per far fronte all’incremento della domanda in uno scenario “conservativo”, e
meno di 320 GW in uno scenario “proattivo”. Di questi, i due terzi saranno destinati ai
paesi del Sud, dove i GW installati dovrebbero triplicare passando dai 103 del 2005 ai
357 del 2030.
Generazione elettrica. Capacità addizionale richiesta
878 GW
496 GW
100%
812 GW
10
90%
27
18
80%
70%
15
14
60%
37
16
10
50%
10
33
40%
35
30%
20%
28
12
10%
4
9
13
0%
2009
Coal
Oil
3
6
2030 Conservative
Gas
Nuclear
2030 Proactive
Hydro
Non-hydro Renewables
Graf. 2 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives,
2011
209
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Emerge in modo definito la necessità di investimenti in nuova capacità da installare,
che sarebbero pari a 715 mld di € totali in uno scenario conservativo e circa 700 mld di
€ in uno scenario proattivo. Nel solo Sud in media occorrerebbero 320 mld di € di cui
circa la metà in fonti rinnovabili. (grafico 3).
Generazione elettrica. Investimenti addizionali
Billion
Euros
450
400
350
300
250
200
150
100
50
0
CS
PS
CS
North Med
Fossil Fuels
PS
South Med
Nuclear
Renewables
Graf. 3 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives,
2011
Il cambiamento più significativo è proprio dunque il sostanziale incremento del
contributo delle fonti rinnovabili.
Gli investimenti in infrastrutture elettriche, e dunque la costruzione di nuove linee
di trasporto e di distribuzione, come pure l’elettrificazione di gran parte delle zone
rurali, diventano obiettivi prioritari in vista delle future esigenze di sviluppo economico
e sociale. Dovrebbero consentire, infatti, di affrontare l’incremento della domanda, la
crescente proporzione di energia generata da fonti rinnovabili, la necessità di realizzare
una maggiore integrazione dei mercati nonché una maggiore sicurezza negli
approvvigionamenti. Insistere sulla promozione delle energie verdi implica la
costruzione di reti interconnesse; queste sono necessarie affinchè sia consentita la
possibilità tecnica di ricevere e distribuire la potenza intermittente generata dalle
rinnovabili sull’intera rete, un’intermittenza che invece potrebbe creare problemi alle
reti isolate. La realizzazione di nuove infrastrutture e soprattutto di nuove
interconnessioni è necessario non solo per i collegamenti sub-regionali tra paesi della
sponda Sud del Bacino ma anche per esportare il futuro surplus di elettricità
rinnovabile verso i mercati europei.
È importante la creazione di una rete tra tutti i paesi del Mediterraneo, una
cooperazione a livello istituzionale e regolatorio che possa favorire lo sviluppo di un
network “elettrico”, allacciando i diversi corridoi. Tutti i paesi che si affacciano sul
210
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO
Mediterraneo sono coinvolti nel progetto di scambi energetici noto come Medring.
L’obiettivo del progetto è di interconnettere l’insieme dei paesi del Bacino, tramite una
rete di scambi elettrici e di gas naturale. Il progetto è interrotto in diversi punti, ma uno
degli obiettivi prioritari dell’UE è il suo completamento nell’arco dei prossimi anni.
L’interoperabilità tra reti energetiche europee e di paesi terzi è essenziale, ed è una
delle principali sfide che il progetto Medring deve affrontare. Il pacchetto di misure per
il potenziamento delle infrastrutture energetiche adottato nel novembre 2010 dall’UE
prevede che vengano messe a disposizione notevoli risorse per la realizzazione delle
reti energetiche, e ci si aspetta un’influenza forte anche sugli sviluppi delle
infrastrutture della sponda sud del Mediterraneo.
Anche la Direttiva 2009/28 della CE ha inteso valorizzare i meccanismi di
cooperazione tra le diverse regioni del Mediterraneo. In particolare l’art. 9 offre ai
paesi membri dell’UE la possibilità di attuare progetti comuni con paesi terzi per la
realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di reti di
trasmissione. L’energia prodotta in questi impianti e importata nel paese membro può
essere conteggiata ai fini del raggiungimento degli obiettivi di produzione da fonti
pulite così come indicati nei Piani di Azione Nazionale.
3. Le fonti rinnovabili: stato attuale e prospettive
La regione del Mediterraneo è dotata di un potenziale energetico da fonti
rinnovabili molto importante. Ciò nonostante, il mix attuale vede la prevalenza delle
fonti fossili, quindi petrolio e gas, che insieme coprono i due terzi dell’offerta totale di
energia primaria. Entro il 2050 è stimato che l’area Sud del Mediterraneo potrebbe aver
bisogno di una quantità di energia quasi equivalente alle richieste attuali dell’intera
Europa.2 Dal momento che le fonti di energia rinnovabile producono elettricità, e solo
in misura marginale possono essere utilizzate per fornire direttamente energia e calore
all’utente finale, come invece accade con il petrolio e il gas naturale, per sfruttarle al
meglio le economie dei paesi dell’Area dovranno compiere grandi sforzi di
riorganizzazione dei metodi industriali di produzione dell’energia elettrica, oggi
ottenuta prevalentemente dalla combustione del carbone.
Quella solare è la rinnovabile con il più alto potenziale di sfruttamento; nonostante
ciò questa fonte resta ancora poco sviluppata, soprattutto a causa dei costi troppo alti
rispetto al gas naturale, prima fonte energetica dell’intera Area.
Dai dati riportati nella tabella che segue è evidente che l’idroelettrico è la prima
fonte di produzione di energia elettrica tra le rinnovabili. Questa fonte viene utilizzata
in tutti i paesi, ma spicca il dato della Turchia che ha prodotto nel 2009 poco meno di
36 mila GWh. Seconda dopo l’hydro, è l’eolico, concentrato in Turchia, Egitto e
Marocco. Più contenuta la produzione da biomasse e da fonte geotermica, sfruttata solo
in Turchia.
2
Stime tratte da Osservatorio Mediterraneo ISPI, “Le infrastrutture energetiche e di trasporto nel
Mediterraneo”, 2010
211
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Come si accennava, è ancora residuale la diffusione del solare fotovoltaico, che dai
dati della IEA (International Energy Agency) risulta presente come fonte per la
produzione di elettricità solo in Israele. In realtà la maggiore potenza installata è
proprio in questo paese, mentre negli altri gli impianti fotovoltaici installati sono
principalmente di piccola taglia e raggiungono capacità produttive molto contenute.
Dati OME segnalano una capacità installata pari a circa 1 MW in Giordania, Libano e
Siria; 1,5 MW in Libia; 2 MW in Tunisia; 3 MW in Algeria e Turchia; 10 MW in
Egitto e Marocco e oltre 20 MW in Israele.
Produzione di elettricità da fonti rinnovabili (GWh) nel 2009
Country
SOUTH MED
Morocco
Algeria
Tunisia
Egypt
EST MED
Israel
Lebanon
Turkey
ADRIATIC MED
Albania
Bosnia and
Herzegovina
Croatia
HYDRO
SOLAR
PHOTOVOLTAIC
2.982
342
79
12.863
WIND
BIOMASS
GEOTHERMAL
391
3.373
342
176
13.996
97
1.133
22
622
35.958
24
9
36
1.495
252
436
5.231
91
622
38.141
5.231
6.239
6.815
Total 71.153
TOTAL
54
24
3.179
6.239
6.895
26
314
436
75.106
Tab. 1 - Fonte: IEA (International Energy Agency), Statistics 2012
Partendo dai dati esposti è possibile fare alcune considerazioni di carattere generale
su alcuni settori. Per quanto concerne l’eolico, nei paesi della sponda Sud del bacino
del Mediterraneo, pur essendo questi dotati di caratteristiche interessanti non ha ancora
preso avvio uno sfruttamento consistente della risorsa, e le nuove installazioni sono
limitate a poche centinaia di MW. Le ragioni di un attuale mancato utilizzo della wind
energy sono in buona parte attribuibili alla carenza di risorse finanziarie per
l’implementazione dei progetti. Accanto a ciò si consideri anche il basso costo locale
dell’energia, che di fatto scoraggia la messa in esercizio di un impianto. Per avviarlo gli
investitori devono sostenere costi di investimento notevoli e farraginosità burocratiche
(lungaggini procedurali) a fronte di entrate più contenute, visti i più limitati prezzi di
vendita dell’energia prodotta.
Il potenziale esistente è stato dunque finora poco
sfruttato, ed in molte circostanze è stato possibile farlo solo attraverso finanziamenti
europei e della cooperazione internazionale.
La potenza eolica totale delle
nazioni che si affacciano sulla sponda meridionale ed orientale del Mediterraneo alla
fine del 2010 era di 2.300 MW, a fronte di poco più di 1.500 MW dell’anno
precedente, con un aumento di circa il 50%. In particolare scendendo nel dettaglio dei
singoli paesi in cui lo sfruttamento di questa fonte rinnovabile è maggiore, il Marocco
si è distinto per una crescita del 13% nell’arco del 2010, i MW installati sono passati da
253 a 286. La Tunisia ha avuto nell’anno il maggior incremento tra i vari paesi
interessati; la potenza eolica è infatti più che raddoppiata passando da 54 MW a 114
212
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO
MW, a conferma che l’opzione eolica rappresenta una grande opportunità per
l’approvvigionamento locale e per l’esportazione dell’elettricità prodotta verso
l’Europa.
L’Egitto, tra i primi a diversificare il mix produttivo sfruttando questa
fonte, a fine 2010 vantava 550 MW installati. L’incremento di potenza registrato è
stato superiore al 25%, con la prospettiva di coprire al 2020 il 12% del fabbisogno
nazionale di elettricità. La Turchia ha invece superato la soglia dei 1.000 MW installati,
a fine 2010 erano esattamente 1.329, con un notevole aumento rispetto all’anno
precedente (528 MW), e prospettive di sviluppo considerevoli.
Per quanto riguarda il solare fotovoltaico, benchè caratterizzata da condizioni di
irraggiamento molto favorevoli, il Med nord-africano non sta ancora sfruttando in
maniera piena il proprio potenziale solare. Si pensi che in paesi come il Marocco,
l’Algeria, l’Egitto e la Libia l’irradiazione diretta raggiunge livelli compresi tra i 2.600
e i 2.800 kWh per metro quadrato per anno, dato che sale a 3.000 kWh per metro
quadrato per anno nelle aree desertiche, quando in Italia il livello di irradiazione è
invece di circa 2.000 kWh per metro quadrato per anno.
Recentemente i diversi paesi hanno adottato programmi nazionali consistenti per
favorire uno sviluppo deciso di centrali solari ed eoliche; si tratta di programmi che
prevedono uno sviluppo industriale locale e la creazione di nuovi posti di lavoro, ma
per la cui realizzazione è richiesto un forte impegno da parte di istituzioni e settore
privato al fine di attrarre investimenti. (figura 1)
Obiettivi nazionali per lo sviluppo delle rinnovabili nei paesi della sponda Sud
Target
Time
frame
ALGERIA
22 GW (10 GW for export)
2030
TURKEY
20 GW Wind; 600 MW Geothermal; 600
MW Solar
2023
EGYPT
About 7 GW Wind; 1 GW solar and
other Res
2020
SYRIA
2500 MW Wind; 3000 MW Solar
2030
MOROCCO
2000 MW Solar; 2000 MW Wind
2020
ISRAEL
1750 MW Solar; 800 MW Wind; 210
MW biomass
2020
LIBYA
2000 MW Wind; 7000 MW CSP; 150
MW PV
2020
JORDAN
600 MW Wind; 300-600 MW Solar; 3050 MW Biomass
2020
TUNISIA
350 MW Wind; 110 MW Solar; 25 MW
Biomass
2016
Fig. 1 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), 2012
213
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
Per quanto concerne l’eolico, l’Egitto ha in programma di installare 7 GW
addizionali, nell’ambito dell’obiettivo governativo di raggiungere il 20% di
generazione elettrica da rinnovabili entro il 2020. La Libia ha cominciato a costruire il
primo parco eolico con una potenza di 60 MW nel 2010, e intende raggiungere i 2 GW
nel 2020. Anche la Giordania ha in programma investimenti per un parco eolico da 90
MW, con ulteriori 40 MW previsti per il futuro. In Marocco sono stati già installati
oltre 460 MW e 1 GW di potenza addizionale è in corso di realizzazione.
L’Algeria intende installare 50 MW entro il 2015 ed ulteriori 1,7 GW entro il 2030.
Mentre il piano nazionale tunisino per il periodo 2011-2016 riporta in progetto
l’installazione di capacità addizionale per 280 MW. L’obiettivo del governo turco è,
invece, quello di arrivare a 20 GW di eolico nel 2023. L’Albania dovrebbe ospitare un
parco eolico di 500 MW, progetto che include anche la costruzione di una linea di
trasmissione con l’Italia. Per quanto attiene al geotermico, la Turchia guida
l’espansione del mercato di questa fonte nell’area. Il Piano Strategico 2010-2014
presentato dal Ministero dell’Energia e delle Risorse Naturali fissa l’obiettivo di
raggiungere 600 MW di capacità installata entro il 2023.
In merito al solare, se i piani nazionali annunciati dai vari governi saranno
implementati in maniera efficace il settore dovrebbe evolvere in maniera rapida.
L’Algeria ha annunciato l’intenzione di sviluppare diversi progetti solari
fotovoltaici, per una potenza complessiva di 800 MW entro il 2020. Oltre 600 MW
dovrebbero essere installati attraverso 27 impianti connessi alla rete, mentre ulteriori
110 MW saranno installati in impianti isolati nel sud del paese. L’obiettivo del governo
algerino è di raggiungere una capacità di circa 3 GW entro il 2030. La Tunisia intende
installare 15 MW in residenze ed immobili pubblici.
Secondo gli scenari del Mediterranean Energy Perspectives 2011 dell’OME, le
rinnovabili, nel complesso del bacino del Mediterraneo (Nord e Sud), dovrebbero
coprire al 2030 il 35% della generazione elettrica complessiva, con un apporto forte
dell’idroelettrico ma soprattutto grazie allo sviluppo delle altre fonti, in primis
dell’eolico. Le stesse previsioni annunciano che nel solo Sud questa fonte dovrebbe
coprire un terzo del totale di energia prodotta. Per quanto concerne il solare
fotovoltaico ci si attende un tasso annuo di crescita del 39% nel Sud dell’Area, con un
contributo pari al 5% della domanda di elettricità.
4. Criticità e barriere allo sviluppo delle rinnovabili nell’Area Med
La capacità di generazione elettrica dei paesi a sud del bacino del Mediterraneo
dovrà più che triplicarsi per soddisfare la crescente domanda di energia. Abbiamo visto
come sono necessari imponenti investimenti per lo sviluppo del settore elettrico e come
dunque sia importante l’impegno richiesto anche per lo sviluppo delle interconnessioni
transfrontaliere. L’implementazione di progetti sulle fonti rinnovabili – come
precedentemente illustrato – costituisce un segno tangibile delle intenzioni dei governi
di puntare sulla crescita di questo comparto, e su tutte le opportunità di
industrializzazione e impiego che il suo sviluppo comporta.
214
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO
La regione è dotata di un rilevante potenziale in termini di risorse rinnovabili ma
nonostante questo contesto favorevole, diverse sono le barriere, di mercato,
amministrative, regolatorie, finanziarie e tecniche che hanno finora impedito ai paesi
dell’Area di sfruttare appieno le loro risorse e di attrarre investimenti esteri in tal senso,
raccogliendo i vantaggi dei molteplici benefici derivanti dalle energie pulite. Possiamo
sintetizzare al riguardo le maggiori criticità.
Barriere istituzionali ed amministrative
I paesi dell’Area presentano un modello istituzionale ed un quadro normativo
complesso e anche molto diversificato. Considerando che la bancabilità dei progetti è
legata alla percezione del rischio-paese, più questa è alta più saranno elevati i costi
iniziali dell’investimento. Per impiegare capitali in questi paesi, dunque, a fronte
dell’elevato costo iniziale e dei lunghi tempi di ritorno degli investimenti, la maggior
parte delle società investitrici richiedono un ambiente confacente al loro business, che
mitighi di fatto i rischi legati all’implementazione dei progetti. Ulteriori difficoltà sono
legate alle procedure autorizzative, spesso complicate, farraginose e poco chiare. Per
investire in questi paesi occorre dunque un quadro istituzionale, legale e regolatorio
stabile e nitido. Se fino a pochi anni fa questi paesi erano caratterizzati dalla mancanza
di politiche adeguate e da un quadro di riferimento poco chiaro, oggi i programmi sulle
rinnovabili sono la testimonianza di un’inversione di rotta e di una prima decisa
risposta alle esigenze di sviluppo per un futuro green.
Barriere infrastrutturali
Nei paesi dell’Area occorrerebbe sviluppare infrastrutture ed interconnessioni
elettriche, realizzando nuove condotte e migliorando le reti esistenti. L’interdipendenza
e la cooperazione in materia energetica dovrebbero essere raggiunte mediante
l’attuazione di due progetti: la chiusura dell’anello elettrico intorno al Mediterraneo,
con il completamento degli allacciamenti sub-regionali; l’interconnessione sud-nord
attraverso cavi sottomarini in corrente continua. Le due soluzioni sono tra loro
complementari e favorirebbero entrambe la creazione di mercati elettrici integrati,
fattore essenziale per uno sviluppo forte ed omogeneo delle fonti rinnovabili nella
regione e per consentire l’esportazione del surplus elettrico prodotto verso la UE.
Barriere di mercato
Pesa molto la presenza di sussidi pubblici alle energie convenzionali (che sono
notevoli nei paesi a sud e ad est dell’Area) che creano distorsioni nella struttura dei
prezzi legati alle rinnovabili. Al fine di assicurare un appropriato ritorno sugli
investimenti e la piena sostenibilità dei progetti sarebbe necessario definire tariffe
adeguate e trasparenti per la vendita dell’elettricità a livello locale e per l’export.
Occorrerebbe anche la definizione di un sistema di incentivi economici che siano
strutturati e prevedibili per l’intera vita dell’impianto e soprattutto stabili, in modo da
rispondere alle esigenze di certezza richieste dagli investitori. Gravano sullo sviluppo
delle fonti pulite anche le asimmetrie informative, per il superamento delle quali
occorre rilanciare un’azione di informazione per i decisori (che rafforzi la volontà
politica di puntare su questo comparto) e di formazione per i tecnici (che ampli le
215
I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI
attualmente circoscritte capacità locali). In merito a quest’ultimo punto pesa la
mancanza di personale qualificato in tutte le fasi di progettazione, costruzione, messa
in esercizio e manutenzione delle tecnologie rinnovabili. Infine, i paesi del sud
devono fare i conti anche con una limitata disponibilità delle tecnologie per la
produzione di energia rinnovabile, e con un ancora limitato trasferimento tecnologico.
Le scarse connessioni tra i centri di R&S da un lato e l’industria e le reti commerciali
dall’altro costituiscono un ulteriore ostacolo a un’adeguata attuazione di politiche
efficaci.
Barriere finanziarie
Gli ostacoli di natura finanziaria sono innanzitutto connessi all’accesso al credito.
L’instabilità economica e politica genera incertezza tra i potenziali investitori che non
hanno chiaro il rendimento atteso a fronte dei costi elevati necessari per realizzare gli
impianti. I sistemi basati sulle fonti rinnovabili hanno infatti un costo di investimento
per kWh superiore rispetto alle fonti di energia tradizionali, per cui gli investimenti
richiedono livelli di finanziamento superiori a parità di capacità d’installazione.
Sarebbe da considerare come freno anche la poca disponibilità di fondi pubblici e la
mancanza di adeguati strumenti finanziari innovativi. Ecco perché occorrerebbe
promuovere la concomitante azione di fondi pubblici, regionali, comunitari e privati.
5. Considerazioni finali: le opportunità future per un Mediterraneo rinnovabile
I paesi del South, East e Adriatic Med potranno conseguire numerosi vantaggi
strategici impegnandosi nello sviluppo delle rinnovabili. Alla diffusione delle fonti
verdi sono legate molteplici opportunità; esse possono contribuire a rispondere
all’aumento della domanda di energia elettrica, e in un clima geopolitico sempre più
incerto e mutevole possono concorrere alla sicurezza degli approvvigionamenti
energetici, specie per quei paesi che non sono caratterizzati dall’abbondanza di
combustibili fossili, ed alla loro sempre più sentita esigenza di indipendenza
energetica. Esse offrono la possibilità di diversificare il mix energetico di riferimento
per la produzione di elettricità e di calore, prolungando la vita utile delle riserve di fonti
fossili esistenti. Una volta soddisfatta la maggiore richiesta che le economie in
espansione di questi paesi avanzano, parte dell’energia prodotta potrà essere esportata
in Europa, partecipando alla copertura della domanda dei paesi più energivori.
Le rinnovabili creano di fatto opportunità di crescita e sviluppo economico e
industriale, aprendo la strada agli investimenti e stimolando l’aumento
dell’occupazione e l’acquisizione di conoscenze e competenze. Possono, infatti,
concorrere a sviluppare un’industria locale, grazie alla fabbricazione in loco di
componenti e sistemi che aumentino la catena del valore a favore del paese ospitante.
Possono creare nuove attività non solo connesse alla costruzione degli impianti, ma al
loro esercizio e manutenzione, sviluppando opportunità di addestramento specialistico,
trasferimento di conoscenze e competenze, per permettere alle realtà locali di
impegnarsi anche in attività di realizzazione di componenti e di consulenza e
progettazione.
216
LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO
Con la consapevolezza delle forti potenzialità di sviluppo delle rinnovabili, sono
stati avviati processi multilaterali che coinvolgono diversi paesi e dimostrano la
volontà di puntare su un futuro green per l’Area.
Tra di essi, l’Unione per il Mediterraneo è stata avviata nel 2008 su proposta della
Francia con l’obiettivo di promuovere la cooperazione tra le due sponde del Bacino,
con diversi scopi tra cui la tutela del patrimonio ambientale. In questo ultimo ambito
sono stati individuati alcuni progetti prioritari tra i quali annoveriamo il PSM (Piano
Solare per il Mediterraneo), il cui obiettivo è lo sviluppo entro il 2020 di 20 GW di
nuova capacità installata da fonte solare ed altre rinnovabili nella sponda sud dell’Area
Med. Tra i benefici principali del Piano sicuramente è da sottolineare la collaborazione
economica, industriale e tecnologica in materia di rinnovabili ed efficienza energetica
che genera vantaggi per entrambe le sponde del Bacino. Da un lato i paesi europei
possono trovare nel Sud del Mediterraneo uno sbocco per i loro investimenti,
contribuendo in tal modo anche al raggiungimento dei target comunitari in tema di
generazione di energia da fonti pulite. Dall’altro, i paesi del Nord Africa e del Medio
Oriente trovano nell’Europa un possibile partner finanziario e tecnologico per
l’implementazione dei progetti.
Tra le iniziative private, una delle più ambiziose è DESERTEC, progetto sviluppato
da un consorzio, nato nel 2009, che raggruppa 60 tra soci e partner in un network che
coinvolge diversi paesi (Germania, Spagna, Algeria, Marocco, Francia, Tunisia e
Italia).
Desertec intende realizzare diverse centrali a fonti rinnovabili nella fascia desertica
dall'Egitto al Marocco, puntando soprattutto sul solare a concentrazione, sul
fotovoltaico ma anche sull'eolico. L'energia prodotta sarà immessa nelle reti locali, ma
la parte eccedente sarà esportata in Europa, con l'obiettivo di coprire il 15% della
domanda elettrica dell’Europa nel 2050. E il Marocco ospiterà la prima centrale solare
del programma.
La Desertec Industrial Initiative (DII) ha sottoscritto un memorandum d'intesa con
la Maroccan Agency for Solar Energy (Masen), un primo passo concreto per un
progetto di cooperazione finalizzato a dimostrare la fattibilità dell'esportazione in
Europa di energia solare generata sul suolo africano. Il progetto rappresenta l’avvio
concreto per Desertec, che finora ha ottenuto il sostegno del mondo industriale ma era
ancora in attesa di ricevere un segnale forte da parte dei governi africani che potesse
offrire prospettive concrete all'iniziativa. Il fatto che sia stato proprio il Marocco a dare
il via trova la sua ragione di fondo nello scenario energetico del Paese e nelle nuove
linee politiche che il governo marocchino ha adottato per il settore. Il Marocco è,
infatti, l'unica nazione del Nord Africa a non poter fare affidamento su risorse
petrolifere e ad aver abbracciato con decisione uno scenario di sviluppo energetico che
fa perno sulle fonti rinnovabili. In questo contesto, lo sviluppo dell'energia solare
rappresenta l'opzione più importante.
La crescita delle fonti verdi nel Mediterraneo dipenderà dunque da un’efficiente
implementazione di piani, progetti e misure a supporto delle rinnovabili, assicurandone
certezza e soprattutto continuità, in modo da attrarre gli investitori ed i loro capitali
nell’ambito di realtà economicamente solide e con un quadro normativo stabile.
217
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223
NOTIZIE SUGLI AUTORI
Il Rapporto 2012 “Le relazioni economiche tra l’Italia ed il Mediterraneo” è stato
progettato, coordinato e realizzato da SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno con il
coinvolgimento di tutte le strutture di ricerca interne, in particolare hanno curato lo
studio (ordine alfabetico):
Anna Arianna BUONFANTI, Ricercatrice Area Infrastrutture, Finanza Pubblica e
Public Utilities
Consuelo CARRERAS, Ricercatrice Area Infrastrutture, Finanza Pubblica e Public
Utilities
Massimo DEANDREIS, Direttore Generale
Luca FORTE, Responsabile Osservatorio Mediterraneo e Statistiche territoriali
Alessandro PANARO, Responsabile Infrastrutture, Finanza Pubblica e Public Utilities
Dario RUGGIERO, Ricercatore Osservatorio Mediterraneo e Statistiche territoriali
Al Rapporto hanno inoltre lavorato collaboratori esterni che con le loro
competenze, esperienze e professionalità specifiche hanno contribuito a fornire
importante valore aggiunto alla pubblicazione. Le opinioni espresse, le fonti e i dati
citati ed elaborati sono di esclusiva responsabilità dei singoli autori che hanno curato le
sezioni (in ordine alfabetico):
Filippo CHIESA, Project leader e ricercatore senior a Step Ricerche (Parte II, Capitolo
V – Le relazioni economiche dei Fondi Sovrani mediterranei con i paesi europei e in
particolare con l’Italia. Situazione e prospettive)
Giancarlo FRIGOLI, Ufficio International Economics, Servizio Studi e Ricerche,
Intesa Sanpaolo (Parte I, Capitolo II, Paragrafo 2 – Le prospettive economiche nel
2012-2013)
Fiorenza LIPPARINI, Intesa Sanpaolo Eurodesk, International Regulatory and
Antitrust Affairs (Parte I, Capitolo II, Paragrafo 3 – L’evoluzione dei rapporti dell’UE
con l’area mediterranea)
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NOTIZIE SUGLI AUTORI
Antonio MELES, Ricercatore confermato di Economia degli Intermediari Finanziari
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope
(Parte II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il ruolo delle
banche islamiche in Turchia).
Stefano MONFERRÀ, Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari
presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope (Parte
II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il ruolo delle banche
islamiche in Turchia)
Giuseppe RUSSO, Founding partner di Step Ricerche, ricercatore ed economista senior
(Parte II, Capitolo V – Le relazioni economiche dei Fondi Sovrani mediterranei con i
paesi europei e in particolare con l’Italia. Situazione e prospettive)
Gianluca SALSECCI, Responsabile Ufficio International Economics del Servizio Studi
e Ricerche di Intesa Sanpaolo (Parte I, Capitolo II – I Paesi del Sud del Mediterraneo
dopo i rivolgimenti politici: sviluppi recenti e questioni aperte dell’economia)
Maria Grazia STARITA, Ricercatrice confermata di Economia degli Intermediari
Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Napoli
Parthenope (Parte II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il
ruolo delle banche islamiche in Turchia)
226 Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
Via Cervantes, 64 - 80133 Napoli - Italia
Tel. +39 0814935292 - Fax +39 0814935289
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www.sr-m.it
Presidente: Paolo Scudieri
Direttore generale: Massimo Deandreis
Consiglio Direttivo: Giuseppe Castagna, Francesco Saverio Coppola, Gregorio De Felice,
Adriano Giannola, Pierluigi Monceri, Marco Morganti, Piero Prado
SRM si avvale di un Comitato Scientifico composto da docenti universitari ed esperti in
materia. La composizione del Comitato Scientifico è pubblicata sul sito web www.sr-m.it
Collegio dei Revisori: Danilo Intreccialagli, (presidente), Giovanni Maria Dal Negro, Lucio
Palopoli
Organismo di Vigilanza (art.6 D.Lgs. 231/01): Gian Maria Dal Negro
Comitato Etico (art.6 D.Lgs. 231/01): Lucio Palopoli
SRM adotta un Sistema di Gestione per la Qualità in conformità alle Normative
UNI EN ISO 9001 nei seguenti campi: Studi, Ricerche, Convegni in ambito
economico finanziario meridionale: sviluppo editoriale e gestione della
produzione di periodici.
Soci Fondatori e Ordinari
***
Finito di stampare a Napoli
Presso le Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli S.p.a.
Nel mese di novembre 2012